Set Domande
DIRITTO TRIBUTARIO
GIURISPRUDENZA (D.M. 270/04)
Docente: Margarita Marco
Set Domande: DIRITTO TRIBUTARIO
GIURISPRUDENZA (D.M. 270/04)
Docente: Margarita Marco
© 2016 Università Telematica eCampus - Data Stampa 31/01/2017 14:51:31 - 2/81
Lezione 001
01. In quali macro categorie si suddivide il tributo ?
Lezione 002
01. Il soggetto inciso dal contributo è:
I contribuenti che beneficiano di un'opera pubblica nell'ambito di una determinata area geografica
Imposta
Le imposte dirette sono quelle applicate sui guadagni prodotti, le imposte indirette sono quelle
che vengono applicate sulle varie spese fatte.
Le imposte dirette sono quelle che gravano su quelle situazioni o su quei fatti che presuppongono
in maniera diretta l'idoneità contributiva (quindi colpiscono reddito e patrimonio).
Le imposte indirette gravano su quei fatti che presuppongono l'idoneità contributiva in via indiretta
o indiziaria (quindi colpiscono gli scambi).
Faccio qualche esempio: sono imposte dirette l'IRPEF e l'IRES (gravano sui redditi), l'ICI (grava
sugli immobili); sono imposte indirette l'IVA, le imposte doganali, l'imposta di registro, imposta di
bollo ecc...
La prima differenza che c’è tra le imposte dirette e indirette riguarda i guadagni. Le imposte dirette
vengono immesse direttamente sul denaro che una persona produce in un dato momento, questo
comporta anche una variazione di tale imposta da soggetto a soggetto in base a diversi parametri
che possono essere i possedimenti o il reddito di una qualsiasi persona. Alcuni esempi riguardanti
questa imposta sono l’IRPEF, ossia una tassa personale che va a incidere sui redditi prodotti
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all’interno dei confini italiani da ogni cittadino o per generalizzare, da tutte le persone fisiche, sia
che siano residenti o meno.
Poi vi è la IRES, questo tipo di imposta invece si applica sui redditi delle società, ed infine vi è la
IRAP, ossia una tassa applicata a livello regionale su qualsiasi tipo di attività che produca
ricchezza. Infine sono parte di questa categoria anche il canone RAI e il bollo auto.
Invece si può affermare che le imposte indirette sono tutte quelle imposte che non colpiscono i
guadagni prodotti sul momento da una persona, ma quelle somme di denaro che vengono spese
in qualsiasi modo. Sono due gli esempi che si possono fare riguardanti questa imposta ossia l’iva e
le accise sulla benzina. L’iva è una imposta che viene applicata su ogni oggetto, servizio offerto
all’interno dello stato o dallo stato italiano.
In base al tipo di bene o di servizio preso in considerazione il valore di questa imposta cambia, ad
esempio per i beni detti “di prima necessità”, ossia il pane, l’acqua avranno un’iva al 4% mentre
oggetti come un computer avranno l’iva al 22%. Altri esempi riguardanti le imposte indirette sono
l’imposta dovuta quando si deve richiedere o presentare un qualsiasi documento (la cosiddetta
marca da bollo), o l’imposta su tutte le donazioni eseguite da una persona o anche in caso di una
successione, ossia un cambio di proprietario di alcuni beni o somme di denaro dopo la morte del
precedente proprietario.
Un’ulteriore differenza che c’è tra le imposte dirette e indirette, riguarda le accise sulla benzina. In
questo caso l’utilizzatore che acquista il carburante paga l’imposta nel momento stesso in cui
avviene l’acquisto visto che il prezzo del carburante non è altro che la somma di due cose: il costo
del carburante stesso più l’accisa (ossia l’imposta indiretta) e l’iva che avrà una percentuale che
ammonta al 22%, essendo considerata un bene non di prima necessità.
Quello che noi comunemente chiamiamo tributo, può essere suddiviso in: Imposte, Tasse e il c.d.
Contributo.
Comunemente si dice che:
Le imposte siano quei tributi che servono a finanziare servizi pubblici indivisibili, si pensi alla difesa
nazionale, all’ordine pubblico o alla tutela ambientale.
Per imposta si intende quel tributo che il contribuente versa e non riceve nell’immediato una
controprestazione. Si pensi all’imposta sul valore aggiunto (IVA). Il contribuente che va dal
panettiere, paga il pane, paga l’IVA, ma non riceve dal fisco nell’immediato nessuna
controprestazione.
Per tassa, invece, si intende quel tributo che il contribuente versa e riceve nell’immediato una
controprestazione. Si pensi alla tassa universitaria. Lo studente paga questa tassa e
nell’immediato riceve la formazione universitaria.
Mentre ancora per contributo, si intende quel tributo speciale che possiede una doppia anima, sia
quella dell’imposta che della tassa. Si pensi ai contributi obbligatori ai consorzi di bonifica.
Immaginiamo che la bonifica riguardi una zona della Toscana, è chiaro che per coloro che abitano
in Sicilia, in Lombardia o in Veneto, il contributo si atteggia più come un imposta perché detti
contribuenti non ricevono nell’immediato nessuna controprestazione. Al massimo la riceveranno
quando, semmai dovesse accadere, soggiorneranno o transiteranno nella zona oggetto della
bonifica. Invece per i contribuenti che abitano la zona bonificata, il contributo sia atteggia più come
una tassa, proprio perché essi nell’immediato godono di detta bonifica.
Esposta la suddetta distinzione, è doveroso precisare che essa ha rilevanza solo da un punto di
vista teorico. Non ha infatti, rilevanza dal punto di vista pratico. Che io debba pagare un imposta,
una tassa o un contributo non cambia nulla. Ad essi non è legata nessuna conseguenza giuridica
peculiare, se non la doverosità del pagamento.
Le tasse, invece, quei tributi con cui si finanziano i servizi pubblici divisibili, si pensi alla sanità, alla
giustizia o all’istruzione.
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Mentre i contributi, sono quei tributi che servono a finanziare servizi pubblici che se pur prestati per
la generalità, finiscono per avvantaggiare una più ristretta categoria di soggetti.
Distinzione dal punto di vista giuridico
Dal punto di vista giuridico, questa distinzione basata sulla divisibilità o indivisibilità del servizio,
non ha molta rilevanza. Infatti, dal punto di vista giuridico.
Per imposta si intende quel tributo che il contribuente versa e non riceve nell’immediato una
controprestazione. Si pensi all’imposta sul valore aggiunto (IVA). Il contribuente che va dal
panettiere, paga il pane, paga l’IVA, ma non riceve dal fisco nell’immediato nessuna
controprestazione.
Per tassa, invece, si intende quel tributo che il contribuente versa e riceve nell’immediato una
controprestazione. Si pensi alla tassa universitaria. Lo studente paga questa tassa e
nell’immediato riceve la formazione universitaria.
Mentre ancora per contributo, si intende quel tributo speciale che possiede una doppia anima, sia
quella dell’imposta che della tassa. Si pensi ai contributi obbligatori ai consorzi di bonifica.
Immaginiamo che la bonifica riguardi una zona della Toscana, è chiaro che per coloro che abitano
in Sicilia, in Lombardia o in Veneto, il contributo si atteggia più come un imposta perché detti
contribuenti non ricevono nell’immediato nessuna controprestazione. Al massimo la riceveranno
quando, semmai dovesse accadere, soggiorneranno o transiteranno nella zona oggetto della
bonifica. Invece per i contribuenti che abitano la zona bonificata, il contributo sia atteggia più come
una tassa, proprio perché essi nell’immediato godono di detta bonifica.
Esposta la suddetta distinzione, è doveroso precisare che essa ha rilevanza solo da un punto di
vista teorico. Non ha infatti, rilevanza dal punto di vista pratico. Che io debba pagare un imposta,
una tassa o un contributo non cambia nulla. Ad essi non è legata nessuna conseguenza giuridica
peculiare, se non la doverosità del pagamento.
Il contributo è il prelievo coattivo di ricchezza a carico di determinati soggetti, per il fatto che
costoro traggono un vantaggio, diretto o indiretto, da determinati servizi pubblici, anche senza che
essi li abbiano richiesti. Ad esempio se l’Ente pubblico provvede a costruire una strada in grado di
aumentare il valore dei beni ad essa adiacenti può richiedere ai proprietari di tali beni un
contributo, obbligatorio, per la costruzione della strada stessa.
Le tasse, le imposte ed i contributi rientrano nella macrocategoria dei Tributi.
Nel linguaggio comune di tutti i giorni utilizziamo indifferentemente il termine imposta, tassa e
contributo. In realtà questi termini non sono sinonimi, ma indicano concetti differenti.
TASSA
La tassa viene pagata come controprestazione di un determinato servizio reso da un ente
pubblico. Di conseguenza il servizio erogato è espressamente richiesto dal cittadino. Ad esempio
quando andiamo in ospedale per una visita paghiamo il ticket, in cambio infatti otteniamo una
prestazione sanitaria.
IMPOSTA
L’ imposta è la ricchezza che viene prelevata ai cittadini (naturalmente se in possesso di un
reddito) dall’ente pubblico per le prestazioni di servizi generali erogati, pertanto non è correlato ad
una specifica prestazione. Lo Stato, infatti, sostiene delle spese per offrire servizi, quali:
infrastrutture, pubblica istruzione, politiche della famiglia, assistenza sanitaria, difesa e così via, e
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l’imposta è lo strumento attraverso il quale i cittadini partecipano a tali spese. Un tipico esempio
d’imposta è l’Iva (imposta indiretta gravante sui consumi).
CONTRIBUTO
Il contributo è il prelievo coattivo di ricchezza a carico di determinati soggetti, per il fatto che
costoro traggono un vantaggio, diretto o indiretto, da determinati servizi pubblici, anche senza che
essi li abbiano richiesti. Ad esempio se l’Ente pubblico provvede a costruire una strada in grado di
aumentare il valore dei beni ad essa adiacenti può richiedere ai proprietari di tali beni un
contributo, obbligatorio, per la costruzione della strada stessa.
Le tasse, le imposte ed i contributi rientrano nella macrocategoria dei Tributi.
La differenza tra tasse e imposte è tutt’altro che marginale e riguarda il rapporto tra cittadino
e Stato. Eppure nel linguaggio comune spesso si tende a far confusione, utilizzando un termine
per un altro. Diamo allora un po’ di definizioni.
Il soggetto trae un’utilità da un’attività statale o da una prestazione di servizio pubblico e, in ragione
di tale utilità, gli è dovuta una prestazione patrimoniale. E’ qui che sta la divisibilità della tassa, la
possibilità di esser fornita ad un singolo soggetto.
Tuttavia non va confusa con la tariffa che viene versata dall’utente per fruire di un determinato
servizio, come ad esempio il trasporto pubblico, il gas etc. Questi sono infatti dei corrispettivi di
natura contrattuale. La tassa è invece un tributo.
Che si intende per tributo?
Il tributo è una categoria generica, all’interno del quale si fanno rientrare tutte le somme dovute al
Fisco, vale a dire sia le tasse, che le imposte che i contributi
E cosa si intende per contributi?
Il concetto di contributo è più ampio, poichè la sua accezione cambia a seconda del campo
d’azione, tanto nel linguaggio comune quanto nei diversi linguaggi tecnici.
Si parla poi di contributo anche per indicare una prestazione che gli appartenenti a determinate
categorie devono garantire ad alcune organizzazione pubbliche, come gli albi professionali.
Vi è poi il Contributo Unificato, C.U., con il quale si indica il costo da pagare per poter adire alle vie
legali ed iniziare una causa legale.
Il contributo, come la maggior parte dei tributi, è parametrato in base alla capacità contributiva e le
risorse che vengono prelevate sono destinate al particolare scopo per cui sono istituite. Le risorse
non potranno pertanto essere distratte da tale scopo e saranno destinate ad una particolare voce
di bilancio, senza possibilità che passino in contabilità generale.
Tra i contributi più conosciuti vi è il contributo unificato di iscrizione a ruolo, dovuto nel caso in cui il
cittadino è parte in un procedimento civile, penale, amministrativo. Il contributo varierà in base al
valore della causa ed è possibile versarlo tramite F23, bollettino postale o contrassegno.
LA TASSA
è la controprestazione di un servizio reso dallo Stato o da un ente pubblico ad un privato, dietro
sua domanda (pensiamo, ad esempio, alla tassa scolastica). In base alla natura del servizio
prestato, le tasse si classificano così:
a) tasse amministrative
sono quelle dovute per un servizio reso da un organo amministrativo e riguardano tutti i diritti dei
privati e quindi i diritti civili dell’anagrafe, i diritti relativi alla vita intellettuale (certificati scolastici) ed
i diritti relativi alla vita economica (concessione di mercati);
b) tasse giudiziarie
quelle che si pagano per un servizio reso dagli organi di giustizia. Lo svolgimento dei processi,
infatti, comporta delle spese (indennità ai testimoni, compensi dovuti per eventuali perizie, ecc,),
che vengono pagate, appunto, attraverso queste tasse.
c) tasse industriali
le tasse più importanti di questa categoria sono quelle sul marchio dei metalli preziosi.
Riscossione delle tasse:
(a) In modo diretto
quando si va a versare direttamente in un ufficio, in questi due modi:
- riscossione diretta generale: quando colui che richiede un dato servizio
versa l’importo della tassa in una tesoreria o in una ricevitoria, che rilascia la quietanza,
- riscossione diretta specializzata: quando la tassa è pagata nello stesso ufficio incaricato della
prestazione del servizio (ad esempio la tassa per la
verifica dei pesi);
(b) In modo indiretto
quando il pagamento della tassa viene effettuato in questi modi:
- usando la carta bollata; ed allora si dice che la tassa viene pagata in
modo indiretto ordinario,
- applicando marche da bollo; si dice che la tassa viene pagata in modo
indiretto straordinario,
- pagando all’ufficio del registro o presso altro ufficio governativo – si dice
allora che la tassa viene pagata in modo indiretto virtuale.
L’IMPOSTA
è un prelevamento coattivo (cioè obbligatorio) di ricchezza, effettuato dallo Stato o da un ente
pubblico, per far fronte a tutti i fini di interesse generale e la principale distinzione (più oltre ne
vedremo altre) è:
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imposte indirette, perché colpiscono la ricchezza di ognuno di noi nel momento in cui la spendiamo
(pensiamo, ad esempio, all'acquisto di una bottiglia di liquori o delle sigarette o
della benzina).
Attenzione: non si deve confondere la tassa con l’imposta indiretta (apparentemente potrebbero
sembrare la stessa cosa). Mentre la tassa è la controprestazione di un servizio pubblico (il comune
ti dice: se vuoi che ti dia il servizio immondizie, mi devi pagare una tassa), l’imposta indiretta
colpisce semplicemente il consumo di un bene (acquisto una bottiglia di liquori e quindi un bene
per me e quindi pago l’imposta indiretta sui liquori).
Soggetto attivo dell’imposta è lo Stato od un ente pubblico (ad esempio il comune) e soggetto
passivo dell’imposta è “il contribuente”.
Oggetto dell’imposta è la ricchezza sulla quale viene applicata (e che si chiama “materia
imponibile”).
La percentuale di imposta applicata sulla materia imponibile si chiama “aliquota”.
La “capacità contributiva” è la quantità di possibilità di pagare un tributo, che ha un contribuente.
Le imposte, oltre che essere dirette ed indirette, come visto sopra, possono essere classificate
anche così:
- personali.....quando tengono conto delle condizioni familiari (IRPEF),
- reali..........quando non tengono conto delle condizioni familiari (bollo),
- generali......se colpiscono tutte le categorie di redditi,
- speciali.......se colpiscono solo certe categorie di reddito,
- proporzionali... quando l’aliquota è costante (IRPEG),
- progressive......quando sono più che proporzionali (IRPEF),
- regressive....... quando sono meno che proporzionali.
Ricordiamo che la costituzione, all’articolo 53, vuole che il sistema tributario italiano sia improntato
al criterio della progressività (dunque questa è la regola, pur in presenza di inevitabili eccezioni),
perché si ritiene che questo criterio meglio serva per diminuire il più possibile le differenze sociali.
Lezione 003
01. NON SONO FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO:
I PRECEDENTI GIURISDIZIONALE
NESSUNA PRESTAZIONE PERSONALE E PATRIMONIALE PUO' ESSERE IMPOSTA SE NON IN BASE ALLA LEGGE
04. QUALE, TRA LE SEGUENTI, NON E' UNA FONTE DEL DIRITTO TRIBUTARIO?
USI
05. L'art 53 della Costituzione prevede la progressività del sistema tributario, ciò comporta che i tributi non progressivi sono dunque
incostituzionali ?
No, perché è sancito che il sistema nel suo insieme deve essere progressivo ma il singolo tributo può non esserlo.
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Gli art da 90 a 93 del trattato CE contengono le norme relative all’armonizzazione fiscale in campo
comunitario. In particolare l’art. 90 vieta a ciascuno stato l’applicazione diretta e indiretta nei
confronti dei prodotti provenienti dagli Stati membri della Comunità di imposte di qualsiasi natura
superiori a quelle applicate ai prodotti nazionali similari.
Lezione 004
01. Tra i principi fondamentali del diritto tributario si annovera:
Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla Legge (cd riserva di Legge)
Imposte che colpiscono in maniera diretta il reddito o il patrimonio, o indirettamente attraverso i consumi ed i trasferimenti
Ha come base imponibile il bene patrimoniale a prescindere dalla capacità di produrre reddito
Lezione 005
01. LA BASE IMPONIBILE DELL'IMU E' DATA:
Lezione 006
01. IN QUALE CASO I CITTADINI STRANIERI SONO SOGGETTI AL PAGAMENTO DELLE IMPOSTE IN ITALIA?
SE SONO RESIDENTI IN ITALIA E SONO PROPRIETARI DI BENI O SVOLGONO ATTIVITA' LAVORATIVE
03. L'art. 53 della Costituzione, in relazione alla progressività del sistema tributario dispone:
Che debba essere progressivo il sistema tributario nella sua interezza, anche se alcuni singoli tributi non lo sono
Le leggi che istituiscono e regolano i tributi devono rispettare il principio di capacità contributiva
sancito dall’art. 53 della Costituzione, secondo cui : “ tutti sono tenuti a concorrere alle spese
pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema Tributario è informato a criteri di
progressività.”
L’art. 53 della costituzione utilizzala locuzione “Tutti “ per attribuire al legislatore la libertà di
individuare i criteri di collegamento della capacità economica al territorio, che possono essere
soggettivi, vale a dire in relazione alla residenza del soggetto oppure oggettivi, in relazione al luogo
in cui viene realizzato il presupposto del tributo (ad esempio anche i cittadini stranieri possono
essere soggetti passivi del tributo).
Con il disposto dell’art. 53 della Costituzione si è inteso affermare l’obbligatorietà insita nel
termine “sono tenuti”; l’universalità in quanto la norma si rivolge a tutti, anche i non residenti,
purché abbiano prodotto i loro redditi nel territorio dello stato; la legittimità dell’obbligo
contributivo, giacché vi è un obbligo alla contribuzione, determinato nella misura e nel limite della
capacità contributiva.
I requisiti che definiscono la capacità contributiva sono: l’attualità, perché il tributo nel momento in
cui trova applicazione deve essere correlato ad una capacità contributiva attuale, non ad una
capacità contributiva passata o futura. L’effettivita’ , sorge dall’esigenza che il presupposto
dell’imposta sia effettivo e non apparente o fittizio.
Il principio di progressività non riguarda i singoli tributi ma il sistema nel suo complesso, i singoli
tributi possono essere ispirati a criteri diversi.
Al principio costituzionale contenuto nell’art. 53 possiamo attribuire un duplice valore normativo:
garantista, perché è costituzionalmente legittimo imporre tributi solo in “ragione” di un fatto che sia
indicativo di capacità contributiva (cioè indici rivelatori di ricchezza), pertanto vincola il legislatore la
scelta del presupposto del tributo, riducendo, inoltre, gli effetti espropriativi (il presupposto del
tributo non può essere un fatto qualunque, ma deve essere un fatto che esprime forza economica);
solidaristico, perché è connesso al dovere inderogabile di solidarietà (art. 2 della Costituzione)
infatti il dovere di concorrere alle spese pubbliche, come dovere di tutti, deve essere commisurato
in ragione della capacità contributiva.
06. IL CANDIDATO INDICHI IN CHE MODO PUO' ESSERE ATTUATA LA PROGRESSIVITA' DELLE IMPOSTE
L'imposta progressiva è un tipo di imposta il cui ammontare aumenta in modo più che
proporzionale rispetto all'imponibile. La progressività dell'imposta è realizzata aumentando
l'aliquota d'imposta al crescere della base imponibile. La progressività dell'imposta può essere
attuata secondo tre metodi:
• progressività continua
• progressività per classi
• progressività per scaglioni
La progressività continua si attua variando l'aliquota in misura continua con l'aumentare della
base imponibile fino al raggiungimento di un'aliquota massima oltre la quale resta costante. La
progressività per classi si realizza associando un'aliquota ad ogni classe di reddito. Ad esempio,
fino 100.000 euro si applica l'aliquota del 5%, dopo i 100.000 si applica l'aliquota del 6% sull'intero
imponibile ecc. La progressività per scaglioni, infine, viene realizzata applicando un'aliquota
crescente per ogni scaglione dell'imponibile. Ad esempio, fino 100.000 euro dell'imponibile si
applica l'aliquota del 5% (primo scaglione), per l'ammontare dell'imponibile oltre i 100.000 si
applica l'aliquota del 6% (secondo scaglione). Per completezza è possibile attuare la progressività
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anche in una imposta con aliquota costante consentendo una detrazione sulla base imponibile ai
soggetti passivi che non superano un determinato reddito (cd progressività per detrazione).
07. IL CANDIDATO ILLUSTRI COSA SI INTENDE PER PROGRESSIVITA' E PROPORZIONALITA' DELLE IMPOSTE
La tipologia di imposta che ogni Stato decide di immettere in relazione alla ricchezza dei propri
cittadini, può essere distinta in imposta fissa, imposta proporzionale, imposta progressiva e
regressiva. Questa distinzione viene effettuata a seconda del tipo di applicazione di aliquota e
della suddivisione del bene imponibile rispetto ad una quota di applicazione della stessa.
Imposta Proporzionale
Si parla di imposta proporzionale nel caso in cui l'ammontare dell'imposta cresce in relazione
direttamente proporzionale all'aumentare dell'imponibile. In questo caso l'aliquota risulta essere
costante.
Ad esempio, un’aliquota del 20% su un imponibile di 100 mila euro significa che il soggetto deve
pagare 20 mila euro di imposta.
Questo tipo di imposta si applica all’imposta di registro che caratterizza gli atti di acquisto di beni
immobili tra privati, dove l’aliquota è costante.
Imposta progressiva
Si parla di imposta progressiva quando l'aliquota media aumenta in relazione più che
proporzionale rispetto all'aumentare dell'imponibile, come accade per l'IRPEF
Il principio di progressività
Tale principio è contemplato dall’art. 53 della Costituzione italiana e si applica al sistema tributario
nel suo complesso, e non ai singoli tributi; ciò significa che ogni tributo può rifarsi ad un criterio
diverso.
Il principio di progressività viene applicato affinché lo Stato riceva i mezzi finanziari per la sua
gestione e, soprattutto, per redistribuire la ricchezza tra la popolazione in termini di servizi per la
collettività.
Infatti, questa affermazione si collega al principio dell’utilità decrescente della ricchezza: il soggetto
che possiede un reddito minimo sufficiente per soddisfare i bisogni primari, contribuirà con una
piccola percentuale; al contrario, chi possiede un reddito alto può partecipare alla spesa pubblica
con un’imposta di maggior rilievo, senza che questa vada ad incidere sul suo tenore di vita. Con
questa regola, si cerca di ridurre la distanza tra i ricchi e i poveri e la concentrazione della
ricchezza nelle mani dei primi.
Imposta regressiva
Si parla di imposta regressiva quando l'aliquota media non cresce in maniera proporzionale
all'imponibile, ma decresce.
Ad esempio, su un imponibile di 100 mila euro l’imposta ha un’aliquota del 10%, mentre superati i
100 mila euro l’aliquota è del 9%, e così via.
Questo esempio ci fa capire che più ricchezza si possiede, minore sarà il valore dell’imposta.
Il principio della regressività
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Il principio che caratterizza l’imposta regressiva viene utilizzato per giustificare i casi in cui i
contribuenti più ricchi non utilizzano alcuni beni o servizi pubblici.
In realtà, questo principio contrasta con il principio di redistribuzione e quello di equità: tutti i
cittadini hanno l’obbligo di contribuire al benessere della collettività in base alle proprie diponibilità
economiche.
Aspetti generali dell’imposta
L’art. 53 della Costituzione afferma che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva”. Questa può essere valutata in base al reddito e al
patrimonio, sui quali il soggetto dovrà pagare l’imposta.
Gli elementi che la compongono sono:
• il presupposto: ad esempio, il possesso di un bene o di un reddito;
• la base imponibile: la ricchezza su cui si applica l’imposta;
• l’aliquota: rapporto tra l’ammontare dell’imposta e l’imponibile, espresso in
percentuale.
Lezione 007
01. Differenza tra ritenute a titolo di acconto o a titolo di imposta
Nel primo caso è una ritenuta provvisoria con necessità di conguaglio in dichiarazione dei redditi, nel secondo è a titolo definitivo e quel reddito
non dovrà essere oggetto di dichiarazione
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Le imposte che gravano sui consumi o sui trasferimenti e che quindi colpiscono indirettamente la capacità contributiva
Lezione 009
01. Possono essere soggetti passivi di imposta
Persone fisiche, società di persone, società di capitali e gli enti
Lezione 010
01. Quale ruolo riveste il Notaio nel versamento dell'Imposta di Registro
L'organo a cui è demandata la gestione dei tributi ed il controllo sugli adempimenti agli obblighi fiscali
03. La ritenuta operata dagli istituti di credito sugli interessi attivi sui c/c di persone fisiche che non operano nell'esercizio di un'impresa è:
A titolo di imposta
Lezione 012
01) Che cosa si intende per accollo e successione nell’obbligazione tributaria.
L’ACCOLLO è il contratto col quale un soggetto (accollante) assume un debito tributario altrui (es.
in un contratto di mutuo, i contraenti possono accollare al mutuante le imposte dovute dal
mutuatario sugli interessi riscossi: in questo modo, il mutuatario percepirà gli interessi netti del
mutuo, e sarà liberato nei confronti del fisco).
LA SUCCESSIONE: l’accettazione dell’eredità trasmette agli eredi i debiti tributari del defunto. È
tuttavia esclusa la trasmissibilità delle sanzioni.
L’accollo
L’accollo è il contratto tra un terzo (accollante) e un debitore (accollato) con il quale il primo
assume un debito del secondo nei confronti del terzo (creditore accollatario).
Sono sempre ammessi i patti di accollo dell’imposta?
No, e ciò in quanto a volte il Legislatore stabilisce espressamente che la rivalsa è obbligatoria o
vietata. Al di fuori di tali casi, i privati sono liberi di stipulare patti di accollo dell’imposta.
Sono ammessi tutti i tipi di accollo?
No. L’art. 8 dello Statuto dei diritto del contribuente stabilisce che “è ammesso l’accollo del debito
d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario”.
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Sempre a tal riguardo, secondo la giurisprudenza della Cassazione sono ammessi solo patti di
accollo con rilievo “esterno”, e cioè quei patti di accollo che riconoscono al creditore accollatario (e
quindi al Fisco) il diritto di agire verso l’accollante.
Pertanto, è ammesso l’accollo ma il Fisco deve potersi rifare sul contribuente originario, ovvero
sull’accollante in caso di mancato pagamento.
In realtà, secondo parte della dottrina i patti di accollo sarebbero illegittimi in quanto contrari all’art.
53 Cost., e segnatamente contrari al principio di capacità contributiva: il tributo è stato
commisurato alla capacità contributiva di un soggetto diverso da quello sui cui effettivamente
ricade l’onere del tributo.
Secondo il Tesauro i patti di accollo non sarebbero incostituzionali e ciò in quanto l’art. 53 Cost. si
rivolge al Legislatore e regola il rapporto (verticale) tra Legislatore e contribuenti, e non i rapporti
(orizzontali) tra contribuenti. I patti di accollo dell’imposta non sono contrari all’art. 53 Cost., che
disciplina solo le leggi tributarie.
Lezione 013
01. IL CANDIDATO INDICHI QUALI SONO LE AGENZIE FISCALI E QUALI I LORO COMPITI
Le Agenzie Fiscali (Agenzia delle Entrate, Agenzia del Demanio, Agenzia delle Dogane e dei
Monopoli) svolgono funzioni tecnico-operative al servizio del Ministero al fine di fornire informazioni
e assistenza ai contribuenti. Godono di piena autonomia sia in materia di bilancio che in materia di
organizzazione della propria struttura. Il loro rapporto con il MEF è stabilito in apposite convenzioni
che ne regolano le modalità d’intervento (servizi, obiettivi e risorse).
Agenzia delle Entrate
L’Agenzia ha competenza in materia di entrate tributarie e diritti erariali, in merito alle quali si
occupa delle funzioni relative alla gestione, all'accertamento e al contenzioso. Assicura assistenza
ai contribuenti e coordina i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l’evasione fiscale.
Funzioni
L’Agenzia svolge le seguenti funzioni:
amministrare e riscuotere tributi diretti, iva e imposte
fornire supporto alle attività del Ministero e collaborazione con le altre Agenzie fiscali
semplificare i rapporti con i cittadini
gestire i contenziosi erariali
Organizzazione
L’Agenzia delle Entrate è articolata in direzioni centrali e direzioni territoriali.
Agenzia del Demanio
L’Agenzia si occupa della gestione, razionalizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare
dello Stato, oltre che dell’amministrazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Provvede
ai fabbisogni allocativi delle Pubbliche Amministrazioni e valuta la congruità dei prezzi di acquisto
degli immobili o dei canoni di locazione.
Funzioni
L’Agenzia svolge le seguenti funzioni:
tutelare l’integrità e la corretta utilizzazione dei beni immobiliari pubblici
garantire redditività e interventi diretti alla loro valorizzazione
coordinare le opere di manutenzione su tutti gli immobili in uso alle Amministrazioni
dello Stato
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Lezione 016
05. L'autotutela è:
Il contribuente chiede di disapplicare una norma, generalmente antielusiva, nei suoi confronti
08. Con la presentazione dell'Istanza di accertamento con adesione i termini per presentare ricorso si sospendono per:
90 giorni
Sanare una obbligazione tributaria autonomamente, pagando la relativa sanzione ridotta e, se dovuta, l'imposta e gli interessi.
Il contribuente e l'amministrazione possono raggiungere un accordo fino alla prima udienza, ancorchè sia stato presentato il ricorso
Con il “ravvedimento” (art. 13 del Dlgs n. 472 del 1997 - pdf) è possibile regolarizzare omessi o
insufficienti versamenti e altre irregolarità fiscali, beneficiando della riduzione delle sanzioni.
Il Ravvedimento operoso, regolamentato per la prima volta dall'art. 14 della L. 29 dicembre 1990,
n. 408, e successivamente disciplinato dall'art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, è un
istituto giuridico finalizzato al ripristino della legalità violata in ambito amministrativo tributario.
Per il tramite del ravvedimento il contribuente può spontaneamente regolarizzare errori o illeciti
fiscali, versando entro il termine prescritto il tributo non pagato, una sanzione stabilita in misura
ridotta e gli interessi, calcolati giorno per giorno sul tributo non pagato al tasso legale, che dal 1º
gennaio 2008 al 31 dicembre 2009 era pari al 3% in ragione d'anno, dal 1º gennaio 2010 al 31
dicembre 2010 pari all'1% in ragione d'anno, dal 1º gennaio 2011 al 31 dicembre 2011 pari
all'1,5% in ragione d'anno, dal 1º gennaio 2012 pari al 2,5% in ragione d'anno (vedi DECRETO del
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE 12 dicembre 2011 "Modifica del saggio di
interesse legale") e dal 1º gennaio 2014 pari all'1% in ragione d'anno.
Ravvedimento breve
I versamenti effettuati con ritardo non superiore a trenta giorni sono assoggettati a una sanzione
corrispondente a:
▪ 1/12 del 30% (corrispondente al 2,5%) dell'ammontare dell'imposta oggetto del
ravvedimento, oltre agli interessi calcolati al tasso legale pro tempore vigente.
Per le violazioni commesse dopo il 1º febbraio 2011, la Legge Finanziaria per il 2011 ha stabilito
che la sanzione salga a 1/10 del minimo (ossia al 3%).
Esempio di calcolo del ravvedimento breve
Prendendo ad esempio un'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) corrispondente a 100
Euro, versata con 29 giorni di ritardo, la sanzione da ravvedimento da versare a mezzo modello
F24 (con codice tributo 8901) sarà di Euro 2,5, alla quale si dovranno aggiungere gli interessi di
mora.
17
Ravvedimento lungo
I versamenti effettuati con ritardo superiore a trenta giorni, ma comunque entro i termini di
presentazione della dichiarazione relativa all'anno in cui è stata commessa la violazione (ovvero,
quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno), sono assoggettati a una sanzione
corrispondente a:
▪ 1/10 del 30% (corrispondente al 3%) dell'ammontare dell'imposta oggetto del
ravvedimento, oltre agli interessi calcolati al tasso legale pro tempore vigente.
Per le violazioni commesse dopo il 1º febbraio 2011, la Legge Finanziaria per il 2011 ha stabilito
che la sanzione salga a 1/8 del minimo (ossia al 3,75%).
Prendendo ad esempio un'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) corrispondente a 100
Euro, versata con 6 mesi di ritardo, ma comunque entro i termini di scadenza della dichiarazione
unificata (Modello Unico), la sanzione da ravvedimento da versare a mezzo modello F24 (con
codice tributo 8901) sarà di Euro 3,00, alla quale si dovranno aggiungere gli interessi di mora.
L'interpello è un'istanza che il contribuente rivolge all'Agenzia delle Entrate prima di attuare un
comportamento fiscalmente rilevante, per ottenere chiarimenti in relazione a un caso concreto e
personale in merito all'interpretazione, all’applicazione o alla disapplicazione di norme di legge di
varia natura relative a tributi erariali.
alla corretta qualificazione fiscale del caso concreto, quando tale qualificazione sia
obiettivamente incerta.
Lezione 018
La dichiarazione con cui il contribuente dichiara i redditi percepiti nel periodo di imposta
04. La dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e giuridiche si differenziano in quanto:
L'una riguarda i redditi prodotti dalle persone fisiche, l'altra i redditi prodotti dalle persone giuridiche
a dichiarazione annuale IVA rappresenta il riepilogo delle operazioni attive e passive effettuate dai
titolari di partita IVA nel corso dell'anno precedente a quello di presentazione e determina la
liquidazione definitiva del debito o del credito d'imposta
Le persone fisiche titolari di partita IVA, le società e gli enti con periodo d'imposta coincidenti con
l'anno solare presentano la dichiarazione unificata qualora debbano presentare almeno due delle
seguenti dichiarazioni: dichiarazione dei redditi, IVA e IRAP.
Sono obbligati a presentare la dichiarazione IVA in forma autonoma i seguenti soggetti:
• i venditori "porta a porta" ed altri soggetti esonerati dalla dichiarazione dei redditi;
• le società di capitali e gli enti soggetti ad IRES, nonché le società di persone con
esercizio non coincidente con l'anno solare;
• i curatori fallimentari e i commissari liquidatori per conto dei soggetti falliti o
sottoposti a procedura di liquidazione coatta amministrativa;
• i soggetti non residenti che hanno operato mediante identificazione diretta;
• i rappresentanti fiscali di soggetti non residenti e senza stabilire organizzazione in
Italia;
• società controllanti e controllate che effettuano la liquidazione di gruppo anche per i
periodi inferiori all'anno;
• i soggetti tenuti a comprendere nella propria dichiarazione annuale il modulo relativo
alle operazioni dei soggetti fusi, incorporati, trasformati, ecc., che abbiano partecipato durante
l'anno alla procedura della liquidazione IVA di gruppo;
20
Lezione 020
01. LA DICHIARAZIONE IVA DEVE ESSERE PRESENTATA:
DALLE PERSONE FISICHE E DALLE PERSONE GIURIDICHE TITOLARI DI PARTITA IVA
Lezione 022
01. A PROPOSITO DEL CONTROLLO FORMALE, SI PUO' AFFERMARE CHE:
LE DICHIARAZIONI DEI REDDITI SONO SOTTOPOSTE AD UN PRIMO CONTROLLO FORMALE DISCIPLINATO DALL'ART. 36-BIS DPR
600/73
Lezione 023
01) Il candidato spieghi che cosa si intende per controllo sostanziale delle dichiarazioni.
sulla base degli studi di settore. Esempio quest’anno controlliamo gli avvocati matrimonialisti,
oppure i penalisti.
C’è quindi una tendenziale verifica in ordine a queste categorie, ma ciò non esclude affatto che
l’ufficio dell’amministrazione non possa fare accertamenti nei confronti di chiunque sulla base di
dati e notizie da lei raccolte o fornite dalla guardia di finanza. Il problema maggiore riguarda gli
accertamenti dei redditi di lavoro autonomo e i redditi di impresa.
Il controllo è sostanziale perché va a verificare voce per voce la dichiarazione dei redditi, quindi ad
esempio nel caso di reddito di lavoro autonomo o di impresa, si vanno a verificare le poste
contenute nei singoli righi della dichiarazione e per il reddito di impresa bisogna andare a vedere il
conto economico.
COSTI DI REGIA : costi che vengono addebitate alle società controllate dalla casa madre.
L’art. 12 della L. 212/2000 (Statuto del contribuente) prevede, tuttavia, che «gli accessi, le
ispezioni e le verifiche nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole,
artistiche e professionali sono effettuate sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo.
Essi si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l’ordinario
orario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minor turbativa possibile allo
svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del
contribuente».
Accessi ed ispezioni (art. 52del D.P.R. N. 633/1972 e art. 33del D.p.r. 600/1973) sono quei
controlli che si riferiscono all’esame di uno specifico registro (ad esempio il registro delle fatture
emesse) e sono di breve durata, di solito durano mezza giornata o qualche ora, ai quali segue un
processo verbale che può essere negativo (se non vengono riscontrate irregolarità) oppure
positivo rilevando infrazioni. L'accesso può avvenire anche presso altri enti (ad esempi: Pubblica
Amministrazione, Istituti di credito), con apposita autorizzazione, al fine di reperire informazioni utili
al controllo.
Controlli documentali (art. 32 del D.P.R. n. 600/1973) Sono richieste di informazioni e
documentazioni o registri contabili, di solito svolti presso l'Ufficio stesso (ad esempio controllo
formale ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 sulle dichiarazioni dei redditi).
Verifiche Si tratta di controlli specifici composti da una serie di operazioni finalizzate a controllare il
regolare adempimento delle norme tributarie. La verifica è finalizzata all'acquisizione di ogni
elemento utile all'accertamento (dei redditi, dell'Iva e dei tributi indiretti) e si sviluppa mediante
ispezioni documentali che interessano l’attività del contribuente e termina con la compilazione di
atti specifici. Può essere eseguita nei confronti di qualunque persona fisica, società o ente che
abbia posto in essere attività alle quali le norme tributarie pongono obblighi o divieti e la cui
inosservanza è sanzionata in via amministrativa e/o penale.
Lezione 024
I destinatari di tale attività accertativa sono, sia i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture
contabili sia i soggetti titolari di altre categoria di reddito imponibile.
La finalità è, ovviamente, quella di far emergere componenti reddituali imputabili al soggetto
sottoposto a controllo e da questo non dichiarate.
Qualsiasi dato o informazione recuperato dall’Agenzia delle Entrate attraverso l’accertamento
bancario è inutilizzabile contro il contribuente se il controllo è avvenuto senza le autorizzazioni
prescritte dalla legge. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente
Indagini bancarie
I controlli bancari e finanziari rappresentano una delle più incisive modalità d’indagine a
disposizione dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, e possono combinarsi con le
modalità sintetiche di determinazione del reddito soprattutto laddove risulta difficile procedere a
una ricostruzione fondata sui dati economici di un’attività “ufficiale”. In ambito fiscale, le indagini
bancarie risultano particolarmente utili per il fisco in quanto i dati così ottenuti costituiscono
«presunzioni» a favore dell’amministrazione finanziaria, contro cui il contribuente, se vuole
procedere a contestazione, deve fornire la prova contraria (cosiddetta «inversione dell’onere della
prova»).
In questo modo l’Agenzia delle Entrate può individuare i flussi e disponibilità di denaro e altri mezzi
finanziari del contribuente, in modo da verificare l’eventuale possesso di redditi non dichiarati.
Con l’istituzione della cosiddetta Anagrafe tributaria e dell’Anagrafe dei rapporti finanziari (anche
detta «dei conti correnti»), le indagini bancarie sono diventate più semplici e accessibili. Sono
iscritte all’anagrafe tributaria le persone fisiche, oltre alle società, associazioni ed organizzazioni
con o senza personalità giuridica, alle quali si riferiscono i dati e le notizie raccolti, o che abbiano
richiesto l’attribuzione del numero di codice fiscale.
Attualmente, l’esistenza di conti correnti e altri rapporti tra il soggetto sottoposto ad accertamento e
la banca, nonché la loro natura, devono essere:
cassette di sicurezza
depositi chiusi
contratti derivati su crediti
carte di credito/debito
crediti di firma
crediti
finanziamenti
fondi pensione
patto compensativo
finanziamenti in pool
altro rapporto.
Per indagine bancaria deve intendere l’attività posta in essere al fine di acquisire informazioni,
notizie e dati relative ad un rapporto, continuativo o anche occasionale – intrattenuto dal soggetto
verificato con una Banca, con Poste Italiane o con un qualsiasi altro istituto finanziario.
I destinatari di tale attività accertativa sono, invece, sia i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture
contabili sia i soggetti titolari di altre categoria di reddito imponibile.
Attraverso l’acquisizione e l’analisi di informazioni, infatti, gli organi competenti possono con
maggiore facilità procedere ad individuare operazioni economiche occulte nonché quantificare
l’eventuale maggior reddito imponibile in capo al contribuente controllato.
2. Evoluzione normativa.
L’evoluzione della disciplina in materia di indagini bancarie e finanziarie ha viaggiato, nel corso
degli anni, di pari passo con la lenta ed inesorabile scomparsa del cosiddetto segreto bancario.
La regolamentazione in materia di indagini bancarie e finanziarie è passata dalla riforma Preti, che
subordinava l’utilizzo di tale modalità accertativa alla preventiva acquisizione di indizi di evasione,
a quanto previsto dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 recante «Disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti pubblici» (c.d. decreto Monti), secondo cui le indagini
finanziarie rappresentano un vero e proprio presupposto dell’accertamento tributario.
Con la riforma Preti (anni 1971-1973), il Legislatore ha provveduto a stabilire all’art. 35 del D.P.R.
n. 600 del 1973, rubricato “Deroghe al segreto bancario”, chiare e tassative ipotesi di deroga
proprio al segreto bancario, cercando di coniugare la tutela del contribuente/risparmiatore
sottoposto a controllo con l’interesse pubblico della riscossione dei tributi.
Il D.P.R. n. 463 del 15 luglio 1982, ha provveduto a colmare le discrasie normative esistenti,
inserendo nella nuova formulazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 633 del 1972, analoga deroga al
segreto bancario anche in materia di Iva, allineando, così, l’accertamento di tale imposta a quello
previsto in materia di imposte dirette.
24
Ma l’ulteriore e decisivo intervento in materia di indagini finanziarie è stato fatto con l’entrata in
vigore della L. n. 413/1991.
In seguito a tale intervento l'accesso alle informazioni bancarie è stato notevolmente semplificato.
Gli Uffici finanziari, hanno potuto accedere ai rapporti di conto e deposito dei soggetti controllati
semplicemente sulla base di una richiesta nominativa autorizzata.
Il Legislatore del ’91 ha provveduto ad istituire, altresì, la cosiddetta Anagrafe dei conti, consistente
nell’elenco dei rapporti intrattenuti dai contribuenti con gli operatori finanziari e prevedendo, altresì,
l'obbligo a carico di questi ultimi, di trasmettere all'Anagrafe tributaria tutte le informazioni relative
alla propria clientela.
Le novità portate da tale provvedimento sono individuabili sia nella possibilità di accedere a tutti i
dati, le notizie ed i documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata dagli
operatori finanziari, inclusi i servizi prestati con i clienti, sia nella riduzione del termine da 60 a 30
giorni entro il quale dovrebbero essere fornite le risposte all’Amministrazione Finanziaria.
Tutto ciò previa autorizzazione del Direttore regionale dell’Agenzia delle entrate o del Comandante
regionale della Guardia di finanza.
In seguito alle modifiche intervenute con l’approvazione del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito
in legge il 4 agosto 2006, n. 248, l’art. 7 del D.P.R. n. 605/1973 (istitutivo dell’Anagrafe tributaria),
ha disposto l’obbligo a carico di tutti gli operatori finanziari di rilevare e tenere in evidenza i dati
identificativi di ogni soggetto che intrattiene con loro qualsiasi rapporto o effettua qualsiasi
operazione di natura finanziaria, ad esclusione di quelle di importo unitario inferiore a 1.500 euro.
La richiesta di informazioni, rivolta unicamente agli operatori finanziari che detengano rapporti con
il contribuente, previa consultazione dell’Archivio dei conti e dei rapporti, inserito in seno
all’Anagrafe tributaria, deve essere effettuata nel rispetto della privacy del contribuente.
In attuazione di tale norma l’Agenzia delle Entrate ha emanato il provvedimento del 19 gennaio
2007, n. 2007/9647, in base al quale gli operatori finanziari devono comunicare i dati identificativi,
compreso il codice fiscale, del soggetto, persona fisica o non fisica, che intrattiene il rapporto e, nel
caso di rapporti intestati a più soggetti, i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di tutti i
contitolari del rapporto, nonché la tipologia di rapporto in essere.
Un recente e forse più significativo intervento normativo in materia di indagini finanziarie è quello
posto in essere con il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge il 14 settembre 2011, n. 148
che all’art. 2, comma 36 undevicies, ha stabilito che “in deroga a quanto previsto dall’art. 7, comma
11, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605”, l’Agenzia delle entrate
può procedere alla elaborazione di specifiche liste selettive di contribuenti da sottoporre a controllo
basate su informazioni relative ai rapporti e operazioni di cui al citato art. 7.
Viene, altresì, sostanzialmente previsto a carico degli istituti di credito e di tutti gli operatori
finanziari in genere, l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate informazioni di carattere
selettivo relative a tutti i potenziali evasori fiscali, titolari di situazioni finanziariamente anomale.
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La novità di tale norma è di notevole portata e consiste nel ribaltamento del criterio di utilizzo dello
strumento istruttorio costituito dalle indagini finanziarie. In base al D.L. n. 138/2011, infatti, le
informazioni ed i dati recepiti sono utilizzati per individuare le categorie di contribuenti che
presentano anomalie e che quindi devono successivamente essere sottoposti a verifiche, mentre,
in precedenza l’accertamento bancario era utilizzato soltanto dopo che l’Amministrazione
finanziaria aveva già avviato nei confronti di un individuato contribuente una attività accertativa,
previa autorizzazione e richiesta motivata.
Decreto Salva Italia. Un discorso a parte, sempre con riferimento alle indagini bancarie e
finanziarie, merita quanto previsto nel cosiddetto decreto Salva – Italia.
Esso, infatti, prevede l’obbligo a carico degli operatori finanziari di comunicare periodicamente
all’anagrafe tributaria le movimentazioni ed ogni informazione, relativa ai rapporti intrattenuti con i
propri clienti, necessaria ai fini dei controlli fiscali, nonché l’importo delle operazioni finanziarie
indicate nella predetta disposizione.
Le modalità ed i tempi di comunicazione sono stati stabiliti con provvedimento del direttore
dell’Agenzia delle entrate al fine di disporre adeguate misure di sicurezza, di natura tecnica ed
organizzativa, per la trasmissione e la conservazione di tali informazioni ed il cui utilizzo non può
superare i termini massimi di decadenza previsti in materia di accertamento delle imposte sui
redditi.
Quanto previsto dall’art. 11, secondo comma, del D.L. n. 138 del 2011, pur consentendo
all’Amministrazione Finanziaria di avere, con maggiore celerità, le informazioni relative alle
movimentazioni finanziarie di tutti i contribuenti ( e non solo dei soggetti destinatari di controlli
fiscali) non definisce, però, con chiarezza il concetto di rapporti finanziari oggetto di tali informative,
limitandosi ad escludere da tale categoria solo le operazioni effettuate mediante versamento in
conto corrente di importo unitario inferiore a 1.500 euro.1
La normativa vigente, perciò, consente agli organi accertatori di desumere dall’esame delle
movimentazioni bancarie e/o finanziarie una redditività del contribuente sottoposto ad indagine il
quale dovrà fornire la prova contraria della propria estraneità alle operazioni imponibili.
Ai sensi dell'art. 32, n. 2 del D.P.R. n. 600 del 1973 nonché dell’art. 51 D.P.R. n. 633 del 1972 gli
importi a qualsiasi titolo accreditati sui conti correnti bancari possono essere posti a base delle
rettifiche e degli accertamenti e, pertanto, verranno considerati dal Fisco componenti positivi di
reddito (per qualsiasi categoria reddituale) sempre che il contribuente non dimostri di averne
tenuto conto ai fini della determinazione del reddito stesso o che le operazioni ad esse relative
siano fiscalmente irrilevanti.
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Per ciò che riguarda i prelevamenti, invece, nel caso in cui di tali importi non ne risulti traccia in
contabilità e, soprattutto, non venga indicato il beneficiario, si presumeranno sintomatici di acquisti
in nero di beni o servizi destinati all’attività economica e, di conseguenza, presuntivi di ricavi o
compensi non dichiarati in quanto derivanti da vendite o prestazioni in nero.
In tale ottica bisogna però fare una ovvia distinzione. Saranno irrilevanti ai fini accertativi le
movimentazioni che rientrino, comunque, nell’importo dichiarato e contabilizzato dal contribuente,
salvo adeguata motivazione da parte del Fisco (in quanto l’inversione dell’onere della prova opera
solo ed esclusivamente in presenza delle citate eccedenze).
Pertanto, sarà indispensabile per il contribuente che tutti i versamenti trovino capienza e
giustificazione nei ricavi contabilizzati e/o dichiarati ovvero nel reddito lordo documentato,
altrimenti dinanzi alle cosiddette eccedenze di versamento il Fisco avrà pieno titolo per chiedere
spiegazioni sulla provenienza.
Con riferimento ai prelevamenti, invece, è opportuno distinguere a seconda che il contribuente sia
un dipendente, un pensionato o che si tratti, invece, di un imprenditore.
La direzione scelta dal Legislatore è apparsa totalmente in contrasto con le opinioni espresse
sull’argomento dalla dottrina. Si rammenta in proposito, autorevolissima, ma non recente,
dottrina3, secondo cui affinché gli “indizi di evasione” assumessero la dignità di presunzioni gravi,
precise e concordanti, era necessaria l’audizione del contribuente e solo da ciò sarebbe potuta
scaturire un’inversione dell’onere della prova, secondo la quale era il contribuente a dover
dimostrare che le suddette operazioni bancarie fossero state contabilizzate, ovvero fossero
ininfluenti dal punto di vista fiscale4.
Lezione 025
01. QUALI SONO GLI OBBLIGHI CHE IL CONTRIBUENTE DEVE RISPETTARE DURANTE L'ATTIVITA' ISTRUTTORIA?
21) Quali sono gli obblighi che il contribuente deve rispettare durante l’attività istruttoria?
gli obblighi che incombono sul contribuente durante l’attività ispettiva si accentrano sul dovere
di esibire all’atto dell’accesso tutti i libri, registri, scritture e documenti attinenti all’attività
esercitata. In tql senso occorrerà che il contribuente tenga conto del fatto che:
• i libri, registri, scritture e documenti di cui venga rifiutata l’esibizione non potranno essere
presi in considerazione, a suo favore, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o
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Lezione 026
01. IL CANDIDATO ILLUSTRI IN CHE MODO PUO' CONCLUDERSI L'ATTIVITA' ISTRUTTORIA
22) Il candidato illustri in che modo può concludersi l’attività istruttoria.
La redazione del p.v.c. a conclusione dell’attività di verifica è prevista dall’art.52 Dpr n.633/72, che
impone la verbalizzazione di tutte le operazioni poste in essere nel corso dell’attività stessa,
nonché dall’art.24 della Legge n.4/1929, secondo cui le violazioni delle norme contenute nelle leggi
finanziarie sono constatate mediante processo verbale.
• porre formalmente a conoscenza del contribuente dell’esito del controllo, anche al fine di
porlo nelle condizioni di assumere le iniziative a difesa ritenute opportune, in quanto esso è
inidoneo, di per sé stesso, ad incidere sulla posizione del contribuente e non
autonomamente impugnabile avanti le commissioni tributarie;
• porre l’ufficio competente in condizioni di avviare, ove necessario, le procedure per la
rettifica della dichiarazione, l’accertamento e la liquidazione delle imposte dovute, nonché
per l’irrogazione delle relative sanzioni e il calcolo degli interessi eventualmente dovuti in
ordine alle imposte non pagate.
Il p.v.c., in quanto atto redatto da pubblici ufficiali nell’esercizio dello loro funzioni, è, ai sensi
dell’art.2699 c.c., atto pubblico e, pertanto, ai sensi dell’art.2700 c.c., fa piena prova, fino a querela
di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle
dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua
presenza o da lui compiuti.
La particolare forza probatoria del p.v.c., che deriva dalla sua natura di atto pubblico, riguarda i fatti
e gli accadimenti materiali, oltre che le eventuali dichiarazioni, attestati nel documento.
La Cassazione civile Sentenza, Sez.Trib, n.1453 del 21.01.2009, ha affermato che i risultati delle
verifiche della Guardia di Finanza possono supportare la pretesa impositiva anche se non sono
immediatamente contestati al contribuente.
La giurisprudenza di legittimità è concorde a riconoscere appieno la fede privilegiata del p.v.c., con
la conseguenza che l’ufficio impositore, su cui ricade l’onere della prova dei fatti contestati, può
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fornire detta prova, appunto, mediante l’esibizione in giudizio del p.v.c. stesso a carico della parte
che è stata sottoposta a verifica, dal momento che questa ha sottoscritto il verbale ed è stata posta
in condizioni di prendere parte all’attività di verifica.
Lezione 027
01. L'AVVISO DI ACCERTAMENTO E' :
L'ATTO CHE LA GUARDIA DI FINANZA O GLI ISPETTORI DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE DEVONO ESIBIRE IN CASO DI ACCESSO
PRESSO UN'AZIENDA, PENA L'INVALIDITA' DEL CONTROLLO
UNA SORTA DI ACCORDO TRA AMMINISTRAZIONE E CONTRIBUENTE A SEGUITO DI UN AVVISO DI ACCERTAMENTO OVE IL
CONTRIBUENTE BENEFICIA DI UNA RIDUZIONE DELLE SANZIONI E L'AMMINISTRAZIONE HA IL VANTAGGIO DI INTROITARE DA
SUBITO ANCHE SE IN PARTE L'ACCERTATO
NEL PRIMO CASO VENGONO CONTROLLATE LE SINGOLE COMPONENTI REDDITUALI DICHIARATE DAL CONTRIBUENTE E CHE
RAPPRESENTANO DI FATTO IL SUO REDDITO COMPLESSIVO, NEL SECONDO SI PRESCINDE DA QUESTE ULTIME E SI ESAMINANO I
CONSUMI ED IL TENORE DI VITA DEL CONTRIBUENTE
L'avviso di accertamento, quale atto finale del procedimento tributario. Il procedimento tributario
può finire con l'ATTO DI ACCERTAMENTO. Questo atto è un provvedimento amministrativo
autoritativo che contiene la determinazione in forma autoritativa della pretesa tributaria del fisco.
Con l’atto di accertamento l’amministrazione fiscale determina “se” il contribuente sia debitore
d’imposta e “quanto”, applicando eventualmente sanzioni ed interessi.
Viene anche definito atto impositivo, in quanto è un tipo di atto destinato ad incidere
autoritativamente nella sfera giuridica di terzi (contribuente), a prescindere dal consenso di questi.
L’esecutività consiste nel fatto che l’atto impositivo costituisce un titolo necessario e sufficiente per
iniziare l’esecuzione forzata sui beni del contribuente da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
29
Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate doveva passare le carte all’Ente della Riscossione
(Equitalia), che, per poter riscuotere coattivamente il tributo, doveva formare il c.d. ruolo (iscrizione
a ruolo).
Da quando gli atti impositivi hanno acquisito l’efficacia di titolo esecutivo, lo stesso costituisce titolo
per iniziare l’esecuzione forzata, decorsi inutilmente 60 giorni dalla notifica dell’atto.
Va detto che l’atto di accertamento, così come gli altri atti del fisco, è un atto vincolato, nel
senso che non è un provvedimento discrezionale.
Gli organi accertatori dell’amministrazione finanziaria, nel porre in essere gli accertamenti tributari,
devono interpretare e applicare la legge, senza avere la possibilità di scegliere come meglio
ponderare tutti gli interessi in gioco (quello del contribuente e quello del fisco) per il miglior
soddisfacimento dell’interesse pubblico. Nel procedimento amministrativo di accertamento
tributario l’interesse pubblico preminente è l’interesse dello Stato ad incamerare le risorse erariali.
Tuttavia, pur essendo vincolata, l’attività dell’amministrazione finanziaria è di tipo valutativo, nel
senso che gli organi accertatori per assumere la decisione finale, devono valutare determinati
elementi di fatto: come ad esempio in che misura la posizione di un contribuente, sottoposto ad
accertamento, rientri nel campo di applicazione di una determinata norma tributaria.
L’atto accertativo, così come la maggior parte degli atti amministrativi, ha forma scritta.
Per quanto riguarda la struttura dell’avviso, la stessa contiene l’indicazione per iscritto dei seguenti
elementi:
Soffermandoci in modo più approfondito sulla parte sostanziale dell’avviso, va evidenziato che il
contenuto dell’atto di accertamento contempla 2 elementi essenziali:
– MOTIVAZIONE: indica gli elementi di fatto e di diritto che hanno determinato la decisione
30
Lezione 028
01. IL CANDIDATO ILLUSTRI LE SOLUZIONI DI CUI DISPONE IL CONTRIBUENTE A FRONTE DI UN AVVISO DI
ACCERTAMENTO
Dopo la notifica dell’avviso di accertamento esecutivo, nell’ ipotesi in cui il contribuente ritenga di
poter agevolmente provare che l’Amministrazione Finanziaria sia incorsa in errore (errore di
persona, di calcolo, sul presupposto dell’imposta, doppia imposizione, pagamenti già avvenuti,
ecc.) si può presentare istanza di autotutela all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso
il provvedimento chiedendo l’annullamento o la revoca dell’atto.
Occorre tenere bene a mente che la presentazione dell’istanza di autotutela non sospende i
termini per l’impugnazione dell’atto.
Nel caso in cui l’atto di accertamento sia impugnato con ricorso davanti alla Commissione
Tributaria, sempre entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, il contribuente è tenuto a versare, a titolo
provvisorio, 1/3 delle somme riscuotibili.
La proposizione del ricorso impone il pagamento, a titolo provvisorio, di dette somme.
Per ovviare all’immediata riscossione di tali importi dovuti a titolo provvisorio, è possibile
proporre istanza di sospensione:
• istanza di sospensione giudiziale ai giudici in attesa che il giudizio venga definito;
• istanza di sospensione urgente al presidente della Commissione Tributaria adita;
• istanza di sospensione amministrativa indirizzata alla Amministrazione Finanziaria che ha reso
l’avviso di accertamento impugnato.
Il tema dell’invalidità dell’ avviso di accertamento esige alcune precisazioni istituzionali in quanto
di tanto in tanto sorgono equivoci, talvolta generati dal linguaggio impreciso del legislatore. Infatti,
secondo le norme del C.C. , il contratto può essere nullo o annullabile. Il contratto nullo è
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Incompetenza
Violazione di legge
Eccesso di potere
Nel diritto tributario valgono gli schemi del diritto amministrativo e quindi la nullità dell’avviso di
accertamento sancita nel diritto tributario, non deve essere intesa nel senso in cui il codice
civile parla di nullità dei contratti. L’avviso di accertamento nullo è infatti un atto che pur se viziato,
produce effetti ( come un provvedimento valido ); in sostanza la nullità dell’avviso di accertamento,
corrisponde all’annullabilità del contratto. L’avviso di accertamento nullo è un atto viziato, che tutta
via produce i suoi effetti fino a quando non è annullato dal giudice; preferibile dunque dire che è
illegittimo, o annullabile ( anche se la legge parla di nullità ).
In diritto tributario non essendovi atti discrezionali, non si danno vizi di << eccesso di potere >>.
Ogni possibile vizio è insomma un vizio di << violazione di legge>>. Tra i vizi degli avvisi di
accertamento, possiamo distinguere vizi di contenuto e vizi di forma. I primi riguardano la parte
dispositiva dell’atto e sono costituiti da violazioni delle norme tributarie sostanziali, che si riflettono
sull’an o sul quantum dell’imponibile dell’imposta. I vizi formali, invece, riguardano l’iter formativo
dell’atto, la motivazione, il rispetto dei termini, la competenza, ecc. . Per il negozio giuridico e per
gli atti processuali vi sono regole precise che indicano quando un atto è invalido; invece, nel diritto
amministrativo, in generale, ed in quello tributario, in particolare, non è stabilito un criterio preciso
per discernere i vizi innocui ( che generano l’irregolarità dell’atto ) dai vizi invalidanti. In diritto
tributario vi sono molte norme che stabilisco che un certo requisito è richiesto a pena di
nullità dell’atto; ad es. in materia di imposte dirette è stabilita in modo esplicito la nullità
degli accertamenti non sottoscritti o non motivati.
La nullità in diritto tributario, non ha la stessa efficacia rilevabile nel diritto civile, quindi niente
imprescrittibilità della relativa azione o eccezione , niente rilevabilità di ufficio (oltre che
dall'interessato) da parte del giudice in ogni stato e grado del processo.
La nullità dei provvedimenti tributari (non a caso), significa solo annullabilità; cioè l'atto
fiscalmente nullo produce effetti nel mondo giuridico come se fosse valido, tanto che
costituisce titolo per la riscossione ed e' suscettibile di divenire definitivo, rendendo irrilevanti gli
eventuali vizi di nullità, se l'interessato non ricorre al giudice tributario. Una volta impugnato, la
Commissione non può rilevare le nullità di propria iniziativa ma solo a richiesta del ricorrente
in virtù del principio del chiesto e del pronunciato.
La L. 11 febbraio 2005, n. 15, introduce nel testo della L. n. 241 del 7 agosto 1990 l'art. 21-
septies. Questa norma prevede, al comma 1, che "È nullo il provvedimento amministrativo che
manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato
adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla
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legge". Accanto a questa norma ne è stata inserita un'altra: si tratta dell'art. 21-octies secondo cui
"È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso
di potere o da incompetenza". In diritto amministrativo - e di riflesso in quello tributario dall'8 marzo
2005 abbiamo dunque, e questa è una novità rilevante, due categorie di atti invalidi: gli atti nulli e
gli atti annullabili.
La nuova legge non ha una grande portata innovativa ai fini della nullità degli atti tributari, ma ha
effetto sull'annullabilità, anche se alcune considerazioni sulla nullità sono necessarie.
5.L'ANNULLABILITA'
L'annullabilità designa la (nuova) classe dei nuovi vizi degli atti tributari destinata sicuramente ad
innescare rilevanti problemi interpretativi. Abbiamo visto che - prima della riforma del 2005 - sia in
diritto amministrativo che in diritto tributario l'atto predicato nullo dalla legge è in realtà un atto
annullabile, e quindi produttivo di effetti sino a che non venga annullato dal Giudice ovvero
dall'Amministrazione in sede di autotutela. Sino a che venga annullato, l'atto annullabile possiede
la stessa dignità (e gli effetti) dell'atto valido.
Essendo un istituto nuovo per l'ordinamento tributario, l'annullabilità - in quanto principio generale
applicabile indistintamente a tutti gli atti amministrativi - vale anche nei confronti dei provvedimenti
impositivi. La prima parte dell'art. 21-octies della L. n. 241 del 1990 ci dice che è annullabile il
provvedimento impositivo :"adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o
da incompetenza".
CASI DI ANNULLABILITA'
L'eccesso di potere: Questo vizio è presente quando l'atto viene adottato per perseguire un
interesse diverso dallo schema tipico suo proprio, ci sono ipotesi non irrilevanti - come l'atto di
diniego di autotutela o l'equivalente silenzio-rifiuto - in cui è possibile ravvisare un cattivo uso, o un
non uso illegittimo, del potere di autoannullare il provvedimento fiscale invalido.
stato e grado del processo .Dall'8 marzo 2005 la situazione dovrebbe mutare; il vizio di
incompetenza territoriale integra il vizio meno grave dell'annullabilità con la conseguenza che: a)
non è rilevabile di ufficio dal giudice; b) deve formare oggetto di specifico motivo di impugnazione
A questo punto dobbiamo chiederci: tutte le ipotesi di nullità previste dalla legge fiscale possono
formare oggetto di azioni dichiarative davanti al giudice tributario? Se, ad esempio, un avviso di
accertamento è nullo per difetto di motivazione ovvero perché manca l'indicazione del maggiore
imponibile accertato , si potrà adire la Commissione tributaria in ogni tempo, senza cioè
dover osservare il termine di decadenza fissato per impugnare l'atto fiscale?
Non e' facile dare una risposta, bisogna pero' fare alcune considerazioni interpretative, che
dovranno trovare conferma in giurisprudenza.
LA NULLITA' ASSOLUTA
In questi casi di nullità assoluta, non dovrebbero prevedere termini decadenza, e quindi l'atto
dovrebbe essere impugnabile anche oltre i 60 gorni previsti per l'impugnativa.Il giudice, anche di
ufficio, dovrebbe dichiarare la nullità del provvedimento impositivo.
L'art. 61, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce, infatti, che "La nullità dell'accertamento
ai sensi del terzo comma dell'art. 42 e del terzo comma dell'art. 43, e in genere per difetto di
motivazione, deve essere eccepita a pena di decadenza in primo grado".Consegue che qualunque
vizio dell'avviso di accertamento (nessuno escluso: anche la mancanza di sottoscrizione, che, di
solito, è causa di nullità se non di inesistenza), compreso il difetto di motivazione in tutte le sue
articolazioni (inclusa la mancata allegazione del documento cui l'atto impugnato faccia riferimento),
non può essere rilevata di ufficio dal giudice (la norma stabilisce infatti che la nullità deve essere
eccepita) ma deve formare oggetto di specifico motivo di ricorso da proporre nel termine, stabilito a
pena di decadenza, di 60 giorni
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Lezione 029
01. A FRONTE DI UN AVVISO DI ACCERTAMENTO, OLTRE AL RICORSO IL CONTRIBUENTE PUO':
Lezione 031
L'accertamento con adesione è quello strumento attraverso il quale il contribuente può tentare
un accordo con il fisco al fine di evitare una lite tributaria.
Oggetto e legittimazione
L'accertamento, più nel dettaglio, ha per oggetto le imposte dovute e può essere esperito sia nel
caso in cui con riferimento ad esse sia già stato emesso un avviso di accertamento (purché non
sia stato presentato ricorso dinanzi al giudice tributario) che nel caso in cui tale avviso non sia
ancora stato emesso.
La possibilità di avviare un accertamento con adesione, in ogni caso, è riconosciuta non solo in
capo al contribuente ma ad esso può ricorrervi anche direttamente l'ufficio dell'Agenzia delle
Entrate nella cui circoscrizione il contribuente ha il domicilio fiscale.
Procedimento su iniziativa del contribuente
Quando è il contribuente a voler avviare la procedura di accertamento con adesione, ciò che
dovrà fare sarà presentare una domanda in carta libera all'ufficio competente per territorio.
In essa va formulata la proposta di accertamento e devono essere indicati i dati anagrafici e
tutti i recapiti, anche telefonici, del contribuente.
Termini
Come detto, la domanda può essere presentata dal contribuente in due casi:
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- prima della ricezione di una notifica di un atto di accertamento non preceduto da un invito a
comparire, nel caso in cui siano stati effettuati accessi, ispezioni o verifiche da parte
dell'Amministrazione finanziaria o della Guardia di Finanza, conclusi con verbale di contestazione
- dopo la notifica di un atto impositivo non preceduto da un invito a comparire.
In quest'ultimo caso, tuttavia, la possibilità viene meno con lo spirare del termine per la
proposizione dell'eventuale ricorso.
A tal proposito occorre precisare che se la domanda è inviata tramite posta ordinaria, si farà
riferimento alla data di arrivo della stessa in ufficio. Se invece essa è inviata con plico
raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, si farà riferimento alla data di spedizione.
L'invito a comparire
L'invito a comparire da parte dell'ufficio competente è obbligatorio o meno a seconda che la
domanda sia stata proposta dal contribuente dopo la notifica di un atto impositivo o prima
di aver ricevuto la notifica di un atto di accertamento.
Mentre nel primo caso, infatti, l'ufficio è tenuto a formulare l'invito al contribuente entro 15 giorni dal
ricevimento della domanda, nel secondo caso potrà valutarne l'opportunità.
Ciò avviene mediante la formulazione spontanea di un invito a comparire prima della notifica di
un avviso di accertamento.
Nell'invito, con carattere informativo, vanno indicati innanzitutto i periodi di imposta per i quali è
possibile l'accertamento e gli elementi rilevanti a tal fine. Ad essi si aggiunge l'indicazione del
giorno e del luogo dell'appuntamento.
Fare attenzione all'invito eventualmente formulato dall'ufficio è molto importante per il contribuente
in quanto in caso di mancata adesione non sarà più possibile, per i medesimi elementi e periodi di
imposta, ricorrere all'accertamento con adesione.
Raggiungimento dell'accordo
La procedura di accertamento di adesione si svolge in uno o più incontri durante i quali il
contribuente può anche farsi assistere da un procuratore.
Se all'esito della procedura non si riesce ad addivenire a un accordo, il contribuente può
comunque ricorrere al giudice tributario avverso l'atto già emesso o ancora da emettere.
Se, invece, si raggiunge un accordo, esso va riportato all'interno di uno specifico atto di adesione
e si perfezionerà solo con il pagamento delle somme che ne siano risultate.
Pagamento
Più in particolare, il pagamento può essere fatto sia in un'unica soluzione, che ratealmente.
Nel primo caso il termine per provvedervi è di 20 giorni dalla redazione dell'atto, mentre nel
secondo caso tale termine vale solo per la prima rata. Le altre (massimo 8) andranno invece
saldate con cadenza trimestrale, maggiorate degli interessi calcolati a partire dal giorno
successivo a quello in cui è stata pagata la prima rata.
L'ufficio è tenuto a inviare al contribuente, entro dieci giorni dal pagamento, la relativa quietanza.
Sospensione dei termini
È fondamentale infine sottolineare che la presentazione della domanda di accertamento con
adesione comporta la sospensione per 90 giorni dei termini per presentare l'eventuale ricorso,
per pagare le imposte accertate e anche per iscrivere a ruolo a titolo provvisorio le imposte
accertate dall'ufficio.
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02. IL CANDIDATO ILLUSTRI LA DIFFERENZA TRA ACCERTAMENTO CON ADESIONE E CONCILIAZIONE GIUDIZIALE
Lezione 033
01. L'ABUSO DI DIRITTO SI CARATTERIZZA PER I SEGUENTI ELEMENTI:
ASSENZA DI VALIDE RAGIONI ECONOMICHE, AGGIRAMENTO DI OBBLIGHI E DIVIETI PREVISTI DALL'ORDINAMENTO,
CONSEGUIMENTO DI UN RISPARMIO FISCALE ALTRIMENTI INDEBITO
Si tratta di due termini, o meglio dire due comportamenti, che hanno un obiettivo comune: pagare
meno tasse e “aggirare” le norme fiscali. La differenza però è sostanziale soprattutto per quanto
riguarda limiti e conseguenza in ambito penale e amministrativo.
Per quanto riguarda l’elusione fiscale nel testo faremo riferimento alle novità introdotte con
la legge 212 del 2000, con la quale il termine e l’illecito previsto dal D.p.r. 600/1973 è stato
sostituito dal cosiddetto “abuso del diritto”.
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Ecco quali sono le differenze tra evasione fiscale ed elusione fiscale, quali sono le conseguenze e
quali i limiti.
Mentre l’evasione fiscale può essere definita come un comportamento che mira ad occultare e a
contrastare il prelievo fiscale, l’elusione fiscalerappresenta un vero e proprio abuso del diritto,
ovvero la messa in pratica di comportamenti e azioni che hanno come obiettivo ultimo quello di
raggirare le leggi a proprio vantaggio, mettendo in pratica comportamenti che indirettamente
portano alla diminuzione del prelievo fiscale.
Vediamo nello specifico cosa si intende per evasione fiscale, cos’è invece l’elusione fiscale
identificando qual è la differenza sostanziale tra i due comportamenti.
L’evasione fiscale può essere definita come tutti quei comportamenti e metodi che hanno come
obiettivo quello di ridurre o eliminare il prelievo fiscale da parte dello Stato sul contribuente,
attraverso pratiche che violano le leggi e le norme fiscali.
Riportando quanto contenuto su una scheda informativa pubblicata dall’Agenzia delle Entrate,
l’evasione fiscale “provoca un danno a tutta la società, provoca il deficit pubblico, toglie ai poveri e
agli onesti per dare ai ricchi”.
L’evasione fiscale può essere sanzionata sia sul piano amministrativo che penale, in funzione,
di norma, della misura dell’importo di imposte e tasse non versate allo Stato a seguito del mancato
rispetto delle norme tributarie.
In linea di principio, seppur in entrambe le situazioni l’obiettivo ultimo sia non adempiere ai propri
obblighi fiscali e tributari secondo la propria disponibilità economica, l’elusione fiscale consiste
in operazioni prive di sostanza economica che, seppur rispettando la legge, realizzano degli
indiretti vantaggi fiscali al contribuente.
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Con la legge n. 212/2000, lo Statuto dei diritti del contribuente, il concetto di elusione fiscale è
stato accorpato all’abuso del diritto; la definizione è apportata dalla normativa di riferimento,
al comma 1 dell’articolo 10 bis, ovvero: “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive
di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente
vantaggi fiscali indebiti”.
Per quanto riguarda l’aspetto sanzionatorio, l’elusione fiscale è irrilevante dal punto di vista penale
ma prevede l’applicazione di sanzioni amministrativecommisurate alla misura dell’importo eluso
al Fisco.
Al contrario, non sono sanzionate e non si configurano come abuso di diritto ed elusione fiscale “le
operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali, anche dettate da esigenze di
ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o
funzionale dell’impresa o dell’attività professionale del contribuente” (art. 10, comma 3, legge n.
212/2000).
Con la nuova norma di cui all’art. 10 bis introdotta nello Statuto dei diritti del contribuente
(Legge 27 luglio 2000, n. 212) (appunto intitolata “Disciplina dell'abuso del diritto o elusione
fiscale”) dall’art. 1 del D.Lgs. n. 128 del 5 agosto 2015 recante “Disposizioni sulla certezza del
diritto nei rapporti tra fisco e contribuente”, in attuazione degli articoli 5, 6 e 8, comma 2, della
legge 11 marzo 2014, n. 23, l’abuso del diritto è stato depenalizzato.
La nuova disciplina entrata in vigore il 2 settembre 2015 che, ai sensi dell’art. 1, ultimo comma, del
citato Decreto, ha acquistato efficacia a decorrere dal 1° ottobre 2015,raccoglie in forma
unitaria i principi e le regole in materia di abuso del diritto e di elusione in materia fiscale ovvero
unifica le nozioni di abuso del diritto ed elusione fiscale, che vengono fuse in un'unica definizione
(art. 10 bis, comma 1).
Al contempo, il comma 2 dell’art. 1 del decreto ha abrogato l’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973,
attraverso il quale finora è stata disciplinata l’elusione fiscale, limitatamente peraltro a una serie di
fattispecie, numerose e molto importanti, ma non esaustive, in esso espressamente indicate.
39
Ebbene, significativa l'ultima previsione del nuovo articolo 10-bis che chiarisce come le
contestazioni relative al "nuovo" abuso del diritto (condotte elusive/abusive) non
costituiscono più reato penale; a prevederlo è il nuovo comma 13: «le operazioni abusive non
danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l'applicazione delle
sanzioni amministrative tributarie». La nuova previsione normativa risulta conforme alla ultima
giurisprudenza della Cassazione (4561/2015)secondo cui in materia di abuso del diritto devono
trovare applicazione le sanzioni per infedeltà della dichiarazione.
Prima dell'entrata in vigore del decreto, elusione e abuso di diritto erano, invece, due condotte
perseguite, sotto il profilo penale, in modo differente.
Il decreto sulla certezza del diritto riunendo i concetti, esclude la rilevanza penale di queste
violazioni denominandole abusive, anche quando la fattispecie comporti il superamento delle
soglie di punibilità.
Per poter comprendere la portata della norma antielusiva, è importante procedere con un
breve excursus storico ed esaminare l’evoluzione normativa e giurisprudenziale dell’istituto in
commento.
Considerata l’assenza nel nostro ordinamento di una clausola antielusiva in senso generale, verso
la fine degli anni ‘80 la dottrina tributaristica si è interrogata sull’opportunità o meno di utilizzare i
rimedi di carattere civilistico al fine di contrastare condotte elusive in ambito fiscale, in particolare
richiamando l’istituto disciplinato dall’art. 1344 c.c. rubricato “Contratto in frode alla legge”.[2]
In effetti, la norma tributaria non vieta determinate condotte, né tutela un determinato interesse
generale, ma disciplina semplicemente gli effetti fiscali dei negozi giuridici, assumendo il dato di
fatto quale indice della capacità contributiva [4]; sarebbe quindi inappropriato fare applicazione dei
principi sanciti dall’art. 1344 c.c. in ambito fiscale.
Articolo 37-bis D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Viene quindi introdotto nel nostro
ordinamento, nell’ambito delle imposte sui redditi, l’art. 37bis del D.P.R. 600/73 (Disposizioni
antielusive)[5], il quale, tra gli atti inopponibili al fisco, ricomprendeva, non solo quelli privi di valide
ragioni economiche ed aventi il fine di ottenere un risparmio d’imposta, ma anche quelli diretti più
specificatamente ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario. Veniva quindi
introdotta una disposizione antielusiva, che però conservava un’applicazione settoriale: nel
contesto generale del primo comma dell’art. 37 bis, il terzo comma, individuava una serie di
operazioni suscettibili di essere sindacate sotto il profilo elusivo, limitando di fatto l’ambito di
applicazione della clausola antielusiva.
Articolo 10 Legge 29 dicembre 1990, n. 408. Stante l’assenza di un condiviso rimedio civilistico,
il legislatore ha ritenuto opportuno introdurre nel nostro ordinamento l’art. 10 L. 408/90. Tale
clausola antielusiva, seppur a carattere settoriale, richiamando la logica dell’art. 1344 c.c., ha
consentito all’amministrazione accertatrice di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in
determinate operazioni (di concentrazione, trasformazione, scorporo cessione di azienda,
riduzione di capitale, liquidazione, valutazione di partecipazioni, cessione di crediti o cessione o
valutazione di valori mobiliari) poste in essere senza valide ragioni economiche e allo scopo
esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta. La conseguenza non era la nullità
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del negozio, come sancito dalla disposizione codicistica per i negozi in frode alla legge, bensì
l’inopponibilità dell’operazione elusiva nei confronti dell’amministrazione finanziaria, a cui si
aggiunge la fraudolenza dell’azione posta in essere volta ad ottenere un risparmio di imposta.
A distanza di pochi anni sono emersi i limiti della norma: aveva carattere settoriale e, pertanto, non
riguardava tutta una serie di operazioni; era limitata all’assetto delle imposte sui redditi; l’avverbio
“fraudolentemente” dava in qualche modo un’accezione penalistica alla condotta.
a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un
risparmio d’imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione;
b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso
carico fiscale e, a tal fine:
e) prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione
dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso;
Articolo 10-bis L. 27 luglio 2000, n. 212 (“Statuto del contribuente”). Rubricato “Disciplina
dell’abuso del diritto o elusione fiscale”, l’art. 10bis L.212/00 richiama due nozioni sostanzialmente
assimilabili: elusione fiscale, riconducibile all’aggiramento della norma fiscale, e abuso del diritto,
riconducibile alla manipolazione e all’uso distorto dello strumento negoziale.
Secondo il comma 1 della norma, “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di
sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente
vantaggi fiscali indebiti”. Gli elementi costitutivi della condotta elusiva posso così enuclearsi:
L'elusione fiscale è il comportamento messo in pratica dal contribuente che pone in essere
un negozio giuridico o una concatenazione di atti giuridici di per sé leciti, al solo scopo di ridurre
l'obbligazione tributaria.[1] A differenza dell'evasione fiscale, l'elusione non è perseguibile
penalmente ma può costituire solo un illecito amministrativo.
In Italia, in presenza di alcune precise circostanze, essa può incontrare lo sfavore della normativa
speciale in materia fiscale.
Casistica
Ad esempio, se le aliquote fiscali sulla vendita di un bene immobile sono del 35% e quelle sulla
vendita di azioni del 20%, il possessore dell'immobile può conferirlo in una società per azioni al
solo scopo di vendere poi le azioni della società proprietaria dell'immobile con fortissimo risparmio
fiscale. Qui l'elusione sta nell'utilizzazione dello strumento società per azioni non per svolgere
un'attività d'impresa, ma solo per trasferire la proprietà sostanziale dell'immobile, infatti in questo
caso l'acquirente delle azioni in realtà ha acquistato l'immobile, ma in questo modo il venditore ha
beneficiato di un'aliquota impositiva fortemente ridotta.
Un'altra possibilità è quella di operare non come lavoratore autonomo "semplice" ma attraverso
una società (unipersonale o a socio unico). L'imposizione fiscale e contributiva risulta così
abbastanza agevolata e le possibilità di detrazione e deduzione di costi molto maggiori. Inoltre, vi
sono altri vantaggi (redditometro, ganasce fiscali, multe per i veicoli intestati, la non proprietà
(personale) degli immobili acquisti, ecc.). Tutto ciò è perfettamente legale e, comunque, occorre
considerare i maggiori oneri di gestione di una società (seppur minimale) al posto di una mera
partita iva individuale.
Le forme di elusione, specie nel campo delle imprese per non parlare dei gruppi, sono molte,
alcune assai "tecniche" e quindi di difficile comprensione per i non addetti (ad esempio:
l'imputazione delle rimanenze di magazzino, la patrimonializzazione delle spese, l'"interpretazione"
delle immobilizzazioni, l'utilizzo di sedi o controllate estere, l'utilizzo della forma cooperativa, ecc.)
in continua "evoluzione": pertanto, risulta complesso elencarle tutte.
Lezione 034
03. Il candidato indichi quali differenze sussistono tra ritenuta a titolo di acconto e ritenuta a titolo di imposta
Sia mediante la ritenuta d'acconto che attraverso il meccanismo della sostituzione a titolo
d'imposta, infatti, un soggetto, differente rispetto al destinatario finale dell'imposta, è obbligato di
fronte la Fisco in sostituzione del destinatario.
La sostituzione a titolo d'imposta e la ritenuta d'acconto vengono effettuate dal sostituto nell'ambito
di rapporti giuridici che prevedono la corresponsione da parte del sostituto al sostituito di redditi da
lavoro o capitale; in tali casi, il sostituto corrisponde al sostituito un corrispettivo al netto
dell'aliquota relativa alla sostituzione o all'acconto effettuati.
Sostituzione a titolo di imposta e ritenuta d'acconto si distinguono per gli effetti che producono sul
relativo obbligo tributario gravante sul soggetto sostituito.
Mentre con la sostituzione d'imposta, si realizza un vero e proprio regime fiscale sostitutivo che
pone l'obbligazione tributaria in capo ad un soggetto diverso da quello che realizza il presupposto
dell'imposta, con la ritenuta d'acconto si verifica una mera anticipazione del pagamento
dell'imposta complessiva che grava sul soggetto sostituito.
Ne consegue che, in caso di ritenuta d'acconto, il compenso, al lordo della ritenuta, dovrà essere
dichiarato, ai fini dell'imposta sul reddito, dal sostituito il quale potrà poi detrarre, dall'imposta
complessivamente dovuta, quanto versato a titolo di acconto dal sostituto.
Nel caso della sostituzione d'imposta, invece, come detto si realizza un vero e proprio regime
fiscale sostitutivo con la conseguenza che il relativo reddito non deve essere incluso nel reddito
complessivo del percipiente.
Mentre con riferimento alla sostituzione a titolo di imposta, in caso di mancata ritenuta o di
mancato versamento della ritenuta effettuata, sul sostituito graverà una responsabilità solidale
successiva e dipendente, con riferimento alle ritenute d'acconto, secondo l'opinione dominante, il
solo soggetto obbligato è il sostituto d'imposta con la conseguenza che il Fisco non dovrebbe
potere richiedere il pagamanto al sostituito delle ritenute non effettuate e non versate (in senso
contrario, tuttavia, di recente la giurisprudenza - cfr. cass 7 aprile 2009, n 8316)
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Lezione 035
01. IL CANDIDATO ILLUSTRI LA NATURA GIURIDICA E GLI EFFETTI DEL RUOLO
Il ruolo è atto collettivo che riguarda, quindi, una molteplicità di soggetti e di iscrizioni. L’effetto del
ruolo è duplice: da un lato dal ruolo sorge un obbligo di pagamento per il soggetto iscritto:
quest’effetto è descritto in termini di esigibilità nel senso che il ruolo rende esigibile l’obbligazione
tributaria (essa preesiste al ruolo ma può essere adempiuta sono a seguito dell’iscrizione a ruolo);
dall’altro lato, se l’obbligo non è adempiuto, l’iscrizione a ruolo legittima l’esecuzione forzata.
Quanto esplicato dal primo effetto non è sempre vero. Anzi, ciò è vero quando il ruolo è fondato
sull’avviso di accertamento perché l’iscrizione a ruolo rende esigibile l’obbligazione che scaturisce
dall’accertamento. In tal caso, l’iscritto non può adempiere prima del ruolo. Ecco che il ruolo
produce un effetto in termini di esigibilità.
Invece, nel caso di ruolo fondato su dichiarazione dei redditi, non è il ruolo che determina
l’esigibilità del credito del fisco in quanto l’esigibilità preesiste al ruolo, ovvero quando il
contribuente ha presentato la dichiarazione.
La differenza, quindi, sta in ciò: all’inadempimento dell’obbligo da dichiarazione segue il ruolo;
all’inadempimento dell’obbligo da ruolo segue l’esecuzione forzata.
Lezione 036
01. IL RUOLO E'
L'ELENCO TENUTO DALL'ENTE DELLA RISCOSIONE OVE VENGONO INDICATI I CONTRIBUENTI E GLI IMPORTI A LORO CARICO
• terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione per le somme dovute a
seguito dell'attività di liquidazione; -art. 36 bis D.P.R. 600/73-
• quarto anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni del sostituto d'imposta per le
somme che risultano dovute nei casi di tassazione separata e in seguito ad attività di controllo
formale; -art. 36 ter D.P.R. 600/73-
Si può osservare che i nuovi termini di notifica non decorrono più dalla data di consegna del ruolo
al concessionario, così com'era stato prescritto nel previgente art. 25 "…entro l'ultimo giorno del
quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo".
La cartella, pena la sua nullità, deve riportare la firma del responsabile del procedimento
d'iscrizione a ruolo nonché del responsabile di emissione e notifica della stessa -art. 36, Co. 4ter
del D.L. 248/2007 convertito nella Legge 31/2008-.
Nel momento in cui il contribuente riceve una cartella di pagamento, può:
• Pagarla, se la ritiene corretta, in un'unica soluzione, entro sessanta giorni dalla notifica, o in rate,
massimo settantadue, per somme superiori a cento euro: in tal caso il pagamento potrà essere
eseguito direttamente presso l'agente della riscossione, sportello bancario o postale utilizzando il
modello precompilato e allegato alla cartella, ovvero in caso di pagamento parziale presso lo
sportello postale con il modello F35;
un'ulteriore possibilità di pagamento è quella di compensare i debiti risultanti dalla cartella di
pagamento con i crediti d'imposta di cui è beneficiario il contribuente.
Restano tuttavia escluse dalla procedura di compensazione le partite:
1. oggetto di sgravio, rateazione o sospensione;
2. oggetto di versamenti ex articolo 12, legge 289/2002 ed ex articolo 25, comma 3- quater,
decreto legislativo 472/1997;
3. relative a soggetti deceduti.
• Presentare ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, entro il termine perentorio di
sessanta giorni dalla notifica e chiedere all'ente impositore la sospensione della riscossione, in
quanto il ricorso non sospende la riscossione della somma iscritta a ruolo. Qualora la
Commissione ritenga legittimo il ricorso del contribuente, deve disporre l'annullamento della
cartella, entro novanta giorni dalla notifica della decisione; in caso di silenzio dell'Amministrazione
oltre i novanta giorni il contribuente può ricorrere al giudizio di ottemperanza.
• Chiederne l'annullamento se ritiene che vi siano errori, c.d. richiesta di sgravio in autotutela.
Qualora il contribuente ritenga infondata l'iscrizione a ruolo, può presentare una richiesta di
annullamento all'ufficio che ha formato il ruolo. Ove l'ufficio, tuttavia, dovesse riconoscere
l'illegittimità dell'iscrizione, comunicherà all'agente della riscossione l'annullamento totale o parziale
della cartella esattoriale e la sospensione della riscossione, in base alle disposizioni sull'autotutela:
art. 2 quarter del D.L. 564/94; D.M. 37/1997.
Lezione 037
01. LA RISCOSSIONE DEI TRIBUTI AVVIENE
Lezione 043
01. LE COMMISSIONI PROVINCIALI, REGIONALI E LA CORTE DI CASSAZIONE SONO COMPETENTI:
PROVINCIALE PRIMO GRADO, REGIONALE SECONDO GRADO, CORTE DI CASSAZIONE PER CD. "MOTIVI DI DIRITTO"
03. IL CANDIDATO INDICHI QUALI SONO GLI ORGANI DELLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA
Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale può essere proposto ricorso per
cassazione per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell'articolo 360, comma 1, del codice di procedura
civile.
2. Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di
procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto.
Tre gradi di giudizio. Il sistema del processo tributario prevede, oltre i due gradi di giudizio nel
merito, anche la ricorribilità, per motivi di legittimità, innanzi alla Corte di Cassazione. Sebbene il
47
processo, così articolato, appaia certamente più snello e coerente, è da ritenere probabile un non
trascurabile sovraccarico dei ruoli delle Sezioni civili della suprema Corte, che non potrà non
ripercuotersi anche sui tempi, già lunghi, del processo civile.
Il rinvio all'art. 360 C.p.c.Il rinvio contenuto al comma 1 accoglie tutta la disciplina
processulacivilistica del giudizio di legittimità e, pertanto, i motivi per i quali si può ricorrere in
Cassazione avverso una sentenza della Commissione regionale sono gli stessi indicati nel comma
1 dell'articolo 360 C.p.c.
La dottrina suole distinguerli:
Errores in procedendo: motivi che si fondano su vizi di attività, ossia quelli che sono
conseguenza di un'errata applicazione delle norme processuali;
Errores in judicando: motivi che riguardano vizi di giudizio ossia derivanti da una non corretta
applicazione delle norme di diritto sostanziale.
La prima categoria comprende i numeri 1, 2, 4 e 5 dell'articolo 360 C.p.c.; mentre il numero 3 è
compreso nella seconda.
Motivi. La cassazione può essere adita:
1) per motivi attinenti alla giurisdizione. Al riguardo, nonché in merito al regolamento di
giurisdizione (articolo 41 C.p.c.) si ritiene sufficiente quanto detto a mente dell'articolo 3.
2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di
competenza. Si ricorda che, a norma del comma 4 dell'articolo 5, il regolamento di competenza
non è ammesso nel processo tributario.
3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Come già detto nel commento all'articolo
64, la Corte di Cassazione è giudice innanzi al quale non è possibile sollevare questioni attinenti
l'accertamento in fatto.
4) per nullità della sentenza o del procedimento. Riguardo ai casi di nullità della sentenza, si rinvia
a quanto detto a commento degli articoli 35 e 36; le cause di nullità del procedimento, invece,
essenzialmente sono da ricercarsi:
- nell'inammissibilità del ricorso (per un'elencazione vedi il commento all'articolo 27);
- nell'irregolare costituzione del contraddittorio (vedi il commento all'articolo 14).
5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio. E' questo il motivo di impugnazione cui è
affidata la verifica della giustizia sostanziale del procedimento; si verifica, cioè, se le risultanze
processuali siano state tutte esaminate nella sentenza e se tale esame sia stato completo ed abbia
condotto a determinazioni coerenti con le risultanze medesime.
Il comma 2. Il secondo comma dispone l'applicazione al ricorso per cassazione di tutte le norme,
in quanto compatibili, del codice di procedura civile.
Alla luce di tale rinvio, va ricordato che:
Parti del procedimento in Cassazione sono il ricorrente ed il resistente; quest'ultimo, qualora
proponga ricorso incidentale, assumerà anche la veste di ricorrente in via incidentale.
La domanda si propone con ricorso, con il quale si chiede la cassazione (eliminazione) della
sentenza impugnata; alla domanda si resiste proponendo controricorso.
Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:
a) l'indicazione delle parti;
b) l'indicazione della sentenza impugnata;
c) l'esposizione sommaria dei fatti di causa;
d) i motivi sui quali si fonda il ricorso e l'indicazione delle norme di diritto poste a sostegno della
loro fondatezza;
e) l'indicazione della procura al difensore, se conferita con atto separato. (Cfr. Cass.sez. 1 n. 278
del 12 gennaio 2000.
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Lezione 044
1. IL CANDIDATO ILLUSTRI I CONTENUTI DEL RICORSO
La domanda si propone con ricorso, con il quale si chiede la cassazione (eliminazione) della
sentenza impugnata; alla domanda si resiste proponendo controricorso.
Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:
a) l'indicazione delle parti;
b) l'indicazione della sentenza impugnata;
c) l'esposizione sommaria dei fatti di causa;
d) i motivi sui quali si fonda il ricorso e l'indicazione delle norme di diritto poste a sostegno della
loro fondatezza;
e) l'indicazione della procura al difensore, se conferita con atto separato. (Cfr. Cass.sez. 1 n. 278
del 12 gennaio 2000)
Lezione 045
01. QUALI SONO GLI ATTI IMPUGNABILI CON IL RICORSO
Lezione 046
01. LA COSTITUZIONE IN GIUDIZIO DEVE AVVENIRE:
ENTRO 60 GIORNI DALLA NOTIFICA DEL RICORSO
Costituzione in giudizio,
Udienza di trattazione,
Sentenza. Giurisprudenza
La costituzione in giudizio del ricorrente avviene mediante deposito, entro i successivi trenta giorni
dalla notifica, del ricorso nella segreteria della Commissione adita del fascicolo in cui deve essere
contenuto l’originale o la copia del ricorso in relazione a come è stata eseguita la notifica alla
controparte.
Il deposito del ricorso nel termine di trenta giorni è previsto a pena di inammissibilità (art. 22,
comma 1, D.Leg.vo 546/92).
La parte resistente si costituisce in giudizio depositando il proprio fascicolo con le controdeduzioni
e con i documenti.
La segreteria del collegio giudicante avrà l’obbligo di comunicare alle parti costituite la data di
trattazione della controversia.
La trattazione della controversia da parte del collegio può essere in pubblica udienza o in camera
di consiglio.
La trattazione in pubblica udienza avviene su richiesta di una delle parti.
Si tratta di una radicale innovazione dal momento che la legge 198/89 prevedeva che anche le
discussioni delle controversie davanti alla Commissione tributaria fossero pubbliche.
Probabilmente la ratio dell’innovazione normativa risiede nella volontà di accelerare i tempi di
trattazione e contenere i costi.
Se la relazione e la discussione potranno avvenire in udienza pubblica, invece la decisione sarà
adottata in Camera di Consiglio dai giudici che hanno assistito alla discussione. Facoltà di
La decisione viene presa a maggioranza dei voti.
E’ compito del presidente scrivere e sottoscrivere il dispositivo mentre sarà il relatore a redigere le
motivazioni.
La sentenza deve essere sottoscritta dall’estensore e dal presidente e viene pubblicata mediante
deposito in segreteria entro trenta giorni dal giorno della deliberazione.
È attualmente regolato dal decreto legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992, il quale, all'articolo 1,
comma 2, statuisce che:
« i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e
con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile »
Giurisdizione
La competenza spetta alla commissione tributaria. Il contenzioso tributario può instaurarsi solo a
seguito dell'impugnazione di uno degli atti tassativamente prescritti dall'articolo 19 del decreto
legislativo n. 546/1992. Gli atti avverso i quali può essere proposto ricorso sono:
« appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni
genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il
contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni
amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio. [...]
Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori
concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la
ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le
controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e
l'attribuzione della rendita catastale. Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le
controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche [...] e
del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani,
nonché le controversie attinenti l'imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle
pubbliche affissioni. »
Il comma 3 dell'articolo 19 prevede che «gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili
autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per
vizi propri». Per «vizi propri» s'intendono i vizi concernenti l'atto impugnato. Ad esempio, se l'ufficio
fiscale invia al contribuente un avviso di accertamento e, successivamente, iscrive a ruolo le
somme accertate, il contribuente, se vorrà proporre ricorso contro l'avviso di accertamento, non
potrà far valere i vizi che l'hanno inficiato nel giudizio contro il ruolo.
Infine, per proporre ricorso contro un atto non autonomamente impugnabile, il contribuente dovrà
attendere che l'Amministrazione finanziaria inoltri uno degli atti impugnabili ai sensi dell'articolo 19,
comma 1, e proporre ricorso contro entrambi.
Con il d.l. 70/2011 (cosiddetto "decreto sviluppo") diventato legge 106/2011, e il dl 98/2011
(cosiddetto "decreto stabilizzazione") diventato legge 111/2011, l'avviso di accertamento
diviene titolo esecutivo al pari della cartella esattoriale. Entrambi danno luogo a riscossione
51
coattiva e possono essere oggetto di impugnazione e richiesta di sospensiva con differenti termini.
Stante questa nuova disciplina, la cartella esattoriale non è più un atto obbligatorio per la
riscossione del credito, l'amministrazione potrebbe limitarsi alla sola notifica dell'avviso di
accertamento.
Per la cartella esattoriale, vige la precedente disciplina, che prevede il termine perentorio di 60
giorni dalla notifica dell'atto, perché il contribuente possa proporre ricorso.
Per l'avviso di accertamento, il termine è di 90 giorni. Scaduto il termine, l'atto è trasmesso al
concessionario per la riscossione coattiva. Nel caso dell'avviso di accertamento, se il contribuente
propone ricorso e istanza di sospensione, l'agente di riscossione deve applicare automaticamente
una sospensione delle azioni esecutive fino alla decisione del giudice tributario, ovvero per un
massimo di 180 giorni: il giudice tributario ha contestualmente 180 giorni per pronunciarsi sulla
richiesta di sospensiva, termine oltre il quale si intende respinta.
Il contribuente che propone ricorso è tenuto ad anticipare il 30% dell'importo oggetto di
contestazione (quota ridotta dal 50% previsto prima della riforma).
Con l'attuale procedimento, risulta penalizzato il diritto di difesa, in quanto l'anticipo del 30% della
sanzione entro il termine di 60 giorni è un presupposto per proporre ricorso, incompatibile con la
presunzione d'innocenza. Il procedimento non prevede deroghe al pagamento: né a posteriori la
facoltà di presentare un'istanza di sospensione per danno grave e irreparabile (contemplata per le
sole azioni esecutive), né a priori un tetto massimo all'importo da anticipare in relazione al reddito
dichiarato del contribuente, o presumibile da riferimenti normativi di settore. Viceversa, chi non
propone ricorso, può chiedere all'agente di riscossione una dilazione e rateizzazione dei
pagamenti.
In secondo luogo, caso unico nell'ordinamento, la legislazione introduce un termine di prescrizione
alla durata dei ricorsi che si pone a svantaggio della difesa, in quanto si preclude al contribuente la
sospensione delle azioni esecutive qualora il giudice tributario non si pronunci entro 180 giorni
dalla presentazione dell'istanza.
Il termine di 60 giorni per le cartelle esattoriali è improprio, in quanto la disciplina di tale ricorso, è
ripresa da quella della citazione nel processo civile. Il ricorso va dunque preventivamente notificato
all'ufficio che ha emesso l'atto, entro il sessantesimo giorno dalla notifica dell'atto stesso, a pena
di decadenza. I termini per impugnare sono sospesi tra il 1º agosto e il 31 agosto, per
la sospensione feriale dei termini. La notifica può farsi, oltre che tramite ufficiale giudiziario, anche
mediante consegna a mano all'ufficio che ne rilascia ricevuta (trattandosi di uffici pubblici la
ricevuta di protocollo costituisce prova della consegna) o a mezzo posta mediante plico
raccomandato senza busta.
Entro i trenta giorni successivi, il ricorrente deve depositare il ricorso notificato alla segreteria della
commissione tributaria provinciale, unitamente ai documenti da presentare e all'atto impugnato (o
ad una copia). L'ufficio si costituisce entro 60 giorni dall'avvenuta notifica del ricorso, depositando
l'atto di controdeduzione alla segreteria della commissione. L'eventuale mancata costituzione
dell'ufficio nel termine non produce alcun effetto sostanziale, potendo l'ufficio costituirsi anche in
udienza, ma soltanto alcune decadenze processuali (ad es. l'impossibilità di produrre documenti
prima dell'udienza, la notifica degli atti presso la segreteria della commissione ecc.). Questa
circostanza va ricondotta al fatto che mentre il contribuente è attore formale del procedimento che
si avvia per sua iniziativa, l'attore sostanziale è l'Amministrazione che è chiamata davanti al
giudice a dimostrare la fondatezza della propria pretesa.
La situazione processuale è la seguente:
- l'atto impositivo dell'amministrazione (attore sostanziale) deve indicare i fatti costitutivi della
pretesa tributaria: non è ammessa l'allegazione di nuovi fatti successivamente all'emissione
dell'atto stesso. La legge prevede che l'atto, in quanto provvedimento amministrativodebba essere
motivato. I fatti e le motivazioni indicate nell'atto impugnato costituiscono l'oggetto del processo,
essendo precluso alle parti l'estensione del contenzioso ad altri elementi estranei all'atto
impugnato, almeno di regola;
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- il ricorso del contribuente (attore formale) dovrà contenere l'indicazione dei fatti estintivi,
impeditivi o modificativi della pretesa tributaria, tipici invece dell'atto di comparsa
del convenuto nel processo civile. Si noti che l'allegazione di nuovi fatti successivamente al ricorso
è preclusa, mentre è ammesso il deposito di documenti utili ad illustrare tali fatti e di memorie
esplicative;
- le controdeduzioni dell'ufficio si limiteranno a contrastare i motivi del ricorso, senza poter
introdurre nuovi fatti nella controversia e a proporre eventuali eccezioni non rilevabili d'ufficio. Di
regola, non è consentito impugnare un atto contestando vizi di un atto presupposto non
precedentemente impugnato: ad esempio in caso di impugnazione del ruolo conseguente ad un
avviso di accertamento, non è ammissibile il ricorso che contesti nel merito la fondatezza
dell'accertamento, ma il ricorrente dovrà evidenziare eventuali vizi propri del ruolo. La regola
dell'impugnazione degli atti esclusivamente per vizi propri, conosce un'importante eccezione
quando il ricorrente ritiene di contestare l'irregolare notifica dell'atto presupposto. In tale
circostanza, egli non avendo potuto impugnare a suo tempo l'atto non notificato o notificato
irregolarmente, potrà proporre contestazioni di merito in sede di impugnazione dell'atto
conseguente (così se si contesta la notifica dell'accertamento, si può attendere la notifica del ruolo
e impugnando quest'ultimo contestare la mancata notifica dell'accertamento e nel merito anche la
sua fondatezza). Il giudice, se ritiene fondato il vizio di notifica, deve qualora sia stato domandato
nel ricorso, pronunciarsi anche sul merito.
Quando il ricorso è proposto per uno dei motivi indicati nei numeri da 1 a 4 (violazione norme
sulla giurisdizione; violazione norme sulla competenza; violazione o falsa applicazione di norme di
diritto; nullità della sentenza o del procedimento), il motivo deve concludersi con la formulazione di
un quesito di diritto.
Si noti che il quesito deve consentire alla Corte, pronunciando sullo stesso, di stabilire un principio
di diritto applicabile alla generalità dei casi e sostitutivo di quello utilizzato dal giudice di merito (il
quale nell'eventuale rinvio della decisione dovrà applicare il principio formulato dalla Corte). È
pertanto essenziale, non solo che il quesito sia formulato con chiarezza e che ad ogni motivo di
impugnazione corrisponda un quesito, ma anche che il quesito sia attinente alla causa, essendo
inammissibile il ricorso in cui è indicato un quesito generico, non suscettibile di immediata
applicazione nella causa in oggetto.
Nel caso indicato al n. 5 (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo
della controversia), il ricorrente deve indicare con precisione il fatto controverso e la ragioni per cui
la motivazione è illegittima.
Per effetto della legge 69/2009 nei ricorsi contro i provvedimenti pubblicati o depositati dopo il 4
luglio 2009 non è più richiesta la formulazione del quesito di diritto.
Spese di lite
Nel contenzioso tributario vige il principio della soccombenza, che pone le spese del giudizio e gli
onorari della difesa totalmente a carico della parte non vittoriosa[1]. L'assistenza tecnica delle parti
è obbligatoria[2].
La Commissione Tributaria può disporre la compensazione parziale o totale delle spese in caso di
soccombenza reciproca o parziale, ricorrenza di altri giusti motivi (equità, convenienza o merito).
La compensazione deve essere esplicitamente motivata[3] e può essere oggetto di impugnazione.
Sospensione cautelare dell'atto impugnato
Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'atto impugnato. Il D.lgs. 546/1992 ha previsto un'apposita
tutela cautelare contro l'esecuzione dell'atto impugnato. Presupposti fondamentali della tutela
cautelare sono il pericolo di un danno grave ed irreparabile (periculum in mora) e la fondatezza
almeno teorica del ricorso (fumus boni iuris).
Il pericolo di danno grave deve essere valutato, non solo in rapporto all'entità della somma
richiesta e alle condizioni patrimoniali del contribuente, ma anche in relazione all'atto impugnato. È
evidente infatti che qualora si tratti di atti impositivi, come l'avviso di accertamento, il pericolo di
danno sarà soprattutto legato al danno alla reputazione del contribuente, poiché tale atto necessita
di un ulteriore passaggio (l'iscrizione a ruolo e la notifica della cartella di pagamento) prima di poter
passare all'azione esecutiva. In ogni caso, l'iscrizione a ruolo in pendenza di ricorso deve limitarsi
alla metà dell'imposta dovuta (vedi art. 15 D.P.R. 602/1973). Ben diversa è la situazione in caso di
impugnazione di atti riscossivi, quali la cartella di pagamento, che costituiscono già titolo
esecutivo per l'esecuzione forzata.
L'istanza si propone con il ricorso o separatamente (ma in tal caso va notificata alle parti e
depositata in segreteria). Il presidente fissa con proprio decreto l'udienza di trattazione, nella prima
camera di consiglio (o pubblica udienza se richiesta) utile da cui intercorrano almeno dieci giorni
liberi (art. 47 D.Lgs. 546/1992). Se si ravvisa un pericolo di danno imminente, lo stesso decreto
motivato sospende provvisoriamente l'atto fino alla riunione del collegio.
Il collegio, sentite le parti, decide con ordinanza. La decisione deve tener conto dell'astratta
fondatezza del ricorso, tuttavia data la sommarietà del procedimento essa non deve e non può
tradursi in giudizio anticipato sul merito.
L'ordinanza di sospensione resta efficace fino alla pronuncia di merito del collegio: l'udienza deve
essere fissata entro 90 giorni dalla pronuncia dell'ordinanza sospensiva. La sospensione può
essere subordinata alla prestazione di idonea garanzia da parte del contribuente.
Pur nel silenzio della legge, secondo un'interpretazione della stessa una tutela cautelare deve
ritenersi ammissibile anche in secondo grado (salvo ovviamente l'onere di dimostrare
il fumus "aggravato" dalla sentenza sfavorevole della commissione provinciale). Si ritiene infatti
che la sospensione sia ammissibile, non solo per le sanzioni (per cui è espressamente prevista
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dall'art. 19 c. 2 D. Lgs. 472/1997) ma anche per l'intero atto impugnato. In caso contrario, il
contribuente resterebbe esposto all'esecuzione dell'atto tra la sentenza di primo grado e quella di
secondo grado.
Secondo alcuni un'ulteriore tutela sarebbe ammissibile anche in Cassazione, in applicazione del
procedimento previsto dall'art. 373 c.p.c. (a cui rinvierebbe l'art. 62 D.Lgs. 546/1992 riferendosi alle
norme di procedura civile applicabili al ricorso in cassazione). In tal caso, l'istanza dovrebbe
essere indirizzata al presidente della commissione che ha emesso la sentenza da sospendere
(quindi, di norma, regionale).
Se il contribuente ritiene illegittimo o infondato un atto emesso nei suoi confronti (per esempio un
avviso di liquidazione o di accertamento, una cartella esattoriale) può presentare un ricorso alla
Commissione tributaria provinciale per chiederne l’annullamento totale o parziale. Tramite una
banca dati il contribuente ha la possibilità di utilizzare una procedura telematica per verificare lo
stato di lavorazione del ricorso presentato, conoscere la data fissata per le udienze e la
composizione del collegio giudicante. L’accesso alla banca dati è consentito ai cittadini e ai
Comuni per i ricorsi in cui sono parte in causa, nonché ai soggetti abilitati (professionisti,
associazioni) al servizio telematico “Entratel”. Per accedere alle informazioni i cittadini devono
essere in possesso degli estremi di identificazione (codice fiscale, password e codice PIN) che
consentono l’abilitazione al servizio telematico Fisconline. È stato avviato anche il processo
tributario telematico. I recenti provvedimenti (d.l. 98/2011
► ■ Come si avvia il processo tributario? e d.l. 138/2011) hanno introdotto alcune rilevanti
modifiche nelle procedure inerenti le fasi di stesura del ricorso e di costituzione in giudizio. Il
processo tributario inizia con la proposizione del ricorso da parte del contribuente alla competente
Commissione tributaria provinciale entro 60 giorni dalla data in cui ha ricevuto l’atto impugnato. Per
le controversie con l’Agenzia delle Entrate di valore non superiore a 20.000 euro il ricorso deve
essere preceduto dall’istituto del “reclamo”, pena non più l’inammissibilità del ricorso, come
succedeva per gli atti “notificati” a decorrere dal 1° aprile 2012, a norma della legge 111/2011, ma
pena l’improcedibilità del ricorso per gli atti notificati dal 2 marzo 2014, a norma della legge
147/2013 - legge di stabilità 2014 - che ha sostituito il 2° comma dell’articolo 17-bis del d.lgs. n.
546/92 (del reclamo e della mediazione se ne parlerà nell’ultimo paragrafo). Per le domande di
rimborso alle quali l’Agenzia delle Entrate non ha dato risposta, il ricorso si può produrre dopo 90
giorni dalla data di presentazione della richiesta. I termini per la proposizione del ricorso sono
sospesi nel periodo feriale dal 1º agosto al sanzioni amministrative, gli interessi e ogni altro
accessorio; • le controversie di natura catastale, come quelle concernenti, ad esempio,
l’intestazione, la delimitazione, l’estensione, il “classamento” dei terreni e l’attribuzione della rendita
catastale, nonché le controversie attinenti l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle
pubbliche affissioni. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria solo le controversie riguardanti
gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, se
previsto, dell’avviso che precede l’espropriazione forzata
■ Quali requisiti sono richiesti per svolgere la funzione di giudice tributario? L’art. 7, d.lgs. 545/92,
stabilisce che i componenti delle Commissioni debbono ► avere: • la cittadinanza italiana; • il
godimento dei diritti civili e politici; • idoneità fisica e psichica; • un’età non superiore a 75 anni.
Devono, inoltre: • non aver subito alcuna condanna per delitti comuni non colposi o per
contravvenzioni a pena detentiva o per reati tributari; • non essere stati sottoposti a misure di
prevenzione o di sicurezza e devono aver dichiarato di voler stabilire la residenza nella Regione
nella quale ha sede la Commissione tributaria. Lo stesso decreto stabilisce regole sulla
incompatibilità secondo le quali non possono più svolgere la funzione di giudice tributario, finché
permangono in attività professionali, coloro che sono iscritti in albi professionali, elenchi, ruoli e
coloro che in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione,
esercitano l’attività di consulenza tributaria in generale (è esclusa qualsiasi consulenza, non quindi
solo quelle di natura prettamente fiscale ma anche, per esempio, la consulenza legale, tecnica,
familiare, ecc.), detengono le scritture contabili e redigono i bilanci. Molti giudici, pertanto,
dovranno scegliere tra professione e funzione di giudice. ■
Le norme sul contenzioso tributario hanno subito modifiche nel corso del Dal 1972 al 2012 sono
state attuate varie riforme, le quali: ► tempo? • hanno riconosciuto alcuni principi costituzionali
inerenti alla funzione giurisdizionale, come l’imparzialità del giudice, il diritto alla difesa, il principio
56
del contraddittorio (d.p.r. n. 636/72); • hanno ridotto i gradi di giudizio da tre a due attraverso
l’eliminazione della Commissione tributaria centrale. Pertanto, oggi ci sono le Commissioni
tributarie provinciali che operano in 1° grado, le Commissioni tributarie regionali che operano in 2°
grado e la Corte di Cassazione che opera in 3° grado (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545); • hanno
richiesto ai giudici una maggiore qualificazione (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545); • hanno esteso
la competenza delle Commissioni tributarie ai tributi locali (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546); •
hanno introdotto la difesa obbligatoria (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546); • hanno stabilito che il
carico delle spese fosse attribuito alla parte soccombente (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546); •
hanno introdotto la possibilità di sospendere l’atto impugnato e di definire le vertenze 432 433
sezione G Il sistema tributario italiano Il contenziosotributario 6 unità (tranne per la mancata
indicazione della PEC e del codice fiscale). Allo stesso modo il ricorso è inammissibile se manca la
sottoscrizione. ■ È indispensabile per il contribuente che effettua il ricorso l’assistenza Per le
controversie di valore superiore a 2582,28 euro, ► tecnica di un difensore? è indispensabile
l’assistenza di un difensore abilitato. Il Presidente della Commissione (o della sezione) può
ordinare alla parte di munirsi dell’assistenza tecnica anche nei casi in cui questa non è
obbligatoria. L’incarico ai difensori deve essere conferito con atto pubblico o con scrittura privata
autenticata o anche in calce o a margine di un atto del processo. Anche quando non è obbligatoria
l’assistenza tecnica il contribuente deve comunque fare attenzione alla complessità degli
adempimenti previsti dalla procedura (il contenzioso tributario è di fatto assimilato al giudizio civile)
e al rischio che la vertenza subisca un esito negativo a causa di una loro non esatta esecuzione.
La proposizione ► ■ Il ricorso sospende gli effetti giuridici dell’atto impugnato? del ricorso non
sospende gli effetti giuridici dell’atto impugnato. Tuttavia, il ricorrente ha facoltà di chiedere alla
Commissione tributaria competente, mediante la proposizione di un’apposita istanza, la
sospensione dell’atto, se ritiene che dallo stesso gli possa derivare un danno grave e irreparabile.
La richiesta motivata può essere contenuta nel ricorso o essere presentata con atto separato. In
quest’ultimo caso, l’istanza va notificata alle altre parti e depositata, con la prova dell’avvenuta
notificazione, presso la segreteria della Commissione tributaria. La sospensione può anche essere
parziale e subordinata alla prestazione di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione
bancaria o assicurativa nei modi e nei termini che vengono indicati nel provvedimento. La
controversia è trattata, ► ■ Il ricorso deve essere discusso pubblicamente? di norma, in “Camera
di consiglio” (senza la presenza delle parti). Se una delle parti vuole che il ricorso sia discusso in
udienza pubblica deve farne richiesta alla Commissione con istanza da depositare in segreteria e
da notificare alle altre parti costituite nei 10 giorni liberi prima della data di trattazione. L’istanza di
pubblica udienza può anche essere proposta contestualmente al ricorso o ad altri atti processuali.
Tuttavia il ricorso è sempre discusso in pubblica udienza se concerne un atto di recupero di aiuti di
Stato. ■ Come viene comunicato l’esito del ricorso e come viene applicata la sentenza? La
sentenza è ► resa pubblica mediante deposito nella segreteria della Commissione tributaria entro
30 giorni dalla data della deliberazione e il dispositivo della sentenza viene comunicato dalla
segreteria della Commissione alle parti costituite entro 10 giorni dal deposito. Alla notifica della
sentenza, invece, provvedono le parti (sarà la parte che vi ha interesse a notificare la sentenza alle
altre). Quando si giunge alla sentenza definitiva del processo tributario, e la stessa si pronunci a
favore del contribuente, l’ufficio deve attivarsi tempestivamente, nei termini previsti per eseguire gli
obblighi stabiliti dalla sentenza stessa. Con la sentenza che definisce il giudizio, la Commissione
tributaria decide anche l’ammontare delle spese processuali a carico della parte soccombente. In
casi particolari, la Commissione tributaria può decidere di compensare le spese tra le parti del
giudizio. La sentenza della Commissione ► ■ Per il ricorso in appello è previsto un termine?
provinciale può essere appellata alla Commissione regionale competente. Il 15 settembre. La
sospensione non si applica per le controversie relative ad atti di recupero degli aiuti di Stato. Il
ricorso deve essere notificato all’ufficio che ha emesso l’atto contestato mediante: • consegna
diretta; • posta con plico raccomandato senza busta e con l’avviso di ricevimento; • notifica di
ufficiale giudiziario. ■ Dopo che il contribuente ha notificato il ricorso all’ufficio che ha emesso
Entro 30 giorni dalla data in ► l’atto contestato, quali sono i passi successivi? cui notifica il
ricorso il contribuente deve costituirsi in giudizio. Questo significa che il ricorrente: • deve
depositare o trasmettere alla Commissione tributaria l’originale del ricorso; • ha l’obbligo di allegare
all’atto di costituzione in giudizio la nota di iscrizione a ruolo del ricorso tributario nel registro
generale dei ricorsi; • deve pagare il contributo unificato per tutti gli atti processuali (ricorso,
57
appello principale e incidentale, istanza di revocazione, ricorso per ottemperanza, atti di intervento)
in sostituzione dell’imposta di bollo. Il contributo unificato consente di “coprire” la spesa di tutti gli
atti che si produrranno in quel grado di giudizio, comprese le richieste, effettuate dalle parti
processuali, delle copie autentiche di atti e provvedimenti. In sostanza si paga una sola volta il
contributo unificato a titolo di spese di giustizia all’atto di avvio della lite e non si devono più
assoggettare a bollo gli atti susseguenti. L’omessa indicazione nel ricorso dell’indirizzo di posta
elettronica certificata e del numero di fax da parte del difensore comporta l’aumento del 50%
dell’importo dovuto a titolo di contributo unificato. È commisurato al valore della causa ► ■
Come si determina il contributo unificato? e viene assolto per ciascun grado di giudizio nel
momento in cui viene instaurato il giudizio. In sede di costituzione in giudizio, le segreterie delle
commissioni tributarie dovranno verificare l’avvenuto pagamento dello stesso da parte del
ricorrente. ■ Con il ricorso il contribuente è esonerato dal versamento delle somme che Il ricorso
non esenta dal versamento delle somme richieste ► gli sono state richieste? con l’atto
impugnato (ad esempio, per le imposte dirette e per l’IVA è prevista l’iscrizione a ruolo di un terzo
degli importi richiesti). Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a
quanto stabilito dalla sentenza della Commissione deve essere rimborsato d’ufficio, con i relativi
interessi, entro 90 giorni dalla notifica della sentenza. Nel ricorso devono essere indicati:
Cosa deve essere indicato nel ricorso? • la Commissione tributaria cui è diretto; • il ricorrente e il
suo legale rappresentante, la relativa residenza o sede legale o domicilio eventualmente eletto nel
territorio dello Stato; • il codice fiscale e l’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) del
ricorrente e del suo legale rappresentante, innovazione propedeutica all’avvio del processo
tributario telematico; • l’atto impugnato e l’oggetto della domanda; • i motivi. Se manca o è
assolutamente incerta una di queste indicazioni il ricorso è inammissibile 434 435 sezione G Il
sistema tributario italiano Il contenziosotributario 6 unità termine per impugnare la sentenza della
Commissione tributaria provinciale è di 60 giorni decorrente dalla notifica ad opera di una parte. Se
la sentenza della Commissione tributaria provinciale non è stata notificata, il termine per proporre
appello è più lungo (sei mesi dalla pubblicazione della sentenza). Le sentenze pronunciate in
Per quali motivazioni si può ricorrere in Cassazione? grado d’appello possono essere impugnate
con ricorso per Cassazione solo per i seguenti motivi: • motivi attinenti alla giurisdizione; •
violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza; •
violazione o falsa applicazione di norme di diritto; • nullità della sentenza o del procedimento; •
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio. Il ricorso per Cassazione deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un
avvocato iscritto nell’apposito albo, munito di procura speciale. 41) Le prove in ambito tributario.
Lezione 048
01. NEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO SONO AMMESSE:
Nel processo tributario esistono importanti limitazioni alla prova del diritto controverso, non essendo ammessi come mezzi probatori, ex art. 7,
comma 4, del d.lgs. 546/1992:
— il giuramento;
— la testimonianza.
Il divieto di utilizzo, ai fini probatori, della prova testimoniale ha generato, soprattutto in giurisprudenza, frequenti dibattiti, legati alle portata
applicativa di tale principio in sede contenziosa.
Tale limitazione nasce dalla natura (documentale) del processo tributario, anche se la maggioranza della dottrina (20) sostiene che, a fronte del
previsto utilizzo di presunzioni, anche semplici, da parte dell’A.f., risulta oltremodo sfavorevole la posizione del contribuente che non può
contrapporre la prova testimoniale.
A tal proposito, la Corte di Cassazione, con la sentenza del 14 agosto 2002, n. 12210, ha sottolineato che «il divieto di ammissione della prova
testimoniale, sancito dall’art. 7, quar- to comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non comporta la conseguente inammis- sibilità della prova per
presunzioni, ai sensi dell’art. 2729, secondo comma, c.c. — secondo il quale le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude
la prova testimoniale — poiché questa norma, attesa la natura della materia ed il sistema dei mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei
giudici tributari, non è applica- bile nel contenzioso tributario».
Peraltro, da tale limitazione scaturiscono, come vedremo, tutta una serie di questioni che involgono anche i rapporti tra il contenzioso tributario e
gli altri processi civile, penale ed amministrativo.
Come ritenuto, invece, dalla Dottrina sono da ritenersi ammissibili quali mezzi di prova nel contenzioso tributario:
— la confessione;
— l’interrogatorio.
A tal proposito il Russo ha precisato come «si può dubitare che le Commissioni Tributarie possano ordinare la comparizione delle parti per
sottoporle all’interrogatorio libero di cui all’art. 117 del codice di procedura civile, stante il silenzio serbato dall’art. 7 nell’elencare i poteri istruttori di
detto giudice; ma se si ammette, come ritengo, che nel processo tributario possano trovare ingresso tanto la confessione stragiudiziale quanto
quella giudiziale (ancorché non come prova legale sebbene quale prova liberamente valutabile dal giudice), allora non v’è motivo per escludere
l’esperibilità in tale processo, a seguito della deduzione della parte interessata, dell’interrogatorio formale che è per l’appunto lo strumento inteso a
provocare quest’ultimo tipo di confessione» [1].
Anche la Cassazione, a volte, ha ammesso l’utilizzo della prova testimoniale, richiamando, all’uopo, i principi di cui all’art.2724 c.c., esclusivamente,
però, nelle ipotesi in cui il contribuente dimostri di trovarsi, per causa a lui non imputabile, nell’impossibilità di produrre la documentazione
necessaria a provare un suo diritto, come, ad esempio, nel caso di furto di documenti (Cfr. Cass. 25713/2009).
In merito alla questione delle prove nel contenzioso in esame, la Dottrina ha rilevato che:
«Non è dubbio che le dichiarazioni paratestimoniali — raccolte dagli uffici tributari e dalla G. di F. fuori dal processo e senza le garanzie proprie
dell’assunzione della prova testimoniale, e versate dall’ente impositore nel processo tributario attraverso il deposito del p.v.c. — non possano
costituire da sole il fondamento dimostrativo della pretesa erariale. In forza del principio di simmetria probatoria, l’inammissibilità processuale della
prova testimoniale ridonda sull’istruttoria amministrativa degradando l’efficacia dimostrativa di tali dichiarazioni a quella degli indizi.
Tali dichiarazioni, pertanto, sono utilizzabili dall’A.f. solo insieme ad altri e ben più qualificati elementi possono legittimare l’emissione dell’avviso di
accertamento. Analoga efficacia, ancora, hanno nel processo i verbali di testimonianze acquisite in altri processi. Anche in tal caso, siamo in
presenza di prove atipiche in sede fiscale, inidonee a supportare sul piano dimostrativo la ricostruzione storica operata dal giudice tributario. In
base al principio costituzionale di parità delle armi, a sua volta, il contribuente ha la facoltà di avvalersi nel processo di dichiarazioni scritte di
terzi a condizione che sia possibile identificare il soggetto che ha reso la dichiarazione.
In non pochi casi, ancora, la prova testimoniale si presenta quale unico mezzo idoneo a ricostruire gli eventi del passato: la simulazione di un
contratto, la non abitualità dell’esercizio di un’attività economica, il sostenimento delle spese di mantenimento dei beni as- sunti a fatti noti dal
redditometro, l’inerenza o meno di un bene all’attività economica, sono altrettanti enunciati fattuali non sempre dimostrabili attraverso altri mezzi
di prova. L’inammissibilità di un mezzo di prova si traduce nella compressione del grado di attendibilità della ricostruzione storica ottenibile nel
processo, sì da violare nella nostra materia pure il principio di capacità contributiva (22)».
Anche il divieto di ammissione del giuramento e della prova testimoniale ben si giustifica in questa visione del processo tributario come fondato su
prova scritta precostituita, integrata e verificata, ove occorra, dalla Commissione Tributaria con l’esercizio dei poteri che l’art. 7 del d.lgs. 546/1992 le
conferisce (23)».
Lezione 049
01. CON LA SENTENZA:
Lezione 050
01. IL RICORSO PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE NEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO PUO' ESSERE PROPOSTO PER:
OMESSA, INSUFFICIENTE O CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE CIRCA UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA
MOTIVI ATTINENTI ALLA GIURISDIZIONE O VIOLAZIONE DELLE NORME SULLA COMPETENZA
VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DELLE NORME DI DIRITTO, O NULLITA' DELLA SENTENZA O DEL PROCEDIMENTO
PER TUTTI I CASI DI CUI AI PUNTI PRECEDENTI
59
02. QUALI SONO GLI STRUMENTI PER IMPUGNARE LE SENTENZE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE
L'impugnazione è il rimedio che le parti hanno a disposizione per far modificare una
sentenza o un provvedimento sfavorevole che si ritiene errato.
I mezzi di impugnazione sono:
1. APPELLO: contro le sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali si può ricorrere
proponendo appello alla Commissione Tributaria Regionale competente. L'appello deve
contenere (art. 53 D.Lgs. n° 546/92 e art. 14 comma 3 bis del DPR n° 115/2002) :
• l'indicazione dell'appellante, delle altre parti nei cui confronti è proposto e della
Commissione Tributaria a cui è diretto
• gli estremi della sentenza impugnata
• l'esposizione sommaria dei fatti
• l'oggetto della domanda
• i motivi specifici dell'impugnazione
• la sottoscrizione del difensore
• indirizzo PEC e codice fiscale del difensore
• indirizzo PEC e codice fiscale del ricorrente
• la dichiarazione del valore della causa
Il ricorso per Cassazione può essere effettuato nel caso in cui si abbia intenzione di impugnare le
sentenze che sono state pronunciate in grado d'appello. Perché ciò sia possibile, però, è
necessario il verificarsi di una delle seguenti condizioni:
- norme di diritto sono state violate o applicate in maniera non corretta
- norme sulla competenza sono state violate, se il regolamento di competenza non è prescritto
- la sentenza o il procedimento sono da considerare nulli.
- per un fatto controverso e decisivo per il giudizio è stata addotta una motivazione
61
Nel caso in cui si voglia ricorrere contro la sentenza della Commissione provinciale, è necessario
fare appello alla Commissione regionale competente entro i sessanta giorni successivi alla
data in cui è stata effettuata la notifica. In assenza di notifica della sentenza della
Commissione tributaria provinciale, il termine è di sei mesi a partire dalla data in cui la
sentenza è stata pubblicata, tenendo conto della sospensione prevista per il mese di agosto. Per
proporre l'appello le forme e le procedure da seguire sono le stesse applicate per il ricorso alla
Commissione tributaria provinciale: il ricorso va depositato nella segreteria della Commissione
tributaria regionale entro trenta giorni dalla proposizione nei confronti della totalità delle parti che
sono state chiamate in causa nel giudizio di primo grado.
Ai sensi dell'art. 64, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992 è ammessa la revocazione delle sentenze
delle Commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto: a) non sono
altrimenti impugnabili; b) ovvero non sono state impugnate, quando si siano verificati gli eventi di
cui all'art. 395 del codice di procedura civile. In base alla disposizione citata quindi con la domanda
di revocazione si denunciano al giudice che ha emesso la sentenza impugnata, i vizi ovvero gli
errori in cui è incorso nel giudicare il fatto. Dal predetto schema normativo si evince che contro le
sentenze di primo grado emesse dalle Commissioni tributarie provinciali, in pendenza del termine
per proporre l'appello, non è ammessa la revocazione, posto che il requisito della non ulteriore
impugnabilità non sussiste. La predetta preclusione si fonda inoltre sul principio di risoluzione dei
motivi di revocazione in appello. Il comma 2 del citato art. 64 dispone l'impugnazione mediante
revocazione per i motivi di cui all'art. 395, nn. 1), 2), 3) e 6), del codice di procedura civile delle
sentenze di primo grado divenute inappellabili a condizione che la scoperta del dolo o della falsità,
il recupero dei documenti o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al n. 6) siano avvenute
dopo la scadenza del termine per l'appello. In linea generale, quindi, è possibile affermare che la
disciplina dell'istituto della revocazione nel contesto del processo tributario non si discosta
sostanzialmente da quella processuale civilistica. È di facile rilievo, però, il fattore che distingue
l'esperibilità del rimedio in esame nel contesto del processo tributario: il riferimento è al requisito
della "non ulteriore impugnabilità" ex art. 64 del D.Lgs. n. 546/1992. L'utilizzo dell'istituto della
revocazione è quindi subordinato in fatto alle sole ipotesi in cui non è possibile utilizzare contro la
sentenza "viziata" altri mezzi di impugnazione. Alla luce di quanto esposto, si evince la
fondamentale importanza in ordine all'individuazione delle ipotesi in cui la sentenza non è più
ulteriormente impugnabile.
In generale, a tale istituto è attribuito il ruolo di rimedio contro l’ingiustizia della sentenza non
appellabile o non più appellabile, sulla base di specifici motivi che il legislatore, nella sua
discrezionalità, ha disposto in un elenco tassativo valutandoli di particolare gravità.
Nel processo tributario, l’istituto è oggi disciplinato dagli artt. 64 – 67 del D. Lgs. n. 546 del
31.12.1992. Precedentemente, la revocazione delle sentenze delle commissioni tributarie era
disciplinata dall’art. 41 del D.P.R. n. 636/72.
Ai sensi dell’art. 64 del D. Lgs. n.546/92 “Contro le sentenze delle commissioni tributarie che
involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono
state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c.”. Il secondo comma del
medesimo articolo prevede che: “le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono
essere impugnate per i motivi di cui ai nn 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c. purchè la scoperta del dolo
o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di
cui al n. 6 dell’art. 395 c.p.c. siano posteriori alla scadenza del termine suddetto”.
La revocazione ordinaria, fondata su vizi palesi intrinsechi alla sentenza, deve essere
proposta entro il termine ordinario di 60 gg. dalla notificazione della sentenza o entro il
termine annuale in assenza di notificazione (art. 327 c.p.c.). Sono palesi i vizi dei quali la
parte può avere conoscenza fin dalla pubblicazione della sentenza.
I vizi occulti sono quelli discendenti dalla scoperta di documenti o fatti ignorati nel corso
del procedimento che ha condotto alla sentenza di cui si chiede la revisione.
Dalla lettura dell’art. 64 del D. Lgs. n. 546/92 emerge, contrariamente a quanto avviene
in sede civile con l’art. 395 c.p.c., che la revocazione è esperibile contro le sentenze
delle commissioni tributarie che involgono accertamento di fatto. Tale precisazione,
però, in realtà, può apparire pleonastica, in quanto, tutti i motivi esperibili, sia nella
revocazione ordinaria che in quella straordinaria, concernono un giudizio di fatto e la
corretta ricostruzione degli elementi necessari per pervenire alla decisione della
controversia.
• l'inutile decorso del termine ovvero soltanto dopo la scadenza del termine che la legge
concede all'Amministrazione per l'adempimento e se mancante dopo 30 giorni dalla
messa in mora;
• la necessità per l'esecuzione della sentenza di provvedimenti amministrativi, ovvero
sentenze che richiedono una specifica attività non posta in essere dall'Ufficio
soccombente (es.: rimborso, riconoscimento di un beneficio, correzione delle
risultanze catastali).
Il giudice competente a pronunciarsi sull'esecuzione del giudicato divenuto irrevocabile è la
Commissione Tributaria Provinciale che ha pronunciato la sentenza non appellata o il cui
appello si conclude con una dichiarazione di inammissibilità, di improcedibilità o di
estinzione del giudizio di appello. In ogni altro caso la competenza spetta alla
Commissione Tributaria Regionale dato che la sentenza emessa dal giudice di grado
superiore si sostituisce a quella emessa in primo grado.
Il ricorso in ottemperanza deve essere indirizzato al presidente della Commissione
Tributaria competente e deve contenere (art. 18, comma 2, D.Lgs. n° 546/1992) la
sommaria esposizione dei fatti che ne giustificano la proposizione e la precisa indicazione
della sentenza passata in giudicato di cui si chiede l'ottemperanza. Il ricorso, sottoscritto da
difensore tecnico abilitato (art. 12 D.Lgs. n° 546/1992) deve essere solo depositato, in
doppio originale, presso il giudice tributario e non deve essere notificato
all'Amministrazione. La Commissione ha l'obbligo di trasmettere all'Ufficio inadempiente
uno dei due originali, il quale può formulare le proprie osservazioni entro il termine
ordinatorio di 20 giorni. Resta ferma, pertanto, la possibilità dell'Ufficio di provvedere alla
costituzione formale in giudizio fino alla data fissata per la camera di consiglio. Scaduto il
termine per il deposito di memoria da parte dell'Ufficio, il presidente della Commissione
procederà alla fissazione dell'udienza camerale entro il termine ordinatorio di 90 giorni dal
deposito del ricorso, e disporrà le comunicazioni alle parti che debbono avvenire almeno
10 giorni liberi prima. La trattazione della controversia avviene sempre in camera di
consiglio non essendo prevista la possibilità di udienza pubblica neanche su istanza
concorde delle parti.
Normalmente il giudice tributario provvede alla nomina di un commissario ad acta nella
persona di un esperto della materia oggetto di contenzioso, i cui poteri sono quelli stabiliti
dal giudice al momento della nomina.
Nell'udienza camerale di trattazione il Collegio, sentite le parti e acquisiti i documenti
necessari, adotta con sentenza immediatamente esecutiva i provvedimenti indispensabili
per l'ottemperanza, in luogo dell'ufficio dell'ente impositore che li ha omessi.
Il collegio conclude il giudizio mediante ordinanza che può contenere anche la condanna
dell'Amministrazione soccombente alle spese di giudizio.
Dal 1° gennaio 2016 è prevista l'assegnazione del giudizio di ottemperanza al giudice
monocratico per importi fino a 20.000,00 euro [comma 10 bis, art. 70 del D.Lgs. n°
546/1992, introdotto dall'art. 9, comma 1, lett.ii) del D.Lgs. n° 156/2015].
Lezione 052
02. IL REDDIO DI LAVORO AUTONOMO E' TASSATO CON IL CRITERIO TEMPORALE DI:
CASSA
64
I PRIMI RIDUCONO IL REDDITO COMPLESSIVO, I SECONDI RAPPRESENTAZNO UNA DETRAZIONE DALL'IMPOSTA LORDA
La base imponibile dell’IRPEF è costituita dal reddito complessivo afferente alle persone fisiche,al
netto delle detrazioni e ad esclusione delle entrate per legge non assoggettate a questa imposta.
Il reddito complessivo è dato dalla somma dei redditi di ogni categoria determinati sulla base di
specifici criteri.
La differenza fra il reddito complessivo e gli oneri deducibili e le deduzioni è definita reddito
imponibile.
L’imposta lorda risulta dall’applicazione della scala delle aliquote al reddito imponibile.
L’imposta netta si ottiene sottraendo dall’imposta lorda le detrazioni riconosciute in particolari
circostanza oggettive e soggettive.
12. IL CANDIDATO INDICHI QUAL E' IL PRESUPPOSTO DELLE IMPOSTE DIRETTE SUI REDDITI
Presupposto dell'imposta è il possesso di redditi rientranti in una delle seguenti categorie: redditi
fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di
impresa, redditi diversi.
Si rammenta che le società di persone non hanno personalità giuridica, né sono persone fisiche,
per cui non scontano né Irpef né Ires, ma soltanto l'Irap.
IRPEF
L'Irpef è l'imposta sul reddito delle persone fisiche, è di tipo personale e progressiva che colpisce il
reddito complessivo ovunque prodotto dalle persone fisiche residenti in Italia e il reddito prodotto in
Italia da parte delle persone fisiche non residenti. L’Irpef si determina in base ad aliquote
progressive, si tratta di una progressività per scaglioni: il reddito imponibile viene frazionato e
assoggettato alle aliquote corrispondenti agli scaglioni in cui li reddito stesso rientra.
IRES
L'Ires è l'imposta sul reddito delle società, è entrata in vigore il 1° gennaio 2004 e ha sostituito
l'Irepg. L'Ires si applica solo ai soggetti con personalità giuridica e quindi a Spa, Sapa, Srl, società
cooperative e di mutua assicurazione. Sono escluse le società di persone (Snc, Sas, società
semplici). E’ un tipo di imposta proporzionale ed è dovuta sul reddito imponibile societario nella
misura del 27,50%.
IRAP
L'Irap è l'imposta regionale sulle attività produttive. E’ un’imposta sul valore aggiunto prodotto che
colpisce la ricchezza (intesa come presupposto impositivo) allo stadio della sua produzione e non
a quello della sua percezione (come l’Irpef o l’Ires ), né a quello del suo consumo (come l’Iva), è
pertanto un’imposta a carattere reale. E’ un tipo di imposta regionale di tipo proporzionale ed è
dovuta nella misura del 3,90%.
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Si parla di deducibilità e detraibilità nei casi in cui il fisco offra la possibilità al contribuente di
ottenere degli sconti dalle imposte, scalando dai propri redditi o dalle tasse da pagare, alcuni
oneri che vengono appunto definiti oneri detraibili o oneri deducibili.
Possono essere detratti le seguenti spese effettuate nel periodo di imposta 2015, dunque
nella dichiarazione 2016:
oneri relativi a contributi dei fondi integrativi del servizio sanitario nazionale;
oneri relativi a contributi previdenziali e assistenziali;
oneri relativi a contributi a forme pensionistiche complementari e individuali (per un ammontare
massimo di 5.164,57 euro);
spese mediche escluse di franchigia;
cedolare secca al 10% (fino al 2017, poi nel 2018 passerà al 15%);
assegni di mantenimento del coniuge separato o divorziato (ma non le spese di mantenimento
dei figli);
spese di assistenza ai portatori di handicap;
rendite, vitalizi, assegni alimentari ed altri oneri;
spese relative a contributi per colf, badanti, baby sitter sino ad un importo massimo di 1.549,37
euro (il contributo forfaittario di 1000 euro versato al fine di permettere la regolarizzazione dei
lavoratori dipendenti stranieri è escluso);
donazioni di beneficienza a favore degli istituti religiosi;
beneficienza a favore di ong (organizzazioni non governative) o onlus (quest’ultima passata dal
gennaio 2015 al 26% dell’importo, fino ad un massimo di 30mila euro);
– spese assistenza e ricovero disabili (non interamente ma solo per la parte che riguarda le
spese mediche e paramediche di assistenza specifica);
– ricongiunzione contributi;
– assegni periodici per il mantenimento del coniuge separato o divorziato (ma non gli assegni
periodici per il mantenimento dei figli).
Si tenga presente che queste liste potrebbero essere non del tutto esaustive e soggette a
modifiche da parte del legislatore.
68
14. IL CANDIDATO INDICHI LA DIFFERENZA TRA CRITERIO TEMPORALE DI CASSA E CRITERIO TEMPORALE DI
COMPETENZA
Una distinzione importante nel mondo della contabilità viene fatta in base al principio usato per
registrare costi e ricavi.
Il principio di cassa, invece, include nel calcolo del reddito solo i costi e i ricavi per cui ci
sia stata manifestazione finanziaria.
Le imprese sono tenute a registrare entrate e uscite quando si realizzano le condizioni che danno
poi origine agli effetti economici ovvero quando la transazione avviene indipendentemente dal
momento in cui avviene effettivamente il pagamento (principio di competenza).
I lavoratori autonomi, invece, devono considerare solo le operazioni per cui è già stato saldato il
conto nel calcolo del reddito (principio di cassa).
Il principio di competenza
Questo principio prevede che il periodo di imposta coincida con la data di:
Il principio di cassa
Secondo il principio di cassa solo i ricavi già incassati e i costi già pagati possono essere inclusi
nel calcolo del reddito.
Per i pagamenti in contanti, il problema della data di validità della transazione non si pone poichè,
al momento del trasferimento del danaro, i compensi sono immediatamente in tuo possesso.
Per i casi di pagamenti con bonifico bancario, assegni, carta di credito e di debito fa testo la data in
cui la somma è disponibile sul conto e puoi usarli.
Nella determinazione del reddito delle persone fisiche si può seguire il criterio di cassa (come nel
caso di lavoratori autonomi e dipendenti) o il criterio di competenza (come nel caso di impresa
individuale).
Il criterio di cassa consiste nel registrare costi e ricavi quando questi effettivamente sono stati
sostenuti o incassati (vale anche il principio di cassa allargato per dipendenti e collaboratori, non
per gli autonomi).
Il criterio di competenza consiste invece nel registrare costi e ricavi nel periodo di competenza (di
attribuzione), anche se questi non sono ancora stati sostenuti o incassati.
15. IL CANDIDATO INDICHI IN CHE MODO SI INDIVIDUANO I SOGGETTI PASSIVI AI FINI IRPEF
Presupposto dell'imposta è il possesso di redditi rientranti in una delle seguenti categorie: redditi
fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di
impresa, redditi diversi.
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È un'imposta progressiva, in quanto colpisce il reddito con aliquote che dipendono dagli scaglioni
di reddito, ed è di carattere personale, essendo dovuta, per i soggetti residenti sul territorio dello
Stato, per tutti i redditi posseduti, anche se prodotti all'estero.
L'imposta lorda è determinata applicando al reddito complessivo, al netto degli oneri deducibili
indicati nell'articolo 11 TUIR, le aliquote variano per scaglioni di reddito:
Irpef soggetti passivi. Sono considerati soggetti passivi IRPEF tutte le persone fisiche in
possesso di redditi di qualsiasi natura. Come evidenziato precedentemente, l’imposta si applica su
varie tipologie redditi: redditi da lavoro autonomo,redditi di capitale
redditi di lavoro dipendente, reddito fondiari derivanti dal possesso di terreni, redditi diversi.
Lezione 053
01. COS'E' LA TASSAZIONE SEPARATA
Per motivi di equità, sono soggetti a tassazione separata i redditi percepiti una tantum e che,
solitamente, derivano da un processo produttivo pluriennale.
Modalità di tassazione
Proprio in virtù della loro maturazione ultra-annuale, al fine di evitare che tali redditi, nell’anno in
cui si considerano imponibili, si sommino a quelli “ordinari” di quello stesso periodo d’imposta,
incrementando il carico fiscale % sul contribuente (a causa della progressività delle aliquote
IRPEF), i relativi ammontari sono tassati separatamente: essi, dunque, non concorrono alla
formazione del reddito complessivo dell’anno, ma costituiscono una massa imponibile autonoma,
tassata secondo norme particolari.
In linea generale, infatti, il reddito soggetto a tassazione separata è imponibile IRPEF con
un’aliquota proporzionale (e non più progressiva) pari all’aliquota media d’imposta cui è stato
soggetto il reddito del contribuente nel biennio antecedente l’anno in cui l’ammontare a tassazione
separata si considera “posseduto” (art. 21, comma 1) e:
– nel caso in cui, in uno dei due anni da prendere in considerazione, il contribuente non abbia
avuto reddito, l’aliquota applicata è pari alla metà dell’aliquota media dell’altro anno (art. 21,
comma 3);
– nel caso in cui il contribuente non abbia posseduto redditi nel biennio anteriore, la tassazione
avverrà secondo l’aliquota applicabile al primo scaglione IRPEF (art. 21, comma 3).
Un calcolo particolare è previsto per il TFR (art. 19), tenuto altresì conto che la rivalutazione dello
stesso sconta un’imposta sostitutiva annua, attualmente pari al 17%. Il calcolo dell’aliquota media
(e, quindi, della tassazione definitiva del reddito soggetto a tassazione separata) è compito del
competente Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate, ma, nel caso in cui il reddito in parola sia
erogato da sostituti d’imposta, questi, all’atto della corresponsione, sono tenuti all’applicazione (e
al versamento) di una ritenuta d’acconto commisurata alla durata del rapporto di lavoro
subordinato.
Nel caso di redditi soggetti a tassazione separata, anche diversi dal TFR, che siano percepiti dal
contribuente senza l’intervento del sostituto d’imposta, il percipiente è in genere tenuto a versare
una ritenuta del 20% in sede di corresponsione del saldo delle imposte dovute sulla base della
70
dichiarazione presentata per l’anno di conseguimento del reddito (v. “Istruzioni al Modello Unico
Persone Fisiche – Quadro RM”).
Non va regolato il saldo a debito o a credito nel caso in cui il conguaglio < 100 e (art. 37, comma
43, d.l. 223/2006).
Criteri in larga parte simili si applicano nel caso di corresponsione di redditi per prestazioni
pensionistiche ex d.lgs. 124/1993 (art. 20).
In ogni caso, le risultanze della tassazione separata eseguita dall’Ufficio devono essere notificate
al contribuente (art. 1, comma 412, l. 311/2004).
b) prestazioni pensionistiche erogate ai sensi del d.lgs. 252/2005 (art. 17, comma 1, lett. a-bis);
c) emolumenti arretrati di lavoro dipendente, qualora (art. 17, comma 1, lett. b):
f) rimborso di oneri e/o imposte dedotti/detratti in anni precedenti (art. 17, comma 1, lett. n-bis).
71
Gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate fanno concorrere tali importi al reddito complessivo del
contribuente riferito all’anno di percezione, qualora ciò risulti più favorevole per il soggetto passivo
(art. 17, comma 3, ultimo periodo): non è necessaria alcuna espressione di volontà da parte del
percipiente, al fine di beneficiare di tale disposizione di favore.
c) indennità percepite da sportivi professionisti al termine dell’attività sportiva (art. 17, comma 1,
lett. f);
d) redditi percepiti da eredi/legatari per beni/attività del defunto imponibili secondo il criterio di
cassa (redditi di lavoro dipendente/lavoro autonomo/capitale/diversi; art. 7, comma 3).
Eguale facoltà di esclusione da tassazione separata spetta con riferimento ai redditi di cui al par.
2.3.2.3, qualora conseguiti da persona fisica non imprenditore.
i seguenti redditi, perlopiù derivanti da un’attività in senso lato “commerciale”, svolta dal
soggetto passivo (art. 17, comma 2):
Lezione 054
01. IN QUALE CATEGORIA REDDITUALE RIENTRANO I FABBRICATI DATI IN AFFITTO PER L'ESERCIZIO DI ATTIVITA'
COMMERCIALI?
REDDITI DI IMPRESA
2. I redditi fondiari si distinguono in redditi dominicali dei terreni, redditi agrari e redditi dei
fabbricati.
Art. 26
Imputazione dei redditi fondiari
1. I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito
complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprieta', enfiteusi, usufrutto o
altro diritto reale, salvo quanto stabilito dall'articolo 30, per il periodo di imposta in cui si e' verificato
il possesso. I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti,
non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento
giurisdizionale di convalida di sfratto per morosita' del conduttore. Per le imposte versate sui
canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell'ambito del
procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosita' e' riconosciuto un credito di
imposta di pari ammontare.
2. Nei casi di contitolarita' della proprieta' o altro diritto reale sull'immobile o di coesistenza di piu'
diritti reali su di esso il reddito fondiario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun
soggetto per la parte corrispondente al suo diritto.
3. Se il possesso dell'immobile e' stato trasferito, in tutto o in parte nel corso del periodo di
imposta, il reddito fondiario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun soggetto
proporzionalmente alla durata del suo possesso.
Art. 27
Reddito domenicale dei terreni
1. Il reddito dominicale e' costituito dalla parte domenicale del reddito medio ordinario ritraibile dal
terreno attraverso l'esercizio delle attivita' agricole di cui all'articolo 29.
Art. 28
Determinazione del reddito domenicale
1. Il reddito dominicale e' determinato mediante l'applicazione di tariffe d'estimo stabilite, secondo
le norme della legge catastale, per ciascuna qualita' e classe di terreno.
3. La revisione e' disposta con decreto del Ministro delle finanze, previo parere della Commissione
censuaria centrale e puo' essere effettuata, d'ufficio o su richiesta dei comuni interessati, anche
per singole zone censuarie e per singole qualita' e classi di terreni. Prima di procedervi gli uffici
tecnici erariali devono sentire i comuni interessati.
4-bis. Il reddito dominicale delle superfici adibite alle colture prodotte in serra o alla funghicoltura,
in mancanza della corrispondente qualita' nel quadro di qualificazione catastale, e' determinato
mediante l'applicazione della tariffa d'estimo piu' alta in vigore nella provincia.
I redditi fondiari sono quelli inerenti i terreni e i fabbricati situati nel territorio dello stato che sono o
devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio
urbano. Come si individuano gli immobili Gli immobili sono individuati dal fisco attraverso due
tipologie di dati: quelli che servono ad identificarli fisicamente nelle mappe catastali; quelli che
servono a determinare la consistenza e quindi la rendita Questi dati sono attribuiti dalle Agenzie
del Territorio e sono normalmente riportati negli atti notarili con i quali l’immobile viene trasferito. I
redditi fondiari I redditi fondiari comprendono: il reddito dominicale dei terreni il reddito agrario dei
terreni il reddito dei fabbricati Il criterio di imputazione I redditi fondiari vanno dichiarati, secondo il
criterio di competenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui si è
verificato il possesso e concorrono, nei casi previsti dalla norma, a formare il reddito complessivo
indipendentemente dalla loro percezione.
Lezione 055
01. IN QUALE CATEGORIA REDDITUALE RIENTRANO GLI INTERESSI DERIVANTI DA OBBLIGAZIONI?
REDDITI DI CAPITALE
REDDITI DI CAPITALE
I redditi da capitale sono redditi derivanti dalle rendite finanziarie e dai dividendi da
partecipazione.
In Italia i redditi da capitale sono disciplinati dagli articoli 44 e 45 del TUIR ovvero del Testo Unico
delle Imposte sui Redditi. Il Fisco in realtà non definisce in modo esplicito cosa sono i redditi da
capitale; la normativa in oggetto, infatti, si limita ad elencare una serie di fattispecie (tra loro anche
eterogenee) che vengono fiscalmente considerate redditi di capitale.
74
I redditi da capitale sono tassati al lordo delle spese di produzione a differenza dei redditi diversi, i
quali sono tassati al netto di tali spese e di eventuali perdite. Un esempio di reddito da capitale
sono gli interessi su un conto corrente bancario, mentre i proventi da rapporti derivati sono redditi
diversi.
Un altro principio fondamentale in materia di redditi di capitale è il principio di cassa: i redditi di
capitale devono essere dichiarati e tassati solo quando il contribuente incassa finanziarimente gli
importi considerati.
Quella dei redditi di capitale è una categoria che il legislatore non delimita con una
definizione generale, ma con una elencazione.
a. le plusvalenze realizzate con la cessione di azioni, obbligazioni o altri titoli, che sono
“redditi diversi”;
b. i redditi di capitale conseguiti nell’esercizio dell’impresa, che fanno parte dei redditi
di impresa.
Lezione 056
01. IN QUALE CATEGORIA REDDITUALE RIENTRANO LE REMUNERAZIONI DEI SACERDOTI?
02. IN QUALE CATEGORIA REDDITUALE RIENTRANO LE SOMME PERCEPITE A TITOLO DI BORSA DI STUDIO?
In Italia, i redditi di lavoro dipendente, disciplinati dal Capo IV, Artt. 49 - 52, D.P.R. 22
dicembre 1986 n. 917, sono quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di
lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a
domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro
(art. 49, D.P.R. 917/1986).
75
Parimenti sono considerati redditi di lavoro dipendente le pensioni di ogni genere e gli assegni ad
esse equiparati, nonché gli interessi e la rivalutazione sui crediti di lavoro.
Redditi assimilati
Sono poi assimilati a redditi di lavoro dipendenti:
• i compensi percepiti dai lavoratori soci delle cooperative di produzione e lavoro, delle
cooperative di servizi, delle cooperative agricole e di prima trasformazione dei prodotti agricoli
e delle cooperative della piccola pesca (nei limiti dei salari correnti maggiorati del 20%) (Art.
50, c. 1, lettera a), D.P.R. 917/1986);
• le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per
incarichi svolti in relazione a tale qualità, ad esclusione di quelli che per clausola contrattuale
devono essere riversati al datore di lavoro e di quelli che per legge devono essere riversati allo
Stato (Art. 50, c. 1, lettera b), D.P.R. 917/1986);
• le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio
per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato da rapporti di
lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante (Art. 50, c. 1, lettera c), D.P.R.
917/1986);
• le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto
forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di
amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità
giuridica, alla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, alla partecipazione a
collegi e commissioni, nonché quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione
aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di
un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di
mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita (Art. 50, c. 1, lettera c-bis), D.P.R.
917/1986);
• le remunerazioni dei sacerdoti (Art. 50, c. 1, lettera d), D.P.R. 917/1986);
• le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle
province e dai comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni (Art. 50, c. 1, lettera f), D.P.R.
917/1986);
• le indennità percepite dai membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo (Art. 50,
c. 1, lettera g), D.P.R. 917/1986);
• le rendite vitalizie e le rendite a tempo determinato, costituite a titolo oneroso, diverse da
quelle aventi funzione previdenziale (Art. 50, c. 1, lettera h), D.P.R. 917/1986);
• gli altri assegni periodici, comunque denominati, alla cui produzione non concorrono
attualmente né capitale né lavoro (Art. 50, c. 1, lettera i), D.P.R. 917/1986);
• i compensi percepiti dai soggetti impegnati in lavori socialmente utili in conformità a specifiche
disposizioni normative (Art. 50, c. 1, lettera l), D.P.R. 917/1986).
Somme escluse
Non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente:
04. IL CANDIDATO ILLUSTRI LA DIFFERENZA TRA REDDITO DI LAVORO AUTONOMO E REDDITO DI LAVORO
DIPENDENTE
Art. 49 Tuir
Sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la
prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri,
compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme
della legislazione sul lavoro.
L’art. 50 del Tuir elenca, poi, una serie di fattispecie assimilate al reddito di lavoro dipendente.
Si tratta, in particolare:
- dei compensi percepiti, entro i limiti dei salari correnti maggiorati del 20 per cento, dai
lavoratori soci delle cooperative di produzione e lavoro, delle cooperative di servizi, delle
cooperative agricole e di prima trasformazione dei prodotti agricoli e delle cooperative della piccola
pesca;
L’eventuale eccedenza costituisce reddito di capitale
delle somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per
fini di studio o di addestramento professionale;
delle somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto
forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società,
associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica;
delle somme derivanti dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili
I compensi percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione:
- aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione
- a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo
- senza impiego di mezzi organizzati
- con retribuzione periodica prestabilita
le remunerazioni dei sacerdoti
i compensi per l'attività libero professionale intramuraria del personale dipendente del Servizio
sanitario nazionale;
Determinazione del reddito da lavoro dipendente
Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo
percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di
lavoro.
Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai
datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui
si riferiscono.
Non concorrono a formare il reddito:
a) i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in
ottemperanza a disposizioni di legge;
i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o
casse aventi esclusivamente fine assistenziale
il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti per un importo non superiore
complessivamente nel periodo d'imposta a lire 4 milioni, a condizione che non siano riacquistate
dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi almeno
tre anni dalla percezione;
qualora le azioni siano cedute prima del predetto termine, l'importo che non ha concorso a formare
il reddito al momento dell'acquisto è assoggettato a tassazione nel periodo d'imposta in cui
avviene la cessione, ecc..
Redditi di lavoro autonomo
Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall'esercizio di arti e professioni.
Per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione abituale,
ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle da cui traggono
origine i redditi d’impresa
Sono inoltre redditi di lavoro autonomo:
i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell'autore o inventore, di
opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad
78
L’art. 53 del TUIR definisce il reddito di lavoro autonomo come quel provento che deriva
dallo svolgimento di una attività:
Dalla definizione di reddito di lavoro autonomo ne discende che tale tipologia di reddito si
pone tra il reddito d’impresa, il reddito di lavoro dipendente ed i redditi diversi. In
particolare, il reddito di lavoro autonomo si differenzia dal reddito d’impresa per due
elementi:
1. l’oggetto dell’attività. Se l’attività rientra tra quelle elencate dall’art. 2195 c.c. o se si
tratta di una attività agricola che non rispetta i limiti previsti dall’art. 32 del TUIR, allora
si ha reddito d’impresa e non reddito di lavoro autonomo;
2. organizzazione. Se vi è una organizzazione stabile allora vi è reddito d’impresa e non
reddito di lavoro autonomo.
Lezione 057
01. IL REDDITO DI LAVORO AUTONOMO E':
TASSATO CON IL CRITERIO DI CASSA E SOGGETTO ALLA RITENUTA D'ACCONTO, TRANNE I CASI IN CUI LA PRESTAZIONE VENGA
FORNITA A PERSONE FISICHE NON SOGGETTI IVA
Dal punto di vista fiscale, si considerano redditi di lavoro autonomo tutti quelli che derivano
dall'esercizio abituale, ancorché non esclusivo, individuale o in forma associata, di attività
di lavoro autonomo diverse da quelle di impresa e di lavoro dipendente.
Sono soggetti ad Irpef tutti i lavoratori autonomi sia residenti che non residenti nel territorio dello
Stato.
Per i contribuenti non residenti, però, sono imponibili solo i redditi prodotti nel territorio dello Stato.
Inoltre, ci sono alcuni redditi, per così dire, assimilati a quelli di lavoro autonomi. Si tratta:
I redditi di lavoro autonomo e quelli assimilati si differenziano fra loro per le diverse modalità di
determinazione del reddito e per i diversi obblighi contabili connessi (infatti, per quelli assimilati,
non è necessario essere in possesso della partita Iva e tenere le scritture contabili).
I redditi di lavoro autonomo, disciplinati dal Capo V, Artt. 53 e 54, D.P.R. 22 dicembre 1986 n.
917, sono quelli derivanti dall'esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di attività lavorative
diverse da quelle di impresa o di lavoro dipendente. Elementi caratterizzanti quindi sono
l'autonomia, intesa come organizzazione della propria attività, e la residualità.
Il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, individua le seguenti tipologie di redditi di lavoro autonomo:
Lezione 058
01. IL REDDITO DI IMPRESA INTERESSA:
GLI IMPRENDITORI INDIVIDUALI, LE SOCIETA' DI PERSONE, DI CAPITALI E GLI ENTI
CHE I COMPONENTI NEGATIVI DI REDDITO IMPUTATI AL CONTO ECONOMICO SONO RICONDUCIBILI ALL'ATTIVITA' SVOLTA
DALL'IMPRESA
Il reddito di impresa, nel diritto tributario italiano, è quello disciplinato dagli artt. 55-66 e 81-142
del Testo unico delle imposte sui redditi (D.lgs. 917/1986 - cd.TUIR).
Ai sensi del c.1, dell'art. 55, del TUIR, è tale il reddito derivante dall'esercizio di imprese
commerciali, ossia dall'esercizio professionale ed abituale, anche se non esclusivo, delle attività
indicate nell'art. 2195 del codice civile e delle attività agricole indicate nell'art. 32, c.2, lettere b) e
c), che eccedono i limiti ivi stabili, anche se non organizzate in forma di impresa.
Descrizione
Le attività indicate nell'art. 2195 del c.c. sono le seguenti:
• attività volte all'allevamento di animali con mangimi ottenuti per meno di un quarto dal terreno;
• attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e
valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente
dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali.
Inoltre, ai sensi del c.2 dell'art. 55, del TUIR, sono considerati redditi di impresa:
a) i redditi derivanti dall'esercizio di attività che, pur non rientrando nell'art. 2195 del codice civile,
sono organizzate in forma di impresa (come una scuola o una clinica privata);
b) i redditi derivanti da attività dirette allo sfruttamento
di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne;
c) i redditi derivanti dalle attività agricole di cui all'articolo 32, pur nei limiti ivi stabiliti, quando
esercitate da soggetti "commerciali": da società in nome collettivo e in accomandita semplice e da
stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività di impresa, anche se non
superino i limiti ivi stabiliti.
Caratteristiche
La determinazione del reddito di impresa così come della posizione ai fini IVA verso lo stato
differisce a seconda del regime contabile applicato. I principali regimi attualmente operanti in italia
variano sulla base del volume d'affari (i ricavi) delle aziende nell'esercizio precedente. I
contribuenti si dividono in :
Minimi--> ricavi annui non superiori ai 30 000 euro - non effettuano cessioni all'esportazione - non
sostengono costi per lavoratori dipendenti o collaboratori - non hanno sostenuto nei 3 anni
precedenti costi per beni strumentali superiori a 15 000 euro.
81
Semplificati--> sono definiti tali i contribuenti che hanno un volume d'affari inferiore a 309 874
euro, se si tratta di aziende di servizi; o inferiore a 516 467 euro se si tratta di aziende commerciali
e industriali.
Ordinari--> sono le persone fisiche e le società di persone che superano i limiti precedenti e tutte
le società di capitali.
Reddito fiscale: è il risultato economico che viene riferito all'esercizio in base alle norme stabilite
dalla normativa tributaria.
Determinazione: il fisco si attende:
- massimalizzazione del prelievo tributario.
- programmabilità delle entrate tributarie.
I principi in base ai quali i costi possono essere portati in diminuzione dei ricavi per la
determinazione del reddito fiscale sono i seguenti:
-competenza fiscale.
- inerenza.
- certezza e determinabilità.
- iscrizione in bilancio, per cui non sono ammessi in deduzione costi che non risultino dal Conto
economico, salvo quanto previsto per alcuni componenti di reddito.
- imputabilità specifica, i costi sono deducibili solo se sostenuti per attività che producano i ricavi
o proventi che concorrono a formare il reddito dell'impresa.
Le imprese che operano in uno dei regimi semplificati determinano il reddito fiscale d'impresa in
fase di compilazione della dichiarazione dei redditi, iscrivendo nei vari quadri i valori relativi
all'attività aziendale.
Il passaggio dal reddito di bilancio al reddito fiscale per le imprese che tengono la contabilità
ordinaria in partita doppia avviene per mezzo di elaborazioni extracontabili in sede di dichiarazione
dei redditi. Il punto di partenza per il calcolo del reddito fiscale è dato dalla situazione contabile
finale che segue le scritture di assestamento ed evidenzia il risultato prima delle imposte.
Lezione 059
REDDITI DIVERSI
LA CATEGORIA REDDITUALE OVE CONFLUISCONO LE TIPOLOGIE DI REDDITO NON RICONDUCIBILI A QUELLE DEFINITE
DALL'ART. 6 DEL TUIR
82
I redditi diversi, previsti dal sistema tributario italiano agli artt. 67-71 del Testo Unico delle
Imposte sui Redditi, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.), costituiscono una categoria
di reddito residuale, che ha carattere eterogeneo, in quanto comprende i redditi più disparati che
non rientrano nelle altre categorie di reddito indicate nell'art. 6 del T.U.I.R. o che hanno caratteri
peculiari non inquadrabili in una categoria tipica.
I redditi diversi sono in linea di massima raggruppabili in due grandi categorie, entrambe tassabili
per cassa:
• plusvalenze isolate: sono così definite in quanto non realizzate nell'ambito di un'attività
economica continuativa (se lo fossero il soggetto che le realizza sarebbe un imprenditore). La
precedente formulazione dell'art. 68 parlava di “intento speculativo” del contribuente per
distinguere le plusvalenze riconducibili ad un'attività produttiva del contribuente e quelle non
derivanti da una simile attività del contribuente. Ora non c'è più questa formula e si parla di
caratteri oggettivi dell'operazione. Il Testo Unico ha cioè sostituito alla tassazione delle
plusvalenze realizzate con intento speculativo, la tassabilità di specifiche, determinate
plusvalenze:
• plusvalenze immobiliari:
•
• Plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione dei terreni o l'esecuzione di opere intese a
renderli edificabili e la successiva vendita (anche parziale) di tali terreni o edifici.
•
• Plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di immobili acquistati da non
più di cinque anni. Vanno esclusi gli immobili acquisiti per successione o delle unità
immobiliari urbane adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari. Queste
ultime non sono plusvalenze tassabili, in quanto non sono considerate di carattere
speculativo. Ad esse si applicherà o l'IRPEF ordinaria o l'imposta sostitutiva con aliquota al
26%.
In questi casi la base imponibile si calcola come segue: corrispettivo – costi di acquisto (o
costruzione, urbanizzazione). Vedi articolo 68 II comma TUIR.
Per i terreni lottizzati detenuti da tempo: valore iniziale è il prezzo d'acquisto o quello normale dei
terreni nel quinto anno anteriore alla lottizzazione.
Per i terreni acquisiti per successione o donazione: il valore è quello dichiarato nelle relative
denunce e atti registrati
Per i terreni edificabili: prezzo acquisto rivalutato (inflazione).
b) le plusvalenze finanziarie (capital gain). Non si tratta dei frutti dei titoli azionari (dividendi), ma di
reddito dovuto alla vendita ad un prezzo superiore di quello di acquisto.
- Plusvalenze derivanti da cessione a titolo oneroso di obbligazioni o di altri strumenti finanziari.
- Plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni (qualificate e non). Se si tratta di
partecipazioni non qualificate, la loro cessione a titolo oneroso è tassata con la cedolare secca al
26%. Possibilità di compensazione con minusvalenze nella stessa categoria e riporto in avanti. Se
si tratta di partecipazioni qualificate (ovvero attribuiscono percentuale diritti di voto superiore al 2%
o rappresentano partecipazione al capitale o al patrimonio superiore del 5% nei mercati
regolamentati; tra cui anche altri strumenti finanziari) la cessione sarà assoggettata a tassazione
sul 49,72% del valore realizzato, come per i dividendi (concorrerà a formare il reddito per solo il
49,72% del valore della plusvalenza).
a) Quelle derivanti da attività non abituali commerciali e professionali che non presuppongono la
tenuta delle scritture contabili
b) Immobili situati all'estero
c) Utilizzazione di diritti su opere dell'ingegno quando percepiscono terzi
d) Vincite e lotterie
e) Proventi illeciti non rientranti in altre categorie (come già ricordato)
Come formula di chiusura vengono citati i redditi simili o prossimi a quelli fondiari, di capitali, di
lavoro autonomo, di impresa, ma privi di un requisito tipico della categoria e perciò ascritti al
novero dei redditi diversi.
04. IL CANDIDATO SPIEGHI PERCHE' I REDDITI DIVERSI SONO DEFINITI UNA CATERGORIA RESIDUALE DI REDDITO
Il TUIR è il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, emanato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917
e successive modifiche. Il TUIR comprende gli articoli tra il 67 e il 71 dedicati alla voce Redditi
Diversi. I redditi diversi formano una categoria di reddito residuale, cioè l’insieme di redditi
percepiti al di fuori dell'esercizio di imprese, arti o professioni e che non derivano da società
commerciali o da lavoro dipendente o subordinato.
I redditi diversi quindi non fanno parte delle grandi categorie di reddito:
o d'impresa,
o di lavoro autonomo,
o di lavoro dipendente.
In qualche modo i redditi diversi, dati i suoi caratteri particolari, sono considerati una
categoria residuale proprio perché non sono riconducibili ad una categoria tipica di redditi.
1. Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti
nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in
accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:
azioni di risparmio, e di ogni altra partecipazione al capitale od al patrimonio delle società di cui
all'articolo 5,
Lezione 060
01. L'ATTUALE MISURA DELL'ALIQUOTA IRES E'
27,50%
PER LA DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE IRES OCCORRE RIFERIRSI AL RISULTATO DI BILANCIO CIVILISTICO A CUI
APPORTARE I CORRETTIVI IN AUMENTO O DIMINUZIONE DI NATURA FISCALE
L'IMPOSTA SUL REDDITO DELLE SOCIETA' DI CAPITALI E DEGLI ENTI CHE HANNO PER OGGETTO ESCLUSIVO O PRINCIPALE
L'ESERCIZIO DI ATTIVITA' COMMERCIALE
ESSERE TASSATO CON IL CRITERIO TEMPORALE DELLA COMPETENZA ECONOMICA ED ASSOGGETTATO AL PRINCIPIO DI INERENZA
IN RELAZIONE AI COMPONENTI NEGATIVI DI REDDITO
L'Imposta sul Reddito delle Società (IRES) è un'imposta personale e proporzionale con aliquota
pari al 24%. I soggetti passivi di questa imposta sono le società di mutua assicurazione, le società
cooperative e le società di capitali residenti nel territorio italiano, gli enti pubblici, gli enti privati e i
trust residenti nel territorio italiano (sia che abbiano come oggetto principale o esclusivo l'esercizio
di attività commerciale, sia che non lo abbiano), e - in più - qualsiasi tipo di società, con o senza
personalità giuridica (compresi i trust), non residente nel territorio italiano.
L'IRES è stata introdotta dal legislatore italiano per adeguare il regime fiscale delle imprese e dei
capitali alla situazione della maggior parte degli altri Paesi dell'Unione Europea, in un'ottica di
modernizzazione, e ha preso il posto dell'IRPEG, l'Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche.
L'aliquota di imposta è cambiata nel tempo con una certa frequenza: adesso, come detto, è pari al
24%, ma tra il 2008 e il 2016 è stata del 27.5%, e tra il 2004 e il 2007 era al 33%. Ai tempi
dell'IRPEG, invece, era del 37% nel 2000, del 36% nel 2001 e nel 2002 e del 34% nel 2003.
Il calcolo dell'Imposta sul Reddito delle Società varia a seconda del tipo di società: per gli enti non
commerciali residenti nel territorio italiano - che sono tenuti ad aprire una partita Iva e devono
tenere una contabilità separata per l'attività commerciale eventualmente svolta - bisogna tenere
conto di un reddito complessivo che è dato dalla somma di tutte le categorie di reddito, sulla base
delle regole di determinazione che la normativa IRPEF prevede per ognuna di esse. Per le altre
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società, una volta che è stata determinata la base imponibile non c'è altro da fare che applicare
l'aliquota, che - come detto - è pari al 24%
Lezione 061
01. I COMPONENTI POSITIVI DI REDDITO
• ricavi: sono rappresentati principalmente dalle vendite di beni o servizi in corso d’esercizio;
• proventi finanziari: per esempio gli interessi attivi maturati sui conti correnti (bancari o postali) o
sui crediti (verso clienti o soggetti diversi);
• variazione positiva delle rimanenze finali di merci, prodotti finiti, semilavorati, materie prime,
rispetto alle esistenze iniziali delle stesse.
Lezione 062
01. I COMPONENTI NEGATIVI DI REDDITO
Attraverso la disamina delle norme del TUIR si possono individuare, sinteticamente e senza
pretesa di esaustività, le principali voci riferibili all’una ed all’altra categoria.
• costi: categoria molto ampia; ad esempio, costi di acquisto delle merci, costi del personale ecc.;
• oneri finanziari: ad esempio interessi passivi che maturano su debiti verso le banche, i fornitori,
ecc.
• ammortamenti: rappresentano la quota del costo d’acquisto di alcuni beni aziendali ad utilità
pluriennale che si fa incidere sul reddito dell’esercizio;
• accantonamenti: rappresentano quote di costi che si fanno pesare sul reddito d’esercizio in
previsione di eventi futuri (es. quota fondo TFR-Trattamento Fine Rapporto);
Lezione 063
01. NELL'AMBITO DEL CONSOLIDATO MONDIALE, QUALE DI QUESTE AFFERMAZIONI NON E' CORRETTA
02. IN RELAZIONE AL CONSOLIDATO NAZIONALE, QUALE DI QUESTE AFFERMAZIONI NON E' CORRETTA
Lezione 064
01. LE SOCIETA' DI CAPITALI, IN ALTERNATIVA ALL'IRES, IN PRESENZA DI DETERMINATI PRESUPPOSTI, POSSONO
TASSARE IL REDDITO:
SECONDO IL CD. METODO DELLA TRASPARENZA, OVVERO IMPUTANDO IL REDDITO AI SOCI IN FUNZIONE DELLA QUOTA DI
PARTECIPAZIONE
l D.lgs 344/2003 ha introdotto nel nostro ordinamento gli articoli 115 e 116 del DPR n. 917/86 che
disciplinano il regime di tassazione per le società di capitali, alternativo al regime ordinario, il
c.d. regime di trasparenza fiscale.
A differenza del regime di tassazione ordinario, che prevede l’imposizione unicamente in capo al
soggetto che produce il reddito, nel regime di trasparenza fiscale, che rappresenta il regime
naturale di tassazione delle società di persone, il reddito prodotto dalla società è imputato a
ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, in proporzione alla quota di
partecipazione agli utili.
Al sussistere di specifici requisiti, tale regime può essere adottato, come previsto dagli articoli 115
e 116 del DPR n. 917/86, anche nelle:
1. Società di capitali i cui sono altre società di capitali (articolo 115 del DPR n. 917/86);
2. Srl i cui soci sono esclusivamente persone fisiche (articolo 116 DPR n. 917/86), ossia nelle
società a “ristretta base societaria”.
Per tali soggetti il regime di trasparenza fiscale è applicabile a seguito di specifica opzione, che
deve essere esercitata dalla società entro il primo periodo d’imposta di efficacia della stessa e ha
validità triennale, salvo rinnovo.
Requisiti Richiesti
I requisiti per adottare il regime della trasparenza fiscale, nelle società a ristretta base societaria,
sono disciplinati dall’articolo 116 del DPR n. 917/86, il quale prevede che:
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E’ opportuno sottolineare che la mancata comunicazione, anche solo da parte di un socio, della
volontà di esercitare la trasparenza fiscale, rende inefficace l’opzione.
In caso di Srl Unipersonale, poiché la volontà dell’unico socio coincide con quella della società,
non è richiesta la raccomandata da parte del socio, in quanto risulta comunque soddisfatta la
condizione di cognizione da parte della società della volontà dell’unico socio di optare per la
trasparenza.
Adempimenti della società
La società è tenuta comunicare all’Agenzia delle Entrate la propria opzione, per l’adesione al
regime di trasparenza fiscale. A tale fine, a seguito della modifica apportata dall’articolo 16, D.Lgs.
n. 175/2014 all’articolo 115, comma 4, del DPR n. 917/86, è stata semplificata la modalità di
adesione alla trasparenza fiscale da parte della società partecipata, prevedendo che l’opzione sia
comunicata in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi presentata nel periodo
d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitare l’opzione.
Ad esempio, se una Srl con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare vuole optare per la
trasparenza fiscale a decorrere dal periodo d’imposta x, dovrà presentare l’opzione nel Modello
Unico S.C. relativo ai redditi dell’anno x-1, quindi entro il 30 settembre dell’anno x.
L’opzione si presenta compilando l’apposita sezione del quadro OP, sezione III, del modello
Redditi S.C..
Tale sezione deve essere compilata dalla società trasparente per comunicare:
• L’esercizio dell’opzione per la trasparenza fiscale (articolo 4, comma 1, del D.M. 23 aprire
2004);
• Il rinnovo dell’opzione per la trasparenza fiscale (articolo 5 del D.M. 23 aprire 2004);
• La conferma del regime di tassazione per trasparenza (articolo 10, comma 4, del D.M. 23
aprire 2004).
Nel rigo OP11 va barrata la casella in funzione della tipologia della comunicazione effettuata.
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Nei righi da OP12 a OP15 vanno indicati i codici fiscali dei soggetti partecipanti ai sensi degli
articoli 115 e 116 del Tuir; in particolare va riportato, in colonna 1, il codice fiscale della persona
fisica partecipante e, in colonna 2, il codice fiscale della società. Nel caso di comunicazione di
conferma del regime, da effettuarsi a condizione che ricorrano
i presupposti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 115 del Tuir, devono essere riportati i dati di tutti i
soggetti interessati.
La società può comunicare telematicamente l’opzione solo se, precedentemente tutti i soci hanno
inviato alla società la raccomandata A/R con cui dichiarano l’adesione al regime.
Infatti, gli utili distribuiti dalla S.r.l., assoggettati ad IRES (27,5%), in capo alla società, sono
ulteriormente tassati in capo ai soci nella misura del 49,72%, se la partecipazione è qualificata e
del 20% se la partecipazione è non qualificata.
Per valutare la convenienza del regime di Trasparenza è necessario determinare il carico fiscale
globale di società e soci, rispetto a quello che si verifica mantenendo il regime ordinario di
tassazione.
03. IL CANDIDATO INDICHI QUALI SOCIETA' SONO AMMESSE AL REGIME DI TRASPARENZA FISCALE
L’opzione per l’applicazione della trasparenza fiscale delle società di capitali può essere
esercitata in presenza dei seguenti requisiti:
• la società partecipata residente nel territorio dello Stato deve essere costituita in una delle
seguenti forme: società per azioni, società in accomandita per azioni, società a
responsabilità limitata, società cooperativa, società di mutua assicurazione, società
consortile di cui all’articolo 2615-ter del codice civile qualora assuma la forma giuridica di
società di capitale;
• tutti i soci devono essere società costituite nelle forme dette in precedenza e ciascuna di
esse deve avere una percentuale del diritto di voto esercitabile nell’assemblea generale
prevista dall’articolo 2346 del codice civile ed una partecipazione agli utili non inferiore al
10 per cento e non superiore al 50 per cento. Le società partecipanti nella società
trasparente, quindi, non possono essere in numero inferiore a 2 né superiore a 10;
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• in presenza di soci non residenti l’opzione può essere esercitata a condizione che sugli utili
distribuiti dalla società trasparente non vi sia l’obbligo di applicazione della ritenuta alla
fonte o, nel caso in cui essa dovesse essere applicata, vi sia la possibilità dell’integrale
rimborso della stessa al socio non residente. Tale fattispecie può verificarsi nel caso di
distribuzione di dividendi da parte di una società italiana “figlia” che ha optato per il regime
di trasparenza, alla società “madre” estera. In tal caso, infatti, è applicabile l’articolo 27-
bis del D.P.R. n. 600 del 1973, che prevede la possibilità di non applicare la ritenuta a titolo
d’imposta di cui all’articolo 27, comma 3 del predetto decreto nei confronti del soggetto non
residente che percepisce il dividendo, ovvero di provvedere al rimborso della ritenuta
qualora questa sia già stata operata.
Lezione 066
Tutte queste operazioni sono improntate al principio della neutralità fiscale, che consiste nella
continuità dei valori fiscalmente riconosciuti, salvo alcune ipotesi realizzative che possono
manifestarsi in occasione delle operazioni di trasformazione eterogenea, nelle operazioni di
conferimento di partecipazioni di controllo e di collegamento o negli scambi di partecipazioni.
Sebbene l’ordinamento non ne fornisca una definizione precisa (Zizzo, G., Le operazioni
straordinarie tra realizzo e neutralità: spunti sistematici, in Riv. dir. trib., 2006, I, 519), è possibile
ricondurre alla categoria delle operazioni straordinarie tutte quelle attraverso cui una società
modifica il suo patrimonio e/o la propria compagine sociale al fine di liquidare ovvero riorganizzare
l’attività d’impresa (Fantozzi, A.-Paparella, F., Le operazioni straordinarie nelle imposte sui redditi,
in Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2014, 322).
Secondo alcuni Autori tale categoria sarebbe da ricondurre agli atti di riorganizzazione (Esposito,
R., I conferimenti in natura. Contributo allo studio degli atti di riorganizzazione nel diritto tributario,
Roma, 2004, 216; Corasaniti, G., Profili tributari dei conferimenti in natura e degli apporti in
società, Padova, 2008, 270); secondo Altri, invece, le stesse dovrebbero essere individuate in
base agli effetti che producono sui beni o sui soggetti (Lupi, R., Profili tributari della fusione di
società, Padova, 1989, 39).
Secondo altra dottrina (Fantozzi, A.-Paparella, F., Le operazioni straordinarie nelle imposte sui
redditi, cit., 328 ss.), le operazioni straordinarie potrebbero dividersi in due categorie generali: le
operazioni di disinvestimento e di realizzo in grado di generare plusvalenze latenti (e per questo
disciplinate tra le norme “ordinarie” agli articoli 58 ed 86, TUIR) e quelle di riorganizzazione che,
caratterizzate dal principio di neutralità, risultano estranee al concetto di realizzo per effetto del
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principio della continuità dei valori fiscali cui si ispirano (Pedrotti, F., Cessioni di aziende e di
partecipazioni sociali nel reddito di impresa ai fini IRES, Milano, 2010).
Lezione 067
01. Una società si definisce fiscalmente non operativa quando:
quando l’ammontare dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi è inferiore allo somma degli importi che risultano applicando
determinati coefficienti di legge
L’articolo 30 della legge 724/1994, definisce “di comodo” le società che non superano il test di
operatività, ovvero quelle società i cui ricavi “figurativi” sono superiori rispetto ai ricavi effettivi. I
ricavi figurativi sono determinati applicando coefficienti ad alcune poste dell’attivo, ovvero il 2% al
valore delle partecipazioni e titoli e relativi crediti, il 6% al valore delle immobilizzazioni costituite da
beni immobili e il 15% al valore delle altre immobilizzazioni.
Salva l’esistenza di circostanze esimenti o d’inapplicabilità della disciplina delle società di comodo,
il mancato superamento del test di operatività comporta la presunzione di imponibile minimo ai
fini delle imposte sui redditi ed IRAP.
Per la società risultata non operativa, il reddito imponibile del periodo di imposta deve essere
obbligatoriamente determinato in misura non inferiore all’ammontare della somma degli importi
derivanti dall’applicazione, ai valori dei beni posseduti nell’esercizio, delle percentuali
forfettariamente stabilite per legge. E’ inoltre applicata una maggiorazione dell’aliquota d’imposta
IRES del 10,5% al reddito presuntivamente imponibile.
Anche ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive per i soggetti risultati non operativi si
presume che il valore della produzione netta non sia inferiore al reddito minimo presunto
aumentato delle retribuzioni sostenute per il personale dipendente, dei compensi spettanti ai
collaboratori coordinati e continuativi, di quelli per prestazioni di lavoro autonomo non esercitate
abitualmente e degli interessi passivi.
La norma sopradetta ha una finalità antielusiva diretta a colpire le società costituite non per lo
svolgimento di un’attività economica, bensì con lo scopo di gestire il patrimonio dei soci che ne
hanno la disponibilità e li utilizzano nella propria sfera privata attraverso l’utilizzo dello schermo
societario usufruendo di un regime fiscale spesso più favorevole.
Lezione 068
01. GLI STUDI DI SETTORE MISURANO
I RICAVI
UNA METODOLOGIA STATISTICO MATEMATICA FINALIZZATA AD ACCERTARE SE I RICAVI O COMPENSI DICHIARATI SONO CONGRUI
RISPETTO ALLO STUDIO DI RIFERIMENTO
Lezione 069
01. L'IVA E'
SI EFFETTUA UNA CESSIONE DI BENI O PRESTAZIONE DI SERVIZI NEL TERRITORIO DELLO STATO CON CARATTERE DI ABITUALITA'
Lezione 070
01. IL CANDIDATO INDICHI QUALI SONO LE OPERAZIONI RILEVANTI AI FINI IVA
Con l’articolo 21 del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010 (cd. Manovra Correttiva 2010), convertito dalla
Legge n. 122 del 30 luglio 2010, al fine di contrastare le frodi in ambito IVA, è stato introdotto
l’obbligo di comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini dell'Imposta sul Valore Aggiunto (cd.
“spesometro”).
oggetti obbligati alla comunicazione
Sono soggetti obbligati alla comunicazione ('spesometro'):
tutti i soggetti passivi IVA che effettuano operazioni rilevati ai fini di tale imposta (ivi compresi i
soggetti che hanno aderito al regime delle nuove attività produttive ed i cd. “ex contribuenti
minimi”).
Sono esclusi dall’obbligo di comunicazione:
i cd. “nuovi contribuenti minimi”;
lo Stato, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto (per gli anni 2012 e 2013). A
decorrere dal 1° gennaio 2014, tali soggetti sono obbligati alla comunicazione delle operazioni
rilevanti ai fini IVA non documentate da fattura elettronica.
Oggetto della comunicazione
Oggetto della comunicazione sono:
le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese e ricevute dai soggetti passivi IVA che effettuano
operazioni rilevanti ai fini di tale tributo, per le quali sussiste l’obbligo di emissione della fattura,
quale che sia l'importo dell'operazione.
le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese e ricevute per le quali non ricorre l’obbligo di
emissione della fattura, di importo non inferiore ad euro 3.600, al lordo dell’imposta. Merita
precisare che laddove non sussiste obbligo, l'emissione della fattura su richiesta del cliente o su
base volontaria determina comunque l'obbligo di comunicazione, indipendentemente dall'importo
dell'operazione. Tuttavia per le operazioni attive relative agli anni 2012 e 2013 per le quali non
sussiste obbligo di emissione della fattura ma si proceda a fatturazione, da parte di commercianti
al minuto e soggetti equiparati, nonché da parte di agenzie di viaggio, opera comunque il limite
minimo pari ad euro 3.600;
le operazioni in contanti legate al turismo effettuate da parte di commercianti al minuto ed agenzie
di viaggio nei confronti di persone fisiche, non residenti, di cittadinanza diversa da quella italiana,
UE o dello Spazio Economico Europeo, per importo pari o superiore a 1.000 euro e sino a 15.000
euro.
Sono escluse dall’obbligo di comunicazione:
le importazioni;
le esportazioni di cui all'articolo 8, comma 1, lettere a) e b) del D.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972,;
le operazioni intracomunitarie;
le operazioni che hanno costituito oggetto di comunicazione all'Anagrafe Tributaria, ai sensi
dell’articolo 7 del D.P.R. n. 605 del 29 settembre 1973, e delle altre norme che stabiliscono
obblighi di comunicazione all’Anagrafe tributaria;
le operazioni di importo pari o superiore ad euro 3.600, effettuate nei confronti di contribuenti non
soggetti passivi ai fini dell’IVA, non documentate da fattura, il cui pagamento è avvenuto mediante
carte di credito, di debito o prepagate.
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Le operazioni poste in essere con operatori residenti in paesi black list non sono incluse nella
sezione del modello polivalente dedicata allo 'spesometro', in quanto oggetto di comunicazione
separata nell'apposito quadro BL.
Allo stesso modo gli acquisti effettuati da operatori residenti in San Marino sono oggetto di
comunicazione separata nel quadro SE.
Alle operazioni legate al turismo è invece dedicata la sezione TU del modello.
Lezione 071
01. IL CANDIDATO INDICHI I REQUISITI OGGETTIVI E SOGGETTIVI AFFINCHE' SI ASSUMA LA QUALIFICA DI SOGGETTO
IVA
Il presupposto del tributo si realizza infatti, quando la cessione di beni o la prestazione si servizi
viene posta in essere da un soggetto che rivesta la qualifica di esercente un'impresa o un'arte o
una professione.
Affinché l'imposta sia applicabile è necessario che il soggetto che effettua la cessione di beni o la
prestazione di servizi sia qualificato come soggetto passivo d'imposta. Con il termine soggetto
passivo d'imposta si intende, in maniera generica, chiunque eserciti in modo indipendente
un'attività economica.
Se il soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi è una persona fisica
individuale, assumono rilevanza ai fini dell'Iva le operazioni compiute dal soggetto nell'esercizio
professionale di una attività commerciale o agricola. Tutte le operazioni compiute senza riferimento
all'attività ovvero eseguite come privato sono da intendersi fuori del campo di applicazione dell'Iva.
L'acquisto dello status di soggetto passivo ai fini dell'Iva coincide con l'inizio dell'attività. In merito a
tale momento possono sorgere serie perplessità circa l'attività svolta antecedentemente alla vera e
propria gestione dell'impresa e finalizzata ad organizzare i vari fattori produttivi necessari per il
funzionamento dell'azienda.
Si considerano, ai fini iva, cessioni di beni il trasferimento a titolo oneroso della proprietà
ovvero la costituzione ovvero il trasferimento di diritti reali di godimento di beni; inoltre
sono operazioni assimilate alle cessioni di beni i contratti di commissione, le assegnazioni
di beni ai soci, la destinazione di beni all’uso o al consumo personale o familiare
dell’imprenditore o di coloro che esercitano un’arte o professione (cosiddetto autoconsumo)
o a finalità estranee all’impresa o all’esercizio dell’arte e professione.
In via generale affinché una operazione di cessione di beni rilevi ai fini Iva è necessario, come
detto, che il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento sugli stessi avvenga a
titolo oneroso. Pertanto, in linea generale, rimangono escluse dall'ambito di applicazione dell'Iva le
cessioni effettuate a titolo gratuito.
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Si considerano prestazioni di servizi tutte quelle prestazioni dipendenti da semplici atti quando
vengono effettuate verso un corrispettivo, quindi a titolo oneroso; le prestazioni di servizi a
titolo gratuito, sono escluse dal campo di applicazione dell’iva, salvo che nell’ipotesi di
autoconsumo (cosiddetto autoconsumo di servizi) come sopra definito.
In ogni caso si considerano effettuate nell'esercizio dell'impresa e quindi sono sempre soggette ad
IVA:
- le cessioni e le prestazioni poste in essere dalle società commerciali di ogni tipo, quindi società di
persone (snc, sas), società di capitali
- le cessioni e le prestazioni poste in essere dagli Enti pubblici e privati, diversi dalle società, che
hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole.
Come noto non rientrano nell’ambito di applicazione dell’Iva, per carenza del requisito soggettivo, i
servizi resi da collaboratori coordinati e continuativi e le prestazioni di lavoro rese dagli “associati in
partecipazione”, salvo tali prestazioni non siano rese da soggetti per i quali le stesse rientrano
nell’oggetto dell’attività svolta per professione abituale.
diviene esigibile. Solo in tale momento sorgono gli obblighi dei contribuenti, quali ad esempio la
fatturazione, la registrazione, la liquidazione, il versamento e la dichiarazione.
Si ricorda che tutti i requisiti sopra indicati devono essere presenti insieme e
contemporaneamente. Se manca uno solo di essi, l'operazione è posta fuori campo Iva e, in
genere, non è soggetta ad alcun obbligo previsto dalla disciplina per assenza del presupposto
soggettivo.
Lezione 072
L’esigibilità dell’imposta – Quando è venuta ad esistenza l’imposta sul valore aggiunto, dobbiamo
stabilire il momento in cui diventa esigibile, da quando cioè decorre il computo a debito del cedente
o prestatore. A parte le regole speciali dell’IVA per cassa, la correlazione tra effettuazione ed
esigibilità è disciplinata dal quinto comma dell’articolo 6 legge IVA, secondo questi principi:
1) salvo deroghe l’esigibilità coincide con il momento di effettuazione;
2) anche nel caso di emissione della fattura, l’esigibilità è differita all’atto del pagamento per le
forniture di medicinali da parte dei farmacisti, per le cessioni o prestazioni ai soci, associati o
partecipanti e per le cessioni o prestazioni agli enti pubblici indicati nella norma;
3) rinvio al mese successivo a quello di consegna per le fatture “differite triangolari”.
L’articolo 7 del Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185, come noto, convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, ha esteso la possibilità di effettuare cessioni di
beni e prestazioni di servizi per le quali l’imposta sul valore aggiunto diventa esigibile al momento
dell’effettiva riscossione del corrispettivo anche alle operazioni effettuate nei confronti di cessionari
o committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione.
Infatti, il differimento dell’esigibilità dell’IVA era già previsto dall’articolo 6, quinto comma, del
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ma limitatamente alle operazioni effettuate nei confronti di alcune
specifiche tipologie di soggetti, aventi in genere natura pubblica, tra i quali lo Stato, gli enti
pubblici territoriali, le unità sanitarie locali, le camere di commercio...
Il differimento della esigibilità ora introdotto dal provvedimento normativo di cui con il presente
articolo si dà notizia è però limitato nel tempo: l’imposta diviene, comunque, esigibile dopo il
decorso di un anno dal momento di effettuazione dell’operazione, a meno che, prima del decorso
di tale termine, il cessionario o committente sia stato assoggettato a procedure concorsuali o
esecutive.
Inoltre, il differimento dell’esigibilità dell’IVA comporta che il debito d’imposta verso l’erario a carico
del cedente o prestatore (e,correlativamente, il diritto alla detrazione spettante al relativo
cessionario o committente) sorge, in ogni caso, al momento del pagamento dei corrispettivi. Si
intende, in tal modo, ovviare agli effetti particolarmente gravosi, che comporterebbero
l’anticipazione del versamento dell’IVA da parte del cedente o prestatore, nell’ipotesi in cui il
pagamento dei corrispettivi avvenga in un momento successivo a quello dell’effettuazione delle
operazioni.
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Lezione 073
03. IL CANDIDATO ILLUSTRI LA DIFFERENZA TRA OPERAZIONI IMPONIBILI, NON IMPONIBILI ED ESENTI AI FINI IVA
Il decreto IVA (d.p.r. 633/1972) classifica le operazioni IVA in tre macro categorie: imponibili, non
imponibili ed escluse. Per poter effettuare tale distinzione occorre necessariamente conoscere i
requisiti previsti per l’imponibilità IVA delle operazioni commerciali ovvero i tre presupposti
delle operazioni imponibili IVA.
Si tratta di una distinzione fondamentale per imprese e professionisti. Basti pensare, a titolo
puramente esemplificativo, ai nuovi adempimenti IVA come lo spesometro e le comunicazioni delle
liquidazioni (cd Lipe), per adempiere correttamente i quali è necessario conoscere bene questi
concetti.
• presupposto oggettivo, nel senso che deve trattarsi di un’operazione che ai fini IVA
possa essere inquadrata come «cessione di beni» o «prestazione di servizi» (vedi articoli 2
e 3 decreto IVA);
• presupposto soggettivo, nel senso che l’operazione deve essere realizzata nell’esercizio
di impresa, arte o professione (vedi articoli 4 e 5 decreto IVA);
• presupposto territoriale, nel senso che l’operazione considerata deve essere effettuata in
Italia nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 7 del decreto IVA.
A seconda della sussistenza o meno di tali presupposti è possibile procedere alla classificazione
delle operazioni IVA.
In questo senso esiste una differenza terminologica dalla direttiva IVA (l’unica vera imposta
armonizzata dell’Unione Europea) e il decreto IVA nazionale.
Infatti, mentre la normativa comunitaria distingue sostanzialmente le operazioni IVA in imponibili o
esenti, la normativa nazionale è più articolata.
Il decreto IVA classifica le operazioni in rilevanti (imponibili, non imponibili ed esenti) e non rilevanti
(escluse) a seconda che esse producano o meno il sorgere di obblighi formali e sostanziali.
Di conseguenza, sono operazioni imponibili IVA le cessioni di beni e/o prestazioni di servizi
realizzate nell’esercizio di impresa, arte o professione svolta nel territorio dello Stato italiano.
Il classico esempio di operazioni non imponibili IVA sono le cessioni all’esportazione. In questo
caso, infatti, manca il presupposto territoriale (l’operazione IVA è realizzata al di fuori del territorio
dello Stato) ma sorgono tutti gli obblighi formali e sostanziali previsti dalla normativa IVA.
Le operazioni esenti IVA articolo 10 sono quelle operazioni che per ragioni sociali o tecniche
sono escluse dal campo di applicazione IVA per esplicita previsione normativa.
Tuttavia, trattandosi di operazioni che soddisfano tutti e tre i presupposti IVA, le operazioni esenti
IVA articolo 10 danno luogo al sorgere di una serie di adempimenti formali (fatturazione,
registrazione, ecc.)
72) Il canidato indichi in che modo viene determinata l’IVA da versare all’orario.
L’Iva (Imposta sul Valore Aggiunto) è la principale imposta indiretta. È così chiamata perché
colpisce il «valore aggiunto» della merce inteso come differenza fra il valore dei beni o servizi
prodotti e venduti e il valore dei beni e servizi acquistati per la realizzazione del bene o servizio
finale (differenza tra il prezzo di vendita e il costo di acquisto).
Nell’esempio proposto il valore aggiunto è pari a € 300. Supponendo che a quel prodotto si
applichi l’aliquota Iva ordinaria del 21%, l’imposta sul valore aggiunto sarà di € 63 (300 × 0,21).
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La «liquidazione» dell'Iva
Come regola generale1 tutti i contribuenti devono liquidare e, se dovuta, versare l’Iva
con periodicità mensile. Il versamento deve essere effettuato entro il giorno 16 del mese
successivo a quello di riferimento: ad esempio, l’Iva conteggiata (liquidata) per il mese di marzo
(relativa cioè alle operazioni effettuate in tale mese) deve essere versata entro il 16 aprile.
possono effettuare tale versamento con periodicità trimestrale, maggiorando però gli importi
dell’1% di interessi (salvo casi particolari), da versare entro il 16 del secondo mese successivo.
Qualora, come prima detto, venga rilevato un credito, verrà riportato in detrazione nella successiva
liquidazione periodica.
Tutti i soggetti titolari di Partita Iva (con qualche eccezione) devono presentare la dichiarazione
Iva annuale, riepilogativa delle operazioni Iva eseguite nell’anno precedente. Di solito detta
dichiarazione può essere inviata all’Agenzia delle Entrate autonomamente o assieme alla
dichiarazione dei redditi Irpef/Ires e Irap.
• gli importi delle operazioni imponibili e delle imposte distinti per aliquota, sia per le fatture emesse
che per quelle d’acquisto;
Lezione 074
01. PER LIQUIDAZIONE PERIODICA IVA SI INTENDE:
LA DIFFERENZA MENSILE O TRIMESTRALE TRA L'IVA ASSOLTA SUGLI ACQUISTI E L'IVA SULLE VENDITE
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03. IL CANDIDATO INDICHI IN CHE MODO VIENE DETERMINATA L'IVA DA VERSARE ALL'ERARIO
Il contribuente deve versare l’IVA con periodicità mensile o trimestrale. Per poter
calcolare l’importo da corrispondere alle Entrate, il contribuente dovrà innanzitutto
calcolare l’Iva esigibile nel mese (trimestre) precedente, risultante dalle annotazioni
eseguite o da eseguire nei registri relativi alle fatture emesse o ai corrispettivi delle
operazioni imponibili.
A tale importo il contribuente dovrà sottrarre – di contro – l’Iva che risulta dalle
annotazioni eseguite nei registri relativi ai beni e ai servizi acquistati, sulla base dei
documenti di spesa di cui è in possesso e per i quali il diritto alla detrazione viene
esercitato nello stesso mese.
Una volta ottenuta l’IVA netta di competenza del mese, il contribuente dovrà altresì
tenere conto della possibilità di sottrarre dall’importo così conseguito l’eventuale
credito di imposta del periodo precedente o, di contro, sommare l’eventuale debito di
imposta del periodo precedente (qualora ammonti a meno di 25,82 euro).
L'IVA pagata sugli acquisti non è un costo per l'impresa compratrice ma costituisce un suo credito verso lo Stato.
Analogamente, l'impresa che vende un bene o fornisce un servizio riscuote un importo così determinato:
L'IVA riscossa sulle vendite non è un ricavo per l'impresa venditrice ma costituisce un suo debito verso lo Stato.
La differenza che in un certo periodo di tempo risulta tra l'IVA riscossa su tutte le vendite (IVA a debito) e l'IVA pagata su tutti gli acquisti (IVA a credito) costituisce l'ammontare dell'imposta da versare allo Stato:
IVA sulle vendite - IVA sugli acquisti = IVA da versare allo Stato
La regola ora esposta è conosciuta come deduzione di imposta da imposta ed esprime il procedimento per il calcolo del saldo a debito IVA da versare periodicamente allo Stato. La periodicità del versamento allo
Stato è di regola mensile, ma può essere trimestrale per le imprese con volume d'affari non elevato.
Qualora l'IVA a debito risulti inferiore all'IVA a credito l'impresa determina un saldo a credito nei confronti dello Stato e potrà dedurlo dall'eventuale versamento del periodo successivo.
Lezione 075
I soggetti che effettuano esclusivamente operazioni esenti non possono portare in detrazione l’IVA
afferente gli acquisti di beni e servizi; per i soggetti che, invece, effettuano promiscuamente
operazioni esenti ed operazioni che danno diritto a detrazione, questa è limitata in base al pro-rata.
In base al principio generale fissato dall’art. 19, comma 2, D.P.R. n. 633/1972, “non è detraibile
l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o
comunque non soggette all'imposta, salvo il disposto dell'articolo 19-bis2”.
Le operazioni “esenti” sono quelle indicate nell’art. 10 del decreto IVA (per espressa previsione di
legge, recata dall’art. 19, comma 3, lettera d, la indetraibilità di cui al comma 2 non si applica per le
cessioni di oro da investimento, effettuate da soggetti che producono oro da investimento o
trasformano oro in oro da investimento).
Il comma 5 stabilisce che “ai contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo ad operazioni
che conferiscono il diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti ai sensi
dell'art. 10, il diritto alla detrazione dell'imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria
di operazioni e il relativo ammontare è determinato applicando la percentuale di detrazione di cui
all'articolo 19-bis” (c.d. pro-rata di detrazione).
Dal combinato disposto delle due disposizioni emerge che i soggetti che effettuano esclusivamente
operazioni esenti non possono portare in detrazione l’IVA afferente gli acquisti di beni e servizi
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mentre per i soggetti che effettuano promiscuamente operazioni esenti ed operazioni che danno
diritto a detrazione, questa è limitata in base al pro-rata.
La finalità della norma è quella di consentire al contribuente che abbia effettuato operazioni
imponibili e operazioni esenti il diritto alla detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti o
importazioni, o a lui addebitata dai fornitori a titolo di rivalsa, solo limitatamente alla parte
imputabile proporzionalmente (pro-rata) alle operazioni imponibili e alle operazioni a queste a tal
fine assimilate, effettuate nel periodo d’imposta.
Il pro-rata si applica a tutta l’imposta a monte e non soltanto a quella relativa ai beni e servizi ad
uso promiscuo. “Ciò sta a significare che i soggetti che si trovano nell’anzidetta situazione, che
svolgono, cioè, attività imponibile ed attività esente, non devono procedere ad alcuna distinzione
degli acquisti dei beni e dei servizi, a seconda della loro destinazione in operazioni imponibili o in
operazioni esenti, poiché l’imposta detraibile è determinata applicando il pro-rata a tutta l’imposta
assolta sugli acquisti” (C.M. n. 328/E del 24 dicembre 1997, par.3.3.).
I soggetti che optano per la dispensa dagli adempimenti per le operazioni esenti effettuate, di cui
all’art. 36-bis, D.P.R. n. 633/1972, non sono ammessi alla detrazione dell’IVA sugli acquisti. In tale
caso, la indetraibilità è totale e si applica, in deroga al criterio del pro-rata, anche qualora il
contribuente, unitamente alle operazioni esenti, effettui anche operazioni imponibili.
a) attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto di detrazione ed attività esenti.
Si precisa che il contribuente esercita più attività quando l’esercizio dell’impresa, arte o professione
può essere scisso in diversi settori, suscettibili, ognuno di essi, di formare oggetto di autonoma
attività d'impresa, artistica o professionale (R.M. n. 415845 del 26 novembre 1986, Dir. Gen.
Tasse);
In tali casi, tuttavia, torna applicabile, ai fini della determinazione dell’imposta detraibile, il criterio
generale dell’utilizzazione specifica dei beni e servizi, con indetraibilità dell’imposta afferente i beni
e servizi impiegati nelle operazioni esenti.
102
Che cosa è il pro-rata. Il pro-rata è la percentuale di detraibilità per coloro che effettuano
promiscuamente attività od operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione ed attività od
operazioni esenti.
Applicando tale percentuale all’IVA sugli acquisti di beni e servizi, il contribuente ottiene l’imposta
detraibile in sede di liquidazione periodica o di dichiarazione annuale.
Lezione 078
01. Per quanto riguarda l'imposta di registro, si può affermare che:
è un’imposta indiretta sulle attività giuridiche dovuta dal richiedente la registrazione di un atto
L'imposta di registro è un tributo previsto dall'ordinamento della Repubblica italiana dovuto per la
registrazione di determinati atti giuridici presso l'Agenzia delle Entrate (prima dell'unificazione degli
uffici fiscali la registrazione era effettuata presso l'Ufficio del Registro).
Si presenta come tributo avente natura di tassa, quando è correlata all'erogazione di un servizio da
parte della pubblica amministrazione, di imposta quando è determinata in proporzione al valore
economico dell'atto o del negozio.
Essa è regolata dal Testo unico dell'imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n.
131.
Sono soggetti passivi dell'imposta, o meglio debitori di imposta, coloro i quali pongono in essere o
che si avvantaggiano dell'atto soggetto a registrazione. Tuttavia, ci sono altri soggetti, detti
responsabili solidali con l'obbligato principale, che possono avere una serie di obblighi sia per la
richiesta di registrazione che per il pagamento dell'imposta.
L'imposta di registro è un tributo previsto dall'ordinamento della Repubblica italiana dovuto per la
registrazione di determinati atti giuridici presso l'Agenzia delle Entrate (prima dell'unificazione degli
uffici fiscali la registrazione era effettuata presso l'Ufficio del Registro).
Si presenta come tributo avente natura di tassa, quando è correlata all'erogazione di un servizio da
parte della pubblica amministrazione, di imposta quando è determinata in proporzione al valore
economico dell'atto o del negozio.
Essa è regolata dal Testo unico dell'imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n.
131.
Sono soggetti passivi dell'imposta, o meglio debitori di imposta, coloro i quali pongono in essere o
che si avvantaggiano dell'atto soggetto a registrazione. Tuttavia, ci sono altri soggetti, detti
responsabili solidali con l'obbligato principale, che possono avere una serie di obblighi sia per la
richiesta di registrazione che per il pagamento dell'imposta.
È bene distinguere, quindi, tali categorie.
a) soggetti obbligati alla registrazione:
• le parti contraenti per le scritture private non autenticate, per i contratti verbali e per gli atti
pubblici e privati formati all'estero (o in generale per gli atti compiuti senza assistenza di un
pubblico ufficiale);
• i notai, gli uffici giudiziari, i segretari o delegati della PA per gli atti da essi redatti,
103
ricevuti o autenticati;
• i cancellieri e i segretari per le sentenza, i decreti e gli atti giurisdizionali;
• gli impiegati dell'amministrazione finanziaria e gli appartenenti al corpo della Guardia di
Finanza per gli atti da registrare d'ufficio ai sensi dell'art. 15 del TUR;
• i rappresentanti o responsabili delle società o enti esteri per le loro operazioni;
• gli agenti immobiliari, solidalmente con le parti, per le scritture private non autenticate di
natura negoziale stipulate in seguito alla loro attività.
È bene notare che nei casi in cui una delle parti è lo Stato, l'imposta di registro grava sull'altro
contraente; fanno eccezione gli atti delle amministrazioni statali registrati volontariamente, dove la
registrazione è gratuita.
Nel caso si verifichino espropri per pubblica utilità o trasferimenti coattivi della proprietà, l'imposta
di registro è a carico dell'ente espropriante o acquirente; se è lo Stato ad espropriare, la
registrazione sarà gratuita.
Lezione 079
01. L'APPLICAZIONE DELL'IMPOSTA DI REGISTRO
L'imposta di Registro è una imposta erariale di tipo indiretto dovuta sugli atti che dispongono il
trasferimento di beni, materiali e immateriali, mobili ovvero immobili, e di diritti a contenuto
patrimoniale. L'imposta di registro si applica sia agli atti soggetti a registrazione obbligatoria, che a
quelli registrati volontariamente dalle parti.
La registrazione oltre che assolvere il tributo dovuto, conferisce all'atto la certezza della sua
esistenza di fronte ai terzi.
L'imposta di registro colpisce in via generale tutti gli atti in forma scritta a contenuto
patrimoniale formati nel territorio dello Stato o, se formati all'estero, aventi ad oggetto il
trasferimento di diritti reali o la locazione o l'affitto di beni immobili situati in Italia o di
aziende con sede in Italia.
Invece, gli accordi verbali sono tassati solo nei casi espressamente previsti nella norma, e nel caso
in cui vengono enunciati in atti scritti registrati.
Tale tributo assolve peraltro ad una funzione probatoria; difatti, come stabilito dall’articolo 18 del
DPR 131/1986 (da adesso TUR), la registrazione attesta l’esistenza degli atti ed attribuisce ad
essi data certa di fronte ai terzi, ai sensi dell’articolo 2704 del codice civile.
104
La disposizione civilistica succitata prevede che “la data della scrittura privata della quale non è
autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la
scrittura è stata registrata …” .
Gli effetti or ora descritti non riguardano ovviamente gli atti pubblici e le scritture private
autenticate, in quanto la certezza della data dell’atto viene conferita per effetto dell’intervento del
pubblico ufficiale rogante che riceve l’atto pubblico o che autentica le sottoscrizioni.
Lezione 080
Sono obbligati al pagamento dell'imposta ipotecaria coloro che richiedono le formalità e i pubblici
ufficiali obbligati al pagamento dell'imposta di registro o dell'imposta sulle successioni e donazioni,
relativamente agli atti ai quali si riferisce la formalità.
Sono inoltre solidalmente tenuti al pagamento delle imposte tutti coloro nel cui interesse è stata
richiesta la formalità e, nel caso di iscrizioni e rinnovazioni, anche i debitori contro i quali è stata
iscritta o rinnovata l'ipoteca.
Per l’imposta ipotecaria e catastale sulla prima casa, cioè nel caso di un immobile acquistato e
destinato ad abitazione principale, sono previste delle agevolazioni. Per un immobile da destinare
ad abitazione principale comprato da un privato, l’imposta ipotecaria e l’imposta catastale sono
pari a 50 euro ciascuna, e ad esse si aggiunge un’imposta di registro pari al 2%. Per un immobile
da destinare ad abitazione principale comprato da una ditta costruttrice, invece, l’imposta
ipotecaria e l’imposta catastale sono pari a 200 euro ciascuna, e ad esse si aggiunge il
versamento dell’Iva pari al 4%.
Per quel che riguarda l’imposta ipotecaria e catastale seconda casa, in assenza dei requisiti di cui
l’acquirente può beneficiare per richiedere le agevolazioni concesse per la prima casa i versamenti
variano a seconda di chi vende l’immobile. Se la seconda casa viene acquistata da un privato o da
un’impresa esente da Iva, oltre alle imposte di registro pari al 90% si hanno un’imposta catastale
da 50 euro e un’imposta ipotecaria da 50 euro; se, invece, la seconda casa viene acquistata da
un’impresa soggetta a Iva, sia l’imposta catastale che quella ipotecaria sono di 200 euro (l’Iva è al
105
10% in tutti i casi tranne che per gli immobili di lusso, che presuppongono un’Iva al 22%). La
cessione è da considerarsi esente da Iva, se il venditore è un’impresa, a meno che la vendita sia
effettuata entro cinque anni dalla conclusione della costruzione. Il venditore, in ogni caso, ha la
possibilità di decidere di sottoporre a Iva la cessione, ma a patto di manifestare tale scelta
specificandolo nell’atto di vendita.
Nel caso di una dichiarazione di successione, è necessario pagare un’imposta ipotecaria pari al
2% del valore degli immobili che sono stati dichiarati in successione. Non devono essere prese in
considerazione eventuali passività, come invece si fa con l’imposta di successione, il che vuol dire
che l’intero valore immobiliare è la base per il calcolo della percentuale. Per quel che riguarda
l’imposta catastale per una dichiarazione di cessione, invece, la percentuale è pari all’1%.
Nel caso in cui uno o più beni immobili siano oggetto di donazione, è necessario provvedere al
pagamento dell’imposta ipotecaria e catastale: la prima è pari al 2%, mentre la seconda è pari
all’1%. Se si tratta di prima casa, tuttavia, si applicano le condizioni viste in precedenza, con il
versamento di una quota fissa di 50 euro. Il versamento delle imposte su una donazione deve
essere effettuato nel momento in cui viene registrato l’atto pubblico, vale a dire in presenza di un
notaio.
Lezione 081
01. IL CANDIDATO INDICHI LE CATEGORIE DEI SOGGETTI OBBLIGATI AL PAGAMENTO DELL'IMPOSTA CATASTALE
Sono obbligati al pagamento dell'imposta ipotecaria coloro che richiedono le formalità e i pubblici
ufficiali obbligati al pagamento dell'imposta di registro o dell'imposta sulle successioni e donazioni,
relativamente agli atti ai quali si riferisce la formalità.
Sono inoltre solidalmente tenuti al pagamento delle imposte tutti coloro nel cui interesse è stata
richiesta la formalità e, nel caso di iscrizioni e rinnovazioni, anche i debitori contro i quali è stata
iscritta o rinnovata l'ipoteca.
Ogni atto in cui si pattuisca la vendita, la donazione, il passaggio per successione di un immobile,
la costituzione di diritti o l’iscrizione di ipoteche su di esso è pertanto soggetto ad imposta
catastale, in quanto ne è obbligatoria la voltura in catasto.
L’imposta catastale è correlata all’imposta ipotecaria, ed ha presupposti e caratteristiche analoghe.
Anche l’imposta catastale non è infatti dovuta in presenza di trasferimenti immobiliari avvenuti
nell’interesse dello Stato o per donazioni a favore di Regioni, Provincie e Comuni, di enti e
fondazioni riconosciute legalmente, di ONLUS.
Lezione 082
01. L’imposta sulle successioni si definisce
Il criterio per la determinazione dell'imposta è il riferimento al 'valore complessivo netto' dei beni
caduti in successione.
1) si procede alla determinazione del valore globale netto (attività meno passività deducibili)
2) si procede a ridurre il valore così ricavato, per quanto riguarda l'eredità o le quote ereditarie, dei
legati che le gravano, e per quanto riguarda i legati, degli oneri che li gravano;
3) si procede a maggiorare il valore "globale netto" "ai soli fini dell'aliquota dell'imposta di
successione" di un importo pari a quello delle donazioni;
4) si ripartisce il valore netto per quote e, da ogni singola quota si detrae la franchigia. Il concorso
infatti alla successione di soggetti legati da rapporti diversi con il disponente (ad es. un figlio ed un
fratello), sia pure in quote uguali, potrebbe comportare differenti soluzioni fiscali in presenza di una
differenze franchigia.
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5)infine, si applica la presunzione per mobili e gioielli, da calcolarsi sul "valore globale netto
imponibile" in misura pari al 10%. Resta dubbio se per "valore globale netto imponibile" si debba
intendere quello determinato prima o dopo la franchigia.
Per quanto riguarda i presupposti, dobbiamo dire che la legge 286/2006 (art 2), stabilisce che
l’imposta sulle successioni e donazioni è dovuta:
▪ Sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte
▪ Per donazioni
▪ Per altri trasferimenti a titolo gratuito
▪ Sulle costituzioni di vincoli di destinazione
Presupposto indispensabile per il pagamento dell'imposta di successione è la presentazione della
dichiarazione di successione, da farsi obbligatoriamente entro un anno dal decesso del de
cuius.
Di essa devono farsi carico innanzitutto gli eredi, ma anche i legatari, i trust e i curatori di eredità
giacente o gli altri esecutori testamentari. Anche in presenza di più eredi o soggetti legittimati è
possibile presentare un'unica dichiarazione.
La dichiarazione di successione va redatta su un apposito modello (il Modello 4) nel quale vanno
indicati le generalità degli eredi, l'attivo ereditario, il passivo ereditario e le donazioni e le liberalità
che gli eredi abbiano eventualmente ricevuto prima della morte del de cuius da parte dello stesso.
Tale modello, una volta compilato, va presentato all'Agenzia delle entrate della circoscrizione
nella quale risiedeva il defunto al momento del decesso.
In ogni caso, se l'asse ereditario è inferiore o pari a 100mila euro e in esso non rientrano beni
immobili, il coniuge, i figli, i genitori e gli altri parenti in linea retta del defunto non sono tenuti a
presentare la dichiarazione di successione.
Lezione 083
01. L’imposta sulle donazioni ha come presupposto:
l’arricchimento a titolo gratuito del beneficiario
l'imposta sulle donazioni ha come presupposto l’esistenza di un atto donazione o altro atti di
liberalità stipulato in forma scritta.
L'imposta si applica sui trasferimenti di beni e diritti per donazione o a titolo gratuito e sulla
costituzione di vincoli di destinazione (effettuati tra vivi o mediante testamento), derivanti da atti
soggetti a registrazione.
Lezione 084
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Per quanto riguarda il presupposto delle accise, il dato normativo di riferimento è, certamente, da
individuale nell'articolo 2 del Testo unico, il quale scinde temporalmente il momento in cui nasce
l'obbligazione tri- butaria, da quello in cui essa diviene concretamente esigibile. In partico- lare, il
presupposto delle imposte in esame, il loro fatto generatore, viene individuato testualmente nella
fabbricazione o importazione dei prodotti, come previsto al comma 1, mentre la loro esigibilità
viene rinviata al mo- mento in cui i prodotti medesimi sono immessi al consumo nel territorio dello
Stato, come espressamente previsto dal comma 2.
Siffatta scissione temporale dei fatti rilevanti per il sorgere dell'ob- bligazione tributaria non può
però portare a svalutare l'immissione al consumo, considerandola estranea al presupposto
dell'imposta, e dunque ritenendola ora come mera ‹‹condizione di esigibilità›› , ora come ‹‹termine
di scadenza›› del tributo , ora come qualità materiale della merce estratta da depositi fiscali.
Lezione 085
01. LE IMPOSTE DOGANALI
Le imposte doganali sono quei diritti che la dogana è tenuta, in base alla legge, a riscuotere in
relazione alle operazioni doganali. Tra i diritti doganali assumono particolare rilievo i diritti di
confine (che comprendono i dazi di esportazione e quelli di importazione), i diritti di monopolio, le
sovraimposte di confine etc.
Si tratta, dunque, di un gruppo di entrate con diverse caratteristiche ma con una matrice comune:
sono prelevate all’atto delle operazioni doganali. Il presupposto per l’obbligazione tributaria
doganale è dato:
per le merci estere, dalla loro destinazione al consumo nel territorio doganale italiano;
per le merci da esportare, dalla destinazione al consumo in uno Stato estero.
Soggetti passivi obbligati al pagamento dei diritti doganali sono il proprietario (cioè colui che
presenta la merce in dogana o la detiene all’atto dell’importazione) e tutti i soggetti per conto dei
quali la merce viene esportata o importata.
A seguito di presentazione della dichiarazione doganale è dovuto il pagamento dei tributi in parola
calcolati in base alla apposita tariffa doganale
Le imposte di fabbricazione colpiscono, nella fase della produzione, una serie di merci
tassativamente indicate dalla legge. Attualmente scontano tali imposte: la birra, gli spiriti, gli olii
minerali, i fiammiferi. I soggetti passivi percossi sono i produttori di tali materie, anche se il tributo
viene in realtà ad incidere sul consumatore finale. In corrispondenza di ciascuna imposta di
fabbricazione lo Stato, per garantire l’uguaglianza del prelievo fiscale, istituisce particolari
sovraimposte di confine su analoghi prodotti importati. Nel corso del ’95 l’intera normativa è stata
accorpata in un testo unico sulle accise che disciplina l’imposizione indiretta sulla produzione e sui
consumi, escluse quelle sui tabacchi e sui fiammiferi.
Lo Stato interviene in particolari settori economici in cui intende esercitare in modo esclusivo la
produzione e/o la vendita di determinati beni o servizi, vietando a terzi l’esercizio di tali attività.
Scopo del monopolio fiscale è essenzialmente quello di assicurare all’erario il conseguimento di
entrate, realizzando proventi attraverso la limitazione dell’attività privata e la vendita di prodotti o
servizi. La somma che il privato deve corrispondere per acquistare tali beni (o servizi) supera
l’effettivo costo di produzione sostenuto dallo Stato: la parte eccedente il costo è perciò
comprensiva dell’utile industriale e dell’imposta. Attualmente in Italia costituiscono monopoli fiscali
quelli relativi alla fabbricazione dei tabacchi, all’esercizio del gioco del lotto e delle lotterie
nazionali, all’esercizio dei giochi di abilità e dei concorsi pronostici.
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Lezione 086
01. Il bollo è:
una imposta
Sulla base di tale denuncia l'ufficio provvede a liquidare, in via provvisoria, l'imposta dovuta per
l'anno successivo, il cui ammontare dev'essere corrisposto in rate trimestrali a partire dal 15
giugno.
Per quanto riguarda la riscossione coattiva, il contenzioso e la disciplina delle sanzioni, la legge fa
espresso rinvio alle norme vigenti in tema di registro e contenzioso e quindi attualmente ai d.P.R.
26 ottobre 1972 nn. 634 e 636.
03. PER QUALI ATTIVITA' E' DOVUTA L'IMPOSTA SUGLI INTRATTENIMENTI E I GIOCHI
L’imposta sugli intrattenimenti (ISI) è dovuta sulle attività ludiche e di intrattenimento previste nella
tariffa allegata al dpr 640/1972. Ecco i casi di applicazione e quanto si paga.L’imposta sugli
intrattenimenti (ISI) 2016 è regolata dal D. Lgs. 60/1999 e ha sostituito, a partire dal 2000, la
precedente imposta sugli spettacoli. Si tratta di un’imposta che colpisce i ricavi derivanti da alcune
attività del settore dello spettacolo, degli intrattenimenti e dei giochi.
Imposta sugli intrattenimenti (ISI) 2015: differenza tra intrattenimento e spettacolo
In materia di imposta sugli intrattenimenti (ISI) 2016 occorre innanzitutto prestare grande
attenzione alla differenza tra intrattenimento e spettacolo.
Secondo quanto chiarito dalla circolare ministeriale n. 165/E del 07.09.2000:
l’intrattenimento comprende le attività che presentano un prevalente aspetto ludico e di
puro divertimento e implica la partecipazione attiva all’evento;
lo spettacolo, invece, è caratterizzato dalla partecipazione prevalentemente passiva dello
spettatore all’evento rappresentato, che assume anche una connotazione culturale.
Imposta sugli intrattenimenti (ISI) 2016: quali sono le attività soggette
In materia di imposta sugli intrattenimenti (ISI) 2016 occorre poi verificare quali attività siano
assoggettate a tale imposizione.
110
A questo proposito, occorre fare riferimento alla tariffa allegata al D.P.R. 640/1972 ovvero alle
seguenti attività:
esecuzioni musicali di qualsiasi genere (esclusi i concerti vocali e strumentali) e
trattenimenti danzanti anche in discoteche e sale da ballo quando l’esecuzione di musica
dal vivo è di durata inferiore al 50% dell’orario complessivo di apertura al pubblico
dell’esercizio;
utilizzazione dei bigliardi, degli elettrogrammofoni, dei bigliardini e di qualsiasi tipo di
apparecchio e congegno a gettone, a moneta o scheda, da divertimento o trattenimento,
anche se automatico o luoghi pubblici o aperti al pubblico sia in circoli che in associazioni di
qualunque specie; utilizzazione ludica di strumenti multimediali; gioco del bowling; noleggio
go-kart;
ingresso nelle sale da gioco o nei luoghi specificatamente riservati all’esercizio delle
scommesse;
esercizio del gioco nella case da gioco e negli altri luoghi a ciò destinati.
Imposta sugli intrattenimenti (ISI) 2016: è dovuta anche dalle associazioni?
L’imposta sugli intrattenimenti (ISI) 2016 non è dovuta dall’associazione culturale, sportiva o
comunque non profit che utilizza determinati strumenti e apparecchi nell’ambito delle attività
istituzionali svolte nei confronti dei soci.
Se, invece, l’utilizzo degli apparecchi è continuativo, rivolto alla generalità degli utenti e finalizzato
ad ottenere un guadagno l’associ
L'imposta di bollo, nel sistema fiscale italiano, è un'imposta applicata alla produzione, richiesta o
presentazione di determinati documenti.
È regolata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 642 del 26 ottobre 1972.
Questo decreto è composto da:
• una Tariffa - Parte prima - Atti, documenti e registri soggetti all'imposta fin dall'origine.[1]
• una Tariffa - Parte seconda - Atti e scritti soggetti all'imposta di bollo solo in caso d'uso.[2]
• una Tabella - Atti documenti e registri esenti in modo assoluto dall'imposta di bollo.[3][4]
Questa legge stabilisce se e quanto bisogna pagare di bollo negli atti, nei documenti, nelle
denunce e nelle domande che si producono, si richiedono o si presentano a qualche ufficio o ente.
Per fare qualche esempio riferendosi alla realtà quotidiana:
Modi di pagamento
L'imposta di bollo si corrisponde secondo le indicazioni della tariffa allegata:
a) mediante pagamento dell'imposta ad intermediario convenzionato con l'Agenzia delle Entrate, il
quale rilascia, con modalità telematiche, apposito contrassegno;
b) in modo virtuale, mediante pagamento dell'imposta all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate o ad altri
uffici autorizzati o mediante versamento in conto corrente postale.
La carta bollata
La carta bollata è filigranata e reca impresso il relativo valore.
Se il valore della carta bollata è inferiore all'imposta dovuta, la differenza viene corrisposta
mediante applicazione di marche da bollo.
La carta bollata, esclusa quella per cambiali, deve essere marginata e contenere cento linee per
ogni foglio.
Sulla carta bollata non si può scrivere fuori dei margini né eccedere il numero delle linee in essa
tracciate, ciascuna delle quali non può contenere in media più di 28 sillabe (limite abolito il 01-01-
1983).
Definizioni
Decreto del Presidente della Repubblica del 26/10/1972 n. 642
Disciplina dell'imposta di bollo
Art. 5 Definizione di foglio, di pagina e di copia
Agli effetti del presente decreto e delle annesse Tariffa e Tabella:
a) il foglio si intende composto da quattro facciate, la pagina da una facciata; b) per copia si
intende la riproduzione, parziale o totale, di atti, documenti e registri dichiarata conforme
all'originale da colui che l'ha rilasciata. ecc.
Marche da bollo
L'annullamento della marca da bollo deve avvenire mediante perforazione o apposizione della
sottoscrizione di una delle parti o della data o di un timbro parte su ciascuna marca e parte sul
foglio. Per l'annullamento deve essere usata la matita copiativa.
Sulle marche da bollo non è consentito scrivere né apporre timbri o altre stampigliature tranne che
per eseguirne l'annullamento in conformità dei precedenti commi. È vietato usare marche
deteriorate o usate in precedenza.
Sulla Gazzetta Ufficiale del 26 giugno 2007 è stato pubblicato il decreto del Ministero
dell'Economia e delle Finanze del 25 maggio 2007 con il quale sono stati dichiarati fuori corso, a
decorrere dal 1º settembre 2007, tutti i valori bollati in lire, in lire-euro ed in euro, ad eccezione dei
foglietti e delle marche per cambiali.
In pratica le vecchie marche da bollo non avranno più alcun valore in quanto sostituite
definitivamente dai contrassegni emessi in via telematica dai soggetti autorizzati.
Registrazione telematica delle locazioni
L'imposta di bollo è dovuta in euro 16 per ogni foglio di 100 righe e riscossa con addebito su conto
corrente bancario assieme all'imposta di registro.
L'imposta di bollo è una imposta indiretta che colpisce i consumi (es: l'affitto di un appartamento o
l'emissione di una ricevuta senza IVA) e che ha come presupposto l'esistenza di un atto,
documento o registro, redatto in forma scritta. Per gli atti e documenti soggetti a bollo solo in caso
d'uso (la legge elenca i casi, nella parte seconda della tariffa allegata al decreto istitutivo, ad
esempio ricevute e documenti concernenti ricevimento di denaro, scritture private che non abbiano
per oggetto locazioni, ecc.), l'imposta è dovuta al momento in cui di fa uso dell'atto.
112
Che cosa è
E’ una imposta indiretta che colpisce i consumi (es: l'affitto di un appartamento), che è dovuta
in misura fissa o proporzionale e che ha come presupposto l’esistenza di un atto, documento o
registro, redatto in forma scritta.
1 - fin dall’origine, per gli atti, documenti, registri, formati nel territorio dello Stato, quali:
Esistono atti totalmente esenti dall’imposta di bollo, nel caso più frequente le citate fatture o
ricevute di importo inferiore ad € 77,47, oppure gli estratti conto bancari la cui giacenza media
annua sia inferiore ad € 5.000,00.
• sulla carta bollata non è consentito scrivere fuori dai margini, nè eccedere il numero di linee
tracciate;
• su fogli scritti a mezzo stampa, è consentito scrivere fuori dai margini, ma non eccedere le 100
linee per foglio;
• è vietato scrivere o apporre timbri e stampigliature sul bollo;
• è vietato usare carta bollata e marche da bollo deteriorate o già utilizzate.
•
Per determinate categorie di atti e documenti, l'imposta di bollo può inoltre essere assolta in modo
virtuale, o pagata mediante addebito diretto, in caso di registrazione telematica degli atti.
113
La marca da bollo è annullata, al fine di una sua ulteriore utilizzazione, mediante scrittura della
data o firma del titolare dell'atto.
L'acquisto di valori bollati può essere effettuato unicamente presso gli uffici autorizzati o presso i
rivenditori di generi di monopolio (ad esempio, i tabaccai).
Lezione 087
01. LA TASSA SUI CONTRATTI DI BORSA
Oggi si chiama Tobin Tax. Prima si chiamava Tassa sui contratti di borsa ed era prevista dal R.D.
n. 3278 del 30 dicembre 1923. Fu abolita nel 2007 per iniziativa del Governo (Presidente Prodi,
Ministro dell’Economia Padoa Schioppa) allo scopo di rendere “conforme il regime tributario
italiano al disposto della direttiva n. 2004/39/CE sui mercati degli strumenti finanziari (MiFID), in
modo da garantire pari condizioni concorrenziali tra le varie possibili sedi di negoziazione. La
norma è volta a rimuovere misure fiscali distorsive della concorrenza.” La relazione precisava pure
che “la perdita di gettito derivante dall'abrogazione della tassa sui contratti di borsa è stata stimata
in circa 2,7 milioni di euro”.
L’art. 12, commi da 20 a 23 della legge di Stabilità approvata dal Governo reintroduce, con la
veste del bollo e a partire dal1° gennaio 2013, questa antica imposta limitandone il campo di
applicazione alla compravendita di azioni e altri strumenti finanziari partecipativi emessi da società
residenti, e alle operazioni su strumenti finanziari derivati escluse quelle su titoli di Stato di Paesi
UE e SEE che consentono un adeguato scambio di informazioni (Islanda e Norvegia).
La tassa sulla concessione governativa (conosciuta anche con l'acronimo TCG) è la tassa da
corrispondere allo Stato italiano dai beneficiari di determinati provvedimenti amministrativi e altri
atti, come ad esempio autorizzazioni, concessioni, licenze, ai sensi del DPR 26 ottobre 1972, n.
641 sulla "Disciplina delle tasse sulle concessioni governative"..
Che cosa sono le tasse sulle concessioni governative
Le tasse sulle concessioni governative, a volte indicate con l’acronimo TCG, sono quelle tasse che
devono essere versate allo Stato da coloro che usufruiscono di licenze, concessioni, autorizzazioni
o altri provvedimenti amministrativi. Secondo il DPR n. 641 del 26 ottobre del 1972, le tasse sulle
concessioni governative possono essere distinte in base alla tipologia: pubblica sicurezza;
commercio, industria e agricoltura; professioni, arti e mestieri; radio, cinema e stampa; altri atti.
Per quel che riguarda la pubblica sicurezza, le TCG per armi, esplosivi e gas tossici hanno a che
fare con il porto di fucile anche per uso di caccia o con il porto di pistole, pistole automatiche,
rivoltelle, bastone animato e armi lunghe da fuoco, mentre quelle per le altre autorizzazioni di
114
polizia hanno a che fare con le attività relative ai metalli preziosi e l’esercizio di case da gioco. Per
quel che riguarda il commercio, l’industria e l’agricoltura, le TCG hanno a che fare con la licenza
per la pesca professionale marittima. Per quel che riguarda professioni, arti e mestieri, le TCG
hanno a che fare con l’iscrizione a ruolo dei periti assicurativi, con l’iscrizione dei mediatori di
commercio, industria, artigianato e agricoltura, con l’iscrizione al registro concessionari del servizio
di riscossione dei tributi, con l’iscrizione all’albo dei mediatori di assicurazione, con l’iscrizione
all’albo degli agenti di assicurazione, con l’iscrizione agli elenchi spedizionieri, con l’iscrizione
all’albo dei costruttori, con l’iscrizione all’albo degli esportatori di ortofrutta e con l’iscrizione all’albo
dei collettori. Per quel che riguarda radio, cinema e stampa, le TCG hanno a che fare con le
diffusioni televisive via cavo, con l’iscrizione dei giornali e dei periodici nel registro della cancelleria
del tribunale, con le diffusioni televisive e radiofoniche via etere in ambito nazionale e in ambito
locale, con i ripetitori per i programmi televisivi, con il libretto di iscrizione alle radiodiffusioni per la
detenzione di apparecchi per la ricezione di diffusioni televisive e con le apparecchiature terminali
per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione.
Come si pagano le tasse sulle concessioni governative
Le tasse sulle concessioni governative possono essere pagate con l’acquisto di un contrassegno
telematico da vidimare o effettuando direttamente il versamento con bollettino postale intestato
all’Agenzia delle Entrate. Inoltre, è possibile anche provvedere al saldo con il modulo F23 usando il
codice tributo 711T. Per gli abbonamenti telefonici per il cellulare, le tasse sulle concessioni
governative sono versate alle compagnie telefoniche, che a loro volta effettuano il saldo allo Stato.
Nel caso in cui non venga pagata una tassa sulla concessione governativa, l’atto per il quale deve
essere versata è da considerarsi nullo; lo stesso vale anche solo per un pagamento in ritardo. Se
le autorità competenti verificano un mancato pagamento, il rischio è quello di incorrere in una
sanzione amministrativa; è previsto, comunque, un periodo di prescrizione di tre anni, trascorso il
quale nulla è più dovuto.
Le tasse sulle concessioni governative per le società di capitali
Le tasse sulle concessioni governative per le società di capitali riguardano la numerazione e la
bollatura dei libri e dei registri contabili. La somma da versare è di 309 euro e 87 centesimi nel
caso in cui l’ammontare del fondo di dotazione o del capitale sia uguale o inferiore a 516.456 euro
e 90 centesimi; è di 516 euro e 46 centesimi nel caso in cui l’ammontare del fondo di dotazione o
del capitale sia superiore a 516.456 euro e 90 centesimi. Per quantificare il fondo di dotazione o il
capitale sociale è necessario prendere come riferimento la data del 1° gennaio dell’anno per cui
viene effettuato il versamento. La tassa vale per le Spa, per le Srl e per le Sapa, incluse quelle
consortili, in liquidazione o meno; il versamento non cambia in base al numero dei registri o dei libri
né a seconda di quante pagine essi presentano.
Il Contributo unificato per le spese degli atti giudiziari e' stato istituto con l'articolo 9 della legge 23
dicembre 1999, n. 488.
Il comma 1 del citato articolo prevede che "agli atti e ai provvedimenti relativi ai procedimenti civili,
penali ed amministrativi ... comprese le procedure concorsuali e di volontaria giurisdizione, non si
applicano le imposte di bollo, la tassa di iscrizione a ruolo, i diritti di cancelleria, nonche' i diritti di
chiamata di causa dell'ufficiale giudiziario".
Il successivo comma 2 istituisce, "nei procedimenti giurisdizionali civili e amministrativi, comprese
le procedure concorsuali e di volontaria giurisdizione, indicati al comma 1 ...", il contributo unificato
di iscrizione a ruolo secondo gli importi e i valori indicati nella tabella 1 allegata alla legge n. 488
del 1999.
Il contributo e' anticipato, ai sensi del comma 3, dalla parte che per prima si costituisce in giudizio
o che deposita il ricorso introduttivo.
Come disposto dal comma 11 del citato articolo 9, nel testo modificato dall'articolo 9 della legge 28
dicembre 2001, n. 448, il contributo si applica dal 1 marzo 2002 ai procedimenti iscritti a ruolo a
decorrere dalla medesima data.
Con la presente circolare si intende fornire taluni chiarimenti in ordine agli effetti tributari
conseguenti alle richiamate norme, rinviando, per l'esame di ulteriori profili, alla circolare del
Ministero della Giustizia - Dipartimento per gli affari di Giustizia - del 26 febbraio 2002, n. 1.
Si osserva in via preliminare che le novita' in vigore dal 1 marzo p.v. non interessano l'imposta di
registro dovuta sugli atti giudiziari, la quale continua ad essere applicata in conformita' alle
previsioni dell'articolo 37 del Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di Registro,
approvato con d.P.R. 26 aprile 1986, n.131, e dell'articolo 8 della tariffa, parte I, allegata allo
stesso decreto.
E' opportuno precisare che il citato articolo 9 della legge n. 488 del 1999 non determina
conseguenze in ordine alle disposizioni sull'imposta di bollo relative al processo tributario.
La speciale giurisdizione tributaria, rispetto a quella civile ed amministrativa, conserva peraltro una
sua specificita', come e' stato affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 53 del 12
marzo 1998, che ha costantemente escluso l'esistenza di un principio costituzionalmente rilevante
di necessaria uniformita' tra i vari tipi di processo (fra le tante si citano le sentenze n. 165 del 31
maggio 2000 e n. 53 del 12 marzo 1998); non contrasta con tali affermazioni la previsione
dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 che rinvia, per quanto
non previsto dallo stesso decreto, esclusivamente alle norme del codice di procedura civile e non
anche ad ulteriori disposizioni che, come quella in esame, regolano la materia.
A conferma di tale assunto, si evidenzia la peculiare disciplina del processo tributario, per il quale
non era dovuta la preesistente tassa di iscrizione a ruolo, ora assorbita nel contributo unificato.
Ne consegue che in materia di atti e provvedimenti del processo tributario restano invariate le
disposizioni sull'imposta di bollo, in quanto allo stesso processo non si applica il contributo
unificato di iscrizione a ruolo.
Con riferimento alla generalita' dei procedimenti, per quanto non previsto dal citatoarticolo 9,
continua ad applicarsi l'imposta di bollo, dovuta in particolare per le istanze e le domande
presentate sotto qualsiasi forma, nonche' per le copie dichiarate conformi e gli atti stragiudiziali
compiuti da uffici giudiziari, ai sensi degli articoli 1 e 3 della tariffa allegata al d.P.R. 26 ottobre
1972, n. 642. In tal senso si e' pronunciato anche il Ministero della Giustizia con la circolare sopra
richiamata.
Il comma 8 dell'articolo 9 gia' citato stabilisce che il contributo unificato non e' dovuto per i
116
procedimenti che le norme vigenti esentano - senza limiti di competenza o di valore - "dall'imposta
di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura". Si ritiene che
l'esenzione dal contributo unificato opera anche per i procedimenti che, pur esenti dall'imposta di
registro e di bollo, siano soggetti al pagamento dei diritti. Tra questi procedimenti rientrano, ad
esempio, quelli relativi allo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (articolo 19
della legge 6 marzo 1987, n. 74) e quelli relativi a controversie individuali di lavoro (articolo 10
comma 1, legge 11 agosto 1973, n. 533).
Il beneficio e' esteso, dallo stesso comma 8, ai procedimenti di rettificazione di cui all'articolo 454
del Codice Civile, cioe' a tutti quei procedimenti con i quali si ottiene che il giudice ordini la
correzione, la ricostruzione o la costituzione di un atto dello stato civile.
Per le modalita' di pagamento del contributo unificato si rinvia al d.P.R. n. 126 del 1 marzo 2001
(Regolamento recante la disciplina delle modalita' di versamento del contributo unificato) e ai
provvedimenti del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 12 febbraio 2002 (Approvazione del
modello per la comunicazione di versamento) e del 19 febbraio 2002 (Approvazione del nuovo
modello di bollettino di conto corrente postale per il versamento del contributo unificato). Con
separato atto saranno impartite istruzioni in ordine alla compilazione dei modelli di versamento.
Le Direzioni Regionali vigileranno sulla corretta applicazione delle presenti istruzioni.
Lezione 089
I LAVORATORI AUTONOMI, GLI IMPRENDITORI INDIVIDUALI, LE SOCIETA' DI PERSONE, DI CAPITALI E GLI ENTI
GLI ENTI NON COMMERCIALI SONO SOGGETTI A IRAP SIA PER L'ATTIVITA' ISTITUZIONALE SIA PER L'EVENTUALE ATTIVITA'
COMMERCIALE
Il D. Lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997, le cui disposizioni sono in vigore dal 1° gennaio 1998, ha
introdotto nel nostro ordinamento l'imposta regionale sulle attività produttive (Irap) apportando
117
Soggetti esclusi Non sono soggetti passivi IRAP (art. 3 co. 2 del D.Lgs. 446/97, C.M.
4.6.98 n. 141/E, § 2.2):
i fondi comuni d'investimento,
-i fondi pensione: l'amministrazione ha poi chiarito che i fondi pensione sono ritenuti
soggetti esclusi anche qualora siano interni, ossia istituiti nell'ambito del patrimonio di una
singola società o ente pubblico a norma dell' art. 2217 del Codice Civile (Agenzia delle
Entrate, Ris. Min. 22 ottobre 2004, n. 131/E).
- i gruppi europei di interesse economico (GEIE) (art. 3 comma 2, del D.Lgs. 446/97).
Sono altresì esclusi dall’ambito di applicazione dell’imposta: • i soggetti titolari di reddito
agrario; • i contribuenti minimi che si avvalgono del regime di cui all’art. 1 co. 96 e ss. della
L. 244/2007; • i titolari di redditi di natura occasionale, sia d’impresa sia di lavoro autonomo
(di cui all’art. 67 co. 1 lett. i) e l) del TUIR), mancando, in tale ipotesi, il presupposto
oggettivo del tributo; • i titolari di redditi di collaborazione coordinata e continuativa; • i
titolari degli “altri” redditi di lavoro autonomo, non derivanti dall’esercizio di arti o professioni
(di cui all’art. 53 co. 2 del TUIR); • gli incaricati di vendita a domicilio soggetti alla ritenuta a
titolo d’imposta; • le società semplici titolari di redditi derivanti dalla concessione in affitto di
terreni o fabbricati.
1.2. Casi particolari 1.2.1. Trust
118
Distinguendo a seconda della tipologia di attività esercitata e della residenza fiscale, il trust
può essere assimilato: • agli enti commerciali residenti (art. 73 co. 1 lett. b) del TUIR), se ha
per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali; • agli enti non
commerciali residenti (art. 73 co. 1 lett. c) del TUIR), se non ha per oggetto esclusivo o
principale l’esercizio di attività commerciali; • agli enti non residenti, se ha residenza fiscale
all’estero.
1.2.2. Amministrazioni Pubbliche
Rientrano tra le Amministrazioni pubbliche e sono quindi soggetti passivi IRAP (circ.
Agenzia delle Entrate 19.11.2007 n. 61, § 1.3, istruzioni alla dichiarazione IRAP 2009): •
tutte le Amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado
e le istituzioni educative; • le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento
autonomo; • le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi ed
associazioni; • le istituzioni universitarie; • gli Istituti autonomi case popolari (IACP) e gli enti
di edilizia residenziale pubblica aventi le stesse finalità degli IACP, comunque denominati,
istituiti in attuazione dell’art. 93 del DPR 24.7.77 n. 616; • le Camere di commercio e loro
associazioni; • tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali; • le
amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale; • l’Agenzia per la
rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN); • le Agenzie di cui al
D.Lgs. 30.7.99 n. 300. 1.2.3. Soggetti in liquidazione volontaria o sottoposti a
procedure concorsuali Sono assoggettabili al tributo anche i soggetti (C.M. 4.6.98 n.
141/E, § 2.1, C.M. 12.11.98 n. 263/E, § 2.14): • in liquidazione volontaria; • sottoposti a
procedura fallimentare (fallimento e liquidazione coatta amministrativa), a condizione che vi
sia esercizio provvisorio. E' stato inoltre ritenuto che le imprese in amministrazione
straordinaria che non svolgono, in quanto non appositamente autorizzate, attività
imprenditoriale sono parimenti escluse dall'ambito soggettivo di applicazione
dell' Irap (Agenzia delle Entrate, Ris. Min. 7 ottobre 1998, n. 153/E). Per converso, non
beneficiano della medesima esclusione i soggetti in liquidazione volontaria e quelli
sottoposti ad una procedura fallimentare (i.e. fallimento e liquidazione coatta
amministrativa) la quale comporti il c.d. esercizio provvisorio (Agenzia delle Entrate, Circ. 4
giugno 1998, n. 141/E). 1.2.4. GEIE Il GEIE, anche se non è soggetto passivo IRAP, è
comunque tenuto alla determinazione della base imponibile secondo le disposizioni
previste per le società di capitali e gli enti commerciali (ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs.
446/97), al fine di consentirne l’attribuzione ai soci (art. 13 co. 1 del D.Lgs. 446/97 e C.M.
4.6.98 n. 141/E, § 2.3). Agli effetti dell’IRAP dovuta dai partecipanti, il valore della
produzione netta dei GEIE residenti o delle stabili organizzazioni di gruppi non residenti, è
imputato a ciascun membro (art. 13 co. 1 del D.Lgs. 446/97 e C.M. 4.6.98 n. 141/E, § 2.3):
- nella proporzione prevista dal contratto di gruppo; - in mancanza, in parti uguali.
Ciascun membro del gruppo è obbligato in solido con gli altri al versamento dell’imposta
dovuta sul valore prodotto (art. 13 co. 4 del D.Lgs. 446/97). 1.2.5. Produttori
Agricoli Non rientrano tra i soggetti passivi IRAP (a condizione che non svolgano altre
attività rilevanti ai fini del tributo) i produttori agricoli con volume d’affari annuo non
superiore a 7.000,00 euro, i quali si avvalgono del regime speciale di esonero degli
adempimenti IVA, sempreché non vi abbiano rinunciato (art. 3 co. 1 lett. d) del D.Lgs.
446/97). Tuttavia, essi assumono veste di soggetti passivi IRAP se nell’anno di riferimento
hanno superato il limite di 1/3 per le operazioni diverse da quelle indicate nell’art. 34 co. 1
del DPR 633/72, a meno che il superamento dipenda da cessioni di beni ammortizzabili
che non concorrono alla determinazione del volume d’affari IVA. 1.2.6. Collaboratori
Coordinati e Continuativi e Lavoratori a Progetto I titolari di redditi derivanti da rapporti
119
di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 50 co. 1 lett. c-bis) del TUIR, anche nella
forma a progetto (es. amministratori, sindaci o revisori di società) sono esclusi da IRAP. Si
tratta infatti di redditi assimilati, a partire dall’1.1.2001, a quelli di lavoro dipendente, non
ricollegabili all’esercizio di arti e professioni (C.M. 4.6.98 n. 141/E, § 2.2). Qualora i
rapporti di collaborazione rientrino nell’oggetto dell’arte o della professione, i compensi
vengono attratti tra i redditi di lavoro autonomo professionale (art. 53 co. 1 del TUIR). È il
caso, ad esempio, dei compensi percepiti da dottori commercialisti per l’attività di
amministratore, di sindaco o di revisore. Tuttavia, anche in tale ipotesi, opererebbe
l’esclusione da IRAP, in quanto il professionista, pur se in possesso di un’“autonoma
organizzazione”, non se ne avvarrebbe per l’esercizio dell’attività di amministratore,
essendo inserito nella struttura della società (Cass. 9.5.2007 n. 10594). Di diverso avviso la
ris. Agenzia delle Entrate 25.3.2009 n. 78, secondo cui la sussistenza o meno dei
presupposti per l’applicazione dell’IRAP va verificata in relazione al complesso dell’attività
svolta dal professionista. Pertanto, anche i compensi percepiti per l’attività di sindaco
concorrerebbero alla formazione della base imponibile, se il professionista fosse altrimenti
dotato di un’autonoma organizzazione. 1.2.7. “Altri” Lavoratori Autonomi Sono altresì
esclusi da IRAP gli esercenti attività che danno luogo ai redditi di cui all’art. 53 co. 2 del
TUIR, assimilati a quelli di lavoro autonomo ma non ricollegabili all’esercizio di arti e
professioni, vale a dire: • i redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere
dell’ingegno da parte dell’autore, se non conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali; •
le partecipazioni agli utili spettanti agli associati in partecipazione, quando l’apporto è
costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro; • le partecipazioni agli utili spettanti ai
promotori e ai soci fondatori di spa, sapa e srl; • le indennità per la cessazione di rapporti di
agenzia; • i redditi derivanti dall’attività di levata dei protesti esercitata dai segretari
comunali; • i redditi derivanti dalle prestazioni sportive oggetto di attività di lavoro autonomo
di cui alla L. 91/81. 1.2.8. Società Semplici Immobiliari Le società semplici titolari di
redditi derivanti dalla concessione in affitto di terreni o fabbricati non costituiscono soggetti
passivi IRAP, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. 446/97 (C.M.
4.6.98 n. 141/E, § 2.2). 1.2.9. Contribuenti Minimi I contribuenti che si avvalgono del c.d.
regime dei minimi (di cui all’art. 1 co. 96 - 117 della L. 296/2006) sono esenti da IRAP. Tali
soggetti sono, quindi, esonerati dall’obbligo di presentare la relativa dichiarazione (art. 19
del D.Lgs. 446/97). Posto che il regime è applicabile dal periodo d’imposta 2008,
l’esenzione “automatica” dall’imposta per i contribuenti che adottano il regime agevolato ha
effetto soltanto a partire dalle dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2008. 1.2.10.
Soggetti in possesso dei requisiti di accesso che non applicano il regime Gli uffici
dell’Amministrazione finanziaria possono considerare non sussistente il presupposto
dell’autonoma organizzazione e, quindi, ritenere non assoggettato ad imposta l’artista o il
professionista che possa considerarsi “contribuente minimo”, a prescindere dalla
circostanza che lo stesso si sia avvalso o meno del relativo regime fiscale (circ. Agenzia
delle Entrate 13.6.2008 n. 45, § 5.4.2). 1.3. LA RESIDENZA AI FINI IRAP Per
l’individuazione della residenza dei soggetti passivi, anche ai fini IRAP si applicano le
disposizioni in materia di imposte sui redditi, di cui agli artt. 2, 5 co. 3 lett. d) e 73 co. 3 del
TUIR (C.M. 4.6.98 n. 141/E, paragrafo 2.1). 1.3.1. Residenza delle Persone Fisiche Ai
fini delle imposte sui redditi sono considerate residenti (art. 2 co. 2 del TUIR) le persone
fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta: • sono iscritte nelle anagrafi
comunali della popolazione residente; • ovvero hanno il domicilio nel territorio dello Stato ai
sensi dell’art. 43 co. 1 c.c.; • ovvero hanno la residenza nel territorio dello Stato ai sensi
dell’art. 43 co. 2 c.c. Le tre condizioni sopra richiamate sono tra loro alternative; sarà
120
pertanto sufficiente il verificarsi di una sola di tali condizioni affinché un soggetto sia
considerato fiscalmente residente nel territorio dello Stato. 1.3.2. Trasferimento della
residenza in paradisi fiscali L’art. 10 della L. 23.12.98 n. 448 ha provveduto ad integrare i
criteri fissati dall’art. 2 del TUIR per l’individuazione della residenza nei confronti delle
persone fisiche emigrate in paradisi fiscali (art. 2 co. 2-bis del TUIR). Tali soggetti si
considerano residenti in Italia, salvo prova contraria. 1.3.3. Residenza delle Società e
degli Enti Ai fini delle imposte dirette, si considerano residenti le società e gli enti che, per
la maggior parte del periodo d’imposta, hanno nel territorio dello Stato, in alternativa (artt. 5
co. 3 lett. d) e 73 co. 3 del TUIR): • la sede legale; • la sede dell’amministrazione; • l’oggetto
principale dell’attività. Pertanto, se uno dei tre predetti elementi è localizzato nel territorio
dello Stato, è irrilevante la circostanza che la società sia costituita all’estero. In pratica, per
stabilire la residenza nel territorio dello Stato: • il primo elemento cui fare riferimento è la
sede legale; • se la sede legale non risulta fissata in Italia, occorre guardare alla sede
amministrativa; • se neppure la sede amministrativa è localizzata nel nostro Paese, occorre
fare riferimento all’oggetto principale dell’attività.
2. Presupposto oggettivo L’ art. 2, primo periodo, del D.Lgs. n. 446/97 definisce il presupposto
oggettivo dell' irap. Esso è rappresentato dall'esercizio abituale di un'attività, autonomamente
organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.
L’attività esercitata dalle società e dagli enti, quindi, compresi gli organi e le amministrazioni dello
Stato, costituisce in ogni caso presupposto dell'imposta (art. 2, secondo periodo, del D.Lgs. n.
446/97 e Agenzia delle Entrate, Circ. 4 giugno 1998, n. 141/E). Sono esclusi dall'ambito di
applicazione del tributo tutte le attività che, pur potendosi ricondurre all'esercizio di arti o di
professioni, non sono tuttavia esercitate mediante un'organizzazione autonoma da parte del
soggetto passivo d'imposta: è il caso dell'attività di collaborazione coordinata e continuativa o di
lavoro a progetto che si configura come tale solo se non vengono impiegati propri mezzi
organizzati (Agenzia delle Entrate, Circ. 4 giugno 1998, n. 141/E). In particolare, l'esistenza seppur
minima del requisito dell'organizzazione è una caratteristica tipica del lavoro autonomo e che lo
differenzia dal lavoro dipendente.
Lezione 090
01. L'IRAP GRAVA SUI TERRENI?
NO
03. IL CANDIDATO ILLUSTRI IL MODO IN CUI VIENE DETERMINATALA BASE IMPONIBILE IRAP
del regime di contabilità. Vediamo una breve sintesi delle diverse modalità per calcolare la base
imponibile IRAP.
Le imprese in contabilità ordinaria che determinano il valore della produzione secondo le regole
delle società di capitali e degli enti commerciali (articolo 5-bis, comma 2, modificato dall’articolo 16,
comma 4, Dlgs 175/2014), calcolano la base imponibile come differenza fra valore e costi di
produzione, dai quali però bisogna escludere le seguenti voci (come risultano dal conto economico
di esercizio):
• costi del personale: salari, oneri sociali, trattamento di fine rapporto, trattamento di quiescenza
e simili, tutti gli altri costi;
• svalutazioni delle immobilizzazioni, svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle
disponibilità liquide;
• accantonamenti per rischi: anche se vengono imputate ad altre voci dello schema di conto
economico. Diventano deducibili quando vengono effettivamente sostenuti;
• altri accantonamenti.
Le imprese che non calcolano il valore della produzione secondo le regole delle società di capitali,
qualunque sia il regime di contabilità adottato, determinano la base imponibile sottraendo a ricavi e
variazione delle rimanenze finali i costi di materie prime, sussidiarie e di consumo, merci, servizi,
ammortamento, canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali e immateriali.
Non sono deducibili:
Altre imprese
Riepilogando:
1. Prima si calcola l’ammontare del costo del lavoro, sia a tempo indeterminato che
determinato;
122
Lezione 091
L’IRAP non colpisce le classiche grandezze economiche oggetto di imposizione fiscale ovvero
reddito, patrimonio o consumo.
L’IRAP colpisce una grandezza economica molto particolare che prende il nome di valore della
produzione netta. In questo senso l’IRAP rappresenta un unicum nel panorama europeo
paragonabile forse solo alla Taxe professionelle francese ed alla Gewerbesteuer tedesca.
Il valore della produzione netta, in via generalissima, è rappresentato dal valore aggiunto della
produzione - differenza tra voce A e voce B dello schema di conto economico obbligatorio
previsto dal codice civile - al netto degli ammortamenti.
Lezione 092
01. L'IMU
IMU è l'acronimo di Imposta Municipale Unica. Ha sostituito la vecchia Ici, l’Irpef e le relative
addizionali regionali e comunali calcolate sui redditi fondiari riferiti ad immobili non locati.
Tale imposta è stata istituita anticipatamente ed in via sperimentale dall'art. 13 del Decreto Legge
del 6 dicembre 2011, n.201, convertito con modificazioni dalla Legge 22 dicembre 2011, n.214 e
disciplinata dal medesimo articolo 13 e dagli articoli 8 e 9 del D.lgs. 14 marzo 2011, n.23.
Ulteriori modifiche si sono avute con la legge di Stabilità 2014 che ha abolito l'Imu sulla prima
casa, tranne alcune eccezioni.
Chi paga l'IMU?
Dovrà essere pagato dai proprietari di immobili o i titolari di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e
superficie.
In particolare sono soggetti all'IMU:
1 Il proprietario di immobili, cioè colui che ha il diritto di godere e disporre di una
cosa in modo pieno ed esclusivo;
2 i titolari di usufrutto, consistente nella facoltà di godere e usare il bene “come se ne
fosse il proprietario”;
3 i titolari di uso, consistente nella facoltà di servirsi dell'immobile, limitatamente ai
bisogni della propria famiglia;
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4 i titolari di abitazione, consistente nel diritto di abitare l'immobile solo per i bisogni
del titolare del diritto e della sua famiglia;
5 i titolari di superficie, che consiste nell'edificare e mantenere una costruzione al di
sopra (o al di sotto) di un fondo di proprietà altrui;
6 i titolari di enfiteusi, cioè il godimento di un bene altrui con l’obbligo di migliorarlo e
di pagare un canone periodico;
7 l’ex coniuge assegnatario dell’immobile, a seguito di separazione, divorzio o
annullamento di matrimonio, in quanto titolare del diritto di abitazione.
8 il locatario, cioè colui che fruisce del bene, nel caso di immobili concessi in
locazione finanziaria (leasing) per tutta la durata del contratto;
9 il concessionario di aree demaniali ( es., il concessionario di uno stabilimento
balneare).
L'Imu con la legge di Stabilità 2014 non è più dovuta sulla prima casa e relative pertinenze.
L'unica eccezione riguarda il caso in cui l’immobile è indicato come di lusso, quindi rientrante nelle
categorie catastali A/1, A/9 e A/8 per le quali continua ad applicarsi l'aliquota ridotta e la
detrazione di 200 euro.
L'Imu resta invece in vigore sulla seconda casa.
Immobili concessi in comodato gratuito: La Legge di Stabilità 2016 ha eliminato le
impostazioni valide per gli anni precedenti che permettevano ai Comuni di introdurre a loro
piacimento l'assimilazione degli immobili concessi in comodato gratuito all'abitazione principale.
Dal 2016 queste abitazioni saranno soggette ad aliquota ordinaria, salvo che non si rispettino le
condizioni previste per la nuova forma di comodato gratuito, il quale pero' prevede “solo” una
riduzione del 50% della base imponibile.
Lezione 094
L’addizionale comunale IRPEF è una imposta istituita nel 1998 e successivamente modificata tra il
1999 e il 2007, con articolazione in due aliquote distinte. La prima delle due componenti è relativa
all’aliquota di compartecipazione dell’addizionale Irpef, ed è stabilita in misura uguale per tutti i
Comuni: ogni anno il Ministero delle Finanze stabilisce la proporzione, senza gravare come
aggiunta impositiva ulteriore rispetto all’Irpef. La seconda è relativa all’aliquota opzionale,
stabilita dai singoli Comuni, e in grado di rappresentare un’aggiunta impositiva per i contribuenti
rispetto a quanto già si paga a titolo di Irpef.
L’aliquota viene stabilita da ogni Comune fino a un limite massimo dello 0,8%. L’Irpef è pagata
da tutti i contribuenti, fatta eccezione per quelli che sono già soggetti alle imposte sui redditi delle
persone giuridiche, a quelli che possiedono solo redditi esenti Irpef (o redditi soggetti a tassazione
separata) e contribuenti che possiedono un reddito imponibile Irpef inferiore alle soglie minime
contemplate.
I tributi locali sono fondi di finanziamento per i servizi che vengono erogati dagli enti locali. Essi
comprendono la Tosap e la Cosap, cioè la Tassa per l’Occupazione di Spazi e Aree Pubbliche,
124
l’Icpa, cioè l’Imposta Comunale Pubblicità e Affissioni, e l’Iuc, cioè l’Imposta Unica Comunale su
casa e rifiuti. La Iuc a sua volta include la Tasi, cioè la Tassa sui Servizi Indivisibili, l’Imu, cioè
l’Imposta Municipale (quella che un tempo era chiamata Ici, cioè Imposta Comunale Immobili) e la
Tari, cioè la Tassa sui Rifiuti (quella che un tempo era chiamata Tarsu, cioè Tassa Smaltimento
Rifiuti Solidi Urbani, e ancora prima Tares, cioè Tassa Rifiuti e Servizi).
I tributi locali sono prestazioni coattive a livello del patrimonio dei contribuenti, i quali sono tenuti a
versare agli enti locali una parte dei propri beni.
L’ingiunzione fiscale per i tributi locali è un ordine di pagamento che viene emesso da un ente
locale, il quale ha la facoltà di dare il via alle procedure esecutive nel caso in cui il soggetto
intimato non provveda al pagamento entro un determinato limite di tempo, così che i suoi beni
possano essere pignorati. Attraverso l’ingiunzione fiscale, in sostanza, gli enti locali hanno la
possibilità di riscuotere le entrate che sono a loro dovute sfruttando una procedura più rapida di
quelle che possono essere usate dai privati.
Se negli anni passati l’istituto sembrava essere stato progressivamente messo da parte e sostituito
dalla riscossione mediante ruolo, negli ultimi tempi un’evoluzione legislativa ha fatto sì che
l’ingiunzione fiscale tornasse in auge e permettesse ai Comuni (e, in misura minore, agli altri enti
locali) di riscuotere i patrimoni locali e le entrate tributarie al posto dell’agenzia di riscossione
solitamente deputata (cioè Equitalia o, in Sicilia, Riscossione Sicilia). In pratica oggi le
amministrazioni comunali non sono obbligate a ricorrere all’ingiunzione fiscale ma hanno la libertà
di sceglierla, al fine di riscuotere non solo le imposte locali, ma anche le entrate patrimoniali e le
sanzioni amministrative.
L’ingiunzione fiscale dei tributi locali può essere emessa o da un organo dell’ente locale stesso o
da un soggetto terzo che sia stato appositamente delegato, a condizione che ciò non comporti per
il contribuente degli oneri aggiuntivi. Un albo dei soggetti privati abilitati all’attività di accertamento
dei tributi è a disposizione presso il Ministero delle Finanze. L’attività di riscossione può essere
affidata anche a una società con capitale pubblico a patto che essa operi unicamente nell’ambito
territoriale dell’ente, che possa essere controllata dall’ente e che la parte più consistente delle
proprie attività sia realizzata con l’ente.
tributi locali sono, o possono essere, a seconda delle varie Regioni e Comuni:
L'imposta unica comunale (IUC) è uno dei tributi locali il cui presupposto è costituito dal
possesso o dalla occupazione, a vario titolo, di immobili ubicati nel comune, in sostituzione di
imposte ora soppresse, in particolare l'IMU sulla abitazione principale e la Tassa per la raccolta
dei rifiuti.
La IUC, introdotta dalla legge di stabilità 2014, è una imposta destinata al comune e articolata
in tre distinti tributi, con differenti presupposti impositivi: la TARI, la TASI, l'IMU.
L'IMU (Imposta MUnicipale) è uno dei tributi locali: è entrata in vigore dal 1° gennaio 2012 in
via sperimentale, e a regime dal 1° gennaio 2015, in sostituzione di ICI, Irpef dovuta sugli
immobili non locati e relative addizionali regionali e comunali.
L'IMU, nella sua versione originaria, si differenziava pertanto dall'ICI, in quanto tributo
sostitutivo di imposte dirette (l'IRPEF sugli immobili) e ripartito fra l'erario (lo Stato), e il singolo
comune, al quale spettava il 50% dell'imposta sugli immobili diversi dalla abitazione principale,
delle relative pertinenze, dei fabbricati rurali ad uso strumentale.
Lezione 095
01. IL CANDIDATO ILLUSTRI LE FONTI NORMATIVE DELL'UNIONE EUROPEA
• il Trattato costitutivo della CECA (Comunità europea del carbone e dell'acciaio), firmato a
Parigi il 18 aprile 1951 ed entrato in vigore il 23 luglio 1952, insieme ai due Protocolli sullo
Statuto della Corte di giustizia e sui privilegi e le immunità;
• i Trattati costitutivi della CEE (Comunità economica europea) e della CEEA (Comunità
europea dell'energia atomica) o Euratom, firmati a Roma il 25 marzo 1957 ed entrati in vigore il
1º gennaio 1958, insieme allo Statuto della Corte di giustizia, nonché alla Convenzione su
talune istituzioni comuni;
• il Trattato istitutivo dell'Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in
vigore il 1º novembre 1993.
A questi atti devono aggiungersi quelli che nel corso del tempo hanno modificato o integrato le
disposizioni originarie:
• il Trattato sulla fusione degli esecutivi, firmato a Bruxelles l‘8 aprile 1965 ed entrato in vigore il
1 luglio 1967 (ora abrogato dal Trattato di Amsterdam che ne ha però conservato le
disposizioni principali), che ha istituito un Consiglio unico ed un'Assemblea unica per tutte e tre
le Comunità, senza per questo procedere ad una fusione giuridica delle stesse;
• l‘Atto Unico Europeo, firmato a Lussemburgo il 28 febbraio 1986 ed entrato in vigore il 1º luglio
1987, il cui obiettivo principale è l'instaurazione progressiva del mercato interno;
• il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1º maggio 1999, che ha
ulteriormente modificato i Trattati istitutivi apportando modifiche alle procedure decisionali e
comunitarizzando alcuni settori che, in precedenza, rientravano nell'ambito della cooperazione
intergovernativa;
• il Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001 ed entrato in vigore il 1º febbraio 2003, che
apporta soprattutto modifiche di carattere istituzionale;
• il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1º dicembre 2009.
A seguito del Trattato di Lisbona, i trattati, sostanzialmente, continuano ad essere due: il Trattato
sull’Unione europea e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sostitutivo del Trattato
istitutivo della Comunità europea, che hanno lo stesso valore giuridico. Resta, inoltre, in vigore il
Trattato Euratom del 1957. Mentre il Trattato sull’Unione europea si configura come un Trattato
base, contenente le norme essenziali che stabilisce i valori, i principi fondamentali e le
competenze, l’assetto istituzionale dell’Unione, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea è
piuttosto un Trattato applicativo, fissa le regole di funzionamento delle istituzioni, dei suoi organi,
disciplina il mercato interno e le politiche, definendone il quadro di riferimento.
Natura giuridica dei Trattati
La natura giuridica dei Trattati istitutivi, nonché delle integrazioni e modificazioni convenzionali
intervenute negli anni, è quella di accordi internazionali nel senso pieno e proprio di tale
espressione, come indicato nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
Va tuttavia aggiunto che i Trattati comunitari mostrano caratteristiche particolari rispetto al genus
cui appartengono.
In primo luogo, si tratta della specificità propria di tutti i Trattati istitutivi di organizzazioni
internazionali, nel senso che, oltre alla previsione di una serie di obblighi e diritti per gli Stati
contraenti, contengono la definizione di un complesso istituzionale destinato ad esercitare le
competenze attribuite all'ente.
In secondo luogo, pur essendo le Comunità organismi a finalità non universali ma definite e
sottoposte al principio delle competenze di attribuzione, l'ampiezza e l'incisività delle prefigurate
competenze così come le modalità e i mezzi attribuiti per il loro esercizio, vanno senza dubbio al di
là del modello tradizionale di organizzazione internazionale.
integrazione che essi si propongono di realizzare.
127
• i regolamenti, hanno una portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e
direttamente applicabili;
• le direttive, sono indirizzate solo agli Stati membri e non sono obbligatorie in tutti i loro
elementi, in quanto vincolano i destinatari solo riguardo al risultato da raggiungere, lasciando
alla loro discrezione la scelta dei mezzi e della forma;
• le decisioni, sono obbligatorie in tutti i loro elementi e se designano i destinatari sono
obbligatorie soltanto nei confronti di questi.
Atti non vincolanti
vincolante, l’art. 288 TFUE prevede altri due tipi di atti: le raccomandazioni ed i pareri.
In base a quanto previsto dall'art. 292 TFUE, il potere generale di adottare raccomandazioni è
assegnato al Consiglio. Anche la Commissione e la Banca centrale europea possono adottare
raccomandazioni, ma soltanto nei casi specifici previsti dai Trattati.
128
Il potere generale di emettere pareri è assegnato al Parlamento europeo; laddove altre istituzioni
emanano pareri viene previsto specificamente nei Trattati.
Una distinzione tra i due tipi di atti non vincolanti può essere operata in base alle loro diverse
finalità. Mentre la raccomandazione ha, infatti, il preciso scopo di sollecitare il destinatario a tenere
un determinato comportamento giudicato più rispondente agli interessi comuni, il parere tende
piuttosto a fissare il punto di vista dell'istituzione che lo emette, in ordine a una specifica questione.
Atti atipici
Gli atti atipici sono quegli atti non vincolanti che pur essendo emanati dalle istituzioni, non rientrano
fra quelli elencati dall’art. 288 del TFUE.
Sono atti atipici:
In successive sentenze la Corte ha avuto modo di precisare meglio la portata del principio
dell'autonomia del diritto dell'Unione, ormai divenuto uno dei principi cardine su cui si regge tutta la
costruzione dell'Unione europea.
La disciplina dell'UE delle risorse proprie definisce i diversi tipi di entrate dell'UE e i metodi
per calcolarle e renderle disponibili.
1. Un massimale
Si tratta dell'importo massimo delle risorse proprie che l'UE può riscuotere nell'arco di un anno. Il
massimale è espresso in percentuale del reddito nazionale lordo (RNL) dell'UE e dipende quindi
dalla situazione economica nell'UE.
Lo scopo delle correzioni è compensare o correggere gli squilibri di bilancio di taluni Stati membri.
Esistono altre fonti di entrate, quali imposte sugli stipendi dei funzionari UE, contributi versati da
paesi non membri dell'UE a determinati programmi e ammende imposte alle imprese che violano
le norme sulla concorrenza.
130
Il Consiglio adotta gli atti legislativi che disciplinano le risorse proprie dell'UE secondo
speciali procedure legislative, che variano in funzione di ciascun atto.
Alcuni atti devono essere adottati all'unanimità dal Consiglio previa consultazione del Parlamento
europeo.
Alcuni sono adottati dal Consiglio a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento
europeo o previa consultazione del Parlamento e della Corte dei conti.
Le proposte relative a tali atti giuridici sono presentate dalla Commissione europea e possono
essere modificate prima di essere adottate.
La risorsa I.V.A. e la risorsa R.N.L. rappresentano attualmente la maggior parte delle risorse
del bilancio UE.
Alla decisione - che riprende i contenuti dell’accordo politico sul bilancio dell’Unione europea
definito dal Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre 2005 , accordo che ha modificato il sistema di
finanziamento delle risorse proprie dell’Unione – è stata data attuazione nell’ordinamento italiano
con il comma 66 dell’articolo 2 della legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008)[3].
131
La decisione 436 del 2007 ha previsto, tra i suoi elementi qualificanti, che il massimale (vale a
dire il tetto massimo delle risorse proprie) è stabilito all’1,31% del RNL per stanziamenti di
impegno ed all’1,24% del RNL per stanziamenti di pagamento, come già previsto per il periodo
2000-2006 dalla decisione 2000/597/CE, Euratom.
Sono confermate le risorse proprie già previste per il periodo 2000-2006 dalla precedente
decisione 597 del 2000. Si tratta:
dei diritti riscossi nel quadro della politica agricola comune e i dazi doganali (denominati
"risorse proprie tradizionali", RPT); di un'aliquota dello 0,30% (rispetto allo 0,75% applicato
nel 2002-2003 e allo 0,50% nel 2004-2006) applicata alla base imponibile dell'IVA ("risorsa
IVA"). La base imponibile da prendere in considerazione non potrà eccedere il 50% del PIL
di ciascuno Stato;
di un'aliquota, da determinare secondo la procedura di bilancio tenuto conto di tutte le altre
entrate, applicata alla somma dei prodotti nazionali lordi (PNL) di tutti gli Stati membri
("risorsa PNL");
delle altre entrate dell’UE (ovvero imposte e prelievi effettuati sui redditi del personale,
interessi bancari, rimborsi di aiuti comunitari non utilizzati, interessi di mora e il saldo
dell’esercizio precedente).
Sono introdotte correzioni soltanto a favore di alcuni tra i maggiori contribuenti netti al bilancio
comunitario.
Lezione 096
01. IL CANDIDATO INDICHI COSA ACCADE A UN AIUTO DI STATO INCOMPATIBILE CON LE DISPOSIZIONI DEL
TRATTATO DELL'UNIONE EUROPEA
- Per aiuto di stato si intende qualsiasi agevolazione, concessa senza corrispettivo, dagli Stati
ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune
produzioni, falsano o minacciano di falsare la concorrenza, nella misura in cui incidono sugli
scambi tra gli Stati membri.
1.La Commissione procede con gli Stati Membri all’esame permanente dei regimi di aiuto esistenti
in questi Stati […].
Qualora la Commissione […] constati che un aiuto concesso da uno Stato Membro […] non è
compatibile con il mercato comune […] decide che lo Stato interessato deve sopprimerlo o
modificarlo nei termini da essa fissato.
Alla Commissione sono comunicati in tempo utile […] i progetti diretti a istituire o modificare aiuti.
[…]
Lo Stato Membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale
procedura abbia condotto ad una decisione finale.
Il recupero con gli interessi dell’aiuto è teso a garantire la restituito in integrum delle condizioni di
libera concorrenza e il ripristino della situazione del mercato comune prima dell’alterazione degli
scambi intra – europei (C. giust. 10.10.2013, C-353/12, Commissione c. Repubblica italiana).
Il recupero, richiedibile nel corso del decennio decorrente dal momento di fruizione dell’aiuto
(periodo suscettibile di essere interrotto), va effettuato secondo le procedure previste dalla legge
dello Stato membro interessato (principio di assimilazione), a condizione, tuttavia, che esse
consentano l’esecuzione effettiva della decisione della Commissione.
02. QUALI SONO GLI AIUTI DI STATO COMPATIBILI CON IL MERCATO COMUNE?
Secondo l’articolo 87, paragrafo 1 del trattato, gli aiuti che corrispondono ai criteri sopra delineati
sono, in linea di principio, incompatibili col mercato comune.
Tuttavia, il principio d’incompatibilità non equivale a un divieto totale: i paragrafi 2 e 3 dello stesso
articolo 87 specificano un certo numero di casi in cui gli aiuti di Stato possono essere considerati
ammissibili (le cosiddette deroghe). L’esistenza delle deroghe giustifica inoltre il controllo
preventivo degli aiuti di Stato da parte della Commissione. Tale controllo è stabilito dall’articolo 88
del trattato, che dispone che gli Stati membri debbano notificare alla Commissione qualsiasi
progetto diretto a istituire aiuti prima di procedere alla sua esecuzione e conferisce alla
Commissione il potere discrezionale di decidere se l’aiuto previsto può beneficiare della deroga o
se «lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo».
1. Salvo deroghe contemplate dal presente trattato, sono incompatibili con il mercato comune,
nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli
Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune
produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.
2. Sono compatibili con il mercato comune: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli
consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall’origine dei
prodotti, b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi
eccezionali, c) gli aiuti concessi all’economia di determinate regioni della Repubblica federale di
Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a
compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. 3. Possono considerarsi
compatibili con il mercato comune: a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle
regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di
sottoccupazione, b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di
comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno
Stato membro, c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni
economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune
interesse, d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando
non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Comunità in misura contraria
all’interesse comune, e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, che
delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione.
- Art. 107 par.1 TFUE : «Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato
interno……… ». -rischio di distorsione concorrenza; -rischio di ostacolare imprese più competitive
e alimentare sostanziale assistenzialismo.
Art. 107 par. 3. TFUE: aiuti di stato che possono considerarsi compatibili- la Commissione dispone
di un potere di valutazione discrezionale: Possono considerarsi compatibili con il mercato interno:
133
a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia
anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle
regioni di cui all'articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale; b)
gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse
europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro; c) gli
aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che
non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse; d) gli aiuti destinati
a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli
scambi e della concorrenza nell'Unione in misura contraria all'interesse comune; e) le altre
categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.