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Set Domande
DIRITTO TRIBUTARIO
GIURISPRUDENZA (D.M. 270/04)
Docente: Margarita Marco
Set Domande: DIRITTO TRIBUTARIO
GIURISPRUDENZA (D.M. 270/04)
Docente: Margarita Marco
© 2016 Università Telematica eCampus - Data Stampa 31/01/2017 14:51:31 - 2/81

Lezione 001
01. In quali macro categorie si suddivide il tributo ?

imposta, tassa e contributo

Lezione 002
01. Il soggetto inciso dal contributo è:

I contribuenti che beneficiano di un'opera pubblica nell'ambito di una determinata area geografica

02. COS'E' IL CONTRIBUTO

UN COMPENSO PAGATO PER UN SERVIZIO PUBBLICO

03. IN QUALE CATEGORIA POSSIAMO COMPRENDERE IL CANONE RAI?

Imposta

04. IL CANDIDATO ILLUSTRI LA DIFFERENZA TRA IMPOSTE DIRETTE E IMPOSTE INDIRETTE

Le imposte dirette sono quelle applicate sui guadagni prodotti, le imposte indirette sono quelle
che vengono applicate sulle varie spese fatte.

Le imposte dirette sono quelle che gravano su quelle situazioni o su quei fatti che presuppongono
in maniera diretta l'idoneità contributiva (quindi colpiscono reddito e patrimonio).
Le imposte indirette gravano su quei fatti che presuppongono l'idoneità contributiva in via indiretta
o indiziaria (quindi colpiscono gli scambi).
Faccio qualche esempio: sono imposte dirette l'IRPEF e l'IRES (gravano sui redditi), l'ICI (grava
sugli immobili); sono imposte indirette l'IVA, le imposte doganali, l'imposta di registro, imposta di
bollo ecc...

La prima differenza che c’è tra le imposte dirette e indirette riguarda i guadagni. Le imposte dirette
vengono immesse direttamente sul denaro che una persona produce in un dato momento, questo
comporta anche una variazione di tale imposta da soggetto a soggetto in base a diversi parametri
che possono essere i possedimenti o il reddito di una qualsiasi persona. Alcuni esempi riguardanti
questa imposta sono l’IRPEF, ossia una tassa personale che va a incidere sui redditi prodotti
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all’interno dei confini italiani da ogni cittadino o per generalizzare, da tutte le persone fisiche, sia
che siano residenti o meno.

Poi vi è la IRES, questo tipo di imposta invece si applica sui redditi delle società, ed infine vi è la
IRAP, ossia una tassa applicata a livello regionale su qualsiasi tipo di attività che produca
ricchezza. Infine sono parte di questa categoria anche il canone RAI e il bollo auto.
Invece si può affermare che le imposte indirette sono tutte quelle imposte che non colpiscono i
guadagni prodotti sul momento da una persona, ma quelle somme di denaro che vengono spese
in qualsiasi modo. Sono due gli esempi che si possono fare riguardanti questa imposta ossia l’iva e
le accise sulla benzina. L’iva è una imposta che viene applicata su ogni oggetto, servizio offerto
all’interno dello stato o dallo stato italiano.

In base al tipo di bene o di servizio preso in considerazione il valore di questa imposta cambia, ad
esempio per i beni detti “di prima necessità”, ossia il pane, l’acqua avranno un’iva al 4% mentre
oggetti come un computer avranno l’iva al 22%. Altri esempi riguardanti le imposte indirette sono
l’imposta dovuta quando si deve richiedere o presentare un qualsiasi documento (la cosiddetta
marca da bollo), o l’imposta su tutte le donazioni eseguite da una persona o anche in caso di una
successione, ossia un cambio di proprietario di alcuni beni o somme di denaro dopo la morte del
precedente proprietario.
Un’ulteriore differenza che c’è tra le imposte dirette e indirette, riguarda le accise sulla benzina. In
questo caso l’utilizzatore che acquista il carburante paga l’imposta nel momento stesso in cui
avviene l’acquisto visto che il prezzo del carburante non è altro che la somma di due cose: il costo
del carburante stesso più l’accisa (ossia l’imposta indiretta) e l’iva che avrà una percentuale che
ammonta al 22%, essendo considerata un bene non di prima necessità.

05. IL CANDIDATO INDICHI COME E' SUDDIVISO IL TRIBUTO

Quello che noi comunemente chiamiamo tributo, può essere suddiviso in: Imposte, Tasse e il c.d.
Contributo.
Comunemente si dice che:
Le imposte siano quei tributi che servono a finanziare servizi pubblici indivisibili, si pensi alla difesa
nazionale, all’ordine pubblico o alla tutela ambientale.
Per imposta si intende quel tributo che il contribuente versa e non riceve nell’immediato una
controprestazione. Si pensi all’imposta sul valore aggiunto (IVA). Il contribuente che va dal
panettiere, paga il pane, paga l’IVA, ma non riceve dal fisco nell’immediato nessuna
controprestazione.
Per tassa, invece, si intende quel tributo che il contribuente versa e riceve nell’immediato una
controprestazione. Si pensi alla tassa universitaria. Lo studente paga questa tassa e
nell’immediato riceve la formazione universitaria.
Mentre ancora per contributo, si intende quel tributo speciale che possiede una doppia anima, sia
quella dell’imposta che della tassa. Si pensi ai contributi obbligatori ai consorzi di bonifica.
Immaginiamo che la bonifica riguardi una zona della Toscana, è chiaro che per coloro che abitano
in Sicilia, in Lombardia o in Veneto, il contributo si atteggia più come un imposta perché detti
contribuenti non ricevono nell’immediato nessuna controprestazione. Al massimo la riceveranno
quando, semmai dovesse accadere, soggiorneranno o transiteranno nella zona oggetto della
bonifica. Invece per i contribuenti che abitano la zona bonificata, il contributo sia atteggia più come
una tassa, proprio perché essi nell’immediato godono di detta bonifica.
Esposta la suddetta distinzione, è doveroso precisare che essa ha rilevanza solo da un punto di
vista teorico. Non ha infatti, rilevanza dal punto di vista pratico. Che io debba pagare un imposta,
una tassa o un contributo non cambia nulla. Ad essi non è legata nessuna conseguenza giuridica
peculiare, se non la doverosità del pagamento.

Le tasse, invece, quei tributi con cui si finanziano i servizi pubblici divisibili, si pensi alla sanità, alla
giustizia o all’istruzione.
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Mentre i contributi, sono quei tributi che servono a finanziare servizi pubblici che se pur prestati per
la generalità, finiscono per avvantaggiare una più ristretta categoria di soggetti.
Distinzione dal punto di vista giuridico
Dal punto di vista giuridico, questa distinzione basata sulla divisibilità o indivisibilità del servizio,
non ha molta rilevanza. Infatti, dal punto di vista giuridico.
Per imposta si intende quel tributo che il contribuente versa e non riceve nell’immediato una
controprestazione. Si pensi all’imposta sul valore aggiunto (IVA). Il contribuente che va dal
panettiere, paga il pane, paga l’IVA, ma non riceve dal fisco nell’immediato nessuna
controprestazione.
Per tassa, invece, si intende quel tributo che il contribuente versa e riceve nell’immediato una
controprestazione. Si pensi alla tassa universitaria. Lo studente paga questa tassa e
nell’immediato riceve la formazione universitaria.

Mentre ancora per contributo, si intende quel tributo speciale che possiede una doppia anima, sia
quella dell’imposta che della tassa. Si pensi ai contributi obbligatori ai consorzi di bonifica.
Immaginiamo che la bonifica riguardi una zona della Toscana, è chiaro che per coloro che abitano
in Sicilia, in Lombardia o in Veneto, il contributo si atteggia più come un imposta perché detti
contribuenti non ricevono nell’immediato nessuna controprestazione. Al massimo la riceveranno
quando, semmai dovesse accadere, soggiorneranno o transiteranno nella zona oggetto della
bonifica. Invece per i contribuenti che abitano la zona bonificata, il contributo sia atteggia più come
una tassa, proprio perché essi nell’immediato godono di detta bonifica.
Esposta la suddetta distinzione, è doveroso precisare che essa ha rilevanza solo da un punto di
vista teorico. Non ha infatti, rilevanza dal punto di vista pratico. Che io debba pagare un imposta,
una tassa o un contributo non cambia nulla. Ad essi non è legata nessuna conseguenza giuridica
peculiare, se non la doverosità del pagamento.

06. IL CANDIDATO DESCRIVA COS'E' IL CONTRIBUTO

Il contributo è il prelievo coattivo di ricchezza a carico di determinati soggetti, per il fatto che
costoro traggono un vantaggio, diretto o indiretto, da determinati servizi pubblici, anche senza che
essi li abbiano richiesti. Ad esempio se l’Ente pubblico provvede a costruire una strada in grado di
aumentare il valore dei beni ad essa adiacenti può richiedere ai proprietari di tali beni un
contributo, obbligatorio, per la costruzione della strada stessa.
Le tasse, le imposte ed i contributi rientrano nella macrocategoria dei Tributi.

07. IL CANDIDATO INDICHI LA DIFFERENZA TRA IMPOSTA, TASSA E CONTRIBUTO

Nel linguaggio comune di tutti i giorni utilizziamo indifferentemente il termine imposta, tassa e
contributo. In realtà questi termini non sono sinonimi, ma indicano concetti differenti.

TASSA
La tassa viene pagata come controprestazione di un determinato servizio reso da un ente
pubblico. Di conseguenza il servizio erogato è espressamente richiesto dal cittadino. Ad esempio
quando andiamo in ospedale per una visita paghiamo il ticket, in cambio infatti otteniamo una
prestazione sanitaria.
IMPOSTA
L’ imposta è la ricchezza che viene prelevata ai cittadini (naturalmente se in possesso di un
reddito) dall’ente pubblico per le prestazioni di servizi generali erogati, pertanto non è correlato ad
una specifica prestazione. Lo Stato, infatti, sostiene delle spese per offrire servizi, quali:
infrastrutture, pubblica istruzione, politiche della famiglia, assistenza sanitaria, difesa e così via, e
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l’imposta è lo strumento attraverso il quale i cittadini partecipano a tali spese. Un tipico esempio
d’imposta è l’Iva (imposta indiretta gravante sui consumi).
CONTRIBUTO
Il contributo è il prelievo coattivo di ricchezza a carico di determinati soggetti, per il fatto che
costoro traggono un vantaggio, diretto o indiretto, da determinati servizi pubblici, anche senza che
essi li abbiano richiesti. Ad esempio se l’Ente pubblico provvede a costruire una strada in grado di
aumentare il valore dei beni ad essa adiacenti può richiedere ai proprietari di tali beni un
contributo, obbligatorio, per la costruzione della strada stessa.
Le tasse, le imposte ed i contributi rientrano nella macrocategoria dei Tributi.

La differenza tra tasse e imposte è tutt’altro che marginale e riguarda il rapporto tra cittadino
e Stato. Eppure nel linguaggio comune spesso si tende a far confusione, utilizzando un termine
per un altro. Diamo allora un po’ di definizioni.

Cosa sono le imposte?


Per imposta si intende un prelevamento coattivo di ricchezza, che lo Stato pone in essere in base
ai principi costituzionali. In particolare due sono i principi della nostra Carta Fondamentale che
interessano in materia:
Il principio di capacità contributiva (art. 53 della Costituzione) stabilisce che ogni
cittadino deve contribuire alle spese dello Stato “in ragione della propria capacità di produrre
reddito”. La “capacità contributiva” fa leva su tre indicatori: il reddito, il patrimonio ed il consumo.
il principio di solidarietà (artt. 2 e 53 della Costituzione) in virtù del quale le imposte
sono comunque dovute da ciascun cittadino, così da venire incontro alle esigenze dei cittadini
meno abbienti
Proprio partendo da tali principi possiamo individuare la principale caratteristica dell’imposta: essa
rappresenta il contributo del cittadino alle casse dello Stato, ma non per un particolare servizio o
un’attività prestata dallo Stato nei suoi confronti, bensì per il finanziamento delle spese c.d.
“indivisibili”, cioè quelle spese per le quali non è possibile stabilire l’effettivo utilizzo da parte di
ciascuno, in quanto sono rivolte a finanziare la pluralità dei cittadini.
Cosa sono le tasse?
Le tasse sono invece dei prelevamenti sui conti del cittadino per aver usufruito di un servizio
(ad.esempio la TARI, tassa sui rifiuti, che il cittadino paga in cambio del servizio di raccolta), di un
atto, di un bene pubblico o di un servizio.
Pertanto, al contrario delle imposte, le tasse finanziano le cosiddette spese “divisibili”, tese a
finanziare servizi specifici rivolti ai cittadini. Mantenendo l’esempio precedente, la TARI viene
pagata dai cittadini di un determinato Comune, in ragione ed a finanziamento di un servizio
specifico che lo stesso gli offre: la raccolta rifiuti.

Il soggetto trae un’utilità da un’attività statale o da una prestazione di servizio pubblico e, in ragione
di tale utilità, gli è dovuta una prestazione patrimoniale. E’ qui che sta la divisibilità della tassa, la
possibilità di esser fornita ad un singolo soggetto.
Tuttavia non va confusa con la tariffa che viene versata dall’utente per fruire di un determinato
servizio, come ad esempio il trasporto pubblico, il gas etc. Questi sono infatti dei corrispettivi di
natura contrattuale. La tassa è invece un tributo.
Che si intende per tributo?
Il tributo è una categoria generica, all’interno del quale si fanno rientrare tutte le somme dovute al
Fisco, vale a dire sia le tasse, che le imposte che i contributi
E cosa si intende per contributi?
Il concetto di contributo è più ampio, poichè la sua accezione cambia a seconda del campo
d’azione, tanto nel linguaggio comune quanto nei diversi linguaggi tecnici.

Nel diritto tributario per contributo si intende un prelevamento di ricchezza basato


sull’accrescimento reddituale o patrimoniale del soggetto.
Da un punto di vista previdenziale, invece, i contributi sono dei versamenti periodici che i cittadini
effettuano nei confronti di un ente previdenziale, per ottenere, poi, un’adeguata pensione in futuro.
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Si parla poi di contributo anche per indicare una prestazione che gli appartenenti a determinate
categorie devono garantire ad alcune organizzazione pubbliche, come gli albi professionali.
Vi è poi il Contributo Unificato, C.U., con il quale si indica il costo da pagare per poter adire alle vie
legali ed iniziare una causa legale.
Il contributo, come la maggior parte dei tributi, è parametrato in base alla capacità contributiva e le
risorse che vengono prelevate sono destinate al particolare scopo per cui sono istituite. Le risorse
non potranno pertanto essere distratte da tale scopo e saranno destinate ad una particolare voce
di bilancio, senza possibilità che passino in contabilità generale.
Tra i contributi più conosciuti vi è il contributo unificato di iscrizione a ruolo, dovuto nel caso in cui il
cittadino è parte in un procedimento civile, penale, amministrativo. Il contributo varierà in base al
valore della causa ed è possibile versarlo tramite F23, bollettino postale o contrassegno.

08. IL CANDIDATO DESCRIVA COS'E' LA TASSA

LA TASSA
è la controprestazione di un servizio reso dallo Stato o da un ente pubblico ad un privato, dietro
sua domanda (pensiamo, ad esempio, alla tassa scolastica). In base alla natura del servizio
prestato, le tasse si classificano così:
a) tasse amministrative
sono quelle dovute per un servizio reso da un organo amministrativo e riguardano tutti i diritti dei
privati e quindi i diritti civili dell’anagrafe, i diritti relativi alla vita intellettuale (certificati scolastici) ed
i diritti relativi alla vita economica (concessione di mercati);
b) tasse giudiziarie
quelle che si pagano per un servizio reso dagli organi di giustizia. Lo svolgimento dei processi,
infatti, comporta delle spese (indennità ai testimoni, compensi dovuti per eventuali perizie, ecc,),
che vengono pagate, appunto, attraverso queste tasse.
c) tasse industriali
le tasse più importanti di questa categoria sono quelle sul marchio dei metalli preziosi.
Riscossione delle tasse:
(a) In modo diretto
quando si va a versare direttamente in un ufficio, in questi due modi:
- riscossione diretta generale: quando colui che richiede un dato servizio
versa l’importo della tassa in una tesoreria o in una ricevitoria, che rilascia la quietanza,
- riscossione diretta specializzata: quando la tassa è pagata nello stesso ufficio incaricato della
prestazione del servizio (ad esempio la tassa per la
verifica dei pesi);
(b) In modo indiretto
quando il pagamento della tassa viene effettuato in questi modi:
- usando la carta bollata; ed allora si dice che la tassa viene pagata in
modo indiretto ordinario,
- applicando marche da bollo; si dice che la tassa viene pagata in modo
indiretto straordinario,
- pagando all’ufficio del registro o presso altro ufficio governativo – si dice
allora che la tassa viene pagata in modo indiretto virtuale.

09. IL CANDIDATO DESCRIVA COS'E' L'IMPOSTA

L’IMPOSTA
è un prelevamento coattivo (cioè obbligatorio) di ricchezza, effettuato dallo Stato o da un ente
pubblico, per far fronte a tutti i fini di interesse generale e la principale distinzione (più oltre ne
vedremo altre) è:
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- imposte dirette, perché colpiscono la ricchezza esistente (per esempio l’appartamento) o la


ricchezza che si forma (ad esempio lo
stipendio).

imposte indirette, perché colpiscono la ricchezza di ognuno di noi nel momento in cui la spendiamo
(pensiamo, ad esempio, all'acquisto di una bottiglia di liquori o delle sigarette o
della benzina).
Attenzione: non si deve confondere la tassa con l’imposta indiretta (apparentemente potrebbero
sembrare la stessa cosa). Mentre la tassa è la controprestazione di un servizio pubblico (il comune
ti dice: se vuoi che ti dia il servizio immondizie, mi devi pagare una tassa), l’imposta indiretta
colpisce semplicemente il consumo di un bene (acquisto una bottiglia di liquori e quindi un bene
per me e quindi pago l’imposta indiretta sui liquori).
Soggetto attivo dell’imposta è lo Stato od un ente pubblico (ad esempio il comune) e soggetto
passivo dell’imposta è “il contribuente”.
Oggetto dell’imposta è la ricchezza sulla quale viene applicata (e che si chiama “materia
imponibile”).
La percentuale di imposta applicata sulla materia imponibile si chiama “aliquota”.
La “capacità contributiva” è la quantità di possibilità di pagare un tributo, che ha un contribuente.
Le imposte, oltre che essere dirette ed indirette, come visto sopra, possono essere classificate
anche così:
- personali.....quando tengono conto delle condizioni familiari (IRPEF),
- reali..........quando non tengono conto delle condizioni familiari (bollo),
- generali......se colpiscono tutte le categorie di redditi,
- speciali.......se colpiscono solo certe categorie di reddito,
- proporzionali... quando l’aliquota è costante (IRPEG),
- progressive......quando sono più che proporzionali (IRPEF),
- regressive....... quando sono meno che proporzionali.
Ricordiamo che la costituzione, all’articolo 53, vuole che il sistema tributario italiano sia improntato
al criterio della progressività (dunque questa è la regola, pur in presenza di inevitabili eccezioni),
perché si ritiene che questo criterio meglio serva per diminuire il più possibile le differenze sociali.

Lezione 003
01. NON SONO FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO:
I PRECEDENTI GIURISDIZIONALE

02. L'ART. 23 DELLA COSTITUZIONE SANCISCE IL PRINCIPIO:

NESSUNA PRESTAZIONE PERSONALE E PATRIMONIALE PUO' ESSERE IMPOSTA SE NON IN BASE ALLA LEGGE

03. UNA IMPOSTA E' PROGRESSIVA QUANDO:


ALL'AUMENTARE DEL REDDITO AUMENTA L'ALIQUOTA APPLICATA

04. QUALE, TRA LE SEGUENTI, NON E' UNA FONTE DEL DIRITTO TRIBUTARIO?
USI

05. L'art 53 della Costituzione prevede la progressività del sistema tributario, ciò comporta che i tributi non progressivi sono dunque
incostituzionali ?

No, perché è sancito che il sistema nel suo insieme deve essere progressivo ma il singolo tributo può non esserlo.
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06. IL CANDIDATO DESCRIVA LE FONTI DEL DIRITTO TRIBUTARIO

Nell’ordinamento italiano la fonte primaria del diritto tributario è la Costituzione.


Gli articoli fondamentali in materia di imposte sono l’art. 23 e l’art. 53 della Costituzione.
• Art. 23 sancisce la riserva di legge in materia tributaria; nessuna prestazione patrimoniale o
personale può essere imposta se non in base alla legge.
Tale riserva di legge deve essere considerata una riserva di legge relativa e non assoluta. Ciò
significa che la legge (o gli atti aventi forza di legge) può non regolare integralmente il rapporto
tributario, demandando ad un regolamento (o ad altra fonte subordinata) la disciplina specifica
degli elementi fissati in generale dalla legge.
Quanto al contenuto minimo che la legge deve avere, esso si identifica negli elementi necessari
per individuare il nuovo tributo cioè:
1. Il presupposto di fatto,
2. i soggetti passivi,
3. I principi di determinazione delle aliquote, 4. le sanzioni.
Art. 53 secondo il quale Tutti sono tenuti a concorrere alla spesa pubblica in ragione della loro
capacità contributiva e il sistema tributario è informato a criteri di progressività. Il dettato
costituzionale infatti contiene i tre fondamentali principi dell’universalità dell’imposta, della
progressività del sistema tributario e dell’uguaglianza del carico tributario.
Le fonti diverse dalla costituzione sono ad essa subordinate nel senso che debbono uniformarsi ai
principi della stessa e sono: la legge, decreti legislativi e decreti legge, regolamenti, decreti
dirigenziali e provvedimenti del Direttore d’Agenzia delle entrate, istruzioni ministeriali, fonti
internazionali, gli usi.
LA LEGGE
La norma tributaria,secondo l’art.23,ha come fonte di produzione primaria la legge che puo’
creare,modificare,estinguere norme tributarie. Nessun tributo, dunque,può essere creato con atto
normativo diverso dalla legge o da atto con forza di legge. Tra i principi generali dell’ordinamento
tributario,codificati nella L.212\2000 (Statuto dei diritti del contribuente ) di particolare importanza è
quello che fissa L’irretroattività delle leggi tributarie.
Oltre allo Stato,anche le Regioni godono di potestà impositiva. In particolare le Regioni a statuto
ordinario ,godono di competenza normativa tributaria, limitata ai tributi cosiddetti propri,in virtù
dell’autonomia finanziaria di cui all’art.119 potendo emanare leggi solo nel quadro di leggi statali.
Le Regioni a statuto speciale prevedono, nei rispettivi statuti, la loro autonomia, che va tuttavia
temperata con le norme nazionali. Anche le norme regionali delle Regioni a statuto speciale, pur
avendo valore di fonte primaria, sono limitate e vincolate dai principi sanciti della costituzione, dalle
leggi costituzionali nonché dai principi generali dell’ordinamento. In seguito alle modifiche
apportate al titolo V della costituzione dalla legge costituzionale 3\2001 gli enti locali hanno visto
accrescere la loro autonomia finanziaria e l’ ampliamento della potestà regolamentare in campo
tributario. Attualmente anche ai Comuni e alle province in base all’art.119 della cost. prevede che
tali enti territoriali possono stabilire e applicare tributi ed entrate proprie in armonia con la
costituzione e secondo i principi di coordinamento della finanza pubblica e del sistema tributario.
Inoltre tali Enti partecipano al gettito dei tributi erariali riferibili al loro territorio.
DECRETI LEGGE E DECRETI LEGISLATIVI
Entrambi sono emanati dal governo ed hanno la stessa forza delle legge.
I decreti legge in particolare vengono emanati dal governo di propria iniziativa per motivi di
urgenza e necessità (art.77 cost.) salvo,conversione in legge da parte delle Camere entro
sessanta giorni dalla loro emanazione. In caso di mancata conversione in legge, o di sostanziali
modifiche ,il decreto legge decade senza possibilità di reiterazione. In base alle modalità di
legislazione previste dallo Statuto del contribuente e’ sancito che nessun tributo può essere
introdotto con decreto legge e che la legislazione d’urgenza non può individuare soggetti passivi di
tributi già esistenti. Infatti è di frequente utilizzo il decreto legislativo che presuppone una delega
delle Camere al Governo con preventiva determinazione dei principi e criteri direttivi che il governo
è tenuto a seguire (art.76 cost.). La legge(L.80\2003) con cui il Parlamento ha conferito
all’esecutivo la delega per l’ emanazione di uno o più decreti legislativi mediante i quali attuare la
riforma del sistema fiscale , contiene le linee guida per la semplificazione degli adempimenti,
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snellimento procedure, riduzione pressione fiscale, creazione di un’area di non assoggettamento a


tassazione.
REGOLAMENTI,DECRETI DIRIGENZIALI E PROVVEDIMENTI DEL DIRETTORE
DELL’AGENZIA DELLE ENTRATE
Tra le fonti secondarie sempre più importanza stanno assumendo i regolamenti. Tali atti vengono
emanati dall’esecutivo si classificano in:
- governativi in quanto deliberati dal Consiglio dei Ministri;
- ministeriali deliberati dal singolo ministro.
In campo fiscale è sempre più frequente l’uso dei regolamenti di legificazione emanati in forma di
decreti del Presidente della Repubblica che necessitano di un’autorizzazione contenuta in una
legge specifica che fissi le norme generali regolatrici della materia e disponga l’abrogazione di
norme vigenti, con effetto dell’entrata in vigore delle disposizioni regolamentari. Diffuso è anche
l’uso di regolamenti ministeriali sotto forma di decreti emanati dal Presidente del Consiglio dei
Ministri nell’ambito di competenze amministrative per determinare o modificare aliquote o importi di
imposte dirette o indirette.
- I decreti ministeriali sono atti di normazione secondaria adottati dai singoli ministeri sempre che ci
sia una legge che espressamente disponga in ordine a tale potere nell’ambito dei rispettivi settori
di competenza. In campo fiscale è assai frequente il ricorso a regolamenti interministeriali .I
regolamenti ministeriali comunque non possono disporre diversamente dalle norme contenute in
regolamenti emanati dal governo.
- I decreti dirigenziali sono adottati dai dirigenti generali finalizzati all’organizzazione degli uffici di
livello dirigenziale non generale. I direttori generali possono adottare atti e
provvedimentiamministrativi in materia di spesa, attribuzione di obiettivi etc. In seguito al varo delle
Agenzie fiscali chi sta a capo può emanare appositi provvedimenti per l’organizzazione interna
delle proprie strutture come l’attribuzione di competenze.
LE ISTRUZIONI MINISTERIALI
Il Ministero dell’economia e delle finanze, per agevolare il lavoro degli uffici finanziari e di
conseguenza dei contribuenti e degli operatori del settore, fa seguire all’emanazione di una legge
delle circolari con l’interpretazione delle norme ivi contenute. Attualmente il compito di emanare
istruzioni è svolto dall’Agenzia delle entrate. Le circolari pur essendo atti amministrativi a rilevanza
interna non possono essere considerate fonti di diritto oggettivo ne possono modificare norme
preesistenti. Hanno tuttavia una forza normativa indiretta in quanto costituiscono condizione di
legittimità degli atti emanati dagli uffici inferiori.
LE FONTI INTERNAZIONALI
Bisogna tener presente che i rapporti tra l’ ordinamento comunitario e gli ordinamenti degli Stati
membri si sono evoluti in maniera tale che qualsiasi fonte dell’ordinamento comunitario possa
prevalere su qualsiasi fonte degli Stati membri, a qualsiasi livello situata nelle fonti.
Le fonti comunitarie possono imporsi alle leggi e nei limiti anche alla Costituzione italiana essendo
l’Italia membro dell’Unione Europea. Difatti i Trattati (fonti primarie dell’ordinamento comunitario )
prevedono che le istituzioni comunitarie possono emanare atti contenenti disposizioni mirate ad
imporsi agli Stati membri e ai loro cittadini (fonti derivate) .Ciò significa che oltre ai Trattati dunque
il diritto comunitario ha origine anche in altre fonti appunto(derivate ) dai Trattati a che trovano in
questi il parametro di legittimità.
L’art.249 TrCe prevede che gli organi di Governo comunitari «adottano regolamenti e direttive,
prendono decisioni e formulano raccomandazioni e pareri»
- I regolamenti hanno portata generale e sono obbligatori in tutti i loro elementi e sono direttamente
applicabili in ciascuno degli stati membri senza necessità di ratifica.
Quindi gli apparati amministrativi italiani applicheranno l’atto di indirizzo italiano solo se conforme
all’atto europeo risultando così la funzione amministrativa svolta dagli apparati amministrativi
italiani come attuativa degli indirizzi politici comunitari.
- Le direttive vincolano lo stato membro per quanto riguarda il risultato da raggiungere, ferma
restando la competenza degli organi per quanto riguarda la forma e i mezzi. I legislatori nazionali
in questo caso hanno un margine di discrezionalità. Poiché, le direttive non essendo direttamente
applicabili nell’ordinamento dello stato membro, questo deve dar loro attuazione mediante propri
atti. A tal fine in Italia sono state previste apposite procedure e competenze per l’adeguamento
dell’ordinamento statale agli atti normativi comunitari e per l’esecuzione degli obblighi comunitari.
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Gli art da 90 a 93 del trattato CE contengono le norme relative all’armonizzazione fiscale in campo
comunitario. In particolare l’art. 90 vieta a ciascuno stato l’applicazione diretta e indiretta nei
confronti dei prodotti provenienti dagli Stati membri della Comunità di imposte di qualsiasi natura
superiori a quelle applicate ai prodotti nazionali similari.

Lezione 004
01. Tra i principi fondamentali del diritto tributario si annovera:

Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla Legge (cd riserva di Legge)

02. L'IVA E' UNA IMPOSTA SUI CONSUMI IN QUANTO:

COLPISCE IL CONSUMATORE FINALE

03. Per imposte dirette o indirette si intende:

Imposte che colpiscono in maniera diretta il reddito o il patrimonio, o indirettamente attraverso i consumi ed i trasferimenti

04. L'imposta è definita patrimoniale quando:

Ha come base imponibile il bene patrimoniale a prescindere dalla capacità di produrre reddito

05. LA NORMA TRIBUTARIA DISPONE PER


FUTURO

Lezione 005
01. LA BASE IMPONIBILE DELL'IMU E' DATA:

DAL VALORE CATASTALE DELL'IMMOBILE

02. Cosa è l'IMU

UN'IMPOSTA DIRETTA SUL PATRIMONIO IMMOBILIARE

03. L'IMU GRAVA:


SUL NUDO PROPRIETARIO

Lezione 006
01. IN QUALE CASO I CITTADINI STRANIERI SONO SOGGETTI AL PAGAMENTO DELLE IMPOSTE IN ITALIA?
SE SONO RESIDENTI IN ITALIA E SONO PROPRIETARI DI BENI O SVOLGONO ATTIVITA' LAVORATIVE

02. L'IRES, L'IRPEF E L'IRAP SONO RISPETTIVAMENTE:


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PROPORZIONALE, PROGRESSIVA, PROPORZIONALE

03. L'art. 53 della Costituzione, in relazione alla progressività del sistema tributario dispone:
Che debba essere progressivo il sistema tributario nella sua interezza, anche se alcuni singoli tributi non lo sono

04. LA PROGRESSIVITA' TRIBUTARIA PUO' ESSERE:


PER DETRAZIONE, PER CLASSI, A SCAGLIONI, CONTINUA

05. IL CANDIDATO ILLUSTRI QUANTO DISPOSTO DALL'ART. 53 DELLA COSTITUZIONE

Le leggi che istituiscono e regolano i tributi devono rispettare il principio di capacità contributiva
sancito dall’art. 53 della Costituzione, secondo cui : “ tutti sono tenuti a concorrere alle spese
pubbliche in ragione della loro capacità contributiva. Il sistema Tributario è informato a criteri di
progressività.”
L’art. 53 della costituzione utilizzala locuzione “Tutti “ per attribuire al legislatore la libertà di
individuare i criteri di collegamento della capacità economica al territorio, che possono essere
soggettivi, vale a dire in relazione alla residenza del soggetto oppure oggettivi, in relazione al luogo
in cui viene realizzato il presupposto del tributo (ad esempio anche i cittadini stranieri possono
essere soggetti passivi del tributo).
Con il disposto dell’art. 53 della Costituzione si è inteso affermare l’obbligatorietà insita nel
termine “sono tenuti”; l’universalità in quanto la norma si rivolge a tutti, anche i non residenti,
purché abbiano prodotto i loro redditi nel territorio dello stato; la legittimità dell’obbligo
contributivo, giacché vi è un obbligo alla contribuzione, determinato nella misura e nel limite della
capacità contributiva.
I requisiti che definiscono la capacità contributiva sono: l’attualità, perché il tributo nel momento in
cui trova applicazione deve essere correlato ad una capacità contributiva attuale, non ad una
capacità contributiva passata o futura. L’effettivita’ , sorge dall’esigenza che il presupposto
dell’imposta sia effettivo e non apparente o fittizio.
Il principio di progressività non riguarda i singoli tributi ma il sistema nel suo complesso, i singoli
tributi possono essere ispirati a criteri diversi.
Al principio costituzionale contenuto nell’art. 53 possiamo attribuire un duplice valore normativo:
garantista, perché è costituzionalmente legittimo imporre tributi solo in “ragione” di un fatto che sia
indicativo di capacità contributiva (cioè indici rivelatori di ricchezza), pertanto vincola il legislatore la
scelta del presupposto del tributo, riducendo, inoltre, gli effetti espropriativi (il presupposto del
tributo non può essere un fatto qualunque, ma deve essere un fatto che esprime forza economica);
solidaristico, perché è connesso al dovere inderogabile di solidarietà (art. 2 della Costituzione)
infatti il dovere di concorrere alle spese pubbliche, come dovere di tutti, deve essere commisurato
in ragione della capacità contributiva.

06. IL CANDIDATO INDICHI IN CHE MODO PUO' ESSERE ATTUATA LA PROGRESSIVITA' DELLE IMPOSTE

L'imposta progressiva è un tipo di imposta il cui ammontare aumenta in modo più che
proporzionale rispetto all'imponibile. La progressività dell'imposta è realizzata aumentando
l'aliquota d'imposta al crescere della base imponibile. La progressività dell'imposta può essere
attuata secondo tre metodi:
• progressività continua
• progressività per classi
• progressività per scaglioni
La progressività continua si attua variando l'aliquota in misura continua con l'aumentare della
base imponibile fino al raggiungimento di un'aliquota massima oltre la quale resta costante. La
progressività per classi si realizza associando un'aliquota ad ogni classe di reddito. Ad esempio,
fino 100.000 euro si applica l'aliquota del 5%, dopo i 100.000 si applica l'aliquota del 6% sull'intero
imponibile ecc. La progressività per scaglioni, infine, viene realizzata applicando un'aliquota
crescente per ogni scaglione dell'imponibile. Ad esempio, fino 100.000 euro dell'imponibile si
applica l'aliquota del 5% (primo scaglione), per l'ammontare dell'imponibile oltre i 100.000 si
applica l'aliquota del 6% (secondo scaglione). Per completezza è possibile attuare la progressività
11

anche in una imposta con aliquota costante consentendo una detrazione sulla base imponibile ai
soggetti passivi che non superano un determinato reddito (cd progressività per detrazione).

07. IL CANDIDATO ILLUSTRI COSA SI INTENDE PER PROGRESSIVITA' E PROPORZIONALITA' DELLE IMPOSTE

La tipologia di imposta che ogni Stato decide di immettere in relazione alla ricchezza dei propri
cittadini, può essere distinta in imposta fissa, imposta proporzionale, imposta progressiva e
regressiva. Questa distinzione viene effettuata a seconda del tipo di applicazione di aliquota e
della suddivisione del bene imponibile rispetto ad una quota di applicazione della stessa.
Imposta Proporzionale
Si parla di imposta proporzionale nel caso in cui l'ammontare dell'imposta cresce in relazione
direttamente proporzionale all'aumentare dell'imponibile. In questo caso l'aliquota risulta essere
costante.
Ad esempio, un’aliquota del 20% su un imponibile di 100 mila euro significa che il soggetto deve
pagare 20 mila euro di imposta.
Questo tipo di imposta si applica all’imposta di registro che caratterizza gli atti di acquisto di beni
immobili tra privati, dove l’aliquota è costante.
Imposta progressiva
Si parla di imposta progressiva quando l'aliquota media aumenta in relazione più che
proporzionale rispetto all'aumentare dell'imponibile, come accade per l'IRPEF

L'imposta progressiva si suddivide in ulteriori quattro tipi:


• per detrazione: quando o si va a colpire l'imponibile con un'aliquota fissa, dopo
aver però sottratto dall'aliquota un ammontare stabilito; oppure si va a detrarre dall'imposta una
cifra determinata, ottenuta dall'applicazione dell'aliquota nominale al reddito imponibile;
• per classi: in questo caso l'aliquota costante cresce a seconda della classe di
reddito cui è applicata;
• continua: l'aliquota aumenta in maniera costante rispetto all'aumentare della base
imponibile; in Italia questo tipo di progressività è durato fino al 1973, dopodichè è stato
abbandonato per le difficoltà di calcolo e applicazione;
• per scaglioni: in questo caso, che è quello dell'IRPEF, per ogni classe l'imponibile
viene suddiviso in diversi scaglioni, ognuno dei quali viene fatto corrispondere ad una aliquota
crescente al crescere degli scaglioni.

Il principio di progressività
Tale principio è contemplato dall’art. 53 della Costituzione italiana e si applica al sistema tributario
nel suo complesso, e non ai singoli tributi; ciò significa che ogni tributo può rifarsi ad un criterio
diverso.
Il principio di progressività viene applicato affinché lo Stato riceva i mezzi finanziari per la sua
gestione e, soprattutto, per redistribuire la ricchezza tra la popolazione in termini di servizi per la
collettività.
Infatti, questa affermazione si collega al principio dell’utilità decrescente della ricchezza: il soggetto
che possiede un reddito minimo sufficiente per soddisfare i bisogni primari, contribuirà con una
piccola percentuale; al contrario, chi possiede un reddito alto può partecipare alla spesa pubblica
con un’imposta di maggior rilievo, senza che questa vada ad incidere sul suo tenore di vita. Con
questa regola, si cerca di ridurre la distanza tra i ricchi e i poveri e la concentrazione della
ricchezza nelle mani dei primi.
Imposta regressiva
Si parla di imposta regressiva quando l'aliquota media non cresce in maniera proporzionale
all'imponibile, ma decresce.
Ad esempio, su un imponibile di 100 mila euro l’imposta ha un’aliquota del 10%, mentre superati i
100 mila euro l’aliquota è del 9%, e così via.
Questo esempio ci fa capire che più ricchezza si possiede, minore sarà il valore dell’imposta.
Il principio della regressività
12

Il principio che caratterizza l’imposta regressiva viene utilizzato per giustificare i casi in cui i
contribuenti più ricchi non utilizzano alcuni beni o servizi pubblici.
In realtà, questo principio contrasta con il principio di redistribuzione e quello di equità: tutti i
cittadini hanno l’obbligo di contribuire al benessere della collettività in base alle proprie diponibilità
economiche.
Aspetti generali dell’imposta
L’art. 53 della Costituzione afferma che “tutti sono tenuti a concorrere alle spese pubbliche in
ragione della loro capacità contributiva”. Questa può essere valutata in base al reddito e al
patrimonio, sui quali il soggetto dovrà pagare l’imposta.
Gli elementi che la compongono sono:
• il presupposto: ad esempio, il possesso di un bene o di un reddito;
• la base imponibile: la ricchezza su cui si applica l’imposta;
• l’aliquota: rapporto tra l’ammontare dell’imposta e l’imponibile, espresso in
percentuale.

Imposte proporzionali, progressive regressive


Le imposte possono essere distinte in imposte proporzionali, imposte progressive e imposte
regressive a seconda della moduluzione delle aliquote al variare del reddito, del patrimonio o del
bene imponibile stesso. A queste classificazioni si aggiunge la tipologia dell'imposta fissa che, al
contrario delle precedenti non è in relazione con la ricchezza del contribuente. Le imposte possono
essere classificate nel seguente modo:

1 Imposta proporzionale
2 Imposta progressiva
3 Imposta regressiva

Imposta proporzionale Nell'imposta proporzionale l'aliquota è costante al variare dell'imponibile.

Imposta progressiva Nell'imposta progressiva l'aliquota è crescente al crescere dell'imponibile e
viceversa. Tale sistema è utilizzato in Italia con l'IRPEF. La progessività dell'imposta può essere
realizzata nel seguente modo:
◦ Progressività per detrazione. Dall'imponibile viene detratta una determinata cifra
prima dell'applicazione dell'aliquota fissa.
◦ Progressività per classi. L'aliquota dell'imposta creace in modo discreto a seconda
della classe di reddito dell'imponibile.
◦ Progressività continua. L'aliquota cresce in funzione continua con la base
imponibile. È un sistema particolarmente complesso e di difficile attuazione.
◦ Progressività per scaglioni. L'imponibile viene suddiviso in scaglioni e ad ognuno
di essi è applicata un'aliquota crescente al crescere degli scaglioni.

Imposta regressiva Nell'imposta regressiva l'aliquota è decrescente al crescere dell'imponibile e
viceversa. È esattamente il principio opposto della progressività.

Lezione 007
01. Differenza tra ritenute a titolo di acconto o a titolo di imposta

Nel primo caso è una ritenuta provvisoria con necessità di conguaglio in dichiarazione dei redditi, nel secondo è a titolo definitivo e quel reddito
non dovrà essere oggetto di dichiarazione
13

02. Il sostituito è coobligato al pagamento della ritenuta se:


Il sostituto non ha effettuato la ritenuta

03. Le imposte dirette sono:

Le imposte che colpiscono il reddito o il patrimonio

04. Con imposte indirette si intende:

Le imposte che gravano sui consumi o sui trasferimenti e che quindi colpiscono indirettamente la capacità contributiva

05. L'iva si può classificare come:

Imposta indiretta sui consumi

Lezione 009
01. Possono essere soggetti passivi di imposta
Persone fisiche, società di persone, società di capitali e gli enti

Lezione 010
01. Quale ruolo riveste il Notaio nel versamento dell'Imposta di Registro

Sostituto e responsabile di imposta

02. L'Agenzia delle Entrate è:

L'organo a cui è demandata la gestione dei tributi ed il controllo sugli adempimenti agli obblighi fiscali

03. La ritenuta operata dagli istituti di credito sugli interessi attivi sui c/c di persone fisiche che non operano nell'esercizio di un'impresa è:
A titolo di imposta

Lezione 012
01) Che cosa si intende per accollo e successione nell’obbligazione tributaria.

L’ACCOLLO è il contratto col quale un soggetto (accollante) assume un debito tributario altrui (es.
in un contratto di mutuo, i contraenti possono accollare al mutuante le imposte dovute dal
mutuatario sugli interessi riscossi: in questo modo, il mutuatario percepirà gli interessi netti del
mutuo, e sarà liberato nei confronti del fisco).

LA SUCCESSIONE: l’accettazione dell’eredità trasmette agli eredi i debiti tributari del defunto. È
tuttavia esclusa la trasmissibilità delle sanzioni.

L’accollo
L’accollo è il contratto tra un terzo (accollante) e un debitore (accollato) con il quale il primo
assume un debito del secondo nei confronti del terzo (creditore accollatario).
Sono sempre ammessi i patti di accollo dell’imposta?
No, e ciò in quanto a volte il Legislatore stabilisce espressamente che la rivalsa è obbligatoria o
vietata. Al di fuori di tali casi, i privati sono liberi di stipulare patti di accollo dell’imposta.
Sono ammessi tutti i tipi di accollo?
No. L’art. 8 dello Statuto dei diritto del contribuente stabilisce che “è ammesso l’accollo del debito
d’imposta altrui senza liberazione del contribuente originario”.
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Sempre a tal riguardo, secondo la giurisprudenza della Cassazione sono ammessi solo patti di
accollo con rilievo “esterno”, e cioè quei patti di accollo che riconoscono al creditore accollatario (e
quindi al Fisco) il diritto di agire verso l’accollante.
Pertanto, è ammesso l’accollo ma il Fisco deve potersi rifare sul contribuente originario, ovvero
sull’accollante in caso di mancato pagamento.
In realtà, secondo parte della dottrina i patti di accollo sarebbero illegittimi in quanto contrari all’art.
53 Cost., e segnatamente contrari al principio di capacità contributiva: il tributo è stato
commisurato alla capacità contributiva di un soggetto diverso da quello sui cui effettivamente
ricade l’onere del tributo.
Secondo il Tesauro i patti di accollo non sarebbero incostituzionali e ciò in quanto l’art. 53 Cost. si
rivolge al Legislatore e regola il rapporto (verticale) tra Legislatore e contribuenti, e non i rapporti
(orizzontali) tra contribuenti. I patti di accollo dell’imposta non sono contrari all’art. 53 Cost., che
disciplina solo le leggi tributarie.

La successione nel debito d’imposta


La successione ereditaria, comportando il subentro degli eredi in tutte le situazioni giuridiche che
facevano capo al defunto, implica anche il subentro degli eredi nelle situazioni giuridiche di natura
tributaria.
In particolare, gli eredi rispondo dei debiti tributari degli eredi in proporzione alle loro quote, e ciò
ad eccezione delle imposte sui redditi per le quali è imposta la solidarietà degli eredi.

Lezione 013
01. IL CANDIDATO INDICHI QUALI SONO LE AGENZIE FISCALI E QUALI I LORO COMPITI

Le Agenzie Fiscali (Agenzia delle Entrate, Agenzia del Demanio, Agenzia delle Dogane e dei
Monopoli) svolgono funzioni tecnico-operative al servizio del Ministero al fine di fornire informazioni
e assistenza ai contribuenti. Godono di piena autonomia sia in materia di bilancio che in materia di
organizzazione della propria struttura. Il loro rapporto con il MEF è stabilito in apposite convenzioni
che ne regolano le modalità d’intervento (servizi, obiettivi e risorse).
Agenzia delle Entrate
L’Agenzia ha competenza in materia di entrate tributarie e diritti erariali, in merito alle quali si
occupa delle funzioni relative alla gestione, all'accertamento e al contenzioso. Assicura assistenza
ai contribuenti e coordina i controlli diretti a contrastare gli inadempimenti e l’evasione fiscale.
Funzioni
L’Agenzia svolge le seguenti funzioni:
amministrare e riscuotere tributi diretti, iva e imposte
fornire supporto alle attività del Ministero e collaborazione con le altre Agenzie fiscali
semplificare i rapporti con i cittadini
gestire i contenziosi erariali
Organizzazione
L’Agenzia delle Entrate è articolata in direzioni centrali e direzioni territoriali.
Agenzia del Demanio
L’Agenzia si occupa della gestione, razionalizzazione e valorizzazione del patrimonio immobiliare
dello Stato, oltre che dell’amministrazione dei beni confiscati alla criminalità organizzata. Provvede
ai fabbisogni allocativi delle Pubbliche Amministrazioni e valuta la congruità dei prezzi di acquisto
degli immobili o dei canoni di locazione.
Funzioni
L’Agenzia svolge le seguenti funzioni:
tutelare l’integrità e la corretta utilizzazione dei beni immobiliari pubblici
garantire redditività e interventi diretti alla loro valorizzazione
coordinare le opere di manutenzione su tutti gli immobili in uso alle Amministrazioni
dello Stato
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perseguire il loro efficentamento energetico


gestire beni mobili e immobili e aziende confiscati alla criminalità organizzata
Organizzazione
L’Agenzia è articolata in strutture centrali e direzioni regionali.
Agenzia delle Dogane e dei Monopoli
L'Agenzia in veste di autorità doganale esercita attività di controllo, accertamento e verifica sulla
circolazione delle merci ed è responsabile della riscossione di IVA e dazi generati dagli scambi
internazionali. In veste di Amministrazione dei monopoli è garante della legalità e della sicurezza in
materia di gioco e svolge funzioni di controllo sulla produzione e vendita dei tabacchi al fine di
assicurare il regolare afflusso delle imposte.
Funzioni
L’Agenzia svolge le seguenti funzioni:
Gestire i servizi doganali
Contrastare l’evasione tributaria e gli illeciti extratributari
Regolare il comparto del gioco pubblico
Contrastare fenomeni illegali legato al gioco
Riscuotere le accise relative al comparto tabacchi
Vigilare sulla loro conformità alla normativa nazionale e comunitaria
Organizzazione
L’organizzazione dell’Agenzia si articola nell'Area Dogane e nell'Area Monopoli.

Lezione 016

01. SI PUO' AFFERMARE CHE:

L'AUTOTUTELA SI CONFIGURA COME IL POTERE DELL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA DI CORREGGERE UN PROPRIO ATTO


ILLEGITTIMO O INFONDATO

02. IL GARANTE DEL CONTRIBUENTE HA LA FUNZIONE:


DI VERIFICARE LE IRREGOLARITA', LE DISFUNZIONI DELL'ATTIVITA' FISCALE SEGNALATE DAL CONTRIBUENTE

03. Con l'interpello ordinario:

Il contribuente chiede delucidazioni in merito ad un avviso di accertamento

04. Il silenzio assenso nell'interpello ordinario si perfeziona dopo:


90 giorni

05. L'autotutela è:

L'annullamento, da parte dell'Amministrazione, di un atto illegittimo o la revoca di un atto inopportuno

06. Con l'interpello disapplicativo:

Il contribuente chiede di disapplicare una norma, generalmente antielusiva, nei suoi confronti

07. L'INTERPELLO PUO' ESSERE UTILIZZATO:


PRIMA DI PORRE IN ESSERE IL COMPORTAMENTO INDICATO NELL'ISTANZA
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08. Con la presentazione dell'Istanza di accertamento con adesione i termini per presentare ricorso si sospendono per:

90 giorni

09. Con il ravvedimento operoso il contribuente può:

Sanare una obbligazione tributaria autonomamente, pagando la relativa sanzione ridotta e, se dovuta, l'imposta e gli interessi.

10. Con il concordato giudiziale:

Il contribuente e l'amministrazione possono raggiungere un accordo fino alla prima udienza, ancorchè sia stato presentato il ricorso

11. IL CANDIDATO ILLUSTRI L'ISTITUTO DEL RAVVEDIMENTO

11) Il candidato illustri l’istituto del ravvedimento.

Con il “ravvedimento” (art. 13 del Dlgs n. 472 del 1997 - pdf) è possibile regolarizzare omessi o
insufficienti versamenti e altre irregolarità fiscali, beneficiando della riduzione delle sanzioni.

Il Ravvedimento operoso, regolamentato per la prima volta dall'art. 14 della L. 29 dicembre 1990,
n. 408, e successivamente disciplinato dall'art. 13 del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, è un
istituto giuridico finalizzato al ripristino della legalità violata in ambito amministrativo tributario.
Per il tramite del ravvedimento il contribuente può spontaneamente regolarizzare errori o illeciti
fiscali, versando entro il termine prescritto il tributo non pagato, una sanzione stabilita in misura
ridotta e gli interessi, calcolati giorno per giorno sul tributo non pagato al tasso legale, che dal 1º
gennaio 2008 al 31 dicembre 2009 era pari al 3% in ragione d'anno, dal 1º gennaio 2010 al 31
dicembre 2010 pari all'1% in ragione d'anno, dal 1º gennaio 2011 al 31 dicembre 2011 pari
all'1,5% in ragione d'anno, dal 1º gennaio 2012 pari al 2,5% in ragione d'anno (vedi DECRETO del
MINISTERO DELL'ECONOMIA E DELLE FINANZE 12 dicembre 2011 "Modifica del saggio di
interesse legale") e dal 1º gennaio 2014 pari all'1% in ragione d'anno.

Metodologia di calcolo del Ravvedimento Operoso


L'entità della sanzione varia in base alla tempestività del ravvedimento e del tipo di violazione. Dati
aggiornati con il D.L. n. 185/2008, conv. in legge n. 2/2009, e con la successiva variazione prevista
dalla Legge Finanziaria per il 2011, per le violazioni commesse a decorrere dal 1º febbraio 2011:

Ravvedimento "sprint" o ravvedimento "mini". il decreto Legge 98/2011 ("manovra d'estate")


ha istituito la possibilità di usufruire del cosiddetto ravvedimento sprint, in base al quale la sanzione
minima viene ridotta a 1/15 per ogni giorno di ritardo nel versamento, fino a 14 giorni. Di
conseguenza per ogni giorno di ritardo, fino al quattordicesimo, se la sanzione per l'omesso
versamento è il 30%, si pagherà lo 0,2% di sanzione (ovvero 2,8% se si paga il quattordicesimo
giorno). Dal 15º al 30º giorno di ritardo, si torna a pagare la sanzione per il ravvedimento breve.

Ravvedimento breve
I versamenti effettuati con ritardo non superiore a trenta giorni sono assoggettati a una sanzione
corrispondente a:
▪ 1/12 del 30% (corrispondente al 2,5%) dell'ammontare dell'imposta oggetto del
ravvedimento, oltre agli interessi calcolati al tasso legale pro tempore vigente.
Per le violazioni commesse dopo il 1º febbraio 2011, la Legge Finanziaria per il 2011 ha stabilito
che la sanzione salga a 1/10 del minimo (ossia al 3%).
Esempio di calcolo del ravvedimento breve
Prendendo ad esempio un'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) corrispondente a 100
Euro, versata con 29 giorni di ritardo, la sanzione da ravvedimento da versare a mezzo modello
F24 (con codice tributo 8901) sarà di Euro 2,5, alla quale si dovranno aggiungere gli interessi di
mora.
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Ravvedimento lungo
I versamenti effettuati con ritardo superiore a trenta giorni, ma comunque entro i termini di
presentazione della dichiarazione relativa all'anno in cui è stata commessa la violazione (ovvero,
quando non è prevista dichiarazione periodica, entro un anno), sono assoggettati a una sanzione
corrispondente a:
▪ 1/10 del 30% (corrispondente al 3%) dell'ammontare dell'imposta oggetto del
ravvedimento, oltre agli interessi calcolati al tasso legale pro tempore vigente.
Per le violazioni commesse dopo il 1º febbraio 2011, la Legge Finanziaria per il 2011 ha stabilito
che la sanzione salga a 1/8 del minimo (ossia al 3,75%).

Prendendo ad esempio un'imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) corrispondente a 100
Euro, versata con 6 mesi di ritardo, ma comunque entro i termini di scadenza della dichiarazione
unificata (Modello Unico), la sanzione da ravvedimento da versare a mezzo modello F24 (con
codice tributo 8901) sarà di Euro 3,00, alla quale si dovranno aggiungere gli interessi di mora.

Ambito di applicazione del Ravvedimento Operoso


Contrariamente a quanto disciplinato dalla L. 408/1990, che prevedeva l'applicazione dell'istituto
del ravvedimento solo nell'ambito delle imposte dirette e dell'IVA, in base al D. Lgs. n. 472/1997 il
ravvedimento operoso è applicabile a tutti i tributi.
In base all'art. 13, 1° comma, D. Lgs. n. 472/1997, il contribuente non può avvalersi del
ravvedimento operoso quando:
▪ La violazione è già stata constatata dall'Amministrazione finanziaria;
▪ Sono iniziati accessi, ispezioni o verifiche;
▪ Sono iniziate altre attività amministrative di accertamento delle quali l'autore o i
soggetti solidalmente obbligati hanno avuto formale conoscenza.
Relativamente al primo punto è stato precisato, nella C.M. 10/07/1998, n. 180/E, che deve ritenersi
consentito il ravvedimento quando, quantunque la violazione sia stata constatata dall'ufficio
accertatore, la constatazione non è stata portata a conoscenza del trasgressore mediante formale
notifica.
Con riferimento al D.L. n. 185/2008 cambia anche il metodo di calcolo relativo alla sanzione
prevista per l'omissione della dichiarazione IVA. Viene infatti ridotta a 1/12 (un dodicesimo) del
minimo (30%) se la dichiarazione viene presentata con ritardo non superiore a 90 (novanta) giorni
ovvero a un dodicesimo del minimo di quella prevista per l'omessa presentazione della
dichiarazione periodica prescritta in materia IVA, se questa viene presentata con ritardo non
superiore a 30 giorni.
Nella pratica, e assumendo come ipotesi quella di violazione relativa all'omesso versamento di
imposta, l'effettuazione dello stesso dopo la scadenza costerà in termini di sanzioni, laddove la
sanatoria intervenga nei 30 giorni successivi alla predetta scadenza, un importo pari al 2.5%
dell'imposta stessa in luogo del previgente 3,75%. Peraltro, in caso di sanatoria entro il termine di
presentazione della dichiarazione successiva, la sanzione sarà del 3%. Ulteriore esempio può
essere quello del ravvedimento operoso effettuato per integrare una dichiarazione originariamente
infedele. In questo caso l'imposta sarà gravata di un ulteriore 10% a titolo di sanzione in luogo del
20% previgente.

12. IL CANDIDATO INDICHI IN COSA CONSISTE L'AUTOTUTELA

12) Il candidato indichi in cosa consiste l’autotutela.

L’istituto dell’autotutela o jus poenitendi consiste nel potere dell’amministrazione finanziaria di


annullare o di revocare un suo atto perché ritenuto privo di fondamento e legittimità. Tale istituto
trae origine dal diritto amministrativo in cui l’autotutela viene intesa come la capacità dell’ente di
"farsi ragione da sé" in via amministrativa e, ovviamente, rispettando il principio di legalità.
Al fine di semplificare l’analisi, applicando il metodo genere-specie, il potere di autotutela può
essere considerato come un caso di genere scindibile in due casi di specie:
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1 autotutela ai fini di sanatoria: si ha quando un atto viziato viene annullato e riemesso


in assenza del vizio che aveva precedentemente; questa facoltà è esercitabile purché non siano
trascorsi i termini di decadenza per la notifica degli atti impositivi;
2 autotutela a favore del contribuente: costituisce la facoltà dell’amministrazione di
annullare atti che risultano illegittimi o infondati.
Il potere di autotutela della seconda categoria è stato introdotto con il DPR 27.3.1992, n. 287
all’art. 68, c. 1 ma solo con il DL 30.09.1994, n. 564 convertito nella L. 30.11.1994, n. 656 si hanno
ulteriori disposizioni e precisazioni con specifico riferimento all’amministrazione finanziaria. Sulla
base di queste disposizioni, la dottrina ritiene che il potere di autotutela possa manifestarsi sotto
diversi aspetti, quelli che hanno carattere generale sono:
1 il potere di annullamento di ufficio: consiste nel ritiro con efficacia ex tunc dell’atto
inficiato da un vizio di legittimità (violazione di legge, incompetenza, eccesso di potere);
2 il potere di revoca: ritiro di un atto inopportuno o infondato per una diversa
valutazione delle esigenze che sono alla base della emanazione dell’atto;
3 il potere di rinuncia all’imposizione in caso di autoaccertamento.
Per quanto riguarda il potere di revoca è possibile distinguere a seconda che oggetto di revoca sia
un atto a carattere generale oppure un atto particolare. Nel primo caso la revoca opera con
efficacia ex nunc; nel secondo caso opera con efficacia ex nunc se l’atto da revocare è a favore
del contribuente, opera con efficacia ex tunc se l’atto è sfavorevole al contribuente.

13. IL CANDIDATO ILLUSTRI L'INTERPELLO

13) Il candidato illustri l’interpello.

L'interpello è un'istanza che il contribuente rivolge all'Agenzia delle Entrate prima di attuare un
comportamento fiscalmente rilevante, per ottenere chiarimenti in relazione a un caso concreto e
personale in merito all'interpretazione, all’applicazione o alla disapplicazione di norme di legge di
varia natura relative a tributi erariali.

Con l’interpello i contribuenti possono chiedere alla amministrazione finanziaria l’interpretazione


ufficiale delle leggi tributarie da applicare ai casi concreti.
Le leggi in materia tributaria sono spesso difficili da interpretare. Per questo i contribuenti hanno a
disposizione lo strumento dell’interpello tributario. In particolare, il cosiddetto interpello ordinario
serve ad ottenere dall’amministrazione una risposta ufficiale sull’interpretazione di una norma, con
riferimento alla fattispecie concreta prospettata dal contribuente. La risposta fornita in sede di
interpello è vincolante per la stessa amministrazione finanziaria, che non può successivamente
emettere atti in contrasto con quanto comunicato al contribuente. Vediamo più nel dettaglio come
funziona l’interpello.
In generale, con l’espressione diritto di interpello si intende il diritto dei contribuenti di chiedere
chiarimenti all’amministrazione finanziaria, allo scopo di determinare quale sia il comportamento
fiscalmente corretto e non incorrere in sanzioni. Si tratta dunque di uno strumento ufficiale di
dialogo tra Fisco e contribuenti, previsto dallo Statuto dei diritti del contribuente.

La necessità di interpellare l’amministrazione può nascere dal fatto che:


le norme fiscali vengono modificate frequentemente e le novità non sempre sono di
facile comprensione;
le norme riguardano sempre casi astratti, per cui può essere difficoltoso capire se la
norma astratta si applica allo specifico caso concreto.
Tra le varie procedure di interpello previste dall’ordinamento, quella che interessa la generalità dei
contribuenti è definita interpello ordinario [1].
Con l’interpello ordinario il contribuente interpella l’amministrazione per ottenere una risposta
riguardante una fattispecie concreta e personale.
In particolare la risposta, che va fornita entro il termine di novanta giorni, può essere relativa:
alla applicazione di una disposizione tributaria, quando vi sono condizioni di
obiettiva incertezza sulla corretta interpretazione di tale disposizione;
19

alla corretta qualificazione fiscale del caso concreto, quando tale qualificazione sia
obiettivamente incerta.

Lezione 018

01. LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI DELLE PERSONE FISICHE VA PRESENTATA:

SE SONO STATI CONSEGUITI REDDITI NELL'ANNO PRECEDENTE LA DICHIARAZIONE

02. LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI E' NULLA SE:

E' PRESENTATA OLTRE 90 GIORNI DALLA SCADENZA UTILE PER LA PRESENTAZIONE

03. Cos'è la dichiarazione dei redditi?

La dichiarazione con cui il contribuente dichiara i redditi percepiti nel periodo di imposta

04. La dichiarazione dei redditi delle persone fisiche e giuridiche si differenziano in quanto:
L'una riguarda i redditi prodotti dalle persone fisiche, l'altra i redditi prodotti dalle persone giuridiche

05. La dichiarazione dei redditi delle persone fisiche rappresenta:

La dichiarazione in cui confluiscono tutti i redditi ai fini Irpef ex art. 6 TUIR

06. LA DICHIARAZIONE DEI REDDITI DEVE ESSERE PRESENTATA:

SU STAMPATI CONFORMI A QUELLI PREDISPOSTI DALL'AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA

07) Il candidato indichi cosa si intende per dichiarazione IVA annuale.

a dichiarazione annuale IVA rappresenta il riepilogo delle operazioni attive e passive effettuate dai
titolari di partita IVA nel corso dell'anno precedente a quello di presentazione e determina la
liquidazione definitiva del debito o del credito d'imposta
Le persone fisiche titolari di partita IVA, le società e gli enti con periodo d'imposta coincidenti con
l'anno solare presentano la dichiarazione unificata qualora debbano presentare almeno due delle
seguenti dichiarazioni: dichiarazione dei redditi, IVA e IRAP.
Sono obbligati a presentare la dichiarazione IVA in forma autonoma i seguenti soggetti:
• i venditori "porta a porta" ed altri soggetti esonerati dalla dichiarazione dei redditi;
• le società di capitali e gli enti soggetti ad IRES, nonché le società di persone con
esercizio non coincidente con l'anno solare;
• i curatori fallimentari e i commissari liquidatori per conto dei soggetti falliti o
sottoposti a procedura di liquidazione coatta amministrativa;
• i soggetti non residenti che hanno operato mediante identificazione diretta;
• i rappresentanti fiscali di soggetti non residenti e senza stabilire organizzazione in
Italia;
• società controllanti e controllate che effettuano la liquidazione di gruppo anche per i
periodi inferiori all'anno;
• i soggetti tenuti a comprendere nella propria dichiarazione annuale il modulo relativo
alle operazioni dei soggetti fusi, incorporati, trasformati, ecc., che abbiano partecipato durante
l'anno alla procedura della liquidazione IVA di gruppo;
20

• i soggetti risultanti da operazioni straordinarie o da altre trasformazioni sostanziali


soggettive, tenuti a presentare la dichiarazione annuale per conto dei soggetti estinti a seguito
dell'operazione intervenuta.
Inoltre, possono presentare la dichiarazione in via autonoma i soggetti che intendono utilizzare in
compensazione ovvero chiedere a rimborso il credito d’imposta risultante dalla dichiarazione
annuale.

Lezione 020
01. LA DICHIARAZIONE IVA DEVE ESSERE PRESENTATA:
DALLE PERSONE FISICHE E DALLE PERSONE GIURIDICHE TITOLARI DI PARTITA IVA

02. NON DEVE PRESENTARE LA DICHIARAZIONE IVA

CHI EFFETTUA SOLO OPERAZIONI ESENTI

03. LA DICHIARAZIONE IVA RIEPILOGA:


LE OPERAZIONI IMPONIBILI, NON IMPONIBILI ED ESENTI

04. NELLA DICHIARAZIONE IVA VENGONO RIEPILOGATE:

LE OPERAZIONI ATTIVE, LE OPERAZIONI PASSIVE E LE LIQUIDAZIONI PERIODICHE

05. LA DICHIARAZIONE IVA E':

LA DICHIARAZIONE ANNUALE RIEPILOGATIVA DELL'IVA SU ACQUISTI, VENDITE, LIQUIDAZIONI PERIODICHE E RELATIVI


VERSAMENTI

06. COSA E' LA DICHIARAZIONE IVA

LA DICHIARAZIONE RIEPILOGATIVA ANNUALE DELLE OPERAZIONI RILEVANTI AI FINI IVA

Lezione 022
01. A PROPOSITO DEL CONTROLLO FORMALE, SI PUO' AFFERMARE CHE:
LE DICHIARAZIONI DEI REDDITI SONO SOTTOPOSTE AD UN PRIMO CONTROLLO FORMALE DISCIPLINATO DALL'ART. 36-BIS DPR
600/73

Lezione 023

01) Il candidato spieghi che cosa si intende per controllo sostanziale delle dichiarazioni.

Controllo sostanziale delle dichiarazioni dei redditi: art.37

Il primo comma fa riferimento al controllo sostanziale della dichiarazione: le dichiarazioni sono


oggetto di controllo da parte dell’amministrazione sulla base di criteri selettivi indicati anno per
anno dal ministero delle finanze. Non c’è, né ci può essere un controllo di carattere sostanziale, il
controllo sostanziale è molto delicato, non raggiunge neanche l’1/1,5% delle dichiarazioni
presentate dai contribuenti. Ecco perché all’inizio di ogni anno solare il dipartimento delle finanze
concorda dei criteri selettivi sui cui l’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza devono
sviluppare i controlli nell’anno, vengono quindi indicate specifiche categorie di contribuenti, anche
21

sulla base degli studi di settore. Esempio quest’anno controlliamo gli avvocati matrimonialisti,
oppure i penalisti.
C’è quindi una tendenziale verifica in ordine a queste categorie, ma ciò non esclude affatto che
l’ufficio dell’amministrazione non possa fare accertamenti nei confronti di chiunque sulla base di
dati e notizie da lei raccolte o fornite dalla guardia di finanza. Il problema maggiore riguarda gli
accertamenti dei redditi di lavoro autonomo e i redditi di impresa.
Il controllo è sostanziale perché va a verificare voce per voce la dichiarazione dei redditi, quindi ad
esempio nel caso di reddito di lavoro autonomo o di impresa, si vanno a verificare le poste
contenute nei singoli righi della dichiarazione e per il reddito di impresa bisogna andare a vedere il
conto economico.
COSTI DI REGIA : costi che vengono addebitate alle società controllate dalla casa madre.

02) Cosa sono accessi, ispezioni e verifiche.

L’esercizio dei poteri di controllo in materia di imposte dirette da parte dell’amministrazione


finanziaria è regolata dal titolo IV del D.P.R. 600/73 ai fini delle imposte sui redditi e dagli articoli 51
e 52 D.P.R. 633/72 in materia di IVA.

L’art. 12 della L. 212/2000 (Statuto del contribuente) prevede, tuttavia, che «gli accessi, le
ispezioni e le verifiche nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole,
artistiche e professionali sono effettuate sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo.
Essi si svolgono, salvo casi eccezionali e urgenti adeguatamente documentati, durante l’ordinario
orario di esercizio delle attività e con modalità tali da arrecare la minor turbativa possibile allo
svolgimento delle attività stesse nonché alle relazioni commerciali o professionali del
contribuente».

Accessi ed ispezioni (art. 52del D.P.R. N. 633/1972 e art. 33del D.p.r. 600/1973) sono quei
controlli che si riferiscono all’esame di uno specifico registro (ad esempio il registro delle fatture
emesse) e sono di breve durata, di solito durano mezza giornata o qualche ora, ai quali segue un
processo verbale che può essere negativo (se non vengono riscontrate irregolarità) oppure
positivo rilevando infrazioni. L'accesso può avvenire anche presso altri enti (ad esempi: Pubblica
Amministrazione, Istituti di credito), con apposita autorizzazione, al fine di reperire informazioni utili
al controllo.
Controlli documentali (art. 32 del D.P.R. n. 600/1973) Sono richieste di informazioni e
documentazioni o registri contabili, di solito svolti presso l'Ufficio stesso (ad esempio controllo
formale ex art. 36-ter del D.P.R. n. 600/1973 sulle dichiarazioni dei redditi).
Verifiche Si tratta di controlli specifici composti da una serie di operazioni finalizzate a controllare il
regolare adempimento delle norme tributarie. La verifica è finalizzata all'acquisizione di ogni
elemento utile all'accertamento (dei redditi, dell'Iva e dei tributi indiretti) e si sviluppa mediante
ispezioni documentali che interessano l’attività del contribuente e termina con la compilazione di
atti specifici. Può essere eseguita nei confronti di qualunque persona fisica, società o ente che
abbia posto in essere attività alle quali le norme tributarie pongono obblighi o divieti e la cui
inosservanza è sanzionata in via amministrativa e/o penale.

Si parla di ispezione quando l’accesso ha come scopo l’analisi di un determinato elemento


documentale o materiale; quando invece l’accesso è finalizzato ad analizzare la corretta
autoliquidazione dell’imposta da parte del contribuente si parla di verifica, la quale ha inizio con
l’accesso, seguito da ispezioni documentali ed altre operazioni e si conclude, entro trenta giorni
(prorogabili per altri trenta in caso di particolare complessità dell’indagine), con la redazione di un
processo verbale di constatazione.
L’accesso deve essere autorizzato: per accedere ai locali adibiti ad attività d’impresa è sufficiente
l’autorizzazione del dirigente dell’ufficio dell’Agenzia o del comandante di zona della Guardia di
finanza, mentre per l’accesso nelle abitazioni, come per l’esame di documenti per cui venga
eccepito il segreto professionale nel caso di accesso in studi professionali, è necessaria anche
22

l’autorizzazione del Procuratore della Repubblica. Se manca la prevista autorizzazione l’accesso è


ritenuto illegittimo;

Lezione 024

01. QUALI SOGGETTI SONO SOTTOPOSTI AD INDAGINE BANCARIA

19) Quali soggetti sono sottoposti ad indagine bancaria.

I destinatari di tale attività accertativa sono, sia i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture
contabili sia i soggetti titolari di altre categoria di reddito imponibile.
La finalità è, ovviamente, quella di far emergere componenti reddituali imputabili al soggetto
sottoposto a controllo e da questo non dichiarate.
Qualsiasi dato o informazione recuperato dall’Agenzia delle Entrate attraverso l’accertamento
bancario è inutilizzabile contro il contribuente se il controllo è avvenuto senza le autorizzazioni
prescritte dalla legge. È quanto chiarito dalla Cassazione con una recente
Indagini bancarie
I controlli bancari e finanziari rappresentano una delle più incisive modalità d’indagine a
disposizione dell’Agenzia delle Entrate e della Guardia di Finanza, e possono combinarsi con le
modalità sintetiche di determinazione del reddito soprattutto laddove risulta difficile procedere a
una ricostruzione fondata sui dati economici di un’attività “ufficiale”. In ambito fiscale, le indagini
bancarie risultano particolarmente utili per il fisco in quanto i dati così ottenuti costituiscono
«presunzioni» a favore dell’amministrazione finanziaria, contro cui il contribuente, se vuole
procedere a contestazione, deve fornire la prova contraria (cosiddetta «inversione dell’onere della
prova»).
In questo modo l’Agenzia delle Entrate può individuare i flussi e disponibilità di denaro e altri mezzi
finanziari del contribuente, in modo da verificare l’eventuale possesso di redditi non dichiarati.
Con l’istituzione della cosiddetta Anagrafe tributaria e dell’Anagrafe dei rapporti finanziari (anche
detta «dei conti correnti»), le indagini bancarie sono diventate più semplici e accessibili. Sono
iscritte all’anagrafe tributaria le persone fisiche, oltre alle società, associazioni ed organizzazioni
con o senza personalità giuridica, alle quali si riferiscono i dati e le notizie raccolti, o che abbiano
richiesto l’attribuzione del numero di codice fiscale.
Attualmente, l’esistenza di conti correnti e altri rapporti tra il soggetto sottoposto ad accertamento e
la banca, nonché la loro natura, devono essere:

– comunicate all’anagrafe tributaria;


– oggetto di archiviazione in un’apposita sezione dell’anagrafe stessa, con indicazione dei dati
anagrafici dei titolari, compreso il codice fiscale.
Tipologie di rapporti che sono oggetto di comunicazione
Possono essere oggetto di controllo bancario i seguenti rapporti intrattenuti dal contribuente con la
banca:
conto corrente;
conto deposito titoli e/o obbligazioni
conto deposito a risparmio libero/vincolato
rapporto fiduciario
gestione collettiva del risparmio
gestione patrimoniale
certificati di deposito e buoni fruttiferi
portafoglio
conto terzi individuale/globale
dopo incasso
cessione indisponibile
23

cassette di sicurezza
depositi chiusi
contratti derivati su crediti
carte di credito/debito
crediti di firma
crediti
finanziamenti
fondi pensione
patto compensativo
finanziamenti in pool
altro rapporto.

02. COSA SONO LE INDAGINI BANCARIE IN AMBITO TRIBUTARIO

20) Cosa sono le indagini bancarie in ambito tributario.

Le indagini Bancarie e finanziarie. Definizione.

Per indagine bancaria deve intendere l’attività posta in essere al fine di acquisire informazioni,
notizie e dati relative ad un rapporto, continuativo o anche occasionale – intrattenuto dal soggetto
verificato con una Banca, con Poste Italiane o con un qualsiasi altro istituto finanziario.

I destinatari di tale attività accertativa sono, invece, sia i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture
contabili sia i soggetti titolari di altre categoria di reddito imponibile.

La finalità è, ovviamente, quella di far emergere componenti reddituali imputabili al soggetto


sottoposto a controllo e da questo non dichiarate.

Attraverso l’acquisizione e l’analisi di informazioni, infatti, gli organi competenti possono con
maggiore facilità procedere ad individuare operazioni economiche occulte nonché quantificare
l’eventuale maggior reddito imponibile in capo al contribuente controllato.

2. Evoluzione normativa.

L’evoluzione della disciplina in materia di indagini bancarie e finanziarie ha viaggiato, nel corso
degli anni, di pari passo con la lenta ed inesorabile scomparsa del cosiddetto segreto bancario.

La regolamentazione in materia di indagini bancarie e finanziarie è passata dalla riforma Preti, che
subordinava l’utilizzo di tale modalità accertativa alla preventiva acquisizione di indizi di evasione,
a quanto previsto dal D.L. 6 dicembre 2011, n. 201 recante «Disposizioni urgenti per la crescita,
l’equità e il consolidamento dei conti pubblici» (c.d. decreto Monti), secondo cui le indagini
finanziarie rappresentano un vero e proprio presupposto dell’accertamento tributario.

Con la riforma Preti (anni 1971-1973), il Legislatore ha provveduto a stabilire all’art. 35 del D.P.R.
n. 600 del 1973, rubricato “Deroghe al segreto bancario”, chiare e tassative ipotesi di deroga
proprio al segreto bancario, cercando di coniugare la tutela del contribuente/risparmiatore
sottoposto a controllo con l’interesse pubblico della riscossione dei tributi.

Il D.P.R. n. 463 del 15 luglio 1982, ha provveduto a colmare le discrasie normative esistenti,
inserendo nella nuova formulazione dell’art. 35 del D.P.R. n. 633 del 1972, analoga deroga al
segreto bancario anche in materia di Iva, allineando, così, l’accertamento di tale imposta a quello
previsto in materia di imposte dirette.
24

Ma l’ulteriore e decisivo intervento in materia di indagini finanziarie è stato fatto con l’entrata in
vigore della L. n. 413/1991.

La norma in questione ha ampliato i poteri istruttori degli Uffici, provvedendo, sostanzialmente,


alla soppressione del segreto bancario.

In seguito a tale intervento l'accesso alle informazioni bancarie è stato notevolmente semplificato.
Gli Uffici finanziari, hanno potuto accedere ai rapporti di conto e deposito dei soggetti controllati
semplicemente sulla base di una richiesta nominativa autorizzata.

Il Legislatore del ’91 ha provveduto ad istituire, altresì, la cosiddetta Anagrafe dei conti, consistente
nell’elenco dei rapporti intrattenuti dai contribuenti con gli operatori finanziari e prevedendo, altresì,
l'obbligo a carico di questi ultimi, di trasmettere all'Anagrafe tributaria tutte le informazioni relative
alla propria clientela.

La ratio di tale previsione normativa è individuabile nell'opportunità pratica per l’Amministrazione


Finanziaria di disporre di un unico canale di informazioni.

L’implementazione delle funzioni dell’Anagrafe tributaria prevista dalla L. 30 dicembre 2004, n.


311 (Legge Finanziaria 2005) risponde, invece, all’esigenza di un corretto e trasparente controllo
dei flussi finanziari, sempre, ovviamente, nell’ottica di una maggiore incisività nella lotta
all’evasione ed all’elusione fiscale.

Le novità portate da tale provvedimento sono individuabili sia nella possibilità di accedere a tutti i
dati, le notizie ed i documenti relativi a qualsiasi rapporto intrattenuto od operazione effettuata dagli
operatori finanziari, inclusi i servizi prestati con i clienti, sia nella riduzione del termine da 60 a 30
giorni entro il quale dovrebbero essere fornite le risposte all’Amministrazione Finanziaria.

Tutto ciò previa autorizzazione del Direttore regionale dell’Agenzia delle entrate o del Comandante
regionale della Guardia di finanza.

In seguito alle modifiche intervenute con l’approvazione del D.L. 4 luglio 2006, n. 223, convertito
in legge il 4 agosto 2006, n. 248, l’art. 7 del D.P.R. n. 605/1973 (istitutivo dell’Anagrafe tributaria),
ha disposto l’obbligo a carico di tutti gli operatori finanziari di rilevare e tenere in evidenza i dati
identificativi di ogni soggetto che intrattiene con loro qualsiasi rapporto o effettua qualsiasi
operazione di natura finanziaria, ad esclusione di quelle di importo unitario inferiore a 1.500 euro.
La richiesta di informazioni, rivolta unicamente agli operatori finanziari che detengano rapporti con
il contribuente, previa consultazione dell’Archivio dei conti e dei rapporti, inserito in seno
all’Anagrafe tributaria, deve essere effettuata nel rispetto della privacy del contribuente.

In attuazione di tale norma l’Agenzia delle Entrate ha emanato il provvedimento del 19 gennaio
2007, n. 2007/9647, in base al quale gli operatori finanziari devono comunicare i dati identificativi,
compreso il codice fiscale, del soggetto, persona fisica o non fisica, che intrattiene il rapporto e, nel
caso di rapporti intestati a più soggetti, i dati identificativi, compreso il codice fiscale, di tutti i
contitolari del rapporto, nonché la tipologia di rapporto in essere.

Un recente e forse più significativo intervento normativo in materia di indagini finanziarie è quello
posto in essere con il D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito in legge il 14 settembre 2011, n. 148
che all’art. 2, comma 36 undevicies, ha stabilito che “in deroga a quanto previsto dall’art. 7, comma
11, del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 605”, l’Agenzia delle entrate
può procedere alla elaborazione di specifiche liste selettive di contribuenti da sottoporre a controllo
basate su informazioni relative ai rapporti e operazioni di cui al citato art. 7.

Viene, altresì, sostanzialmente previsto a carico degli istituti di credito e di tutti gli operatori
finanziari in genere, l’obbligo di comunicare all’Agenzia delle Entrate informazioni di carattere
selettivo relative a tutti i potenziali evasori fiscali, titolari di situazioni finanziariamente anomale.
25

La novità di tale norma è di notevole portata e consiste nel ribaltamento del criterio di utilizzo dello
strumento istruttorio costituito dalle indagini finanziarie. In base al D.L. n. 138/2011, infatti, le
informazioni ed i dati recepiti sono utilizzati per individuare le categorie di contribuenti che
presentano anomalie e che quindi devono successivamente essere sottoposti a verifiche, mentre,
in precedenza l’accertamento bancario era utilizzato soltanto dopo che l’Amministrazione
finanziaria aveva già avviato nei confronti di un individuato contribuente una attività accertativa,
previa autorizzazione e richiesta motivata.

Decreto Salva Italia. Un discorso a parte, sempre con riferimento alle indagini bancarie e
finanziarie, merita quanto previsto nel cosiddetto decreto Salva – Italia.

ll D.L. n. 201/2011, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, della L. 22


dicembre 2011, n. 214, comunemente noto come decreto “Salva Italia”, non ha una
particolare portata innovativa ma conferma un orientamento volto a spazzare qualsiasi tutela della
riservatezza dei cittadini italiani in favore della lotta all’evasione ed elusione fiscale.

Esso, infatti, prevede l’obbligo a carico degli operatori finanziari di comunicare periodicamente
all’anagrafe tributaria le movimentazioni ed ogni informazione, relativa ai rapporti intrattenuti con i
propri clienti, necessaria ai fini dei controlli fiscali, nonché l’importo delle operazioni finanziarie
indicate nella predetta disposizione.

Le modalità ed i tempi di comunicazione sono stati stabiliti con provvedimento del direttore
dell’Agenzia delle entrate al fine di disporre adeguate misure di sicurezza, di natura tecnica ed
organizzativa, per la trasmissione e la conservazione di tali informazioni ed il cui utilizzo non può
superare i termini massimi di decadenza previsti in materia di accertamento delle imposte sui
redditi.

In sostanza, l’Agenzia delle Entrate ha il potere di ispezionare, preventivamente, e senza


autorizzazione alcuna, le movimentazioni ed ogni ulteriore informazione relativa ai rapporti di cui
all’art. 7, comma 6, del D.P.R. n. 605/1973, senza tener conto del fatto che tali notizie relative al
singolo contribuente siano in conto o fuori conto.

Quanto previsto dall’art. 11, secondo comma, del D.L. n. 138 del 2011, pur consentendo
all’Amministrazione Finanziaria di avere, con maggiore celerità, le informazioni relative alle
movimentazioni finanziarie di tutti i contribuenti ( e non solo dei soggetti destinatari di controlli
fiscali) non definisce, però, con chiarezza il concetto di rapporti finanziari oggetto di tali informative,
limitandosi ad escludere da tale categoria solo le operazioni effettuate mediante versamento in
conto corrente di importo unitario inferiore a 1.500 euro.1

4. La valenza presuntiva delle movimentazioni bancarie.

La normativa vigente, perciò, consente agli organi accertatori di desumere dall’esame delle
movimentazioni bancarie e/o finanziarie una redditività del contribuente sottoposto ad indagine il
quale dovrà fornire la prova contraria della propria estraneità alle operazioni imponibili.

L’Amministrazione Finanziaria può emettere l’avviso di accertamento senza essere obbligata in


alcun modo a svolgere ulteriori indagini ma basandosi semplicemente ed esclusivamente
sull’esame delle movimentazioni bancarie o finanziarie.

Ai sensi dell'art. 32, n. 2 del D.P.R. n. 600 del 1973 nonché dell’art. 51 D.P.R. n. 633 del 1972 gli
importi a qualsiasi titolo accreditati sui conti correnti bancari possono essere posti a base delle
rettifiche e degli accertamenti e, pertanto, verranno considerati dal Fisco componenti positivi di
reddito (per qualsiasi categoria reddituale) sempre che il contribuente non dimostri di averne
tenuto conto ai fini della determinazione del reddito stesso o che le operazioni ad esse relative
siano fiscalmente irrilevanti.
26

Per ciò che riguarda i prelevamenti, invece, nel caso in cui di tali importi non ne risulti traccia in
contabilità e, soprattutto, non venga indicato il beneficiario, si presumeranno sintomatici di acquisti
in nero di beni o servizi destinati all’attività economica e, di conseguenza, presuntivi di ricavi o
compensi non dichiarati in quanto derivanti da vendite o prestazioni in nero.

Il Legislatore ha, pertanto, riconosciuto l’attitudine probatoria delle movimentazioni finanziarie, le


quali assumono una vera e propria efficacia presuntiva.

In tale ottica bisogna però fare una ovvia distinzione. Saranno irrilevanti ai fini accertativi le
movimentazioni che rientrino, comunque, nell’importo dichiarato e contabilizzato dal contribuente,
salvo adeguata motivazione da parte del Fisco (in quanto l’inversione dell’onere della prova opera
solo ed esclusivamente in presenza delle citate eccedenze).

Pertanto, sarà indispensabile per il contribuente che tutti i versamenti trovino capienza e
giustificazione nei ricavi contabilizzati e/o dichiarati ovvero nel reddito lordo documentato,
altrimenti dinanzi alle cosiddette eccedenze di versamento il Fisco avrà pieno titolo per chiedere
spiegazioni sulla provenienza.

Con riferimento ai prelevamenti, invece, è opportuno distinguere a seconda che il contribuente sia
un dipendente, un pensionato o che si tratti, invece, di un imprenditore.

Secondo recente giurisprudenza di legittimità2, infatti, il ragionamento presuntivo di cui sopra


opererebbe solo ed esclusivamente con riferimento ai redditi d’impresa ed ai redditi di lavoro
autonomo perché solo per tali categorie reddituali sarebbe ragionevole che una “spesa faccia
presumere attività occultate agli uffici”.

Riepilogando, il Legislatore prevede una presunzione di imponibilità relativamente ai versamenti


effettuati ed una discutibile doppia presunzione quanto ai prelevamenti, recuperandoli a tassazione
in quanto ritenuti costi occulti a fronte di ricavi occulti.

La direzione scelta dal Legislatore è apparsa totalmente in contrasto con le opinioni espresse
sull’argomento dalla dottrina. Si rammenta in proposito, autorevolissima, ma non recente,
dottrina3, secondo cui affinché gli “indizi di evasione” assumessero la dignità di presunzioni gravi,
precise e concordanti, era necessaria l’audizione del contribuente e solo da ciò sarebbe potuta
scaturire un’inversione dell’onere della prova, secondo la quale era il contribuente a dover
dimostrare che le suddette operazioni bancarie fossero state contabilizzate, ovvero fossero
ininfluenti dal punto di vista fiscale4.

Lezione 025

01. QUALI SONO GLI OBBLIGHI CHE IL CONTRIBUENTE DEVE RISPETTARE DURANTE L'ATTIVITA' ISTRUTTORIA?

21) Quali sono gli obblighi che il contribuente deve rispettare durante l’attività istruttoria?

gli obblighi che incombono sul contribuente durante l’attività ispettiva si accentrano sul dovere
di esibire all’atto dell’accesso tutti i libri, registri, scritture e documenti attinenti all’attività
esercitata. In tql senso occorrerà che il contribuente tenga conto del fatto che:

• i libri, registri, scritture e documenti di cui venga rifiutata l’esibizione non potranno essere
presi in considerazione, a suo favore, ai fini dell’accertamento in sede amministrativa o
27

contenziosa e che per rifiuto di esibizione si intende anche le dichiarazioni di non


possedere i libri, registri, documenti e scritture e/o la sottrazione di essi al controllo;
• rifiutare l’esibizione o comunque impedire l’ispezione delle scritture contabili e dei
documenti la cui tenuta e conservazione sono obbligatorie per legge, e dei quali risulta
l’esistenza, determina l’applicabilità di specifiche sanzioni amministrative;
• l’omessa tenuta, il rifiuto di esibizione o comunque la sottrazione delle scritture contabili
obbligatorie, ovvero l’indisponibilità di tali scritture pe cause di forza maggiore, può
legittimare l’A.F. alla determinazione induttiva del redito e dell’Iva.

Lezione 026
01. IL CANDIDATO ILLUSTRI IN CHE MODO PUO' CONCLUDERSI L'ATTIVITA' ISTRUTTORIA
22) Il candidato illustri in che modo può concludersi l’attività istruttoria.

La redazione del p.v.c. a conclusione dell’attività di verifica è prevista dall’art.52 Dpr n.633/72, che
impone la verbalizzazione di tutte le operazioni poste in essere nel corso dell’attività stessa,
nonché dall’art.24 della Legge n.4/1929, secondo cui le violazioni delle norme contenute nelle leggi
finanziarie sono constatate mediante processo verbale.

La funzione del p.v.c. è di:

documentare in modo organico i controlli svolti e i metodi adottati e compendiare le relative


risultanze, anche in caso di esito regolare;

• porre formalmente a conoscenza del contribuente dell’esito del controllo, anche al fine di
porlo nelle condizioni di assumere le iniziative a difesa ritenute opportune, in quanto esso è
inidoneo, di per sé stesso, ad incidere sulla posizione del contribuente e non
autonomamente impugnabile avanti le commissioni tributarie;
• porre l’ufficio competente in condizioni di avviare, ove necessario, le procedure per la
rettifica della dichiarazione, l’accertamento e la liquidazione delle imposte dovute, nonché
per l’irrogazione delle relative sanzioni e il calcolo degli interessi eventualmente dovuti in
ordine alle imposte non pagate.

Il p.v.c., in quanto atto redatto da pubblici ufficiali nell’esercizio dello loro funzioni, è, ai sensi
dell’art.2699 c.c., atto pubblico e, pertanto, ai sensi dell’art.2700 c.c., fa piena prova, fino a querela
di falso, della provenienza del documento dal pubblico ufficiale che lo ha formato, nonché delle
dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta essere avvenuti in sua
presenza o da lui compiuti.

La particolare forza probatoria del p.v.c., che deriva dalla sua natura di atto pubblico, riguarda i fatti
e gli accadimenti materiali, oltre che le eventuali dichiarazioni, attestati nel documento.

La Cassazione civile Sentenza, Sez.Trib, n.1453 del 21.01.2009, ha affermato che i risultati delle
verifiche della Guardia di Finanza possono supportare la pretesa impositiva anche se non sono
immediatamente contestati al contribuente.

La giurisprudenza di legittimità è concorde a riconoscere appieno la fede privilegiata del p.v.c., con
la conseguenza che l’ufficio impositore, su cui ricade l’onere della prova dei fatti contestati, può
28

fornire detta prova, appunto, mediante l’esibizione in giudizio del p.v.c. stesso a carico della parte
che è stata sottoposta a verifica, dal momento che questa ha sottoscritto il verbale ed è stata posta
in condizioni di prendere parte all’attività di verifica.

Lezione 027
01. L'AVVISO DI ACCERTAMENTO E' :

L'ATTO CHE LA GUARDIA DI FINANZA O GLI ISPETTORI DELL'AGENZIA DELLE ENTRATE DEVONO ESIBIRE IN CASO DI ACCESSO
PRESSO UN'AZIENDA, PENA L'INVALIDITA' DEL CONTROLLO

02. COSA E' L'ACCERTAMENTO CON ADESIONE

UNA SORTA DI ACCORDO TRA AMMINISTRAZIONE E CONTRIBUENTE A SEGUITO DI UN AVVISO DI ACCERTAMENTO OVE IL
CONTRIBUENTE BENEFICIA DI UNA RIDUZIONE DELLE SANZIONI E L'AMMINISTRAZIONE HA IL VANTAGGIO DI INTROITARE DA
SUBITO ANCHE SE IN PARTE L'ACCERTATO

03. CHE DIFFERENZA INTERCORRE TRA ACCERTAMENTO ANALITICO E ACCERTAMENTO SINTETICO

NEL PRIMO CASO VENGONO CONTROLLATE LE SINGOLE COMPONENTI REDDITUALI DICHIARATE DAL CONTRIBUENTE E CHE
RAPPRESENTANO DI FATTO IL SUO REDDITO COMPLESSIVO, NEL SECONDO SI PRESCINDE DA QUESTE ULTIME E SI ESAMINANO I
CONSUMI ED IL TENORE DI VITA DEL CONTRIBUENTE

04. COS'E' L'AVVISO DI ACCERTAMENTO

23) Cos’è l’avviso di accertamento.

L'avviso di accertamento, quale atto finale del procedimento tributario. Il procedimento tributario
può finire con l'ATTO DI ACCERTAMENTO. Questo atto è un provvedimento amministrativo
autoritativo che contiene la determinazione in forma autoritativa della pretesa tributaria del fisco.

L’atto finale di un controllo tributario è l’ avviso di accertamento o atto di accertamento emesso


dall’Agenzia delle Entrate o dalle altre Agenzia fiscali dell’amministrazione finanziaria.

L’avviso di accertamento è un provvedimento amministrativo.

Attraverso tale atto si esplica la pretesa tributaria da parte del fisco.

Con l’atto di accertamento l’amministrazione fiscale determina “se” il contribuente sia debitore
d’imposta e “quanto”, applicando eventualmente sanzioni ed interessi.

Viene anche definito atto impositivo, in quanto è un tipo di atto destinato ad incidere
autoritativamente nella sfera giuridica di terzi (contribuente), a prescindere dal consenso di questi.

Esecutività dell’atto di accertamento

L’atto di accertamento emesso a seguito di un controllo sostanziale, è un atto esecutivo.

L’esecutività consiste nel fatto che l’atto impositivo costituisce un titolo necessario e sufficiente per
iniziare l’esecuzione forzata sui beni del contribuente da parte dell’Amministrazione Finanziaria.
29

Fino a qualche hanno fa (2011) l’Amministrazione Finanziaria aveva maggiori difficoltà a


riscuotere un credito tributario, in quanto gli avvisi di accertamento non erano esecutivi.

Di conseguenza, l’Agenzia delle Entrate doveva passare le carte all’Ente della Riscossione
(Equitalia), che, per poter riscuotere coattivamente il tributo, doveva formare il c.d. ruolo (iscrizione
a ruolo).

Da quando gli atti impositivi hanno acquisito l’efficacia di titolo esecutivo, lo stesso costituisce titolo
per iniziare l’esecuzione forzata, decorsi inutilmente 60 giorni dalla notifica dell’atto.

Caratteristiche dell’atto accertativo

Va detto che l’atto di accertamento, così come gli altri atti del fisco, è un atto vincolato, nel
senso che non è un provvedimento discrezionale.

Gli organi accertatori dell’amministrazione finanziaria, nel porre in essere gli accertamenti tributari,
devono interpretare e applicare la legge, senza avere la possibilità di scegliere come meglio
ponderare tutti gli interessi in gioco (quello del contribuente e quello del fisco) per il miglior
soddisfacimento dell’interesse pubblico. Nel procedimento amministrativo di accertamento
tributario l’interesse pubblico preminente è l’interesse dello Stato ad incamerare le risorse erariali.

Tuttavia, pur essendo vincolata, l’attività dell’amministrazione finanziaria è di tipo valutativo, nel
senso che gli organi accertatori per assumere la decisione finale, devono valutare determinati
elementi di fatto: come ad esempio in che misura la posizione di un contribuente, sottoposto ad
accertamento, rientri nel campo di applicazione di una determinata norma tributaria.

05. QUALI SONO GLI ELEMENTI ESSENZIALI DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO

STRUTTURA DELL’ AVVISO DI ACCERTAMENTO

L’atto accertativo, così come la maggior parte degli atti amministrativi, ha forma scritta.

Per quanto riguarda la struttura dell’avviso, la stessa contiene l’indicazione per iscritto dei seguenti
elementi:

• INTESTAZIONE dell’autorità che ha emesso l’atto;


• PREAMBOLO: indicazione delle norme di legge o i regolamenti in base ai quali l’atto è stato
adottato;
• PARTE SOSTANZIALE, che comprende MOTIVAZIONE e DISPOSITIVO dell’atto;
• LUOGO: il luogo in cui è stato emanato l’atto;
• DATA;
• FIRMA dell’autorità che emana l’atto.

CONTENUTO DELL’AVVISO DI ACCERTAMENTO

Soffermandoci in modo più approfondito sulla parte sostanziale dell’avviso, va evidenziato che il
contenuto dell’atto di accertamento contempla 2 elementi essenziali:
– MOTIVAZIONE: indica gli elementi di fatto e di diritto che hanno determinato la decisione
30

dell’Amministrazione finanziaria (l’iter logico che ha portato all’atto finale);


– DISPOSITIVO: stabilisce cosa ha disposto l’ufficio (la dichiarazione di volontà
dell’amministrazione finanziaria

Lezione 028
01. IL CANDIDATO ILLUSTRI LE SOLUZIONI DI CUI DISPONE IL CONTRIBUENTE A FRONTE DI UN AVVISO DI
ACCERTAMENTO

24) Il candidato illustri le soluzioni di cui dispone il contribuente a fronte di un avviso di


accertamento.
Innanzitutto va detto che il termine di 60 giorni dalla notifica entro cui il contribuente deve pagare
oppure presentare ricorso può essere allungato fino ad ulteriori 90 giorni se viene presentata
istanza di accertamento con adesione. Oppure di ulteriori 45 giorni se il termine ultimo di 60
giorni dalla notifica dell’avviso di accertamento esecutivo cade nel cosiddetto “periodo feriale” e,
cioè, dal giorno 1 agosto al 15 settembre di ogni anno.
Fondamentale è, pertanto, la data di notificazione dell’atto.

Dopo la notifica dell’avviso di accertamento esecutivo, nell’ ipotesi in cui il contribuente ritenga di
poter agevolmente provare che l’Amministrazione Finanziaria sia incorsa in errore (errore di
persona, di calcolo, sul presupposto dell’imposta, doppia imposizione, pagamenti già avvenuti,
ecc.) si può presentare istanza di autotutela all’Ufficio dell’Agenzia delle Entrate che ha emesso
il provvedimento chiedendo l’annullamento o la revoca dell’atto.
Occorre tenere bene a mente che la presentazione dell’istanza di autotutela non sospende i
termini per l’impugnazione dell’atto.

L’impugnazione dell’accertamento esecutivo e la riscossione a titolo provvisorio.


Altre azioni possibili sono il pagamento o l’impugnazione dell’atto con ricorso dinnanzi alla
Commissione Tributaria Provinciale competente. Qualora il contribuente rinunci a presentare
ricorso e provveda a pagare nei termini di 60 giorni dalla notifica dell’accertamento, gode di una
riduzione a 1/3 delle sanzioni amministrative irrogate.

Nel caso in cui l’atto di accertamento sia impugnato con ricorso davanti alla Commissione
Tributaria, sempre entro 60 giorni dalla notifica dell’atto, il contribuente è tenuto a versare, a titolo
provvisorio, 1/3 delle somme riscuotibili.
La proposizione del ricorso impone il pagamento, a titolo provvisorio, di dette somme.
Per ovviare all’immediata riscossione di tali importi dovuti a titolo provvisorio, è possibile
proporre istanza di sospensione:
• istanza di sospensione giudiziale ai giudici in attesa che il giudizio venga definito;
• istanza di sospensione urgente al presidente della Commissione Tributaria adita;
• istanza di sospensione amministrativa indirizzata alla Amministrazione Finanziaria che ha reso
l’avviso di accertamento impugnato.

02. NULLITA' E ANNULLABILITA' DELL'AVVISO DI ACCERTAMENTO

25) Nullità e annullabilità del l’avviso di accertamento.

Il tema dell’invalidità dell’ avviso di accertamento esige alcune precisazioni istituzionali in quanto
di tanto in tanto sorgono equivoci, talvolta generati dal linguaggio impreciso del legislatore. Infatti,
secondo le norme del C.C. , il contratto può essere nullo o annullabile. Il contratto nullo è
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inefficace, invece, il contratto annullabile è efficace precariamente. Nel diritto amministrativo il


provvedimento viziato si dice illegittimo; e quando si parla di provvedimento nullo si ci riferisce ad
un provvedimento precariamente efficace suscettibile di eliminazione ( ossia annullabile). Inoltre, in
diritto amministrativo, l’illegittimità di un provvedimento può dipendere da 3 tipi vizi:

Incompetenza

Violazione di legge

Eccesso di potere

Nel diritto tributario valgono gli schemi del diritto amministrativo e quindi la nullità dell’avviso di
accertamento sancita nel diritto tributario, non deve essere intesa nel senso in cui il codice
civile parla di nullità dei contratti. L’avviso di accertamento nullo è infatti un atto che pur se viziato,
produce effetti ( come un provvedimento valido ); in sostanza la nullità dell’avviso di accertamento,
corrisponde all’annullabilità del contratto. L’avviso di accertamento nullo è un atto viziato, che tutta
via produce i suoi effetti fino a quando non è annullato dal giudice; preferibile dunque dire che è
illegittimo, o annullabile ( anche se la legge parla di nullità ).

In diritto tributario non essendovi atti discrezionali, non si danno vizi di << eccesso di potere >>.
Ogni possibile vizio è insomma un vizio di << violazione di legge>>. Tra i vizi degli avvisi di
accertamento, possiamo distinguere vizi di contenuto e vizi di forma. I primi riguardano la parte
dispositiva dell’atto e sono costituiti da violazioni delle norme tributarie sostanziali, che si riflettono
sull’an o sul quantum dell’imponibile dell’imposta. I vizi formali, invece, riguardano l’iter formativo
dell’atto, la motivazione, il rispetto dei termini, la competenza, ecc. . Per il negozio giuridico e per
gli atti processuali vi sono regole precise che indicano quando un atto è invalido; invece, nel diritto
amministrativo, in generale, ed in quello tributario, in particolare, non è stabilito un criterio preciso
per discernere i vizi innocui ( che generano l’irregolarità dell’atto ) dai vizi invalidanti. In diritto
tributario vi sono molte norme che stabilisco che un certo requisito è richiesto a pena di
nullità dell’atto; ad es. in materia di imposte dirette è stabilita in modo esplicito la nullità
degli accertamenti non sottoscritti o non motivati.

La nullità in diritto tributario, non ha la stessa efficacia rilevabile nel diritto civile, quindi niente
imprescrittibilità della relativa azione o eccezione , niente rilevabilità di ufficio (oltre che
dall'interessato) da parte del giudice in ogni stato e grado del processo.

La nullità dei provvedimenti tributari (non a caso), significa solo annullabilità; cioè l'atto
fiscalmente nullo produce effetti nel mondo giuridico come se fosse valido, tanto che
costituisce titolo per la riscossione ed e' suscettibile di divenire definitivo, rendendo irrilevanti gli
eventuali vizi di nullità, se l'interessato non ricorre al giudice tributario. Una volta impugnato, la
Commissione non può rilevare le nullità di propria iniziativa ma solo a richiesta del ricorrente
in virtù del principio del chiesto e del pronunciato.

La L. 11 febbraio 2005, n. 15, introduce nel testo della L. n. 241 del 7 agosto 1990 l'art. 21-
septies. Questa norma prevede, al comma 1, che "È nullo il provvedimento amministrativo che
manca degli elementi essenziali, che è viziato da difetto assoluto di attribuzione, che è stato
adottato in violazione o elusione del giudicato, nonché negli altri casi espressamente previsti dalla
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legge". Accanto a questa norma ne è stata inserita un'altra: si tratta dell'art. 21-octies secondo cui
"È annullabile il provvedimento amministrativo adottato in violazione di legge o viziato da eccesso
di potere o da incompetenza". In diritto amministrativo - e di riflesso in quello tributario dall'8 marzo
2005 abbiamo dunque, e questa è una novità rilevante, due categorie di atti invalidi: gli atti nulli e
gli atti annullabili.

È nullo, come abbiamo visto, l'atto che:

a) manca degli elementi essenziali (ad esempio, la sottoscrizione);

b) è emesso da soggetto cui la legge non riconosce il potere di adozione di quell'atto;

c) viola od elude il giudicato;

d) negli altri casi stabiliti dalla legge.

La nuova legge non ha una grande portata innovativa ai fini della nullità degli atti tributari, ma ha
effetto sull'annullabilità, anche se alcune considerazioni sulla nullità sono necessarie.

5.L'ANNULLABILITA'

L'annullabilità designa la (nuova) classe dei nuovi vizi degli atti tributari destinata sicuramente ad
innescare rilevanti problemi interpretativi. Abbiamo visto che - prima della riforma del 2005 - sia in
diritto amministrativo che in diritto tributario l'atto predicato nullo dalla legge è in realtà un atto
annullabile, e quindi produttivo di effetti sino a che non venga annullato dal Giudice ovvero
dall'Amministrazione in sede di autotutela. Sino a che venga annullato, l'atto annullabile possiede
la stessa dignità (e gli effetti) dell'atto valido.

Essendo un istituto nuovo per l'ordinamento tributario, l'annullabilità - in quanto principio generale
applicabile indistintamente a tutti gli atti amministrativi - vale anche nei confronti dei provvedimenti
impositivi. La prima parte dell'art. 21-octies della L. n. 241 del 1990 ci dice che è annullabile il
provvedimento impositivo :"adottato in violazione di legge o viziato da eccesso di potere o
da incompetenza".

CASI DI ANNULLABILITA'

L'eccesso di potere: Questo vizio è presente quando l'atto viene adottato per perseguire un
interesse diverso dallo schema tipico suo proprio, ci sono ipotesi non irrilevanti - come l'atto di
diniego di autotutela o l'equivalente silenzio-rifiuto - in cui è possibile ravvisare un cattivo uso, o un
non uso illegittimo, del potere di autoannullare il provvedimento fiscale invalido.

La violazione di legge:la violazione di legge, relativamente ai provvedimenti impositivi, potrà al


più dare luogo a mere irregolarità ininfluenti sulla validità dell'atto.

Incompetenza territoriale: La giurisprudenza - ante riforma 2005 - considera l'incompetenza


territoriale dell'ufficio tributario un vizio mortale. Benché nessuna norma sanzioni così gravemente
il provvedimento impositivo adottato da un'Agenzia delle Entrate diversa da quella che sarebbe
territorialmente competente in base, ad esempio, al domicilio fiscale del contribuente, per la
Cassazione si versa in una ipotesi di nullità insanabile, rilevabile anche di ufficio dal giudice in ogni
33

stato e grado del processo .Dall'8 marzo 2005 la situazione dovrebbe mutare; il vizio di
incompetenza territoriale integra il vizio meno grave dell'annullabilità con la conseguenza che: a)
non è rilevabile di ufficio dal giudice; b) deve formare oggetto di specifico motivo di impugnazione

6.CASI PRATICI DI NULLITA'

A questo punto dobbiamo chiederci: tutte le ipotesi di nullità previste dalla legge fiscale possono
formare oggetto di azioni dichiarative davanti al giudice tributario? Se, ad esempio, un avviso di
accertamento è nullo per difetto di motivazione ovvero perché manca l'indicazione del maggiore
imponibile accertato , si potrà adire la Commissione tributaria in ogni tempo, senza cioè
dover osservare il termine di decadenza fissato per impugnare l'atto fiscale?

Non e' facile dare una risposta, bisogna pero' fare alcune considerazioni interpretative, che
dovranno trovare conferma in giurisprudenza.

LA NULLITA' ASSOLUTA

Un esempio rilevante è fornito dall'emissione della cartella di pagamento senza la preventiva


notifica del cosiddetto avviso bonario, richiesto a pena di nullità dall'art. 6, comma 5, della
L. n. 212 del 27 luglio 2000 (Statuto del contribuente). Emissione di un provvedimento impositivo
emesso nonostante il contribuente si sia adeguato alla condotta fiscale che l'Agenzia delle
Entrate(interpello), in esito ad istanza scritta dell'interessato, gli abbia indicato, ovvero quando
l'Agenzia delle Entrate non abbia risposto all'istanza del contribuente entro il termine di 120
giorni (ipotesi tipica di silenzio-assenso)

In questi casi di nullità assoluta, non dovrebbero prevedere termini decadenza, e quindi l'atto
dovrebbe essere impugnabile anche oltre i 60 gorni previsti per l'impugnativa.Il giudice, anche di
ufficio, dovrebbe dichiarare la nullità del provvedimento impositivo.

LA NULLITA' RELATIVA (La carenza di motivazione dell'atto)

L'art. 61, comma 2, del D.P.R. n. 600 del 1973 stabilisce, infatti, che "La nullità dell'accertamento
ai sensi del terzo comma dell'art. 42 e del terzo comma dell'art. 43, e in genere per difetto di
motivazione, deve essere eccepita a pena di decadenza in primo grado".Consegue che qualunque
vizio dell'avviso di accertamento (nessuno escluso: anche la mancanza di sottoscrizione, che, di
solito, è causa di nullità se non di inesistenza), compreso il difetto di motivazione in tutte le sue
articolazioni (inclusa la mancata allegazione del documento cui l'atto impugnato faccia riferimento),
non può essere rilevata di ufficio dal giudice (la norma stabilisce infatti che la nullità deve essere
eccepita) ma deve formare oggetto di specifico motivo di ricorso da proporre nel termine, stabilito a
pena di decadenza, di 60 giorni
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Lezione 029
01. A FRONTE DI UN AVVISO DI ACCERTAMENTO, OLTRE AL RICORSO IL CONTRIBUENTE PUO':

PRESENTARE ISTANZA DI ACCERTAMENTO CON ADESIONE

02. L'AVVISO DI ACCERTAMENTO DEVE ESSERE IMPUGNATO:

ENTRO 60 GIORNI DALLA SUA NOTIFICA

03. IL RICORSO AVVERSO AVVISO DI ACCERTAMENTO VA NOTIFICATO:

ALLA COMMISSIONE TRIBUTARIA PROVINCIALE

Lezione 031

01. IL CANDIDATO ILLUSTRI IN CHE CONSISTE L'ACCERTAMENTO CON ADESIONE

26) Il candidato illustri in che consiste l’accertamento con adesione.

L'accertamento con adesione è quello strumento attraverso il quale il contribuente può tentare
un accordo con il fisco al fine di evitare una lite tributaria.

Avvalendosi di tale procedura, il contribuente può ottenere una riduzione delle


sanzioniamministrative a 1/3 del minimo e, se i fatti sono perseguibili penalmente, può anche
beneficiare della circostanza attenuante rappresentata dal perfezionamento
dell'adesione attraverso il pagamento delle somme prima dell'apertura del dibattimento in primo
grado.

Oggetto e legittimazione
L'accertamento, più nel dettaglio, ha per oggetto le imposte dovute e può essere esperito sia nel
caso in cui con riferimento ad esse sia già stato emesso un avviso di accertamento (purché non
sia stato presentato ricorso dinanzi al giudice tributario) che nel caso in cui tale avviso non sia
ancora stato emesso.
La possibilità di avviare un accertamento con adesione, in ogni caso, è riconosciuta non solo in
capo al contribuente ma ad esso può ricorrervi anche direttamente l'ufficio dell'Agenzia delle
Entrate nella cui circoscrizione il contribuente ha il domicilio fiscale.
Procedimento su iniziativa del contribuente
Quando è il contribuente a voler avviare la procedura di accertamento con adesione, ciò che
dovrà fare sarà presentare una domanda in carta libera all'ufficio competente per territorio.
In essa va formulata la proposta di accertamento e devono essere indicati i dati anagrafici e
tutti i recapiti, anche telefonici, del contribuente.
Termini
Come detto, la domanda può essere presentata dal contribuente in due casi:
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- prima della ricezione di una notifica di un atto di accertamento non preceduto da un invito a
comparire, nel caso in cui siano stati effettuati accessi, ispezioni o verifiche da parte
dell'Amministrazione finanziaria o della Guardia di Finanza, conclusi con verbale di contestazione
- dopo la notifica di un atto impositivo non preceduto da un invito a comparire.
In quest'ultimo caso, tuttavia, la possibilità viene meno con lo spirare del termine per la
proposizione dell'eventuale ricorso.
A tal proposito occorre precisare che se la domanda è inviata tramite posta ordinaria, si farà
riferimento alla data di arrivo della stessa in ufficio. Se invece essa è inviata con plico
raccomandato senza busta con avviso di ricevimento, si farà riferimento alla data di spedizione.

L'invito a comparire
L'invito a comparire da parte dell'ufficio competente è obbligatorio o meno a seconda che la
domanda sia stata proposta dal contribuente dopo la notifica di un atto impositivo o prima
di aver ricevuto la notifica di un atto di accertamento.
Mentre nel primo caso, infatti, l'ufficio è tenuto a formulare l'invito al contribuente entro 15 giorni dal
ricevimento della domanda, nel secondo caso potrà valutarne l'opportunità.

Procedimento su iniziativa dell'ufficio


Come detto, il tentativo di definire in maniera concordata il rapporto tributario può essere esperito
anche direttamente dall'ufficio.

Ciò avviene mediante la formulazione spontanea di un invito a comparire prima della notifica di
un avviso di accertamento.
Nell'invito, con carattere informativo, vanno indicati innanzitutto i periodi di imposta per i quali è
possibile l'accertamento e gli elementi rilevanti a tal fine. Ad essi si aggiunge l'indicazione del
giorno e del luogo dell'appuntamento.
Fare attenzione all'invito eventualmente formulato dall'ufficio è molto importante per il contribuente
in quanto in caso di mancata adesione non sarà più possibile, per i medesimi elementi e periodi di
imposta, ricorrere all'accertamento con adesione.

Raggiungimento dell'accordo
La procedura di accertamento di adesione si svolge in uno o più incontri durante i quali il
contribuente può anche farsi assistere da un procuratore.
Se all'esito della procedura non si riesce ad addivenire a un accordo, il contribuente può
comunque ricorrere al giudice tributario avverso l'atto già emesso o ancora da emettere.
Se, invece, si raggiunge un accordo, esso va riportato all'interno di uno specifico atto di adesione
e si perfezionerà solo con il pagamento delle somme che ne siano risultate.
Pagamento
Più in particolare, il pagamento può essere fatto sia in un'unica soluzione, che ratealmente.
Nel primo caso il termine per provvedervi è di 20 giorni dalla redazione dell'atto, mentre nel
secondo caso tale termine vale solo per la prima rata. Le altre (massimo 8) andranno invece
saldate con cadenza trimestrale, maggiorate degli interessi calcolati a partire dal giorno
successivo a quello in cui è stata pagata la prima rata.
L'ufficio è tenuto a inviare al contribuente, entro dieci giorni dal pagamento, la relativa quietanza.
Sospensione dei termini
È fondamentale infine sottolineare che la presentazione della domanda di accertamento con
adesione comporta la sospensione per 90 giorni dei termini per presentare l'eventuale ricorso,
per pagare le imposte accertate e anche per iscrivere a ruolo a titolo provvisorio le imposte
accertate dall'ufficio.
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02. IL CANDIDATO ILLUSTRI LA DIFFERENZA TRA ACCERTAMENTO CON ADESIONE E CONCILIAZIONE GIUDIZIALE

L’accertamento con adesione è un istituto deflattivo del contenzioso che consente di


rideterminare la pretesa tributaria in contraddittorio con l’Amministrazione finanziaria,
beneficiando di sanzioni ridotte ad 1/3 del minimo, prima dell’instaurazione del contenzioso
tributario. La nostra guida all’utilizzo.
L’accertamento con adesione (D.Lgs. n. 218/97), è un istituto mediante il quale il contribuente
giungere alla definizione della controversia nella fase precontenziosa in contraddittorio con
l’Ufficio accertatore.
L’accertamento con adesione si colloca tra gli strumenti deflattivi del contenzioso tributario, in
quanto permette al contribuente di evitare un lungo processo tributario con l’Amministrazione
finanziaria, beneficiando di sanzioni ridotte ad 1/3 del minimo. L’articolo 1 del D.Lgs. n. 218/97
conferma il principio della collaborazione tra Amministrazione finanziaria e contribuente in
tema di accertamento delle imposte: “l’accertamento delle imposte sui redditi e dell’imposta sul
valore aggiunto può essere definito con un adesione del contribuente, su proposta degli Uffici
competenti“.
Tale istituto non prevede, in via di principio, cause di inammissibilità, ed inoltre:
• Si applica a tutti i contribuenti, inclusi i sostituti d’imposta;
• Consente la definizione dell’accertamento relativamente alle imposte sui redditi, all’Iva ed alle
altre imposte indirette.
La definizione mediante adesione dell’accertamento comporta i seguenti benefici:
• L’entità della pretesa può essere ridimensionata nell’ipotesi in cui, in sede di contraddittorio,
l’Ufficio accolga le doglianze del contribuente;
• Le sanzioni sono ridotte ad un terzo del minimo edittale.
L’adesione è possibile anche per le liti soggette a reclamo/mediazione, ovvero per le liti su atti
emessi dall’Agenzia delle Entrate di valore non superiore a €. 20.000,00. In tal caso,
successivamente al tentativo di adesione, il contribuente, in luogo del ricorso, è tenuto a
presentare reclamo ed a tentare una mediazione.

Lezione 033
01. L'ABUSO DI DIRITTO SI CARATTERIZZA PER I SEGUENTI ELEMENTI:
ASSENZA DI VALIDE RAGIONI ECONOMICHE, AGGIRAMENTO DI OBBLIGHI E DIVIETI PREVISTI DALL'ORDINAMENTO,
CONSEGUIMENTO DI UN RISPARMIO FISCALE ALTRIMENTI INDEBITO

02. IL CANDIDATO ILLUSTRI LA DIFFERENZA TRA EVASIONE ED ELUSIONE/ABUSO DI DIRITTO


27) Il candidato illustri la differenza tra evasione ed elusione/abuso di diritto.

Si tratta di due termini, o meglio dire due comportamenti, che hanno un obiettivo comune: pagare
meno tasse e “aggirare” le norme fiscali. La differenza però è sostanziale soprattutto per quanto
riguarda limiti e conseguenza in ambito penale e amministrativo.

Per quanto riguarda l’elusione fiscale nel testo faremo riferimento alle novità introdotte con
la legge 212 del 2000, con la quale il termine e l’illecito previsto dal D.p.r. 600/1973 è stato
sostituito dal cosiddetto “abuso del diritto”.
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Ecco quali sono le differenze tra evasione fiscale ed elusione fiscale, quali sono le conseguenze e
quali i limiti.

Evasione ed elusione fiscale: ecco qual è la differenza

Seppur in ambedue i casi si tratti di comportamenti orientati a contrastare e ridurre il prelievo


tributario, l’evasione fiscale e l’elusione sono termini ben diversi, soprattutto sul piano penale e
sanzionatorio.

Mentre l’evasione fiscale può essere definita come un comportamento che mira ad occultare e a
contrastare il prelievo fiscale, l’elusione fiscalerappresenta un vero e proprio abuso del diritto,
ovvero la messa in pratica di comportamenti e azioni che hanno come obiettivo ultimo quello di
raggirare le leggi a proprio vantaggio, mettendo in pratica comportamenti che indirettamente
portano alla diminuzione del prelievo fiscale.

In entrambe i casi si tratta di comportamenti sanzionabili sul piano amministrativo; soltanto


l’evasione fiscale, invece, porta a conseguenze di natura penale.

Vediamo nello specifico cosa si intende per evasione fiscale, cos’è invece l’elusione fiscale
identificando qual è la differenza sostanziale tra i due comportamenti.

Evasione fiscale, definizione e limiti

L’evasione fiscale può essere definita come tutti quei comportamenti e metodi che hanno come
obiettivo quello di ridurre o eliminare il prelievo fiscale da parte dello Stato sul contribuente,
attraverso pratiche che violano le leggi e le norme fiscali.

Comportamenti tipici di evasione fiscale sono la mancata emissione di fatture e scontrini in


operazioni di vendita di beni o prestazioni di servizi, o la presentazione di dichiarazioni dei redditi
incomplete, di modo da ridurre il prelievo fiscale sui propri redditi.

Riportando quanto contenuto su una scheda informativa pubblicata dall’Agenzia delle Entrate,
l’evasione fiscale “provoca un danno a tutta la società, provoca il deficit pubblico, toglie ai poveri e
agli onesti per dare ai ricchi”.

L’evasione fiscale può essere sanzionata sia sul piano amministrativo che penale, in funzione,
di norma, della misura dell’importo di imposte e tasse non versate allo Stato a seguito del mancato
rispetto delle norme tributarie.

Elusione fiscale e abuso del diritto, la legge n. 212/2000

Quando si parla di elusione fiscale si fa riferimento ad un comportamento molto differente sul


piano normativo che sanzionatorio rispetto all’evasione.

In linea di principio, seppur in entrambe le situazioni l’obiettivo ultimo sia non adempiere ai propri
obblighi fiscali e tributari secondo la propria disponibilità economica, l’elusione fiscale consiste
in operazioni prive di sostanza economica che, seppur rispettando la legge, realizzano degli
indiretti vantaggi fiscali al contribuente.
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Con la legge n. 212/2000, lo Statuto dei diritti del contribuente, il concetto di elusione fiscale è
stato accorpato all’abuso del diritto; la definizione è apportata dalla normativa di riferimento,
al comma 1 dell’articolo 10 bis, ovvero: “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive
di sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente
vantaggi fiscali indebiti”.

Per quanto riguarda l’aspetto sanzionatorio, l’elusione fiscale è irrilevante dal punto di vista penale
ma prevede l’applicazione di sanzioni amministrativecommisurate alla misura dell’importo eluso
al Fisco.

Al contrario, non sono sanzionate e non si configurano come abuso di diritto ed elusione fiscale “le
operazioni giustificate da valide ragioni extrafiscali non marginali, anche dettate da esigenze di
ordine organizzativo o gestionale, che rispondono a finalità di miglioramento strutturale o
funzionale dell’impresa o dell’attività professionale del contribuente” (art. 10, comma 3, legge n.
212/2000).

03. IL CANDIDATO ILLUSTRI LA NORMATIVA ANTIELUSIVA


28) Il candidato illustri la normativa antielusiva.
L’ordinamento italiano non è incline all’introduzione di una norma generale antielusiva.
Sicché, il contrasto dell’elusione è stato affidato a discipline puntuali, aventi ad oggetto ipotesi ben
individuate e riferite a fattispecie specificamente delimitate.
Un tentativo in punto di emanazione di una norma di carattere generale fu compiuto con l’art. 37
bis d.p.r. 600/73, il quale sancisce che sono inopponibili all’amministrazione finanziaria gli atti, i
fatti e i negozi, anche collegati fra loro, privi di valide ragioni economiche, diretti ad aggirare
obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario, e ad ottenere riduzioni di imposta o rimborsi,
altrimenti indebiti;
La prima condizione è che il comportamento del contribuente si risolva in un complesso di atti,
negozi e fatti costituenti “aggiramento” di “obblighi o divieti”.
La seconda condizione richiesta è che il comportamento elusivo sia diretto ad ottenere riduzioni di
imposta o rimborsi “altrimenti indebiti”.
Né è il riferimento ai divieti impliciti né quello al sistema (oppure i principi di questo) sono di aiuto
per l’interprete allorché si tratti di stabilire quando è che ricorre la fattispecie dell’art. 37 bis d.p.r.
600/73; fattispecie che, invece, sembrerebbe tutta incentrata sul conseguimento, in virtù degli atti o
dei comportamenti elusivi, di un vantaggio consistente in riduzioni di imposta o rimborsi indebiti e
quindi non spettanti.
Insomma, la formulazione della norma lascia chiaramente intendere che occorre stabilire un
confronto fra un maggior onere fiscale “ordinario” ed un minore onere fiscale effettivamente
determinatosi nella fattispecie concreta; sennonché, quando ci si mette alla ricerca del primo
termine di raffronto, ci si rende agevolmente conto che esso non può essere individuato su basi
giuridiche.

Con la nuova norma di cui all’art. 10 bis introdotta nello Statuto dei diritti del contribuente
(Legge 27 luglio 2000, n. 212) (appunto intitolata “Disciplina dell'abuso del diritto o elusione
fiscale”) dall’art. 1 del D.Lgs. n. 128 del 5 agosto 2015 recante “Disposizioni sulla certezza del
diritto nei rapporti tra fisco e contribuente”, in attuazione degli articoli 5, 6 e 8, comma 2, della
legge 11 marzo 2014, n. 23, l’abuso del diritto è stato depenalizzato.
La nuova disciplina entrata in vigore il 2 settembre 2015 che, ai sensi dell’art. 1, ultimo comma, del
citato Decreto, ha acquistato efficacia a decorrere dal 1° ottobre 2015,raccoglie in forma
unitaria i principi e le regole in materia di abuso del diritto e di elusione in materia fiscale ovvero
unifica le nozioni di abuso del diritto ed elusione fiscale, che vengono fuse in un'unica definizione
(art. 10 bis, comma 1).
Al contempo, il comma 2 dell’art. 1 del decreto ha abrogato l’art. 37-bis del D.P.R. 600/1973,
attraverso il quale finora è stata disciplinata l’elusione fiscale, limitatamente peraltro a una serie di
fattispecie, numerose e molto importanti, ma non esaustive, in esso espressamente indicate.
39

Ebbene, significativa l'ultima previsione del nuovo articolo 10-bis che chiarisce come le
contestazioni relative al "nuovo" abuso del diritto (condotte elusive/abusive) non
costituiscono più reato penale; a prevederlo è il nuovo comma 13: «le operazioni abusive non
danno luogo a fatti punibili ai sensi delle leggi penali tributarie. Resta ferma l'applicazione delle
sanzioni amministrative tributarie». La nuova previsione normativa risulta conforme alla ultima
giurisprudenza della Cassazione (4561/2015)secondo cui in materia di abuso del diritto devono
trovare applicazione le sanzioni per infedeltà della dichiarazione.
Prima dell'entrata in vigore del decreto, elusione e abuso di diritto erano, invece, due condotte
perseguite, sotto il profilo penale, in modo differente.

Le operazioni ritenute elusive dall'amministrazione potevano integrare reati tributari al


superamento delle soglie di punibilità. Le operazioni abusive, invece, non potevano costituire reato
in quanto il concetto di "abuso", considerato "immanente" nel nostro ordinamento dalla
giurisprudenza, non era espressamente previsto dalla norma.

Il decreto sulla certezza del diritto riunendo i concetti, esclude la rilevanza penale di queste
violazioni denominandole abusive, anche quando la fattispecie comporti il superamento delle
soglie di punibilità.

Per poter comprendere la portata della norma antielusiva, è importante procedere con un
breve excursus storico ed esaminare l’evoluzione normativa e giurisprudenziale dell’istituto in
commento.

Considerata l’assenza nel nostro ordinamento di una clausola antielusiva in senso generale, verso
la fine degli anni ‘80 la dottrina tributaristica si è interrogata sull’opportunità o meno di utilizzare i
rimedi di carattere civilistico al fine di contrastare condotte elusive in ambito fiscale, in particolare
richiamando l’istituto disciplinato dall’art. 1344 c.c. rubricato “Contratto in frode alla legge”.[2]

In effetti, la norma tributaria non vieta determinate condotte, né tutela un determinato interesse
generale, ma disciplina semplicemente gli effetti fiscali dei negozi giuridici, assumendo il dato di
fatto quale indice della capacità contributiva [4]; sarebbe quindi inappropriato fare applicazione dei
principi sanciti dall’art. 1344 c.c. in ambito fiscale.

Articolo 37-bis D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600. Viene quindi introdotto nel nostro
ordinamento, nell’ambito delle imposte sui redditi, l’art. 37bis del D.P.R. 600/73 (Disposizioni
antielusive)[5], il quale, tra gli atti inopponibili al fisco, ricomprendeva, non solo quelli privi di valide
ragioni economiche ed aventi il fine di ottenere un risparmio d’imposta, ma anche quelli diretti più
specificatamente ad aggirare obblighi o divieti previsti dall’ordinamento tributario. Veniva quindi
introdotta una disposizione antielusiva, che però conservava un’applicazione settoriale: nel
contesto generale del primo comma dell’art. 37 bis, il terzo comma, individuava una serie di
operazioni suscettibili di essere sindacate sotto il profilo elusivo, limitando di fatto l’ambito di
applicazione della clausola antielusiva.

Articolo 10 Legge 29 dicembre 1990, n. 408. Stante l’assenza di un condiviso rimedio civilistico,
il legislatore ha ritenuto opportuno introdurre nel nostro ordinamento l’art. 10 L. 408/90. Tale
clausola antielusiva, seppur a carattere settoriale, richiamando la logica dell’art. 1344 c.c., ha
consentito all’amministrazione accertatrice di disconoscere i vantaggi tributari conseguiti in
determinate operazioni (di concentrazione, trasformazione, scorporo cessione di azienda,
riduzione di capitale, liquidazione, valutazione di partecipazioni, cessione di crediti o cessione o
valutazione di valori mobiliari) poste in essere senza valide ragioni economiche e allo scopo
esclusivo di ottenere fraudolentemente un risparmio d’imposta. La conseguenza non era la nullità
40

del negozio, come sancito dalla disposizione codicistica per i negozi in frode alla legge, bensì
l’inopponibilità dell’operazione elusiva nei confronti dell’amministrazione finanziaria, a cui si
aggiunge la fraudolenza dell’azione posta in essere volta ad ottenere un risparmio di imposta.

A distanza di pochi anni sono emersi i limiti della norma: aveva carattere settoriale e, pertanto, non
riguardava tutta una serie di operazioni; era limitata all’assetto delle imposte sui redditi; l’avverbio
“fraudolentemente” dava in qualche modo un’accezione penalistica alla condotta.

L’intervento del legislatore. In seguito ai necessari interventi chiarificatori della giurisprudenza di


legittimità, il legislatore delegante è intervenuto con legge delega 11 marzo 2014, n. 23, in
particolare con l’art. 5, delegando il governo all’introduzione di una definizione di condotta abusiva
avente carattere generale al fine di contrastare l’elusione fiscale e l’abuso del diritto: “1. Il Governo
è delegato ad attuare, con i decreti legislativi di cui all’articolo 1, la revisione delle vigenti
disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell’abuso del diritto, in
applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi, coordinandoli con quelli contenuti nella
raccomandazione della Commissione europea sulla pianificazione fiscale aggressiva n.
2012/772/UE del 6 dicembre 2012:

a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un
risparmio d’imposta, ancorché tale condotta non sia in contrasto con alcuna specifica disposizione;

b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso
carico fiscale e, a tal fine:

1) considerare lo scopo di ottenere indebiti vantaggi fiscali come causa prevalente


dell’operazione abusiva;

2) escludere la configurabilità di una condotta abusiva se l’operazione o la serie di operazioni e’


giustificata da ragioni extrafiscali non marginali; stabilire che costituiscono ragioni extrafiscali
anche quelle che non producono necessariamente una redditività immediata dell’operazione, ma
rispondono ad esigenze di natura organizzativa e determinano un miglioramento strutturale e
funzionale dell’azienda del contribuente;

c) prevedere l’inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lettera a) all’amministrazione


finanziaria e il conseguente potere della stessa di disconoscere il relativo risparmio di imposta;

d) disciplinare il regime della prova ponendo a carico dell’amministrazione finanziaria l’onere di


dimostrare il disegno abusivo e le eventuali modalità di manipolazione e di alterazione funzionale
degli strumenti giuridici utilizzati, nonché la loro mancata conformità a una normale logica di
mercato, prevedendo, invece, che gravi sul contribuente l’onere di allegare l’esistenza di valide
ragioni extrafiscali alternative o concorrenti che giustifichino il ricorso a tali strumenti;

e) prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione
dell’accertamento fiscale, a pena di nullità dell’accertamento stesso;

f) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con


l’amministrazione finanziaria e salvaguardino il diritto di difesa in ogni fase del procedimento di
accertamento tributario”.
41

Articolo 10-bis L. 27 luglio 2000, n. 212 (“Statuto del contribuente”). Rubricato “Disciplina
dell’abuso del diritto o elusione fiscale”, l’art. 10bis L.212/00 richiama due nozioni sostanzialmente
assimilabili: elusione fiscale, riconducibile all’aggiramento della norma fiscale, e abuso del diritto,
riconducibile alla manipolazione e all’uso distorto dello strumento negoziale.

Secondo il comma 1 della norma, “configurano abuso del diritto una o più operazioni prive di
sostanza economica che, pur nel rispetto formale delle norme fiscali, realizzano essenzialmente
vantaggi fiscali indebiti”. Gli elementi costitutivi della condotta elusiva posso così enuclearsi:

– condotta priva di sostanza economica;

– conseguimento di indebito vantaggio fiscale;

– essenzialità del vantaggio fiscale indebito.

L'elusione fiscale è il comportamento messo in pratica dal contribuente che pone in essere
un negozio giuridico o una concatenazione di atti giuridici di per sé leciti, al solo scopo di ridurre
l'obbligazione tributaria.[1] A differenza dell'evasione fiscale, l'elusione non è perseguibile
penalmente ma può costituire solo un illecito amministrativo.
In Italia, in presenza di alcune precise circostanze, essa può incontrare lo sfavore della normativa
speciale in materia fiscale.

Casistica
Ad esempio, se le aliquote fiscali sulla vendita di un bene immobile sono del 35% e quelle sulla
vendita di azioni del 20%, il possessore dell'immobile può conferirlo in una società per azioni al
solo scopo di vendere poi le azioni della società proprietaria dell'immobile con fortissimo risparmio
fiscale. Qui l'elusione sta nell'utilizzazione dello strumento società per azioni non per svolgere
un'attività d'impresa, ma solo per trasferire la proprietà sostanziale dell'immobile, infatti in questo
caso l'acquirente delle azioni in realtà ha acquistato l'immobile, ma in questo modo il venditore ha
beneficiato di un'aliquota impositiva fortemente ridotta.
Un'altra possibilità è quella di operare non come lavoratore autonomo "semplice" ma attraverso
una società (unipersonale o a socio unico). L'imposizione fiscale e contributiva risulta così
abbastanza agevolata e le possibilità di detrazione e deduzione di costi molto maggiori. Inoltre, vi
sono altri vantaggi (redditometro, ganasce fiscali, multe per i veicoli intestati, la non proprietà
(personale) degli immobili acquisti, ecc.). Tutto ciò è perfettamente legale e, comunque, occorre
considerare i maggiori oneri di gestione di una società (seppur minimale) al posto di una mera
partita iva individuale.
Le forme di elusione, specie nel campo delle imprese per non parlare dei gruppi, sono molte,
alcune assai "tecniche" e quindi di difficile comprensione per i non addetti (ad esempio:
l'imputazione delle rimanenze di magazzino, la patrimonializzazione delle spese, l'"interpretazione"
delle immobilizzazioni, l'utilizzo di sedi o controllate estere, l'utilizzo della forma cooperativa, ecc.)
in continua "evoluzione": pertanto, risulta complesso elencarle tutte.

Normativa fiscale italiana


In Italia, l'elusione fiscale è stata a lungo regolata da una norma a vocazione generale, contenuta
nell'art. 37-bis del D.P.R. n. 600/1973,[2] introdotta nel 1997. Tale norma è stata abrogata
dal D.Lgs. 5 agosto 2015, n. 128 (in G.U. 18/08/2015, n.190),[3] e sostituita con l'art. 10-bis della
legge 27 luglio 2000, n. 212 (Disposizioni in materia di statuto dei diritti del contribuente).[4] Tale
modifica ha mantenuto nella sostanza la norma precedente, ma ha anche sancito l'esclusione
dalla legge penale dell'elusione fiscale.[5]
42

Secondo la normativa italiana quindi, sono inopponibili all'amministrazione finanziaria


gli atti, fatti e negozi, anche collegati tra di loro, che siano contemporaneamente: privi di valide
ragioni economiche, diretti ad aggirare norme tributarie e volti a ottenere una riduzione del carico
fiscale altrimenti indebita.
La fattispecie prevista da tale norma giuridica fa riferimento a un fenomeno che deve
necessariamente e contestualmente contenere le seguenti tre componenti previste:

• l'assenza di valide ragioni economiche;


• l'aggiramento di obblighi e divieti previsti dall'ordinamento;
• il conseguimento di un risparmio fiscale altrimenti indebito.
Al verificarsi di tali condizioni, l'amministrazione finanziaria può disconoscere l'effetto fiscale
riveniente da tali operazioni richiedendo al contribuente le maggiori imposte che avrebbe pagato
compiendo l'operazione direttamente senza l'aggiramento elusivo.
L'amministrazione finanziaria, prima di emettere un avviso di accertamento al fine di applicare la
fattispecie impositiva elusa, deve instaurare (a pena di nullità dell'atto impositivo) un contraddittorio
con il contribuente, in modo tale che quest'ultimo possa fornire chiarimenti, sull'eventuale
esistenza di valide ragioni economiche degli atti, fatti, negozi giuridici posti in essere, entro
sessanta giorni dalla richiesta dell'amm. finanziaria. L'avviso di accertamento deve poi essere
motivato tenendo conto anche delle spiegazioni fornite dal contribuente (art. 10-bis, commi 6, 7 e 8
della legge 27 luglio 2000, n. 212).
L'operazione viene riqualificata solo da un punto fiscale, mentre conserva però, tra le parti, la sua
valenza contrattuale originaria.
Nell'esempio sopra riportato l'amministrazione finanziaria potrà applicare alla vendita delle azioni la
stessa più elevata aliquota prevista per la vendita dell'immobile, ma tra le parti resta in essere
l'operazione originaria di compravendita di azioni.
Sanzioni
Dopo le recenti pronunce della Corte di Cassazione l'elusione ex art. 37-bis D.P.R. 600/1973
poteva essere sanzionata sia amministrativamente sia penalmente (si veda Cass. pen., 28
febbraio 2012, n. 7739 leading case D&G).
La norma antielusiva prevede come "sanzione" il solo disconoscimento dei vantaggi fiscali ottenuti
in assenza di valide ragioni economiche (art. 10-bis, comma 1 della legge 27 luglio 2000, n. 212).
Dalla sentenza sopra citata la giurisprudenza aveva interpretato, anche se in forte contrasto con
una parte della dottrina,[6] la normativa vigente come sanzionabile sul piano penale e
amministrativo, sostenendo che il giudice in sede penale doveva valutare se applicabili gli articoli 4
e 5 del D.Lgs. n. 74 del 2000 (rispettivamente dichiarazione infedele e omessa dichiarazione).[7]
In seguito alla riforma del 2015 invece restano applicabili solo le sanzioni amministrative tributarie
(art. 10-bis, comma 13 della legge n. 212/2000),[4] ora espressamente previste dalla normativa. La
sanzione applicata sarà quella collegata all'obbligo sottostante cui l'operazione è riconducibile.

Lezione 034

01. IL SOSTITUTO DI IMPOSTA E' STATO ISTITUITO AL FINE DI


ASSICURARE IL CORRETTO E COSTANTE PAGAMENTO DEI TRIBUTI

02. IL PAGAMENTO DEI TRIBUTI PUO' AVVENIRE

TRAMITE LA CD AUTOLIQUIDAZIONE, ATTRAVERSO IL SOSTITUTO DI IMPOSTA E ATTRAVERSO L'ENTE DELLA RISCOSSIONE


43

03. Il candidato indichi quali differenze sussistono tra ritenuta a titolo di acconto e ritenuta a titolo di imposta

La ritenuta d'acconto e la sostituzione d'imposta realizzano la dissociazione tra la riferibilità


soggettiva del presupposto dell'imposta e l'obbligo primario di versamento dell'imposta.

Sia mediante la ritenuta d'acconto che attraverso il meccanismo della sostituzione a titolo
d'imposta, infatti, un soggetto, differente rispetto al destinatario finale dell'imposta, è obbligato di
fronte la Fisco in sostituzione del destinatario.

La sostituzione a titolo d'imposta e la ritenuta d'acconto vengono effettuate dal sostituto nell'ambito
di rapporti giuridici che prevedono la corresponsione da parte del sostituto al sostituito di redditi da
lavoro o capitale; in tali casi, il sostituto corrisponde al sostituito un corrispettivo al netto
dell'aliquota relativa alla sostituzione o all'acconto effettuati.

Sostituzione a titolo di imposta e ritenuta d'acconto si distinguono per gli effetti che producono sul
relativo obbligo tributario gravante sul soggetto sostituito.

Mentre con la sostituzione d'imposta, si realizza un vero e proprio regime fiscale sostitutivo che
pone l'obbligazione tributaria in capo ad un soggetto diverso da quello che realizza il presupposto
dell'imposta, con la ritenuta d'acconto si verifica una mera anticipazione del pagamento
dell'imposta complessiva che grava sul soggetto sostituito.
Ne consegue che, in caso di ritenuta d'acconto, il compenso, al lordo della ritenuta, dovrà essere
dichiarato, ai fini dell'imposta sul reddito, dal sostituito il quale potrà poi detrarre, dall'imposta
complessivamente dovuta, quanto versato a titolo di acconto dal sostituto.

Nel caso della sostituzione d'imposta, invece, come detto si realizza un vero e proprio regime
fiscale sostitutivo con la conseguenza che il relativo reddito non deve essere incluso nel reddito
complessivo del percipiente.

Le differenze ontologiche tra la sostituzione a titolo di imposta e la ritenuta d'acconto si riflettono


anche sulla posizione soggettiva del sostituito.

Mentre con riferimento alla sostituzione a titolo di imposta, in caso di mancata ritenuta o di
mancato versamento della ritenuta effettuata, sul sostituito graverà una responsabilità solidale
successiva e dipendente, con riferimento alle ritenute d'acconto, secondo l'opinione dominante, il
solo soggetto obbligato è il sostituto d'imposta con la conseguenza che il Fisco non dovrebbe
potere richiedere il pagamanto al sostituito delle ritenute non effettuate e non versate (in senso
contrario, tuttavia, di recente la giurisprudenza - cfr. cass 7 aprile 2009, n 8316)
44

Lezione 035
01. IL CANDIDATO ILLUSTRI LA NATURA GIURIDICA E GLI EFFETTI DEL RUOLO

Il ruolo è atto collettivo che riguarda, quindi, una molteplicità di soggetti e di iscrizioni. L’effetto del
ruolo è duplice: da un lato dal ruolo sorge un obbligo di pagamento per il soggetto iscritto:
quest’effetto è descritto in termini di esigibilità nel senso che il ruolo rende esigibile l’obbligazione
tributaria (essa preesiste al ruolo ma può essere adempiuta sono a seguito dell’iscrizione a ruolo);
dall’altro lato, se l’obbligo non è adempiuto, l’iscrizione a ruolo legittima l’esecuzione forzata.
Quanto esplicato dal primo effetto non è sempre vero. Anzi, ciò è vero quando il ruolo è fondato
sull’avviso di accertamento perché l’iscrizione a ruolo rende esigibile l’obbligazione che scaturisce
dall’accertamento. In tal caso, l’iscritto non può adempiere prima del ruolo. Ecco che il ruolo
produce un effetto in termini di esigibilità.
Invece, nel caso di ruolo fondato su dichiarazione dei redditi, non è il ruolo che determina
l’esigibilità del credito del fisco in quanto l’esigibilità preesiste al ruolo, ovvero quando il
contribuente ha presentato la dichiarazione.
La differenza, quindi, sta in ciò: all’inadempimento dell’obbligo da dichiarazione segue il ruolo;
all’inadempimento dell’obbligo da ruolo segue l’esecuzione forzata.

Lezione 036
01. IL RUOLO E'

L'ELENCO TENUTO DALL'ENTE DELLA RISCOSIONE OVE VENGONO INDICATI I CONTRIBUENTI E GLI IMPORTI A LORO CARICO

02. LA CARTELLA DI PAGAMENTO

La cartella di pagamento è un documento emesso da un "concessionario", agente della


riscossione, per la riscossione coattiva di un tributo, ossia tassa, imposta, sanzione, contributo,
iscritto a ruolo in seguito di un inadempimento del debitore rilevato da un controllo o accertamento
dell'Amministrazione finanziaria oppure in seguito a sentenza della commissione tributaria
competente.
In linea generale la riscossione tramite ruolo con notifica della relativa cartella di pagamento
avviene in seguito all'inadempimento del contribuente, tuttavia l'iscrizione a ruolo può avvenire
anche in caso di adempimento spontaneo del contribuente, ad esempio per i casi di pagamento
rateale -art. 32 D.Lgs. 46/99-.
La disciplina giuridica della cartella di pagamento, prima esattoriale, è contenuta all'art. 25 del
D.P.R. 602 del 1973, innovato dal D.Lgs: 46/99, ove al secondo comma è disposto che la stessa
deve essere redatta in conformità ai modelli approvati con decreto del Ministero dell'Economia e
delle Finanze e deve contenere l'indicazione della data in cui il ruolo è stato reso esecutivo e
l'intimazione ad adempiere, entro il termine di sessanta giorni dalla notifica . con l'avvertimento
che, in caso di mancato pagamento nel termine suddetto, si procederà a esecuzione forzata, è un
titolo esecutivo.
Ai sensi dell'art. 25 del D.P.R. 602/1973, come modificato dal D.L. 106/2005 e dal D.L. 223/2006,
convertito nella Legge 248/2006, la notificazione della cartella di pagamento deve avvenire
normalmente direttamente al contribuente, pena la sua decadenza, entro il 31 dicembre del:
• secondo anno successivo a quello in cui l'accertamento è divenuto definitivo per le somme
dovute in base agli accertamenti dell'ufficio;
45

• terzo anno successivo a quello di presentazione della dichiarazione per le somme dovute a
seguito dell'attività di liquidazione; -art. 36 bis D.P.R. 600/73-
• quarto anno successivo a quello di presentazione delle dichiarazioni del sostituto d'imposta per le
somme che risultano dovute nei casi di tassazione separata e in seguito ad attività di controllo
formale; -art. 36 ter D.P.R. 600/73-
Si può osservare che i nuovi termini di notifica non decorrono più dalla data di consegna del ruolo
al concessionario, così com'era stato prescritto nel previgente art. 25 "…entro l'ultimo giorno del
quarto mese successivo a quello di consegna del ruolo".
La cartella, pena la sua nullità, deve riportare la firma del responsabile del procedimento
d'iscrizione a ruolo nonché del responsabile di emissione e notifica della stessa -art. 36, Co. 4ter
del D.L. 248/2007 convertito nella Legge 31/2008-.
Nel momento in cui il contribuente riceve una cartella di pagamento, può:
• Pagarla, se la ritiene corretta, in un'unica soluzione, entro sessanta giorni dalla notifica, o in rate,
massimo settantadue, per somme superiori a cento euro: in tal caso il pagamento potrà essere
eseguito direttamente presso l'agente della riscossione, sportello bancario o postale utilizzando il
modello precompilato e allegato alla cartella, ovvero in caso di pagamento parziale presso lo
sportello postale con il modello F35;
un'ulteriore possibilità di pagamento è quella di compensare i debiti risultanti dalla cartella di
pagamento con i crediti d'imposta di cui è beneficiario il contribuente.
Restano tuttavia escluse dalla procedura di compensazione le partite:
1. oggetto di sgravio, rateazione o sospensione;
2. oggetto di versamenti ex articolo 12, legge 289/2002 ed ex articolo 25, comma 3- quater,
decreto legislativo 472/1997;
3. relative a soggetti deceduti.
• Presentare ricorso alla Commissione Tributaria Provinciale, entro il termine perentorio di
sessanta giorni dalla notifica e chiedere all'ente impositore la sospensione della riscossione, in
quanto il ricorso non sospende la riscossione della somma iscritta a ruolo. Qualora la
Commissione ritenga legittimo il ricorso del contribuente, deve disporre l'annullamento della
cartella, entro novanta giorni dalla notifica della decisione; in caso di silenzio dell'Amministrazione
oltre i novanta giorni il contribuente può ricorrere al giudizio di ottemperanza.
• Chiederne l'annullamento se ritiene che vi siano errori, c.d. richiesta di sgravio in autotutela.
Qualora il contribuente ritenga infondata l'iscrizione a ruolo, può presentare una richiesta di
annullamento all'ufficio che ha formato il ruolo. Ove l'ufficio, tuttavia, dovesse riconoscere
l'illegittimità dell'iscrizione, comunicherà all'agente della riscossione l'annullamento totale o parziale
della cartella esattoriale e la sospensione della riscossione, in base alle disposizioni sull'autotutela:
art. 2 quarter del D.L. 564/94; D.M. 37/1997.

Lezione 037
01. LA RISCOSSIONE DEI TRIBUTI AVVIENE

ELABORATA ATTRAVERSO L'AUTOLIQUIDAZIONE DEI CONTRIBUENTI, IL SOSTITUTO DI IMPOSTA, LA LIQUIDAZIONE D'UFFICIO E


L'ISCRIZIONE A RUOLO

Lezione 043
01. LE COMMISSIONI PROVINCIALI, REGIONALI E LA CORTE DI CASSAZIONE SONO COMPETENTI:
PROVINCIALE PRIMO GRADO, REGIONALE SECONDO GRADO, CORTE DI CASSAZIONE PER CD. "MOTIVI DI DIRITTO"

02. IL PROCESSO TRIBUTARIO E':


L'AMBITO IN CUI LE COMMISSIONI DI PRIMO, SECONDO GRADO ED EVENTUALEMENTE LA CORTE DI CASSAZIONE DECIDONO LE
CONTROVERSIE TRA AMMINISTRAZIONE FINANZIARIA E CONTRIBUENTE
46

03. IL CANDIDATO INDICHI QUALI SONO GLI ORGANI DELLA GIURISDIZIONE TRIBUTARIA

a Giurisdizione tributaria è fondata sulle commissioni tributarie che si articolano in commissioni


tributarie provinciali e regionali.
La commissione tributaria provinciale è costituita da due o più sezioni, a ciascuna delle quali è
assegnato un presidente, un vicepresidente e 4 membri; il collegio giudicante è composto da 3
soggetti: 2 membri e il presidente, che è sempre un magistrato.
I giudici delle commissioni tributarie sono nominati con decreto del Presidente della Repubblica, su
proposta del ministro delle finanze, a seguito di deliberazione del Consiglio di Presidenza della
Giustizia Tributaria.
Il prefato decreto delegato, con riferimento ai requisiti per la nomina a componente della
commissione tributaria, non richiede per alcune categorie i 10 anni di attività ed ammette la nomina
di professionisti iscritti in albi che non hanno per oggetto attività giuridiche o economiche.
La giurisdizione tributaria, ai sensi dell’art. 1, D.Lgs. 545/1992 (di seguito Decreto), viene
esercitata:
- in primo grado dalle Commissioni Tributarie Provinciali, con sede nel capoluogo di ogni provincia;
- in secondo grado dalle Commissioni Tributarie Regionali, con sede in ogni capoluogo di regione;
I ricorsi da parte del contribuente avverso i provvedimenti dell’Amministrazione Finanziaria e gli atti
degli agenti della riscossione devono essere presentati alle Commissioni Tributarie Provinciali
competenti per territorio.
E’ possibile impugnare le sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali davanti alle
Commissioni Tributarie Regionali.
In tutti le ipotesi stabilite dall’art. 360 del codice di procedura civile le sentenze delle Commissioni
Tributarie Regionali possono essere impugnate davanti alla Corte di Cassazione.
La Commissione Tributaria Centrale, che rappresentava un organo giurisdizionale di merito
superiore alla Commissione Regionale è stata soppressa ma continuerà ad operare fino ad
esaurimento dei ricorsi pendenti.
In via generale si può ire che le commissioni tributarie rappresentano gli organi giurisdizionali di
merito delle controversie, mentre la Corte di Cassazione, come vedremo nel proseguo della
presente guida, è esclusivamente un organo di legittimità in quanto non entra nel merito del
contenzioso ma analizza esclusivamente i profili, appunto, di legittimità.
Nei comuni con più di 120.000 abitanti e distanti più di 100 chilometri dal Comune capoluogo di
Regione è possibile istituire, ai sensi dell’art. 1, comma 1-bis, D.Lgs. 545/1992, “Sezioni staccate”
delle Commissioni Tributarie Regionali. Con il D.M. del 6 giugno 2000 è stata esercitata tale facoltà
e si è proceduto ad istituire un certo numero di sezioni staccate. La loro entrata in funzione viene
disposta con decreto dei rispettivi presidenti di Commissione, pubblicato in Gazzetta Ufficiale.
Nelle province autonome di Trento e di Bolzano, sono presenti rispettivamente le Commissioni di
primo e di secondo grado, con funzioni analoghe alle Commissioni Provinciali e Regionali, e dalle
quali recepiscono la disciplina in quanto compatibile con le norme di legge e dello Statuto
Regionale che le riguardano (si veda D.Lgs. 9.9.1997, n 354, recante le norme di attuazione dello
Statuto speciale del Trentino Alto Adige).

04. IL CANDIDATO INDICHI IN QUALI CASI SI PUO' RICORRERE IN CASSAZIONE

Avverso la sentenza della Commissione Tributaria regionale può essere proposto ricorso per
cassazione per i motivi di cui ai numeri da 1 a 5 dell'articolo 360, comma 1, del codice di procedura
civile.
2. Al ricorso per cassazione ed al relativo procedimento si applicano le norme dettate dal codice di
procedura civile in quanto compatibili con quelle del presente decreto.

Tre gradi di giudizio. Il sistema del processo tributario prevede, oltre i due gradi di giudizio nel
merito, anche la ricorribilità, per motivi di legittimità, innanzi alla Corte di Cassazione. Sebbene il
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processo, così articolato, appaia certamente più snello e coerente, è da ritenere probabile un non
trascurabile sovraccarico dei ruoli delle Sezioni civili della suprema Corte, che non potrà non
ripercuotersi anche sui tempi, già lunghi, del processo civile.
Il rinvio all'art. 360 C.p.c.Il rinvio contenuto al comma 1 accoglie tutta la disciplina
processulacivilistica del giudizio di legittimità e, pertanto, i motivi per i quali si può ricorrere in
Cassazione avverso una sentenza della Commissione regionale sono gli stessi indicati nel comma
1 dell'articolo 360 C.p.c.
La dottrina suole distinguerli:
Errores in procedendo: motivi che si fondano su vizi di attività, ossia quelli che sono
conseguenza di un'errata applicazione delle norme processuali;
Errores in judicando: motivi che riguardano vizi di giudizio ossia derivanti da una non corretta
applicazione delle norme di diritto sostanziale.
La prima categoria comprende i numeri 1, 2, 4 e 5 dell'articolo 360 C.p.c.; mentre il numero 3 è
compreso nella seconda.
Motivi. La cassazione può essere adita:
1) per motivi attinenti alla giurisdizione. Al riguardo, nonché in merito al regolamento di
giurisdizione (articolo 41 C.p.c.) si ritiene sufficiente quanto detto a mente dell'articolo 3.
2) per violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di
competenza. Si ricorda che, a norma del comma 4 dell'articolo 5, il regolamento di competenza
non è ammesso nel processo tributario.
3) per violazione o falsa applicazione di norme di diritto. Come già detto nel commento all'articolo
64, la Corte di Cassazione è giudice innanzi al quale non è possibile sollevare questioni attinenti
l'accertamento in fatto.
4) per nullità della sentenza o del procedimento. Riguardo ai casi di nullità della sentenza, si rinvia
a quanto detto a commento degli articoli 35 e 36; le cause di nullità del procedimento, invece,
essenzialmente sono da ricercarsi:
- nell'inammissibilità del ricorso (per un'elencazione vedi il commento all'articolo 27);
- nell'irregolare costituzione del contraddittorio (vedi il commento all'articolo 14).
5) per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della
controversia, prospettato dalle parti o rilevabile d'ufficio. E' questo il motivo di impugnazione cui è
affidata la verifica della giustizia sostanziale del procedimento; si verifica, cioè, se le risultanze
processuali siano state tutte esaminate nella sentenza e se tale esame sia stato completo ed abbia
condotto a determinazioni coerenti con le risultanze medesime.
Il comma 2. Il secondo comma dispone l'applicazione al ricorso per cassazione di tutte le norme,
in quanto compatibili, del codice di procedura civile.
Alla luce di tale rinvio, va ricordato che:
Parti del procedimento in Cassazione sono il ricorrente ed il resistente; quest'ultimo, qualora
proponga ricorso incidentale, assumerà anche la veste di ricorrente in via incidentale.
La domanda si propone con ricorso, con il quale si chiede la cassazione (eliminazione) della
sentenza impugnata; alla domanda si resiste proponendo controricorso.
Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:
a) l'indicazione delle parti;
b) l'indicazione della sentenza impugnata;
c) l'esposizione sommaria dei fatti di causa;
d) i motivi sui quali si fonda il ricorso e l'indicazione delle norme di diritto poste a sostegno della
loro fondatezza;
e) l'indicazione della procura al difensore, se conferita con atto separato. (Cfr. Cass.sez. 1 n. 278
del 12 gennaio 2000.
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Lezione 044
1. IL CANDIDATO ILLUSTRI I CONTENUTI DEL RICORSO

La domanda si propone con ricorso, con il quale si chiede la cassazione (eliminazione) della
sentenza impugnata; alla domanda si resiste proponendo controricorso.
Il ricorso deve contenere, a pena di inammissibilità:
a) l'indicazione delle parti;
b) l'indicazione della sentenza impugnata;
c) l'esposizione sommaria dei fatti di causa;
d) i motivi sui quali si fonda il ricorso e l'indicazione delle norme di diritto poste a sostegno della
loro fondatezza;
e) l'indicazione della procura al difensore, se conferita con atto separato. (Cfr. Cass.sez. 1 n. 278
del 12 gennaio 2000)

Lezione 045
01. QUALI SONO GLI ATTI IMPUGNABILI CON IL RICORSO

Atti impugnabili davanti alla Commissione Tributaria

La giurisdizione delle Commissioni presuppone la natura tributaria della controversia, essendo


stata dichiarata l’illegittimità della norma che riservava alle CT anche la cognizione delle sanzioni
comunque irrogate dagli uffici finanziari (Corte cost. 130/2008).[9]
Si assiste al passaggio dalla giurisdizione quale manifestazione di sovranità alla giurisdizione
come "luogo" di tutela di situazioni soggettive azionate.[10]
Si può, quindi, ricorrere al giudice tributario avverso tutti gli atti adottati dall’ente impositore che,
con l’esplicitazione delle concrete ragioni (fattuali e giuridiche) che la sorreggono, portino
comunque a conoscenza del contribuente una ben individuata pretesa tributaria. [11]
I criteri elaborati dalla giurisprudenza costituzionale per qualificare come tributarie alcune entrate
sono: 1) doverosità della prestazione; 2) mancanza di un rapporto sinallagmatico tra
parti;3)collegamento della prestazione alla pubblica spesa in relazione a un presupposto
economicamente rilevante.[12]
Non è rilevante, invece, la formale denominazione del prelievo.[13]
Le questioni di competenza vanno eccepite immediatamente nella fase iniziale della causa. (art. 38
c.p.c.)
Occorre individuare gli atti impugnabili davanti al giudice tributario.[14]
Se l'atto impugnato è finalizzato all'accertamento del rapporto d'imposta, di diritto soggettivo è
sottoposto alla giurisdizione delle commissioni tributarie.
L'art. 12, comma secondo, della legge 28 dicembre 2001, n. 448, configura la giurisdizione
tributaria come giurisdizione a carattere generale, che si radica in base alla materia,
indipendentemente dalla specie dell'atto impugnato.
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Lezione 046
01. LA COSTITUZIONE IN GIUDIZIO DEVE AVVENIRE:
ENTRO 60 GIORNI DALLA NOTIFICA DEL RICORSO

02. IL CANDIDATO ILLUSTRI LE FASI DEL PROCESSO TRIBUTARIO

Costituzione in giudizio,
Udienza di trattazione,
Sentenza. Giurisprudenza
La costituzione in giudizio del ricorrente avviene mediante deposito, entro i successivi trenta giorni
dalla notifica, del ricorso nella segreteria della Commissione adita del fascicolo in cui deve essere
contenuto l’originale o la copia del ricorso in relazione a come è stata eseguita la notifica alla
controparte.
Il deposito del ricorso nel termine di trenta giorni è previsto a pena di inammissibilità (art. 22,
comma 1, D.Leg.vo 546/92).
La parte resistente si costituisce in giudizio depositando il proprio fascicolo con le controdeduzioni
e con i documenti.
La segreteria del collegio giudicante avrà l’obbligo di comunicare alle parti costituite la data di
trattazione della controversia.
La trattazione della controversia da parte del collegio può essere in pubblica udienza o in camera
di consiglio.
La trattazione in pubblica udienza avviene su richiesta di una delle parti.
Si tratta di una radicale innovazione dal momento che la legge 198/89 prevedeva che anche le
discussioni delle controversie davanti alla Commissione tributaria fossero pubbliche.
Probabilmente la ratio dell’innovazione normativa risiede nella volontà di accelerare i tempi di
trattazione e contenere i costi.
Se la relazione e la discussione potranno avvenire in udienza pubblica, invece la decisione sarà
adottata in Camera di Consiglio dai giudici che hanno assistito alla discussione. Facoltà di
La decisione viene presa a maggioranza dei voti.
E’ compito del presidente scrivere e sottoscrivere il dispositivo mentre sarà il relatore a redigere le
motivazioni.
La sentenza deve essere sottoscritta dall’estensore e dal presidente e viene pubblicata mediante
deposito in segreteria entro trenta giorni dal giorno della deliberazione.

È attualmente regolato dal decreto legislativo n. 546 del 31 dicembre 1992, il quale, all'articolo 1,
comma 2, statuisce che:

« i giudici tributari applicano le norme del presente decreto e, per quanto da esse non disposto e
con esse compatibili, le norme del codice di procedura civile »

Oggetto del contenzioso


Oggetto del processo sono gli atti amministrativi dell'amministrazione finanziaria, impugnati dal
contribuente. È noto che l'amministrazione può emettere atti vincolanti per il contribuente, se non
tempestivamente impugnati, senza dover ricorrere all'autorità giudiziaria.
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Giurisdizione
La competenza spetta alla commissione tributaria. Il contenzioso tributario può instaurarsi solo a
seguito dell'impugnazione di uno degli atti tassativamente prescritti dall'articolo 19 del decreto
legislativo n. 546/1992. Gli atti avverso i quali può essere proposto ricorso sono:

1. l'avviso di accertamento del tributo;


2. l'avviso di liquidazione del tributo;
3. il provvedimento che irroga le sanzioni;
4. il ruolo e la cartella di pagamento;
5. l'avviso di mora;
6. l'iscrizione di ipoteca sugli immobili;
7. il fermo di beni mobili registrati;
8. gli atti relativi alle operazioni catastali;
9. il rifiuto espresso o tacito della restituzione di tributi, sanzioni pecuniarie ed interessi o altri
accessori non dovuti;
10.il diniego o la revoca di agevolazioni o il rigetto di domande di definizione agevolata di
rapporti tributari;
11.ogni altro atto per il quale la legge ne preveda l'autonoma impugnabilità davanti alle
commissioni tributarie.
Le controversie in materia di esecuzione forzata tributaria relativamente alle questioni concernenti
la pignorabilità dei beni, di opposizione di terzo e il ricorso avverso l'agente della riscossione,
appartengono alla giurisdizione del giudice ordinario e, ai sensi dell'articolo 9del codice di
procedura civile, sono di competenza del Tribunale.
Ai sensi dell'articolo 2, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 546/1992:

« appartengono alla giurisdizione tributaria tutte le controversie aventi ad oggetto i tributi di ogni
genere e specie comunque denominati, compresi quelli regionali, provinciali e comunali e il
contributo per il Servizio sanitario nazionale, nonché le sovrimposte e le addizionali, le sanzioni
amministrative, comunque irrogate da uffici finanziari, gli interessi e ogni altro accessorio. [...]
Appartengono altresì alla giurisdizione tributaria le controversie promosse dai singoli possessori
concernenti l'intestazione, la delimitazione, la figura, l'estensione, il classamento dei terreni e la
ripartizione dell'estimo fra i compossessori a titolo di promiscuità di una stessa particella, nonché le
controversie concernenti la consistenza, il classamento delle singole unità immobiliari urbane e
l'attribuzione della rendita catastale. Appartengono alla giurisdizione tributaria anche le
controversie relative alla debenza del canone per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche [...] e
del canone per lo scarico e la depurazione delle acque reflue e per lo smaltimento dei rifiuti urbani,
nonché le controversie attinenti l'imposta o il canone comunale sulla pubblicità e il diritto sulle
pubbliche affissioni. »

Il comma 3 dell'articolo 19 prevede che «gli atti diversi da quelli indicati non sono impugnabili
autonomamente. Ognuno degli atti autonomamente impugnabili può essere impugnato solo per
vizi propri». Per «vizi propri» s'intendono i vizi concernenti l'atto impugnato. Ad esempio, se l'ufficio
fiscale invia al contribuente un avviso di accertamento e, successivamente, iscrive a ruolo le
somme accertate, il contribuente, se vorrà proporre ricorso contro l'avviso di accertamento, non
potrà far valere i vizi che l'hanno inficiato nel giudizio contro il ruolo.
Infine, per proporre ricorso contro un atto non autonomamente impugnabile, il contribuente dovrà
attendere che l'Amministrazione finanziaria inoltri uno degli atti impugnabili ai sensi dell'articolo 19,
comma 1, e proporre ricorso contro entrambi.

Con il d.l. 70/2011 (cosiddetto "decreto sviluppo") diventato legge 106/2011, e il dl 98/2011
(cosiddetto "decreto stabilizzazione") diventato legge 111/2011, l'avviso di accertamento
diviene titolo esecutivo al pari della cartella esattoriale. Entrambi danno luogo a riscossione
51

coattiva e possono essere oggetto di impugnazione e richiesta di sospensiva con differenti termini.
Stante questa nuova disciplina, la cartella esattoriale non è più un atto obbligatorio per la
riscossione del credito, l'amministrazione potrebbe limitarsi alla sola notifica dell'avviso di
accertamento.
Per la cartella esattoriale, vige la precedente disciplina, che prevede il termine perentorio di 60
giorni dalla notifica dell'atto, perché il contribuente possa proporre ricorso.
Per l'avviso di accertamento, il termine è di 90 giorni. Scaduto il termine, l'atto è trasmesso al
concessionario per la riscossione coattiva. Nel caso dell'avviso di accertamento, se il contribuente
propone ricorso e istanza di sospensione, l'agente di riscossione deve applicare automaticamente
una sospensione delle azioni esecutive fino alla decisione del giudice tributario, ovvero per un
massimo di 180 giorni: il giudice tributario ha contestualmente 180 giorni per pronunciarsi sulla
richiesta di sospensiva, termine oltre il quale si intende respinta.
Il contribuente che propone ricorso è tenuto ad anticipare il 30% dell'importo oggetto di
contestazione (quota ridotta dal 50% previsto prima della riforma).
Con l'attuale procedimento, risulta penalizzato il diritto di difesa, in quanto l'anticipo del 30% della
sanzione entro il termine di 60 giorni è un presupposto per proporre ricorso, incompatibile con la
presunzione d'innocenza. Il procedimento non prevede deroghe al pagamento: né a posteriori la
facoltà di presentare un'istanza di sospensione per danno grave e irreparabile (contemplata per le
sole azioni esecutive), né a priori un tetto massimo all'importo da anticipare in relazione al reddito
dichiarato del contribuente, o presumibile da riferimenti normativi di settore. Viceversa, chi non
propone ricorso, può chiedere all'agente di riscossione una dilazione e rateizzazione dei
pagamenti.
In secondo luogo, caso unico nell'ordinamento, la legislazione introduce un termine di prescrizione
alla durata dei ricorsi che si pone a svantaggio della difesa, in quanto si preclude al contribuente la
sospensione delle azioni esecutive qualora il giudice tributario non si pronunci entro 180 giorni
dalla presentazione dell'istanza.
Il termine di 60 giorni per le cartelle esattoriali è improprio, in quanto la disciplina di tale ricorso, è
ripresa da quella della citazione nel processo civile. Il ricorso va dunque preventivamente notificato
all'ufficio che ha emesso l'atto, entro il sessantesimo giorno dalla notifica dell'atto stesso, a pena
di decadenza. I termini per impugnare sono sospesi tra il 1º agosto e il 31 agosto, per
la sospensione feriale dei termini. La notifica può farsi, oltre che tramite ufficiale giudiziario, anche
mediante consegna a mano all'ufficio che ne rilascia ricevuta (trattandosi di uffici pubblici la
ricevuta di protocollo costituisce prova della consegna) o a mezzo posta mediante plico
raccomandato senza busta.
Entro i trenta giorni successivi, il ricorrente deve depositare il ricorso notificato alla segreteria della
commissione tributaria provinciale, unitamente ai documenti da presentare e all'atto impugnato (o
ad una copia). L'ufficio si costituisce entro 60 giorni dall'avvenuta notifica del ricorso, depositando
l'atto di controdeduzione alla segreteria della commissione. L'eventuale mancata costituzione
dell'ufficio nel termine non produce alcun effetto sostanziale, potendo l'ufficio costituirsi anche in
udienza, ma soltanto alcune decadenze processuali (ad es. l'impossibilità di produrre documenti
prima dell'udienza, la notifica degli atti presso la segreteria della commissione ecc.). Questa
circostanza va ricondotta al fatto che mentre il contribuente è attore formale del procedimento che
si avvia per sua iniziativa, l'attore sostanziale è l'Amministrazione che è chiamata davanti al
giudice a dimostrare la fondatezza della propria pretesa.
La situazione processuale è la seguente:
- l'atto impositivo dell'amministrazione (attore sostanziale) deve indicare i fatti costitutivi della
pretesa tributaria: non è ammessa l'allegazione di nuovi fatti successivamente all'emissione
dell'atto stesso. La legge prevede che l'atto, in quanto provvedimento amministrativodebba essere
motivato. I fatti e le motivazioni indicate nell'atto impugnato costituiscono l'oggetto del processo,
essendo precluso alle parti l'estensione del contenzioso ad altri elementi estranei all'atto
impugnato, almeno di regola;
52

- il ricorso del contribuente (attore formale) dovrà contenere l'indicazione dei fatti estintivi,
impeditivi o modificativi della pretesa tributaria, tipici invece dell'atto di comparsa
del convenuto nel processo civile. Si noti che l'allegazione di nuovi fatti successivamente al ricorso
è preclusa, mentre è ammesso il deposito di documenti utili ad illustrare tali fatti e di memorie
esplicative;
- le controdeduzioni dell'ufficio si limiteranno a contrastare i motivi del ricorso, senza poter
introdurre nuovi fatti nella controversia e a proporre eventuali eccezioni non rilevabili d'ufficio. Di
regola, non è consentito impugnare un atto contestando vizi di un atto presupposto non
precedentemente impugnato: ad esempio in caso di impugnazione del ruolo conseguente ad un
avviso di accertamento, non è ammissibile il ricorso che contesti nel merito la fondatezza
dell'accertamento, ma il ricorrente dovrà evidenziare eventuali vizi propri del ruolo. La regola
dell'impugnazione degli atti esclusivamente per vizi propri, conosce un'importante eccezione
quando il ricorrente ritiene di contestare l'irregolare notifica dell'atto presupposto. In tale
circostanza, egli non avendo potuto impugnare a suo tempo l'atto non notificato o notificato
irregolarmente, potrà proporre contestazioni di merito in sede di impugnazione dell'atto
conseguente (così se si contesta la notifica dell'accertamento, si può attendere la notifica del ruolo
e impugnando quest'ultimo contestare la mancata notifica dell'accertamento e nel merito anche la
sua fondatezza). Il giudice, se ritiene fondato il vizio di notifica, deve qualora sia stato domandato
nel ricorso, pronunciarsi anche sul merito.

Svolgimento del processo


Il presidente della commissione, dopo la costituzione del ricorrente con il deposito del ricorso,
assegna il fascicolo ad una sezione. Il presidente di sezione, scaduti i termini per la costituzione
delle parti, esamina in via preliminare il ricorso. Se il ricorso è manifestamente inammissibile (es.
tardivo) il presidente dichiara con decreto l'estinzione del procedimento. Ai sensi dell'art. 28 D.Lgs.
546/1992, contro il decreto presidenziale il ricorrente può proporre entro 30 giorni dalla
comunicazione, reclamo al collegio. La commissione decide con sentenza se dichiara l'estinzione
del processo, altrimenti dispone con ordinanza la prosecuzione del giudizio.
Salvo il caso sopra indicato, il presidente nomina il relatore e fissa l'udienza di trattazione della
causa. Dalla data della comunicazione da parte della segreteria alle parti costituite devono
trascorrere 30 giorni liberi prima dell'udienza. Possono essere depositati documenti fino a 20 giorni
liberi prima dell'udienza, memorie fino a 10 giorni liberi prima e repliche fino a 5 giorni prima. La
causa è normalmente trattata in camera di consiglio e viene immediatamente decisa, di regola,
dopo l'esposizione da parte del relatore. La sentenza è pubblicata entro 30 giorni presso la
segreteria della commissione. Le parti anche con istanza successiva al ricorso possono chiedere
che la causa sia discussa in pubblica udienza. In tal caso dopo l'esposizione del relatore, il
presidente ascolta brevemente le parti presenti prima di decidere la causa.
Il processo è informato al cosiddetto principio dispositivo ovvero le parti devono indicare nei loro
atti di causa le prove di cui intendono avvalersi per supportare le proprie ragioni. Tuttavia in casi
eccezionali, le commissioni possono esercitare i poteri concessi agli uffici dalle singole leggi
d'imposta per acquisire dati e notizie. Possono altresì disporre consulenze tecniche, quando la
complessità della causa lo renda opportuno (art. 7). In ogni caso non è ammesso il giuramento. È
discussa l'ammissibilità della prova testimoniale. Secondo alcuni, in rispetto dei principi del giusto
processo, per mantenere la parità tra le parti in causa, poiché l'ufficio può allegare nei propri
documenti dichiarazioni di terzi (si pensi ai processi verbali di constatazione che frequentemente
fanno riferimento a dichiarazioni di terzi), dovrebbe essere consentito anche al contribuente di
allegare nella documentazione dichiarazioni di terzi. È comunque esclusa, almeno fino ad ora, la
possibilità di richiedere l'audizione di testimoni in udienza, che tra l'altro, impedirebbe al
procedimento di concludersi in una sola udienza (come è usuale quando non sono richiesti
approfondimenti tecnici).
53

Particolarmente controversa e non completamente risolta è la questione circa la natura del


procedimento e il conseguente contenuto della sentenza. Secondo la Cassazione (da ultimo Cass.
25104/2008) si tratta di un processo di impugnazione-merito, per cui il giudice investito del giudizio
sull'atto, deve a pena di nullità della sentenza, giudicare il merito del rapporto tributario sottostante.
Fa eccezione il caso in cui il giudice ravvisi un vizio grave e irreparabile dell'atto (ad esempio
l'inesistenza della notifica o la totale assenza di motivazione), in cui ovviamente si limiterà ad
annullare l'atto stesso. Negli altri casi, il giudice nei limiti delle richieste delle parti, non deve
limitarsi ad annullare l'atto che egli ritenga non correttamente motivato, ma dovrà decidere sul
merito del rapporto indicando una motivazione sostitutiva che riduca eventualmente la pretesa
erariale.
Il giudizio di appello e di cassazione
Al giudizio di appello si applicano, in quanto compatibili, le stesse disposizioni previste in primo
grado.
Il ricorso in appello può essere proposto dalla parte soccombente in primo grado. È stato abrogato
l'articolo che prevedeva che l'ufficio deve preventivamente chiedere l'autorizzazione al
responsabile regionale del contenzioso, a pena di inammissibilità dell'appello (art.3, co.1 lettera c)
D.L. 25 marzo 2010, n. 40). Il termine è 6 mesi dal deposito in segreteria della sentenza (o di 60
giorni dalla notifica se la sentenza è notificata).
Due sono le norme che hanno fondamentale importanza in appello: il divieto di proporre domande
nuove (art. 57) e la rinuncia alle domande non riproposte (art. 56).
Il giudizio di appello consiste infatti in un riesame degli elementi proposti in primo grado. Le
domande già proposte in primo grado e quindi le uniche ammissibili (con l'eccezione di quella per
gli interessi maturati dopo la sentenza di primo grado), devono essere dedotte dagli atti introduttivi
del giudizio, che come detto delimitano anche in primo grado l'oggetto della causa, ovvero il
ricorso e l'atto impugnato. Esse devono essere intese come i fatti costitutivi della pretesa tributaria
(che emergeranno dall'atto impugnato) e come i fatti impeditivi, modificativi o estintivi della stessa
(che si rileveranno dal ricorso).
Particolarmente insidiosa è la questione delle domande non riproposte che si ritengono
abbandonate. Essa è ovviamente rilevante in caso di soccombenza totale di una parte, qualora
con il ricorso in primo grado siano proposte più domande o all'opposto l'atto impugnato contenesse
più di un fatto costitutivo della pretesa tributaria. In tal caso, si ritiene che la parte rinunci alle
domande che non ripropone nel ricorso d'appello. Ancora più rilevante è il caso di soccombenza
parziale di entrambe le parti. In questo caso la parte più diligente depositerà l'appello principale.
L'altra parte potrà limitarsi a contrastare le domande dell'appellante con atto di controdeduzioni ed
in tal caso si riterranno abbandonate le questioni su cui era stata sconfitta in primo grado. Oppure
potrà negli stessi termini depositare un appello incidentale, con cui proporre le questioni su cui era
soccombente.
Il giudice deve pronunciarsi sull'ammissibilità e sul merito di entrambi i ricorsi. Tuttavia qualora
l'appello incidentale sia proposto oltre il termine per appellare, ma entro i 60 giorni dalla notifica
dell'appello principale; l'inammissibilità dell'appello principale produce inammissibilità anche di
quello incidentale (cosiddetto appello incidentale tardivo). In ogni caso il giudizio di appello si
configura come un mezzo di impugnazione sostitutivo, nel quale il giudice è tenuto a riesaminare
nel merito le questioni proposte dalle parti e non può limitarsi ad un giudizio di tipo rescissorio, cioè
finalizzato al mero annullamento dell'atto o della decisione di primo grado (salvo che ricorrano
eccezionali ipotesi di illegittimità dell'atto o che la sentenza di primo grado sia nulla ai sensi dell'art.
59 D.Lgs. 546/1992, in quest'ultimo caso provvederà a rinviare la causa alla commissione
provinciale).
Contro la sentenza di appello è ammesso ricorso in Cassazione secondo le norme del codice di
procedura civile, per i motivi indicati dall'art. 360 dal n. 1 al n. 5. Le parti devono essere assistite da
avvocati abilitati alla difesa in Cassazione: l'ufficio può avvalersi dell'Avvocatura dello Stato.
54

Quando il ricorso è proposto per uno dei motivi indicati nei numeri da 1 a 4 (violazione norme
sulla giurisdizione; violazione norme sulla competenza; violazione o falsa applicazione di norme di
diritto; nullità della sentenza o del procedimento), il motivo deve concludersi con la formulazione di
un quesito di diritto.
Si noti che il quesito deve consentire alla Corte, pronunciando sullo stesso, di stabilire un principio
di diritto applicabile alla generalità dei casi e sostitutivo di quello utilizzato dal giudice di merito (il
quale nell'eventuale rinvio della decisione dovrà applicare il principio formulato dalla Corte). È
pertanto essenziale, non solo che il quesito sia formulato con chiarezza e che ad ogni motivo di
impugnazione corrisponda un quesito, ma anche che il quesito sia attinente alla causa, essendo
inammissibile il ricorso in cui è indicato un quesito generico, non suscettibile di immediata
applicazione nella causa in oggetto.
Nel caso indicato al n. 5 (omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione su un punto decisivo
della controversia), il ricorrente deve indicare con precisione il fatto controverso e la ragioni per cui
la motivazione è illegittima.
Per effetto della legge 69/2009 nei ricorsi contro i provvedimenti pubblicati o depositati dopo il 4
luglio 2009 non è più richiesta la formulazione del quesito di diritto.
Spese di lite
Nel contenzioso tributario vige il principio della soccombenza, che pone le spese del giudizio e gli
onorari della difesa totalmente a carico della parte non vittoriosa[1]. L'assistenza tecnica delle parti
è obbligatoria[2].
La Commissione Tributaria può disporre la compensazione parziale o totale delle spese in caso di
soccombenza reciproca o parziale, ricorrenza di altri giusti motivi (equità, convenienza o merito).
La compensazione deve essere esplicitamente motivata[3] e può essere oggetto di impugnazione.
Sospensione cautelare dell'atto impugnato
Il ricorso non sospende l'esecuzione dell'atto impugnato. Il D.lgs. 546/1992 ha previsto un'apposita
tutela cautelare contro l'esecuzione dell'atto impugnato. Presupposti fondamentali della tutela
cautelare sono il pericolo di un danno grave ed irreparabile (periculum in mora) e la fondatezza
almeno teorica del ricorso (fumus boni iuris).
Il pericolo di danno grave deve essere valutato, non solo in rapporto all'entità della somma
richiesta e alle condizioni patrimoniali del contribuente, ma anche in relazione all'atto impugnato. È
evidente infatti che qualora si tratti di atti impositivi, come l'avviso di accertamento, il pericolo di
danno sarà soprattutto legato al danno alla reputazione del contribuente, poiché tale atto necessita
di un ulteriore passaggio (l'iscrizione a ruolo e la notifica della cartella di pagamento) prima di poter
passare all'azione esecutiva. In ogni caso, l'iscrizione a ruolo in pendenza di ricorso deve limitarsi
alla metà dell'imposta dovuta (vedi art. 15 D.P.R. 602/1973). Ben diversa è la situazione in caso di
impugnazione di atti riscossivi, quali la cartella di pagamento, che costituiscono già titolo
esecutivo per l'esecuzione forzata.
L'istanza si propone con il ricorso o separatamente (ma in tal caso va notificata alle parti e
depositata in segreteria). Il presidente fissa con proprio decreto l'udienza di trattazione, nella prima
camera di consiglio (o pubblica udienza se richiesta) utile da cui intercorrano almeno dieci giorni
liberi (art. 47 D.Lgs. 546/1992). Se si ravvisa un pericolo di danno imminente, lo stesso decreto
motivato sospende provvisoriamente l'atto fino alla riunione del collegio.
Il collegio, sentite le parti, decide con ordinanza. La decisione deve tener conto dell'astratta
fondatezza del ricorso, tuttavia data la sommarietà del procedimento essa non deve e non può
tradursi in giudizio anticipato sul merito.
L'ordinanza di sospensione resta efficace fino alla pronuncia di merito del collegio: l'udienza deve
essere fissata entro 90 giorni dalla pronuncia dell'ordinanza sospensiva. La sospensione può
essere subordinata alla prestazione di idonea garanzia da parte del contribuente.
Pur nel silenzio della legge, secondo un'interpretazione della stessa una tutela cautelare deve
ritenersi ammissibile anche in secondo grado (salvo ovviamente l'onere di dimostrare
il fumus "aggravato" dalla sentenza sfavorevole della commissione provinciale). Si ritiene infatti
che la sospensione sia ammissibile, non solo per le sanzioni (per cui è espressamente prevista
55

dall'art. 19 c. 2 D. Lgs. 472/1997) ma anche per l'intero atto impugnato. In caso contrario, il
contribuente resterebbe esposto all'esecuzione dell'atto tra la sentenza di primo grado e quella di
secondo grado.
Secondo alcuni un'ulteriore tutela sarebbe ammissibile anche in Cassazione, in applicazione del
procedimento previsto dall'art. 373 c.p.c. (a cui rinvierebbe l'art. 62 D.Lgs. 546/1992 riferendosi alle
norme di procedura civile applicabili al ricorso in cassazione). In tal caso, l'istanza dovrebbe
essere indirizzata al presidente della commissione che ha emesso la sentenza da sospendere
(quindi, di norma, regionale).
Se il contribuente ritiene illegittimo o infondato un atto emesso nei suoi confronti (per esempio un
avviso di liquidazione o di accertamento, una cartella esattoriale) può presentare un ricorso alla
Commissione tributaria provinciale per chiederne l’annullamento totale o parziale. Tramite una
banca dati il contribuente ha la possibilità di utilizzare una procedura telematica per verificare lo
stato di lavorazione del ricorso presentato, conoscere la data fissata per le udienze e la
composizione del collegio giudicante. L’accesso alla banca dati è consentito ai cittadini e ai
Comuni per i ricorsi in cui sono parte in causa, nonché ai soggetti abilitati (professionisti,
associazioni) al servizio telematico “Entratel”. Per accedere alle informazioni i cittadini devono
essere in possesso degli estremi di identificazione (codice fiscale, password e codice PIN) che
consentono l’abilitazione al servizio telematico Fisconline. È stato avviato anche il processo
tributario telematico. I recenti provvedimenti (d.l. 98/2011
► ■ Come si avvia il processo tributario? e d.l. 138/2011) hanno introdotto alcune rilevanti
modifiche nelle procedure inerenti le fasi di stesura del ricorso e di costituzione in giudizio. Il
processo tributario inizia con la proposizione del ricorso da parte del contribuente alla competente
Commissione tributaria provinciale entro 60 giorni dalla data in cui ha ricevuto l’atto impugnato. Per
le controversie con l’Agenzia delle Entrate di valore non superiore a 20.000 euro il ricorso deve
essere preceduto dall’istituto del “reclamo”, pena non più l’inammissibilità del ricorso, come
succedeva per gli atti “notificati” a decorrere dal 1° aprile 2012, a norma della legge 111/2011, ma
pena l’improcedibilità del ricorso per gli atti notificati dal 2 marzo 2014, a norma della legge
147/2013 - legge di stabilità 2014 - che ha sostituito il 2° comma dell’articolo 17-bis del d.lgs. n.
546/92 (del reclamo e della mediazione se ne parlerà nell’ultimo paragrafo). Per le domande di
rimborso alle quali l’Agenzia delle Entrate non ha dato risposta, il ricorso si può produrre dopo 90
giorni dalla data di presentazione della richiesta. I termini per la proposizione del ricorso sono
sospesi nel periodo feriale dal 1º agosto al sanzioni amministrative, gli interessi e ogni altro
accessorio; • le controversie di natura catastale, come quelle concernenti, ad esempio,
l’intestazione, la delimitazione, l’estensione, il “classamento” dei terreni e l’attribuzione della rendita
catastale, nonché le controversie attinenti l’imposta comunale sulla pubblicità e il diritto sulle
pubbliche affissioni. Restano escluse dalla giurisdizione tributaria solo le controversie riguardanti
gli atti dell’esecuzione forzata tributaria successivi alla notifica della cartella di pagamento e, se
previsto, dell’avviso che precede l’espropriazione forzata
■ Quali requisiti sono richiesti per svolgere la funzione di giudice tributario? L’art. 7, d.lgs. 545/92,
stabilisce che i componenti delle Commissioni debbono ► avere: • la cittadinanza italiana; • il
godimento dei diritti civili e politici; • idoneità fisica e psichica; • un’età non superiore a 75 anni.
Devono, inoltre: • non aver subito alcuna condanna per delitti comuni non colposi o per
contravvenzioni a pena detentiva o per reati tributari; • non essere stati sottoposti a misure di
prevenzione o di sicurezza e devono aver dichiarato di voler stabilire la residenza nella Regione
nella quale ha sede la Commissione tributaria. Lo stesso decreto stabilisce regole sulla
incompatibilità secondo le quali non possono più svolgere la funzione di giudice tributario, finché
permangono in attività professionali, coloro che sono iscritti in albi professionali, elenchi, ruoli e
coloro che in qualsiasi forma, anche se in modo saltuario o accessorio ad altra prestazione,
esercitano l’attività di consulenza tributaria in generale (è esclusa qualsiasi consulenza, non quindi
solo quelle di natura prettamente fiscale ma anche, per esempio, la consulenza legale, tecnica,
familiare, ecc.), detengono le scritture contabili e redigono i bilanci. Molti giudici, pertanto,
dovranno scegliere tra professione e funzione di giudice. ■
Le norme sul contenzioso tributario hanno subito modifiche nel corso del Dal 1972 al 2012 sono
state attuate varie riforme, le quali: ► tempo? • hanno riconosciuto alcuni principi costituzionali
inerenti alla funzione giurisdizionale, come l’imparzialità del giudice, il diritto alla difesa, il principio
56

del contraddittorio (d.p.r. n. 636/72); • hanno ridotto i gradi di giudizio da tre a due attraverso
l’eliminazione della Commissione tributaria centrale. Pertanto, oggi ci sono le Commissioni
tributarie provinciali che operano in 1° grado, le Commissioni tributarie regionali che operano in 2°
grado e la Corte di Cassazione che opera in 3° grado (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545); • hanno
richiesto ai giudici una maggiore qualificazione (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 545); • hanno esteso
la competenza delle Commissioni tributarie ai tributi locali (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546); •
hanno introdotto la difesa obbligatoria (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546); • hanno stabilito che il
carico delle spese fosse attribuito alla parte soccombente (d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546); •
hanno introdotto la possibilità di sospendere l’atto impugnato e di definire le vertenze 432 433
sezione G Il sistema tributario italiano Il contenziosotributario 6 unità (tranne per la mancata
indicazione della PEC e del codice fiscale). Allo stesso modo il ricorso è inammissibile se manca la
sottoscrizione. ■ È indispensabile per il contribuente che effettua il ricorso l’assistenza Per le
controversie di valore superiore a 2582,28 euro, ► tecnica di un difensore? è indispensabile
l’assistenza di un difensore abilitato. Il Presidente della Commissione (o della sezione) può
ordinare alla parte di munirsi dell’assistenza tecnica anche nei casi in cui questa non è
obbligatoria. L’incarico ai difensori deve essere conferito con atto pubblico o con scrittura privata
autenticata o anche in calce o a margine di un atto del processo. Anche quando non è obbligatoria
l’assistenza tecnica il contribuente deve comunque fare attenzione alla complessità degli
adempimenti previsti dalla procedura (il contenzioso tributario è di fatto assimilato al giudizio civile)
e al rischio che la vertenza subisca un esito negativo a causa di una loro non esatta esecuzione.
La proposizione ► ■ Il ricorso sospende gli effetti giuridici dell’atto impugnato? del ricorso non
sospende gli effetti giuridici dell’atto impugnato. Tuttavia, il ricorrente ha facoltà di chiedere alla
Commissione tributaria competente, mediante la proposizione di un’apposita istanza, la
sospensione dell’atto, se ritiene che dallo stesso gli possa derivare un danno grave e irreparabile.
La richiesta motivata può essere contenuta nel ricorso o essere presentata con atto separato. In
quest’ultimo caso, l’istanza va notificata alle altre parti e depositata, con la prova dell’avvenuta
notificazione, presso la segreteria della Commissione tributaria. La sospensione può anche essere
parziale e subordinata alla prestazione di idonea garanzia mediante cauzione o fideiussione
bancaria o assicurativa nei modi e nei termini che vengono indicati nel provvedimento. La
controversia è trattata, ► ■ Il ricorso deve essere discusso pubblicamente? di norma, in “Camera
di consiglio” (senza la presenza delle parti). Se una delle parti vuole che il ricorso sia discusso in
udienza pubblica deve farne richiesta alla Commissione con istanza da depositare in segreteria e
da notificare alle altre parti costituite nei 10 giorni liberi prima della data di trattazione. L’istanza di
pubblica udienza può anche essere proposta contestualmente al ricorso o ad altri atti processuali.
Tuttavia il ricorso è sempre discusso in pubblica udienza se concerne un atto di recupero di aiuti di
Stato. ■ Come viene comunicato l’esito del ricorso e come viene applicata la sentenza? La
sentenza è ► resa pubblica mediante deposito nella segreteria della Commissione tributaria entro
30 giorni dalla data della deliberazione e il dispositivo della sentenza viene comunicato dalla
segreteria della Commissione alle parti costituite entro 10 giorni dal deposito. Alla notifica della
sentenza, invece, provvedono le parti (sarà la parte che vi ha interesse a notificare la sentenza alle
altre). Quando si giunge alla sentenza definitiva del processo tributario, e la stessa si pronunci a
favore del contribuente, l’ufficio deve attivarsi tempestivamente, nei termini previsti per eseguire gli
obblighi stabiliti dalla sentenza stessa. Con la sentenza che definisce il giudizio, la Commissione
tributaria decide anche l’ammontare delle spese processuali a carico della parte soccombente. In
casi particolari, la Commissione tributaria può decidere di compensare le spese tra le parti del
giudizio. La sentenza della Commissione ► ■ Per il ricorso in appello è previsto un termine?
provinciale può essere appellata alla Commissione regionale competente. Il 15 settembre. La
sospensione non si applica per le controversie relative ad atti di recupero degli aiuti di Stato. Il
ricorso deve essere notificato all’ufficio che ha emesso l’atto contestato mediante: • consegna
diretta; • posta con plico raccomandato senza busta e con l’avviso di ricevimento; • notifica di
ufficiale giudiziario. ■ Dopo che il contribuente ha notificato il ricorso all’ufficio che ha emesso
Entro 30 giorni dalla data in ► l’atto contestato, quali sono i passi successivi? cui notifica il
ricorso il contribuente deve costituirsi in giudizio. Questo significa che il ricorrente: • deve
depositare o trasmettere alla Commissione tributaria l’originale del ricorso; • ha l’obbligo di allegare
all’atto di costituzione in giudizio la nota di iscrizione a ruolo del ricorso tributario nel registro
generale dei ricorsi; • deve pagare il contributo unificato per tutti gli atti processuali (ricorso,
57

appello principale e incidentale, istanza di revocazione, ricorso per ottemperanza, atti di intervento)
in sostituzione dell’imposta di bollo. Il contributo unificato consente di “coprire” la spesa di tutti gli
atti che si produrranno in quel grado di giudizio, comprese le richieste, effettuate dalle parti
processuali, delle copie autentiche di atti e provvedimenti. In sostanza si paga una sola volta il
contributo unificato a titolo di spese di giustizia all’atto di avvio della lite e non si devono più
assoggettare a bollo gli atti susseguenti. L’omessa indicazione nel ricorso dell’indirizzo di posta
elettronica certificata e del numero di fax da parte del difensore comporta l’aumento del 50%
dell’importo dovuto a titolo di contributo unificato. È commisurato al valore della causa ► ■
Come si determina il contributo unificato? e viene assolto per ciascun grado di giudizio nel
momento in cui viene instaurato il giudizio. In sede di costituzione in giudizio, le segreterie delle
commissioni tributarie dovranno verificare l’avvenuto pagamento dello stesso da parte del
ricorrente. ■ Con il ricorso il contribuente è esonerato dal versamento delle somme che Il ricorso
non esenta dal versamento delle somme richieste ► gli sono state richieste? con l’atto
impugnato (ad esempio, per le imposte dirette e per l’IVA è prevista l’iscrizione a ruolo di un terzo
degli importi richiesti). Se il ricorso viene accolto, il tributo corrisposto in eccedenza rispetto a
quanto stabilito dalla sentenza della Commissione deve essere rimborsato d’ufficio, con i relativi
interessi, entro 90 giorni dalla notifica della sentenza. Nel ricorso devono essere indicati:

Cosa deve essere indicato nel ricorso? • la Commissione tributaria cui è diretto; • il ricorrente e il
suo legale rappresentante, la relativa residenza o sede legale o domicilio eventualmente eletto nel
territorio dello Stato; • il codice fiscale e l’indirizzo di posta elettronica certificata (PEC) del
ricorrente e del suo legale rappresentante, innovazione propedeutica all’avvio del processo
tributario telematico; • l’atto impugnato e l’oggetto della domanda; • i motivi. Se manca o è
assolutamente incerta una di queste indicazioni il ricorso è inammissibile 434 435 sezione G Il
sistema tributario italiano Il contenziosotributario 6 unità termine per impugnare la sentenza della
Commissione tributaria provinciale è di 60 giorni decorrente dalla notifica ad opera di una parte. Se
la sentenza della Commissione tributaria provinciale non è stata notificata, il termine per proporre
appello è più lungo (sei mesi dalla pubblicazione della sentenza). Le sentenze pronunciate in

Per quali motivazioni si può ricorrere in Cassazione? grado d’appello possono essere impugnate
con ricorso per Cassazione solo per i seguenti motivi: • motivi attinenti alla giurisdizione; •
violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento di competenza; •
violazione o falsa applicazione di norme di diritto; • nullità della sentenza o del procedimento; •
omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il
giudizio. Il ricorso per Cassazione deve essere sottoscritto, a pena di inammissibilità, da un
avvocato iscritto nell’apposito albo, munito di procura speciale. 41) Le prove in ambito tributario.

Lezione 048
01. NEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO SONO AMMESSE:

SOLO LE PROVE DOCUMENTALI

02. LE PROVE IN AMBITO TRIBUTARIO

Nel processo tributario esistono importanti limitazioni alla prova del diritto controverso, non essendo ammessi come mezzi probatori, ex art. 7,
comma 4, del d.lgs. 546/1992:

— il giuramento;

— la testimonianza.

Il divieto di utilizzo, ai fini probatori, della prova testimoniale ha generato, soprattutto in giurisprudenza, frequenti dibattiti, legati alle portata
applicativa di tale principio in sede contenziosa.

Divieto di utilizzo della prova testimoniale


58

Tale limitazione nasce dalla natura (documentale) del processo tributario, anche se la maggioranza della dottrina (20) sostiene che, a fronte del
previsto utilizzo di presunzioni, anche semplici, da parte dell’A.f., risulta oltremodo sfavorevole la posizione del contribuente che non può
contrapporre la prova testimoniale.

A tal proposito, la Corte di Cassazione, con la sentenza del 14 agosto 2002, n. 12210, ha sottolineato che «il divieto di ammissione della prova
testimoniale, sancito dall’art. 7, quar- to comma, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, non comporta la conseguente inammis- sibilità della prova per
presunzioni, ai sensi dell’art. 2729, secondo comma, c.c. — secondo il quale le presunzioni non si possono ammettere nei casi in cui la legge esclude
la prova testimoniale — poiché questa norma, attesa la natura della materia ed il sistema dei mezzi di indagine a disposizione degli uffici e dei
giudici tributari, non è applica- bile nel contenzioso tributario».

Peraltro, da tale limitazione scaturiscono, come vedremo, tutta una serie di questioni che involgono anche i rapporti tra il contenzioso tributario e
gli altri processi civile, penale ed amministrativo.

Come ritenuto, invece, dalla Dottrina sono da ritenersi ammissibili quali mezzi di prova nel contenzioso tributario:

— la confessione;

— l’interrogatorio.

A tal proposito il Russo ha precisato come «si può dubitare che le Commissioni Tributarie possano ordinare la comparizione delle parti per
sottoporle all’interrogatorio libero di cui all’art. 117 del codice di procedura civile, stante il silenzio serbato dall’art. 7 nell’elencare i poteri istruttori di
detto giudice; ma se si ammette, come ritengo, che nel processo tributario possano trovare ingresso tanto la confessione stragiudiziale quanto
quella giudiziale (ancorché non come prova legale sebbene quale prova liberamente valutabile dal giudice), allora non v’è motivo per escludere
l’esperibilità in tale processo, a seguito della deduzione della parte interessata, dell’interrogatorio formale che è per l’appunto lo strumento inteso a
provocare quest’ultimo tipo di confessione» [1].

Anche la Cassazione, a volte, ha ammesso l’utilizzo della prova testimoniale, richiamando, all’uopo, i principi di cui all’art.2724 c.c., esclusivamente,
però, nelle ipotesi in cui il contribuente dimostri di trovarsi, per causa a lui non imputabile, nell’impossibilità di produrre la documentazione
necessaria a provare un suo diritto, come, ad esempio, nel caso di furto di documenti (Cfr. Cass. 25713/2009).

In merito alla questione delle prove nel contenzioso in esame, la Dottrina ha rilevato che:

«Non è dubbio che le dichiarazioni paratestimoniali — raccolte dagli uffici tributari e dalla G. di F. fuori dal processo e senza le garanzie proprie
dell’assunzione della prova testimoniale, e versate dall’ente impositore nel processo tributario attraverso il deposito del p.v.c. — non possano
costituire da sole il fondamento dimostrativo della pretesa erariale. In forza del principio di simmetria probatoria, l’inammissibilità processuale della
prova testimoniale ridonda sull’istruttoria amministrativa degradando l’efficacia dimostrativa di tali dichiarazioni a quella degli indizi.

Tali dichiarazioni, pertanto, sono utilizzabili dall’A.f. solo insieme ad altri e ben più qualificati elementi possono legittimare l’emissione dell’avviso di
accertamento. Analoga efficacia, ancora, hanno nel processo i verbali di testimonianze acquisite in altri processi. Anche in tal caso, siamo in
presenza di prove atipiche in sede fiscale, inidonee a supportare sul piano dimostrativo la ricostruzione storica operata dal giudice tributario. In
base al principio costituzionale di parità delle armi, a sua volta, il contribuente ha la facoltà di avvalersi nel processo di dichiarazioni scritte di
terzi a condizione che sia possibile identificare il soggetto che ha reso la dichiarazione.

In non pochi casi, ancora, la prova testimoniale si presenta quale unico mezzo idoneo a ricostruire gli eventi del passato: la simulazione di un
contratto, la non abitualità dell’esercizio di un’attività economica, il sostenimento delle spese di mantenimento dei beni as- sunti a fatti noti dal
redditometro, l’inerenza o meno di un bene all’attività economica, sono altrettanti enunciati fattuali non sempre dimostrabili attraverso altri mezzi
di prova. L’inammissibilità di un mezzo di prova si traduce nella compressione del grado di attendibilità della ricostruzione storica ottenibile nel
processo, sì da violare nella nostra materia pure il principio di capacità contributiva (22)».

Anche il divieto di ammissione del giuramento e della prova testimoniale ben si giustifica in questa visione del processo tributario come fondato su
prova scritta precostituita, integrata e verificata, ove occorra, dalla Commissione Tributaria con l’esercizio dei poteri che l’art. 7 del d.lgs. 546/1992 le
conferisce (23)».

Lezione 049
01. CON LA SENTENZA:

VIENE COMUNICATO ALLE PARTI QUANTO DECISO IN SEDE DI CONTENZIOSO TRIBUTARIO

Lezione 050
01. IL RICORSO PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE NEL CONTENZIOSO TRIBUTARIO PUO' ESSERE PROPOSTO PER:
OMESSA, INSUFFICIENTE O CONTRADDITTORIA MOTIVAZIONE CIRCA UN PUNTO DECISIVO DELLA CONTROVERSIA
MOTIVI ATTINENTI ALLA GIURISDIZIONE O VIOLAZIONE DELLE NORME SULLA COMPETENZA
VIOLAZIONE O FALSA APPLICAZIONE DELLE NORME DI DIRITTO, O NULLITA' DELLA SENTENZA O DEL PROCEDIMENTO
PER TUTTI I CASI DI CUI AI PUNTI PRECEDENTI
59

02. QUALI SONO GLI STRUMENTI PER IMPUGNARE LE SENTENZE DELLE COMMISSIONI TRIBUTARIE

L'impugnazione è il rimedio che le parti hanno a disposizione per far modificare una
sentenza o un provvedimento sfavorevole che si ritiene errato.
I mezzi di impugnazione sono:
1. APPELLO: contro le sentenze delle Commissioni Tributarie Provinciali si può ricorrere
proponendo appello alla Commissione Tributaria Regionale competente. L'appello deve
contenere (art. 53 D.Lgs. n° 546/92 e art. 14 comma 3 bis del DPR n° 115/2002) :
• l'indicazione dell'appellante, delle altre parti nei cui confronti è proposto e della
Commissione Tributaria a cui è diretto
• gli estremi della sentenza impugnata
• l'esposizione sommaria dei fatti
• l'oggetto della domanda
• i motivi specifici dell'impugnazione
• la sottoscrizione del difensore
• indirizzo PEC e codice fiscale del difensore
• indirizzo PEC e codice fiscale del ricorrente
• la dichiarazione del valore della causa

Nel giudizio di appello non si possono proporre nuove domande e, se proposte, si


dichiarano inammissibili d'ufficio. Non possono inoltre proporsi nuove eccezioni che non
siano rilevabili d'ufficio (art. 57 D.Lgs. n° 546/92) ed è precluso introdurre nuove prove, a
meno che esse non siano ritenute necessarie ai fini della decisione o che la parte dimostri
di non averle potuto fornire nel precedente grado di giudizio per cause ad essa non
imputabili (art. 58 D.Lgs. n° 546/92). È prevista, invece, l'ammissibilità di nuovi documenti.
Si ricorda che, a partire dal 13 dicembre 2014, non sussiste più l'obbligo del deposito a
pena di inammissibilità della copia dell'appello anche in Commissione Tributaria
Provinciale (D.L. 21/11/2014 n° 175).

2. APPELLO INCIDENTALE: è un istituto giuridico che permette all'appellato di impugnare


le disposizioni a se sfavorevoli della sentenza. La possibilità di proporre appello incidentale
in sede di controdeduzioni, anche nel processo tributario (art. 54 D.Lgs. n° 546/92),
risponde all'esigenza di rendere unitario il processo di appello e di evitare il rischio di
giudicati contrastanti. L'appello incidentale deve essere proposto, a pena di
inammissibilità, all'atto della memoria difensiva di costituzione in giudizio, ossia entro 60
giorni dalla ricezione dell'appello principale. La controparte, in predetto termine, oltre alla
difesa sui punti della sentenza impugnati dall'appellante, può a sua volta contestare le
pronunce a sé sfavorevoli. L'atto deve contenere i motivi specifici su cui si fonda
l'impugnazione e si osservano, per il resto, si applicano le norme in tema di costituzione del
convenuto in primo grado (art. 23 D.Lgs. n° 546/92).
3. RICORSO PER CASSAZIONE: le sentenze pronunciate dalle Commissioni Tributarie
Regionali possono
essere impugnate con ricorso per Cassazione. I motivi, tassativi, per i quali è possibile
esperire il ricorso in cassazione sono quelli dettati dall'art. 360 del c.p.c. (art. 62 del D.Lgs.
546/92).
60

Il ricorrente deve presentare alla Commissione Tributaria che ha pronunciato la sentenza


impugnata una istanza con cui chiede la trasmissione del fascicolo alla corte di
Cassazione.
La Corte di Cassazione può:
• rigettare il ricorso con ordinanza;
• dichiarare con ordinanza il ricorso inammissibile o improcedibile;
• dichiarare l'estinzione del giudizio;
• accogliere il ricorso con sentenza (con o senza rinvio alla commissione che ha
emesso il provvedimento).
Al giudizio di rinvio davanti alle Commissioni Tributarie si applica l'art. 63 del D.Lgs. n°
546/92.
Dal 1° gennaio 2016, in forza delle modifiche apportate all'articolo 62 del D.Lgs. n.
546/92 [art. 9, comma 1, lett. z) del D.Lgs. n° 156/2015] è stato aggiunto il comma 2 bis il
quale prevede che, se le parti sono d'accordo ad omettere l'appello, poiché ritengono che
la causa dipende dalla decisione di una questione di diritto sulla quale sarà chiamata ad
esprimersi in ogni caso la Corte Suprema, la sentenza della Commissione Tributaria
Provinciale può essere impugnata con ricorso per Cassazione. In tal caso, la sentenza può
essere impugnata unicamente a norma dell'articolo 360, primo comma, n° 3, c.p.c., ovvero
per violazione o falsa applicazione di norme di diritto (c.d. ricorso per saltum).
4. REVOCAZIONE: l'impugnazione per revocazione può essere straordinaria o ordinaria.
• La revocazione ordinaria si fonda su vizi emergenti dalla sentenza stessa o riguardanti
elementi conosciuti o conoscibili dalla parte e va proposta entro i termini di
impugnazione ordinari. I motivi di revocazione ordinaria sono: l'errore revocatorio (art.
395, comma 1 n° 4 c.p.c.) e il conflitto teorico tra giudicati (art. 395, comma 1 n° 5
c.p.c.)
• La revocazione straordinaria può invece avere luogo per i seguenti motivi: dolo della
parte (art. 395, comma 1 n° 1 c.p.c.), prove false (art. 395, comma 1 n° 2 c.p.c.),
rinvenimento di documenti (art. 395, comma 1 n° 3 c.p.c.), dolo del giudice (art. 395,
comma 1 n° 6 c.p.c.). Essa può essere proposta entro 60 giorni dalla scoperta del
vizio revocatorio, anche successivamente alla scadenza dei termini per le
impugnazioni ordinarie.
In forza della citata modifica dell'art. 62 del D.Lgs. n° 546/92 anche le sentenze emesse in
un unico grado (in esito al cd ricorso per saltum) possono essere oggetto di ricorso per
revocazione straordinaria, in quanto i motivi di revocazione ordinaria possono essere fatti
valere con l'appello.
La proposizione della revocazione non sospende il termine per proporre il ricorso per
Cassazione.

03. COS'E' IL RICORSO IN CASSAZIONE

Il ricorso per Cassazione può essere effettuato nel caso in cui si abbia intenzione di impugnare le
sentenze che sono state pronunciate in grado d'appello. Perché ciò sia possibile, però, è
necessario il verificarsi di una delle seguenti condizioni:
- norme di diritto sono state violate o applicate in maniera non corretta
- norme sulla competenza sono state violate, se il regolamento di competenza non è prescritto
- la sentenza o il procedimento sono da considerare nulli.
- per un fatto controverso e decisivo per il giudizio è stata addotta una motivazione
61

contraddittoria o insufficiente, o la motivazione è stata omessa.


Inoltre, il ricorso in Cassazione è possibile per ragioni attinenti alla giurisdizione.
In alcuni casi, tale ricorso è ammesso anche per le sentenze che sono state emesse dalla
Commissione tributaria provinciale, il che vuol dire che si salta il giudizio in appello: proprio per
questo motivo si parla di ricorso "per saltum". Tale opportunità è prevista unicamente nel caso in
cui il ricorso abbia a che fare con una questione di diritto e, soprattutto, le parti in giudizio siano
d'accordo nella scelta del "salto". Va ricordato, infine, che affinché il ricorso per Cassazione possa
essere considerato valido è indispensabile che sia sottoscritto da un avvocato iscritto all'albo con
procura speciale.

04. COS'E' IL RICORSO IN APPELLO

Nel caso in cui si voglia ricorrere contro la sentenza della Commissione provinciale, è necessario
fare appello alla Commissione regionale competente entro i sessanta giorni successivi alla
data in cui è stata effettuata la notifica. In assenza di notifica della sentenza della
Commissione tributaria provinciale, il termine è di sei mesi a partire dalla data in cui la
sentenza è stata pubblicata, tenendo conto della sospensione prevista per il mese di agosto. Per
proporre l'appello le forme e le procedure da seguire sono le stesse applicate per il ricorso alla
Commissione tributaria provinciale: il ricorso va depositato nella segreteria della Commissione
tributaria regionale entro trenta giorni dalla proposizione nei confronti della totalità delle parti che
sono state chiamate in causa nel giudizio di primo grado.

05. COS'E' LA REVOCAZIONE

L'impugnazione delle pronunce giudiziali per revocazione nel processo tributario è


disciplinata dagli artt. 64 e seguenti del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546

Ai sensi dell'art. 64, comma 1, del D.Lgs. n. 546/1992 è ammessa la revocazione delle sentenze
delle Commissioni tributarie che involgono accertamenti di fatto e che sul punto: a) non sono
altrimenti impugnabili; b) ovvero non sono state impugnate, quando si siano verificati gli eventi di
cui all'art. 395 del codice di procedura civile. In base alla disposizione citata quindi con la domanda
di revocazione si denunciano al giudice che ha emesso la sentenza impugnata, i vizi ovvero gli
errori in cui è incorso nel giudicare il fatto. Dal predetto schema normativo si evince che contro le
sentenze di primo grado emesse dalle Commissioni tributarie provinciali, in pendenza del termine
per proporre l'appello, non è ammessa la revocazione, posto che il requisito della non ulteriore
impugnabilità non sussiste. La predetta preclusione si fonda inoltre sul principio di risoluzione dei
motivi di revocazione in appello. Il comma 2 del citato art. 64 dispone l'impugnazione mediante
revocazione per i motivi di cui all'art. 395, nn. 1), 2), 3) e 6), del codice di procedura civile delle
sentenze di primo grado divenute inappellabili a condizione che la scoperta del dolo o della falsità,
il recupero dei documenti o il passaggio in giudicato della sentenza di cui al n. 6) siano avvenute
dopo la scadenza del termine per l'appello. In linea generale, quindi, è possibile affermare che la
disciplina dell'istituto della revocazione nel contesto del processo tributario non si discosta
sostanzialmente da quella processuale civilistica. È di facile rilievo, però, il fattore che distingue
l'esperibilità del rimedio in esame nel contesto del processo tributario: il riferimento è al requisito
della "non ulteriore impugnabilità" ex art. 64 del D.Lgs. n. 546/1992. L'utilizzo dell'istituto della
revocazione è quindi subordinato in fatto alle sole ipotesi in cui non è possibile utilizzare contro la
sentenza "viziata" altri mezzi di impugnazione. Alla luce di quanto esposto, si evince la
fondamentale importanza in ordine all'individuazione delle ipotesi in cui la sentenza non è più
ulteriormente impugnabile.

La revocazione è un mezzo di impugnazione previsto dalla legge quale estrema garanzia di


tutela nei confronti di sentenze affette da vizi particolarmente gravi o che, comunque, presentano
“indici o sintomi di ingiustizia”.
62

In generale, a tale istituto è attribuito il ruolo di rimedio contro l’ingiustizia della sentenza non
appellabile o non più appellabile, sulla base di specifici motivi che il legislatore, nella sua
discrezionalità, ha disposto in un elenco tassativo valutandoli di particolare gravità.

Nel processo tributario, l’istituto è oggi disciplinato dagli artt. 64 – 67 del D. Lgs. n. 546 del
31.12.1992. Precedentemente, la revocazione delle sentenze delle commissioni tributarie era
disciplinata dall’art. 41 del D.P.R. n. 636/72.

Ai sensi dell’art. 64 del D. Lgs. n.546/92 “Contro le sentenze delle commissioni tributarie che
involgono accertamenti di fatto e che sul punto non sono ulteriormente impugnabili o non sono
state impugnate è ammessa la revocazione ai sensi dell’art. 395 c.p.c.”. Il secondo comma del
medesimo articolo prevede che: “le sentenze per le quali è scaduto il termine per l’appello possono
essere impugnate per i motivi di cui ai nn 1, 2, 3 e 6 dell’art. 395 c.p.c. purchè la scoperta del dolo
o della falsità dichiarata o il recupero del documento o il passaggio in giudicato della sentenza di
cui al n. 6 dell’art. 395 c.p.c. siano posteriori alla scadenza del termine suddetto”.

La revocazione ordinaria, fondata su vizi palesi intrinsechi alla sentenza, deve essere
proposta entro il termine ordinario di 60 gg. dalla notificazione della sentenza o entro il
termine annuale in assenza di notificazione (art. 327 c.p.c.). Sono palesi i vizi dei quali la
parte può avere conoscenza fin dalla pubblicazione della sentenza.

La revocazione straordinaria, invece, essendo fondata su vizi occulti, in quanto


esteriori alla sentenza, deve essere proposta nel termine di 60 gg. decorrenti dal
momento in cui la parte è venuta a conoscenza del vizio legittimante.

I vizi occulti sono quelli discendenti dalla scoperta di documenti o fatti ignorati nel corso
del procedimento che ha condotto alla sentenza di cui si chiede la revisione.

Dalla lettura dell’art. 64 del D. Lgs. n. 546/92 emerge, contrariamente a quanto avviene
in sede civile con l’art. 395 c.p.c., che la revocazione è esperibile contro le sentenze
delle commissioni tributarie che involgono accertamento di fatto. Tale precisazione,
però, in realtà, può apparire pleonastica, in quanto, tutti i motivi esperibili, sia nella
revocazione ordinaria che in quella straordinaria, concernono un giudizio di fatto e la
corretta ricostruzione degli elementi necessari per pervenire alla decisione della
controversia.

A tal proposito è bene porre in evidenza che la revocazione in ambito tributario si


differenzia dall’analoga disciplina civilistica per l’assenza della revocazione su istanza
del pubblico ministero ex art. 397 c.p.c.

06. IL CANDIDATO DESCRIVA IL GIUDIZIO DI OTTEMPERANZA

I presupposti per esperire il giudizio di ottemperanza (art. 70 D.Lgs. n° 546/92) sono:


• il passaggio in giudicato della sentenza;
• il mancato integrale adempimento da parte dell'Ufficio;
• la notifica - tramite ufficiale giudiziario - di un atto di intimazione e messa in mora;
63

• l'inutile decorso del termine ovvero soltanto dopo la scadenza del termine che la legge
concede all'Amministrazione per l'adempimento e se mancante dopo 30 giorni dalla
messa in mora;
• la necessità per l'esecuzione della sentenza di provvedimenti amministrativi, ovvero
sentenze che richiedono una specifica attività non posta in essere dall'Ufficio
soccombente (es.: rimborso, riconoscimento di un beneficio, correzione delle
risultanze catastali).
Il giudice competente a pronunciarsi sull'esecuzione del giudicato divenuto irrevocabile è la
Commissione Tributaria Provinciale che ha pronunciato la sentenza non appellata o il cui
appello si conclude con una dichiarazione di inammissibilità, di improcedibilità o di
estinzione del giudizio di appello. In ogni altro caso la competenza spetta alla
Commissione Tributaria Regionale dato che la sentenza emessa dal giudice di grado
superiore si sostituisce a quella emessa in primo grado.
Il ricorso in ottemperanza deve essere indirizzato al presidente della Commissione
Tributaria competente e deve contenere (art. 18, comma 2, D.Lgs. n° 546/1992) la
sommaria esposizione dei fatti che ne giustificano la proposizione e la precisa indicazione
della sentenza passata in giudicato di cui si chiede l'ottemperanza. Il ricorso, sottoscritto da
difensore tecnico abilitato (art. 12 D.Lgs. n° 546/1992) deve essere solo depositato, in
doppio originale, presso il giudice tributario e non deve essere notificato
all'Amministrazione. La Commissione ha l'obbligo di trasmettere all'Ufficio inadempiente
uno dei due originali, il quale può formulare le proprie osservazioni entro il termine
ordinatorio di 20 giorni. Resta ferma, pertanto, la possibilità dell'Ufficio di provvedere alla
costituzione formale in giudizio fino alla data fissata per la camera di consiglio. Scaduto il
termine per il deposito di memoria da parte dell'Ufficio, il presidente della Commissione
procederà alla fissazione dell'udienza camerale entro il termine ordinatorio di 90 giorni dal
deposito del ricorso, e disporrà le comunicazioni alle parti che debbono avvenire almeno
10 giorni liberi prima. La trattazione della controversia avviene sempre in camera di
consiglio non essendo prevista la possibilità di udienza pubblica neanche su istanza
concorde delle parti.
Normalmente il giudice tributario provvede alla nomina di un commissario ad acta nella
persona di un esperto della materia oggetto di contenzioso, i cui poteri sono quelli stabiliti
dal giudice al momento della nomina.
Nell'udienza camerale di trattazione il Collegio, sentite le parti e acquisiti i documenti
necessari, adotta con sentenza immediatamente esecutiva i provvedimenti indispensabili
per l'ottemperanza, in luogo dell'ufficio dell'ente impositore che li ha omessi.
Il collegio conclude il giudizio mediante ordinanza che può contenere anche la condanna
dell'Amministrazione soccombente alle spese di giudizio.
Dal 1° gennaio 2016 è prevista l'assegnazione del giudizio di ottemperanza al giudice
monocratico per importi fino a 20.000,00 euro [comma 10 bis, art. 70 del D.Lgs. n°
546/1992, introdotto dall'art. 9, comma 1, lett.ii) del D.Lgs. n° 156/2015].

Lezione 052

01. COSTITUISCONO ONERI DEDUCIBILI:


LE SPESE MEDICHE

02. IL REDDIO DI LAVORO AUTONOMO E' TASSATO CON IL CRITERIO TEMPORALE DI:

CASSA
64

03. L'IRPEF E' UNA IMPOSTA:


PROGRESSIVA A SCAGLIONI

04. COSA SONO I REDDITI DIVERSI


UNA CATEGORIA RESIDUALE DI REDDITI NON RICONDUCIBILI ALLE CATEGORIE STANDARDIZZATE DI CUI ALL'ART. 6 DEL TUIR

05. COSTITUISCONO ONERI DETRAIBILI

GLI INTERESSI SUI MUTUI PER L'ACQUISTO DI ABITAZIONE PRINCIPALE

06. GLI ONERI DEDUCIBILI DIFFERISCONO DAGLI ONERI DETRAIBILI IN QUANTO

I PRIMI RIDUCONO IL REDDITO COMPLESSIVO, I SECONDI RAPPRESENTAZNO UNA DETRAZIONE DALL'IMPOSTA LORDA

07. LE ALIQUOTE IRPEF ATTUALMENTE IN VIGORE SONO:


23% - 27% - 38% - 41% - 43%

08. IL SISTEMA DELLA TASSAZIONE SEPARATA HA L'EFFETTO:


DI RIDURRE L'IMPATTO DELLA PROGRESSIVITA' DELL'IMPOSTA PER REDDITI PRODOTTI IN PIU' ANNI

09. I REDDITI PRODOTTI DALLE SOCIETA' DI PERSONE SONO TASSATI

IN CAPO AI SOCI IN FUNZIONE DELLA QUOTA DI PARTECIPAZIONE

10. LA TASSAZIONE SEPARATA RIGUARDA


REDDITI LA CUI FORMAZIONE E' DI TIPO PLURIENNALE

11. IL CANDIDATO DESCRIVA I REDDITI IMPONIBILI AI FINI IRPEF

La base imponibile dell’IRPEF è costituita dal reddito complessivo afferente alle persone fisiche,al
netto delle detrazioni e ad esclusione delle entrate per legge non assoggettate a questa imposta.
Il reddito complessivo è dato dalla somma dei redditi di ogni categoria determinati sulla base di
specifici criteri.
La differenza fra il reddito complessivo e gli oneri deducibili e le deduzioni è definita reddito
imponibile.
L’imposta lorda risulta dall’applicazione della scala delle aliquote al reddito imponibile.
L’imposta netta si ottiene sottraendo dall’imposta lorda le detrazioni riconosciute in particolari
circostanza oggettive e soggettive.

La struttura dell’IRPEF è definibile in termini di presupposto,soggetti passivi e base imponibile.


Presupposto dell’IRPEF è il possesso di redditi imponibili in denaro o in natura.L’imposta si applica
sul reddito complessivo del contribuente,costituito:
- per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto delle deduzioni
- per i non residenti da tutti i redditi prodotti nel territorio dello Stato
Il reddito complessivo si determina sommando i singoli redditi classificati nelle seguenti categorie:
1. redditi fondiari
2. redditi di capitale
3. redditi di lavoro dipendente
4. redditi di lavoro autonomo
5. redditi d’impresa(società di persone prive di personalità giuridica)
6. redditi diversi.
65

12. IL CANDIDATO INDICHI QUAL E' IL PRESUPPOSTO DELLE IMPOSTE DIRETTE SUI REDDITI

Le imposte dirette hanno come presupposto il reddito o il patrimonio: questi presupposti


manifestano in modo diretto ed immediato la capacità contributiva di un soggetto. In altre parole
queste imposte colpiscono la ricchezza nel momento in cui è prodotta.
Esempio: se io percepisco un reddito o ho un patrimonio ho la capacità di contribuire alla spesa
pubblica.

In Italia, tra le principali imposte dirette abbiamo:


• l'IRPEF (Imposta sul Reddito delle PErsone Fisiche);
• l'IRES (Imposta sul REddito delle Società);
• l'IRAP (Imposta sul Reddito delle Attività Produttive).

Queste imposte sono dirette perché colpiscono i redditi.


A loro volta, le imposte dirette, possono essere imposte reali o imposte personali.

Imposte dirette: definizione


Prima di analizzare le imposte dirette cerchiamo di chiarire alcuni concetti di base. I tributi si
suddividono in imposte, tasse e contributi. Per imposta si intende qualsiasi prelievo coattivo, per
tassa il corrispettivo per ricevere un servizio e per contributo un corrispettivo coattivo per un
servizio, quest'ultimo ha le caratteristiche sia dell'imposta (obbligatorietà) sia della tassa (si riceve
un servizio in cambio, nella fattispecie la pensione).
Le imposte si suddividono poi in imposte dirette e imposte indirette, le imposte dirette colpiscono la
ricchezza nel momento in cui viene prodotta (reddito), mentre le imposte indirette colpiscono la
ricchezza nel momento i cui viene spesa (trasferimenti, acquisti).
Le più importanti imposte dirette si suddividono in Irpef, Ires (ex Irpeg) e Irap.

Presupposto dell'imposta è il possesso di redditi rientranti in una delle seguenti categorie: redditi
fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di
impresa, redditi diversi.

Si rammenta che le società di persone non hanno personalità giuridica, né sono persone fisiche,
per cui non scontano né Irpef né Ires, ma soltanto l'Irap.
IRPEF
L'Irpef è l'imposta sul reddito delle persone fisiche, è di tipo personale e progressiva che colpisce il
reddito complessivo ovunque prodotto dalle persone fisiche residenti in Italia e il reddito prodotto in
Italia da parte delle persone fisiche non residenti. L’Irpef si determina in base ad aliquote
progressive, si tratta di una progressività per scaglioni: il reddito imponibile viene frazionato e
assoggettato alle aliquote corrispondenti agli scaglioni in cui li reddito stesso rientra.
IRES
L'Ires è l'imposta sul reddito delle società, è entrata in vigore il 1° gennaio 2004 e ha sostituito
l'Irepg. L'Ires si applica solo ai soggetti con personalità giuridica e quindi a Spa, Sapa, Srl, società
cooperative e di mutua assicurazione. Sono escluse le società di persone (Snc, Sas, società
semplici). E’ un tipo di imposta proporzionale ed è dovuta sul reddito imponibile societario nella
misura del 27,50%.
IRAP
L'Irap è l'imposta regionale sulle attività produttive. E’ un’imposta sul valore aggiunto prodotto che
colpisce la ricchezza (intesa come presupposto impositivo) allo stadio della sua produzione e non
a quello della sua percezione (come l’Irpef o l’Ires ), né a quello del suo consumo (come l’Iva), è
pertanto un’imposta a carattere reale. E’ un tipo di imposta regionale di tipo proporzionale ed è
dovuta nella misura del 3,90%.
66

13. IL CANDIDATO ILLUSTRI IL CONCETTO DI ONERI DEDUCIBILI E DETRAZIONI DI IMPOSTA

Si parla di deducibilità e detraibilità nei casi in cui il fisco offra la possibilità al contribuente di
ottenere degli sconti dalle imposte, scalando dai propri redditi o dalle tasse da pagare, alcuni
oneri che vengono appunto definiti oneri detraibili o oneri deducibili.

Cosa significa oneri detraibili?


Gli oneri detraibili sono quelle spese che possono essere sottratte direttamente dal monte
imposte da pagare, diminuendo di conseguenza l’importo relativo. Facciamo un esempio di
detrazione (senza tener conto delle aliquote contributive effettive per ciascuno scaglione di reddito
al fine di semplificare il calcolo). Se al momento della presentazione della dichiarazione dei redditi
io ho un reddito imponibile di 10mila euro e applicassi un’aliquota fiscale del 15%, le mie imposte
sarebbero un ammontare di 1500 euro. Se io applicassi a tali imposte una spesa detraibile – o più
correttamente un onere detraibile – di 350 euro, le tasse che dovrei pagare allo stato sarebbero
di 1150 euro.

Cosa significa oneri deducibili?


Sono oneri deducibili, o in maniera colloquiale “spese deducibili”, tutte quelle che possono
essere tolte dal reddito riducendo non direttamente l’importo delle tasse da pagare (come nel caso
degli oneri detraibili), ma riducendo l’importo di reddito imponibile (cioè sottoposto ad imposta),
dunque l’importo sul quale viene calcolato l’importo delle tasse da pagare. Torniamo al nostro
esempio semplificato e facciamo questa volta un esempio di deduzione. Se io avessi un reddito
di 10mila euro e però avessi un onere deducibile di 350 euro il mio reddito imponibile non sarebbe
più di 10mila ma di 9.650 euro. Su questo importo andrei a calcolare la mia imposizione fiscale che
sarebbe a questo punto di 9.650 euro * 15% cioè, nel nostro esempio semplificato, di 1447,5 euro.

quali sono gli oneri detraibili per il 2016?

Possono essere detratti le seguenti spese effettuate nel periodo di imposta 2015, dunque
nella dichiarazione 2016:

oneri relativi a contributi dei fondi integrativi del servizio sanitario nazionale;
oneri relativi a contributi previdenziali e assistenziali;
oneri relativi a contributi a forme pensionistiche complementari e individuali (per un ammontare
massimo di 5.164,57 euro);
spese mediche escluse di franchigia;
cedolare secca al 10% (fino al 2017, poi nel 2018 passerà al 15%);
assegni di mantenimento del coniuge separato o divorziato (ma non le spese di mantenimento
dei figli);
spese di assistenza ai portatori di handicap;
rendite, vitalizi, assegni alimentari ed altri oneri;
spese relative a contributi per colf, badanti, baby sitter sino ad un importo massimo di 1.549,37
euro (il contributo forfaittario di 1000 euro versato al fine di permettere la regolarizzazione dei
lavoratori dipendenti stranieri è escluso);
donazioni di beneficienza a favore degli istituti religiosi;
beneficienza a favore di ong (organizzazioni non governative) o onlus (quest’ultima passata dal
gennaio 2015 al 26% dell’importo, fino ad un massimo di 30mila euro);

erogazioni liberali ai partiti per un massimo del 26%;


-beneficienza a favore di università ed enti di ricerca per un massimo del 26%;
67

– spese funebri per un importo massimo di 1.549,37 euro;


– spese di intermediazione immobiliare per un importo comunque inferiore a 1.000,00 euro;
– interessi mutui ipotecari acquisto dell’abitazione principale o di altri immobili;
– interessi prestiti o mutui agrari (per importi inferiori al valore dei redditi dei terreni dichiarati);
– interessi mutui di recupero edilizio (se contratti dopo il 1997);
– interessi mutui ipotecari stipulati ai fini di costruzione dell’abitazione principale;
– premi assicurazioni sulla vita e infortuni (con durata superiore ai 5 anni e che non consenta a
concessione di prestiti, e comunque per un importo massimo da portare a detrazione di 630,00
euro).
– ecobonus 65% e 50% ristrutturazioni edilizie
bonus acquisto mobili
ecobonus elettrodomestici
canoni di locazione (con varie limitazioni da controllare caso per caso)
– spese veterinarie (solo se superiori a 129,11 euro e fino a un massimo di 387,34 euro).
Quali sono gli oneri deducibili per il 2016?
Sono deducibili, per la dichiarazione dei redditi 2016, dunque relativamente alle spese
effettuate nel 2015:

– ticket relativi alle prestazioni del servizio sanitario nazionale;

– assistenza infermieristica e riabilitativa disabili (se prescritta);

– spese mediche generiche e di assistenza specifica, sostenute dai disabili (interamente


deducibili se riguardano: personale infermieristico e operatori tecnici assistenziali, personale di
coordinamento delle attività assistenziali con qualifica di educatore professionale, personale
qualificato addetto ad attività di animazione e di terapia occupazionale);

– spese assistenza e ricovero disabili (non interamente ma solo per la parte che riguarda le
spese mediche e paramediche di assistenza specifica);

– contributi previdenziali ed assistenziali e volontari versati alla gestione della forma


pensionistica obbligatoria d’appartenenza (anche se sostenuti per i familiari fiscalmente a carico),
dunque contributi previdenziali, di fondi integrativi, di forme pensionistiche complementari (sino ad
un massimo di 5.164 euro), contributi versati per l’assicurazione obbligatoria inail (solo per la
tutela contro gli infortuni domestici, la c.d. Assicurazione casalinghe);

– riscatto anni di laurea;

– ricongiunzione contributi;

– assegni periodici per il mantenimento del coniuge separato o divorziato (ma non gli assegni
periodici per il mantenimento dei figli).

Si tenga presente che queste liste potrebbero essere non del tutto esaustive e soggette a
modifiche da parte del legislatore.
68

14. IL CANDIDATO INDICHI LA DIFFERENZA TRA CRITERIO TEMPORALE DI CASSA E CRITERIO TEMPORALE DI
COMPETENZA

Una distinzione importante nel mondo della contabilità viene fatta in base al principio usato per
registrare costi e ricavi.

Il principio di competenza impone di registrare le transazioni nel periodo di imposta a cui


queste si riferiscono indipendentemente dal momento in cui i pagamenti si verificano.

Il principio di cassa, invece, include nel calcolo del reddito solo i costi e i ricavi per cui ci
sia stata manifestazione finanziaria.

Le imprese sono tenute a registrare entrate e uscite quando si realizzano le condizioni che danno
poi origine agli effetti economici ovvero quando la transazione avviene indipendentemente dal
momento in cui avviene effettivamente il pagamento (principio di competenza).

I lavoratori autonomi, invece, devono considerare solo le operazioni per cui è già stato saldato il
conto nel calcolo del reddito (principio di cassa).

Il principio di competenza

Questo principio prevede che il periodo di imposta coincida con la data di:

• consegna o di spedizione per beni mobili


• firma del contratto per beni immobili
• maturazione dei corrispettivi per i servizi

Il principio di cassa

Secondo il principio di cassa solo i ricavi già incassati e i costi già pagati possono essere inclusi
nel calcolo del reddito.

Per i pagamenti in contanti, il problema della data di validità della transazione non si pone poichè,
al momento del trasferimento del danaro, i compensi sono immediatamente in tuo possesso.

Per i casi di pagamenti con bonifico bancario, assegni, carta di credito e di debito fa testo la data in
cui la somma è disponibile sul conto e puoi usarli.

Nella determinazione del reddito delle persone fisiche si può seguire il criterio di cassa (come nel
caso di lavoratori autonomi e dipendenti) o il criterio di competenza (come nel caso di impresa
individuale).
Il criterio di cassa consiste nel registrare costi e ricavi quando questi effettivamente sono stati
sostenuti o incassati (vale anche il principio di cassa allargato per dipendenti e collaboratori, non
per gli autonomi).
Il criterio di competenza consiste invece nel registrare costi e ricavi nel periodo di competenza (di
attribuzione), anche se questi non sono ancora stati sostenuti o incassati.

15. IL CANDIDATO INDICHI IN CHE MODO SI INDIVIDUANO I SOGGETTI PASSIVI AI FINI IRPEF

Presupposto dell'imposta è il possesso di redditi rientranti in una delle seguenti categorie: redditi
fondiari, redditi di capitale, redditi di lavoro dipendente, redditi di lavoro autonomo, redditi di
impresa, redditi diversi.
69

È un'imposta progressiva, in quanto colpisce il reddito con aliquote che dipendono dagli scaglioni
di reddito, ed è di carattere personale, essendo dovuta, per i soggetti residenti sul territorio dello
Stato, per tutti i redditi posseduti, anche se prodotti all'estero.
L'imposta lorda è determinata applicando al reddito complessivo, al netto degli oneri deducibili
indicati nell'articolo 11 TUIR, le aliquote variano per scaglioni di reddito:

Irpef soggetti passivi. Sono considerati soggetti passivi IRPEF tutte le persone fisiche in
possesso di redditi di qualsiasi natura. Come evidenziato precedentemente, l’imposta si applica su
varie tipologie redditi: redditi da lavoro autonomo,redditi di capitale
redditi di lavoro dipendente, reddito fondiari derivanti dal possesso di terreni, redditi diversi.

Lezione 053
01. COS'E' LA TASSAZIONE SEPARATA

Per motivi di equità, sono soggetti a tassazione separata i redditi percepiti una tantum e che,
solitamente, derivano da un processo produttivo pluriennale.

Modalità di tassazione

Proprio in virtù della loro maturazione ultra-annuale, al fine di evitare che tali redditi, nell’anno in
cui si considerano imponibili, si sommino a quelli “ordinari” di quello stesso periodo d’imposta,
incrementando il carico fiscale % sul contribuente (a causa della progressività delle aliquote
IRPEF), i relativi ammontari sono tassati separatamente: essi, dunque, non concorrono alla
formazione del reddito complessivo dell’anno, ma costituiscono una massa imponibile autonoma,
tassata secondo norme particolari.
In linea generale, infatti, il reddito soggetto a tassazione separata è imponibile IRPEF con
un’aliquota proporzionale (e non più progressiva) pari all’aliquota media d’imposta cui è stato
soggetto il reddito del contribuente nel biennio antecedente l’anno in cui l’ammontare a tassazione
separata si considera “posseduto” (art. 21, comma 1) e:

– nel caso in cui, in uno dei due anni da prendere in considerazione, il contribuente non abbia
avuto reddito, l’aliquota applicata è pari alla metà dell’aliquota media dell’altro anno (art. 21,
comma 3);
– nel caso in cui il contribuente non abbia posseduto redditi nel biennio anteriore, la tassazione
avverrà secondo l’aliquota applicabile al primo scaglione IRPEF (art. 21, comma 3).

Un calcolo particolare è previsto per il TFR (art. 19), tenuto altresì conto che la rivalutazione dello
stesso sconta un’imposta sostitutiva annua, attualmente pari al 17%. Il calcolo dell’aliquota media
(e, quindi, della tassazione definitiva del reddito soggetto a tassazione separata) è compito del
competente Ufficio locale dell’Agenzia delle Entrate, ma, nel caso in cui il reddito in parola sia
erogato da sostituti d’imposta, questi, all’atto della corresponsione, sono tenuti all’applicazione (e
al versamento) di una ritenuta d’acconto commisurata alla durata del rapporto di lavoro
subordinato.
Nel caso di redditi soggetti a tassazione separata, anche diversi dal TFR, che siano percepiti dal
contribuente senza l’intervento del sostituto d’imposta, il percipiente è in genere tenuto a versare
una ritenuta del 20% in sede di corresponsione del saldo delle imposte dovute sulla base della
70

dichiarazione presentata per l’anno di conseguimento del reddito (v. “Istruzioni al Modello Unico
Persone Fisiche – Quadro RM”).

L’Ufficio provvederà successivamente al conguaglio, dal quale possono risultare, alternativamente:


a) un saldo a debito per il contribuente, che provvederà a versare quanto dovuto entro 30 gg.
dalla richiesta notificata dall’Ufficio (art. 1, comma 412, l. 311/2004);
b) un saldo a credito del contribuente, il quale potrà solo chiederne il rimborso (e non utilizzarlo
in compensazione).

Non va regolato il saldo a debito o a credito nel caso in cui il conguaglio < 100 e (art. 37, comma
43, d.l. 223/2006).
Criteri in larga parte simili si applicano nel caso di corresponsione di redditi per prestazioni
pensionistiche ex d.lgs. 124/1993 (art. 20).
In ogni caso, le risultanze della tassazione separata eseguita dall’Ufficio devono essere notificate
al contribuente (art. 1, comma 412, l. 311/2004).

Redditi soggetti a tassazione separata

La tassazione separata può essere una facoltà o un obbligo.


Nella gran parte dei casi, la tassazione separata è applicabile solo qualora il possessore del
reddito sia una persona fisica e non una società di persone né, tantomeno, di capitali (art. 17,
comma 2).

Redditi soggetti a tassazione separata per obbligo


Sono assoggettati a tassazione separata, indipendentemente da una diversa volontà del
contribuente, i seguenti redditi, perlopiù correlati a un’attività lavorativa personale del
contribuente:
a) TFR ed equipollenti, anche quando conseguiti per effetto di una procedura concorsuale o di un
provvedimento dell’autorità giudiziaria (art. 17, comma 1, lett. a). La quota di indennità > e
1.000.000 va comunque assoggettata a tassazione ordinaria (art. 24, comma 31, d.l. 201/2011);

b) prestazioni pensionistiche erogate ai sensi del d.lgs. 252/2005 (art. 17, comma 1, lett. a-bis);

c) emolumenti arretrati di lavoro dipendente, qualora (art. 17, comma 1, lett. b):

– riferiti ad anni precedenti a quello in cui sono effettivamente percepiti;


– spettanti in base a sopravvenuto intervento di legge/sentenze/CCNL (sono dunque escluse da
tassazione separata le somme derivanti unicamente dalla volontà delle parti);
d) indennità per la cessazione di rapporti di collaborazione coordinata e continuativa, purché esista
un atto avente data certa anteriore all’inizio del rapporto, sulla base del quale possa provarsi il
diritto alla percezione di tale indennità (art. 17, comma 1, lett. c). La quota di indennità > E
1.000.000 va comunque assoggettata a tassazione ordinaria (art. 24, comma 31, d.l. 201/2011);
e) indennità di mobilità corrisposta in via anticipata (art. 17, comma 1, lett. c-bis);

f) rimborso di oneri e/o imposte dedotti/detratti in anni precedenti (art. 17, comma 1, lett. n-bis).
71

Gli Uffici dell’Agenzia delle Entrate fanno concorrere tali importi al reddito complessivo del
contribuente riferito all’anno di percezione, qualora ciò risulti più favorevole per il soggetto passivo
(art. 17, comma 3, ultimo periodo): non è necessaria alcuna espressione di volontà da parte del
percipiente, al fine di beneficiare di tale disposizione di favore.

Redditi che possono essere esclusi da tassazione separata per opzione

Sono soggetti a tassazione separata, ma il contribuente può rinunciarvi, esercitando


espressa opzione nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo di percezione del provento (e,
pertanto, facendo concorrere i relativi importi al reddito complessivo dell’anno), i seguenti redditi
(art. 17, comma 3):
a) indennità per la cessazione del rapporto di agenzia di persone fisiche/società di persone (art.
17, comma 1, lett. d);
b) indennità per la cessazione delle funzioni notarili (art. 17, comma 1, lett. e);

c) indennità percepite da sportivi professionisti al termine dell’attività sportiva (art. 17, comma 1,
lett. f);
d) redditi percepiti da eredi/legatari per beni/attività del defunto imponibili secondo il criterio di
cassa (redditi di lavoro dipendente/lavoro autonomo/capitale/diversi; art. 7, comma 3).
Eguale facoltà di esclusione da tassazione separata spetta con riferimento ai redditi di cui al par.
2.3.2.3, qualora conseguiti da persona fisica non imprenditore.

Redditi soggetti a tassazione separata per opzione


Sono soggetti a tassazione separata SOLO qualora:

– il contribuente sia una persona fisica;


– e, se è anche imprenditore individuale, lo richieda espressamente nella dichiarazione dei redditi
relativa all’anno in cui i proventi avrebbero concorso alla formazione del reddito d’impresa (in
mancanza di richiesta i relativi importi concorreranno pertanto alla formazione del reddito
complessivo dell’anno);

i seguenti redditi, perlopiù derivanti da un’attività in senso lato “commerciale”, svolta dal
soggetto passivo (art. 17, comma 2):

a) plusvalenze (compreso l’avviamento) realizzate attraverso la vendita/liquidazione (anche


concorsuale) di aziende possedute da più di 5 anni (art. 17, comma 1, lett. g);
b) indennità per la perdita dell’avviamento commerciale spettante al conduttore in caso di
cessazione della locazione di immobili urbani ad uso non abitativo e indennità di avviamento
spettante al precedente titolare della farmacia (art. 17, comma 1, lett. h);
c) indennità da risarcimento per perdita di redditi relativi a più anni (art. 17, comma 1, lett. i);
d) redditi compresi nelle somme in denaro/valore normale dei beni ricevuti dai soci di società di
persone o di capitali nel caso di recesso/esclusione/riduzione del capitale sociale/liquidazione
(anche concorsuale) della società, ma solo qualora il percipiente sia stato socio dal momento della
costituzione dell’ente collettivo o, almeno, da 5 anni (art. 17, comma 1, lett. l);
e) plusvalenze da cessione a titolo oneroso di terreni edificabili (art. 17, comma 1, lett. g-bis);
72

f) redditi compresi nelle somme corrisposte alla scadenza di mutui/depositi/obbligazioni/OICVM/


associazione in partecipazione con apporto diverso da quello di solo lavoro, ma solo qualora non vi
sia stata ritenuta a titolo d’imposta/imposta sostitutiva e il rapporto sia durato per più di 5 anni (art.
17, comma 1, lett. h);
g) corrispettivi percepiti per la cessione studio/clientela da parte del lavoratore autonomo, ivi
compresi i proventi per cessione di attività immateriali comunque riferibili alla sfera professionale.
È però necessario che il corrispettivo sia percepito in un’unica soluzione (art. 17, comma 1, lett. g-
ter)

Lezione 054
01. IN QUALE CATEGORIA REDDITUALE RIENTRANO I FABBRICATI DATI IN AFFITTO PER L'ESERCIZIO DI ATTIVITA'
COMMERCIALI?

REDDITI DI IMPRESA

02. I REDDITI FONDIARI

In base al TESTO UNICO DELLE IMPOSTE SUI REDDITI, Art. 25


1. Sono redditi fondiari quelli inerenti ai terreni e ai fabbricati situati nel territorio dello Stato che
sono o devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto
edilizio urbano.

2. I redditi fondiari si distinguono in redditi dominicali dei terreni, redditi agrari e redditi dei
fabbricati.

Art. 26
Imputazione dei redditi fondiari
1. I redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito
complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprieta', enfiteusi, usufrutto o
altro diritto reale, salvo quanto stabilito dall'articolo 30, per il periodo di imposta in cui si e' verificato
il possesso. I redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti,
non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento
giurisdizionale di convalida di sfratto per morosita' del conduttore. Per le imposte versate sui
canoni venuti a scadenza e non percepiti come da accertamento avvenuto nell'ambito del
procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosita' e' riconosciuto un credito di
imposta di pari ammontare.

2. Nei casi di contitolarita' della proprieta' o altro diritto reale sull'immobile o di coesistenza di piu'
diritti reali su di esso il reddito fondiario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun
soggetto per la parte corrispondente al suo diritto.

3. Se il possesso dell'immobile e' stato trasferito, in tutto o in parte nel corso del periodo di
imposta, il reddito fondiario concorre a formare il reddito complessivo di ciascun soggetto
proporzionalmente alla durata del suo possesso.

Art. 27
Reddito domenicale dei terreni
1. Il reddito dominicale e' costituito dalla parte domenicale del reddito medio ordinario ritraibile dal
terreno attraverso l'esercizio delle attivita' agricole di cui all'articolo 29.

2. Non si considerano produttivi di reddito dominicale i terreni che costituiscono pertinenze di


fabbricati urbani, quelli dati in affitto per usi non agricoli, nonche' quelli produttivi di reddito di
impresa di cui alla lettera c) del comma 2 dell'articolo 51.
73

Art. 28
Determinazione del reddito domenicale
1. Il reddito dominicale e' determinato mediante l'applicazione di tariffe d'estimo stabilite, secondo
le norme della legge catastale, per ciascuna qualita' e classe di terreno.

2. Le tariffe d'estimo sono sottoposte a revisione quando se ne manifesti l'esigenza per


sopravvenute variazioni nelle quantita' e nei prezzi dei prodotti e dei mezzi di produzione o
nell'organizzazione e strutturazione aziendale, e comunque ogni dieci anni.

3. La revisione e' disposta con decreto del Ministro delle finanze, previo parere della Commissione
censuaria centrale e puo' essere effettuata, d'ufficio o su richiesta dei comuni interessati, anche
per singole zone censuarie e per singole qualita' e classi di terreni. Prima di procedervi gli uffici
tecnici erariali devono sentire i comuni interessati.

4. Le modificazioni derivanti dalla revisione hanno effetto dall'anno successivo a quello di


pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale del nuovo prospetto delle tariffe d'estimo.

4-bis. Il reddito dominicale delle superfici adibite alle colture prodotte in serra o alla funghicoltura,
in mancanza della corrispondente qualita' nel quadro di qualificazione catastale, e' determinato
mediante l'applicazione della tariffa d'estimo piu' alta in vigore nella provincia.

I redditi fondiari sono quelli inerenti i terreni e i fabbricati situati nel territorio dello stato che sono o
devono essere iscritti, con attribuzione di rendita, nel catasto dei terreni o nel catasto edilizio
urbano. Come si individuano gli immobili Gli immobili sono individuati dal fisco attraverso due
tipologie di dati: quelli che servono ad identificarli fisicamente nelle mappe catastali; quelli che
servono a determinare la consistenza e quindi la rendita Questi dati sono attribuiti dalle Agenzie
del Territorio e sono normalmente riportati negli atti notarili con i quali l’immobile viene trasferito. I
redditi fondiari I redditi fondiari comprendono: il reddito dominicale dei terreni il reddito agrario dei
terreni il reddito dei fabbricati Il criterio di imputazione I redditi fondiari vanno dichiarati, secondo il
criterio di competenza, nella dichiarazione dei redditi relativa al periodo d’imposta in cui si è
verificato il possesso e concorrono, nei casi previsti dalla norma, a formare il reddito complessivo
indipendentemente dalla loro percezione.

Lezione 055
01. IN QUALE CATEGORIA REDDITUALE RIENTRANO GLI INTERESSI DERIVANTI DA OBBLIGAZIONI?

REDDITI DI CAPITALE

02. IN QUALE CATEGORIA REDDITUALE RIENTRANO I REDDITI PROVENIENTI DA CONTRATTI DI ASSICURAZIONE


SULLA VITA?

REDDITI DI CAPITALE

03. I REDDITI DI CAPITALE

I redditi da capitale sono redditi derivanti dalle rendite finanziarie e dai dividendi da
partecipazione.
In Italia i redditi da capitale sono disciplinati dagli articoli 44 e 45 del TUIR ovvero del Testo Unico
delle Imposte sui Redditi. Il Fisco in realtà non definisce in modo esplicito cosa sono i redditi da
capitale; la normativa in oggetto, infatti, si limita ad elencare una serie di fattispecie (tra loro anche
eterogenee) che vengono fiscalmente considerate redditi di capitale.
74

I redditi da capitale sono tassati al lordo delle spese di produzione a differenza dei redditi diversi, i
quali sono tassati al netto di tali spese e di eventuali perdite. Un esempio di reddito da capitale
sono gli interessi su un conto corrente bancario, mentre i proventi da rapporti derivati sono redditi
diversi.
Un altro principio fondamentale in materia di redditi di capitale è il principio di cassa: i redditi di
capitale devono essere dichiarati e tassati solo quando il contribuente incassa finanziarimente gli
importi considerati.

Quella dei redditi di capitale è una categoria che il legislatore non delimita con una
definizione generale, ma con una elencazione.

Si può assumere, come definizione generale, la formula di chiusura concernente “gli


interessi e gli altri proventi aventi per oggetto l’impiego del capitale”.

La categoria in esame è dunque definibile, in generale, come quella dei redditi:

a. che derivano da rapporti aventi per oggetto l’impiego di capitale;

b. che sono certi nell’an, anche se non nel quantum.

Le fattispecie elencate sono numerose, ma i principali redditi di capitale sono gli


interessi e i dividendi.

Non appartengono alla categoria dei redditi di capitale:

a. le plusvalenze realizzate con la cessione di azioni, obbligazioni o altri titoli, che sono
“redditi diversi”;

b. i redditi di capitale conseguiti nell’esercizio dell’impresa, che fanno parte dei redditi
di impresa.

Lezione 056
01. IN QUALE CATEGORIA REDDITUALE RIENTRANO LE REMUNERAZIONI DEI SACERDOTI?

REDDITO DI LAVORO DIPENDENTE

02. IN QUALE CATEGORIA REDDITUALE RIENTRANO LE SOMME PERCEPITE A TITOLO DI BORSA DI STUDIO?

REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE

03. I REDDITI DI LAVORO DIPENDENTE

In Italia, i redditi di lavoro dipendente, disciplinati dal Capo IV, Artt. 49 - 52, D.P.R. 22
dicembre 1986 n. 917, sono quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la prestazione di
lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri, compreso il lavoro a
domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme della legislazione sul lavoro
(art. 49, D.P.R. 917/1986).
75

Parimenti sono considerati redditi di lavoro dipendente le pensioni di ogni genere e gli assegni ad
esse equiparati, nonché gli interessi e la rivalutazione sui crediti di lavoro.

Redditi assimilati
Sono poi assimilati a redditi di lavoro dipendenti:

• i compensi percepiti dai lavoratori soci delle cooperative di produzione e lavoro, delle
cooperative di servizi, delle cooperative agricole e di prima trasformazione dei prodotti agricoli
e delle cooperative della piccola pesca (nei limiti dei salari correnti maggiorati del 20%) (Art.
50, c. 1, lettera a), D.P.R. 917/1986);
• le indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di lavoro dipendente per
incarichi svolti in relazione a tale qualità, ad esclusione di quelli che per clausola contrattuale
devono essere riversati al datore di lavoro e di quelli che per legge devono essere riversati allo
Stato (Art. 50, c. 1, lettera b), D.P.R. 917/1986);
• le somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio
per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato da rapporti di
lavoro dipendente nei confronti del soggetto erogante (Art. 50, c. 1, lettera c), D.P.R.
917/1986);
• le somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto
forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di
amministratore, sindaco o revisore di società, associazioni e altri enti con o senza personalità
giuridica, alla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili, alla partecipazione a
collegi e commissioni, nonché quelli percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione
aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione a favore di
un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo senza impiego di
mezzi organizzati e con retribuzione periodica prestabilita (Art. 50, c. 1, lettera c-bis), D.P.R.
917/1986);
• le remunerazioni dei sacerdoti (Art. 50, c. 1, lettera d), D.P.R. 917/1986);
• le indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo Stato, dalle regioni, dalle
province e dai comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni (Art. 50, c. 1, lettera f), D.P.R.
917/1986);
• le indennità percepite dai membri del Parlamento nazionale e del Parlamento europeo (Art. 50,
c. 1, lettera g), D.P.R. 917/1986);
• le rendite vitalizie e le rendite a tempo determinato, costituite a titolo oneroso, diverse da
quelle aventi funzione previdenziale (Art. 50, c. 1, lettera h), D.P.R. 917/1986);
• gli altri assegni periodici, comunque denominati, alla cui produzione non concorrono
attualmente né capitale né lavoro (Art. 50, c. 1, lettera i), D.P.R. 917/1986);
• i compensi percepiti dai soggetti impegnati in lavori socialmente utili in conformità a specifiche
disposizioni normative (Art. 50, c. 1, lettera l), D.P.R. 917/1986).

Somme escluse
Non concorrono a formare il reddito di lavoro dipendente:

• i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in


ottemperanza a disposizioni di legge (Art. 51, c. 2, lettera a), D.P.R. 917/1986);
• i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o casse
aventi esclusivamente fine assistenziale in conformità a disposizioni di contratto o di accordo o
di regolamento aziendale per un importo non superiore complessivamente a Euro 3.615,20
fino all'anno 2002 e a Euro 3.098,74 per l'anno 2003, diminuite negli anni successivi in ragione
di Euro 258,23 annue fino a Euro 1.807,60 (Art. 51, c. 2, lettera a), D.P.R. 917/1986);
• le erogazioni liberali concesse in occasione di festività o ricorrenze alla generalità o a categorie
di dipendenti non superiori nel periodo d'imposta a Euro 258,23, nonché i sussidi occasionali
76

concessi in occasione di rilevanti esigenze personali o familiari del dipendente e quelli


corrisposti a dipendenti vittime dell'usura (Art. 51, c. 2, lettera b), D.P.R. 917/1986);
• le somministrazioni di vitto da parte del datore di lavoro, nonché quelle in mense organizzate
direttamente dal datore di lavoro o gestite da terzi, o, fino all'importo complessivo giornaliero di
Euro 5,29, le prestazioni e le indennità sostitutive corrisposte agli addetti ai cantieri edili, ad
altre strutture lavorative a carattere temporaneo o ad unità produttive ubicate in zone dove
manchino strutture o servizi di ristorazione (Art. 51, c. 2, lettera c), D.P.R. 917/1986);
• le prestazioni di servizi di trasporto collettivo alla generalità o a categorie di dipendenti; anche
se affidate a terzi ivi compresi gli esercenti servizi pubblici (Art. 51, c. 2, lettera d), D.P.R.
917/1986);
• i compensi reversibili delle indennità e i compensi percepiti a carico di terzi dai prestatori di
lavoro dipendente per incarichi svolti in relazione a tale qualità (Art. 51, c. 2, lettera e), D.P.R.
917/1986);
• i compensi reversibili delle indennità, i gettoni di presenza e gli altri compensi corrisposti dallo
Stato, dalle regioni, dalle province e dai comuni per l'esercizio di pubbliche funzioni (Art. 51, c.
2, lettera e), D.P.R. 917/1986);
• le somme erogate dal datore di lavoro alla generalità dei dipendenti o a categorie di dipendenti
per frequenza di asili nido e di colonie climatiche da parte dei familiari (Art. 12, D.P.R.
917/1986), nonché per borse di studio a favore dei medesimi familiari (Art. 51, c. 2, lettera f-
bis), D.P.R. 917/1986);
• il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti (Stock Options) per un importo non
superiore complessivamente nel periodo d'imposta a Euro 2.065,83, a condizione che non
siano riacquistate dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che
siano trascorsi almeno tre anni dalla percezione (Art. 51, c. 2, lettera g), D.P.R. 917/1986);
• la differenza tra il valore delle azioni al momento dell'assegnazione e l'ammontare corrisposto
dal dipendente, a condizione che il predetto ammontare sia almeno pari al valore delle azioni
stesse alla data dell'offerta (Art. 51, c. 2, lettera g-bis), D.P.R. 917/1986);
• le somme trattenute al dipendente per oneri deducibili (Art. 10, D.P.R. 917/1986) e alle
condizioni ivi previste, nonché le erogazioni effettuate dal datore di lavoro in conformità a
contratti collettivi o ad accordi e regolamenti aziendali a fronte delle spese sanitarie (Art. 51, c.
2, lettera h), D.P.R. 917/1986);
• le mance percepite dagli impiegati tecnici delle case da gioco (croupiers) direttamente o per
effetto del riparto a cura di appositi organismi costituiti all'interno dell'impresa nella misura del
25% dell'ammontare percepito nel periodo d'imposta (Art. 51, c. 2, lettera i), D.P.R. 917/1986);
• le quote di retribuzione derivanti dall'esercizio, da parte del lavoratore, della facoltà di rinuncia
all'accredito contributivo presso l'assicurazione generale obbligatoria per l'invalidità, la
vecchiaia ed i superstiti dei lavoratori dipendenti e le forme sostitutive della medesima, per il
periodo successivo alla prima scadenza utile per il pensionamento di anzianità, dopo aver
maturato i requisiti minimi secondo la vigente normativa (Art. 51, c. 2, lettera i-bis), D.P.R.
917/1986).

04. IL CANDIDATO ILLUSTRI LA DIFFERENZA TRA REDDITO DI LAVORO AUTONOMO E REDDITO DI LAVORO
DIPENDENTE

Art. 49 Tuir
Sono redditi di lavoro dipendente quelli che derivano da rapporti aventi per oggetto la
prestazione di lavoro, con qualsiasi qualifica, alle dipendenze e sotto la direzione di altri,
compreso il lavoro a domicilio quando è considerato lavoro dipendente secondo le norme
della legislazione sul lavoro.

E’ chiaro il riferimento alle disposizioni civilistiche:


secondo l’art. 2094 del codice civile è prestatore di lavoro subordinato “chi si obbliga,
mediante retribuzione, a collaborare nell’impresa … alle dipendenze o sotto la direzione
77

dell’imprenditore”. Tratto caratteristico della categoria reddituale in esame è, quindi, l’esistenza


di un “vincolo di subordinazione” (che discrimina il reddito di lavoro dipendente da quello di lavoro
autonomo).

L’art. 50 del Tuir elenca, poi, una serie di fattispecie assimilate al reddito di lavoro dipendente.

Si tratta, in particolare:
- dei compensi percepiti, entro i limiti dei salari correnti maggiorati del 20 per cento, dai
lavoratori soci delle cooperative di produzione e lavoro, delle cooperative di servizi, delle
cooperative agricole e di prima trasformazione dei prodotti agricoli e delle cooperative della piccola
pesca;
L’eventuale eccedenza costituisce reddito di capitale
delle somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per
fini di studio o di addestramento professionale;
delle somme e i valori in genere, a qualunque titolo percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto
forma di erogazioni liberali, in relazione agli uffici di amministratore, sindaco o revisore di società,
associazioni e altri enti con o senza personalità giuridica;
delle somme derivanti dalla collaborazione a giornali, riviste, enciclopedie e simili
I compensi percepiti in relazione ad altri rapporti di collaborazione:
- aventi per oggetto la prestazione di attività svolte senza vincolo di subordinazione
- a favore di un determinato soggetto nel quadro di un rapporto unitario e continuativo
- senza impiego di mezzi organizzati
- con retribuzione periodica prestabilita
le remunerazioni dei sacerdoti
i compensi per l'attività libero professionale intramuraria del personale dipendente del Servizio
sanitario nazionale;
Determinazione del reddito da lavoro dipendente

Il reddito di lavoro dipendente è costituito da tutte le somme e i valori in genere, a qualunque titolo
percepiti nel periodo d'imposta, anche sotto forma di erogazioni liberali, in relazione al rapporto di
lavoro.
Si considerano percepiti nel periodo d'imposta anche le somme e i valori in genere, corrisposti dai
datori di lavoro entro il giorno 12 del mese di gennaio del periodo d'imposta successivo a quello cui
si riferiscono.
Non concorrono a formare il reddito:
a) i contributi previdenziali e assistenziali versati dal datore di lavoro o dal lavoratore in
ottemperanza a disposizioni di legge;
i contributi di assistenza sanitaria versati dal datore di lavoro o dal lavoratore ad enti o
casse aventi esclusivamente fine assistenziale
il valore delle azioni offerte alla generalità dei dipendenti per un importo non superiore
complessivamente nel periodo d'imposta a lire 4 milioni, a condizione che non siano riacquistate
dalla società emittente o dal datore di lavoro o comunque cedute prima che siano trascorsi almeno
tre anni dalla percezione;
qualora le azioni siano cedute prima del predetto termine, l'importo che non ha concorso a formare
il reddito al momento dell'acquisto è assoggettato a tassazione nel periodo d'imposta in cui
avviene la cessione, ecc..
Redditi di lavoro autonomo

Sono redditi di lavoro autonomo quelli che derivano dall'esercizio di arti e professioni.
Per esercizio di arti e professioni si intende l'esercizio per professione abituale,
ancorché non esclusiva, di attività di lavoro autonomo diverse da quelle da cui traggono
origine i redditi d’impresa
Sono inoltre redditi di lavoro autonomo:
i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell'autore o inventore, di
opere dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad
78

esperienze acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono


conseguiti nell'esercizio di imprese commerciali;
le partecipazioni agli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società per azioni, in
accomandita per azioni e a responsabilità limitata;

L’art. 53 del TUIR definisce il reddito di lavoro autonomo come quel provento che deriva
dallo svolgimento di una attività:

1. propriamente artistica e professionale, anche in forma associata (associazioni


professionali). Lo stesso art. 53 precisa che rientrano tra le attività artistiche e
professionali le attività non commerciali, e quindi:
1. le attività diverse da quelle indicate nell’art. 2195 c.c.[1];
2. l’attività agricola se svolta nei limiti indicati dall’art. 32 del TUIR.
2. senza vincolo di dipendenza, altrimenti si avrebbe reddito di lavoro dipendente;
3. abituale, anche se non esclusiva. Se l’attività è svolta occasionalmente si avrebbe un
reddito diverso;
4. senza una organizzazione in forma imprenditoriale, altrimenti si avrebbe reddito
d’impresa.

Dalla definizione di reddito di lavoro autonomo ne discende che tale tipologia di reddito si
pone tra il reddito d’impresa, il reddito di lavoro dipendente ed i redditi diversi. In
particolare, il reddito di lavoro autonomo si differenzia dal reddito d’impresa per due
elementi:

1. l’oggetto dell’attività. Se l’attività rientra tra quelle elencate dall’art. 2195 c.c. o se si
tratta di una attività agricola che non rispetta i limiti previsti dall’art. 32 del TUIR, allora
si ha reddito d’impresa e non reddito di lavoro autonomo;
2. organizzazione. Se vi è una organizzazione stabile allora vi è reddito d’impresa e non
reddito di lavoro autonomo.

Al contempo, il reddito di lavoro autonomo si differenzia dal reddito di lavoro dipendente


per il tipo di rapporto che vi è con il cliente/datore di lavoro. Se vi è un rapporto di
subordinazione allora si ha un reddito di lavoro dipendente e non reddito di lavoro
autonomo.
Infine, il reddito di lavoro autonomo si differenzia dai redditi diversi per il carattere
dell’abitualità, per cui se l’attività è svolta solo occasionalmente vi è reddito diverso e non
reddito di lavoro autonomo.

Lezione 057
01. IL REDDITO DI LAVORO AUTONOMO E':
TASSATO CON IL CRITERIO DI CASSA E SOGGETTO ALLA RITENUTA D'ACCONTO, TRANNE I CASI IN CUI LA PRESTAZIONE VENGA
FORNITA A PERSONE FISICHE NON SOGGETTI IVA

02. IN QUALE CATEGORIA REDDITUALE RIENTRANO I PROVENTI PERCEPITI DALL'AUTORE DI BREVETTI


INDUSTRIALI?

REDDITO DI LAVORO AUTONOMO


79

03. I REDDITI DI LAVORO AUTONOMO

Dal punto di vista fiscale, si considerano redditi di lavoro autonomo tutti quelli che derivano
dall'esercizio abituale, ancorché non esclusivo, individuale o in forma associata, di attività
di lavoro autonomo diverse da quelle di impresa e di lavoro dipendente.
Sono soggetti ad Irpef tutti i lavoratori autonomi sia residenti che non residenti nel territorio dello
Stato.

Per i contribuenti non residenti, però, sono imponibili solo i redditi prodotti nel territorio dello Stato.
Inoltre, ci sono alcuni redditi, per così dire, assimilati a quelli di lavoro autonomi. Si tratta:

dei redditi derivanti dall'utilizzazione economica, da parte dell'autore o inventore, di opere


dell'ingegno, di brevetti industriali, processi, formule o informazioni relativi ad esperienze acquisite
nel campo industriale, commerciale o scientifico;
degli utili derivanti da contratti di associazione in partecipazione, quando l'apporto dell'associato è
costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro;
degli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società per azioni, in accomandita per azioni e
a responsabilità limitata;
delle indennità per cessazione di rapporti di agenzia;
delle attività di levata dei protesti esercitata dai segretari comunali.

I redditi di lavoro autonomo e quelli assimilati si differenziano fra loro per le diverse modalità di
determinazione del reddito e per i diversi obblighi contabili connessi (infatti, per quelli assimilati,
non è necessario essere in possesso della partita Iva e tenere le scritture contabili).
I redditi di lavoro autonomo, disciplinati dal Capo V, Artt. 53 e 54, D.P.R. 22 dicembre 1986 n.
917, sono quelli derivanti dall'esercizio abituale, ancorché non esclusivo, di attività lavorative
diverse da quelle di impresa o di lavoro dipendente. Elementi caratterizzanti quindi sono
l'autonomia, intesa come organizzazione della propria attività, e la residualità.
Il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, individua le seguenti tipologie di redditi di lavoro autonomo:

• attività artistiche e professionali (Art. 54, c. 1);


• i redditi derivanti dalla utilizzazione economica, da parte dell'autore o inventore, di opere
dell'ingegno, di brevetti industriali e di processi, formule o informazioni relativi ad esperienze
acquisite in campo industriale, commerciale o scientifico, se non sono conseguiti nell'esercizio
di imprese commerciali (Art. 54, c. 2, lettera b);
• le partecipazioni agli utili derivanti da associazioni in partecipazione, quando l'apporto è
costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro (Art. 54, c. 2, lettera c);
• le partecipazioni agli utili spettanti ai promotori e ai soci fondatori di società per azioni, in
accomandita per azioni e a responsabilità limitata (Art. 54, c. 2, lettera d);
• le indennità per la cessazione dei rapporti di agenzia (Art. 54, c. 2, lettera e);
• i redditi derivanti dall'attività di levata dei protesti esercitata dai segretari comunali (Art. 54, c. 2,
lettera f);
• i redditi derivanti dall'esercizio di attività di lavoro autonomo occasionale (Art. 67, c. 1, lettera l).
I redditi derivanti da rapporti di collaborazione coordinata e continuativa possono rientrare
nell'ambito dei redditi professionali quando le collaborazioni sono svolte nell'ambito dell'esercizio
tipico di una professione, e quando le collaborazioni pur non essendo tipiche vengono svolte
abitualmente ed in forma professionale.
80

Lezione 058
01. IL REDDITO DI IMPRESA INTERESSA:
GLI IMPRENDITORI INDIVIDUALI, LE SOCIETA' DI PERSONE, DI CAPITALI E GLI ENTI

02. IL PRINCIPIO DI INERENZA INDICA

CHE I COMPONENTI NEGATIVI DI REDDITO IMPUTATI AL CONTO ECONOMICO SONO RICONDUCIBILI ALL'ATTIVITA' SVOLTA
DALL'IMPRESA

03. I REDDITI DI IMPRESA

Il reddito di impresa, nel diritto tributario italiano, è quello disciplinato dagli artt. 55-66 e 81-142
del Testo unico delle imposte sui redditi (D.lgs. 917/1986 - cd.TUIR).
Ai sensi del c.1, dell'art. 55, del TUIR, è tale il reddito derivante dall'esercizio di imprese
commerciali, ossia dall'esercizio professionale ed abituale, anche se non esclusivo, delle attività
indicate nell'art. 2195 del codice civile e delle attività agricole indicate nell'art. 32, c.2, lettere b) e
c), che eccedono i limiti ivi stabili, anche se non organizzate in forma di impresa.

Descrizione
Le attività indicate nell'art. 2195 del c.c. sono le seguenti:

• attività industriali dirette alla produzione di beni e servizi;


• attività intermediarie nella circolazione dei beni;
• attività di trasporto;
• attività bancarie ed assicurative;
• altre attività ausiliarie delle precedenti.

• attività volte all'allevamento di animali con mangimi ottenuti per meno di un quarto dal terreno;
• attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e
valorizzazione, ancorché non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente
dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall'allevamento di animali.
Inoltre, ai sensi del c.2 dell'art. 55, del TUIR, sono considerati redditi di impresa:
a) i redditi derivanti dall'esercizio di attività che, pur non rientrando nell'art. 2195 del codice civile,
sono organizzate in forma di impresa (come una scuola o una clinica privata);
b) i redditi derivanti da attività dirette allo sfruttamento
di miniere, cave, torbiere, saline, laghi, stagni e altre acque interne;
c) i redditi derivanti dalle attività agricole di cui all'articolo 32, pur nei limiti ivi stabiliti, quando
esercitate da soggetti "commerciali": da società in nome collettivo e in accomandita semplice e da
stabili organizzazioni di persone fisiche non residenti esercenti attività di impresa, anche se non
superino i limiti ivi stabiliti.
Caratteristiche
La determinazione del reddito di impresa così come della posizione ai fini IVA verso lo stato
differisce a seconda del regime contabile applicato. I principali regimi attualmente operanti in italia
variano sulla base del volume d'affari (i ricavi) delle aziende nell'esercizio precedente. I
contribuenti si dividono in :
Minimi--> ricavi annui non superiori ai 30 000 euro - non effettuano cessioni all'esportazione - non
sostengono costi per lavoratori dipendenti o collaboratori - non hanno sostenuto nei 3 anni
precedenti costi per beni strumentali superiori a 15 000 euro.
81

Semplificati--> sono definiti tali i contribuenti che hanno un volume d'affari inferiore a 309 874
euro, se si tratta di aziende di servizi; o inferiore a 516 467 euro se si tratta di aziende commerciali
e industriali.
Ordinari--> sono le persone fisiche e le società di persone che superano i limiti precedenti e tutte
le società di capitali.
Reddito fiscale: è il risultato economico che viene riferito all'esercizio in base alle norme stabilite
dalla normativa tributaria.
Determinazione: il fisco si attende:
- massimalizzazione del prelievo tributario.
- programmabilità delle entrate tributarie.
I principi in base ai quali i costi possono essere portati in diminuzione dei ricavi per la
determinazione del reddito fiscale sono i seguenti:
-competenza fiscale.
- inerenza.
- certezza e determinabilità.
- iscrizione in bilancio, per cui non sono ammessi in deduzione costi che non risultino dal Conto
economico, salvo quanto previsto per alcuni componenti di reddito.
- imputabilità specifica, i costi sono deducibili solo se sostenuti per attività che producano i ricavi
o proventi che concorrono a formare il reddito dell'impresa.
Le imprese che operano in uno dei regimi semplificati determinano il reddito fiscale d'impresa in
fase di compilazione della dichiarazione dei redditi, iscrivendo nei vari quadri i valori relativi
all'attività aziendale.
Il passaggio dal reddito di bilancio al reddito fiscale per le imprese che tengono la contabilità
ordinaria in partita doppia avviene per mezzo di elaborazioni extracontabili in sede di dichiarazione
dei redditi. Il punto di partenza per il calcolo del reddito fiscale è dato dalla situazione contabile
finale che segue le scritture di assestamento ed evidenzia il risultato prima delle imposte.

Lezione 059

01. IN QUALE TIPOLOGIA RIENTRANO I REDDITI DERIVANTI DA OPERAZIONI SPECULATIVE?

REDDITI DIVERSI

02. LA CATEGORIA DEI REDDITI DIVERSI POSSIAMO DEFINIRLA COME:

LA CATEGORIA REDDITUALE OVE CONFLUISCONO LE TIPOLOGIE DI REDDITO NON RICONDUCIBILI A QUELLE DEFINITE
DALL'ART. 6 DEL TUIR
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03. I REDDITI DIVERSI

I redditi diversi, previsti dal sistema tributario italiano agli artt. 67-71 del Testo Unico delle
Imposte sui Redditi, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (T.U.I.R.), costituiscono una categoria
di reddito residuale, che ha carattere eterogeneo, in quanto comprende i redditi più disparati che
non rientrano nelle altre categorie di reddito indicate nell'art. 6 del T.U.I.R. o che hanno caratteri
peculiari non inquadrabili in una categoria tipica.
I redditi diversi sono in linea di massima raggruppabili in due grandi categorie, entrambe tassabili
per cassa:

• plusvalenze isolate: sono così definite in quanto non realizzate nell'ambito di un'attività
economica continuativa (se lo fossero il soggetto che le realizza sarebbe un imprenditore). La
precedente formulazione dell'art. 68 parlava di “intento speculativo” del contribuente per
distinguere le plusvalenze riconducibili ad un'attività produttiva del contribuente e quelle non
derivanti da una simile attività del contribuente. Ora non c'è più questa formula e si parla di
caratteri oggettivi dell'operazione. Il Testo Unico ha cioè sostituito alla tassazione delle
plusvalenze realizzate con intento speculativo, la tassabilità di specifiche, determinate
plusvalenze:

• plusvalenze immobiliari:

• Plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione dei terreni o l'esecuzione di opere intese a
renderli edificabili e la successiva vendita (anche parziale) di tali terreni o edifici.

• Plusvalenze realizzate mediante la cessione a titolo oneroso di immobili acquistati da non
più di cinque anni. Vanno esclusi gli immobili acquisiti per successione o delle unità
immobiliari urbane adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari. Queste
ultime non sono plusvalenze tassabili, in quanto non sono considerate di carattere
speculativo. Ad esse si applicherà o l'IRPEF ordinaria o l'imposta sostitutiva con aliquota al
26%.
In questi casi la base imponibile si calcola come segue: corrispettivo – costi di acquisto (o
costruzione, urbanizzazione). Vedi articolo 68 II comma TUIR.
Per i terreni lottizzati detenuti da tempo: valore iniziale è il prezzo d'acquisto o quello normale dei
terreni nel quinto anno anteriore alla lottizzazione.
Per i terreni acquisiti per successione o donazione: il valore è quello dichiarato nelle relative
denunce e atti registrati
Per i terreni edificabili: prezzo acquisto rivalutato (inflazione).
b) le plusvalenze finanziarie (capital gain). Non si tratta dei frutti dei titoli azionari (dividendi), ma di
reddito dovuto alla vendita ad un prezzo superiore di quello di acquisto.
- Plusvalenze derivanti da cessione a titolo oneroso di obbligazioni o di altri strumenti finanziari.
- Plusvalenze derivanti da cessioni di partecipazioni (qualificate e non). Se si tratta di
partecipazioni non qualificate, la loro cessione a titolo oneroso è tassata con la cedolare secca al
26%. Possibilità di compensazione con minusvalenze nella stessa categoria e riporto in avanti. Se
si tratta di partecipazioni qualificate (ovvero attribuiscono percentuale diritti di voto superiore al 2%
o rappresentano partecipazione al capitale o al patrimonio superiore del 5% nei mercati
regolamentati; tra cui anche altri strumenti finanziari) la cessione sarà assoggettata a tassazione
sul 49,72% del valore realizzato, come per i dividendi (concorrerà a formare il reddito per solo il
49,72% del valore della plusvalenza).

• Altre fattispecie di redditi diversi:


83

a) Quelle derivanti da attività non abituali commerciali e professionali che non presuppongono la
tenuta delle scritture contabili
b) Immobili situati all'estero
c) Utilizzazione di diritti su opere dell'ingegno quando percepiscono terzi
d) Vincite e lotterie
e) Proventi illeciti non rientranti in altre categorie (come già ricordato)
Come formula di chiusura vengono citati i redditi simili o prossimi a quelli fondiari, di capitali, di
lavoro autonomo, di impresa, ma privi di un requisito tipico della categoria e perciò ascritti al
novero dei redditi diversi.

04. IL CANDIDATO SPIEGHI PERCHE' I REDDITI DIVERSI SONO DEFINITI UNA CATERGORIA RESIDUALE DI REDDITO

Il TUIR è il Testo Unico delle Imposte sui Redditi, emanato con il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917
e successive modifiche. Il TUIR comprende gli articoli tra il 67 e il 71 dedicati alla voce Redditi
Diversi. I redditi diversi formano una categoria di reddito residuale, cioè l’insieme di redditi
percepiti al di fuori dell'esercizio di imprese, arti o professioni e che non derivano da società
commerciali o da lavoro dipendente o subordinato.

I redditi diversi quindi non fanno parte delle grandi categorie di reddito:

o d'impresa,
o di lavoro autonomo,
o di lavoro dipendente.

In qualche modo i redditi diversi, dati i suoi caratteri particolari, sono considerati una
categoria residuale proprio perché non sono riconducibili ad una categoria tipica di redditi.

Articolo 67: Redditi diversi

1. Sono redditi diversi se non costituiscono redditi di capitale ovvero se non sono conseguiti
nell'esercizio di arti e professioni o di imprese commerciali o da società in nome collettivo e in
accomandita semplice, né in relazione alla qualità di lavoratore dipendente:

a) le plusvalenze realizzate mediante la lottizzazione di terreni, o l'esecuzione di opere intese a


renderli edificabili, e la successiva vendita, anche parziale, dei terreni e degli edifici;

b) le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di beni immobili acquistati o


costruiti da non più di cinque anni, esclusi quelli acquisiti per successione o donazione e le unità
immobiliari urbane che per la maggior parte del periodo intercorso tra l'acquisto o la costruzione e
la cessione sono state adibite ad abitazione principale del cedente o dei suoi familiari, nonché, in
ogni caso,le plusvalenze realizzate a seguito di cessioni a titolo oneroso di terreni suscettibili di
utilizzazione edificatoria secondo gli strumenti urbanistici vigenti al momento della cessione;

c) le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo


oneroso di partecipazioni qualificate. Costituisce cessione
dipartecipazioni qualificate la cessione di azioni, diverse dalle
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azioni di risparmio, e di ogni altra partecipazione al capitale od al patrimonio delle società di cui
all'articolo 5,

Lezione 060
01. L'ATTUALE MISURA DELL'ALIQUOTA IRES E'
27,50%

02. DETERMINAZIONE DELL'IRES

PER LA DETERMINAZIONE DELLA BASE IMPONIBILE IRES OCCORRE RIFERIRSI AL RISULTATO DI BILANCIO CIVILISTICO A CUI
APPORTARE I CORRETTIVI IN AUMENTO O DIMINUZIONE DI NATURA FISCALE

03. L'IRES SI PUO' DEFINIRE:

L'IMPOSTA SUL REDDITO DELLE SOCIETA' DI CAPITALI E DEGLI ENTI CHE HANNO PER OGGETTO ESCLUSIVO O PRINCIPALE
L'ESERCIZIO DI ATTIVITA' COMMERCIALE

04. L'IRES SI PUO' DEFINIRE

UN'IMPOSTA PROPORZIONALE SUL REDDITO DELLE SOCIETA'

05. IL REDDITO DI IMPRESA SI CARATTERIZZA PER:

ESSERE TASSATO CON IL CRITERIO TEMPORALE DELLA COMPETENZA ECONOMICA ED ASSOGGETTATO AL PRINCIPIO DI INERENZA
IN RELAZIONE AI COMPONENTI NEGATIVI DI REDDITO

06. NON SONO SOGGETTI AD IRES

LE SOCIETA' IN NOME COLLETTIVO

07. IL CANDIDATO INDICHI IN CHE MODO VIENE DETERMINATA L'IRES

L'Imposta sul Reddito delle Società (IRES) è un'imposta personale e proporzionale con aliquota
pari al 24%. I soggetti passivi di questa imposta sono le società di mutua assicurazione, le società
cooperative e le società di capitali residenti nel territorio italiano, gli enti pubblici, gli enti privati e i
trust residenti nel territorio italiano (sia che abbiano come oggetto principale o esclusivo l'esercizio
di attività commerciale, sia che non lo abbiano), e - in più - qualsiasi tipo di società, con o senza
personalità giuridica (compresi i trust), non residente nel territorio italiano.
L'IRES è stata introdotta dal legislatore italiano per adeguare il regime fiscale delle imprese e dei
capitali alla situazione della maggior parte degli altri Paesi dell'Unione Europea, in un'ottica di
modernizzazione, e ha preso il posto dell'IRPEG, l'Imposta sul Reddito delle Persone Giuridiche.
L'aliquota di imposta è cambiata nel tempo con una certa frequenza: adesso, come detto, è pari al
24%, ma tra il 2008 e il 2016 è stata del 27.5%, e tra il 2004 e il 2007 era al 33%. Ai tempi
dell'IRPEG, invece, era del 37% nel 2000, del 36% nel 2001 e nel 2002 e del 34% nel 2003.

Il calcolo dell'Imposta sul Reddito delle Società varia a seconda del tipo di società: per gli enti non
commerciali residenti nel territorio italiano - che sono tenuti ad aprire una partita Iva e devono
tenere una contabilità separata per l'attività commerciale eventualmente svolta - bisogna tenere
conto di un reddito complessivo che è dato dalla somma di tutte le categorie di reddito, sulla base
delle regole di determinazione che la normativa IRPEF prevede per ognuna di esse. Per le altre
85

società, una volta che è stata determinata la base imponibile non c'è altro da fare che applicare
l'aliquota, che - come detto - è pari al 24%

Lezione 061
01. I COMPONENTI POSITIVI DI REDDITO

Il reddito d’impresa si determina come differenza tra le componenti positive e le componenti


negative del reddito stesso.
Attraverso la disamina delle norme del TUIR si possono individuare, sinteticamente e senza
pretesa di esaustività, le principali voci riferibili all’una ed all’altra categoria.

Le componenti positive di reddito sono:

• ricavi: sono rappresentati principalmente dalle vendite di beni o servizi in corso d’esercizio;

• plusvalenze patrimoniali: ad esempio la vendita di un macchinario usato ad un valore superiore al


suo valore contabile;

• sopravvenienze attive: ad esempio la rinuncia ad incassare un credito da parte di un fornitore;

• proventi finanziari: per esempio gli interessi attivi maturati sui conti correnti (bancari o postali) o
sui crediti (verso clienti o soggetti diversi);

• rivalutazioni: di immobili, di quote azionarie, ecc.

• variazione positiva delle rimanenze finali di merci, prodotti finiti, semilavorati, materie prime,
rispetto alle esistenze iniziali delle stesse.

Lezione 062
01. I COMPONENTI NEGATIVI DI REDDITO

Il reddito d’impresa si determina come differenza tra le componenti positive e le componenti


negative del reddito stesso.

Attraverso la disamina delle norme del TUIR si possono individuare, sinteticamente e senza
pretesa di esaustività, le principali voci riferibili all’una ed all’altra categoria.

Le componenti negative di reddito sono:

• costi: categoria molto ampia; ad esempio, costi di acquisto delle merci, costi del personale ecc.;

• minusvalenze patrimoniali: ad esempio la vendita di un impianto usato ad un valore inferiore al


suo valore contabile;

• sopravvenienze passive: ad esempio una multa, un risarcimento a terzi;


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• oneri finanziari: ad esempio interessi passivi che maturano su debiti verso le banche, i fornitori,
ecc.
• ammortamenti: rappresentano la quota del costo d’acquisto di alcuni beni aziendali ad utilità
pluriennale che si fa incidere sul reddito dell’esercizio;

• accantonamenti: rappresentano quote di costi che si fanno pesare sul reddito d’esercizio in
previsione di eventi futuri (es. quota fondo TFR-Trattamento Fine Rapporto);

• svalutazioni: di immobili, di quote azionarie, ecc.;

• imposte (alcuni tipi di imposte, in misura totale o parziale).

Lezione 063

01. NELL'AMBITO DEL CONSOLIDATO MONDIALE, QUALE DI QUESTE AFFERMAZIONI NON E' CORRETTA

E' IRREVOCABILE PER ALMENO CINQUE ESERCI DEL SOGGETTO CONTROLLANTE

02. IN RELAZIONE AL CONSOLIDATO NAZIONALE, QUALE DI QUESTE AFFERMAZIONI NON E' CORRETTA

L'OPZIONE PER TALE REGIME HA LA DURATA DI UN ANNO

Lezione 064
01. LE SOCIETA' DI CAPITALI, IN ALTERNATIVA ALL'IRES, IN PRESENZA DI DETERMINATI PRESUPPOSTI, POSSONO
TASSARE IL REDDITO:

SECONDO IL CD. METODO DELLA TRASPARENZA, OVVERO IMPUTANDO IL REDDITO AI SOCI IN FUNZIONE DELLA QUOTA DI
PARTECIPAZIONE

02. IL CANDIDATO ILLUSTRI IL REGIME DI TRASPARENZA FISCALE

l D.lgs 344/2003 ha introdotto nel nostro ordinamento gli articoli 115 e 116 del DPR n. 917/86 che
disciplinano il regime di tassazione per le società di capitali, alternativo al regime ordinario, il
c.d. regime di trasparenza fiscale.
A differenza del regime di tassazione ordinario, che prevede l’imposizione unicamente in capo al
soggetto che produce il reddito, nel regime di trasparenza fiscale, che rappresenta il regime
naturale di tassazione delle società di persone, il reddito prodotto dalla società è imputato a
ciascun socio, indipendentemente dalla percezione, in proporzione alla quota di
partecipazione agli utili.
Al sussistere di specifici requisiti, tale regime può essere adottato, come previsto dagli articoli 115
e 116 del DPR n. 917/86, anche nelle:
1. Società di capitali i cui sono altre società di capitali (articolo 115 del DPR n. 917/86);
2. Srl i cui soci sono esclusivamente persone fisiche (articolo 116 DPR n. 917/86), ossia nelle
società a “ristretta base societaria”.
Per tali soggetti il regime di trasparenza fiscale è applicabile a seguito di specifica opzione, che
deve essere esercitata dalla società entro il primo periodo d’imposta di efficacia della stessa e ha
validità triennale, salvo rinnovo.
Requisiti Richiesti
I requisiti per adottare il regime della trasparenza fiscale, nelle società a ristretta base societaria,
sono disciplinati dall’articolo 116 del DPR n. 917/86, il quale prevede che:
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1. I soci siano esclusivamente persone fisiche;


2. Il numero dei soci non sia superiore a 10 (20 per le società cooperative);
3. L’ammontare dei ricavi non sia superiore al limite previsto per l’applicazione degli studi di
settore.
E’ importare evidenziare che il regime di trasparenza fiscale può essere scelto anche da una s.r.l.
unipersonale e anche dalle società di nuova costituzione.
Modalità di Esercizio dell’Opzione
L’opzione per l’esercizio del regime di trasparenza fiscale, disciplinata dall’articolo 115 e
applicabile anche alla piccola trasparenza ex articolo 116 del Tuir ed “E’ irrevocabile per tre
esercizi sociali della società partecipata e deve essere esercitata da tutte le società e
comunicata all’Amministrazione Finanziaria, entro il primo dei tre esercizi sociali predetti”.
Pertanto, come accennato, una Srl con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare che
intende adottare il regime di trasparenza per il triennio n, n+1 ed n+2 è tenuta ad esercitare
l’opzione entro il 30 settembre dell’anno n, attraverso la compilazione del quadro OP, sezione III,
del modello Redditi Società di Capitali.
Vediamo adesso gli adempimenti che soci e società devono predisporre al fine di esercitare
l’opzione per la trasparenza fiscale.

Adempimenti dei Soci


Ogni socio della società che vuole adottare il regime di trasparenza fiscale deve comunicare alla
società l’opzione mediante raccomandata A/R.
E’ esclusa la possibilità di esercitare l’opzione mediante la raccomandata a mano, o in qualsiasi
altro mezzo al di fuori di quello espressamente previsto dall’Amministrazione Finanziaria.

E’ opportuno sottolineare che la mancata comunicazione, anche solo da parte di un socio, della
volontà di esercitare la trasparenza fiscale, rende inefficace l’opzione.

In caso di Srl Unipersonale, poiché la volontà dell’unico socio coincide con quella della società,
non è richiesta la raccomandata da parte del socio, in quanto risulta comunque soddisfatta la
condizione di cognizione da parte della società della volontà dell’unico socio di optare per la
trasparenza.
Adempimenti della società
La società è tenuta comunicare all’Agenzia delle Entrate la propria opzione, per l’adesione al
regime di trasparenza fiscale. A tale fine, a seguito della modifica apportata dall’articolo 16, D.Lgs.
n. 175/2014 all’articolo 115, comma 4, del DPR n. 917/86, è stata semplificata la modalità di
adesione alla trasparenza fiscale da parte della società partecipata, prevedendo che l’opzione sia
comunicata in sede di presentazione della dichiarazione dei redditi presentata nel periodo
d’imposta a decorrere dal quale si intende esercitare l’opzione.
Ad esempio, se una Srl con periodo d’imposta coincidente con l’anno solare vuole optare per la
trasparenza fiscale a decorrere dal periodo d’imposta x, dovrà presentare l’opzione nel Modello
Unico S.C. relativo ai redditi dell’anno x-1, quindi entro il 30 settembre dell’anno x.

L’opzione si presenta compilando l’apposita sezione del quadro OP, sezione III, del modello
Redditi S.C..
Tale sezione deve essere compilata dalla società trasparente per comunicare:

• L’esercizio dell’opzione per la trasparenza fiscale (articolo 4, comma 1, del D.M. 23 aprire
2004);
• Il rinnovo dell’opzione per la trasparenza fiscale (articolo 5 del D.M. 23 aprire 2004);
• La conferma del regime di tassazione per trasparenza (articolo 10, comma 4, del D.M. 23
aprire 2004).
Nel rigo OP11 va barrata la casella in funzione della tipologia della comunicazione effettuata.
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Nei righi da OP12 a OP15 vanno indicati i codici fiscali dei soggetti partecipanti ai sensi degli
articoli 115 e 116 del Tuir; in particolare va riportato, in colonna 1, il codice fiscale della persona
fisica partecipante e, in colonna 2, il codice fiscale della società. Nel caso di comunicazione di
conferma del regime, da effettuarsi a condizione che ricorrano
i presupposti di cui ai commi 1 e 2 dell’articolo 115 del Tuir, devono essere riportati i dati di tutti i
soggetti interessati.
La società può comunicare telematicamente l’opzione solo se, precedentemente tutti i soci hanno
inviato alla società la raccomandata A/R con cui dichiarano l’adesione al regime.

Convenienza del Regime


Il regime della Trasparenza ha l’obiettivo di eliminare l’effetto della doppia imposizione economiche
che si verifica a causa dell’abolizione del credito d’imposta sugli utili.

Infatti, gli utili distribuiti dalla S.r.l., assoggettati ad IRES (27,5%), in capo alla società, sono
ulteriormente tassati in capo ai soci nella misura del 49,72%, se la partecipazione è qualificata e
del 20% se la partecipazione è non qualificata.

Per valutare la convenienza del regime di Trasparenza è necessario determinare il carico fiscale
globale di società e soci, rispetto a quello che si verifica mantenendo il regime ordinario di
tassazione.

I principali elementi da prendere in considerazione ai fini della scelta riguardano:

1. Reddito della società – La Trasparenza è progressivamente più conveniente al decrescere del


reddito imponibile della società, in quanto l’Ires pagata dalla società è proporzionale al reddito,
mentre la ripartizione del reddito tra i soci comporta una tassazione in capo a ciascuno di essi
con un’aliquota media Irpef più bassa;
2. Numero dei soci – Un numero di soci più elevato consente di ridurre il reddito imputato a
ciascuno di essi e quindi di fruire maggiormente dell’effetto di progressività dell’Irpef;
3. Possesso di altri redditi da parte dei soci – Maggiore è l’ammontare degli altri redditi
posseduti dai soci, minore è la convenienza per il regime di Trasparenza, in quanto il reddito
imputato dalla società, in presenza di altri redditi , sarà oggetto di aliquote Irpef più elevate;
4. Rapporto tra reddito imponibile e utile della società – La presenza di variazioni in aumento
di importo elevato diminuisce la convenienza per il regime di trasparenza in quanto i soci
scontano l’Irpef con aliquote elevate che possono superare l’aliquota Ires della società.

03. IL CANDIDATO INDICHI QUALI SOCIETA' SONO AMMESSE AL REGIME DI TRASPARENZA FISCALE

L’opzione per l’applicazione della trasparenza fiscale delle società di capitali può essere
esercitata in presenza dei seguenti requisiti:

• la società partecipata residente nel territorio dello Stato deve essere costituita in una delle
seguenti forme: società per azioni, società in accomandita per azioni, società a
responsabilità limitata, società cooperativa, società di mutua assicurazione, società
consortile di cui all’articolo 2615-ter del codice civile qualora assuma la forma giuridica di
società di capitale;
• tutti i soci devono essere società costituite nelle forme dette in precedenza e ciascuna di
esse deve avere una percentuale del diritto di voto esercitabile nell’assemblea generale
prevista dall’articolo 2346 del codice civile ed una partecipazione agli utili non inferiore al
10 per cento e non superiore al 50 per cento. Le società partecipanti nella società
trasparente, quindi, non possono essere in numero inferiore a 2 né superiore a 10;
89

• in presenza di soci non residenti l’opzione può essere esercitata a condizione che sugli utili
distribuiti dalla società trasparente non vi sia l’obbligo di applicazione della ritenuta alla
fonte o, nel caso in cui essa dovesse essere applicata, vi sia la possibilità dell’integrale
rimborso della stessa al socio non residente. Tale fattispecie può verificarsi nel caso di
distribuzione di dividendi da parte di una società italiana “figlia” che ha optato per il regime
di trasparenza, alla società “madre” estera. In tal caso, infatti, è applicabile l’articolo 27-
bis del D.P.R. n. 600 del 1973, che prevede la possibilità di non applicare la ritenuta a titolo
d’imposta di cui all’articolo 27, comma 3 del predetto decreto nei confronti del soggetto non
residente che percepisce il dividendo, ovvero di provvedere al rimborso della ritenuta
qualora questa sia già stata operata.

Lezione 066

01. QUALI SONO LE OPERAZIONI STRAORDINARIE NEL REDDITO DI IMPRESA

Le principali operazioni sono: la trasformazione, la fusione, la scissione, il conferimento, lo


scambio di partecipazioni. Con la trasformazione si modifica il modello organizzativo della società,
mediante la fusione si concentrano in un’unica struttura societaria il patrimonio e le risorse esistenti
in altre società; con la scissione, giustificata anche dal mutamento dei rapporti tra soci, si procede
alla divisione del patrimonio della società scissa a favore di una o più società beneficiarie; nel caso
di conferimento di azienda o rami aziendali la società procede allo scorporo del complesso
produttivo partecipando nella società beneficiaria, mentre i soci continuano a essere proprietari
della società conferente.

Tutte queste operazioni sono improntate al principio della neutralità fiscale, che consiste nella
continuità dei valori fiscalmente riconosciuti, salvo alcune ipotesi realizzative che possono
manifestarsi in occasione delle operazioni di trasformazione eterogenea, nelle operazioni di
conferimento di partecipazioni di controllo e di collegamento o negli scambi di partecipazioni.

Sebbene l’ordinamento non ne fornisca una definizione precisa (Zizzo, G., Le operazioni
straordinarie tra realizzo e neutralità: spunti sistematici, in Riv. dir. trib., 2006, I, 519), è possibile
ricondurre alla categoria delle operazioni straordinarie tutte quelle attraverso cui una società
modifica il suo patrimonio e/o la propria compagine sociale al fine di liquidare ovvero riorganizzare
l’attività d’impresa (Fantozzi, A.-Paparella, F., Le operazioni straordinarie nelle imposte sui redditi,
in Lezioni di diritto tributario dell’impresa, Padova, 2014, 322).

Secondo alcuni Autori tale categoria sarebbe da ricondurre agli atti di riorganizzazione (Esposito,
R., I conferimenti in natura. Contributo allo studio degli atti di riorganizzazione nel diritto tributario,
Roma, 2004, 216; Corasaniti, G., Profili tributari dei conferimenti in natura e degli apporti in
società, Padova, 2008, 270); secondo Altri, invece, le stesse dovrebbero essere individuate in
base agli effetti che producono sui beni o sui soggetti (Lupi, R., Profili tributari della fusione di
società, Padova, 1989, 39).

Secondo altra dottrina (Fantozzi, A.-Paparella, F., Le operazioni straordinarie nelle imposte sui
redditi, cit., 328 ss.), le operazioni straordinarie potrebbero dividersi in due categorie generali: le
operazioni di disinvestimento e di realizzo in grado di generare plusvalenze latenti (e per questo
disciplinate tra le norme “ordinarie” agli articoli 58 ed 86, TUIR) e quelle di riorganizzazione che,
caratterizzate dal principio di neutralità, risultano estranee al concetto di realizzo per effetto del
90

principio della continuità dei valori fiscali cui si ispirano (Pedrotti, F., Cessioni di aziende e di
partecipazioni sociali nel reddito di impresa ai fini IRES, Milano, 2010).

Lezione 067
01. Una società si definisce fiscalmente non operativa quando:

quando l’ammontare dei ricavi, degli incrementi delle rimanenze e dei proventi è inferiore allo somma degli importi che risultano applicando
determinati coefficienti di legge

02. QUANDO SI PUO' PARLARE DI SOGGETTI NON OPERATIVI?

L’articolo 30 della legge 724/1994, definisce “di comodo” le società che non superano il test di
operatività, ovvero quelle società i cui ricavi “figurativi” sono superiori rispetto ai ricavi effettivi. I
ricavi figurativi sono determinati applicando coefficienti ad alcune poste dell’attivo, ovvero il 2% al
valore delle partecipazioni e titoli e relativi crediti, il 6% al valore delle immobilizzazioni costituite da
beni immobili e il 15% al valore delle altre immobilizzazioni.

Salva l’esistenza di circostanze esimenti o d’inapplicabilità della disciplina delle società di comodo,
il mancato superamento del test di operatività comporta la presunzione di imponibile minimo ai
fini delle imposte sui redditi ed IRAP.

Per la società risultata non operativa, il reddito imponibile del periodo di imposta deve essere
obbligatoriamente determinato in misura non inferiore all’ammontare della somma degli importi
derivanti dall’applicazione, ai valori dei beni posseduti nell’esercizio, delle percentuali
forfettariamente stabilite per legge. E’ inoltre applicata una maggiorazione dell’aliquota d’imposta
IRES del 10,5% al reddito presuntivamente imponibile.

Anche ai fini dell’imposta regionale sulle attività produttive per i soggetti risultati non operativi si
presume che il valore della produzione netta non sia inferiore al reddito minimo presunto
aumentato delle retribuzioni sostenute per il personale dipendente, dei compensi spettanti ai
collaboratori coordinati e continuativi, di quelli per prestazioni di lavoro autonomo non esercitate
abitualmente e degli interessi passivi.

Le limitazioni in materia di IVA

In materia di IVA, la società non operativa è impossibilitata a chiedere il rimborso e ad utilizzare in


compensazione o cedere l’eccedenza d’imposta derivante dalla dichiarazione e presentata ai fini
dell’imposta sul valore aggiunto. Inoltre, qualora per tre periodi di imposta consecutivi la società o
l’ente non operativo non effettui operazioni rilevanti ai fini dell’imposta sul valore aggiunto non
inferiore all’importo che risulta dall’applicazione dei coefficienti percentuali al valore degli assets
aziendali, l’eccedenza di credito non è ulteriormente riportabile a scomputo dell’IVA a debito
relativa ai periodi d’imposta successivi.
91

La finalità antielusiva dell’articolo 30 della Legge 724/1994

La norma sopradetta ha una finalità antielusiva diretta a colpire le società costituite non per lo
svolgimento di un’attività economica, bensì con lo scopo di gestire il patrimonio dei soci che ne
hanno la disponibilità e li utilizzano nella propria sfera privata attraverso l’utilizzo dello schermo
societario usufruendo di un regime fiscale spesso più favorevole.

Lezione 068
01. GLI STUDI DI SETTORE MISURANO

I RICAVI

02. IL REGIME DELLA TRASPARENZA CONSENTE:


DI IMPUTARE L'UTILE DELLE SOCIETA' DI CAPITALI IN CAPO AI SOCI SIANO ESSI PERSONE FISICHE O GIURIDICHE IN LUOGO
DELLA TASSAZIONE IN CAPO ALLA SOCIETA' STESSA. REGIME OPZIONALE

03. NELL'AMBITO DEGLI STUDI DI SETTORE PER CONGRUITA' SI INTENDE:


IL RAGGIUNGIMENTO DELLA SOGLIA MINIMA DEI RICAVI O DEI COMPENSI RISPETTO A QUELLI DETERMINATI DAL MODELLO
STATISTICO

04. COSA SONO GLI STUDI DI SETTORE:

UNA METODOLOGIA STATISTICO MATEMATICA FINALIZZATA AD ACCERTARE SE I RICAVI O COMPENSI DICHIARATI SONO CONGRUI
RISPETTO ALLO STUDIO DI RIFERIMENTO

Lezione 069
01. L'IVA E'

UNA IMPOSTA INDIRETTA SUI CONSUMI DI TIPO PROPORZIONALE

02. Si è soggetti Iva quando:

SI EFFETTUA UNA CESSIONE DI BENI O PRESTAZIONE DI SERVIZI NEL TERRITORIO DELLO STATO CON CARATTERE DI ABITUALITA'

NELL'AMBITO DI IMPRESA O ARTI E PROFESSIONI


92

Lezione 070
01. IL CANDIDATO INDICHI QUALI SONO LE OPERAZIONI RILEVANTI AI FINI IVA

Con l’articolo 21 del D.L. n. 78 del 31 maggio 2010 (cd. Manovra Correttiva 2010), convertito dalla
Legge n. 122 del 30 luglio 2010, al fine di contrastare le frodi in ambito IVA, è stato introdotto
l’obbligo di comunicazione delle operazioni rilevanti ai fini dell'Imposta sul Valore Aggiunto (cd.
“spesometro”).
oggetti obbligati alla comunicazione
Sono soggetti obbligati alla comunicazione ('spesometro'):
tutti i soggetti passivi IVA che effettuano operazioni rilevati ai fini di tale imposta (ivi compresi i
soggetti che hanno aderito al regime delle nuove attività produttive ed i cd. “ex contribuenti
minimi”).
Sono esclusi dall’obbligo di comunicazione:
i cd. “nuovi contribuenti minimi”;
lo Stato, le regioni, le province, i comuni e gli altri organismi di diritto (per gli anni 2012 e 2013). A
decorrere dal 1° gennaio 2014, tali soggetti sono obbligati alla comunicazione delle operazioni
rilevanti ai fini IVA non documentate da fattura elettronica.
Oggetto della comunicazione
Oggetto della comunicazione sono:
le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese e ricevute dai soggetti passivi IVA che effettuano
operazioni rilevanti ai fini di tale tributo, per le quali sussiste l’obbligo di emissione della fattura,
quale che sia l'importo dell'operazione.
le cessioni di beni e le prestazioni di servizi rese e ricevute per le quali non ricorre l’obbligo di
emissione della fattura, di importo non inferiore ad euro 3.600, al lordo dell’imposta. Merita
precisare che laddove non sussiste obbligo, l'emissione della fattura su richiesta del cliente o su
base volontaria determina comunque l'obbligo di comunicazione, indipendentemente dall'importo
dell'operazione. Tuttavia per le operazioni attive relative agli anni 2012 e 2013 per le quali non
sussiste obbligo di emissione della fattura ma si proceda a fatturazione, da parte di commercianti
al minuto e soggetti equiparati, nonché da parte di agenzie di viaggio, opera comunque il limite
minimo pari ad euro 3.600;
le operazioni in contanti legate al turismo effettuate da parte di commercianti al minuto ed agenzie
di viaggio nei confronti di persone fisiche, non residenti, di cittadinanza diversa da quella italiana,
UE o dello Spazio Economico Europeo, per importo pari o superiore a 1.000 euro e sino a 15.000
euro.
Sono escluse dall’obbligo di comunicazione:
le importazioni;
le esportazioni di cui all'articolo 8, comma 1, lettere a) e b) del D.P.R. n. 633 del 26 ottobre 1972,;
le operazioni intracomunitarie;
le operazioni che hanno costituito oggetto di comunicazione all'Anagrafe Tributaria, ai sensi
dell’articolo 7 del D.P.R. n. 605 del 29 settembre 1973, e delle altre norme che stabiliscono
obblighi di comunicazione all’Anagrafe tributaria;
le operazioni di importo pari o superiore ad euro 3.600, effettuate nei confronti di contribuenti non
soggetti passivi ai fini dell’IVA, non documentate da fattura, il cui pagamento è avvenuto mediante
carte di credito, di debito o prepagate.
93

Le operazioni poste in essere con operatori residenti in paesi black list non sono incluse nella
sezione del modello polivalente dedicata allo 'spesometro', in quanto oggetto di comunicazione
separata nell'apposito quadro BL.
Allo stesso modo gli acquisti effettuati da operatori residenti in San Marino sono oggetto di
comunicazione separata nel quadro SE.
Alle operazioni legate al turismo è invece dedicata la sezione TU del modello.

Lezione 071
01. IL CANDIDATO INDICHI I REQUISITI OGGETTIVI E SOGGETTIVI AFFINCHE' SI ASSUMA LA QUALIFICA DI SOGGETTO
IVA

La qualificazione professionale del soggetto che effettua le operazioni è un elemento essenziale


(tranne che per le importazioni) della fattispecie imponibile.

Il presupposto del tributo si realizza infatti, quando la cessione di beni o la prestazione si servizi
viene posta in essere da un soggetto che rivesta la qualifica di esercente un'impresa o un'arte o
una professione.

Affinché l'imposta sia applicabile è necessario che il soggetto che effettua la cessione di beni o la
prestazione di servizi sia qualificato come soggetto passivo d'imposta. Con il termine soggetto
passivo d'imposta si intende, in maniera generica, chiunque eserciti in modo indipendente
un'attività economica.
Se il soggetto che effettua la cessione di beni o la prestazione di servizi è una persona fisica
individuale, assumono rilevanza ai fini dell'Iva le operazioni compiute dal soggetto nell'esercizio
professionale di una attività commerciale o agricola. Tutte le operazioni compiute senza riferimento
all'attività ovvero eseguite come privato sono da intendersi fuori del campo di applicazione dell'Iva.
L'acquisto dello status di soggetto passivo ai fini dell'Iva coincide con l'inizio dell'attività. In merito a
tale momento possono sorgere serie perplessità circa l'attività svolta antecedentemente alla vera e
propria gestione dell'impresa e finalizzata ad organizzare i vari fattori produttivi necessari per il
funzionamento dell'azienda.

2.1 - PRESUPPOSTO OGGETTIVO (artt.2 e 3 D.P.R. n. 633)

2.1.a - CESSIONI DI BENI

Si considerano, ai fini iva, cessioni di beni il trasferimento a titolo oneroso della proprietà
ovvero la costituzione ovvero il trasferimento di diritti reali di godimento di beni; inoltre
sono operazioni assimilate alle cessioni di beni i contratti di commissione, le assegnazioni
di beni ai soci, la destinazione di beni all’uso o al consumo personale o familiare
dell’imprenditore o di coloro che esercitano un’arte o professione (cosiddetto autoconsumo)
o a finalità estranee all’impresa o all’esercizio dell’arte e professione.

Cessioni di beni a titolo gratuito

In via generale affinché una operazione di cessione di beni rilevi ai fini Iva è necessario, come
detto, che il trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento sugli stessi avvenga a
titolo oneroso. Pertanto, in linea generale, rimangono escluse dall'ambito di applicazione dell'Iva le
cessioni effettuate a titolo gratuito.
94

2.1.b - PRESTAZIONI DI SERVIZI

Si considerano prestazioni di servizi tutte quelle prestazioni dipendenti da semplici atti quando
vengono effettuate verso un corrispettivo, quindi a titolo oneroso; le prestazioni di servizi a
titolo gratuito, sono escluse dal campo di applicazione dell’iva, salvo che nell’ipotesi di
autoconsumo (cosiddetto autoconsumo di servizi) come sopra definito.

2.2 - PRESUPPOSTO SOGGETTIVO (artt.4 e 5 D.P.R.633)


Sussiste il presupposto soggettivo se le cessioni di beni o prestazioni di servizi sono effettuate da
soggetti che operano nell’ambito sia di attività, anche prive di organizzazione, commerciali o
agricole di cui rispettivamente agli articoli 2135 e 2195 c.c., sia di attività organizzate dirette alla
prestazione di servizi che non rientrano nell’art.2195 c.c..

In ogni caso si considerano effettuate nell'esercizio dell'impresa e quindi sono sempre soggette ad
IVA:

- le cessioni e le prestazioni poste in essere dalle società commerciali di ogni tipo, quindi società di
persone (snc, sas), società di capitali
- le cessioni e le prestazioni poste in essere dagli Enti pubblici e privati, diversi dalle società, che
hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali o agricole.

Non si considerano mai (quindi per presunzione assoluta) attività commerciali:

- il possesso e la gestione di unità immobiliari classificate o classificabili nella categoria catastale


A(tranne A/10), di unità da diporto, di aeromobili da turismo, o di qualsiasi altro mezzo di trasporto
a uso privato, di complessi sportivi o ricreativi, compresi quelli destinati all’ormeggio, al ricovero e
al servizio di unità da diporto, da parte di società o enti, qualora la partecipazione a essi consenta,
gratuitamente o verso un corrispettivo inferiore al valore normale, il godimento personale o
familiare dei beni e degli impianti stessi, ovvero quando tale godimento sia conseguito
indirettamente dai soci o partecipanti alle suddette condizioni, anche attraverso la partecipazione
ad associazione, entri o altre organizzazione.
- il possesso, non strumentale né accessorio ad altre attività esercitate, di partecipazioni o quote
sociali, di obbligazioni o titoli similari, costituenti immobilizzazioni, al fine di percepire dividendi,
interessi o altri frutti, senza strutture dirette ad esercitare attività finanziaria, ovvero attività di
indirizzo, di coordinamento o altri interventi nella gestione delle società partecipate.
Inoltre le cessioni di beni e prestazioni di servizi devono essere rese da imprenditori persone
fisiche e/oartisti e professionisti che operano con carattere di professionalità e di
abitualità (quindi non in modo occasionale).

Come noto non rientrano nell’ambito di applicazione dell’Iva, per carenza del requisito soggettivo, i
servizi resi da collaboratori coordinati e continuativi e le prestazioni di lavoro rese dagli “associati in
partecipazione”, salvo tali prestazioni non siano rese da soggetti per i quali le stesse rientrano
nell’oggetto dell’attività svolta per professione abituale.

Il decreto istitutivo dell'Iva ne delimita l'ambito di applicazione individuando un ulteriore requisito,


quello territoriale. L'articolo 7 del DPR 633/1972 individua nel territorio dello Stato quello della
Repubblica Italiana. Ai presupposti già presentati, inoltre, può aggiungersi anche il requisito
temporale che individua il momento in cui una operazione si considera effettuata e l'imposta
95

diviene esigibile. Solo in tale momento sorgono gli obblighi dei contribuenti, quali ad esempio la
fatturazione, la registrazione, la liquidazione, il versamento e la dichiarazione.

Si ricorda che tutti i requisiti sopra indicati devono essere presenti insieme e
contemporaneamente. Se manca uno solo di essi, l'operazione è posta fuori campo Iva e, in
genere, non è soggetta ad alcun obbligo previsto dalla disciplina per assenza del presupposto
soggettivo.

Lezione 072

01. IL CANDIDATO INDICHI IN QUALE MOMENTO L'IVA DIVENTA ESIGIBILE

L’esigibilità dell’imposta – Quando è venuta ad esistenza l’imposta sul valore aggiunto, dobbiamo
stabilire il momento in cui diventa esigibile, da quando cioè decorre il computo a debito del cedente
o prestatore. A parte le regole speciali dell’IVA per cassa, la correlazione tra effettuazione ed
esigibilità è disciplinata dal quinto comma dell’articolo 6 legge IVA, secondo questi principi:
1) salvo deroghe l’esigibilità coincide con il momento di effettuazione;
2) anche nel caso di emissione della fattura, l’esigibilità è differita all’atto del pagamento per le
forniture di medicinali da parte dei farmacisti, per le cessioni o prestazioni ai soci, associati o
partecipanti e per le cessioni o prestazioni agli enti pubblici indicati nella norma;
3) rinvio al mese successivo a quello di consegna per le fatture “differite triangolari”.

L’articolo 7 del Decreto Legge 29 novembre 2008, n. 185, come noto, convertito, con
modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2, ha esteso la possibilità di effettuare cessioni di
beni e prestazioni di servizi per le quali l’imposta sul valore aggiunto diventa esigibile al momento
dell’effettiva riscossione del corrispettivo anche alle operazioni effettuate nei confronti di cessionari
o committenti che agiscono nell’esercizio di impresa, arte o professione.
Infatti, il differimento dell’esigibilità dell’IVA era già previsto dall’articolo 6, quinto comma, del
D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, ma limitatamente alle operazioni effettuate nei confronti di alcune
specifiche tipologie di soggetti, aventi in genere natura pubblica, tra i quali lo Stato, gli enti
pubblici territoriali, le unità sanitarie locali, le camere di commercio...

Il differimento della esigibilità ora introdotto dal provvedimento normativo di cui con il presente
articolo si dà notizia è però limitato nel tempo: l’imposta diviene, comunque, esigibile dopo il
decorso di un anno dal momento di effettuazione dell’operazione, a meno che, prima del decorso
di tale termine, il cessionario o committente sia stato assoggettato a procedure concorsuali o
esecutive.

Inoltre, il differimento dell’esigibilità dell’IVA comporta che il debito d’imposta verso l’erario a carico
del cedente o prestatore (e,correlativamente, il diritto alla detrazione spettante al relativo
cessionario o committente) sorge, in ogni caso, al momento del pagamento dei corrispettivi. Si
intende, in tal modo, ovviare agli effetti particolarmente gravosi, che comporterebbero
l’anticipazione del versamento dell’IVA da parte del cedente o prestatore, nell’ipotesi in cui il
pagamento dei corrispettivi avvenga in un momento successivo a quello dell’effettuazione delle
operazioni.
96

Lezione 073

01. SONO OPERAZIONI IVA ESENTI:

QUELLE DI CUI ALL'ART. 10 DEL DPR 633/72 ESENTATE DAL LEGISLATORE

02. LE IMPORTAZIONI AI FINI IVA SONO OPERAZIONI


IMPONIBILI

03. IL CANDIDATO ILLUSTRI LA DIFFERENZA TRA OPERAZIONI IMPONIBILI, NON IMPONIBILI ED ESENTI AI FINI IVA

Il decreto IVA (d.p.r. 633/1972) classifica le operazioni IVA in tre macro categorie: imponibili, non
imponibili ed escluse. Per poter effettuare tale distinzione occorre necessariamente conoscere i
requisiti previsti per l’imponibilità IVA delle operazioni commerciali ovvero i tre presupposti
delle operazioni imponibili IVA.

Si tratta di una distinzione fondamentale per imprese e professionisti. Basti pensare, a titolo
puramente esemplificativo, ai nuovi adempimenti IVA come lo spesometro e le comunicazioni delle
liquidazioni (cd Lipe), per adempiere correttamente i quali è necessario conoscere bene questi
concetti.

Ecco la classificazione delle operazioni IVA con esempi e normativa di riferimento.

IVA: i tre presupposti per l’applicazione dell’imposta


Nella classificazione delle operazioni IVA, affinché un’operazione commerciale sia imponibile IVA
la normativa di riferimento prevede l’obbligatorietà di tre presupposti ovvero:

• presupposto oggettivo, nel senso che deve trattarsi di un’operazione che ai fini IVA
possa essere inquadrata come «cessione di beni» o «prestazione di servizi» (vedi articoli 2
e 3 decreto IVA);
• presupposto soggettivo, nel senso che l’operazione deve essere realizzata nell’esercizio
di impresa, arte o professione (vedi articoli 4 e 5 decreto IVA);
• presupposto territoriale, nel senso che l’operazione considerata deve essere effettuata in
Italia nel rispetto di quanto previsto dall’articolo 7 del decreto IVA.

A seconda della sussistenza o meno di tali presupposti è possibile procedere alla classificazione
delle operazioni IVA.

IVA: le operazioni imponibili


Nella classificazione delle operazioni IVA, le operazioni imponibili IVA, quindi, sono tutte quelle
operazioni in cui sussistono tutti e tre i presupposti previsti dalla normativa.
97

In questo senso esiste una differenza terminologica dalla direttiva IVA (l’unica vera imposta
armonizzata dell’Unione Europea) e il decreto IVA nazionale.
Infatti, mentre la normativa comunitaria distingue sostanzialmente le operazioni IVA in imponibili o
esenti, la normativa nazionale è più articolata.

Il decreto IVA classifica le operazioni in rilevanti (imponibili, non imponibili ed esenti) e non rilevanti
(escluse) a seconda che esse producano o meno il sorgere di obblighi formali e sostanziali.

Di conseguenza, sono operazioni imponibili IVA le cessioni di beni e/o prestazioni di servizi
realizzate nell’esercizio di impresa, arte o professione svolta nel territorio dello Stato italiano.

Le operazioni imponibili ai fini IVA sono quindi soggette a tre aliquite:

• 4% sui beni di prima necessità;


• 5% su erbe e piante aromatiche e su alcune operazioni relative alle cooperative sociali;
• 10% aliquota intermedia;
• 22% aliquota ordinaria.

IVA: le operazioni non imponibili


Nella classificazione delle operazioni IVA, le operazioni non imponibili IVA sono quelle
operazioni commerciali che mancano di uno o più requisiti previsti dalla normativa di riferimento.

Il classico esempio di operazioni non imponibili IVA sono le cessioni all’esportazione. In questo
caso, infatti, manca il presupposto territoriale (l’operazione IVA è realizzata al di fuori del territorio
dello Stato) ma sorgono tutti gli obblighi formali e sostanziali previsti dalla normativa IVA.

IVA: le operazioni esenti

Le operazioni esenti IVA articolo 10 sono quelle operazioni che per ragioni sociali o tecniche
sono escluse dal campo di applicazione IVA per esplicita previsione normativa.

Tuttavia, trattandosi di operazioni che soddisfano tutti e tre i presupposti IVA, le operazioni esenti
IVA articolo 10 danno luogo al sorgere di una serie di adempimenti formali (fatturazione,
registrazione, ecc.)

72) Il canidato indichi in che modo viene determinata l’IVA da versare all’orario.

L’Iva (Imposta sul Valore Aggiunto) è la principale imposta indiretta. È così chiamata perché
colpisce il «valore aggiunto» della merce inteso come differenza fra il valore dei beni o servizi
prodotti e venduti e il valore dei beni e servizi acquistati per la realizzazione del bene o servizio
finale (differenza tra il prezzo di vendita e il costo di acquisto).

Poniamo ad esempio che un imprenditore (tipicamente un commerciante) compri un prodotto da


un fornitore a € 500 e lo rivenda a € 800: il valore aggiunto è pari alla differenza fra la ricchezza
lorda prodotta (€ 800) e le risorse acquistate dall’esterno per la realizzazione del prodotto (€ 500).

Nell’esempio proposto il valore aggiunto è pari a € 300. Supponendo che a quel prodotto si
applichi l’aliquota Iva ordinaria del 21%, l’imposta sul valore aggiunto sarà di € 63 (300 × 0,21).
98

La «liquidazione» dell'Iva

Tuttavia, l’Iva non si calcola effettivamente in questo modo, ma con un’operazione


detta «liquidazione»: detraendo cioè dall’Iva relativa a tutte le fatture emesse nel periodo di
riferimento , l’Iva relativa alle fatture di acquisto relative al medesimo periodo (se detraibile).

La liquidazione viene effettuata secondo il criterio di «detrazione di imposta da imposta».

Come regola generale1 tutti i contribuenti devono liquidare e, se dovuta, versare l’Iva
con periodicità mensile. Il versamento deve essere effettuato entro il giorno 16 del mese
successivo a quello di riferimento: ad esempio, l’Iva conteggiata (liquidata) per il mese di marzo
(relativa cioè alle operazioni effettuate in tale mese) deve essere versata entro il 16 aprile.

Tuttavia i soggetti con un volume di affari:


• inferiore a € 400.000, se svolgono attività di prestazione di servizi, o
• inferiore a € 700.000, se svolgono attività di cessione di beni,2

possono effettuare tale versamento con periodicità trimestrale, maggiorando però gli importi
dell’1% di interessi (salvo casi particolari), da versare entro il 16 del secondo mese successivo.

Qualora, come prima detto, venga rilevato un credito, verrà riportato in detrazione nella successiva
liquidazione periodica.

(esclusi i soggetti forfettari, che utilizzano un sistema diverso).

Tutti i soggetti titolari di Partita Iva (con qualche eccezione) devono presentare la dichiarazione
Iva annuale, riepilogativa delle operazioni Iva eseguite nell’anno precedente. Di solito detta
dichiarazione può essere inviata all’Agenzia delle Entrate autonomamente o assieme alla
dichiarazione dei redditi Irpef/Ires e Irap.

In casi particolari, la dichiarazione Iva deve essere inviata autonomamente.

Dalla dichiarazione Iva annuale devono risultare:

• gli importi delle operazioni imponibili e delle imposte distinti per aliquota, sia per le fatture emesse
che per quelle d’acquisto;

• gli importi delle operazioni non imponibili ed esenti;

• le liquidazioni periodiche eseguite (mensili o trimestrali, più l’acconto annuale) e i versamenti


effettuati.

Lezione 074
01. PER LIQUIDAZIONE PERIODICA IVA SI INTENDE:

LA DIFFERENZA MENSILE O TRIMESTRALE TRA L'IVA ASSOLTA SUGLI ACQUISTI E L'IVA SULLE VENDITE
99

02. LE ATTUALI ALIQUOTE IVA:


4% - 10% - 22%

03. IL CANDIDATO INDICHI IN CHE MODO VIENE DETERMINATA L'IVA DA VERSARE ALL'ERARIO

Il contribuente deve versare l’IVA con periodicità mensile o trimestrale. Per poter
calcolare l’importo da corrispondere alle Entrate, il contribuente dovrà innanzitutto
calcolare l’Iva esigibile nel mese (trimestre) precedente, risultante dalle annotazioni
eseguite o da eseguire nei registri relativi alle fatture emesse o ai corrispettivi delle
operazioni imponibili.

A tale importo il contribuente dovrà sottrarre – di contro – l’Iva che risulta dalle
annotazioni eseguite nei registri relativi ai beni e ai servizi acquistati, sulla base dei
documenti di spesa di cui è in possesso e per i quali il diritto alla detrazione viene
esercitato nello stesso mese.

Una volta ottenuta l’IVA netta di competenza del mese, il contribuente dovrà altresì
tenere conto della possibilità di sottrarre dall’importo così conseguito l’eventuale
credito di imposta del periodo precedente o, di contro, sommare l’eventuale debito di
imposta del periodo precedente (qualora ammonti a meno di 25,82 euro).

Al termine delle suddette operazioni il contribuente potrà trovarsi dinnanzi a:

1. un importo a debito di importo inferiore a 25,82 euro: il contribuente rinvierà


il pagamento ad un periodo successivo
2. un importo a debito pari o superiore a 25,82 euro: il contribuente effettuerà
un versamento all’erario
3. un importo a credito: il contribuente imputerà l’importo in detrazione nel
periodo successivo

Come e quando versare


I versamenti periodici relativi all’Iva vengono effettuati utilizzati il modello F24 in via
telematica. Per i contribuenti mensili la liquidazione e il versamento dell’eventuale
Iva a debito va fatta entro il giorno 16 del mese successivo, mentre per i contribuenti
trimestrali la liquidazione e il versamento dell’imposta va fatto entro il 16 del secondo
mese successivo a ciascuno dei primi tre trimestri solari (16 maggio, 16 agosto e 16
novembre). “Il versamento relativo all’ultimo trimestre” – ricorda in merito l’Agenzia
delle Entrate – “va effettuato in sede di conguaglio annuale entro il 16 marzo dell’anno
successivo, salvo la possibilità di usufruire dei maggiori termini previsti per il
versamento delle imposte dovute in base alla dichiarazione dei redditi per i soggetti
che presentano la dichiarazione Unico”.

Ricordiamo infine che in caso di versamento trimestrale, l’eventuale debito di imposta


deve essere maggiorato dell’1% a titolo di interesse, e che la liquidazione trimestrale
– anziché mensile – può essere scelta solamente da quei contribuenti che nell’anno
solare precedente hanno realizzato un volume d’affari non superiore a 400 mila euro
(lavoratori autonomi e imprese che svolgono prestazioni di servizi) e 700 mila euro
(imprese che esercitano altre attività).
100

'impresa che acquista un bene o un servizio paga un importo così determinato:

costo del bene o del servizio + IVA = importo da pagare

L'IVA pagata sugli acquisti non è un costo per l'impresa compratrice ma costituisce un suo credito verso lo Stato.

Analogamente, l'impresa che vende un bene o fornisce un servizio riscuote un importo così determinato:

ricavo del bene o del servizio + IVA = importo da riscuotere

L'IVA riscossa sulle vendite non è un ricavo per l'impresa venditrice ma costituisce un suo debito verso lo Stato.

La differenza che in un certo periodo di tempo risulta tra l'IVA riscossa su tutte le vendite (IVA a debito) e l'IVA pagata su tutti gli acquisti (IVA a credito) costituisce l'ammontare dell'imposta da versare allo Stato:

IVA sulle vendite - IVA sugli acquisti = IVA da versare allo Stato

La regola ora esposta è conosciuta come deduzione di imposta da imposta ed esprime il procedimento per il calcolo del saldo a debito IVA da versare periodicamente allo Stato. La periodicità del versamento allo
Stato è di regola mensile, ma può essere trimestrale per le imprese con volume d'affari non elevato.

Qualora l'IVA a debito risulti inferiore all'IVA a credito l'impresa determina un saldo a credito nei confronti dello Stato e potrà dedurlo dall'eventuale versamento del periodo successivo.

Lezione 075

01. IN CHE MODO SI APPLICA IL MECCANISMO DEL PRO RATA


IVA: Il meccanismo del pro-rata

I soggetti che effettuano esclusivamente operazioni esenti non possono portare in detrazione l’IVA
afferente gli acquisti di beni e servizi; per i soggetti che, invece, effettuano promiscuamente
operazioni esenti ed operazioni che danno diritto a detrazione, questa è limitata in base al pro-rata.

In base al principio generale fissato dall’art. 19, comma 2, D.P.R. n. 633/1972, “non è detraibile
l'imposta relativa all'acquisto o all'importazione di beni e servizi afferenti operazioni esenti o
comunque non soggette all'imposta, salvo il disposto dell'articolo 19-bis2”.

Le operazioni “esenti” sono quelle indicate nell’art. 10 del decreto IVA (per espressa previsione di
legge, recata dall’art. 19, comma 3, lettera d, la indetraibilità di cui al comma 2 non si applica per le
cessioni di oro da investimento, effettuate da soggetti che producono oro da investimento o
trasformano oro in oro da investimento).

Il comma 5 stabilisce che “ai contribuenti che esercitano sia attività che danno luogo ad operazioni
che conferiscono il diritto alla detrazione sia attività che danno luogo ad operazioni esenti ai sensi
dell'art. 10, il diritto alla detrazione dell'imposta spetta in misura proporzionale alla prima categoria
di operazioni e il relativo ammontare è determinato applicando la percentuale di detrazione di cui
all'articolo 19-bis” (c.d. pro-rata di detrazione).

Dal combinato disposto delle due disposizioni emerge che i soggetti che effettuano esclusivamente
operazioni esenti non possono portare in detrazione l’IVA afferente gli acquisti di beni e servizi
101

mentre per i soggetti che effettuano promiscuamente operazioni esenti ed operazioni che danno
diritto a detrazione, questa è limitata in base al pro-rata.

La finalità della norma è quella di consentire al contribuente che abbia effettuato operazioni
imponibili e operazioni esenti il diritto alla detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti o
importazioni, o a lui addebitata dai fornitori a titolo di rivalsa, solo limitatamente alla parte
imputabile proporzionalmente (pro-rata) alle operazioni imponibili e alle operazioni a queste a tal
fine assimilate, effettuate nel periodo d’imposta.

Il pro-rata si applica a tutta l’imposta a monte e non soltanto a quella relativa ai beni e servizi ad
uso promiscuo. “Ciò sta a significare che i soggetti che si trovano nell’anzidetta situazione, che
svolgono, cioè, attività imponibile ed attività esente, non devono procedere ad alcuna distinzione
degli acquisti dei beni e dei servizi, a seconda della loro destinazione in operazioni imponibili o in
operazioni esenti, poiché l’imposta detraibile è determinata applicando il pro-rata a tutta l’imposta
assolta sugli acquisti” (C.M. n. 328/E del 24 dicembre 1997, par.3.3.).

I soggetti che optano per la dispensa dagli adempimenti per le operazioni esenti effettuate, di cui
all’art. 36-bis, D.P.R. n. 633/1972, non sono ammessi alla detrazione dell’IVA sugli acquisti. In tale
caso, la indetraibilità è totale e si applica, in deroga al criterio del pro-rata, anche qualora il
contribuente, unitamente alle operazioni esenti, effettui anche operazioni imponibili.

Applicazione del pro-rata


Secondo quanto chiarito dalla prassi amministrativa, la detrazione limitata in base al criterio del
criterio del pro-rata trova applicazione qualora il contribuente effettui promiscuamente:

a) attività che danno luogo ad operazioni che conferiscono il diritto di detrazione ed attività esenti.
Si precisa che il contribuente esercita più attività quando l’esercizio dell’impresa, arte o professione
può essere scisso in diversi settori, suscettibili, ognuno di essi, di formare oggetto di autonoma
attività d'impresa, artistica o professionale (R.M. n. 415845 del 26 novembre 1986, Dir. Gen.
Tasse);

b) operazioni imponibili o assimilate ed operazioni esenti, in forma sistematica (come ad esempio


si verifica nei confronti di una casa di cura, la quale effettui sia prestazioni esenti in regime di
convenzione sia prestazioni imponibili - C.M. n. 328/E del 24 dicembre 1997).

Invece, il criterio del pro-rata non si applica quando il contribuente esercita:

-attività imponibili o assimilate e sporadiche o occasionali operazioni esenti;

-attività esenti e sporadiche o occasionali operazioni imponibili o assimilate.

In sostanza, l’occasionale effettuazione di operazioni esenti da parte di un contribuente che svolge


essenzialmente un’attività soggetta ad IVA (come pure l’occasionale effettuazione di operazioni
imponibili da parte di un soggetto che svolge essenzialmente un’attività esente) non dà luogo
all’applicazione del pro-rata.

In tali casi, tuttavia, torna applicabile, ai fini della determinazione dell’imposta detraibile, il criterio
generale dell’utilizzazione specifica dei beni e servizi, con indetraibilità dell’imposta afferente i beni
e servizi impiegati nelle operazioni esenti.
102

Che cosa è il pro-rata. Il pro-rata è la percentuale di detraibilità per coloro che effettuano
promiscuamente attività od operazioni che conferiscono il diritto alla detrazione ed attività od
operazioni esenti.

Applicando tale percentuale all’IVA sugli acquisti di beni e servizi, il contribuente ottiene l’imposta
detraibile in sede di liquidazione periodica o di dichiarazione annuale.

Lezione 078
01. Per quanto riguarda l'imposta di registro, si può affermare che:

è un’imposta indiretta sulle attività giuridiche dovuta dal richiedente la registrazione di un atto

02. L'IMPOSTA DI REGISTRO

L'imposta di registro è un tributo previsto dall'ordinamento della Repubblica italiana dovuto per la
registrazione di determinati atti giuridici presso l'Agenzia delle Entrate (prima dell'unificazione degli
uffici fiscali la registrazione era effettuata presso l'Ufficio del Registro).
Si presenta come tributo avente natura di tassa, quando è correlata all'erogazione di un servizio da
parte della pubblica amministrazione, di imposta quando è determinata in proporzione al valore
economico dell'atto o del negozio.
Essa è regolata dal Testo unico dell'imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n.
131.
Sono soggetti passivi dell'imposta, o meglio debitori di imposta, coloro i quali pongono in essere o
che si avvantaggiano dell'atto soggetto a registrazione. Tuttavia, ci sono altri soggetti, detti
responsabili solidali con l'obbligato principale, che possono avere una serie di obblighi sia per la
richiesta di registrazione che per il pagamento dell'imposta.

03. I SOGGETTI PASSIVI NELL'IMPOSTA DI REGISTRO

L'imposta di registro è un tributo previsto dall'ordinamento della Repubblica italiana dovuto per la
registrazione di determinati atti giuridici presso l'Agenzia delle Entrate (prima dell'unificazione degli
uffici fiscali la registrazione era effettuata presso l'Ufficio del Registro).
Si presenta come tributo avente natura di tassa, quando è correlata all'erogazione di un servizio da
parte della pubblica amministrazione, di imposta quando è determinata in proporzione al valore
economico dell'atto o del negozio.
Essa è regolata dal Testo unico dell'imposta di registro, approvato con D.P.R. 26 aprile 1986, n.
131.
Sono soggetti passivi dell'imposta, o meglio debitori di imposta, coloro i quali pongono in essere o
che si avvantaggiano dell'atto soggetto a registrazione. Tuttavia, ci sono altri soggetti, detti
responsabili solidali con l'obbligato principale, che possono avere una serie di obblighi sia per la
richiesta di registrazione che per il pagamento dell'imposta.
È bene distinguere, quindi, tali categorie.
a) soggetti obbligati alla registrazione:
• le parti contraenti per le scritture private non autenticate, per i contratti verbali e per gli atti
pubblici e privati formati all'estero (o in generale per gli atti compiuti senza assistenza di un
pubblico ufficiale);
• i notai, gli uffici giudiziari, i segretari o delegati della PA per gli atti da essi redatti,
103

ricevuti o autenticati;
• i cancellieri e i segretari per le sentenza, i decreti e gli atti giurisdizionali;
• gli impiegati dell'amministrazione finanziaria e gli appartenenti al corpo della Guardia di
Finanza per gli atti da registrare d'ufficio ai sensi dell'art. 15 del TUR;
• i rappresentanti o responsabili delle società o enti esteri per le loro operazioni;
• gli agenti immobiliari, solidalmente con le parti, per le scritture private non autenticate di
natura negoziale stipulate in seguito alla loro attività.

b) soggetti obbligati al pagamento:


• le parti contraenti, le parti in causa, chi si serve dell'atto per richiedere un provvedimento
all'autorità giudiziaria e in generale i soggetti nel cui interesse è stata chiesta la
registrazione dell'atto;
• i pubblici ufficiali che hanno redatto, ricevuto o autenticato l'atto, solo relativamente al
pagamento dell'imposta principale (cioè quella dovuta al momento della registrazione);
• gli agenti immobiliari, solidalmente con le parti, per le scritture private non autenticate di
natura negoziale stipulate in seguito alla loro attività;
• chi ha richiesto la registrazione per gli atti registrati in caso d'uso o volontariamente.

È bene notare che nei casi in cui una delle parti è lo Stato, l'imposta di registro grava sull'altro
contraente; fanno eccezione gli atti delle amministrazioni statali registrati volontariamente, dove la
registrazione è gratuita.
Nel caso si verifichino espropri per pubblica utilità o trasferimenti coattivi della proprietà, l'imposta
di registro è a carico dell'ente espropriante o acquirente; se è lo Stato ad espropriare, la
registrazione sarà gratuita.

Lezione 079
01. L'APPLICAZIONE DELL'IMPOSTA DI REGISTRO

L'imposta di Registro è una imposta erariale di tipo indiretto dovuta sugli atti che dispongono il
trasferimento di beni, materiali e immateriali, mobili ovvero immobili, e di diritti a contenuto
patrimoniale. L'imposta di registro si applica sia agli atti soggetti a registrazione obbligatoria, che a
quelli registrati volontariamente dalle parti.
La registrazione oltre che assolvere il tributo dovuto, conferisce all'atto la certezza della sua
esistenza di fronte ai terzi.
L'imposta di registro colpisce in via generale tutti gli atti in forma scritta a contenuto
patrimoniale formati nel territorio dello Stato o, se formati all'estero, aventi ad oggetto il
trasferimento di diritti reali o la locazione o l'affitto di beni immobili situati in Italia o di
aziende con sede in Italia.
Invece, gli accordi verbali sono tassati solo nei casi espressamente previsti nella norma, e nel caso
in cui vengono enunciati in atti scritti registrati.
Tale tributo assolve peraltro ad una funzione probatoria; difatti, come stabilito dall’articolo 18 del
DPR 131/1986 (da adesso TUR), la registrazione attesta l’esistenza degli atti ed attribuisce ad
essi data certa di fronte ai terzi, ai sensi dell’articolo 2704 del codice civile.
104

La disposizione civilistica succitata prevede che “la data della scrittura privata della quale non è
autenticata la sottoscrizione non è certa e computabile riguardo ai terzi, se non dal giorno in cui la
scrittura è stata registrata …” .
Gli effetti or ora descritti non riguardano ovviamente gli atti pubblici e le scritture private
autenticate, in quanto la certezza della data dell’atto viene conferita per effetto dell’intervento del
pubblico ufficiale rogante che riceve l’atto pubblico o che autentica le sottoscrizioni.

Lezione 080

01. SOGGETTI OBBLIGATI AL PAGAMENTO DELL'IMPOSTA IPOTECARIA

Sono obbligati al pagamento dell'imposta ipotecaria coloro che richiedono le formalità e i pubblici
ufficiali obbligati al pagamento dell'imposta di registro o dell'imposta sulle successioni e donazioni,
relativamente agli atti ai quali si riferisce la formalità.

Sono inoltre solidalmente tenuti al pagamento delle imposte tutti coloro nel cui interesse è stata
richiesta la formalità e, nel caso di iscrizioni e rinnovazioni, anche i debitori contro i quali è stata
iscritta o rinnovata l'ipoteca.

La base imponibile dell’imposta ipotecaria e catastale è commisurata all’imponibile che viene


calcolato per l’imposta di registro (o per l’imposta di successione, nel caso di una successione).
L’imposta ipotecaria è dovuta sull’ammontare del credito nel caso di iscrizione di ipoteca (o di
rinnovazione), tenendo conto anche degli interessi e degli accessori per i quali è stata iscritta
l’ipoteca. L’imponibile di un immobile che rientra nei beni aziendali, infine, è rappresentato dal
valore venale al lordo di passività o oneri eventuali.

Imposta ipotecaria e catastale prima casa

Per l’imposta ipotecaria e catastale sulla prima casa, cioè nel caso di un immobile acquistato e
destinato ad abitazione principale, sono previste delle agevolazioni. Per un immobile da destinare
ad abitazione principale comprato da un privato, l’imposta ipotecaria e l’imposta catastale sono
pari a 50 euro ciascuna, e ad esse si aggiunge un’imposta di registro pari al 2%. Per un immobile
da destinare ad abitazione principale comprato da una ditta costruttrice, invece, l’imposta
ipotecaria e l’imposta catastale sono pari a 200 euro ciascuna, e ad esse si aggiunge il
versamento dell’Iva pari al 4%.

Imposta ipotecaria e catastale seconda casa

Per quel che riguarda l’imposta ipotecaria e catastale seconda casa, in assenza dei requisiti di cui
l’acquirente può beneficiare per richiedere le agevolazioni concesse per la prima casa i versamenti
variano a seconda di chi vende l’immobile. Se la seconda casa viene acquistata da un privato o da
un’impresa esente da Iva, oltre alle imposte di registro pari al 90% si hanno un’imposta catastale
da 50 euro e un’imposta ipotecaria da 50 euro; se, invece, la seconda casa viene acquistata da
un’impresa soggetta a Iva, sia l’imposta catastale che quella ipotecaria sono di 200 euro (l’Iva è al
105

10% in tutti i casi tranne che per gli immobili di lusso, che presuppongono un’Iva al 22%). La
cessione è da considerarsi esente da Iva, se il venditore è un’impresa, a meno che la vendita sia
effettuata entro cinque anni dalla conclusione della costruzione. Il venditore, in ogni caso, ha la
possibilità di decidere di sottoporre a Iva la cessione, ma a patto di manifestare tale scelta
specificandolo nell’atto di vendita.

Imposta ipotecaria e catastale successione

Nel caso di una dichiarazione di successione, è necessario pagare un’imposta ipotecaria pari al
2% del valore degli immobili che sono stati dichiarati in successione. Non devono essere prese in
considerazione eventuali passività, come invece si fa con l’imposta di successione, il che vuol dire
che l’intero valore immobiliare è la base per il calcolo della percentuale. Per quel che riguarda
l’imposta catastale per una dichiarazione di cessione, invece, la percentuale è pari all’1%.

Imposta ipotecaria e catastale donazione

Nel caso in cui uno o più beni immobili siano oggetto di donazione, è necessario provvedere al
pagamento dell’imposta ipotecaria e catastale: la prima è pari al 2%, mentre la seconda è pari
all’1%. Se si tratta di prima casa, tuttavia, si applicano le condizioni viste in precedenza, con il
versamento di una quota fissa di 50 euro. Il versamento delle imposte su una donazione deve
essere effettuato nel momento in cui viene registrato l’atto pubblico, vale a dire in presenza di un
notaio.

02. COME SI DETERMINA LA BASE IMPONIBILE DELL'IMPOSTA IPOTECARIA

Come stabilito da consolidata giurisprudenza di legittimità, nel caso di conferimento di un bene


immobile in una società oppure nel caso di cessione di un’azienda che ricomprende un bene
immobile, la base imponibile ai fini delle imposte ipotecarie e catastali va determinata tenendo
conto del valore dell’immobile e delle “sole passività ad esso strettamente inerenti”.
Al riguardo, è d’uopo menzionare Cassazione n. 9906 del 5 maggio 2011 a mente della quale “la
base imponibile delle imposte ipotecarie e catastali per il trasferimento inter vivosovvero mortis causa, di
beni immobili, quando compresi nell’ambito di una azienda trasferita o caduta in successione, attesa la
diversità di oggetto propria di ogni singola imposta – trasferimento di ricchezza mobiliare o immobiliare per
l’imposta di registro o di successione; formalità che riguardano solo i beni immobili per le altre due
imposte -, va determinata tendendo conto del valore dell’immobile in sé considerato e delle sole passività ad
esso strettamente inerenti”. Nello stesso senso si pone Cassazione n. 11776 del 12 maggio 2008.
Pregevole di nota è Cassazione n. 2074 del 4 febbraio 2004 secondo la quale la base imponibile de
qua “va determinata tenendo conto del valore degli immobili in sé considerati e dei debiti ad essi
strettamente inerenti, ma non anche delle passività relative all’azienda in cui sono compresi”.
Del pari Cassazione n. 18829 del 30 agosto 2006 secondo cui “la base imponibile di tali imposte
[ipotecaria e catastale] va calcolata tenendo conto del valore degli immobili (accertato ai fini dell’imposta
di registro), al netto dei soli debiti ad esso strettamente inerenti, non anche della quota parte di passività
relative all’azienda nel suo complesso”.
Dal prospettato quadro giurisprudenziale si evince che nel caso di conferimento di un bene
immobile in una società, la base imponibile ai fini delle imposte ipotecaria e catastale va
determinata considerando il valore venale dell’immobile al netto delle sole passività strettamente
collegate all’immobile.
Nel caso di conferimento di un’azienda nella quale sia ricompreso un bene immobile, il valore
dell’immobile ai fini dell’assoggettabilità alle imposte ipocatastali deve essere calcolato al lordo
delle passività relative all’azienda.
03. IL PRESUPPOSTO DELL'IMPOSTA IPOTECARIA
106

Le formalità di trascrizione, iscrizione, rinnovazione, cancellazione ed annotazione eseguite nei


pubblici registri immobiliari in dipendenza di cessioni, successioni, donazioni o costituzione di
ipoteche o di diritti reali (usufrutto ecc.) costituiscono il presupposto per l'applicazione
dell'imposta ipotecaria.

Lezione 081

01. IL CANDIDATO INDICHI LE CATEGORIE DEI SOGGETTI OBBLIGATI AL PAGAMENTO DELL'IMPOSTA CATASTALE

Sono obbligati al pagamento dell'imposta ipotecaria coloro che richiedono le formalità e i pubblici
ufficiali obbligati al pagamento dell'imposta di registro o dell'imposta sulle successioni e donazioni,
relativamente agli atti ai quali si riferisce la formalità.
Sono inoltre solidalmente tenuti al pagamento delle imposte tutti coloro nel cui interesse è stata
richiesta la formalità e, nel caso di iscrizioni e rinnovazioni, anche i debitori contro i quali è stata
iscritta o rinnovata l'ipoteca.

02. IL PRESUPPOSTO DELL'IMPOSTA CATASTALE

Ogni atto in cui si pattuisca la vendita, la donazione, il passaggio per successione di un immobile,
la costituzione di diritti o l’iscrizione di ipoteche su di esso è pertanto soggetto ad imposta
catastale, in quanto ne è obbligatoria la voltura in catasto.
L’imposta catastale è correlata all’imposta ipotecaria, ed ha presupposti e caratteristiche analoghe.
Anche l’imposta catastale non è infatti dovuta in presenza di trasferimenti immobiliari avvenuti
nell’interesse dello Stato o per donazioni a favore di Regioni, Provincie e Comuni, di enti e
fondazioni riconosciute legalmente, di ONLUS.

Lezione 082
01. L’imposta sulle successioni si definisce

l’imposta sul trasferimento di beni e diritti per causa di morte

02. BASE IMPONIBILE PER IL CALCOLO DELL'IMPOSTA SULLE SUCCESSIONI

Il criterio per la determinazione dell'imposta è il riferimento al 'valore complessivo netto' dei beni
caduti in successione.
1) si procede alla determinazione del valore globale netto (attività meno passività deducibili)
2) si procede a ridurre il valore così ricavato, per quanto riguarda l'eredità o le quote ereditarie, dei
legati che le gravano, e per quanto riguarda i legati, degli oneri che li gravano;
3) si procede a maggiorare il valore "globale netto" "ai soli fini dell'aliquota dell'imposta di
successione" di un importo pari a quello delle donazioni;
4) si ripartisce il valore netto per quote e, da ogni singola quota si detrae la franchigia. Il concorso
infatti alla successione di soggetti legati da rapporti diversi con il disponente (ad es. un figlio ed un
fratello), sia pure in quote uguali, potrebbe comportare differenti soluzioni fiscali in presenza di una
differenze franchigia.
107

5)infine, si applica la presunzione per mobili e gioielli, da calcolarsi sul "valore globale netto
imponibile" in misura pari al 10%. Resta dubbio se per "valore globale netto imponibile" si debba
intendere quello determinato prima o dopo la franchigia.

03. IL PRESUPPOSTO FISCALE DELL'IMPOSTA SULLE SUCCESSIONI

Per quanto riguarda i presupposti, dobbiamo dire che la legge 286/2006 (art 2), stabilisce che
l’imposta sulle successioni e donazioni è dovuta:
▪ Sui trasferimenti di beni e diritti per causa di morte
▪ Per donazioni
▪ Per altri trasferimenti a titolo gratuito
▪ Sulle costituzioni di vincoli di destinazione
Presupposto indispensabile per il pagamento dell'imposta di successione è la presentazione della
dichiarazione di successione, da farsi obbligatoriamente entro un anno dal decesso del de
cuius.
Di essa devono farsi carico innanzitutto gli eredi, ma anche i legatari, i trust e i curatori di eredità
giacente o gli altri esecutori testamentari. Anche in presenza di più eredi o soggetti legittimati è
possibile presentare un'unica dichiarazione.
La dichiarazione di successione va redatta su un apposito modello (il Modello 4) nel quale vanno
indicati le generalità degli eredi, l'attivo ereditario, il passivo ereditario e le donazioni e le liberalità
che gli eredi abbiano eventualmente ricevuto prima della morte del de cuius da parte dello stesso.
Tale modello, una volta compilato, va presentato all'Agenzia delle entrate della circoscrizione
nella quale risiedeva il defunto al momento del decesso.
In ogni caso, se l'asse ereditario è inferiore o pari a 100mila euro e in esso non rientrano beni
immobili, il coniuge, i figli, i genitori e gli altri parenti in linea retta del defunto non sono tenuti a
presentare la dichiarazione di successione.

Lezione 083
01. L’imposta sulle donazioni ha come presupposto:
l’arricchimento a titolo gratuito del beneficiario

02. IL PRESUPPOSTO FISCALE DELL'IMPOSTA SULLE DONAZIONI

l'imposta sulle donazioni ha come presupposto l’esistenza di un atto donazione o altro atti di
liberalità stipulato in forma scritta.
L'imposta si applica sui trasferimenti di beni e diritti per donazione o a titolo gratuito e sulla
costituzione di vincoli di destinazione (effettuati tra vivi o mediante testamento), derivanti da atti
soggetti a registrazione.

Si considerano trasferimenti anche la costituzione di diritti reali di godimento, la rinunzia a diritti


reali o di credito e la costituzione di rendite o pensioni (art. 1, c. 2, D.Lgs. n. 346/1990).

Lezione 084
108

01. IL PRESUPPOSTO FISCALE DELLE ACCISE

Per quanto riguarda il presupposto delle accise, il dato normativo di riferimento è, certamente, da
individuale nell'articolo 2 del Testo unico, il quale scinde temporalmente il momento in cui nasce
l'obbligazione tri- butaria, da quello in cui essa diviene concretamente esigibile. In partico- lare, il
presupposto delle imposte in esame, il loro fatto generatore, viene individuato testualmente nella
fabbricazione o importazione dei prodotti, come previsto al comma 1, mentre la loro esigibilità
viene rinviata al mo- mento in cui i prodotti medesimi sono immessi al consumo nel territorio dello
Stato, come espressamente previsto dal comma 2.
Siffatta scissione temporale dei fatti rilevanti per il sorgere dell'ob- bligazione tributaria non può
però portare a svalutare l'immissione al consumo, considerandola estranea al presupposto
dell'imposta, e dunque ritenendola ora come mera ‹‹condizione di esigibilità›› , ora come ‹‹termine
di scadenza›› del tributo , ora come qualità materiale della merce estratta da depositi fiscali.

Lezione 085
01. LE IMPOSTE DOGANALI

Le imposte doganali sono quei diritti che la dogana è tenuta, in base alla legge, a riscuotere in
relazione alle operazioni doganali. Tra i diritti doganali assumono particolare rilievo i diritti di
confine (che comprendono i dazi di esportazione e quelli di importazione), i diritti di monopolio, le
sovraimposte di confine etc.
Si tratta, dunque, di un gruppo di entrate con diverse caratteristiche ma con una matrice comune:
sono prelevate all’atto delle operazioni doganali. Il presupposto per l’obbligazione tributaria
doganale è dato:
per le merci estere, dalla loro destinazione al consumo nel territorio doganale italiano;
per le merci da esportare, dalla destinazione al consumo in uno Stato estero.
Soggetti passivi obbligati al pagamento dei diritti doganali sono il proprietario (cioè colui che
presenta la merce in dogana o la detiene all’atto dell’importazione) e tutti i soggetti per conto dei
quali la merce viene esportata o importata.
A seguito di presentazione della dichiarazione doganale è dovuto il pagamento dei tributi in parola
calcolati in base alla apposita tariffa doganale

Le imposte di fabbricazione colpiscono, nella fase della produzione, una serie di merci
tassativamente indicate dalla legge. Attualmente scontano tali imposte: la birra, gli spiriti, gli olii
minerali, i fiammiferi. I soggetti passivi percossi sono i produttori di tali materie, anche se il tributo
viene in realtà ad incidere sul consumatore finale. In corrispondenza di ciascuna imposta di
fabbricazione lo Stato, per garantire l’uguaglianza del prelievo fiscale, istituisce particolari
sovraimposte di confine su analoghi prodotti importati. Nel corso del ’95 l’intera normativa è stata
accorpata in un testo unico sulle accise che disciplina l’imposizione indiretta sulla produzione e sui
consumi, escluse quelle sui tabacchi e sui fiammiferi.

Lo Stato interviene in particolari settori economici in cui intende esercitare in modo esclusivo la
produzione e/o la vendita di determinati beni o servizi, vietando a terzi l’esercizio di tali attività.
Scopo del monopolio fiscale è essenzialmente quello di assicurare all’erario il conseguimento di
entrate, realizzando proventi attraverso la limitazione dell’attività privata e la vendita di prodotti o
servizi. La somma che il privato deve corrispondere per acquistare tali beni (o servizi) supera
l’effettivo costo di produzione sostenuto dallo Stato: la parte eccedente il costo è perciò
comprensiva dell’utile industriale e dell’imposta. Attualmente in Italia costituiscono monopoli fiscali
quelli relativi alla fabbricazione dei tabacchi, all’esercizio del gioco del lotto e delle lotterie
nazionali, all’esercizio dei giochi di abilità e dei concorsi pronostici.
109

Lezione 086

01. Il bollo è:
una imposta

02. COSA HA PER OGGETTO L'IMPOSTA SULLE ASSICURAZIONI

L'imposta sulle assicurazioni è nata in seguito al fenomeno della progressiva differenziazione di


una serie di imposte volte a colpire eventi originariamente rientranti nell'ambito di applicazione
dell'imposta di registro.
In particolare, essa, com'è attualmente regolata dalla l. 29 ottobre 1961, n. 1216, costituisce il
risultato di un lento processo di adattamento della disciplina dell'imposta di registro alle particolari
caratteristiche dei contratti di assicurazione. Detta imposta, inoltre, pur avendo per oggetto la
prestazione di servizio resa da un'impresa, come tale teoricamente assoggettabile ad IVA,
continua ad applicarsi anche dopo l'entrata in vigore del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, istitutivo dì
questo tributo. Ciò in forza di un'esplicita disposizione esonerativa stabilita dall'art. 10 n. 8 di tale
decreto.
Il suo procedimento d'imposizione è incentrato sulla figura dell'assicuratore, al quale fanno carico i
diversi obblighi procedimentali previsti dalla legge, e che viene a configurarsi come un sostituto
d'imposta con diritto di rivalsa per il tributo pagato nei confronti del contraente assicurato.
L'assicuratore deve denunziare al competente ufficio del registro l'inizio dell'attività e tenere un
registro in cui devono essere annotati tutti i pagamenti a lui effettuati a titolo di premio, di accessori
e di corrispettivi per contratti di rendita vitalizia. Entro il 31 maggio di ogni anno deve poi
presentare all'Ufficio del registro una dichiarazione in cui è indicato l'ammontare complessivo delle
somme incassate nell'esercizio annuale scaduto, secondo le risultanze del registro.

Sulla base di tale denuncia l'ufficio provvede a liquidare, in via provvisoria, l'imposta dovuta per
l'anno successivo, il cui ammontare dev'essere corrisposto in rate trimestrali a partire dal 15
giugno.
Per quanto riguarda la riscossione coattiva, il contenzioso e la disciplina delle sanzioni, la legge fa
espresso rinvio alle norme vigenti in tema di registro e contenzioso e quindi attualmente ai d.P.R.
26 ottobre 1972 nn. 634 e 636.

03. PER QUALI ATTIVITA' E' DOVUTA L'IMPOSTA SUGLI INTRATTENIMENTI E I GIOCHI

L’imposta sugli intrattenimenti (ISI) è dovuta sulle attività ludiche e di intrattenimento previste nella
tariffa allegata al dpr 640/1972. Ecco i casi di applicazione e quanto si paga.L’imposta sugli
intrattenimenti (ISI) 2016 è regolata dal D. Lgs. 60/1999 e ha sostituito, a partire dal 2000, la
precedente imposta sugli spettacoli. Si tratta di un’imposta che colpisce i ricavi derivanti da alcune
attività del settore dello spettacolo, degli intrattenimenti e dei giochi.
Imposta sugli intrattenimenti (ISI) 2015: differenza tra intrattenimento e spettacolo
In materia di imposta sugli intrattenimenti (ISI) 2016 occorre innanzitutto prestare grande
attenzione alla differenza tra intrattenimento e spettacolo.
Secondo quanto chiarito dalla circolare ministeriale n. 165/E del 07.09.2000:
l’intrattenimento comprende le attività che presentano un prevalente aspetto ludico e di
puro divertimento e implica la partecipazione attiva all’evento;
lo spettacolo, invece, è caratterizzato dalla partecipazione prevalentemente passiva dello
spettatore all’evento rappresentato, che assume anche una connotazione culturale.
Imposta sugli intrattenimenti (ISI) 2016: quali sono le attività soggette
In materia di imposta sugli intrattenimenti (ISI) 2016 occorre poi verificare quali attività siano
assoggettate a tale imposizione.
110

A questo proposito, occorre fare riferimento alla tariffa allegata al D.P.R. 640/1972 ovvero alle
seguenti attività:
esecuzioni musicali di qualsiasi genere (esclusi i concerti vocali e strumentali) e
trattenimenti danzanti anche in discoteche e sale da ballo quando l’esecuzione di musica
dal vivo è di durata inferiore al 50% dell’orario complessivo di apertura al pubblico
dell’esercizio;
utilizzazione dei bigliardi, degli elettrogrammofoni, dei bigliardini e di qualsiasi tipo di
apparecchio e congegno a gettone, a moneta o scheda, da divertimento o trattenimento,
anche se automatico o luoghi pubblici o aperti al pubblico sia in circoli che in associazioni di
qualunque specie; utilizzazione ludica di strumenti multimediali; gioco del bowling; noleggio
go-kart;
ingresso nelle sale da gioco o nei luoghi specificatamente riservati all’esercizio delle
scommesse;
esercizio del gioco nella case da gioco e negli altri luoghi a ciò destinati.
Imposta sugli intrattenimenti (ISI) 2016: è dovuta anche dalle associazioni?
L’imposta sugli intrattenimenti (ISI) 2016 non è dovuta dall’associazione culturale, sportiva o
comunque non profit che utilizza determinati strumenti e apparecchi nell’ambito delle attività
istituzionali svolte nei confronti dei soci.

Se, invece, l’utilizzo degli apparecchi è continuativo, rivolto alla generalità degli utenti e finalizzato
ad ottenere un guadagno l’associ

04. IL CANDIDATO ILLUSTRI L'IMPOSTA DI BOLLO

L'imposta di bollo, nel sistema fiscale italiano, è un'imposta applicata alla produzione, richiesta o
presentazione di determinati documenti.

È regolata dal decreto del Presidente della Repubblica n. 642 del 26 ottobre 1972.
Questo decreto è composto da:

• una Tariffa - Parte prima - Atti, documenti e registri soggetti all'imposta fin dall'origine.[1]
• una Tariffa - Parte seconda - Atti e scritti soggetti all'imposta di bollo solo in caso d'uso.[2]
• una Tabella - Atti documenti e registri esenti in modo assoluto dall'imposta di bollo.[3][4]
Questa legge stabilisce se e quanto bisogna pagare di bollo negli atti, nei documenti, nelle
denunce e nelle domande che si producono, si richiedono o si presentano a qualche ufficio o ente.
Per fare qualche esempio riferendosi alla realtà quotidiana:

• la marca da bollo da applicare a una domanda, una denuncia, un ricorso o un certificato è di


euro 16,00
• la marca da bollo da applicare a una ricevuta senza IVA di importo superiore a 77,47 euro è di
euro 2,00
• l'imposta di bollo che il notaio applica a una compravendita immobiliare è di euro 230,00
• l'imposta di bollo da applicare a una cambiale è il 12 per mille del suo importo e così via.
Oggetto dell’imposta
Sono soggetti all'imposta di bollo gli atti, i documenti e i registri indicati nella tariffa.
L'imposta non si applica agli atti legislativi e, se non espressamente previsti nella tariffa, agli atti
amministrativi dello Stato, delle regioni, delle province, dei comuni e loro consorzi.
Misura dell’imposta
L'imposta di bollo può essere fissa o proporzionale. Per gli atti, documenti e registri soggetti a bollo
solo in caso d'uso l'imposta è dovuta nella misura vigente al momento in cui se ne fa uso.
111

Modi di pagamento
L'imposta di bollo si corrisponde secondo le indicazioni della tariffa allegata:
a) mediante pagamento dell'imposta ad intermediario convenzionato con l'Agenzia delle Entrate, il
quale rilascia, con modalità telematiche, apposito contrassegno;
b) in modo virtuale, mediante pagamento dell'imposta all'ufficio dell'Agenzia delle Entrate o ad altri
uffici autorizzati o mediante versamento in conto corrente postale.
La carta bollata
La carta bollata è filigranata e reca impresso il relativo valore.
Se il valore della carta bollata è inferiore all'imposta dovuta, la differenza viene corrisposta
mediante applicazione di marche da bollo.
La carta bollata, esclusa quella per cambiali, deve essere marginata e contenere cento linee per
ogni foglio.
Sulla carta bollata non si può scrivere fuori dei margini né eccedere il numero delle linee in essa
tracciate, ciascuna delle quali non può contenere in media più di 28 sillabe (limite abolito il 01-01-
1983).
Definizioni
Decreto del Presidente della Repubblica del 26/10/1972 n. 642
Disciplina dell'imposta di bollo
Art. 5 Definizione di foglio, di pagina e di copia
Agli effetti del presente decreto e delle annesse Tariffa e Tabella:
a) il foglio si intende composto da quattro facciate, la pagina da una facciata; b) per copia si
intende la riproduzione, parziale o totale, di atti, documenti e registri dichiarata conforme
all'originale da colui che l'ha rilasciata. ecc.
Marche da bollo
L'annullamento della marca da bollo deve avvenire mediante perforazione o apposizione della
sottoscrizione di una delle parti o della data o di un timbro parte su ciascuna marca e parte sul
foglio. Per l'annullamento deve essere usata la matita copiativa.
Sulle marche da bollo non è consentito scrivere né apporre timbri o altre stampigliature tranne che
per eseguirne l'annullamento in conformità dei precedenti commi. È vietato usare marche
deteriorate o usate in precedenza.
Sulla Gazzetta Ufficiale del 26 giugno 2007 è stato pubblicato il decreto del Ministero
dell'Economia e delle Finanze del 25 maggio 2007 con il quale sono stati dichiarati fuori corso, a
decorrere dal 1º settembre 2007, tutti i valori bollati in lire, in lire-euro ed in euro, ad eccezione dei
foglietti e delle marche per cambiali.
In pratica le vecchie marche da bollo non avranno più alcun valore in quanto sostituite
definitivamente dai contrassegni emessi in via telematica dai soggetti autorizzati.
Registrazione telematica delle locazioni
L'imposta di bollo è dovuta in euro 16 per ogni foglio di 100 righe e riscossa con addebito su conto
corrente bancario assieme all'imposta di registro.
L'imposta di bollo è una imposta indiretta che colpisce i consumi (es: l'affitto di un appartamento o
l'emissione di una ricevuta senza IVA) e che ha come presupposto l'esistenza di un atto,
documento o registro, redatto in forma scritta. Per gli atti e documenti soggetti a bollo solo in caso
d'uso (la legge elenca i casi, nella parte seconda della tariffa allegata al decreto istitutivo, ad
esempio ricevute e documenti concernenti ricevimento di denaro, scritture private che non abbiano
per oggetto locazioni, ecc.), l'imposta è dovuta al momento in cui di fa uso dell'atto.
112

Che cosa è

E’ una imposta indiretta che colpisce i consumi (es: l'affitto di un appartamento), che è dovuta
in misura fissa o proporzionale e che ha come presupposto l’esistenza di un atto, documento o
registro, redatto in forma scritta.

A quanto ammonta l’imposta di bolloTorna su

L’imposta è in misura fissa o proporzionale ed è dovuta:

1 - fin dall’origine, per gli atti, documenti, registri, formati nel territorio dello Stato, quali:

• fatture esenti da IVA, se superiori ad € 77,47: imposta pari a € 2,00;


• ricevute senza IVA, se superiori ad € 77,47: € 2,00;
• atti rogati, ricevuti o autenticati da notai, € 230,00;
• domande di concessione o registrazione titoli di proprietà industriale, € 42,00;
• domande di concessione o registrazione di brevetti, € 20,00;
• domande presentate al Registro delle Imprese: € 17,50 per le ditte individuali, € 59,00 per le
società di persone, € 65,00 per le società di capitali;
• istanze, memorie, ricorsi: € 16,00;
• estratti conto bancari: € 34,20 per le persone fisiche, € 100,00 per le persone giuridiche (società o
enti);
• libri contabili per i quali è prevista la vidimazione: € 16,00
• copie di atti; certificati rilasciati dall’Amministrazione pubblica: € 16,00
• sentenze e decreti penali di condanna: € 16,00;
• altri atti e certificati: € 16,00 o altri importi fissi, a seconda dell’atto;
• cambiali emesse e pagabili all'estero, 12 per mille;
• cambiali emesse e pagabili nello Stato, 9 x mille.

2 - In caso d’uso, con criterio analogo a quello relativo all’imposta di registro.

Esistono atti totalmente esenti dall’imposta di bollo, nel caso più frequente le citate fatture o
ricevute di importo inferiore ad € 77,47, oppure gli estratti conto bancari la cui giacenza media
annua sia inferiore ad € 5.000,00.

Il pagamento dell’imposta di bollo

L'imposta di bollo si versa mediante pagamento ad intermediario convenzionato con l'Agenzia


delle entrate, oppure attraverso l'acquisto della carta bollata filigranata, recante impresso il
relativo valore, o della marca da bollo (€ 2,00 ed € 16,00 sono le misure più frequenti).

Ai fini di una corretta applicazione della norma, è opportuno ricordare che:

• sulla carta bollata non è consentito scrivere fuori dai margini, nè eccedere il numero di linee
tracciate;
• su fogli scritti a mezzo stampa, è consentito scrivere fuori dai margini, ma non eccedere le 100
linee per foglio;
• è vietato scrivere o apporre timbri e stampigliature sul bollo;
• è vietato usare carta bollata e marche da bollo deteriorate o già utilizzate.

Per determinate categorie di atti e documenti, l'imposta di bollo può inoltre essere assolta in modo
virtuale, o pagata mediante addebito diretto, in caso di registrazione telematica degli atti.
113

La marca da bollo è annullata, al fine di una sua ulteriore utilizzazione, mediante scrittura della
data o firma del titolare dell'atto.

L'acquisto di valori bollati

L'acquisto di valori bollati può essere effettuato unicamente presso gli uffici autorizzati o presso i
rivenditori di generi di monopolio (ad esempio, i tabaccai).

Lezione 087
01. LA TASSA SUI CONTRATTI DI BORSA

Oggi si chiama Tobin Tax. Prima si chiamava Tassa sui contratti di borsa ed era prevista dal R.D.
n. 3278 del 30 dicembre 1923. Fu abolita nel 2007 per iniziativa del Governo (Presidente Prodi,
Ministro dell’Economia Padoa Schioppa) allo scopo di rendere “conforme il regime tributario
italiano al disposto della direttiva n. 2004/39/CE sui mercati degli strumenti finanziari (MiFID), in
modo da garantire pari condizioni concorrenziali tra le varie possibili sedi di negoziazione. La
norma è volta a rimuovere misure fiscali distorsive della concorrenza.” La relazione precisava pure
che “la perdita di gettito derivante dall'abrogazione della tassa sui contratti di borsa è stata stimata
in circa 2,7 milioni di euro”.

L’art. 12, commi da 20 a 23 della legge di Stabilità approvata dal Governo reintroduce, con la
veste del bollo e a partire dal1° gennaio 2013, questa antica imposta limitandone il campo di
applicazione alla compravendita di azioni e altri strumenti finanziari partecipativi emessi da società
residenti, e alle operazioni su strumenti finanziari derivati escluse quelle su titoli di Stato di Paesi
UE e SEE che consentono un adeguato scambio di informazioni (Islanda e Norvegia).

02. LA TASSA SULLE CONCESSIONI GOVERNATIVE

La tassa sulla concessione governativa (conosciuta anche con l'acronimo TCG) è la tassa da
corrispondere allo Stato italiano dai beneficiari di determinati provvedimenti amministrativi e altri
atti, come ad esempio autorizzazioni, concessioni, licenze, ai sensi del DPR 26 ottobre 1972, n.
641 sulla "Disciplina delle tasse sulle concessioni governative"..
Che cosa sono le tasse sulle concessioni governative
Le tasse sulle concessioni governative, a volte indicate con l’acronimo TCG, sono quelle tasse che
devono essere versate allo Stato da coloro che usufruiscono di licenze, concessioni, autorizzazioni
o altri provvedimenti amministrativi. Secondo il DPR n. 641 del 26 ottobre del 1972, le tasse sulle
concessioni governative possono essere distinte in base alla tipologia: pubblica sicurezza;
commercio, industria e agricoltura; professioni, arti e mestieri; radio, cinema e stampa; altri atti.
Per quel che riguarda la pubblica sicurezza, le TCG per armi, esplosivi e gas tossici hanno a che
fare con il porto di fucile anche per uso di caccia o con il porto di pistole, pistole automatiche,
rivoltelle, bastone animato e armi lunghe da fuoco, mentre quelle per le altre autorizzazioni di
114

polizia hanno a che fare con le attività relative ai metalli preziosi e l’esercizio di case da gioco. Per
quel che riguarda il commercio, l’industria e l’agricoltura, le TCG hanno a che fare con la licenza
per la pesca professionale marittima. Per quel che riguarda professioni, arti e mestieri, le TCG
hanno a che fare con l’iscrizione a ruolo dei periti assicurativi, con l’iscrizione dei mediatori di
commercio, industria, artigianato e agricoltura, con l’iscrizione al registro concessionari del servizio
di riscossione dei tributi, con l’iscrizione all’albo dei mediatori di assicurazione, con l’iscrizione
all’albo degli agenti di assicurazione, con l’iscrizione agli elenchi spedizionieri, con l’iscrizione
all’albo dei costruttori, con l’iscrizione all’albo degli esportatori di ortofrutta e con l’iscrizione all’albo
dei collettori. Per quel che riguarda radio, cinema e stampa, le TCG hanno a che fare con le
diffusioni televisive via cavo, con l’iscrizione dei giornali e dei periodici nel registro della cancelleria
del tribunale, con le diffusioni televisive e radiofoniche via etere in ambito nazionale e in ambito
locale, con i ripetitori per i programmi televisivi, con il libretto di iscrizione alle radiodiffusioni per la
detenzione di apparecchi per la ricezione di diffusioni televisive e con le apparecchiature terminali
per il servizio radiomobile pubblico terrestre di comunicazione.
Come si pagano le tasse sulle concessioni governative
Le tasse sulle concessioni governative possono essere pagate con l’acquisto di un contrassegno
telematico da vidimare o effettuando direttamente il versamento con bollettino postale intestato
all’Agenzia delle Entrate. Inoltre, è possibile anche provvedere al saldo con il modulo F23 usando il
codice tributo 711T. Per gli abbonamenti telefonici per il cellulare, le tasse sulle concessioni
governative sono versate alle compagnie telefoniche, che a loro volta effettuano il saldo allo Stato.
Nel caso in cui non venga pagata una tassa sulla concessione governativa, l’atto per il quale deve
essere versata è da considerarsi nullo; lo stesso vale anche solo per un pagamento in ritardo. Se
le autorità competenti verificano un mancato pagamento, il rischio è quello di incorrere in una
sanzione amministrativa; è previsto, comunque, un periodo di prescrizione di tre anni, trascorso il
quale nulla è più dovuto.
Le tasse sulle concessioni governative per le società di capitali
Le tasse sulle concessioni governative per le società di capitali riguardano la numerazione e la
bollatura dei libri e dei registri contabili. La somma da versare è di 309 euro e 87 centesimi nel
caso in cui l’ammontare del fondo di dotazione o del capitale sia uguale o inferiore a 516.456 euro
e 90 centesimi; è di 516 euro e 46 centesimi nel caso in cui l’ammontare del fondo di dotazione o
del capitale sia superiore a 516.456 euro e 90 centesimi. Per quantificare il fondo di dotazione o il
capitale sociale è necessario prendere come riferimento la data del 1° gennaio dell’anno per cui
viene effettuato il versamento. La tassa vale per le Spa, per le Srl e per le Sapa, incluse quelle
consortili, in liquidazione o meno; il versamento non cambia in base al numero dei registri o dei libri
né a seconda di quante pagine essi presentano.

Le tasse sulle concessioni governative per i telefoni cellulari


Le tasse sulle concessioni governative per i telefoni cellulari hanno un termine di pagamento che
corrisponde con quello stabilito per il versamento del canone contrattuale. Gli utenti di telefonia
mobile che possiedono un contratto di abbonamento devono pagare una TCG di importo fisso, che
è di 12 euro e 91 centesimi per i titolari di partita Iva e per le imprese e di 5 euro e 16 centesimi per
i privati. In realtà, i titolari di partita Iva hanno la possibilità di dedurre all’80% la somma da versare.
Introdotta nel 1995, la tassa sulla concessione governativa per il servizio radiomobile pubblico
terrestre di comunicazione corrisponde a una somma da versare in anticipo rispetto al periodo a
cui è relativa, che corrisponde al bimestre che segue il mese in cui la bolletta del telefono viene
emessa. La TCG non deve essere pagata da chi utilizza un piano ricaricabile.

03. IL CONTRIBUTO UNIFICATO PER LE SPESE DEGLI ATTI GIUDIZIARI


115

Contributo unificato per le spese degli atti giudiziari.

Il Contributo unificato per le spese degli atti giudiziari e' stato istituto con l'articolo 9 della legge 23
dicembre 1999, n. 488.
Il comma 1 del citato articolo prevede che "agli atti e ai provvedimenti relativi ai procedimenti civili,
penali ed amministrativi ... comprese le procedure concorsuali e di volontaria giurisdizione, non si
applicano le imposte di bollo, la tassa di iscrizione a ruolo, i diritti di cancelleria, nonche' i diritti di
chiamata di causa dell'ufficiale giudiziario".
Il successivo comma 2 istituisce, "nei procedimenti giurisdizionali civili e amministrativi, comprese
le procedure concorsuali e di volontaria giurisdizione, indicati al comma 1 ...", il contributo unificato
di iscrizione a ruolo secondo gli importi e i valori indicati nella tabella 1 allegata alla legge n. 488
del 1999.
Il contributo e' anticipato, ai sensi del comma 3, dalla parte che per prima si costituisce in giudizio
o che deposita il ricorso introduttivo.
Come disposto dal comma 11 del citato articolo 9, nel testo modificato dall'articolo 9 della legge 28
dicembre 2001, n. 448, il contributo si applica dal 1 marzo 2002 ai procedimenti iscritti a ruolo a
decorrere dalla medesima data.
Con la presente circolare si intende fornire taluni chiarimenti in ordine agli effetti tributari
conseguenti alle richiamate norme, rinviando, per l'esame di ulteriori profili, alla circolare del
Ministero della Giustizia - Dipartimento per gli affari di Giustizia - del 26 febbraio 2002, n. 1.

Si osserva in via preliminare che le novita' in vigore dal 1 marzo p.v. non interessano l'imposta di
registro dovuta sugli atti giudiziari, la quale continua ad essere applicata in conformita' alle
previsioni dell'articolo 37 del Testo unico delle disposizioni concernenti l'imposta di Registro,
approvato con d.P.R. 26 aprile 1986, n.131, e dell'articolo 8 della tariffa, parte I, allegata allo
stesso decreto.

E' opportuno precisare che il citato articolo 9 della legge n. 488 del 1999 non determina
conseguenze in ordine alle disposizioni sull'imposta di bollo relative al processo tributario.

La stessa norma elenca infatti espressamente e tassativamente i procedimenti ai quali si applica il


contributo unificato. In tale elenco non e' stato inserito il processo tributario.

La speciale giurisdizione tributaria, rispetto a quella civile ed amministrativa, conserva peraltro una
sua specificita', come e' stato affermato dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 53 del 12
marzo 1998, che ha costantemente escluso l'esistenza di un principio costituzionalmente rilevante
di necessaria uniformita' tra i vari tipi di processo (fra le tante si citano le sentenze n. 165 del 31
maggio 2000 e n. 53 del 12 marzo 1998); non contrasta con tali affermazioni la previsione
dell'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 546 che rinvia, per quanto
non previsto dallo stesso decreto, esclusivamente alle norme del codice di procedura civile e non
anche ad ulteriori disposizioni che, come quella in esame, regolano la materia.

A conferma di tale assunto, si evidenzia la peculiare disciplina del processo tributario, per il quale
non era dovuta la preesistente tassa di iscrizione a ruolo, ora assorbita nel contributo unificato.

Ne consegue che in materia di atti e provvedimenti del processo tributario restano invariate le
disposizioni sull'imposta di bollo, in quanto allo stesso processo non si applica il contributo
unificato di iscrizione a ruolo.
Con riferimento alla generalita' dei procedimenti, per quanto non previsto dal citatoarticolo 9,
continua ad applicarsi l'imposta di bollo, dovuta in particolare per le istanze e le domande
presentate sotto qualsiasi forma, nonche' per le copie dichiarate conformi e gli atti stragiudiziali
compiuti da uffici giudiziari, ai sensi degli articoli 1 e 3 della tariffa allegata al d.P.R. 26 ottobre
1972, n. 642. In tal senso si e' pronunciato anche il Ministero della Giustizia con la circolare sopra
richiamata.

Il comma 8 dell'articolo 9 gia' citato stabilisce che il contributo unificato non e' dovuto per i
116

procedimenti che le norme vigenti esentano - senza limiti di competenza o di valore - "dall'imposta
di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura". Si ritiene che
l'esenzione dal contributo unificato opera anche per i procedimenti che, pur esenti dall'imposta di
registro e di bollo, siano soggetti al pagamento dei diritti. Tra questi procedimenti rientrano, ad
esempio, quelli relativi allo scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio (articolo 19
della legge 6 marzo 1987, n. 74) e quelli relativi a controversie individuali di lavoro (articolo 10
comma 1, legge 11 agosto 1973, n. 533).

Il beneficio e' esteso, dallo stesso comma 8, ai procedimenti di rettificazione di cui all'articolo 454
del Codice Civile, cioe' a tutti quei procedimenti con i quali si ottiene che il giudice ordini la
correzione, la ricostruzione o la costituzione di un atto dello stato civile.

Per le modalita' di pagamento del contributo unificato si rinvia al d.P.R. n. 126 del 1 marzo 2001
(Regolamento recante la disciplina delle modalita' di versamento del contributo unificato) e ai
provvedimenti del Direttore dell'Agenzia delle Entrate del 12 febbraio 2002 (Approvazione del
modello per la comunicazione di versamento) e del 19 febbraio 2002 (Approvazione del nuovo
modello di bollettino di conto corrente postale per il versamento del contributo unificato). Con
separato atto saranno impartite istruzioni in ordine alla compilazione dei modelli di versamento.
Le Direzioni Regionali vigileranno sulla corretta applicazione delle presenti istruzioni.

Lezione 089

01. SONO SOGGETTI ALL'IRAP:

I LAVORATORI AUTONOMI, GLI IMPRENDITORI INDIVIDUALI, LE SOCIETA' DI PERSONE, DI CAPITALI E GLI ENTI

02. L'IRAP E' UN'IMPOSTA:

SUL VALORE DELLA PRODUZIONE NETTA

03. L'IRAP SUGLI ENTI NON COMMERCIALI SI CALCOLA:


SUGLI ONERI DEL PERSONALE

04. ENTI NON COMMERCIALI E IRAP

GLI ENTI NON COMMERCIALI SONO SOGGETTI A IRAP SIA PER L'ATTIVITA' ISTITUZIONALE SIA PER L'EVENTUALE ATTIVITA'
COMMERCIALE

05. L'IRAP E'

L'IMPOSTA REGIONALE SULLE ATTIVITA' PRODUTTIVE

06. IL CANDIDATO ILLUSTRI I PRESUPPOSTI OGGETTIVI E SOGGETTIVI DELL'IRAP

Il D. Lgs. n. 446 del 15 dicembre 1997, le cui disposizioni sono in vigore dal 1° gennaio 1998, ha
introdotto nel nostro ordinamento l'imposta regionale sulle attività produttive (Irap) apportando
117

profonde modifiche strutturali al sistema tributario vigente ed attuando un significativo


decentramento del prelievo fiscale dallo Stato alle Regioni, attraverso la dotazione a queste ultime
dell'autonomia finanziaria necessaria per svolgere una diretta e responsabile politica di bilancio.

Strutturalmente l'imposta ha come caratteri essenziali: - di essere un'imposta locale, in quanto


applicabile solo alle attività produttive esercitate nel territorio di ciascuna Regione dello Stato (art.
1 comma 1, del D.Lgs. n. 446/97); - essa si configura, inoltre, come una imposta reale e oggettiva,
la quale prende in esame non il soggetto passivo ma le tipologie di attività da lui esercitate (art. 1
comma 2, del D.Lgs. n. 446/97); - in ultimo, l' irap è un’ imposta indeducibile dalla base imponibile
delle imposte sui redditi (art. 1 comma 2, del D.Lgs. n. 446/97).

1. Presupposto soggettivo Con riguardo al presupposto soggettivo dell'imposta, sono


considerati soggetti passivi ai fini irap coloro i quali esercitano abitualmente una o più
attività autonomamente organizzate dirette alla produzione o allo scambio di beni ovvero
alla prestazione di servizi (art. 3 co. 1 del D.Lgs. 446/97). Pertanto, qualora un soggetto
eserciti contemporaneamente sia attività d’impresa che attività artistica o professionale, lo
stesso dovrà determinare distintamente la base imponibile relativa a ciascuna attività (C.M.
4.6.98 n. 141/E, § 2.1).
2. Sono soggetti passivi dell' Irap:
3. le società di capitali, le cooperative e le mutue assicuratrici, le società in nome
collettivo ed in accomandita semplicee le società ad esse equiparate, le persone
fisiche esercenti attività d'impresa e attività di lavoro autonomo, residenti nel territorio
dello Stato, le società semplici e le associazioni senza personalità giuridica costituite
tra persone fisiche per l’esercizio in forma associata di arti e professioni, residenti nel
territorio dello Stato, i produttori agricoli titolari del reddito agrario (con esclusione di quelli
con volume di affari annuo non superiore a 2.582,28 o 7.746,85 Euro esonerati dagli
adempimenti IVA di cui all'art. 34, comma 6, del D.P.R. 633/73., gli enti privati non
commerciali, ivi inclusi i trust, di cui all'art. 73, comma 1, lett. c), del D.P.R. 917/86;
4. le Amministrazioni pubbliche, le stabili organizzazioni, le basi fisse o gli uffici di
soggetti non residenti (art. 3 co. 1 lett. e) del D.Lgs. 446/97 e C.M. 4.6.98 n. 141/E, § 2.1)

Soggetti esclusi Non sono soggetti passivi IRAP (art. 3 co. 2 del D.Lgs. 446/97, C.M.
4.6.98 n. 141/E, § 2.2):
i fondi comuni d'investimento,
-i fondi pensione: l'amministrazione ha poi chiarito che i fondi pensione sono ritenuti
soggetti esclusi anche qualora siano interni, ossia istituiti nell'ambito del patrimonio di una
singola società o ente pubblico a norma dell' art. 2217 del Codice Civile (Agenzia delle
Entrate, Ris. Min. 22 ottobre 2004, n. 131/E).
- i gruppi europei di interesse economico (GEIE) (art. 3 comma 2, del D.Lgs. 446/97).
Sono altresì esclusi dall’ambito di applicazione dell’imposta: • i soggetti titolari di reddito
agrario; • i contribuenti minimi che si avvalgono del regime di cui all’art. 1 co. 96 e ss. della
L. 244/2007; • i titolari di redditi di natura occasionale, sia d’impresa sia di lavoro autonomo
(di cui all’art. 67 co. 1 lett. i) e l) del TUIR), mancando, in tale ipotesi, il presupposto
oggettivo del tributo; • i titolari di redditi di collaborazione coordinata e continuativa; • i
titolari degli “altri” redditi di lavoro autonomo, non derivanti dall’esercizio di arti o professioni
(di cui all’art. 53 co. 2 del TUIR); • gli incaricati di vendita a domicilio soggetti alla ritenuta a
titolo d’imposta; • le società semplici titolari di redditi derivanti dalla concessione in affitto di
terreni o fabbricati.
1.2. Casi particolari 1.2.1. Trust
118

Distinguendo a seconda della tipologia di attività esercitata e della residenza fiscale, il trust
può essere assimilato: • agli enti commerciali residenti (art. 73 co. 1 lett. b) del TUIR), se ha
per oggetto esclusivo o principale l’esercizio di attività commerciali; • agli enti non
commerciali residenti (art. 73 co. 1 lett. c) del TUIR), se non ha per oggetto esclusivo o
principale l’esercizio di attività commerciali; • agli enti non residenti, se ha residenza fiscale
all’estero.
1.2.2. Amministrazioni Pubbliche
Rientrano tra le Amministrazioni pubbliche e sono quindi soggetti passivi IRAP (circ.
Agenzia delle Entrate 19.11.2007 n. 61, § 1.3, istruzioni alla dichiarazione IRAP 2009): •
tutte le Amministrazioni dello Stato, ivi compresi gli istituti e le scuole di ogni ordine e grado
e le istituzioni educative; • le aziende ed amministrazioni dello Stato ad ordinamento
autonomo; • le Regioni, le Province, i Comuni, le Comunità montane, e loro consorzi ed
associazioni; • le istituzioni universitarie; • gli Istituti autonomi case popolari (IACP) e gli enti
di edilizia residenziale pubblica aventi le stesse finalità degli IACP, comunque denominati,
istituiti in attuazione dell’art. 93 del DPR 24.7.77 n. 616; • le Camere di commercio e loro
associazioni; • tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali; • le
amministrazioni, le aziende e gli enti del Servizio sanitario nazionale; • l’Agenzia per la
rappresentanza negoziale delle Pubbliche Amministrazioni (ARAN); • le Agenzie di cui al
D.Lgs. 30.7.99 n. 300. 1.2.3. Soggetti in liquidazione volontaria o sottoposti a
procedure concorsuali Sono assoggettabili al tributo anche i soggetti (C.M. 4.6.98 n.
141/E, § 2.1, C.M. 12.11.98 n. 263/E, § 2.14): • in liquidazione volontaria; • sottoposti a
procedura fallimentare (fallimento e liquidazione coatta amministrativa), a condizione che vi
sia esercizio provvisorio. E' stato inoltre ritenuto che le imprese in amministrazione
straordinaria che non svolgono, in quanto non appositamente autorizzate, attività
imprenditoriale sono parimenti escluse dall'ambito soggettivo di applicazione
dell' Irap (Agenzia delle Entrate, Ris. Min. 7 ottobre 1998, n. 153/E). Per converso, non
beneficiano della medesima esclusione i soggetti in liquidazione volontaria e quelli
sottoposti ad una procedura fallimentare (i.e. fallimento e liquidazione coatta
amministrativa) la quale comporti il c.d. esercizio provvisorio (Agenzia delle Entrate, Circ. 4
giugno 1998, n. 141/E). 1.2.4. GEIE Il GEIE, anche se non è soggetto passivo IRAP, è
comunque tenuto alla determinazione della base imponibile secondo le disposizioni
previste per le società di capitali e gli enti commerciali (ai sensi dell’art. 5 del D.Lgs.
446/97), al fine di consentirne l’attribuzione ai soci (art. 13 co. 1 del D.Lgs. 446/97 e C.M.
4.6.98 n. 141/E, § 2.3). Agli effetti dell’IRAP dovuta dai partecipanti, il valore della
produzione netta dei GEIE residenti o delle stabili organizzazioni di gruppi non residenti, è
imputato a ciascun membro (art. 13 co. 1 del D.Lgs. 446/97 e C.M. 4.6.98 n. 141/E, § 2.3):
- nella proporzione prevista dal contratto di gruppo; - in mancanza, in parti uguali.
Ciascun membro del gruppo è obbligato in solido con gli altri al versamento dell’imposta
dovuta sul valore prodotto (art. 13 co. 4 del D.Lgs. 446/97). 1.2.5. Produttori
Agricoli Non rientrano tra i soggetti passivi IRAP (a condizione che non svolgano altre
attività rilevanti ai fini del tributo) i produttori agricoli con volume d’affari annuo non
superiore a 7.000,00 euro, i quali si avvalgono del regime speciale di esonero degli
adempimenti IVA, sempreché non vi abbiano rinunciato (art. 3 co. 1 lett. d) del D.Lgs.
446/97). Tuttavia, essi assumono veste di soggetti passivi IRAP se nell’anno di riferimento
hanno superato il limite di 1/3 per le operazioni diverse da quelle indicate nell’art. 34 co. 1
del DPR 633/72, a meno che il superamento dipenda da cessioni di beni ammortizzabili
che non concorrono alla determinazione del volume d’affari IVA. 1.2.6. Collaboratori
Coordinati e Continuativi e Lavoratori a Progetto I titolari di redditi derivanti da rapporti
119

di collaborazione coordinata e continuativa ex art. 50 co. 1 lett. c-bis) del TUIR, anche nella
forma a progetto (es. amministratori, sindaci o revisori di società) sono esclusi da IRAP. Si
tratta infatti di redditi assimilati, a partire dall’1.1.2001, a quelli di lavoro dipendente, non
ricollegabili all’esercizio di arti e professioni (C.M. 4.6.98 n. 141/E, § 2.2). Qualora i
rapporti di collaborazione rientrino nell’oggetto dell’arte o della professione, i compensi
vengono attratti tra i redditi di lavoro autonomo professionale (art. 53 co. 1 del TUIR). È il
caso, ad esempio, dei compensi percepiti da dottori commercialisti per l’attività di
amministratore, di sindaco o di revisore. Tuttavia, anche in tale ipotesi, opererebbe
l’esclusione da IRAP, in quanto il professionista, pur se in possesso di un’“autonoma
organizzazione”, non se ne avvarrebbe per l’esercizio dell’attività di amministratore,
essendo inserito nella struttura della società (Cass. 9.5.2007 n. 10594). Di diverso avviso la
ris. Agenzia delle Entrate 25.3.2009 n. 78, secondo cui la sussistenza o meno dei
presupposti per l’applicazione dell’IRAP va verificata in relazione al complesso dell’attività
svolta dal professionista. Pertanto, anche i compensi percepiti per l’attività di sindaco
concorrerebbero alla formazione della base imponibile, se il professionista fosse altrimenti
dotato di un’autonoma organizzazione. 1.2.7. “Altri” Lavoratori Autonomi Sono altresì
esclusi da IRAP gli esercenti attività che danno luogo ai redditi di cui all’art. 53 co. 2 del
TUIR, assimilati a quelli di lavoro autonomo ma non ricollegabili all’esercizio di arti e
professioni, vale a dire: • i redditi derivanti dall’utilizzazione economica di opere
dell’ingegno da parte dell’autore, se non conseguiti nell’esercizio di imprese commerciali; •
le partecipazioni agli utili spettanti agli associati in partecipazione, quando l’apporto è
costituito esclusivamente dalla prestazione di lavoro; • le partecipazioni agli utili spettanti ai
promotori e ai soci fondatori di spa, sapa e srl; • le indennità per la cessazione di rapporti di
agenzia; • i redditi derivanti dall’attività di levata dei protesti esercitata dai segretari
comunali; • i redditi derivanti dalle prestazioni sportive oggetto di attività di lavoro autonomo
di cui alla L. 91/81. 1.2.8. Società Semplici Immobiliari Le società semplici titolari di
redditi derivanti dalla concessione in affitto di terreni o fabbricati non costituiscono soggetti
passivi IRAP, ai sensi del combinato disposto degli artt. 2 e 3 del D.Lgs. 446/97 (C.M.
4.6.98 n. 141/E, § 2.2). 1.2.9. Contribuenti Minimi I contribuenti che si avvalgono del c.d.
regime dei minimi (di cui all’art. 1 co. 96 - 117 della L. 296/2006) sono esenti da IRAP. Tali
soggetti sono, quindi, esonerati dall’obbligo di presentare la relativa dichiarazione (art. 19
del D.Lgs. 446/97). Posto che il regime è applicabile dal periodo d’imposta 2008,
l’esenzione “automatica” dall’imposta per i contribuenti che adottano il regime agevolato ha
effetto soltanto a partire dalle dichiarazioni relative al periodo d’imposta 2008. 1.2.10.
Soggetti in possesso dei requisiti di accesso che non applicano il regime Gli uffici
dell’Amministrazione finanziaria possono considerare non sussistente il presupposto
dell’autonoma organizzazione e, quindi, ritenere non assoggettato ad imposta l’artista o il
professionista che possa considerarsi “contribuente minimo”, a prescindere dalla
circostanza che lo stesso si sia avvalso o meno del relativo regime fiscale (circ. Agenzia
delle Entrate 13.6.2008 n. 45, § 5.4.2). 1.3. LA RESIDENZA AI FINI IRAP Per
l’individuazione della residenza dei soggetti passivi, anche ai fini IRAP si applicano le
disposizioni in materia di imposte sui redditi, di cui agli artt. 2, 5 co. 3 lett. d) e 73 co. 3 del
TUIR (C.M. 4.6.98 n. 141/E, paragrafo 2.1). 1.3.1. Residenza delle Persone Fisiche Ai
fini delle imposte sui redditi sono considerate residenti (art. 2 co. 2 del TUIR) le persone
fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta: • sono iscritte nelle anagrafi
comunali della popolazione residente; • ovvero hanno il domicilio nel territorio dello Stato ai
sensi dell’art. 43 co. 1 c.c.; • ovvero hanno la residenza nel territorio dello Stato ai sensi
dell’art. 43 co. 2 c.c. Le tre condizioni sopra richiamate sono tra loro alternative; sarà
120

pertanto sufficiente il verificarsi di una sola di tali condizioni affinché un soggetto sia
considerato fiscalmente residente nel territorio dello Stato. 1.3.2. Trasferimento della
residenza in paradisi fiscali L’art. 10 della L. 23.12.98 n. 448 ha provveduto ad integrare i
criteri fissati dall’art. 2 del TUIR per l’individuazione della residenza nei confronti delle
persone fisiche emigrate in paradisi fiscali (art. 2 co. 2-bis del TUIR). Tali soggetti si
considerano residenti in Italia, salvo prova contraria. 1.3.3. Residenza delle Società e
degli Enti Ai fini delle imposte dirette, si considerano residenti le società e gli enti che, per
la maggior parte del periodo d’imposta, hanno nel territorio dello Stato, in alternativa (artt. 5
co. 3 lett. d) e 73 co. 3 del TUIR): • la sede legale; • la sede dell’amministrazione; • l’oggetto
principale dell’attività. Pertanto, se uno dei tre predetti elementi è localizzato nel territorio
dello Stato, è irrilevante la circostanza che la società sia costituita all’estero. In pratica, per
stabilire la residenza nel territorio dello Stato: • il primo elemento cui fare riferimento è la
sede legale; • se la sede legale non risulta fissata in Italia, occorre guardare alla sede
amministrativa; • se neppure la sede amministrativa è localizzata nel nostro Paese, occorre
fare riferimento all’oggetto principale dell’attività.

2. Presupposto oggettivo L’ art. 2, primo periodo, del D.Lgs. n. 446/97 definisce il presupposto
oggettivo dell' irap. Esso è rappresentato dall'esercizio abituale di un'attività, autonomamente
organizzata, diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi.
L’attività esercitata dalle società e dagli enti, quindi, compresi gli organi e le amministrazioni dello
Stato, costituisce in ogni caso presupposto dell'imposta (art. 2, secondo periodo, del D.Lgs. n.
446/97 e Agenzia delle Entrate, Circ. 4 giugno 1998, n. 141/E). Sono esclusi dall'ambito di
applicazione del tributo tutte le attività che, pur potendosi ricondurre all'esercizio di arti o di
professioni, non sono tuttavia esercitate mediante un'organizzazione autonoma da parte del
soggetto passivo d'imposta: è il caso dell'attività di collaborazione coordinata e continuativa o di
lavoro a progetto che si configura come tale solo se non vengono impiegati propri mezzi
organizzati (Agenzia delle Entrate, Circ. 4 giugno 1998, n. 141/E). In particolare, l'esistenza seppur
minima del requisito dell'organizzazione è una caratteristica tipica del lavoro autonomo e che lo
differenzia dal lavoro dipendente.

Lezione 090
01. L'IRAP GRAVA SUI TERRENI?

NO

02. L'IMU E':


UNA IMPOSTA DIRETTA-PATRIMONIALE

03. IL CANDIDATO ILLUSTRI IL MODO IN CUI VIENE DETERMINATALA BASE IMPONIBILE IRAP

La base imponibile IRAP, sulla quale si calcolano le imposte da pagare, in generale si


determinata sottraendo al valore della produzione lorda i costi di produzione ma, in realtà, la
determinazione precisa (produzione netta) cambia a seconda della tipologia di impresa o attività e
121

del regime di contabilità. Vediamo una breve sintesi delle diverse modalità per calcolare la base
imponibile IRAP.

Imprese in contabilità ordinaria

Le imprese in contabilità ordinaria che determinano il valore della produzione secondo le regole
delle società di capitali e degli enti commerciali (articolo 5-bis, comma 2, modificato dall’articolo 16,
comma 4, Dlgs 175/2014), calcolano la base imponibile come differenza fra valore e costi di
produzione, dai quali però bisogna escludere le seguenti voci (come risultano dal conto economico
di esercizio):

• costi del personale: salari, oneri sociali, trattamento di fine rapporto, trattamento di quiescenza
e simili, tutti gli altri costi;
• svalutazioni delle immobilizzazioni, svalutazioni dei crediti compresi nell’attivo circolante e delle
disponibilità liquide;
• accantonamenti per rischi: anche se vengono imputate ad altre voci dello schema di conto
economico. Diventano deducibili quando vengono effettivamente sostenuti;
• altri accantonamenti.

Concorrono alla formazione del valore della produzione plusvalenze e minusvalenzederivanti


dalla cessione di immobili che non costituiscono beni strumentali all’esercizio di impresa o beni alla
cui produzione o scambio è diretta l’attività di impresa. Per quanto riguarda le quote di
ammortamento del costo sostenuto per l’acquisizione di marchi d’impresa e a titolo di
avviamento, sono ammesse in deduzione in misura non superiore a un diciottesimo del costo,
indipendentemente dall’imputazine a conto economico.

Imprese individuali e società di persone

Le imprese che non calcolano il valore della produzione secondo le regole delle società di capitali,
qualunque sia il regime di contabilità adottato, determinano la base imponibile sottraendo a ricavi e
variazione delle rimanenze finali i costi di materie prime, sussidiarie e di consumo, merci, servizi,
ammortamento, canoni di locazione anche finanziaria dei beni strumentali materiali e immateriali.
Non sono deducibili:

• le spese per il personale dipendente e assimilato;


• compensi per attività commerciali e prestazioni di lavoro autonomo non esercitate
abitualmente;
• utili spettanti agli associati in partecipazione;
• quota interessi dei canoni di locazione finanziaria, le perdite sui crediti, l’IMU.

Altre imprese

• Imprese in regime forfettario: calcolano la base imponibile aumentando il reddito d’impresa,


determinato forfettariamente, dell’importo delle retribuzioni e degli altri compensi di lavoro non
deducibili ai fini IRAP e degli interessi passivi;
• produttori agricoli: possono scegliere i criteri ordinari, oppure se sommano anche un’attività di
agriturismo in regime forfettario, cumulare i dati delle due attività. In quest’ultimo caso, però, non
possono operare eventuali compensazioni fra risultati positivi e negativi;
• esercenti arti e professioni: sottraggono dai compensi percepiti i costi sostenuti per l’attività
professionale, compreso l’ammortamento dei beni materiali e immateriali ed escludendo
interessi passivi e spese personale dipendente.

Riepilogando:
1. Prima si calcola l’ammontare del costo del lavoro, sia a tempo indeterminato che
determinato;
122

2. Poi si sottraggono le eventuali deduzioni (V. n. 1) per incremento occupazionale;


3. Poi si calcolano le deduzioni per Cuneo Fiscale (V. n. 2) o della lett. A oppure della lett. B);
4. Poi si calcolano le residue deduzioni inerenti il costo del lavoro a tempo indeterminato, da
indicare separatamente al rigo IS7;
5. Si fa la differenza tra 1 e la somma di 2+3+4, ottenendo l’imponibile Irap del costo del
personale;

Lezione 091

01. COME SI DETERMINA IL VALORE DELLA PRODUZIONE NETTA AI FINI IRAP

L’IRAP non colpisce le classiche grandezze economiche oggetto di imposizione fiscale ovvero
reddito, patrimonio o consumo.

L’IRAP colpisce una grandezza economica molto particolare che prende il nome di valore della
produzione netta. In questo senso l’IRAP rappresenta un unicum nel panorama europeo
paragonabile forse solo alla Taxe professionelle francese ed alla Gewerbesteuer tedesca.

Cos’è il valore della produzione netta ai fini IRAP?

Il valore della produzione netta, in via generalissima, è rappresentato dal valore aggiunto della
produzione - differenza tra voce A e voce B dello schema di conto economico obbligatorio
previsto dal codice civile - al netto degli ammortamenti.

Lezione 092

01. L'IMU

IMU è l'acronimo di Imposta Municipale Unica. Ha sostituito la vecchia Ici, l’Irpef e le relative
addizionali regionali e comunali calcolate sui redditi fondiari riferiti ad immobili non locati.
Tale imposta è stata istituita anticipatamente ed in via sperimentale dall'art. 13 del Decreto Legge
del 6 dicembre 2011, n.201, convertito con modificazioni dalla Legge 22 dicembre 2011, n.214 e
disciplinata dal medesimo articolo 13 e dagli articoli 8 e 9 del D.lgs. 14 marzo 2011, n.23.
Ulteriori modifiche si sono avute con la legge di Stabilità 2014 che ha abolito l'Imu sulla prima
casa, tranne alcune eccezioni.
Chi paga l'IMU?
Dovrà essere pagato dai proprietari di immobili o i titolari di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi e
superficie.
In particolare sono soggetti all'IMU:
1 Il proprietario di immobili, cioè colui che ha il diritto di godere e disporre di una
cosa in modo pieno ed esclusivo;
2 i titolari di usufrutto, consistente nella facoltà di godere e usare il bene “come se ne
fosse il proprietario”;
3 i titolari di uso, consistente nella facoltà di servirsi dell'immobile, limitatamente ai
bisogni della propria famiglia;
123

4 i titolari di abitazione, consistente nel diritto di abitare l'immobile solo per i bisogni
del titolare del diritto e della sua famiglia;
5 i titolari di superficie, che consiste nell'edificare e mantenere una costruzione al di
sopra (o al di sotto) di un fondo di proprietà altrui;
6 i titolari di enfiteusi, cioè il godimento di un bene altrui con l’obbligo di migliorarlo e
di pagare un canone periodico;
7 l’ex coniuge assegnatario dell’immobile, a seguito di separazione, divorzio o
annullamento di matrimonio, in quanto titolare del diritto di abitazione.
8 il locatario, cioè colui che fruisce del bene, nel caso di immobili concessi in
locazione finanziaria (leasing) per tutta la durata del contratto;
9 il concessionario di aree demaniali ( es., il concessionario di uno stabilimento
balneare).
L'Imu con la legge di Stabilità 2014 non è più dovuta sulla prima casa e relative pertinenze.
L'unica eccezione riguarda il caso in cui l’immobile è indicato come di lusso, quindi rientrante nelle
categorie catastali A/1, A/9 e A/8 per le quali continua ad applicarsi l'aliquota ridotta e la
detrazione di 200 euro.
L'Imu resta invece in vigore sulla seconda casa.
Immobili concessi in comodato gratuito: La Legge di Stabilità 2016 ha eliminato le
impostazioni valide per gli anni precedenti che permettevano ai Comuni di introdurre a loro
piacimento l'assimilazione degli immobili concessi in comodato gratuito all'abitazione principale.
Dal 2016 queste abitazioni saranno soggette ad aliquota ordinaria, salvo che non si rispettino le
condizioni previste per la nuova forma di comodato gratuito, il quale pero' prevede “solo” una
riduzione del 50% della base imponibile.

Lezione 094

01. COS'E' L'ADDIZIONALE COMUNALE ALL'IRPEF

L’addizionale comunale all’IRPEF è un’imposta che si applica al reddito complessivo determinato


ai fini dell’IRPEF nazionale ed è dovuta se per lo stesso anno risulta dovuta quest’ultima. E’ facoltà
di ogni singolo comune istituirla, stabilendone l’aliquota e l’eventuale soglia di esenzione nei limiti
fissati dalla legge statale.

L’addizionale comunale IRPEF è una imposta istituita nel 1998 e successivamente modificata tra il
1999 e il 2007, con articolazione in due aliquote distinte. La prima delle due componenti è relativa
all’aliquota di compartecipazione dell’addizionale Irpef, ed è stabilita in misura uguale per tutti i
Comuni: ogni anno il Ministero delle Finanze stabilisce la proporzione, senza gravare come
aggiunta impositiva ulteriore rispetto all’Irpef. La seconda è relativa all’aliquota opzionale,
stabilita dai singoli Comuni, e in grado di rappresentare un’aggiunta impositiva per i contribuenti
rispetto a quanto già si paga a titolo di Irpef.
L’aliquota viene stabilita da ogni Comune fino a un limite massimo dello 0,8%. L’Irpef è pagata
da tutti i contribuenti, fatta eccezione per quelli che sono già soggetti alle imposte sui redditi delle
persone giuridiche, a quelli che possiedono solo redditi esenti Irpef (o redditi soggetti a tassazione
separata) e contribuenti che possiedono un reddito imponibile Irpef inferiore alle soglie minime
contemplate.

02. IL CANDIDATO ILLUSTRI I TRIBUTI COMUNALI


Che cosa sono i tributi locali

I tributi locali sono fondi di finanziamento per i servizi che vengono erogati dagli enti locali. Essi
comprendono la Tosap e la Cosap, cioè la Tassa per l’Occupazione di Spazi e Aree Pubbliche,
124

l’Icpa, cioè l’Imposta Comunale Pubblicità e Affissioni, e l’Iuc, cioè l’Imposta Unica Comunale su
casa e rifiuti. La Iuc a sua volta include la Tasi, cioè la Tassa sui Servizi Indivisibili, l’Imu, cioè
l’Imposta Municipale (quella che un tempo era chiamata Ici, cioè Imposta Comunale Immobili) e la
Tari, cioè la Tassa sui Rifiuti (quella che un tempo era chiamata Tarsu, cioè Tassa Smaltimento
Rifiuti Solidi Urbani, e ancora prima Tares, cioè Tassa Rifiuti e Servizi).
I tributi locali sono prestazioni coattive a livello del patrimonio dei contribuenti, i quali sono tenuti a
versare agli enti locali una parte dei propri beni.

Tributi locali e ingiunzione fiscale

L’ingiunzione fiscale per i tributi locali è un ordine di pagamento che viene emesso da un ente
locale, il quale ha la facoltà di dare il via alle procedure esecutive nel caso in cui il soggetto
intimato non provveda al pagamento entro un determinato limite di tempo, così che i suoi beni
possano essere pignorati. Attraverso l’ingiunzione fiscale, in sostanza, gli enti locali hanno la
possibilità di riscuotere le entrate che sono a loro dovute sfruttando una procedura più rapida di
quelle che possono essere usate dai privati.

Se negli anni passati l’istituto sembrava essere stato progressivamente messo da parte e sostituito
dalla riscossione mediante ruolo, negli ultimi tempi un’evoluzione legislativa ha fatto sì che
l’ingiunzione fiscale tornasse in auge e permettesse ai Comuni (e, in misura minore, agli altri enti
locali) di riscuotere i patrimoni locali e le entrate tributarie al posto dell’agenzia di riscossione
solitamente deputata (cioè Equitalia o, in Sicilia, Riscossione Sicilia). In pratica oggi le
amministrazioni comunali non sono obbligate a ricorrere all’ingiunzione fiscale ma hanno la libertà
di sceglierla, al fine di riscuotere non solo le imposte locali, ma anche le entrate patrimoniali e le
sanzioni amministrative.
L’ingiunzione fiscale dei tributi locali può essere emessa o da un organo dell’ente locale stesso o
da un soggetto terzo che sia stato appositamente delegato, a condizione che ciò non comporti per
il contribuente degli oneri aggiuntivi. Un albo dei soggetti privati abilitati all’attività di accertamento
dei tributi è a disposizione presso il Ministero delle Finanze. L’attività di riscossione può essere
affidata anche a una società con capitale pubblico a patto che essa operi unicamente nell’ambito
territoriale dell’ente, che possa essere controllata dall’ente e che la parte più consistente delle
proprie attività sia realizzata con l’ente.

tributi locali sono, o possono essere, a seconda delle varie Regioni e Comuni:

1. IUC (Imposta unica Comunale su casa e rifiuti), compresa di:


o Tari (Tassa sui rifiuti) ex:
TaRSU (Tassa smaltimento Rifiuti Solidi Urbani;
TARES (Tassa Rifiuti E Servizi (dal 1 gennaio 2013);
Tia (Tariffa igiene ambientale);
o IMU (Imposta MUnicipale) ex ICI (Imposta Comunale Immobili);
o TASI (Tassa sui Servizi Indivisibili)
2. ICPA (Imposta Comunale Pubblicità e Affissioni);
3. Tosap e Cosap (Tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche )
125

L'imposta unica comunale (IUC) è uno dei tributi locali il cui presupposto è costituito dal
possesso o dalla occupazione, a vario titolo, di immobili ubicati nel comune, in sostituzione di
imposte ora soppresse, in particolare l'IMU sulla abitazione principale e la Tassa per la raccolta
dei rifiuti.

La IUC, introdotta dalla legge di stabilità 2014, è una imposta destinata al comune e articolata
in tre distinti tributi, con differenti presupposti impositivi: la TARI, la TASI, l'IMU.

L'IMU (Imposta MUnicipale) è uno dei tributi locali: è entrata in vigore dal 1° gennaio 2012 in
via sperimentale, e a regime dal 1° gennaio 2015, in sostituzione di ICI, Irpef dovuta sugli
immobili non locati e relative addizionali regionali e comunali.

L'IMU, nella sua versione originaria, si differenziava pertanto dall'ICI, in quanto tributo
sostitutivo di imposte dirette (l'IRPEF sugli immobili) e ripartito fra l'erario (lo Stato), e il singolo
comune, al quale spettava il 50% dell'imposta sugli immobili diversi dalla abitazione principale,
delle relative pertinenze, dei fabbricati rurali ad uso strumentale.

La TARI (tassa rifiuti), in precedenza Tarsu, Tia, Tares


La TARI (tassa rifiuti) sostituisce, a decorrere dal 1° gennaio 2014, i preesistenti tributi dovuti al
Comune da cittadini, enti ed aziende quale pagamento del servizio di raccolta e smaltimento dei
rifiuti, noti con l'acronimo di TARSU, e successivamente di TIA e di TARES. La nuova tassa
conserva tuttavia taluni presupposti e modalità di determinazione della tassa soppressa, alla quale
la legge rimanda per la determinazione del nuovo tributo.

Tassa occupazione suolo pubblico


La Tassa per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche è il tributo dovuto per l'occupazione di spazi
appartenenti a beni demaniali (i beni dello Stato) o al patrimonio indisponibile degli enti locali,
come strade, corsi, piazze, aree private gravate da servitù di passaggio (ossia la limitazione,
imposta al proprietario, del godimento del bene a favore di altri, in tal caso il passaggio di altri
sull'area privata), spazi sovrastanti e sottostanti il suolo pubblico, comprese condutture e impianti,
zone acquee adibite all'ormeggio di natanti in rivi e canali.

Lezione 095
01. IL CANDIDATO ILLUSTRI LE FONTI NORMATIVE DELL'UNIONE EUROPEA

l sistema giuridico dell'Unione europea è costituito dall'insieme di norme che regolano


l'organizzazione e lo sviluppo dell'Unione europea e i rapporti tra questa e gli Stati membri.
Le fonti del diritto dell'Unione europea sono di tre tipi: le fonti primarie, le fonti derivate e le fonti
complementari.

Fonti di diritto primario


Trattati istitutivi e Trattati di modifica[modifica | modifica wikitesto]
Norme primarie del sistema giuridico dell'Unione europea sono in primo luogo le norme
convenzionali contenute nei Trattati istitutivi delle Comunità europee e dell'Unione europea ed in
quegli accordi internazionali successivamente stipulati per modificare ed integrare i primi.
Il nucleo principale dell'ordinamento giuridico dell'Unione europea è rappresentato dai Trattati che
hanno istituito le Comunità europee e l'Unione europea, ossia:
126

• il Trattato costitutivo della CECA (Comunità europea del carbone e dell'acciaio), firmato a
Parigi il 18 aprile 1951 ed entrato in vigore il 23 luglio 1952, insieme ai due Protocolli sullo
Statuto della Corte di giustizia e sui privilegi e le immunità;
• i Trattati costitutivi della CEE (Comunità economica europea) e della CEEA (Comunità
europea dell'energia atomica) o Euratom, firmati a Roma il 25 marzo 1957 ed entrati in vigore il
1º gennaio 1958, insieme allo Statuto della Corte di giustizia, nonché alla Convenzione su
talune istituzioni comuni;
• il Trattato istitutivo dell'Unione europea, firmato a Maastricht il 7 febbraio 1992 ed entrato in
vigore il 1º novembre 1993.
A questi atti devono aggiungersi quelli che nel corso del tempo hanno modificato o integrato le
disposizioni originarie:

• il Trattato sulla fusione degli esecutivi, firmato a Bruxelles l‘8 aprile 1965 ed entrato in vigore il
1 luglio 1967 (ora abrogato dal Trattato di Amsterdam che ne ha però conservato le
disposizioni principali), che ha istituito un Consiglio unico ed un'Assemblea unica per tutte e tre
le Comunità, senza per questo procedere ad una fusione giuridica delle stesse;
• l‘Atto Unico Europeo, firmato a Lussemburgo il 28 febbraio 1986 ed entrato in vigore il 1º luglio
1987, il cui obiettivo principale è l'instaurazione progressiva del mercato interno;
• il Trattato di Amsterdam, firmato il 2 ottobre 1997 ed entrato in vigore il 1º maggio 1999, che ha
ulteriormente modificato i Trattati istitutivi apportando modifiche alle procedure decisionali e
comunitarizzando alcuni settori che, in precedenza, rientravano nell'ambito della cooperazione
intergovernativa;
• il Trattato di Nizza, firmato il 26 febbraio 2001 ed entrato in vigore il 1º febbraio 2003, che
apporta soprattutto modifiche di carattere istituzionale;
• il Trattato di Lisbona, firmato il 13 dicembre 2007 ed entrato in vigore il 1º dicembre 2009.
A seguito del Trattato di Lisbona, i trattati, sostanzialmente, continuano ad essere due: il Trattato
sull’Unione europea e il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea sostitutivo del Trattato
istitutivo della Comunità europea, che hanno lo stesso valore giuridico. Resta, inoltre, in vigore il
Trattato Euratom del 1957. Mentre il Trattato sull’Unione europea si configura come un Trattato
base, contenente le norme essenziali che stabilisce i valori, i principi fondamentali e le
competenze, l’assetto istituzionale dell’Unione, il Trattato sul funzionamento dell’Unione europea è
piuttosto un Trattato applicativo, fissa le regole di funzionamento delle istituzioni, dei suoi organi,
disciplina il mercato interno e le politiche, definendone il quadro di riferimento.
Natura giuridica dei Trattati
La natura giuridica dei Trattati istitutivi, nonché delle integrazioni e modificazioni convenzionali
intervenute negli anni, è quella di accordi internazionali nel senso pieno e proprio di tale
espressione, come indicato nella Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati.
Va tuttavia aggiunto che i Trattati comunitari mostrano caratteristiche particolari rispetto al genus
cui appartengono.
In primo luogo, si tratta della specificità propria di tutti i Trattati istitutivi di organizzazioni
internazionali, nel senso che, oltre alla previsione di una serie di obblighi e diritti per gli Stati
contraenti, contengono la definizione di un complesso istituzionale destinato ad esercitare le
competenze attribuite all'ente.
In secondo luogo, pur essendo le Comunità organismi a finalità non universali ma definite e
sottoposte al principio delle competenze di attribuzione, l'ampiezza e l'incisività delle prefigurate
competenze così come le modalità e i mezzi attribuiti per il loro esercizio, vanno senza dubbio al di
là del modello tradizionale di organizzazione internazionale.
integrazione che essi si propongono di realizzare.
127

Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea


Di sicuro rilievo è stata la proclamazione a Nizza della Carta dei diritti fondamentali dell'Unione
europea.
Preparata da rappresentanti dei Parlamenti nazionali, del Parlamento europeo, della Commissione
e dei Capi di Stato e di Governo, su input iniziale e politico del Consiglio europeo di Colonia del
1999, la Carta è stata «lanciata», infine, in occasione del Consiglio europeo di Nizza del dicembre
2000. L'esito, in tale occasione, è stato di lasciare ad una successiva fase di maturazione il
compito di sciogliere il nodo della valenza giuridica della Carta; dunque, di come costruire il
rapporto con i Trattati e di come renderla formalmente e solennemente vincolante.
La Carta dei diritti fondamentali sancisce un complesso di diritti fondamentali, insieme articolato sui
valori della dignità, della libertà, dell'eguaglianza, della solidarietà, della cittadinanza europea, della
giustizia. In definitiva, lo scopo dell'iniziativa enunciato a Colonia era di rendere più visibili i diritti
fondamentali all'interno dell'esperienza dell'Unione europea. Non si voleva innovare, dunque, ma
rendere esplicita e solenne l‘affermazione di una serie di valori destinati ad ispirare il vivere
insieme dei popoli europei, nei limiti e secondo il quadro di competenze già delineato con le dovute
forme dai Trattati comunitari, dalla Convenzione di Roma del 1950 sui diritti fondamentali, dalle
Costituzioni degli Stati membri e, soprattutto, dalla giurisprudenza della Corte di giustizia
dell'Unione europea.

Fonti di diritto derivato


Il diritto dell'Unione europea derivato comprende un ventaglio di atti giuridici adottati dalle
istituzioni europee, nei limiti delle competenze e con gli effetti che il Trattato sancisce. Si tratta di
atti che vengono posti in essere attraverso procedimenti deliberativi che si svolgono e si
esauriscono in modo del tutto indipendente da quelli legislativi e amministrativi nazionali. Sono atti,
però, destinati a incidere in modo rilevante sugli ordinamenti giuridici nazionali, talvolta senza che
occorra un intervento formale del legislatore e/o dell'amministrazione nazionale, talvolta
imponendo all'uno e/o all'altra un'attività normativa, allo scopo di riversare sui singoli gli impegni
sottoscritti a livello europeo, ovvero di precisare o integrare obbligazioni solo delineate dall'atto ma
lasciate alla discrezionalità degli Stati membri quanto alla realizzazione definitiva del suo
contenuto.
È, questo, l'insieme degli atti che si definisce comunemente diritto dell'Unione europea derivato,
espressione che ne coglie, da un lato, la purezza dell'origine, appunto europea in senso proprio e
non convenzionale del termine e del tutto estranea ai procedimenti nazionali di formazione delle
norme e, d'altro lato, la loro forza derivata dai Trattati istitutivi.
Nell'ambito di tale sistema va inquadrato l'art. 288 TFUE che definisce la tipologia degli atti a
mezzo dei quali le istituzioni dell'Unione europea esercitano le competenze loro attribuite:

• i regolamenti, hanno una portata generale, sono obbligatori in tutti i loro elementi e
direttamente applicabili;
• le direttive, sono indirizzate solo agli Stati membri e non sono obbligatorie in tutti i loro
elementi, in quanto vincolano i destinatari solo riguardo al risultato da raggiungere, lasciando
alla loro discrezione la scelta dei mezzi e della forma;
• le decisioni, sono obbligatorie in tutti i loro elementi e se designano i destinatari sono
obbligatorie soltanto nei confronti di questi.
Atti non vincolanti
vincolante, l’art. 288 TFUE prevede altri due tipi di atti: le raccomandazioni ed i pareri.
In base a quanto previsto dall'art. 292 TFUE, il potere generale di adottare raccomandazioni è
assegnato al Consiglio. Anche la Commissione e la Banca centrale europea possono adottare
raccomandazioni, ma soltanto nei casi specifici previsti dai Trattati.
128

Il potere generale di emettere pareri è assegnato al Parlamento europeo; laddove altre istituzioni
emanano pareri viene previsto specificamente nei Trattati.
Una distinzione tra i due tipi di atti non vincolanti può essere operata in base alle loro diverse
finalità. Mentre la raccomandazione ha, infatti, il preciso scopo di sollecitare il destinatario a tenere
un determinato comportamento giudicato più rispondente agli interessi comuni, il parere tende
piuttosto a fissare il punto di vista dell'istituzione che lo emette, in ordine a una specifica questione.
Atti atipici
Gli atti atipici sono quegli atti non vincolanti che pur essendo emanati dalle istituzioni, non rientrano
fra quelli elencati dall’art. 288 del TFUE.
Sono atti atipici:

• i regolamenti interni che ciascuna istituzione approva per disciplinare la propria


organizzazione ed il proprio funzionamento;
• i Programmi generali per la soppressione delle restrizioni relative alla libertà di
stabilimento o di prestazione dei servizi, che il Consiglio ha adottato e ha determinato le
linee generali alle quali avrebbe uniformato la sua attività futura in queste materie;
• gli accordi interistituzionali, firmati dai presidenti di più istituzioni con i quali queste istituzioni
stabiliscono delle regole volte a migliorare i loro rapporti ed evitare possibili conflitti;
• le comunicazioni che la Commissione emana per precisare i propri orientamenti in merito ad
una questione (cosiddette decisorie), per raccogliere le valutazioni della giurisprudenza relative
ad un determinato settore (cosiddette interpretative), per indicare le linee guida di future
proposte normative (cosiddette informative);
• i libri verdi e i libri bianchi, che sono, nel primo caso documenti pubblicati dalla Commissione
allo scopo di avviare il processo di consultazione su specifici argomenti nell'ambito dell'Unione
e, nel secondo caso, documenti che seguono spesso quella di un libro bianco in modo che le
consultazioni effettuate si traducano in concrete proposte d'azione.

Fonti di diritto complementare


Oltre alla giurisprudenza della Corte di giustizia, le fonti di diritto complementare comprendono il
diritto internazionale e i principi generali del diritto. Tali fonti hanno permesso alla Corte di colmare
i vuoti lasciati dal diritto primario o derivato.
Principi generali del diritto[modifica | modifica wikitesto]
Nel sistema comunitario non esiste una norma di contenuto analogo all'art. 38 dello Statuto
della Corte Internazionale di Giustizia (organo delle Nazioni Unite deputato alla soluzione delle
controversie giuridiche), norma che prevede l'applicazione dei «principi generali di diritto
riconosciuti dalle nazioni civili».
L'art. 19 TUE, infatti, si limita a sancire la competenza della Corte di giustizia e del Tribunale ad
assicurare «il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati». Tuttavia,
nell'art. 340 TFUE che rinvia ai «principi generali comuni ai diritti degli Stati membri», tale norma
ha una portata circoscritta alla materia della responsabilità extracontrattuale dell'Unione.

Autonomia dell'ordinamento giuridico dell'Unione europea


Ai sensi dell'articolo 47 del trattato sull'Unione europea (TUE) l'Unione ha personalità giuridica ed
è quindi un soggetto di diritto legittimato ad elaborare accordi internazionali con organizzazioni o
paesi allo stesso modo di uno stato sovrano. L'ordinamento giuridico dell'Unione europea
presenta, inoltre, la caratteristica di risultare completamente autonomo rispetto a quello degli Stati
membri.
Il principio dell'autonomia dell'ordinamento giuridico dell'Unione è stato elaborato dalla Corte di
giustizia delle Comunità europee già nel 1963. In quell'occasione, infatti, la Corte aveva affermato
che:
129

« La Comunità economica europea costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel


campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati membri hanno rinunciato, seppure in
settori limitati, ai loro poteri sovrani ed al quale sono soggetti non soltanto gli Stati membri, ma
pure i loro cittadini »
(sentenza 26/62 Van Gend & Loos)

In successive sentenze la Corte ha avuto modo di precisare meglio la portata del principio
dell'autonomia del diritto dell'Unione, ormai divenuto uno dei principi cardine su cui si regge tutta la
costruzione dell'Unione europea.

02. DA COSA SONO COSTITUITE LE RISORSE PROPRIE DELL'UNIONE EUROPEA?

La disciplina dell'UE delle risorse proprie definisce i diversi tipi di entrate dell'UE e i metodi
per calcolarle e renderle disponibili.

La disciplina delle risorse proprie dell'UE prevede:

1. Un massimale

Si tratta dell'importo massimo delle risorse proprie che l'UE può riscuotere nell'arco di un anno. Il
massimale è espresso in percentuale del reddito nazionale lordo (RNL) dell'UE e dipende quindi
dalla situazione economica nell'UE.

2. Le diverse tipologie di risorse proprie

• le risorse proprie tradizionali: principalmente dazi doganali e contributi sullo zucchero • le


risorse proprie basate sull'imposta sul valore aggiunto: viene imposta un'aliquota uniforme
pari allo 0,3% sulla base armonizzata dell'IVA di ogni Stato membro; la base imponibile IVA,
tuttavia, è livellata al 50% del reddito nazionale lordo (RNL) per ciascun paese • le risorse
proprie basate sul reddito nazionale lordo (RNL): un'aliquota standard viene imposta sull'RNL di
ciascuno Stato membro per le spese non coperte da altre risorse proprie 3. Correzioni

Lo scopo delle correzioni è compensare o correggere gli squilibri di bilancio di taluni Stati membri.

Tutte le forme di correzione, a livello di entrate o di spese, si basano su due principi:

1. La politica di spesa è, in definitiva, lo strumento essenziale per risolvere il problema degli


squilibri di bilancio.
2. Ogni Stato membro che sostenga un onere di bilancio eccessivo rispetto alla propria prosperità
relativa può beneficiare di una correzione a tempo debito.

Altre fonti di entrate dell'UE

Esistono altre fonti di entrate, quali imposte sugli stipendi dei funzionari UE, contributi versati da
paesi non membri dell'UE a determinati programmi e ammende imposte alle imprese che violano
le norme sulla concorrenza.
130

Ruolo del Consiglio

Il Consiglio adotta gli atti legislativi che disciplinano le risorse proprie dell'UE secondo
speciali procedure legislative, che variano in funzione di ciascun atto.

Alcuni atti devono essere adottati all'unanimità dal Consiglio previa consultazione del Parlamento
europeo.

Alcuni sono adottati dal Consiglio a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento
europeo o previa consultazione del Parlamento e della Corte dei conti.

Le proposte relative a tali atti giuridici sono presentate dalla Commissione europea e possono
essere modificate prima di essere adottate.

Tradizionalmente, il Consiglio europeo fornisce orientamenti al Consiglio dell'UE per i negoziati


con il Parlamento europeo sugli elementi fondamentali delle risorse proprie; questi elementi sono
generalmente negoziati come pacchetto insieme al quadro finanziario pluriennale.

Il sistema di finanziamento dell’Unione, previsto dall’articolo 269 del Trattato CE,


stabilisce che il bilancio generale dell’Unione Europea sia integralmente finanziato dalle cosiddette
“risorse proprie”, ossia dai mezzi finanziari conferiti da ciascuno Stato membro per garantire il
funzionamento dell’amministrazione comunitaria e la realizzazione delle relative politiche. Tali
risorse sono costituite da:

• risorse proprie tradizionali (R.P.T.): derivano dall’esistenza di uno spazio doganale


unificato e sono riscosse dai Paesi membri e poi versate alla Comunità, al netto delle spese
di riscossione; esse sono costituite dai dazi doganali riscossi dai Paesi membri negli
scambi con Paesi terzi, dai prelievi sulle importazioni di prodotti agricoli, derivanti da
scambi con paesi terzi, nonché da contributi provenienti dall’imposizione di diritti alla
produzione dello zucchero;
• risorsa I.V.A., è costituita da un contributo a carico di ciascuno Stato membro calcolato
applicando un’aliquota uniforme all’imponibile nazionale dell’IVA;
• risorsa R.N.L. (Reddito Nazionale Lordo, già P.N.L.), che consiste in un contributo degli
Stati membri commisurato alle quote parte dei RNL nazionali sul RNL comunitario, e
destinata a finanziare le spese di bilancio non coperte dalle altre due suddette risorse (c.d.
“risorsa complementare”).

La risorsa I.V.A. e la risorsa R.N.L. rappresentano attualmente la maggior parte delle risorse
del bilancio UE.

Il sistema di finanziamento dell’Unione europea è attualmente disciplinato dalla decisione


2007/436/CE, Euratom[1], adottata dal Consiglio il 7 giugno 2007, che ha sostituito, per il periodo
2007-2013, la precedente decisione del 2000/597/CE, Euratom, sul sistema delle risorse proprie[2].

Alla decisione - che riprende i contenuti dell’accordo politico sul bilancio dell’Unione europea
definito dal Consiglio europeo del 15 e 16 dicembre 2005 , accordo che ha modificato il sistema di
finanziamento delle risorse proprie dell’Unione – è stata data attuazione nell’ordinamento italiano
con il comma 66 dell’articolo 2 della legge n. 244/2007 (legge finanziaria per il 2008)[3].
131

La decisione 436 del 2007 ha previsto, tra i suoi elementi qualificanti, che il massimale (vale a
dire il tetto massimo delle risorse proprie) è stabilito all’1,31% del RNL per stanziamenti di
impegno ed all’1,24% del RNL per stanziamenti di pagamento, come già previsto per il periodo
2000-2006 dalla decisione 2000/597/CE, Euratom.
Sono confermate le risorse proprie già previste per il periodo 2000-2006 dalla precedente
decisione 597 del 2000. Si tratta:
dei diritti riscossi nel quadro della politica agricola comune e i dazi doganali (denominati
"risorse proprie tradizionali", RPT); di un'aliquota dello 0,30% (rispetto allo 0,75% applicato
nel 2002-2003 e allo 0,50% nel 2004-2006) applicata alla base imponibile dell'IVA ("risorsa
IVA"). La base imponibile da prendere in considerazione non potrà eccedere il 50% del PIL
di ciascuno Stato;
di un'aliquota, da determinare secondo la procedura di bilancio tenuto conto di tutte le altre
entrate, applicata alla somma dei prodotti nazionali lordi (PNL) di tutti gli Stati membri
("risorsa PNL");
delle altre entrate dell’UE (ovvero imposte e prelievi effettuati sui redditi del personale,
interessi bancari, rimborsi di aiuti comunitari non utilizzati, interessi di mora e il saldo
dell’esercizio precedente).
Sono introdotte correzioni soltanto a favore di alcuni tra i maggiori contribuenti netti al bilancio
comunitario.

Lezione 096

01. IL CANDIDATO INDICHI COSA ACCADE A UN AIUTO DI STATO INCOMPATIBILE CON LE DISPOSIZIONI DEL
TRATTATO DELL'UNIONE EUROPEA

- Per aiuto di stato si intende qualsiasi agevolazione, concessa senza corrispettivo, dagli Stati
ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune
produzioni, falsano o minacciano di falsare la concorrenza, nella misura in cui incidono sugli
scambi tra gli Stati membri.

Articolo 108 TFUE

1.La Commissione procede con gli Stati Membri all’esame permanente dei regimi di aiuto esistenti
in questi Stati […].
Qualora la Commissione […] constati che un aiuto concesso da uno Stato Membro […] non è
compatibile con il mercato comune […] decide che lo Stato interessato deve sopprimerlo o
modificarlo nei termini da essa fissato.
Alla Commissione sono comunicati in tempo utile […] i progetti diretti a istituire o modificare aiuti.
[…]
Lo Stato Membro interessato non può dare esecuzione alle misure progettate prima che tale
procedura abbia condotto ad una decisione finale.

L’introduzione di un aiuto di Stato illegale o incompatibile con il diritto dell’Unione attribuisce al


beneficiario un vantaggio illegittimo rispetto ai concorrenti e crea una grave distorsione delle regole
del mercato unico. A seguito di una decisione negativa della Commissione incombe, pertanto,
l’obbligo in capo allo Stato membro interessato di assicurare “senza indugio” il suo recupero, con
gli interessi (art. 14 Reg. di procedura).
132

Il recupero con gli interessi dell’aiuto è teso a garantire la restituito in integrum delle condizioni di
libera concorrenza e il ripristino della situazione del mercato comune prima dell’alterazione degli
scambi intra – europei (C. giust. 10.10.2013, C-353/12, Commissione c. Repubblica italiana).

Il recupero, richiedibile nel corso del decennio decorrente dal momento di fruizione dell’aiuto
(periodo suscettibile di essere interrotto), va effettuato secondo le procedure previste dalla legge
dello Stato membro interessato (principio di assimilazione), a condizione, tuttavia, che esse
consentano l’esecuzione effettiva della decisione della Commissione.

02. QUALI SONO GLI AIUTI DI STATO COMPATIBILI CON IL MERCATO COMUNE?

Secondo l’articolo 87, paragrafo 1 del trattato, gli aiuti che corrispondono ai criteri sopra delineati
sono, in linea di principio, incompatibili col mercato comune.
Tuttavia, il principio d’incompatibilità non equivale a un divieto totale: i paragrafi 2 e 3 dello stesso
articolo 87 specificano un certo numero di casi in cui gli aiuti di Stato possono essere considerati
ammissibili (le cosiddette deroghe). L’esistenza delle deroghe giustifica inoltre il controllo
preventivo degli aiuti di Stato da parte della Commissione. Tale controllo è stabilito dall’articolo 88
del trattato, che dispone che gli Stati membri debbano notificare alla Commissione qualsiasi
progetto diretto a istituire aiuti prima di procedere alla sua esecuzione e conferisce alla
Commissione il potere discrezionale di decidere se l’aiuto previsto può beneficiare della deroga o
se «lo Stato interessato deve sopprimerlo o modificarlo».

Articolo 87 (ex articolo 92) Trattato che istituisce la Comunità europea

1. Salvo deroghe contemplate dal presente trattato, sono incompatibili con il mercato comune,
nella misura in cui incidano sugli scambi tra Stati membri, gli aiuti concessi dagli
Stati, ovvero mediante risorse statali, sotto qualsiasi forma che, favorendo talune imprese o talune
produzioni, falsino o minaccino di falsare la concorrenza.
2. Sono compatibili con il mercato comune: a) gli aiuti a carattere sociale concessi ai singoli
consumatori, a condizione che siano accordati senza discriminazioni determinate dall’origine dei
prodotti, b) gli aiuti destinati a ovviare ai danni arrecati dalle calamità naturali oppure da altri eventi
eccezionali, c) gli aiuti concessi all’economia di determinate regioni della Repubblica federale di
Germania che risentono della divisione della Germania, nella misura in cui sono necessari a
compensare gli svantaggi economici provocati da tale divisione. 3. Possono considerarsi
compatibili con il mercato comune: a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle
regioni ove il tenore di vita sia anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di
sottoccupazione, b) gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di
comune interesse europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell’economia di uno
Stato membro, c) gli aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni
economiche, sempre che non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune
interesse, d) gli aiuti destinati a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando
non alterino le condizioni degli scambi e della concorrenza nella Comunità in misura contraria
all’interesse comune, e) le altre categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, che
delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione.

- Art. 107 par.1 TFUE : «Salvo deroghe contemplate dai trattati, sono incompatibili con il mercato
interno……… ». -rischio di distorsione concorrenza; -rischio di ostacolare imprese più competitive
e alimentare sostanziale assistenzialismo.

Art. 107 par. 3. TFUE: aiuti di stato che possono considerarsi compatibili- la Commissione dispone
di un potere di valutazione discrezionale: Possono considerarsi compatibili con il mercato interno:
133

a) gli aiuti destinati a favorire lo sviluppo economico delle regioni ove il tenore di vita sia
anormalmente basso, oppure si abbia una grave forma di sottoccupazione, nonché quello delle
regioni di cui all'articolo 349, tenuto conto della loro situazione strutturale, economica e sociale; b)
gli aiuti destinati a promuovere la realizzazione di un importante progetto di comune interesse
europeo oppure a porre rimedio a un grave turbamento dell'economia di uno Stato membro; c) gli
aiuti destinati ad agevolare lo sviluppo di talune attività o di talune regioni economiche, sempre che
non alterino le condizioni degli scambi in misura contraria al comune interesse; d) gli aiuti destinati
a promuovere la cultura e la conservazione del patrimonio, quando non alterino le condizioni degli
scambi e della concorrenza nell'Unione in misura contraria all'interesse comune; e) le altre
categorie di aiuti, determinate con decisione del Consiglio, su proposta della Commissione.

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