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IGIENE GENERALE ED APPLICATA

Quando si parla di igiene o sanità pubblica si pone come obiettivo la promozione della salute delle persone
e la loro tutela, un igienista si occupa di prevenzione delle malattie e promozione della salute.
Prevenzione primaria: soggetti sani, offrire interventi con l’obbiettivo di mantenimento della salute.
Prevenzione secondaria: diagnosi precoce, interventi con l’obiettivo di identificazione di malattie prima
che si verifichino con sintomi, in modo da limitarne i danni che potrebbero causare se diagnosticate in
tempi successivi.
Prevenzione terziaria: soggetti malati, offrire interventi con l’obiettivo di riabilitare un individuo durante e
dopo la malattia.

Tre grandi aree degli igienisti, tre pilastri della sanità pubblica:
Promozione e prevenzione: attuare interventi e misure atte a potenziare i fattori di benessere negli individui
Organizzazione e programmazione sanitaria: programmare e organizzare i servizi e le attività sanitarie in
funzione dei bisogni della popolazione
Epidemiologia: acquisire le conoscenze sulle condizioni sanitarie delle popolazioni (bisogni sanitari), sui
fattori positivi e negativi per la salute e sui meccanismi che ne facilitano od ostacolano le potenzialità di
azione, valutare l’efficacia di interventi sanitari e/o socio-sanitari offerti alla comunità. Epidemiologia
consiste nello studio della diffusione degli eventi sanitari e dei fattori determinanti di tali eventi nelle
popolazioni e nella successiva applicazione di tale studio per il controllo dei problemi sanitari all’interno di
quella popolazione o comunità.
Metodologia epidemiologica serie di metodi e strumenti standardizzati e testati che permette di: 
- Raccogliere informazioni su fenomeni sanitari e sulla loro diffusione.
- Individuare i fattori associati ai fenomeni sanitari.
- Identificare e disegnare interventi volti a migliorare le condizioni di salute delle popolazioni.
- Attuare questi interventi per misurarne l’efficacia in condizioni controllate e durante una normale
pratica clinica.
Epidemiologia descrittiva
Aiuta a capire quali sono le priorità e le maggiori difficoltà sanitarie di una popolazione, cerca di capire i
bisogni sanitari (Quanto è diffuso? Quali sono le caratteristiche dei soggetti colpiti? Quanto è diffusa e
come?)
Epidemiologia analitica
Individuare le cause, i fattori di rischio, il fattore protettivo e i fattori prognostici associati ai fenomeni
salute/malattia.
Epidemiologia sperimentale
Valutare e misurare l’efficacia e la sicurezza di interventi sanitari, di prevenzione, di diagnosi, di terapia, di
assistenza, di riabilitazione.

Metodi di misura dei fenomeni sanitari: misurare la frequenza di un evento rappresenta la prima fase di
ogni indagine e valutazione epidemiologica; i dati si possono esprimere secondo:
- frequenza assoluta: numero di casi totali della condizione che si vuole studiare (per capire quanti
sono i soggetti totali di cui ci si deve fare carico). Permette di quantificare il bisogno sanitario, ma
non permette di fare confronti con altre realtà ovvero se si considerano tutti i casi studiati e non solo
quelli che presentano la condizione di interesse (es. 10 affetti da dsa e 20 non affetti da dsa).
- rapporto odds: è un tipo di rapporto che mette in relazione il numero di soggetti che presenta il
fenomeno sanitario che mi interessa studiare e quelli che non lo presentano (es. 10:20 quindi 1:2) si
possono così confrontare più rapporti.
- proporzione: mette in relazione il numero di soggetti che presentano l’evento col numero totale dei
soggetti esaminati quindi il numeratore è incluso nel denominatore (es. 10:30 quindi 1:3), le
proporzioni sono influenzate dal tempo.
- tassi sono caratterizzati da un numeratore (casi affetti dal fenomeno), un denominatore (numero
totale dei soggetti esaminati), un intervallo di tempo durante il quale viene condotta l’osservazione e
un fattore di conversione o moltiplicativo (utile per riferire la frequenza) [R = (E(t) / P) * K].

 Tasso di prevalenza: misura e riporta informazioni su tutti i casi del fenomeno che si vuole studiare che
sono presenti in un determinato momento o periodo di tempo all’interno di una popolazione; permette di
fare una fotografia della situazione sanitaria in una collettività, ci da informazioni sulla probabilità di essere
ammalato in uno specifico periodo di tempo se si appartiene a quella popolazione che si sta studiando. A
seconda del periodo di tempo che si considera si può parlare di:
 tasso di prevalenza puntuale (momento preciso), si devono considerare tutti i casi di malattia
esistenti in un istante (giornata) e si rapportano al totale dei soggetti esaminati (n. casi esistenti in
un dato istante/tot. Popolazione esaminata cioè sia i casi sani che malati, poi si può calcolare per
un coefficiente K costante).
 tasso di prevalenza periodale: si considerano TUTTI i casi di malattia presenti in un dato periodo di
tempo (sia quelli che erano già presenti all’inizio del periodo, sia i casi nuovi), (numero di casi
esistenti nel periodo di tempo/popolazione totale esaminata>moltiplicato per K), questo permette di
avere un quadro più completo. Spesso viene usato per monitorare patologie a decorso cronico;
documenta le dimensioni di una situazione sanitaria in un periodo di tempo prolungato.
 tasso di incidenza: misura solo i nuovi casi di una malattia che si manifestano all’interno di un certo
periodo di tempo (follow-up) in una popolazione che all’inizio del periodo di tempo sono sani; a
differenza del tasso di prevalenza non valuta la probabilità di essere ammalato in un determinato
tempo facendo parte di una determinata popolazione, ma calcola la probabilità e il rischio di
AMMALARSI di una determinata malattia in una popolazione in un determinato periodo di tempo,
quindi si contano solo i nuovi casi di malattia.
Esistono diversi tassi di incidenza tra cui:
l’incidenza cumulativa: si calcolano solo i NUOVI casi di malattia in un dato periodo rapportato alla
POPOLAZONE A RISCHIO di sviluppare la malattia (quindi quelli sani a rischio di ammalarsi e non quelli
già ammalati) (n. di nuovi casi in un tempo t/ popolazione a rischio> moltiplicati per una K).
(confronto tra incidenza e prevalenza: la prevalenza misura la probabilità di AVERE una malattia, il
numeratore include sia nuovi che vecchi casi, non sempre richiede un periodo di osservazione detto follow-
up e dipende da quanto dura la malattia. L’incidenza misura la probabilità di prendere/sviluppare la
malattia, il numeratore include solo i nuovi casi, richiede sempre il follow-up e non dipende dalla  durata di
una malattia).
 Tasso di mortalità complessivo: tutte le morti che si verificano in una determinata popolazione in un
determinato tempo senza distinzione di causa. Mi da le probabilità di morire per una qualsiasi causa
facendo parte di una determinata popolazione. Questo tasso è influenzato dalle misure preventive
(diffusione) che dalle terapie disponibili (gravità).
 Tasso di mortalità generale: bisogna conoscere il numero totale delle morti, la numerosità della
popolazione (italiana) e poi dividere i due valori. Infine, moltiplicare il risultato per k (100000).
Tasso di mortalità specifico per causa: considero tutte le morti per una determinata causa e la rapporto alla
popolazione totale del campione a cui sono interessato.
Tasso di letalità è influenzato dall’intervallo di tempo considerato (quanto tempo è trascorso dalla diagnosi).
Rispetto al tasso di mortalità il numeratore rimane lo stesso, cambia invece il denominatore che non è più il
numero generale, ma solo il numero di pazienti con diagnosi. Solitamente si esprime in percentuale, non
dipende dalle misure preventive ma esclusivamente dalla gravità della malattia e dalla terapia disponibile.
I tassi specifici mi permettono di fare confronti tra quello che osservo in gruppi diversi e mi permettono
anche di evidenziare dei fattori che possono influenzare una patologia o la sua guarigione, le cosiddette
misure di associazione. Le misure di associazione ci permettono di capire e calcolare se esiste una
correlazione tra una caratteristica e una patologia. Quanto quel fattore è in grado di affliggere una
condizione o meno.

Rischio relativo: è la misura migliore di associazione. Il RR si può calcolare solo in presenza del tasso di
incidenza o del tasso di mortalità di una specifica patologia, specifico per chi presenta e chi non presenta
un fattore di interesse. Se conosco le due misure posso fare il rapporto. Si possono avere 3 tipologie di
risultati: RR=1 il fattore non ha influenza sulla malattia, RR>1 il fattore è probabile fattore di rischio per la
malattia, RR<1 il fattore è probabile fattore protettivo per la malattia (es. con un RR=1.5 la probabilità di
ammalarsi/morire di coloro esposti al fattore è superiore del 50% della probabilità di quelli non esposti;
RR=3 probabilità 3 volte superiore di quelli non esposti; RR=0,3 probabilità di ammalarsi ridotta del 70%).

Odds ratio: dato che il RR si può calcolare solo se si ha a disposizione il tasso di incidenza o di mortalità di
una patologia per entrambi i gruppi, se non si dispone di essi si può usare un’altra misura di associazione
che può sempre essere calcolata l’odds ratio o OR. L’odds ratio si costruisce calcolando e confrontando
misure alternative di frequenza di un fenomeno: odds o rapporto di probabilità. In molti casi fornisce
un’ottima stima del RR. Nell’odds il denominatore e numeratore cambiano a seconda di cosa si vuole
confrontare; in generale il rapporto è: numero di soggetti con un evento/ numero di soggetti senza evento.
Per esempio, in una tabellina 2x2 si possono calcolare 4 odds diverse (es. Odds di malattia negli esposti>
esposti malati/ esposti sani; odds di malattia nei non esposti> non esposti malati/ non esposti sani; odds di
esposizione nei malati> malati esposti/ malati non esposti; odds di esposizione nei sani> sani esposti/ san
non esposti). Per confrontare le odds si passa all’odds ratio (es. Odds ratio> odds di malattia negli esposti/
odds di malattia nei non esposti; odds ratio> odds di esposizione nei malati/ odds di esposizione nei sani)>
l’odds ratio calcolata a partire da odds di esposizione e odds ratio calcolata a partire dagli odds di malattia
coincidono. Se OR=1 il fattore non ha influenza sulla malattia, se OR> 1 il fattore è un fattore di rischio per
la malattia, se OR<1 il fattore è un fattore protettivo per la malattia.

Epidemiologia descrittiva: si definiscono le dimensioni dei fenomeni di salute/malattia in gruppi di


soggetti e se ne descrivono le principali caratteristiche analizzando le differenze e le variazioni nella
diffusione del fenomeno sanitario di tipo geografico, temporale o legate ad alcune caratteristiche dei
soggetti (sesso, età, etnia…). L’epidemiologia descrittiva definisce le dimensioni di un fenomeno sanitario e
ne descrive le principali caratteristiche (identificare i bisogni sanitari), permette di rispondere a quesiti
conoscitivi o di background/generali (risponde alle domande: chi? dove? quando?). I suoi obiettivi sono
quelli di quantificare e conoscere i bisogni sanitari di una popolazione e quindi programmare ed
organizzare servizi sanitari, non indaga sulle cause della diffusione della malattia e sui fattori di rischio
(cosa di cui si occupa l’epidemiologia analitica). Studi di epidemiologia descrittiva possono essere condotti
su intere comunità oppure su particolari popolazioni (es. Pazienti affetti da specifiche patologie)
Come si affronta uno studio descrittivo?
1. Occorre scegliere/definire, la malattia (definizione di caso) di interesse e la comunità/popolazione di
interesse. Bisogna decidere se valutare tutta la popolazione o un campione rappresentativo della
popolazione (tecniche di campionamento, permettono di definire sia numerosità che modalità di
selezione dei soggetti).
2. Si raccolgono tutte le informazioni sanitarie e correlate al fenomeno sanitario di interesse
utilizzando: dati raccolti di routine (banche dati), dati raccolti appositamente per lo studio (se la
condizione sanitaria non viene regolarmente registrata).
3. Una volta che si hanno le informazioni e i dati si possono calcolare misure di frequenza e di rischio:
tassi di mortalità, incidenza, prevalenza e le principali misure di rischio, si calcolano sia tassi
generali complessivi che tasi specifici e si valuta la distribuzione dei fenomeni sanitari in base a
diverse variabili.

Epidemiologia analitica: l’epidemiologia descrittiva permettedi formulare ipotesi sulle cause e i fattori di
rischi che possono diffondere una malattia, ma è grazie a studi di epidemiologia analitica che si individuano
le cause, i fattori di rischio e protettivi, i fattori prognostici e la forza con cui agiscono. L’epidemiologia
analitica risponde a quesiti eziologici o di prognosi (risponde alle domande: perché? che cosa?). Ci sono
moltissimi fattori che possono indurre una malattia e poi influenzarne la prognosi, bisogna quindi
individuare le cause e i fattori di rischio delle diverse malattie o dei fattori che influenzano la prognosi
(fattori comportamentali, genetici, individuali, ambientali, biologici, …). Quando si fa un intervento di
epidemiologia analitica si hanno a disposizione diversi approcci e modelli di studio, solitamente si cerca di
agire seguendo questa logica/flusso: se si vuole vedere se un determinato fattore è collegato ad uno
specifico danno/esito di salute si opera cercando di capre quanto è diffuso il fattore nei soggetti che ci
interessa studiare e quanto è diffuso il danno che ci interessa studiare. Si cerca di capire quanto il fattore e
il danno possano essere associati, per calcolare la forza e la misura dell’associazione tra questi due si
utilizzano le misure di associazione RR o OR, inoltre si utilizzano altri tipi di test statistici. Esistono quindi
diversi modelli di studio, i principali sono: studio di coorte, caso controllo e cross-sectional; hanno approcci
diversi e utilizzano diversi modelli e metodi per dare risposte al quesito, ma comunque operano un
confronto tra gruppi diversi.
- Studio di coorte: è il più completo e attendibile, ma è molto lungo a livello temporale ed il più
complesso e costoso. È l’unico modello di studio di epidemiologia analitica che viene condotto
seguendo quello che è il naturale manifestarsi nel tempo degli eventi e dei fenomeni sanitari. Ha un
approccio longitudinale: si parte prendendo soggetti sani ma che presentano il fattore che si vuole
associare alla malattia. Quindi, rispetta la sequenza temporale che c’è tra la causa e l’effetto (la
malattia); avendo un approccio longitudinale permette di calcolare le misure di rischio e di
associazione che includono il tempo (t) nel loro calcolo. Ci sono diversi passaggi per condurre studi
di coorte:
1. Si selezionano dalla popolazione i soggetti privi della malattia (dell’esito sanitario), questi
soggetti vengono valutati e divisi in gruppi (coorti) in base alla loro esposizione al fattore di
interesse.
2. Una volta divisi in coorti i soggetti devono essere seguiti per un periodo di tempo (follow up)
durante il quale si deve organizzare un adeguato sistema di sorveglianza sanitaria che permetta
di registrare tutti i nuovi esisti (casi di malattia per esempio) che si manifestano nei soggetti delle
coorti.
3. Alla fine del periodo di follow up si va a vedere nei diversi gruppi quanto è diffuso il fenomeno
d’interesse (quindi quanti nuovi casi si sono manifestati) e si confrontano i risultati nelle diverse
coorti e si calcolano le misure di associazione e di impatto. Se il fattore è associato alla malattia
si avrà una differenza nei due gruppi, se invece non c’è differenza il fattore non può essere
analizzato. Se è un fattore di rischio le persone esposte presenteranno più esiti della malattia
rispetto ai non esposti, mentre se è un fattore protettivo o che migliora la prognosi le persone
esposte presenteranno meno casi rispetto a quelle esposte. I dati dello studio di coorte possono
essere raccolti nelle tabelline 2*2.
N.B. Ci sono una serie di punti critici durante lo studio di coorte che possono rendere difficile lo studio o far
commettere errori se non svolti con attenzione. Il primo punto critico è l’identificazione e la selezione delle
coorti (durante questa fase si rischiano di commettere errori di selezione dei soggetti), si possono
selezionare gruppi troppo diversi tra di loro in molti aspetti e non solo per l’esposizione ad un determinato
fattore. Un altro punto critico è la valutazione del carico di malattia cioè la presenza dell’esito sanitario nei
soggetti selezionati (si rischiano di commettere errori di misura di informazioni di interesse), cioè prestare
più attenzione alle condizioni di salute di uno dei gruppi per esempio. L’ultimo punto critico è il follow-up e
le perdite durante il periodo di follow up (il periodo di follow-up è il periodo lungo quale si segue i soggetti
delle diverse coorti. La durata del follow-up è influenzata da quanto è diffusa la malattia tra le persone
quindi dall’incidenza della malattia e anche dalle dimensioni del campione. Spesso bisogna inserire nella
durata del follow-up anche il periodo di latenza; quindi, il fatto che la malattia nelle persone esposte non si
presenta subito dopo l’esposizione ad un potenziale fattore di rischio ma ad anni di distanza. Durante il
follow up può succedere che alcune persone abbandonino lo studio e questo porta ad una diversità nei vari
gruppi di coorte rispetto all’inizio dello studio e ciò può alterare i risultati dello studio).

- PICO di tipo eziologico o prognostico: cercano di capire se un determinato fattore è associato ad


una maggiore probabilità di sviluppare una determinata patologia, oppure se un determinato fattore
può migliorare o peggiorare la prognosi di una patologia. Bisogna selezionare una popolazione (es.
adolescenti di almeno 14 anni della città di Modena), un intervento o esposizione (es. Uso del
motorino), un confronto (es. Non uso del motorino) e un outcome o esito (es. Traumi cranici nella
popolazione). Dopodiché si formula un quesito: “L’uso del motorino è associato ad un aumento del
rischio di subire traumi cranici negli adolescenti della città di Modena?”. Per rispondere a questa
domanda si può usare uno studio di coorte. Quindi dalla popolazione di riferimento quattordicenni di
Modena si selezionano quelli senza traumi cranici e si dividono in coorti, cioè quelli che usano il
motorino e quelli che non lo usano; i soggetti vengono seguiti per un periodo di follow-up, per
esempio, l’anno scolastico e durante questo periodo si deve sviluppare un periodo di sorveglianza
sanitaria per registrare quanti studenti hanno subito traumi cranici durante il periodo. Si devono
raccogliere anche altri dati come per esempio le caratteristiche demografiche, l’uso di altri mezzi di
trasporto che non siano il motorino, sport, uso di dispositivi di sicurezza… ovvero tutto ciò che
potrebbe influenzare i risultati, o meglio confondere i risultati ottenuti. Alla fine, si possono
confrontare i dati, valutarli e calcolare le misure di rischio, i tassi…
- Studio caso-controllo: ha un approccio longitudinale, cioè cerca di vedere ciò che accade nel
tempo, ma ha un approccio opposto rispetto a quello di coorte poiché parte dalla fine, dall’outcome.
I passaggi per effettuare uno studio di caso-controllo sono:
1. Si identifica un numero sufficiente di soggetti che presentano la malattia che interessa studiare,
cioè un numero di CASI, e li si confronta con altri soggetti che presentano caratteristiche simili a
quelle dei casi ma privi del fenomeno sanitario/malattia d’interesse, chiamati controlli (per
questo studio caso-controllo).
2. Una volta identificati i casi e i controlli si va a valutare la presenza e l’esposizione in passato a
un determinato fattore di rischio che voglio associare alla malattia. Quanto si deve andare
indietro nel tempo per risalire all’esposizione al fattore? Dipende dal fattore e dalla malattia, se
ha conseguenze istantanee o se ha effetto a lungo termine.
3. Alla fine, si confronta la probabilità di essere stati esposti in passato al fattore che interessa
studiare sia nei casi che nei controlli, e se il fattore è connesso alla malattia le due probabilità
dei casi e dei controlli risulteranno diversi. La probabilità di esposizione è maggiore nei casi
rispetto ai controlli se il fattore è fattore di rischio, mentre se è minore nei casi e maggiore nei
controlli è un fattore di protezione.
Analisi dei dati: lo studio caso controllo non permette il calcolo dell’incidenza né il calcolo del rischio
relativo, la misura di associazione che si può calcolare è l’odds ratio. Negli studi caso-controllo l’odds ratio
che si calcola si ottiene confrontando l’odds di esposizione dei casi e l’odds di esposizione dei controlli
(casi esposti/casi non esposti: controlli esposti/ controlli non esposti).
N.B. Ci sono una serie di punti critici dello studio caso-controllo: la scelta dei casi e dei controlli (è molto
difficile perché si devono scegliere soggetti che appartengono alla stessa popolazione di riferimento e
devono essere confrontabili tra di loro). Un altro punto critico è la valutazione dell’esposizione pregressa (si
deve valutare il passato e spesso le esposizioni ai fattori di rischio non sono contenute in nessun database
e devono essere ricordati dai soggetti stessi che se in salute tendono a dimenticare l’esposizione), quanto
meno si è precisi a valutare l’esposizione pregressa tanto meno lo studio e i suoi risultati saranno affidabili.
Ci sono due errori principali che si possono commettere quando si valuta l’esposizione pregressa: errore o
bias anamnestico (recall bias), legato al fatto che spesso i casi ricordano meglio rispetto ai controlli quello
che hanno fatto in passato e quindi possono essere più precisi rispetto ai controlli (così si rischia di
sovrastimare l’associazione fattore/malattia), il secondo errore è il bias o errore di misura o di informazione
e si verifica quando la misura dell’esposizione viene condotta da parte dei ricercatori con un’attenzione o
cura diversa quando si è a conoscenza dello stato di salute dei soggetti (si stimola di più il ricordo in un
soggetto malato rispetto ad uno sano).
 Studio cross-sectional (studio di prevalenza o studio universale): il tempo non viene
considerato, ma sono fotografie istantanee (quindi non mi interessa il futuro o il passato dei soggetti
esaminati, ma le loro condizioni in quel momento) delle condizioni di salute/malattia del gruppo di
persone esaminate. Ha un approccio trasversale. I soggetti di una popolazione ben definita (oppure
un campione rappresentativo di quella popolazione) vengono esaminati in un dato istante per
determinarne lo stato di malattia e/o di esposizione ad un fattore di rischio o protettivo, la presenza
di qualsiasi altra caratteristica del fenomeno esaminato. Si misura poi il tasso di prevalenza (poiché
l’incidenza non si può misurare dato che manca il tempo). Rispetto agli altri due tipi di studi, quello
cross-sectional ha il vantaggio di essere più rapido, semplice ed economico da realizzare. Si può
usare uno studio di questo tipo sia in campo di epidemiologia descrittiva che analitica, l’utilizzo
nell’epidemiologia descrittiva serve per stimare la diffusione di un fenomeno nella popolazione e
descriverne le principali caratteristiche (quando mi servono dei dati che non vengono raccolti di
routine o in database quindi già disponibili), nell’epidemiologia analitica serve quando si deve
valutare se esiste un’associazione tra un fattore e una malattia. 
Studio cross-sectional nell’epidemiologia descrittiva il principale obiettivo è capire quanto è diffuso un
fenomeno sanitario in una popolazione e descriverne le sue caratteristiche in funzione del tempo, spazio e
delle variabili individuali dei soggetti. Si conduce ogni volta che servono dei dati che non sono disponibili e
che quindi non vengono raccolti di routine. Si seguono determinati passaggi:
1. si definisce il fenomeno che si va a misurare e la popolazione che interessa studiare e si
seleziona il campione (nel caso si decida di valutare il campione) e quindi si usano in quel caso
tecniche di campionamento
2. una volta selezionato il campione o la popolazione, si raccolgono le informazioni sanitarie
correlate al fenomeno sanitario d’interesse dai soggetti. Si dovranno fare valutazioni adeguate,
soggetto per soggetto, nella maniera più appropriata (test, indagini telefoniche, visite
mediche…)
3. infine, una volta raccolti tutti i dati utili, si calcolano tassi di prevalenza (o altri) generali e
specifici.
Studio cross-sectional in epidemiologia analitica non si vuole solo descrivere quanto è diffuso un
fenomeno ma anche associare un determinato fattore al fenomeno sanitario. Lo studio viene condotto con
le fasi dello studio cross sectional in ambito descrittivo; quindi, definire fenomeno e popolazione o
campione e raccolgo i dati. Infine, si calcolano i tassi e poi si valuta se esiste un’associazione tra malattia e
fattore di interesse. Se si rileva un’associazione, quindi una convergenza o una divergenza, nelle stesse
persone, nello stesso momento (fotografa istantanea) del fattore e della malattia, se malattia e fattore che
convergono si trovano nelle stesse persone il fattore è un probabile fattore di rischio o fattore prognostico
negativo. Se divergono, cioè non si trovano nella stessa persona, il fattore è un probabile fattore protettivo
o prognostico positivo; in questo caso si può calcolare solo l’odds ratio come misura di associazione, si
calcola la prevalenza sia nei soggetti esposti che non esposti (esposti malati/ esposti >moltiplicato per K;
non esposti malati/ non esposti> moltiplicato per K). Si può calcolare anche l’odds di malattia sia negli
esposti che nei non esposti (esposti malati/ esposti sani; non esposti malati/ non esposti sani), infine si può
calcolare l’odds ratio (odds di malattia degli esposti/ odds di malattia die non esposti).
N.B. I punti critici dello studio cross-sectional sono: il momento del campionamento (e le modalità con cui lo
si effettua, essendo molto importante che il campione sia rappresentativo della popolazione) e la sequenza
temporale (quando si ha un approccio trasversale non si ha la sicurezza che l’esposizione al fattore che
interessa mettere in associazione con la malattia sia precedente all’insorgenza della malattia stessa, ci si
può trovare in casi di causalità inversa dove il fattore è una conseguenza della malattia ed è determinato
dalla malattia stessa. Se però i fattori sono sempre presenti come per esempi l’età o il sesso o l’etnia, allora
non si ha questo dubbio).

L’epidemiologia descrittiva (definire la diffusione e le caratteristiche di un fenomeno sanitario) e


l’epidemiologia analitica (identificare fattori di rischio o protettivi associati ad un fenomeno sanitario) fanno
parte di una grande parte dell’epidemiologia chiamata epidemiologia osservazionale; tutti gli studi, gli
approcci, le valutazioni… che abbiamo fatto finora (studi osservazionali) venivano condotti con metodi che
permettevano di osservare ciò che accadeva in maniera naturale e non prevedevano un intervento attivo
del ricercatore all’interno della popolazione stessa. Quando si fa un intervento di epidemiologia
osservazionale lo studioso, in base a quello che osserva, cerca di quantificare e caratterizzare il fenomeno
e formula ipotesi su fattori che possono essere associati a quel fenomeno. Quando si fa un intervento di
epidemiologia analitica o descrittiva non si ha nessun intervento da parte del ricercatore. Cosa diversa da
quello che accade nell’epidemiologia sperimentale.

Epidemiologia sperimentale: quando si fa un intervento di epidemiologia sperimentale lo studioso agisce


modificando attivamente uno o più fattori all’interno della popolazione o del campione che si vuole studiare
e poi raccoglie e registra ciò che succede nei soggetti inclusi nello studio dopo che ha fatto il suo
intervento. A differenza di ciò che avviene nell’epidemiologia osservazionale (in cui non si modifica nulla
ma si lascia il fenomeno al suo corso naturale), negli interventi di epidemiologia sperimentale si lavora in
condizioni molto controllate e si decide in maniera precisa cosa si vuole modificare e in chi, tenendo sotto
controllo tutte le situazioni che potrebbero rendere difficili le valutazioni che si vogliono effettuare. Dato che
sono così controllati, standardizzati, precisi… questi studi sono i migliori, i più validi e completi che si hanno
per valutare un’associazione tra fattore e fenomeno; hanno però anche molte limitazioni di tipo etico,
perché andando a modificare un fattore su dei soggetti si può andare ad introdurre fattori che dovrebbero
essere fattori protettivi o prognostici positivi, ma di cui non si è sicuri. L’obiettivo dell’epidemiologia
sperimentale è quello di valutare l’efficacia e la sicurezza di interventi preventivi, diagnostici, terapeutici o
riabilitativi in modo che poi possano essere offerti e utilizzati di routine nella popolazione. Le domande che
ci si pone sono: Funziona? È efficace? È sicuro?
Anche nel campo dell’epidemiologia sperimentale ci sono diversi modelli di studio che si possono usare,
qualsiasi sia il modello che si utilizza, anche in questo caso si valuta se e in che misura l’intervento
sanitario introdotto modifichi una situazione sanitaria valutando e confrontando quello che succede in
almeno due gruppi: un gruppo è il gruppo dei trattati (ovvero quelli sottoposti al trattamento che mi
interessa studiare) e il gruppo di controllo (sottoposto ad un trattamento di routine se esiste per quella
patologia, oppure sottoposto ad un trattamento placebo quando non esiste qualcosa di già approvato, cioè
ricalca l’intervento di interesse ma non ha delle caratteristiche fondamentali di quell’intervento).
- Trial controllato randomizzato è il modello di studio più completo e preciso. Controllato significa
che vengono confrontati due gruppi di controllo, randomizzato indica la modalità con cui vengono
divisi in gruppi i soggetti. Esistono due tipologie di studio trial controllato randomizzato:
a) trial clinico randomizzato controllato (RCCT): si studia, analizza e valuta soggetti ammalati, cioè che
presentano già il fenomeno che si vuole studiare e sui quali poi si valuta l’efficacia e la sicurezza di
un intervento, una tecnica riabilitativa, una nuova terapia… che possano migliorare la loro prognosi.
Quindi l’obiettivo è ottenere il miglioramento della prognosi in soggetti già ammalati.
b) trial sul campo randomizzato controllato: i soggetti che si studiano sono soggetti sani sui quali si
vuole valutare l’efficacia e la sicurezza di interventi di prevenzione primaria, quindi interventi sanitari
preventivi con l’obiettivo di ridurre la probabilità di ammalarsi. L’obiettivo di questo studio è quindi
quello di ridurre l’incidenza di una malattia a seguito di un determinato intervento introdotto.
La vera differenza tra i due è la popolazione che si studia. In entrambi gli studi si agisce allo stesso modo e
seguendo gli stessi passaggi ed entrambi vanno sempre a valutare due diverse categorie di effetti; non
solo valutano l’efficacia dell’intervento studiato ma anche gli effetti negativi (la sicurezza) di quell’intervento;
la valutazione complessiva terrà conto sia degli effetti positivi che di quelli negativi e per poter essere
approvato quell’intervento dovrà avere più aspetti positivi che negativi. Entrambi gli studi trial controllati
randomizzati hanno gli stessi passaggi:
(1) si parte dalla popolazione e si definiscono i criteri per selezionare i partecipanti allo studio
(2) una volta selezionali i partecipanti i soggetti dovranno essere invitati e decidere se partecipare o
meno allo studio. Se decidono di partecipare dovranno rilasciare un consenso scritto
(3) una volta identificati, i partecipanti devono essere suddivisi in due gruppi: gruppo dei trattati e
gruppo di controllo. I gruppi si dividono con tecniche che sono la randomizzazione e il blinding
(4) dopo aver diviso i gruppi li si sottopone a diversi interventi
(5) si seguono durante un periodo chiamato follow up.
La conduzione dello studio è simile a quella dello studio di coorte (con la differenza che nello studio di
coorte non è il ricercatore a dividere i gruppi ma i soggetti si dividono liberamente e naturalmente in
gruppi), proprio come nello studio di coorte poi anche nel trial si possono calcolare tutte le misure
epidemiologiche che prevedono un periodo di follow up (tassi di incidenza, mortalità, letalità…) e poi si
possono anche mettere a confronto calcolando rischio relativo (RR) e valutando l’efficacia del trattamento
(1-RR> diminuzione della probabilità di ammalarsi).
N.B. I punti critici di questo studio sono: la randomizzazione (i gruppi devono essere il più possibile simili e
comparabili tra di loro, dove l’unica grande differenza deve essere il trattamento a cui sono sottoposti, per
poter fare questo si deve utilizzare il processo di randomizzazione cioè la modalità di selezionare i soggetti
in maniera casuale e quindi dividerli in base al caso nel gruppo di trattati o nel gruppo di controllo), il
masking o blinding (si opera mettendo in campo metodi che  permettono allo studioso di lavorare cercando
di essere all’oscuro di ciò che si sta facendo per essere il più oggettivi possibili (doppio cieco). Allo stesso
modo anche i soggetti non sanno che trattamento stanno ricevendo (singolo cieco). Inoltre, sarebbe
importante non sapere quali due gruppi si stanno confrontando, cioè non sapere quale sia il gruppo dei
trattati e il gruppo dei controlli (triplo cieco). Il follow-up (e le perdite durante il follow-up, alcuni potrebbero
anche decidere di abbandonare lo studio anche perché magari l’intervento è troppo difficile, faticoso… e
questo potrebbe accadere anche se il trattamento venisse approvato) e la possibilità di generalizzare i
risultati e la validità esterna (lo studio è molto controllato e molto spesso si tende a focalizzarsi su soggetti
molto particolari della popolazione, spesso vengono escluse delle certe categorie di persone. Questo pone
il problema della applicabilità dello studio alla vita reale).
L’efficacia che si valuta in uno studio sperimentale è molto diversa dall’efficacia che riusciremo a registrare
quando il trattamento verrà offerto in maniera routinaria a tutta la popolazione poiché durante lo studio si
ottiene l’efficacia massima possibile.

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