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Beethoven

Le Sinfonie di Beethoven rappresentano un vertice incomparabile della storia della musica: nove
capolavori ciascuno dei quali possiede un distinto e inconfondibile carattere, e al tempo stesso nove
capitoli di un vasto progetto artistico che il compositore coltivò lungo l’intero arco della propria vita;
una maestosa architettura unitaria, costruita sulle basi di una ricca tradizione musicale ma tesa a un
rinnovamento radicale del pensiero sinfonico.

Una volta giunto da Bonn a Vienna, nel tardo 1792, Beethoven si preoccupò innanzitutto di
affermarsi come pianista e compositore, scrivendo e pubblicando le prime sonate, variazioni e
composizioni da camera con pianoforte. Nei tardi anni 1790, quando aveva pronti un quintetto per
archi e i Trii per archi op. 9, era arrivato per lui il momento di espandere il proprio ruolo di diretto
erede di Mozart e dell’ancora vivente Haydn volgendosi al quartetto e alla sinfonia. E così nel 1800
era indaffaratissimo con i suoi primi quartetti per archi, quelli dell’op. 18 - ed era anche già pronto a
presentare la Prima Sinfonia, un forte per quanto non rivoluzionario saggio di esordio nel mondo,
altamente competitivo, del più pubblico tra i generi.

Quando incominciò a lavorare alla sua prima sinfonia, a metà degli anni 1790, Beethoven aveva ben
presenti i recenti capolavori di Haydn, le dodici Sinfonie “Londinesi” (nn. 93-104) scritte tra il 1791 e
il 1795, non poche delle quali furono eseguite a Vienna già dal 17933. Modelli almeno altrettanto
importanti furono le ultime sinfonie di Mozart, specialmente i sei grandi lavori degli ultimi dieci anni,
dalla Sinfonia “Haffner” del 1782 passando per la Linz e la Praga, del 1783 e 1784 rispettivamente.
Ma per l’idea di sinfonia di Beethoven fu particolarmente significativa la trilogia conclusiva – le
sinfonie in mi bemolle maggiore (K543), in sol minore (K550) e la Jupiter in do maggiore (K551).
Quando furono scritte - in sole sei settimane, nell’estate del 1788 il diciassettenne Beethoven era
ancora a Bonn, ma era ansioso di tornare a Vienna, dove era già stato nel 1787 nella speranza di
diventare allievo di Mozart. Studi recenti hanno dimostrato che quel viaggio del 1787 non fu una
questione di poco più di due settimane, come si era ritenuto in passato, ma ne durò ben dieci. È
dunque plausibile che in quel periodo il giovane Beethoven possa avere incontrato Mozart.

Nel 1803, quando si stava arrovellando sul primo movimento della Sinfonia “Eroica”, Beethoven si
ritrovò ad annotare un tema da un concerto per pianoforte di Mozart. Questo tema, con il quale ha
inizio l’ultimo concerto di Mozart, K595, era originariamente in 6/8 e in si bemolle maggiore, ma
Beethoven lo scrisse in 3/4 e in mi bemolle maggiore, cioè nel metro e nella tonalità del primo
movimento dell’Eroica, che stava abbozzando in quel periodo.

Beethoven scriveva sinfonie nonostante le circostanze avverse: un gesto di sfida perfettamente in


sintonia con la mentalità artistica del compositore.

Un’ulteriore evoluzione del genere divenne possibile, a Vienna, solo dopo il 1815, con la sconfitta di
Napoleone, il ritorno della pace in Austria dopo decenni di guerra, e l’ascesa del concerto pubblico,
pilotata da un’importante associazione di amatori fondata da poco, la Gesellschaft der
Musikfreunde.

Nel 1812, naturalmente, Beethoven aveva già completato molti lavori in generi destinati ai salotti o
alla musica domestica – sonate per pianoforte, musica da camera con pianoforte, quartetti per archi
e composizioni vocali.
Nel corso della sua carriera l’ambizione spinse costantemente Beethoven alla ricerca di differenti
modalità di espressione. Che puntasse a raggiungere i suoi ascoltatori in modi nuovi e nella maniera
il più possibile diretta è scandito nella sua dedica del Kyrie della Missa Solemnis – «dal cuore, possa
andare al cuore».

Già con la Seconda Sinfonia, e poi ancor più con l’Eroica e le sinfonie successive, Beethoven
reinventò il canone sinfonico. Dopo l’Eroica ogni nuova sinfonia proseguì questa espansione in modi
nuovi. Osserviamo che nella sua musica per orchestra Beethoven attinse alle acquisizioni cui era
pervenuto in altri settori – le sonate e le variazioni per pianoforte, la musica da camera con
pianoforte e i quartetti per archi – affinando la sua tecnica anche con le ouverture, la musica di
scena, e le grandi composizioni vocali con orchestra, tra cui le messe, gli oratori e lavori audaci come
la Fantasia Corale. Dopo il 1805 attinse anche a tutto quanto stava imparando mentre componeva e
rimaneggiava la sua opera, Leonore (poi ribattezzata Fidelio). E all’epoca in cui scrisse il primo
movimento della Nona, all’inizio degli anni Venti, poté arricchire la scrittura sinfonica di alcune delle
sottigliezze e delle complessità che aveva sperimentato nei quartetti per archi del suo tardo periodo
medio.

All’inizio del XIX secolo la sinfonia cominciava ad essere considerata «il genere più elevato della
musica strumentale.

All’epoca in cui Hoffmann scrisse il suo celebre saggio critico sulla Quinta, nel 1810, Beethoven aveva
già completato le prime sei sinfonie. Come autore di romanzi e racconti fantastici, ma anche come
esperto musicista e compositore, Hoffmann difese il «possente genio» di Beethoven dai critici
conservatori che trovavano il suo linguaggio musicale difficile da capire e le sue composizioni
emotivamente smodate. A questo proposito scrisse che la Quinta Sinfonia «conduce
imperiosamente l’ascoltatore al cuore del mondo spirituale dell’infinito!» e che la musica
strumentale di Beethoven «ci schiude il regno del mostruoso e dell’incommensurabile»16.

Simili opinioni non erano condivise solo da musicisti e musicologi. L’influente trattato di
Schopenhauer “Il mondo come volontà e rappresentazione”, la cui prima parte fu pubblicata nel
1819, prima della Nona Sinfonia, ne è un illustre esempio.

La sinfonia “caratteristica”, o “a programma” era stata coltivata nel XVIII secolo e fu ampiamente
menzionata dai critici dell’epoca di Beethoven19. Due delle sue sinfonie - l’Eroica e la Pastorale -
portano titoli che le qualificano immediatamente come appartenenti a questo sottogenere, ed
entrambe furono pubblicate con sottotitoli che caratterizzavano e modificavano ulteriormente il
modo in cui si intendeva venissero recepite. Entrambi i sottotitoli erano il risultato di complicati
ripensamenti. La frase “composta per celebrare la memoria di un grande uomo” fu usata per la
prima volta per l’Eroica - per quanto ne sappiamo - solo quando venne pubblicata, nel 1806, due
anni buoni dopo la composizione e la revoca della dedica a Napoleone.

La Prima Sinfonia fu pubblicata da Hoffmeister a Lipsia, nel 1801, diciotto mesi dopo la prima
esecuzione, avvenuta nell’aprile 1800. Di lì in avanti sembra che Beethoven abbia iniziato a lavorare
intensamente a ciascuna sinfonia quando la precedente era prossima alla pubblicazione o era stata
appena pubblicata. Concepì la Terza nel 1802, ma non la completò fino alla seconda metà del 1803,
mentre aspettava la pubblicazione della Seconda, che apparve nel marzo 1804. Un arco di tempo di
due anni separa il compimento della Terza, nel 1804, dalla sua pubblicazione, nell’ottobre 1806, più
o meno all’epoca in cui Beethoven terminò il manoscritto autografo della Quarta. Come avrò modo
di illustrare, sembra che Beethoven abbia concepito le prime idee per quella che sarebbe poi
diventata la Quinta, e almeno due movimenti della Sesta, all’inizio del 1804, ben prima di effettuare
il grosso del lavoro sulla Quarta, due anni più tardi. Conseguentemente, si direbbe che Beethoven
avesse in mente un’embrionale concezione della Quinta e della Sesta prima ancora di mettersi al
lavoro sulla Quarta. La Quinta e la Sesta, dunque, rimasero ad aspettare di essere modellate nella
loro forma definitiva nel 1807 e nel 1808. Sembra che a quell’epoca la pubblicazione fosse una
faccenda più rapida, dato che entrambe apparvero nel 1809. Nel 1811 e nel 1812 Beethoven
compose in rapida successione la Settima e l’Ottava, che però per varie ragioni non furono
pubblicate che nel 1816 e nel 1817 rispettivamente.

Le sinfonie di Beethoven ricadono in cinque fasi. Nella prima fase, fino alla Prima Sinfonia inclusa,
Beethoven stabilisce le proprie credenziali, avendo rinviato la composizione di una sinfonia fino al
momento in cui si fosse presentata l’opportunità di un’esecuzione pubblica, che, all’epoca, non era
così facile da organizzare. La seconda fase va dal 1801 al 1806, e comprende la Seconda, la Terza e le
prime idee per la Quinta e, in qualche misura, per la Sesta. Seguirono il progetto per l’opera Leonore
(1804-6) e le sue due grandi ouverture (Leonore n. 2 e n. 3), da cui fu assorbito completamente, e
poi la Quarta. Per quanto riguarda i lavori completati, è plausibile ipotizzare che la Seconda, la Terza
e la Quarta abbiano tutte quante partecipato - ovviamente in modi differenti - della grande svolta
che spesso viene attribuita esclusivamente all’Eroica.

A partire dal 1807 e dal 1808 seguono la terza e la quarta fase. La terza comprende la Quinta e la
Sesta, che furono completate nel 1808 e che all’origine erano così strettamente collegate che
inizialmente i rispettivi numeri d’opera, 67 e 68, furono loro assegnati in ordine inverso. La quarta
fase ci porta la Settima e l’Ottava, pubblicate con “i numeri d’opera consecutivi 92 e 93. Tra il 1813 e
il 1819 Beethoven ebbe idee effimere per altre sinfonie, mentre il suo intero atteggiamento
cambiava e si approfondiva, ma poi non ne fece nulla. Il lavoro su vasta scala per la Nona ebbe luogo
tra il 1822 e il 1824.

Il grosso del lavoro per la Nona corrisponde alla quinta e conclusiva fase della sua produzione
sinfonica.

Le prove documentarie rendono evidente che tra il 1824, quando terminò la Nona, e il mese di
marzo del 1827, quando morì, Beethoven, pur avendone preso in seria considerazione la possibilità,
non portò a termine alcun lavoro per orchestra, e tantomeno una nuova sinfonia.

Prima sinfonia
Nel periodo intorno al 1780 la corte elettorale di Bonn vantava un’orchestra di prima qualità e un
ambizioso teatro d’opera, entrambi generosamente sostenuti dall’elettore Max Franz fin dalla sua
ascesa, nel 1784.

in questa situazione l’adolescente Beethoven, figlio e nipote di musicisti di Bonn, si rivelava un


brillante talento musicale man mano che cresceva. Oltre a studiare intensamente come pianista e
come compositore in erba, suonava la viola in orchestra per l’opera e per le esecuzioni di musica
sinfonica.

Nei primi anni 1780, quando Beethoven faceva i primi tentativi come compositore, il dramma, a
Bonn e nei principali centri di tutti i paesi di lingua tedesca, era in uno stato di trasformazione. Sin
dall’inizio degli anni Settanta erano andati sorgendo teatri “nazionali”, sia nella Vienna imperiale, sia
in corti principesche minori, tra cui appunto Bonn.

Se alcuni dei lavori da camera di Beethoven dei primi anni di Vienna sembravano rivelare in una
certa misura “sangue caldo” e “emozioni che sorgono selvaggiamente”, la stessa cosa non si può dire
della Prima Sinfonia. Se mai, questo lavoro comunica l’impressione di essere un’autopresentazione
nel mondo pubblico della sinfonia estremamente abile ma calibrata con cautela.

L’Adagio introduttivo segue i grandi modelli delle recenti Sinfonie “Londinesi” di Haydn offrendo
insolite svolte armoniche, preparando l’arrivo dell’Allegro principale e ponendo le basi per i suoi
passaggi più impressionanti. L’Allegro stesso è brillante e vivace. I passaggi iniziali affermano la
tonalità di do maggiore con figure fortemente accentate che contrastano in modo elegante con il
successivo secondo gruppo tematico, nel quale i legni passano in primo piano alternandosi
giocosamente. Sotto la superficie ci sono schemi di procedimenti che si è scoperto essere derivati da
lavori precedenti: in particolare lo sviluppo, del quale si è evidenziato che è modellato
strutturalmente sull’analoga sezione della Sinfonia “Jupiter” di Mozart, pure in do maggiore.

La scelta della tonalità per il secondo movimento – fa maggiore, la tonalità della sottodominante – è
conservatrice. Eppure, riflette l’enfasi posta su questa stessa tonalità subordinata che si era ascoltata
già nella prima battuta dell’Introduzione.

In questa sinfonia il vero elemento di novità è il Minuetto. A dispetto del nome, è un sanguigno
Scherzo: il movimento più impressionante della sinfonia, un’esplosione di energia e di
immaginazione; è l’addio di Beethoven al minuetto sinfonico del XVIII secolo. Abbiamo l’impressione
che con questo movimento della Prima Sinfonia Beethoven sia alla scoperta della propria
“personalità-Scherzo”: il suo modo di imbrigliare l’incessante ripetizione ritmica di brevi figure nel
contesto di un inarrestabile moto in avanti. Questo tipo di movimento era destinato a diventare il
tratto caratteristico del suo successivo stile sinfonico. Questo “Minuetto”, insomma, è in realtà il suo
primo scherzo sinfonico.

Haydn scrive un “Minuetto” di 48 battute in due sezioni, ciascuna con un ritornello, come di
consueto; poi un Trio, lievemente più corto, di 41 battute, dalla medesima forma binaria e con due
ritornelli: infine l’intero Minuetto “da capo” (ripetuto per intero, con o senza i ritornelli interni). Sulla
carta, lo schema di Beethoven sembra quello consueto, ma è l’intero carattere del movimento ad
essere nuovo. Il suo “Menuetto” è diviso in due parti clamorosamente asimmetriche, con una prima
sezione di sole 8 battute e un’enorme seconda parte di ben 71 battute. Come di consueto, entrambe
sono ripetute, ma con un’immensa energia e, nella seconda parte, un trattamento dei motivi che si
avvicina all’elaborazione tematica. Il Trio è più breve e più lirico, come avviene normalmente nel
terzo movimento classico, e con la ripetizione dell’intero Minuetto ritornano lo scatto e l’energia che
contraddistinguono questo movimento.

Il finale, sulla scia di molti finali Allegro o Presto in 2/4 di Haydn, è pieno di spirito, vivacità e
buonumore. Inizia con un tocco umoristico, abbozzando una miniatura del procedimento di
creazione del tema, che viene costruito un pezzetto per volta, aggiungendo una nuova nota ad ogni
ripetizione per culminare infine nell’arguta formulazione completa. Questo tema di apertura è di per
sé un piccolo capolavoro di comicità – qualcosa di simile al tema del finale del Primo Concerto per
pianoforte – ed è seguito da molti passaggi vivaci. Verso la fine del movimento appaiono nuove idee,
tra cui un segmento tipo-marcia nella Coda e l’energico crescendo che va dalla marcia al prolungato
apice fortissimo della conclusione, e può essere paragonato alla perorazione che porta il primo
movimento alla sua poderosa conclusione.

Il 2 aprile 1800 il Burgtheater di Vienna ospitò un concerto in sottoscrizione con nuove composizioni
di Beethoven, frammiste a lavori di Haydn e di Mozart, qui fu eseguita per la prima volta la prima
sinfonia Op21.
La seconda sinfonia
Questa sinfonia, con la sua ricchezza di contenuti e la sua spiccata personalità, segna la fine della
prima maturità di Beethoven per quanto riguarda la musica per orchestra, e allo stesso tempo indica
che la sua adesione ai modelli classici si sta facendo da parte per lasciare spazio allo stile sempre più
dinamico ed espressivo del suo periodo centrale. Nella Seconda Sinfonia i contrasti all’interno dei
movimenti e tra i movimenti sono più forti che nella Prima, e, per quanto la strumentazione sia la
stessa, l’interazione tra i colori strumentali è di gran lunga più drammatica e più complessa, e le
interruzioni e le sorprese sono assai più improvvise. Lo schema è simile a quello della prima sinfonia
con la divisione in 4 movimenti.

L’Adagio iniziale è un’ampia dichiarazione d’intenti musicale, i cui contrasti – tra dinamiche
contrapposte, tra blocchi di strumenti, tra fiati e archi – fanno presagire il carattere drammatico
dell’Allegro. Questa introduzione, di cui si è ipotizzato che abbia preso a modello quella della
Sinfonia “Praga”, nella stessa tonalità, rappresenta un ulteriore esempio del debito che Beethoven,
nei suoi primi anni, ebbe nei confronti di Mozart.

Il primo movimento (Allegro) inizia con un tema teso e sbrigativo, contraddistinto nella prima
battuta dal violento contrasto ritmico di una prima nota lunga seguita da una quartina di sedicesimi
che ha la funzione di un “levare” intensificato per la battuta successiva, che segue lo stesso schema;
completano poi la frase quattro note tutte del valore di un quarto, e anche queste formano un’unità
motivica. Il “levare” intensificato avrà vita propria più avanti, verso la fine dell’esposizione, quando
la figura di sedicesimi realizzerà un passaggio dall’atteggiamento intenso e misterioso che in sole sei
battute passa da pianissimo a fortissimo2. L’intero movimento è pieno di contrasti drammatici, tanto
su grande quanto su piccola scala. Così il secondo tema ha un sapore di marcia militare
preannunciato da clarinetti, fagotti e corni, a cui risponde una salva dell’intera orchestra; quindi, la
stessa coppia di frasi si ripete, questa volta in un registro più acuto e con un ventaglio di sonorità
ampliato.

Ma il passaggio più impressionante di tutti è quello, straordinario, che troviamo nella coda, dove gli
archi gravi si muovono verso l’acuto attraverso successivi intervalli cromatici mentre nelle voci
superiori si susseguono mutevoli armonie; questo passaggio conduce, fortissimo, alla trionfale
conclusione.

Il Larghetto che è il secondo movimento è una gemma purissima. È il primo movimento lento
sinfonico davvero maturo di Beethoven, all’altezza dei migliori movimenti lenti nel modo maggiore
delle sue sonate e della sua musica da camera giovanili4. È marcatamente distante dall’intensità del
primo movimento, mentre il finale recupera ed amplia la tensione del primo movimento fino alla
conclusione, che culmina in un passaggio cadenzale che strabiliò gli osservatori contemporanei.

Lo Scherzo, definito proprio così per la prima volta nelle sue sinfonie e che costituisce il terzo
movimento, riprende lo slancio energico del primo movimento, ma con mezzi più semplici. Nella
prima sezione uno stretto dialogo tra archi e fiati alterna disegni a scala di tre note forte e piano, per
concludere ciascuna frase fortissimo, riecheggiando i possenti contrasti del primo Allegro, e – nella
loro variante delicata – del Larghetto. E nella seconda sezione dello Scherzo la figura di tre note
ascendenti del tema iniziale del movimento rimbalza tra le due sezioni di violini come sfondo a un
nuovo tema dei legni, con un effetto complessivo di dissimulata intensità che si sviluppa infine nella
dinamica conclusione dello Scherzo vero e proprio.

Il Trio che è il quarto movimento espande il proprio materiale in nuove aree tonali, iniziando con i
legni soli in modo più delicato che nello Scherzo che lo ha preceduto, per continuare con ruvide
repliche degli archi soli. Poi le due sezioni dell’orchestra, fiati e archi, si uniscono per presentare
ancora una volta, nelle battute conclusive, il materiale di apertura – questa volta delicatamente, per
fornire un contrasto con la conclusione dello Scherzo.

Il finale inizia con una delle più energiche e dinamiche figure brevi di Beethoven.

Questo passaggio comincia con un frammento ascendente di due note la cui breve prosecuzione si
ferma con due vere e proprie martellate. Questo primo, impressionante motivo lascia posto a un
tema tranquillo e scorrevole che si interrompe improvvisamente con altre due “martellate”: ora,
improvvisamente, forte.

La coda, di gran lunga la parte più estesa del movimento, è quasi una seconda ripresa rielaborata.
Dopo che la prima parte ha esaurito il proprio corso, l’irrefrenabile movimento.

Giunge ad un arresto, introducendo la più spettacolare conclusione di tutto il primo Beethoven; poi
un’ulteriore fermata ferma nuovamente il tumulto, e svariate riproposizioni dell’originale motivo di
apertura conducono alla conclusione il tumultuoso finale, e con quello l’intera sinfonia.

Le innovazioni della Seconda vanno di pari passo con quelle delle sonate per pianoforte che
Beethoven scrisse tra il 1799 e il 1802, dalla magistrale Sonata in si bemolle maggiore op. 22, alla
trilogia dell’op. 31, che approfondì marcatamente il suo stile sonatistico11. In effetti è stato
dimostrato che la Seconda Sinfonia ha strette affinità strutturali con la Sonata per pianoforte op. 28,
pure in re maggiore, scritta nel 1801 e pubblicata nel 1802.

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