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Conservatorio di Musica “G. Frescobaldi” di Ferrara.

Classe di flauto, M° C. Tarozzi.

LA QUALITA' DEL SUONO

Tesina di approfondimento circa il suono del flauto e alcuni dei suoi metodi
di studio.

di

ADELE POSANI
Appare evidente a tutti che l'aspetto più importante che un flautista deve curare è la
qualità del suono. Questo perché suoniamo uno strumento il cui timbro è mutevole e
cangiante, ed è necessario che un musicista possa controllarlo e muoverlo secondo la
sua espressività. Ne risulta che il lavoro sul suono è il più importante ma anche il più
personale. Ma quanto può essere personale? Ci sono dei criteri oggettivi o tutto è
lasciato al gusto dello strumentista? Qui cercheremo di districare il bandolo della matassa,
puntando la lente di ingrandimento sui metodi e gli esercizi che alcuni grandi insegnanti
hanno suggerito.

L'ASCOLTO e LA RELATIVITA'

Ovviamente, chi non è musicista e non è abituato all'ascolto, percepisce subito alcune
caratteristiche del suono, come la pulizia piuttosto che la brillantezza, ma non è in grado
di riconoscerne altre. Al contrario, è probabile che un flautista sia perfettamente in grado
di distinguere le qualità o i difetti di un suono ma poi, come una sorta di deformazione
professionale, tralasci altri aspetti della musica, che invece, sarebbe giusto ascoltare nella
sua interezza. Questo per sottolineare che, è vero che una buona qualità di suono nel
flauto è indispensabile, ma non dobbiamo mai dimenticare che rimane al servizio della
musica e che un suono, per quanto perfetto, non è mai espressivo in sé, può esserlo
solo in relazione alla musica.

La percezione del suono è immediata, ma i livelli della stessa posso essere molto
diversi. Lo stesso suono, in una sala dall'acustica molto generosa, sarà percepito in modo
molto diverso in una acustica secca. Ugualmente, alcuni aspetti, anche molto importanti, si
evidenziano prevalentemente in determinate circostanze: per esempio la ricchezza e
l'ampiezza, la capacità di legare e di intonare, sono lampanti ascoltando un flautista
suonare in orchestra o in un gruppo di musica da camera, ma non sono così evidenti
sentendolo suonare da solo.

Per poter giudicare un suono dovremmo, quindi, isolare i fattori contingenti che sono stati
detti prima, ascoltando in acustiche né troppo secche né troppo generose, sentendo
repertorio diverso, dal flauto solo all'orchestra. Certo non sempre questo è possibile, ma
possiamo dire che un ascoltatore esperto è anche in grado di immaginare le capacità di
un suono al di là dell'acustica e del repertorio.

Non esiste un suono perfetto, poiché, come già detto, questo trova l’espressione solo nel
suo utilizzo. Diciamo quindi che il suono giusto è quello che meglio si adatta alle
necessità espressive della musica che interpreta; non esiste esempio più calzante dell’uso
che propone Wagner del corno inglese quando Sigfrido suona un cornetto sul palco e, in
buca, al corno inglese è richiesto “un suono brutto e stridulo”. In casi come questo, il
suono che più si avvicina alla perfezione è sporco, graffiato e possibilmente stonato, il
“bel suono” sarebbe del tutto fuori luogo. Tuttavia, eccoci qui a introdurre l’oscuro
concetto di “bel suono”, certamente molto lontano dalle specifiche tecniche del “bel canto”,
anche i flautisti hanno criteri oggettivi a cui rifarsi.
IL BEL SUONO

Cosa si intende dunque con la definizione di “bel suono”? La risposta è molto


complessa. Passa attraverso tradizioni e scuole nazionali molto diverse, subisce lo
sviluppo tecnologico dello strumento, che ha molto contribuito alla formazione di questa
idea, e l’ampliamento delle sale da concerto. Il repertorio per flauto fiorisce dalla fine
dell’Ottocento in poi, fino ad essere uno degli strumenti più amati dai compositori
contemporanei. Non è quasi possibile slegare questi diversi fattori gli uni dagli altri:
possiamo forse dire che Debussy scrisse il famoso “prelude à l’aprés midi d’un phaune”
perché il flauto Boehm si faceva strada in quel periodo? O il contrario, che Boehm
inventò il suo ingegnoso sistema per permettere a Debussy di scrivere per flauto? Io
penso di no, e ugualmente non è ciò che questo scritto si propone di fare. Ciò che
possiamo affermare è che, oggi, le scuole flautistiche non sono più nazionali ma
trasversali e, seppure con metodi diversi, hanno lo stesso comune obbiettivo: il bel suono.
Torniamo al dunque.

LA PULIZIA E LA VIBRAZIONE

A una prima analisi diciamo subito che il bel suono è pulito negli attacchi e nelle
chiusure, si dice infatti un suono “argentino”; rimane nitido anche nello staccato ed ha
una naturale vibrazione che lo rende gradevole all’orecchio, grazie all’oscillazione delle
frequenze. Questa vibrazione non si accomuna all’espediente espressivo del vibrato, questo
è una oscillazione di frequenze voluta ed attivata dallo strumentista. La vibrazione naturale
nasce dal regolare percorso dell’aria: dai polmoni, nella gola, attraverso la bocca e poi
nel flauto. Lungo tutta questa strada, l’aria non è spinta come se dovesse uscire da una
bomboletta a compressione, ma avvolge e prende la forma degli ambienti che attraversa,
la posizione delle corde vocali e della lingua, fino ai nodi che si formano nel flauto: tutto
questo dà all’aria una flessione che si percepisce come vibrazione.

L'INTONAZIONE

Affrontiamo ora la questione dell'intonazione. Questo è uno degli aspetti più complessi
dello strumento, e ogni flautista dovrebbe studiarlo con molta cura. Forse, qualcuno pensa
che l'intonazione sia relativa, ossia che si può essere intonati rispetto ad uno o più
suoni, questo è certamente vero, ma quindi lo strumentista che suona solo è stonato
sempre? Non se ne può giudicare l'intonazione? Anche lo strumento solo deve suonare
intonato! E questo vale anche per il flauto.

Si può dire che, oltre ad essere suonato intonato, il flauto possiede una sua intonazione
intrinseca. Questo è un argomento molto complesso, vediamo di approfondirlo. Il rapporto
di intonazione tra le varie note del flauto è regolato dalla sua scala, ovvero la distanza
tra i fori sul tubo e la distanza tra il primo foro sul tubo e il foro di entrata dell'aria.
Non esiste una scala perfetta, ognuna accetta dei compromessi. La distanza, che non è
modificabile, tra i fori sul corpo del flauto determina il rapporto di intonazione tra le note
della scala stessa, mentre la distanza tra il foro di entrata dell'aria e i fori della scala
determina l'equilibrio dello strumento, quest'ultima è invece modificabile tirando fuori o
mettendo dentro la testata. Questo spostamento si pratica spesso per intonare il flauto
con un altro strumento, infatti intonare un flauto è una cosa piuttosto banale: si prende
una nota di riferimento (generalmente un la) e la stessa nota suonata dal pianoforte (lo
strumento di riferimento). Se la nota del flauto è crescente si dovrà allungare il tubo,
quindi tirare fuori la testa di pochi millimetri, se è calante il contrario. In questo modo il
la sarà alla stessa altezza del pianoforte: intonato. Tuttavia esiste una contro indicazione
e proprio in questa sta il nocciolo della questione. L'intonazione di una nota si può
modificare con l'imboccatura, più le note sono vicine al foro di entrata dell'aria (quindi dal
do♯ , do, si, la, ecc.) più la loro intonazione oscilla con le variazioni dell'imboccatura, più
sono lontane, meno si modificano. Esiste un punto preciso in cui il rapporto tra il foro di
entrata e il primo foro sul corpo è bilanciato e il rapporto tra le ottave è giusto. Quindi
modificare questo rapporto è possibile, come abbiamo già detto, ma bisogna sapere che
alcune note si possono correggere meno di altre.

E' sicuramente compito dello strumentista essere intonato e tale compito si esplica in due
fondamentali mansioni: la prima, già trattata, è quella di intonare lo strumento, la
seconda, di suonare intonato. Il flauto è molto variabile non solo perché, come già detto,
l'intonazione si può modificare con l'imboccatura e la pressione del''aria, cosa che la
rende molto instabile per i principianti, ma anche perché è uno strumento che necessita
di alcune “correzioni” a priori. Infatti, l'ottava più grave tende a calare, quella più acuta a
crescere, il forte è generalmente crescente e il piano calante; inoltre ci sono delle note
particolarmente crescenti ( come il do♯ della seconda ottava, il mi, il fa♯ , il sol♯ della
terza ottava) o particolarmente calanti (il do♯ e il re della terza ottava e le ultime note
del flauto). Di tutto questo lo strumentista deve tenere conto quando studia l'intonazione,
perché un “bel suono” è anche intonato. Ma la questione intonazione non si esaurisce
con queste “piccole” accortezze.

Le grandi orchestre si distinguono anche per l’impeccabilità dell’intonazione, cosa che tra i
legni, e ancor più tra i fiati, è particolarmente problematica. Se per gli strumenti ad arco
è difficile trovare l’altezza giusta della nota, ma, una volta risolto questo punto, l’uniformità
dei timbri agevola l’intonazione, per i fiati il problema è sempre duplice. Certamente si
potrebbe obiettare che gli strumenti sono temperati, e questo dovrebbe facilitare il tutto,
ma in realtà non è così: i fiati sono strumenti semi-temperati, a ogni posizione
corrispondono più note e ognuna di queste può avere altezze diverse. Inoltre la grande
differenza dei timbri (si pensi a un flauto e una tromba, piuttosto che a un clarinetto e
un fagotto) non favorisce il legame dei suoni e rende più difficile intonarsi. Proprio per
questi motivi, il suono del flauto deve avere caratteristiche tali da permettere che si intoni
con strumenti molto diversi. Queste caratteristiche si nascondono nei meandri degli
armonici: tutto il sistema sonoro del flauto si costruisce su pochi suoni di base (la prima
ottava) da cui si ottengono, tramite il sistema degli armonici, tutti gli altri suoni. Ne
deriva che i suoni più bassi devono essere quelli più ricchi di armonici e che i suoni più
acuti quelli più poveri. E la questione sarebbe semplice se si limitasse alla conta delle
armoniche in un suono, ma non lo è. Stabilito che per gli acuti servono meno armonici,
rimane da capire quali siano i preferibili, e qui si gioca la questione dell’intonazione
insieme agli altri strumenti. Un suono acuto che scaturisce da una selezione di armonici
bassi sarà calante e, viceversa, se ci fosse una prevalenza di armonici alti, sarà
crescente. Per poter attuare una giusta selezione delle armoniche è necessario sapere
prima quale sia l'altezza desiderata e quindi sapere che funzione ha quella nota che
andiamo a suonare. Infatti ogni nota può avere una intonazione diversa se è la terza
minore o maggiore di un accordo, se ha funzione di sensibile o di fondamentale. In
questo modo possiamo prevedere l'altezza e il colore della nota ed inserirla nell'accordo
senza stonare.
LE DINAMICHE E L'ARTICOLAZIONE

Negli ultimi 20 anni il flauto si è largamente diffuso e, conseguentemente, sviluppato


tecnologicamente. Tutte le ricerche e le innovazioni tendono a permettere un suono
sempre più ampio e un controllo sempre maggiore. L'ampiezza del suono, soprattutto nelle
note gravi, è oggi considerata una qualità importante in un flautista. In primo luogo
perché le sale da concerto si sono molto ingrandite, e questo già da molto prima, di
conseguenza le orchestre necessitano di un suono sempre più importante, i fiati hanno un
peso sempre maggiore in orchestra. In secondo luogo, il flauto in particolare vede
nascere moltissimo repertorio solistico e cameristico già dalla fine dell'Ottocento e questo
ne porta la popolarità e lo sviluppo tecnologico. Questo suono ampio permette al flauto di
farsi sentire in orchestra anche nel caso di registri bassi e di eseguire repertorio che
spazi su tutta l'estensione dello strumento.

Il discorso sull'articolazione è invece un po' più complesso. L'articolazione è la possibilità


di “articolare” le note, ovvero di separare con un colpo di lingua una nota da un'altra,
oppure di legare due o più note insieme. Che nesso si trova tra il bel suono del flauto
e la sua articolazione? La risposta è molto semplice solo un bel suono si può veramente
legare a un altro. Un po' come per l'intonazione con gli altri fiati, anche qui possiamo
dire che un bel suono, ricco di armonici, anzi, di giusti armonici, favorisce un buon
legato. Per ottenere un legato infatti, non basta non separare due note, ma è necessario
che il secondo suono sia già “contenuto” nel primo e che quindi ne derivi naturalmente,
insomma che i due suoni siano preparati anticipatamente con la pressione necessaria.
Anche nello staccato, il bel suono mantiene tutte le sue caratteristiche in ogni nota per
quanto corta possa essere, se questo avviene lo staccato sarà omogeneo e risonante.
LA RISONANZA E LA PROIEZIONE

Finalmente abbiamo introdotto il concetto di risonanza, che è poi il più importante di tutti.
Molti strumenti sono dotati di cassa armonica, il flauto, come molti strumenti a fiato, no.
Come si può quindi parlare di risonanza? La nostra cassa è il nostro corpo e questo,
secondo me, è ciò che veramente rende molto personale il suono di uno strumento come
il flauto, il fatto che proprio noi, il nostro corpo sia artefice del suono e ne determini le
più importanti caratteristiche. La cassa toracica, che contiene e protegge i polmoni,
permette una grande risonanza quando è in una posizione aperta e piena di aria. Questo
si può facilmente dimostrare: già percuotendoci sul petto possiamo ascoltare un suono
molto diverso se stiamo aperti o chiusi. Suonando il flauto, avviene la stessa cosa, ma
con molte complicazioni rispetto all'esempio rudimentale appena illustrato. Infatti, per potersi
verificare una buona risonanza, le condizioni necessarie sono molte. In primo luogo, come
già detto, è necessaria una buona posizione di apertura, ma senza rigidità, in secondo
luogo, la gola deve essere rilassata, perché la gola chiusa non permette all'aria di
passare in modo naturale, e una gola in tensione crea un suono teso. Tuttavia, detto in
questo modo sembra che tutto il corpo debba essere aperto e rilassato, e questo è vero,
ma non significa che non ci sia un numero di muscoli che lavorino. Infatti, l'atto del
soffiare nel flauto, per quanto sia un'azione naturale e non forzata, implica certamente
che ci sia un'attivazione di alcuni muscoli che lavorano. E' molto difficile, soprattutto per i
principianti, comprendere questa importantissima differenza: rilassato non vuol dire inattivo!
Quando il corpo permette e favorisce il passaggio dell'aria, il suono ha una naturale e
personale risonanza. E la proiezione? La proiezione è la conseguenza diretta della
risonanza. Dove quest'ultima è una proprietà del suono, la proiezione è la sua diretta
percezione all'ascolto, un suono con proiezione è per forza risonante, e viceversa. La
proiezione del suono dà all'ascoltatore un effetto “stereo”, ovvero percepisce il suono
come se riempisse tutta la stanza. Questo principio si applica sia ad una dinamica forte
che al piano, infatti se il suono è risonante anche il piano sarà percepibile fino all'ultimo
ascoltatore in fondo alla sala.
SPUNTI PER LO STUDIO DEL SUONO

Purtroppo, lo studio e la pratica di un bel suono non è così facilmente scomponibile in


fattori come lo è l'analisi. Certo, sarebbe molto più semplice se potessimo studiare la
pulizia, l'intonazione, la dinamica, l'articolazione e la risonanza, tutto separatamente, ma
non è del tutto possibile. Tuttavia qualcosa si può fare, esistono, infatti, esercizi mirati a
“risolvere” una problematica specifica.

NOTE LUNGHE

Come è possibile che il solo atto di suonare delle note lunghe migliori il suono? Il fatto
è che ogni volta che si produce un suono, la nostra mente mette in pratica un giudizio,
che si può rifare ai criteri illustrati sopra oppure, nel caso di un bambino, al semplice
gusto personale. L'orecchio del musicista può essere molto sviluppato, quindi ascoltarsi in
ogni dettaglio, oppure poco allenato, e non pretendere molto da quello che produce, ma
qualunque sia la nostra capacità di giudizio in quel momento, noi giudichiamo il suono
che abbiamo prodotto. Giudicarlo implica necessariamente un paragone, infatti, lo
confrontiamo con un ideale di suono che abbiamo in mente. Questo ideale ci può essere
stato dato da un disco, da un concerto dal vivo, dal nostro insegnante, da tutte questi
fattori insieme. Già solo il fatto di avere un ideale di suono da raggiungere fa sì che il
confronto non sia vano, infatti, anche inconsapevolmente, il nostro corpo tenderà a voler
riprodurre ciò che la mente propone come ideale. Ripetere una stessa nota molte volte è
un esercizio piuttosto noioso ma che, soprattutto all'inizio, può portare notevoli risultati su
due fronti: il primo è la qualità del suono in sé, infatti il suono sarà sempre più pulito e
le labbra avranno sempre maggiore confidenza con quell'emissione; il secondo è la qualità
dell'ascolto e la percezione del proprio corpo, dopo poco tempo, l'orecchio non si
accontenterà più di quello che ascoltava all'inizio, ma inizierà a riconoscere sempre più
dettagli e sfumature e il corpo inizierà a capire quali atteggiamenti favoriscono un suono
migliore e la percezione dello stato del proprio corpo sarà sempre più raffinata.

Questo esercizio è molto importante ma non sufficiente. E' sicuramente più utile conoscere
alcuni metodi che si possono applicare alle note lunghe per migliorarne un aspetto
piuttosto che un altro.
Riprendiamo il concetto di risonanza: abbiamo descritto come la buona posizione favorisce
ed è artefice di una buona risonanza. Come applicare in modo pratico questo semplice
assunto? In primo luogo, parliamo di peso: sentire di essere in perfetto equilibrio, ben
appoggiati sui nostri piedi è una buona base di partenza. Successivamente, potrà risultare
utile spostare il peso sulle punte dei piedi, in modo da costringere la nostra parete
addominale a mantenerci in equilibrio e contemporaneamente a dare pressione all'aria. In
secondo luogo è importante avere una raffinata percezione del nostro corpo in modo da
poter controllare l'apertura della cassa toracica. In terzo luogo, parliamo della gola. Molto
spesso gli insegnanti chiedono di tenere la gola aperta, ed a ragione, ma non sempre
questo meccanismo è immediato.

CANTO NEL SUONO

Quando cantiamo la nostra gola si rilassa e permette alle corde vocali di vibrare, quindi
una delle possibili soluzioni per poter studiare l'apertura della gola è proprio quella di
cantare mentre si suona. L'effetto non è esteticamente bello ma indubbiamente il suono
ne trae giovamento. È possibile cantare la stessa nota che si suona o con una
differenza di ottava o di quinta, o altro, ma sarebbe sempre bene avere un controllo
dell'intonazione e quindi sapere cosa si canta e come va intonata. Chiaramente, le note
più gravi sono quelle che ci permettono di rilassare la gola più facilmente, quindi, è
quasi inutile cantare una nota acuta. Risulta, invece, molto utile cantare una nota grave
mentre si suona una nota acuta; questo ha il duplice effetto di rilassare la gola e di
abbassare l'altezza dei suoni, che, tendendo ad essere crescenti, saranno più intonati.

Questo esercizio è anche molto utile per una ricerca più raffinata di un colore. Infatti, se
si canta un' intervallo minore il suono acquisterà un colore più malinconico, mentre
cantando un intervallo maggiore o comunque più aperto il colore sarà più chiaro.
Facciamo un esempio: se voglio dare ad una nota un colore più misterioso, come
succede per il do♯ dell'inizio dell'Andante della Sonatine di H. Duttilleux, potrei, in fase
di studio cantare un la♯ , che sarebbe una terza minore, oppure anche una seconda
minore che sarebbe un si♯ (anche se questo sarebbe più difficile da cantare); allo stesso
modo, se dovessi suonare una nota invece più aperta, come l'inizio di uno dei temi della
Fantaisie di P. Gaubert, potrei studiare cantando una terza maggiore o una quinta giusta.
Questo succede perché la gola prende una forma diversa a seconda di che nota stiamo
cantando generando così un' effetto sul suono. Naturalmente, non è un tipo di studio che
“risolve” facilmente o immediatamente, e spesso neanche l'esecutore sembra accorgersi
degli effetti di questo esercizio, ma è lecito comunque pensare che ripetendo questo
esercizio spesso e sulle sonorità che studiamo con attenzione si formerà una specie di
memoria fisica della gola che quindi cambierà posizione da sola quando pensiamo a quel
determinato colore. Così abbiamo educato la gola, ed il palato molle, ad assecondare le
nostre intenzioni musicali, non solo con un controllo “mentale”, ovvero quando pensiamo
che il solo pensiero possa influire sul suono, ma anche con un vero e proprio controllo
sul fisico.

LEGATO DI ARMONICI

È già stato fatto un accenno sulla costruzione del flauto, abbiamo detto che i suoni reali
sono quelli dell'ottava più grave e le ottave superiori sono costruite sugli armonici dei
suoni reali. Le posizioni che usiamo per ottenere le note della terza ottava, quella più
acuta, sono, in realtà delle correzioni degli armonici dei suoni reali. Questo vuol dire che
per ogni nota acuta esiste sicuramente più di una posizione. Come possiamo sfruttare
questo vantaggio? Per cominciare già si usano largamente posizioni dette di “ripiego” per
correggere l'intonazione in situazioni difficili, ma questo a poco a vedere con lo studio
della qualità del suono. C'è, invece, un esercizio che vede le sue fondamenta proprio
nell'uso degli armonici: il legato di armonici. La spiegazione è tanto semplice quanto è
faticosa la pratica. Si prende una nota acuta e la si suona con tutte le sue possibili
posizioni, sfruttando, per l'appunto, gli armonici: prendiamo un la dell'ottava acuta, questa
nota si può suonare con la sua posizione originale, con la posizione del la basso, con
la posizione del fa (in quanto il la è la terza, quindi armonico naturale), con la posizione
del re (in quanto quinta). L'esercizio consiste quindi nel mantenere la nota lunga
cambiando posizione con le dita: un gioco da ragazzi! Invece nella pratica, ci rendiamo
subito conto che alcune posizioni rendono l'emissione molto più faticosa, e più si cerca di
suonare piano più sarà necessaria una forte pressione per poter sostenere la nota in una
emissione più difficile. Anche se molto faticoso questo esercizio è utilissimo per imparare
qual'è il sostegno della pressione necessario per poter sostenere veramente una nota
acuta nel piano, e quindi per poter attaccare nel piano una nota difficile, come succede
nel solo della Ouverture Leonora n°3 di L. van Beethoven, o nel finale del solo della
Carmen di G. Bizet.

Questo metodo, che consiste nell'aumentare le difficoltà nel rispetto della costruzione fisica
del flauto e del nostro corpo, è facilmente applicabile ad altre necessità; soprattutto, è
molto semplice inventare nuovi esercizi che possiamo sperimentare da soli. Penso che
difficilmente nella sperimentazione qualcosa possa essere veramente dannoso, al massimo
potrà risultare inutile, ma non nocivo. Naturalmente, è preferibile conoscere la costruzione
del flauto ed il suo funzionamento, per non andare, diciamo, alla cieca, ma penso anche
che si impari a conoscere il proprio strumento sperimentandolo e sperimentandoci.
L'inventiva e la sperimentazione vanno quindi in parallelo con la conoscenza teorica.

Infatti, proprio per lo studio della Sonatine di H. Dutilleux, ho sfruttato gli armonici in più
di una maniera. La prima parte di questo brano vede la sua maggiore difficoltà nel
legato degli arpeggi, per raggiungere la qualità di legato di cui abbiamo già parlato, ho
pensato che fosse necessario un esercizio “su misura”. Partendo dall'idea che per legare
note così lontane fosse importante avere una pressione dell'aria costante, ho pensato di
sostituire ad alcune note le posizioni dell'armonico, rendendole quindi più difficili. Nel
momento in cui la pressione dell'aria è sufficiente e costante dalla prima nota
dell'arpeggio la nota-armonico non avrà problemi. Ho quindi usato il sistema degli armonici
come cartina tornasole della pressione dell'aria e lentamente il mio corpo avrà imparato la
pressione giusta per quegli arpeggi.

Nella parte finale della stessa Sonatine, c'è un passaggio, per molto difficile, che si trova
al numero 13, si tratta dello staccato pianissimo sulle note acute che prepara il
crescendo prima della cadenza. È, in effetti un punto molto delicato per la struttura del
brano e, per me, era importante studiarlo bene. Ho trovato che suonandolo come se
fosse un adagio, tutto legato e pianissimo, con le posizione degli armonici più difficili,
fosse non solo molto faticoso ma anche utilissimo. Serviva per pulire il suono nel piano
della terza ottava e mantenerne comunque la proiezione. Per ottenere poi la stessa
qualità di suono anche nello staccato ho semplicemente studiato con i medesimi
espedienti ma sperimentando i diversi tipi di staccato, in modo che fosse l'aria ad essere
pronta per il colpo di lingua e non il contrario.
CONCLUSIONI

Naturalmente, questa breve dissertazione sul suono del flauto non voleva arrivare a
conclusioni assolute ed universali, ma solo lanciare degli spunti per la discussione e,
soprattutto, per lo studio. Rimangono aperte moltissime questioni, non solo dal punto di
vista dell'analisi oggettiva, ma anche per quello che riguarda tutta la sfera soggettiva ed
il gusto personale: infatti, non dovremmo scordare che avere un bel suono vuol dire,
anche, avere un suono che ci piace. Certo, è vero che de gustibus non disputandum
est, ma, dall'altra parte, bisogna anche cercare di capire come si forma il nostro gusto
personale. Perché ci piace quello che ci piace? Questo, evidentemente, non è un quesito
che si pone solo riguardo il suono del flauto, quanto piuttosto a tutto il nostro vivere e
piacere, ma, anche su questo, si possono proporre degli spunti di riflessione. La
formazione di un gusto personale sulla sonorità viene indubbiamente da molti fattori
insieme, ma ci possiamo permettere di dire che alcuni di questi fanno parte della
formazione flautistica musicale in sé. Infatti, i primi modelli che si insinuano nell'orecchio,
e quindi nel gusto, sono quelli dell'insegnante e delle registrazioni, poi si passa ai
concerti dal vivo, alla musica da camera e all'orchestra; e ogni volta che viviamo
un'esperienza musicale il nostro orecchio si raffina ed il nostro gusto coglie nuovi livelli di
sfumature. Questo non succede solo con la musica e non solo le esperienze musicali
fanno maturare un gusto musicale e sonoro, sicuramente, tutti i vissuti contribuiscono a
formare le proprie opinioni e la propria sensibilità. Non ci poniamo l'obiettivo di
determinare con esattezza perché piace un suono, un compositore, un romanzo, un film
piuttosto che un altro, ma permettiamoci di dire che la conoscenza della musica e delle
sue forme, certamente è uno dei fattori più rilevanti nella formazione della sensibilità
musicale dell'individuo. Arriviamo dunque alla banalità massima: più conosciamo e
frequentiamo la musica, più il nostro gusto musicale e sonoro sarà raffinato, sviluppato e
personale.

Torniamo ai principali argomenti di indagine: dal discorso emerge che esistono molti
metodi diversi di studio del suono del flauto, non solo perché sono molteplici gli aspetti
da curare, né dipende solo dalle diverse scuole flautistiche, ma soprattutto perché ogni
flautista agisce come un artigiano della sonorità e crea su di sé una metodologia. Di
certo non voglio sminuire il ruolo maggiormente intellettuale del musicista, che teorizza,
sceglie, discute dello stile e dà spazio alla propria personalità cercando di interpretare ciò
che egli ritiene il compositore abbia voluto esprimere, ma rimane indiscutibile il fatto che
lo strumentista sia costretto a passare ore ed ore, interminabili sessione di studio a
cavare la sonorità. Proprio in questo, quello del musicista si rivela come uno dei mestieri
più artigianali.

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