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Pertini 1-2”
Reggio Emilia
Classi Seconde
Le voci bianche
Le corde vocali sono diverse da individuo a individuo e subiscono graduali modificazioni nel corso
della vita, poiché perdono una parte di elasticità. Le voci dei bambini fino all’età dello sviluppo (13-16
anni) hanno un timbro chiaro e sono piuttosto acute, in quanto le corde vocali sono sottili e molto
elastiche. In coincidenza poi con lo sviluppo fisico ormonale, le corde vocali maschili diventano
lentamente più spesse, perdendo una parte di elasticità, per cui la voce assume un'intonazione più grave
(muta di voce); le donne, invece, mantengono un'intonazione più acuta poiché l'ispessimento delle corde
vocali è minimo.
C’E’ CORO E CORO
VOCI MASCHILI
Tenore Voce non molto grave, melodiosa e limpida
Baritono Voce mediamente grave, vicina alla voce parlata
Basso Voce molto grave e scura
TONI E SEMITONI
Se osservate qualunque tastiera vi accorgerete che essa è composta da tasti bianchi e tasti neri sistemati con
un certo criterio. Noterete che, con regolarità, manca il tasto nero tra le note Mi e Fa e tra le note Si e Do. Tra tutte
le altre note, invece, esiste un tasto nero; quest’ultimo produce un suono di altezza intermedia tra i due tasti
bianchi: un po’ più acuto di quello prodotto dal tasto bianco precedente e un po’ più grave di quello seguente.
L’intervallo tra il tasto nero e il tasto bianco vicino si chiama semitono e così pure l’intervallo tra due tasti bianchi
vicini che non hanno tra loro il tasto nero. Invece, l’intervallo tra i due tasti bianchi che hanno fra loro il tasto nero
è chiamato tono: esso è formato dalla somma di due semitoni. Ecco alcuni esempi:
LE ALTERAZIONI MUSICALI
Quando fra due suoni naturali e congiunti intercorre la distanza di un tono, questo - come si è visto - può
essere diviso in due semitoni. Sulla tastiera del pianoforte tale divisione è realizzata da quei suoni intermedi
prodotti dai tasti neri. Grazie a questi suoni intermedi, ogni suono naturale (Do-Re-Mi-Fa-Sol-La-Si) può essere
innalzato o abbassato di uno o più semitoni. Tali modifiche vengono chiamate alterazioni. Le alterazioni sono
indicate da particolari segni che si scrivono a sinistra dei suoni, oppure dopo la chiave all’inizio del brano
musicale. Le alterazioni semplici sono:
Il Diesis ( # ) indica che il suono naturale deve essere innalzato di un semitono (verso destra sulla tastiera);
Il Bemolle ( b ) indica che il suono naturale deve essere abbassato di un semitono (verso sinistra);
Il Bequadro ( )indica che il suono, alterato in precedenza con un diesis o con un bemolle, deve tornare allo
stato naturale; il bequadro, quindi, cancella l’alterazione.
Quando i diesis e i bemolli sono posti immediatamente dopo la chiave, si chiamano alterazioni fisse o
alterazioni in chiave; in questo caso tali alterazioni mantengono il loro effetto per tutta la durata della
composizione, a meno che non si vogliano momentaneamente cancellare con l’uso del bequadro. Le alterazioni
fisse che si scrivono dopo la chiave possono raggiungere il numero massimo di 7 diesis o 7 bemolli.
Se invece le stesse compaiono davanti alle note singole, si dicono alterazioni transitorie o momentanee e
valgono solo nella battuta in cui si trovano e per tutte le note che seguono, nella stessa battuta, aventi nome
uguale.
I SUONI OMOFONI
Ogni tasto nero, pur avendo un’intonazione unica, può essere indicato con due nomi diversi a seconda che
esso rappresenti l’innalzamento del suono a sinistra di un semitono (#) o l’abbassamento del suono a destra di un
semitono (b). I suoni che, pur cambiando nome a seguito delle alterazioni mantengono in realtà la stessa
intonazione, si dicono suoni omofoni. Ecco alcuni esempi con alterazioni semplici:
LA SCALA MUSICALE
Per comporre musica ogni civiltà ha sempre utilizzato uno specifico sistema di suoni; in altre parole ogni popolo,
come ha la sua lingua, i suoi vocaboli, la sua grammatica e la sua sintassi, così ha anche la sua musica, con i suoi suoni, le
sue regole e le sue scale musicali.
Per scala musicale intendiamo una successione graduale di suoni che si succedono senza salti e che iniziano e
terminano con la ripetizione dello stesso suono. La scala può essere ascendente, se le note vanno dal grave all’acuto,
discendente, se le note vanno dall’acuto al grave. Essa può essere formata a partire da una qualunque nota e prende il
nome della nota di partenza, che è poi anche quella di arrivo.
La scala naturale o diatonica è formata da cinque intervalli di tono e due intervalli di semitono; ha un
andamento semplice e diretto, e per questo comunica generalmente impressioni di linearità e chiarezza.
Un tipo di scala molto particolare è la scala cromatica che è composta da 12 semitoni corrispondenti ai tasti
bianchi e neri del pianoforte. Questa scala attribuisce un “colore” del tutto particolare alla melodia dando un’impressione
di sinuosità, incertezza e ambiguità.
Il nostro sistema musicale tradizionale (sistema tonale) è basato sull’uso prevalente di soli due tipi di scale: la
scala di modo maggiore e la scala di modo minore.
LA SCALA MAGGIORE
Prendiamo come modello base la scala che parte dalla nota Do, che sicuramente tutti conoscete; essa è composta
dalle seguenti note: Do Re Mi Fa Sol La Si Do.
Analizzando la distanza che intercorre fra un suono e un altro, noteremo che la struttura risulta formata da cinque
toni e due semitoni disposti in quest’ordine:
DO RE MI FA SOL LA SI DO
Tono Tono Semitono Tono Tono Tono Semitono
Questa scala è detta diatonica naturale maggiore perché è composta di soli suoni naturali e ha il semitono fra il
terzo e quarto e fra il settimo e l’ottavo grado.
Essa tuttavia, non è l’unica scala di modo maggiore che sia consentito usare: è infatti possibile costruire altre
scale maggiori partendo da ciascuno degli altri undici suoni disponibili, ottenendo così una scala di Sol maggiore, una di
Re maggiore, una di Sib maggiore, una di Fa# maggiore, ecc. Per costruire queste scale dobbiamo però rispettare
l’ordine di toni e semitoni servendoci delle note alterate. Ecco alcuni esempi:
LA SCALA MINORE
Il nostro sistema tonale si serve non sola della scala di modo maggiore, ma anche di un altro tipo di scala, detta di
modo minore. Questo secondo tipo di scala presenta una diversa successione di toni e di semitoni; anch’essa fa uso di
sette suoni separati da cinque intervalli di tono e da due di semitono, tuttavia li distribuisce in modo diverso. La scala
modello che prendiamo in considerazione è quella di La:
LA SI DO RE MI FA SOL LA
Tono Semitono Tono Tono Semitono Tono Tono
Dunque la scala di modo minore naturale presenta i due intervalli di semitono fra il secondo e il terzo e fra il quinto e
sesto grado. Ci sono diverse varianti di scale di modo minore e ciascuna di esse ha una diversa disposizione di toni e
semitoni. Le scale minori più usate sono: la Scala minore naturale, la Scala minore armonica e la Scala minore melodica.
A causa della diversa distribuzione degli intervalli, i due modi maggiore e minore sono differenti all’ascolto e
quindi possiedono un diverso carattere.
Il modo maggiore suscita di solito sensazioni di sicurezza, energia, serenità, ottimismo, allegria; il modo
minore evoca sensazioni di tristezza, oscurità, chiusura, oppure per dare luogo a situazioni espressive agitate e
drammatiche.
Non per questo però è impossibile trovare brani in modo minore che siano ricchi di vigore e di slancio, è pure
possibile trovare brani in modo maggiore ricchi di nostalgia e di pessimismo. Ma in linea generale le differenze
rimangono quelle sopra elencate.
I gradi della scala: significato e funzioni
A seguito del posto che le note occupano nella scala, esse prendono il nome di gradi e si contano con i numeri
romani (I, II, III, IV grado, ecc.). Ogni grado della scala ha un nome proprio:
Proprio come nella società le persone hanno ruoli diversi in base alla loro capacità e al loro carattere, nella scala
musicale ogni grado ha una personalità e funzione ben precisa.
Il 1° grado è detto “tonica” poiché‚ da esso deriva il nome della tonalità. La tonica è la nota che dà stabilità al
brano musicale, quella che attira a sé le altre note e con la quale viene naturale concludere il brano stesso.
Il 5° grado, “dominante”, deriva il suo nome dalla posizione più alta, dominante appunto, che possiede
nell'accordo tonale. Mentre la tonica è la nota della stabilità, la dominante è la nota più dinamica della scala, quella che dà
movimento, tensione al brano. Tonica e dominante rappresentano due “poli” di attrazione del discorso musicale; esse sono
cioè note verso le quali “tendono” le altre note della scala.
Il 3° grado è molto importante nell'ambito della scala, poiché‚ da esso dipende il modo (maggiore o minore) della
scala stessa: ecco perché‚ viene denominato “modale”. Appartiene al “polo” della tonica; è dunque una nota di stabilità.
Ed infine, l'origine del termine “sensibile” per il 7° grado va ricercata nella distanza di semitono che separa tale
grado dalla tonica. Questo determina nel VII spiccata attitudine (o sensibilità) a muoversi (o, come si usa dire, a risolvere)
verso grado superiore più stabile, la tonica appunto.
Semplificando, possiamo dire che un brano musicale si sviluppa secondo un alternarsi di momenti di riposo e
momenti dinamici più o meno forti, fino al riposo conclusivo.
L’accordo può essere formato da tre suoni: in tal caso si chiama triade; oppure da quattro suoni (qua-
driade). Due suoni sovrapposti non danno origine a un accordo ma a un bicordo.
Ovviamente la sovrapposizione di suoni a distanza di terza può continuare fino ad avere in pratica tutti e
sette i suoni, ma in genere gli accordi formati da 3 e 4 suoni diversi sono più che sufficienti per fare da
accompagnamento.
L’accordo si dice che è “rivoltato” quando al grave non abbiamo più la nota fondamentale, ma una
delle altre due note costituenti l’accordo. In questo modo l’accordo di tre suoni si può presentare in tre
posizioni diverse (fondamentale, 1° rivolto e 2° rivolto).
Gli accordi allo stato fondamentale si classificano in base agli intervalli da cui sono formati. Se il
primo intervallo è di due toni si dice accordo perfetto maggiore; se il primo intervallo è di un tono e mezzo si
dice accordo perfetto minore.
I suoni chiamati a formare gli accordi devono, per un chiaro principio di coerenza, far parte di quella
stessa scala, cioè di quella stessa tonalità in cui si svolge la melodia.
Sappiamo che nel sistema tonale la melodia è costruita a partire da una scala (o tonalità), e che nella
scala vi sono due gradi particolarmente importanti: la tonica (1°) e la dominante (5°). La tonica è la nota che
chiude la melodia, la dominante è la nota di movimento che precede la chiusura. E’ del tutto logico che
l’accordo costruito sulla tonica sia in genere l’accordo di chiusura, e quello costruito sulla dominante sia
l’accordo del movimento o dell’apertura. Utilizzando i soli accordi di tonica e dominante è già possibile
realizzare una armonizzazione elementare di frasi melodiche di semplice fattura.
Molte canzoni di musica leggera basano il loro accompagnamento sul cosiddetto giro di accordi: si
tratta di un gruppo di accordi che si succedono nello stesso ordine per tutta la durata del brano. Ecco alcuni dei
giri armonici più semplici:
I sette suoni naturali ed i cinque alterati, quando vengono variamente sovrapposti per formare gli
accordi, risultano fra di loro ora molto o poco consonanti ora molto o poco dissonanti: il altre parole ogni
suono “suona bene” se unito con alcuni suoni, meno bene se unito con altri.
Ora non crediate che in musica si utilizzino solo accordi consonanti: si usa una giusta alternanza fra ac-
cordi consonanti e dissonanti. Questi ultimi, con il loro effetto aspro e teso, generano al nostro orecchio una
sensazione di movimento, di tensione, di sospensione, fanno cioè sentire l’esigenza di andare a “risolvere”, di
spostarsi su accordi più consonanti: questi infatti, con la loro piacevole fusione, creano un effetto di riposo, di
rilassamento e di conclusione.
In musica dunque si sfrutta moltissimo questa continua alternanza fra sensazioni di tensione ed altre di
rilassamento, cioè fra accordi dissonanti e consonanti: è infatti proprio questa alternanza che funzione come
“motore” del discorso musicale, che aiuta il discorso musicale a svolgersi nel tempo.
Gli accordi di quattro suoni sono definiti di “settima”, in quanto la distanza dei due suoni estremi
dell’accordo è appunto di sette suoni: es. Do Mi Sol Si.
L’accordo di settima ha uno spiccato carattere di instabilità e di moto e tende a “risolvere” sull’accordo
più stabile di tonica.
Come un accordo maggiore può divenire una settima aggiungendo un’altra nota, così è possibile,
sempre partendo da una triade, ottenere nuovi accordi inserendo altri suoni alla triade di base. I nuovi accordi
acquistano una sonorità caratteristica, e rendono assai più varia l’armonizzazione di un brano. Ecco le varianti
più diffuse:
l’accordo di quarta, che si realizza aggiungendo alla triade il quarto suono partendo dalla nota base;
l’accordo di sesta, che si realizza aggiungendo alla triade il sesto suono partendo dalla nota base;
l’accordo di nona, che si realizza aggiungendo alla triade il nono suono partendo dalla nota base.
Spesso, specie nelle partiture per canto, gli accordi sono indicati sul pentagramma con forme abbreviate,
dette cifrato.
Gli accordi maggiori sono indicati con il suono fondamentale e il segno + (es. Do+) oppure M (es.
DoM), mentre gli accordi minori sono indicati con il suono fondamentale e il segno – (es. La-) oppure m (es.
Lam). Se accanto alla nota fondamentale compare un numero: 7, 4, 6, ecc. (es. La7, RE4, Do6), significa che
all’accordo è stato aggiunto un altro suono che si trova ad una distanza di sette, di quattro, di sei suoni dal
primo.
Va ricordato che negli spartiti inglesi o americani gli accordi sono indicati mediante lettere
dell’alfabeto: A = la; B = si; C = do; D = re; E = mi; F = fa; G = sol.
MUSICA E PUBBLICITÀ
La pubblicità è una forma di comunicazione che ha lo scopo di farci ricordare il prodotto reclamizzato e di
indirizzare su di esso la nostra scelta al momento dell'acquisto. La pubblicità può anche avere uno scopo sociale per
campagne di persuasione organizzate dallo Stato, da Enti Locali o da Associazioni su temi di significato civile o
sanitario (per donare il sangue, per la sicurezza stradale, per la difesa del verde, per la lotta contro il fumo, per
tenere le città pulite, ecc.).
La pubblicità non lascia nulla al caso e ogni suo elemento è attentamente studiato, previsto e programmato
dall'équipe di persone (agenzia pubblicitaria) che predispone una campagna pubblicitaria per un determinato
prodotto. Per raggiungere questo obiettivo la pubblicità utilizza un particolare linguaggio basato su collaudati
meccanismi di persuasione che fanno leva sui nostri desideri, sulle nostre aspirazioni e convinzioni.
Leggere la pubblicità
Saper leggere la pubblicità significa essere liberi di scegliere, saper scoprire ciò che oggettivamente è vero e
ciò che invece è soltanto finalizzato ad influenzare l'ascoltatore.
Il linguaggio della pubblicità utilizza la collaborazione tra codici diversi (verbale, visivo, sonoro, gestuale)
tipica del linguaggio cinematografico e anche la musica svolge un’importante funzione che va analizzata e
compresa.
La pubblicità presente nella stampa e nei manifesti utilizza il codice verbale e il codice grafico-visuale;
quella trasmessa alla radio utilizza il codice verbale e quello sonoro, al cinema e alla televisione si arricchisce anche
del codice gestuale.
C’è anche da sottolineare che il linguaggio verbale, utilizzato nella pubblicità, fa spesso ricorso a figure
retoriche di suono quali l’allitterazione, l’onomatopea, l’assonanza e la rima, che facilitano la memorizzazione e
aumentano, di conseguenza, il potere di persuasione dei messaggi.
Anche la musica, che è naturalmente presente solo negli spot radiofonici e televisivi, è impiegata con
grande attenzione e intelligenza, dovendo concorrere, alla pari dell’immagine e del parlato, al convincente risultato
finale.
La pubblicità su periodici
Le immagini pubblicitarie che sono inframmezzate agli articoli dei periodici e dei quotidiani sono caratterizzate dai
seguenti elementi:
Visual: l’immagine, unica o principale, costituita da una fotografia o, più raramente, da un disegno, che comunica il
messaggio della pubblicità.
Headline: titolo cioè riga di testo in carattere più grande che rafforza e sottolinea l’immagine del visual (è detta
anche slogan).
Bodycopy: è formato da alcune righe di testo in carattere minore, che illustrano più in dettaglio le caratteristiche e
l’impiego del prodotto pubblicizzato.
Marchio: è un contrassegno distintivo di un prodotto o di un’azienda, costituito da quattro elementi fondamentali: il
nome, il logotipo, i colori e il simbolo (la mela di Apple o il coccodrillo di Lacoste).
Logotipo o logo: è il modo particolare con cui sono tracciati i segni grafici (in genere le iniziali) del nome di
un’azienda o di un prodotto, di cui, di solito, costituisce anche il marchio. Molto spesso, marchio e logotipo
coincidono.
MUSICA E CINEMA
La nascita ufficiale del cinema risale esattamente al giorno 28 dicembre 1895, quando in un
locale parigino furono proiettati alcuni cortometraggi dei fratelli Lumière, senza dialoghi, rumori né
accompagnamento musicale.
Di lì a pochissimo tempo, però, anche la musica sarebbe divenuta parte di questa straordinaria
nuova forma di spettacolo. Quindi, la definizione “era del cinema muto” è dovuta soprattutto alla
mancanza di voci e rumori. A colmare questa mancanza erano le didascalie in sovrimpressione, che
servivano a fornire sintetiche informazioni sullo svolgimento della vicenda o a riprodurre battute degli
attori. Più tardi si cominciò a mettere un semplice accompagnamento musicale alle immagini, fornito da
musicisti presenti in sala, quasi sempre pianisti, che eseguivano brani presi da un repertorio già
esistente.
Dato che abbinare musiche e immagini in modo casuale poteva rovinare l’efficacia dello
spettacolo, si cominciò a pensare a un repertorio adatto a ogni situazione indicando elenchi di brani da
usare nei film. Questo genere di spettacolo ebbe un successo travolgente e le sale cinematografiche
diventarono più confortevoli e dotate di vere orchestre che accompagnavano la proiezione del film. Un
salto di qualità venne compiuto nel 1914 quando fu proiettato per la prima volta il film “Cabiria”, scritto
da Giovanni Pastore con la collaborazione di Gabriele D’Annunzio e del musicista Ildebrando Pizzetti
che compose una musica originale per questa pellicola.
La colonna sonora
Alla fine degli anni Venti, si arrivò a dotare la pellicola della cosiddetta “colonna sonora”. Con
il termine colonna sonora si intende l'insieme di tutti gli elementi sonori del film: parole, rumori,
musiche.
Dal punto di vista tecnico è quella parte della pellicola cinematografica che reca incise delle
vibrazioni luminose, le quali, grazie a un apposito apparato del proiettore, si trasformano in vibrazioni
elettriche e poi sonore.
Il primo film dotato di una colonna sonora a tutti gli effetti fu Il cantante jazz, di A. Crosland
(1927), interpretato dall’attore e cantante Al Jolson, dove alla musica si aggiungevano i dialoghi dei
protagonisti. Ma senza dubbio uno dei risultati più celebri e più importanti nacque dalla collaborazione
fra il compositore Sergej Prokofiev ed il regista Sergej M. Eisenstein con il film “Alexander Nevskij”
(1938).
I rumori
I rumori e le musiche che ascoltiamo al cinema non sono esattamente gli stessi della vita reale:
magari ci fosse sempre una musica scura e inquietante ad avvertirci che qualcosa di spiacevole sta per
accadere! In realtà il cinema è una costruzione artificiale: ciò che vediamo e sentiamo è stato
appositamente predisposto dal regista per raggiungere precisi risultati espressivi.
I rumori che accompagnano il film hanno la funzione di evocare l'ambiente e la situazione nella
quale si sta svolgendo l'azione: tintinnio di bicchieri e posate se la scena si svolge in cucina, fruscio di
foglie in un bosco, il frastuono caotico del traffico in una strada metropolitana.
I rumori che lo spettatore sente sono quasi sempre prodotti artificialmente da un tecnico, il
rumorista, il cui compito è quello di ricreare in studio, con oggetti di vario tipo, suoni e rumori
dell'ambiente. Il regista poi aumenta o diminuisce l'intensità dei rumori a seconda dei risultati espressivi
che vuole raggiungere.
Vi sarete accorti ad esempio che pugni, schiaffi e cadute sono nel film molto più rumorosi che
nella realtà: infatti quanto più forte è il rumore che accompagna un pugno sulla scena tanto più intenso,
nella mente dello spettatore, è il dolore che esso provoca. Dunque tutto ciò che sentiamo nel film non è
mai casuale, ma è sempre il frutto di precise decisioni del regista.
Sottolineare con discrezione ciò che le immagini dicono, esprimendo musicalmente il ritmo e i
movimenti delle scene;
Esprimere i sentimenti dei personaggi per far vivere allo spettatore le stesse emozioni del protagonista;
Contestualizzare l’immagine fornendo ulteriori indizi sul luogo e sul tempo in cui si svolge la scena;
Definire il carattere di un personaggio;
Anticipare gli avvenimenti successivi facendo prevedere allo spettatore quello che succederà di lì a poco;
Prolungare l’azione precedente, in modo da consentire allo spettatore di continuare ad assaporare gioie e
malinconie;
Rievocare qualcosa che appartiene al passato o a un luogo lontano;
Contrastare le immagini evocando situazioni o sentimenti in contrasto con le immagini;
Collegare diverse scene, apparentemente separate l’una dall’altra.