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CONDIZIONI PER IMPUGNARE

1.

La prima condizione per impugnare è che ci sia un provvedimento impugnabile. Non è sempre facile capire
se ci troviamo davanti ad un provvedimento che sia impugnabile.
Partiamo dall’art. 111 Cost. “Contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale,
pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali, è sempre ammesso ricorso in Cassazione per
violazione di legge. Si può derogare a tale norma soltanto per le sentenze dei tribunali militari in tempo di
guerra”.

si intende sentenze in senso formale o in senso sostanziale? Questa è la sentenza in senso formale.
Ora però, se la norma si riferisse solamente alla forma, ci ritroveremmo di fronte ad una garanzia formale
ma non sostanziale. La Costituzione deve però garanzia sia in senso formale sia in senso sostanziale.
Quindi parliamo della sentenza in senso sostanziale. Questo significa che è possibile trovare provvedimenti
che hanno un altro nome, e che però hanno una sostanza di sentenza.
Cosa vuol dire sostanza? Servono infatti criteri per stabilire se c’è una sentenza nonostante ci sia scritto
qualcosa di diverso.
La Cassazione afferma che sentenza è qualunque provvedimento che decide su diritti soggettivi (si intende
non solo i diritti sostanziali fatti valere, ma anche i diritti di azione). Provvedimento impugnabile è quindi
qualunque provvedimento a prescindere dal nome, che ha sostanza decisoria, quindi decide, su diritti
soggettivi.
È per esempio decisoria anche una sentenza di rito, che però devono dare una svolta a quella causa.

Non tutte le sentenze sono impugnabili con gli stessi mezzi d’impugnazione.
È quindi impugnabile la sentenza in senso sostanziale => principio di prevalenza della sostanza sulla forma,
dunque è impugnabile ogni provvedimento che ha sostanza decisoria sui diritti soggettivi a prescindere dal
suo nomem. Al contrario, non sarà impugnabile un provvedimento non decisorio a prescindere del suo
nomem.

- Il giudice ha sbagliato, ha scritto ordinanza ma in realtà ha deciso. Non sono casi


frequentissimi. A volte è perché non è chiaro che tipo di provvedimento deve emettere,
quindi la legge non è magari chiara. Ma l’avvocato lo deve sapere se è decisorio.
- A volte poi è il legislatore che impone la forma di ordinanza o di decreto per un provvedimento decisorio.
Ad esempio la competenza, infatti la pronuncia con la competenza si fa con ordinanza, però ordinanza
formale perché ha sostanza di competenza, è infatti impugnabile con regolamento di competenza.

- Il giudice non ha sbagliato, ha infatti emesso il provvedimento giusto formalmente, nel senso che la legge
gli diceva di fare un’ordinanza non decisoria. Ma il giudice dentro l’ordinanza mette un provvedimento
decisorio. Di solito questo succede in fasi diverse dalla cognizione, di solito nell’esecuzione forzata.
Ex: Se ho una sentenza di condanna a spostare un palo dell’ENEL che si trova sul confine, e dato che hanno
cambiato il confine c’era da spostarlo. Ci doveva pensare il soccombente ma non lo ha fatto. Si è andati
quindi in esecuzione forzata. È un caso di esecuzione obbligo di fare, e se non si fa la legge prevede un
procedimento ad hoc, l’esecuzione forzata di obblighi di fare che consiste nel chiedere al giudice con un
ricorso di fissare un’udienza, nella quale il giudice indicherà le modalità di esecuzione. In questo caso si
sposterà il palo cattivamente a spese del soccombente. È un provvedimento che la legge prevede che non è
decisorio, si limita a fissare le modalità. Il decisorio c’è già, il giudice dell’esecuzione non si può sostituire al
giudice della cognizione. Il giorno del sopralluogo ci accorgiamo però che il punto fissato dal giudice della
cognizione dove rimettere il palo, non funzionava. Così il giudice dell’esecuzione ha emesso una ordinanza,
quella prevista dal codice per dettare le modalità, in cui fissa un nuovo punto dove mettere il palo. Questa
ordinanza ha quindi una sostanza di sentenza perché è andata ad integrare il titolo esecutivo, cioè la
sentenza di cognizione, ha cambiato tutto. È stata quindi appellata, pur essendo
un’ordinanza che la legge prevedeva dovesse rimanere tale e non impugnabile.

- Provvedimenti che hanno il nome di sentenza ma che contengono in realtà delle ordinanze non
impugnabili. Il classico caso, che non succede mai, è il caso in cui il giudice che non ha ammesso delle prove
nel corso del processo decide, e quando è in sede di decisione con la sentenza si rende conto gli servivano
delle prove, e quindi con la sentenza ammette le prove che non aveva ammesso. È evidente che in questo
provvedimento c’è scritto sentenza ma l’ammissione delle prove non è decisoria e quindi è in realtà
un’ordinanza.

2. Legittimazione ad impugnare

Chi può impugnare?


Si deve essere stati parte del processo, prima di tutto parte in senso formale. Quindi attore, colui che firma
l’atto di citazione, o convenuto, il nome contenuto nell’atto di citazione. Magari alla fine si scopre che il
convenuto non era lui a dover pagare, era un altro, ma non importa, ad impugnare è il convenuto, non
l’altro che nel processo non c’era, è esterno.

Eccezioni:
- Quando il papà agisce nei confronti di una parte, poniamo un’assicuratore che non ha pagato il
figlio minorenne, che non può quindi stare in giudizio, qui c’è una rappresentanza, e parte del
processo è il figlio, non il padre. Il padre se vuole impugnare lo fa in nome e per conto del figlio,
non in proprio. Quindi qui parte non è colui che firma l’atto di citazione (si intende procura perché
sarà il legale a firmare l’atto di citazione).

- In caso di contumacia è possibile impugnare? Si. Infatti, chi ha vinto deve comunque notificare la
sentenza al contumace, perché bisogna dare la possibilità al contumace di impugnare. È una
garanzia, viviamo infatti in un ordinamento in cui il contumace non è svantaggiato, come in altri
ordinamenti.

Esempio 1: Io cito in giudizio Gaia perché mi deve dare il suo computer. Il giudice dice alla fine, non è Gaia
che deve dare il computer, ma Alessia che deve dare il computer. Alessia è rimasta esterna. Io vado da
Alessia con la sentenza e lei dice che se vuoi mi fai causa, e poi riaccerteremo tutto di nuovo perché il
giudice della causa con Alessia non è vincolato alla sentenza con Gaia, qui infatti non c’è pregiudizialità.
L’oggetto della prima causa non era il mio rapporto con Alessia, era un rapporto, il diritto tra me e Gaia. Qui
c’è in gioco il contraddittorio, Alessia non si è difesa.

Esempio 2: chiedo a Gaia il computer e lei durante il processo vende il computer ad Alessia. Nella causa di
prima ho sbagliato a citare Gaia, qui no. Se alla fine ho ragione io vado da Alessia a prendere il computer e
lei deve darmelo, a meno che abbia il possesso in buona fede (e qui chiedo a Gaia il risarcimento danni
perché non doveva vendere). In questo caso Alessia è parte in senso sostanziale.

Esempio 3: Gaia ha una madonna di Raffaello, io ho residenza nelle isole Vergini rivendico il suo quadro.
Alessia, parente di Gaia, ritiene di aver ereditato lei il quadro (ora è rimasta estranea alla causa tra me e
Gaia).
Io vinco, il quadro deve essermi consegnato. Alessia, estranea, viene a sapere della causa e quindi viene a
sapere che ho vinto. Alessia è vincolata all’accertamento che non è più Gaia il proprietario, ma sono io?
Quella sentenza è vincolante per Alessia? Cioè Alessia può proporre la causa dice to che il quadro è suo?
No, non è vincolante perché non è stato accertato nei confronti di Alessia che io sono il proprietario, è stato
accertato solo tra e Gaia. Viene fuori ancora una volta la cesura tra codice civile e la realtà. Se noi ci
basassimo solo sul codice civile dovremmo dire che sia è vincolante, perché il diritto reale, che viene qui
accertato, ha effetto erga omnes. Ma nel pratico non funziona così perché va salvaguardato il diritto di
difesa, che vale di più.

Alessia a questo punto non è vincolata e può fare causa a me. Nel frattempo quel quadro li che fine fa? Io
ho una sentenza esecutiva quindi in questo momento il quadro è mio e io me lo porto a casa. Per Alessia
questa esecuzione è dannosa.

Può chiedere il sequestro, ma ha un problema perché è un provvedimento cautelare e deve dimostrare che
mi porto il quadro alle isole Vergini, e non è molto semplice. Il giudice non può dare un cautelare se non c’è
urgenza. C’è quindi un altro rimedio: un’impugnazione, l’opposizione di terzo. È una specifica impugnazione
che spetta proprio al terzo che non risente del giudicato. Il giudicato gli crea un danno proprio perché non è
vincolante. Se Alessia fosse vincolata infatti potrebbe fare appello.

Il punto comunque è quando un terzo subisce un danno da un giudicato che non è a lui opponibile.

Tutti gli esempi fatti, sono casi in cui se chiamiamo Alessia in causa risolviamo tutti i problemi. Ma bisogna
vedere se conviene chiamarla. Perché se sto chiedendo il Raffaello a Gaia, non mi conviene chiamarla se so
che lo vuole anche lei.

3. Interesse ad agire
C’è interesse quando c’è soccombenza. Per capire cosa significa soccombenza iniziamo a ragionare su
qualche caso:
• Tizio chiede 100, Caio sostiene di non dovere nulla. Il giudice accoglie in toto la domanda di Tizio.
Soccombenza totale di Caio, vittoria piena di Tizio. Può impugnare solo Caio. Tizio non può
impugnare, lo dichiarerebbero inammissibile.

• Tizio chiede 100, Caio sostiene di non dovere nulla. Il giudice accoglie limitatamente a 90 la
domanda di Tizio. Chi è soccombente? Entrambi, si parla quindi di soccombenza reciproca e
parziale, ovvero hanno vinto qualcosa e perso qualcosa. Caio ha vinto 10 e Tizio ha perso 10.
Entrambi possono impugnare ma per cose diverse. Tizio può impugnare sul fatto che non gli è stato
dato 100? No, Tizio può impugnare solo sul fatto che non gli sia stato 10. Caio può impugnare solo
su 90. Le impugnazioni cadono quindi su capi diversi, per Tizio cadono sulla negazione di 10, per
Caio cadono sulla condanna a 90. Ognuno impugna il suo, sul resto non si può impugnare. Poniamo
che la sentenza venga notificata, probabilmente verrà notificata da Tizio, perché è lui che ha
interesse. La notifica fa si che dal giorno della notifica decorra il termine. Ma il termine decorre solo
per una delle tante o per tutte? Per tutte. Vuol dire che da quel momento sia Tizio, sia Caio devono
valutare se impugnare o no. Se Caio impugna c’è il rischio che non debba a Tizio più neanche i 90.
Tizio dovrà quindi decidere se difendersi per i 90 oppure fare un passo oltre e impugnare i 10. Sono
delle diverse scelte difensive. Se Tizio si limita a difendere i 90 il meglio che potrà avere è 90. Se
invece decide di fare un passo oltre, può difendersi sui 90, e può anche impugnare i 10. Nel caso in
cui ci siano poche possibilità per Tizio di vincere sui 10, l’avvocato dovrà avvertirlo, precisando
anche che rischia la condanna alle spese legali. Se l’appello va in modo diverso, il giudice
dell’appello rivaluterà poi tutte le spese, anche quelle del primo grado, perché la sentenza di
appello è sostitutiva, e quindi sostituisce anche le spese.

La soccombenza può essere:


- formale: il risultato del confronto tra domande e questioni e risultato. Vado cioè a vedere tutte le
domande e tutte questioni che sono state poste, vado a vedere i capi, vado a vedere cosa mi è
stato accolto e cosa rigettato. Su tutto ciò che mi è stato rigettato, soccombenza
- materiale: si misura sulla sentenza che ho ottenuto, e sulla sentenza che avrei potuto ottenere nel
migliore dei casi. Andiamo alla sentenza (sotto):

La domanda era l’azione di responsabilità. Non è stata accolta. C’è quindi soccombenza formale. C’è anche
soccombenza materiale perché avrei potuto ottenere una sentenza migliore, cioè di accoglimento.

Il comportamento colposo è stato assorbito, quindi lì non c’è stata decisione. Quindi li non ci poniamo il
problema della soccombenza, li lo riproporremo.

Le questioni sono poi l’incompetenza del giudice per clausola arbitrale e la prescrizione. Sull’’incompetenza
la soccombenza è formale perché è stata respinta, ma non è materiale perché alla fine Rivaben non deve
pagare nulla, quindi è stata la sentenza migliore che avrebbe potuto ottenere.

Il legislatore da’ rilevanza alla soccombenza materiale.

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