Non c’è vita. - Michelangelo Merisi Il Barocco • Il barocco è una corrente artistica (letteraria, architettonica…) che si sviluppa dal 1630, i cui massimi esponenti sono: Michelangelo Merisi detto «il Caravaggio» (precursore), Bernini, Borromini e Pietro da Cortona. • I caratteri principali sono: il dinamismo delle figure, gli effetti teatrali e illusionistici, una nuova concezione della natura e dello spazio e la consapevolezza dell’uomo che l’arte è un mezzo di persuasione. Per questo si presta molta attenzione alla descrizione dei corpi e al concetto di Pathos. • Curiosità: il termine barocco si inizia a usare alla fine del 1700 per indicare un periodo storico. Nasce con un valore negativo: significava la negazione di ogni ordine; schema; e l’abbinamento di forme e oggetti inconsueti e strani, quindi quasi un abuso delle caratteristiche rinascimentali. Infatti «barocco» proviene da «Baroque» che in francese significa «bizzarro». • «il mondo terreno è un palcoscenico e l’uomo è un attore, solo così può decidere chi essere» Michelangelo Merisi detto «Il Caravaggio» • Caravaggio si forma a Milano nella bottega di Simone Etersano che era un pittore tardo-manierista, legato alla pittura realista dell’area lombarda che divenne anche uno dei massimi esponenti della pittura contro-riformata che risponde alle nuove richieste della chiesa milanese, guidata all’epoca dall’arcivescovo Carlo Borromeo. • Etersano dunque indirizza Caravaggio verso una pittura realistica e fedele al vero, facendolo esercitare sui modelli dei pittori lombardi, quindi a rappresentazioni più quotidiane. Studia Leonardo Da Vinci osservando il cenacolo e le primissime nature morte presenti su quel tavolo. Probabilmente visita Venezia osservando i maestri del colore e come essi affrontavano il tema luce-ombra. Un altro ipotetico viaggio che può aver fatto è stato a Mantova, dove ha l’occasione di vedere lo scandaloso Giulio Romano allievo di Raffaello. • Successivamente nel 1592 si trasferisce a Roma dove nasce artisticamente iniziando a dipingere nature morte nella bottega del Cavalier d’Arpino. • Nel 1595 diviene un protetto del Cardinale Francesco Maria del Monte che era il rappresentante del granduca di Toscana e viveva a palazzo Madama. Proprio qui si ipotizza che Caravaggio abbia incontrato anche Galileo Galilei poiché alloggiava nel palazzo. È un incontro non casuale dato che Michelangelo sosteneva che la realtà si percepisce e conosce attraverso i sensi e l’esperienza, rinnegando la dottrina secondo la quale una sensata esperienza è contraria al vero. • Grazie all’incontro con il Cardinale, anche i soggetti delle opere dell’artista cambiano. Caravaggio affronta il tema della musica, infatti vi sono rappresentazioni di personaggi che suonano strumenti musicali, e spesso assumendo significati allegorici, che dovevano essere interpretati direttamente dall’osservatore; da qui «Quadro Rebus». Rivoluziona il mondo del dipinto su muro non utilizzando la tecnica a affresco , ma direttamente dipingendo con i colori a olio su parete. Caravaggio • Caravaggio è considerato il talento dello scorcio prospettico: gli scorci erano considerati una delle massime prove tecniche che un artista potesse sostenere, poiché complicatissimi anche servendosi di una costruzione geometrica e prospettica. Il Caravaggio riesce a dipingere gli scorci senza un disegno preparatorio, semplicemente incidendo la tela per indicare i punti principali e poi iniziare col colore. • Il suo interesse per il «reale» lo si può capire dai modelli che utilizza: sono sempre uomini e donne a lui contemporanei, spesso prostitute (le Madonne che ha dipinto avevano i volti di famose meretrici, per questo fecero scandalo) o contadini. Si serve anche dei «moti dell’animo» di Leonardo, studiando le emozioni, le espressioni e i volti dei suoi modelli. Anche se gli fu dato di «pittore rozzo e incolto», Michelangelo Merisi si basa anche sui modelli della tradizione che, ovviamente, aveva studiato e osservato nella città eterna. • Spesso è coinvolto in risse, e proprio per questo viene rinchiuso in galera dove arriva ad uccidere un uomo. Inizia così la sua fuga passando da Napoli (1606/7), Malta dove diventa un cavaliere dell’ordine dei cavalieri di Malta confidando nella grazia del Papa. Anche qui le cose non si mettono bene e viene imprigionato ed espulso dall’ordine. Evade e si rifugia in Sicilia (1608/9) . In tutta la sua fuga lui continua a produrre opere. Nel 1610 il Papa gli concede la grazia, ma Caravaggio muore tornando a Roma. È il precursore del barocco. Il Bacco Il bacco venne commissionato dal cardinale Francesco Maria del Monte in occasione del matrimonio di Cosimo II de Medici. Il dio è sdraiato su un triclinio posto accanto ad un tavolo, sul quale vi è posto un canestro di ceramica pieno di frutta: mele, fichi, pere, uva e una melagrana. Bacco rivolge lo sguardo all’astante, mentre alza delicatamente un calice colmo di vino rosso. Il dio rappresentato da Caravaggio non ha nessuna relazione con l’iconografia classica: il giovane infatti ha le mani e le guance arrossate, che sembrano mostrare una certa ebrezza, ed ha le unghie sporche. Alcuni pensano infatti che Caravaggio abbia dipinto un semplice ragazzo un po’ stordito dal vino. Altri invece trovano la chiave di lettura del dipinto nel fiocco nero, che è simbolo di morte o di un evento luttuoso. La stessa frutta, che è bacata, ammaccata e marcia potrebbe alludere alla caducità del tempo e alla vita che finisce.
Il bacco, 1598, olio su tela, 95 x
85 cm, Uffizi, Firenze Quest’opera rientra nel genere «natura morta». Viene realizzata da Caravaggio a Roma e acquistata dal cardinale
La canestra di frutta Federico Borromeo che poi la lascerà in testamento alla
Pinacoteca di Brera. L’opera aveva una destinazione privata in quanto considerata come opera da camera. Nel dipinto vi è raffigurato il pensiero caravaggesco: Il pittore dipinge esattamente ciò che vede, evitando l’idealizzazione della perfezione amata dai suoi predecessori. Per questo è considerato come un innovatore e un personaggio al contempo scandaloso. Caravaggio dipinge le imperfezioni della frutta: i fichi «spaccati», la mela bacata, gli acini dell’uva avvizziti o mancati e le foglie secche e mangiate da qualche insetto. Tutto questo risponde alla volontà del pittore di rappresentare la realtà in modo oggettivo. Tuttavia vi si possono trovare anche significati simbolici con scopo moraleggiante legati al pensiero dell’epoca: si allude allo scorrere del tempo che ci rende sempre più deboli e dunque alla fragilità della vita. La canestra è appoggiata su un tavolo La canestra di frutta, 1596 c.a o 1598-1601 del quale si vede solo lo spessore, dal quale la cesta sporge Olio su tela delineando uno spazio fisico ben preciso e rendendo il tutto Pinacoteca di Brera tridimensionale. L’artista ricorre ai colori per rendere il senso Caravaggio della profondità spaziale giocando sull’alternanza dei colori freddi (foglie verdi, uva blu-viola…) e caldi (lo sfondo). Il Martirio di San MatteoL’opera rappresenta il martirio di san Matteo. Per realizzarla il Caravaggio ha allestito una vera e propria scena teatrale, a prova di questo, nello sfondo si trova Francesco Boeri (suo allievo e modello che compare spesso nei quadri di Caravaggio). L’artista analizza la storia sacra, ambientandola però nel 1600, lo si capisce dagli abiti di alcuni personaggi. L’ambientazione è posta all’interno di una chiesa (colonne nel fondo dell’opera che rimangono in ombra). La prospettiva non è identificata. Ogni personaggio reagisce al martirio in modo diverso: si torna al concetto di «Moti dell’animo» leonardiano. Il carnefice viene rappresentato un attimo prima di uccidere il Santo. È il momento con più Pathos. Nel plasticismo e dinamismo c’è un rimando alle sculture classiche e rinascimentali. Le figure sono di scorcio, di cui Caravaggio era maestro. Il carnefice è la figura chiave: ruota tutto intorno a lui, lo si può definire come il perno dell’opera da cui tutto nasce. Per questo è posto molto più in luce rispetto a tutti gli altri protagonisti della scena. Martirio di S. Matteo, olio su tela, 1599- 1600 Cappella Contarelli in S. Luigi dei Francesi, Roma Le figure in primo piano sono «quinte laterali», ovvero Caravaggio guidano lo sguardo dell’osservatore al centro dell’opera. Vi è in fondo l’autoritratto dell’artista. Gianlorenzo Bernini • Bernini rappresenta al meglio le caratteristiche principali del barocco. La sua attività si svolge interamente a Roma, salvo che nel 1665 quando va a Parigi a lavorare per Luigi XIV, per il quale elabora un progetto per il nuovo palazzo del Louvre che però non completa. Realizza un busto-ritratto di Luigi XIV. • A Roma si fa interprete delle famiglie aristocratiche. • È figlio di uno sculture, Pietro Bernini, ancora legato alla vecchia maniera. • Gian Lorenzo nasce a Napoli, ma si forma a Roma. È condizionato dai modelli del 1500, in particolare quelli del Gian Bologna, ma guarda anche alle sculture di Camillo Mariano e alla statuaria classica e soprattutto ellenistica, interessandosi ai concetti di Pathos, naturalismo e una resa dinamica ed espressiva. Vede e studia le opere di Jacopo Carracci, del Caravaggio, di Leonardo, di Raffaello e di Michelangelo. • Per quanto riguarda la scultura, lo stile berniniano si differenzia per eleganza e perizia tecnica rispetto alla statuaria dei suoi contemporanei. Tanto che viene sopranominato «Il Michelangelo del 1600». Gian Lorenzo Bernini • È grazie a Filippo Baldinucci, storico dell’arte del ‘600, che noi sappiamo della vita dell’artista, poiché lui fu suo biografo. Bernini, da cosa si legge, dava grande importanza alla realizzazione delle sue opere partendo dal disegno, che sta alla base di tutte le sue produzioni artistiche. Il disegno cambia a seconda delle varie esigenze relative all’esecuzione dell’opera stessa. A volte, infatti, si può notare un tratto molto veloce e sintetico, in particolare negli schizzi preparatori, ed altre un segno molto più ricercato dove prevalgono caratteri pittorici quali chiaro-scuro marcato ed estrema plasticità dello schizzo stesso. • Quando ottiene visibilità, il successo è dovuto alla commissione di alcuni gruppi scultorei da parte del Cardinale Scipione Borghese. Egli gli commissiona quattro opere: Enea con Anchise e Ascanio (1618/19) a tema epico, Plutone e Proserpina (1621/22) a tema mitologico, David (1623/24) a tema biblico e Apollo e Dafne (1622/25) a tema anche questo mitologico. • Bernini non fu soltanto uno scultore, ma abbracciò tutti i campi dell’arte, poiché pensava che un vero artista doveva saper dominare tutte le tecniche. Quindi fu un pittore, un architetto ed uno scultore. Apollo e In Apollo e Dafne, Bernini scolpisce la favola mitologica di Apollo e Dafne, tratta dalla metamorfosi di Ovidio, in cui si narra la storia della ninfa Dafne che, per sfuggire al corteggiamento del dio Apollo, chiede aiuto al padre Peneo (il dio fluviale), che la trasforma Dafne i una pianta di alloro. Lo scultore sceglie di rappresentare il momento di massimo pathos del racconto: l’istante in cui Dafne inizia a trasformarsi nella pianta d’alloro. Bernini, realizza un miracolo scultoreo: riesce a piegare il marmo ed a renderlo quasi trasparente come alabastro esprimendo un ampio senso di movimento e dinamismo nella scena. Infatti Dafne è posta in torsione ed è l’esatto attimo in cui la corteccia ruvida dell’albero inizia a crescere intorno a lei e dalle sue mani nascono i primi ramoscelli con le foglie tipiche dell’albero dall’alloro. Bernini per rendere ancora di più il senso dell’opera crea un contrasto tra la pelle dei due giovani, liscia, levigata e luminosa, con la scabra e ruvida corteccia che avvolge le gambe della ragazza. Anche l’assottigliarsi del marmo nei capelli di Dafne ne emula la loro leggerezza mentre si trasformano in fronde. Apollo, grazie al drappo che lo avvolge dando la sensazione che sia gonfiato dal vento, appoggia con delicatezza la mano sul ventre di Dafne riuscendo a toccarla per l’ultima volta. È una scena carica di Pathos, infatti il dio si rende conto (basta notare la sua espressione facciale), che la sua battaglia per conquistare la ragazza finisce lì, nella maniera più tragica possibile : lei preferisce essere trasformata in una pianta piuttosto che essere amata da Apollo. Quindi insieme all’azione è stato necessario raffigurare i sentimenti dei protagonisti: il terrore di Dafne al contatto con la mano del dio, il suo orrore nel rendersi conto che si sta trasformando in pianta, lo stupore di apollo evidente nel suo sguardo scoprendo l’orribile metamorfosi dell’amata, rivelando il suo turbamento Berini, Apollo e Dafne; abbondando la mano destra all’indietro. Come sempre, al posizionamento dell’opera nella 1622/25, marmo, Galleria galleria Borghese, Bernini indicò il punto esatto da dove la scultura doveva essere osservata, Borghese, Roma. privilegiando il lato destro. L’artista sceglie di rappresentare il momento di massima tensione del l’episodio biblico: il gesto audace con cui il giovane eroe, abbandonati a terra la corazza che lo impaccia e la cetra con cui David comporrà i salmi di lode a Dio, sta per scagliare con una fionda un sasso contro il gigante Golia. Si tratta di una scelta innovativa, segnalata dalla formula «David che sta in atto di tirare» con cui l’opera era nominata nella collezione Borghese: in precedenza nelle sculture di età rinascimentale l’eroe era stato rappresentato o dopo aver decapitato il nemico (Verrocchio e Donatello) o nella contrazione che precede la battaglia (Michelangelo). Nonostante sia un episodio biblico, nulla sembra rimandare alla sfera del sacro, ma attinge a quella delle passioni, quella vissuta dal protagonista e quelle degli spettatori. L’interesse dell’artista è tutto rivolto alla resa dell’azione, a ottenere effetti di stupore e meraviglia, e perfino di paura in chi si trova di fronte all’opera: secondo Bernini la sfida dell’arte «sta in far che tutto sia finto e paia vero». Berini concepisce la scultura per essere vista solo dal lato frontale perché così si possono cogliere gli aspetti più significativi solo da quel punto di vista, e può cogliere in modo spaziale e emotivo lo spettatore. Gian Lorenzo Bernini, David, 1623/24, marmo a David è ritratto con la fronte aggrottata e le labbra che si mordono, tutto tondo, Roma, Galleria Borghese. indicando il momento di massimo Pathos. Bernini realizza ancora una volta un miracolo dell’equilibrio: Il David è posto in forte torsione, nell’istante in cui sta «caricando» di tensione la fionda che è pronto a rilasciare. Il volto del David è l’autoritratto del pittore. Baldacchino di S. Pietro Bernini realizzò il Baldacchino quando era giovanissimo. Il baldacchino doveva essere situato sotto la Cupola di Michelangelo, sopra l’altare maggiore. Nell’opera a cui lavorò quasi dieci anni, fu aiutato da numerosi collaboratori. Bernini rivoluziona la classica struttura dei cibori Rinascimentali: innanzi tutto non realizza un’architettura chiusa a tempietto, ma propone una forma aperta, leggera, dettasi «aerea», trasformando il tipico baldacchino processionale in una struttura imponente, stabile e maestosa realizzata in bronzo dorato, marmo e legno. Bernini fonde le arti: architettura, scultura (colonne a spirale in particolar modo), e pittura, ottenendo vari effetti grazie all’utilizzo di materiali diversi (anche per una questione di statica). Estasi di S. Teresa Venne commissionata dal cardinale Federico Cornaro per la cappella funeraria della propria famiglia, nella chiesa di S. Maria della Vittoria. Per decorare l’altare l’artista scelse l’estasi di Santa Teresa, inquadrandola con una grande cornice architettonica e creando una sorta di proscenio teatrale. La santa è sospesa su una nuvola, totalmente rapita: ha gli occhi socchiusi, le labbra semiaperte e le braccia abbandonate. L’angelo le solleva delicatamente la veste, pronto a colpirle il cuore con un dardo dorato, simbolo dell’amore divino. L’immagine è molto conturbante, tanto che si parla di «erotismo divino», dal momento che il Bernini si rifece alle parole della Santa: «Un giorno mi apparve un angelo bello oltre ogni misura. Vidi nella sua mano una lunga lancia alla cui estremità sembrava esserci una punta di fuoco. Questa parve colpirmi più volte nel cuore, tanto da penetrare dentro di me. II dolore era così reale che gemetti più volte ad alta voce, però era tanto dolce che non potevo desiderare di esserne liberata. Nessuna gioia terrena può dare un simile appagamento. Quando l'angelo estrasse la sua lancia, rimasi con un grande amore per Dio.» Gian Lorenzo Bernini, Cappella Carnaro, 1647-52, Chiesa di S. Maria della Vittoria Architettura Barocca • Nell’architettura sono evidenti gli aspetti scenografici, come ornamenti sugli edifici e sculture, elementi che sono prevalenti sulla struttura, che perde importanza. • Le chiese sono soprattutto strutture con una sola navata e a pianta centrale, spesso ellittica. Le coperture sono date o da grandi cupole o da volte a botte, recuperando così la monumentalità degli edifici classici. Complesso Chiesa S. Carlo a Roma Il progetto per la chiesa di S. Carlo mostra un nuovo metodo, estraneo alla tradizione classica. Borromini creò una nuova tipologia formale: distribuì gli intervalli delle colonne a ritmo alterno ed eliminò gli angoli a favore di corpi convessi. la chiesa ha come base un rombo, tendente all’ellisse, con un effetto di contrazione spaziale accentuata dalla collocazione sull’asse maggiore del portale e dell’altare. L’organismo architettonico si sviluppa unitario e coerente. La trabeazione ininterrotta sostiene una zona intermedia a pennacchi su cui si innalza una cupola ellittica decorata a cassettoni esagonali le cui dimensioni diminuiscono man mano che si avvicinano alla lanterna.
Francesco Borromini, San Carlo
alle quattro fontane, 1638-1641. Chiesa di Sant’Ignazio Nel 1685 Andrea Pozzo ricevette l’incarico di decorare la volta della chiesa di Sant’Ignazio. Al centro della volta si vede l’incontro tra Sant’Ignazio e Cristo, che avviene in un punto lontanissimo dall’osservatore. Dal santo scendono raggi di luce vengono riflessi da specchi con il monogramma di Cristo e sorretti da angeli, che devono fare in modo che i raggi accendano il fuoco sulla terra. Intorno poi si vede una moltitudine di figure sedute sulla cornice architettonica, tra cui le allegorie dei quattro continenti dove la compagnia di Gesù svolgeva la sua missione (Asia, Africa, Europa e America). La composizione è concepita secondo una logica geometrica.