Sei sulla pagina 1di 8

MF 1658

Interculturalità della formazione


Rosella Baima fmm
Dispense ad uso esclusivo degli studenti

CULTURA, IDENTITÀ, COMUNICAZIONE

Introduzione:
Per risignificare le parole cultura, identità e comunicazione in prospettiva
interculturale e nell’ambito della formazione all’interculturalità è necessario
affrontare il tema secondo due diverse prospettive: quella antropologica e quella
teologica.
La prospettiva antropologica ci introduce alla comprensione della cultura da un
punto di vista umano, o più precisamente, da un punto di vista scientifico. A questo
livello cercheremo di rispondere, con l’aiuto delle scienze umane, alle domande:
“che cos’è la cultura?”, “come comprendere l’identità culturale?” e “è possibile la
comunicazione interculturale?”.
Secondo la prospettiva teologica, invece, si cerca di rispondere alla domanda:
“Quale comprensione cristiana della persona e della cultura1?”

IL CONCETTO DI CULTURA

La prospettiva antropologica
Nel corso di questi ultimi secoli, sono due le scienze che si sono occupate di
studiare le culture umane: l'antropologia culturale e l'etnologia. I rispettivi studiosi
di queste due scienze hanno dato, via via, innumerevoli definizioni della cultura.
In un saggio intitolato "Il concetto di cultura"2 due studiosi americani ne raccolgono
ben 164... ne riportiamo qui solo due, che hanno avuto in qualche modo la
funzione di capostipite per tutte le altre: "La cultura o civiltà è quell’ insieme di cose,
quella totalità che comprende le conoscenze, le credenze, l'arte, la morale, il diritto, il
costume, e qualsiasi altra capacità o abitudine acquisita dall'uomo in quanto membro di
una società".3 Riprendendo e perfezionando questa definizione, B. Malinovski
propone la seguente definizione del concetto di cultura: "Essa è evidentemente la
totalità integrale consistente degli utensili e dei beni di consumo, delle carte costituzionali
per i vari raggruppamenti sociali, delle idee, delle arti, delle credenze e dei costumi "4

1
Nota bene: non quale comprensione della persona e della cultura cristiane, ma quale immagine
cristiana della persona e della cultura! Inoltre Per un maggiore approfondimento di questa
prospettiva rimando ai corsi : La visione Francescana dell’uomo (MF 1607) e Antropologia
francescana e psicopedagogia (MF 1603)
2
KLUCKHOHN E KROEBER, Il concetto di cultura, Bologna 1972.
3
E.B. TYLOR, 1871: in B. BERNARDI, Uomo, Cultura, Società, Introduzione agli studi demo-etno-
antropologici, Franco Angeli 1991, p. 27.
4
DIZIONARIO DI MISSIOLOGIA, Cultura, EDB 1993, p.168.
1
A partire da queste definizioni in senso antropologico potremmo dire che la cultura
è un patrimonio, che si tramanda nel tempo da una generazione all’altra, all’interno
di un gruppo sociale5.
Oggi questa definizione di cultura, o più precisamente, questo modo “classico” di
concepire la cultura può essere riduttivo, ambiguo e in ogni caso non è più
esaustivo nell'approccio alle diverse culture umane così come appaiono attraverso
la complessità del mondo contemporaneo.
È riduttivo perché riduce la cultura a cinque elementi basilari: la lingua, i costumi, le
tecniche, i valori, le istituzioni e perché «tende a trasferire sulla cultura quei
meccanismi di pensiero biologico-naturale che, fino a ieri, interessavano altre entità come
la razza, la natura, la civiltà»6 favorendo la formazione degli “stereotipi” e la loro
applicazione su gruppi particolari. Oggi al contrario siamo consapevoli che la cultura
non è innata e non si eredita biologicamente, ma piuttosto è una realtà dinamica e
plurale e, come si sottolinea spesso, “porosa”, cioè permeabile7.
Abbiamo anche detto che questa concezione di cultura può essere ambigua. Perché
riducendo il concetto di cultura nel modo appena descritto si può dar adito a dei
"giudizi di valore" o anche a dei "pregiudizi" nell'approccio ad una cultura diversa
dalla nostra: per es: "Questa cultura è migliore dell'altra", oppure: "Questa cultura
è evoluta, quella è ancora primitiva", "Questo popolo è avanzato, quello è
sottosviluppato" e così via... fino alle estreme conseguenze di un approccio
sbagliato alla cultura che genera: etnocentrismo, razzismo, nazionalismo,
paternalismo, ecc...
Infine non è certamente più esaustiva, come abbiamo visto nell’introduzione al
tema dell’interculturalità, rispetto alla complessità del mondo globale nel quale
viviamo: «Se la realtà odierna è de-localizzata, de-territorializzata, la prospettiva che un
tempo faceva coincidere luogo e identità, territorio e cultura, deve essere, se non proprio
abbandonata, profondamente rivista»8, perciò «la “cultura” viene oggi interpretata in
modo diverso dal passato, dal momento che pensare la cultura come qualcosa di legato ad
un luogo, a un popolo, a una società, che si sforzerebbe di riprodurla identica e di
assorbire gli elementi estranei, metabolizzandoli, non è più corrispondente alle nuove
caratteristiche della società plurale»9.

5
Cfr. K POMBO, Identità culturale e interculturalità: nuovo paradigma della missione,
(http://www.usminazionale.it/convegni/2010/pombo.pdf).
6
A. NANNI-S. CURCI, Buone pratiche per fare intercultura, pag 131.
7
Cfr. A. NANNI-S. CURCI, Buone pratiche per fare intercultura, pag 131.
8
A. NANNI, Un mondo multiculturale, pag. 21. Possiamo prendere come es. la società italiana: ci
accorgiamo subito che se da un lato la lingua, accomuna tutti gli italiani, dall'altro non tutti gli
italiani condividono gli stessi "costumi" ( etica) o gli stessi valori (pensiamo alla politica). Ancora,
un giovane italiano, oggi, non si identifica più con la generazione dei suoi genitori, dei quali molto
difficilmente condivide le idee, il comportamento, i valori, ecc. ..mentre si identificherà molto più
facilmente con un suo coetaneo, magari inglese o addirittura americano, pur non parlando la
stessa lingua.
9
A. NANNI, Un mondo multiculturale, pag. 20.

2
Che cos’è allora la cultura? E quale concetto di cultura può aiutarci ad una giusta
comprensione di questa realtà umana e orientarci ad un approccio rispettoso delle
diverse culture umane ?

La cultura è un insieme di valori e significati condivisi da un gruppo 10.

Questi significati e valori sono diversi per ogni gruppo. È vero che la vita umana è
più o meno la stessa per tutti: si nasce, si cresce, ci si sposa, si muore..., però il
modo di concepire, ordinare e vivere queste esperienze è diverso per ogni
gruppo umano e questa diversità dipende da una molteplicità di fattori che non
possono essere ricondotti semplicemente al luogo dove si è nati, alla lingua madre,
all’etnia, alla nazionalità, alla religione che si professa, ecc…
Ne consegue che esistono tante culture quanti sono i gruppi che condividono
significati e valori. Che cosa sono dunque questi significati e valori? E a che livello
della realtà umana situarli?

Noi viviamo la cultura alla quale apparteniamo a tre livelli: invisibile, strutturale,
visibile o morfologico. I valori si situano al primo e al secondo livello, mentre i
significati al terzo livello.

a. I valori
Un primo livello della cultura riguarda il sistema di credenze, consce o inconsce,
le cosmovisioni, il modo di pensare e il rapporto tra l’umano e il divino -ciò che noi
chiamiamo «miti»- su cui ogni gruppo fonda il suo modo di concepire la realtà -per
es. il modo di rispondere alle domande esistenziali: chi è Dio? Perché si nasce e
perché si muore.? Perché il male? Chi ha creato il mondo? Che senso ha la vita?
ecc...- Questo livello è il più profondo della cultura e per questo chiamato anche
invisibile11.

Facendo un’analogia con il simbolo dell’albero, questo livello rappresenta le


radici, in genere non visibili ma essenziali perché l’albero possa vivere. A questo
livello si situano quei valori umani universali (la dignità della vita, il rispetto del
dolore e della sofferenza umana, l’interdipendenza con l’intera creazione, ecc…)
non negoziabili con cui ogni gruppo dà le sue risposte alle domande esistenziali che
sono sempre una visione parziale della realtà intera12.

Nella cultura di una congregazione questo livello corrisponde alla


spiritualità, al carisma e ai consigli evangelici13. Ed è proprio a questo livello
che si dovrebbe realizzare quell’operazione di discernimento circa i valori
10
Dagli appunti del corso di Antropologia culturale tenuto dal Prof. George De Napoli SJ, PUG,
Roma 1992-1993.
11
Cfr. K POMBO, Identità culturale e interculturalità: nuovo paradigma della missione, p. 2-3.
12
Cfr. E. COMINO, Diversamente Uno, Riflessioni sull’interculturalità nella vita fraterna, Effatà,
Torino 2017, p. 102.
13
Cfr. E. COMINO, Diversamente Uno, p. 102.
3
trans-storici e trans-culturali che ogni Istituto vuol ritenere (valori non
negoziabili), nonostante la varietà delle culture che lo compongono e la loro
“traduzione” per renderli accessibili ai membri di culture molto diverse dalla
cultura fondante del carisma. In altre parole a questo livello dovrebbe
instaurarsi un’autentica interazione (un vero dialogo, una vera
comunicazione) tra la cultura della Congregazione e le culture di origine dei
membri che la compongono in modo che i valori delle diverse culture siano
fecondati, portati alla luce in quanto di vero, di buono e di bello già
contengono, in altre parole evangelizzati dai valori evangelici e carismatici e,
a loro volta, i valori evangelici e carismatici possano essere compresi,
arricchiti ed espressi successivamente, in altre parole inculturati, attraverso
una pluralità di nuove forme e nuove modalità. Non si tratta tanto di trovare
“una” cultura di “tutte” le culture, ma della «costruzione progressiva di una
realtà umana interculturale»14 che attraverso la pluralità delle culture che lo
compongono, permetta al volto della Congregazione, alla sua spiritualità, al
suo carisma e alla sua testimonianza dei consigli evangelici di esprimersi e di
manifestarsi in modo più ricco, più vero, più universale 15.

Un secondo livello della cultura riguarda le «istituzioni», cioè il modo con cui un
gruppo struttura il proprio modo di vivere collettivamente: in riferimento al sistema
di valori del primo livello ogni gruppo procede alla creazione di strutture familiari e
sociali che regolano la vita economica, politica, il sistema legislativo, educativo e
sanitario, la religiosità ecc… a questo livello, chiamato strutturale16, si situano:
il comportamento proprio o improprio…
Il bello e il brutto...
Il buono e il cattivo...

Riprendendo l’analogia dell’albero le istituzioni si possono paragonare al tronco


che permette ai valori condivisi di assumere una forma precisa.

Nella cultura di una Congregazione questo livello corrisponde alle


Costituzioni, alla forma e alle strutture di governo, al modo di organizzare la
vita fraterna, il proprio apostolato.17
A questo livello si corre spesso il rischio di confondere le istituzioni, che sono
un semplice mezzo per permettere ai valori non negoziabili di assumere
forme e di esprimersi attraverso modalità ben precise, con i valori stessi.
Quando le istituzioni vengono confuse con i valori, il rischio di imporre,
omologare o di assimilare ad un unico sistema culturale (in genere quello
della cultura fondante del carisma o della cultura maggioritaria all’interno
della congregazione) è maggiore.

14
VNON 40
15
Cfr. E. COMINO, Diversamente Uno, p. 146.
16
Cfr. K POMBO, Identità culturale e interculturalità: nuovo paradigma della missione, p. 3.
17
Cfr. E. COMINO, Diversamente Uno, p. 103.
4
Le Costituzioni allora dovrebbero essere il più possibile “essenziali” e
“chiare” -inequivocabili-, nei loro elementi di base, in modo da garantire la
trasmissione della memoria e della tradizione carismatica in continuità, e allo
stesso tempo diventare un “libro di vita” eloquente, compreso, condiviso,
percepito e assunto come proprio da ciascun membro.
Così come le strutture di governo dovrebbero essere il più possibile
rappresentative dell’assetto multiculturale della Congregazione e “inclusive”,
cioè capaci di promuovere e garantire spazi di vita a tutti i livelli, in cui le
differenze culturali possano esprimere concretamente, attraverso nuove
forme e nuove modalità proprie, i valori evangelici e carismatici condivisi.

b. I significati
Un terzo livello della cultura riguarda le pratiche concrete e quotidiane nei
diversi ambiti della realtà sopra elencati (economia, politica, educazione,
religiosità..). Questo livello viene chiamato visibile e morfologico18 perché tocca
tutti quegli aspetti immediatamente visibili ed identificabili, connessi alla
dimensione simbolica di una cultura: la lingua, l'arte (musica, pittura…), la
letteratura, le feste ecc... che sono sempre portatori di un significato e alla
dimensione materiale: il modo di vestire, il modo di cucinare, le tecniche di lavoro,
ecc...

Secondo l’analogia dell’albero gli elementi visibili sarebbero i rami e le foglie


dell’albero, che a differenza delle radici e del tronco si modificano in superficie e
cambiano più rapidamente.

Nella cultura di una congregazione a questo livello appartengono le sane


tradizioni (secondo i termini usati dal CDC), il Direttorio o gli Statuti, le
pratiche della vita comune. È il livello più superficiale ma anche quello più
visibile, quello con cui chi ci guarda dall’esterno entra immediatamente in
contatto con noi (anche le giovani che bussano alla nostra porta nei diversi
contesti culturali nei quali operiamo). Le sane tradizioni, il Direttorio o gli
Statuti in genere sono l’espressione dei due livelli precedenti della cultura
carismatica. Essi rivelano se, come Congregazione, siamo ancora sotto
l’egemonia di una cultura dominante (che corrisponde generalmente a quella
del fondatore o della fondatrice o del primo gruppo delle origini) 19 o se invece
siamo impegnate nella costruzione progressiva di una realtà umana
interculturale che permette al carisma di esprimersi in modo più ricco, più
vero e più universale attraverso la pluralità delle differenti forme e modalità
culturali.

Quando parliamo di culture, di conflitti e di relazioni interculturali -sia a livello


globale e planetario, che al livello della vita fraterna nelle nostre comunità

18
Cfr. K POMBO, Identità culturale e interculturalità: nuovo paradigma della missione, p.3.
19
Cfr. E. COMINO, Diversamente Uno, p. 103.
5
multiculturali- troppo spesso ci dimentichiamo, o non sappiamo precisare, a quale
di questi tre livelli della realtà siamo collocati… ciò rende inevitabilmente più difficile
la soluzione delle problematiche comuni e il superamento dei conflitti. 20

Da questa brevissima descrizione possiamo trarre alcune caratteristiche 21 della


cultura umana per un approccio positivo alle diverse culture, esse saranno preziose
non solo per la formazione ma anche ai fini dell'evangelizzazione:

1. La cultura è un prodotto umano: «solo l’uomo forma la cultura e solo la


cultura è un’espressione tipicamente umana della persona. Perciò dalla concezione
dell’uomo dipende la concezione della cultura, e dalla concezione della cultura
dipende la concezione dell’uomo. È sbagliato contrapporre l’uomo e la cultura:
22
l’uomo è un essere culturale» , essa dunque nasce sempre da un processo di
socializzazione, da persone che si incontrano e comunicano, perciò non è mai
statica, ma evolve.

2. La cultura non si eredita biologicamente ma si impara in un


processo di socializzazione: molti gruppi vivono la cultura ad un livello
inconscio, cioè senza tematizzare consciamente valori e significati. Si diventa
persone di una certa cultura attraverso tre processi:
a. internalizzazione: quando un bambino cresce e comincia a socializzare
avviene in lui un vero e proprio "lavaggio del cervello" attraverso il quale
senza rendersi conto acquisisce determinati valori e significati.
b. esternalizzazione: la persona agisce secondo quanto ha internalizzato.
c. oggettivazione: alla persona la propria cultura appare come qualcosa di
naturale e pensa (normalmente) che essa è il "vero" modo di agire, l’ “unico”
modo e il modo "giusto" di fare le cose, ecc. …«Ciò significa che le persone
gestiscono i significati dal punto in cui sono nella struttura sociale. In ogni momento
l’individuo è circondato da un flusso di significato (…) tuttavia egli non è un
semplice contenitore passivo per ogni tipo di significato disponibile e non contempla
quest’ultimo soltanto nel silenzio della sua mente. Da quando egli comincia a
formarsi una concezione di sé e del mondo, di ciò che è desiderabile o meno, si
trova attivamente coinvolto nell’affrontare praticamente, intellettualmente ed
emozionalmente la sua particolare situazione»23.

3. La cultura non è una cosa: non esiste la cultura in se stessa, al di fuori


delle persone, ma esistono delle persone umane concrete che condividono
significati e valori, e che incontrandosi li veicolano, li scambiano, li
condividono (li “meticciano”)24.

20
Cfr. K POMBO, Identità culturale e interculturalità: nuovo paradigma della missione, p. 3.
21
Le prime cinque caratteristiche che seguono sono tratte dagli appunti del corso di Antropologia
culturale…
22
A. NANNI-S. CURCI, Buone pratiche per fare intercultura, pag 132.
23
U. Hennerz, La complessità culturale, Il Mulino, Bologna 1998, pag. 84 citato in: A. NANNI-S.
CURCI, Buone pratiche per fare intercultura, pag 134.
24
Cifr. A. NANNI-S. CURCI, Buone pratiche per fare intercultura, pag 132.
6
4. La cultura non è un concetto puramente geografico: benché sia anche
un adattamento all'ambiente geografico, la cultura non si può più identificare
ad un paese, ad una nazione, i confini nazionali non corrispondono più a
quelli culturali. Se è vero che l' ambiente geografico può influire sul processo
di formazione o di evoluzione di una cultura è ancor più vero che «la dinamica
interculturale della contemporaneità con la sua complessità rifiuta ogni
semplificazione riduzionista. (…) Assistiamo oggi nella società, ed in particolare
nelle aree metropolitane, ad una stratificazione identitaria che neanche in piccola
parte può essere ricondotta al modello lineare della tradizionale dialettica tra
identità e alterità nel quale si ipotizzava l’esistenza di definizioni, localizzazioni,
caratteri distinti, specificità e peculiarità. I confini, tutti i confini, sembrano spostarsi
continuamente senza alcuna linearità»25, «Il nuovo passaggio in cui oggi la cultura
si colloca diventa pertanto quello della contaminazione e della “cultura senza
confini”»26.

5. La cultura è una necessità metafisica: nessuna persona umana, cioè,


può vivere al di fuori di una cultura e «non c’è nulla di umano che esista al di
fuori delle culture»27 tranne la spinta, l’anelito ad oltrepassare la cultura
stessa28. Il senso di ogni cultura infatti è uscire da se stessa per comunicarsi.

6. La cultura è caratterizzata dalla relatività: come afferma Pannikar:


«ogni cultura ha i suoi propri valori che è impossibile assolutizzare. Questo non
implica affatto il relativismo, che al contrario nega la possibilità stessa di credere in
qualche cosa. La relatività ci avverte, invece, che ogni cosmovisione e ogni
affermazione che ne deriva sono relative al loro contesto. Nessuno può più credere
di possedere una visione completa e assoluta della realtà. Anche se situata e quindi
limitata, ogni cosmovisione è, tuttavia, costituita dall’intreccio inscindibile delle
dimensioni cosmiche, divine e umane. Ogni essere umano -e analogamente ogni
cultura- è da interpretare come un nodo che arricchisce tale intreccio o, se si
preferisce, un alfabeto per leggere la realtà; e come tale possiede un valore
intrinseco unico. La relatività ci consegna così il messaggio dell’importanza cruciale
di ogni cultura e di ogni essere umano. E nello stesso tempo rende evidente
l’impossibilità di assolutizzarli»29.

Conclusione
In conclusione, come afferma un documento del CNPI: «È importante riconoscere
che i valori che danno senso alla vita e i diritti che li orientano non sono tutti nella
nostra cultura, ma neppure tutti nelle culture degli altri: non sono tutti nel passato, ma

25
M CALLARI GALLI, Cultura e contemporaneità. Nuovi scenari per un concetto “compromesso”, in
“Rassegna italiana di Sociologia”, XLV, 172004, pag. 21-36, citato in: A. NANNI-S. CURCI, Buone
pratiche per fare intercultura, pag 134.
26
A. NANNI-S. CURCI, Buone pratiche per fare intercultura, pag 134.
27
A. NANNI-S. CURCI, Buone pratiche per fare intercultura, pag 132.
28
Cfr. A. NANNI, Un mondo multiculturale, pag. 21.
29
Cit. in : A. NANNI-S. CURCI, Buone pratiche per fare intercultura, pag 132.
7
neppure tutti nel presente o nel futuro. Essi consentono di valorizzare le diverse
culture, ma insieme ne rilevano i limiti, e cioè le relativizzano, rendendo in tal modo
possibile e utile il dialogo e la creazione della comune disponibilità a superare i propri
limiti e a dare i propri contributi in condizioni di relativa sicurezza.»30

30
CNPI (Consiglio Nazionale della Pubblica Istruzione), 23 aprile 1992 citato in A. NANNI-S. CURCI,
Buone pratiche per fare intercultura, pag. 134.
8

Potrebbero piacerti anche