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Storia della filosofia

Lezione 22/02/2023
Introduzione
Cartesio apre la strada alla modernità e insieme a Locke e Galileo è stato uno dei padri
della scienza moderna.
Nella prima e nella seconda meditazione c’è l’impostazione cartesiana che porterà al
dualismo cartesiano.
Nella sesta meditazione Cartesio realizza che il dualismo aveva dei problemi.
La fenomenologia è una corrente del 900 che è oggi è di grandissima attualità grazie ai
neurofisiologi: la fenomenologia è una filosofia che ha un’impostazione fortemente
descrittiva dell’esistenza, basata su un dubbio che sia vero tutto quello che si ritiene sia
vero. Questa impostazione è stata oggi rivalutata dai neurofisiologi soprattutto dopo la
scoperta dei neuroni a specchio: ritrovano delle descrizioni che possono fare delle previsioni
sul cervello.

Diversamente da quello che si crede, la scienza moderna non è nata sul terreno
dell’induzione e della generalizzazione: sul piano empirico si hanno delle esperienze e poi
si generalizza, dal particolare all’universale, la scienza fa osservazioni empiriche, le ripete e
poi produce un’induzione, ovvero va dal particolare all’universale. La scienza moderna non è
nata così in quanto è nata sul terreno dell’astrazione, basti pensare ai famosi assi
cartesiani o alla geometria analitica che vanno verso l’astrazione: gli assi cartesiani
sono una rappresentazione astratta di un punto attraverso un’equazione.
La scienza moderna è nata distanziandosi dai sensi, andando sul piano dell’astrazione:
la geometria analitica cartesiana va verso l’astrazione.
Questo era fondamentale perché ci si doveva allontanare dalla certezza dei sensi che era
il pilastro della filosofia delle Università e della scienza ufficiale: Aristotele aveva affermato
che ci si doveva fidare dei sensi, non si può dubitare dei sensi.
La scienza moderna nasce con l’idea che ci si deve scardinare dai sensi: questo grazie
alla teoria copernicana.
La geometria si chiama analitica perché si muove sul piano dell’astrazione.
La scienza moderna vuole affermarsi scardinando la certezza dei sensi.
Nel 1633 Cartesio aveva scritto il Trattato sul mondo al cui interno il filosofo aderisce alla
teoria copernicana anche se non dà alla stampa il suo libro: questo perché nel 1633 c’è la
condanna a Galileo.
Il motto di Cartesio era Larvatus prodeo (mi faccio avanti mascherato).
Nelle Meditazioni cartesiane la formulazione del cogito è formulata come ergo cogito ergo
sum: la famosa affermazione cartesiana cogito ergo sum viene fuori dal Discorso sul
metodo.

Cartesio
Biografia
Cartesio è un padre della scienza moderna.
Cartesio nasce nel 1596 e muore nel 1650, opera nel 600.
Nasce da una famiglia di alto loco, il padre era un consigliere reale.
Il padre manda Cartesio a studiare con i gesuiti a Le Flèche perché quella tipologia di
scuola era intesa come il “liceo classico” che forma la futura classe dirigente: al collegio
gesuita si formava la futura classe dirigente.
L’educazione che Cartesio trova, la formazione che gli viene data ha un carattere
prettamente umanistico e Cartesio, pur essendo uno studente modello, ne rimane deluso
in quanto l’insegnamento gli appare formale, lontano dalla logica, dalla matematica, era
un insegnamento basato sulla metafisica così come allora si insegnava nelle Università:
Cartesio rimane profondamente deluso dall’insegnamento, matura l’insoddisfazione
per la vuotezza, trovava le dispute metafisiche come una mera espressione di tesi che
esprimevano un carattere soggettivistico, senso di vuotezza, senso del carattere
soggettivo pronunciato dai filosofi.
Si sviluppa in Cartesio il fastidio profondo per una filosofia intesa come una disputa su
tesi (per esempio nel Medioevo si scriveva il sic et non).
Cartesio sviluppa un fascino per la matematica in quanto è l’unica disciplina in grado di
affermare certezze: manifesta lo stupore per lo scarso peso assegnato alla matematica e
alla logica che erano le uniche discipline in grado di dare qualcosa.
Cartesio lascia il collegio e inizia gli studi di legge su volontà del padre: lì incontra
Mersenne, autore importante per Cartesio, diventerà un religioso ma sarà un partner
importante per la sua filosofia.
Tra 1618 e 1648 c’è la Guerra dei Trent’anni che fino alla Prima Guerra Mondiale è
ricordata come la guerra peggiore che l’umanità abbia combattuto: Cartesio ha fatto la
guerra dei Trent’anni e inizialmente combatte nelle truppe del principe di Nassau, un
protestante, ma successivamente combatte con Massimiliano di Baviera che era un
cattolico.
In una nota Cartesio dice che una sera, in una stanza surriscaldata da una stufa, nella
cittadina bavarese di Ulm, ha un’illuminazione: l’intuizione del metodo cartesiano che
mette a frutto gli interessi per la matematica e la logica che riempivano la vuotezza che
Cartesio aveva trovato negli studi umanistici.
A questo punto Cartesio trova la pace: fino a questo momento non aveva trovato la sua
collocazione.
Cartesio lascia l’esercito e si stabilisce a Parigi dove inizia la sua carriera filosofica: la
prima opera che scrive è Le regole per la direzione dell'ingegno che scrive nel 1628
quando ancora era in pieno vigore la Guerra dei Trent’anni.
Le regole per la direzione dell’ingegno viene pubblicata postuma.
Dopo Le regole per la direzione dell’ingegno, Cartesio si trasferisce in Olanda dove scrive
le opere principali, a partire dal Trattato sul mondo del 1633 il quale conteneva
un’adesione fisica al copernicanesimo: quando arriva la notizia della condanna di Galileo,
Cartesio decide di non dare alle stampe la sua opera.
Cartesio aderiva al copernicanesimo come teoria fisica: questo è importante perché fino
a quando il copernicanesimo fu inteso come un’ipotesi matematica, la Chiesa non era
maldisposta in quanto se la teoria copernicana veniva usata per studiare i movimenti non
veniva avversata, tant’è vero che nelle Università cattoliche c’erano le tavole pruteniche
che si rifacevano all’idea copernicana e non all’idea tolemaica in quanto davano dei risultati
più attendibili, ma era però un’ipotesi astratta.
La Chiesa non tollerava l’interpretazione fisica della teoria copernicana.
Se il copernicanesimo veniva inteso come teoria fisica del mondo, cozzava con le strutture
e questo non era più accettabile.
Cartesio ritirò il Trattato sul mondo perché dava delle teorie fisiche.
Galileo, quando si spostava da una sede all’altra, voleva essere considerato filosofo e
non matematico: questo perché allora per filosofo si intendeva fisico. Galileo voleva essere
considerato un filosofo naturale perché dà un’interpretazione fisica del
copernicanesimo.
Inizialmente la Chiesa non fu avversa a Galileo e soprattutto i gesuiti non furono
avversi a Galileo: ci fu un invito di Galileo a Roma da parte dei gesuiti su un terrazzo
romano perché con il binocolo vedessero le macchie lunari. La sfortuna volle che nelle due
sere che Galileo era a Roma, il cielo era nuvoloso e le macchie lunari non si poterono
vedere.
Coloro che Galileo aveva contro erano i domenicani: a Firenze ci fu un intervento di
Caccini, un domenicano il quale fa una premonizione dicendo che sarebbe arrivato un
uomo (Galileo) che avrebbe cambiato la visione del cielo in modo errato.
Caccini utilizza un passaggio del Vangelo come fosse premonitore: il passaggio esortava
a non guardare il cielo in quanto Cristo è sulla terra.
Cartesio è assertore del copernicanesimo come teoria fisica e non matematica.
Galileo affermava che la Bibbia dice come si va in cielo, mentre la scienza dice come va
il cielo.
Quest’anno ricorrono i 400 anni de Il saggiatore il quale nasce su una disputa che
riguardava la natura delle comete: Orazio Grassi, un religioso, per spiegare come si
muovevano le comete e la natura delle comete scrive la Bilancia astronomica. Galileo
risponde con Il saggiatore perché quest’ultimo è una bilancina di grande precisione degli
orafi: era un affronto verso Orazio Grassi.
Dal Trattato sul mondo Cartesio trae fuori tre parti: diottrica, geometria e meteore.
Queste parti del Trattato sul mondo vengono pubblicate in un libro intitolato il Discorso sul
metodo dove ci sono queste tre parti fatte precedere da un’introduzione che contiene il
metodo cartesiano: la geometria analitica di Cartesio fu pubblicata nel 1636 ne il
Discorso sul metodo con tre saggi che esplicano come l’intelletto si comporta con
metodo.
Il Discorso sul metodo è un’introduzione alle tre parti che Cartesio estrae dal Trattato sul
mondo.
Nel 1641 Cartesio pubblica le Meditazioni metafisiche il quale viene ripubblicato nel 1642
sempre in latino e nel 1646 in francese.
Dopo aver scritto le Meditazioni metafisiche, Cartesio fa circolare il suo libro tra i principali
filosofi europei come Hobbes e ne riceve le obiezioni: così nel 1642 scrive le Risposte
alle obiezioni che gli vengono fatte.
Nel 1644 Cartesio pubblica le Passioni dell’anima che sono stimolate da Cristina di
Svezia a cui lui dava lezioni: le passioni sono le emozioni, ma questo testo lo metterà
ancora di più in cattiva luce con la Chiesa.
Su richiesta di Cristina di Svezia, Cartesio cominciò ad impartirle lezioni: Cristina era una
ragazza giovane ribelle e riteneva che Cartesio avesse un’apertura mentale tale da darle
degli strumenti per porla al di sopra degli stereotipi di corte, era destinata al trono.
Cristina chiedeva a Cartesio di ricevere le lezioni di filosofia alle cinque del mattino:
sembra che Cartesio sia morto di polmonite per la rigidità del clima. Molti pensano che
Cartesio sia stato ucciso in quanto la rigidità del clima svedese non era maggiore di quella
olandese, ma soprattutto perché fu fatta un’autopsia e non furono trovate tracce
dell’infezione polmonare.
Cartesio è considerato uno dei filosofi con cui si inaugura l’età della ragione.
Cartesio viene sotterrato in un cimitero dove erano sepolti bambini che erano nati
prima dell’età della ragione: la Francia richiese il corpo di Cartesio decenni dopo.
Si pensa che non sia morto di polmonite: ci sono molte ipotesi sulla morte di Cartesio.
Una delle ipotesi più accreditate è che Cartesio sia stato avvelenato: Cristina di Svezia,
personalità molto libera, era determinata a convertirsi al cattolicesimo, aveva la
determinazione di convertirsi al cattolicesimo. La controparte vaticana, appena saputa la
determinazione di Cristina, voleva incoraggiare la sua volontà. Sembra però che Cristina
abbia avuto un ripensamento. L’ipotesi più accreditata è che Cartesio, il quale era cattolico,
sia stato avvelenato gradualmente attraverso gocce di arsenico che venivano messe
nell’ostia che si sapeva prendeva di prima mattina in Chiesa. Questo perché si è ancora nel
pieno dei contrasti europei della Guerra dei Trent’anni.
L’ipotesi meno accreditata è che Cartesio sia morto di banale polmonite: si è propensi a
pensare che Cartesio sia stato avvelenato gradualmente con l’arsenico, si pensava che
Cartesio avesse un’influenza negativa in Cristina in quanto rafforzava in lei il suo pensiero
critico.
Cartesio fu sepolto in Svezia ma qualche decennio dopo la Francia ne reclamò il cadavere:
Cartesio fu portato a Parigi prima in un cimitero e poi in un altro. Quando venne portato nel
secondo cimitero fu esumato: aperta la bara, si accorsero che mancava il teschio.
Sembra che quando fu fatta la cerimonia con cui la salma fu assegnata alla Francia, uno
degli addetti presenti alla cerimonia trafugò il teschio di Cartesio in quanto all’epoca
c’era l’abitudine di tenere i teschi sui tavoli.
Oggi il teschio si trova al Musée de l’Homme a Parigi ed è una sorta di bacheca.
Il teschio fu battuto all’asta e fu comprato dallo Stato francese, torna in Francia ed è al
Musée de l’Homme a Parigi.

Nel 1633 tutti i libri di Cartesio verranno messi all’indice.

Percepire non è altro che pensare.

Lezione 23/02/2023
Il dubbio
Res cogitans e res extensa è il dualismo cartesiano.
Le Meditazioni metafisiche iniziano con il dubbio: chi non dubita non pensa, non elabora
un pensiero, assolve esclusivamente le teorie altrui passivamente, il dubitare e il pensare
sono coessenziali.
Il dubbio in Cartesio viene a costituire nella sua filosofia il metodo filosofico per
eccellenza: quello di Cartesio non è un dubbio scettico ma è un dubbio metodico.
Il dubbio scettico è il dubbio proprio della tradizione filosofia dello scetticismo in base alla
quale non si potrà mai arrivare ad una verità certa, per gli scettici il vero filosofo è colui
che pratica la acatalessia, ovvero la non conoscenza. Lo scetticismo era una filosofia
antidogmatica che praticava un dubbio scettico nel senso di rimessa in discussione di
qualsiasi verità. La ricerca di un senso, di una verità non ci sarà mai, lo scetticismo rinuncia
a trovare verità. Il dubbio scettico non arriva alla verità certa: il vero atteggiamento del
filosofo è l’atteggiamento antidogmatico. Il dubbio scettico non arriva alle verità ma le
scardina.
Quello di Cartesio è un dubbio metodico, ovvero è un dubbio (che poi diventa di tipo
radicale) che mira a scardinare tutte le certezze, Cartesio parla di un’alluvione del dubbio
dalla quale però si deve cercare un punto archimedeo da cui ripartire per arrivare a delle
certezze.
Il dubbio cartesiano è un dubbio metodico perché è un modo per trovare le ragioni di ciò
che si ritiene vero, mira ad arrivare a delle verità certe ma che mette in discussione tutte le
verità acquisite.
Cartesio metto in dubbio tutto per arrivare ad un punto archimedeo su cui non si può
discutere e da cui si ripartire per cercare nuove certezze.

La prima cosa che Cartesio mette in dubbio è il dogmatismo spontaneo e naturale del
senso comune, ovvero i sensi che, secondo Cartesio, ingannano e quindi si deve dubitare
di quello che si conosce con i sensi: il dubbio metodico parte dalla certezza dei sensi.
Il primo dubbio cartesiano è la certezza dei sensi.
Cartesio parte dai sensi perché la certezza dei sensi era il cardine dell’aristotelismo, della
filosofia cardine.
Cartesio avverte anche la necessità di questo dubbio.
Il dubbio è spogliarsi da tutte le certezze in quanto si devono rivedere, il dubbio è
spogliarsi di tutti i pregiudizi. Si tratta di un’eliminazione provvisoria di tutto ciò che si
ritiene certo.
Il dubbio è metodico perché una volta che si è azzerato tutto, si cerca un punto fermo da
cui ripartire.
Il dubbio metodico serve per trovare quello che Cartesio chiama un punto archimedeo a
partire dal quale ricostruire le certezze: Cartesio trova il punto archimedeo nel cogito ergo
sum.

Il dubbio di Cartesio arrivare a mettere in dubbio anche le certezze matematiche perché


Cartesio afferma che non si può escludere la presenza di un genio maligno che fa credere
che 2+2 fa 4 mentre in realtà fa 5: Cartesio arriva a mettere in dubbio anche quello che per
lui c’è di più caro, ovvero le certezze matematiche.

Il dubbio di Cartesio diventa universale: arriva a dubitare della propria esistenza e del
mondo esterno. Questo è il dubbio iperbolico: potrebbe essere tutto un sogno, gli uomini
potrebbero essere dei cervelli in una vasca.

Dopo aver messo in dubbio tutto, Cartesio arriva a trovare questo punto archimedeo da cui
ricostruire tutte le certezze: il punto archimedeo viene trovato da Cartesio nel cogito ergo
sum.

Si può pensare che i sensi ingannano, ma c’è una cosa di cui non si può dubitare, ovvero il
fatto che di pensare: il cogito ergo sum è un’affermazione che si autoverifica tutte le volte
che si pronuncia, non si può pensare di pensare senza pensare.
Cartesio dice che il genio maligno può anche ingannarlo, ma fin quando lo inganna vuol dire
che pensa.
Esiste in quanto pensiero.
Il cogito ergo sum attesta l’esistenza dell’individuo non come persona fisica ma come
pensiero in quanto ancora non si ha la certezza della verità dei sensi: si esiste come
pensiero.
Dualismo cartesiano
Da una parte c’è la res cogitans, ovvero la cosa che pensa, e dall’altra c’è la res extensa,
ovvero le cose materiali.
Il dualismo cartesiano deriva dalla ricerca della certezza: c’è un dualismo tra pensiero e
soggetto fisico.
Il cogito è la prima certezza logica: è la prima certezza epistemica, ovvero che riguarda
la conoscenza, non si può dubitare del cogito.
Il cogito è la prima certezza ontologica: l’ontologia è ciò che definisce l’essere di
qualcosa, le caratteristiche essenziali, le caratteristiche che definiscono una cosa per quella
che è e senza le quali quella cosa non è più quella cosa. L’ontologia è definita dall’essere
come pensiero.
Cartesio trova la prima certezza nel cogito ergo sum che è una certezza epistemica e
ontologica.

Si arrivare alla distinzione tra res cogitans e res extensa.


La res cogitans è l’esistenza come pensiero.
La res extensa è la fisicità, tutto il resto che non ha a che vedere con il fatto che l’uomo è
pensiero.

Il dualismo cartesiano era importante per Cartesio perché questo era un modo per poter
studiare in modo meccanicistico la natura senza nessuna regola, per esempio di tipo
religioso: la distinzione toglie dal mondo naturale l’animo umano in modo tale che il
mondo naturale potesse essere studiato come si voleva.
Nello studio del mondo naturale c’erano sempre state molte regole, nello studio della natura
c’erano dei vincoli, la natura è una creatura del Padre Eterno.
Con la distinzione, Cartesio è come se togliesse dalla natura tutto quello che c’è di
“spirituale” in modo tale che la natura si potesse indagare senza nessun tipo di regola.
Ci sono delle cronache che narrano quando nelle corti venivano sezionati gli animali:
quando venivano sottolineate le urla degli animali, essi affermavano che erano rintocchi di
un orologio. La natura, il mondo animale è una macchina e con il dualismo tutta la parte
naturale può essere studiata, sezionata senza nessuna regola.
La distinzione tra res cogitans e res extensa è funzionale al meccanicismo perché
toglieva la parte spirituale a tutta la parte naturale.

La distinzione tra res cogitans e res extensa è collegata all’AI: nel 900 quando è partito
il programma dell’intelligenza artificiale, si è parlato di un paradigma della mente
neocartesiano. Nell’intelligenza artificiale c’è un rapporto tra mente e corpo radicalmente
dualistico, tant’è vero che si definivano come assertori di un paradigma della mente
neocartesiano.
I teorici dell’intelligenza artificiale, delle scienze cognitive affermavano che la mente sta al
corpo come il software sta all’hardware: si può studiare la mente, ovvero il software,
prescindendo dall’hardware, si può studiare la mente come lavora e che cosa fa
prescindendo dal corpo.
Si studia come la mente lavora non sapendo niente della parte dell’hardware.
Studiare la res cogitans è studiare una cosa, studiare la res extensa è un’altra cosa: c’è un
dualismo netto.
L’intelligenza artificiale si definì come un programma neocartesiano.
Il paradigma è stato poi scardinato tant’è vero che ora si parla di programmi incarnati, la
mente non è separata dal corpo ma è incarnata nel corpo: un grande neurofisiologo
portoghese, Antonio Damasio, ha scritto L’errore di Cartesio perché non si può studiare
la mente a prescindere dal corpo, attacca il programma dell’intelligenza artificiale quando
teorizzava che si poetava studiare la mente sulla base del dualismo cartesiano.

Lo stesso Cartesio si rese conto che il dualismo non funzionava ma l’ha sempre sostenuto
perché consentiva lo studio impregiudicato della natura.
Cartesio aveva un carteggio con Elisabetta del Palatinato la quale cominciò a fare delle
obiezioni a Cartesio che lo portarono, nella sesta meditazione, ad introdurre un modello
triadico: del dualismo, anche grazie ad Elisabetta del Palatinato, si rende conto che non
funzionava.

Le obiezioni alle Meditazioni metafisiche


Quando Cartesio pubblicò nel 1641 le Meditazioni metafisiche le fece circolare e
arrivarono una serie di obiezioni dei vari filosofi: Cartesio ne prende atto e nel 1642
ripubblica le Meditazioni metafisiche con le obiezioni che aveva ricevuto e le risposte
che lui aveva dato alle obiezioni.
Le obiezioni principali che furono rivolte al cogito ergo sum:
Gassendi è uno dei filosofi che fa delle obiezioni a Cartesio il quale risponde. Cartesio fa
vedere che la certezza logica ed ontologica funziona solo con verbi di pensiero. Se si
nega di camminare, significa che non si cammina, mentre non si può negare di pensare.
Cartesio dimostra che la certezza epistemologica ed ontologica funziona solo con verbi
di pensiero.
La certezza del cogito è una certezza intuitiva: viene obiettato che il cogito ergo sum non
è una certezza intuitiva ma è un entimema.
L'entimema è un sillogismo di cui si sottace la premessa maggiore perché di solito si sa
che non ha basi certe, la si sottace e si fa comparire solo la conclusione. Il sillogismo dà
una premessa maggiore, dà una premessa minore e dà una conclusione: tutto ciò che
pensa è (premessa maggiore), io penso (premessa minore), dunque io sono (conclusione),
questo è come sarebbe il cogito ergo sum se fosse un sillogismo. Viene obiettato che nel
cogito ergo sum si sottace la premessa maggiore.
Aristotele studia i sillogismi nella Retorica: la retorica è l’arte della seduzione, il grande
oratore è quello che parlando convince. Aristotele parla dell’entinema nella Retorica perché i
sillogismi che hanno a che fare con l’entimema sono i sillogismi che si usano in ambito
retorico: sono i sillogismi che sottacciano la premessa maggiore.
Cartesio non poteva tollerare che il cogito ergo sum potesse essere considerato come
un entimema perché nella premessa maggiore “tutto ciò che pensa è” si usa il verbo essere
come esistenziale quando invece Cartesio aveva messo in dubbio tutto: Cartesio non
poteva mettere come premessa qualcosa che riguardava l’esistenza.
Il cogito ergo sum non è frutto di un entimema.
Il cogito è un’intuizione, è una certezza epistemologica e ontologica.

Lezione 24/02/2023
C’è una lettera di Cartesio a Mersenne dove dice che quello che gli sta a cuore è
indagare la natura, la scienza.
La res cogitans può essere studiata senza nessun vincolo.
La res cogitans è la mente, l’animo: Cartesio parla di esprit mente ancora in francese non
c’è il termine di mente.
Il fatto che si potesse depotenziare tutto ciò che è res extensa, quindi tutto ciò che è fisico, e
si potesse quindi procedere nell’indagine scientifica senza nessun vincolo religioso, non
creava problemi negli animali: gli animali sono macchine, le urla che facevano nelle
vivisezioni dal vivo erano rintocchi di un orologio. Si pensava che gli animali non
soffrissero perché non avevano la mente: gli animali non essendo intaccati dal peccato
originale, sono innocenti, non hanno delle colpe da scontare come invece le hanno gli
uomini: gli uomini provano dolore perché hanno una colpa originaria da scontare mente gli
animali no e non avendo una colpa da scontare non possono sentire dolore in quanto se
sentissero dolore ne andrebbe della bontà divina.
Gli animali non hanno in origine un peccato originale e per questo Dio non può dare
dolore a chi è innocente.

De anima di Aristotele
Il parlare di dualismo mente-corpo, il parlare di separazione può apparire sospetto per
l’averroismo.
Nel 600 con la Guerra dei Trent’anni si è nel pieno della contrapposizione tra cattolici e
protestanti: c’erano degli aspetti della dottrina cattolica che erano molto sensibili.
In questo caso, per quanto riguarda la separazione mente-corpo, si fa riferimento alla
filosofia averroista: Dante nella Divina Commedia dice che vide Averroè che “il gran
commento feo”. Dante Alighieri mette Averroè nel limbo.
Averroé era un filosofo pagano perché era musulmano, nasce a Cordoba, fa un
commento ad un’opera fondamentale per la tradizione cattolica, ovvero il De anima di
Aristotele, un trattato di Aristotele sull’anima.
La teoria aristotelica del De anima affermava che l’animo umano è tripartito: un’anima
vegetativa, ovvero quella che si condivide anche con le piante, un’anima sensitiva, ovvero
quella che si condivide anche con il mondo animale, e un’anima intellettiva.
L’anima vegetativa è quella che segue i processi organici.
L’anima sensitiva è quella che attiene alla sensorialità, al rapporto con il mondo esterno,
ha a che fare con i cinque sensi i quali colgono delle sensazioni dal mondo esterno, il
senso interno crea poi immagini. Il creare immagini è stato definito da Aristotele come un
intelletto potenziale: le immagini hanno in potenza la capacità di far cogliere
l’universale, l’astratto, i concetti; serve poi un intelletto agente, ovvero quello dell’uomo,
che porta in atto quello che è in potenza.
L’intelletto agente mette in azione quello che un’immagine sensoriale ha solo in
potenza. L’intelletto agente è proprio dell’animo umano perché gli animali non hanno il
concetto astratto. L’intelletto agente rende effettivo il fatto che si può cogliere in astratto
(cavallo in astratto per esempio). L’intelletto agente rende effettivo ciò che c’è in potenza
in un’immagine. L’intelletto agente coglie l’universale.

Averroè: la separatezza dell’intelletto agente


Averroè nel corso del 1100 scrive il commento al De anima di Aristotele, era un finissimo
conoscitore di Aristotele: Averroè teorizza una separatezza dell’intelletto agente,
sosteneva che l’intelletto agente non è proprio di un individuo in quanto individuo, ma
è qualcosa di separato dai singoli individui, i singoli individui partecipano. Il singolo
individuo partecipa ad un intelletto agente che è proprio di tutta la specie, non è un
possesso personale: tutti gli uomini partecipano a questa capacità, ma è separata dal
singolo.
Il singolo uomo non ha come proprio un intelletto agente, ma ci partecipa in quanto
l’intelletto agente è proprio di tutta la specie.
Averroè parlava di separatezza dell’intelletto agente.
L’intelletto agente fa cogliere l’astratto, i concetti, cosa che gli animali non possono fare,
ma è anche la capacità deliberativa: si può scegliere di fare una cosa invece che un’altra.
Quando si teorizza che l’intelletto agente non è del singolo ma è della specie, veniva
minata, secondo la tradizione cattolica, tutta la sfera che apparteneva al libero arbitrio: si
temeva che questo andasse ad incidere sul problema del libero arbitrio, si temeva che
potesse scalfire la punizione nel caso di un peccato.
Inoltre, se era vero che l’intelletto era separato come diceva Averroè, questo significava
negare l’immortalità dell’anima individuale: questo perché il singolo non ha in sé
l’intelletto agente ma ci partecipa. Affermare che c’è una separatezza dell’intelletto agente
significava mettere in discussione l’immortalità dell’anima individuale.

La lettera Al decano e ai dottori della Sacra Facoltà di Teologia di


Parigi
Per Cartesio parlare di separatezza poteva apparire pericoloso perché anche Cartesio
parlava di separatezza.
Le Meditazioni metafisiche hanno un’introduzione al lettore scritta probabilmente da
Mersenne e poi c’è un’altra introduzione nota come Supplica ai dotti illustri della
Sorbona.
Il Concilio Lateranense è il Concilio del 1513 dove ci fu una condanna contro
l’averroismo: questo fu inserito da Cartesio perché lui sapeva che parlare di separatezza
poteva comportare la definizione di eresia.
Nel 1277 l’averroismo era stato condannato ma era ancora nel 1513 fu nuovamente
condannato: il problema era il problema della separatezza in quanto Averroè parlava di
separatezza dell’intelletto agente il quale era separato e non in possesso dell’individuo.
Cartesio temeva che l’idea del dualismo potesse essere scambiata per una forma di
averroismo in quanto Averroè teorizzava un intelletto agente, che è quello che rende l’uomo
uomo, separato.
L’epicureismo
La filosofia epicurea è stata tra le filosofie più moralmente alte: Dante mette Epicuro tra gli
eretici sempre per la questione dell’immortalità dell’anima.
Epicuro fonda la prima scuola democratica, si riunivano in un giardino dove si potevano
riunire gli schiavi e le donne.
Per Epicuro era fondamentale, per avere una vita felice, seguire il piacere catastematico,
ovvero il piacere stabile, piacere che resta, piacere non legato ai falsi bisogni indotti
dall’esterno.
I piaceri stabili sono l’amicizia, la stima delle persone, l’onestà, piaceri che
accompagnano l’individuo per tutta la vita.
Epicuro predicava la moderazione, la virtù.
Epicuro diceva che se si seguivano i piaceri indotti dall’esterno era come se si bevesse
un’acqua che non disseta.
Nella Lettera a Meneceo Epicuro elabora la teoria del quadrifarmaco: non si deve avere
paura della morte.
Epicuro è considerato eretico perché aveva una visione atomistica della realtà:
sosteneva che gli uomini sono fatti di atomi, alla morte gli atomi si disintegrano.
Sosteneva quindi la mortalità dell’animo: per questo gli epicurei vengono considerati
degli eretici perché sosteneva la mortalità dell’anima che veniva condannata anche ad
Averroè.
Dante nel X Canto inserisce Epicuro tra gli eretici.
Tra gli epicurei Dante inserisce Farinata degli Uberti in quanto non credeva
nell’immortalità dell’anima.
Il contrappasso di Dante è quello di mettere gli epicurei in un sepolcro infuocato fino
alla cintola: dato che avevano negato la mortalità dell’anima, ora devono stare in un
sepolcro infuocato.
Dante incontra anche il padre di Guido Cavalcanti tra gli epicurei.
Dante non ha esitazioni a mettere tra gli epicurei anche i personaggi a cui era affezionato o
personaggi che stimava.

San Tommaso scrive il Trattato sull’unità dell’intelletto contro gli averroisti nel 1277:
nella diatriba contro l’averroismo interviene San Tommaso.

L’idea della separatezza era un dato sensibile.

Cartesio è difensore della teoria dualistica.


Il paradigma dualistico non è confinato a Cartesio perché è stato ripreso nella corrente
novecentesca del neoplatonismo legata all’intelligenza artificiale.

L’esempio del chiliagono


Efficacia causale della mente sul corpo: se c’è la separazione netta, ontologica, come
avviene l’interazione tra mente e corpo?
Tutta una serie di obiezioni vennero fatte da Elisabetta del Palatinato la quale sottopone a
Cartesio tutte queste tipologie di obiezioni.
Cartesio affronta questo problema nella sesta meditazione.
Cartesio ribadisce che c’è una diversità ontologica fondamentale tra ciò che attiene alla
mente e ciò che attiene al corpo: Cartesio fa un esempio.
L’immaginazione è una facoltà umana che è incardinata nei sensi, nella corporeità,
l’immaginazione produce immagini sulla base di quello che viene dai sensi: l’immaginazione
è incardinata nella parte che appartiene alla res extensa, nella parte corporale.
A questo punto c’è il famoso esempio del chiliagono (poligono di mille lati).
L’immaginazione si può dimostrare avendo presente un triangolo, un quadrato, un
pentagono: l’immaginazione non può però immaginare un poligono di mille lati. Questo
significa che la res cogitans fa cose che la capacità immaginativa legata ai sensi non può
fare: c’è uno scarto tra la competenza cogitante e la competenza immaginante in
quanto l’immaginazione non può immaginare e fare un teorema su un chiliagono perché non
si può immaginare. Con la res cogitans invece si possono fare teoremi su un chiliagono.
L’immaginazione è legata alla res extensa.
Con la res cogitans non si ha bisogno di immaginare un chiliagono.
C’è quindi il dualismo tra le due capacità.

Il modello triadico
Cartesio aggiunge che nel fare l’esercizio, si avverte da parte della mente uno sforzo che
non rimane indifferente, è come se fosse una sfida per la mente: il fatto che si abbia questa
sensazione di mettere alla prova l’immaginazione, significa che non si è completamenti
separati dalla res extensa.
La mente è come se aspettasse che l’immaginazione ce la faccia ad adempiere a quel
compito.
C’è un intreccio tra la res cogitans e la res extensa: Cartesio parla di permissione, non
c’è un dualismo netto.

C’è una parte dedicata alla fenomenologia della sensazione.


Cartesio sostiene il dualismo ma dice che quando si ha l’esigenza di mangiare, se ci fosse
veramente il dualismo netto, allora la res cogitans dovrebbe dire che il corpo ha bisogno di
acqua, di cibo, quando invece si sente una confusa esigenza di abbeverarsi o di mangiare.
Quando un diabetico ha una carenza di zuccheri, ha una sensazione di vertigine: è la stessa
cosa che succede nel momento della fame o della sete.
C’è un intreccio di anima e di corpo.
Se si fosse veramente così separati da un punto di vista ontologico, se il corpo ha sete, la
res cogitans dovrebbe dire che questo corpo ha sete, non si dovrebbe sentire di avere
sete.
Si parla di modello triadico.

Successivamente Cartesio ha il problema di dire dove avviene l’interazione.


L’interazione avviene nella ghiandola pineale: Cartesio individua l’interazione tra la res
cogitans e la res extensa in una ghiandola che immagina posta nel cervello di tipo
galleggiante.

Lezione 01/03/2023
Cartesio è consapevole che se si guarda alla fenomenologia di come si vivono
internamente gli stati cognitivi, il dualismo non c’è: si deve parlare di una commistione,
di un’unione tra anima e corpo. Questo Cartesio lo fa vedere nella sesta meditazione:
l’immaginazione è una facoltà del corpo, la mens è sganciata dal corpo (questo si vede con
l’esempio del chiliagono).
Fenomenologia significa il modo con cui effettivamente appaiono gli stati cognitivi interni.
Tra mente e corpo c’è una permissione, un intreccio.
Il vascello è un esempio di Cartesio che porta nella sesta meditazione
Se le due sostanze fossero veramente separate, allora la mente dovrebbe dire che questo
corpo ha fame mentre invece si sente di avere fame: il sentire la fame significa avvertire
qualcosa che è indice dell’intreccio.

La ghiandola pineale
Cartesio arriva quindi a parlare della ghiandola pineale o conarius.
Cartesio introdusse l’idea della ghiandola sospesa nella materia cerebrale e collegata
agli arti, ai muscoli esterni, a tutte le capacità sensoriali esterne attraverso degli spiriti
animali.
Gli spiriti animali non sono altro che gli impulsi nervosi: Cartesio li definisce come la
parte più sottile del sangue.
Gli spiriti animali collegano la ghiandola pineale ai muscoli, agli organi sensoriali e poi la
ricollegano con la parte che riguarda l’esecuzione motoria.
Quello che Cartesio fa non è altro che l’odierno sistema afferente (viene dall’esterno) e
sistema efferente (dal cervello comanda gli arti): il sistema afferente è il sistema
nervoso che consente di avere stimoli dall’esterno, mentre il sistema efferente è quello
che consente di comandare i muscoli.
Per Cartesio c’è l’unione della mente con il corpo nella ghiandola pineale.
Essendo collegata al corpo e al sistema afferente, la ghiandola pineale è sollecitata dagli
spiriti animali e comincia ad agitarsi perché è turbata: se per esempio il corpo si trova di
fronte ad un animale feroce, la ghiandola è turbata e si muove dove c’è l’unione di anima e
corpo. Quello che la ghiandola produce non sono idee distinte ma sono idee confuse: su
sollecitazione dei turbamenti, la ghiandola ritiene quell’oggetto pericoloso e si genera la
passione della paura.

Cartesio sviluppa il discorso della ghiandola pineale nelle Passioni dell’animo che scrive
un anno prima di morire.
In riferimento all’animo si può parlare di azioni e di passioni: le azioni sono le idee chiare
e distinte (la volontà per esempio è un’azione dall’animo), mentre le passioni sono i
perturbamenti che l’anima deriva dal corpo. Le passioni sono qualcosa che l’anima
subisce e che sono dovute alla commistione dell’anima con il corpo.
Passione deriva dal greco pasco, ovvero soffrire.
Nella prima parte delle Passioni dell’animo Cartesio dà una descrizione fisiologica delle
varie passioni, mentre nella seconda parte delle Passioni dell’animo Cartesio fa vedere
che nelle passioni c’è anche una componente cognitiva, ovvero elaborativa anche se a
livello confuso: se le emozioni fossero soltanto reazioni fisiologiche, non si potrebbe
distinguere tra batticuore che deriva dalla paura e batticuore che deriva dalla visione della
persona amata.
Nella ghiandola pineale c’è una prima elaborazione cognitiva dello spirito ma è ancora
un’idea confusa perché c’è la commistione tra anima e corpo: un’elaborazione cognitiva
ci deve però essere.
Nella prima parte c’è una teoria fisiologica, mentre nella seconda parte Cartesio
evidenzia che c’è bisogno di un’elaborazione cognitiva affinché si distinguano le emozioni.
Spinoza, filosofo del 600 di pochi decenni dopo Cartesio, scrive l’Etica dimostrata
secondo l’ordine geometrico: nell’Etica Spinoza, che aveva un’ammirazione per Cartesio,
si domanda come abbia fatto Cartesio a pensare alla ghiandola pineale.
Sempre nella seconda parte delle Passioni dell’animo, Cartesio si dichiara fermamente
convinto che le passioni dell’anima, le perturbazioni che il corpo provoca sull’anima, si
possono portare sotto il controllo dell’uomo: Cartesio è convinto del controllo delle
passioni attraverso la volontà.
La volontà può controbilanciare quello che il corpo vuole, con la volontà si può
controbilanciare ciò a cui spinge il corpo: si possono controbilanciare le perturbazioni
dell’anima attraverso associazioni virtuose.
Se l’anima si trova di fronte ad un animale feroce, non si deve fuggire ma si deve stare
fermi.
Se per esempio un soldato sul campo di battaglia è preso dalla paura fisica e ha l’impulso di
scappare, deve stare fermo e non scappare, deve pensare alle conseguenze in quanto
potrebbe essere accusato di codardia.
Attraverso l’esercizio della volontà, ci può essere un controllo delle emozioni.
Parlare di controllo delle emozioni all’epoca non era una cosa non sensibile, si toccavano
tasti sensibili: i teorici più zelanti, ovvero coloro che andavano a sezionare tutte le opere
che venivano scritte, utilizzarono le Passioni dell’animo per accusare Cartesio di
pelagianesimo.
Pelagio è un monaco irlandese, quasi contemporaneo di Agostino: i pelagiani erano visti
in odore di dimensione eretica perché avevano una concezione di volontà come
strumento dell’essere umano di riscatto per la condizione umana.
Pelagio diceva che all’uomo non è preordinato un destino, l’uomo si merita un destino:
questo sembrava mettere in dubbio l’intervento della grazia divina, sembrava mettere in
dubbio l’intervento di Dio nelle vicende umane in quanto l’uomo con un buon esercizio
della volontà può riscattare il peccato originale.
Pelagio sembrava negare l’intervento di Dio nella storia.
Cartesio sosteneva che attraverso la volontà si poteva esercitare un controllo delle
emozioni, così come Pelagio sosteneva che attraverso un buon esercizio della volontà si
può riscattare il peccato originale: le opere di Cartesio furono messe all’indice anche
perché le sue opere erano in odore di pelagianesimo.
Le critiche del 900 verso Cartesio
L’errore di Cartesio di Damasio
Negli anni 90 è edito l’Errore di Cartesio di Damasio.
Damasio è uno dei più grandi neurofisiologi dell’età contemporanea, portoghese ma
naturalizzato americano.
I commenti da parte di chi ha letto Cartesio sono stati molto critici nei confronti di Damasio.
Damasio rimprovera a Cartesio il dualismo, non ci può essere la separazione ontologica:
però in realtà in Cartesio c’è anche l’idea della commistione tra mente e corpo, idea che
si ritrova nella sesta meditazione e nella Passioni dell’animo, le emozioni dell’anima nascono
dall’unione tra mente e corpo.
In Cartesio non c’è solo il dualismo, c’è anche l’idea della commistione.

Il Fantasma nella macchina di Ryle


Cartesio è stato criticato per quanto riguarda il dualismo nel 900.
Gilbert Ryle ha scritto il Fantasma nella macchina e afferma che i termini mentali non
sono altro che termini disposizionali e non si deve reificarli: se un oggetto ha la proprietà
di essere fragile, questo non vuol dire che quell’oggetto ha in sé l’entità della fragilità, ma la
natura dell’oggetto è tale che quest’ultimo sia fragile.
Alcuni hanno criticato Cartesio perché sostengono che quando Cartesio parla di un’entità
mentale ha commesso un errore linguistico.
I termini mentali si costruiscono facendo riferimento al comportamento manifesto e non
c’è un’entità che sta dietro il comportamento: i termini mentali sono termini
disposizionali, ovvero sono termini che definiscono la tendenza di qualcosa a
comportarsi in un certo modo quando ci sono determinate circostanze. Per esempio
se si dice che un corpo è fragile, si intende dire che in determinate circostanze quel corpo si
rompe con facilità.
La stessa cosa vale per i termini mentali che sono comportamenti manifesti o
disposizioni ad un comportamento: se si dice che una persona è felice, significa che in
quel momento si comporta in determinati modi e ha determinate gestualità, se si dice che
una persona è iraconda non significa dire che dentro quella persona c’è un’entità che lo fa
essere iracondo, ma significa dire che dentro la persona c’è la disposizione, ovvero la
tendenza a comportarsi in un determinato modo quando ci sono determinate
circostanze.
Reificare significa rendere cosa.
Dietro i comportamenti non c’è una cosa mente, ma ci sono solo funzioni: Ryle fa
l’esempio di uno straniero che va a vedere l’Università di Oxford. Allo straniero vengono
fatte vedere le aule, il rettorato, ma alla fine domanda dov’è l’omuncolo che abita tutto
questo.
Ryle critica Cartesio parlando del fantasma nella macchina.
Se si mettono insieme tutti i termini mentali reificandoli, si introduce un fantasma nella
macchina: i termini mentali non vanno intesi come qualcosa che si riferisce ad un’entità
ontologica che è presente dentro di noi.
Il dualismo significa che esistono due dimensioni ontologiche diverse, la mente è
qualcosa di separato dal corpo, ha un’ontologia che è tutta sua, è un’entità diversa dal
corpo: Ryle dice che dietro le funzioni non c’è un’entità separata dal corpo, ovvero la
mente.
I termini mentali sono dei termini con cui si descrivono dei comportanti o sono termini
disposizionali che descrivono la disposizione di qualcosa a comportarsi in un certo
modo.
Se si mettono insieme tutti i termini mentali non si deve pensare che appartengono ad
un’unica entità ontologica che è presente nel cervello, non si deve pensare che tutti i
termini mentali facciano riferimento ad un fantasma nella macchina: i termini mentali sono
espressioni del cervello, i termini mentali si riferiscono a disposizioni del cervello.
I termini mentali non vanno reificati altrimenti si cadrebbe nella prospettiva del
fantasma nel cervello e si farebbe un’indebita reificazione.
Tutte le descrizioni dei termini mentali non vanno riferite ad una sostanza metafisica che è
separata dal cervello o che abita il cervello: i termini mentali sono delle disposizioni.

Le Meditazioni metafisiche
Le meditazioni sono un genere filosofico che si distanzia da tutti i generi filosofici che
c’erano stati fino a quel momento: fino a quel momento c’erano stati Trattati di filosofia,
quaestiones di filosofia, summe di filosofia, esistevano i grandi trattati.
La meditazione in ambito filosofico è un’invenzione di Cartesio: le meditazioni
esistevano in ambito religioso, come le meditazioni dei gesuiti. Le meditazioni religiose
avevano l’obiettivo di redimersi dal peccato, non incappare nel peccato.
La meditazione di Cartesio ha un altro obiettivo, ovvero quello di non cadere nell’errore
teorico: in Cartesio l’obiettivo è di evitare l’errore teorico, non cadere nell’errore.
Sia la prima sia la seconda meditazione hanno un andamento dialogico: Cartesio parla
con sé stesso, con il suo alter ego, è un andamento di dialogo interiore di Cartesio con il
suo alter ego.
Dalla terza alla sesta meditazione si torna al carattere argomentativo proprio dei Trattati
di filosofia.
Nelle obiezioni viene fatto notare a Cartesio questo nuovo modo di scrivere filosofia:
Cartesio dice che avrebbe potuto scegliere la strada sintetica o la strada analitica.
La strada sintetica è fatta su modello della geometria e avrebbe potuto dire quello che dice
nelle Meditazioni in dieci pagine (tesi, corollario, postulato): Cartesio ha voluto scegliere
l’impostazione analitica proprio per non fornire delle tesi confezionate e accompagnare
il lettore nel travaglio che ha avuto Cartesio stesso.
L’impostazione delle Meditazioni è un’impostazione analitica.
Cartesio fa peso sulla forza della genesi del problema per far vedere a che risultato è
arrivato.
I gesuiti parlavano, nelle loro meditazioni, di autoesame: Cartesio fa un autoesame per
scongiurare l’errore teorico, l’antagonista è l’errore e non il peccato.
Si parte dallo screditamento dei sensi.
Cartesio dice che quando parlerà della dimostrazione di Dio utilizzerà l’approccio dei
geometri.
Prima Meditazione
Si apre con l’annunciazione del dubbio.
Viene enunciato il precetto del dubbio: la metafisica deve iniziare con il precetto del
dubbio.
Sono dubbi provvisori in quanto il suo dubbio è metodico.
Il dubbio deve essere un’alluvione universale.
Cartesio parla anche di solitudine: il solipsismo metodologico sta a dire che alle certezze
si arriva solo attraverso una riflessione introspettiva su sé stesso. La filosofia di Cartesio
nasce non soltanto su un dubbio universale, ma nasce anche con l’idea che la verità si
ritrova attraverso una metodologia solipsistica, una metodologia che comprende uno
scavo interiore, un’introspezione. Dal dubbio si esce attraverso una introiezione,
attraverso un lavoro introspettivo.
Cartesio non fa una casistica di tutto quello che deve essere messo in dubbio, ma per ogni
sezione trova un dubbio tale da mettere in discussione tutta la sezione: basta che si dubita
una volta.
Il primo è sulla certezza dei sensi: questo perché sulla certezza dei sensi era incardinata la
filosofia aristotelica e anche per la scienza.
“Ma sebbene i sensi … “: sta parlando il suo alter ego.
L’alter ego dice che non si può dubitare che ora Cartesio è in vestaglia: solo un pazzo
potrebbe farlo.
Cartesio torna a dire che quello che sogna gli sembra reale.
C’è l’ipotesi del sogno coerente.
L’estensione, la figura, la quantità, la grandezza, il numero sono cose che esistono
secondo l’alter ego: Cartesio mette in dubbio anche queste cose. Queste qualità elencate
sono le qualità primarie.
La distinzione tra qualità primarie e qualità secondarie è attribuita a Locke anche se
appartiene a Galileo: nel far riferimento alle qualità degli oggetti che si trovano nel mondo, si
devono fare delle differenze.
Le qualità secondarie derivano dalla particolare relazione che c’è tra il soggetto essere
umano e come è fatto il mondo: gli odori e i sapori per esempio sono delle proprietà
reazionarie che derivano dalla particolare conformazione fisiologica dei soggetti che
colgono il mondo. Le qualità secondarie nascono dalla relazione tra il mondo esterno e
il particolare apparato ricettivo di un soggetto: con un iride diverso si potrebbe vedere il
violetto per esempio. Gli odori, i sapori e perfino il solletico dipendono dall’organo
senziente.
Le qualità primarie sono qualità del mondo che non dipendono dall’organo senziente:
l’estensione rimane estensione, il movimento rimane movimento, la figura di un oggetto
rimane la figura di un oggetto. Le qualità primarie non dipendono dall’organo senziente. Le
qualità primarie del mondo erano considerate come qualcosa di oggettivo.
In questo passaggio quindi Cartesio prende di mira anche l’esistenza delle proprietà
primarie che erano riconosciute come le proprietà del mondo al di là degli organi
senzienti (estensione, quantità, grandezza e numero): Cartesio mette in discussione
anche le qualità primarie.
Le qualità primarie sono quelle su cui lavora la scienza.
Lezione 03/03/2023
Seconda meditazione
Cartesio cerca il punto archimedeo.
Cartesio sta arrivando al cogito ergo sum.
Anche se si viene ingannati, vuol dire che si pensa: il cogito funziona solo con verbi di
pensiero.
Il genio maligno può ingannare Cartesio, ma se lo inganna significa che come pensiero
esiste (tutto il resto è ancora sotto dubbio, che esista la materia, che esista un corpo): come
pensiero esiste perché reagisce ad un inganno. A livello di esistenza per ora c’è solo
l’esistenza come pensiero.
Nel testo latino c’è la formulazione della forma come ergo sum ergo existo (la formulazione
della forma cogito ergo sum è nel Discorso sul metodo): io sono, io esisto in quanto
penso.
“E’ impossibile che non sia vero”: nel testo latino si dice “è necessariamente vero”.
L’opposto di necessario è possibile, in italiano l’opposto di necessario è possibile.
Un’affermazione necessaria è un’affermazione tale che se si nega, prima o poi si cade in
contrapposizione: necessaria è un’affermazione che se viene negata da una persona,
quest’ultima cadrà prima o poi in contrapposizione. Il possibile corrisponde ad
un’affermazione che se viene negata, non si cade in contrapposizione.
Esempio di Hume nel Trattato della natura umana dove il filosofo distingue tra verità di
fatto e verità di ragione: le verità di ragione sono necessarie, le verità di fatto sono
possibili. Se si usa il sistema metrico decimale, si può anche negare che 2+2 faccia 4, ma
prima o poi si cadrà in contraddizione: è una verità necessaria, il necessario corrisponde ad
affermazione che se viene negata, si cadrà in contraddizione. L’opposto di necessario è il
possibile in quanto l’affermazione si può negare senza cadere in contrapposizione.
Hume fa l’esempio del sorgere del sole: una persona può negare che domani mattina
sorga il sole, ma non si può dare del pazzo a quella persona, si tratta di aspettare perché
potrebbe essere che domani il sole non sorga.
Le verità di fatto sono contingenti, mentre la verità di ragione non può essere negata in
quanto si cade in contraddizione.
La traduzione “è impossibile” è da intendere come “necessario”.
C’è un altro esempio nella storia della filosofia che fa capire bene questa differenza: il
tacchino induttivista di Russell. Al tacchino tutti i giorni viene dato da mangiare, si aspetta
quindi che il giorno gli venga dato da mangiare e il giorno dopo gli viene dato da mangiare: il
tacchino fa un’induzione, ovvero dalle esperienze particolari generalizza arrivando a dire
che gli verrà sempre dato da mangiare. Arriva il giorno di Natale e gli viene tirato il collo. La
verità di ragione è una verità necessaria, mentre la verità di fatto ricade nel possibile, si
va nella probabilità e non nella certezza.
Cartesio dice “necessariamente” perché vuole arrivare a dire che quella del cogito ergo
sum è una certezza epistemologica, ovvero che attiene al piano della ragione: il cogito
ergo sum appare vera tutte le volte che si nega.
L’induzione attiene al piano della possibilità: se domani non sorge il sole, potrebbe
succedere che non sorga il sole.
E’ necessariamente vero il cogito ergo sum perché se si nega si autoverifica: tutte le
volte che si nega, il cogito ergo sum si autoverifica. Il cogito ergo sum è vero tutte le volte
che si afferma in modo necessario in quanto se si nega di pensare si cade in
contrapposizione.

Cartesio sa che esiste come pensiero ma si domanda com’è fatta la funzione del pensiero.
Cartesio riprende tutto quello che pensava di essere in passato: a questo punto si ha un
passaggio, una volta che ha raggiunto la certezza di esistere come pensiero, all’indagine
di come sia fatto questo io pensante (la funzione e che funzioni ha).
L’uomo non può essere un animale razionale perché altrimenti si ricadrebbe nella
definizione degli scolastici, Cartesio non può partire dalla definizione di uomo come
animale razionale perché questo è un formalismo della Scolastica: deve emergere
l’introspezione.
La visione dell’anima come spiritualità, come spirito sottile era l’idea della filosofia epicurea.
Cartesio vuole capire com’è fatto il cogito.
Si ritorna al pensiero il quale non può essere separato.
Ogni volta che si dice di pensare si autoverifica l’esistenza: è la prima certezza
ontologica ed è la prima certezza epistemologica, c’è un’identità di pensare ed
esistere.
Ora Cartesio sa cos’è la mente.
Cartesio è una sola cosa, una cosa che pensa o res cogitans.
Ora viene introdotto il tema dell’immaginazione che è una proprietà del corpo perché con
l’immaginazione si creano immagini grazie alle informazioni che provengono dai sensi.
Cartesio può giudicare solo quello che conosce.
Cartesio sta cercando di capire che proprietà e che funzioni ha la res cogitans: prende in
considerazione l’immaginazione. Non può pensare però che quello che proviene
dall’immaginazione è una certezza perché ha appena messo in dubio l’esistenza del mondo
esterno.
Fingo in latino ha due significati: il primo è figurarsi con l’immaginazione (“io nel
pensiero mi fingo”, Leopardi cerca di immaginare) e il secondo è fingere; in latino ha il
doppio significato di immaginare e di fingere. In italiano si è perso il primo significato.
Cartesio sta dicendo che se credesse nel fingere dell’immaginazione, in quello che dà
l’immaginazione, cadrebbe di nuovo nell’inganno. Se Cartesio credesse a quello che
proviene dall’immaginazione, fingerebbe a sé stesso sulla base di tutto quello che ha detto
prima. Se Cartesio desse credito a quello che dà l’immaginazione, fingerebbe a sé stesso
perché ha appena detto che ha messo in dubbio tutto quello che viene dall’esterno.
In latino c’è quindi il gioco di parole: è tutto legato al gioco del fingere come immaginare e
del fingere come autoingannarsi.
Cartesio fingerebbe a sé stesso se l’immaginare fosse da lui creduto.
L’immaginazione non può essere l’essenza del cogito.
Cartesio attribuisce il sentire e l’immaginare al cogito ma come funzione: come funzione
l’immaginazione c’è. Quello che proviene dall’immaginazione non è vero, ma la funzione, la
capacità di immaginare c’è.
In questo passaggio Cartesio vuole definire quali sono le capacità della res cogitans: il
sentire e l’immaginare sono delle capacità.
"Il sentire non è altro che il pensare”: si apre un altro paradigma, è il famoso solipsismo
metodologico di Cartesio. La certezza, la verità certa è sempre introspettiva: la
percezione interna è garanzia di sé stessa, Cartesio attinge tutto internamente, le certezze
vengono solo per via introspettiva.
L’identità che un oggetto è qualcosa viene dal pensiero.
I contenuti del sentire non sono altro che un prodotto dell’uomo: l’identità della cera non
è in quello che si vede ma nella capacità del singolo di interpretare quello che vede.
Cartesio fa l’esempio della cera: quando la cera esce dall’alveare, la cera è dura, se si
tocca fa una certa resistenza, se la si sbatte farà un suono, ha un certo odore, ha delle
qualità sensoriali ben precise; se però la cera si riscalda sotto il sole, cambia
completamente tutte le proprietà sensoriali, diventa un’altra cosa dal punto di vista
sensoriale. Prima la cera era dura e resistente, mentre ora è liscia e fluida, prima aveva
un odore e ora non lo ha più, prima faceva una certa resistenza mentre ora si è
liquefatta. Questo vuol dire che tutto quello che viene dai sensi dà delle informazioni
completamente diverse: dal punto di vista delle informazioni sensoriali, la cera è tutto un
altro oggetto.
Cartesio dice che c’è la possibilità che l’immaginazione componga un’immagine da quello
che proviene dai sensi: l’immaginazione però non sta dietro a tutte le trasformazioni possibili
della cera la quale cambia completamente aspetto.
Cartesio dice che, nonostante tutte queste trasformazioni, si afferma che l’oggetto è cera
perché l’identità della cera non è qualcosa che si vede, l’identità della cera non si vede
perché c’è sempre un cambiamento in quello che si vede: se si afferma che nonostante tutti
i cambiamenti quello che si vede è cera, significa che si è pensato che è cera, è il frutto di
un’inferenza in quanto i sensi non danno un’identità della cera ma danno delle
informazioni che rappresentano oggetti completamente diversi.
L’identità della cera è un atto di pensiero, l’identità della cera non viene dai sensi.
La percezione del mondo è un’inferenza mascherata.
La seconda meditazione si conclude dimostrando che percepire non è altro che pensare,
l’identità della cera è qualcosa a cui si arriva perché i sensi danno le più sbagliate immagini.
Cartesio dice che vedere non è altro che pensare in quanto l’identità degli oggetti non si
vede.
Si ponga che l’identità delle cose provenga dai sensi: Cartesio fa l’esempio della cera.
I sensi ingannano le qualità sensoriali.
Se ci si basa sui sensi, la cera diventa un oggetto completamente diverso, è cambiato
tutto di quello che proveniva dai sensi: le proprietà sensoriali sono diverse ma si dice
comunque che è cera.
Cartesio si domanda cosa fa pensare che l’oggetto è comunque cera anche dopo tutte
le trasformazioni: sono i sensi o l’immaginazione?
L’immaginazione dovrebbe produrre un’infinità di immagini per stare dietro a tutti i
mutamenti della cera: l’immaginazione però non può produrre un’infinità di immagini.
La percezione dell’identità della cera non è un fatto visivo o qualcosa legato
all’immaginazione: è una percezione della mente.
L’identità della cera è una visione mentale in quanto i sensi dicono cose sempre diverse:
Cartesio intende dire che l’identità della cera è una visione mentale, non è una visione che
dà i sensi.
L’identità della cera non è una visione sensoriale: si inferisce che è cera.
La visione è un’inferenza mentale mascherata che sembra essere data dai sensi.
Interviene l’alter ego negando quello che ha detto Cartesio: Cartesio qui fa un intervento
per dimostrare che l’identità degli oggetti è una visione mentale e non seriale, alla obiezione
dell’alter ego che non la pensa come lui Cartesio risponde.
Quello che Cartesio riteneva di vedere con gli occhi, lo comprende soltanto con la facoltà di
giudicare.
All’obiezione del suo alter ego, Cartesio fa l’esempio dei cappelli per far vedere che si usa
il termine “vedere” in una visione che porta alla conclusione secondo la quale i sensi danno
delle certezze: si usa quindi quindi il termine “vedere” in un’accezione sbagliata.
Dopo la cera, Cartesio fa l’esempio dei cappelli: si usa impropriamente il termine
“vedere” perché potrebbero essere degli automi.
L’identità è una visione mentale, si suppone si inferisce, è un giudizio: vedere non è
altro che pensare.
Cartesio introduce l’esempio dei cappelli come risposta ad una possibile contro
obiezione secondo la quale l’identità dell’oggetto viene data dai sensi.
L’identità della cera la si inferisce.

I medievali pensavano che ci fosse un senso interno che andasse ad unire tutte le
informazioni che provenivano dai sensi: il senso interno unisce e crea delle immagini.
Quando si dice che è cera non è una percezione: l’identità della cera non è una visione
ma è un’idea mentale. L’identità della cera è un’idea mentale perché è un’inferenza dato
che c’è il fluire continuo di quello che i sensi danno.
Nel momento in cui si vede la cera, quest’ultima la si pensa cera in virtù del pensiero:
questa è una dimostrazione che Cartesio esiste, quando vede la cera la vede come
pensiero e in quanto tale esiste.
Cartesio arriva alla conclusione: il vedere non è altro che il pensare.
Con il pensiero e non con i sensi o con l’immaginazione Cartesio conosce le cose: con il
solo pensiero Cartesio conosce le cose, i significati delle cose vengono dalla potenza
mentale e non dai sensi.

Cartesio nelle Obiezioni fa l’esempio del bastone che appare spezzato nell’acqua,
anche se poi quando lo si tocca in realtà non è spezzato: l’illusione ottica del bastone
spezzato ha una salienza percettiva molto forte, sembra effettivamente che sia rotto. C’è
un altro tipo di illusione ottica che viene definita inemendabile, ovvero illusioni ottiche
che cambiano sempre illusione appena ci si muove. Le illusioni ottiche possono essere
anche fisse e inemendabili: sono impenetrabili da parte della cognizione.

Lezione 08/03/2023
Le teorie costruttiviste e computazionaliste
La tesi di Cartesio sta nel sostenere che la salienza percettiva, ovvero quello che si
conosce, non proviene dai sensi ma proviene dalla mente.
Per quanto riguarda le teorie della percezione sia in ambito filosofico, sia in ambito
scientifico e sia in ambito psicologico rappresentano delle linee di pensiero e ancora
oggi c’è l’impostazione costruttivista.
Oggi quello che diceva Cartesio si chiama la povertà dello stimolo: i sensi consegnano
all’uomo dati lacunosi, cangianti, incoerenti, la proiezione del mondo che si ha sulla
retina va ricostruita.
La povertà dello stimolo è alla base delle teorie costruttiviste e computazionaliste
contemporanee: il punto di partenza delle teorie contemporanee è che i sensi consegnano
all’uomo qualcosa di incoerente, di fluido e che potrebbe essere compatibile con un gran
numero di soluzioni.
Le teorie contemporanee computazionaliste partono dal carattere fluido e incoerente di
quello che viene dai sensi: i dati vanno elaborati, computati, il cervello mette a confronto
quei dati con esperienze del passato, sono dati che tengono conto delle aspettative.
La salienza percettiva è data dal lavorio mentale, dalla computazione.
L’esempio della cera è coerentemente ricalcato dalle teorie contemporanee.

Le teorie anti costruttiviste e anti computazionaliste


Altre teorie percettive filosofiche, scientifiche e psicologiche partono da un
presupposto completamente diverso e sostengono che quello che consegnano i sensi
non è incoerente: quello che proviene dai sensi ha in sé tutto ciò che si usa per vedere il
mondo con dei significati coerenti.
Per esempio ci sono tante leggi che mostrano che si tende ad accorpare gli elementi
simili, ci sono degli oggetti che vengono raggruppati perché vanno nella stessa
direzione: lo stimolo contiene in sé delle informazioni che portano ad una segregazione del
campo percettivo.
Ci sono delle leggi interne alla stimolazione che fanno sì che alcuni oggetti si vedano
raggruppati e appaiono segregati.
Queste teorie sostengono che la percezione è un sistema biologico e come tutti i sistemi
biologici tende a ridurre al massimo l’entropia: nel secondo principio della
termodinamica c’è anche il principio del massimo e del minimo secondo cui ogni
sistema tende ad organizzarsi in una maniera tale che sia la più stabile possibile perché più
è stabile e meno perde energia.
Questi anti cartesiani e anti computazionalisti dicono che la forma più stabile è quella
che garantisce il meno dispendio di energia.
Se si fa cadere una goccia di olio nell’acqua, la forma che si crea è quella del cerchio in
quanto è quella forma è quella che garantisce la maggiore stabilità con il minimo
dispendio di energia.
Contro il costruttivismo, si afferma che quello che i sensi consegnano è sufficiente
perché a partire da quello che i sensi consegnano si arriva ad un risultato: questo contrasta
sia con Cartesio sia con il computazionalismo contemporaneo.
La povertà dello stimolo è contestata dagli anti computazionalisti.

Queste teorie non computazionaliste e non costruttiviste fanno forza sulle illusioni
ottiche: il fatto del bastone spezzato non creava problemi a Cartesio. Il fatto che un
bastone messo nell’acqua appare storto per Cartesio è il risultato dell’inganno dei sensi:
Cartesio spiega l’esempio del bastone con il fatto che i sensi ingannano.
Ci sono altri tipi di illusioni che sono inemendabili, anche se si sa come stanno le cose non
si riesce a vederle diversamente: il campo percettivo ha delle sue leggi e la mente è
inemendabile, queste tipologie di illusioni sono inemendabili perché la ragione è inefficace,
a volte la mente è travolta dalla salienza percettiva di queste illusioni.
Il mondo dei sensi viaggia secondo propri principi: il mondo dei sensi non è informato
dalla ragione come dicono Cartesio e i costituzionalisti, il mondo dei sensi viaggia
secondo propri principi e quindi non è sempre la mente a dare dei significati.
Cartesio è venuto a contatto con una tipologia di illusioni: i sensi ingannano e la
ragione corregge.
La scienza prosegue attraverso i paradigmi, parte dai presupposti da cui costruisce grandi
teorie.
Le ipotesi ad hoc sono fatte per spiegare l’eccezione: le ipotesi ad hoc sono elaborate per
spiegare come questo tipo di illusioni possano mettere in discussione le idee
computazionaliste e costruttiviste.

Al tempo di Newton c’era la controversia scientifica che risponde alla domanda: la luce
ha una natura corpuscolare, ovvero fatta di tanti corpuscoli, o ha una natura ondulatoria?
Oggi si sa che la luce è sia corpuscolare che ondulatoria.
Newton è uno dei più grandi sostenitori della teoria corpuscolare della luce in quanto la
luce va in linea retta; altri sostenevano la natura ondulatoria della luce in quanto quando
la luce attraverso un buco e si proietta in un altro muro c’è tutto un frangiamento di ombra
e luce (è il fenomeno della diffrazione della luce).
Newton, contro coloro che sostengono la teoria ondulatoria della luce, inizia ad elaborare
tutta una serie di ipotesi ad hoc per spiegare come la sua teoria corpuscolare era
smentita: Newton accusava di non scientificità una teoria che era coerente come la sua,
ma partiva da un dato di fatto diverso dal suo. Newton partiva dal dato di fatto che la luce è
rettilinea, mentre gli altri partivano dal dato di fatto della diffrazione della luce.
Newton elabora tutta una serie di ipotesi ad hoc.

Ci sono delle illusioni percettive che mostrano chiaramente che i sensi non sono così
coerenti ma hanno una loro organizzazione che si oppone alla mente: i teorici
costruttivisti e computazionalisti elaborano tutta una serie di ipotesi ad hoc per
affermare la povertà dello stimolo.
Percepire non è altro che pensare esprime anche un modo contemporaneo.

Nella seconda meditazione Cartesio contesta l’autorità dei sensi.


Nella seconda meditazione Cartesio subordina la conoscenza sensoriale alla
riflessione mentale, infatti Cartesio dice che la percezione non è altro che un giudizio:
gli oggetti che si trovano nel mondo sono costruzioni logiche e non vengono consegnati
dai sensi, gli oggetti che si trovano nel mondo sono un flusso continuo e incoerente
(quello che oggi alcuni chiamano la povertà dello stimolo), l’identità della cera non è nei
sensi ma è nella mente.
I sensi sono doppiamente inaffidabili.
Quello che c’è di significativo corrisponde ad una percezione mentale.
Si trova il solipsismo metodologico: alla certezza si arriva attraverso un lavoro interiore
e se è ben condotto non si può sbagliare. Il principio di fondo è che del mondo fuori di sé si
può dubitare ma non si può dubitare di quello che avviene internamente: la certezza
interiore è elevata a principio metodologico.
La prospettiva solipsistica è elevata a metodo: si può dubitare che una parete sia gialla,
ma non si può dubitare di avere un mal di testa.
Sesta meditazione
La sesta mediazione presenta un doppio Cartesio perché da un parte c’è il Cartesio
dualista della separazione ontologica tra mente e corpo, della res cogitans
contrapposta alla res extensa, mentre dall’altra parte c’è il Cartesio che sostiene un altro
modello in quanto da uomo di scienza parla di mescolanza.
Nella sesta meditazione si trova sia il Cartesio dualista sia il Cartesio che afferma la
mescolanza tra mente e corpo.
Tra gli elementi che convalidano la mescolanza tra mente e corpo c’è l’immaginazione.
Nella sesta meditazione c’è il famoso esempio del chiliagono.
L’immaginazione da una parte è usata per dire che corpo e mente sono sperati in quanto la
mente può fare cose che il corpo non sa fare, come l’esempio del chiliagono, ma più avanti
Cartesio fa vedere che anima e corpo sono mescolati.

Il miriagono è un poligono di 10.000 lati: così come per il chiliagono, con la mente si può
pensare, mentre con l’immaginazione no.
Cartesio comincia a dire che se si sente la tensione vuol dire che c’è una commistione.
Con la mente si fanno cose anche senza l’immaginazione, mentre viceversa non è
possibile: anche senza immaginarlo si può lavorare con un chiliagono grazie alla mente.
Cartesio dice che l’immaginazione dipende dal corpo e la mente è diversa dal corpo
perché riesce a fare cose che il corpo non riesce a fare.

Cartesio fa una ricognizione di quello che ha dubitato in passato.


Cartesio dice tutto quello che gli sembrava, Cartesio prima pensava che tutto provenisse dai
sensi.
Cartesio ribadisce a sé stesso, fa un riassunto di tutto ciò che i sensi hanno ingannato.
Il corpo inganna: Cartesio porta l’esempio di colui che ha subito l’amputazione di un arto,
ma comunque continua a sentire la presenza di quell’arto.
Viene ribadita l’ipotesi del sogno coerente.
Cartesio rievoca tutto quello che aveva detto.

Cartesio parla ora della perdizione, ovvero della mescolanza tra mente e corpo.
Cartesio non è come il nocchiero nel vascello: non è separato dalla nave che guida.
Il nocchiero se c’è un’avaria nel vascello non la sente perché è separato dal vascello:
l’uomo se ha fame o se ha sete lo avverte e questo significa che c’è una commistione tra
mente e corpo.
Damasio quando scrisse il suo libro riscosse un successo straordinario perché si scagliava
contro il dualismo di Cartesio affermando la mente incarnata nel corpo: le scienze
neurofisiologiche hanno accusato a loro volta Damasio di dualismo.

Viene di nuovo ribadito che si è un composto di corpo e di mente.

La proiezione di una stella è identica a quella di una fiammella di una candela: entrambe
possono proiettare sulla retina una stessa immagine, i sensi sono ingannevoli. Cartesio
però dice che non considera la stella così piccola come la fiammella: questo perché c’è
l’elaborazione mentale.
Quando si valuta il rapporto con il mondo, si deve avere ben chiaro che l’effetto non
assimiglia alla causa: la scienza aristotelica è basata sul riscontro effettivo che i sensi
danno, c’era da scardinare la fiducia nel realismo che i sensi danno. Si deve partire dal
presupposto che l’effetto non assomiglia alla causa: l’esempio che porta Galileo è quello del
solletico. Il mondo non è come sembra, non è com’è presentato dai sensi.
Anche l’esempio del fuoco che porta Cartesio è portato per scardinare la certezza dei
sensi: l’effetto non assomiglia alla causa.
Era importante dire che l’effetto non assomiglia alla causa per dire che c’è uno scollamento
tra quello che il mondo appare e quello che il mondo è: il mondo non è come appare.

In Cartesio la conoscenza prediletta è la conoscenza logica e razionale.

Lezione 09/03/2023
Il computazionalismo dice che la mente funziona come un algoritmo il cui risultato è
ricomporre il mondo esterno dato che quello che consegnano i sensi è qualcosa di
confuso.
Legge della vicinanza, legge della somiglianza, legge del destino comune, legge della
continuità di direzione sono delle leggi elaborate contro la teoria cartesiana e contro le
teorie computazionaliste e costruttiviste.
I sensi hanno una loro dinamica che costringe a vedere le cose in un determinato modo
anche se razionalmente si sa che è impossibile: i sensi hanno delle leggi che costringono
a vedere delle cose che, stando all’interpretazione mentale, non si dovrebbero vedere, i
sensi hanno delle leggi costruttive per la mente.
Amodale significa che non c’è una modalità dei sensi che fa da stimolo: il triangolo di
Kanizsa è definito amodale perché manca proprio lo stimolo per il triangolo, si vede
perfettamente e nella sua interezza il triangolo bianco ma fisicamente non esiste, non c’è
alcuno stimolo, lo si vede per completamento amodale.

Martin Heidegger
Con Cartesio si era nel 600, con Heidegger si è nel 900.
Essere e tempo è un testo fondamentale nella storia della filosofia: i passaggi che si
prenderanno in considerazione sono passaggi anti cartesiani, la sua filosofia va contro
Cartesio.
Heidegger è un filosofo tedesco.
Essere e tempo è del 1927, è considerato l’opera più importante del primo Heidegger.
Si parla di primo Heidegger e di secondo Heidegger.
Heidegger ebbe una compromissione molto forte con il nazismo e con l’antisemitismo:
per anni questo aspetto è stato nascosto ma è necessario esplicitarlo.
Ci sono stati filosofi molto meno compromessi con il nazismo e con l’antisemitismo a cui è
stato dato l’ostracismo, ovvero non sono stati riammessi: Heidegger era spostato, un
Professore adorato, Hannah Arendt, sua alunna, ebrea, ha una relazione con Heidegger.
Hannah Arendt testimoniò a favore della sua non commistione con il nazismo: è stato
pubblicato da tempo il carteggio tra Hannah Arendt e Heidegger.
Sono stati pubblicati i famosi Quaderni neri dove ci sono affermazioni di Heidegger
sull’antisemitismo.
Le etiche deontologiche dicono che il valore morale di un’azione, il fatto che un’azione si
possa ritiene buona o cattiva non dipende dall’azione stessa, ma dipende
dall’affermazione di un principio che si ritiene possa valere in un’ipotetica legislazione
universale.
Deontologica significa basata sul dovere, rispetto del dovere.
Un esempio di teoria deontologica è l’imperativo categorico kantiano: agisci in modo tale
da volere che la tua massima e il tuo comportamento possa valere come principio di una
legislazione morale universale.
Le etiche deontologiche sono etiche razionali.
Le etiche deontologiche possono però portare molti problemi nella pratica: per esempio il
principio del non mentire non sempre è bene applicarlo come principio di una legislazione
universale.
E’ la rigidità di un’etica, di una visione che porta poi a risultati aberranti che fanno
affermare di aver seguito solamente il proprio dovere.
Nella valutazione morale non ci può essere solo la ragione.
Le etiche utilitaristiche o etiche consequenzialiste sono etiche razionali: l’utilitarismo
fa parte del consequenzialismo. Come le etiche deontologiche, le etiche utilitaristiche
dicono che il valore o il disvalore morale di un'azione, si misura guardando alle
conseguenze di quell'azione: è da considerarsi moralmente buona un’azione che
produce il maggior bene possibile per il maggior numero possibile di persone.
Molti esempi nella storia mostrano che l’etica utilitaristica è un’etica dispersiva: quando
Cristo è condannato, Caifa dice che è meglio la morte di Cristo piuttosto che la morte di
centinaia di persone. Questo è un ragionamento compatibile con le etiche
consequenzialiste: meglio fare la scelta che produce più bene per il maggior numero di
persone.
Martin Heidegger è stato rivalutato grazie ad Hannah Arendt.

Lezione 10/03/2023
Essere e tempo
Essere e tempo è del 1927.
Heidegger con quest’opera introduce, conia un proprio linguaggio.
Non si può non far riferimento ai termini tedeschi in quanto Heidegger gioca molto sulla
composizione che la lingua tedesca offre, attraverso le parole trasmette dei significati
evocativi che vanno al di là del semplice significato del termine: a volte andare alla parola
tedesca fa capire meglio rispetto alla versione italiana.
Alcuni termini tedeschi sono difficilmente traducibili in italiano.

L’errore metafisico nella filosofia occidentale


Quella di Heidegger è una domanda ontologica: ontologico significa relativo all’essere.
Heidegger si chiede che cosa sia questo essere: è una domanda che ha attraversato tutta
la metafisica, a partire da Platone.
Heidegger contesta che nella tradizione occidentale, l’essere è sempre stato considerato
come l’ente, come la causa, come il fondamento, come il modello delle idee di Platone,
la sostanza aristotelica: non è mancata una riflessione ontologica nella filosofia
occidentale, ma non ci si è chiesti in che cosa consiste l’unico ente che si pone la domanda
dell’essere.
L’essere è sempre stato concepito come sostanza, come idea, come causa: tutto questo
secondo Heidegger è sbagliato perché si è parlato dell’essere in una forma semplice
assertiva.
Assertivo vuol dire che si sono utilizzati enunciati che dichiarano, constatano qualcosa
che si dà come semplicemente presente e descrivibile: è sempre dato per scontato che
c’è qualcosa che si può assertivamente descrivere, enunciare.
L’approccio assertivo all’essere è un errore della metafisica occidentale secondo
Heidegger: questo perché la prima domanda metafisica deve riguardare l’unico essere
che è capace di porsi la domanda “che cos’è l’essere”.
E’ un errore metafisico perché la domanda di partenza deve riguardare con profondità
l’unico ente che si pone il problema dell’essere: la vera partenza metafisica deve
riguardare il solo ente che si pone la domanda su che cos’è l’essere.
L’unico ente che si pone la domanda dell’essere è l’essere umano: Heidegger arriva a
dire che la partenza deve vertere sull’essere umano, ovvero l’unico essere che si pone la
domanda sull’essere.

L’essere umano come Da-sein o Esser-ci


L’essere umano è definito da Heidegger come Da-sein che in italiano si può tradurre come
Esser-ci: l’essere umano è sempre qualcosa di situato che si trova ad essere, si deve
partire dall’essere umano concepito come esser-ci, l’essere umano non è una semplice
presenza ma è sempre gettato.
L’essere umano è definito esser-ci perché è sempre situato in un contesto.
L’unico ente che si pone la domanda sull’essere è l’essere umano che è sempre situato in
un determinato contesto.
Lo sviluppo di questa impostazione deve avvenire nella forma di una analitica esistenziale:
l’esser-ci è un tempo esistente e quindi si deve fare un’analisi dell’essere umano per
rendere esplicito ciò che nella metafisica è sempre rimasto implicito in quanto nella
storia occidentale si è partiti dalla domanda “che cos’è l’essere” scavalcando l’uomo.
La metafisica deve articolarsi come analitica esistenziale: si deve elaborare un’analisi
(analitica) di com’è fatta l’esistenza di questo unico ente che si pone la domanda
dell’essere, l’unico ente è qualcosa che esiste e si sviluppa. Si fa un’analisi di quest’unico
ente che si pone la domanda dell’essere e che esiste.
Nel testo di Heidegger vengono fuori gli esistenziali: gli esistenziali sono le caratteristiche
essenziali e costitutive dell’esistenza umana, i modi di essere fondamentali dell’esser-ci.
Gli esistenziali sono i modi fondamentali dell’esser-ci, di come esiste l’essere umano.

I principali esistenziali
I principali esistenziali secondo Heidegger vengono fuori dall’analitica esistenziale e sono
l’essere nel mondo, la situazione emotiva (Befindlichkeit), l’utilizzabilità (Zuhandenheit),
la comprensione (Verstehen), l’essere con gli altri (mit-sein) e l’essere per la morte
(sein num Tode).
Con l’utilizzabilità Heidegger dice che l’uomo sta al mondo in una maniera tale che il suo
contatto con il mondo non è di tipo teoretico-conoscitivo: il rapporto con il mondo non è
teoretico-conoscitivo ma è qualcosa che spinge a farsi carico di come il mondo viene
incontro, è un prendersi cura o Besorgen, le cose vengono incontro e l’uomo se ne deve
occupare: gli enti non sono un soggetto teoretico ma sono qualcosa che l’uomo deve
utilizzare.
La comprensione non è la comprensione teoretica alla Cartesio ma è una comprensione
affettivamente ed emotivamente marcata.
Il rapporto con il mondo non è un rapporto solipsistico come diceva Cartesio ma è un
rapporto con il mondo e con gli altri.
La visione dell’essere umano che ha Heidegger è diversa da quella cartesiana ed è
fortemente rivalutata dalle scienze cognitive odierne in quanto mette a nudo che l’uomo
nella sua radice cognitiva è un soggetto che è gettato in un mondo e che si deve
progettare in un mondo.
L’essere umano non è un soggetto contemplativo che guarda il mondo in un modo
disincantato, neutrale: l’essere umano è un essere gettato in un mondo senza potersene
dare in origine una ragione, l’essere umano si trova ad esser-ci senza potersene dare
ragione.
L’esistenziale fondamentale dell’essere umano è di esser-ci nel mondo senza potersene
dare una ragione.

L’apertura verso il mondo e la gettatezza dell’uomo


Heidegger dice che il rapporto con il mondo non nasce da una cognizione di originaria
separatezza, da una dimensione chiusa in sé stessi da cui si deve uscire per comprendere il
mondo: il rapporto costitutivo con il mondo è caratterizzato sin dall’inizio da un’apertura
verso il mondo, non c’è una separazione dal mondo.
Il soggetto umano ha un rapporto con il mondo che non nasce da un’originaria separatezza
perché è gettato nel mondo.
Non si capisce l’essere umano e il suo rapporto con il mondo neanche se si origina
artificialmente la separatezza come fa Cartesio.
L’essere è caratterizzato da apertura.
Da questa gettatezza nel mondo l’uomo non si può sottrarre: la gettatezza o
Geworfenheit è la caratteristica precipua dell’essere umano.
La caratteristica precipua dell’essere umano è di essere un ente che si pone delle
domande e che è sempre gettato nel mondo, che si trova ad esser-ci e non sa perché.

Il primo accesso dell’esser-ci al mondo non è di tipo teoretico o conoscitivo come pensava
Cartesio: la condizione dell’essere umano è di essere un soggetto gettato in un mondo
e che ha come connotazione l’essere impaurito in quanto si trova ad essere e non se ne
dà una ragione.
La sua connotazione originale ed essenziale non è quella di essere un soggetto conoscente
o teoretico.

L’uomo è sempre gettato, si trova ad esser-ci in un mondo.


L’apertura è connotata dal “ci”.
L’essere umano si sente gettato nel mondo: non solo è gettato nel mondo e di questo ne
è impaurito, ma si sente gettato nel mondo.
La situazione emotiva o Befindlichkeit è uno degli esistenziali fondamentali dell’esser-ci: il
sentirsi gettato è un esistenziale fondamentale.
E’ una gettatezza sentita: la situazione emotiva è un elemento ontologico dell’esser-ci.
Il rapporto con il mondo dall’origine è emotivamente connotato.
Heidegger dice, in un suo scritto precedente dal titolo de Prolegomeni alla storia del
concetto di tempo, che il “vero a priori dell’essere umano è l’emotività”.

Il rapporto patico-affettivo
E’ sbagliato pensare che il soggetto sia un qualcosa che riceve stimoli dal mondo, che sia
ricettivo di stimoli dal mondo e che poi elabora: l’atteggiamento dell’esser-ci nei confronti
del mondo è sì di essere ricettivo ma la ricettività è emotivamente marcata. La
ricettività non va intesa come un ricevere qualcosa per poi elaborare: la ricettività è
sempre emotivamente marcata.

Gli oggetti del mondo vengono chiamati da Heidegger come enti intramondani: la
ricettività ha una carica emotiva-affettiva.
Non è una ricezione delle cose del mondo, ma è una affezione delle cose del mondo.
Gli oggetti si incontrano attraverso l’affettività, attraverso quello che possono essere per
l’uomo.

L’uomo è gettato e si sente gettato nel mondo: il rapporto con il mondo è una
circospezione, c’è un atteggiamento circospetto perché l’uomo ha paura di quello che ha
intorno.
Non è la semplice presenza che caratterizza l’esser-ci nel mondo: la contemplazione
teoretica o Erkenn appiattisce.
Originariamente il mondo fa paura.
Lo stare al mondo non è fatto dalla contemplazione teoretica.

C’è una differenza in Heidegger tra ontologico e ontico: ontico è ciò che è e non si pone
il problema di ciò che è, l’ontico è ciò che è semplicemente presente; ontologico è la
profondità dell’essere.
Ermeneutica significa interpretazione.
Heidegger sta affermando che l’uomo non è solo gettato nel mondo ma si sente gettato
in un mondo: questo vuol dire che la situazione emotiva è un tratto costitutivo
dell’essere umano. Nella tradizione precedente invece le emozioni sono sempre state
studiate come la terza classe dei fenomeni psichici (rappresentare il mondo, volontà
umana e emozioni). Heidegger dice che l’emozione è fondata del rapporto con il mondo.
La sfera che attiene alla emotività da Aristotele in poi è sempre stata studiata come terza
classe dei fenomeni psichici: Heidegger dice che l’emotività è parte costitutiva del
rapporto dell’uomo con il mondo.

Pathos viene dal greco e significa subire qualcosa e sentirsi male.


Heidegger afferma che l’uomo non è solo affetto dal mondo, ma il rapporto con il
mondo è patico nel senso che lo coinvolge emotivamente: si può dire per esempio che il
metallo è affetto dall’acido che lo scioglie, ma non è quel tipo di affezione che caratterizza il
rapporto dell’uomo con il mondo.
Il rapporto dell’uomo con il mondo è patico-affettivo: il mondo provoca qualcosa
sull’uomo ma non è una ricettività neutra, non è una semplice affezione come il ferro è
affetto dall’acido.
Per questa ragione non si possono considerare le emozioni come la terza classe dei
fenomeni psichici: le emozioni sono fondamentali perché il rapporto con il mondo è sia
affettivo sia patico, non è la semplice affezione che c’è tra gli oggetti fisici.

Heidegger fa riferimento ad Aristotele perché nella Retorica Aristotele parla delle passioni
nella retorica che servono proprio per convincere gli altri.
Il sedurre è condurre a sé attraverso la sfera affettiva.
Il rapporto con il mondo è mosso continuamente da questa affettività che è anche patica.
Si è affetti paticamente dal mondo: questo significa che si è sempre emotivamente
coinvolti.

La ricettività del mondo non è una ricettività neutra: è una ricettività che è sempre
emotivamente connotata, si è sempre mossi dalle risonanze del mondo.

Lezione 15/03/2023
L’essere umano viene definito da Heidegger come Da-sein.
L’analitica esistenziale è un’analitica dell’esser-ci che porta ad individuare degli
esistenziali, ovvero delle caratteristiche fondamentali dell’esser-ci.
L’essere umano è un essere aperto e quindi non è possibile elaborare una posizione della
separatezza come aveva fatto Cartesio in quanto l’essere umano si trova ad esser-ci.
L’essere umano non è semplice essere ricettività in quanto anche i semplici enti sono
affetti delle cose (il metallo è affetto dall’acido ma non soffre): la ricettività dell’essere
umano è patica.
L’essere umano ha gli esistenziali e nella sua struttura ontologica profonda è affetto
dal mondo.
L’essere umano non è una semplice presenza: il modo con cui si conosce il mondo non è
caratterizzato da una semplice presenza, l’essere umano non è uno spettatore
disinteressato.
L’essere al mondo non è caratterizzato dalla semplice presenza, è qualcosa
caratterizzato dall’originaria paticità.
La ricezione del mondo non è mai neutra ma è sempre marcata da un punto di vista
affettivo ed emozionale.
§29. L’esser-ci come situazione emotiva, pagina 202
Per Heidegger l’affettività e l’emotività non sono una semplice funzione dell’esperienza,
ma plasmano l’esperienza: le facoltà emotive non sono facoltà che si devono elencare e
mettere accanto alla volontà e alla rappresentazione, le facoltà emotive plasmano
l’esperienza.
Gli stoici vengono definiti Stoà perché il fondatore della scuola è Zenone il quale usava
fare le lezioni un portico bellissimo e affrescato (Stoà significa politico) vicino al mercato
di Atene: per questo la scuola egli stoici viene detta anche Stoà.
Gli stoici avevano elaborato una teoria delle emozioni basata sul controllo delle
emozioni, infatti il loro ideale era la apatia, ovvero l’assenza di emozioni,
l’imperturbabilità in quanto il mondo sottopone l’uomo a sfide inaudite: secondo gli
stoici l’uomo deve imparare a rimanere imperturbati di fronte alle emozioni.
Seneca diceva che la virtù si vede nel sopportare ciò che ci tocca.
Gli stoici oggi sono molto rivalutati perché avevano questa idea che le emozioni
nascono da giudizi dettati dalle emozioni: Epitteto diceva che gli uomini non sono
turbati dalle cose, ma sono turbati dalle idee che hanno delle cose, cambiando le idee
cambiano anche le emozioni.
Nella psicoterapia si lavora nelle idee per cambiare le emozioni.
Le emozioni sono permeabili da parte delle cognizioni: se si lavora sulle cognizioni si
cambia anche la disposizione emozionale nei confronti del mondo, si parla di
permeabilità cognitiva delle emozioni.
Heidegger dice che l’emotività è uno dei tratti fondamentali, le emozioni sono
costitutive e plasmano: nell’ultimo passaggio Heidegger presenta le emozioni come una
condizione trascendentale dell’esperienza.
Trascendentale è un termine tecnico della filosofia e sta a significare le condizioni della
possibilità dell’esperienza: si individuano le condizioni di possibilità dell’esperienza, ciò
che rende possibile l’esperienza.
Heidegger individua nelle emozioni la condizione trascendentale dell’esperienza, ovvero
ciò che rende possibile l’esperienza.
Trascendente è qualcosa che sta sopra l’esperienza: il termine trascendente non va
confuso con trascendentale.
Se non si avesse la situazione emotiva non si potrebbe distinguere ciò che viene dal
mondo.
Le emozioni negli stoici sono qualcosa da controllare e da reprimere.
Nella patristica e nella scolastica i sette peccati capitali sono tutte emozioni, mentre
Heidegger ne fa la condizione trascendentale dell’esperienza.

§29. L’esser-ci come situazione emotiva, pagina 199


Questa situazione patico-affettiva è ciò che consente l’esperienza.
La condizione originaria si declina in diverse tonalità emotive in base a quello che si
trova nel mondo: la tonalità emotiva o Stimmungen che si riscontra in un oggetto (se è
attraente, se è utile, se è inutile).
Le cose del mondo vengono incontro all’uomo e quest’ultimo ne è circospetto, è
spaventato.
Il soggetto che l’analitica esistenziale analizza non è un soggetto teoretico che osserva,
non è una semplice presenza, ma è qualcosa che è affetto, preoccupato.
L’uomo si prende cura di ciò che può fare con le cose.
Il carattere dell’affezione si vede chiaramente grazie alla situazione emotiva.
In-essere significa essere nel mondo come tale.
L’uomo è affettivamente coinvolto dagli oggetti del mondo e se non si avesse questa
affettività non si potrebbe riconoscere le cose come minacciose per esempio.
Solo un ente che è nella situazione affettiva può riconoscere l’ente intramondano come
minaccioso: la situazione affettiva è una caratteristica essenziale.

La forma oggetto proprietà: errore della tradizione occidentale


Un’ulteriore critica che Heidegger fa alla tradizione occidentale è di aver inteso gli enti
intramondani come delle semplici presenze e concepiti in una forma strutturale
dell’oggetto proprietà: c’è un oggetto, se ne predicano le proprietà per conoscerlo.
Lo schema della metafisica occidentale è quello dell’oggetto proprietà.
Heidegger critica la tradizione occidentale perché ha concepito sia l’esser-ci sia gli enti
del mondo come semplici presenze: questo significa dire che la tradizione occidentale ha
concepito il rapporto con gli oggetti mondo attraverso lo schema dell’oggetto proprietà
che prevede un’azione disinteressata, un rapporto anaffettivo.
Questo modo di rapportarsi agli oggetti del mondo è quello tipico dell’analisi scientifica:
l’osservazione scientifica è un modo derivato di essere al mondo.
Il mondo ambiente, come lo chiama Heidegger, è considerare gli oggetti come mezzi per
fare qualcosa che hanno a che vedere con la utilizzabilità.
Gli oggetti del mondo sono mezzi per fare qualcosa.
Il rapporto con gli oggetti non si basa sullo schema oggetto proprietà ma nel vedere gli
oggetti come mezzi per, come qualcosa che serve nella prassi: questa è la utilizzabilità o
Zuhandenheit.
Il rapporto iniziale con il mondo è di tipo pragmatico e secondariamente è di tipo
conoscitivo: l’approccio conoscitivo è un rapporto derivato.
L’essere umano è caratterizzato dalla sua affettività originaria, ma anche gli enti del
mondo non sono una semplice presenza: la critica della tradizione occidentale è quella di
pensare che si debba interpretare sé stessi e il mondo sul modello della semplice presenza.
Gli oggetti del mondo vengono incontro all’uomo attraverso delle tonalità emotive e
come mezzi per fare qualcosa: il rapporto originario con il mondo non è quello
cartesiano dell’oggetto proprietà in quanto gli oggetti vengono incontro e l’uomo
percepisce se possono essere utili o meno.
Gli oggetti vengono incontro e l’uomo cerca di capire se sono oggetti utili per fare
qualcosa.
Gli oggetti intramondani sono percepiti in primo luogo come mezzi per.
Per esempio il martello si conosce prima per la sua funzione, ovvero quella di martellare:
un bambino capisce il martello se vede il martellare, qualsiasi oggetto che si trova nel
mondo non si impara secondo l’atteggiamento oggetto proprietà ma lo si capisce attraverso
la sua funzione, vedendo all’opera gli oggetti.
L’enattivismo, Gibson e il brain imaging
Le scienze cognitive contemporanee hanno rivalutato la visione del mondo di
Heidegger.
Oggi si parla continuamente di enattivismo, una corrente che si basa su quattro e
fondamentali: la cognizione è embodied (incarnata e non disincarnata come diceva
Cartesio), è embedded (situata come dice Heidegger), è enactive (inattiva) ed è
extended (distesa).
Per capire la cognizione umana si deve tener presente che la cognizione umana è sempre
incarnata, è sempre situata in quanto avviene sempre in un contesto.
Gli oggetti sono dei mezzi per fare qualcosa.
Negli anni 60 uno psicologo americano, Gibson, ridisegnò completamente il concetto di
percezione sostenendo che il rapporto con il mondo primariamente si basa sulle
affordances, ovvero su delle opportunità che il mondo offre a livello senso motorio: per
esempio una pietra dà l’opportunità di essere presa e di essere scagliata. Tutto è un mezzo
per, è il mondo stesso che offre delle opportunità.
Gibson, che riprende Heidegger, fu preso dai colleghi americani come una specie di
poeta fino a quando, con l’avvento delle neuroscienze, si è visto quali parti del cervello
si attivano quando l’uomo ha un rapporto con il mondo: oggi si parla di paradigma
senso motorio.
Le indagini sul brain imaging illuminano quale parte della corteccia e della testa si attiva,
illuminare significa che si attivano: il presupposto è che c’è una mente che fa e c’è una
mente che sa.
La corteccia prefrontale elabora e dopo aver elaborato l’uomo si comporta in un certo
modo: il sistema della corteccia senso motoria era concepito come una funzione
esecutiva che andava ad eseguire quello che a livello della corteccia prefrontale si era
elaborato.
La visione classica della mente fino alla mente del brain imaging era quella di una mente
che sa, che elabora (corteccia prefrontale) e una mente che esegue (corteccia motoria).
Gli esperimenti di brain imaging mostrano che la corteccia motoria e premotoria non ha
solo una funzione esecutiva: la corteccia motoria e premotoria si attiva non soltanto
quando si fa movimento ma anche in altri casi.
Le indagini sul brain imaging mostrano come, se si maneggia con un bicchiere o con una
tazzina, si attiva la parte della corteccia motoria e premotoria: è stato notato come la
corteccia motoria e premotoria si attiva anche alla semplice osservazione di un
oggetto.
Quando si osserva un oggetto non si attiva la corteccia prefrontale, ma si attiva
primariamente la corteccia motoria e premotoria che si pensava servisse soltanto ad
eseguire dopo che la corteccia celebrale aveva elaborato.
Questo ha rivalutato Gibson e Heidegger perché mostra che quello che si può fare con gli
oggetti è il primo passo per la comprensione del significato degli oggetti: c’è un
rovesciamento di paradigma.
Si pensava che i neuroni della corteccia motoria fossero correlati soltanto alla modalità del
movimento e che quindi si attivassero soltanto quando si faceva movimento: si pensava che
la corteccia motoria avesse una modalità, ovvero la modalità di trasmettere un
movimento agli arti e al corpo.
I neuroni della corteccia motoria sono bimodali perché reagiscono anche alla sola
vista degli oggetti e si attivano prima che si attivi la cortesia prefrontale.
In primo luogo si attiva la parte sensomotoria, ovvero il cosa si può fare con gli oggetti
che si traduce nel primo passo per l’attivazione del significato degli oggetti: come diceva
Heidegger non si ha un rapporto degli oggetti sulla base dello schema oggetto
proprietà.
In primo luogo quello che gli oggetti sono per l’uomo viene consegnato da quello che si
può fare con gli oggetti: da questo deriva la rivalutazione di Gibson e la rivalutazione di
Heidegger del mondo ambiente fatto da utilizzabili.
Il rapporto con il mondo è incarnato e incentrato sull’utilizzabilità degli oggetti.
Il corpo reagisce vedendo gli oggetti come mezzi per fare qualcosa.
Nella semplice osservazione degli oggetti si attiva la parte motoria e premotoria in
quanto i neuroni sono bimodali.
Heidegger viene rivalutato perché aveva affermato che gli enti intramondani sono dei
mezzi per.

§15. L’essere dell’ente che si incontra nel mondo-ambiente, pagina 102


Il mondo ambiente è il mondo reale.
Fenomenologico significa che va alle cose stesse.
L’uomo si prende cura degli oggetti che gli vengono incontro.
C’è una conoscenza pratica e non teoretica.
Heidegger dice che l’uomo non attribuisce un valore alle cose, ma immediatamente
considera le cose come favorevoli o come non favorevoli.
I greci avevano un termine appropriato per designare le cose, ovvero pragmata, cose che
servono per la pratica: il rapporto con il mondo è pragmatico.
Le cose sono mezzi per: questa è la utilizzabilità.
Heidegger dice che va abbandonata l’ontologia tradizionale.

Lezione 16/03/2023
Le tonalità emotive sono le diverse tonalità emotive con cui si incontrano gli eventi del
mondo.
Non c’è un’osservazione disinteressata: l’approccio con gli enti intramondani consiste
nel realizzare come e perché possono essere utili all’uomo.
L’approccio con gli oggetti non è teoretico ma è un prendersi cura degli oggetti.
La situazione emotiva è un esistenziale fondamentale dell’esser-ci.
L’atteggiamento di fondo è quello di prendersi cura, di occuparsi degli enti intramondani.

La comprensione
Un altro esistenziale fondamentale dell’esser-ci è la comprensione o Verstehen:
Heidegger continuamente ripete che la situazione emotiva e la comprensione non
vanno scissi.
La comprensione non ha niente a che vedere con la comprensione teoretica, scientifica: la
comprensione è un esistenziale, è il modo con cui l’esser-ci si rapporta con il mondo.
Il rapporto con il mondo dell’esser-ci è sempre emotivamente connotato.
L’esser-ci è affetto dalle cose e in questo essere affetto dalle cose l’esser-ci si
comprende come possibilità, si comprende come poter essere: gli enti intramondani
possono essere utilizzati per fare qualcosa.
La comprensione è comprendersi come poter essere, come possibilità di fare, di
azione.
La comprensione è un secondo esistenziale che va inteso come essenzialmente
congiunto alla situazione affettiva: l’esser-ci non solo rimane affetto ma si comprende
come possibilità, come poter fare.
Heidegger dice che la comprensione è storicamente determinata.
Il poter essere è limitato alla contingenza in cui l’esser-ci si trova: l’articolazione della
comprensione è sempre storicamente determinata.
Il comprendersi come possibilità è sempre determinato dalle condizioni in cui l’essere
umano trova ad essere: quello che sui può fare è sempre confinato in un contingente di
possibilità.
Heidegger dice che l’essere umano è un progetto gettato che si trova ad essere in un
orizzonte finito di possibilità: è un essere umano circoscritto in un orizzonte di
possibilità.

§31. L’esser-ci come comprensione, pagina 207


La situazione emotiva ha sempre la sua comprensione anche se tende a reprimerla come
ha fatto la metafisica occidentale in quanto ha considerato l’essere non come emotivamente
connotato.
La comprensione è un esistenziale, è una categoria ontologica dell’esser-ci.
La spiegazione, la comprensione di altro genere è un derivato esistenziale della
comprensione originaria costituente dell’esser-ci.
La comprensione primaria consiste nell’esser-ci come possibilità.
La comprensione di cui Heidegger parla non è la comprensione comunemente intesa
come ad esempio la comprensione scientifica del mondo: la comprensione di Heidegger è
una categoria ontologica. Con questo esistenziale l’essere umano comprende sé
stesso come possibilità, come poter essere: la comprensione di Heidegger riguarda la
comprensione di sé stesso come poter essere.
Lo spiegare scientifico è un modo derivato.
La comprensione va intesa come elemento costitutivo dell’essere umano stesso il quale
è caratterizzato dal poter essere.
L’essere è caratterizzato dal suo “ci”: l’uomo è gettato in un mondo ed è situato in un
mondo.
Il progettarsi, l’essere nel mondo esistente è un’apertura che viene definita
comprensione.
L’esser-ci si deve progettare altrimenti muore.
L’ontico è quello che riguarda ciò che si descrive, l’ente empirico; l’ontologico ha a che
fare nell’individuare le strutture essenziali dell’uomo.
L’essere esiste in quanto si progetta.
L’essere si scopre anche come poter essere di fronte al mondo: l’esser-ci non è una
semplice presenza ma è una possibilità gettata.

La possibilità non significa che un essere umano può tutto nel senso del libero arbitrio:
l’esser-ci in quanto emotivamente situato è sempre situato in determinate possibilità.
L’esser-ci è una possibilità gettata: è un progetto gettato in quanto l’esser-ci si trova ad
esserci e non se ne dà ragione. Con la comprensione l’esser-ci realizza di essere una
possibilità gettata in un mondo che non ha scelto.
La gettatezza è definita da Heidegger come Geworfenheit.

Comprensione e interpretazione
Diversamente da quello che si potrebbe pensare, l’interpretazione è posteriore alla
comprensione: si potrebbe pensare che si interpreta qualcosa e in virtù dell’interpretazione
si comprende quel qualcosa.
Heidegger dice che la comprensione fa interpretare l’essere come un poter essere: la
comprensione si articola poi nell’interpretazione.
L’interpretazione è un’articolazione della comprensione: gli enti intramondani vengono
interpretati sulla base della comprensione originaria.
L’interpretazione articola la comprensione in quanto articola il comprendersi come
poter esserci e interpreta gli enti intramondani con cui possono essere utili.

§ 32. Comprensione e interpretazione, pagina 214


L’essere umano interpreta il poter essere.
L’interpretazione si fonda sulla comprensione: prima c’è il comprendersi come poter
essere e poi c’è uno sviluppo del poter essere.
L’interpretazione o Auslegung articola la comprensione.
Originariamente c’è il comprendersi come poter essere e poi il poter essere viene
interpretato sulla base degli enti intramondani: l’interpretazione articola la
comprensione.
Articolare una comprensione che è basata sul poter essere, significa che
l’interpretazione vede nell’ente sempre il per che cosa un ente è funzionale: se
l’interpretazione articola la comprensione dell’essere umano come poter essere,
significa che l’interpretazione incontra quello che viene dal punto come il per che cosa un
ente può essere funzionale.
Articolare la comprensione del potere essere attraverso l’interpretazione significa che
gli enti sono visti come il per che cosa possono essere funzionali.
Il comprendersi come gettato in un “ci”, ovvero in un orizzonte finito di possibilità, è poi
articolato dall’interpretazione: gli enti intramondani sono visti come il per che cosa gli
enti sono utili.
Il vedere gli enti come il per che cosa sono utili significa che il rapporto con il mondo
non è basato sulla conoscenza teoretica, non si ha una conoscenza apofantica, ovvero
basata sullo schema oggetto proprietà: gli enti vengono incontrati come il per che cosa
sono utili.
Gli enti non sono oggetto di una conoscenza apofantica in quanto vengono colti
immediatamente nella loro natura di utilizzabili: il rapporto con il mondo è pragmatico.
L’incontro con gli enti non è basato sullo schema oggetto proprietà, ma si conoscono gli
enti come utilizzabili.

L’in quanto apofantico e l’in quanto ermeneutico


L’in quanto apofantico è l’ente considerato come sé stesso, come un oggetto che ha
determinate proprietà: questo non è originario.
Quello che è originario è l’in quanto ermeneutico, ovvero l’ente incontrato come
utilizzabile.
L’in quanto apofantico è derivato dall’in quanto ermeneutico.
L’incontro originario con gli enti è l’in quanto ermeneutico.
Il tematico è tematizzare un oggetto: il rapporto con gli enti è però pre tematico perché
si coglie la funzione e non si passa attraverso una tematizzazione in senso apofantico.
Quando si mostra il martello al bambino, lo si mostra in maniera pre tematica.
Il pre tematico, che è sinonimo di pre predicativo, non significa aconcettuale, privo di
concetti: è una concettualizzazione strumentale.
L’in quanto ermeneutico è quello originario, è il cogliere le cose come le cose servono,
mentre l’in quanto apofantico è un in quanto apofantico e predica delle proprietà degli
enti.
L’in quanto ermeneutico è ante tematico, è ante predicativo e fa cogliere l’oggetto
attraverso la sua funzione, non predica delle proprietà degli enti.
La comprensione è il comprendersi come poter essere, l’interpretazione è uno
sviluppo di poter essere: le cose che si incontrano nel mondo vengono focalizzate in
quanto utili a qualcosa e questo è l’in quanto ermeneutico, non si fanno delle descrizioni
predicative del martello ma si coglie il martello nella sua funzione di martellare.
L’approccio con gli enti intramondandi è pre tematico e pre predicativo.
L’in quanto apofantico viene dopo, è derivato, è predicativo e predica le qualità degli
oggetti al di là della loro utilità pratica.

§33. L’asserzione come modo derivato dall’interpretazione, pagina 228


L’asserzione è l’in quanto apofantico.

La totalità dei rimandi


L’incontrare gli enti attraverso l’in quanto ermeneutico, ovvero il vedere gli enti per che
cosa possono essere utili, va integrato con un’ulteriore precisazione: un essere è
sempre inserito in una totalità di rimandi che Heidegger chiama appagatività.
Che cos’è il martello si capisce con tutti i rimandi che sono legati al martello: si
comprende il martello in virtù dei chiodi che hanno come fine quello di essere piantati nel
muro da parte dei martelli.
Il mezzo di per sé non c’è, il mezzo di per sé è sempre inserito in quello che appaga
l’essere strumento.
Il martello presuppone i chiodi e mira al muro in cui i chiodi devono essere piantati: lo
strumento è sempre inserito in un contesto di rimandi.
L’appagatività è l’insieme di tutti i rimandi che se presi tutti insieme fanno capire l’utilità
dell’oggetto: è appagante nella totalità dei rimandi.

§15. L’essere dell’ente che si incontra nel mondo-ambiente, pagina 102


L’interpretazione non è una conoscenza tematica, non è una conoscenza predicativa,
non è una conoscenza apofantica ma è la struttura del per che cosa quell’ente è
funzionale.

§32. Comprensione e interpretazione, pagina 215


Chiamato in questione in quanto utile.
Il tavolo viene visto come qualcosa che ha una funzione.
Non si predica la proprietà dell’oggetto, ma si predica l’uso dell’oggetto.
L’articolazione dell’aver compreso che si è poter essere precede ogni articolazione
tematica.
L’in quanto ermeneutico precede l’in quanto apofantico.

§33. L’asserzione come modo derivato dall’interpretazione, pagina 228


Il modo con cui gli oggetti sono disponibili è nell’essere utili come qualcosa.
Se si cambia prospettiva e si usano delle asserzioni, l’in quanto ermeneutico diventa un
in quanto intorno a che: questo significa che nell’in quanto ermeneutico le cose sono
date in quanto utili, mentre nell’in quanto apofantico l’in quanto diventa una descrizione
dell’oggetto.
L’in quanto ermeneutico è un in quanto le cose sono utili, mentre nell’in quanto
apofantico il discorso diventa una predicazione neutra delle proprietà degli oggetti.
L’asserzione è l’enunciato apofantico.

Lezione 17/03/2023
L’in quanto apofantico è quello dell’oggetto proprietà, si usano gli oggetti apofantici
laddove ci si riferisce agli oggetti come essenza.
Gli oggetti sono sempre un mezzo.
La pre comprensione e il circolo ermeneutico
Il discorso della utilizzabilità si va a precisare in Heidegger in un programma che è basato
sul pre: il pre sta a dire che il fatto che le cose siano un mezzo, va a precisarsi in un
contesto che è sempre pre compreso, quello che è un mezzo si specifica attraverso una
dimensione concettuale di tipo strumentale che altro non corrisponde che alle pre
comprensioni che il mondo, in cui l’uomo è inserito, già consegna all’uomo.
L’essere utilizzabile per l’uomo si estrinseca attraverso le pratiche umane nel contesto in
cui l’uomo è inserito: c’è una pre comprensione degli oggetti nel mondo in cui l’uomo
è inserito.
Attraverso la pre comprensione si comprendono gli oggetti.

§32. Comprensione e interpretazione, pagina 217


Il mezzo è quello che è grazie alla totalità di rimandi: la appagatività.
L’in quanto apofantico è successivo: si usa il martello anche senza avere una
conoscenza teoretica del martello.
L’interpretazione si fonda sempre in una pre disponibilità, ovvero lo sfondo di significati
culturali che la comunità consegna: il mondo è già pre compreso e corrisponde al
mondo in cui si appartiene culturalmente.
Il “ci” dell’esser- ci è gettato ma si inserisce in un mondo in cui le cose sono pre
comprese.
Già compresa perché è già compresa dal contesto culturale in cui l’uomo è inserito.
La pre cognizione è quello che è già compreso nella comunità di appartenenza.
Pre disponibilità, pre cognizione e pre visione: questo significa che la cognizione è
culturalmente pre determinata.
L’esser-ci è gettato ma è sempre gettato in un ci, ovvero in un qui: nella sua
comprensione del mondo e degli enti come utilizzabili, si trova sempre a interpretare il
mondo nel contesto storico-cultuale in cui è inserito perché c’è già una pre visione del
mondo, una pre disponibilità.
Secondo Heidegger non esiste un fondamento sovra storico della conoscenza:
l’universalismo tipico dell’età moderna e di Cartesio in particolare va messo fortemente in
discussione perché non esiste un punto zero a partire dal quale si comprende il
mondo in quanto l’uomo è gettato in una pre comprensione del mondo e attraverso di
essa si comprende il mondo.
Non esiste la possibilità di attuare un dubbio metodico.
L’esser-ci è gettato in una situazione storico-culturale che è impregnata di pre
comprensione a partire dalle quali si comprende il mondo.
L’esser-ci è gettato temporalmente: non c’è un occhio puro sul mondo, ma è sempre
un occhio impregnato da una pre comprensione che consente di comprendere.
Si deve avere una pre comprensione per comprendere il mondo.
La comprensione di ciò che è utilizzabile si basa sempre su un pre compreso perché
altrimenti non si comprenderebbe come oggetto nella sua totalità di rimandi.
La pre comprensione comprende di capire.
L’uomo è impregnato di un mondo che è già pre compreso: grazie alla pre
comprensione si comprende il mondo.
Non esiste un’universalità, non esiste un punto zero perché si è già inseriti in un
contesto storico-culturale che condiziona.
Non esiste un fondamento sovra storico perché si parte da una pre comprensione.
Non esiste un occhio puro sul mondo perché si è caratterizzati in un contesto pre
compreso: l’esser-ci è gettato in un mondo pre compreso.
Il pensiero post moderno parte dalla critica di Heidegger del fatto che non c’è un
fondamento sovra storico che consente di guardare il mondo.
Non esiste un occhio puro che consente di cogliere l’universale, non ci si può elevare in
una sovra storia.

L’estrinsecazione delle emozioni


Nel 900 c’è stata una grande contrapposizione tra chi sosteneva l’estrinsecazione delle
emozioni e chi sosteneva che le emozioni sono storicamente condizionate.
Le lacrime sono estrinsecazione delle emozioni: c’è lo stereotipo della donna che
piange perché è già soggetta agli affetti ma anche questo è un pregiudizio della cultura,
infatti gli eroi omerici piangono, Bonconte da Montefeltro prima di morire nella Battaglia
di Campaldino piange.
La comprensione del mondo dell’uomo si basa su una pre comprensione che è
culturalmente determinata: il trovare una pre comprensione caratterizza il rapporto
con il mondo.
Non esiste un fondamento sovra storico perché l’uomo si inserisce sempre in qualcosa
che è pre compreso.
L’estrinsecazione delle emozioni si basa su un pre compreso.
Anche nella vergogna c’è un pre compreso: la vergogna è qualcosa di storicamente e di
culturalmente pre compreso perché la vergogna nasce come un sentimento che si
rapporta alle aspettative degli altri.
Si comprende sulla base di un pre compreso: si è all’interno di un circolo ermeneutico.
Non c’è un fondamento sovra storico perché c’è sempre un pre compreso.
Le emozioni primarie sono la paura, la sorpresa, il disgusto, sono delle emozioni
basiche, e poi ci sono le emozioni sociali che sono permeate dalla condizione.
Il provare un’emozione può essere accentuato o meno a seconda del circolo ermeneutico
in cui l’uomo si trova a vivere.

Tutti gli esempi che fa Heidegger sono connotati culturalmente, è tutto mediato da una
concettualità strumentale: gli esempi sono sempre esempi di un contesto.
L’ontologia di Heidegger è un’ontologia pragmatica che è sempre inserita in un
orizzonte storico-culturale di significati.

L’ermeneutica
L’ermeneutica è una disciplina conosciuta dall’antichità: l’ermeneutica è
l’interpretazione di testi precedenti, lo studio e la comprensione di elaborati, scritti che
si collocano in secoli precedenti.
L’ermeneutica aveva dei canoni, delle leggi ben precise:
L’interprete deve tenere conto che una parte di un testo, una parte di un manoscritto la
si comprende solo alla luce della totalità di quel testo o di quel manoscritto: si
comprende la parte se si comprende l’intero.
Altra regola dell’ermeneutica è che l’interprete deve approcciarsi a quel testo liberandosi
dai propri pregiudizi, dalle proprie concezioni che fanno parte del secolo a cui l’interprete
appartiene: chi interpreta deve calarsi nel contesto che sta interpretando.
Heidegger parte da questo per cambiare quello che lui intende per ermeneutica:
Heidegger fa riferimento alle due regole dell’ermeneutica per esprimere il suo punto di vista.
Per Heidegger abbandonare i propri presupposti, che corrisponde alla seconda regola
dell’ermeneutica, non è possibile.

§32. Comprensione e interpretazione, pagina 218-222


La comprensione dell’utilizzabile ha sempre luogo a partire da una appagatività ed è
sempre storicamente determinata.
Si usa il martello anche senza avere una conoscenza teoretica del martello.
La comprensione implicita è la pre comprensione che si già si trova nel sistema di
riferimento dell’uomo.

Non è possibile concepire il pre come un “a priori” formale” perché storicamente


determinato.
Per Heidegger ogni comprensione si basa su un pre compreso: Heidegger dice che una
struttura ontologica fondamentale e ignorata dalla metafisica occidentale è che ogni
comprensione si basa su un pre compreso.
L’ente intramondano è progettato nel mondo.
E’ l’esser-ci che si pone la domanda del senso.
Pre disponibilità, pre visione e pre cognizione.
Solo l’esser-ci può essere fornito di senso.

Essere in un circolo ermeneutico non è una tautologia.


La pre struttura è quella del pre compreso, del pre disponibile in un ambiente culturale.
Non c’è una comprensione del mondo senza la pre comprensione che l’ambiente di
riferimento consegna.
Si interpreta muovendosi in qualcosa che è già pre compreso.
La comprensione presupposta è costituita dalla comune conoscenza degli uomini del
mondo.
Ci si muove sempre sulla base di un circolo, sulla base pre compresa.
Non si può uscire dal circolo: non c’è comprensione senza pre comprensione.
Il circolo è espressione di una pre struttura esistenziale propria dell’essere stesso.
Il circolo della comprensione non è un semplice cerchio dove si muove qualsiasi forma
del conoscere: il circolo è espressione di una pre struttura esistenziale propria dell’essere
stesso, il ciclo è l’insieme delle pre comprensioni.
Il circolo ermeneutico non è un circulus vitiosus, non è un circolo vizioso: il circolo
ermeneutico non è una tautologia, ma è un circolo da cui non si può uscire dove però si
può esercitare un pensiero critico.
Tutti i quadrupedi hanno quattro zampe è esempio di circolo vizioso in quanto già nel
termine quadrupedi c’è inserita l’idea di avere quattro zampe; altro esempio è che tutti gli
scapoli non sono sposati.
Il circolo ermeneutico non è una tautologia.

Lezione 22/03/2023
Il con-mondo (mit-welt)
Heidegger dice che il mondo è un mondo dove stanno sempre gli altri: è sempre un
con-mondo, gli altri fanno sempre parte del nostro mondo.
Gli altri si incontrano come altri esser-ci che si incontrano nelle modalità che gli umani
estrinsecano negli oggetti.
L’apertura dell’esser-ci al mondo è un’apertura dell’esser-ci con gli altri: l’esser-ci è in
sé stesso con-essere, non viene mai dato un soggetto isolato a differenza di Cartesio.
Il prendersi cura è l’utilizzare gli enti intramondani come mezzi per, mentre il rapporto
che si ha con gli altri è un avere cura: il prendersi cura riguarda gli oggetti
intramondani, l’avere cura riguarda il rapporto con gli altri.
L’avere cura può estrinsecarsi in molte modalità come il rispetto, il non rispetto, la
competizione, la trascuratezza: la modalità dell’avere cura o fürsorgen è espresso in
vari modi.

Pagina 148 file moodle


Gli utilizzabili si comprendono sulla base di quello che le pratiche umane estrinsecano: il
con-essere è un esistenziale.

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Si parte sempre dalle pratiche umane.
Non sono una semplice presenza, ma sono un esser-ci.
L’esser-ci è essenzialmente con-essere.

L’empatia
A proposito dell’empatia, ovvero come si conoscono gli stati psichici dell’altro,
Heidegger dice che resterà sempre enigmatico come il rapporto dell’esser-ci con sé
stesso possa aprirsi al rapporto dell’esser-ci con l’altro: Heidegger dice poco, si limita
a dire poco quando invece questo era un tema molto dibattuto nell’epoca in cui visse
Heidegger.
Heidegger dice che resterà sempre enigmatico come a partire da sé stessi si possa
conoscere gli altri: era un dibattito molto dibattuto all’epoca di Heidegger portato avanti
soprattutto dai fenomenologi.
Quello che è stato detto dai fenomenologi è stato ripreso dai neurofisiologi.
Si è rivalutata la prospettiva che va nell’apertura verso gli altri.
Che cosa significa empatia? Empatia è il livello fondativo della comprensione
dell’altro, è il livello fondativo che permette di comprendere anche emotivamente le
emozioni dell’altro. Coopartecipare alle emozioni dell’altro non è empatia: oggi si
intende come empatia il partecipare alle emozioni dell’altro ma è sbagliato perché
l’empatia è il comprendere cosa accede nelle emozioni altrui.
L’empatia è la capacità di comprendere anche affettivamente le emozioni dell’altro, ma
non necessariamente si coopertecipa e si cosimpatizza con le emozioni dell’altro.
L’empatia non è rilevante da un punto di vista morale: oggi si dice che una persona è
molto empatica per connotare una persona moralmente buona ma non è giusto perché
si potrebbe empatizzare anche con un malavitoso.
C’è un livello fondativo dell’empatia.

I neuroni specchio hanno ridisegnato quello che significa comprendere gli stati emotivi
altrui, hanno superato e criticato fortemente la visione del positivismo classico, visione
fortemente cartesiana.

Le scoperte dei neurofisiologi


Heidegger e la visione degli oggetti intramondani come utilizzabili è di grande
attualità, è stata rivalutata dalle neuroscienze la visione di Heidegger del mondo come
approccio al mondo basata sulla utilizzabilità.
A partire dagli anni 90 del 900 le discipline umanistiche sono state connotate con il
prefisso di neuro: tutto questo ha portato a rivalutare una letteratura che aveva detto
queste cose da tempo.
Il cervello è composto dall’area prefrontale, parte precipuamente umana, parte della
comprensione, dietro c’è la corteccia motoria e poi la corteccia premotoria.
Nella parte più viscerale del cervello c’è la parte che si condivide con i fratelli animali
dell’uomo: è la parte dove dentro c’è l’insula, l'amigdala.
La corteccia prefrontale è la parte del ragionamento, della pianificazione, dietro c’è la
parte motoria, e nella parte più interna e viscerale c’è la parte del cervello che si
condivide con gli animali.
Fino agli anni 90 la diatriba era vista nelle modalità della scienza cognitiva classica: la
mente era vista come fatta di moduli, l’idea è che arrivano degli input dall’esterno, c’è
una elaborazione della parte prefrontale, poi c’è un output, ovvero quando l’informazione
è stata elaborata c’è l’esecuzione motoria.
Il modello del cognitivismo è il modello della “mente sandwich”: la prima parte del pane
corrisponde all’input, la salsiccia corrisponde all’elaborazione interna, e la seconda parte
del pane corrisponde all’output (esecuzione motoria).
Si parlava della mente e del cervello in termini modulari, ci sono moduli indipendenti gli
uni dagli altri e ogni modulo ha la sua funzione.
I neurofisiologi stavano studiando la corteccia motoria nella scimmia con tutti gli
esperimenti della brain imaging che permette di vedere nelle aree cerebrali quando un
soggetto, in questo caso la scimmia, fa qualcosa, fa un movimento.
La prima grande scoperta: la presenza dei neuroni bimodali
Se si mette una cuffia con gli elettrodi e si dice di osservare un oggetto, nel cervello non
si attiva la corteccia cerebrale ma si attivano parti dell’area f5 dell’area motoria, ovvero
quelle stesse aree che si attiverebbero se si muove un oggetto: si attivano le stesse parte
motorie che si attiverebbe facendo un’azione.
Con questa prima grande scoperta viene confermata la presenza dei neuroni bimodali,
ovvero neuroni che agiscono con una doppia modalità: non ci sono i neuroni visivi che si
attivano con la vista, i neuroni motori che si attivano facendo un movimento, i neuroni legati
alla parte olfattiva, ma ci sono dei neuroni bimodali in quanto reagiscono sia quando si fa
un’azione con l’oggetto sia quando si osserva semplicemente senza fare niente.
Sono neuroni bimodali perché si attivano sia quando si fa un’azione con l’oggetto sia
quando si osserva l’oggetto.
In questo quadro è stata valorizzata la prospettiva di tanti filosofi come Heidegger: i
neurofisiologi dicono che quello che dice il cervello con la risonanza magnetica mostra che
non si hanno delle rappresentazioni neutre degli oggetti come oggetti fatti di proprietà e
poi si interpretano attivando il sistema motorio che esegue quello che si è interpretato: i
neurofisiologi dicono che quando si osserva un oggetto si attiva la corteccia motoria e
premotoria senza che si attivi la corteccia prefrontale: questo significa che gli oggetti
sono dei poli potenziali di azione.
Il rapporto con il mondo è di tipo pragmatico come diceva Heidegger: gli oggetti sono
qualcosa di equivalente a dire “che cosa si può fare con quell’oggetto” in quanto si attiva la
corteccia motoria e premotoria proprio in quelle zone che si attiverebbero se si facessero
delle determinate azioni con quell’oggetto.
L’occhio neutrale sul mondo è da mettere radicalmente in discussione: se si osserva un
oggetto si attiva la corteccia motoria e premotoria proprio nella stessa modalità con cui
si attiverebbero se si facessero delle azioni con quell’oggetto.
I neurofisiologi dicono che il significato fondativo degli oggetti è di tipo pragmatico, gli
oggetti sono primariamente degli utilizzabili, dei poli potenziali di azione.

I neuroni sono stati definiti dai neurofisiologi neuroni canonici perché danno un nuovo
canone: i neuroni bimodali della corteccia motoria e premotoria e in particolare
dell’area f5 sono detti neuroni canonici perché danno nuovi canoni.
Questo tipo di neuroni rappresenta l’80% dell’area f5 e il restante 20% è costituito dai
neuroni a specchio.

La scoperta dei neuroni a specchio


C’è poi la scoperta dei neuroni a specchio.
Quando i neurofisiologi stavano studiando la corteccia premotoria dell’area f5 fecero
una pausa: la scimmia aveva impiantato ancora questi elettrodi mentre i neurofisiologi
stavano bevendo un caffè, ma quando fecero il movimento di portarsi alla bocca la
tazzina notarono che la scimmia con la semplice osservazione dell’azione attivò
nell’area motoria e premotoria le stesse aree che si sarebbero attivate se avesse fatto
lei l’azione.
I neuroni a specchio sono dei neuroni bimodali che reagiscono alle azioni degli altri
come se si facessero le azioni in prima persona.
L’elaborazione della teoria dei neuroni a specchio dice che nel rapporto con gli altri c’è
una sorta di simulazione incarnata di quello che fanno gli altri.
Anche in questo caso non si attiva la parte prefrontale.
La cosa importante che sottolineano i neurofisiologi è che la simulazione incarnata non
avviene per tutte le azioni: devono essere delle azioni transitive, ovvero devono essere
delle azioni finalizzate.
I neuroni canonici riguardano il singolo soggetto che osserva l’oggetto, mentre i
neuroni a specchio riguardano il soggetto che osserva un altro soggetto che compie
l’azione e nel soggetto osservante si attivano le stesse aree che si attiverebbero se
fosse lui a compiere quell’azione.
Si parla di simulazione incarnata.

L’insula
Nelle indagini successive che sono avvenute dopo la scoperta del tutto casuale dei
neuroni a specchio, è stato evidenziato come il sistema a specchio si trova anche nella
famosa insula la quale fa parte della parte più primitiva del cervello che si condivide con
gli antenati più prossimi: l’insula è localizzata nella parte del cervello più viscerale, più
animale insieme all’amigdala.
I neuroni a specchio sono scoperti anche nell’insula.
L’insula era nota da tempo come la parte del cervello che regola le reazioni
esterocettive, ovvero le reazioni che si hanno per esempio nel caso del disgusto: la
novità è che è stato evidenziato come i neuroni a specchio sono presenti anche
nell’insula.
Le indagini che sono state condotte hanno dimostrato come l’insula si attiva non soltanto
quando si è disgustati ma si attiva anche quando un’altra persona è disgustata, si attiva la
stessa zona dell’insula che si attiverebbe se si fosse disgustati in prima persona, la
zona dell’insula si attiva anche alla sola visione dei volti altrui.
Se c’è un soggetto che ha una lesione all’insula e al solco che collega l’insula con la
corteccia visiva ha una reazione più anaffettiva, il soggetto è più distaccato, è molto
più anaffettivo: questo significa che il primo rapporto con il mondo è di tipo emozionale
proprio come diceva Heidegger. Il soggetto ha una reattività più ridotta dell’insula e
risulta più distaccato e anaffettivo.
I neurofisiologi dicono che il rapporto con gli altri è incarnato, parlano di una fondazione
del rapporto con il mondo dove gli altri sono sempre compresi, si parla di uno spazio
noicentrico, gli altri sono inscritti in noi: questo cozza con il solipsismo cartesiano e si
avvicina a Heidegger.
I neuroni si addestrano e dipende molto anche dalle situazioni di vita che si conducono,
c’è una permeabilità dei neuroni ai contesti di vita.

L’esperimento dell’ago
Gli studi hanno poi osservato che se viene mostrata ad un soggetto una mano che viene
punta da un ago, l’osservatore ha un’attività neuronale che avrebbe se fosse lui ad
essere punto: questo sottolinea il carattere incarnato nella comprensione dell’altro, c’è
una consonanza incarnata con l’altro, c’è uno spazio noicentrico.
Se l’esperimento dell’ago è fatto da bianco a bianco c’è questa reazione.
Se l’esperimento viene fatto su una mano nera e l’osservatore è bianco la reazione c’è
lo stesso se l’osservatore non ha pregiudizi razzisti, mentre se l’osservatore bianco ha
pregiudizi razzisti non c’è la reazione: il peso dei pregiudizi xenofobi o razzisti
disattiva questa incarnata e naturale attività neuronale.
I neurologi parlano in termini molto espliciti di consonanza intenzionale, aveva ragione
Aristotele nel dire che l’uomo è un animale sociale, sottolineano che la conoscenza
all’altro è prelinguistica, è preproposizionale, è preconcettuale, è qualcosa di radicato
nel corpo: perché è stato attuato lo sterminio dei simili? I neurofisiologi dicono che
l’influenza della cultura, l’influenza topdown, l’influenza dei pregiudizi può ridimensionare o
annullare la consonanza intenzionale.

L’area di Broca
L’area motoria e premotoria è vicino all’area di Broca, ovvero l’area del linguaggio
verbale, linguaggio verbale che è fondamentale nella dimensione della socialità umana:
i neurofisiologi stanno indagando se anche per il linguaggio sia stato significativo il
sistema sensomotorio in quanto sembra che ci siano attivazioni alla semplice lettura.
La negazione linguistica non sopprime il significato dell’oggetto: nello sviluppo
ontogenetico del bambino il possesso del linguaggio e la capacità di usare il “non” è
qualcosa di deflagrante, è qualcosa di enorme.
Il “non” ha la caratteristica di conservare ma aprendo la porta al fatto che è qualcosa di
diverso: quando sono stati attuati gli stermini di massa, tutto questo è stato associato con
il dire che non sono gli uomini, ma questo significa dire che sono diversi, c’è sempre la
neutralizzazione dell’atto che si sta compiendo insinuando la non umanità o la diversità.
L’attivazione del sistema specchio avviene con i consimili, con i conspecifici.
Nello sterminio di massa si dice che sono uomini ma sono qualcosa di diverso.
Il linguaggio ha una parte non indifferente.

Lezione 23/03/2023
Empatizzare significa comprendere emotivamente, e il simpatizzare è un’altra cosa.
Il sadico quando infligge una sofferenza alla sua vittima empatizza, sente dentro di sé
la sofferenza che provoca nella vittima: tanto maggiore è il suo empatizzare con la
vittima, tanto più ne prova piacere.
Il sadico empatizza quanto più comprende la sofferenza che infligge alla sua vittima.
Il comportamento brutale consiste nell’infliggere sofferenza ma non sentire la
sofferenza che si provoca nell’altro.
Heidegger sottolinea che il mondo è sempre un con-mondo, si è sempre aperti agli altri.
Sull’empatia Heidegger dice molto poco nonostante sia un tema molto trattato al suo
tempo: Heidegger dice che rimarrà sempre enigmatico come dal rapporto dell’esser-ci
con sé stesso si possa arrivare al rapporto dell’esser-ci con gli altri.
Negli anni 10 e 20 del 900 il tema dell’empatia era fortemente trattato anche se in
Heidegger l’approfondimento di questo tema è abbastanza laterale.

Gallagher-Zahavi: Come conosciamo gli altri


Il capitolo di Gallagher-Zahavi è dedicato alla mente degli altri, la cognizione sociale, la
capacità di base di comprendere gli altri.
Heidegger sviluppa su questo tema molte cose che riguardano il vivere quotidiano ma per
quanto riguarda la comprensione della psiche altrui si arresta alla sola affermazione del
rimanere enigmatico.
Oggi ci sono tre teorie che spiegano la capacità di base di comprendere quello che
accade nella mente altrui:
La prima teoria è stata dominante, e in parte lo è tuttora, e si chiama la theory of theory:
è stata ed è una teoria molto rilevante che intende spiegare le capacità di comprendere la
psiche altrui, è fortemente cartesiana. La theory of theory afferma che si comprende la
mente degli altri perché l’uomo si fa una teoria sulla mente degli altri.
La seconda teoria è la teoria simulazionista esplicita.
La terza teoria è la teoria simulazionista implicita.

La theory of theory
Il presupposto di queste teorie è che la mente degli altri rimarrà sempre qualcosa di
inaccessibile, non si ha un accesso alla mente degli altri, si ha accesso solo alle
reazioni manifeste: il solo accesso certo è quello che si riferisce a ciò che proviamo
noi, la fonte conoscitiva da cui si deve partire è la propria interiorità e partendo da
quella si riesce a comprendere gli altri.
Queste teorie si definiscono neocartesiane perché partono dal presupposto incardinato
nel solipsismo metodologico: c’è un fondamentalismo soggettivistico, si parte da
quello che accade dentro lo spazio solitario di un soggetto che ragiona come aveva
detto Cartesio. La mente dell’altro non si vede e quindi per arrivare a capire la mente
dell’altro si deve cercare un’altra fonte conoscitiva: l’unica fonte conoscitiva a cui si ha
un accesso certo è la propria mente.
Le teorie sostengono che si comprende la mente dell’altro perché il bambino si
comporta nei confronti degli altri come un piccolo scienziato: come lo scienziato fa
teorie sul mondo per comprendere il mondo, dispone di capacità logiche per
comprendere il mondo, allo stesso modo fa il bambino.
Il bambino piano piano impara a fare ragionamenti, ad associare stati mentali a dei
risultati: se si vuole ottenere x, lo si ottiene facendo y. Dopo aver fatto una propria teoria
mentale, il bambino è portato a pensare che anche l’altro se vuole ottenere x, farà y.
Con tutte le risorse che il bambino ha acquisito nel primo sviluppo, fa una teoria della
mente sugli altri a partire da quello che ha elaborato.
L’impianto è del tutto cartesiano perché il risultato che si ottiene deve passare dalla
autoconsapevolezza.
Il bambino deve avere i rudimenti delle capacità che via via sviluppa che ha anche uno
scienziato: deve avere capacità inferenziali (l’inferenza è quella che va dal particolare
all’universale), deve avere capacità deduttive-rudimentali (vanno dal generale al
particolare), deve avere capacità abduttive (abduttive significa che da un effetto risale
alla causa), deve avere l’inferenza alla miglior spiegazione (è l’inferenza che si trova nei
libri gialli).
Il bambino inizia a farsi un’idea sulla mente degli altri quando ha la capacità di
sviluppare delle meta rappresentazioni: meta in greco significa oltre o sopra, quindi una
meta rappresentazione è una rappresentazione che contiene un’altra
rappresentazione. Se si guarda allo specchio si ha una rappresentazione, ma se si pensa a
qualcuno che si guarda allo specchio si ha una meta rappresentazione in quanto si ha sia la
rappresentazione della persona sia la rappresentazione dello specchio.
Il test della falsa credenza: a dei bambini vengono fatti vedere dei fumetti dove ci sono
delle bambole, Sally e Mary.
Sally ha una palla e una cesta rotonda, Mary ha una cesta quadrata: ad un certo punto
Sandy mette la palla nella sua cesta rotonda ed esce, Mary prende la palla di Sandy e
la mette nella sua cesta quadrata.
A questo punto viene chiesto ai bambini: Sandy rientra, dove va a ricercare la palla?
Fino ai quattro anni i bambini dicono che Sally va a cercare la palla nella cesta
quadrata, mentre dopo i quattro anni i bambini dicono che Sally va a cercare la palla
dove l’ha lasciata.
Questo perché ai bambini fino ai quattro anni manca la capacità di meta
rappresentarsi.
Certi approcci terapeutici al trattamento dei bambini autistici si basano su questa
teoria: si pensa che i bambini autistici non riescono a mettersi in sintonia con gli altri
perché hanno lacerata la parte del cervello che è dedicata alla meta rappresentazione.
Il bambino deve possedere prima una teoria della propria mente e sulla base di questa
teoria si fa una teoria di ciò che accade nella mente altrui: ecco perché si chiama theory
of theory.
La teoria della falsa credenza è stata ed è uno cardini nel trattamento dei bambini
autistici.
I presupposti sono cartesiani perché prima si ha il solipsismo e poi si capisce cosa
avviene negli altri.
Il test della falsa credenza dimostra che la capacità di acquisire credenze false si
sviluppa fino ai quattro anni.
Il presupposto di queste teorie è che i dati mentali altrui non sono accessibili: agli altri
si arriva attraverso l’esercizio di una ragione solitaria, questo richiama Cartesio.
Qualsiasi riferimento agli stati mentali comporta un atteggiamento teorico.

Le obiezioni alla theory of theory


Stando a quello che la teoria propone si dovrebbe concludere che prima dei quattro anni
il bambino non ha accesso agli aspetti psichici altrui, ma questo non è vero perché il
bambino conosce come prima cosa l’espressività dei volti: la teoria appare
controfattuale perché prima dei quattro anni il bambino sa cogliere le emozioni altrui.
Sostenere che la conoscenza del bambino si sviluppa dopo i quattro anni è un dato
controfattuale perché i bambini comprendono le emozioni anche prima dei quattro
anni.
Il dato controfattuale è che secondo questa teoria i bambini nei primi tre anni di vita non
hanno una teoria della mente.
L’obiezione che si fa a questa teoria è che prima dei quattro anni i bambini
comprendono benissimo le emozioni altrui.

Le teorie simulazioniste
Le teorie simulazioniste si dividono in due grandi gruppi: le teorie simulazioniste
esplicite e le teorie simulazioniste implicite.
Le teorie simulazioniste implicite sono le teorie che gravitano intorno alla prospettiva
dei neuroni a specchio: parlano di una simulazione incarnata, subcosciente,
subopersonale che avviene a livello neuronale.
Le teorie simulazioniste esplicite
Il punto di partenza delle teorie simulazioniste esplicite è lo stesso della theory of
theory: la mente degli altri è inaccessibile. Di nuovo tutto il discorso viene incardinato
sul soggetto pensante, su tutto quello che può fare il soggetto per arrivare alla mente
degli altri.
Si riesce a capire gli altri semplicemente per una capacità simulativa, ovvero
semplicemente perché attraverso la simulazione l’individuo riesce a mettersi nei panni
degli altri: la capacità immaginativa riesce a far capire cosa si prova se si fosse in una
situazione in cui si trova l’altro.
Si dissimula una situazione che si vede avvenire nell’altro e si porta ad immaginare che
cosa si proverebbe se si fosse in quella situazione.
Le teorie hanno spiegato la sindrome autistica in modo diverso dalla theory of theory: i
bambini autistici hanno quelle caratteristiche perché non riescono a mettersi nei panni
degli altri, non hanno la capacità simulativa.
Le teorie simulazioniste esplicite sono molto radicali in quanto parlano di questo
processo come di quel processo che fa capire cosa accade, cosa avviene negli altri: questo
è controfattuale perché la comprensione del vissuto degli altri è qualcosa di
connaturato, è qualcosa di immediato e non passa da una simulazione esplicita,
consapevole.
Questo è controfattuale perché quando si vede un volto triste si comprende
immediatamente lo stato d’animo altrui senza doversi mettere nei panni degli altri e
senza fare una simulazione.
Esplicita significa consapevole, volontaria.
Se non si trova l’affinità di base è impossibile simulare ed immaginare che cosa vede o
prova l’altro soggetto in quanto non c’è l’affinità: già questo aspetto invalida questa
teoria. Per poter avere la pretesa di simulare quello che accade negli altri si deve
presupporre un’affinità nei confronti dell’altro: questo mette in crisi questa teoria in
quanto molto spesso si comprendono le emozioni altrui senza averle provate in prima
persona.
Le emozioni di base altrui si vedono.
Altro punto debole è che stando a quelle teorie si dovrebbero capire solamente gli stati
altrui solamente se quegli stati sono stati provati in prima persona: per esempio si
potrebbero capire gli stati d’animo di un naufrago senza aver mai provato prima quegli stati
d’animo.
La mentalizzazione in terza persona significa che una persona tenta di comprendere
un’altra persona.
Le pratiche simulative non sono il meccanismo di base con cui si ha un accesso diretto
alle emozioni degli altri.
L’obiezione che si fa a questa teoria simulazionista esplicita è che le pratiche simulative
possono accadere, ma questo meccanismo persuasivo di simulazione non è nel
riconoscimento di base dello stato emotivo altrui in quanto il riconoscimento di base
dello stato emotivo altrui è immediato.

Lezione 24/03/2023
Queste teorie possono funzionare solo se a monte c’è un’affinità emotiva.
Le teorie simulazioniste affermano che la mente è soggettiva e chiusa.
Il punto di partenza è il soggetto osservante.
Se tutto partisse dall’esperienza in prima persona, si potrebbero comprendere solato i
vissuti che rientrano nel proprio bagaglio esperienziale.

Le teorie simulazioniste implicite


Le teorie simulazioniste implicite partono da un presupposto completamente diverso:
la mente degli altri non è nascosta perché il sistema neuronale mette in sintonia con
gli altri, il punto di partenza è noicentrico e non è egocentrico.
La scoperta dei neuroni a specchio ha riportato all’attualità pagine e scritti dei primi
decenni del 900 della fenomenologia, ha riproposto una prospettiva che era rimasta in
ombra dal periodo dominato dalle teorie cognitiviste che hanno espresso la theory of
theory e la teoria simulazionista esplicita.
I neurofisiologi come Gallese hanno scelto questa categorizzazione che dà dei problemi:
simulazione incarnata significa che è come se si incarnasse in sé quello che fa l’altro,
ma il concetto di simulazione è spiazzante, non si capisce in che senso si possa parlare
di simulazione quando si parla di neuroni.

Il problema della simulazione nelle teorie simulazioniste implicite:


l’obiezione
Il ventaglio semantico di simulazione:
1. Un significato del termine simulazione è la frode, ma non è quello il significato che
adottano i neurofisiologi.
2. Un significato del termine simulazione è il far finta di, il simulare nel senso di
mettersi nei panni degli altri, si fa finta di essere nei panni degli altri come
dicono le teorie simulazioniste esplicite: questo significato del termine simulazione
viene adottato dalle teorie simulazioniste esplicite.
3. Un significato del termine simulazione è il farsi un modello per comprendere
quello che avviene nell’altro: anche questo significato del termine simulazione
viene adottato dalla teorie simulazioniste esplicite.
Il primo significato del termine simulazione non è utilizzato, mentre gli altri due possono
essere utilizzati dalle teorie simulazioniste esplicite ma non si capisce come possano
essere utilizzati dalle teorie simulazioniste esplicite: questo perché i neuroni di per sé
non simulano, i neuroni si attivano e basta.
I neuroni non fanno finta di essere nei panni degli altri, c’è semplicemente una
simulazione: il secondo significato del termine simulazione non si può usare per le
teorie simulazioniste esplicite.
I neuroni sono inaccessibili e non si possono usare come modello per comprendere gli
altri: il terzo significato del termine simulazione non si può usare per le teorie
simulazioniste esplicite.
Non si capisce quindi perché viene utilizzato il termine simulazione incarnata per le
teorie simulazioniste esplicite in quanto i neuroni non simulano ma reagiscono, si
attivano e sono inaccessibili e non possono essere usati come modello per
comprendere.
I neuroni si attivano a determinati pattern percettivi, a determinati oggettivi percettivi:
le espressioni e la gestualità degli altri, come mostra il brain imaging, sono degli stimoli
utilitari grazie ai quali dall’esterno si coglie anche l’interno, dall’espressione si coglie lo
stato d’animo, sono degli oggetti emotigeni di per sé.
Di un viso allegro non si colgono gli aspetti geometrici, in quanto si coglie l’emozione
corrispondente.
Attraverso l’esterno si coglie anche l’interno in modo immediato.
Nel mondo esistono anche degli oggetti che hanno delle espressività e in quel caso
cogliere l’esterno è il cogliere qualcosa che è compenetrato dall’emozione che sta
dietro.
Subpersonali significa che sono meccanismi a cui non si ha accesso.
I dati scientifici portano a concludere che si tratta di una percezione invece che di una
simulazione.
I neuroni non si simulano ma reagiscono.
Per usare i neuroni come modello si potrebbe accedere ai neuroni ma i neuroni sono
inaccessibili.

La corteccia prefrontale non si attiva, si attivano la corteccia visiva e la corteccia


motoria: tra l’attivazione della corteccia visiva e l’attivazione della corteccia motoria
passa una manciata di millisecondi.
Stando a quello che dicono i neurofisiologi, tra l’attivazione della corteccia visiva e
l’attivazione della corteccia motoria, dove sta la simulazione?
I neuroni di fronte a particolari pattern percettivi reagiscono e consegnano un
determinato risultato.
Passano una manciata di millisecondi tra l’attivazione della corteccia visiva e
l’attivazione della corteccia motoria: la simulazione dov’è?
Quando si vede un’azione o un gesto di un’altra persona si percepisce direttamente il
significato che sta nell’azione o nel gesto: si percepisce direttamente e non si simula.
I neuroni reagiscono.
Il cervello non simula, il cervello reagisce.
Dalla sola espressione esterna si coglie anche l’interno: vedendo l’esterno si coglie
l’interno.

La fallacia deduttiva del ragionamento per analogia


Le teorie dicono che si conosce che cosa avviene nella mente degli altri attraverso
processi che avvengono internamente.
Ogni volta che si ha un’emozione ci si comporta in un determinato modo, si vede l’altro
comportarsi in quel modo e si conclude che l’altro avrà quell’emozione: i processi per
analogia sono però molto pericolosi.
Un ragionamento di forma deduttiva-sillogistica per essere valido deve contenere solo
tre termini:
1. Tutti gli uomini sono mortali.
2. Socrate è uomo.
3. Quindi Socrate è mortale.
I concetti di questi sillogismo sono uomo, mortale e Socrate: qualsiasi deduzione
sillogistica deve avere tre termini perché altrimenti si potrebbe dimostrare di tutto.

Il ragionamento per analogia è sbagliato perché i termini sono quattro: questa è una
fallacia deduttiva.
Per non essere fallace il ragionamento dovrebbe essere il seguente:
1. Tutti i miei comportamenti fatti in questo modo esprimono questa emozione M.
2. B ha dei comportamenti fatti in questo modo.
3. Allora B manifesta la mia emozione M.
Con il processo per analogia non si arriva all’altro: con l’analogia l’unica cosa che si
può fare è dire che si trova nell’altro la propria emozione, ma non si può dire che si
arriva all’emozione dell’altro.
Un ragionamento per analogia porta a ritrovare sé stesso nell’altro e non a trovare
l’altro.
Nei sillogismi ci vogliono tre termini: affinché il discorso dell’analogia sia valido occorre
che nella conclusione si dica che l’altro soggetto manifesta la mia emozione.

La distinzione tra Körper e Leib e i fenomeni espressivi


Max Scheler è un fenomenologo molto importante dell’inizio del 900.
Il tedesco è una lingua, capace di avere una serie di sfumature che altre lingue non hanno:
per esempio il tedesco ha due termini per indicare il solo termine dell’esperienza (differenza
tra esperienza normale ed esperienza vissuta).
In tedesco per il termine corpo si distingue tra Körper e Leib: Körper è l’oggetto
inanimato che non ha vita, mentre Leib è il corpo vivo e c’è una differenza tra come si
percepiscono i Körper e come si percepiscono i Leib.
Il Leib, il corpo vivo, vissuto in prima persona ha delle caratteristiche: va al di là della
dicotomia tra interno ed esterno quando è vissuto in prima persona.

Si ha a che fare con altri Leib, con altri corpi viventi: c’è una indistinzione tra esterno ed
interno.
Nell’auto affezione quello che si sente passando una mano sull’altra c’è qualcosa di
psichico e di fisico.
Anche gli altri corpi viventi che si incontrano nell’ambiente si considerano come
un’unità di interno ed esterno, così come si percepisce il Leib in prima persona come
un’unità di interno ed esterno.
Percepire nell’ambiente un corpo vivo è cosa del tutto diversa dal percepire una cosa
inanimata: percepire un Leib è cosa diversa dal percepire un Körper in quanto nell’incontro
con altri corpi vivi si ha la percezione di un corpo vivente.
Non si proietta sull’altro sé stesso.

I fenomeni espressivi sono qualcosa che è nel mondo e hanno la caratteristica che,
data un’espressione, l’espressione viene colta come l’espressione di un interno:
attraverso l’esterno si coglie l’interno.
I corpi inanimati non vengono percepiti come si percepiscono i corpi fisici.
I fenomeni espressivi come il pianto, la disperazione e la gioia hanno la caratteristica
che come si coglie l’emozione, si colgono le emozioni soggiacenti.

Il Leib si coglie come un dato fenomenologico e come un dato ontologico insieme: i


Leib sono un insieme di interno e di esterno, è un’entità unitaria che ha fisicità e
psichicità, come si coglie l’esterno si coglie anche l’emozione corrispondente.

Il fatto che ci sia una compenetrazione tra espressione ed emozione corrispondente è


un presupposto tacito che guida sempre: la corrispondenza tra espressione ed
emozione corrispondente si spezza quando si realizza che l’altro mente.
L’inganno non fa che confermare il fatto che nel mondo esistono dei dati oggetti primari,
ovvero i fenomeni espressivi che si colgono come qualcosa che con l’esterno si
comprende l’interno.

Lezione 29/03/2023
Le teorie enattiviste e fenomenologiche contemporanee che sostengono che gli altri
non sono per noi un oggetto fisico che ha una mente nascosta: si percepiscono gli altri
come dei corpi vivi che hanno un interno e un esterno, si arriva alla conoscenza di
base della psiche altrui attraverso i fenomeni espressivi i quali sono fenomeni che
dall’esterno fanno capire l’interno.
Le teorie contemporanee riprendono quello che la fenomenologia negli anni 20 aveva
già evidenziato.
Le mani imploranti non hanno a che vedere con l’espressività e non hanno il significato
di pregare: questo è un errore di Scheler.
L’espressività è compenetrata di un interno.
Un sorriso mostra la mente, mentre il punto di partenza delle teorie simulazioniste
esplicite e della theory of theory è che la mente degli altri è sempre nascosta.
Non c’è una simulazione neuronale, ma sono dei fenomeni espressivi di base che si
trovano nel mondo: c’è una distanza con la simulazione teorica della simulazione
incarnata.
C’è una visione esternalista dei vissuti di base.
Questo non implica che possa essere esperto l’altro nello stesso modo in cui si
esperisce sé stesso: il fatto che venga sostenuto che si colgono direttamente i vissuti
dell’altro, non significa che si vivono i vissuti dell’altro in quanto se così avvenisse
andrebbe a cadere la differenza tra sé stesso e l’altro.
Il fatto che si sostenga che i vissuti di base altrui si colgono direttamente, non significa
che quello che io vivo è quello che vivrebbe l’altra persona perché altrimenti tra me e
l’altro non ci sarebbe differenza: i vissuti emotivi dell’altro hanno una specificità che
rimane intangibile ma questo non vuol dire che i vissuti dell’altro sono nascosti.
E’ evidente che se si colgono direttamente i vissuti dell’altro non significa che siano gli
stessi vissuti, altrimenti salterebbe il concetto di alterità e i due vissuti andrebbero a
coincidere.
Si riconoscono i vissuti dell’altro, non si vivono i vissuti dell’altro.

La parte finale parla di diversi tipi di intersoggettività.


Lo sviluppo ontogenetico è lo sviluppo individuale che dal bambino appena nasce si
ha fino a quando si diventa adulti. Filogenetico è la stessa cosa applicata alla specie.
Ci sono diversi tipi di cognizione sociale, diversi livelli di quello che si intende per
intersoggettività e per comprensione sociale:
● L’intersoggettività primaria, ovvero il cogliere le interiorità attraverso
l’espressività del volto altrui: questo tipo di intersoggettività è primaria non solo
perché appare per prima nello sviluppo ortogenetico degli esseri umani, ma è
primaria perché permane in tutto lo sviluppo degli esseri umani come base di
partenza per la comprensione dei vissuti altrui. La intersoggettività primaria è
quella basata sui fenomeni espressivi che si percepiscono come compenetrati di
esterno e interno ed è primaria perché rimane di base per tutto il vissuto
dell’essere umano. E’ primaria sia perché compare per prima sia perché rimane.
● L’intersoggettività secondaria ha a che fare con il comprendere gli scopi e le
intenzioni delle azioni altrui: a livello ontogenetico, il bambino condivide
l’attenzione su cosa servono gli oggetti, esattamente quello che dice Heidegger
secondo il quale il primo incontro con gli enti intramondani avviene attraverso
l’utilizzabilità. La intersoggettività secondaria ha a che vedere con la
comprensione degli scopi e delle intenzioni degli altri: tutto questo avviene in un
concetto pragmatico e condiviso.
● L’intersoggettività narrativa è quella che nasce ai partire dai quattro anni quando
si capisce che non c’è una narrazione del mondo solo a partire da sé stessi, ma
anche gli altri hanno una narrazione: l’intersoggettività narrativa interviene
quando si ha una meta rappresentazione, ovvero quando si hanno anche le
narrazioni degli altri.
Le teorie simulazioniste esplicite e la theory of theory mettono tutto insieme senza
scindere con le dovute precisazioni i diversi livelli della intersoggettività.
La mente incarnata
La mente incarnata è un altro capitolo di Gallagher-Zahavi.
Per decenni la visione predominante della mente era quella basata sul dualismo
cartesiano, sull’idea che la mente sta al corpo come il software sta all’hardware, che
importante è capire come la mente funziona e non è importante il corpo.
Importanti sono le funzioni.
La base su cui si implementa un programma non è essenziale.
Il dualismo cartesiano implica la distinzione ontologica tra res cogitans e res extensa.
L’altra immagine ripresa da Cartesio è l’immagine secondo cui si potrebbe essere cervelli
in un vasca ma poter comunque controllare il proprio corpo.

Tra gli esperimenti mentali volti a mostrare che il corpo non è indispensabile per la
cognizione, ci sono stati esperimenti mentali ancora più elaborati: Dennett ha proposto
l’esperimento mentale che segue.
Uno scienziato fa sì che il cervello di Dennett fosse staccato dal corpo, messo in una
vasca ma continuasse a guidare il corpo attraverso delle onde radio, il corpo esegue
perché è collegato al cervello tramite onde radio.
Il corpo poi muore: Dennett, ovvero il cervello, si sente male, ha dei contraccolpi.
Gli scienziati riescono a dotare Dannet di un altro corpo e sempre attraverso onde radio
viene nuovamente riunito al cervello con una specificità in più: il cervello di Dennett era
stato copiato e trasposto su un computer.
Al cervello fu fornita la possibilità di poter utilizzare un pulsante con il quale poteva
passare dal comunicare il corpo con il suo cervello reale o con il cervello che era stato
copiato sul computer: poteva con un pulsante scegliere di comandare il corpo o con il
cervello reale o con il suo cervello copiato nel computer.
Dennett sottolinea che c’era una indistinguibilità fenomenica quando stava usando il
suo cervello e quando stava usando il cervello copiato nel computer: non riesce a
distinguere quando comanda il corpo con il suo cervello reale o quando comanda il
corpo con il cervello copiato sul computer.

Gli scienziati cognitivi dicono che ci si deve rendere conto che il corpo plasma il
cervello anche a livello ontogenetico.
Il corpo plasma il cervello, e quindi non è solo un esecutore del cervello, perché per
esempio la posizione retta ha delle ripercussioni a livello filogenetico fondamentale
nell’evoluzione della specie: la posizione retta permette di usare le mani e quindi il
cervello pensa di poter usare le mani. Il corpo plasma il cervello e non viceversa: se il
corpo fosse fatto diversamente si penserebbe in un altro modo.
La posizione retta porta ad una priorità della vista.
La posizione retta fa sì che si possono utilizzare gli utensili: è l’uso che cambia la
pianificazione che il cervello può fare delle cose.
La posizione retta fa perdere l’importanza dell’olfatto.
Se non si avesse un corpo fatto com’è fatto si penserebbe in un modo diverso.

L’illusione della mano di gomma


L’esperimento dell’illusione della mano di gomma mostra che la mente è in simbiosi
con il corpo: torna di attualità il Cartesio della sesta meditazione.
Il vero braccio del ragazzo viene messo al di là della paratia, non vede il suo braccio
reale, e viene invitato a concentrarsi sulla mano di gomma che viene camuffata, ovvero
coperta con il suo reale giubbotto.
Lo sperimentatore inizia con una piuma o con una penna a passare costantemente
sulla mano di gomma facendogli il solletico, provocandogli delle sensazioni: quello
che succede è che dopo un pò di tempo, chiunque venga sottoposto a questo
esperimento, sente delle sensazioni nella mano di gomma, sente la mano di gomma
come se fosse propria.
Questo sta ad indicare che la cesura tra mente e corpo non c’è, il corpo non è un mero
strumento esecutivo ma è parte integrante della mente stessa tant’è che arriva ad
incorporare sia dal punto di vista teoretico sia dal punto di vista della sensazione.
Il dualismo tra corpo e mente è fortemente messo in crisi dall’esperimento della mano
di gomma.
C’è una integrazione continua della mente di tutto ciò che è corporeo, la mente
incorpora tutto ciò che c’è di corporeo nel mondo.
La mente è incarnata nel corpo e non è confinata nel cervello in quanto si estende ed è
in continua interazione con il mondo esterno: si parla di mente estesa.
La mente incorpora quello che c’è dall’esterno: il processo cognitivo si estende a tutto
quello che può essere strumento efficace per il processo cognitivo.
Quando un cieco usa un bastone, quel bastone diventa quasi un altro senso per il cieco
in quanto sente la resistenza alla sua volontà quando qualcosa gli ostruisce la via: è
come se il bastone fosse un prolungamento del suo senso, il cieco sente l’opposizione
in cima al bastone, sente che c’è un ostacolo.
Se il corpo fosse fatto diversamente si avrebbero delle cognizioni del corpo del tutto
diverse.

Le teorie invitano a pensare che il corpo sia assimilabile alla res extensa cartesiana: il
corpo vivo però non è percepito come si percepiscono i corpi fisici.
Il corpo vivo è un corpo sentito che ha delle sue specificità.
Quello che guida le azioni è il senso propriocettivo del corpo, non della mente che
guida.
Il corpo è trasparente nonostante sia tacitamente sottinteso in tutto quello che si fa: il
corpo ha una sua conoscenza tacita che attiene alla sua conoscenza propriocettiva, il
corpo consente di fare dei gesti senza pensare ai gesti, c’è una conoscenza tacita e
trasparente che permette di operare nel mondo.
La conoscenza propriocettiva è sempre operante.
Il corpo non è trasparente quando non risponde in modo automatico, quando non il
corpo non fa un’azione che si vuole fare.
La conoscenza propriocettiva è lasciata fuori dalla prima e seconda meditazione
cartesiana.

Non si considera che il corpo, oltre ad avere questa conoscenza implicita di sé stesso,
ovvero della propriocezione, ha una spazialità peculiare.
Ci sono diversi tipi di spazio:
● Lo spazio allocentrico, ovvero lo spazio delle cartine geografiche, lo spazio
oggettivo, lo spazio così come si può ricostruire guardando su una cartina
geografica.
● Lo spazio egocentrico è lo spazio corporeo. Lo spazio del corpo è sempre
egocentrico perché ha un radicamento deittico (deittico significa che indica
qualcosa): il corpo, la spazialità del corpo è sempre egocentrica perché è sempre
basata sul mio qui (il mio qui è diverso dal qui di un’altra persona), c’è uno spazio
egocentrico nei movimenti corporei. La spazialità del corpo è sempre
egocentrica, ovvero deittica anche se questo aspetto è stato sottaciuto da tutti
questi esperimenti.

Nel movimento, nel rapporto con il mondo è sempre operante lo schema corporeo che
è trasparente, scompare: lo schema corporeo è diverso dall’immagine corporea.
Lo schema corporeo ha a che vedere con la tacita conoscenza senso-motoria,
consente di muoversi nel mondo senza concentrarsi su tutti i movimenti che si fanno in
quanto c’è una conoscenza tacita. Lo schema corporeo non è influenzato
culturalmente.
L’immagine corporea è influenzata culturalmente, per esempio dai canoni di bellezza
del contesto in cui si vive, è condizionata culturalmente.

Il corpo è incorporato nella mente.

Profili, cinestesi e io posso


Si parla di “io posso”, si parla di “competenza cinestetica” e si parla di “profili”: questo ha
a che vedere con la percezione degli oggetti.
Si percepiscono gli oggetti come profili: non si ha la percezione dell’oggetto nella sua
interezza, si vedono gli oggetti nei suoi lati, quando ci percepisce l’oggetto c’è sempre
qualche lato assente, non si ha mai la percezione dell’interezza dell’oggetto. La
percezione degli oggetti non è mai una percezione dell’interezza dell’oggetto, ma
sempre di alcuni lati dell’oggetto: la percezione è per “profili” perché non si vede nella
sua interezza.
Nonostante questo si ha la sensazione di percepire l’oggetto per intero anche se di fatto
se ne percepisce alcuni profili: questo è in virtù dell’”io posso”. Il corpo può sempre
completare la visione dei lati assenti con la “competenza cinestetica”, con la cinestesi,
ovvero semplicemente con il movimento.
Avere la percezione di percepire un oggetto nella sua interezza anche se si vede
l’oggetto solo per profili, è in virtù della cinestesi corporea in quanto muovendosi si
possono percepire anche i lati assenti: questa è una ricaduta sull’elaborazione mentale
di quello che il corpo può fare.
Con la cinestesi “io posso” avere la percezione diretta di quello che prima era assente.
La percezione di un oggetto come intero è il risultato dell’”io posso” del corpo in quanto
si percepiscono gli oggetti con dei profili: con l’”io posso” si comprendono e si
percepiscono anche i lati che prima erano assenti.
Il percepire un oggetto come intero è legato alla cinestesi, all’”io posso” del corpo.
Con la cinestesi non si inferisce quel pensiero in quanto si vede: quello che era assente
diventa presente e quindi non è un’inferenza.
I vari aspetti, anche quelli assenti, diventano presenti in virtù della cinestesi corporea.

Lezione 30/03/2023
Heidegger e il nazismo
I Quaderni neri sono un’opera postuma di Heidegger.
I Quaderni neri sono una vera e propria opera e vengono scritti in un arco di tempo
lunghissimo dal 1931 al 1975, per più di quarant’anni quando Heidegger si trova nel
secondo Heidegger.
Con i Quaderni neri Heidegger parla di metafisica guardando alla realtà che lo
circonda.
Heidegger pensa ai Quaderni neri come ad un’opera da pubblicare
Nel periodo in cui Heidegger scrive con più attenzione agli ebrei e all’antisemitismo si è
tra 1938 e 1941: la parola ebreo compare soltanto 14 volte che rispetto ad un’opera
gigantesca sembra esiguo.
Il suo linguaggio ha un che di poetico e di magico, si tratta di entrare in un universo di
campi semantici: anche la parola ebreo ha un suo campo semantico.
Accanto alla parola ebreo ci sono parole come desertificazione, abilità di calcolo,
sradicamento.
All’interno dell’opera ci sono delle dicotomie.
Secondo Heidegger la storia del mondo si realizza con la rivelazione metafisica.
Heidegger parla dell’Europa come “terra della sera” dove il sole tramonta, si deve
passare la notte per arrivare ad una nuova alba.
La razza è intesa come appartenenza.
I tedeschi vogliono uno sradicamento, vogliono avere il controllo su tutti gli enti che lo
circondano, vogliono che tutti i popoli siano come loro ma allo stesso tempo vogliono
che loro siano l’unico popolo ad avere la purità di sangue e di razza.
La caratteristica dell’ebreo sarà la mancanza nel mondo.
La cultura viene vista come mezzo di potere, mezzo di ragionamento, mezzo per
conquistare il potere.
Heidegger va contro Freud il quale riduce l’uomo ad un animale.
Il bolscevismo secondo Heidegger è originariamente occidentale.
La struttura giudaico cristiana si serve del bolscevismo e del capitalismo che si
generarono a vicenda.
In questo contesto di battaglia, battaglia che si svolge tra due facce della stessa
medaglia, si deve arrivare alla notte del mondo a cui si arriva tramite la guerra la quale è
un processo necessario.
La vera sconfitta è che i tedeschi hanno perso la forza originaria del rinnovamento
spirituale, si lasciano indurre: è l’annientamento dell’essenza tedesca e lì ci sarà
veramente questa notte del mondo.

Dall’inizio dell’800 c’è un’idea di nazionalismo: una razza, una lingua, un popolo e un
sangue.
La Germania è separata in tanti Stati ma questo è compensato dall’idea del sangue: non
c’è l’idea che i tedeschi siano un popolo legato ad una dinastia, ma c’è l’idea che il
popolo tedesco sia unito in un solo sangue, c’è l’idea del folk.
I Cavalieri teutonici avevano intrapreso una strada che, colpendo le popolazioni
inferiori (baltici, russi, estoni, lettoni, lituani), ha trovato la terra che mancava alla
Germania: la colonizzazione è giusta e legittimata.
La Germania perde la Prima Guerra Mondiale e il popolo tedesco ha bisogno di un
capo carismatico.
Il nazional socialismo ha inserito la parola socialismo perché prende il concetto di
pace sociale unito al nazionalismo.
Heidegger non è un nazista della prima ora, conosce il nazional socialismo grazie alla
moglie sin dal 1922: Heidegger appartiene alle Violette di marzo, ovvero a quei nazisti
che si sono iscritti dopo il 25 marzo 1923.
Heidegger combatte nella Grande Guerra.
Ci sono tre fasi del nazismo:
La prima fase va dal 1933 al 1939.
La seconda fase va dal 1939 al 1941.
La terza fase inizia con l’invasione tedesca dell’Unione Sovietica e dalla Conferenza di
Wannsee del 1942.
Bismarck aveva fondato la Germania come comunità e non come razza.
Hitler, a differenza di Bismarck, ha capito che non ci doveva concentrare sulla forma del
sangue tedesco: aveva capito che era importante proteggere la razza.
Hitler afferma il diritto di uccidere gli ebrei dato che nella Prima Guerra Mondiale erano
morti 2 milioni di tedeschi a causa degli ebrei.
Gli ebrei sono una malattia che sta per contagiare il continente europeo (peste ebraica e
bolscevica).
I campi di sterminio hanno portato alla morte 6 milioni di ebrei.

Lezione 31/03/2023
Con la pubblicazione dei Quaderni neri viene allo scoperto quello che Heidegger aveva
sempre negato, era rimasto nascosto nella sua filosofia.

L’ariosofia: il lato esoterico del nazismo


In tutte le società che c’erano prima dell’avvento di Hitler c’era una componente che
Hitler rese politicamente radicale, l’arianesimo: ci fu una costruzione teorica fortissima
intorno all’arianesimo.
Al tempo si parlava di ariosofia, ovvero la sapienza intorno all’essere ariano.
Per l’odio verso gli ebrei ci fu una costruzione religiosa: l’odio verso gli ebrei nasceva
dal fatto che gli ebrei si venivano considerati come popolo eletto e si pensava anche che
gli ebrei commettessero degli omicidi ai danni dei cristiani per ricavarne il sangue.
La destra fortemente antisemita costruì il suo nemico sulla base del collante che aveva
a che fare con la visione mitopoliedrica: cominciò a circolare l’idea che ci fosse un
popolo più eletto degli ebrei, ovvero il popolo ariano che veniva inserito in un’altra
immagine del mondo.
C’era l’idea che Dio avesse creato il mondo, poi si fosse ritirato e avesse affidato ad un
popolo eletto la continuazione del mondo: c’era l’idea che il popolo eletto fosse il
popolo ariano.
La stirpe germanica era considerata la stirpe più eletta degli ebrei e, attraverso una
attenta politica della sessualità e delle nascite, aveva il compito di mantenere la
purezza del sangue.
La cultura del sangue nasce dal fatto che il popolo ariano, il ceppo ariano è più eletto di
quello ebreo e dunque va mantenuta l’integrità del suo sangue.

Le società tedesche
Intorno a tutto questo, molta parte del nazismo a livello folkish era coinvolta attraverso la
miriade di società che c’erano prima dell’avvento del nazismo.
L’idea è che anche prima della Prima Guerra Mondiale gli ebrei avevano fatto la guerra
perché avevano contaminato il sangue: la risposta dei tedeschi doveva quindi essere
pari e superiore, occorreva rispondere con qualcosa di ancora più potente all’attacco
che gli ebrei fanno alla stirpe ariana.
A partire dal 900 cominciano a nascere le Gesellschaft, ovvero le Società.
Una delle società fondamentali fu la società di Guido von List il quale faceva parte di
una società viennese, era un sostenitore del pangermanesimo: mescola l’esoterismo
cattolico, l’occultismo, il populismo, l’anti ebraismo ed ebbe un successo popolare
molto potente.
Questa prima società cominciò a combattere tutte queste idee mito poliedriche.

La Thule era un’isola di cui si parlava dal 300 a.C., l’isola dove per sei mesi c’era sempre
il sole, l’isola a cui avevano accesso solo gli eletti, ovvero gli ariani, alcuni storici hanno
localizzato questa isola nell’Islanda: è una cosa mitologica che nasce nell’antichità.
A causa di un cambiamento climatico il popolo ariano ha dovuto abbandonare l’isola e
quindi si è disperso.
C’è la Thule Gesellschaft (Società Thule): fa riferimento al fatto che la Thule, l’isola degli
eletti è stata dovuta abbandonare dagli ariani e quindi si doveva ricostruire, attraverso
la cultura del sangue, il ceppo originario.
La Thule Gesellschaft ebbe un’espansione particolare forte a Monaco e non a caso il
Deutsche Arbeiterpartei (DAP, fondato nel 1919) aveva come riferimento questa società:
dal Deutsche Arbeiterpartei nasce il Partito nazional socialista. Entrambi i Partiti erano
del tutto osmotici con la Thule Gesellschaft che era impregnata della ariosofia.
Della Thule Gesellschaft fecero parte Rudolff Hess, Rosenberg, Goring, Himmler (capo
delle SS)
Il simbolo della Thule Gesellschaft era la svastica, simbolo che rappresenta la nascita,
il divenire e la morte, svastica che diventerà il simbolo del Partito nazista.

Hitler riesce anche a collezionare, a mettere in un contenitore unico tutto questo sentire
diffuso in queste società austriache e tedesche: il culto ariano fu un altro dei collanti.
Hitler supera la frammentazione delle sette e fa venire fuori la visione totalizzante.
C’è una scaltrezza di Hitler nel mettere insieme quello che era un sentire comune e
fortemente radicato sia in area austriaca e sia in area tedesca: la componente esoterica
dell’ariosofia a livello del pensiero populistico era molto diffusa.
La scaltrezza di Hitler fu quella di usare questo diffuso sentire del pensiero populistico
che ha inizio agli inizi del 900.

Heidegger, pur avendo fatto una grande filosofia, tra il 1909 e il 1912 fece parte della Lega
del Graal (Gralbund) fondata da Richard von Kralik il quale introdusse l’idea del Cristo
germanico, fu un’integralista cattolico, teorico del nazismo.
La Lega del Graal è incardinata sulla figura di Abraham a Sancta Clara, religioso che
opera alla fine del 600 che faceva parte dell’ordine degli agostiniani scalzi: ad Abraham
a Sancta Clara si deve l’idea che gli ebrei si macchiavano di omicidi occulti per ricavare
il sangue per scopi sacrificali.
La setta della Lega del Graal era basata sull’ariosofia.
Heidegger pubblicò e fu tra i promotori di una commemorazione di Abraham a Sancta
Clara.

Nel 2014 non erano ancora venuti fuori i Quaderni neri dove si capisce l’inclinazione di
Heidegger.

Heidegger lavora con personaggi come Goebbels, Goering e Rosenberg e fu docente


di Weltanschauung.
Il discorso del Rettorato del 1933 è una sostanziale adesione di Heidegger al nazismo.
Il discorso dell’essere autentico, dell’essere inautentico, lo smascheramento dei
comprimenti che occultano l’accesso all’essere sono termini che Heidegger non usa in
riferimento alla componente ebraica o ariana: calata nel contesto però poteva risultare
gradita dal nazismo.
Nel libro Salon Deutschland vengono descritte tutte le serate organizzate a casa dei
Bruckmann, grandi editori tedeschi, a cui partecipavano tutti gli intellettuali del tempo:
nella prima serata fu invitato Chamberlain, ma partecipavano anche personaggi come
Thomas Mann. In questo circolo, in questo salotto partecipavano anche intellettuali
ebrei come il poeta Hugo von Hofmannsthal. Leggendo il libro si ha di fronte il dramma
dell’ebreo tedesco che ha dato tanto alla Germania e che è lacerato tra l’essere
tedesco e l’essere ebreo. C’erano ebrei tedeschi che partecipavano a queste serate.
C’era un clima culturale dove ebrei e tedeschi si incontravano e non parlavano di
sangue.
L’ebreo tedesco ha dato un contributo fondamentale alla cultura tedesca ed è quindi
diverso dall’ebreo polacco: alcuni nomi sono Heine, tra i più importanti poeti tedeschi,
Jacobi, grandissimo matematico.
Husserl, Cassirer, Scheler, Simmel, Cohen, Lask, Reichenbach (cofondatore
dell’empirismo logico), Adorno sono ebrei: la cultura filosofica nei primi decenni del 900
era tutta ebrea e da questo punto di vista si vede molto bene il dramma dell’ebreo che
consiste nell’oscillare tra l’essere ebreo e l’essere tedesco.

Il caso Pollini è stato un caso in Germania che porta a far emergere il fatto che in
Germania, nella disattenzione generale, nel 1968 fu fatta una legge appoggiata da
Dreher che porta a far prescrivere e salvare tutti i reati dei nazisti di personaggi che
erano elencati nei processi di Norimberga: con questa legge caddero tutti nella
prescrizione.

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