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21/02/2018 Monodia medievale non liturgica

Il Medioevo è un’epoca piena di colori e musica. Il mondo medievale, infatti, era


caratterizzato dalla musica, in quasi tutte le attività: sociali, politiche, lavorative e
ricreative. Ma tutto questo rimase fondato per tanto tempo sulla trasmissione orale.
Nel mondo medievale i suoni scandivano i momenti più importanti della giornata; gli
strumenti molto squillanti (come campane, corni o altre percussioni) indicavano lo
scoccare delle ore, l’inizio e la fine della giornata lavorativa dei servi della gleba,
l’apertura dei mercati, l’apertura e la chiusura delle porte nei borghi feudali, la
proclamazione dei bandi, il pagamento dei tributi e inoltre attraverso i suoni si
avvisava la popolazione dell’arrivo di terremoti, incendi o altre calamità naturali (e
questo avviene ancora oggi).

Un’altra caratteristica importante della musica è quella di identificare ogni classe


sociale con un tipo di musica (questo non avviene solo nel passato ma anche nel
presente).

I sovrani, ad esempio, quando avevano delle apparizioni in pubblico venivano


accompagnati dalla musica, insieme ad un gruppo di seguaci. Su alcuni strumenti
musicali il signore feudale poteva esercitare una specie di esclusiva; infatti, ad
esempio, il suono del corno era il simbolo del feudatario. Questa funzione simbolica
attribuita ad alcuni strumenti è rimasta immutata per molti secoli, penetrando
addirittura nel mondo teatrale; ad esempio, nel Seicento nelle rappresentazioni dei
drammi di Shakespeare, l’entrata in scena di un personaggio regale o dell’alta nobiltà
era accompagnata da dei squilli di tromba. Addirittura nell’età barocca i trombettisti
percepivano compensi più alti rispetto agli altri musicisti, in quanto essi
rappresentavano il prestigio politico e militare. La musica rappresentava anche le
classi sociali meno prestigiose. Ancora oggi sono oggetto di studio, da parte degli
storici della musica, i gridi e i richiami cantati nei mercati anche dai venditori
ambulanti e il vasto repertorio del lavoro.

Inoltre, era importante associare la musica e la danza nelle giornate di festa e nelle
ore di riposo di tutte le classi sociali. Ad esempio, il sonno dei sovrani era conciliato
dalla musica.

Ciò che non veniva nemmeno diviso dalla musica era la poesia, infatti come nell’antica
Grecia, la poesia veniva composta per essere soprattutto cantata e non recitata. La
poesia comincerà a svincolarsi dalla musica soltanto a partire dal Dolce Stil Novo.

Si distinguono vari tipi di musicisti nel Medioevo, anche se nella storia vengono
considerati letterati piuttosto che musicisti, ossia:

 I trovatori;
 I trovieri;
 I minnesänger.

I trovatori spesso utilizzavano i rotoli di pergamena solo per appuntarvi i testi poetici
(che non sono arrivati fino ai nostri giorni), invece le melodie erano trasmesse
oralmente. Solo successivamente si sentì l’esigenza di fissare sia i testi che le melodie
su un materiale che doveva resistere all’usura del tempo. C’è una sproporzione fra i
manoscritti dei testi e delle melodie pervenute infatti il rapporto è di 2542 contro
264.
I manoscritti che ci sono pervenuti sono ricchi di miniature e questo dimostra che
essi sono stati commissionati da personaggi di alto rango, per i quali il possesso di
questi volumi rappresentava raffinatezza e alta competenza artistica. Su circa 2500
testi poetici pervenuti soltanto la decima parte di essi è provvista di notazione
musicale. Questo avvenne per 2 motivi:

1. Il destinatario dei manoscritti conosceva le melodie e quindi era inutile


riscriverle;
2. Nel Medioevo era comune utilizzare la stessa musica (o lo stesso canovaccio
musicale) per intonare diverse poesie con la stessa struttura metrica e questo
procedimento veniva chiamato confrafactum. Quindi la musica, in questo caso,
assumeva un ruolo secondario rispetto alla poesia.

La parola trovatore molto probabilmente deriva dal termine “trobar” che significa
“inventare, trovare” e quindi il trovatore era colui che componeva sia il testo che la
musica. I trovatori operavano soprattutto nel XII secolo e davano vita a delle poesie
(o liriche) in volgare. Essi operavano nella Francia meridionale, in modo particolare
in Aquitania e in Provenza e scrivono le loro liriche in lingua d’oc o occitanica (in cui
la parola oc in provenzale significava sì) e questo tipo di produzione venne chiamata
“produzione trobadorica”. I trovatori erano delle persone che appartenevano alla
nobiltà (re, marchesi, conti, visconti). Il primo trovatore di cui si conosce il nome è
Guglielmo d’Aquitania (ossia Guglielmo IX, Conte di Poitiers e duca di Aquitania).
Altri trovatori famosi sono: Jaufre Rudel, Bertran de Born, Gui Folqueis (un chierico
che divenne papa, ossia papa Clemente IV), Folquet de Marseille e Marcabru (che
viene considerato come un “poeta maledetto” in quanto egli era un giullare e quindi
non un nobile). Oltre ad essi abbiamo anche 7 donne (trovatoresse), tra cui la
contessa di Dia, e anch’esse erano delle nobili.

I trovatori non vanno confusi con i menestrelli e i giullari!

Sia i giullari che i menestrelli erano delle persone che venivano scelti dal re.

I trovatori essendo dei nobili non potevano suonare o cantare le loro composizioni,
in quanto perdevano il loro status sociale e quindi le loro composizioni venivano
eseguite dai menestrelli e dai giullari (1 o 2 giullari). Di solito l’aristocratico si
metteva accanto a chi eseguiva la sua composizione. Chi suonava o cantava
composizioni non proprie non era considerato un musicista ma un menestrello o
giullare. ?

I giullari non erano soltanto musicisti ma anche cantastorie, giocolieri, saltimbanchi,


comici, ecc. Essi erano spesso delle persone indigenti, ossia persone povere, che
adottavano spesso comportamenti indigenti (ossia maleducati), infatti facevano uso
di alcool o droga, adulterio, debolezza fisica, indebitamenti, ecc. Essi venivano
accettati e tollerati dalla società medievale ma, a causa dei loro comportamenti,
venivano relegati all’ultimo gradino della società medievale. Questo perché essi non
solo erano degli intrattenitori ma essi costituivano la vera memoria storica del
popolo, tramandando oralmente le gesta degli eroi (nell’Europa medievale questi
racconti cantati venivano chiamati “chansons de geste).

I menestrelli, invece, erano dei “giullari di corte” al servizio stabile di un signore e


spesso erano anche uomini di fiducia ben ricompensati.
L’unica vera differenza tra i giullari e i menestrelli era quella del luogo, nel senso che
i giullari era persone nomadi (ossia si spostavano continuamente da un posto
all’altro) invece i menestrelli erano delle persone più sedentarie perché appunto
abitavano nella corte, a differenza dei giullari.

Quindi i giullari e i menestrelli erano gli interpreti delle liriche sia trobadoriche che
trovieriche.

I giullari venivano considerati dai clerici alla stregua delle prostitute. Riguardo ai
menestrelli possiamo dire che essi venivano considerati come delle “prostitute”, nel
senso che “si vendevano al miglior offerente”, infatti giravano le corti che più gli
convenivano, in quanto essi ricevevano un compenso per il servizio che prestavano.

I menestrelli e i giullari cantavano musica, invece i clerici cantavano testi.

I generi musicali dei trovatori erano i seguenti:

 Cansò, che aveva lo schema: AB-AB-CDE (quindi significa una melodia, la


stessa melodia ripetuta e una nuova melodia) ed essa trattava come
argomento quello dell’amor cortese;
 Planh, che era un compianto cioè un pianto;
 Vers, che aveva la forma di una poesia;
 Pastorella, che narrava un incontro amoroso fra un nobile cavaliere e una
giovane pastorella;
 Alba, che narrava la storia di 2 amanti, in cui un amico dei 2 amanti li
avvertiva del sole che stava sorgendo e quindi del fatto che essi si dovessero
separare;
 Sirventès, che trattava un argomento politico, satirico, morale o religioso e
non aveva una forma musicale propria.

I trovatori, nelle loro liriche, trattavano come argomento la politica, la satira o la


religione ma l’argomento da loro prediletto era quello dell’amore, che veniva definito
“amor cortese”, in quanto era un amore fondato appunto sulla cortesia. L’amore è
vissuto come un rapporto di assoluta dipendenza dell’amante verso l’amata e quindi
viene evocata l’immagine del rapporto di subordinazione fra il vassallo e il sovrano.
L’amata veniva chiamata “Midons”, che significa “mio signore”; non era un amore
soltanto sensuale ma anche misterioso, in quanto la donna non veniva chiamata per
nome ma attraverso uno pseudonimo, il cosiddetto “senhal” e questo perché spesso
si trattava di un amore adultero. Spesso tale sentimento era infelice (almeno nella
finzione poetica), in quanto l’amante veniva respinto oppure l’amata appariva
lontana e irraggiungibile.

Ci sono delle discussioni aperte, ancora oggi, sull’origine della produzione


trobadorica; essa infatti, sotto una sguardo superficiale, sembra comparire dal nulla.
Ma sono state formulate 2 ipotesi sull’origine della produzione trobadorica, ossia:

1. L’ipotesi liturgica;
2. L’ipotesi spagnola.

Secondo l’ipotesi liturgica, molti studiosi hanno ritrovato delle analogie fra la
produzione trobadorica e la musica sacra di quel tempo; infatti a quell’epoca in
Aquitania si utilizzavano i tropi. Ecco che è probabile che la parola trovatore derivi
da “tropatore” oppure la parola vers, che indica i componimenti dei trovatori, derivi
da versus, che era una composizione in latino simile al tropo. Questa ipotesi però
non spiega il contenuto delle liriche dei trovatori, anche se alcuni studiosi hanno
rilevato delle analogie fra l’amor cortese e la devozione alla Vergine Maria.

L’ipotesi spagnola, invece, quando è stata presentata sembrò molto azzardata ma


oggi rimane l’ipotesi più accreditata. Secondo questa ipotesi, in Spagna al tempo
della dominazione islamica, sono state composte delle poesie arabe che presentano
delle analogie con la produzione trobadorica, ossia:

 La presenza di personaggi stereotipi (come il geloso, il maldicente, ecc);


 Il nome della donna amata non veniva mai svelato (senhal);
 L’utilizzo di formule poetiche simili, come il “zagial”, che era una strofa con la
seguente struttura: AAAX.

L’amore arabo, così come quello greco, era un amore pederasta; ciò indica l’inizio
di una relazione, al di fuori dell’ambito familiare, tra una persona adulta e un
adolescente.

La cultura araba con quella europea hanno delle analogie in ambito letterario, ossia
hanno in comune le kharagiat. Esse sono delle strofe scritte in dialetto spagnolo
che si ritrovano alla fine di alcune composizioni. Inoltre esse costituiscono le prime
poesie sull’amor cortese scritte in lingua volgare, quindi possono considerarsi come
l’antecedente della produzione trobadorica. Anche sul liuto (strumento a corde
pizzicate) possiamo dire che è derivato da quello arabo.

Oggi possediamo le Vidas, che sono le bibliografie sui trovatori, anche se non sono
storicamente attendibili.

Una delle Vidas più famose è quella di Jaufre Rudel; essa narra che Jaufre Rudel
era un uomo nobile e principe di Blaia. Egli si innamorò della contessa di Tripoli
senza conoscerla, soltanto per il bene che di lei sentì raccontare. Così egli per
conoscerla si fece crociato e partì ma sulla nave, mentre era in viaggio, lo colse una
grave malattia. I suoi compagni lo credettero morto e quindi lo portarono in un
albergo a Tripoli e avvisarono la contessa. Ella lo accolse fra le sue braccia e Jaufre
la riconobbe e riprese la parola, l’udito e la vista; così egli lodò e ringraziò Dio per
avergliela fatta incontrare prima di morire. Così Jaufre morì fra le braccia della
contessa ed ella lo fece seppellire onoratamente nella sede dei Templari ed ella il
giorno stesso si fece monaca, a causa del dolore della perdita del suo amato.

I trovieri operano nel XIII secolo nella Francia del Nord. Essi influenzano: i rapporti
commerciali fra nord e sud della Francia, molti giullari viaggiano in diverse terre
straniere e inoltre vi sono numerosi ed importanti matrimoni principeschi, che
comportavano spostamenti di personale al seguito delle spose e quindi causavano
contaminazioni fra culture diverse. Anche i trovieri, come i trovatori, hanno come
argomento prediletto, nelle loro composizioni, quello dell’amor cortese. La loro
produzione viene chiamata produzione trovierica. La più grande differenza fra i
trovieri e i trovatori è quella della lingua, nel senso che i trovieri non utilizzano la
lingua d’oc ma lingua d’oïl; questa lingua successivamente darà origine al francese
moderno e l’affermazione oïl si trasformerà in oui. I principali trovieri sono:
Chrétien de Troyes (il più famoso), il re d’Inghilterra Riccardo I Cuor di Leone e
Adam de la Halle. I principali generi musicali dei trovieri sono:
 Chanson, che ha il seguente schema: AB-AB’-CDE. La differenza fra B e B’ è
che B è una cadenza sospensiva, invece B’ è una cadenza conclusiva. A
seconda dell’argomento abbiamo diversi tipi di chanson: chanson
dramatiques, chanson d’ histoire, de danse, d’aube, à boire, ecc.
 Lai, che ha carattere narrativo o lirico, religioso o profano e
successivamente divenne polifonico.
 Rondeau.
 Ballade, e successivamente ha dato vita alla ballade polifonica e italiana.
 Jeu-parti, che è incentrato su un dialogo fra 2 personaggi che
alternativamente intonano la stessa melodia.

Nella tipologia più semplice e più comune usata dai trovatori si utilizza la musica di
una cansò, costituita da 2 sole frasi musicali. In ogni strofa, detta cobla, la frase
musicale A è usata per le prime 2 coppie di versi, invece la frase musicale B è
utilizzata per i 2 o 3 versi finali. La forma complessiva di ogni cobla è: AAB.

Anche i trovieri sfruttarono il principio della ripetizione delle frasi musicali,


applicando la struttura AAB alla ballade e utilizzando soluzioni simili, con l’utilizzo del
“refrain” (ossia ritornello), al rondeau e al virelai.

Esiste il trobar “ric” e il “trobar “clus”.

Il trobar “ric” è la tendenza a sperimentare nuove soluzioni e viene ricordato per


questo Arnaut Daniel.

Il trobar “clus”, invece, è la tendenza a creare poesie volutamente oscure,


indecifrabili e per questo tali composizioni si rivolgono a pochi.

Le melodie erano spesso improvvisate e si aveva la tipica insistenza su 2 suoni, posti


a distanza di seconda, terza o quarta. Era una tecnica complessa ed essi facevano
uso, spesso, di intervalli ampi. I trovatori conoscevano gli 8 modi gregoriani ma non
li utilizzavano, in quanto davano vita a dei modi propri, liberamente musicati.

Le melodie erano tramandate oralmente e la scrittura musicale fu utilizzata soltanto


ad un’epoca successiva. La musica aveva una funzione secondaria rispetto alla
poesia.

Un altro tipo di musicisti che trattavano sempre come argomento principale l’amor
cortese nelle loro composizioni poetico-musicali erano i Minnesänger. La parola
minne significa amor cortese e quindi i Minnesänger erano i cantori d’amore. Essi
interessarono l’area austro-tedesca e anch’essi erano dei nobili. I Minnesänger più
famosi sono: Wolfram von Eschenbach e Tannhäuser. I generi musicali utilizzati dai
Minnesänger sono:

 La Barform, la parola bar significa poema e fu inventata proprio dai


Minnesänger;
 Il Lied, che è uguale alla chanson o cansò. Da quì poi nasce il genere musicale
del Lied di Schubert.

La Barform fu utilizzata fra il Quattrocento e il Cinquecento in Germania dai


Meistersinger (ossia dai maestri cantori). Essi erano dei musicisti di origine
borghese, organizzati in delle strutture di tipo corporativo. Nel corso di alcune
riunioni settimanali, le loro composizioni venivano sottoposte al giudizio di appositi
giudici, sulla base di rigide regole stabilite dalla tradizione. Uno fra i più famosi
Meistersinger fu Hans Sachs.

In Spagna e in Portogallo sono state composte delle monodie di argomento sacro in


lingua catalana ossia le Cantigas de Santa Maria, che sono state attribuite ad Alfonso
X (re di Castiglia e di Léon).

Nel Medioevo sono stati composti anche delle composizioni in lingua latina ma che
trattano degli argomenti profani. Essi avevano l’obiettivo di intonare le poesie di
autori classici latini come Boezio, Orazio, Virgilio, Giovenale ma anche alcuni
planctus, ossia dei compianti di personaggi famosi come ad esempio il “Planctus
Karoli”, che è un planctus sulla morte di Carlo Magno.

Nei Carmina Burana sono contenuti i canti goliardici dei clerici vagantes (ossia degli
“studenti vaganti” che appunto vagavano da un’università all’altra). Si tratta di canti
scritti in latino, tedesco o francese. Il termine “Carmina Burana” deriva dal fatto che
questi canti sono stati ritrovati in un abbazia che si chiamava così, presso Monaco di
Baviera.

Vengono ricordati anche i Carmina Cantabrigensia (Biblioteca Universitaria


Cambridge).

In ambito sacro, abbiamo le laude e il dramma liturgico.

Le laude sono dei canti devozionali in lingua volgare e hanno carattere strofico,
monodico e sillabico (quindi sono dei canti abbastanza semplici). Esse venivano
trasmesse oralmente e si sono diffuse in Italia fra il XIII e il XVIII secolo.

Il dramma liturgico, invece, erano dei canti in lingua latina. Esso aveva l’obiettivo di
esternalizzare il rito religioso.

In questo periodo, infatti, nascono anche le processioni e le confraternite laicali. Ad


esempio, durante la Domenica delle Palme, il vescovo saliva su un asino per
rappresentare Gesù che entra a Gerusalemme. Anche il dialogo del Passio viene
suddiviso fra i celebranti, e ad ognuno viene affidato 1 o più personaggi (e questo
avviene ancora oggi). Successivamente, fu introdotto un tropo nell’Introito della
messa di Pasqua, con l’obiettivo di dar vita a uno scarno dialogo fra le pie donne che
andavano al Santo Sepolcro e l’angelo che custodiva la tomba vuota.

Ma questi drammi liturgici non possono essere considerati delle composizioni teatrali,
in quanto i personaggi indossavano paramenti sacri piuttosto che abiti comuni e il
sepolcro era un addobbo presente nelle chiese soltanto durante la Settimana Santa.
Solo successivamente si allestirono dei palcoscenici veri e propri per i drammi
liturgici. Furono prese dalla Bibbia altre scene drammatiche come: la visita dei
pastori al presepe, la strage degli innocenti, l’episodio dei discepoli di Emmaus e il
pianto di Maria sotto la croce (uno di questi è il Planctus Mariae che è contenuto nel
manoscritto dei Carmina Burana).

Mentre i drammi in latino sono imperniati attorno a dei centri monastici ben
determinati come San Marziale di Limoges in Francia, San Gallo in Svizzera e
Winchester in Inghilterra, i drammi in volgare, fondati anch’essi su argomenti sacri,
si diffondono in tutta Europa. Per i drammi in volgare si può parlare di vera e propria
rappresentazione teatrale, in quanto:
 i costumi degli attori non sono storicizzati ma erano degli abiti
contemporanei;
 il palcoscenico era spesso all’aperto e in piena luce del giorno e senza una
demarcazione netta, al contrario di quello che accade oggi, per lo spazio
riservato al pubblico;
 i diversi luoghi in cui si svolge la scena sono rappresentati da elementi
accostati l’uno accanto all’altro (scena multipla).

Mentre i drammi liturgici in latino avevano uno stile modico, i drammi in volgare
erano basati su ampi dialoghi parlati.

Sia nei drammi in latino che in volgare si fa uso di strumenti come:

 strumenti a fiato, come trombe;


 percussioni;
 organi;
 strumenti a pizzico, come il liuto o l’ arpa;
 strumenti ad arco, come la viella.

Non conosciamo però le musiche che questi strumenti suonavano.

San Francesco d’ Assisi ha composto, nel XIII secolo, il Cantico delle creature e
secondo la Leggenda perugina ha composto anche la melodia che ha insegnato ai
suoi compagni ed è stato il primo “compositore” italiano in lingua volgare.

Quello che resta della produzione musicale dei trovatori si trova in 4 manoscritti. Tre
di essi si trovano presso la Biblioteca Nazionale di Parigi e uno presso la Biblioteca
Ambrosiana di Milano. Si tratta però di manoscritti che risalgono ad una redazione
tardiva, in quanto prima il repertorio si tramandava oralmente. Tre di questi codici
provengono dalla Francia settentrionale e uno dall’Italia settentrionale, e quindi
provengono da dei luoghi differenti rispetto alla vera culla della produzione
trobadorica, ossia la Provenza.

Nascono poi dei problemi riguardo la paternità melodica, in quanto ci sono


pervenute diverse versioni di uno stesso testo e quindi questo significava:

 che un autore abbia musicato per ben 2 volte lo stesso testo;


 che queste versioni appartengono ad autori diversi.

In queste versioni si ritrovano delle varianti che sono delle aggiunte a una melodia
di fondo. Questo ci fa capire l’abitudine della pratica dei trovatori (come tutte le
pratiche fondate sulla trasmissione orale) che era quella in cui il cantore
personalizzava la composizione, nel senso che l’esecutore era fedele alla
composizione originale ma apportava delle variazioni, modifiche o aggiunte al
momento dell’esecuzione. Il risultato era quello di avere più tradizioni parallele e
indipendenti della stessa intonazione. Inizialmente tutto era fondato sulla
trasmissione orale ma successivamente si giunge alla redazione scritta. E’ probabile
che anche le composizioni che ci sono pervenute abbiano subito delle modifiche o
delle aggiunte anche dopo la redazione scritta. E’ insensato chiedersi chi sia il primo
autore della prima versione, in quanto non esiste nel Medioevo la versione ufficiale
perché i testi sono tutti anonimi in quanto tutti trattano la stessa musica
(composizione), a meno che l’ ”autore” non lasciava il proprio nome sul testo.
Un altro problema era rappresentato dal ritmo. Questo problema è tuttora irrisolto.
A quell’epoca esisteva la notazione diastematica, nel senso che i neumi venivano
trascritti sul tetragramma, utilizzando la notazione quadrata, ma erano aritmici (cioè
privi di ritmo). Ecco che si cercano diverse soluzioni:

 si pensava che il ritmo fosse desunto dalla struttura accentuativa del verso;
 Hendrik van der Werf inventò il “ritmo libero”; questo significava che il ritmo
veniva desunto dal fluire e dal significato del testo, nel senso che si poteva
utilizzare lo stesso ritmo usato in una poesia declamata senza musica. Quindi
significava che il ritmo veniva desunto dal testo (ad esempio dalla
punteggiatura).

Abbiamo a disposizione poche informazioni sull’esecuzione delle liriche dei trovatori


e queste poche informazioni sono contenute nelle Vidas. Si pensa che al momento
dell’esecuzione delle liriche trobadoriche si facesse uso degli strumenti musicali,
però non è certo. L’uso degli strumenti musicali dipendeva dalle circostanze ma
anche dalla discrezione dell’esecutore. Gli strumenti musicali più utilizzati erano:

 Flauti;
 Arpe;
 Tamburi;
 Cornamuse;
 Salteri (strumenti a corde pizzicate);
 Vielle (strumenti ad arco dell’epoca).

Nei manoscritti sono contenute poche immagini riguardo l’esecuzione delle liriche
trobadoriche in pubblico, in quanto i miniatori preferivano raffigurare altro.

Gli strumenti erano utili per arricchire ma venivano utilizzati sempre in secondo
piano. Spesso gli strumenti sono raffigurati a coppia, quindi si preferiva un tipo di
esecuzione che noi potremmo oggi definire cameristico. Si preferiva anche
un’estensione grave e quindi si è ipotizzato che una delle modalità esecutive era
quella di intonare una melodia su un bordone strumentale. Agli strumenti si poteva
anche affidare la funzione di raddoppio della voce, brevi episodi di introduzione o di
epilogo, postludio o di interludio fra una cobla e l’altra. Infine alcuni strumenti,
come la viella, potevano eseguire una melodia essenziale che contemporaneamente
l’esecutore variava con l’introduzione di alcuni melismi.

L’innovazione più importante è costituita dalla polifonia. La polifonia aveva


l’obiettivo di arricchire le melodie liturgiche, di accrescere la solennità del rito e di
abbellire il Canto Gregoriano.

La polifonia era uguale all’immagine sonora della musica mundana.

La base della polifonia era la diaphonia.

La diaphonia è citata nel Micrologus di Guido d’Arezzo.

La polifonia si utilizzava già nella musica popolare.

Adam de la Halle è stato un troviere che ha scritto non solo musica monodica ma
anche polifonica.

La base di qualsiasi cosa era il Canto Gregoriano infatti la polifonia nasce da esso.
La prima forma di polifonia fu l’organum.

Le più importanti formi di polifonia sono:

1. La diafonia;

2. L’organum parallelo;

3. Il discanto;

4. L’eterofonia;

5. L’organum melismatico;

6. Il bordone;

7. I tropi simultanei.

La diafonia consiste nell’abitudine di sdoppiare una melodia eseguendola


contemporaneamente ma ad altezze differenti; di solito queste altezze
corrispondono ad un intervallo di quarta o di quinta. Questa pratica trae origine dal
fatto che i componenti di una schola cantorum sono di età e sesso diverso e ognuno
intona una monodia, ciascuno nel registro di voce a se più congeniale.

Hucbald di Saint Amand era un chierico, un musicus, un teorico e un docente e si


pone fra il IX-X secolo. Egli è uno dei primi che parla della polifonia e compone “De
Harmonica Institutione” dove afferma che 2 suoni differenti si sovrappongono in
maniera corretta se essi realizzano un’unità sonora, come avviene quando la voce
di un fanciullo e di un uomo cantano la stessa melodia oppure in quello che
comunemente si chiama organum.

Inizialmente era tutto a orecchio perché non esisteva la scrittura.

Non ci sono ipotesi su colui che per primo ha utilizzato questo tipo di canto.

Con il termine “organum parallelo” si definisce il modo di eseguire i canti liturgici in


diaphonia fino all’inizio del XII secolo; una parte della schola cantorum eseguiva il
canto liturgico così come era stato tramandato dalla tradizione, chiamata vox
principalis, invece la restante parte cantava il canto a distanza di una quarta o di
una quinta, sopra o sotto, (possibilmente canto improvvisato) chiamata vox
organalis. Così avevamo 2 melodie che si muovevano in modo parallelo.

Una forma di diafonia, praticata in Inghilterra nel XV secolo, in cui le parti


procedono in modo parallelo a intervalli di terza viene chiamata gymel.

Tra il IX e il XII secolo i termini “diaphonia” e “organum” erano sinonimi.

Musica enchiriadis era il “Manuale musicale” (quindi considerato come la “Bibbia”


della musica nel Medioevo) di autore anonimo, anche se successivamente fu
attribuito a Oddone di Cluny, e fu composto nel IX secolo ed ebbe una grande
diffusione in tutto il Medioevo. Questo trattato affermava di:

 poter raddoppiare anche la vox principalis e la vox organalis, attraverso le


voci di fanciulli o di strumenti (ma gli strumenti non si utilizzavano mai in
chiesa perché classicamente il Canto Gregoriano era a cappella);
 eseguire lentamente gli organa;

 possibilità di diversificare gli intervalli (es. unisono, seconda, terza,


quarta, ecc).

Un cantore che padroneggiava questa tecnica poteva improvvisare la vox organalis


dopo aver dato uno sguardo a come si muovono i registri all’interno della melodia.
In questo caso il canto viene segmentato in funzione della melodia, non in base al
testo e alla sua struttura. Questo concordava con alcuni caratteri della musica dei
popoli a nord delle Alpi; quest’ultimi erano più propensi all’aggregazione simultanea
delle note, al gioco combinatorio, ossia alla verticalizzazione della struttura sonora,
rispetto a quelli latini, che invece prediligevano la dimensione orizzontale,
melodico-lineare, tipica della cantillazione. Forse non è un caso che la maggior
parte degli esempi di organa (plurale organum) provengono dalla Francia e
dall’Inghilterra. Il desiderio di ottenere sonorità imponenti portano al raddoppio
multiplo e del probabile uso di strumenti (come organo, ottoni e strumenti simili
alle campane).

La tecnica del discanto è l’arte di improvvisare una nuova melodia con un canto
preesistente (punctum contra punctum = contrappunto, infatti da qui nasce il
contrappunto) e in essa vengono invertite le voci, nel senso che la vox principalis è
messa nella parte inferiore invece la vox organalis è messa nella parte superiore. In
questa tecnica tra le note simultanee intercorrono intervalli di quarta, quinta,
ottava o unisono e si riscontra una prevalenza (non unicità) del moto contrario (una
parte sale e l’altra scende e viceversa) rispetto al moto retto (le 2 parti si muovono
nello stesso modo). Non si deve credere che nella tecnica del discanto si escluda
l’improvvisazione al momento dell’esecuzione da parte del cantore.

Nell’eterofonia la vox principalis ha funzione di sostegno (melodia preesistente


inalterata) invece quella organalis ha funzione di ornamentazione (fioritura della
melodia originale). Questo tipo di canto veniva utilizzato normalmente nella
tradizione popolare orale. Le fonti manoscritte di quell’epoca che utilizzano questa
tecnica sono prive di ornamentazione, in modo che il cantore arricchisce il canto al
momento dell’esecuzione. Un esempio di documento su questa pratica è il Trattato
d’organum Vaticano, conservato a Roma e forse redatto in Italia, che disciplina una
serie di regole sulla stesura degli organa, l’improvvisazione dei melismi e alcuni
esempi di organa melismatici.

Altri documenti importanti sono i codici dell’abbazia di San Marziale di Limoges in


Francia; questi documenti sono stati composti ad uso dei cantori e disciplinano la
pratica di eseguire la melodia liturgica preesistente nella voce inferiore a valori
lunghi (aumentazione), che viene chiamata tenor, mentre la parte superiore esegue
dei melismi che vengono affidati ad un solista e viene chiamata duplum; questo
tipo di organum viene chiamato organum melismatico. I melismi di solito
cominciano in consonanza con le note del tenor e poi si prolungano
indipendentemente da quello. All’epoca erano intervalli consonanti gli intervalli di
quarta, quinta, ottava e unisono.

Il bordone consiste nell’accompagnare una melodia con una nota fissa e


persistente, posta generalmente all’acuto, sia nella musica vocale che strumentale.
(esempio: costruzione della zampogne)
Un documento del Medioevo che utilizza un principio simile sono i manoscritti di
San Marziale. Questi documenti vengono chiamati “tropi simultanei”, in quanto in
queste composizioni i tropi, che sono sillabici e a valori brevi, vengono cantati
contemporaneamente alla melodia liturgica; invece quest’ultima, visto che le sue
note sono allungate a dismisura, funge da bordone.

L’Organa laetitiae e l’Organa Benedicamus domino sono dei tropi simultanei, in cui
si avevano 2 testi differenti cantati simultaneamente.

Un manoscritto di probabile origine francese, Codex Calixtinus, conservato nel


santuario di Santiago de Compostela in Spagna, oltre alle consuete voci del tenor e
del duplum riporta una terza voce sillabica, chiamata triplum. Forse questa terza
voce è stata trascritta come alternativa più semplice rispetto ai melismi eseguiti dal
duplum ma non si può nemmeno escludere che le 3 voci dovevano essere eseguite
contemporaneamente. Al di là di questo, detto documento costituisce la prima
composizione polifonica scritta a 3 voci. Addirittura dal XII secolo in poi si utilizza
non solo il triplum ma anche il quadruplum.

Quindi le fonti più importanti sono:

1. il Tropario di Winchester, che risale all’XI secolo, ed è la prima fonte ed


utilizza una notazione neumatica adiastematica (esso contiene i primi
organa oltre ai tropi);

2. il Codice manoscritto dell’abbazia di San Marziale di Limoges, risalente al


1150 a.C., che utilizza una notazione neumatica diastematica;

3. il Trattato d’organum Vaticano, che risale al XII secolo, e utilizza una


notazione neumatica diastematica.

Johannes Cotto risale al XII secolo (1100) ed è il primo teorico sugli organa.

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