Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Nel 1693 il San Girolamo venne attribuito al Caravaggio destando un’accesa discussione:
qualcuno sosteneva infatti che l’opera fosse stata realizzata per mano del pittore spagnolo
José de Ribera, ma in seguito questa tesi venne riconosciuta come infondata.
Datazione 1606 circa
il quadro esplora la fragilità umana di
fronte alla sapienza divina, riflettendo
sul concetto del tempo e della
spiritualità
Caravaggio sceglie di raffigurare il santo posto di tre quarti su un formato orizzontale, quasi a
voler rappresentare una natura morta della quale san Girolamo non è figura esterna, ma parte
integrante, a rivestire un ruolo pari a quello della carta, del teschio e della tavola su cui sta
studiando. In relazione alle raffigurazioni fiamminghe della natura morta, ogni elemento ha nel
dipinto un significato simbolico determinato anche dalla sua collocazione. Per esempio il capo
reclinato del santo istituisce un rimando spaziale al teschio poggiato sulla scrivania. Alla
scarsità di elementi nella composizione fa eco anche una sobria varietà di colori, un discreto
repertorio di marroni, bruniti, a cui fa da padrone la vivacità cromatica del rosso del manto di
san Gerolamo, e del panneggio bianco che ricade dalla pila dei libri.
Nel dipinto San Girolamo è raffigurato come uomo di studi dedito alla conoscenza.
I toni freddi e caldi della tela evocano il rincorrersi degli opposti, la vita e la morte,
il passato e il futuro e, in generale, lo scorrere inesorabile del tempo.
Di quest'opera Caravaggio fece un'altra versione conservata nella concattedrale di San Giovanni a La
Valletta (Malta).
Il San Girolamo scrivente è un dipinto di Caravaggio realizzato in olio su tela (117x157 cm) nel 1608
Il committente dell'opera fu Ippolito Malaspina, uno degli
alti funzionari dello Stato monastico dei Cavalieri di Malta,
che avrebbe così voluto essere associato con l'ascetismo
del Santo. Dal XVII secolo, e con l'eccezione di alcune
mostre temporanee, il dipinto non ha lasciato l'isola di
Malta, ma ha conosciuto diversi luoghi di installazione,
rubato nel 1984, fu ritrovato quattro anni dopo e godette
di un importante restauro alla fine dell'XX secolo. Il suo
stato di conservazione, tuttavia, non è ottimale.
Il dipinto mostra un uomo situato in ciò che sembra, per
la piccolezza, una cella monastica, con una luce che gli
riflette addosso. Il personaggio appare quasi nella sua
interezza. È un uomo barbuto e anziano, con un volto solcato da rughe. È senza camicia, una toga
rossa copre il fondo della sua pancia e le gambe. Si siede sulla sporgenza di un letto e si poggia su un
tavolo per scrivere in un libro di spessore e dimensioni medie. Il suo corpo è ruotato al limite
dell'impossibilità fisiologica: la sua gamba destra è girata a sinistra dello spettatore e il suo busto ruota
verso destra. Infine la sua testa è coronata da un'aureola appena visibile.
In quest'opera, Caravaggio propone un trattamento di grande intensità psicologica, limitando gli effetti
pittorici al fine di focalizzare l'attenzione sulla spiritualità del personaggio e la scena, giocando
soprattutto sul gioco delle ombre: la tavolozza dei colori è limitata, la composizione è dura e
l'arredamento più sobrio possibile. Questo approccio è tipico della tarda via del pittore lombardo, che
nel corso degli anni ha lasciato alcuni approcci enfatici al suo lavoro giovanile per favorire una messa
in scena di spiritualità e di introspezione, traendo ispirazione dalla statuaria antica. Caravaggio dovette
fuggire da Roma poco prima, dove era stato processato per omicidio; questo dipinto, insieme a quelli
che verranno dopo, è un'opera d'esilio in cui l'intensità spirituale corrisponde ai suoi tormenti interiori e
alla sua disponibilità di redimersi.
Le Tre età dell'uomo (conosciuto anche come la Lezione di canto) è un dipinto a olio su
tavola (62x77 cm) di Giorgione, databile al 1500-1501 circa e custodito nella Galleria
Palatina a Firenze.
Nella scena sono presenti tre personaggi, di età differenti,
su fondo scuro: il giovane al centro legge un foglio su cui
sono vergate due righe di un pentagramma; l'adulto alla
sua sinistra indica lo stesso spartito e parla al giovane, lo
capiamo perchè ha le labbra socchiuse.
Poi c’è un vecchio che guarda l'osservatore. I tre
personaggi sono ritratti a mezzo busto. Presumibilmente si
tratta dello stesso uomo, rappresentato in tre momenti
della sua vita.
Lo sfondo scuro e le figure che ne emergono lentamente
richiamano Leonardo e, in generale, il modo di dipingere fiorentino. Infatti, le vesti e gli
incarnati emergono dallo sfondo gradualmente, con il procedimento dello "sfumato"
tipicamente Leonardesco.
Anche la stesura pittorica con sottili velature deriva da Leonardo, con attenzione
meticolosa nei dettagli, come le capigliature dipinte spesso con sottilissime pennellate.
L'elemento allegorico trainante, spesso presente nei quadri di Giorgione, è in questo caso
la musica, espressione dell'animo stesso dell'uomo e dell'armonia che lega l'esistenza.
“Non si tratta, in realtà, di una lezione di canto o di un trio vocale: la differenza di età fra
i tre personaggi spiega assai chiaramente che la musica in questione non è un momento
di esecuzione tecnica e artistica, bensì una metafora dell’armonia dell’esistenza umana, a
sua volta dipendente dall’armonia dell’Universo. Il tema delle età introduce quello della
“vanitas”, di un’armonia mondana condizionata inevitabilmente dall’incerta e variabile
durata. Per questo è così importante passare il testimone per tempo a colui che ha ancora
davanti a sé tutto il tempo.
No Memory Without Loss
Arcangelo Sassolino
olio, acciaio, sistema elettrico; 330 x
330 x 40 cm
«le tre opere triangolano in un dialogo sul tempo – come ha osservato Beltramini – tra antico
e contemporaneo». Di forte impatto visivo l’opera di Sassolino, posizionata nei pressi
dell’entrata della grande sala dei 500: un disco d’acciaio sul quale è spalmato uno spesso strato
di olio industriale ad alta viscosità, di colore rosso, quasi a richiamare il mantello di San
Girolamo.
In una Basilica oscurata ad arte, il disco ruota perpetuamente e impercettibilmente in
entrambe le direzioni, lasciando cadere quelle che Beltramini ha definito «Gocce che
rappresentano l’essenza della nostra vita». Queste però, contrariamente alla nostra
esistenza, vengono raccolte e giorno dopo giorno (fino alla chiusura dell’esposizione, il 4
febbraio), riposizionate sul disco, dando nuova vita all’opera. Una sorta di ipnosi, quella in
cui viene intrappolato lo sguardo, dalla quale ci si allontana solo per ammirare quello che è
stato definito uno dei quadri più importanti al mondo: il San Girolamo di Caravaggio,
realizzato nel 1606, e per la prima volta a Vicenza. Il dipinto, che raffigura il santo intento a
tradurre la Bibbia dal greco al latino, esprime, come ha sottolineato ancora Beltramini, «La
fragilità umana, il timore del protagonista di essere sconfitto dal tempo e di non riuscire a
finire il proprio compito». Il dipinto dialoga, a pochi centimetri di distanza, con un altro
capolavoro, quello di Van Dyck (di proprietà dei musei civici di Vicenza), che raffigura le
«stagioni» dell’esistenza: l’infanzia, la maturità, la vecchiaia e lascia trasparire la morte.
Il Tempo, protagonista dell’evento espositivo, è stato lo stesso contro il quale hanno
combattuto gli organizzatori: il Comune di Vicenza con la co-organizzazione di Intesa Sanpaolo
(il progetto è curato da Musei Civici Vicenza, Fondazione Teatro Comunale Città di Vicenza
e Cisa, con il supporto di Marsilio Arte).