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1870-1914 Appunti
1870-1914 Appunti
La crisi economica comunque ebbe anche l’effetto di spingere capitalisti e uomini politici ad attuare importanti
trasformazioni e innovazioni nelle attività produttive, nell’organizzazione delle imprese e nella politica economica.
In primo luogo i capitalisti aprirono una nuova fase dell’industrializzazione (definita “Seconda rivoluzione
industriale”): fu avviata la produzione industriale in settori nuovi: industria chimica, industria elettrica, industria
automobilistica, (nella prima rivoluzione industriale i settori interessati erano stati quello tessile e quello siderurgico e
meccanico); l’industria siderurgica fu inoltre rinnovata dall’invenzione di nuovi metodi per la produzione dell’acciaio.
Le nuove industrie si basavano su una stretta relazione tra scoperte scientifiche e applicazioni tecnologiche industriali;
per esempio l’industria elettrica utilizzò gli studi sull’elettricità di Hertz e Maxwell e l’invenzione della dinamo
(Pacinotti, 1860) e della lampadina (Edison, 1879); l’industria automobilistica sfruttò l’invenzione del motore a
scoppio (Daimler e Benz, 1885, Diesel, 1897) e così via 1.
Queste nuove industrie suscitarono nuove attività produttive o rinnovarono e potenziarono quelle già esistenti:
dall’industria chimica, per esempio, trassero giovamento l’agricoltura (fertilizzanti), l’industria farmaceutica,
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Altre importanti scoperte scientifiche e invenzioni del periodo 1870-1994: raggi X (Roentgen 1895), radioattività (Curie 1898),
batteri (Pasteur e Koch) , dinamite (Nobel 1895), telefono (Meucci e Bell 1871), fonografo (Edison), cinema (Lumiére 1855),
telegrafo senza fili (Marconi 1901), aeroplano (Wright 1903), pneumatici (Dunlop 1888).
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l’industria alimentare (conservanti), l’industria tessile (fibre artificiali e coloranti), l’industria automobilistica (gomma
per i pneumatici e derivati del petrolio); l’invenzione della dinamo consentì lo sfruttamento a fini industriali
dell’energia elettrica (prodotta per mezzo di centrali idroelettriche e a vapore). Inoltre all’inizio del Novecento si
cominciò a organizzare il lavoro nelle fabbriche secondo il sistema teorizzato dall’ingegner Taylor (taylorismo), che
assegnava ad ogni lavoratore operazioni semplici e ripetitive, da compiere in tempi prestabiliti e subordinati al ritmo
di produzione delle macchine ( >catena di montaggio, applicata per la prima volta nella produzione della Ford modello
T, nel 1909).
Tutte queste innovazioni modificarono profondamente la vita quotidiana, soprattutto nelle grandi città: basti pensare
all’illuminazione delle città, allo sviluppo dei trasporti e delle comunicazioni, ai progressi della medicina.
In secondo luogo i capitalisti reagirono alla crisi cercando di limitare la concorrenza per mezzo di concentrazioni:
furono creati Cartelli (accordi di mercato tra più imprese dello stesso settore) e Trusts (fusioni di imprese), in modo da
creare delle situazioni di monopolio o oligopolio 2.
Un’altra innovazione nell’organizzazione delle imprese fu determinata dalla necessità di reperire ingenti capitali per
finanziare le nuove attività; si dovette quindi ricorrere al mercato azionario e alle banche: molte imprese si
trasformarono in società per azioni, ma soprattutto si realizzò un intreccio tra finanza e industria: le grandi banche,
finanziando le imprese, ne assumevano anche il controllo, acquistando azioni e inserendosi nei consigli di
amministrazione.
La volontà di contrastare la concorrenza e l’abbandono del liberismo classico si manifestarono anche nella svolta
protezionistica attuata da quasi tutti gli Stati industrializzati. Solo l’Inghilterra, che basava la sua prosperità in gran
parte sul commercio, rimase fedele al principio del libero scambio, mentre i governi degli altri Stati decisero di
proteggere le industrie e i prodotti nazionali dalla concorrenza internazione adottando il protezionismo doganale.
Tuttavia, mentre si proteggeva la produzione nazionale, spesso si cercava egualmente di invadere il mercato dei paesi
concorrenti, attuando per esempio il sistema del dumping 3, da ciò scaturirono “guerre doganali” (come quella tra
Francia e Italia, 1887-1898) che provocarono anche gravi contrasti politici.
Il dumping consiste nel tenere prezzi alti dei prodotti nazionali sul mercato interno, e nel vendere sottocosto all’estero, in modo
da rovinare i concorrenti esteri.
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tra Russia e Austria ( sia la Russia che l’Austria vorrebbero espandersi nei Balcani, approfittando del declino e della
“ritirata” dell’Impero turco), stringe la Triplice Alleanza tra Germania, Austria e Italia (l’Italia, tradizionalmente
“amica” della Francia e “nemica dell’Austria, entra in questa alleanza “innaturale” perché i rapporti tra Italia e Francia
si sono guastati a causa della conquista francese della Tunisia); inoltre stipula il Patto di Contro-assicurazione tra
Germania e Russia, in base al quale ognuno dei due contraenti assicura all’altro che non gli muoverà guerra in caso di
conflitto europeo (in tal modo la Francia non potrà allearsi con la Russia contro la Germania). Rimane l’Inghilterra,
ma, come sappiamo, essa preferisce non coinvolgersi nelle vicende europee (se non sono minacciati i suoi interessi), e
inoltre la competizione coloniale rende difficili i rapporti tra Francia e Inghilterra.
Oltre al sistema delle alleanze , Bismark mantiene la pace in Europa anche convocando a Berlino due Congressi per
risolvere diplomaticamente gravi contrasti internazionali. Il primo Congresso, nel 1878, definì i confini degli Stati
della penisola balcanica dopo la guerra russo-turca (la “sistemazione” dei Balcani concordata a Berlino durò fino al
1912); il secondo Congresso, nel 1884-85, giunse a un accordo sulla spartizione dell’Africa tra le potenze europee; il
successo di questi Congressi accrebbe il prestigio internazionale del Reich tedesco che li aveva convocati e che aveva
assunto il ruolo di mediatore.
La nuova politica estera di Guglielmo II si manifestò principalmente nel rafforzamento dell’esercito (che provocò in
Europa una generale “corsa al riarmo”), nella costruzione di una grande flotta da guerra, in grado di mettere in
discussione la supremazia navale inglese, nel tentativo di acquisire nuove colonie, che portò alle due crisi marocchine
del 1905 e del 1911: queste crisi si verificarono quando la Germania si oppose (anche con minacce di guerra e con
invio di navi da guerra di fronte alla costa marocchina) all’occupazione del Marocco da parte della Francia; le crisi
vennero risolte diplomaticamente: la Francia si vide riconosciuto il protettorato sul Marocco e la Germania fu risarcita
con la concessione di una porzione del Congo francese. Nel complesso però la politica estera di Guglielmo II riuscì a
ottenere solo un modesto incremento dei possedimenti coloniali tedeschi, ma preoccupò gli Stati europei che si
riavvicinarono alla Francia (tra l’altro Guglielmo II non rinnovò il trattato di contro-assicurazione tra Germania e
Russia): in tal modo la Francia riuscì a rompere l’isolamento in cui era stata tenuta da Bismark e ad allearsi con
Inghilterra e Russia (Triplice Intesa del 1907).
LA FRANCIA della Terza Repubblica
Dopo l’umiliante sconfitta nella guerra franco-prussiana e l’esperienza rivoluzionaria e tragica della Comune di Parigi,
si costituì la Terza Repubblica, guidata prima dai Repubblicani moderati, detti “opportunisti”, e poi dai Radicali.
Queste forze politiche, espressione della borghesia illuminista e positivista, attuarono una politica estera di grande
espansione coloniale (che doveva compensare la sconfitta del 1870) e in politica interna seguirono un orientamento
laicista e anticlericale (laicizzazione dell’istruzione, divorzio, abrogazione del Concordato napoleonico del 1801 e
scioglimento degli ordini religiosi). La vita della Terza repubblica fu resa difficile dall’ostilità di gruppi
tradizionalisti, monarchici, militari e clericali (che tentarono colpi di stato e provocarono gravi crisi) e da una
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situazione economica sfavorevole, aggravata da scandali politico-finanziari; d’altra parte i governi repubblicani non
attuarono una politica di riforme sociali, e pertanto nei primi anni del Novecento si moltiplicarono anche gli scioperi e
le agitazioni operaie e il Partito Socialista francese crebbe fino ad ottenere un grande successo nelle elezioni del 1914.
Ma l’aggravarsi della situazione internazionale e poi lo scoppio della Grande Guerra riaccesero in Francia il
nazionalismo e lo spirito di revanche e anche il partito socialista (nonostante l’assassinio del suo leader Jaurès)
approvò l’intervento in guerra e diede il suo appoggio al governo e al presidente in carica, il nazionalista conservatore
Raymond Poincaré.
Fra le crisi che minacciarono la repubblica, creando profonde divisioni nella popolazione francese, va segnalato il
“caso Dreyfus”: nel 1894 l’ufficiale dell’esercito Alfred Dreyfus, ebreo, fu condannato ai lavori forzati per spionaggio
a favore della Germania. Il caso fu sfruttato dalle destre (clericali, monarchici, nazionalisti) per una violenta campagna
antisemita. Nel 1898 il romanziere Emile Zola, in un celebre articolo, Je accuse, sostenne l’innocenza di Dreyfus e
lanciò una campagna per la revisione del processo, accusando i comandi dell’esercito e i giudici militari di aver
falsificato le prove contro Dreyfus. Secondo lo storico Villari, “...due concezioni politiche e due ideologie si
scontrarono: da una parte si invocarono i diritti dell’individuo, la democrazia, il rifiuto della discriminazione razziale,
dall’altra l’autorità dello Stato, l’onore dell’esercito, il prestigio e la sicurezza della nazione”. Zola fu condannato per
offese all’esercito, ma le successive elezioni (nel 1899) vennero vinte dai repubblicani; l’innocenza di Dreyfus fu però
riconosciuta solo nel 1906 (un alto ufficiale si era nel frattempo suicidato, dopo aver confessato la falsificazione di una
prova a carico di Dreyfus).
LA GRAN BRETAGNA
Al governo della Gran Bretagna, nella seconda parte del regno della regina Vittoria, si alternarono i liberali (guidati da
Gladstone) e i conservatori (guidati da Benjamin Disraeli).
Gladstone attuò nel 1884 un’importante riforma elettorale, che allargò considerevolmente il suffragio, concesso a gran
parte dei lavoratori (ma non era ancora il suffragio universale), e cercò di risolvere la questione irlandese proponendo
la concessione dell’autonomia, Home Rule, all’Irlanda (in Irlanda la maggioranza cattolica, sfruttata dai latifondisti
inglesi e impoverita dai cattivi raccolti e dalla crisi agraria europea, si opponeva al dominio inglese, e gruppi di
estremisti irlandesi ricorrevano anche ad azioni terroristiche). Il progetto dell’Home Rule però fallì per l’opposizione
dei conservatori e di una parte dei liberali, e pertanto Gladstone lasciò il governo e il paese fu governato fino al 1906
da una coalizione di conservatori e liberali “unionisti” (cioè contrari all’autonomia dell’Irlanda).
In questo periodo l’Inghilterra attuò una politica imperialista, che la portò a dominare la parte orientale dell’Africa
(dall’Egitto al Sudafrica), l’India, la Birmania; lo sfruttamento delle colonie permise ai governi di contenere gli effetti
negativi della Grande Depressione e di attenuare i contrasti sociali.
Alla fine dell’Ottocento presero vigore anche in Inghilterra impulsi nazionalistici e razzistici, specie in occasione della
guerra contro i Boeri nel Sud-Africa (1899-1902), mentre la crescita economica della Germania, la concorrenza
tedesca nella produzione industriale e la politica estera aggressiva adottata dal kaiser Guglielmo II cominciavano a
minacciare il primato economico e politico britannico.
A partire dal 1906 furono al governo i liberali, mentre entravano in parlamento anche i primi deputati del nuovo
Partito Laburista: i governi liberali attuarono una politica coloniale meno aggressiva concedendo lo statuto di
Dominion, cioé una piena autonomia, alla Nuova Zelanda e al Sudafrica (dopo il Canada e l’Australia), e realizzarono
importanti riforme sociali e politiche: giornata lavorativa di otto ore per i minatori, pensioni di vecchiaia, politica
fiscale progressiva, riduzione dei poteri politici della camera dei Lords. In politica estera lo sviluppo della potenza
tedesca spinse i governi inglesi a porre fine allo “splendido isolamento”, e a superare i contrasti (per questioni
coloniali) con la Francia e con la Russia, stipulando così la Triplice Intesa (Gran Bretagna, Russia, Francia) nel 1907.
DUE POTENZE EMERGENTI: GLI STATI UNITI E IL GIAPPONE
Alla metà dell’Ottocento gli Stati Uniti erano un paese in crescente espansione, benché attraversato da forti differenze
tra le diverse zone: il Nord-Est industrializzato, il Sud agricolo e tradizionalista nelle cui grandi piantagioni di cotone
e tabacco lavoravano milioni di schiavi neri, gli Stati dell’Ovest con una popolazione di liberi agricoltori e allevatori
di bestiame. Fino a metà del secolo la questione della schiavitù era stata considerata di competenza dei singoli Stati,
che pertanto potevano decidere se abolirla o mantenerla, e c’era stato un sostanziale equilibrio tra Stati abolizionisti e
Stati schiavisti; ma intorno al 1850 la costituzione a ovest di nuovi Stati abolizionisti aveva alterato questo equilibrio e
determinato una contrapposizione tra gli Stati del Sud e quelli del Nord e dell’Ovest. Anche i vecchi partiti politici
(Democratici e Whigs) entrarono in crisi e nel 1854 nacque il Partito repubblicano, favorevole al protezionismo
doganale invocato dagli industriali del nord, alla distribuzione di terre demaniali ai coloni dell’Ovest e all’abolizione
della schiavitù. La vittoria del repubblicano Lincoln alle elezioni presidenziali del 1860 fece precipitare il contrasto,
provocando la secessione degli Stati del Sud e la guerra civile (1861-1865): il motivo della secessione e della guerra
non fu semplicemente l’abolizione o meno della schiavitù, ma il rapporto tra il potere federale e i singoli Stati,
l’estensione del potere del governo federale e i limiti dell’autonomia degli Stati. La vittoria degli “Unionisti”
(superiori come popolazione e potenza economica) sui “Confederati” del Sud secessionisti determinò la liberazione
degli schiavi, ma i neri continuarono a vivere in condizioni di segregazione e di sottomissione civile ed economica
(apartheid).
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Superati i traumi della guerra civile (che fu lunga e lacerante, e provocò 600.000 morti), gli Stati Uniti vissero una
stagione di intensa crescita economica e di grandi trasformazioni sociali, sostenute anche dal flusso migratorio. Sul
piano della politica estera, gli Stati Uniti proseguirono nel corso dell’Ottocento la colonizzazione dell’Ovest e si
attennero al loro tradizionale atteggiamento anticolonialista e isolazionista (l’unica eccezione fu l’aiuto dato ai
repubblicani messicani contro il tentativo di egemonia francese in Messico, nel 1864-1867).
Alla fine del secolo lo sviluppo economico e demografico (da 40 milioni di abitanti nel 1870 a 75 milioni nel 1900) e
la necessità di nuovi sbocchi per la produzione agricola e industriale spinsero gli Stati Uniti ad adottare una nuova
politica estera, più vicina all’imperialismo degli Stati europei. L’imperialismo statunitense ebbe tuttavia un carattere
originale, consistendo, nella maggior parte dei casi, più che nell’acquisizione di domini diretti (in contrasto con la
tradizione democratica e anticolonialista americana) in forme di controllo economico e politico.
Nel 1898 gli Stati Uniti entrarono in guerra contro la Spagna prendendo le difese degli indigeni di Cuba che si erano
ribellati al dominio spagnolo. La Spagna fu sconfitta in pochi mesi (in tal modo si palesò per la prima volta agli
Europei la potenza militare degli Stati Uniti) e gli Stati Uniti ottennero gli ultimi possedimenti coloniali spagnoli: le
Filippine e Portorico. Cuba ebbe l’indipendenza ma si trovò di fatto sotto la tutela degli Stati Uniti.
Nel 1903 gli Stati Uniti avviarono la costruzione del Canale di Panama e anche in questo caso appoggiarono una
rivolta dei panamensi che portò alla costituzione di una Repubblica controllata dagli USA.
Nel Pacifico gli Stati Uniti conquistarono le Isole Hawai e Samoa.
Nei primi anni del Novecento i presidenti USA Theodor Roosvelt (repubblicano, dal 1901 al 1908) e Thomas Wilson
(democratico, dal 1913 al 1921) cercarono di limitare il potere dei grandi trust e avviarono riforme sociali.
Il Giappone – caratterizzato da un sistema politico e sociale di tipo feudale e da una economia quasi esclusivamente
agricola - rimase isolato e impenetrabile fino alla metà dell’Ottocento, quando fu costretto dall’intervento militare
degli Stati Uniti e di Gran Bretagna, Francia e Russia, ad aprire relazioni commerciali e a firmare accordi (i cosiddetti
“Trattati diseguali” del 1858) che assicuravano alle potenze occidentali ampie possibilità di penetrazione economica.
Ma l’umiliazione subìta spinse i grandi feudatari e i samurai a una rivolta contro il vecchio sistema di potere feudale
(shogun) . La rivoluzione Mejii (1868), che intendeva restituire potere all’imperatore, portò alla costruzione di uno
Stato più moderno e fu accompagnata da una modernizzazione accelerata dell’intera società giapponese: una
“rivoluzione dall’alto” che coinvolse l’economia e la legislazione, il sistema politico e i rapporti sociali. Si realizzò
anche una crescita poderosa dell’industria nipponica, favorita dal sostegno e dall’intervento statale. In pochi anni il
Giappone divenne la maggiore potenza asiatica, dal punto di vista economico e militare, e avviò una politica di
espansione nell’Oriente asiatico, approfittando della crisi dell’impero cinese per impadronirsi di territori soggetti ad
esso (Corea, Formosa, Manciuria).
L’espansione giapponese finì per scontrarsi con l’espansione della Russia nell’Estremo Oriente, e provocò una guerra
tra Giappone e Russia (1904-1905), che si concluse con la vittoria, netta e inaspettata, del Giappone. In tal modo il
Giappone fece il suo ingresso nel ristretto numero delle grandi potenze mondiali.
Per capire i termini di questo accordo ripercorriamo la storia del movimento cattolico in Italia: nel 1864 il
papa Pio IX aveva condannato il liberalismo (con il Sillabo) e nel 1870, dopo la conquista di Roma da parte
del Regno d’Italia, aveva vietato ai cattolici di partecipare alle elezioni politiche (“non expedit”) per
manifestare così il dissenso rispetto allo Stato italiano usurpatore dei diritti della Chiesa. La politica
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anticlericale, le espropriazioni di beni ecclesiastici, ma anche l’oppressione dei ceti popolari attuata dai
governi del Regno, alimentarono il contrasto tra la Chiesa cattolica e lo Stato italiano. Il papa Leone XIII
(succeduto a Pio IX nel 1878) assunse un atteggiamento più conciliante nei confronti degli Stati liberali e nel
1891 pubblicò l’enciclica Rerum Novarum, con cui la Chiesa cattolica prendeva posizione sul problema
sociale: la Rerum Novarum affermava il diritto naturale alla proprietà, e condannava quindi il socialismo, sia
perché esso negava tale diritto, sia perché propugnava la lotta di classe, anche violenta, come soluzione dei
problemi sociali. La Rerum Novarum affermava però che la proprietà privata comportava dei doveri sociali
(quindi il profitto non doveva essere l’unico fine e valore dell’attività economica), condannava lo sfruttamento
economico dei proletari, approvava l’intervento dello Stato nell’ambito economico-sociale per tutelare le
classi più deboli, riconosceva il diritto dei lavoratori di associarsi per difendere i propri interessi, proponeva
la collaborazione tra lavoratori e padroni in vista del “bene comune”. Tale enciclica proponeva quindi una
dottrina sociale cattolica che, pur essendo molto distante dalle teorie socialiste, contestava anche i principi del
liberismo ed esprimeva una visione solidaristica e sensibile al disagio dei ceti popolari. L’effetto immediato
della Rerum Novarum fu quello di incoraggiare e sostenere l’associazionismo cattolico: si venne così
formando un vasto movimento cattolico costituito da sindacati, associazioni, leghe, cooperative, banche ecc.;
nell’ultimo decennio dell’Ottocento le organizzazioni sindacali del movimento cattolico entrarono in
concorrenza con le organizzazioni socialiste e difesero attivamente i diritti dei lavoratori, subendo anche le
repressioni governative (nel 1898, dopo i moti di Milano, seimila associazioni cattoliche furono accusate di
sovversivismo e sciolte dal governo, e il leader cattolico don Davide Albertario fu arrestato, insieme al
socialista Turati, e condannato a tre anni di carcere). Il movimento cattolico era però presente solo a livello
sociale, mentre non esisteva, a causa del “non expedit”, un’attività e un’organizzazione politica dei cattolici.
Un tentativo di formare un partito dei cattolici venne attuato nei primi anni del Novecento da don Romolo
Murri, che fondò la Democrazia Cristiana, questo tentativo però naufragò per l’opposizione del nuovo papa
Pio X (1903-1914) (don Murri, fra l’altro, venne condannato per il suo “modernismo” teologico, considerato
incompatibile con la dottrina cattolica); comunque Pio X sospese il “non expedit”, e in tal modo consentì
l’elezione dei primi deputati cattolici, ma soprattutto rese possibile il “patto Gentiloni”.
Il Patto Gentiloni (che prese il nome dal presidente dell’Unione elettorale cattolica) prevedeva che i cattolici
avrebbero votato per quei candidati liberali che si impegnavano a non fare una politica anticlericale e a non
promuovere leggi sgradite alla Chiesa, come p.e. il divorzio: tale impegno fu sottoscritto da moltissimi candidati
liberali e in tal modo i liberali, grazie al voto dei cattolici, ebbero ancora la maggioranza in Parlamento, anche se ci fu
una certa crescita dei deputati socialisti. Molti dei liberali eletti però erano conservatori, piuttosto distanti dal
liberalismo progressista di Giolitti; pertanto Giolitti, avvertendo di non avere una solida maggioranza, preferì lasciare
la guida del governo (1914).
Il nuovo capo del governo fu il liberale conservatore Antonio Salandra. La situazione politica e sociale tendeva
nuovamente a radicalizzarsi: alla sinistra rivoluzionaria si contrapponeva la destra liberal-conservatrice. Un sintomo
evidente di questo nuovo clima fu la “settimana rossa” che scoppiò in Romagna e nelle Marche nel giugno 1914:
un’ondata di scioperi e di agitazioni che assunse un carattere apertamente insurrezionale (con violenze, sabotaggi,
assalti a edifici pubblici), e che fu repressa con l’impiego di 100.000 soldati. Un mese dopo scoppiava la Grande
Guerra e si poneva il problema della partecipazione italiana, che avrebbe suscitato nuovi contrasti e divisioni.