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Cristina Falcinella

LA MESSA IN SCENA DELLA LIRICA DI JAN ERIK VOLD: Jazz & Poetry på norsk

Every jazz musician from the Vold-Garbarek days


has made the same point: it was a joy to work with
Vold. This was partly because of the nature of the
man himself, partly because of the quality of his
lyrics, but especially because of his empathy with the
music, his feeling for rythm, his capacity to know
when to lay out and when to come back in: in short,
his capacity to improvise.
(Michael Tucker)1

La performance musicale del poeta/attore come struttura alternativa


agli strumenti lirici tradizionali

Jan Erik Vold, intellettuale, saggista, e poeta, é esponente di un modernismo che trova
voce nella Scandinavia degli anni Sessanta, lontano dall'intimismo elitario delle origini
(come ad esempio quello di Edith Södergran), non tanto nello spirito quanto nelle scelte
linguistiche e di registro, nelle modalità di rielaborazione del materiale verbale e di accesso
al pubblico.
La sua é una vocazione democratica, volendo utilizzare un aggettivo che torna
frequentemente nei suoi articoli, in quanto avverte l'esigenza prepotente di condividere il
messaggio artistico facendo in modo che la poesia sia in prima istanza una sostanza
concreta da mettere in comune, che sia "res publica" nel senso etimologico
dell'espressione. Il rapporto del poeta con la parola é infatti quello tra un artista/artigiano e
1
Studioso di letteratura e arti sceniche all' Università di Brighton.

1
un oggetto, costituito da una materialità grafica e fonetica: la parola poetica nasce nel
momento in cui si scrive e si pronuncia e solo artificialmente sopravvive. La lirica di Vold si
nutre di quotidiano, attinge a tutte le forme di linguaggio creando un serbatoio linguistico
con cui liberamente gioca impersonando il poeta demistificato, uomo sulla terra come gli
altri, il cui compito non é piú dimostrare l'assenza o la presenza di Dio, bensí
semplicemente guardarsi attorno e scrivere di ciò che vede. Riecheggiano in queste ultime
linee le note anticipatrici dei versi di Sigbjørn Obstfelder, frutto di una nuova sensibilità
scissa e sperimentalista, che trovano seguito in Vold lasciando in secondo piano
quell'inquieto senso di estraneità in cambio di una vigorosa richiesta di partecipazione
collettiva. La poesia norvegese, già a partire dalla generazione di scrittori degli anni
Quaranta-Cinquanta, attraverso nomi importanti come, tra gli altri, quelli di Tarjei Vesaas,
Inger Hagerup, Gunvor Hofmo e Olav Hauge, aveva proseguito la tradizione modernista
ristabilendo il legame, interrotto per piú di mezzo secolo, con le figure pioniere a cavallo tra
la fine dell'ottocento e l'inizio del novecento. Nei nomi sopra citati é da rintracciare la vena
autentica di Vold, che però, a differenza loro, non é marcato tanto dall'esperienza della
guerra o dalla minaccia dell'industrializzazione quanto dai fermenti rivoluzionari e riformatori
tipici del suo tempo: il verso libero e il poema in prosa, l'espressione concisa e concreta
passano da un soggetto lirico solo e chiuso nel suo dolore a uno aperto alla gioia della
compartecipazione. Per poter soddisfare tale urgenza comunicativa egli sceglie di
esprimersi in uno spazio pubblico attraverso liriche suonate e recitate davanti a un uditorio
che paga un biglietto per prendere posto in sala e assistere a una serata jazz & poetry.

Il binomio jazz – Jan Erik Vold ha le sue radici nell’adolescenza del poeta e si rafforza nel
tempo prendendo la forma di una solida e duratura collaborazione che non stenterei a
definire simbiosi.
Il suo entusiasmo per questa espressione musicale risale infatti agli anni Cinquanta. Nella
raccolta di articoli e saggi Entusiastiske Essays (Saggi entusiastici), pubblicata nel 1976 e
contenente i più significativi contributi di Vold alle pagine letterarie della stampa norvegese
tra il ’60 e il ’65, i testi che s’incontrano per primi hanno significativamente per titolo Jazz i
ord (Jazz in parole), Litterære jazzprestasjoner (Prestazioni jazz letterarie) e Poesi og jazz
(Poesia e jazz), redatti rispettivamente nel 1960 e 1961 per il quotidiano nazionale
“Dagbladet” e nel 1962 per la rivista letteraria “Profil”. Vold è anche curatore, insieme a
Olav Angell e Einar Økland, del volume Jazz i Norge2(Jazz in Norvegia) del 1975.

2
Jan Erik Vold, Einar Økland e Olav Angell, Jazz i Norge (Il jazz in Norvegia), Oktober Forlag, Oslo, 1975.

2
Nel 1969 viene pubblicato il suo primo LP Jazz & Poetry firmato insieme al quartetto di
Garbarek con il titolo Briskeby blues (Blues di Briskeby). A seguire nel 1970 Hav (Mare) e
sette anni dopo ingentings bjeller3 (le campane del nulla), tutti e tre gli album con la stessa
formazione: Garbarek al sassofono e al flauto, Bobo Stenson al pianoforte, Palle
Danielsson al basso, Jon Christensen alla batteria e Jan Erik Vold alla “lettura” o alla
“poesia” o alla “voce” - in questo caso risulta molto più complesso fornire una definizione. Si
tratta di registrazioni su vinile o nastro magnetico di una forma d’arte in parte nuova e in
parte molto antica: degli strumenti suonano e una voce parla e recita. Probabilmente non
siamo tanto distanti dalle pagine di storia della letteratura che raccontano di cantori, aedi e
rapsodi. Forse a testimoniare che musica e parola lirica sono state scisse forzatamente
secondo un concetto di divisione del lavoro lontano dalle origini della poesia. Se però gli
antichi non ci hanno lasciato traccia scritta che ci aiuti a conoscere la musica che veniva
suonata, le informazioni a disposizione in questo caso sono molte: abbiamo a che fare con
brani di Jazz & Poetry, fenomeno che trae le sue origini dalla collaborazione tra artisti jazz,
soprattutto neri e poeti e scrittori americani degli anni Cinquanta, soprattutto di origine
ebrea. In questa tradizione americana, successivamente trapiantata anche in Europa
(riscuotendo il maggior successo in Germania e in Scandinavia), s’inserisce tanta parte
della fatica poetica di Vold, che ad essa apporta modifiche molto personali. Nel 1986, dopo
un silenzio discografico di vari anni, esce Den dagen lady døde (Il giorno che lady morì) in
cui Vold non utilizza testi propri bensì le sue traduzioni in norvegese di alcuni brani del
poeta americano Frank O’Hara 4. Da questo momento in poi cambia i suoi collaboratori
musicali, nonché compagni di viaggio, e conseguentemente lo stile jazzistico viene a
modificarsi. Il suo vecchio amico Egil Kapstad al pianoforte, Red Mitchell al basso e Nisse
Sandström al sassofono tenore suonano infatti jazz standards (ovvero melodie entrate a far
parte del reportorio jazzistico classico) secondo le regole del più virtuoso mainstream jazz
(stile jazzistico ispirato allo swing, precedente al be-bop), molto più definito
nell’organizzazione dei brani e molto meno sperimentale del free jazz orientaleggiante del
primo Garbarek. Cinque anni dopo Vold si trova a Parigi a registrare in soli due giorni
( d'altro canto in quasi tutte le sessioni i tempi in sala di registrazione sono molto brevi) un

3
Riporto i titoli delle opere esattamente come compaiono, invariati nelle varie edizioni, e rispettando le scelte grafiche
dell'autore in quanto a caratteri maiuscoli o minuscoli. E' tipico infatti di Vold in qualità di rappresentante della poesia
modernista nella sua espressione "concreta", ovvero afferente al concretismo, considerare la parola come materiale
grafico da manipolare, svincolato nella misura del possibile dai dogmi della tradizione. Lo stesso atteggiamento si riflette
nella particolare dizione del poeta/attore che giocando sull'irregolarità della punteggiatura si inserisce in maniera di volta
in volta diversa nella battuta musicale.
4
Vold cura la traduzione norvegese di alcune poesie di Frank O’Hara nell’antologia dedicata al poeta americano dal titolo
Solen ute paa Fire Island & andre dikt, (Aschehoug, Oslo, 1983).

3
album con Chet Baker dal titolo Blåmann! Blåmann!5 La collaborazione tra i due non ha
avuto seguito per la morte improvvisa del grande sassofonista americano. Il lavoro
discografico di Vold però continua e nel 1990 pubblica Sannheten om trikken er at den
brenner (La verità sul tram è che brucia) a cui fece seguito Pytt pytt blues (Blues
indifferente)6 nel 1992. Del 1994 è Obstfelder LIVE på Rebekka West contenente la lettura
integrale di testi del sopracitato poeta modernista norvegese Sigbjørn Obstfelder. L’ultima
fatica risale al 1999, quando Vold decide di regalare con il disco Storytellers un tributo a
coloro che lui reputa i migliori narratori di storie, scandinavi e non.
In un’intervista radiofonica Vold, alla domanda del giornalista su quale genere musicale lo
avesse influenzato di più, risponde:

Nei, det var vel ikke popmusikk. Jazzen var helligere, det skjønte jeg veldig tidlig.
Selve holdningen i jazzen, ...den var fin. Jazzen er jo skapt ut av sosialt trykk, blant
veldig mye annet. Både glede og smerte er blandet sammen på en måte som jeg
ikke så i noen kulturelle uttrykk (skal jeg ikke si det? Det høres ikke så fint ut!) i det
son omgav meg.7

No, non è stata certo la musica pop. Il jazz era più elevato, lo compresi ben presto.
L’atteggiamento stesso del jazz. Quello sì che era bello. Il jazz origina dalla
pressione sociale, tra i molti altri fattori. Gioia e dolore sono fusi insieme in una
maniera che non vedevo in nessuna delle espressioni culturali (non lo devo dire?
Non suona molto bene!) che mi circondavano.

Non si può non notare un sottofondo polemico rispetto alla situazione dell’intellighenzia
norvegese degli anni Cinquanta, dominata secondo Vold da forte arretratezza e cecità
provinciale davanti agli impulsi offerti dalle nuove frontiere culturali. In questo contesto,
segnato da fermenti innovatori in lotta contro posizioni quasi reazionarie, il jazz sembra
presentare un’opportunità alternativa e una forma di riscatto. Non si deve dimenticare infatti
che esso nacque dall’incontro tra gli schiavi neri deportati dall’Africa con gli europei giunti a
colonizzare le Americhe: l’incrocio tra forze sotterranee ignote ai bianchi, quelle di un
popolo considerato molto vicino all’istinto animale, e l’idealismo occidentale nato in Grecia e
poi trasfusosi nel mondo latino e germanico fece fiorire una nuova forma culturale basata
sulla creatività, l’istintività conviviale e l’improvvisazione vocale e strumentale.
5
La traduzione letterale sarebbe “uomo blu” o “bluesman”, ma si riferisce in realtà al titolo di una melodia popolare
originaria della regione norvegese del Telemark. Uno dei musicisti la suonò in studio per scaldarsi prima di iniziare a
registrare e Chet Baker, dopo averla udita, dimostrando di apprezzarla, disse: “That tune sure gets you at once”.
Nell’album il motivo è affidato proprio alla tromba di Chet Baker.
6
Nel titolo originale norvegese compare la forma onomatopeica "pytt" che, intraducibile graficamente in italiano, indica
una interiezione tipica del linguaggio colloquiale, generalmente ripetuta e usata per esprimere un atteggiamento di
indifferenza rispetto all'oggetto o all'argomento di cui si parla. Corrisponde al verso che spesso accompagna un'alzata di
spalle.
7
Tratto da un’intervista radiofonica a JEV sul canale nazionale NRK1 del febbraio 1980.

4
L’irruzione del jazz nel panorama musicale del vecchio continente segnala che
evidentemente il bisogno di rinnovare la tradizione musicale europea era molto diffuso.
Questo distacco da regole musicali che avevano imperato sovrane per secoli accadde non
senza difficoltà e il parallelo con i cambiamenti avvenuti in altre arti è palese, basti pensare
alle avanguardie artistiche e letterarie d’inizio secolo. Nel caso del jazz si trattò di introdurre
schemi e modi sostanzialmente diversi, derivati da una storia e una sensibilità altra e
peculiare; ma era in generale necessario fronteggiare realtà nuove, spodestare quell’ormai
satollo eurocentrismo e confrontarsi con l’avvento di etnie e forme di cultura diverse. Ad
esempio, mentre l’atonalità venne introdotta nella musica europea solo con l’avanguardia di
Schönberg, una tradizione atonale era sempre esistita nella storia del jazz.
Negli anni Sessanta, quelli in cui Vold muove i suoi primi passi letterari, si potrebbe pensare
che quest’integrazione tra Die Welt von gestern e il nuovo volto dell’Europa multiculturale
fosse già avvenuta, ma, considerata la vis polemica di tante giovani voci norvegesi riunite
sotto la denominazione comune di Profil-kretsen 8, evidentemente ciò ancora non si era
verificato. In questo quadro mi preme sottolineare il carattere intrinsecamente interculturale,
dialogico e rivoluzionario della musica jazz nelle sue varie forme, J&P (abbreviazione
corrente per Jazz and Poetry) in primo luogo.
I musicisti jazz europei scoprono ora la musica africana e si aprono poi a quella araba e
indiana. Un atteggiamento aperto e attento al “lontano” e al “diverso” è la caratteristica
fondamentale che richiede questa nuova musica, in fondo un ibrido che ha acquisito col
tempo la dignità meritata.
Alcuni studiosi della materia sostengono che il ritmo del jazz sia più vicino al nostro ritmo
naturale di altre forme musicali. Nel mondo nordico un importante riferimento in tal senso è
un articolo dello studioso S.K. Sætereng che riconosce nel jazz i moduli ritmici mai precisi,
mai uguali a sé stessi propri della natura. Lo studioso tende a dimostrare che il jazz è un
ecosistema, alla luce probabilmente della sua fede buddhista che ritrova in questa forma
artistica così ricca e peculiare la sua stessa visione totalizzante e complessiva. Instaura
anche un paragone tra l’improvvisazione jazzistica e le pratiche del buddhismo Zen in
quanto entrambe seguono un processo creativo ontologicamente estraneo al concetto di
perfezione nella misura in cui si parla di universo chiuso ma che é sempre in movimento e
non si cristallizza in una versione definitiva:

Jazzen har en form som er en glede å ta del i, kanskje en glede å frembringe


også. [...] Det er ingen surmule i det meste man kjenner av jazz. Den gir stor frihet
8
Con questa espressione, utilizzata dai manuali di storia della letteratura scandinavi, si indica la cerchia di intellettuali,
artisti e scrittori legati alla rivista letteraria "Profil".

5
innenfor likevel et musikalsk univers som har sine lover. Men også lover som kan
sprenges.

Il jazz è una forma alla quale è una gioia prendere parte, forse che è anche una
gioia realizzare. […] Nessuno tiene mai il broncio nella maggior parte del jazz a noi
noto. Dà grande libertà, comunque sempre all’interno di un universo musicale
dotato di proprie regole, ma regole che si possono anche infrangere.9

JEV (sigla ufficialmente utilizzata da Vold stesso e da tutti gli studiosi che si sono occupati
di lui, costituita dalle iniziali del suo nome) trova nel mondo del jazz lo spazio che necessita.
La musica ha una struttura a cui JEV delega la responsabilità di creare un sistema di regole
di riferimento che possano, grazie ai loro limiti, creare delle barriere e articolare un senso.
Non necessita più di strofe e rime fisse perché il tessuto musicale di per sé strutturato
impone dei parametri sui quali Vold di appoggia ritmicamente e vocalmente. La libertà
assoluta, intesa come uno svincolarsi totale da qualunque canone, non darebbe modo al
poeta di esprimersi. La musica svolge contemporaneamente il ruolo di argine e di coautore
dando un’organizzazione ritmica alla sua esigenza di prosa. C’è infatti spesso nella
produzione poetica di Vold un'insistente istanza discorsiva o ragionativa, anche se spesso
ellittica e sintetica, che non si lascia facilmente costringere nelle maglie del verso. Fa
ricorso a moduli che non hanno nemmeno bisogno di alludere a forme metriche note: le
esigenze ritmiche che la poesia, deprivata dei suoi elementi regolatori metrici, non è in
grado di soddisfare vengono soppiantate dalla musica.
Se è vero, come è vero, quanto scrive Montale nella poesia Le rime:

Le rime sono più noiose delle


dame di San Vincenzo: battono alla porta
e insistono. Respingerle è impossibile
e purché stiano fuori si sopportano.
Il poeta decente le allontana
(le rime), le nasconde, bara, tenta
il contrabbando. Ma le pinzochere ardono
di zelo e prima o poi (rime e vecchiarde)
bussano ancora e sono sempre quelle.,

allora si può forse dire che Vold attua un’operazione sostitutiva, o quantomeno
compensativa, piuttosto originale. Egli non segue affatto un manifesto programmatico di
epurazione del verso da tutto ciò che fino a poco prima lo aveva distinto dalla prosa: se
crede si permette la rima e anche la metafora. La sua posizione all’interno del movimento
riformatore modernista non è mai troppo ortodossa né fanatica.
9
Sigmund Sætereng, Jazz som økologi og omvendt (Jazz come ecologia e viceversa), “Arena”, nr.3, 1986, p.32.

6
In molti casi però l’uso di questi strumenti poetici, avvertiti come inadeguati o insufficienti,
non è efficace e si pone in chiave ironica e critica, come fosse la poesia a fare la parodia di
se stessa. Venendo dunque a mancare, nella maggioranza dei casi, un elemento
strutturante e regolativo quale è la rima (anche l’isocolia spesso è messa al bando, pur
permanendo a volte, anche se solo a livello eidetico), il brano jazz, tipicamente ricco di
sincopi e terzine, assume un ruolo fondante e aggregante. Si crea una organicità nuova
derivata da un intento ritmico diverso, da un’inquietudine e una sensibilità scombussolata
che non solo rigetta le forme metriche tradizionali, ma anche l’anarchia del verso libero
senza alcuna struttura costrittiva.

Vold opta per una configurazione dei versi sincopata, una scelta e un’organizzazione del
materiale verbale che ha insomma, come sostiene il critico Walter Baumgartner 10, della
caratteristiche jazzistiche già in sé, anche senza l’intervento della musica. Tra queste si
possono individuare: i parallelismi e le anafore, l’oralità colloquiale, la narratività, l’urbanità
(Vold per la ricorrenza di riferimenti specifici alla sua città viene definito “Oslopoet”), i temi
quotidiani (inclusi conflitti e contraddizioni umane poco solenni e spesso nel segno
dell’eros), i molti cenni a cose e persone note e ben contestualizzabili, il senso ironico-
nostalgico tipico del blues, l’andamento ritmico e la divisione sincopata delle linee del testo,
l’oscillazione continua tra frasi brevi e lunghe, tra staccati e legati e tra sintagmi paratattici e
ipotattici, l’aggressività compressa, le apostrofi, le citazioni e autocitazioni e i rimandi
musicali e letterari.

Un aspetto interessante che scorre come leitmotiv in tutta la produzione lirica di Vold è
l’atteggiamento giocoso e ironico nei confronti, non solo del testo e della letteratura, ma
anche della realtà tutta. In questo senso si può forse dire che riconosce la sua stessa
disposizione verso la vita nel mondo del jazz, con la sua curiosa commistione di elementi
eterogenei, la coabitazione equilibrata di punti di vista diversi e l’apertura costante e attenta
verso apporti culturali differenti. La musica può agire in questa direzione sul piano simbolico
coinvolgente e profondo e, in particolare, il jazz offre una risposta gioiosa e propositiva alle
difficoltà della vita. Ecco come Martin Luther King jr. commentò un’esibizione di John
Coltrane:

10
Walter Baumgartner, Skizze einer bimedialen Gattung: Poetik und Performance-Praxis, „Jazzpodium“, nr.9, 1992, p.
92.

7
Jazz speaks of life. […] This is triumphant music. Modern jazz has
continued in this tradition, singing the songs of a more complicated
urban existence. When life itself offers no order and meaning, the
musician creates an order and meaning from the sound of hearth,
which flow through his instruments.

Il jazz parla di vita. […] E’ musica trionfante. Il jazz moderno ha


proseguito in questa tradizione, cantando le canzoni di una esistenza
urbana più complessa. Quando la vita in sé non offre né ordine né
significato, il musicista crea ordine e significato traendoli dal suono
della terra che scorre nel suo strumento.11

Questa ineliminabile attitudine alla festosità ha spiazzato molti critici e intellettuali e ha


creato spazi d’incomprensione laddove l’ironia e la sperimentazione sono state scambiate
per bonomia indulgente. Questa linea interpretativa viene ben presto totalmente
contraddetta dal tono più nettamente provocatorio e pungente delle elaborazioni letterarie di
Vold a partire dal 1970. Qui lo sguardo del poeta si fa più disincantato sia su temi culturali
che politici e, passando attraverso la provocazione dichiarata, arriva fino a toccare la vera e
propria rabbia.
Vold costruisce, attingendo al jazz e alla filosofia orientale, un mondo di valori seri e
criticamente fondati che pur contemplando aspetti complessi dell'esistenza non perde mai il
sorriso né mai abbassa la guardia. L’attenzione rivolta al presente non ammette ignoranza o
superficialità, né tantomeno lascia che le tonalità minori prevalgano sulle maggiori. Si tratta
di una gioia seria e profonda che elegge a luogo privilegiato della propria espressione il
testo poetico. All’interno di queste coordinate il gusto di scrivere trova la sua realizzazione
nel piacere di condividere con gli altri non solo il senso ma anche il suono delle parole, da
qui il valore fondante del momento performativo Jazz & Poetry.
Prendendo spunto da gravi eventi di attualità (vedi i testi sulla guerra in Vietnam, sui conflitti
interetnici nella ex Yugoslavia, etc…) o da situazioni politiche discutibili (vedi decisioni o
indecisioni da parte del governo norvegese piuttosto che del consiglio comunale di Oslo)
spesso tratte dalla cronaca contemporanea, Vold esorta il suo lettore a porsi criticamente
davanti all’oggetto, ad affinare gli strumenti ermeneutici a sua disposizione innalzando in
questo modo la dignità umana che certi episodi annichiliscono. Tutto ciò assume i tratti di
un gioco serio e adulto che, inserendosi nello spazio ritmico (per ragioni di forza maggiore

11
Aneddoto citato da Michael Tucker nel suo saggio A song of something else. On the poetry and jazz of Jan Erik Vold
and Jan Garbarek, Cappelen Forlag, Oslo, 1999.

8
conchiuso) e nell’atmosfera di una ballad o di una improvvisazione jazz, si ridimensiona, si
enuclea pur non perdendo nulla della sua gravità.

L’evento Jazz & Poetry:


il ruolo del lettore/spettatore e la specificità scenica di Vold

Questo tipo di offerta artistica richiede inevitabilmente un lavoro critico da parte di un


fruitore attivo, pronto a essere sorpreso, sbalordito e chiamato in causa. Il ricevente di
questo atto comunicativo non può permettersi passività: deve guardare con occhi svegli e
ascoltare con orecchie attente perché anche da lui dipende la buona riuscita della
comunicazione. A livello teorico si può dire che non esiste un’interpretazione corretta, in
quanto il messaggio si crea su un piano dialogico interminabile che prevede un continuo
lavoro di decodifica e ricollocazione delle proprie idee, come dovrebbe accadere tra due
interlocutori che si prestano ascolto reciprocamente.
Poste queste premesse si può capire quanto una simile idea dialogica e democratica della
fruizione letteraria imponga e proponga un elevato esercizio di coscienza critica. In varie
occasioni Vold apostrofa il lettore per rompere l’illusione e demitizzare il ruolo di scrittore
che si trova a ricoprire. Non vuole essere considerato “Poeta”, considera autore e lettore
sullo stesso piano, proponendo in questo modo un atteggiamento dichiaratamente
antiautoritario nei confronti del lettore, spronato a prendere posizione e offrire punti di vista
in una visione dinamica della comunità letteraria.
Nella prefazione al suo volume di saggi critici Her. Her i denne verden. Essays og samtaler
(Qui. Qui in questo mondo. Saggi e conversazioni), 1984, Vold scrive:

Det er mange måter å forholde seg til poesi og det poetiske. En av dem er å
se på samtalen omkring teksten som viktig: det at diktet taler til en, at man
som mottager gjerne ville gi svar tilbake – og at den som som leste disse
svar, skulle føle at hun eller han også tok del i samtalen. Eller iallfall befant
seg på samme rommet. Det skulle være et rom der forståelse, fornunft og
varme var gyldige størrelser – til å skape det felleskap som i beste fall heter
samtalens glede.

Ci sono molti modi di rapportarsi alla poesia e al poetico. Uno di questi è


considerare importante il discorso intorno al testo: il fatto che la poesia parla
a un ricevente che volentieri vuole dare una risposta, e che chi leggesse
questa risposta sentisse che anche lui o lei ha preso parte al discorso. O che
comunque si è trovato nello stesso spazio. Dovrebbe trattarsi di un luogo in

9
cui comprensione, razionalità e calore sono grandezze valide, in modo da
creare quella comunanza che nel migliore dei casi si chiama gioia di parlare
insieme.12

Non a caso nello stesso contesto ritroviamo ancora una volta il tema della gioia.
Comprensione, razionalità e calore sono date come valori necessari e costitutivi la base di
una comunità o comunanza gioiosa nel nome della parola, dello scambio. La radice latina
dei termini appena citati, il verbo “comunicare”, è in grado di dirci molto sul senso che JEV
attribuisce al suo lavoro poetico: significa infatti mettere in comune, rendere appartenente a
tutti, trasferire, trasmettere.
Se questo discorso vale già in una situazione di rapporto individuale con il testo scritto,
ovvero quando il singolo legge la poesia, in un contesto di lettura pubblica da parte
dell’autore stesso le potenzialità di dialogo aumentano. Se poi alla voce del poeta si
aggiungono gli strumenti musicali di un gruppo affiatato di jazzisti la comunicazione si
arricchisce agendo su più dimensioni e mettendo in gioco molti fattori.
Vold sottolinea in varie occasioni quanta importanza riveste la presenza di una platea
coinvolta riunita intorno a lui in contesti non solenni, anzi sempre limitati, quasi familiari. In
queste assemblee si crea uno spazio di musicalità e poesia con una viva risposta di
pubblico:

Det er en glede for meg. Skoler, jazzklubber, biblioteker. Ett hundre mennesker
her og der, ikke store omgivelser men da har man kunnet skape et rom av
musikalitet og poesi sammen med musikanter. [...] Det er en levende respons i
samlingene.

E’ una gioia per me. Scuole, jazzclubs, biblioteche. Un centinaio di uomini qua e
là, non grossi ambienti ma là si è potuto creare uno spazio di musicalità e poesia
insieme ai musicisti. […] C’è una risposta viva nelle assemblee.13

Ci troviamo in questo caso di fronte ad uno spettacolo letterario e musicale sui generis, un
cosiddetto “Jazz & Poetry context” in cui abbiamo un performer e un evento, ovvero un
attore e un’azione da un lato e uno spettatore che reagisce allo stimolo proposto dall’altro.
Sulla scena si viene man mano a creare una realtà, sì fittizia e alternativa (teatrale), ma al
tempo stesso coinvolgente e interlocutoria. La risposta dell’ascoltatore contribuisce a creare
un’atmosfera in grado di incidere sul farsi della performance e quindi sul messaggio: le
12
JEV, Her. Her i denne verden, Gyldendal Norsk Forlag, Oslo, 1984, p.7.

13
Dichiarazione rilasciata da Vold durante un’intervista televisiva nel 1979.

10
variabili contestuali previste dal copione sono molte e sono connaturate al tipo di
espressione e alle sue radici.
Quanto importante sia il ruolo svolto dal lettore/ascoltatore lo sottolinea una poesia dal titolo
programmatico contenuta nella raccolta poetica kykelipi (1969)14:

TIL LESEREN AL LETTORE

Jeg hadde Avevo


et visst overtak på deg un certo vantaggio su di te
i begynnelsen, merket all’inizio, te ne sei
du det? – jeg burde accorto? – avrei dovuto

kanskje nevne det forse farlo notare


nå som jeg er i ferd adesso che sto
med å slippe per mollare
grepet – for du finner la presa – perchè trovi

vel etter hvert anche tu no man mano


at vi står i grunnen che siamo fondamentalmente
nokså likt, ikke sullo stesso piano, non è
sant? vero?

Musica, testo, recitazione e presentazione scenica si possono reciprocamente


accompagnare, rafforzare, illustrare, commentare, prendere in giro ironicamente o passare
il filo in un continuo scambio e interscambio di ruoli. Tutti gli attori sul palco sono coautori
sullo stesso piano e condividono la riuscita dell’evento comunicativo.

Si tratta dunque di una struttura in fieri e irripetibile, mai uguale alle precedenti. In un
contesto di questo tipo l’atto poetico si dà e si fruisce nell’atto stesso del processo creativo,
e si può parlare più specificamente di gesto poetico, in quanto performance. Il minimo
comune denominatore è la parola che racchiude l’anima del jazz: l’improvvisazione. I

14
Jan Erik Vold, kykelipi, Gyldendal Norsk Forlag, Oslo, 1969, p.60.

11
musicisti possono seguire una partitura preesistente oppure lasciare libero sfogo al proprio
strumento inventando soluzioni diverse su una base nota di giri armonici. Parallelamente
agisce il poeta, intendendo in questo caso per partitura il testo poetico scritto: tutti i
parametri musicali possono essere giocati in maniera diversa da esecuzione a esecuzione.
JEV racconta che il metodo seguito per organizzare il programma delle sue esibizioni con le
varie formazioni jazzistiche che lo hanno accompagnato nel tempo ha subito molte
variazioni nel corso degli anni, passando attraverso le possibili combinazioni nella gestione
dell’improvvisazione in scena. Se dunque l’improvvisazione non è caos, ne consegue che
non può mancare un punto fermo, in relazione al quale il resto degli elementi in gioco si
decide, sia esso l’elenco dei brani musicali o un tema astratto da seguire. Nella
maggioranza dei casi però, soprattutto negli anni della collaborazione con ”Jan & gutta
hans” (ovvero Jan Garbarek e i suoi ragazzi), stabilivano in anticipo un certo numero di
figure ritmiche e zone tonali entro le quali si sarebbero mossi durante l’esecuzione e da cui
dipendeva la scelta dei testi da leggere.
Ricordando gli esordi, JEV racconta:

Jeg kunne jo ikke så mye formelt om jazz. Feelingen og rytmefølelsen var det som
jeg hadde sterkest.

Io non ne sapevo mica tanto di jazz dal punto di vista formale. Il feeling e senso
del ritmo era ciò che sentivo più forte.

Egli comincia l’avventura jazzistica nei primi anni sessanta leggendo i propri testi e quelli
altrui davanti a piccole assemblee soprattutto studentesche e segna così con
sperimentazioni vocali povere e non accompagnate da musica l’inizio di un percorso lungo
e destinato a riscuotere grande consenso di pubblico. Negli anni accumula esperienza e la
gamma espressiva della sua voce si arricchisce molto acquisendo sicurezza e raffinata
capacità di gestire le sue potenzialità vocali. Le caratteristiche di Vold che Tucker indica con
“natural born feeling for jazz aesthetic” e spiccate doti di fraseggio jazzistico sono
innegabilmente apprezzate dai musicisti suoi compagni di viaggio. In particolare il batterista
del quartetto di Garbarek dei primi anni Settanta, Jon Christensen, racconta così:

It’s incredible that he could be with us, hear what we tried to do end be so open,
not locked into any particular feeling about what jazz should or shouldn’t be.

12
Naturalmente siamo all’interno di una forma espressiva sempre al confine con la recitazione
e con il canto anche se effettivamente Vold non recita e non canta. Sfrutta molto bene la
sua presenza scenica, è nel ruolo di colui che esibisce sé stesso nonché le sue parole. In
quanto performer professionista sa quando lasciare entrare l’applauso in una perfetta
gestione dei tempi di palco e sa riempire la scena insieme ai musicisti dando un effetto
carico di energia. E’ noto in patria per il suo strano modo di respirare, per le espressioni
facciali che sanno creare grande intimità con il pubblico, ma soprattutto per il modo
particolare di muovere il piede in anticipo rispetto al primo accento della misura. Fa un uso
magistrale della pausa, l’elemento cardine in grado di dare un effetto di sospensione, senso
attesa fondamentale nella comunicazione. Da qui la forza trascendente che si annida nelle
sue linee apparentemente pigre, in realtà di uno swing aggressivo e accattivante.
Vedendolo in azione si capisce quanto si stia godendo la musica e gustando le parole.

Non ci troviamo però di fronte a una sovrapposizione di espressioni artistiche bensì a un


EVENTO che si delinea nel farsi, come risultante dall’intreccio profondo di due dimensioni,
quella della nota e quella della parola non melodica in un tessuto significativo.
In altre parole ciò che avviene sul palco è una forma di interazione (le parole utilizzate
rispettivamente in testi di lingua tedesca e inglese sono "Zusammenspiel" e "interplay" la cui
traduzione italiana riduce di significato) tra musica, testo e recitazione. L’esperimento si
ripete e riesce, di volta in volta.
Vold s’inserisce nella tradizione J&P con uno stile molto personale e non mutuato dai suoi
colleghi d’oltreoceano. E’ anzitutto poeta e uomo di lettere, ma con “jazz blood running
through his veins”. La sua è una variante scandinava, più cerebrale, più cool, riecheggiante
le sonorità e lo stile di Lester Young e Miles Davis. Come Walter Baumgartner ha osservato
durante il suo intervento al seminario di poesia dedicato a Vold (tenutosi a Flisa in Norvegia
dal 18 al 22 marzo 1999), una fonte d’ispirazione importante per Vold è appunto il suono
elegante, melanconico e morbido di Lester Young. Affinità tra alcuni aspetti di poetica jazz e
l’allora emergente poeta erano già stati avvistati da Einar Økland nella sua recensione della
raccolta poetica di maggior successo di Vold, Mor Godhjertas glade versjon. Ja (La
versione felice di mamma buoncuore. Sì) 196815 :

Lik Lester young, som er nemmt kring i boka, trør han ikke nedpå takslaget, men
held tonen over, seigt og slepande, for så elegant å ta av til skrås – uventa – og

15
Einar Økland, Anmeldelse av Mor Godhjertas Glade Versjon. Ja, ”Vinduet”, nr.3, 1980.

13
med nokre kjælne sløyfer svinge dit han vil – fri. [...] Difor den vennlege,
overtalende, appellerande talemåten.

Come Lester Young, che è nominato qua e là nel libro, non appesantisce
l’accento, ma tiene il tono alto, morbido e scivoloso, per poi decollare
elegantemenete in diagonale – inaspettatamente – e con alcuni giri carezzevoli
curvare là dove vuole, libero. [...] Da qui il modo di parlare amichevole,
convincente, coinvolgente.

Evidentemente il termine di paragone non è dispiaciuto a Vold, se durante un colloquio con


il critico e professore di poetica dell’Università di Brighton, Michael Tucker, che gli suggeriva
quali fossero i punti di contatto tra lui e il grande tenorsassofonista, per tutta risposta ha
pronunciato le seguenti parole: “Oh yes, and – well – thank you sir!” (non senza un ampio
sorriso e un breve inchino a mani giunte sul petto, in segno di riconoscenza).

Dal punto di vista poetico Vold fa appello alla complicità, alla conoscenza, alla comune
esperienza e ai valori sociali condivisi dal suo pubblico oltre a presupporre una cultura
omogenea e ricca da parte dei lettori, anche in materia musicale, ma non solo: bisogna
sapere chi è Lady (Billie Holiday), chi è Georg (Georg Johannesen), bisogna avere letto
Gunnar Ekelöf e Tarjei Vesaas, ma non sarebbe male conoscere Bob Dylan 16 e Peter
Bichsel17. Tutto ciò consente di porsi nelle migliori condizioni allo scopo di cogliere allusioni
e citazioni che nei suoi testi abbondano.
L’intertestualità già presente nel testo si espande arricchendosi dell’azione intertestuale a
livello musicale: connotazioni semantiche all’interno della musica si danno nei titoli dei
brani, in determinati effetti sonori, nella conoscenza dei musicisti che già li hanno suonati
dandone una propria nuova interpretazione, negli eventuali aneddoti legati a quel
particolare brano, etc…
In un intervista con Roald Helgheim dice Vold :

Amerikanske jazzmusikarar har alltid fortalt oss at for å kunne spele ein låt bra, må
du ikkje berre kunne teksten, men også historien bak låten. Men her blir ein
standardlåt med ein spesiell historisk bakgrunn kobla til eit dikt med ei anna
hostorie, forfatta av ein norsk lyrikar.

I musicisti americani ci hanno sempre detto che per poter suonare bene un brano
non devi solamente conoscere il testo ma anche la storia dietro il pezzo. Qui però
16
Vold ha curato la traduzione in norvegese di una raccolta di poesie di Bob Dylan (Damer i regn, Aschehoug, Oslo,
1977), oltre ad avergli dedicato una serie di articoli.
17
Vold è un grande sostenitore di Bichsel e ha tradotto alcune poesie e il romanzo dello scrittore svizzero uscito nel 1964,
Eigentlich möchte Frau Blum den Milchmann kennelernen tre anni dopo la pubblicazione (Egentlig ville Fru Blum bli
kjent med melkemannen, Tiden, Oslo, 1967).

14
un jazz standard con una storia specifica viene unito a una poesia con un’altra
storia, scritta da un poeta norvegese.18

L’interazione tra poesia e musica nel caso Vold è molto raffinata. Non è mai una semplice
sommatoria di elementi, una sorta di melting-pot o salad-bowl senza identità, al contrario:
dall’unione di due linguaggi deriva una gamma di livelli di lettura e di fruizione ancora più
stratificata.
L’effetto che si ottiene riguarda innanzitutto il piano della percezione psicologica. Si avverte
un’oscillazione continua tra primo piano e sfondo, che provoca una progressiva perdita dei
rapporti di gerarchici. Dal punto di vista della semiotica invece si attua una
desemantizzazione del piano denotativo e una contemporanea (compensativa?)
semantizzazione degli elementi musicali. Musica e testo si pongono in un rapporto di
reciproca interpretazione, sullo stesso livello, anzi, in una somma complessivamente
equilibrata di primi piani ben distribuiti. Dal punto di vista sociologico il Jazz & Poetry
rappresenta una nuova collocazione, un cambiamento funzionale della poesia nei confronti
del pubblico e del suo stesso significato. Se con il modernismo il "poeta vate" viene
detronizzato, la cornice offerta dal jazz gli conferisce una nuova aura.
In un’orchestra sinfonica, così come nella società da cui storicamente nasce, si ha una
struttura piramidale ben stabilita. In alto un trio di elementi distinti: compositore, partitura e
direttore, sotto solisti e sezioni fondamentali di strumento, sotto ancora la maggioranza, gli
strumenti in secondo piano; il jazz rompe completamente con questi schemi, il ritmo viene
da dentro, un ente coordinante dall’alto rovinerebbe la situazione collettiva, humus da cui il
jazz trae nutrimento.
Nella formazione jazz si tende a creare un tutto coesivo in continuo assestamento e
ridefinizione. Ogni elemento è portatore significato e la voce è uno strumento come gli altri.
Ciascuno è libero di dare la sua lettura e offrire il proprio ascolto ma naturalmente questa
grande libertà presuppone un’altrettanto grande responsabilità. Afferma a questo proposito
Sætereng:19

Rytmisk-harmoniske mønstere, som kommer innenfra – som allerede er i oss


selv på samme måte som pust og puls – det er det som binder den
improviserende jazz-gruppen sammen og som gir denne mirakuløse muligheten

18
Roald Helgheim, Frå Briskeby til Pytt Pytt blues, “Jazznytt”, nr.1, 1993, p.3.

19
Sigmund Sætereng, Jazzen som økologi og omvendt, ”Arena”, nr.3, 1986, p.46.

15
at individet kan være fritt samtidig som dette ikke skjer på andres bekostning,
men tvertimot er en nødvendighet for at en helhet av dette slaget skal bestå.

Modelli ritmico-armonici che vengono da dentro, che sono già in noi stessi come
il respiro e la pulsazione, questo è ciò che tiene unito il gruppo di musicisti jazz
mentre improvvisano e che fornisce all’individuo quell’opportunità miracolosa di
essere libero e al tempo stesso di esserlo a spese altrui, condizione
imprescindibile affinché un’unità di questo tipo possa sussistere.

Vold e i suoi musicisti, perfino Chet Baker che non parlava nemmeno una parola di
norvegese, parlano lo stesso “you-know-what-I-mean-dialect”, una lingua laconica piena di
ironia e complicità. La sicurezza musicale di JEV e il livello di comprensione reciproca con e
tra i musicisti sembrano in qualche misura annientare qualunque tipo di opposizione teorica,
nel momento in cui musica e testo colloquiano con successo l’effetto è sorprendente.
Michael Naura, il pianista tedesco che introdusse il J&P in Germania negli anni ’60, parla di
“Konspiration” tra poeta e musicisti, una sorta di comune tensione spirituale.
Molti degli accademici che si sono occupati di JEV hanno notato come dopo aver “sentito” i
suoi testi sia impossibile leggerli senza udire mentalmente anche la sua voce con le sue
cadenze e la sua musica.
Il senso dell’udito si presta con grande facilità a stabilire associazioni, con grande
naturalezza la musica richiama alla memoria eventi a essa associati. Le parole di un brano
riconosciuto stabiliscono e mantengono un nesso intimo e inscindibile con a musica stessa
nello spazio e nel tempo. Si stabilisce una associazione molto efficace tra testo e musica da
far sembrare che esistano profondi legami tra loro. E’ difficile operare una netta separazione
mentale tra testo e musica.

La musica svuota il testo di contenuti semantici in una certa misura, ma la ricolma


contemporaneamente di nuovi significati. Nel caso di un suono illustrativo, naturalmente la
forma libera e flessibile di Garbarek è meglio indicata, dal momento che lascia molto spazio
agli interventi di batteria e basso che possono liberamente esprimersi reagendo, in termini
di dialogo, alle altre voci e al testo per creare effetti particolari. Qui il pericolo è, dal punto di
vista teorico, che la musica perda la sua logica d’insieme e si riduca a un ruolo di commento
sonoro, alla stregua di ciò che viene indicato, prendendo spunto dallo stile delle produzioni
di Walt Disney, come “mikey-mouse-score”, ovvero una composizione musicale che doppi
ogni singolo motivo proposto dal testo (ogni singola azione di Topolino nel cartone animato)
16
in maniera enfatica e parallela. Questo tipo di procedimento è definito dal professore
americano Calvin Brown, docente di letteratura comparata all’Università di Georgia che si è
occupato di studi sul rapporto tra letteratura e musica, il sistema letterale di trattare
musicalmente un brano poetico. Esso consiste nel permettere alla musica di aggrapparsi al
testo, traducendolo letteraslmente dal linguaggio verbale e sfruttandone ogni parola di cui
sia possibile scovare un’analogia musicale. 20 Quest’attenzione dovrebbe essere riservata al
termine più significativo, guardandosi bene da un'eccessiva enfatizzazione. Un graduale
salire o scendere di una lunga successione di note può essere usato per indicare l’ascesa o
la discesa, seguendo così un processo di imitazione delle idee contenute nelle parole. Le
relazioni spaziali possono essere trasposte in relazioni temporali. Difficoltà di sostenere a
lungo un effetto onomatopeico: il rischio di cadere nel triviale, sempre presente in un uso
estensivo di questo artificio, viene scongiurato se ci si avvale anche di un secondo modus
operandi: il “trattamento drammatico del testo”. Esso, contrariamente a quello letterale,
riserva poca attenzione all’imitazione delle singole parole e delle singole idee,
considerandole in quanto inserite all’interno di un contesto. La musica non segue il testo
verso per verso, mentre ne esprime il contenuto emozionale.
Rispetto alla parola il linguaggio musicale può tollerare molte più ripetizioni e dare un forte
senso di ridondanza (possiede infatti un segno apposito per indicare la ripetizione) quindi
non necessita di trovare un’immagine musicale corrispondente a ciascuna parola, e
nemmeno a ciascun pensiero.
A proposito di trattamento musicale di tipo letterale del testo poetico nei lavori J&P di Vold,
afferma Baumgartner:

Das ganze ist, wie immer auf Volds Platten, sehr komplex. [...] Die reine
Verdoppelung des Gedichts mit musikalischen Mitteln ist – vor allem gehäuft – im
Grunde unnötig. [...]
Bei Jan Erik Vold ist dieses Verfahren sehr sparsam, aber subtil und wirkungsvoll
eingesetzt. 21

Molti punti nei dischi con Garbarek usano questa tecnica in modo raffinato, proprio perché
la musica non illustra il testo in modo letterale –metodo generalmente legato alla musica da
programma. La forma che sceglie il tenorsassofonista Jan Garbarek è molto flessibile, in
alcuni momenti reagisce immedesimandosi nelle parole del testo, senza per questo

20
Cfr. Calvin Brown, Musica e letteratura. Una comparazione delle arti, Lithos editrice, Roma, 1996, pp.93-100.
21
Walter Baumgartner, Men poeten, hva sier han?(Ma il poeta, lui cosa dice?), "Samtiden“, nr.3, 1970, p.16.

17
abbandonare la logica musicale che stava seguendo. Non essendo legato a una partitura
fissa e regolata può permettersi di staccarsi dal secondo piano – che gli altri musicisti
terranno attivo – per emergere in primo piano oppure inserire pause altrettanto significative.
I musicisti jazz sono abituati ad ascoltarsi a vicenda, a reagire ai cambiamenti di atmosfera,
a lanciare e ricevere la palla. In un contesto J&P c’è però, come abbiamo visto, un
interlocutore in più: il poeta/attore con la sua poesia.
Si tratta di una forma di comunicazione, collaborazione e interazione priva di gerarchia e
democratica in cui si presuppone che ciascuno possa e debba prendersi la responsabilità
del proprio “particulare” e dell’insieme allo stesso tempo. In ogni momento i riflettori
possono essere puntati su chiunque e tutti devono sempre essere pronti. Naturalmente,
come in qualunque organizzazione di gruppo, è necessario che qualcuno stia in avamposto
e rappresenti il centro affidabile del tutto, si delinea allora la figura del frontman, lo stimolo
coordinatore dell’interazione che svolge ruolo di regia e controllo drammaturgico:

An den Rezitator stellt die Form Jazz & Poetry höchste Ansprüche, was
Musikalität, rythmisches Gespür, Phrasierung und – für Lyriker ungewohnt –
Fähigkeit zu Zusammenspiel und Timing betrifft, so etwas wie Show – oder
Performance-Talent und Dramaturgische Kontrolle. 22

In un articolo sul ”Dagbladet” del 10.09.1984 il critico e scrittore norvegese Øystein Rottem
ha dato ampio spazio a un sentito commento, dai toni piuttosto accesi, sulla posizione di
Adorno. Il pensatore tedesco, in qualità di musicologo, vedeva infatti nel jazz un fenomeno
di massa, un esempio di mercificazione culturale e non ha stetato a definirlo una ”falsche
Liquidierung der kunst”. Vold, sentendosi chiamato direttamente in causa ha colto
l’occasione per ribadire la sua fede in questa forma artistica e riferendosi specificatamente
al J & P scrive: Min tillit til teksten er at den er autentisk, skrevet av et kjempende menneske, utstyrt med
harmonier og disharmonier som de fleste av oss. (La mia fiducia nel testo é che esso é autentico, scritto da un
essere in lotta, provvisto di armonie e disarmonie come la maggior parte di noi). 23
Se dunque nella natura umana convivono armonie e disarmonie, un testo che sia autentico
deve contemplarle entrambe, questa per Vold è la questione centrale.
Come testo e musica interagiscano tra loro è difficile da descrivere, forse è proprio questo il
motivo per cui così esigua è la letteratura critica in materia. Lester Young pare abbia

22
Walter Baumgartner, J&P Konspiration! Jan Garbarek, Egil Kapstad, Red Mitchell, Nisse Sandström, Chet Baker
featuring Jan Erik Vold, p.210 in: Ole Karlsen (red.), Jan Erik Vold og Jan Erik Vold, Cappelens Forlag, Oslo, 2000.
23
Contributo raccolto da Michael Tucker in Jan Garbarek: Deep Song, University of Hull Press, Hull, 1998, pp.30-31.

18
risposto così a una signora che gli fece una domanda simile: ”Lady, if you have to ask, you’ll
never know!”
Nemmeno gli effetti che questo peculiare interazione provoca nel pubblico sono facili da
comprendere. Chi ascolta e assiste si sente parte integrante del gruppo, di uno spazio
comunicativo collettivo che sembra assumere i caratteri del rito, come Vold stesso fa notare
in un intervista:

Det er klart at en samling omkring en tekst når teksten er framført av en levende


person, det er jo i tilleg til å formidle et antall ord, så er det altså en samling
omkring en ritual som betyr et eller annet utover akkurat det som står i teksten.

E’ chiaro che una riunione intorno a un testo, quando il testo è letto da una
persona viva significa, oltre a comunicare un certo numero di parole, è anche una
riunione intorno a un rituale che significa qualcos’altro oltre ciò che è contenuto
esattamente nel testo.24

C’è dunque un senso che trascende le parole, che va oltre ciò che viene detto e ci avvicina
alla sfera religiosa ma non fa mai appello al divino; piuttosto prende ”infinitamente sul serio”
(come diceva Vesaas) la solidarietà umana, cioè il fatto di essere un gruppo di esseri umani
vivi che sta condividendo qualche cosa.
Mi pare si possa leggere in queste righe una sorta di entusiasmo laico e intimamente
solidale con il mondo. Nel prosieguo dell’intervista JEV aggiunge:

Det finnes en religjøs følelse i det som heter poesi. Ikke hvert eneste dikt. Jeg
tror de fleste poeter har den i seg et eller annet sted. I løpet av en slik kveld hvor
man leser opp et antall tekster så vil enkelte ting kanskje i lykkelige fall kunne
komme inne i de sferer... Vi hadde jo kirkene en gang i tiden, vi har jo dem
fremdeles. [...] Vi har jo musikken i kirken også men det behovet, det som kirkene
dekker og dekket, det finnes andre måter å tilfredstille det på.

C’è un sentimento religioso in ciò che si chiama poesia. Non in ogni singola
poesia. Io penso che la maggior parte dei poeti ce l’abbiano da qualche parte
dentro di loro. Nel corso di una serata di questo tipo, in cui si leggono ad alta
voce un certo numero di testi, forse alcune cose in casi fortunati potranno
penetrare in quelle sfere… Avevamo le chiese un tempo, le abbiamo ancora. […]
Abbiamo anche la musica in chiesa, ma quel bisogno, quello che le chiese
soddisfano e soddisfacevano, ci sono altri modi per saziarlo25

L’analogia tra poesia e musica, da una parte, e bisogno religioso, dall’altra, si fa più
evidente: in entrambi i casi secondo Vold si tratta di possibili risposte a una stessa
domanda.

24
Da un servizio televisivo sulla rete NRK 2 del 12.09.1992.
25
Ibid..

19
Il jazz con le sue storie e il suo gergo per Vold è una “attitude to life” che si esplica sulla
scena. L’evento J&P è anzitutto affermazione vitalistica, è un’esperienza collettiva gioiosa
che vede protagonista la parola poetica in una dimensione agerarchica e collaborativa. La
particolare dizione che contraddistingue lo stile di Vold sortisce l’effetto di dilatare il tempo,
la singola misura si arrotonda e si allunga in uno swing che crea uno spazio aperto ma
contemporaneamente circoscritto, dove l’idea di un equilibrio flessibile in costante
riassestamento dialettico si concretizza.

Ad esprimersi è un soggetto che conserva la propria identità all’interno del gruppo, che
abdica all’eternità e gioisce del presente qui e ora in presenza concreta e tangibile di cose
quotidiane e vicine.
La disposizione socratica al dialogo basata sul senso ironico del limite si deve anche al fatto
che l’organizzazione dello spazio scenico impone di definire il territorio. L’improvvisazione è
scambio dialogico: gli altri elementi del gruppo danno uno spunto che si può assecondare o
stravolgere ma nel complesso corale l’equilibrio deve essere mantenuto. Si tratta di una
forma di spettacolo poetico esigente che richiede un affinamento delle capacità percettive.
Si rende necessario saper ascoltare, tanto quanto saper vedere.
La voce poetica di JEV, sonora, concreta e vitale, offre “skjerping og dialog, ingen påstand”
(acume e dialogo, nessun postulato).

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