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Confronto tra prima e seconda

rivoluzione industriale - Appunti di


Storia economica
Storia Medievale E Moderna
Università Telematica Pegaso (UNIPEGASO)
9 pag.

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1. INGHILTERRA NELLA II RIVOLUZIONE INDUSTRIALE
Nel confronto tra la 1° e 2° Rivoluzione Industriale risaltano delle importanti differenze .
La permanenza più significativa è che le rivoluzioni industriali si verificano nei paesi culturalmente e
istituzionalmente più avanzati dell'epoca, nei paesi, cioè, dove le istituzioni sono adeguate per permettere la
libera iniziativa, sono in grado di offrire un sistema monetario relativamente solido, un sistema finanziario
capace di raccogliere ingenti capitali, una pratica contabile ordinata ed efficiente, una sufficiente diffusione
dell'alfabetizzazione, dell'informazione e della cultura superiore. Non è certo un caso legato all'ambiente
naturale o alla disponibilità di risorse che la prima rivoluzione industriale sia avvenuta in Gran Bretagna: era
questo il paese culturalmente ed istituzionalmente più avanzato dell'epoca; il fatto poi che la Gran Bretagna
disponesse di miniere di carbone, o di colonie che fornivano altre materie prime, è stato ormai riconosciuto
un fattore di aiuto, ma non certo la causa principale del suo decollo industriale.

Se la prima rivoluzione industriale si basava sulla macchina a vapore, che mutò drasticamente
l'approvvigionamento di energia in qualunque processo produttivo, sulla lavorazione del ferro all'alto forno
e sulla meccanizzazione di molti processi produttivi prima effettuati a mano, particolarmente nelle industrie
tessili e alimentari, la seconda rivoluzione industriale si basò invece sull'elettricità, il motore a scoppio,
acciaio e la chimica organica. Ebbene, le invenzioni della prima rivoluzione industriale richiedevano scarse
elaborazioni teoriche e potevano essere realizzate ed utilizzate da uomini pratici: un' istruzione elementare
era sufficiente (si ricordi, comunque, che all'epoca anche l'istruzione elementare era patrimonio di pochi).

Ma la chimica, l'elettricità, l'acciaio e la meccanica del motore a scoppio erano più complicati, più legati a
conoscenze e a nuove scoperte scientifiche, e richiedevano quindi un'istruzione medio-superiore . I paesi che
seppero istituire un sistema di istruzione medio-superiore più valido e generalizzato fecero meglio degli altri,
la Germania e gli Stati Uniti in testa a tutti. Fu così che la Gran Bretagna attaccata ai suoi splendori non
seppe tener dietro a questi nuovi sviluppi, non adeguò il suo sistema educativo e inizio il suoi declino da
paese leader.

Ma la seconda rivoluzione industriale rivela anche altre differenze rispetto alla prima. Nella seconda ci
furono un numero maggiore di innovazioni di prodotto rispetto alla prima. Proprio la macchina a vapore è
un'innovazione di prodotto: si tratta di qualcosa che prima non esisteva affatto, ma la meccanizzazione dei
processi produttivi era soprattutto fatta di innovazioni di processo: quello che prima veniva fatta a mano, ora
veniva eseguito dalle macchine, ma il prodotto finale non variava di molto. La seconda rivoluzione
industriale vede invece spettacolari novità di prodotto: dal telefono all'aspirina, dall'aereo all'alluminio, dal
cinematografo alle fibre tessili artificiali. Si avviano giganteschi investimenti per il trasporto dell'elettricità e
della telefonia, la costruzione di strade per le automobili, ma, soprattutto, ci si rende conto che molti di quei
nuovi prodotti possono essere resi disponibili ai consumatori a prezzi assai contenuti se solo se ne organizza
la produzione su larga scala in impianti di enormi dimensioni.

Iniziarono a circolare nuove merci, prese avvio l'età del petrolio, della chimica, dell'elettricità (foto,
cinema, automobili). Nel campo della produzione industriale vennero introdotte nuove tecniche per
strutturare il lavoro in modo da risparmiare tempo e denaro:
• fordismo: struttura della tipica catena di montaggio, i tempi sono dettati dalla macchina, vi è un
risparmio energetico;
• taylorismo: impongo a tutti gli operai il tempo cronometrato del miglior dipendente;
Si giunse così ad una massiccia produzione di nuove merci. Altra caratteristica fondamentale della seconda
rivoluzione industriale è la fine del monocentrismo industriale inglese, che, fino al 1780, era l'officina del
mondo (workshop of the world), unico o di gran lunga principale centro industriale del mondo. A questo
punto nuovi paesi avevano raggiunto la piena maturità industriale e cominciarono il decollo (take-off)
industriale. Si passa ad una struttura con molti centri, in particolare nel 1900 USA e Germania riuscirono
ad eguagliare l'Inghilterra nella produzione del ferro. In Italia il decollo iniziò nel 1896 nel Nord Italia (1899
fondazione della FIAT). Anche il Giappone negli ultimi decenni dell'Ottocento ebbe uno sviluppo industriale
enorme. Giappone, USA e Germania sono i cosiddetti second comers (secondi arrivati).
In questi anni prende avvio una fortissima tendenza monopolistica, i capitali si concentrano, si formano
colossi industriali il cui obiettivo è il monopolio in un certo bene/settore. Qui nascono i trust, enormi

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imprese nate dalla fusione di più aziende o dall'assorbimento di minori, il cui obiettivo, anche in questo caso,
è il monopolio. In realtà nessuna di esse raggiunge i fini proposti, ma si viene però a formare un oligopolio,
pochi trust che competono tra loro.
Nascono anche i cartelli (soprattutto in Giappone e in Germania), ovvero accordi tra aziende formalmente
indipendenti sui prezzi per limitare la concorrenza. Trust e cartelli limitano molto la libera concorrenza,
sopprimono nuove aziende. Comincia ad emergere negli USA una legislazione anti-trust: la prima fu
introdotta nel 1890, lo Sherman Act che mirava a rendere più concorrenziale il mercato del petrolio (in
particolare contro la Standard Oil Company).
Trust e cartelli avevano inoltre così grandi risorse finanziare da poter praticare il dumping (letteralmente
buttar giù), ovvero vendere sottocosto all'estero per sbaragliare la concorrenza. Avevano anche potere sul
governo, facendo pressione per attuare politiche protezionistiche, nacquero così le lobbies, ovvero gruppi di
pressione che agiscono in parlamento e al governo per tutelare gli interessi della grande industria. Fare
guerra, alzare le tariffe doganali e così via.
2. RIVOLUZIONE DEMOGRAFICA

Nel Settecento l'agricoltura subisce una grande trasformazione che, a buon diritto, è chiamata rivoluzione
agricola per i profondi cambiamenti che determina nella vita rurale; il prodotto della terra aumenta in modo
deciso tanto che vengono soddisfatte le maggiori richieste alimentari della popolazione in continuo aumento.

A sua volta la pressione demografica accelera le trasformazioni agricole incoraggiando ogni iniziativa mirata
ad ottenere dalla terra una sempre maggiore produttività .
Area geografica: La rivoluzione agricola si verifica nell'Europa occidentale. Parte dai Paesi Bassi, dove già
nel '500 e nel '600 fervevano numerose iniziative, e nel '700 si diffonde in Inghilterra dove ha un eccezionale
sviluppo. Fra le probabili cause di questa rapida diffusione va annoverata la struttura sociale inglese, meno
rigida che in altri paesi europei, nella quale i grandi proprietari terrieri non costituiscono una casta ed
assicurano una loro effettiva presenza sulle terre. Nella prima fase (dal 1690 al 1730 circa) la rivoluzione
agricola inglese imita i modelli fiamminghi, poi dal 1730 e fino alla metà del sec. XIX adotta varie
innovazioni originali tanto da diventare modello al resto dell'Europa, particolarmente occidentale, ed agli
Stati Uniti. Da un punto di vista storico tale diffusione si realizza in rapporto diretto con la distanza di ogni
paese dall'Inghilterra: i più vicini vengono raggiunti per primi e tra questi sono da annoverare anche gli Stati
Uniti, dove il forte flusso migratorio dall'Inghilterra rappresenta una forma di vicinanza, indipendentemente
da quella geografica .
Elementi che determinano la rivoluzione agricola :
1)Il maggese (terra coltivabile lasciata a riposo) è progressivamente soppresso. La rigenerazione del suolo
viene realizzata in modo graduale attraverso un alternarsi di colture che utilizzano elementi chimici del suolo
diversi e situati a profondità variabili; inoltre il suolo viene concimato più abbondantemente grazie
all'incremento dell'allevamento, favorito dalle piante foraggere introdotte nella rotazione delle .
2) Introduzione o estensione di colture nuove Rispondono all'esigenza della rotazione che impone
l'introduzione nei cicli di piante diverse, alcune nuove, in specie americane, per la maggior parte d'Europa.
Rispetto ai cereali tradizionali, spesso si tratta di alimenti con scarso valore energetico che però consentono
di fronteggiare le conseguenze dei periodici cattivi raccolti di cereali .
3) Estensione e miglioramento della superficie coltivata.Viene imposta per legge la recinzione di varie aree
coltivabili in un'unica unità di produzione al fine di aumentare i seminativi, interessando anche zone
precedentemente incolte; viene ricercata forza-lavoro salariata, necessaria per una agricoltura intensiva. Si
delinea la formazione dell'azienda agraria di grandi dimensioni .

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4) Miglioramento delle attrezzature tradizionali e introduzione di attrezzature nuove.
Si ha anzitutto il miglioramento dell'aratro che in alcune regioni sostituisce la zappa. Migliorano anche altri
strumenti agricoli che con l'adozione sempre più diffusa del ferro consentono di lavorare il terreno in
profondità. Si diffondono tecniche nuove nel modo di coltivare la terra. A quest'epoca risale anche
l'introduzione o la diffusione del drenaggio .
5) Selezione delle sementi e degli animali da riproduzione. La selezione delle sementi comincia con attenta
valutazione e prosegue in modo metodico e così anche quella degli animali da riproduzione tanto che si
verificano rapidi progressi con aumento del peso dei capi di bestiame e del rendimento nella produzione del
latte. Ciò consente anche di migliorare l'alimentazione con conseguente crescita demografica .
6) Riduzione dei pascoli tradizionali.Questo comporta una maggiore estensione della superficie coltivata.
Tuttavia l'allevamento del bestiame aumenta anziché diminuire grazie alla maggiore coltivazione delle piante
foraggere.
7) Estensione dell'impiego dei cavalli nei lavori agricoli .La velocità di trazione dei cavalli è del 50%
superiore a quella del bue, perciò l'estensione del suo impiego permette la coltivazione di superfici sempre
più estese; aumenta così la produttività, ulteriormente incrementata dal miglioramento dell'aratro,
(contraddicendo la teoria di Malthus il quale ipotizzerà nel 1798 che le risorse della terra sarebbero state
insufficienti a soddisfare le richieste alimentari della popolazione in continuo aumento). Diminuisce
invece la percentuale di persone occupate nell'agricoltura, costrette quindi a trovare un altro lavoro spesso in
città, nelle fabbriche .
La rivoluzione agricola interessa le zone temperate perché le piante coltivate, gli animali allevati, le tecniche
adottate sono particolarmente indicati a climi temperati. La diffusione della rivoluzione agricola in altri
paesi, specie in quelli che chiamiamo del terzo mondo, viene ostacolata non solo dal clima, ma da altri fattori
di carattere sociale o religioso o anche dalla diversa densità di popolazione .
Per concludere, alla fine del '700, non è più soltanto l'esperienza a guidare l'attività del contadino: infatti,
sulla spinta delle istanze illuministiche, cominciano a diffondersi i testi di agronomia (nel 1753 sorge a
Firenze l'Accademia dei Georgofili). L'agricoltura diventa una scienza .

3. CONSEGUENZE ECONOMICHE DELLA GRANDE GUERRA .


Una serie di conflitti mutarono e sconvolsero la situazione economico politica delle potenze mondiali prima
dello scoppio della Prima Guerra Mondiale:

• l’espansione del capitalismo nelle economie dei principali Paesi coinvolti;


• il fatto che i diversi stati attuarono una politica di tipo imperialista, i gruppi economici influirono molto le
politiche di ogni Paese;
• la crisi del sistema di alleanze create da Bismark;
• la nascita del nazionalismo;
• lo sviluppo della cultura bellicista;
• la sopravvalutazione delle forze militari.

Al termine della Prima Guerra Mondiale, ad eccezione degli Stati Uniti, la situazione economico politica era
stata ovunque sconvolta. Gli impianti produttivi erano andati distrutti, l’agricoltura era priva delle sue
migliori forze lavorative, i beni primari erano molto scarsi, specialmente nelle grandi città, dove i prezzi
aumentavano vertiginosamente. Inoltre, i salari erano bloccati a causa della riconversione industriale, dalla

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produzione bellica a quella civile. L’Europa uscì dal conflitto in condizioni di grave instabilità politica ed
economica .
Le perdite umane e materiali non avevano sconvolto non solo le potenze sconfitte, ma anche quelle
vincitrici. La Germania era prostrata, le condizioni di pace erano state durissime, alimentando la crisi
economica del Paese, ma anche un forte desiderio di rivincita. Anche la Francia, l’Inghilterra e l’Italia ne
erano uscite pesantemente indebolite. L’offerta era ovunque inferiore alla domanda, i prezzi salivano ed il
potere d’acquisto scendeva, mentre a crescere era il numero dei disoccupati .
Le industre e l’agricoltura non erano in grado di assorbire tutta la manodopera costituita da coloro che erano
ritornati dal fronte. Le industrie si erano trasformate praticamente in produttrici di solo materiale bellico, la
riconversione richiedeva tempi estremamente lunghi e furono molte le industrie a fallire.
Conseguenze sociali dopo il conflitto Finita la Prima Guerra Mondiale, le vittime erano quasi 10.000.000,
tra i caduti sui campi di battaglia ed i morti a causa delle varie malattie epidemiche, risultato delle privazioni
alimentari ed igieniche subite durante gli anni del conflitto. Inoltre, tra il 1918 ed il 1920 si diffuse in tutta
l’Europa anche l’epidemia spagnola. Durante la guerra, la grande borghesia e gli affaristi si erano largamente
arricchiti, cosa che inaspriva decisamente l’avversione delle masse popolari. Il contributo femminile alla
forza lavoro era stato decisivo in quegli anni, e nei settori più disparati.
Lo schema che segue riporta le tendenze politiche relative alle rispettive classi sociali.
Operai industriali, braccianti, agricoltori e salariati: partiti socialisti e formazioni anarchiche.
Ceti intermedi (piccoli proprietari re piccoli borghesi): associazioni rivendicatrici del superamento dei
tradizionali ordinamenti istituzionali.
Grandi proprietari industriali ed agrari, gerarchie militari, antica aristocrazia e quadri superiori delle
burocrazie statali: partiti conservatori

4. L’ARRIVO DEI METALLI PREZIOSI DAL NUOVO MONDO Nel Medioevo, i pregiati prodotti
dell'Africa e dell'Asia giungevano sui mercati europei attraverso i mercanti arabi e italiani. Tali
intermediazione rendeva costosissime le merci: per questo, sin dal XIII secolo, si tentò di raggiungere
l'oceano Indiano circumnavigando l'Africa. Tra il Quattro e il Cinquecento alcuni grandi navigatori al
servizio di vari Stati europei, realizzarono numerosi viaggi di esplorazione allo scopo di individuare nuove
rotte commerciali. Nel 1487, Bartolomeo Diaz doppiò il Capo di Buona Speranza, la punta meridionale
dell’Africa, ma non riuscì a raggiungere le Indie e fu costretto a tornare indietro; nel 1498 Vasco de Gama,
doppiato il capo e risalita la costa orientale dell’Africa, arrivò fino all’India. La nuova rotta da lui percorsa
consentì al Portogallo di assumere il control 0 lo
0 1 Fdel commercio marittimo con l’Oriente.

LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DELLE SCOPERTE GEOGRAFICHE


Le nuove scoperte geografiche ebbero conseguenze economiche di enorme portata.
Le più importanti rotte commerciali europee, lentamente, si spostarono dal Mediterraneo all’oceano
Atlantico: Lisbona, Siviglia, Rotterdam, Londra e, in seguito, Bordeaux e Amsterdam divennero, col tempo,
porti maggiori di Genova, Venezia o Napoli. L’Italia perse così gran parte della sua importanza commerciale.
L'afflusso di metalli preziosi dal nuovo mondo sconvolse l'economia europea, provocò una grave inflazione
e accentuò il formarsi d'una potente classe commerciale, la borghesia.Inoltre, cosa da non sottovalutare, con
l’arrivo di nuovi prodotti cambiarono le abitudini alimentari degli Europei.
LA DISTRUZIONE DELLE CIVILTA’ PRECOLOMBIANE
Dopo i viaggiatori, le nazioni europee, soprattutto la Spagna, inviarono in America conquistatori. Lo
spagnolo Cortes conquistò il Messico distruggendo la civiltà indigena degli Aztechi; un altro spagnolo,
Pizarro, conquistò il Perù, dominato dagli Incas, anch’essi distrutti. Per governare le terre oltre oceano la
Spagna creò in America due vicereami, controllati direttamente: Nuova Spagna e Perù. Cominciò così uno
spietato sfruttamento spagnolo del continente americano, cui presto si aggiunse lo sfruttamento portoghese
del Brasile. Da sottolineare il fatto che la distruzione delle civiltà precolombiane non fu solo dovuta
all’attività distruttrice dei “conquistadores”, ma anche alle innumerevoli malattie introdotte dagli Europei in
un territorio ancora incontaminato.
LA TRATTA DEGLI SCHIAVI E LA NASCITA DEL RAZZISMO
Con la conquista dei nuovi territori americani, gli Europei avevano bisogno di molta manodopera per
effettuare i lavori più umili e pesanti; per questo motivo la maggioranza della popolazione indigena fu resa
schiava e dall’Africa furono tradotti in America migliaia e migliaia di “Neri”, dando così inizio a
quell’orribile fenomeno che va sotto il nome di “Tratta degli schiavi”. Si può senz’altro dire che con la
scoperta dell’America ha inizio anche il cosiddetto “razzismo”, cioè considerare le persone di altro colore e
che vivevano in modo differente da noi Europei delle persone “inferiori”.
LA RIVOLUZIONE DEMOGRAFICA E QUELLA AGRICOLA
Dopo la grave crisi del ‘600, nei primi decenni del ‘700 in Europa si assiste ad una notevole crescita della
popolazione che fa parlare di una vera e propria rivoluzione demografica. Tra le cause di questa crescita

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vanno ricordate soprattutto la scomparsa della peste e i progressi nella medicina e nella chirurgia. Non va
dimenticato, poi, lo sviluppo agricolo che permise un’alimentazione più abbondante. Il miglioramento
nell’agricoltura fu dovuto soprattutto all’aumento delle aree coltivate e alla diffusione della coltivazione
della patata e del mais, che erano arrivati in Europa dopo la scoperta dell’America. Le più grandi
trasformazioni si ebbero in Inghilterra e in alcune altre regioni dell’Europa occidentale, dove si cambiò
addirittura il sistema della rotazione triennale: non si lasciava più un terzo del campo a maggese ( cioè a
riposo ), ma in quella parte di campo si utilizzava la semina di piante foraggiere, che arricchivano il terreno
di azoto rendendolo nuovamente fertile. Questi cambiamenti ci fanno parlare di una vera e propria
rivoluzione agricola.
LO SVILUPPO INDUSTRIALE COMINCIA IN INGHILTERRA
Sempre in Inghilterra, nella seconda metà del ‘700, si ebbe una notevole trasformazione nel modo di
produrre. La principale innovazione fu l’introduzione delle macchine nel processo di produzione, macchine
che sostituirono in larga misura il lavoro manuale. Questa profonda trasformazione, chiamata rivoluzione
industriale, fu dovuta soprattutto all’impiego della macchina a vapore inventata alla fine del ‘600 e
perfezionata dall’inglese James Watt. Questa grande trasformazione portò molti artigiani a chiudere le
proprie botteghe e ad andare a lavorare come operai nelle industrie. Cambia anche l’organizzazione del
lavoro: mentre prima l’artigiano svolgeva l’intero ciclo produttivo, ora vi è la divisione del lavoro, cioè ogni
operaio effettua un numero limitato di operazioni ( a volte anche una sola ).
Dobbiamo porci una domanda: perché l’avvio della rivoluzione industriale avviene proprio in Inghilterra?
Perché qui ci fu un notevole aumento della popolazione e quindi un’abbondante manodopera da utilizzare
nelle fabbriche; perché qui si ebbe una radicale trasformazione dell’agricoltura, che face aumentare
notevolmente la produzione alimentare necessaria per nutrire un crescente numero di lavoratori; perché
l’Inghilterra disponeva di abbondanti materie prime; perché le merci prodotte in Inghilterra potevano essere
commercializzate liberamente all’interno e all’esterno.
CONSEGUENZE DELLO SVILUPPO INDUSTRIALE
La rivoluzione industriale, oltre ad avere conseguenze positive come l’aumento dei beni fabbricati, la
diminuzione del loro costo e la diminuzione della disoccupazione, ebbe anche conseguenze negative. Molte
botteghe artigiane dovettero cessare la loro attività non potendo reggere la concorrenza delle industrie. Gli
artigiani andati in rovina si ribellarono e in molti casi assaltarono le fabbriche e distrussero le macchine;
questa forma di protesta prese il nome di Luddismo, dall’operaio Ned Ludd che guidò una di queste proteste.
Altra conseguenza negativa fu l’utilizzo nelle fabbriche di donne e bambini, che lavoravano come gli uomini
anche sedici ore al giorno, ma venivano pagati molto meno.
IL PERIODO STORICO DI RIFERIMENTO: “L’ANCIEN REGIME”
Il periodo che precede la Rivoluzione francese è conosciuto come “Ancien Regime”, cioè Antico Regime,
termine usato durante la Rivoluzione francese per indicare il nuovo stato delle cose che si opponeva
all’antico, al vecchio. Questo è un periodo compreso tra il XVI e il XVIII secolo, in cui le società erano
essenzialmente agrarie e ancora basate su di un’organizzazione di tipo feudale e le distinzioni e i privilegi tra
i ceti molto radicati. In questo periodo la società francese era divisa in tre Stati: nobiltà, clero e terzo stato,
che raggruppava tutti coloro che non appartenevano ai due Stati precedenti. Del primo e del secondo stato
faceva parte solo il 2% dell’intera popolazione francese, mentre al terzo stato apparteneva il restante 98%.
Questo era un periodo in cui, a livello politico, vigeva il dominio dell’Assolutismo monarchico. Possiamo,
quindi, affermare che l’“Ancien Regime” aveva tre caratteristiche principali: la persistenza nelle campagne
di rapporti di tipo feudale; lo squilibrio fra gli ordini sociali; la presenza dell’Assolutismo monarchico.

5. FORDISMO
Con la parola fordismo si usa indicare una peculiare forma di produzione basata principalmente sull'utilizzo
della tecnologia della catena di montaggio (assembly-line in inglese) al fine di incrementare la produttività. Il
significato è variabile nei diversi Paesi.
Il termine fu coniato attorno agli anni trenta [1] per descrivere il successo ottenuto nell'industria automobilistica
a partire dal 1913 dall'industriale statunitense Henry Ford (1863 - 1947); ispiratosi alle teorie proposte dal
connazionale Frederick Taylor (1856 - 1915), ebbe poi un considerevole seguito nel settore dell'industria
manifatturiera, tanto da rivoluzionare notevolmente l'organizzazione della produzione a livello globale e
diventare uno dei pilastri fondamentali dell'economia del XX secolo, con notevoli influenze sulla società. Con
l'aggettivo fordista si usa indicare un regime di produzione ispirato al paradigma adottato da Ford, o una sua
stretta evoluzione.
I princìpi del taylorismo

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1. analizzare le caratteristiche della mansione da svolgere,
2. creare il prototipo del lavoratore adatto a quel tipo di mansione,
3. selezionare il lavoratore ideale, al fine di formarlo e introdurlo nell'azienda.
I due capisaldi del fordismo erano il paradigma industriale tayloristico, accompagnato da una spinta
automazione (riflesso della meccanizzazione) e la concessione di retribuzioni più elevate di quelle
mediamente riconosciute dalla prassi delle relazioni industriali dell'epoca.
Questo secondo aspetto non era però conseguenza di una qualche forma di filantropia, ma semmai era
l'espressione di una lungimiranza socio-economica, poiché era la premessa della produzione di massa, ossia
il volano dell'economia di consumo (una classe operaia povera non si può permettere neppure la più spartana
utilitaria).
Ma i due capisaldi erano connessi anche sul piano funzionale: la potente razionalizzazione del ciclo
produttivo aveva come prerequisito un'intensa sottomissione delle maestranze alla disciplina organizzativa
(quasi maniacale) del fordismo, che arrivava a calcolare con esattezza i minimi movimenti corporei del
dipendente: questo regime alienante doveva trovare almeno una forma di riparazione nel salario più
generoso, che saggiamente infatti veniva assegnato all'operaio Ford.
Negli Stati Uniti è una filosofia sociale che sostiene che ricchezze e profitto possono essere raggiunti con alti
salari che permettono ai lavoratori di acquistare i beni che hanno prodotto. [3]
Questo processo consiste nel ridurre operazioni complesse a compiti più piccoli e semplici da svolgere,
eseguibili anche da lavoratori inesperti. Ma l'innovazione più importante fu l'introduzione della catena di
montaggio ottenendo così una produzione di massa di oggetti omogenei.
Questo comportò un aumento di produzione, con il calo dei costi di produzione media, per rendere il
prodotto più accessibile al pubblico. Esso fu anche un grande investimento di capitali; la meccanizzazione
permise l'efficienza, e fu un grande affare.
Il sistema di produzione fordista ha quattro elementi chiave:
• È caratterizzato da una particolare divisione del lavoro (la separazione dei diversi compiti tra diversi
gruppi di lavoratori) in cui lavoratori non specializzati eseguono semplici operazioni ripetitive
mentre tecnici qualificati e personale di direzione ricoprono incarichi relativi alla ricerca, al design,
al controllo della qualità, finanza, coordinamento e marketing.
• È un sistema dove la fabbricazione è altamente standardizzata.
• La produzione non è organizzata con il criterio di dislocare nello stessa zona macchine simili, ma le
macchine sono disposte funzionalmente, ovvero nel corretto ordine di sequenza richiesto per la
fabbricazione del prodotto.
• Le varie parti della catena di montaggio sono collegate insieme da un nastro trasportatore (la linea di
assemblaggio) per facilitare un veloce ed efficiente svolgimento dei compiti.
I prezzi calano, portando un incremento delle vendite a e dello sviluppo potenziale del mercato di massa.
Il modello rimase dominante del mondo industrializzato fino agli anni sessanta e settanta, quando il
conformismo dei consumatori fu intaccato dal crescente numero di disegnatori, pensatori, e consumatori
stessi. Dopo l'inizio della Grande depressione, la politica americana fu quella di tenere alti i salari nella
speranza che il fordismo avrebbe risolto la crisi.
il fordismo in Europa è stato preceduto dal taylorismo - una teoria sociologico-industriale del lavoro
disciplinato e organizzato, basato su studi (almeno formalmente ispirati al rigore scientifico) dell'efficienza
umana - e dal sistema di incentivi. Il taylorismo attrasse gli intellettuali europei fino alla Grande Guerra.
Dal 1918, tuttavia, l'attenzione si spostò sul fordismo, che prevedeva la riorganizzazione dell'intero processo
produttivo su concetti come linea di assemblaggio, standardizzazione e mercato di massa.
Antonio e Bonanni (2000) tracciano lo sviluppo del fordismo e delle successive fasi economiche, dalla
globalizzazione alla globalizzazione neoliberale, durante il ventesimo secolo, enfatizzando il ruolo ricoperto
dall'America nella globalizzazione. Tali autori sostengono che il fordismo raggiunse nei decenni
immediatamente successivi alla seconda guerra mondiale il culmine, nel dominio americano e nell'affermarsi
del consumismo di massa, ma collassò con le crisi politiche e culturali degli anni settanta. Con il progresso
tecnologico e la fine della guerra fredda si entrò nella fase di neo liberale della globalizzazione negli anni
novanta.
Fordismo può indicare a anche:
• l'atteggiamento paternalistico nei confronti dei lavoratori (nel senso amorevole di fornire benefici o
restrittivo come vietare di fumare);

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• in senso più ampio il fordismo si riferisce alla classica società dei consumi del ventesimo secolo:
un'alta produttività permette alti salari, una produzione di massa permette un consumo di massa.
6. COSA TEORIZZO’ A.GERSCHENKRON .
Diversi storici economici, fra cui A. Gerschenkron hanno posto a confronto l'evoluzione economica dei
paesi sviluppatisi per primi con quella dei paesi ritardatari, e hanno ricavato da tali confronti alcuni
insegnamenti.
Anzitutto, la cosiddetta rivoluzione industriale inglese fu preceduta e poi accompagnata da una rivoluzione
agraria che si svolse, in due ondate, nei secoli XVII e XVIII e si concluse nel secolo scorso; la stessa
osservazione vale, con le differenze comprensibili, anche per gli altri grandi paesi europei.
L' accrescimento sistematico della produttività in agricoltura e la crescente commercializzazione dei prodotti
agricoli (in contrapposizione al precedente sistema dell'autoconsumo) rappresentano condizioni necessarie,
anche se non sufficienti, dello sviluppo industriale .
Un altro punto importante riguarda una differenza essenziale fra i paesi che si sono sviluppati per primi e i
paesi ritardatari .
In generale, le economie ritardatarie si trovano di fronte a vantaggi e svantaggi di tipo particolare nell'avviare
un processo di espansione industriale .
I vantaggi sono rappresentati dalla possibilità di accedere a certe tecnologie e a certi metodi organizzativi
efficienti e moderni, ai quali le regioni e i paesi ora progrediti sono pervenuti attraverso una lunga
evoluzione.
Gli svantaggi sono rappresentati da tre ordini di ‛salti': il salto tecnologico, il salto del mercato e il salto che
potremmo chiamare imprenditoriale .
Nei paesi che avviarono per primi uno sviluppo industriale moderno, come l'inghilterra, era possibile uno
sviluppo graduale in tutte le industrie. Parallelamente, uno sviluppo graduale era possibile rispetto al
mercato: all'inizio le nuove aziende avevano a disposizione il mercato locale, nel quale si ampliavano a spese
delle unità artigianali (che entravano progressivamente in crisi) .
Infine, sotto l'aspetto sociale, era possibile la formazione graduale di imprenditori nel senso moderno, con
capacità, gradualmente acquisite, di dirigere grandi aziende .
In seguito, in molti rami della produzione, questo sviluppo graduale non è stato più possibile.
Al principio del secolo scorso questi ostacoli potevano essere superati dalle imprese private con un aiuto
relativamente piccolo e comunque esterno, dell'autorità pubblica (infrastrutture e dazi protettivi) .
In seguito questi ostacoli sono divenuti così ardui da richiedere dei ‛salti' che le forze private, spontanee, non
possono compiere. Lo svolgimento del processo nel senso del modello classico inglese - uno sviluppo
graduale, uno sviluppo totalmente o in gran parte privato - non è quindi più possibile

Tutto questo significa che, maggiore è il ritardo, più vasto tende a essere l'intervento dello Stato .
Ma non sono sufficienti gli incentivi tradizionali, forniti dalle infrastrutture, e quelli escogitati di recente
(agevolazioni creditizie e fiscali): tali stimoli presuppongono l'esistenza potenziale di imprenditori che nelle
regioni sottosviluppate manca completamente .
Lo Stato deve pertanto intervenire nella costituzione stessa delle imprese e delle attività produttive, che nel
passato, nei paesi oggi progrediti, erano state promosse da forze private.

Il motore del processo di sviluppo sono gli imprenditori innovatori, dai quali scaturiscono le innovazioni, i
nuovi prodotti e processi, i miglioramenti all’organizzazione di un’impresa, le conquiste di nuovi mercati e

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nuove fonti di approvvigionamento di materie prime. Guadagnano una temporanea posizione di rendita
monopolistica che li ripaga del rischio iniziale, il guadagno differenziale viene poi gradualmente eliminato
dalla concorrenza che imita e riporta il sistema ad un equilibrio stazionario.
Negli anni 60 Walter Rostow e Alexander Gerschenkron tesero ad edificare una vera e propria teoria della
storia economica, negando l’uso di modelli ciclici e proponendo interpretazioni incrementali dello sviluppo,
entrambi accentuando gli aspetti di discontinuità che caratterizzano la fase iniziale dei processi di crescita
delle economie.
Gli stadi di Rostow ed il take off Rostow teorizza la teoria degli stadi, processo di crescita basato su 5
passi attraverso i quali ogni nazione sarebbe dovuta passare per raggiungere uno sviluppo economico
completo e presuppone che tutte le economie soddisfino le varie fasi:
1. Società tradizionale, situazione pre-industriale con debole produttività del lavoro umano, preponderanza
dell’agricoltura, stretta correlazione tra popolazione e risorse, società chiusa ed esposta ad epidemie e
carestie. Il reddito pro-capite non aumenta perché il tasso di investimento eguaglia il tasso di incremento
demografico, per l’evoluzione serve un aumento dei tassi di investimento.
2. Transizione, periodo di cambiamento, formazione di imprenditorialità e accumulo di capitali: incremento
della produzione e produttività dell’agricoltura e delle miniere che permetta di indirizzare lavoro e capitali
all’industria, sviluppo di servizi ed in particolare banche, uso efficiente delle materie prime locali o loro
importazione, esportazione di prodotti manifatturati.
3. Decollo, processo di accelerazione economica che nel corso di due o tre decadi trasforma l’economia
portandola stabilmente ad un livello produttivo molto più elevato di quello di partenza. L’accumulazione del
capitale e l’incremento della produttività si autoalimentano, si passa dall’espansione allo sviluppo.
4. Maturità, il processo si estende, le innovazioni si diffondono, nuove industrie trasmettono dinamismo. Il
volume degli investimenti passa dal 10 al 20% del reddito nazionale, la produzione supera l’incremento
demografico ed i redditi aumentano costantemente, si destinano maggiori risorse ai consumi.
5. Età dei consumi di massa, modello americano, la distribuzione di una crescente quota del potere
d’acquisto per i consumi spinge le imprese produttrici ad investire in processi di standardizzazione della
produzione per allargare il mercato abbassando i prezzi.

Gerschenkron e i vantaggi dell’arretratezza


Ruolo centrale non le dinamiche di lungo periodo ma i due più importanti stadi di Rostow: le precondizioni
e lo stadio del decollo. Studia i meccanismi che mettono i Paesi ritardatari in grado di avviare un processo di
sviluppo, introduce il concetto di arretratezza relativa al paese leader, la Gran Bretagna, posizionando i
diversi Paesi su una graduatoria di confronto con la quantità ed importanza dei prerequisiti.
Più le condizioni sono simili, più è probabile un’imitazione veloce ed efficiente. Se invece i prerequisiti
mancano, i Paesi possono colmare le lacune con l’impiego di fattori sostitutivi (il sistema bancario in Italia).
I diversi percorsi di industrializzazione derivano dai diversi livelli di arretratezza e fattori sostitutivi.
L’arretratezza ha comunque dei vantaggi: chi arriva dopo può imitare le tecnologie senza processi di
perfezionamento e impiego di risorse in ricerca e sviluppo, utilizzando d’un colpo tecnologie che avevano
impiegato oltre un secolo per arrivare a standard accettabili. Maggiore è il livello di arretratezza, più rapido
sarà il ritmo di sviluppo industriale, maggiore lo sviluppo della grande industria, la concentrazione nella
produzione di beni strumentali anziché di consumo, il ruolo degli attori istituzionali impiegati ad aumentare
la velocità del processo, minore la crescita agricola e maggiore l’importazione di conoscenze tecniche e
capitali stranieri .
Chi è in testa non è sicuro di rimanervi (declino della Gran Bretagna nella seconda metà dell’800), chi è
più vicino al leader può subentrarvi, chi è decaduto può recuperare posizioni (Italia).
Il problema delle unità di analisi: Pollard e la regione economica Dagli anni 70 si cercano di
abbandonare i modelli di interpretazione univoci e lineari cercando di evidenziare le caratteristiche peculiari
di ciascun caso, incontrando però il problema dell’unità di base dell’analisi .
Si iniziavano a proporre le regioni, non necessariamente coincidenti con un’unità politico amministrativa.
L’industrializzazione europea si realizza in ogni nazione su base regionale, e studiando queste si valorizzano
le interdipendenze ed i rapporti funzionali. Il contesto internazionale invece che fare da sfondo all’azione del
Paese ritardatario (come sosteneva Gerschenkron), secondo Pollard interferisce con le decisioni dei singoli
Paesi orientandone gli effetti in senso positivo o negativo: è il concetto del differenziale della
contemporaneità, esempio tipico la costruzione delle ferrovie con diverso ruolo nelle economie dei Paesi in
rapporto alle condizioni sul piano internazionale, oppure la guerra che incise direttamente, in un senso o
nell’altro, sui processi di sviluppo dei Paesi.

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