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Istituto Comprensivo “S.

Pertini 1-2”
Reggio Emilia

Classi Seconde

Nome ………………………….. Cognome …………………………

Classe ………….. Anno Scolastico ……………………..

Prof. Romagnani Francesco


LA VOCE
L’apparato vocale è composto da un insieme di organi che concorrono alla fonazione di un suono
particolare com’è quello della voce.
L’organo più importante che presiede alla formazione del suono vocale è la laringe. La laringe è una
cavità nella quale passa l'aria con cui respiriamo ed è situata nella parte anteriore del collo.
Quando si parla o si canta, l’aria immessa nei polmoni viene spinta attraverso l’uso del diaframma (muscolo
sottile che separa la cavità addominale da quella toracica) verso la trachea e la laringe, al cui interno si
trovano le corde vocali, sottili pieghe di membrana, formate da un tessuto elastico, morbido e dilatabile.
Le corde vocali sono quattro: due, poste in alto, dette false; due inferiori, dette vere. Solo queste ultime
producono il suono. Quando respiriamo esse, stanno in posizione di riposo, cioè lontane l'una dall'altra;
quando invece parliamo e cantiamo si avvicinano, lasciando però un piccolo passaggio per l’aria che fa
vibrare le corde vocali.
Queste vibrazioni, risuonando nella cavità della faringe e della bocca, producono i suoni della voce
articolata. Anche la testa è un’altra importante cassa di risonanza e dalla sua forma dipendono il timbro e altre
sfumature sonore che caratterizzano la voce di ciascuno di noi. Le vocali e le consonanti corrispondono a
diversi atteggiamenti e all’insieme delle varie posizioni in cui si trovano labbra, lingua e denti. All’orecchio
spetta il compito di controllare l’intensità, il timbro e l’intonazione, cioè la riproduzione corretta delle altezze
di ciò che si canta.
Una corretta respirazione diaframmatica ci consente di cantare con minor fatica e con migliori risultati
(grande estensione e grande sonorità). Per ottenere tali risultati la voce deve essere educata con tecniche
appropriate, fino a divenire voce “impostata”, che è assai diversa dalla voce “naturale”.

Principali differenze tra voce impostata e naturale


Impostata Naturale
 utilizza una tecnica che richiede una particolare  la regolazione è istintiva e sfrutta la minima
impostazione della gola e della posizione della quantità di aria
mandibola  il volume e l’estensione sono limitati
 il volume e l’estensione sono più intensi e ampi  utilizza una respirazione normale
 utilizza una piena respirazione diaframmatica  concentra lo sforzo sulle corde vocali (voce di
 permette di cantare quasi senza sforzo brani gola)
molti difficili  i passaggi fra i registri grave, medio e acuto
 le vibrazioni delle corde vocali vengono sono poco omogenei
sostenute anche dalle altre cavità orofaringee
 i passaggi fra i registri grave, medio e acuto
sono più omogenei

Principali differenze tra parlato e cantato


Parlato Cantato
I suoni sono emessi per la maggior parte senza una I suoni sono sempre intonati e corrispondono a note
intonazione precisa precise
I suoni sono emessi senza rapporti precisi di durata I rapporti tra i suoni sono stabiliti da valori precisi

Le voci bianche
Le corde vocali sono diverse da individuo a individuo e subiscono graduali modificazioni nel corso
della vita, poiché perdono una parte di elasticità. Le voci dei bambini fino all’età dello sviluppo (13-16
anni) hanno un timbro chiaro e sono piuttosto acute, in quanto le corde vocali sono sottili e molto
elastiche. In coincidenza poi con lo sviluppo fisico ormonale, le corde vocali maschili diventano
lentamente più spesse, perdendo una parte di elasticità, per cui la voce assume un'intonazione più grave
(muta di voce); le donne, invece, mantengono un'intonazione più acuta poiché l'ispessimento delle corde
vocali è minimo.
C’E’ CORO E CORO

In base alla sua struttura ed al suo impiego il coro può essere:

 monodico o omofonico, quando tutti i cantori intonano la stessa melodia;


 polifonico, quando i cantori si dividono in più parti, ciascuna con una precisa linea
melodica;
 di voci bianche, se è costituito solo da voci di bambini e bambine;
 a voci pari, se è formato esclusivamente da voci dello stesso sesso;
 a voci dispari o misto, se è formato da voci dei due sessi;
 omoritmico, se le varie voci intonano contemporaneamente melodie diverse, ma
tutte con lo stesso ritmo;
 contrappuntistico, quando i cantori cantano contemporaneamente melodie diverse
intrecciate tra loro;
 parlato, quando i cantori non cantano ma si limitano a declamare il testo;
 vocalizzante, quando i coristi non intonano alcun testo ma si limitano a
vocalizzare;
 a bocca chiusa, in tal caso i vocalizzi risultano più sommessi e delicati;
 a cappella, quando le voci non hanno alcun accompagnamento strumentale;
 concertante, quando le voci sono unite ad un’esecuzione strumentale;
 battente o spezzato, quando i coristi vengono disposti in più punti diversi e
distanti fra loro, in modo da creare un gioco di richiami e di risposte.

Classificazione delle voci


VOCI FEMMINILI
Soprano Voce molto acuta e squillante
Mezzosoprano Voce mediamente acuta, dal timbro pieno e caldo
Contralto Voce acuta, ma molto vicina al timbro maschile

VOCI MASCHILI
Tenore Voce non molto grave, melodiosa e limpida
Baritono Voce mediamente grave, vicina alla voce parlata
Basso Voce molto grave e scura
TONI E SEMITONI
Se osservate qualunque tastiera vi accorgerete che essa è composta da tasti bianchi e tasti neri sistemati con
un certo criterio. Noterete che, con regolarità, manca il tasto nero tra le note Mi e Fa e tra le note Si e Do. Tra tutte
le altre note, invece, esiste un tasto nero; quest’ultimo produce un suono di altezza intermedia tra i due tasti
bianchi: un po’ più acuto di quello prodotto dal tasto bianco precedente e un po’ più grave di quello seguente.
L’intervallo tra il tasto nero e il tasto bianco vicino si chiama semitono e così pure l’intervallo tra due tasti bianchi
vicini che non hanno tra loro il tasto nero. Invece, l’intervallo tra i due tasti bianchi che hanno fra loro il tasto nero
è chiamato tono: esso è formato dalla somma di due semitoni. Ecco alcuni esempi:

Do  Re = un tono Sol  La = un tono


Re  Mi = un tono La  Si = un tono
Mi  Fa = un semitono Si  Do = un semitono
Fa  Sol = un tono

LE ALTERAZIONI MUSICALI

Quando fra due suoni naturali e congiunti intercorre la distanza di un tono, questo - come si è visto - può
essere diviso in due semitoni. Sulla tastiera del pianoforte tale divisione è realizzata da quei suoni intermedi
prodotti dai tasti neri. Grazie a questi suoni intermedi, ogni suono naturale (Do-Re-Mi-Fa-Sol-La-Si) può essere
innalzato o abbassato di uno o più semitoni. Tali modifiche vengono chiamate alterazioni. Le alterazioni sono
indicate da particolari segni che si scrivono a sinistra dei suoni, oppure dopo la chiave all’inizio del brano
musicale. Le alterazioni semplici sono:
 Il Diesis ( # ) indica che il suono naturale deve essere innalzato di un semitono (verso destra sulla tastiera);
 Il Bemolle ( b ) indica che il suono naturale deve essere abbassato di un semitono (verso sinistra);
 Il Bequadro ( )indica che il suono, alterato in precedenza con un diesis o con un bemolle, deve tornare allo
stato naturale; il bequadro, quindi, cancella l’alterazione.
Quando i diesis e i bemolli sono posti immediatamente dopo la chiave, si chiamano alterazioni fisse o
alterazioni in chiave; in questo caso tali alterazioni mantengono il loro effetto per tutta la durata della
composizione, a meno che non si vogliano momentaneamente cancellare con l’uso del bequadro. Le alterazioni
fisse che si scrivono dopo la chiave possono raggiungere il numero massimo di 7 diesis o 7 bemolli.
Se invece le stesse compaiono davanti alle note singole, si dicono alterazioni transitorie o momentanee e
valgono solo nella battuta in cui si trovano e per tutte le note che seguono, nella stessa battuta, aventi nome
uguale.
I SUONI OMOFONI

Ogni tasto nero, pur avendo un’intonazione unica, può essere indicato con due nomi diversi a seconda che
esso rappresenti l’innalzamento del suono a sinistra di un semitono (#) o l’abbassamento del suono a destra di un
semitono (b). I suoni che, pur cambiando nome a seguito delle alterazioni mantengono in realtà la stessa
intonazione, si dicono suoni omofoni. Ecco alcuni esempi con alterazioni semplici:

 Do# = Reb  Sol# = Lab  Dob = Si


 Re# = Mib  La# = Sib  Mi# = Fa
 Fa# = Solb  Si# = Do  Fab = Mi

LA SCALA MUSICALE
Per comporre musica ogni civiltà ha sempre utilizzato uno specifico sistema di suoni; in altre parole ogni popolo,
come ha la sua lingua, i suoi vocaboli, la sua grammatica e la sua sintassi, così ha anche la sua musica, con i suoi suoni, le
sue regole e le sue scale musicali.
Per scala musicale intendiamo una successione graduale di suoni che si succedono senza salti e che iniziano e
terminano con la ripetizione dello stesso suono. La scala può essere ascendente, se le note vanno dal grave all’acuto,
discendente, se le note vanno dall’acuto al grave. Essa può essere formata a partire da una qualunque nota e prende il
nome della nota di partenza, che è poi anche quella di arrivo.
La scala naturale o diatonica è formata da cinque intervalli di tono e due intervalli di semitono; ha un
andamento semplice e diretto, e per questo comunica generalmente impressioni di linearità e chiarezza.
Un tipo di scala molto particolare è la scala cromatica che è composta da 12 semitoni corrispondenti ai tasti
bianchi e neri del pianoforte. Questa scala attribuisce un “colore” del tutto particolare alla melodia dando un’impressione
di sinuosità, incertezza e ambiguità.
Il nostro sistema musicale tradizionale (sistema tonale) è basato sull’uso prevalente di soli due tipi di scale: la
scala di modo maggiore e la scala di modo minore.

LA SCALA MAGGIORE
Prendiamo come modello base la scala che parte dalla nota Do, che sicuramente tutti conoscete; essa è composta
dalle seguenti note: Do Re Mi Fa Sol La Si Do.
Analizzando la distanza che intercorre fra un suono e un altro, noteremo che la struttura risulta formata da cinque
toni e due semitoni disposti in quest’ordine:

DO RE MI FA SOL LA SI DO
             
Tono Tono Semitono Tono Tono Tono Semitono

Questa scala è detta diatonica naturale maggiore perché è composta di soli suoni naturali e ha il semitono fra il
terzo e quarto e fra il settimo e l’ottavo grado.
Essa tuttavia, non è l’unica scala di modo maggiore che sia consentito usare: è infatti possibile costruire altre
scale maggiori partendo da ciascuno degli altri undici suoni disponibili, ottenendo così una scala di Sol maggiore, una di
Re maggiore, una di Sib maggiore, una di Fa# maggiore, ecc. Per costruire queste scale dobbiamo però rispettare
l’ordine di toni e semitoni servendoci delle note alterate. Ecco alcuni esempi:

Nome della scala Note che compongono la scala


Scala di Sol Sol La Si Do Re Mi Fa# Sol
Scala di Fa Fa Sol La Sib Do Re Mi Fa
Scala di Re Re Mi Fa# Sol La Si Do# Re

LA SCALA MINORE

Il nostro sistema tonale si serve non sola della scala di modo maggiore, ma anche di un altro tipo di scala, detta di
modo minore. Questo secondo tipo di scala presenta una diversa successione di toni e di semitoni; anch’essa fa uso di
sette suoni separati da cinque intervalli di tono e da due di semitono, tuttavia li distribuisce in modo diverso. La scala
modello che prendiamo in considerazione è quella di La:

LA SI DO RE MI FA SOL LA
             
Tono Semitono Tono Tono Semitono Tono Tono

Dunque la scala di modo minore naturale presenta i due intervalli di semitono fra il secondo e il terzo e fra il quinto e
sesto grado. Ci sono diverse varianti di scale di modo minore e ciascuna di esse ha una diversa disposizione di toni e
semitoni. Le scale minori più usate sono: la Scala minore naturale, la Scala minore armonica e la Scala minore melodica.

Nome della scala Successione degli intervalli


Scala minore naturale Tono  Semitono  Tono  Tono  Semitono  Tono  Tono
Scala minore armonica Tono  Semitono  Tono  Tono  Tono + Semitono  Semitono
Scala minore melodica Tono  Semitono  Tono  Tono  Tono  Tono  Semitono

A causa della diversa distribuzione degli intervalli, i due modi maggiore e minore sono differenti all’ascolto e
quindi possiedono un diverso carattere.
Il modo maggiore suscita di solito sensazioni di sicurezza, energia, serenità, ottimismo, allegria; il modo
minore evoca sensazioni di tristezza, oscurità, chiusura, oppure per dare luogo a situazioni espressive agitate e
drammatiche.
Non per questo però è impossibile trovare brani in modo minore che siano ricchi di vigore e di slancio, è pure
possibile trovare brani in modo maggiore ricchi di nostalgia e di pessimismo. Ma in linea generale le differenze
rimangono quelle sopra elencate.
I gradi della scala: significato e funzioni
A seguito del posto che le note occupano nella scala, esse prendono il nome di gradi e si contano con i numeri
romani (I, II, III, IV grado, ecc.). Ogni grado della scala ha un nome proprio:

Tonica Sopratonica Modale Sottodominante Dominante Sopradominante Sensibile


I grado II grado III grado IV grado V grado VI grado VII grado

Proprio come nella società le persone hanno ruoli diversi in base alla loro capacità e al loro carattere, nella scala
musicale ogni grado ha una personalità e funzione ben precisa.
Il 1° grado è detto “tonica” poiché‚ da esso deriva il nome della tonalità. La tonica è la nota che dà stabilità al
brano musicale, quella che attira a sé le altre note e con la quale viene naturale concludere il brano stesso.
Il 5° grado, “dominante”, deriva il suo nome dalla posizione più alta, dominante appunto, che possiede
nell'accordo tonale. Mentre la tonica è la nota della stabilità, la dominante è la nota più dinamica della scala, quella che dà
movimento, tensione al brano. Tonica e dominante rappresentano due “poli” di attrazione del discorso musicale; esse sono
cioè note verso le quali “tendono” le altre note della scala.
Il 3° grado è molto importante nell'ambito della scala, poiché‚ da esso dipende il modo (maggiore o minore) della
scala stessa: ecco perché‚ viene denominato “modale”. Appartiene al “polo” della tonica; è dunque una nota di stabilità.
Ed infine, l'origine del termine “sensibile” per il 7° grado va ricercata nella distanza di semitono che separa tale
grado dalla tonica. Questo determina nel VII spiccata attitudine (o sensibilità) a muoversi (o, come si usa dire, a risolvere)
verso grado superiore più stabile, la tonica appunto.
Semplificando, possiamo dire che un brano musicale si sviluppa secondo un alternarsi di momenti di riposo e
momenti dinamici più o meno forti, fino al riposo conclusivo.

La tonalità, la modulazione e il trasporto


La tonalità è l’insieme dei principi che regolano i rapporti tra le note e gli accordi in una melodia. Ogni scala determina
una tonalità ben precisa che si riconosce dalle alterazioni in chiave.
La modulazione indica il passaggio graduale e senza interruzioni da una scala all’altra all’interno di una composizione. A
differenza del trasporto, la modulazione può avvenire anche tra modi diversi (da maggiore a minore e viceversa).
Il trasporto è quel procedimento che ci permette si spostare una melodia su note più alte o più basse adattandole
all’estensione della nostra voce o di uno strumento. Il metodo del trasporto prevede che tutti gli intervalli tra i diversi
suoni rimangano invariati, quindi se il brano è in tonalità maggiore rimane di modo maggiore, se il brano è in tonalità
minore rimane di modo minore.

Determinazione della tonalità di un brano musicale


Giunti a questo punto avrete notato che alcune scale maggiori hanno lo stesso tipo e numero di alterazioni di altre
scale minori. In particolare:
 Do maggiore e La minore non hanno alterazioni;
 Sol maggiore e Mi minore hanno in chiave il Fa#;
 Re maggiore e Si minore hanno in chiave il Fa# e il Do#.
Ma questo non è un caso: infatti tutte le 12 scale maggiori hanno una corrispondente scale minore. Questa relativa
minore si trova sempre tre note più in basso della maggiore.
Per scoprire su quale scala e quindi in quale tonalità è scritto un brano musicale bisogna seguire le regole seguenti:
 individuare la tonalità maggiore tramite le alterazioni in chiave e ricavare subito anche la sua relativa minore;
 osservare la prima e soprattutto l’ultima nota del brano in quanto spesso è la nota tonica;
 esaminate le note delle prime misure del brano. Generalmente vi sono nascoste le note dell’accordo di tonica della
tonalità.
Queste indicazioni a volte non sono sufficienti per stabilire con precisione la tonalità di una melodia perché vi sono
tante altre regole più complesse e molte eccezioni.
L’ARMONIA E GLI ACCORDI
Sappiamo che la melodia è una sequenza di suoni, diversi per altezza, per durata e organizzati ritmica-
mente, che procede in senso orizzontale. Per essere completa una melodia ha però bisogno di un sostegno, di un
accompagnamento che ne definisca meglio il carattere creando un’atmosfera sonora atta a mettere in rilievo
l’espressività dei singoli suoni. Questo sostegno è dato dall’armonia, scienza che studia le combinazioni dei
suoni sovrapposti ed eseguiti simultaneamente, cioè gli accordi.
I suoni che formano l’armonia, al contrario della melodia, sono disposti verticalmente sul pentagramma.
La voce umana, per esempio, così come il flauto dolce, non ha la possibilità di produrre delle armonie, cioè più
suoni contemporaneamente. Possiamo realizzare, però, delle armonie con la voce quando cantiamo in coro, se
ci dividiamo in gruppi che intonano note diverse. La stessa cosa è possibile anche con il flauto e altri strumenti
monofonici. Gli strumenti, invece, che sono in grado di produrre più suoni contemporaneamente si dicono
polifonici come, ad esempio, il pianoforte, l’organo e la chitarra. La combinazione delle note in musica non
avviene evidentemente in modo casuale, ma segue delle regole.

COME SI COSTRUISCONO GLI ACCORDI

Fondamento principale dell’armonia, e quindi dell’accompagnamento, è l’accordo, cioè un insieme di


almeno tre suoni diversi suonati contemporaneamente. Tali accordi nella loro forma più semplice (detta fonda-
mentale) sono costituiti da suoni disposti uno sull’altro a distanza di terza partendo da un suono base: tale di-
stanza si conteggia calcolando, di volta in volta, tre suoni successivi della scala. Ad esempio: Do e Mi sono due
suoni a distanza di terza e così Re–Fa, Mi-Sol, Fa-La, ecc.

L’accordo può essere formato da tre suoni: in tal caso si chiama triade; oppure da quattro suoni (qua-
driade). Due suoni sovrapposti non danno origine a un accordo ma a un bicordo.
Ovviamente la sovrapposizione di suoni a distanza di terza può continuare fino ad avere in pratica tutti e
sette i suoni, ma in genere gli accordi formati da 3 e 4 suoni diversi sono più che sufficienti per fare da
accompagnamento.
L’accordo si dice che è “rivoltato” quando al grave non abbiamo più la nota fondamentale, ma una
delle altre due note costituenti l’accordo. In questo modo l’accordo di tre suoni si può presentare in tre
posizioni diverse (fondamentale, 1° rivolto e 2° rivolto).

Gli accordi allo stato fondamentale si classificano in base agli intervalli da cui sono formati. Se il
primo intervallo è di due toni si dice accordo perfetto maggiore; se il primo intervallo è di un tono e mezzo si
dice accordo perfetto minore.
I suoni chiamati a formare gli accordi devono, per un chiaro principio di coerenza, far parte di quella
stessa scala, cioè di quella stessa tonalità in cui si svolge la melodia.
Sappiamo che nel sistema tonale la melodia è costruita a partire da una scala (o tonalità), e che nella
scala vi sono due gradi particolarmente importanti: la tonica (1°) e la dominante (5°). La tonica è la nota che
chiude la melodia, la dominante è la nota di movimento che precede la chiusura. E’ del tutto logico che
l’accordo costruito sulla tonica sia in genere l’accordo di chiusura, e quello costruito sulla dominante sia
l’accordo del movimento o dell’apertura. Utilizzando i soli accordi di tonica e dominante è già possibile
realizzare una armonizzazione elementare di frasi melodiche di semplice fattura.
Molte canzoni di musica leggera basano il loro accompagnamento sul cosiddetto giro di accordi: si
tratta di un gruppo di accordi che si succedono nello stesso ordine per tutta la durata del brano. Ecco alcuni dei
giri armonici più semplici:

Giro di Do Do Lam Rem Sol7 Giro di Re Re Sim Sol La7


Giro di Sol Sol Mim Lam Re7 Giro di Fa Fa Rem Sib Do7

ACCORDI CONSONANTI E DISSONANTI

I sette suoni naturali ed i cinque alterati, quando vengono variamente sovrapposti per formare gli
accordi, risultano fra di loro ora molto o poco consonanti ora molto o poco dissonanti: il altre parole ogni
suono “suona bene” se unito con alcuni suoni, meno bene se unito con altri.
Ora non crediate che in musica si utilizzino solo accordi consonanti: si usa una giusta alternanza fra ac-
cordi consonanti e dissonanti. Questi ultimi, con il loro effetto aspro e teso, generano al nostro orecchio una
sensazione di movimento, di tensione, di sospensione, fanno cioè sentire l’esigenza di andare a “risolvere”, di
spostarsi su accordi più consonanti: questi infatti, con la loro piacevole fusione, creano un effetto di riposo, di
rilassamento e di conclusione.
In musica dunque si sfrutta moltissimo questa continua alternanza fra sensazioni di tensione ed altre di
rilassamento, cioè fra accordi dissonanti e consonanti: è infatti proprio questa alternanza che funzione come
“motore” del discorso musicale, che aiuta il discorso musicale a svolgersi nel tempo.

L’ACCORDO DI SETTIMA ED ALTRE VARIANTI

Gli accordi di quattro suoni sono definiti di “settima”, in quanto la distanza dei due suoni estremi
dell’accordo è appunto di sette suoni: es. Do Mi Sol Si.
L’accordo di settima ha uno spiccato carattere di instabilità e di moto e tende a “risolvere” sull’accordo
più stabile di tonica.
Come un accordo maggiore può divenire una settima aggiungendo un’altra nota, così è possibile,
sempre partendo da una triade, ottenere nuovi accordi inserendo altri suoni alla triade di base. I nuovi accordi
acquistano una sonorità caratteristica, e rendono assai più varia l’armonizzazione di un brano. Ecco le varianti
più diffuse:
 l’accordo di quarta, che si realizza aggiungendo alla triade il quarto suono partendo dalla nota base;
 l’accordo di sesta, che si realizza aggiungendo alla triade il sesto suono partendo dalla nota base;
 l’accordo di nona, che si realizza aggiungendo alla triade il nono suono partendo dalla nota base.

GLI ACCORDI SUL PENTAGRAMMA

Spesso, specie nelle partiture per canto, gli accordi sono indicati sul pentagramma con forme abbreviate,
dette cifrato.
Gli accordi maggiori sono indicati con il suono fondamentale e il segno + (es. Do+) oppure M (es.
DoM), mentre gli accordi minori sono indicati con il suono fondamentale e il segno – (es. La-) oppure m (es.
Lam). Se accanto alla nota fondamentale compare un numero: 7, 4, 6, ecc. (es. La7, RE4, Do6), significa che
all’accordo è stato aggiunto un altro suono che si trova ad una distanza di sette, di quattro, di sei suoni dal
primo.
Va ricordato che negli spartiti inglesi o americani gli accordi sono indicati mediante lettere
dell’alfabeto: A = la; B = si; C = do; D = re; E = mi; F = fa; G = sol.
MUSICA E PUBBLICITÀ
La pubblicità è una forma di comunicazione che ha lo scopo di farci ricordare il prodotto reclamizzato e di
indirizzare su di esso la nostra scelta al momento dell'acquisto. La pubblicità può anche avere uno scopo sociale per
campagne di persuasione organizzate dallo Stato, da Enti Locali o da Associazioni su temi di significato civile o
sanitario (per donare il sangue, per la sicurezza stradale, per la difesa del verde, per la lotta contro il fumo, per
tenere le città pulite, ecc.).
La pubblicità non lascia nulla al caso e ogni suo elemento è attentamente studiato, previsto e programmato
dall'équipe di persone (agenzia pubblicitaria) che predispone una campagna pubblicitaria per un determinato
prodotto. Per raggiungere questo obiettivo la pubblicità utilizza un particolare linguaggio basato su collaudati
meccanismi di persuasione che fanno leva sui nostri desideri, sulle nostre aspirazioni e convinzioni.

Leggere la pubblicità
Saper leggere la pubblicità significa essere liberi di scegliere, saper scoprire ciò che oggettivamente è vero e
ciò che invece è soltanto finalizzato ad influenzare l'ascoltatore.
Il linguaggio della pubblicità utilizza la collaborazione tra codici diversi (verbale, visivo, sonoro, gestuale)
tipica del linguaggio cinematografico e anche la musica svolge un’importante funzione che va analizzata e
compresa.
La pubblicità presente nella stampa e nei manifesti utilizza il codice verbale e il codice grafico-visuale;
quella trasmessa alla radio utilizza il codice verbale e quello sonoro, al cinema e alla televisione si arricchisce anche
del codice gestuale.
C’è anche da sottolineare che il linguaggio verbale, utilizzato nella pubblicità, fa spesso ricorso a figure
retoriche di suono quali l’allitterazione, l’onomatopea, l’assonanza e la rima, che facilitano la memorizzazione e
aumentano, di conseguenza, il potere di persuasione dei messaggi.
Anche la musica, che è naturalmente presente solo negli spot radiofonici e televisivi, è impiegata con
grande attenzione e intelligenza, dovendo concorrere, alla pari dell’immagine e del parlato, al convincente risultato
finale.

La pubblicità su periodici
Le immagini pubblicitarie che sono inframmezzate agli articoli dei periodici e dei quotidiani sono caratterizzate dai
seguenti elementi:
 Visual: l’immagine, unica o principale, costituita da una fotografia o, più raramente, da un disegno, che comunica il
messaggio della pubblicità.
 Headline: titolo cioè riga di testo in carattere più grande che rafforza e sottolinea l’immagine del visual (è detta
anche slogan).
 Bodycopy: è formato da alcune righe di testo in carattere minore, che illustrano più in dettaglio le caratteristiche e
l’impiego del prodotto pubblicizzato.
 Marchio: è un contrassegno distintivo di un prodotto o di un’azienda, costituito da quattro elementi fondamentali: il
nome, il logotipo, i colori e il simbolo (la mela di Apple o il coccodrillo di Lacoste).
 Logotipo o logo: è il modo particolare con cui sono tracciati i segni grafici (in genere le iniziali) del nome di
un’azienda o di un prodotto, di cui, di solito, costituisce anche il marchio. Molto spesso, marchio e logotipo
coincidono.

Gli spot televisivi


Gli spot sono brevi filmati che in pochi secondi (da 10 a 30 circa) con immagini in movimento, parole e
musica illustrano le caratteristiche e le qualità del prodotto. Spesso nello spot c’è una storiella o scenetta con una
semplice trama, chiamata story-board (piano della storia). Ogni spot, in base alle indagini di mercato, che
stabiliscono chi siano i consumatori preferenziali di un dato prodotto, si rivolge ad un pubblico determinato, che è
il target (la parola significherebbe "bersaglio"). Di norma il target di una pubblicità viene stabilito in base al sesso,
all'età, all'area geografica e alla classe sociale. Uno spot che reclamizzi un'auto di grossa cilindrata dovrà colpire
l'attenzione e soddisfare le aspettative di un pubblico adulto, prevalentemente maschile, appartenente alla classe
sociale alta o medio-alta; il target degli spot sui detersivi sono, normalmente, le donne, ecc. Ci sono però prodotti,
come la pasta, che hanno il target indifferenziato, perché si suppone che tutti ne mangino. Una volta stabilito il
target tutte le altre componenti del messaggio pubblicitario devono adeguarsi ad esso.
Vi sarete già accorti anche voi, inoltre, che ogni spot si riassume, generalmente alla fine del filmato, in una
frase che concentra il nucleo del messaggio che si vuole trasmettere, cioè le qualità del prodotto sulle quali si
intende attirare l'attenzione dei consumatori: questa frase è detta head-line o slogan. Spesso, per la head-line,
oppure semplicemente per il nome del prodotto, viene ideata una piccola melodia - detta jingle - che deve servire a
"stamparla" nella memoria dello spettatore. Il jingle è costruito in modo tale da entrare prepotentemente nella mente
del video ascoltatore, in modo da determinare una stabile associazione tra una breve melodia e un certo prodotto.

In particolare il jingle deve avere come caratteristiche:


 una melodia breve e accattivante, facile da ricordare, ma allo stesso tempo avvincente e non banale;
 una sonorità complessiva vicina ai gusti musicali del pubblico che si intende raggiungere con la campagna
pubblicitaria;
 un andamento musicale adeguato all'immagine che si vuole dare del prodotto.
Nella composizione di un jingle si deve dunque tener conto anche dei gusti musicali di chi viene individuato
come potenziale consumatore del prodotto pubblicizzato (target). Se, ad esempio, il prodotto è destinato ai bambini,
il motivetto orecchiabile dovrà essere allegro e un po’ infantile. Il jingle deve anche rispecchiare, nel suo
andamento, l'immagine che del prodotto si vuole dare: i prodotti della serie "Mulino Bianco" vengono da tempo
presentati ponendo l'accento sull'aspetto della naturalità e genuinità degli ingredienti ("come si faceva una volta");
questo aspetto viene sottolineato anche dal motivo musicale che ha un carattere un po’ antico e campagnolo,
carattere suggerito dall'immagine del mulino, bianco di farina.
In molti spot pubblicitari la presenza della musica non si limita al jingle, ma accompagna tutte le immagini.
Spesso si tratta di brani musicali composti per tutt'altro scopo. In questo caso la musica non è costruita e pensata
per un uso pubblicitario, com'era nel jingle, ma viene utilizzata per suggerire una certa immagine del prodotto,
rimandando il consumatore a modelli di vita e a valori da abbinare al prodotto stesso. Questi concetti chiave,
chiamati "items", rappresentano l'essenza più intima di una pubblicità, cioè il suo vero significato nascosto. Se ci
pensate bene, vi accorgerete che tante pubblicità vogliono comunicarci l'idea, ad esempio, di "Prestigio/Successo "
o di "Giovinezza / Dinamismo", o, ancora, di "Genuinità/Tradizione". Si tratta di concetti che le pubblicità cercano
di legare indissolubilmente al prodotto reclamizzato. Naturalmente non è detto che un tipo di prodotto sia sempre
associato agli stessi items: l'auto di grossa cilindrata potrà essere legata all'idea di "Prestigio/Successo", ma anche a
quella di "Tecnologia/Affidabilità" o ad altro ancora. Ciò che conta è che in uno spot televisivo l'immagine, il testo
parlato, la musica e persino i rumori contribuiscano tutti insieme a comunicare in forma più o meno nascosta gli
items stabiliti.
Spesso nei messaggi pubblicitari appaiono anche personaggi famosi che vengono utilizzati come
“Testimonial” del prodotto; la loro immagine rappresenta la garanzia della bontà e affidabilità del prodotto stesso.

MUSICA E CINEMA
La nascita ufficiale del cinema risale esattamente al giorno 28 dicembre 1895, quando in un
locale parigino furono proiettati alcuni cortometraggi dei fratelli Lumière, senza dialoghi, rumori né
accompagnamento musicale.
Di lì a pochissimo tempo, però, anche la musica sarebbe divenuta parte di questa straordinaria
nuova forma di spettacolo. Quindi, la definizione “era del cinema muto” è dovuta soprattutto alla
mancanza di voci e rumori. A colmare questa mancanza erano le didascalie in sovrimpressione, che
servivano a fornire sintetiche informazioni sullo svolgimento della vicenda o a riprodurre battute degli
attori. Più tardi si cominciò a mettere un semplice accompagnamento musicale alle immagini, fornito da
musicisti presenti in sala, quasi sempre pianisti, che eseguivano brani presi da un repertorio già
esistente.
Dato che abbinare musiche e immagini in modo casuale poteva rovinare l’efficacia dello
spettacolo, si cominciò a pensare a un repertorio adatto a ogni situazione indicando elenchi di brani da
usare nei film. Questo genere di spettacolo ebbe un successo travolgente e le sale cinematografiche
diventarono più confortevoli e dotate di vere orchestre che accompagnavano la proiezione del film. Un
salto di qualità venne compiuto nel 1914 quando fu proiettato per la prima volta il film “Cabiria”, scritto
da Giovanni Pastore con la collaborazione di Gabriele D’Annunzio e del musicista Ildebrando Pizzetti
che compose una musica originale per questa pellicola.

La colonna sonora
Alla fine degli anni Venti, si arrivò a dotare la pellicola della cosiddetta “colonna sonora”. Con
il termine colonna sonora si intende l'insieme di tutti gli elementi sonori del film: parole, rumori,
musiche.
Dal punto di vista tecnico è quella parte della pellicola cinematografica che reca incise delle
vibrazioni luminose, le quali, grazie a un apposito apparato del proiettore, si trasformano in vibrazioni
elettriche e poi sonore.
Il primo film dotato di una colonna sonora a tutti gli effetti fu Il cantante jazz, di A. Crosland
(1927), interpretato dall’attore e cantante Al Jolson, dove alla musica si aggiungevano i dialoghi dei
protagonisti. Ma senza dubbio uno dei risultati più celebri e più importanti nacque dalla collaborazione
fra il compositore Sergej Prokofiev ed il regista Sergej M. Eisenstein con il film “Alexander Nevskij”
(1938).

I rumori
I rumori e le musiche che ascoltiamo al cinema non sono esattamente gli stessi della vita reale:
magari ci fosse sempre una musica scura e inquietante ad avvertirci che qualcosa di spiacevole sta per
accadere! In realtà il cinema è una costruzione artificiale: ciò che vediamo e sentiamo è stato
appositamente predisposto dal regista per raggiungere precisi risultati espressivi.
I rumori che accompagnano il film hanno la funzione di evocare l'ambiente e la situazione nella
quale si sta svolgendo l'azione: tintinnio di bicchieri e posate se la scena si svolge in cucina, fruscio di
foglie in un bosco, il frastuono caotico del traffico in una strada metropolitana.
I rumori che lo spettatore sente sono quasi sempre prodotti artificialmente da un tecnico, il
rumorista, il cui compito è quello di ricreare in studio, con oggetti di vario tipo, suoni e rumori
dell'ambiente. Il regista poi aumenta o diminuisce l'intensità dei rumori a seconda dei risultati espressivi
che vuole raggiungere.
Vi sarete accorti ad esempio che pugni, schiaffi e cadute sono nel film molto più rumorosi che
nella realtà: infatti quanto più forte è il rumore che accompagna un pugno sulla scena tanto più intenso,
nella mente dello spettatore, è il dolore che esso provoca. Dunque tutto ciò che sentiamo nel film non è
mai casuale, ma è sempre il frutto di precise decisioni del regista.

Musica in e musica off


La musica del film può nascere dentro la scena o essere del tutto estranea a essa. Se l'immagine
mostra una banda che sfila per la città e con-temporaneamente ne sentiamo anche il suono, la musica è
"in" in quanto fa parte della scena, non ne rappresenta cioè un commento. Si dice invece che la musica è
"off" quando è fuori della scena che vediamo, non ha cioè alcun riferimento realistico con essa. Una
musica “in” rende più veritiera la scena, una musica “off” ne accentua gli aspetti emotivi.
Ma non sempre tutto è così semplice e a volte i registi si divertono a mescolare i due livelli: la
scena comincia ad esempio con una musica “in” e continua come musica “off”, utilizzando cioè la stessa
musica come commento esterno alla scena. E viceversa. Gli effetti espressivi che si producono possono
essere molto interessanti.

Musica convergente e divergente


Nel film la musica ha uno stretto rapporto con l'immagine, così stretto che immagini e sonoro
vengono generalmente percepiti come un unico messaggio. La musica ha il compito di commentare
quello che le immagini mostrano: il protagonista che cammina sul prato è felice o teme l'arrivo di un
killer? Gli uomini armati che stanno arrivando sono i buoni o i cattivi? Una musica appropriata non
lascia allo spettatore alcun dubbio, chiarendo quello che sta succedendo.
A volte la musica rinforza le emozioni suscitate dalle immagini: una musica calma e serena
commenta la passeggiata tranquilla del protagonista, mentre una musica concitata e minacciosa
accompagna il tentativo di allontanarsi da un pericolo imminente. In questo caso, quando cioè la musica
accentua le impressioni suggerite dallo schermo, siamo di fronte a un uso convergente della musica
(sincronismo). A volte invece la musica è chiaramente in contrasto con ciò che la scena mostra. Si dice
allora che il regista fa un uso divergente della musica (asincronismo).
L'uso convergente della musica è sicuramente più frequente: il commento sonoro in genere
sottolinea elementi presenti sulla scena e amplifica le emozioni suggerite dalle immagini. Meno
frequente e più complesso, l'uso divergente della musica può invece dar luogo a risultati espressivi più
interessanti proprio perché meno prevedibili. Infatti il conflitto fra musica e immagine sollecita lo
spettatore a un'interpretazione meno scontata e più problematica, portandolo a riflettere su aspetti meno
evidenti della storia raccontata.

Le funzioni della musica nel film

 Sottolineare con discrezione ciò che le immagini dicono, esprimendo musicalmente il ritmo e i
movimenti delle scene;
 Esprimere i sentimenti dei personaggi per far vivere allo spettatore le stesse emozioni del protagonista;
 Contestualizzare l’immagine fornendo ulteriori indizi sul luogo e sul tempo in cui si svolge la scena;
 Definire il carattere di un personaggio;
 Anticipare gli avvenimenti successivi facendo prevedere allo spettatore quello che succederà di lì a poco;
 Prolungare l’azione precedente, in modo da consentire allo spettatore di continuare ad assaporare gioie e
malinconie;
 Rievocare qualcosa che appartiene al passato o a un luogo lontano;
 Contrastare le immagini evocando situazioni o sentimenti in contrasto con le immagini;
 Collegare diverse scene, apparentemente separate l’una dall’altra.

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