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STORIA DELLA MUSICA OCCIDENTALE VOL.

PARTE PRIMA
PREMESSA
Musica per muovere gli affetti

Presso i letterati del Cinquecento viveva il sogno del perfetto cortigiano, un uomo di potere di origini nobili
che doveva unire alle conoscenze politiche e militari anche le competenze artistiche e letterarie assieme
all’esercizio delle qualità umane.
Il blasone gentilizio imponeva a chi se ne fregiava di coltivare la musica anche in prima persona: il canto di
madrigali sembrava realizzare questi ideali nel suo tessuto polifonico.
Il Seicento si incaricò di rimuovere queste illusioni poiché il potere andava a coagularsi in regimi assoluti e la
musica retrocesse a semplice bene d’uso, mezzo per celebrare i fasti e propagandare
l’ideologial’aristocratico cessava di praticare la musica in proprio, servendosi solo di salariati e
inaugurando una separazione tra musicisti e pubblico.
Parallelamente anche la musica avvertiva nuove esigenze, prima tra tutte quella di un nuovo tipo di tessuto
musicale: la monodia con basso continuo, che soppiantò lo stile polifonico poiché più adatta ad esprimere il
contenuto emozionale dato che la musica voleva porsi al servizio della parola; inoltre l’effetto della musica
monodica veniva potenziato dal nuovo stile concertante, che univa insieme voci e strumenti. Andò così a
disgregarsi l’ideale sonoro di unitarietà e compattezza timbrica tipico del Rinascimento.
Vi era inoltre l’esigenza, dei committenti, di rappresentazione della musica, ovvero la tendenza ad essere
spettatori di vicende teatrali rappresentate in musicanascita della categoria del pubblico assieme alla
separazione tra musicisti e spettatori.
Il fine della nuova musica monodica era quello del muovere gli affetti degli ascoltatori, ovvero una passione,
una musica che esercitava il suo potere sull’animo umanonell’epoca Barocca questa ricerca divenne
consapevole sia nei musicisti che nel pubblico; i musicisti, di basso rango, erano chiamati a corte per
eseguire pezzi musicali e diventavano i padroni dell’anima dello spettatore.

Capitolo primo
Teorici, umanisti e compositori verso la monodia

storia di quattro teorici e due camerate

Durante il Quattrocento e il Cinquecento nelle corti italiane i letterati umanistici cantavano o facevano
cantare le loro poesie su semplici moduli musicali. La musica era ministra della parole: era il testo poetico
ad essere posto in primo piano, mentre la musica lo serviva con uno stile di canto simile alla recitazione lo
stile ibrido tra recitato e cantato era molto diffuso in tutta la penisola.
Nel XVI secolo la monodia espugnava anche il campo della musica polifonica, infatti il madrigale veniva
eseguito monodicamente cantando solo la parte superiore affidando quelle inferiori a uno o più strumenti.
Heinricus Glareanusera più appropriato considerare veri musicisti coloro che inventavano melodie
monodiche piuttosto che i compositori polifonici poiché questi elaboravano le loro musiche attorno ad un
canto fermo preesistente, e non erano dotati del dono della libera invenzione.
Nicola Vicentinoelaborò il tema dell’imitazione dell’antica Grecia, in cui si narravano gli effetti su uomini
e natura, ricorrendo alla polifonia a quattro voci e introducendo tutti e tre i generi musicali greci, quello
diatonico, cromati ed enarmonico.
Nella seconda metà del Cinquecento si vide un’aspra polemica tra Gioseffo Zarlino e il suo allievo, Vincenzo
GalileiGalilei vide nel suo maestro un sostenitore della polifonia, sordo alle esigenze monodiche della sua
epoca. Si può vedere uno schieramento di “progressisti” contrapposto a quello dei “conservatori”: i
progressisti come Galilei esaltavano l’epoca ormai scomparsa dell’antica Grecia come perfezione, mentre
Zarlino enunciò che ogni epoca fa un passo avanti rispetto alle precedenti.
Zarlino non auspicava ad una subordinazione della musica alla parola: egli rivendicava ad ambedue una
piena autonomia, che le faceva soggette solo alle proprie leggi razionali. A parere suo la musica non doveva
imitare il linguaggio parlato, ma doveva unirsi ad esso mantenendo la propria indipendenza e libertà.
Galilei poneva da una parte il medioevo, epoca di barbarie dove si sviluppò la polifonia, e dall’altra l’antica
Grecia, perfettamente espressa dalla sua musica monodica, infatti secondo lui i vantaggi della monodia
erano molteplici: era una forma di espressione più naturale, fa comprendere le parole, stimola un ascolto
emotivo e si avvicinava alla declamazione naturale, simile a quella degli attori della commedia dell’arte.
Le opinioni di Galilei erano condivise dal gruppo di giovani intellettuali che frequentava a Firenze, la famosa
Camerata de’ Bardi, che si riuniva per discutere di poesia, astrologia, scienze sport e musica. La Camerata
ebbe il suo massimo rigoglio negli anni 70 e 80 del Cinquecento. Il conte Bardi, valente musicista, stimolò le
ricerche di Galilei e lo incoraggio a realizzare in pratica le sue teorie, componendo in stile monodico.
La produzione più importante scaturì per le nozze di Ferdinando de’ Medici, ma la camerata stava
declinando e le riunioni si interruppero quando Bardi si trasferì a Roma.
L’eredità delle discussioni fu raccolta dalla Camerata di Corsi, il cui esponente di punta fu Jacopo Peri, che
realizzò eventi musicali concreti: il canto doveva rispecchiare pienamente le inflessioni della recitazione,
evitando salti melodici e grandi estensioni, con un ritmo libero e flessibile che doveva riprodurre la
declamazione naturale.
Successivamente venne finanziata da Corsi la prima opera in musica, la Dafne, pastorale drammatica
rappresentata per la prima volta nel palazzo Corsi durante il carnevale del 1598.
Emilio de’ Cavalieri compose il primo esempio di dramma monodico per recitar-cantando, la
Rappresentazione di Anima e di Corpo, non proprio definibile opera perché trattava un argomento sacro,
prima composizione drammatica con scene e costumi.
Le nuove esigenze dell’epoca barocca (monodia con basso continuo, stile concertante) crearono intorno al
nuovo secolo un nuovo genere musicale: l’opera in musica.

Capitolo secondo
Monteverdi e la seconda prattica

la storia dello sviluppo del madrigale con Monteverdi

Il passaggio tra Cinquecento e Seicento rappresentò una svolta decisiva: si serrarono le porte sull’epoca
rinascimentale per aprirle al mondo barocco. Questo mutamento di orizzonte influì sulle modalità di
produzione e fruizione, sulle scelte stilistiche e sul substrato armonico, che indusse a creare nuovi generi
musicali o il ripensamento di quelli già esistentiIl madrigale dovette accantonare la sua natura polifonica
per accogliere le nuove esigenze barocche del basso continuo e concertato per muovere gli affetti degli
ascoltatori.
Claudio Monteverdi non abbandonò il madrigale, infatti pubblicò otto libri di madrigali che formarono
l’ossatura portante della sua produzionei suoi madrigali giovanili si inseriscono nella tradizione
rinascimentale di tale genere. Il materiale letterario è musicato verso per verso, rispettando sia il significato
letterale del testo, sia la sua struttura poetica.
Tra il 1590 e il 1591 Monteverdi fu assunto come violinista alla Corte di Mantova, il cui direttore musicale
era il fiammingo Giaches de Wert. Successivamente accompagnò il duca Vincenzo I in Ungheria per la
guerra contro i Turchi e nelle FiandreMonteverdi ebbe la possibilità di venire a diretto contatto con la
produzione franco-fiamminga e nel 1601 inoltrò una domanda al Duca Vincenzo per essere assunto come
direttore musicale, con risposta positiva.
Nel frattempo la fama di Monteverdi iniziò a diffondersi, suscitando l’accesa reazione del teorico musicale
Giovanni Maria Artusi che, allievo di Zarlino, pubblicò un libro dove criticava aspramente il suo avversario e
i suoi madrigali condannandone la spregiudicatezza nell’uso delle dissonanzeMonteverdi rispose
all’avversario nel suo quinto libro dove, nell’appendice, rispondeva alle accuse di Artusi con
un’argomentazione molto lucida e semplice: sbagliava a considerare i suoi madrigali esclusivamente dal
punto di vista musicale perché era il rapporto con il testo a determinare la struttura musicale e a
giustificarne le deviazioni dalle regole stabilite.
Si fronteggiavano nel pensiero di Monteverdi:
 “prima prattica” considerava l’armonia signora del testo e soggetta alle proprie leggi di natura
tecnico-musicale (Missa “in illo tempore”, a sei voci a cappella);
 “seconda prattica”nell’uso moderno l’armonia diventa serva del testo e il testo padrone
dell’armonia (Vespro della Beata Vergine, in ricco stile concertante per voci e strumenti).
Si trattava di un totale capovolgimento di prospettiva: se con l’ars nova la musica aveva rivendicato la
propria indipendenza dalla parola, ora essa sentiva il bisogno di assoggettarsi al testo per renderne senso e
muovere gli affetti degli ascoltatori.
Lo scopo principale di Monteverdi era rendere in musica il contenuto più profondo e all’interno della
produzione monteverdiana i madrigalismi perdevano terreno in favore di nuovi criteri costruttivi; inoltre
evitò di accostare l’uno all’altro episodi contrastanti e iniziò a guardare il testo da un punto di vista globale,
cercando di comprendere quali affetti esso volesse muovere, per potenziarne la realizzazione con mezzi
musicalila musica era eloquenza, arte del persuadere commovendo gli animi.
I compiti ufficiali di Monteverdi alla Corte di Mantova lo avevano condotto a cimentarsi anche con altri
generi musicali: nel 1607 l’Orfeo, favola pastorale scritta nello stile monodico dei compositori fiorentini, nel
1608 L’Arianna e compose le musiche per il Ballo delle Ingrate, un balletto di corte con voci e strumenti.
Nel 1613 venne assunto come direttore musicale in San Marco a Venezia, passando dalla condizione di
servitore di un signore assoluto ala condizione di pubblico funzionario retribuito e rispettato. A Venezia la
sua produzione madrigalistica registrò un ulteriore evoluzione: dal Quarto libro aveva iniziato ad accostarsi
al nuovo stile recitativo a voce sola fiorentino, e nel Quinto libro aveva affiancato alle voci umane un basso
continuo strumentale ed un gruppo a cinque voci di strumenti non specificati. A partire dal Settimo libro
applicò al madrigale la monodia con basso continuo e l’inserimento di altre parti strumentali autonome.
Nel 1638 venne pubblicato l’Ottavo libro e alcune composizioni prevedevano un’esecuzione
rappresentativa, cioè dotata di gesto e azione scenicala novità di questo teatro da camera fu acuita da
Monteverdi, il quale aveva constatato che fino ad allora la musica era riuscita ad esprimere solo due affetti
dell’animo, la temperanza e l’umiltà, e in qualsiasi repertorio non era riuscito a trovare alcuna traccia della
passione bellica dell’ira. Monteverdi trovò il modo per tradurre in musica il sentimento dell’ira, realizzando
uno stile musicale concitato, ovvero la stessa nota ribattuta velocemente per molte volte consecutive e
abbinata a parole.

Capitolo terzo
L’opera italiana del Seicento

A Firenze, il primo tentativo di imbastire uno spettacolo cantato era andato di pari passo con la
sperimentazione del recitar cantando e con l’esigenza di creare eventi famosi e irripetibili per celebrare
occasioni particolarmente solenni. I primi esemplari di opera erano spettacoli creati e realizzati dal
personale fisso della corte, a cui il pubblico accedeva solo tramite invito. La pubblicazione delle descrizioni
degli spettacoli, delle partiture, delle scenografie e le corrispondenze epistolari contribuirono a diffondere
l’eco degli avvenimenti e le corti di Firenze, Mantova, Ferrara, Piacenze, Parma, Torino fecero a gara per
realizzare la celebrazione della propria grandezza.
La corte pontificia di Roma non poteva realizzare uno spettacolo profano, così trovò accoglienza nei singoli
palazzi della nobiltà e dei cardinali. La produzione operistica romana assunse una connotazione legata alla
facciata cattolica della città: accanto alle trame della mitologia classica abbondavano gli intrecci desunti
dalle vite dei santiil primo spettacolo nel nuovo stile monodico fu realizzato a Roma e presentava un
contenuto moralistico: la Rappresentazione dell’Anima e del Corpo di Emilio de’Cavalieri, e poi Eumelio di
Agostino Agazzari.
Nel 1631 fu rappresentato il Sant’Alessio di Stefano Landi, opera che inaugurò molte novità come il fatto
che mise in scena la vita di un uomo concreto con i suoi problemi e drammi interiori filone agiografico
dell’opera romana. In più, con la seconda rappresentazione dell’opera, fu inaugurata la stagione delle opere
barberiniane, che prese il nome dalla famiglia romana più potente di quegli anni. I Barberini finanziarono
l’allestimento di numerose opere in vari palazzi della città, edificarono un teatro semipermanente e
progettarono diverse scenografie e macchine. La terza ragione dell’importanza del Sant’Alessio consiste nel
fatto che il suo libretto fu scritto da un letterato importante, Giulio Rospigliosi, al servizio della famiglia
Barberini. Un quarto motivo si può trovare nell’elemento comico: i personaggi divertenti divennero ben
presto molto comuni nelle opere romane e con Rospigliosi si giunse alla compilazione di vere e proprie
commedie musicali, ma con un finale moralistico.
La morte di papa Urbano VIII e l’elezione di Innocenzio X segnarono il declino delle attività operistiche
barberinianeRospigliosi fu inviato come nunzio apostolico in Spagna e il cardinale Barberini fu accolto a
Parigi dal primo ministro francese cardinale Mazarino: i Barberini rientrarono a Roma dieci anni dopo,
accolti con la rappresentazione dell’opera Dal Male il Bene.
L’asse operistica in questo periodo si spostò al nord, a Venezia, società differente da Firenze, Roma o
Mantova poiché ancora attaccata ai suoi ideali repubblicani e protesa verso i traffici mercantili; nonostante
la caduta dell’industria editoriale veneziana la città vantava ancora una vita culturale vivace, favorita dalla
libertà di stampa e di pensiero.
Il punto di volta è rappresentato nel 1637 quando un gruppo di musicisti capeggiati da Benedetto Ferrari e
Francesco Manelli affittarono il Teatro San Cassiano e vi rappresentarono L’Andromeda: l’opera incorporava
i modi di produzione già esistenti nella commedia dell’arte, una vera e propria impresa commerciale a fini
di lucrochiunque poteva accedervi comprando un biglietto, ma ciò non implicava che l’opera fosse
diventata popolare dato che il costo del biglietto era tale che solo l’aristocrazia poteva permetterselo.
Nacque inoltre la figura dell’impresario, svolgendo in parallelo una professione stabile, che investiva il suo
capitale pagando le spese dell’allestimento: inizialmente doveva affittare il teatro, poi doveva retribuire il
compositore dell’opera, i cantanti, i componenti dell’orchestra, lo scenografo, il copista, il personale
tecnico, mentre il librettista non veniva pagato poiché era una persona di condizione nobile e gli spettava
l’incasso dalla vendita dei libretti al pubblico.
Fonte di guadagno erano i biglietti, infatti chiunque doveva acquistarne uno; se il pubblico preferiva stare
comodamente seduto poteva affittare una sedia oppure il posto su una pancaquesti guadagni
giungevano quando la maggioranza delle spese era già stata sostenuta, così successivamente invalse l’uso
di affittare preventivamente i palchetti del teatro, fornendo all’impresario una notevole quantità di denaro
all’inizio della stagionenuovi teatri dotati di vari ordini di palchi uno sopra l’altro, detti “teatri all’italiana”,
costituendo la forma architettonica classica del teatro d’opera.
Mantenere l’equilibrio tra costi e guadagni non era molto facile: per quanto gli impresari cercassero di
ridurre le spese, l’opera era comunque uno spettacolo costosissimo mentre i biglietti e gli affitti dei palchi
bastavano a pareggiare il bilancio.
Anche l’argomento dei libretti fu cambiato: dagli anni ’30 fino ai ’40 a Venezia si predilessero i temi
mitologici, per poi passare negli anni ’50 a temi eroici e imperiali i cui protagonisti erano i grandi condottieri
dell’antichità, temi mutati a causa della guerra contro l’impero ottomanonell’epoca barocca i librettisti si
ritrovarono a rispecchiare le ideologie delle classi dominanti.

Capitolo quarto
Girolamo Frescobaldi

Inizialmente la musica non veniva scritta, ma eseguita oralmente e ciò comportava un rischio per i musicisti,
ovvero sfalsare l’originale.
Fu solo agli inizi del Seicento che la musica strumentale, grazie a Girolamo Frescobaldi, iniziò il lungo
cammino che la condusse dal regno dell’oralità al regno della scrittura.
Girolamo Frescobaldi fu il primo compositore di grande rilievo ad aver legato la propria fama ad una
produzione esclusivamente strumentalea 14 anni divenne organista dell’Accademia della Morte e nel
1607 nella chiesa di Santa Maria in Trastevere; l’anno dopo fu assunto alla Cappella Giulia in San Pietro e
dal 1628 al 1634 coprì la carica di organista presso Ferdinando II de’ Medici.
La sua prima apparizione di musiche a stampa fu in un libro di madrigali polifonici, Il primo libro de
madrigali, che fu pubblicato nel 1608. Trovandosi per un periodo di tempo al servizio della famiglia
Aldobrandini, il ferrarese era piuttosto un consulente esterno con mansioni vere e sporadicherapporto
mecenatesco dettato dal vivo interesse per la musica da parte di un personaggio autorevole, una sorta di
scambio di vantaggi tra musicista e committente dove il committente accresceva il proprio prestigio
attraverso omaggi musicali a lui tributati, mentre il musicista era avvantaggiato sia dal punto di vista
economico sia dalla protezione del potente per accrescere il proprio status sociale e professionale,
Uno stile più avanzato lo possiamo trovare in un altro volume di Frescobaldi, dedicato al duca di Mantova
Ferdinando Gonzaga, le Toccate e partite d’intavolatura di cimbalonel libro si affermava che era semplice
ricreare con lo strumento a tastiera i molteplici affetti cantabili che i madrigali moderni producevano con
efficacia e varietà; si trattava dunque di introdurre la rivoluzione della “seconda prattica” all’interno della
musica strumentale. Dedicandosi a generi strumentali polifonici come i ricercari, le canzioni, i capricci e le
fantasie, egli volle imprimere una nuova direzione al nuovo stile vocale monodico, infatti le toccate e le
partite permettevano di realizzare uno stile “parlante”, libero, mutevole dal punto di vista armonico,
ritmico e metrico.
Sia le toccate che le partite discendevano dall’antica prassi della musica improvvisata, ma non l’assoluto
arbitrio creativo dell’interprete-compositore, bensì una specie di canovaccio che permetteva di non
smarrirsi nei meandri dell’estemporaneità.
La toccata era costruita come libero sviluppo in sezioni contrastanti della formula gregoriana di recita dei
salmi, la famosa “intonazione salmodica” che fungeva da cantis firmus della composizione strumentale,
dettandone sia la struttura armonica che melodicala toccata fungeva da piccola forma preludiante per
fornire ai cantori liturgici la giusta intonazione.
L’importanza maggiore di Frescobaldi consiste nell’aver conferito la dignità di opus di altissimo libello
artistico ai generi musicali idiomatici per mezzo del loro apparentamento con il nuovo stile monodico
vocaleinserirsi nel flusso della tradizione scritta, commovendo gli affetti degli ascoltatori.
Nel 1626 Frescobaldi pubblicò a Venezia un volume che incorporava i Ricercari et canzoni franzese e Il
primo libro di capricci, senza alcuna dedica: ciò significava che l’editore era disponibile a sopportare le
spese di stampa.
La fama di Frescobaldi varcò le Alpi giungendo fino a Vienna, dove il compositore di corte decise di andare a
Roma per studiare assieme al maestro italiano, divenendo così il principale veicolo per la diffusione delle
novità stilistiche frescobaldiane nel mondo germanico.

Capitolo quinto
Oratorio e Oratoria

Le nuove esigenze musicali nel periodo barocco stimolarono la nascita di un nuovo genere musicale sorto a
Roma agli inizi del Seicento: l’oratorio.
Da lungo tempo la chiesa cattolica era diventata una potenza politica ed economica di primo ordine e
l’opera informatrice di Lutero assieme al sottrarsi di buona parte dell’Europa all’autorità papale costrinsero
la Chiesa a prendere atto della necessità di un mutamento.
A Roma operò un sacerdote fiorentino, Filippo Neri, che impiegò la musica per il suo apostolato, si rese
conto che era necessaria un’opera capillare di riavvicinamento della gente comune alla pratica religiosa in
modo che incidesse sulla vita quotidiana di ciascuno. Verso il 1550 iniziò ad incontrarsi con un piccolo
gruppo di laici per pregare insieme e discutere in modo informale di problemi spiritualiil suo carisma fece
aumentare il numero dei partecipanti a queste riunioni.
Inizialmente i seguaci di Filippo si riunivano in una soffitta della chiesa di San Girolamo della Carità, in
seguito occuparono un locale vicino a San Giovanni dei Fiorentini. Nel 1575 papa Gregorio XIII donò a
Filippo una vecchia chiesa ma date le numerose presenze non fu difficile trovare i fondi necessari per
costruirne una nuova, la famosa Chiesa Nuovaesso fu detto oratorio perché definiva sia le adunanze sia i
luoghi dove esse si svolgevano. Questo gruppo di sacerdoti che coadiuvavano Filippo fu denominato
Congregazione dei Padri dell’Oratorio.
Negli oratori la musica ebbe un posto in primo piano e tra le preghiere, discussioni e prediche i partecipanti
eseguivano i numerosi canti religiosi; inoltre, essendo fiorentino, usò a tale scopo le laudi in volgare.
Queste laudi cantante nell’oratorio avevano uno stile simile a quello delle forme profane “leggere” del
Cinquecento ed erano caratterizzate da una forma strofica e da un andamento omoritmico; inoltre alcune
di essere erano scritte in forma di dialogo, dette dialogiche o drammatiche, e rappresentavano una piccola
parte del totale.
Con il passare degli anni il contesto sociale dell’oratorio cambiò, infatti nelle prime riunioni i partecipanti
venivano direttamente coinvolti nelle discussioni, nelle preghiere e nel canto delle laudi, mentre intorno al
1570 le adunanze venivano frequentate da numerosi vescovi, cardinali e aristocratici in presenza di questi
personaggi qualificati i laici retrocessero ad un ruolo di secondo piano e la gestione degli esercizi spirituali
passò ai professionisti: un dotto predicatore declamava un sermone, preceduto e seguito da interventi
musicali che, col tempo, richiesero la partecipazione di musicisti di mestiere.
All’inizio del Seicento gli oratori si accostarono al madrigale, un esempio fu il Teatro armonico spirituale di
Giovanni Anerio, una raccolta di cento madrigali spirituali con basso continuo per l’organo e alcuni di questi
erano monodiciriaffiora l’elemento dialogico che annuncia l’esigenza barocca di assistere a scene
drammatiche tratte dalla storia sacra o puramente allegoriche.
Intorno agli anni ’30 e ’40 del Seicento si assistette alla congiunzione delle quattro caratteristiche principali
dell’epoca barocca, infatti monodia con basso continuo, stile concertante, tendenza alla rappresentatività e
volontà di muovere gli affetti connotarono il nuovo genere musicale dell’oratorio.
Una volta che le classi dominatrici si insediarono come fruitrici dell’attività oratoria, i compositori romani
attinsero allo stile monodico operistico con alternanza di recitativi, ariosi e ariein numerose sedi si
eseguivano composizioni come opere in miniatura, parimenti scritte in versi poetici senza scenografie,
costumi e alcun movimento, ma adottando solo canti solisti e alcuni strumenti (due violini e basso
continuo).
La prassi cinquecentesca di circondare di musica il sermone condurre a due maniere di gestire l’oratorio
musicale eseguendo:
 Un oratorio lungo (diviso in due parti intercalate dalla predica);
 Due oratori più brevi
I principali compositori della prima fase dell’oratorio furono Virgilio e Domenico Mazzocchi, Marco
Marazzoli e Luigi Rossi; altro compositore più celebre fu Giacomo Carissimi.

Giacomo Carissimi

Ricoprì l’incarico di insegnante di musica presso il Collegio Germanico di Roma e di direttore musicale in
S. Apollinare, chiesa connessa al collegio. Il Collegio era un’istituzione fondata dai gesuiti nel 1552 allo
scopo di formare al sacerdozio i seminaristi di lingua tedesca.
Le musiche eseguite da Carissimi nella cappella erano di tale livello artistico che le funzioni divennero
un’attrazione sia per gli aristocratici ed ecclesiastici romani, sia per i visitatori di passaggio.
Nel 1656 fu nominato direttore musicale del concerto di camera della regina e compose per questa ed altre
committenze un vasto numero di cantate da camera che lo fecero ritenere l’inventore di questo genere
musicale.
Ai giorni nostri il repertorio conosciuto di Carissimi consiste nei suoi oratori, destinati ad essere eseguiti in
varie circostanze, sia presso gli oratori sia per alcuni palazzi nobiliari; al fianco dei normali oratori volgari
Carissimi produsse anche numerosi oratori in latino, composti su commissione della Compagnia del
Santissimo Crocifisso.
Durante il Cinquecento, infatti, non vennero eseguite laudi in volgare, bensì mottetti in latino e i
partecipanti alle riunioni appartenevano ad una sceltissima aristocrazia laica ed ecclesiastica, per la quale
era più adatta una lingua aulica come il latino ed una forma musicale “alta” come il mottetto.
Gli oratori in latino erano simili a quelli in volgare, anche se era più raro che essi fossero divisi in due parti,
ma la differenza sostanziale rispetto stava nel fatto che quelli in latino erano scritti in prosa anziché in
poesia e la figura del narratore si alterna tra i vari solisti e il coro.
La grande distinzione tra i due oratori risiedeva nel fattore sociologico, poiché quelli in latino erano
destinati ad all’élite e circoscritti ai venerdì di quaresima, mentre quelli in volgare erano aperti a tutti ed
eseguiti in qualsiasi momento dell’anno.
PARTE SECONDA
PREMESSA
I luoghi della musica barocca

Con il Seicento si assistette ad un fenomeno non ancora apparso: l’unità stilistica delle epoche precedenti si
infranse in una pluralità di stili paralleli; il compositore che scriveva la musica doveva adoperare una scelta
consapevole: a seconda delle circostanze per cui era richiesta la sua opera era tenuto ad adottare lo stile
più opportuno.
Questa distinzione era sempre stata fatta, ma nel periodo barocco questo fatto acquistò un notevole rilievo
e ciò può essere collegato a due diversi fattori:
 Avvento della seconda pratticain tale occasione il linguaggio stilistico nuovo non riuscì a
soppiantare quello precedente e a cancellarlo dalla pratica musicale delle generazioni più giovani,
infatti la prima prattica non fu debellata ma sopravvisse in piena legittimità come stile adatto alla
musica sacra, fornendo una prima spinta verso la pluralità stilistica barocca;
 Avvenimento di ordine letterariofin dal medioevo la produzione degli scrittori e dei poeti si era
andata coagulando in generi letterari sempre più definiti e questa tendenza riprese un notevole
slancio a partire dal 1536, quando fu pubblicata la Poetica di Aristotele, e a partire da quest’opera
si iniziarono a classificare i vari generi letterari.
Così, la presenza della “prima prattica” a fianco della “seconda prattica” e la codificazione dei generi
musicali portarono i teorici ad un’accurata riflessione sugli stili musicali appropriati alle varie circostanze,
operando pertanto una distinzione tra uno stile da chiesta, uno stile da camerata e uno stile
teatraletripartizione stilistica variamente sovrapposta alla bipartizione di carattere tecnico-compositivo
tra “prima prattica” e “seconda prattica”.

Capitolo primo
La cantata da camera

L’affermarsi della “seconda prattica” nella musica seicentesca causò profondi mutamenti nella concezione e
nella struttura del genere vocale da camera, ovvero il madrigale. Con maggior frequenza i testi
madrigalistici vennero messi in musica in stile monodico con basso continuo e stile concertante,
stravolgendo il modello cinquecentesco di un armonico intreccio tra voci che si imitavano pariteticamente.
Madrigali a voce sola sono quelli contenuti nelle Nuove Musiche di Giulio Caccini, tutte per una voce e
basso continuo, il cui testo è musicato da capo a fondo senza strofe o ritornelli.
I madrigali polifonici non sparirono con l’avvento del XVII secolo, anzi il declino nella loro produzione si
registra con lentezza fino al 1620: solo dopo tale data il numero di nuove edizioni e ristampe
madrigalistiche subisce un forte calograve crisi economica in coincidenza con la guerra dei trent’anni
avevano portato al fallimento dell’editoria italiana. Questi sommovimenti economici, politici, militari
avevano contribuito a chiudere le porte al mondo cortese rinascimentale per spalancarle all’esplicito
assolutismo barocco.
Inoltre mutarono i modi della produzione e della fruizione musicale, soprattutto all’interno delle corti: i
musicisti non si mescolavano più ai gentiluomini per cantare e suonare dato che vi era una linea di
separazione tra coloro che eseguivano attivamente la musica e coloro che la ascoltavano
passivamenteper questo motivo il madrigale polifonico non soddisfò più i consumatori barocchi di
musica vocale da camera, i quali spostarono la loro predilezione verso il genere musicale che soppiantò il
madrigale, ovvero la cantata.
La prima pubblicazione a stampa in cui compare questo termine consiste nelle Cantade et Arie di
Alessandro Grandi, il quale fece parte della cappella musicale di S. Marco in Venezia. Le tre composizioni
della raccolta definite “cantate” si distinguono dalle altre per il maggior grado di libertà formale: nelle arie
la stessa musica viene riproposta quasi senza cambiamenti per tutte le strofe del testo; nelle cantate, al
contrario, è solo il basso ad essere ripetuto identico, mentre la melodia è variata ad ogni strofa cantata
definita su basso strofico.
Il termine “cantata” denotava un tipo di composizione diverso dal madrigale e più ambizioso di una
semplice aria strofica; ben presto le cantate si articolarono in strutture più complesse, che si basavano sugli
stessi criteri che venivano contemporaneamente introdotti nelle musiche operistiche, ovvero la distinzione
tra sezioni in stile recitativo, arioso e arie vere e proprie.
La cantata poteva avere dimensioni mutevoli a seconda delle esigenze della committenza: dalla dimensione
più piccola, della durata di un paio di minuti, a dimensioni più ampie; inoltre era eseguita da un solo
cantante accompagnato dal basso continuo (anche se potevano essere due i cantanti e in quel caso veniva
definita duetto da camera).
Il testo poetico riguardava argomenti amorosi, anche se erano numerose le cantate sacre scritte in lingua
latina o italiana dato che numerosi committenti erano altissimi dirigenti ecclesiastici; col passare del tempo
il testo assunse il carattere di monologo cantato da un vero e proprio personaggio, cosicché la cantata
assunse un contenuto quasi teatraleogni aria rappresentava una situazione psicologica e la musica
doveva far ricorso a molteplici espressioni per suscitare nel pubblico una vera e propria azione scenica,
affidandosi all’abilità dei cantati.
Troviamo nella cantata le principali caratteristiche di tutta la musica barocca: stile monodico con basso
continuo, stile concertante, tendenza alla rappresentatività e volontà di muovere gli affetti.
La cantata si è diffusa inizialmente in ambiente romano poiché vi mancava una corte laica che accentrasse
in sé la maggior parte della produzione di musica profana.
Nei primi decenni del Settecento le mode stavano cambiando e l’interesse si spostò sul teatro d’opera: il
patriziato romano iniziò ad assumere musicisti stabili nelle proprie case; le cantate e i duetti da camera si
trasformarono da genere di consumo per la pratica musicale in oggetti da collezionismo. Lo status symbol
era quindi il presenziare alle stagioni operistiche ed esibire nella propria biblioteca manoscritti musicali
come prova della propria competenza artistica.
L’unico spazio per le cantate rimase quello celebrativo: pezzi d’occasione eseguiti in contesti pubblici e
solenni.

Capitolo secondo
La sonata barocca

Grazie a Girolamo Frescobaldi la musica strumentale entrò a pieno diritto nel flusso della tradizione scritta,
appropriandosi della principale finalità della musica vocale seicentesca, cioè la capacità di muovere di
affetti degli ascoltatori.
La canzone da sonar non poteva considerarsi svincolata dalla musica vocale; ma tra la fine del Cinquecento
e gli inizi del Seicento iniziò ad apparire il termine sonata. Inizialmente i due termini sembrerebbero
abbastanza intercambiabili e probabilmente il termine sonata derivò dalla canzone da sonar poiché il loro
contenuto musicale era abbastanza simile: la sonata adottava una forma in più sezioni metricamente
contrastanti e non esitava a servirsi del ritmo dattilico della canzone.
Negli anni 1600-1630 un fattore di ordine sociologico iniziò a scandire una netta demarcazione tra questi
due generi, dovuta al fatto che la maggior parte dei compositori di canzoni strumentali consisteva in
organisti, mentre gli autori delle sonate erano violinisti.
ORGANISTI: ricevevano una completa educazione alla teoria musicale dato che l’organo era uno
strumento polifonico, quindi il compositore doveva essere capace di scrivere e di improvvisare con
scioltezza;
VIOLINISTI: molto meno interessati alla teoria della composizione e alla polifonia, infatti la loro finalità
principale consisteva nel realizzare esecuzioni concrete che mettessero in luce tutte le potenzialità del
proprio strumento.
Appare chiaro che la canzone da sonar poteva coinvolgere ben poco la sensibilità dei virtuosi emergenti che
ricercavano uno stile più idiomatico; la sonata, libera da qualsiasi rapporto con voci umane o con un testo,
accolse le nuove esigenze individualistiche dell’esecutore seicentesco.
Nella sua prima fase la sonata impiegava un nutrito numero di esecutori, per poi farsi più ristretta ed essere
definita sonata a tre, poiché tre sono le parti strumentali impiegate: due strumenti monodici e basso
continuo. Inoltre, tre erano il numero di righi presenti nella partitura, ma il numero degli esecutori era
notevolmente variabile.
Altra tipologia molto frequente consisteva nella sonata a due, detta anche sonata solistica poiché in essa lo
strumento monodico sostenuto dal basso continuo è soltanto uno.
 I primi esempi di questi due generi musicali risalgono al 1610 ad opera di Giovanni Paolo Cima, mentre di
pochi anni posteriore è il primo volume a stampa di sonate a due e a tre di Biagio Marini, Affetti Musicali: il
titolo denota lo stretto legame tra la scrittura idiomatica della sonata e la volontà di muovere gli affetti
tipica della seconda prattica seicentesca.

Arcangelo Corelli

Punto di riferimento sia riguardo al repertorio della sonata, sia per ciò che concerne il concerto grosso.
Molto giovane divenne uno dei violinisti più famosi della citta e fu al servizio dei tre maggiori mecenati della
Roma seicentesca, la regina Cristina di Svezia e i cardinali Benedetto Pamphilj e Pietro Ottoboni.
Per la regina Cristina, Corelli non compose soltanto sonate destinate agli intrattenimenti privati nel suo
palazzo, ma anche compagini strumentalialla regina fu dedicata la raccolta di sonate da chiesa opera I.
Successivamente venne assunto regolarmente dal cardinale Benedetto Pamphiljgli dedicò la sua opera II,
che consisteva in dodici sonate da camera.
In parallelo con il suo servizio presso le casate aristocratiche, Corelli esercitava anche una libera professione
presso altre chiese di Roma. Nonostante la sua ricca attività musicale il compositore pubblicò soltanto un
ristretto numero di opere: due serie di dodici sonate a tre da chiesa, due serie di dodici sonate a tre da
camera, dodici sonate a due per violino e basso continuo, 6 da chiesa e 6 da camera, e infine una silloge di
dodici concerti grossi, 8 da chiesa e 4 da camera.
La produzione di Corelli fu una delle cause per cui la predilezione dei contemporanei si spostò dalla sonata
a tre verso la sonata a dueDa Corelli a Torelli la scrittura per lo strumento solista si fece sempre più
virtuosistica, esaltando al massimo le sue doti tecniche ed espressive.
Il repertorio della sonata a due divenne il trampolino di lancio dei compositori-violinisti, come Antonio
Vivaldi, Francesco Geminiani, Pietro Locatelli, che diffusero in tutta l’Europa l’idioma italiano della sonata
condussero il violino ad un ruolo egemone che non verrà più abbandonato.
Vi fu un ulteriore divisione riguardo alla destinazione d’uso di questa musica strumentale: come si è visto
sia la sonata a tre che quella solistica potevano essere “da chiesa” oppure “da camera”, con chiara allusione
all’ambiente in cui andavano eseguite, ovvero le concrete circostanze dell’esecuzione e dalle esigenze della
committenzale diverse possibilità di fruizione si riflettevano sui parametri formali e stilistici della sonata,
a seconda che fosse destinata a rendere più solenni le cerimonie liturgiche oppure fosse concepita per
l’intrattenimento nei palazzi aristocratici.

La sonata da chiesa

La sonata da chiesa è una composizione strumentale per strumenti ad arco con accompagnamento di
organo che ha avuto origine nel periodo Barocco.
Essa doveva rientrare nello stile ecclesiastico per adattarsi al sacro luogo in cui veniva eseguita e stimolare
gli affetti negli ascoltatori; contaminata dagli influssi della “prima prattica”, dal punto di vista formale la
sonata andò a cristallizzarsi in una struttura divisa in quattro movimenti nella stessa tonalità, ovvero lento-
veloce-lento-veloce;  il secondo movimento è usualmente un allegro fugato, e il terzo e quarto sono
impostati in forma bipartita, i quali talvolta assomigliano alla sarabanda e alla giga.
Spesso erroneamente si crede che queste sonate siano state composte per cerimonie religiose, invece
erano usualmente eseguite in concerti per intrattenimento.
Uno dei più grandi esponenti delle sonate da chiesa fu Arcangelo CorelliTra le sue migliori composizioni
spiccano le dodici sonate da chiesa, op. 1; i primi 8 dei suoi dodici concerti grossi, op. 6 sono anch'essi
sonate da chiesa. Un altro compositore che affrontò queste genere compositivo fu Giovanni Battista
Bassani il quale nel 1710 circa compose dodici sonate da chiesa. Sono in forma di sonata da chiesa le tre
sonate solistiche per violino di Johann Sebastian Bach, come anche le sue sei sonate per violino
e clavicembalo obbligato.
Dopo il 1700 questo tipo di sonata tese a fondersi con le sonate da camera. Questa sonata da chiesa iniziò a
passar di moda all'epoca di Joseph Haydn, tuttavia egli stesso compose alcuni pezzi in questo stile, come
fece anche Wolfgang Amadeus Mozart qualche hanno più tardi.

La sonata da camera

La sonata da camera era destinata principalmente agli intrattenimenti musicali nei palazzi aristocratici;
indipendente da qualsiasi destinazione liturgica, aveva estratto la sua linfa dal vasto mondo musicale che
era uno dei passatempi preferiti all’interno delle corti, ovvero la musica per danza.
La musica destinata alla danza rientrava nel cerchio della tradizione orale ed era affidata ad esecutori che
improvvisavano su moduli musicali tradizionali, i tenori.
Una delle costanti nella pratica del ballo di società fu l’accoppiamento di una danza lenta con una danza
veloceda qui la pratica di definire suites le successioni di danze alternativamente lente e veloci, unificate
dall’uso di una medesima tonalità.
Una novità di rilievo si registra nell’epoca barocca, dove i compositori di musica “alta” iniziarono ad
appropriarsi delle musiche per danza, inserendole nelle composizioni strumentali. Ciò accadde nonostante
il fatto che la musica per il ballo fosse considerata un genere minore e gli strumentisti specializzati dei
musicisti di second’ordine. I ballerini delle danze di società occupavano i più alti gradi della gerarchia sociale
e l’origine di questa nuova moda può essere ricercata nelle predilezioni dei committenti aristocratici
dell’epoca.
La successione dei movimenti della sonata da camera non assunse alcuna struttura fissa, alternando tempi
di danza differenti tra loro per andamento, metro e stile.
Il confine tra lo stile “da chiesa” e quello “da camera” non era invalicabile: man mano che ci si avvicinava al
1700 i due tipi andarono a sovrapporsi poiché assorbirono l’uno le caratteristiche dell’altro.

Capitolo terzo
L’opera francese del Seicento

Nell’epoca Barocca venne alla luce una concezione della musica che risaliva ai tempi dell’antica Grecia,
secondo cui la musica poteva esercitare potentissimi effetti sull’animo umano, tali da renderla strumento
indispensabile per il mantenimento dell’ordine politico e sociale.
Nella Francia del Cinquecento avevano trovato ampio spazio le idee platoniche sul potere della musica:
Jean Antoine de Baif sosteneva che per far rivivere i portentosi effetti della musica antica bisognava
raggiungere una completa fusione tra poesia e musica; la sua peculiarità risiedeva nell’importanza assoluta
conferita al ritmoBaif voleva ottenere una musica il cui ritmo ricalcasse quello poetico, traducendo le
sillabe lunghe e brevi della prosodia in valori lunghi o brevi delle note musicali.
L’evento di maggiore importanza avvenne nel 1518 in occasione delle nozze di Margherita di Lorena: la
celebrazione nunziale fu trasformata in un banchetto astrologico al fine di attrarre le emanazioni positive
del cosmo sulla stirpe reale.

Il balletto di corte

Caterina de' Medici, membro della signoria di Firenze, divenne regina di Francia nel 1547 sposando il
re Enrico II, ed introdusse in Francia gli stessi spettacoli che aveva conosciuto in Italia.
Questi spettacoli erano allestiti da Baltazarini da Belgioioso, un musicista molto dotato, chiamato dall'Italia
per diventare maestro di musica in FranciaGli storici del balletto considerano uno degli spettacoli di
Belgioioso, il Balletto Drammatico della Regina, come primo vero balletto: si trattava di uno spettacolo
sontuoso che durava circa cinque ore e mezza rappresentato la prima volta il 15 ottobre 1581 in onore del
matrimonio fra il Duca di Joyeuse e Margherita di Lorena, sorella della regina. Il balletto raccontava del mito
antico di Circe che aveva il potere di trasformare gli uomini in bestie e includeva musica strumentale, canto,
lettura di versi, danza e in cui gli stessi nobili di corte presero parte alla rappresentazione. Poiché la tecnica
di danza era estremamente limitata, Baltazarini dovette ripiegare su costumi spettacolari e grandi
scenografie per impressionare il pubblico. Per essere sicuro che la gente capisse la storia, egli fece
distribuire copie dei versi usati nel balletto. Il balletto fu un successo enorme e fu molto imitato nelle altre
corti d'Europa.
Spettacoli coreografici vennero poi rappresentati di frequente anche alla corte di Enrico III di Francia, che
era stato fra gli spettatori delle messe in scena di Baltazarini, ma al tema mitologico o allegorico veniva
spesso preferita una forma più leggera, il ballet mascarade, in genere parodia mimata di fatti di attualità.
Pare che alcune creazioni siano poi state realizzate a scopi di propaganda dallo stesso cardinale Richelieu,
come ad esempio il Ballet de quatre monarchies chrétiennes (1635) e il Ballet de la prosperité des armes de
France (1641), il che testimonia la popolarità già raggiunta allora dal balletto.
In Italia la Corte dei Medici risultava ai tempi piuttosto attiva, sotto la guida del coreografo  Angelo Ricci. Fra
gli spettacoli, ispirati in genere a quei temi propri dell'Umanesimo che era stato fonte ispiratrice delle
origini, si cominciarono a trovare sempre più spesso balletti con cavalli in scena, probabile eredità dei tornei
medievali. Questo genere equestre verso la fine del Cinquecento trovò sempre più larga fortuna specie in
Francia e a Vienna, oltreché Firenze. L'esempio più eclatante fu la messa in scena a Vienna nel  1667 di La
contesa dell'aria e dell'acqua, a cura dell'italiano Alessandro Carducci.
A fianco di Firenze, anche Torino è particolarmente attiva attorno alla metà del Seicento, sotto la guida del
conte Filippo d'Agliè di San Martino, autore di balletti e caroselli molto apprezzati anche in Francia.
La tradizione del balletto di corte restò peculiare della corte di Francia anche sotto la dinastia Borboni,
infatti Luigi XIII festeggiò la sua maggiore età e l’assunzione dei poteri politici con un balletto che lo vide
danzare nel duplice ruolo del demone di fuoco e del condottiero Goffredo di Buglione.
Negli anni ’30 del Seicento i balletti di corte abbandonarono i contenuti allegorici per celebrare
esplicitamente le glorie e i successi militari della monarchia francese.

L’opera italiana in Francia

Il cardinale italiano Mazarino, inviato a Parigi come nunzio apostolico, attirò i migliori musicisti che avevano
realizzato le opere barberiniane a Roma. Quando il cardinale Antonio Barberini decise di allontanarsi da
Roma, Mazarino lo accolse a Parigifece allestire a corte alcune opere italiane, riscuotendo uno scarso
successo, poiché l’ostilità del pubblico verso le iniziative mazariniane nasceva da una duplice causa: da un
lato, l’opera italiana era lontana dal gusto francese; dall’altra, il crescente movimento di opposizione al
cardinale Mazarino cercava di ostacolare ogni italianizzazione della vita di corte.
Nonostante l’esecuzione dell’opera Le nozze di Peleo e di Teti, in cui Luigi XIV si esibì come ballerino e le
numerose modifiche apportate, la Francia rimase l’unico paese europeo in cui l’opera italiana non riuscì ad
attecchire, anzi nel 1666 i musicisti italiani furono addirittura espulsi dal paese.
Erano comunque maturi i tempi per un nuovo tipo di spettacolo che rispecchiasse i gusti francesi, e colui
che riuscì nell’intento fu un italiano-francese, Jean Baptiste Lully. Assunto a corte in qualità di valletto da
camera, studiando musica e diventando ben presto compositore, nel 1653 fu nominato compositore della
musica strumentale del re, e nel 1661 divenne sovrintendente della musica e compositore della musica da
camera, e l’anno dopo ottenne la carica di maestro della musica della famiglia reale.

La commedia recitata

Lully impose ai suoi strumentisti uno stile esecutivo molto diverso da quello italianeggiante, con i
ventiquattro violini che eseguivano la musica da camerapretendeva una maggiore fedeltà al testo
musicale, che andava eseguito senza troppi arbitri e con disciplinata precisione dell’insieme.
Intorno agli anni ’60 del Seicento iniziò a collaborare con Molière alla creazione delle famose commedie
recitate, intersecate da inserti musicali danzati la cui trama era spesso inserita nell’azione stessa. In queste
commedie la poesia, la musica e la danza erano giustapposte e non ancora integrate in un’unica
realtàquesto si realizzò con la prima tragedia lirica di Lully, Cadmus et Hermione.
Questa e le successive tragedie liriche di Lully erano vere e proprie tragedie in versi, il cui testo veniva
musicato in un’alternanza di recits e di aris, analoghi ai recitativi e alle arie dell’opera italiana, oltre a
numerosi interventi corali e strumentali. Dopo un prologo, preceduto da un’apertura strumentale, si
susseguivano cinque atti, ciascuno dei quali era imperniato su un grandioso divertissement, un momento
un cui l’azione si arrestava per dar luogo ad un sontuoso ed elaborato balletto.
Il testo del prologo aveva la funzione principale di tutta la tragedia lirica, ovvero glorificare la maestà del re
ed esaltare il prestigio della nazione franceseLuigi XIV promuoveva questi contenuti e gli argomenti dei
libretti erano sottoposti alla sua approvazione.
Il re concesse a Lully il monopolio sugli spettacoli operistici e la direzione dell’ Accademia Reale della
Musica, unica istituzione autorizzata ad allestire opere in Francia e a stamparne le partiture: chiunque
avesse voluto produrre o pubblicare opere nel territorio francese avrebbe dovuto acquistarne il diritto da
Lully.

Capitolo quarto
L’Europa tra Seicento e Settecento

L’opera italiana a Vienna

Le caratteristiche stilistiche della musica italiana, la creazione dell’opera in musica e i meccanismi


impresariali del teatro d’opera erano novità talmente dirompenti che tutti gli stati europei dovettero
confrontarvisi.
Nonostante la Francia le respinse, per ragioni politiche, la capitale dell’impero asburgico, contrariamente, le
accolse quasi interamente. Per ostentare il prestigio della corte imperiale furono allestiti a Vienna spettacoli
operistici in lingua italiana, opere realizzate interamente da personale italiano, e molto più fastose di quelle
che circolavano nei teatri italiani.
Le piccole corti austro-tedesche allestirono rappresentazioni operistiche il cui costo era sostenuto
dall’erario anziché dall’impresario.

L’opera tedesca di Amburgo

Eccezione di rilievo era la città di Amburgo, la cui situazione socio-politica godeva di molti punti di contatto
con quella di Venezia. I meccanismi di gestione impresariale del teatro dell’opera veneziana attecchirono
con successo nella città di Amburgo che, dal 1678, si dotò di un teatro all’italiana, in cui l’accesso era
consentito solo a coloro che pagavano un biglietto.
La differenza più sostanziale era che ad Amburgo l’opera veniva cantata in tedesco anziché in italiano.
Importante musicista tedesco dell’epoca fu Heinrich Schutz che, inviato in Italia per studiare con Giovanni
Gabrieli, venne in contatto con il lussuoso stile veneziano, caratterizzato dall’impiego di masse corali
contrapposte e numerosi strumenti concertanti all’interno della musica sacraCompose la Dafne, il cui
libretto non è altro che la traduzione tedesca della prima opera di Ottavio Rinucci e musica di Jacopo Peri.
Tra il 1628 e il 1629 Schutz tornò a Venezia e si trovò in un panorama musicale cambiato in meglio: ormai
imperava la “seconda prattica” ed entrò a diretto contatto con lo stesso Monteverdi, esercitandosi a
comporre il nuovo stile drammatico, ancora sconosciuto in GermaniaSchutz fece del monteverdiano stile
uno dei principi più importanti, e cioè la concezione della musica come arte di muovere gli affetti.

La musica inglese nel Cinquecento

Totalmente diverso da Austria e Germania fu il percorso musicale inglese. Il tardo Cinquecento inglese
aveva assistito ad una vivace stagione madrigalistica affiancata da una ricca produzione strumentale
dedicata al virginale, una specie di clavicembalo dalle dimensioni assai ridotte.
Il primo tentativo di introdurre lo stile recitativo italiano venne fatto risalire ad un compositore poco noto,
Nicholas Lanier, così il pubblico londinese accettò l’inverosimiglianza di uno spettacolo drammatico
interamente cantato solo agli inizi del Settecento; successivamente le opere teatrali di Henry Purcell, The
Fairy Queen e The Tempest vennero definite semi-opere perché consistevano in inserti musicali spesso
destinati al ballettoil ruolo della musica in tali contesti può essere considerato analogo alla funzione che
la musica ricopriva nel teatro recitato italiano del Cinquecento: da un lato apriva la rappresentazione e
occupava gli spazi tra un atto e l’altro, dall’altro era introdotta come musica di scena nei momenti in cui
l’azione richiedeva un intervento sonoro.
Masquesofisticati e sontuosi balletti di corte corredati di musica vocale e strumentale. L’argomento del
balletto era una sorta di glorificazione della saggezza e della potenza del re, inoltre i personaggi, anche di
alto rango, potevano partecipare come ballerini e, infine, al termine del balletto i danzatori e il pubblico
venivano coinvolti in un ballo collettivo.
Le due commedie shakespeariane vennero adattate in modo da accogliere numerosi prestiti per inscenare
dei brevi spettacoli-nello-spettacolo, i famosi masque, che permettevano l’irruzione di musica e danza
all’interno del dramma recitato.
Solo una delle composizioni teatrali di Purcell può rientrare nella tipologia dell’opera vera e propria, ovvero
Didone ed Enea, uno spettacolo interamente musicato dove per l’univa volta i protagonisti si esprimono
cantandonelle sue musiche sviluppa un principio formale già tradizionale in Italia, ovvero l’uso del basso
ostinato.

La Spagna e la zarzuelas

La Spagna, invece, rimase del tutto impermeabile alla diffusione dell’opera in musica. Nonostante alcuni
tentativi, per tutto il Seicento il mondo spagnolo respinse l’idea di uno spettacolo teatrale interamente
cantatofiorirono soltanto le zarzuelas, ovvero drammi recitati di argomento mitologico con inserti
musicali.

Tentativi di fusione degli stili italiano e francese

Negli ultimi anni del Seicento iniziarono a diffondersi in tutta Europa le composizione di Corelli: la scrittura
strumentale idiomatica delle sue sonata e tre e la novità timbrica presentata dai suoi concerti grossi
provocarono un’immediata emulazione da parte di molti musicisti; una conciliazione tra lo stile strumentale
francese, dai ritmi di danza pervasivi e da un impianto orchestrale a cinque parti, e quello italiano,
dall’impianto a tre parti che si serviva di una scrittura strumentale “eloquente”, fu programmaticamente
tentata in Germania da Georg Muffat, musicista francese ma di formazione tedesca, che studiò per sei anni
con Lully per poi conoscere Corelli, assimilandone lo stile e adottandolo nelle sue composizioni.
Anche in Francia lo stile italiano riuscì a far breccia: il letterato Sébastien de Brossard scrisse che tutti i
compositori di Parigi stavano “follemente” scrivendo sonate alla maniera italianaquesta moda era così
trascinante che un giovane compositore francese, François Couperin, escogitò uno stratagemma per
scrivere sonate a tre in stile italiano senza provocare accuse di “tradimento” da parte dei suoi compatrioti:
finse che un suo cugino gli avesse mandato una sonata di un nuovo compositore italiano (il cui nome non
era altro che il nome italianizzato di Couperin), ottenendo così un lusinghiero successo.

Capitolo quinto
Il concerto barocco

storia del concerto, da “grosso” a solistico

Sempre a Roma si rintracciano le origini di un genere musicale che dominò la produzione musicale tra il
Seicento e il Settecento: il concerto grosso.
I registri di pagamento tenuti dalle istituzioni romane che organizzavo oratori in musica dimostrano che
tanto gli oratori in volgare quanto quelli in latino andarono servendosi di un organico strumentale più
ampio, che non si limitava al solo basso continuo o allo strumentario della sonata a tre le partiture di
Alessandro Stradella ci dimostrano che questi divideva i suoi musicisti in due gruppo, denominati
“concertino” e “concerto grosso”: gli strumenti del concertino erano due violini e il basso continuo, mentre
per il concerto grosso aveva una struttura a quattro parti eseguite da violino, viola contra, viola tenore e
basso continuo.
La differenza principale tra i due gruppi era di natura compositiva: il concertino è polarizzato tra l’ acuto dei
due violini e il grave del basso continuo; il concerto grosso segue la struttura soprano-contralto-tenore-
basso del Cinquecento. Inoltre, a seconda delle disponibilità economiche della committenza, le singole parti
potevano essere eseguite da più di un esecutore ciascuna, cosicché il concerto grosso diventava “grosso”
anche numericamentealtra distinzione terminologica riguardante il concertino, detto anche “solo” e
“tutti”, e il concerto grosso, detto anche “ripieno”
Stradella si serviva di questa suddivisione per le diverse esigenze di accompagnamento, impiegando il
concertino nelle arie dei solisti e riservando il concerto grosso per i pezzi d’assieme e la sinfonia
introduttivase i solisti erano voci acute (soprano o contralto), il concertino svolgeva una modesta
funzione, mentre se erano voci basse, i due violini erano liberi di sfoggiare il loro virtuosismo poiché non
correvano il rischio di soffocare la voce umana.
tecnica concertante applicata alle canzoni policorali: in circostanze importanti i numerosi passaggi di
queste suonate potevano essere raddoppiati da altri strumentisti: i musicisti più bravi suonavano da cima a
fondo tutta la composizione, mentre gli altri, meno virtuosi o dilettanti, si univano ad essi in quelle frasi che
non richiedevano una particolare perizia tecnicalo stesso Stradella si servì della separazione tra
concertino e concerto grosso nella composizione Sinfonia a violini e bassi a concerto e concerto grosso
distinti.
Arcangelo Corelli partecipò come violinista alle esecuzioni oratoriali nell’Oratorio della Pietà e venne a
conoscenza della prassi di distinguere il concertino dal concerto grosso; egli si appropriò della tecnica
concertante, realizzandola nel suo repertorio, ovvero la musica strumentale. Ma già nel corso del 1681
alcuni suoi concerti grossi vennero ascoltati e intorno a quell’anno Corelli mutò l’organico del ripieno: non
più violino, due viole e basso continuo, ma due violini, viola e basso continuo; contrariamente a Stradella,
però, accentuò il virtuosismo del concertinoi dodici Concerti grossi di Corelli rispecchiavano la divisione
sociologica che imperava nella sonata a tre, dove i primi otto erano definiti da chiesa, mentre gli ultimi
quattro da camera.

Dal concerto grosso al concerto solistico

L’appropriazione del concerto introdurrà molte novità: innanzitutto il numero dei movimenti sarà ridotto a
tre (allegro-adagio-allegro); verrà applicata ai singoli movimenti la “forma-ritornello” (la sezione
introduttiva di tutti ritorna in varie tonalità, affidata ai soli) e, infine, si accentuerà la dimensione solistica
del concertino.
Il centro musicale che suggerì al concerto le suo nuove caratteristiche è Bologna: la signoria bolognese
disponeva di un gruppo di strumentisti a fiato, otto trombettieri, quattro cornettisti, quattro trombonisti,
due liutisti e una percussione, che svolgevano la funzione di segnaletica cerimoniale dell’autorità pubblica;
quando le più alte autorità cittadine partecipavano alle celebrazioni liturgiche nella basilica di San Petronio,
il Concerto Palatino si affiancava alla cappella basilicale per le esecuzioni musicali richiestetestimonianza
preziosa fu quella di Maurizio Cazzati: la conformazione acustica della basilica di San Petronio imponeva alla
tromba l’impossibilità di dialogare con il gruppo degli archi, proiettandola nel ruolo solistico. La tradizione
della musica per tromba fornì importanti elementi stilistici all’interno del concerto solistico: note ribattute
in staccato, ritmo netto e marcato; il compositore che traghettò la tradizione bolognese verso quella
veneziana fu Giuseppe Torelli.
Si iniziò a scrivere concerti in cui la parte solistica desse modo all’esecutore di dimostrare tutto il proprio
virtuosismoinfluenza dell’aria d’opera che esaltava la bravura dei cantanti su cui si accentrava
l’attenzione e la passione degli ascoltatori, oltre che la struttura formale del concerto (in tre
movimenti)molti paragonano il concerto solistico ad una sorta di opera in miniatura.
Tra i primi autori di concerti solistici troviamo Tommaso Albinoni.
Antonio Vivaldi

La sua produzione di concerti è notevole, ne stimiamo circa 500, dei quali 230 per violino e una quarantina
per il fagotto.
Nel 1703 ricoprì il ruolo di “maestro di violino” presso il Pio Ospedale della Pietà di Venezia;
successivamente gli furono affidate le mansioni di “maestro di viola all’inglese” e nel 1716 la carica di
“maestro de’ concerti”.
Gli ospedali del Settecento erano gli istituti che raccoglievano i bambini orfani, abbandonati o provenienti
da famiglie disagiate. In tali istituzioni l’istruzione musicale svolgeva una ruolo di primo piano, sia per la sua
valenza educativa sia per i proventi dei concerti. I quattro ospedali femminili di Venezia divennero celebri
per la qualità delle loro produzioni musicali.
Buona parte della produzione musicale di Vivaldi fu composta per queste giovani allieve, godendo pertanto
di una delle migliori vetrine dell’epoca. Vivaldi inserì nei suoi concerti numerose raffinatezze nei colpi
d’arco e una ricchissima tavolozza agogica e dinamica, con ben tredici gradazione tra i due estremi del
pianissimo e del fortissimo.
In questo primo periodo compaiono le sue prime pubblicazioni a stampa: sonata a due, sonata a tre e i
concerti dell’opera III e IV.
Ben presto Vivaldi affiancò all’insegnamento presso l’Ospedale della Pietà un lavoro ben più redditizio,
quello del teatro d’operanel 1713 fu rappresentata la sua prima opera, Ottone in villa, e l’anno dopo
riuscì a farla allestire a Venezia, presso il teatro S.Angelo.
Attorno al 1720 Vivaldi lasciò l’incarico presso l’Ospedale della Pietà e si trasferì a Mantova come “direttore
musicale e di camera”, per poi riprendere la collaborazione con esso pochi anni più tardi. Tra il 1725 e il
1735 iniziarono a comparire le sue prime composizioni a stampa, tutte pubblicate ad Amsterdam.
Successivamente gli fu commissionato un Gloria per il matrimonio di Luigi XV di Francia.
Gli ultimi anni della sua vita lo videro ai margini della vita musicale, forse perché avendo composto troppo e
quotidianamente, ma soprattutto per aver cominciato a scrivere musica vocale per il teatro, egli cadde in
una leggerezza meschina e bizzarra. Morì a Vienna nel 1741.
PARTE TERZA
Premessa
La galleria degli antenati

Ci accingiamo ad analizzare i grandi personaggi singoli, che si ergono come dominatori della loro epoca
musicale: Bach, Handel, Haydn, Mozart e Beethoven.
Dopo l’epoca Barocca iniziò il fiorire dello stile elegante, poi un’epoca detta preclassista per poi arrivare al
Classicismo viennese; ma la storia non va vista secondo epoche disposte “in fila indiana”.
Le epoche storiche non si mettono in coda, ma si accavallano e si intrecciano in modo non lineare: inoltre i
concetti di stile galante, sensibile, classico e romantico non giacciono affatto sullo stesso piano.

Capitolo primo
Bach e Handel

Johann Sebastian Bach

Nacque nel 1685 in Turingia da una famiglia di musicisti, ma nel 1695 andò a vivere con il fratello dopo la
morte dei genitori; questi costituì il tramite tra Bach e la grande tradizione organistica della Germania
meridionale.
Compiuti i 15 anni e grazie al suo maestro di liceo, ottenne la possibilità di un ulteriore periodo di studio a
Luneburg, così al giovane Bach si svelò il mondo della Germania settentrionale; inoltre ebbe la possibilità di
frequentare la corte di Celle, il cui duca era appassionato di musica francese e manteneva un’orchestra
composta da musicisti francesi. Bach si appropriò molto presto dello stile francese e delle sue forme di
danza.
Lasciata Luneburg iniziò a ricoprire vari incarichi alla ricerca di una sistemazione sempre migliore, passando
dall’essere violinista nella seconda orchestra ducale di Weimar, a organista nella chiesa di Arnstadt e poi in
quella di S.Biagio, per poi approdare nel luglio del 1708 a Weimar come musicista di camera e organista di
corte. Nel frattempo scrisse le sue prime composizioni, quasi tutte per organo o cembalo, tra esse Capriccio
sopra la lontananza del suo fratello dilettissimo e la celebre Toccata e fuga in re minore per organo.
Durante il secondo soggiorno a Weimar ebbe modo di entrare a contatto diretto con la musica italiana,
spesso eseguita dall’orchestra di cortein questo periodo Bach trascrisse per strumenti a tastiera alcuni
concerti di autori italiani come Vivaldi, Torelli.
L’attenzione di Bach fu attratta dalle innovazioni italiane, soprattutto quelle di Vivaldi, e le trasfuse nella sua
produzionepur non avendo mai composto un’opera teatrale, giunse a sfruttare il tipico principio
operistico italiano dell’alternanza tra recitativo e aria, il tutto, unito allo stile florido e virtuosistico che
caratterizzava la musica vocale e strumentale italiana, si fuse con la sua educazione musicale
contrappuntistica.
Nel 1718 approdò alla corte di Kothen dove ricoprì il ruolo di massimo responsabile delle attività musicali,
ma il culto vigente non era quello luterano ma calvinista che non ammetteva alcuno sfarzo sonoro nelle
celebrazioni liturgiche, così Bach tralasciò la musica sacra per dedicarsi ad altri due filoni: quello puramente
strumentale e quello della musica didatticavennero alla luce le sue maggiori composizioni strumentali.
Nel 1723 fu assunto a Lipsia come Kantor della chiesa di S. Tommaso e della scuola annessa, grado inferiore
al precedente, dove curò l’educazione degli allievi e si occupò del corredo sonoro della liturgia domenicale
e festiva nella chiesascrisse un vastissimo numero di cantate sacre e musiche destinate alla liturgia,
ovvero Passione secondo Giovanni e la Passione secondo Matteo.
Bach cessò di comporre musica sacra intorno al 1729, limitandosi a riadattare per le esigenze liturgiche
musiche già composte in precedenzanel 1704 venne fondato il Collegium musicum di Lipsia, associazione
di musicisti professionisti che costituivano un’orchestra di buon livello, per cui Bach compose numerose
cantate profane, musiche strumentali, concerti per clavicembalo e orchestra.
Nel 1747 venne ammesso nella Società delle scienze musicali, fondata da Mizler; questa era una società
riservata solo a musicisti esperti di filosofia e matematica ed avevano il compito di scambiarsi ogni anno
una dissertazione scientifica su argomenti matematico-musicaliBach apportò una relazione scientifica in
alcune composizioni: la complessità contrappuntistica di queste opere innalzava la musica sonora; mentre
tutto il mondo si incamminava lungo le strade del rococò e dello stile galante, Bach attingeva alle antiche
radici fiamminghe per far compiere alla musica un salto di qualità: non era più un bene d’uso per i padroni,
ma giunse a vette speculative in cui la scienza e l’esoterismo si fondarono alla volontà di muovere gli affetti,
ricongiungendosi alla filosofia.

Georg Friedrich Handel

Nacque nel 1685 ad Halle e, benché il padre volesse destinarlo agli studi di giurisprudenza, iniziò ben presto
gli studi musicali sotto la guida di Friedrich Wilhelm Zachow, portandolo a conoscenza delle musiche
influenzate dal nuovo stile italiano.
Nel 1703 si trasferì ad Amburgo per lavorare nell’orchestra del teatro dell’opera inizialmente come
violinista di ripieno e in seguito come cembalista e direttore delle esecuzioni.
Ad Amburgo compose la Passione secondo Giovanni e riuscì a far rappresentare la sua prima opera, Almira,
dove i recitativi erano in tedesco sebbene le arie fossero in italiano e le danze secondo lo stile francese.
Nel 1706 partì per l’Italia alla ricerca delle fonti della “musica moderna”, soggiornando a Firenze e poi a
Roma, Napoli, Venezia e nuovamente a Roma. Qua conobbe Alessandro Scarlatti e il figlio Domenico,
Corelli, Caladra e Pasquini; mentre nel teatro di S. Giovanni Grisostomo fu rappresentata la sua opera
Agrippina, che ottenne un grande successopurtroppo si dedicò solo due volte al genere musicale
dell’opera poiché questa era proibita per decreto pontificio, cimentandosi così nei generi più richiesti nella
città papale come la cantata da camera e l’oratorio.
La sua prima tappa fuori dall’Italia fu Hannover, dove accettò il posto di direttore musicale alla sua corte,
anche se il suo obiettivo era l’Inghilterra, paese in cui l’opera italiana cercava ancora di attecchire.
Successivamente si spostò a Londra, dove cercò di imporre se stesso e l’opera italiana nella musica
londinese, iniziando con il Rinaldol’opera fu un successo sensazionale e segnò per il compositore tedesco
un folgorante inizio di carriera. Ben presto si spostò a corte, ricevendo la commissione per alcune
composizioni celebrative, diventando poi maestro delle principesse reali; nel 1723 venne nominato
“compositore di musica per la Cappella reale di Sua Maestà”.
Nel frattempo, nel 1718, fu nominato direttore musicale della Royal Academy of Music, un’accademia
formata dai nobili più in vista e sotto il patrocinio del re, il cui scopo era l’allestimento di opere italiane nel
teatro di Haymarket. Qui Handel fece rappresentare alcune delle sue opere e alla fine del 1720 gli fu
affiancato il compositore italiano Giovanni Bononcinila rivalità tra i due fu molto accesa, anche sul piano
politico poiché il Re Giorgio I sosteneva Handel, mentre il Principe di Galles e i Tories appoggiavano
Bononcini.
Purtroppo l’iniziativa della Royal Academy fallì perché l’opera italiana non riuscì ad essere accettata in
Inghilterra per la lingua incomprensibile dei libretti, i personaggi estranei alla storia e alla cultura inglese, la
presenza dei castrati considerata immorale, l’italianità dell’opera vista come sinonimo di cattolicesimo.
Handel non si perse d’animo e rilevò la Royal Academy, per poi tornare in Italia per scritturare i migliori
cantanti e ricominciare nuove stagioni operistichein questo periodo ricordiamo Poro, Ezio, Orlando.
Per quanto Handel fosse aggiornato sugli sviluppo dell’opera italiana, le sue opere si distaccano da tali
percorsi: fa precedere i tre atti da un’ouverture alla francese anziché da una sinfonia all’italiana; il suo
linguaggio musicale non asseconda la tendenza alla semplificazione italiana.
La sua seconda tornata operistica fu ostacolata da molte difficoltà poiché, nonostante la protezione del Re
Giorgio II, il nuovo Principe di Galles promosse la costruzione di una società operistica rivale, diretta
dall’operista e maestro di canto Niccolò Porporail suo nuovo tipo di repertorio gli consentì di sbaragliare
definitivamente i suoi avversari ed imporsi come il maggior compositore inglese, ovvero l’oratorio, dove vi
confluivano tutte le esperienze da lui assimilate: esso forniva la cornice, ma all’interno vi erano lo stile
vocale dell’opera italiana, la solennità festosa e fastosa dell’anthem inglese, la coesione formale e la
presenza del coro francese, oltre alla tradizione contrappuntistica tedesca.
Capitolo secondo
L’opera seria tra il Seicento e il Settecento

Nella storia della musica nessun genere ha inciso così profondamente il tessuto sociale di un’epoca come
l’opera italiana del Seicento e Settecento. Nell’Italia centro-settentrionale del Settecento non esisteva una
città senza una sua piccola stagione operistica, mentre nell’Italia meridionale non offrì nessuno spazio al
mercato operistico, tranne Palermo e Napoli.
Fin dal Seicento, nelle città in cui esisteva una stagione d’opera, il recarsi a teatro divenne una
consuetudine imprescindibile: le famiglie nobiliari affittavano i palchetti del teatro e vi si recavano ogni
sera, accogliendo amici e conoscenti con i quali si intrattenevano sia con lo spettacolo musicale sia con
rinfreschi e cenel’opera diventava la più importante occasione di divertimento e di relazioni sociali per le
classi dominanti e per molti spettatori era l’unica possibilità di venire a contatto con i grandi temi mitologici
o storici, con la musica d’arte e con la cultura stessa.

I teatri italiani

Questi erano piuttosto rumorosi, tanto da suscitare la meraviglia di molti viaggiatori: il silenzio regnava solo
durante le prime rappresentazioni di un’opera poiché gli spettatori, nonché finanziatori dell’opera, si
sentivano in pieno diritto di dimostrare sonoramente il loro gradimento o dissenso; se un’opera “cadeva”
per la disapprovazione, gli impresari non potevano proseguire con le repliche e dovevano allestire uno
spettacolo sostitutivo per offrire qualcosa di più accetto al pubblico pagante.
L’aristocratico non andava a teatro per assistere ad una vicenda plausibile e identificarsi con i personaggi,
piangendo o ridendo con loro, e tagliati di vita con problemi simili ai suoi, piuttosto preferiva qualcosa di
diverso dalla vita di tutti i giorni, entrando nel regno della fantasia e dell’arte. Inoltre, l’esecuzione
dell’opera doveva variare di sera in sera per ravvivare l’interesse di chi si trovava ad assistere alle repliche
dello spettacologrande fortuna della tipologia dell’aria col “da capo” poiché in essa era prevista la
ripetizione della prima parte estemporaneamente abbellita dal cantante in modo ogni volta diverso.
Il libretto era rigorosamente in poesia e si concludeva con un lieto fine, senza escludere le vicende
drammatiche di ogni personaggio; lo stile vocale era regnato da recitativo e virtuosismo delle arie; gli
avvenimenti esterni travolgono i personaggi facendoli piombare da un affetto all’altro; l’alternanza di
recitativi ed arie crea uno scorrimento irregolare del tempo, infatti nel recitativo gli avvenimenti accadono
in una durata di tempo analoga a quella della vita reale, mentre nelle arie il tempo può rallentare; i timbri
vocali rispondevano ad esigenze artistiche e la voce del protagonista maschile doveva svettare su tutte le
altrela principale parte maschile era affidata ad un musico, evirato, mentre la prima donna poteva essere
un altro soprano o contralto.

Le critiche dei letterati

Nel Seicento si accentuò il gusto per le vicende complicate e ricche di personaggi e intrecci paralleli, mentre
nel Settecento iniziò a farsi strada il desiderio di una maggiore coerenza drammaturgica. Numerosi letterati
premettero sul mondo operistico perché ci si orientasse verso criteri più naturalistici e non furono rare le
critiche all’opera poiché aveva soppiantato del tutti il teatro di prosa, unico degno di una perfezione
artistica.

I compositori di opere

I librettisti erano coloro che determinavano la struttura dell’opera, ovvero la divisione tra parti da musicare
in recitativo e pezzi chiusi.
Il mondo Seicentesco era dominato dalla città di Venezia, fulcro della produzione e fruizione operistica, ma
a partire dalla fine del Seicento il baricentro iniziò a spostarsi su Napoli dove, dietro impulso del viceré
spagnolo, era giunta la troupe dei Feviarmonici, allestendovi opere veneziani di Cavalli e Monteverdi. Fu per
iniziativa del duca di Medinaceli che alla fine del secolo Napoli iniziò ad imporsi come una delle maggiori
piazze teatrali del momento.
nel 1684 venne assunto come direttore musicale Alessandro Scarlatti, che svolse la sua carriera tra Napoli
e Roma, impegnato nella produzione di opere, musica sacra, cantate da camera e oratori.
Una delle cause che provocò il primato napoletano sull’opera del Settecento fu l’ottimo sistema di
istruzione musicale praticato nei suoi conservatori.
Dal 1710 i compositori napoletani iniziarono ad emigrare altrove, spinti dalla difficile situazione economica
della cittàil comporre opere stava diventando una libera professione, i cui guadagni permettevano al
musicista di fare a meno di un impiego stabile come direttore musicale.
Da Londra a Stoccarda, a Dresda, a Vienna e fino a Pietroburgo, l’opera italiana e napoletana non trovarono
rivali, tranne che in Francia.

Verso una maggiore coerenza drammatica

Intorno alla metà del Settecento si cercò di imprimere ai libretti una struttura drammaturgica più
stringente, in cui l’azione scorresse ininterrotta dall’inizio alla finemusicalmente si traduceva in un
numero minore di arie, tutte incardinate nella vicenda, affiancando alla tipologia col “da capo” altre
tipologie d’aria che non arrestassero il decorso dell’azione.
Il ruolo del compositore iniziava a prevalere su quello del librettista, aumentando il recitativo
accompagnato dall’orchestra a scapito del recitativo seccola libera declamazione del cantante non era
più sufficiente per suscitare emozioni e condurre l’azione drammatica poiché vi era il bisogno di una
presenza musicale massiccia.
Un’ulteriore spinta verso la coerenza drammatica provenne dal teatro recitativo. Intorno alla metà del
Settecento David Garrick inaugurò uno stile di recitazione inedito: egli si calava nella parte abbandonando
lo stile declamatorio tradizionale in favore di una recitazione naturalistica, ma identificandosi anche con il
personaggio e con le sue reazionispesso nei momenti in cui gli attori non erano impegnati in prima
persona usavano passeggiare, guardare, scherzare, ridere; al contrario Garrick voleva creare negli spettatori
una totale illusione drammatica.

Christoph Willibald Gluck

Egli si stabilì a Vienna nel 1752 dopo un lungo periodo di viaggio e la composizione di alcune opere su
libretti del Merastasio. Nell’ambiente della corte imperiale vennero ad incontrarsi quattro persone di
diversa estrazione sociale, che collaborarono tra loro per rendere espliciti quei desideri di “riforma”
teatrale: il conte Giacomo Durazzo, il librettista Ranieri de’ Calzabigi, esponente dei letterari e libertini del
secondo Settecento; il ballerino Gasparo Angiolini, promotore del “ballo pantomimo” e ovviamente Gluck.
Su sollecitazione del conte Durazzo, Gluck affiancò alla produzione di opere metastasiane quella delle opere
comiche francesi, i cui dialoghi non erano condotti in stile recitativo ma recitati senza alcuna musica.
Nel 1761 compose un balletto pantomimico, con coreografie di Angiolini, il famoso Don Juan ou le Festin de
pierre; l’anno seguente fu rappresentata a corte l’azione teatrale Orfeo ed Euridice, i cui elementi innovativi
vennero approfonditi nella tragedia Alceste, ed esplicitati dalla prefazione alla partitura a stampaGluck vi
espose le sue idee “riformatrici” e il suo scopo era quello di spogliare l’opera italiana dagli abusi con cui
cantanti e compositori l’avevano immiserita, limitando dunque il virtuosismo vocale e il “da capo” nelle arie
ed evitando la discontinuità temporale dell’azione; sostituì le arie sentenziose e di “paragone” con testi che
mostrino il linguaggio del cuore, le passioni collegando la sinfonia iniziale col resto dell’opera; inoltre abolì il
recitativo secco per aumentare l’importanza dell’orchestra.
Ma queste idee riformatrici avevano delle contraddizioni: poiché per creare un’opera moderna si torna a
soggetti mitologici; per concentrare l’azione si utilizzano pochi personaggi, impedendo l’azione stessa; la
scarsità dei personaggi è bilanciata dal coro e dai balli che creano un elemento di staticità.
Nonostante il suo valore artistico l’opera “riformata” di Gluck non riformò quasi nulla, anche se dopo di lui
l’opera italiana continuò nella sua tradizione senza troppo problemi: le innovazioni più durature furono
quelle musicali.
Capitolo terzo
Intermezzi e opera buffa

Le scene buffe seicentesche

La distinzione tra genere serio e genere comico non fu avvertita sino alla fine del Seicento: le opere
veneziane incorporavano nel “bello scompiglio” delle loro trame anche alcune scene buffe, tra quattro e
sei. Accanto agli aristocratici protagonisti vi erano personaggi di basso ceto sociale che davano luogo ad
autonome scenette comiche tra di loroinnamoramenti, liti, avances, sotterfugi.
Man mano, la trama principale seria e la trama secondaria comica andarono a separarsi e l’azione dei
personaggi buffi venne limitata al loro piccolo mondo a due, senza alcuna interferenzale scene buffe
andarono coagulandosi in entità sempre più autosufficienti, inserite nei momenti in cui avveniva una
mutazione scenica all’interno dell’opera.
Nei primi anni del Settecento vennero troncati i legami delle scene buffe con le opere che le ospitavano: le
trame non avevano più un punto in comune, i cantanti erano diversi e con condizioni di ingaggio diverse, i
libretti erano stampati separatamentenasce un nuovo genere musicale detto intramezzi.

I primi intramezzi

I primi esempi provengono da Venezia e risalgono al 1707da quell’anno fu obbligatorio stampare i testi
degli intramezzi perché essi potessero essere controllati dalla censura.
Gli intramezzi del periodo erano scritti da letterati ben conosciuti come Pietro Pariati, Francesco Gasparini e
Tommaso Albinoni; la separazione tra l’opera seria e i suoi intermezzi riguardava anche il lavoro di librettisti
e compositori.
La pratica di eseguire intermezzi autonomi si diffuse largamente in tutta l’Italia settentrionale e dalle scene
buffe gli intermezzi ereditarono la collocazione temporale: fino al 1730 la loro trama si suddivideva in tre
singoli intermezzi, con vicende strettamente collegateinseriti tra il 1° e 2° atto, tra il 2° e il 3° e alla fine
del 3° atto.
Dagli anni ’30 divenne comune la tipologia di due intermezzi soli, situati nei due intervalli senza
l’interruzione del 3° attolo spettatore assisteva parallelamente a due spettacoli diversi, uno comico e
l’altro serio, che si interrompevano più volte.
Ognuno dei tre intermezzi comprendeva dialoghi in recitativo secco, un’aria per ciascuno dei due
personaggi e un duetto finale.
La collocazione spaziale rimase inalterata rispetto alle scene buffe: generalmente gli intramezzi si
svolgevano sul proscenio, poiché ad essi non servivano scenografie o attrezzerie elaborate, ma un tavolo e
due sedie dato che la scena era ambientata nell’epoca contemporanea e tra personaggi di ceto basso.
I protagonisti erano due e a tale ridotto cast non era necessario l’accompagnamento dell’intera orchestra,
ma soltanto qualche strumento ad arco e il basso continuominore quantità di esecutori non significa
minore qualità di esecuzione, infatti gli strumentisti avevano un’importante funzione comica perché spesso
le loro parti sottolineavano le battute dei cantanti, riuscendo così a inaugurare uno stile vocale totalmente
nuovo, una declamazione comica dai sillabati velocissimi.
Dal punto di vista musicale, pur condividendo alcuni tratti con l’opera seria come il rallentamento del ritmo
armonico, gli intermezzi avviarono novità gravide di importanti sviluppi futuri quali il ritmo nervoso e
mutevole, la dinamica frastagliata e prescritta.

Gli intermezzi napoletani

I primi intermezzi si ebbero solo dopo il 1715, ma i loro libretti erano ancora stampati insieme a quelli
dell’opera “ospitante”, con la cui trama sopravviveva ancora qualche collegamento. Fu nel 1724 che il
librettista Pietro Metastasio scrisse per un proprio dramma un testo di intermezzi indipendenti da esso.
Tra alcuni dei più famosi intermezzi troviamo Larinda e Vanesio, Carlotta e Pantaleone, Scintilla e Don
Tabarrano, Dorilla e Balanzone, Lucilla e Delfoi titoli ci suggeriscono un intreccio chiaro, dove le donne
sono giovani e scaltre, dal carattere pungente, in una condizione sociale inferiore a quella del partner, che
con furberie e travestimenti cercano di ascendere nella scala sociale facendosi sposare dal personaggio
maschile, vecchio e brontolone.
Il successo di questo genere musicale favorì l’esecuzione totalmente autonoma degli intermezzi.

La commedia per musica napoletana

A Napoli esisteva fin dal 1709 un tipo di spettacolo musicale comico che “faceva serata” a sé, la commedia
per musica. Essa fu promossa per iniziativa della nobiltà napoletana presso il Teatro dei Fiorentini, dove
venne rappresentata la prima commedia per musica Patrò Calienno de la Costa di Agasippo Mercatellis.
La commedia per musica consisteva in uno spettacolo comico, la cui caratteristica più importante era quella
di far uso del dialetto napoletano; solo nel 1720 iniziò ad avere alcune parti in lingua italiana. In genere ai
personaggi di ceto basso si affiancavano quelli di livello superiore, e a differenza degli intermezzi la
commedia napoletana per musica presentava molti punti di contatto con il dramma per musica poiché: era
uno spettacolo in tre atti che occupava un’intera serata; alternava recitativi e arie col “da capo”; aveva
personaggi seri e buffi e negli intervalli tra un atto e l’altro ospitava propri intermezziquesto genere ebbe
tale risonanza da risalire per la penisola, accolta a Roma e Venezia.

Nascita dell’opera buffa a Venezia

Intorno agli anni ’30 entrarono in contatto tutti i diversi modi di fare uno spettacolo comico in musica, come
la commedia per musica napoletana; gli intermezzi; uno spettacolo cantato di tradizione veneziana che
satireggiava il mondo operistico e che poteva essere eseguito da cantanti d’opera e da attori di prosa.
Nel 1743 nacque la prima vera opera buffa, La Contessina di Carlo Goldoni, per la compagnia di comici di
Giuseppe Imer del Teatro S. Samuele di Venezia. Senza ombra di dubbio la collaborazione tra Goldoni e
Baldassarre Galuppi fece si che l’opera acquistasse un compiuto livello artistico, tanto da diventare uno dei
generi musicali più importanti del Settecento.
Nel 1760 il nuovo libretto di Goldoni, Checchina, o sia La buona figliuola, destò estremo scalpore,
inaugurando la nuova fase dell’opera buffa, il filone “sentimentale-lacrimevole”patetismo e
sentimentalismo, presero piede queste tipologie di opere “semiserie”.

Capitolo quarto
Dallo stile galante allo stile classico

La compagnia teatrale di Eustachio Bambini aveva rappresentato La serva padrona di Pergolesi, ma nel
1752 dovettero eseguirla nel massimo tempio della tragedia lirica, ovvero L’Opéra di Parigi; era già stata
eseguita otto anni prima in un teatro specializzato nella commedia dell’arte italiana e in occasione di questa
ripresa nel teatro parigino, gli esecutori temettero di soccombere al confronto e non si aspettavano il
clamore precedentetutto ciò scatenò una battaglia tra i letterati dell’epoca, che stamparono gli scritti
polemici dividendosi in fautori dello stile buffo italiano e nella musica francese, dando l’avvio alla famosa
querelle des bouffons.
Gli illuministi, capeggiati da Rousseau e Diderot, si dichiararono “buffonisti” perché avevano individuato
nelle novità stilistiche dell’operina di Pergolesi la risposta alle loro esigenze di naturalezza e sentimento
nella musica. La ricerca di uno stile di canto “naturale” fu un’esigenza profondamente avvertita nella metà
del Settecento.

Lo stile galante

se nel campo operistico si rispose con lo stile dell’opera buffa, nell’ambito della musica strumentale si
espresse in quello galante. La parola “galante” era di moda agli inizi del Settecento: essa si riferiva a ciò che
viene apprezzato dall’uomo raffinato, colto e gentile d’animo, spontaneo, le cui scelte artistiche sono
regolate senza esitazioni dall’innato buon gusto. La “galanteria” trova la sua esplicazione in un tipo di
produzione musicale raffinata e non artificiosa, tenendosi aggiornata sulle ultime tendenze della moda.
Si trattava di una musica scritta per un solo strumento a tastiera e che si articolava nettamente tra melodia
e accompagnamento, adagiandosi su un ritmo armonico allargato ma con libero trattamento delle
dissonanze. Essa viene generalmente scritta in maniera elementare, quasi insipido, e spetta all’interprete e
alla sua sensibilità renderla espressiva, parlante, in modo che possa toccare e commuovere l’animo degli
ascoltatoritramite abbellimenti e sfumature dinamiche e agogiche.

Trattati di prassi esecutiva

L’accostarsi alla musica di molti dilettanti causò in quell’epoca il fiorire di molti trattati didattici destinati a
chi non poteva permettersi di mantenere un maestro di musica nella propria casa. Questi trattati non
illustrano solo la tecnica del singolo strumento, ma forniscono spiegazioni sui numerosi problemi stilistici,
poiché nessuno saprebbe che le partiture rimasteci dello stile elegante non sono altro che un pallido e
lontano riflesso di quella che dovrebbe esserne l’esecuzionemetà del Settecento pubblicati due trattati,
uno del figlio di Bach e l’altro del padre di Mozart sulla tecnica dell’accompagnamento e dell’esecuzione.
Lo stile elegante si diffuse in tutta l’Europa e raggiunse il suo apogeo tra il 1750 e il 1775, riallacciandosi
deliberatamente al virtuosismo canoro dei grandi castrati italianai dal punto di vista della raffinatezza del
suono e dell’espressione, mentre allo stile buffo dal punto di vista melodico, armonico, ritmico e
fraseologicotra i più importanti compositori dello stile galante in Italia troviamo proprio Baldassarre
Galuppi, Giovanni Platti, Giovanni Sammartini, Pier Domenico Paradisi e Giovanni Maria Rutini.
In Francia troviamo Jean Marie Leclair e il flautista Michel Blavet; in Germania Quantz, Marpurg e i fratelli
Graun; a Vienna Georg Wagenseil e Johann Christian Bach, uno dei figli di Bach.

Lo stile della sensibilità

Carl Philipp Emanuel è il più compiuto rappresentante di una specie di “dialetto” locale berlinese
dell’internazionale lingua galante, il cosiddetto stile della sensibilità. Il giovane, inserendosi nel filone più
espressivo e scuro della produzione di suo padre, ne proseguì la ricerca verso cromatismi laceranti ed
esasperati, verso inedite audacie armoniche e colori plumbei e misteriosi, trasferendo sulla tastiera la
libertà esecutiva e l’espressività drammatica del recitativo operisticorealizzato soprattutto nelle libere
fantasie per clavicordo, dove spariscono le barre di musica poiché sostituite da un recitativo strumentale
dal ritmo duttilissimo.

Lo stile classico: problemi di definizione

Esso era considerato lo stile per eccellenza di fine Settecento-primi Ottocento, al cui confronto ciò che lo
precedeva poteva essere soltanto definibile come “preclassico”. Lo stile classico si riferiva solo a tre
persone, Haydn-Mozart-Beethoven, collegate sia dalla prossimità geografica (gravitavano intorno a Vienna),
sia dallo stile musicale che dall’eccellenza delle loro composizioni; tutti gli altri non erano dunque degni di
essere considerati dei “classici”.
Uno dei maggiori storici della musica contemporanea, Carl Dahlhaus, ha affermato che nella storia della
musica non avvenne un’evoluzione in tre stadi, ma in due regioni: i territori tedeschi del sud di religione
cattolica passarono dallo stile elegante a quello classico a quello romantico; mentre la regione del nord di
religione protestante approdò al protoromanticismo.
È però per opera di Haydn che la forma-sonata divenne quel principio formale capace di dare la sua
impronta ad un’epoca intera, ponendosi per il raggiungimento di un equilibrio stilistico definito “classico”.

Franz Joseph Haydn

Nacque nel 1732 in Austria da una famiglia appassionata di musica, tanto che quando era bambino fu
segnalato dal direttore musicale della cattedrale di S. Stefano per la bellezza della sua voce bianca, ma
appena compiuti diciotto anni la sua voce cambiò e fu licenziato dal coro, dovendo così affrontare anni duri
di libera professione presso famiglie nobiliari o chiese della città.
La grande svolta avvenne per caso: egli andò ad abitare in una mansarda del palazzo dell’anziana
Principessa Esterhazy, che successivamente lo assunse come direttore musicale, ed entrò in contatto con
Pietro Metastasio e l’operista Niccolò Porpora, di cui divenne l’accompagnatore al cembalo e il
vallettocompletò l’istruzione musicale e venne introdotto in ambienti dell’alta società viennese, fino ad
essere assunto nel 1761 dal Principe Paul Anton Esterhazy, prima come vice direttore musicale e poi come
direttore musicale nel 1766, divenendo il responsabile di tutte le attività musicali della corte.
A capo di una piccola orchestra ma con ottimi musicisti, Haydn produsse ogni genere di musica: da quella
sacra a quella d’intrattenimento, da camera e musica per teatro. Il giovane operò tanto come compositore
di opere serie quanto di opere buffe, scrivendo anche Singspiele, riduzioni di opere per il teatro di
marionette e musiche di scena; organizzò rappresentazioni di opere altrui durante la stagione teatrale da
febbraio a dicembre dove furono allestite ben 67 esecuzioni assolute.
Haydn era l’esempio di un musicista sedentario che riusciva comunque a mantenersi aggiornato su tutte le
novità artistiche della sua epoca.
Durante il servizio alla corte degli Esterhazy, Haydn maturò il suo stile personale: trasformò il mondo
galante e sensibile in uno stile che contemperava espressività e razionalità, contrappunto armonia e
melodia, duttilità ritmica e fraseologia coordinataun vero e proprio equilibrio classico, servito di pochi
elementi e traendo da essi il massimo delle conseguenze possibili.
Le sue composizioni finirono per essere contese dagli editori; innumerevoli furono le edizioni pirata o
l’impiego abusivo del suo nome per spacciare partiture altrui. Haydn ricevette numerose commissioni,
infatti per i Concerts de la Loge Olimpique di Parigi scrisse le sinfonie n.82-87 che, assieme alle n.88-92,
furono dette “parigine”.
Quando il principe Nikolaus morì, suo figlio Anton sciolse l’orchestra, trattenendo solo un gruppo di
strumentisti a fiato; ad Haydn vennero mantenuti titolo e stipendio nonostante fosse libero da qualsiasi
mansione a palazzo. Divenne così un musicista indipendente e rifiutò numerose cariche importanti per
partire per Londra con l’impresario Johann Salomon perché nei concerti da lui organizzati fossero eseguite
alcune sue sinfonie.
Tornato a Vienna nel 1795, si cimentò nella composizione di due oratori: La Creazione e Le Stagioni.

Capitolo quinto
Wolfgang Amadeus Mozart

Il dono di Dio al mondo

Il padre di Mozart si rese subito conto che il figlio aveva un talento fuori dal comune, dato che a soli quattro
anni iniziò a comporre le sue prime musiche, infatti finì per trascurare la propria carriera ma non per il
desiderio di impartirgli l’educazione musicale più completa, bensì per far conoscere al mondo intero il
“dono di Dio” che gli era stato elargito.
Il giovane Mozart suonò in tutte le principali corti europee alla presenza dei più angusti sovrani, eseguendo
composizioni proprie ed altrui, leggendo qualsiasi musica a prima vista, improvvisando su temi fornitigli
dall’impronta.

I viaggi

Dopo i viaggi del 1762 a Monaco e alla corte di Vienna, nel 1763 fu la volta del lungo tour europeo per tutta
la famiglia Mozart che, attraversando la Germania, arrivarono a Parigi, poi Londra, Olanda per poi tornare a
Salisburgo.
Le tappe furono numerosissime e nel viaggio di andata fece la sua prima conoscenza con l’orchestra di
Mannheim, dotata di grande abilità solistica di ognuno dei suoi strumentisti, anche se la fonte principale del
piccolo Mozart fu quella di BachMozart assorbì da lui il lato più oscuro dello stile galante, tanto da
influenzarne le successive composizioni con temi galanti bassi, tonalità minori e bruschi scarti emotivi.
Tra il 1766 e il 1769 fu ancorato a Salisburgo, dove a Vienna avrebbe dovuto far rappresentare nel 1768 la
sua prima opera buffa, La finta semplice, e finì per essere rimandata all’anno seguente a Salisburgo.
Nel 1769 Mozart e suo padre partirono per l’Italia, verso la patria dell’opera e della polifonia sacra: a
Milano conobbero il sinfonismo di Sammartini e l’opera di Niccolò Piccinni; a Bologna il magistero
contrappuntistico di Giovanni Battista Martini; a Firenze il virtuosismo violinistico di Pietro Nardini; a Roma
la tradizione polifonica della Cappella Sistina e a Napoli l’opera seria e buffa.
Nonostante le più autorevoli raccomandazioni, a Roma non riuscì ad esibirsi di fronte al pontefice; questi si
limitò ad accordargli il titolo di cavaliere dell’Ordine dello Speron d’oro. L’unica possibilità concreta fu a
Milano, ma l’imperatrice Maria Teresa sconsigliò l’assunzione di Mozart alla corte di suo figlio Ferdinando.

Il trasferimento a Vienna

Con la chiusura della parentesi italiana si aprì la prima fase della sua maturità, conclusasi nel 1781 col suo
definitivo trasferimento a Vienna. Già nelle composizioni scritte durante il periodo italiano si può notare
l’influsso di Hasse e delle novità espressive/formali di Jommelli.
Durante il soggiorno viennese nel 1773 venne a conoscenza diretta di alcuni lavori di Haydn, in particolare i
suoi Quartetti opera 20. Tra le tante possibilità stilistiche, lo stile classico si rivelò a Mozart come la strada
maestra da percorrere: non più una musica galante ma una struttura formale solida e autosufficiente che
permettesse alla musica di Trovare in se stessa la propria forza propulsivarisalgono a questo periodo
alcune composizioni più significative come la Sinfonia K183 in sol minore e la Sinfonia K201 in la maggiore; i
cinque concerti per violino e orchestra; i primi concerti per pianoforte ed orchestra in mi bemolle maggiore
e, infine, le prime sonate per pianoforte.
Fallito il tentativo di un impiego a Vienna, Mozart si recò a Monaco per l’esecuzione della sua opera buffa
La finta giardiniera.

Il ritorno a Salisburgo

Dopo il secondo viaggio a Mannheim ed uno a Parigi, tornò a Salisburgo dove lo aspettava il padre e un
ruolo di maestro di concerto come organista del duomocompose importanti musiche sacre, tra cui la
Messa dell’incoronazione e I Vespri solenni del conferssore, ma gli importanti spunti raccolti a Mannheim e
Parigi li troviamo nell’opera Idomeneo, re di Creta, un’opera sera italiana ma apparentata sia con la tragedia
lirica francese, sia con le opere “riformate”.
Il successo dell’Idomeneo fu la causa della radicale svolta nella vita di Mozart. Nel 1772 venne incoronato
principe-arcivescovo il conte Colloredo, il quale pretendeva che i suoi salariati svolgessero i compiti per cui
erano pagati; nel 1781 si recò a Vienna per la morte dell’imperatrice Maria Teresa, per poi rientrare a
Salisburgo con tutti il suo seguito; ma il giovane Mozart si rifiutò di obbedire all’ordine e fu il Conte Arco a
licenziarlo.
Nel maggio del 1781 si aprì l’ultimo decennio di vita di Mozart. Il suo tentativo di essere accettato a corte e
nella vita culturale viennese si registrò nello stesso anno, quando suonò di fronte all’imperatore e al
granduca di Russia; l’anno seguente fu un successo il suo Singspiel dal titolo Il ratto dal serraglio, ma
l’accusa mossa a Mozart sulla sua musica troppo difficile, elaborata negli accompagnamenti e troppo “piena
di note” si fece sentire anno dopo anno.
Nonostante il rapporto importante con Gluck, il contatto più prezioso lo ebbe con Haydn, al quale dedicò i
sei Quartetti per archi, opera 10in essi vi è l’influsso haydniano di uno stile spezzato o intrecciato, dove
esisteva una melodia ed un accompagnamento.
La maturazione di Mozart è evidente in tutte le altre composizioni che si susseguirono in quegli anni,
soprattutto i concerti per pianoforte e orchestra, le sei sinfonie, le ultime composizioni da camera e le
opere.

L’ultima fase

L’opera buffa Le nozze di Figaro, su libretto di Lorenzo da Ponte, ottenne un buon successo iniziale per poi
andare a scemare per colpa della musica troppo complicata che non piaceva alla corte di Vienna.
Sulla scia della trionfale accoglienza del Don Giovanni, Mozart fu nominato “compositore di corte” dato che
Gluck era morto: ma questo titolo onorifico non gli fruttò nient’altro che commissioni per musiche d’uso.
Nonostante gli inviti presso le corti e i riconoscimenti dall’estero il giovane Mozart era economicamente in
difficoltà: i guadagni dei primi anni viennesi si erano dileguati molto rapidamente per i molti vizi del
compositore, ma con il successo dell’opera buffa Così fan tutte sembrò rientrare nel circolo dei guadagni;
purtroppo con la morte dell’imperatore Giuseppe II vennero interrotte le rappresentazioni.
Con l’incoronazione del nuovo re di Boemia, Leopoldo II, gli fu commissionata un’opera seria su testo del
Metastasio, ovvero la Clemenza di Tito, eseguita a Praga nel 1791.
La prematura morte di Mozart, 5 dicembre 1791, rimase un mistero, in molti ipotizzarono una febbre
infiammatoria reumatica, ed è anche da rivedere l’immagine del compositore ossessionato dal Requiem,
commissionatogli da uno sconosciuto. Questi, che rimase anonimo, fu inteso da Mozart come un
personaggio dell’oltretomba che lo spingeva a scrivere una musica funebre per lo stesso compositore.

Capitolo sesto
Ludwig Van Beethoven

L’immagine romantica di Beethoven

Nacque a Bonn nel 1770, e il padre lo avviò agli studi di musica precocemente: a soli otto anni, infatti, si
esibì nel suo primo concerto pubblico.
Il padre di Beethoven era un musicista mediocre e alcolizzato, infatti nel 1789 il giovane compositore
divenne capofamiglia e chiese all’amministrazione della cappella che venisse versata a lui la metà dello
stipendio del padre, poiché incapace di provvedere i figli.
La sua istruzione musicale iniziò sotto la guida del padre e di altri musicisti della cappella di Bonn, tanto
come esecutore di tastiere quanto di violino e viola.
Nel frattempo passò a studiare composizione, pianoforte e basso continuo con Neefe, il quale gli fece
apprezzare le composizioni di Bach e gli furono così commissionate due cantate celebrative per soli, coro e
orchestra: una per la morte dell’imperatore Giuseppe II e l’altra per l’incoronazione di Leopoldo
IIprobabilmente non furono mai eseguite.
In occasione del commiato del 1792 il conte Waldstein scrisse per Beethoven un augurio molto significativo:
Mozart era appena morto e Haydn era piuttosto anziano, così Beethoven andò a Vienna per studiare con
costui.

Le direzione della musica europea

Con il viaggio a Vienna, Beethoven, poteva entrare nel grande circuito dell’opera italiana che circolava
come un idioma comune tra tutti i teatri di corte europei, tranne che in Francia, dove studiò con Antonio
Salieri, massima autorità presente nel campo della musica nella capitale austriaca; in più poteva accostarsi
al mondo dell’opera francese, il cui massimo esponente in quegli anni era Luigi Cherubini, che Beethoven
conobbe e apprezzò, traendo dalle sue opere e da quelle di Gluck molti spunto in fatto di orchestrazione e
di condotta melodica.
Inoltre Beethoven non fu operista, né in lingua francese né in lingua italiana: la sua unica opera fu il Fidelio,
famosa per la sua genesi assai difficoltosa. Quindi decise di dedicarsi alla carriera concertistica, ma la sua
meta non avrebbe dovuto essere Vienna, bensì Londra, centro del pianismo internazionale dove
gravitavano i maggiori pianisti dell’epoca, primo tra tutti Muzio Clementi.
Beethoven fu inizialmente un ottimo pianista, impegnato in prima persona nell’esecuzione dei suoi primi
concerti per pianoforte ed orchestra effettuando tournée a Praga, Dresda, Berlino, ma ben presto la sordità
da cui venne colpito gli rese impossibile continuare ad eseguire musica in prima persona.
Inoltre, avrebbe potuto divenire un insigne contrappuntista come Johann Albrechtsberger, con il quale
studiò ogni genere di contrappunto, di fuga e di canone per circa dieci anni.
Purtroppo il giovane compositore non seguì questi stili, bensì si diresse senza esitazioni nella direzione
indicatagli dal conte Waldstein, ovvero lo stile classico, lo stile musicale più moderno che esistesse
all’epoca, infatti appena giunse a Vienna prese lezioni da Haydn.
I primi anni a Vienna

Pianista acclamato, compositore già noto, era alle dipendenze di un musicofilo di rango come il principe
Lichnowsky, conteso dalle maggiori case dell’aristocrazia viennese.
Fino al 1801 aveva composto la sua Prima sinfonia in do maggiore, tre concerti per pianoforte e orchestra,
il balletto Le creature di Prometeo, le sonate per pianoforte fino all’opera 28, i Quartetti opera 18.
Purtroppo dovette arrendersi alla sordità di cui aveva iniziato a percepire i primi sintomi, male incurabile e
il peggiore per un musicista; così decise di nascondere la sua infermità sfuggendo da ogni contatto sociale e
ritirandosi a vita privata, anche per non esporsi alle malignità e alle accuse dei suoi avversari.
Nel 1802, però, dopo aver composto la Seconda sinfonia e mentre stava lavorando alle Sonate per
pianoforte opera 31, dichiarò di aver imboccato una nuova via compositiva: secondo Carl Dahlhaus i lavori
con i quali Beethoven intraprese questa nuova via mancano di un vero e proprio tema principale nella
prima enunciazione non si nota un atteggiamento da primo tema, piuttosto sembra un’introduzione; nella
seconda iterazione il tema non è più un vero tema.
Beethoven si serve di elementi tematici molto rudimentali che gli permettono di giocare con le aspettative
formali degli ascoltatori, portando alle estreme conseguenze l’elaborazione motivico-tematica senza
preoccuparsi di dover rispettare la “bellezza” di un tema ben tornito: si basa sulla tradizione della forma-
sonata haydiana e mozartiana, ma se ne serve con libertà, creando in ogni composizione un proprio
orizzonte formale indipendente da quello delle altrequesta sottigliezza compositiva, detta “esoterismo”,
si coniuga con la volontà di comunicare col grande pubblico, detta “essoterismo”. Le composizioni che
Beethoven scrisse sono le sue più celebri, che lanciano un messaggio morale all’umanità intera: dalla
sofferenza si può giungere alla gioia, sia pure a prezzo di una durissima lotta.

La rendita da parte dei tre principi

Nel 1809 i tre più altolocati protettori di Beethoven decisero di garantire una rendita al compositore
affinché rimanesse a Vienna.
Si stava quindi mutando la considerazione dell’artista in quanto tale: non più un fornitore di servizi, ma un
uomo che, creando opere del più alto livello estetico, poteva elevarsi ad una somma dignità intellettuale da
ammirare e rispettareBeethoven impose l’immagine del musicista come “poeta dei suoni”: la musica era
lo svolgimento di pensieri, quelli musicali ovviamente.
Dopo le composizioni del suo periodo “eroico”, intorno al 1810 apparirono musiche di stampo ben diverso,
come il Quartetto opera 74, Trio opera 97, Sonate per pianoforte dall’opera 78 all’opera 90. Queste erano
caratterizzate da una più estesa cantabilità, dove sembrava riallacciarsi al sonatismo pre-haydniano.

Il terzo periodo

Ormai la sordità lo aveva completamente accerchiato, ma paradossalmente questa era una fortuna poiché
sono rimasti molti taccuini di alcuni visitatori che usavano per comunicare col compositore. L’isola di
silenzio dove viveva Beethoven si rispecchiò nel suo atteggiamento musicale: non si interessò a ciò che
propugnavano i giovani romantici, ma proseguì la sua ricerca personalela forma-sonata non fu più il suo
principale orizzonte di riferimento, infatti si rivolse al passato andando a riscoprire forme più antiche quali
la fuga e la variazione: rompe quelle forme del passato per crearne di nuove, individuali, cangianti da
un’opera all’altra. Tra queste forme antiche troviamo cinque sonate per pianoforte, ovvero i fugati delle
Sonate opere 101, 106 e 110, assieme alle variazioni delle Sonate opere 109 e 111.
La sua meditazione solitaria lo condusse a trascurare il rapporto di tensione tra le vaste aree tonali della
tonica e della dominante per esplorare plaghe più morbide, come quella della sottodominante.
Nei suoi ultimi anni mise un punto fermo a tutti i principali generi della sua epoca: i pezzi per pianoforte
spaziano dall’estremamente grande all’estremamente piccolo; la musica sacra vede la Missa solemnis
opera 123; la nona e ultima sinfonia dopo una gestazione di dieci anninell’ultimo movimento della Nona
avviene qualcosa di inaspettato: violoncelli e contrabbassi sembrano chiedere qualcosa; l’orchestra
risponde riproponendo gli incipit dei tre movimenti precedenti l’uno dopo l’altro; viene ogni volta interrotta
da violoncelli e contrabbassi che esigono una diversa risposta. Infine viene proposta dall’orchestra una
melodia di carattere popolareggiante, timida e lieve. Successivamente entra la voce umana: l’Ode alla gioia,
che il baritono intona su testo di Schiller.
Ma purtroppo in pochi compresero il cambiamento della musica di Beethoven dato che la sua musica era
ritenuta troppo complicata e difficile da eseguire, perciò non trovarono acquirenti.
Morì di cirrosi epatica nel 1827 circondato da pochissimi amici, mentre ai suoi funerali parteciparono circa
ventimila persone.

TEORIA DEI TRE STILI: il musicologo Wilhelm von Lenz individuò “tre stili” nella produzione di Beethoven:
un primo periodo giovanile teso all’appropriazione dei modelli compositivi, un secondo in cui si denota un
Beethoven maturo e con un personalissimo stile, e infine un terzo periodo di superamento e meditazione
astratta.

LUIGI CHERUBINI: non ebbe alcuna formazione “napoletana”, infatti fu allievo e collaboratore di
Giuseppe Sarti. Nel 1786 si trasferì a Parigi, dove fu tra gli esecutori delle sinfonie parigine di Haydn, ma fu
costretto ad allontanarsi per l’inarrestabile rivoluzione, data che era coinvolto con la casa reale; quando
rientrò nella capitale fu impiegato come suonatore di triangolo nella Banda repubblicana, anche se il suo
talento si impose nuovamente: oltre a scrivere numerose marche per la rivoluzione, fu nominato direttore
nel 1822. La sua attività operistica toccò l’apice con Médée, opera dalla solennità gluckiana e dalla
corposità orchestrale di Mozart e Haydn, anche se ebbe qualche difficoltà con Napoleone; ma dopo la sua
caduta fu nominato sovrintendente della musica del re e poi della cappella reale, spostando il suo interessa
sulla musica sacra e producendo sette messe e due messe da Requiem.

MUZIO CLEMENTI: a 14 anni fu condotto da Roma a Londra da un nobile inglese che si occupò della sua
educazione, per poi diventare un acclamato pianista che effettuò numerose tournée nel continente.
Abbandonata nel 1800 la diretta attività pianistica si trasformò in uomo d’affari, mentre il suo repertorio
musicale constatava 80 sonate per pianoforte che si accostavano a quelle del Classicismo viennese; nella
sua musica era avvertibile un denso lavorio contrappuntistico e la ricerca di un tecnicismo potente e
impegnativo, attirando l’ammirazione e l’emulazione di Beethoven che le definì “le più belle e pianistiche
tra le composizioni”.
STORIA DELLA MUSICA OCCIDENTALE VOL.3

PARTE PRIMA
PREMESSA
I postulati estetici del romanticismo

Non è facile equiparare Ottocento a Romanticismo, infatti secondo Ernst Bloch le epoche storiche non
marciano in fila indiana.
Tra il Settecento e l’Ottocento va registrato un netto dualismo stilistico: tra il modo tradizionale di
intendere la musica tipico dell’opera italiana ed uno totalmente divergente, realizzatosi nella musica
strumentale.
A ciò va sommato il controverso rapporto tra Classicismo viennese e Romanticismo, correnti musicali
collegate da alcuni elementi in comune ma separate da posizioni inconciliabili: nel nord il settecentesco
stile galante, coagulatosi sotto forma di stile della sensibilità, sarebbe approdato direttamente al
Romanticismo; al sud, questo percorso sarebbe stato inframezzato da una fase detta Classicismo viennese.
Si spiegherebbe così una contraddizione del periodo: la compresenza di un articolato pensiero romantico
filosofico-letterario a nord, e di una musica nettamente legata all’Illuminismo al sud.
Furono i primi letterati romantici ad inaugurare, alla fine del Settecento, una nuova concezione della
musica: nella riflessione estetica del Settecento il ruolo della musica era quello di rendere un determinato
affetto, potenziando le capacità evocatrici della parola. La musica strumentale non era che una pallida
imitazione di quella vocale, irrimediabilmente inferiore poiché priva della possibilità di comunicare con la
parte razionale dell’uomo.
Un avvenimento che potrebbe aver contribuito ad accelerare la propulsione verso il Romanticismo fu la
morte di Federico II di Prussia: il venir meno delle speranze di realizzare gli ideali illuministici contribuì a
determinare quella fuga verso l’utopia che costituisce il fondamento dell’ideologia romantica.
Ma nella riflessione dei primi letterati romantici la visione cambiò radicalmente: crollata l’illusione
illuministica di poter dare una spiegazione razionale alla realtà e di poterne risolvere tutti i problemi con la
ragione, ci si rese conto che l’essenza del mondo continuava a rimanere oscura e i ragionamenti
dell’intelligenza non bastavano a fornire una risposta ai quesiti dell’esistenza.
L’unica chiave per attingere a questi segreti è l’intuizione artistica; mentre tra le arti la più adatta a tendere
verso l’assoluto è la musica, soprattutto quella strumentale.
Si compie così un ribaltamento rispetto alla concezione passata: per la prima volta nella storia la musica è
elevata ai massimi livelli dell’attività umana, in più quella vocale viene considerata inferiore a quella
strumentale perché costretta ad attenersi ad un significato ristretto e determinato.
La musica strumentale, che nasce dalle energie più profonde dell’uomo, può slanciarsi con maggiore libertà
verso l’infinito e il divino, assumendo una vera funzione metafisica; l’arte deve cogliere ciò che si cela al di
là delle apparenze in quanto individuale ed eccezionale.
L’estrema importanza conferita alla musica è il solco più netto tra la musica d’arte e la musica d’uso: se
comporre musica è attingere alle vette dell’umano e del divino, non c’è più spazio per le musiche di
circostanza, di intrattenimento o commissionate dall’esterno, poiché ogni composizione deve essere una
summa dell’esperienza interiore del compositore, un messaggio da inviare all’umanità intera.
L’atto creativo andò accentuando la sua indipendenza poiché si aveva l’ambizione di catturare con la
musica, pertanto ogni singola intuizione espressa con un’irripetibile individualità formale doveva mescolare
generi diversi.
Il musicista romantico è coinvolto in un attivismo culturale che si esplica in molteplici direzioni: egli è
contemporaneamente compositore, strumentista, direttore d’orchestra, direttore artistico e fondatore di
una lega artistica; in oltre può lavorare anche sul piano letterario.
La consuetudine del concerto pubblico a pagamento che andò diffondendosi nell’Ottocento si coniugò con
la costituzione di un repertorio formato da musiche di autori non viventi; era la prima volta che accadeva.
Accanto all’esecuzione delle musiche del passato prese corpo anche la riflessione storiografica che vide la
nascita di numerose biografie su autori scomparsi.
Capitolo primo
Gioacchino Rossini

Dualismo stilistico

Il mondo musicale del primo Ottocento era diviso da un profondo dualismo stilistico: le due culture
musicale pressoché inconciliabili se ne contendevano il predominio.
La prima, la più tradizionale e diffusa, trovava il suo territorio nell’ambito dell’opera italiana: Gioacchino
Rossini fu il compositore più noto nell’Europa dell’epoca; la seconda cultura musicale fu avviata da
Beethoven e si esplicò principalmente nella musica strumentale.
Quelli impersonati da Rossini e Beethoven erano due modi antitetici di pensare la musica: o il centro della
musica era fatto convergere sul concreto evento sonoro, oppure veniva posto nell’astratto pensiero
musicale del compositore. Nonostante la differenza tra i due, un legame più sottile accomuna questi
musicisti, ovvero la Restaurazione successiva alle guerre napoleoniche: questa fase era caratterizzata dal
desiderio di pacificazione, di disimpegno dalle passioni politico-ideali e di ritorno alla mentalità borghese.
Ciò costrinse i compositori ad assumere un atteggiamento distaccato e critico verso la realtà
contemporanea: Beethoven si isolò e la sua musica assunse un carattere esoterico; la musica di Rossini
pareva immediata e di facile fruizione, ma in realtà nascondeva un messaggio ironico e amaro.

La vita, le opere buffe

Nato a Pesaro nel 1792 da una famiglia di musicisti, da madre cantante e padre suonatore di corno e
tromba, il giovane Gioacchino usufruì tanto di una precoce esperienza nella viva pratica musicale quanto di
veri studi di composizionela precocità del talento rossiniano è fuori discussione: le sue Sonate a quattro
per due violini, violoncello e contrabbasso furono composte a dodici anni.
Intorno ai quattordici anni compose per un’occasione privata la sua prima opera, il dramma serio in due atti
Demetrio e Polibio, rappresentato pubblicamente nel 1812 al Teatro Valle di Roma; mentre il suo debutto
come compositore teatrale era avvenuto a Venezia con la rappresentazione della farsa in un atto La
cambiale di matrimonio.
I primi sette anni della sua carriera operistica furono dedicati al genere comico, una serie di opere prodotte
di getto, tra cui troviamo L’italiana in Algeri, Il turco in Italia, Il barbiere di Siviglia, La Cenerentola e l’opera
semiseria La gazza ladra.

Il rapporto ritmo-parola

Secondo il musicologo Luigi Rognoni, la grande carica della musica rossiniana risiede nel ritmo: nelle sue
opere non è il ritmo musicale ad adattarsi alle parole del testo, ma sono le parole travolte dal ritmo che si
spezzano in modo innaturale, si frantumano in fonemi senza senso, si ricompongono e si trasformano in
puro pretesto sonoro. Il linguaggio umano viene stritolato da un meccanismo senza scampo, rendendo
impossibile qualunque comunicazione; l’uomo diventa una marionetta agitata da altri, che si illude di essere
il padrone delle proprie azioni. Il trattamento rossiniano della voce non prescinde dal contenuto delle
parole, infatti l’apice della frammentazione sillabica è raggiunto nei momenti in cui i personaggi sono in
preda alla massima confusione possibile e la loro mente non riesce a coagulare alcun pensiero logico.
Il rapporto rossiniano tra musica e testo è esplicitato da lui stesso: la musica teatrale non deve
rappresentare i singoli avvenimenti; la musica è l’atmosfera morale che riempie il luogo in cui i personaggi
del dramma rappresentano l’azione.

Le opere serie

Le opere serie erano il più prestigioso banco di prova per il musicista dell’epoca, tra queste troviamo
Tancredi, Elisabetta regina d’Inghilterra, Otello, Mosè in Egitto, La donna del lago, Maometto II, Semiramide
e infine Guglielmo Tell.
Le sue opere serie sono il doppio rispetto a quelle buffe, ma sono anche di una maggiore importanza storica
rispetto alle comiche: se nell’opera buffa egli portò a compimento un genere musicale, nell’opera seria
avviò nuove convenzioni che vigeranno nell’opera italiana per circa mezzo secolo, soprattutto dal punto di
vista formale.
Sin dalla fine del Settecento l’opera sera era stata vivificata con impulsi provenienti da altri generi teatrali;
dalle opere buffe e semiserie erano defluite altre tipologie di arie, soprattutto le arie divise in più sezioni
dell’andamento contrastante. La loro caratteristica principale era quella di far penetrare al proprio interno
lo svolgimento dell’azione, anche attraverso la partecipazione di petrichini, personaggio che interloquiva
col protagonista dell’aria senza però trasformarla in un duetto, poiché l’andamento differente delle sezioni
era causato da un mutamento nella situazione emotiva del personaggio. Inoltre, poiché l’azione si svolgeva
in presa diretta aumentarono i pezzi d’assieme anche nell’opera sera cosicché la grande forma del finale
interno valicò il confine tra opera buffa e opera seria.
Giunsero novità per l’opera italiana anche da un altro versante: chi voleva scrivere per l’Opéra di Parigi
doveva adattarsi alle convenzioni della tragedia lirica, ovvero una maggiore presenza del coro, una ricca
orchestrazione, un abbandono del recitativo secco per quello accompagnato, la tendenza a saldare le
singole scene in grandi blocchi unitari.
Le novità formali codificate da Rossini nella sua opera:
1. Impiego nell’opera seria di arie in più sezioni di andamento contrastante con la seguente struttura:
-scenarecitativo con coro
-cantabilesezione lenta dell’aria
-sezione intermediacon coro
-cabalettasezione veloce dell’aria;
2. Impiego nell’opera seria del finale concertato, costituito secondo la tipologia:
-allegro
-largo di stupore
-stretta;
3. Incremento dei pezzi d’assieme rispetto alle arie;
4. Grandi scene unitarie;
5. Uso dell’armonia;
6. Importanza del ritmo;
7. Abolizione del recitativo secco nell’opera seria;
8. Scrittura delle fioriture vocali;
9. Importanza del coro, in alcuni casi vero e proprio personaggio.
Tutte queste tendenze furono accentuate nell’opere di Rossini per il pubblico parigino dell’Opéra; ma con
Guglielmo Tell varca addirittura i confini del Romanticismo: soggetto storico-patriottico, elementi del
folclore popolare, prevalenza degli ensemble sulle arie solistiche, grande importanza del coro, presenza
della natura come personaggio.

Il grand opéra

L’opera Guglielmo Tell costituisce uno dei primissimi esempi del principale genere operistico romantico
francese: il grand opéra.
L’antica tragedia lirica, che fondeva lo stile francese con contaminazioni italiane e tedesche, si era
trasformata a quello che stava diventando il suo pubblico principale: la ricca borghesia finanziaria di una
grande e cosmopolita metropoli ottocentesca.
Nacque così il grand opéra, il cui nome ne sottolinea la principale caratteristica: la spettacolare grandiosità.
A differenza della tragedia lirica, l’azione drammatica nella grand opéra non era più condotta dal testo, che
ormai retrocede ad una semplice funzione di libretto operistico: persa la fiducia nella parola, si confida nel
potere comunicativo della pantomima e degli effetti scenografici.
La drammaturgia del grand opéra si fonda su due principi: l’arrestarsi dell’azione su grandi quadri corali,
ovvero sontuose scene di massa nelle quali il coro assume il ruolo principale; l’interesse dello spettatore è
ravvivato da improvvisi colpi di scena che ribaltano il suo stato d’animo e portano ad alternare un vasto
campionario di soluzioni musicali.
Le ultime composizioni

A soli 37 anni smise di scrivere per il teatro e nei restanti 39 anni della sua vita compose pochissime
musiche, quasi tutte di destinazione sacra o cameristica: Soirées musicales, Stabat mater, Petite messe
solennelle per dodici cantori di tre sessi, due pianoforti e armonium.
Ma sono i Peccati di vecchiaia a rappresentare lo spirito dell’ultimo periodo di Rossini: brevi composizioni
cameristiche per pianoforte-voci e pianoforte; si tratta di un condensato di ironia sofisticatissima e di
programmatica ingenuità musicale.
Il lungo silenzio di Rossini può essere fatto risalire alla questione dell’estetica romantica: il suo pessimismo
non nutriva fiducia nella forza del sentimento e nel coinvolgimento emotivo del compositore con la propria
musica, poiché egli guidava i suoi personaggi dall’alto senza mai identificarvisi.

APPROFONDIMENTO

 L’opera buffa nell’Italia del primo Ottocento

L’italiana in Algeri costituisce l’atto di nascita dell’Ottocento musicale italiano e ci offre il presupposto per
mettere in luce alcune importanti convenzioni drammaturgiche operanti nell’opera italiana, ma anche
alcuni tratti stilistici della scrittura rossiniana.
Il re di Algeri decide di cercarsi una nuova moglie, possibilmente italiana, ripudiando la moglie Elvia e
destinandola al suo schiavo italiano Lindoro, ancora innamorato di Isabella, strappatagli con la forza.
Nel frattempo arriva una nave i cui passeggeri sono catturati dai corsari del re e capeggiati dal capocorsaro
Haly. Sulla nave vi è proprio Isabella, partita alla ricerca di Lindoro, e viene portata dal sultano che ne resta
ammaliato. Nel frattempo Isabella e Taddeo, suo spasimante spacciatosi per suo zio, si imbattono nella
coppia Lindoro-Elvira e nell’imbarazzo la fanciulla pretende dal sultano di tenere presso se il ragazzo come
suo schiavo e che Elvira resti presso il sultano. Chiarite le peripezie Isabella decide di liberare i suoi
compatrioti prendendosi gioco del sultano grazie ad una festa dove a costui sarebbe stato conferito il titolo
di “pappataci”; durante la cerimonia il sultano deve dar prova di saper vincere, tacendo, ogni impulso che
non sia verso il cibo o il sonno. Nel frattempo Isabella fugge con Lindoro e gli altri italiani, mentre il sultano,
accortosi tardi dell’inganno, riprende Elvira con se.
I personaggi principali sono quattro: i due amanti, soprano e tenore, e i due spasimanti della fanciulla, due
bassi; mentre i personaggi secondari, a parte i recitativi, prendono parte solo ai pezzi d’insieme.
I personaggi principali si presentano ciascuno con la famosa cavatina, un’aria cantata appena entrano in
scena.

 Le tipologie dell’aria bipartita

Il modello formale di maggior successo nell’opera italiana è quello dell’aria bipartita: erano un canale
necessario per consentire la comunicazione tra palcoscenico e platea. Il pubblico si aspettava che il
materiale musicale si organizzasse secondo moduli già noti e gli autori giocavano con tali attese nella
cavatina “Languir per una bella” con cui Lindoro si presenta nella terza scena, lo schema base lento-veloce è
conservato, mentre il cantabile e la cabaletta sono entrambi nella medesima tonalità, mi bemolle magg.

 Il finale I

Il culmine degli spettacoli operistici nei primi decenni dell’Ottocento era costituito dal finale interno, ossia il
finale I, il momento in cui la vicenda si ingarbuglia maggiormente. Musicalmente corrisponde ad un
concertato in cui molti o tutti i personaggi si ritrovano sul palcoscenico assieme al coro.
Viene diviso in tre parti:
- Allegro: basato su uno o più temi;
- Largo: il tempo lento in cui i personaggi si ritrovano a non capire più il senso della situazione:
- Stretta: ammutolimento della fase precedente seguito da una vorticosa agitazione.
Capitolo secondo
La prima generazione romantica: Weber e Schubert

Weber e l’opera romantica tedesca

i musicologi non sono concordi su quale sia l’opera a cui attribuire la qualifica di “prima opera romantica
tedesca”, poiché la palma potrebbe spettare sia all’Undine, opera magica in tre atti di Hoffmann, sia al
Faust di Louis Spohr.
Ciò su cui tutti gli studiosi convengono è che l’opera che fu salutata come prima opera romantica tedesca fu
Il franco cacciatore di Carl Weber, con libretto scritto da Johann Kind e la trama proveniente da un’antica
leggenda tedesca: il cacciatore Max, per ottenere il posto di guardiacaccia del principe e la mano della sua
innamorata, deve superare una prova di tiro con l’arco; così si lascia convincere dal cacciatore Caspar ad
usare pallottole magiche, ma per un increscioso incidente colpisce l’uomo anziché una colomba bianca, per
poi rivelare tutto e ottenere il perdono dal principe.
Formalmente l’opera è un Singspiel in tre atti: in lingua tedesca, è costituito da dialoghi recitati inframezzati
da pezzi chiusi musicali e attinge soprattutto all’opera comica francese, di cui Weber aveva avuto ampia
esperienza come direttore di teatro a Praga e Dresda; non mancano neppure gli influssi dell’opera italiana
poiché all’interno del secondo atto alla protagonista femminile è riservata una vera e propria scena ed aria
in stile italiano, con recitativo accompagnato.
Weber seppe perciò unificare questi elementi conferendo all’insieme un colore davvero tedesco e
romantico, non solo per i canti e le danze popolari o per la vivida presenza della natura, ma anche per
ragioni musicali e drammaturgiche poiché Il franco cacciatore era un Singspiel a numeri staccati e per
saldarlo in una struttura unitaria utilizzò dei motivi ricorrenti associando le tonalità maggiori ai personaggi
positivi e quelle minori ai personaggi demoniaciai piani armonici corrisponde la forma classica,
equilibrata, mentre la forma complessiva è decisamente romantica, squilibrata, dove la tensione monta
sempre più e la fine cala troncando un’ascesa giunta al suo punto culminante.
Dato il successo de Il franco cacciatore, Weber decise di scrivere una grande opera eroico-romantica,
l’Euryanthe, rappresentata a Vienna nel 1823 su commissione di Domenico Barbaja; l’ambizioso progetto di
allargare il materiale del Singspiel e dell’opera comica in una grande opera interamente musicata e senza
dialoghi fallì miseramente per la frammentarietà del libretto. Stesso discorso per Oberon, rappresentata a
Londra nel 1826 che, nonostante la tipologia del Singspiel e l’ampio successo, purtroppo non raggiunse la
fama della sua prima opera.

L’attivismo culturale dei Romantici

Il musicista romantico si sentiva di dover essere attivo su molti fronti, di agire sulla realtà propiziando
l’avvento di un’epoca più poetica e meno materialistalotta contro i filistei, ovvero aristocratici e borghesi
legati alla loro mediocrità, al vecchio mondo.
Weber non si esprimeva soltanto componendo musica, ma la eseguiva in prima persona come strumentista
virtuoso e direttore d’orchestra poiché si sentiva impegnato come diffusore della nuova musica, tanto
quella sua quanto quella degli altri compositori romantici.
L’attivismo del musicista romantico si esplicava anche in qualità di organizzatore: direttore artistico di teatri
o istituzioni, fondatore di una lega artistica per scongiurare l’isolamento sociale in cui il musicista rischiava
di essere respinto dalla società borghese.

Schubert e Vienna

L’appartenenza di Schubert alla corrente romantica è stata ampiamente discussa: egli trascorse la sua vita
nella propria città natale, Vienna. Ma vivere a Vienna nei primi anni dell’Ottocento voleva dire essere
sovrastati dall’ombra di Beethoven e di Rossini sul versante teatrale; Schubert, infatti, visse troppo poco per
poter competere con costoro e l’unico spazio che riuscì a ritagliarsi fu quello dovuto a serate musicali con
gli amici.
Inizialmente studiò nel Regio-Imperial Convitto cantando come voce bianca nella cappella diretta da
Antonio Salieri, col quale poté studiare composizione per circa quattro anni; a 21 anni lasciò la famiglia e
l’impiego come maestro nella scuola diretta dal padre trovandosi così a lottare contro molte ristrettezze
dato che i proventi derivatigli dalla musica erano insufficienti.
In campo teatrale Schubert tentò la produzione di Singspiele e opere, ma la maggior parte di esse furono
rifiutate dalle direzioni dei teatri e il viennese ottenne solo qualche rappresentazione del Singspiel in un
atto I gemelli, della commedia musicale in tre atti L’arpa magica e delle musiche di scena per Rosamunde,
un dramma.
Le critiche che gli venivano rivolte più frequentemente erano quelle di scrivere in modo troppo complicato,
troppo difficile tecnicamente, di usare modulazioni troppo audaci e un accompagnamento troppo pesante,
oltre allo scrivere per il teatro senza averne una sufficiente esperienza.

La svolta

Nel 1825 la reputazione di Schubert avviò la sua vera ascesa: alcune sue musiche vocali furono eseguite sia
dalla Società degli Amici della musica quanto al Conservatorio di Vienna; nel 1827 fu ammesso come socio
della Gesellschaft e l’anno seguente riuscì ad organizzare un concerto dedicato alla sua musica.
Nel vastissimo catalogo dei Lieder schubertiani si segnala il ciclo Il viaggio d’inverno che mette in musica le
poesie di Wilhelm Muller; tra le composizioni per pianoforte vi sono le sonate in do minore, la maggiore e
si bemolle maggiore, le raccolte di pezzi caratteristi dal titolo Momenti musicali e Improvvisi, varie
composizioni per pianoforte a quattro mani tra cui la Fantasia in fa minore e l’Allegro in la minore.
Oltre alla musica sacra, danze per pianoforte e altre composizioni, vanno segnalate le sinfonie: dopo le sei
sinfonie giovanili non riuscì a completare i suoi brani, anche se uno di essi può essere annoverato tra i suoi
massimi capolavori, l’Incompiuta in si minore, di cui furono scritti solo due movimenti.
Nel 1824 i due quartetti in sol maggiore e uno in la maggiore, assieme ad un ottetto, furono intesi da
Schubert come studi preparatori per incamminarsi lungo la strada della sinfonia: dal 1825 al 1828 lavorò
alla stesura della sua ultima sinfonia in do maggiore, definita La grande.

Gli elementi classici in Schubert

Nelle sue composizioni Schubert non rinnegava il concetto di Classicismo, ovvero il progetto di costruire
grandi forme basate sull’elaborazione motivico-tematica; anzi, egli sfruttò il principio haydniano di
presentare all’inizio di ogni composizione un materiale musicale ricco di possibilità latentile musiche di
Schubert erano intessute di affinità nascoste, di richiami tematici appena ombreggiati e relazioni
impercepibili, tuttavia egli vi inserisci i tratti tipici della musica romantica:
- Tendenza verso un tono lirico-contemplativo che privilegia la plasticità melodica dei temi sulla loro
funzione di propulsori della forma;
- Dal punto di vista dell’armonia usa cromatismi ed enarmonia;
- Dal punto di vista della forma il compositore è libero di scegliere il punto di climax, collocandolo alla
fine della composizione e generando una forma sbilanciata;
- Dal punto di vista del ritmo esso si fa uniforme e genera un progressivo accumulo di tensione;
- Dal punto di vista del rapporto tra le parti, va ad affievolirsi l’equilibrio dello stile spezzato in favore
della polarizzazione tra melodia e accompagnamento;
- Dal punto di vista della fraseologia, essa va facendosi sempre più regolare e simmetrica.

APPROFONDIMENTO

 La preistoria del Lied

Il Lied era originariamente una semplice melodia vocale di carattere popolare in forma strofica. A questa
varietà se ne aggiunse quella sacra e quella cortigiana. Parallelamente il Lied andò arricchendosi poiché
nell’originaria melodia si affiancarono due o tre voci.
A partire dal Cinquecento questo genere si evolse seguendo le tappe della musica colta: l’assetto sonoro
venne assimilato a quello di generi come villanella, canzonetta o balletto, finché dal primo quarto del
Seicento prese piede l’uso del basso continuo che prima si integrò, poi sostituì il tessuto polifonico aggiunto
alla voce principaletesto e melodia erano opera dello stesso autore, successivamente si diversificarono.

 Il Lied nel secondo Settecento

La semplicità popolareggiante continuò ad essere il tratto qualificante della letteratura liederistica; tale
semplicità non era in linea con gli ideali estetici barocchi e pertanto si preferivano le arie al lied.
Attorno al 1770 vi fu la fioritura della scuola liederistica berlinese e i compositori che vi appartennero si
segnalarono per l’attenzione riservata alla scelta dei testi.
A Vienna il Lied si trovò a convivere con l’opera e con la musica strumentale, e ciò ne favorì la diffusione in
una nicchia più riservata.
Anche i tre grandi compositori classici si accostarono alla liederistica: quelli di Haydn sembravano avere
come ascendente il pezzo pianistico e lo stile di sonata; Mozart diede il meglio di sé anche dove il testo
presupponeva allusioni a gestualità drammatica; e infine in Beethoven, dove troviamo i caratteri principali
sposati alla tecnica pianistica viennese.

 Il tipo ideale del Lied

Per quanto riguarda il testo, la struttura è tipicamente strofica: la tematica è quella soggettiva della poesia
lirica; aleggia il presentimento di un’incombente sciagura o la percezione di un’intima sofferenza.
I caratteri musicali sono mirati alla comprensibilità del testo: accompagnamento discreto; coincidenza tra
verso e frase musicale, melodia sillabica o semisillabica.
Questi tratti corrispondono al “tipo ideale” del Lied configurato tra la fine del Settecento e l’inizio del secolo
seguente.

 Il ciclo di liriche e Il viaggio invernale

I primi romanzi dei maggiori scrittori romantici si presentarono incastonati di strofe liriche inserite nella
narrazione; nel secondo decennio dell’Ottocento queste poesie si resero autonome dal contesto in prosa,
ma ne assorbirono la dimensione del racconto. In conseguenza di ciò in Germania iniziarono a pubblicare
alcuni cicli di liriche, i cui singoli componimenti erano autonomi e contemporaneamente legati
reciprocamente.
Tra i primi esempi di questo genere si annovera la raccolta Il viaggio invernale del 1824 del poeta Wilhelm
Mullerin questo ciclo l’elemento narrativo è ridotto al minimo e l’evento chiave è già avvenuto; l’io
narrante, di cui ignoriamo il nome, è innamorato e corrisposto da una fanciulla che lo ospita in casa, ma
successivamente lei preferisce un altro pretendente più ricco. Il ciclo è incentrato sulle riflessioni ispirate al
viandante da personaggi naturali o particolari situazioni.
Il ciclo di Lieder si presenta diviso in due parti e a ciascuna di queste viene affidato un versante della
vicenda psicologica che coinvolge il viandante: nella prima si racconta il suo struggimento amoroso; nella
seconda il suo disagio si trasferisce su un piano più generale ed esistenziale.
Il tiglio
La dimensione della memoria, o meglio, dell’accostamento di diversi piani temporali è alla base del celebre
Lied, Il tiglio, che nell’opera occupa il quinto postostrutturato in sei strofe che si distribuiscono nel tempo
in tre diversi momenti, il Lied presenta un’introduzione pianistica in otto misure e vi si possono distinguere
due elementi: un suono di corni e l’evocazione del mormorio delle foglie del tiglio. Gli squilli di corno erano
un elemento abbastanza comune nella musica dell’epoca e sono associati ad un effetto d’eco che funge da
“metafora sonora” della lontananza e dell’assenza; ma la lontananza viene espressa anche dal fruscio delle
foglie che richiamano la primavera.
Nel passaggio alla terza strofa corrisponde una metamorfosi da modo maggiore a minore sulla stessa
melodia che rappresenta uno dei tratti stilistici tipici di Schubert; nella quarta strofa si torna al modo
maggiore; la quinta strofa, invece, è incentrata su una melodia divisa dalle altre ed è l’unica a non essere
preceduta dall’interludio strumentale, inoltre è saldata a quella precedente sia armonicamente che per
l’assenza dell’interludio pianistico.
La forma di questo Lied è tripartita e nella sezione centrale prevale il modo minore, dove si cerca di far
conciliare la forma esterna del testo con la sua forma interna del contenuto poetico.
L’uomo dell’organetto
Ultimo Lied dell’opera, è una composizione a dir poco enigmatica in cui tutto nella musica è privo di vita,
meccanico, irrigidito da un gelo funebre. L’introduzione pianistica ci sovrappone una smorta cantilena su
una formula ritmica di due misure e il ritmo della linea di canto è ancora più uniformel’armonia prevede
un’alternanza tra accordi di tonica e di dominante, mentre la melodia e l’accompagnamento sembrano
ignorarsi a vicenda. Solo verso la fine sembra stabilirsi un rapporto tra la parte pianistica e quella vocale:
l’una imita l’altra, mentre nell’ultima strofa il canto e l’accompagnamento si sovrappongono.
Il Lied rappresenta l’espressione prediletta del nascente spirito romantico perché Schubert seppe
valorizzare il retaggio della musica popolare mediandolo con alcuni elementi tipici del nuovo movimento:
l’attenzione per l’elemento paesaggistico.

 La sinfonia n.9

Schubert compose la sua nona sinfonia nell'estate del 1825 e la portò all'orchestra della  Gesellschaft der
Musikfreunde perché fosse eseguita. L'orchestra però rifiutò l'incarico, trovandola troppo difficile.
L'autore a questo punto accantonò la partitura, che fu ritrovata nel 1838 da Schumann in una montagna di
manoscritti accatastati in casa del fratello del compositore.
La prima esecuzione, un evento memorabile nella storia della musica, avvenne a Lipsia, nel 1839,
con Mendelssohn alla direzione della Gewandhaus.
La sinfonia si compone di quattro movimenti:
I - Andante. Allegretto ma non troppo
II - Andante con moto
III - Scherzo. Allegro vivace
IV - Allegro vivace

Capitolo terzo
Tre compositori romantici: Mendelssohn, Schumann e Chopin

Mendelssohn, o la facilità

Nonostante Mendelssohn sia nato un anno prima rispetto a Schumann e Chopin, questi viene considerate
più anziano di costoro poiché quando erano ancora giovanotti sconosciuti, Mendelssohn aveva già scritto
un centinaio di composizioni, tra cui opere e sinfonie.
Nacque il 3 febbraio del 1809 ad Amburgo e trascorse la sua giovinezza a Berlino dove ricevette
l’educazione più elevata e completa, abbracciando sia gli studi umanistici che le arti figurative e musicali:
oltre al pianoforte e al violino studiò composizione fin dall’età di 10 anni. La casa dei Mendelssohn era il
salotto più importante di Berlino, dove si tenevano concerti ogni domenica, letture poetiche e
rappresentazioni teatrali.
Per completare la sua formazione musicale, Mendelssohn compì numerosi viaggi tra i quali quello in
Svizzera, in Francia, in Inghilterra, in Scozia e in Italia.
Educato sulla musica di Bach e dei classici viennesi, si cimentò in qualsiasi genere musicale con
stupefacente naturalezza: sonate, pezzi per pianoforte, fughette per organo, Lieder vocali o cori, Singspiel e
sinfonie per archi.
Verso i sedici anni acquisì un proprio stile indipendente e maturo, con l’Ottetto per archi op.20 e l’ouverture
per orchestra op.21.
Anche lui era uno strumentista virtuoso al pianoforte e all’organo, oltre ad essere un direttore d’orchestra
tra i più famose dell’epoca. Nella scelta dei suoi programmi si pose sempre finalità pedagogiche di
diffusione della nuova musica e di quella antica, rendendo così la città di Lipsia uno dei più propulsivi centri
musicali d’Europa.
A fianco della musica contemporanea e a quella dei classici viennesi, tra il 1834 e il 1838 inaugurò la pratica
dei “concerti storici”, ovvero la storia della musica in concerto con un repertorio che spaziava da Bach ai
suoi contemporaneinel 1829 vi fu l’esecuzione della Passione secondo Matteo di Bach, in una versione
rimodernata per renderla più accetta al pubblico ottocentesco.
L’assidua riproposizione degli oratori handeliani lo stimolò a comporne alcuni: Paulus, Elias, Christus.
Come direttore artistico fu impegnato tanto a Düsseldorf quanto a Lipsia, ma nel 1841 fu chiamato a
Berlino dal nuovo re di Prussia che aveva ambizioni progetti di riforme musicali: allestì delle tragedie greche
e drammi shakespeariani con musiche di scena scritte appositamenteMendelssohn compose quelle per
Antigone, Edipo a Colono, Sogno di una notte di mezza estate.

Il Conservatorio di Lipsia

Mendelssohn fu il fondatore e direttore del Conservatorio inaugurato nel 1843 e vi chiamò insegnanti di
altissimo livello come i coniugi Schumann, il danese Niels Gade e molti altri.
Nonostante l’atteggiamento mentale di stampo romantico, la sua formazione compositiva fa pensare
tutt’altro: basata principalmente sulle opere di Bach, Handel, Mozart e Beethoven e coagulata in una
scrittura classicamente limpida e netta, aliena dalle torbidezze armoniche, in molti lo hanno definito un
neoclassico, oppure un romantico classicheggiante.

Schumann, o la duplicità

La caratteristica di Schumann era appunto la duplicità tipica del romanticismo: egli sentiva di essere scisso
in una doppia natura, simboleggiata con i personaggi Florestano ed Eusebio.
La sua duplicità più profonda regnava nel suo animo: da una parte la prosaica mentalità borghese
desiderosa di affermazione economica e sociale, dall’altra parte una poetica esigenza di dedicarsi all’arte
anima e corpo.
Verso i vent’anni le sue ambizioni musicali prevalsero su quelle letterarie ed abbandonò l’università per
tornare a Lipsia; purtroppo a Schumann non bastava essere un brillante pianista, perché egli voleva fare il
compositore ma le sue basi tecniche di cui disponeva erano insufficienti dato che era un autodidatta.
Nel 1831 iniziò a prendere lezioni di composizione da Heinrich Dorn, ma per tutta la vita mantenne costante
tensione di apprendimento studiando solo le opere di Bach e il trattato sulla figura di Cherubini.

Attivismo culturale di Schumann

Tra il 1832 e il 1835 pose le basi per il suo attivismo culturale troncando la carriera di strumentista virtuoso
per dedicarsi esclusivamente alla composizione, prodigandosi come diffusore della nuova musica in qualità
di critico musicale.
Iniziò con la recensione delle Variazioni su “La ci darem la mano” op.2 dello sconosciuto Chopin; nel 1834
fece uscire il primo numero di una rivista da lui stesso fondata, Nuova rivista musicaledalle due colonne
di questo periodico avviò una battaglia culturale con triplice scopo: ricordare l’epoca antica e le sue opere,
lottare contro il più recente passato in quanto epoca antiartistica e, infine, preparare una nuova età poetica
e contribuire ad affrettarne l’avvento. A questo scopo egli radunò tutti i compositori che riteneva poetici e
romantici, fiutando numerosi talenti come Chopin, Mendelsson, Brahms..
Parallelamente, intorno al 1833, fondò la Lega dei seguaci di David: tutto nacque dai nomignoli con cui
battezzava i frequentatori della casa a Lipsia. I personaggi principali erano tre: Florestano, il beethoveniano
impulsivo e ardente; Eusebio, il sognatore riflessivo e dolce, e infine Maestro Raro, la saggezza e la
maturità.
Odio e amore

Nel 1833 si innamorò della figlia del suo maestro, Clara Wieck, quattordicenne e promettente pianista che
in pochi anni divenne uno dei maggiori concertisti di fama internazionale.
Nel 1835 i due si fidanzarono segretamente, poiché il padre di lei non approvava, e cinque anni più tardi si
sposarono nonostante le battaglie legali con Wieck.
Il rapporto con Clara mette a nudo un’altra duplicità nella vita di Schumann: contemporaneamente
all’intenso coinvolgimento sentimentale, egli era professionalmente molto geloso di lei, provando un
astioso complesso di inferiorità nei suoi confronti.
Nel 1850 gli fu conferita la carica di direttore musicale a Düsseldorf, ma le critiche si attirò furono così aspre
che tre anni dopo dette le dimissioni.
Dopo un primo periodo oscuro della sua vita, causato da una malattia psichica, egli tentò il suicidio
gettandosi nel Reno; ripescato e ricoverato in una clinica psichiatrica privata, morì due anni dopo.

Chopin, o la barbaricità

Nato in Polonia nel 1810 da padre francese e madre polacca, di buona cultura e modesta estrazione sociale,
che avviò il figlio allo studio del pianoforte.
Chopin compì gli studi al liceo di Varsavia studiando privatamente musica e composizione; terminato il liceo
si iscrisse al Conservatorio di Varsavia conseguendo il diploma nel 1829.
La sua prima uscita dalla Polonia come concertista fu nel 1829 a Vienna dove, tramite il suo ex maestro di
organo, ottenne la possibilità di suonare due volte, gratuitamente, nel teatro dove lavorava il maestro e vi
eseguì le proprie Variazioni su “La ci darem la mano” op.2 assieme al rondò Krakowiak op.14, entrambi per
pianoforte ed orchestra.
Tornato a Varsavia, in vista di una tournée europea, compose i due Concerti per pianoforte ed orchestra in
fa minore op.21 e in mi minore op.11, Andante spianato e Grande polacca brillante per pianoforte ed
orchestra.
Il suo secondo soggiorno a Vienna fu una vera delusione poiché in otto mesi riuscì soltanto a partecipare,
gratuitamente, a due concerti; nel 1831 si avviò verso Monaco, deciso a recarsi a Londra via Parigi, ma
lungo la strada apprese che Varsavia era nuovamente caduta nelle mani dei russi, così Parigi divenne la sua
seconda patria.

Parigi, seconda patria

La capitale francese era una delle più importanti città europee e lì Chopin ebbe la possibilità di conoscere
sia i francesi di nascita o di adozione come Rossini, Liszt, Mendelssohn, ma anche fuoriusciti polacchi e
artisti come Balzac e Delacroix.
Inizialmente scartato, nel 1832 riuscì a ritagliarsi uno spazio nell’alta società parigina che se lo contendeva
per farlo suonare nei propri salotti o per insegnare pianoforte ai propri figlirari i concerti in pubblico.
Nel febbraio del 1848 si esibì un’ultima volta nella Salle Pleyel, ottenendo uno strepitoso successo. Pochi
giorni dopo partì per l’Inghilterra e la Scozia dove effettuò numerosi concerti; rientrato a Parigi trascorse il
suo anno di vita, a causa della sua malattia polmonare, in condizioni difficili poiché la rivoluzione avvenutavi
sconquassò il mondo aristocratico e la sua stessa salute si era così aggravata, tanto da rendergli impossibile
un’attività lavorativa di qualche impegno. Negli ultimi anni scrisse soltanto un valzer, oggi perduto, e due
mazurche.

Fondamentale estraneità di Chopin al mondo classico-romantico

Chopin veniva percepito come proveniente da un mondo estraneo alla civiltà dell’antica Europa; questo
non va addebitato solo al legame di Chopin con la sua patria, manifesto nell’adozione della sfera artistica di
danze o canti autoctoni, ma dalla sua formazione che scavalca il Classicismo viennese riallacciandosi al
mondo settecentesco.
Era contrario all’ideologia per cui il compositore deve innalzare grandi architetture formali dalla logica
razionale, poiché respirava ancora lo stile galante e sensibile, l’arte del porgere che fa dell’ornamento la
sostanza espressiva della musica, un’arte che pone al centro dell’attenzione la capacità espressiva e
parlante dell’interprete piuttosto che il compositoreforse per questo motivo riuscì ad inserirsi nei salotti
dell’aristocrazia.
Chopin compose: 4 ballate, 4 improvvisi, 59 mazurche, 21 notturni, 26 preludi, 4 rondò, 4 scherzi, 20 valzer
e tre sonate; si trattava, dunque, di qualcosa di gradito negli ambienti da lui frequentati.
Quando si dedicò alla forma-sonata, non la lesse attraverso lenti beethoveniane come i suoi
contemporanei, bensì sul modello della sonata haydniana o preclassica.

APPROFONDIMENTO

Nel corso degli anni Schumann si volse ai grandi generi strumentali della tradizione, la sinfonia e la sonata;
ma quando tornò ad occuparsi delle collane di miniature plastiche, mutò l’esigenza di stabilire un fattore
musicale che unificasse i pezzi appartenenti a ciascun ciclo. Fu così che questa esigenza trovò realizzazione
in alcune composizioni pianistiche degli anni Trenta, il Carnaval op.9.

Capitolo quarto
Berlioz e Liszt

Gli stimoli extramusicali nel Romanticismo francese

Il problema del rapporto contraddittorio tra musica e stimoli extramusicali nel periodo romantico fu
avvertito in Francia, terra propizia per la nascita della musica strumentale autonoma. Il Romanticismo
francese si differenziò da quello tedesco: quest’ultimo attribuiva il primato estetico alla musica, soprattutto
strumentale, mentre per i compositori francesi la parola musica rimaneva coniugata con la parola teatro,
così la musica operistica era considerata superiore rispetto a quella strumentale.

Berlioz, o la musica teatralizzata

Nato il primo dicembre del 1803 vicino Lione, ebbe una formazione letteraria: la musica gli fu insegnata
solo a livello dilettantistico, ma prese comunque delle lezioni private a 19 anni da Lesueur.
Il contatto con Lesueur gli instillò uno stimolo particolare: questi sosteneva l’ida di attribuire un
determinato soggetto alla musica, esplicandolo attraverso la redazione di un programma. Egli, fin dal 1786,
in occasione dell’esecuzione delle sue messe a Notre Dame, forniva agli ascoltatori un programma scritto
poiché prendeva a soggetto della sua musica qualche episodio tratto dalla Bibbia.

La Sinfonia Fantastica

Nel dicembre del 1830 fu eseguita la celebre composizione di Berlioz, che successivamente ebbe grande
influenza sui compositori contemporanei, la Sinfonia Fantastica, ovvero una sinfonia per orchestra il cui
ascolto andava integrato con la lettura di un programma scritto dal compositore stesso, poiché i movimenti
sono collegati ad una trama narrativa: gli incubi di un uomo sotto l’effetto della droga.
Il desiderio di sospingere la sinfonia verso il teatro si inserisce in una teatralizzazione di fondo dello stesso
Berlioz: egli era stato abituato a percepire il mondo reale attraverso un filtro teatrale, vivendo la sua vita
come se stesse recitando un copioneinfluenza delle opere di Shakespeare.
Quindi, l’io agente in questa sinfonia adombra l’autore stesso e il tema musicale che ricorre è il pensiero
musicale che nella mente del protagonista si associa all’immagine della donna amata.
Successivamente Berlioz si distaccò da questa istanza narrativa, però il programma doveva essere
distribuito nel caso di un’esecuzione congiunta della Sinfonia Fantastica con la prosecuzione in stile
melologo, Il ritorno alla vitaquesto melologo, molto più autobiografico della sinfonia, fu scritto durante il
suo soggiorno in Italia; egli aveva ricevuto nel 1830 il Premio di Roma con la cantata L’ultima notte di
Sardanapalo poiché comportava una permanenza biennale a Roma presso l’Accademia di Francia.
Il fatto che la sinfonia fosse una sinfonia a programma, o un dramma strumentale, porta alla luce un
atteggiamento che il compositore francese condivideva con numerosi musicisti romantici: il desiderio di
abolire la distinzione tra generi musicali e tra le artitra questo nuovo genere troviamo: Aroldo in Italia,
sinfonia in quattro parti con una viola principale; Romeo e Giulietta, sinfonia drammatica per soli, coro e
orchestra; La dannazione di Faust, una leggenda drammatica e impegnativa composizione in musica degli
echi emozionali; la trilogia sacra L’infanzia di Cristo per soli, coro e orchestra e rientra nel genere musicale
dell’oratorio. Infine le opere liriche: Benvenuto Cellini, fallimentare per via del mescolamento dei generi
dell’opera comuna e della grand opera; Beatrice e Benedetto, un opera comica ispirata a Shakespeare; I
troiani, grand opera ispirata a Virgilio.
L’esecuzione di questa destò scalpore negli ambienti musicali parigini per la presenza di cinque movimenti
anziché quattro e del programmala struttura interna attirò le critiche dei filistei che credettero di
riconoscervi una mancanza di forma; tra i giovani romantici, invece, suscitò entusiasmo.

Difficoltà in patria e successi all’estero

Dopo il viaggio in Italia, Berlioz si divise tra Parigi e le numerose tournée all’estero dal 1842 in poi.
In patria, invece, dovette lottare contro l’indifferenza del pubblico e l’ostilità delle istituzioni, infatti capitò
che i concerti e le pubblicazioni delle sue musiche fosse realizzati a sue spese e il bilancio fu quasi sempre
fallimentare.
A Weimar, invece, Liszt organizzò una settimana dedicata alle sue musichela rarità delle esecuzioni di
musiche berlioziane dipendeva dagli stessi atteggiamenti dell’autore: l’esigenza di dirigere sempre di
persona per evitare fraintendimenti e interventi arbitrari altrui, ma anche la sua concezione della musica
come un evento rituale da realizzare con il coinvolgimento di grandi masse corali e orchestrali.
Sia per il suo carattere, sia per la sua attività di critico musicale si era creato una folta schiera di nemici,
soprattutto nella cerchia delle istituzioni ufficiali.

Liszt, o la musica letterarizzata

Franz Liszt raccolse il messaggio di Berlioz rilanciandolo verso nuove mete.


Benché nato in Ungheria, fu considerato un compositore cosmopolita: iniziò a studiare pianoforte e
composizione, e a soli 11 anni iniziò una carriera concertistica professionale ad alto livello che lo condusse a
primeggiare a Londra, capitale del concertismo pianistico, e a Parigi, centro musicale europeo.
Fu proprio a Parigi che avvenne la sua piena maturazione compositiva: egli scriveva pezzi di bravura per il
proprio strumento, soprattutto fantasie o parafrasi su temi operistici, ma tra il 1830 e il 1831 attraversò due
esperienze musicali significativela prima fu l’ascolto della Sinfonia Fantastica, grazie alla quale capì
l’importanza di inserire elementi extramusicali nella musica sinfonica; la seconda fu l’ascolto di Paganini a
Parigi che gli servì da stimolo per tracciare strade di tecnica pianistica mai percorse da qualcuno.
Liszt sentiva l’esigenza di realizzare in musica quella rivoluzione romantica auspicata da Hugo attraverso
l’uso di un materiale musicale nuovo, rivoluzionario e sperimentale, e ciò poteva basarsi su un intervallo
come il tritono, intervallo formato da tre toni interni.
Il virtuosismo paganiniano gli offrì il modo di inserire queste forze tonalmente disgregatrici all’interno di un
discorso compiuto: la tecnica della variazione virtuosistica gli consentiva di costruire grandi forme musicali
pur utilizzando materiali non suscettibili di sviluppo. Così Liszt superò la barriera del dualismo stilistico
traghettando lo stile rapsodico e parlante dei virtuosi verso una forma chiusa e compiuta in ogni sua parte;
il virtuosismo giunse a trascendere la fisicità del suono, rendendolo un veicolo trasparente per il messaggio
poetico che Liszt voleva proporre: egli sosteneva che si potevano raggiungere le massime vette dell’arte
attraverso la fusione della musica strumentale con la poesia, unendo l’ispirazione letteraria con la musica
strumentale pura, esprimendo in musica quelle azioni interiori che sono oggetto dell’espressione poetica
stessa.
La prima pubblicazione importante di Liszt fu Armonie poetiche e religiose; successivamente compose Anni
di pellegrinaggio per pianofortein questa composizione appare la Fantasia quasi sonata dopo una lettura
di Dante, nella quale sono coagulate tutte le principali caratteristiche della sua musica: ispirazione
letteraria, uso di materiale musicale sperimentale come il tritono, il cromatismo inserito in un tessuto di
virtuosismo; unione tra libertà improvvisata della fantasia e il rigore costruttivo della sonata.

Il poema sinfonico

Nel 1848 Liszt assunse il posto di direttore musicale presso la corte granducale di Weimar, dedicandosi alla
composizione e avviando la stagione del poema sinfonico, dirigendo musiche proprie e dei compositori a lui
contemporanei come Schumann, Wagner, Verdi.
Il poema sinfonico congiunge i due poli da cui trae origine il genere musicale introdotto da Liszt, la poesia e
la musica sinfonica: si tratta quindi di una composizione sinfonica costituita da un unico movimento,
corredato di programma scritto che ne illustra il contenuto poetico. Il primo esperimento fu la
Bergsymphonie ispirata ad un’ode di Hugo.
Il ceppo su cui il genere del poema sinfonico si innestò non era costituito dalla sinfonia, ma dall’ouverture
de concerto, che aveva incorporato l’intenzione descrittiva attraverso la presenza del titolo.
Nel classicismo la forma-sonata era determinata dalla dialettica tra aree tonali contrapposte; in epoca
romantica i compositori e i teorici la intesero come dialettica tra temi di carattere contrastante e quindi
l’aspetto melodico prendeva il sopravvento su quello armonico. A questo modello poteva quindi adattarsi la
Bergsymphonie, anche se la forma-sonata di Liszt implicava l’ambivalenza delle sezioni componenti la
forma, intese sia come parti un movimento che come movimenti di un ciclo.
La Bergsymphonie era articolata in due parti: nella prima è riconoscibile lo schema della forma-sonata; la
seconda è senza soluzione di continuità, ossia senza interruzioni come quelle che intercorrono in una
normale sinfonia tra un movimento e l’altro.
Nella struttura armonica si sovrappongono tre tipi diversi di logica: la tradizionale armonia funzionale
costituita dall’accordo di tonica, il principio armonico simmetrico, che evoca l’emergere dalla voce immensa
di altre voci più distinte, e il principio armonico tematico, ovvero la successione delle tonalità di una
composizione secondo la sequenza degli intervalli presenti in un frammento melodico.

La sonata ciclica

Nel 1852 Liszt si cimentò con una delle sue poche composizioni assolute, la sua unica Sonata in si minore
per pianofortesi colloca tra i suoi massimi capolavori ed è una vera e propria ciclica perché in un unico
movimento sono compressi tutti i movimenti di un’intera sonata tradizionale, con i relativi cambi di
andamento.
Dati i forti dissapori con la corte di Weimar, Liszt rassegnò le dimissioni e si trasferì a Roma, dove accentuò
l’interesse verso la spiritualità religiosa che lo condusse a comporre una gran quantità di musica sacra: La
leggenda di santa Elisabetta per soli, coro e orchestra; Christus; Cantico del sol di S.Francesco d’Assisi per
baritono, coro maschile ed orchestra.
Negli ultimi anni della sua vita il compositore rivelò una straordinaria capacità di superamento dei suoi
stessi confini, producendo pagine sconvolgenti per la loro modernità: non usa abbondantemente solo
tritoni e settime diminuite.
Capitolo quinto
L’opera italiana dell’Ottocento

Teatro, società e cultura

La grande tradizione strumentale italiana del Seicento e Settecento si era affievolita fino a ritrovare spazio
nel mercato musicale ottocentesco; tutto un insieme di circostanze collegate tra loro impedì che in Italia
fiorissero le società per concerti, facendo quindi rimanere lo spettacolo operistico uno dei principali centri
di attrazione sociale e artistica nazionale.
Il teatro manteneva la sua funzione di luogo di ritrovo serale e veicolo di divulgazione culturale per un
pubblico ancora spartito in classi.
La concezione drammaturgica si era differenziata rispetto al secolo passato, infatti lo spettatore
ottocentesco non poneva in primo piano il godimento estetico ma la propria partecipazione emozionale:
egli voleva identificarsi con i personaggi e le loro vicendeil primato del coinvolgimento emotivo
presuppone una buona dose di verosimiglianza nella rappresentazioni; voler stimolare l’emozione
dell’ascoltatore richiede una certa elementarità nei caratteri dei personaggi, esasperando i sentimenti di cui
essi sono portatori e sfumando le infinite sfaccettature di cui è composto ogni vero essere umano.
La musica retrocedeva da fine dello spettacolo a mezzo per realizzare un dramma coinvolgente, ma ciò non
significa il predominio del librettista sul musicista, anzi, il vero drammaturgo del teatro è proprio il
compositore, che assume il ruolo di ultimo di tutti gli aspetti dello spettacolo.

La scomparsa del recitativo secco

La progressiva scomparsa del recitativo secco in favore di quello accompagnato ebbe varie e importanti
conseguenze: prima di tutto vi fu una drastica riduzione del numero di versi da cantare dato che la
declamazione era meno ripida; in secondo luogo mutò la loro qualità metrica, quindi i versi misurati
prevalsero sui versi sciolti; la terza conseguenza riguardava lo stile poetico, infatti anche il testo dei libretti
si adattò al fatto di essere più cantato che recitato, innalzando così lo stile trasformando la discorsività dei
dialoghi in linguaggio aulicosi crea così una lingua dei libretti.

Operisti del primo Ottocento


Gaetano Donizetti e Vincenzo Bellini

Attraverso il suo maestro Johann Simon Mayr, il giovane Donizetti conobbe non solo l’opera francese, ma
anche la musica strumentale del Classicismo viennese; e da essa apprese l’arte di trarre tutte le
conseguenze possibili da un materiale musicale di partenza molto ristretto.
Donizetti ebbe anche la possibilità di studiare a Bologna con il celebre contrappuntista padre Mattie e,
munito di solida formazione, ottenne i migliori successi a Roma e Napoli. In queste città pose le basi per la
sua fama con l’opera buffa L’ajo nell’imbarazzo, la farsa Le convenienze e inconvenienze teatrali, e l’opera
sera Elisabetta al castello di Kenilworth; inoltre produsse opere serie molto significative come Anna Bolena,
Torquato Tasso, Lucrezia Borgia, Lucia e Lammermoor, oltre all’opera comica L’elisir d’amore.
Nel frattempo Bellini, nato a Catania nel 1801, a diciotto anni ottenne una borsa di studio per approfondire
la sua formazione al Conservatorio di Napolila formazione di Bellini era basata sulla ricca tradizione
operistica della scuola napoletana.
La sua prima produzione teatrale fu Adelson e Salvini, con la quale riscosse un grandissimo successo che gli
fruttò la commissione di un’opera seria, Bianca e Fernando; l’anno successivo scrisse un’altra opera seria, Il
Pirata, che lo consacrò tra i massimi operisti viventi. Le sue opere erano talmente retribuite che poteva
concedersi il lusso di scriverne una all’anno, infatti ne scrisse solo dieci: La straniera, Zaira, I Capuleti e i
Montecchi, La sonnambula, Norma, Beatrice di Tenda e l’ultima, I puritani.
Entrambi gli operisti lasciarono l’Italia per Parigi nello stesso periodoil primo a compiere il passo fu
Bellini, dove rappresentò il Pirata e I Capuleti confermando così la sua notorietà e la rappresentazione della
sua ultima opera su libretto del Conte Carlo Pepoli.
Donizetti si trasferì a Parigi tre anni più tardi rispetto a Bellini, dopo avervi già rappresentato Il Marino
Faliero; non avendo più rivali in campo, in poco tempo conquistò il tempio della musica teatrale parigina,
l’Opéra, dove vi vennero rappresentati I martiti e La favorita. Anche Vienna lo consacrò tra i massimi
compositori dell’epoca, ospitando la prima rappresentazione dell’opera semiseria Linda di Chamouix e
dell’opera seria Maria di Rohan, nominandolo così direttore musicale di corte. La sua carriera si arrestò sui
palcoscenici parigini con l’opera buffa in italiano Don Pasquale e il grand opera Dom Sébastien.
Differenze e similarità si rispecchiano anche nella produzione dei due artisti: entrambi dovettero fare i conti
con l’eredità rossiniana e l’influenza del maestro era avvertibile sia dal punto di visto drammaturgico, per i
cambiamenti, sia dal punto di vista tecnico-musicale.

Bellini, musicista italiano

Cercò di crearsi una posizione personale e tentò di rendere meno evidenti i confini fra tali pezzi chiusi; la
grande differenza con lo stile rossiniano risiede nella vocalità: Bellini abolì le colorature, sia scritte che
improvvisate, in favore di un melodizzare più sillabico e spianato dal sapore inconfondibile. La sua linea
melodica cerca di evitare le cadenze armoniche nette, le ripetizioni melodiche, gli accenti ritmici regolari
per snodarsi in un arcata che accumula una struggente tensione sino alla fine.
Per far si che le melodie possano ottenere l’effetto di trascinare in un’intensissima sfera emotiva, devono
stagliarsi su uno sfondo orchestrale quasi neutro.

Donizetti, musicista europeo

Egli si aprì ad una dimensione più sfaccettata ed europea: innanzitutto non condivideva la dedizione
assoluta di Bellini per l’opera seria, infatti buona parte della sua produzione fu dedicata all’opera buffa,
della quale fu l’ultimo grande esponente. Va sottolineato che Donizetti fu il primo ad avviare una
mescolanza tra i due generi, inserendo elementi comici nelle opere serie e instillando una vena patetica
anche nelle opere buffe.
Nei rapporti tra opera italiana e francese si comportò nello stesso modo poiché praticò tanto l’una quanto
l’altra, cimentandosi anche con il contaminare le due tradizioni all’interno della stessa opera.

Giuseppe Verdi

Nato nel 1813 da una modesta famiglia, ricevette la paterna protezione da un commerciante e dilettante di
musica, Antonio Barezzi, ricevendo anche un’ottima educazione musicale da Ferdinando Provesi, organista
parrocchiale e direttore della scuola locale di musica.
Compiuti i diciotto anni proseguì i suoi studi a Milano come allievo privato di Vincenzo Lavigna, ma l’avvio
della sua carriera professionale coincise con anni molto duri: nonostante il successo della sua prima opera
Oberto, conte di San Bonifacio e dell’opera buffa Un giorno di regno, Verdi cadde in miseria e depressione,
anche per la perdita della moglie e dei figli. Scoraggiato, decise così di abbandonare l’attività di
compositore, ma l’impresario della Scala, Bartolomeo Merelli, lo convinse delle sue doti, così compose il
Nabucco, che sancì un grandissimo trionfo sia per il suo valore artistico che per il messaggio di ottimismo
politico: i dolori sofferti da un popolo oppresso troveranno il loro riscatto nella libertà che sta per giungere.
Si aprirono i famosi “anni di galera”, durante i quali dedicò anima e corpo alla composizione: I longobardi
alla prima crociata, Ernani, I due Foscari, Macbeth.
Le opere di Verdi composte fino al 1848 erano incentrate su un fervoroso ottimismo: anche se il
protagonista soccombe al potere, rimarrà comunque un trionfatore per la propria carica di energia
interioreVerdi costruisce la sua drammaturgia puntando sul perfetto incastro di una storia che deve
proseguire a grande energia sino alla fine e i personaggi e la musica sono nitidi, senza aloni di mistero.
La sua musica forniva un’impressione di slancio: l’arcata melodica parte con estrema vitalità e con un
andamento a frecciate successive, sostenuto da un supporto armonico semplice e chiaro, senza ambiguità
cromatiche; il ritmo è impetuoso e travolgente; gli stili teatrali di cui subisce l’influenza sono il melodramma
italiano dell’epoca, il grand opera, e il teatro parlato francese contemporaneo.
Il 1848 comportò grandi mutamenti sia nel mercato operistico, sia nella vita e drammaturgia di Verdi: gli
interventi della censura si inasprirono ovunque e la crisi economica di quegli anni fece sorgere la figura
dominante dell’editorequesti commissionava le opere ai compositori, noleggiandone poi le partiture ai
teatri.
Dopo Luisa Miller e Stiffelio, la celebre trilogia dei capolavori che non hanno più abbandonato i teatri di
tutto il mondo: Rigoletto, Il trovatore e La traviata. Nel 1855 scrisse un nuovo grand opera, I vespri siciliani
per l’Opéra di Parigi, al quale seguirono Simon Boccanegra e Un ballo in maschera. Per circa vent’anni
abbiamo solo tre opere: La forza del destino, Don Carlo e Aida.
Dopo la morte di Rossini cercò di organizzare una Messa da requiem in suo onore coinvolgendo altri dodici
compositori italiani, ma questa non ebbe mai luogo; successivamente completò la messa che venne poi
eseguita a Milano in memoria di Alessandro Manzoni.
Dal 1878 al 1887 Verdi lavorò alla composizione della sua penultima opera, ovvero il dramma lirico Otello,
che il suo nuovo librettista aveva tratto dall’omonima tragedia di Shakespeare; l’ultima pubblicazione fu
quella di Quattro pezzi sacri, ovvero Ave Maria per coro, Laudi alla Vergine Maria, Te Deum, Stabat mater.
Negli anni ’50 Verdi fece delle forme musicali un uso sempre meno dipendente dalla tradizione e sempre
più pertinente alla situazione drammatica: si considerava un uomo di teatro più che un semplice
compositore e l’importante era costruire un vero dramma che coinvolgesse lo spettatore dall’inizio alla fine.
Verdi si accostava alle tendenze più moderne, ma non aveva intenzione di abolire le forme chiuse; egli
voleva introdurre movimento nelle forme, evitandone l’applicazione meccanica, la struttura statica e
quadratal’aria rinuncia all’alternanza tra cantabile e cabaletta e tende a saldarsi alla scena iniziale; si
dilatano le parti più libere dell’aria affinché il tempo d’attacco e di mezzo possano rappresentare il culmine
emotivo di tutto l’episodio.
Con Otello e Falstaff, Verdi raggiunse la vicinanza del dramma parlato, ma non vennero aboliti i confini tra
parti dialogico-drammatiche e parti liriche, ma vennero comunque capovolti i loro rapporti: prima il dialogo
era un trampolino di lancio per lo sfogo emozionale del pezzo lirico, adesso è la parte più coinvolgente e
vibrante.

Capitolo sesto
Richard Wagner e il dramma musicale

Richard Wagner nacque a Lipsia nel 1813. Appassionato di letteratura, si cimentò nella stesura di una
tragedia all’età di quindici anni. Dall’età di vent’anni iniziò a lavorare in provincia allestendo moltissime
opere come maestro di coro, e successivamente come direttore musicale di vari teatri: ebbe modo di
praticare la produzione operistica di autori di area tedesca come Weber o Mozart, francese come Cherubini
e italiana come Rossini e Bellini. Per la sua situazione economica piuttosto precaria e per alcuni debiti
decise di fuggire a Parigi insieme alla moglie dove, nel 1840, portò a compimento la sua prima opera
importante: Rienzi che, redatto in lingua tedesca, può essere assimilato ad un grand opera di soggetto
storicoopera che destò interesse in Meyerbeer, fu rappresentata nel 1842 al teatro della corte di
Sassonia a Dresda e l’anno seguente Wagner fu nominato direttore di teatro di tale corte.
Successivamente comparirono L’olandese volante e Tannhauser; per Lohengrin si dovettero aspettare due
anni prima di rappresentarla a Weimar con la direzione di Liszt. Nel frattempo fuggì a Zurigo con l’aiuto di
Liszt per il mandato di arresto ottenuto a Dresda.

Le opere romantiche

Le sue tre grandi opere romantiche presentano caratteristiche molto personali: per quanto riguardava il
testo, Wagner scrisse sempre da solo le sue produzioni teatrali, rifiutando soggetti storici in favore di
argomenti tratti da antiche leggende. Solamente l’amore spinto fino al sacrificio può redimere l’uomo dal
malel’associazione romantica tra amore e morte si allarga ad una visione più esistenziale, che abbraccia il
destino stesso dell’uomo.
L’olandese volante: un olandese maledice Dio durante una tempesta, e viene quindi condannato a navigare
per i mari fino al giorno del giudizio. La sua unica speranza di salvezza è trovare una donna che gli sia fedele
fino alla morte; la troverà in Senta che, innamorata di lui, si immolerà gettandosi in mare, mente il vascello
fantasma sprofonderà tra le onde del mare e il suo capitano troverà la pace con la morte.
Tannhauser: il protagonista prova un amore sensuale per Venere, che esalta in una tenzone poetico-canora
contro i valori dell’amore spirituale. Nonostante il pellegrinaggio a Roma, il protagonista non riceve
l’assoluzione; ma alla morte della sua antica fidanzata, egli conquista il perdono e la morte in pace con Dio.
Lohengrin: Elsa non può ricevere il perdono dal suo sposo e salvatore perché non riesce ad essere fedele ad
un divieto da lui impostole: non avrebbe mai dovuto chiedergli il nome. Il suo sposo le rivela la sua identità
di cavaliere del sacro Graal, ed è costretto ad abbandonarla per sempre.
Questi testi vengono interamente musicati, a differenza dei dialoghi parlati de Il franco cacciatore di Weber,
e la struttura generale è stata definita opera a scene, dove l’unità minima fondamentale è la scena, intesa
come un blocco ampio e articolato in pezzi non chiusi ma collegati tra loroper agevolare la continuità
musicale usa i motivi di reminiscenza.
Lo stile wagneriano si appropria di un legame parola-musica divergente da quello dei contemporanei: per
fare aderire la musica alla parola viene adottata una declamazione in stile arioso.

Dalla tetralogia al Parsifal

Nel 1848 Wagner abbozzò un poema in musica, La morte di Sigfrido, ma negli anni seguenti il progetto si
allargò per proliferare in un gigantesco dramma quadripartito dal titolo L’anello del nibelungo: una
tetralogia scandita in una vigilia e tre giornate, intesa come il dramma dell’inizio e della fine del mondo.
Questi quattro testi furono completati a Zurigo alla fine del 1852, e l’anno successivo li mise in musica;
purtroppo interruppe i lavori per comporre due drammi musicali diversi, Tristano e Isotta e I maestri
cantori di Norimberga.
Dopo un breve soggiorno a Venezia tentò la strada per Parigi, dove ottenne l’attenzione di Napoleone III:
questi volle l’allestimento del Tannahauser all’Opéra, ma l’opera suscitò uno dei maggiori scandali musicali
e, al contempo, ottenne l’effetto di risonanza europea al compositore.
Successivamente fu aiutato economicamente da Ludwig II di Baviera, suo ammiratore, per completare
L’anello del nibelungo; grazie ad un ulteriore sovvenzione da parte del re, Wagner riuscì nella costruzione di
un teatro dedicato alla musicacostruzione celebrata con la Nona sinfonia di Beethoven, fu eretto nella
Baviera del Nord e per la sua inaugurazione fu rappresentata la tetralogia integrale.
Dal 1877 al 1882 si dedicò completamente alla composizione del Parsifal, ultimo dramma musicale
rappresentato a Bayreuth; morì per un attacco di cuore nel 1883.

La concezione wagneriana del dramma musicale

Wagner era contrario alla definizione delle sue opere “drammi musicali” poiché gli sembrava troppo simile
alla vecchia dicitura “dramma per musica”: egli non voleva introdurre un nuovo genere, ma aspirava a
realizzare una musica dell’avvenireegli partiva da una premessa radicale che troncava alla base ogni idea
di musica assoluta: la musica ha bisogno di una giustificazione esterna di carattere poetico, drammatico o
coreografico sennò sarebbe priva di senso.
Successivamente arriva a formulare quella che per lui doveva essere l’opera d’arte dell’avvenire, ovvero il
Wort-Ton-Drama, cioè l’unione di parola-suono-azione in un’opera d’arte totaleWagner ritiene che una
simile unità tra parola, musica e gesto fosse lo stato dell’arte primigenia, giunto alla compiutezza nella
tragedia dell’antica Grecia.
Fra le tre costituenti dell’opera d’arte totale non si deve instaurare una democratica parità, poiché il fine di
tutto è il dramma, ovvero l’azione scenica che si realizza, mentre la musica e la parola sono i mezzi per
realizzarlo. Il dramma, secondo Wagner, deve raffigurare il puramente umano, la vera natura umana
spoglia dalle convenzioni che il cammino storico le ha lasciatonon a caso i suoi drammi attingono alla
mitologia, poiché i caratteri umani sono mostrati nella loro essenza più pura e universale.
La musica viene messa al servizio del dramma, ma contemporaneamente è anche il grembo materno 
tecnica del Leitmotiv, del motivo conduttore, che genera azioni della musica: questi sono motivi musicali,
senza accezioni, affidati all’orchestra e che compaiono con una situazione/personaggio/sentimento; i motivi
già uditi ritornano come ricordo o presagio, si trasformano gli uni negli altri finché la musica strumentale
non diventa una fitta rete di Leitmotiv. Molto spesso l’orchestra raffigura l’inconscio dei personaggi
mostrandoci i loro pensieri più riposti o le pulsioni di cui essi non sono a conoscenzatecnica che
conferisce uno spessore drammaturgico notevolissimo.
Dal punto di vista tecnico-compositivo le conseguenze dell’uso dei motivi conduttori è l’uso notevole del
cromatismo, artificio musicale che sospende ogni contorno tonaleil cromatismo wagneriano celebra il
suo trionfo nel Tristano e Isotta.

La melodia infinita

Si tratta di una tecnica dell’elaborazione motivico-tematica del Classicismo viennese: il periodo regolare
veniva interrotto ed esteso in continuazione di modo che ogni nota tendesse a scorrere senza che se ne
avvertisse mai la fine. Una siffatta melodia (definita perciò “infinita” da Wagner nel suo saggio  La musica
del futuro) doveva variare ad ogni alterazione dello stato d’animo e seguire parole e azione in modo quanto
più possibile aderente.

Contraddizioni in Wagner

Nella sua ricerca della “musica d’avvenire” retrocede verso gli antichi miti germanici, una mitologia fatta
rivivere forzatamente perché mai presente nell’immaginario tedesco; il dramma moderno, inoltre, rinuncia
a molte conquiste operistiche più recenti, ovvero il proferire contemporaneamente parole diverse senza
che ciò generi confusione; i suoi personaggi non hanno un carattere suscettibile di evoluzioni, ma sono
dotati di coerenza e la loro psicologia è piuttosto elementare.
Altra incongruenza si trova nell’animo del compositore, dove convivevano atteggiamenti reazionari e
atteggiamenti rivoluzionari.

George Bizet

Studiò al Conservatorio di Parigi e fu allievo di Charles Gounod. Il suo lavoro più celebre fu la Carmen,
rappresentata nel 1875 all’Opéra-Comique.
Don José, brigadiere dei dragoni spagnoli, si innamora di Carmen, zingara rom. Integerrimo prima di
incontrarla, ha il suo primo cedimento lasciandola fuggire all’arresto, venendo così imprigionato a sua volta.
Tornato in liberà diserta il suo reggimento per seguire la zingara, diventando contrabbandiere e bandito da
strada; quando la donna si innamora di un altro, Don José la uccide perché folle di gelosia.
La più grande novità della Carmen consiste nell’aver introdotto nel mondo operistico personaggi nuovi e un
nuovo tema: l’amore scandaloso e sensuale, mancante di senso moralela protagonista era così
provocante che favorì il fiasco della prima esecuzione perché il pubblico era a dir poco indignato; vi andava
aggiunto anche l’omicidio di Carmen, finale che non si era mai visto poiché si prediligevano lieto fine.

Capitolo settimo
Il sinfonismo del secondo Ottocento, da Brahms e Mahler

L’estetica formalista di Hanslick

Nel 1854 venne pubblicato a Lipsia un volume di estetica di Eduard Hanslick, Del bello nella musica, dove la
sua posizione, definita poi formalismo, era molto semplice: la bellezza della musica non consiste nel
sentimento che essa vorrebbe esprimere, ma è interna alla musica stessa; il bello della musica è un bello
musicale poiché la musica non ha altro contenuto che i suoni e il loro collegamento, ovvero le forme sonore
in movimento.
Nella sua epoca non fu l’unico ad andare controtendenza: nel 1860 un piccolo gruppo di musicisti decise di
firmare un manifesto per dichiarare la propria indipendenza dai neotedeschi; tra questi vi era Brahms.
Brahms, il conservatore
Dopo aver compiuto nella natia Amburgo seri studi di contrappunto e composizione, intraprese a soli
vent’anni una tournée pianistica attraverso la Germania. Fu l’incontro con Schumann a Düsseldorf che
condizionò la sua vita: la stima e l’amicizia col compositore gli concessero sia un conforto personale che un
concreto appoggio presso gli editori, consacrandolo nel suo articolo un geniale astro della musica tedesca.
Al contrario di Wagner, il suo sguardo non si protese in avanti: esso si rivolse all’indietro, studiando la
musica del passato per estrarre da essa la linfa che gli era necessaria, creando così uno stile musicale
personale e solido.
Brahms riuscì a coniugare l’insegnamento di Bach e Beethoven nella sua musica, dove il contrappunto di
stampo bachiano diventa un mezzo onnipresente per realizzare il principio beethoveniano
dell’elaborazione motivico-tematicaquesto intenso lavorio compositivo viene esteso anche nella musica
sinfonica, sinfonico-corale e al Lied con pianoforte.
Nonostante rifiutasse qualsiasi stimo extramusicale per le composizioni musicali, non abbandonò la
struttura sinfonica in quattro movimenti, Brahms giunse a risultati simili a quelli dei neotedeschi, tanto dal
punto di vista armonico quando quello fraseologico.
In una conferenza del 1933 Brahms venne definito progressivo, conferendogli così la palma di iniziatore
della modernità; tuttavia, nella sua epoca non venne affatto percepito così: nonostante il manifesto da lui
firmato, egli si tenne lontano da polemiche pubbliche e il suo crescente prestigio lo fece individuare come
capofila dei conservatori.

Approccio metodico ai generi musicali

Le sue prime esperienze compositive si riversarono naturalmente sul pianoforte: tre sonate op.1-2-5, le
quattro ballate op.10, tre raccolte di Lieder per voce e pianoforte ed un trio per pianoforte e archi.
Nella prima metà degli anni ’60 esplorò il campo della musica da camera, trascurato dai neotedeschi perché
connesso alla tradizione che essi volevano superare; accanto alle composizioni per pianoforte solo e
pianoforte a quattro mani scrisse due sestetti per archi, un quintetto e due quartetti per pianoforte e archi,
il trio per pianoforte, violino e corno, la sonata per pianoforte e violoncello op.38.
Ma fu una composizione con coro a contribuire in modo decisivo alla sua notorietà, ovvero Un requem
tedesco per soli, coro ed orchestra liberamente tratto dalla bibbia in tedesco e suddiviso in sette parti.
Altre composizioni sinfonico-corali arricchiscono la sua produzione: Rinaldo per tenore, coro maschile e
orchestra, Rhapsodie per contralto, coro maschile e orchestra, Canto del destino per coro e orchestra,
Canto trionfale per coro e orchestra, Nenia e Canto delle parche, entrambi per coro e orchestra.
Il definitivo suggello alla sua fama giunse con le Variazioni su tema di Haydn per orchestra, ma era il
momento per lui di approdare alla sinfonia: la Prima sinfonia in do minore vide la luce nel 1876, ma gli
furono mosse due accuse: quella di essere accademico e quella di scrivere musica difficile, comprensibile
solo per intenditori. Nonostante le critiche egli non si fermò, dando alla luce la Seconda sinfonia in re
maggiore, il Concerto per violino e orchestra in re maggiore, due ouvertures per orchestra, una Accademica
e l’altra Tragica, la Terza sinfonia in fa maggiore e la Quarta in mi minore; l’ultima grande composizione è il
Concerto in la minore per violino e violoncello.

Gli altri progressisti

Caso emblematico fu quello di Hans von Bulow che, dopo una divergenza con Wagner, il direttore
d’orchestra si ritrovò inquadrato nello schieramento opposto per poi legarsi amichevolmente a Brahms;
assai diversa fu la pozione tra i due maggiori compositori dell’Ottocento: Anton Bruckner e Hugo Wolf.
Anton Bruckner fu assimilato ai neotedeschi, anche per l’amicizia e l’ammirazione per Wagner, tanto da
essere definito un “sinfonista wagneriano” e da essere attaccato da Hanslick, suo precedente sostenitore.
Bruckner scrisse sinfonie in quattro movimenti e non poemi sinfonici, non affrontò mai l’opera, non si
espresse mai con articoli o saggi e non scrisse altro che musica strumentale pura il suo stile musicale
segue una strada molto personale: la coerenza interna delle sue sinfonie è dettata da affinità di carattere
ritmico; attinge dal primo movimento della Nona sinfonia di Beethoven il creare di volta in volta il suono.
Hugo Wolf, molto più giovane degli altri compositore, si schierò dalla parte dei “progressisti” nella sua
qualità di critico musicale e nel breve arco della sua produttività si dedicò al Lied, conferendo a questo
un’inedita dimensione concertistica e drammatica. Egli scelse sempre testi di grandi poeti, riunendoli in
vaste raccolte unitarie e desiderando che venissero letti prima dell’esecuzione musicaleil rapporto
musica-testo raggiunge uno spessore “wagneriano”: lo stile vocale è un declamato rispettoso delle parole,
mentre la parte del pianoforte diventa densa tanto dal punto di vista dell’elaborazione motivica, quanto da
quello della sperimentazione armonica.

Il tramonto dell’Ottocento: Gustav Mahler e Richard Strauss

Dietro i bagliori della belle époque, sfavillante di operette e valzer, germinavano i fermenti di una crisi
profonda, destinata a deflagrare nel periodo tra il 1914 e il 1945.
Queste crepe furono messe in evidenza da Gustav Mahler, le cui sinfonie erano percorse da musica bassa:
fanfare o marce militari, motivetti da orchestrina zigana, ballabili alla moda, canti popolari o musiche di
birreriain Mahler l’arte si appropriava del brutto o del banale per rendere in musica la tonalità del
mondo, con tutta l’ipocrisia e le sue laceranti contraddizioni.
Purtroppo il pubblico dell’epoca non era preparato ad accogliere questo nuovo atteggiamento del direttore
d’orchestra, infatti fu inteso come un cucire assieme frammenti sparsi dal suo repertorio e dal mondo
sonoro.
Le sue prime quattro sinfonie erano dotate di una specie di programma, ma successivamente venne
eliminato poiché l’autore sottolineava la necessità di un programma interno, di sensazioni oscure che
possono essere rese in musica solo quando è impossibile esprimerle con le parole; il programma esterno
può quindi fornire un impulso iniziale per una composizione e può servire come una serie di segnali stradali.
Di natura diversa è la presenza all’interno delle sinfonie di testi cantati: la Prima sinfonia, per sola
orchestra, utilizza temi dei Canti di un giramondo; la Seconda sinfonia impiega due voci femminili e il coro;
la Terza sinfonia, per contralto, coro femminile, coro di voci bianche e orchestra si rifà al testo di Nietzsche
Così parlò Zararhustra; la Quarta sinfonia prevede la presenza di un soprano; la Quinta, la Sesta e la Settima
sinfonia sono per sola orchestra; mentre con l’Ottava si torna all’uso di un testo; negli ultimi anni scrisse la
Nona sinfonia per orchestra sola e l’incompiuta Decima sinfonia.
C’è comunque da sottolineare che alcuni caratteri della musica di Mahler erano anticipatori delle nuove
tendenze: il suo situarsi al di fuori dell’estetica romantica, utilizzare elementi precostruiti assemblandoli
insieme, sovrapponendoli, giustapponendoli con fratture stilisticheebbe eco nel secolo che si schiudeva.

Strauss: dalla musica moderna all’accademismo

Richard Strauss si ritrasse sgomento quando queste tendenze, anticipate da Mahler, iniziarono a
germogliare; eppure negli ultimi anni del XIX secolo la sua musica contribuiva a formare una sorta di musica
moderna: egli si dedicò principalmente al poema sinfonico, anche se respingeva la concezione di una
musica costruita su un programma poiché essa doveva avere fondamento in se stessa.
Tra i suoi poemi sinfonici ricordiamo Don Giovanni, Morte e trasfigurazione, I tiri burloni di Till Eulenspiegel,
Così parlò Zarathustra, Don Chisciotte.
L’atmosfera espressiva di Strauss era diversa da quella di Mahler: in lui dominava un acceso e intenso
vitalismo, una concezione della composizione come robusto artigianato, temperato da una vena di satira
graffiante e lontana dall’aura di misticismo wagneriano.
Per quanto riguardava l’opera, Strauss si dimostrò molto moderno: le sue opere, Salome ed Elektra, si
servono della tecnica del Leitmotive, creando con essi una trama fittissima e inestricabile, quasi come un
commento psicoanalitico; la sua modernità si trova nell’uso dei testi che non vengono alterati da alcun
intervento librettistico, ma lasciati drammi in prosa.

PARTE SECONDA
PREMESSA
Le strade della nuova musica

Il sistema tonale era giunto nel tardo Ottocento alla saturazione ed urgeva cercare nuove possibilità
musicali; gli anni a cavallo tra Ottocento e Novecento vennero percepiti dai contemporanei come periodo
della musica moderna fremente di novità.
Alcuni compositori, come Stravinskij, attinsero al folklore dei loro paesi, mentre Debussy si rivolse al
patrimonio musicale orientale e dell’antica modalità ecclesiastica; altri come Berg e Webern, percorsero
strade nuove e tagliando i ponti con il passato tonali giungendo ad una completa atonalità.
Tra i materiali nuovi che gli altri compositori avevano estratto dalle musiche etniche, orientali o antiche, ve
ne erano alcuni dalla carica dirompente, primo tra questi la negazione del concetto di musica come
divenire: dalle musiche “altre” proveniva una visione statica della musica, una musica in cui non esiste
“fine” l’arrestarsi dello scorrere del tempo ebbe due conseguenze: prima si prestò attenzione al singolo
suono, sciolto da ogni legame con un prima e con un poi, una concezione atemporale della musica coltivata
nel mondo francese e la ritroviamo in Debussy, Satie e Stravinskij; successivamente si considerava la musica
come oggetto sonoro da costruire con rigore artigianale e non come parabola di sentimenti umani.

Capitolo primo
Nazionalismo e realismo nella musica dell’Ottocento

Le scuole nazionali

Quasi tutta la storia della musica occidentale ha avuto un ambito geografico piuttosto delimitato, passando
dall’Italia, Francia e Germania con incursioni in Inghilterra e Spagna; la produzione musicale negli altri paesi
europei si svolgeva ancora secondo le modalità della tradizione orale, mentre i musicisti professionisti
erano attirati nel versante della musica “occidentale”.
Con il Romanticismo le cose cominciarono a cambiare e si assistette alla fioritura delle scuole nazionali.
RUSSIA: alla fine del Settecento l’imperatrice Caterina II aveva reso Pietroburgo una delle principali capitali
europee, imprimendo al suo teatro di corte un impulso verso l’opera italiana e l’opera comica francese. Con
Nicola I, l’opera imperiale italiana assorbiva le risorse finanziarie destinate alla musica, allestendo opere di
autori stranieri con cantanti e strumentisti: esisteva quindi un’opera imperiale Russa, ma il suo repertorio e
i suoi interpreti provenivano dall’estero. Vi si eseguivano anche opere russe dalla tipologia comune a quella
dell’opera comica francese, i cui protagonisti si esprimevano in russo e interrompevano i dialoghi recitati
con canzoni popolari. Michail Glinka è l’autore più segnalato nella produzione russa, benché la sua
formazione fosse occidentale; tra il 1830 e il 1834 compì un viaggio in Italia, Austria e Germania; scrisse
l’opera Una vita per lo Zar, riconosciuta come opera nazionale russa ma debitrice dello stile di Bellini e
Donizetti, il grand opera francese e il sinfonismo tedescoargomento della storia russa, uso di canti
popolari e melodie, presenza della balalaika nell’orchestra, importanza del timbro che prevale sull’armonia
e il contrappunto.
Nella seconda metà dell’Ottocento il compositore di stampo occidentale Anton Rubinstein fondò la Società
Musicale Russa, la quale voleva porre un freno al dilagare dell’opera italiana favorendo la esecuzioni dei
compositori russi e propugnando il loro inserimento nel filone della tradizione occidentalela società
venne accusata da un gruppo di cinque compositori che ambivano a porsi come unici difensori della musica
d’arte russa; questo gruppo dei Cinque nacque sotto la guida di Milij Balakirev e Tzezar’ Cui, ai quali si
aggiunsero Modest Musorgskij, Nikolaj Rimskij-Korsakov e Aleksandr Borodin, e organizzavano letture di
musica e discussioni sulle composizioni di ciascuno di essi. Tutti quanti erano dei dilettanti, mentre Modest
Musorgskij si serviva di materiali musicali folkloristici e per questo non fu capito dai suoi stessi compagni,
ritenendo la sua musica frutto di inesperienza e ignoranza tecnicasecondo Dahlhaus con lui si può parlare
di realismo musicale, fattore che colma il divario che nell’Ottocento separava la musica dalla letteratura e
dalla filosofia: il suo realismo si manifesta all’interno della sua produzione sia per quanto riguarda i testi
prevalentemente in prosa, ma anche nelle caratteristiche tecniche della sua musica.
Nel frattempo lo schieramento opposto si era arricchito del contributo Cajkovskij che, nonostante la sua
collocazione stilistica di stampo occidentale, dimostrò una componente russa e realistica nella sua
produzionenelle sue sinfonie si congiungono i due poli del Romanticismo: la tecnica della trasformazione
tematica e la pluralità di movimenti in uno solo. Nelle sue sinfonie compariva una dose di programmaticità,
come nella Patetica, che raffigura la vita negli slanci delle passioni, dell’amore e del dolore; per il pubblico
dell’epoca era principalmente un compositore teatrale sia per le numerose opere che per l’inaugurazione
della stagione del balletto russo: Il lago dei cigni, La bella addormentata nel bosco, Lo schiaccianoci.
Seguace di Cajkovskij fu Sergej Rachmaninov, pianista eccezionale che confezionò musiche di stampo
tardo-romantico come quattro Concerti per pianoforte ed orchestra e le due raccolte di Étudies-tableaux.
PAESI DELL’EUROPA DELL’EST: anche nelle altre nazioni dell’est europeo la spinta nazionalistica si
appropriò di alcune composizioni musicali eleggendole rappresentanti dello stile nazionale. Vi fu il caso
della Polonia, con l’opera Halka di Stanislaw Moniuszko, e dell’Ungheria, con Bank bank di Ferenc Erkel.
In Boemia fu acclamata La sposa venduta di Bedrich Smetana che, nonostante si trattasse di un’opera
comica, mantenne il primato rispetto alle successive opere; ma anche Antonin Dvorak ricoprì un ruolo
emblematico inserendosi nella corrente sinfonica europea, dimostrando che l’accostarsi alla musica
folklorica era un’esigenza più romantica che patriottica.
Leos Janacek, il più grande compositore della Moravia, si spinse fino dentro i confini della nuova musica del
Novecento: gran parte delle sue composizioni furono scritte nel nuovo secolo ed egli non si limitò ad
inserire le citazioni di canti popolari; si dedicò allo studio della musica etnica morava e nell’uso di testi in
prosa con decisa adesione al realismo, tentando di far scomparire la presenza emotiva dell’autore lasciando
che il dramma musicale si svolgesse in maniera oggettiva. Rifiutò la tecnica del Leitmotive che rendeva
troppo distante l’intreccio motivico dell’orchestra dal declamato vocale.
EUROPA DEL NORD: per la Danimarca si fa riferimento a Niels Gade, insegnante del Conservatorio di Lipsia,
a Carl Nielsen che, oltre ad usare uno stile armonico personale, definito tonalità estesa poiché usa
liberamente tutti e dodici i semitoni all’interno di una tonalità, si dedicò alla rielaborazione di canti popolari
del suo paese. In Svezia si annovera Frenz Berwald, musicista estraneo alla mentalità nazionalistica, mentre
in Norvegia si parla di Edvard Grieg, il quale seppe contemperare la sua formazione lipsiense con lo studio
della musica folklorica norvegese. Il massimo compositore della Finlandia fu Jan Sibelius, che ebbe una
particolare parabola creativa: dedicandosi a poemi sinfonici ispirati a saghe finlandesi, riuscì a raggiungere
nella quarta delle sette sinfonie una prossimità al mondo musicale contemporaneo, senza però mai valicare
quel confine.
INGHILTERRA E IRLANDA: interamente nella corrente romantica va collocato William Bennett, mentre in
quella del tardo Romanticismo appartiene Charles Parry, compositore e musicologo, e Charles Stanford,
che divulgò la musica folklorica del suo paese di origine, l’Irlanda.
SPAGNA: si affacciò più tardi alla ribalta della musica europea e un gran lavoro preparatorio fu svolto da
Felipe Pedrell, che si dedicò alla riscoperta delle musiche popolari autoctone e della tradizione polifonica
del Cinquecento spagnolo. Quando apparvero le composizioni dei tre allievi di Pedrell il folklore spagnolo
aveva attratto numerosi musicisti europei.

APPROFONDIMENTO

 Le due versioni del Boris Godunov

A Musorgskij venne suggerito di trarre un’opera dal dramma recitato Boris Godunov di Alexandr Puskin;
entusiasta dell’idea, Musorgskij abbandonò la composizione di Zenitba per iniziare a stendere il nuovo
libretto, basandosi anche sui volumi X e XI della Storia dell’impero russo.
L’opera fu musicata sotto forma di opéra dialogué e presentata alla direzione dei Teatri imperiali, ma fu
rifiutata per i suoi caratteri innovativi (mancanza di una melodia e di un intrigo amoroso).
Fortunatamente Musorgskij si era dato a rimaneggiare il Boris e ne risultò una nuova versione che,
tutt’oggi, viene considerata quella definitiva.
La vicenda è ambientata nel XVI secolo e l’opera è articolata in un prologo e quattro atti, tutti divisi in due
scene salvo il secondo.
PROLOGO1: Boris Godunov è in ritiro in un monastero presso Mosca perché ha ucciso l’erede al trono
quando questi era ancora fanciulli. La folla intona un canto per supplicarlo di accettare la nomina a
successore, ma il segretario della Duma informa il popolo che Boris ha rifiutato di sedere sul trono di zar;
PROLOGO2: l’indomani nella piazza del Cremlino la folla festeggia l’incoronazione di Boris, tuttavia scettico
e turbato.
ATTO I, SCENA I: Sei anni dopo Pimen, un monaco anziano, scrive una cronaca della storia russa. Il giovane
novizio Grigorij si sveglia da un sogno orribile e profetico, e lo confessa a Pimen: quest’ultimo scorge nel
novizio i segni dell’ambizione del giovane e gli racconta nei dettagli la scena dell'uccisione di  Dimitri
Ivanovič, da parte di Boris. Avendo appreso di essere pressoché coetaneo dell'erede trucidato, Grigorij
concepisce immediatamente l'idea di spacciarsi per lui, così dichiara a Pimen che Boris non potrà sfuggire
alla giustizia degli uomini, né tantomeno a quella di Dio. Quindi fugge dalla cella del monastero.
ATTO I, SCENA 2: Un mese dopo, in una taverna al confine tra Russia e Lituania, mentre l'ostessa canta una
filastrocca (Avevo un anatroccolo grigio-azzurro), viene interrotta dall’arrivo di due vagabondi Varlaam e
Misail, che chiedono offerte per le anime, ed il loro compagno Grigorij, in abiti da contadino. I due
vagabondi bevono a lungo ed invitano il compagno a fare altrettanto. Grigorij, non avendone voglia,
domanda all'ostessa della strada in direzione dei confini con la Lituania. Un ufficiale di polizia entra alla
ricerca di Grigorij, che è scappato del monastero di Čudov dichiarando di voler diventare zar a Mosca. I
sospetti dell'ufficiale di polizia ricadono su di Varlaam, tanto da fargli dire di aver trovato colui che cercava.
Egli però non sa leggere l'ordinanza di arresto, così Grigorij si offre volontario per farlo ma, guardando con
cautela Varlaam, ne sostituisce abilmente la descrizione alla sua. L'ufficiale dà ordine di bloccare Varlaam,
che protesta la sua innocenza e domanda di leggere lui stesso l'editto. Quando legge la vera descrizione del
sospetto, che naturalmente corrisponde a Grigorij, costui con destrezza brandisce un coltello e salta dalla
finestra.
ATTO II: nell’appartamento della famiglia di Boris si vede sua figlia Xenia piangere per la morte del
fidanzato, assieme al fratello e alla nutrice che tentano di consolarla. Entra in scena Boris, turbato per
l’antico delitto, e riceve la notizia che in Polonia un pretendente al trono di spaccia per Dimitri. Allontanato
il figlio, lo zar vede apparire davanti a se lo spettro del giovane fanciullo ucciso.
ATTO III, SCENA 1: siamo in Polonia e l’ambiziosa Marina, figlia del principe di Sandomir, viene convinta dal
gesuita Rangoni a sedurre Grigorij per poter ricondurre gli ortodossi russi alla chiesa cattolica.
ATTO III, SCENA 2: Rangoni organizza l’incontro tra i due e Marina, dopo aver appreso che il giovane sta per
partire per Mosca per conquistare il trono dello zar, gli rivela il suo amore.
ATTO IV, SCENA 1: è in corso una sessione della Duma e, dopo alcune discussioni, i boiardi proclamano che
Grigorij ed i suoi simpatizzanti devono essere messi a morte. Šujskij, del quale diffidano, arriva in sala per
raccontare che, mentre lasciava l'appartamento privato dello zar, lo ha visto tentare di scacciar via il
fantasma del defunto zar Dmitrij. I boiardi lo accusano di diffondere notizie inventate, ma proprio in quel
momento Boris entra, sconvolto. Dopo che Boris ha ripreso lucidità, Šujskij lo informa che un anziano
monaco chiede di essere ascoltato. Pimen entra e lo informa di un miracolo avvenuto sulla tomba del
piccolo Dimitri. Questa storia è il colpo finale per Boris: nomina suo figlio erede e poi cessa di vivere, in una
scena drammatica e lacrimevole.
ATTO IV, SCENA 2: la scena si svolge nella foresta di Kromy dove un nutrito gruppo di vagabondi,
capeggiato da Grigorij, ha catturato il boiardo Chruščov. Varlaam e Misail ascoltano a debita distanza i canti
sui crimini commessi da Boris e dai suoi seguaci prima di entrare in scena. Due gesuiti vengono sentiti a
distanza cantare in latino, pregando il loro Dio che salvi Dmitrij, poi entrano in scena ed i vagabondi si
preparano a giustiziarli sommariamente impiccandoli, e fanno appello alla Vergine Santa per avere aiuto.
Una processione di araldi annuncia l'arrivo dell'esercito di Dmitrij così, Varlaam e Misail, non riconoscendo
in lui il compagno che avevano seguito all'osteria al tempo del suo ingresso in Lituania, lo glorificano
insieme alla folla. Il pretendente richiama e fa spostare da un lato tutti i perseguitati da Boris Godunov,
libera il boiardo Chruščov e continua la sua marcia verso Mosca. La scena si conclude con l'Innocente, unico
a rimanere, che canta una canzone struggente sull'arrivo del nemico, delle tenebre oscure e impenetrabili e
del dolore che è sta per abbattersi sulla Russia.
Tra i tanti cambiamenti rispetto alla prima versione vi è l’aggiunta del terzo atto, e quindi della figura di
Marina, e della scena finale nella foresta di Kromy.

 L’estetica dei Cinque nel Boris: il declamato


Il tipo di condotta musicale più comune nel Boris è costituito dal declamato, una prosa musicale che si
diversifica grandemente dalla melodia vocale wagneriana. Il carattere di opéra dialogué del Boris imponeva
che i personaggi sul palcoscenico si esprimessero come si esprime la gente viva, e che la musica fosse una
riproduzione artistica del linguaggio in tutte le sue più sottili sfumature.

 Melodie popolari e folkloristiche

Quando Musorskij rivisitò il Boris, vi aggiunse alcuni pezzi in forma chiusa che attenuavano il rigore del
declamato continuo della precedente versione del 1869vi aggiunse generi provenienti direttamente dal
folklore russo, nonché canti popolari, canzoni per bambini e lamenti.
Tutto ciò portava dietro un bagaglio di stilemi estranei alla tradizione operistica che servivano a conferire
all’azione il famoso “colore locale”, contribuendo ad evocare agli ascoltatori le diverse ambientazioni della
vicenda. Il primo stilemi riguardava l’uso di scale modali tipiche della tradizione russa, come il lamento di
Xenia per la morte dell’amato; il secondo stilema si trova nell’uso di ritmi additivi, ovvero nell’aggregarsi
della musica in unità metriche variabili.

 Il coro in primo piano

Nel Boris è stato più volte riconosciuta la centralità assunta nella vicenda della folla, una specie di
“personaggio collettivo” che costituisce il vero antagonista dello zarmolto rilevante il fatto che il popolo
compare come protagonista in una tragedia e non in una commedia.
Non viene solamente ampliato il ruolo del protagonista: la folla contesta, subisce, commenta; Musorgskij
rompe la convenzionale impermeabilità tra parti solistiche e parti corali.
Nella scena iniziale, dopo un breve preludio strumentale, il sipario si apre sulla folla che si aggira per il
palco; successivamente un gendarme ordina alla plebe di inginocchiarsi e intonare un tono di supplica la
melodia del popolo è di carattere popolare, non aliena da inflessioni modali e accompagnata da lunghi
bordoni al basso.

 Debiti con la tradizione operistica del Settecento

I portatori dell’estetica dei Cinque e della musica folklorica si incrociano nel Boris con quelli della
drammaturgia musicale europea, che vengono usati dal compositore per conferire maggiore coesione
all’insieme. Essi sono costituiti dalla disposizione simmetrica delle scene, dall’uso di Leitmotive e dall’uso
della tonalità come segnale.
La corrispondenza simmetrica tra la prima e l’ultima scena si inserisce in una grande architettura speculare
che coinvolge l’opera tutta intera; l’uso del Leitmotive fu mutato dalla Sinfonia fantastica di Berlioz, infatti i
temi del Boris richiamano alcune situazioni, sentimento o personaggi.

Capitolo secondo
Francia e Italia tra Ottocento e Novecento

Nel tardo Ottocento, inizialmente in Francia e poi nel resto dell’Europa, dopo il fallimento del Positivismo, si
aprì la fase storica del Decadentismo, inaugurata da Paul Verlaine nel suo incipit.
Iniziarono quindi a fiorire correnti di pensiero irrazionali e mistiche, dedite all’esoterismo e all’occultismo o
alla ricerca di una religione alternativa a quella tradizionalefu il Simbolismo ad incarnare queste
tendenze all’interno di una produzione artistica di altissimo livello.
I simbolisti, riallacciandosi alla poesia di Baudelaire, ritenevano che la realtà visibile fosse collegata a quella
invisibile, essendone quasi uno specchio simbolico e l’unica via di conoscenza sarebbe il potere evocatorio
dell’arte.
Nel campo musicale il realismo era rimasto un fenomeno abbastanza marginale e l’avversario da dover
battere rimaneva ancora Wagner: la sua influenza fu così potente da riverberarsi anche sul nascente
Simbolismo francesela musica wagneriana era stata respinta più volte dal pubblico francese, poiché
considerata la quintessenza della germanicità; ma il vero interesse era suscitato dall’aspetto tecnico della
sua musica, soprattutto per le sue sconvolgenti innovazioni armoniche e alla tecnica del Leitmotiv. Fu la
Società Nazionale di Musica ad adoperarsi per arricchire la musica francese con il linguaggio wagneriano,
nobilitando il genere della musica strumentale. Il Parsifal ebbe modo di colorare l’incipiente Decadentismo,
installandovi la passione per il medioevo, mistico e sensuale, in cui la tematica della redenzione dal male
trovava una risposta esternizzante.

Claude Debussy

Compositore francese in voga tra Ottocento e Novecento, risentì dell’ambiguo rapporto che il mondo
francese intratteneva con Wagner. Nonostante gli studi musicali al Conservatorio di Parigi, egli frequentò
più assiduamente i letterati rispetto ai musicisti, tanto da essere ammesso ai “martedì” in cui Mallarmé
riceveva in casa i massimi scrittori e pittori del momento.
Nel 1889 ebbe l’occasione di assistere all’esibizione di un’orchestra gamelan costituita da strumenti a
percussione di metallo, e a rappresentazioni del teatro di corte dell’Annam, rimanendo colpito dalla musica
e drammaturgia di questi popoli tanto che ne trasse alcuni stimoli:
uso di scale pentatoniche ed esatoniche;
concezione statica del rimo;
concezione statica e circolare della forma;
drammaturgia.
Altro repertorio che servì ad indirizzarlo verso nuove soluzioni musicali fu il canto gregoriano, dai modi
ecclesiastici e dal ritmo fluido e non incasellato in rigide battute. Debussy utilizzò un termine particolare per
definirlo: arabesco.
Il suo protendersi verso tradizioni esterne a quelle europee lo portò a considerare la musica di Musorgskij,
poiché questi gli offrì spunti per sistemi armonici di tipo modale, per ritmi di tipo additivo e per una
drammaturgia diversa da quella di Wagner.
Debussy riuscì quindi a costruirsi una concezione drammaturgica assolutamente personale: secondo lui il
librettista ideale sarebbe quello che gli permetterebbe di innestare il suo sogno su quello del librettista,
mentre la musica dovrebbe cominciare quando la parola diviene impotente e non si esprime, poiché è fatta
proprio di questonella sua prima opera, Pelléas et Mélisande, dramma in prosa di Maeterlinck, i principi
drammaturgici sono applicati con coerenza, infatti il testo mostra personaggi fragili, perdenti, diversi dagli
eroi wagneriani: Pelléas è un personaggio dalle caratteristiche androgine, tanto che Debussy prese in
considerazione l’idea di affidare la parte ad una cantante; mentre Mélisande è un personaggio misterioso e
la sua morte avviene nel silenzio, senza alcuna spiegazione. La musica asseconda la tendenza al silenzio:
l’uso dei Leitmorive non appesantisce l’orchestra, che supporta il sillabico declamato delle voci.
Pelléas et Mélisande: il principe Golaud trova nel bosco una fanciulla piangente e fuggiasca che gli rivela
soltanto il suo nome, Mélisande. I due si sposano e vanno a vivere nel castello di lui, ma scocca l’attrazione
tra Mélisande e il fratello del principe, Pelléas, che pian piano finisce per diventare amore. Nel momento in
cui i due giovani confessano il loro amore, Golaud uccide Pelléas e ferisce la ragazza; nella camera dove si
trova Mélisande il principe, torturato dai sensi di colpa, chiede ad essa di sapere la verità ma lei muore
senza dissipare i suoi dubbi.
Appare quindi chiaro come non si possa ridurre la figura di Debussy a quella di impressionista musicale
poiché quasi tutta la sua produzione andrebbe collocata in un tardo Romanticismo, come musica a
programma, poiché il suo scopo sarebbe stato quello di creare un’atmosfera musicale mediante il gioco di
sonorità.
Le composizioni più famose di Debussy hanno titoli che instaurano una tendenza descrittiva: per orchestra
si va dal Preludio al pomeriggio di un fauno; ai tre Notturni costituiti da: Nuvole, Feste, Sirene; ai tre schizzi
sinfonici Il mare, Immagini, Ronde di primavera. Le musiche per pianoforte abbondano di titoli pittoreschi
come Stampe, Immagini, Preludi, L’angolo dei bambini, anche se la qualifica di impressionista non si adatta
alla produzione debussiana più tarda come il balletto Giochi.
Oggi su guarda Debussy in modo molto diverso: egli frequentava assiduamente gli ambienti simbolisti
rispetto a quelli impressionisti, traendo spunto per i suoi testi da musicare esclusivamente dai poeti
simbolisti. Egli respingeva con fastidio la qualifica di impressionista, definendosi così simbolista.
Fin dal secondo dopoguerra si è iniziato a guardare Debussy come uno degli iniziatori del Novecento
musicale, non solo per il suo voler “annegare la tonalità” attraverso il ricorso a scale modali, pentatoniche,
esatoniche e per toni interni, ma anche per la sua concezione del tempo: egli cercò di arrestare il flusso del
tempo, di disintegrare il processo lineare dell’inizio-svolgimento-fine, per accostare frammenti di tempo
assoluti e indipendenti tra loro. Il suono, singolo o in agglomerati sonori, è l’attimo fuggente bloccato e
divenuto un valore a se stante, non in quanto legato ad un prima e ad un poiun suono nasce dal silenzio e
ad esso vi ritorna. Da qui scaturiscono le conseguenze della musica di Debussy: gli accordi perdono la loro
funzionalità armonica per divenire aggregati sonori con valore timbrico; l’armonia si scinde dalla melodia; la
ritmica si fa statica e non più soggetta ad armonia e melodia, mentre la forma assume una connotazione
circolare.

Maurice Ravel

La modernità del linguaggio debussiano non venne percepita dai contemporanei: nel periodo tra le due
guerre il musicista francese Maurice Ravel fu considerato all’avanguardia ma gli venne negato il
conseguimento del Prix de Rome, benché vi avesse concorso per tre volte. Vi furono molti scandali che
costellarono le sue prime esecuzioni, tanto che il suo stile venne considerato provocatorio.
Agli inizi non si avvertì la differenza tra lo stile di Ravel e quello di Debussy, tanto che il primo fu considerato
un imitatore debussiano.
Vi sono dei punti di contatto tra i due, infatti anche Ravel si servì di stilemi musicali desunti dalla musica
orientale, dal clavicembalismo francese o dal jazz americano, per i ritmi sincopati; ben presto lo stile di
Ravel venne contrapposto a quello dell’avversario perché la sua musica si spinse più lontano nel
trattamento ardito e libero della dissonanza e non disgregò i presupposti del sistema tonale e della
concezione del tempo musicale, mantenendosi sempre all’interno di un binario costruito con chiarezza e
razionalità.
Recentemente si è avviata una valutazione oggettiva della figura raveliana, rivendicandole un
atteggiamento estetico radicale come quello di Debussy: Ravel si distanzia dalla musica e si pone in
un’estetica antiromantica, ironica e disincantata, apparentata con le idee professate contemporaneamente
professate da Erik Satie.
Gli unici approcci di Ravel al teatro musicale si concretizzarono in due operine comiche: la prima, una
commedia musicale in un atto, L’ora spagnola, tramuta i personaggi in marionette meccaniche le cui azioni
sono regolate da ruote dentate. Gli spasimanti della moglie di un orologiaio si nascondono dentro le
pendole in riparazione e vengono trasportati su e giù da un mulattiere, di cui si invaghisce la moglie
dell’orologiaio; nella seconda opera, la fantasia lirica Il bambino e i sortilegi, i protagonisti sono animali e
oggetti inanimati che si ribellano alla cattiveria di un bambino finche questo non si ravvede curando uno
scoiattolo ferito.

Italia tra Ottocento e Novecento

Tra la fine dell’Ottocento e gli inizi del Novecento fu difficile sfuggire al rapporto intrinseco della musica
italiana con l’opera lirica. In questo periodo vi fu un’intensa attività di compositori-strumentisti che
diffusero in Italia la tradizione strumentale d’oltralpe come Giovanni Sgambati, Giuseppe Martucci e
Marco Enrico Bossi.
Ciò che rimane di questo periodo nel repertorio è la produzione operistica di una generazione di musicisti
nominati veristiil verismo operistico italiano non ha a che vedere con quello letterario, basato
principalmente sugli strati diseredati della società. Il verismo musicale era molto più superficiale poiché il
mercato operistico non consentiva fughe troppo audaci. Ciò che viene battezzato come “verismo”, altri non
era che un’estrema intensificazione di quel carattere melodrammatico tipico del Romanticismo.
Capostipite del movimento verista fu l’opera Cavalleria Rusticana.
CAVALLERIA RUSTICANA: di Pietro Mascagni, tratta dalla novella di Verga, fu realizzata come atto unico e la
prosa dell’originale fu trasformata in versi poetici; la cupa vicenda dei protagonisti diviene un dramma di
affetti contrapposti, di gelosia; la musica porta l’immedesimazione romantica dello spettatore con la
vicenda rappresentata diversificandosi tra pezzi chiusi popolareggianti e un arioso ardente.
Il successo di Cavalleria, non più avuto dopo questa nelle successive opere L’amico Fritz e Parisina, spinse
alcuni veristi a percorrere la stessa strada di Mascagni, anche se le opere non presentavano caratteri
“rusticani” I pagliacci di Ruggero Leoncavallo, Andrea Chénier e Fedora di Umberto Giordano,
L’Arlesiana e Adriana Lecouvreur di Francesco Cilea.

Giacomo Puccini

Rispetto ai precedenti veristi, Puccini riuscì ad elevarsi ad un livello più provinciale arricchendo il suo stile
con le novità musicali e drammaturgiche europee. La sua è una figura piuttosto controversa: i pubblici
reputano a Puccini un successo intramontabile, mentre la critica ne ha sempre preso le distanze; l’accusa
che gli venne maggiormente rivolta alle sue opere fu quella di indulgere troppo volentieri a solleticare la
lacrimosa commozione del pubblico.
Puccini partecipava “romanticamente” alle vicende infelici dei suoi personaggi grazie alla sua musica
piangente, che freme o sorride con loro, ma è anche vero che scrisse sempre la stessa opera: in Manon
Lescaut, La bohème, Tosca, Madama Butterfly, La fanciulla del West e Suor Angelica vi è un solo
protagonista: l’eroina, dolcissima e tenerissima innamorata dal cuore puro; ed è proprio per questo suo
amore appassionato a costituire una colpa che espierà attraverso le sofferenze.
Tra tutti gli italiani della scuola dei veristi, Puccini fu l’unico ad accostarsi al verismo e ciò si nota
principalmente nella scelta del soggetto della Bohème, ovvero Parigisenza l’aiuto dei librettisti Luigi Illica
e Giuseppe Giacosa non ci sarebbe mai riuscito: questi erano sensibili agli influssi del naturalismo francese,
ma anche agli ambienti della scapigliatura milanese.
Nella sua ultima opera, l’incompiuta Turandot, Puccini cercò di cambiare l’impostazione tipica dei suoi
soggetti: il personaggio femminile innamorato e dolce retrocede ad un ruolo secondario per fare posto alla
gelida e crudele protagonista, la principessa cinese, che solo nel finale dell’opera avrebbe potuto
umanizzarsi, conquistata e sgelata dal bacio di Calaf.
Puccini è l’unico erede del Falstaff verdiano: nelle sue opere non vi sono più pezzi chiusi ma un gioco
condotto con una percezione del ritmo teatrale; la sua musica era raffinata sia dal punto di vista timbrico
che da quello armonico e ritmico.

APPROFONDIMENTO

 La Cathédrale engloutie

I ventiquattro Prèludes per pianoforte di Debussy costituiscono un caso emblematico: ciascuno di essi è
associato ad una espressione allusiva, posta alla fine della composizione; più che di titoli veri e propri si
tratta di “evocazioni”conforme all’estetica simbolista il compositore ricorre alle immagini della natura
per una ricerca di corrispondenze tra esse e il mondo umano.
Molto celebre è il Preludio n.10 dal primo libro, La Cathédrale engloutie: esso fa riferimento ad una città
sorta al largo delle coste bretoni, difesa dal mare mediante una diga, e sommersa dalle acque come castigo
per il comportamento scorretto dei suoi abitanti.
Alla base della musica del Preludio n.10 vi è una straordinaria invenzione sonora, quella dell’aggregazione-
dissoluzione delle componenti di un determinato assetto musicale che retrocede nell’indeterminatezza e
nel silenzio. La musica debussiana porta in primo piano la sonorità, ovvero sia tutto quello che in musica
riguarda il timbro e il tipo di tessuto musicale, ossia al modo in cui lo spazio sonoro è occupato momento
per momento, ma anche le dinamiche. L’assetto sonoro del Preludio n.10 è composto dalla sovrapposizione
di materiali musicali di vario genere: un primo livello è costituito dai tre elementi tematici principali: vi è poi
un alone sonoro determinato da accordi fermi che durano un paio di misure; un terzo livello dove
compaiono delle figurazioni arpeggiate in crome; e nell’ultima fascia vi sono le singole note o accordi che si
prolungano per alcune misuresi presenta in un assetto stratificato dalla densità variabile.
 Le novità della forma debussiana

Debussy si rese conto che le tecniche compositive tradizionali e le forme su di esse costruite non avevano
futuro, così sintetizzò la differenza per l’elaborazione tematica: i temi non hanno una storia, ma vengono
ripetuti o sottoposti a variazioni nella sonorità o nel registro; tra i temi non si determina alcun rapporto
dialettico: essi vengono accostati, ma in un modo che sembrano ignorarsi a vicenda; la tensione armonica è
assente.
La forma ignora qualsiasi direzionalità e la musica non va da nessuna parte, piuttosto emerge dal silenzio e
dall’indeterminatezza, per poi ritornarvi.
Debussy introdusse all’interno di determinate creazioni artistiche la sezione aurea come struttura portante.

Capitolo terzo
La scuola musicale di Vienna

Ferruccio Busoni

Si situa a metà tra il mondo italiano e quello tedesco: nato a Empoli, trascorse gran parte della sua vita in
Germania, sebbene la sua attività di pianista lo portò a viaggiare in Europa e negli Stati Uniti. Egli auspicava
l’avvento di una nuova classicità, traendo ispirazione da Bach, nella quale la polifonia avrebbe potuto
rivitalizzare tanto l’armonia quanto la melodia, sganciando la musica dal soggettivismo romantico; inoltre
desiderava un superamento sia del sistema tonale che di quello temperato, ipotizzando la divisione
nell’intervallo di tono non più in due semitoni, ma in terzi o sesti di tono.

Aleksandr Skrjabin

Di taglio completamente diverso è la ricerca del pianista-compositore del primo Novecento, Skrjabin, che
assorbì pienamente l’atmosfera mistica e irrazionale del wagnerismo e del Decadentismo, sentendosi
investito di una missione profetica: migliorare l’umanità attraverso l’arte.
Le sue composizione avevano uno scopo mistico e per realizzarlo giunse, nel Prometeo, il poema del fuoco,
a correlare simbolisticamente i suoni di orchestra, coro e pianoforte solista con luci colorate; nelle ultime
opere utilizzò una tecnica compositiva basata sull’accordo mistico: le sue note, poste ad intervalli di quarta,
potevano essere impiegate sia orizzontalmente che verticalmente.

Arnold Schonberg

Fu egli ad aprire una strada che si rivelò gravida in futuro. Arnold si sentiva legato alla tradizione musicale
austro-tedesca di cui voleva essere figlio e continuatore, e tutto il suo cammino compositivo si pose in una
linea di rigorosa continuità rispetto ad essa.
Nelle sue prime composizioni rielabora l’atmosfera tardo-romantica dell’epoca in modo personale: il suo
linguaggio è debitore sia verso quello di un progressista come Wagner, sia verso quello di un conservatore
come Brahms; a ciò si aggiunse la sua venerazione per Mahler, il quale ricambiò facendo eseguire alcune
musiche del giovane Schonberg da parte di Strauss, Reger e Zemlinsky.
Nel 1908 avviene il grande balzo verso l’atonalità: scompare il sistema tonale tanto lacerato, corroso,
negato in mille modi per favorire il trattamento della dissonanza libera, sciolta da ogni obbligo di
risoluzione su una successiva consonanza. A determinare il maggiore o minore grado di tensione sono la
dinamica, il timbro, la collocazione delle note all’interno dello spazio sonoro.
Non è scomparsa però l’intensità dell’espressione, che si è acuita fino allo spasimo corrente diffusa in
quegli anni prese il nome di Espressionismo, il cui connotato principale era una visione angosciosa della
realtà, dolorante e allucinata.

Il periodo atonale di Schonberg


Schonberg rifiutava il termine “atonale” perché in tedesco voleva dire “non attinente al suono”, ma in
italiano indicava qualcosa che stava “al di fuori del sistema tonale”; è la seconda accezione che va collegata
al compositore.
Le più note composizioni di questo periodo sono Tre pezzi per pianoforte op.11, George-Lieder op.15, Sei
piccoli pezzi per pianoforte op.19 e i Cinque pezzi per orchestra op.16.
A ciò vanno aggiunti due capisaldi del teatro musicale espressionista: il melodramma per soprano e
orchestra Attesa, e il dramma musicale per baritono, coro e orchestra La mano felice. Infine il Pierrot lunare
op.21.
Questo stile di atonalità che rifiutava la tradizionale logica armonica e tematica, se non si raggrumava in
una densa concentrazione o non si appoggiava ad un testo, rischiava di disperdersi in un’incoerenza
frammentaria.
La dodecafonia fu inizialmente sperimentata nel Walzer dei Cinque pezzi per pianoforte op.23 e
successivamente nella Serenade op.24 per sette strumenti, per poi essere applicata integralmente nella
Suite op.25 per pianoforte. Il culmine si trova nelle Variazioni op.31 per orchestra: la serie vi è trattata
secondo tutti gli artifici possibili, ma sempre al servizio di un’intensa emotività e con una gran varietà di
risultati stilistici.
Nel 1933 con l’avvento di Hitler al potere fu licenziato dall’Accademia delle Arti e fuggì in Francia; nello
stesso anno ottenne asilo negli Stati Uniti, dove rimase fino alla morte.
Le composizione del periodo americano vanno tutte verso il recupero di atteggiamenti più tradizionali e
regressivi rispetto alla sua produzione precedente, come ad esempio il Concerto per violino e orchestra
op.36, Quarto quartetto per archi op.37, Concerto per pianoforte ed orchestra op.42.
Negli anni della seconda guerra mondiale mise in musica per voce recitante, quartetto d’archi e pianoforte
Ode a Napoleone e la composizione per voce recitante, coro maschile ed orchestra Un sopravvissuto a
Varsavia.

Alban Berg

Allievo di Schinberg, la sua Sonata per pianoforte op.1 era costituita da un solo movimento, intenso per
temperatura emotiva e lavorio tematico; tra il 1909 e il 1910 iniziò ad avviarsi verso l’atonalità, per
concludersi nel 1912 con le Cartoline postali op.4 per voce e orchestra.
Nel 1913 i Cinque pezzi op.5 per clarinetto e pianoforte segnarono per Berg l’approccio ad un tipo di musica
aforistica e rarefatta; ma egli non continuò verso quella direzione.
Il suo talento aveva il desiderio di dispiegarsi in un lavoro drammatico: nacque il Wozzeck, un’opera in tre
atti rappresentata nel 1925 all’Opera di Stato di Berlino. L’opera fu accolta con grande successo e replicata
sia in Germania che all’estero, assicurando al suo autore fama e tranquillità economica.
WOZZECK: la vicenda nasconde un’accusa contro lo sfruttamento del proletariato, anticipando le tematiche
cardine del Positivismo. Il soldato Wozzeck è al servizio di un frivolo Capitano ed è sottoposto a strani
esperimenti da parte di un dottore; pian piano finisce per alienarsi e uccidere la sua amata Maria.
Sconvolto, nel tentativo di nascondere le prove del delitto, egli morirà affogato.
Nell’opera si coniugano il principio wagneriano del dramma musicale con la concezione dell’opera italiana a
numeri chiusi; egli realizza ciò senza uscire dalla tradizione tedesca e prende in prestito le principali forme
della musica strumentale.
Nelle composizioni degli anni seguenti il raffinato, libero e mai banale impiego delle forme classiche va a
congiungersi con la tecnica della dodecafonia; ecco nascere il Concerto da camera per pianoforte, violino e
tredici fiati, la Suite lirica per quartetto d’archi, l’opera incompiuta Lulu e la sua ultima composizione, il
Concerto per violino “alla memoria di un angelo”.

Anton von Webern

Altro grande allievo di Schonberg, fu decisivo per la sua formazione compositiva essersi laureato in
musicologia all’Università di Vienna con una tesi sul Choralis Constantinus di Heinrich Isaac.
La tecnica del canone compare fin dalla prima opera di Webern, Sfuggita su barche leggere op.2; ma da qui
iniziò anche la sua strada in direzione dell’atonalità.
A partire da Cinque movimenti per quartetto d’archi op.5 si delinea la caratteristica principale del suo stile:
l’ascetica rinuncia ad ogni forma di retorica per raggiungere la più scarna essenzialità le sue composizioni
diventano più brevi temporalmente e al loro interno dilagano pause e le note galleggiano su un mare
silenzioso (ciò sarà chiamato puntillismo); vi è l’attenzione al singolo suono e al singolo silenzio.
Webern fa ampio uso della melodia di timbri coniugandola con lo stile spezzato o intrecciato del
Classicismo: le sue figure tematiche sono costituite dal linee i cui singoli punti sono affidati a strumenti
diversi e che danno un colore timbrico diversole sue composizioni non vanno suonate diligentemente e
freddamente, ma come vibrante gamma di emozioni.
Alla fine del 1920 iniziò il periodo più ascetico della sua esistenza, durante il quale si dedicò a composizioni
di musica pura, quindi senza il supporto di un testo. Le principali sono il Trio per archi op.20, la Sinfonia per
orchestra da camera op.21, il Quartetto per clarinetto, sassofono tenore, violino e pianoforte op.22, il
Concerto per nove strumenti op.24, le Variazioni per pianoforte op.27, il Quartetto per archi op.28 e le
Variazioni per orchestra op.30.

Capitolo quarto
Stravinskij e il Neoclassicismo

Hindemith e la Nuova Oggettività

La fine della grande guerra aveva lasciato un’Europa profondamente mutata. Alcuni compositori si
dedicarono alla famosa “musica d’uso”, una musica con funzione didattica ma allo stesso tempo ben
costruita, artistica e artigianale, destinata ai cori dei lavoratori o a studenti per contrastare la musica
“leggera”.
In questo periodo, definito Nuova Oggettività, per il netto rifiuto al soggettivismo romantico, si inserì il
compositore Paul Hindermith che compose musica a scopo didatticoproveniva da esperienze
espressioniste, concentrate in due opere che suscitarono un forte scandalo: Assassino, speranza delle
donne, su testo del pittore e drammaturgo Kokoschka, e Santa Susanna. La sua commistione tra un
contrappunto di ispirazione bachiana ed un linguaggio musicale moderno, duro e dissonante si svela nella
serie delle Musiche da camera per orchestra da camera e uno strumento concertante, oppure in
composizioni come la Suite 1922 per pianoforte, dove fece uso di musica da ballo americana.

Il teatro epico di Brecht

In campo teatrale fu Bertolt Brecht a caricare lo spettacolo di una funzione didattica e di denuncia sociale,
non solo attraverso la scelta dei soggetti ma per mezzo del tipo di drammaturgia, epica appunto, e di
recitazione. Egli rifiutava l’idea che il pubblico potesse immedesimarsi nei suoi personaggi; infatti voleva
stimolarlo ad un atteggiamento critico, facendogli prendere coscienza di quando l’ingiustizia sociale fosse
determinante nelle vicende umane. L’attore doveva estraniarsi dal suo personaggio, doveva situarglisi a
fianco in modo da guardarlo agire come al di fuori di lui, effetto di straniamento.
Per stimolare la riflessione del pubblico Brecht si rivolse alla tipologia del Singspiel, mutandone però la
struttura: un testo in un linguaggio semplice alternato a inserti musicali costituiti da canzoni popolarisi
rivolse a Kurt Weill, che introdusse un atteggiamento estraniante: vi impiegò materiali desunti dal jazz, dalle
danze moderne, dalle musiche di livello basso. Dalla loro collaborazione nacquero quelli che furono i
capisaldi del teatro novecentesco: Mahagonny e L’opera da tre soldi.

Erik Satie

L’atmosfera della musica d’avanguardia parigina degli anni ’20 fu segnata dallo scritto del poeta Jean
Cocteau, Il giallo e l’Arlecchino, che inaugurò il movimento del Neoclassicismo.
Cocteau indicò ai suoi compatrioti la figura di un musicista fino ad allora tenuto in disparte, per sventare
alla pesantezza della musica di stampo germanico; si trattava di un musicista eccentrico e considerato ai
limiti del dilettantismo: Erik Satie.
I due avevano collaborato per un balletto che aveva causato grande scandalo: Parata di artisti da strada. Il
soggetto era di Cocteau, le scene e i costumi di Picasso, e venne rappresentato a Parigi dai Balletti Russi,
calandosi totalmente nell'estetica antiromantica dell’epoca, mostrando il mondo chiassoso e colorato della
fiera e del circo.
Ben presto Satie divenne la guida dei giovani compositori che volevano sciogliersi da ogni suggestione
germanica, costruendo una musica francese fatta di nitore e umoristica razionalità.
L’atteggiamento ironico di Satie rende difficile capire quando le sue prese di posizione vadano intese
seriamente: la sua adesione mistica dei Rosacroce o la rivoluzionaria concezione della musica da
arredamento.
La musica di arredamento consiste in una musica di sottofondo da situare in luoghi dove si fa altro, la cui
funzione è quella di creare comfort: si tratta di un semplice elemento di arredo. Si tratta di un prodotto
industriale, non di arte.

Il gruppo dei Sei

Erano un gruppo di musicisti che ruotavano intorno alla figura di Satie, ma questi non afferrarono la
radicale eversione insita negli atteggiamenti provocatori del musicista, né dal punto di vista concettuale, né
da quello tecnico-musicale; essi si limitarono ad usare una tonalità sporcata da numerose note dissonanti e
di contaminarla con elementi provenienti dal jazz, dai ritmi sudamericani e dal mondo del circo. Fecero
largo uso della politonalità, nonché la sovrapposizione di due o più tonalità.
Tra i Sei, soltanto tre furono i musicisti di una discreta levatura: Darius Milhaud, Arthur Honegger e Francis
Poulenc; alla morte di Satie il gruppo si divise e questi tre virarono verso una scrittura più accademica e
tradizionalista, mentre Louis Durey e Germaine Tailleferre cessarono l’attività compositiva, mentre
Georges Auric si dedicò alle musiche di scena e da film.

Igor Stravinskij

Nel frattempo Parigi ospitava il colosso della musica del Novecento: Stravinskij.
Dopo aver studiato a Pietroburgo, fu notato da Diaghilev per l’ascolto di Fuochi d’artificio per
orchestraebbe inizio il periodo russo dell’autore, che ripensò in maniera personale alla musica del
folklore russo, ma anche alla produzione dei Balletti Russi allestiti da Diaghilev a Parigi: L’uccello di fuoco,
Petrouschka, La sagra della primavera. In essi Stravinskij crea un linguaggio sonoro inedito, basato su scale
modali, su vivacità ritmica e su una struttura a blocchi contrapposti; l’atmosfera è partecipe e stimolatrice
dell’amore parigino per il mondo del circo e della musica jazz.
LA SAGRA DELLA PRIMAVERA: il suo tessuto si presenta ordito in modo stratificato; gli strati sono composti
da linee che vengono ripetute rimanendo ciascuna affidata ad un determinato strumento e confinata in un
dato registro. Le ripetizioni sono realizzate in modo da dar luogo a due tipologie ritmiche ricorrenti: la
prima è sincronizzata, all’interno della quale il materiale musicale si presenta organizzato in due o più
blocchi contrastanti e giustappostile parti componenti ciascuno dei blocchi possono essere allungati o
accorciati; la seconda è lineare, essa infatti tende a comparire verso la fine di strutture estese si presenta
come un grande blocco unico, costituito dalla sovrapposizione di più linee indipendenti.
Si apre con una melodia affidata al fagotto solista, mentre i temi provengono direttamente dalla musica
etnica. Si tratta di una composizione in cui è costante l’impiego di scale ottatoniche, ma vi compaiono
anche sezioni basate su scale diatoniche; le strutture armoniche sfruttano i tratti più qualificanti delle scale
ottatoniche: la distanza di 11 semitoni che intercorre tra la prima e l’ultima nota della scala che delimita il
tetracordo superiore.
Durante la guerra andò in Svizzera, dove compose alcuni lavori di teatro musicale da camera: Renard, in
scena c’erano solo attori, danzatori e acrobati, mentre i cantanti sono in orchestra; La storia del soldato, gli
otto strumenti stanno sul palcoscenico e sono visibili al pubblico; e Le nozze.
Questa separazione dei parametri genera uno straniamento nella percezione dell’ascoltatore, costretto a
rinunciare ad ogni pretesa di immedesimazione nella vicenda per guardarla da vari punti di vista
contemporaneamenteperiodo cubista di Stravinskij.
Con il balletto Pulcinella si fa iniziare il suo periodo neoclassico, che qualcuno preferisce definire
neobarocco: in esso il compositore russo si appropria di alcuni tratti stilistici e formali della musica antica,
specialmente di quella baroccain questo periodo nascono: l’opera buffa Mavra, che mescola lo stile del
Settecento col folklore russo; l’Ottetto per fiati, ricco di contrappunto e forma-sonata; il Concerto per
pianoforte e strumenti a fiato, che ricalca il concerto barocco e la sonata classicistica per pianoforte;
l’opera-oratorio Edipo re, simile ad una tragedia greca; il balletto Apollo protettore delle Muse; il Concerto
Dumbarton Oaks, con struttura del concerto grosso; il suo massimo capolavoro, la Sinfonia di salmi e la
Messa per coro e strumenti a fiato che segnano il ritorno del compositore ad una profonda religiosità e al
mondo musicale medievale.
L’originalità della creazione musicale e la sua funzione di esprimere l’interiorità genuina del soggetto erano
due postulati che Stravinskij rinnegò nella sua musica; egli dichiarò che la musica non poteva e non doveva
esprimere nulla di esterno a sé, poiché era un organismo autosufficiente.
Il Neoclassicismo di Stravinskij si differenzia da quello dei suoi contemporanei e dei suoi epigoni: costoro
consideravano la grande musica del passato come garanzia di solidità, con ironia ma rispetto; Stravinskij,
invece, considerava il passato come modo per vivere il presente.
L’ultima svolta avvenne negli anni ’50: egli si accostò alla dodecafonia, attraverso le composizioni di
Webern. Questo suo periodo si inserisce nell’evoluzione della sua personalità poiché fin dagli anni ’30 egli
aveva intrapreso un cammino ascetico verso l’astrazione, in cui voleva domare gli elementi dionisiaci e
sottometterli ad una legge che facesse regnare l’ordine più chiarodopo l’addio al suo Neoclassicismo si
concentrò su composizioni di grande rigore espressivo, legate a suggestioni liturgiche. La sua prima
composizione contenente episodi dodecafonici fu il Cantico Sacro in onore del nome di San Marco per soli,
coro e orchestra, commissionato dalla Biennale di Venezia; fu inoltre applicata a Threni: ovvero
Lamentazioni del profeta Geremia per soli, coro e orchestra, scritto per commemorare le vittime di
Hiroshima.

Sergei Prokof’ev

Nella sua musica la grande vitalità ritmica e l’amore per le dissonanze si sommano, senza distruggerle, ad
una limpida chiarezza formale: ne è l’esempio la sua Prima sinfonia, detta Classica perché in stile
haydniano, ma anche la violenta Suite scita per orchestra.
Per molti anni egli visse tra Europa e Stati Uniti, acclamato principalmente come pianista; successivamente
si stabilì in Unione Sovietica, dove la sua musica fu accettata dall’estetica imperante del “realismo
socialista”le composizioni di questo periodo sono i noti balletti Romeo e Giulietta e Cenerentola; si
ricorda anche la favola per bambini Pierino e il lupo per narratore ed orchestra.

Bela Bartok

Altro grande compositore dell’est fu toccato da Neoclassicismo, l’ungherese Bela Bartok. Costui si dedicò,
approfonditamente e scientificamente, allo studio della musica contadina del suo paese e di quelli vicini
poiché tale studio aveva un duplice scopo: da una parte contribuire alla conoscenza di un patrimonio
ricchissimo e antico, in grado di illuminare gli studiosi su problemi di natura storia, ma dall’altra rivitalizzare
la musica colta fornendole stimoli nuovi.
Secondo egli il compositore può accostarsi alla musica del suo popolo seguendo un triplice grado di
profondità: può limitarsi ad armonizzare le melodie autentiche rispettando la loro natura modale; può
creare musica nuova che si cali nello stile di quella popolare; infine, il musicista può arrivare a creare senza
porsi più il problema di imitare qualcun altro.
Gli influssi della musica contadina furono determinanti per la sua produzionele sue composizioni sono
caratterizzate da una ritmica non convenzionale, percussiva e barbara: Allegro barbaro per pianoforte e
l’opera Il Castello di Barbablù, la Suite op.14 per pianoforte e le Sette danze popolari rumene per orchestra.
Dal 1926 egli si avvicinò al Neoclassicismo, ma non accolse né il distacco espressivo né l’amore per la
musica popolaresca urbana, solo l’attenzione ai valori formalile forme musicali diventarono solide e
razionali, approfondendo l’antico ed esoterico principio della sezione aurea accanto ad un uso intensivo di
canoni e fugati.
Capitolo quinto
Darmstadt e le avanguardie

I corsi di Darmstadt

Per molti anni la Germania fu tagliata fuori dal mondo musicale, perché il regime nazista aveva costretto
all’emigrazione i maggiori compositoriciò comportò l’emigrazione verso gli Stati Uniti, arricchendo il
paese di stimoli insostituibili.
Terminata la guerra, i giovani compositori avevano il bisogno di aggiornarsi su ciò che era avvenuto nel
frattempo così, su iniziativa di Wolfgang Steinecke, dal 1946 si organizzarono dei Corsi estivi internazionali
per la nuova musica a Darmstadt. Col tempo la notorietà musicale della cittadina tedesca crebbe, attirando
musicisti anche dall’estero.
Uno degli elementi catalizzatori di questo processo fu un concerto retrospettivo dedicato alle musiche di
Webern che, grazie a ciò, contribuì ad accrescere la fama del musicistaegli divenne un punto di
riferimento per tutti i giovani compositori degli anni ’50, soprattutto per il suo rigore costruttivo e il valore
conferito al suono singolo.

Modo di valori e di intensità di Messiaen

Altro avvenimento che segnò una pietra miliare per le avanguardie musicali fu la composizione di Oliver
Messiaen, il Modo di valori e di intensità per pianoforte.
Fin dal 1928 egli aveva elaborato un suo linguaggio musicale incentrato sui modi della musica orientale o
creati da lui stesso. Nel Modo di valori e di intensità cercò di applicare le sui ricerche sui modi ai valori
musicali e alle intensitàcompilò un modo in cui erano uniti tutti i parametri del suono ed ogni nota era
fornita di una durata, una dinamica e un tipo di attacco di sua pertinenza.
MODO DI VALORI E DI INTENSITA’: questa composizione utilizza un modo composto da trentasei altezze,
ciascuna associata ad un certo valore ritmico, ad un certo segno dinamico e ad un determinato tipo di
attacco. La successione delle trentasei altezze è divisa in tre parti di 12 altezze ciascuna e ognuna di queste
parti comprende tutti e dodici i suoni del totale cromatico; a ciascuna delle tre parti è associata una
successione di durate ottenute moltiplicando un trentaduesimo, un sedicesimo ed un ottavo per ognuno
dei numeri interi fino a 12.
La sua composizione attirò l’attenzione di due giovani compositori: Pierre Boulez e Karlheinz Stockhausen.
Entrambi i giovani si incamminarono verso la serialità integrale, ovvero un’applicazione rigorosa del criterio
seriale anche agli altri parametri del suono: Boulez con Polifonia X per diciotto strumenti, mentre
Stockhausen con Gioco incrociato per sei esecutori. Se la dodecafonia aveva cancellato qualsiasi traccia del
sistema tonale, la serialità integrale finì per atomizzare la musica in singoli punti isolati nel tempo e spazio
sonoro.
La serialità integrale rispondeva ad un’esigenza di carattere più generale: i musicisti sentivano il bisogno di
ripartire da zero, cancellare i ponti col passato e col soggettivismo romantico. L’operazione più radicale fu
compiuta da Boulez con Strutture I per due pianoforti: si tratta di una composizione costituita da tre pezzi, il
primo dei quali utilizza la serie di dodici note; la prima delle tre parti vuole annullare la soggettività emotiva
dell’autore ma anche il suo agire compositivotutto diviene serializzato e nulla può ripetersi finche la serie
a cui appartiene non è trascorsa; l’ascoltatore galleggia in balia di eventi sonori imprevedibili;
contemporaneamente il compositore si annulla per consegnarsi alla razionalità del numero. Boulez
raggiunge ciò che egli stesso definisce “i limiti della terra fertile”. Nella seconda e nella terza parte il
musicista ricostruisce una discorsività “umana”.
Le successive composizioni di questo periodo, chiamato strutturalismo, rappresentarono per gli esecutori
un compito arduo perché richiedevano un approccio alla musica del tutto nuovo: calcoli ritmici intricati,
salti di estensione, controllo del timbro di ogni nota.

La rivoluzione di Cage


Negli stessi anni dello strutturalismo, sulla costa americana del Pacifico, un compositore statunitense, John
Cage, aveva scritto qualcosa di veramente insolito. Egli era noto per aver usato il “pianoforte preparato” in
numerose delle sue composizioni. La preparazione consisteva nell’inserire in determinati punti tra una
corta e l’altra vari oggetti, in modo che il timbro del pianoforte ne risultasse modificato.

 La musica aleatoria

Cage era a conoscenza del tentativo di Boulez di comporre una musica in cui i parametri fossero
predeterminati, ma per lui era il risultato di una musica senza alcun filo logico percepibile: una
composizione realizzata con note messe a casocosa che fece nel suo Musica di mutamenti, una
composizione per pianoforte divisa in quattro quaderni: tutto ciò che vi accade venne deciso da Cage
mediante il lancio di tre monetine, secondo la tecnica cinese de I-Ching; la stessa tecnica fu utilizzata per
un’altra composizione, Paesaggio Immaginario n.4 per apparecchi radio e ventiquattro esecutori: in questo
caso alla casualità con cui era stata scritta la partitura si somma la casualità della programmazione
radiofonica al momento dell’esecuzione. L’utilizzazione del caso viene chiamata alea, e la musica ottenuta
prende il nome di musica aleatoria.
Cage proseguì su questa linea, che trovava assonanza con gli studi compiuti sulle filosofie orientali e sul
buddismo zen, ripensando al concetto di ciò che è musica e di ciò che non lo èsecondo Cage l’uno non
deve tendere a modificare l’ambiente circostante, ma deve adattare se stesso a ciò che lo circonda; l’ideale
non è la figura del compositore che costruisce le forme musicali: la forma deve crearsi ogni volta all’interno
di ciascun ascoltatore, a seconda delle modalità della sua percezione. La composizione che rappresenta in
pieno questo atteggiamento è il celebre 4’33’’ per qualsiasi strumento: chi la esegue deve limitarsi a
presentarsi al pubblico e a non suonare, per la durata esatta di quattro minuti e trentatré secondi.
Questa composizione non solo ha una valenza negativa, il compositore non può comunicare niente
all’ascoltatore, ma vuole stimolare un ascolto del silenzioquesto silenzio non è un non-suono, ma è
qualcosa fatto dai rumori interni ed esterni all’ascoltatore.

 La forma aperta e l’happening

Dalla fine degli anni ’50 le sue composizioni si affidarono all’indeterminatezza umana, realizzando quella
che è stata definita la forma aperta. Nel Concerto per pianoforte ed orchestra non vi è partitura, ma solo
singole parti composte con metodi aleatori: gli esecutori decidevano da soli quali parti suonare, per quanto
tempo, in quali raggruppamenti; mentre il direttore fungeva da orologio che segnava lo scorrere del tempo.
Questo tipo di composizioni rientravano nel concetto di happening, ovvero “avvenimento”, che divenne la
cifra caratteristica della produzione di Cage dagli anni ’60il termine si potrebbe tradurre con “evento”,
eventi in cui l’autore si limita a suggerire agli esecutori cosa devono suonare.

 I rapporti con la pop art

Vi sono molti punti di contatto tra Cage e la contemporanea pop art americana, poiché in entrambi i casi si
verifica la scomparsa dell’autore per lasciare spazio ad oggetti o avvenimenti della vita quotidiana così
come sono, senza che abbiano subito una manipolazionefamoso esponente della pop art fu Andy Warhol
che realizzò alcuni film ponendo una cinepresa in un punto a caso e filmando gli eventi in modo casuale.
In realtà l’autore assume un’importanza potenziata, poiché grazie alla sua scelta può conferire una funzione
estetica a cose che non l’anno, isolandole da ogni altra loro funzione.

 Gli influssi di Cage sui compositori americani

Nonostante le numerose critiche, Cage lasciò un’impronta profondissima sia in Europa che in
Americacompositori come Morton Feldman, la cui musica era caratterizzata da singoli suoni o
agglomerati sonori lasciati vibrare fino all’estinzione; Earle Brown, che raccolse il suggerimento della
“forma aperta”; David Tudor presentò a Darmstadt la famosa Musica di mutamenti.
I compositori europei rifletterono sul concetto di alea, ma non si accettò il concetto di musica come
esperimento dal risultato imprevedibile: il compositore rinunciava a determinare ogni particolare, lasciando
alla casualità dell’interprete un certo campo di libere scelte, da lui preventivamente valutate e
accettateteoria dei campi di Stockhausen principalmente rappresentata dallo stesso e da Boulez: la
Terza sonata di Boulez prevede da parte dell’interprete una certa libertà nella scelta del percorso; il Pezzo
per pianoforte di Stockhausen è costituito da diciannove frammenti isolati sullo spazio di un vasto foglio e al
termine di ogni frammento vi sono istruzioni su andamento, dinamiche e modi d’attacco con cui va suonato
il frammento successivo.

Capitolo sesto
Elettronica ed altro

Il futurismo italiano

Una decisa rivalutazione del rumore avvenne con il futurismo italiano del Novecento. Il Manifesto tecnico
della musica futuristica, scritto da Francesco Pratella, si pronunciava in favore di una musica atonale,
auspicando la realizzazione del modo enarmonico. Successivamente il pittore Luigi Russolo nel suo scritto
L’arte dei rumori. Manifesto futurista, propugnava la creazione del rumore musicale, del suono rumoreil
rumore era esaltato come quintessenza della modernità, come espressione della macchina e della guerra.
Russolo costruì degli strumenti, gli intonarumori, per poter esercitare un controllo musicale sull’emissione
dei vari tipi di rumore, ma purtroppo il suo Grande concerto futurista d’intonarumori finì per scandalizzare
l’intero pubblico.
Purtroppo il futurismo non fu mai spalleggiato da musicisti di rilievo: i compositori di quest’epoca si
limitarono a guarnire con rumori una musica assolutamente banale.

La generazione dell’Ottanta

Molti risultati ottennero i compositori italiani della generazione definita dell’Ottanta, poiché tutti questi
erano nati attorno al 1880. Ottorino Respighi, Ildebrando Pizzetti, Gian Francesco Malipiero e Alfredo
Casella si adoperarono per sprovincializzare l’Italia, sganciandola dalla sua predilezione per il melodramma
ed aprendola verso le recenti esperienze europee.
Elemento caratteristico del loro stile era il collegamento con l’antica tradizione polifonica e strumentale
italiana, di cui assumevano l’inflessione modale e il gusto per piani sonori netti e ben delimitati.
Respighi produsse poemi sinfonici molto noti, Le fontane di Roma, I Pini di Roma e Feste romane; Pizzetti si
dedicò interamente all’opera, collaborò con D’Annunzio musicando Fedra, inserendovi notevoli arcaismi
provenienti dal canto gregoriano, dalla polifonia modale e dal recitar cantando fiorentino; con Malipiero si
affronta la musica strumentale, privilegiando sinfonie, concerti, quartetti, Rispetti e strambotti n.1, Stornelli
e ballate n.2, Cantari alla madrigalesca n.3, ma anche Ricercari e Ritrovari per undici strumenti; Casella fu
molto sensibile a ciò che accadeva oltralpe poiché aveva studiato presso il Conservatorio di Parigi: la prima
parte della sua produzione si inquadra in un atteggiamento cubista, antiromantico e spigoloso nel ritmo,
nelle dissonanze, nella politonalità (Pupazzetti per pianoforte a quattro mani, Sonatina per pianoforte);
successivamente vi fu l’assonanza col Neoclassicismo e con gli ideali fascisti che lo condussero a seguire uno
stile “italiano” fatto di diatonismo e recupero di forme antiche (Concerto romano per organo, ottoni,
timpani e archi, Scarlattiana per pianoforte e piccola orchestra).

Ghedini, Petrassi e Dallapiccola

Queste atmosfere “italiche” furono il punto di partenza per i compositori della generazione successiva,
entrando comunque in contatto con le più recenti novità europee.
Giorgio Ghedinidi lui è stata più volte sottolineata la raffinatezza timbrica, sia vocale che strumentale;
prima di ritirarsi in una scrittura più tradizionale egli la riversa in composizione che sfiorano l’atonalità (tra
queste troviamo il Concerto dell’Albatro per voce recitante, violino, violoncello, pianoforte ed orchestra).
Goffredo Petrassiil patriarca della musica italiana si staglia nel panorama novecentesco per il suo
profondo e pessimistico senso religioso. Lo stile delle sue prime composizioni venne definito “barocco
romano”, per l’unione di cattolicità, grandiosità fonica e senso di morte (Salmo IX, Magnificat, Coro di
morti, Notte oscura); ma nonostante ciò vi fu anche una vena ironica nel compositore: nell’opera Il
Cordovano e Tre per sette. Gli otto Concerti per orchestra sono un ripensamento del concerto grosso
barocco: in essi vi è un iniziale stile concertante neoclassico che cede il posto alla dodecafonia per
accostarsi infine ad una musica in cui le figure sembrano perdere il loro carattere tematico.
Luigi Dallapiccolaconvinto assertore della dodecafonia, utilizzò ampiamente la voce umana; egli si
sentiva impegnato a trasmettere un messaggio etico. Il tema della libertà è essenziale nei Canti di prigionia
per coro e strumenti, ma anche nell’opera Il prigioniero; vi è poi una profonda riflessione sulla condizione
umana nella sacra rappresentazione di Giobbe e nell’opera Ulisse.

Critiche di Varèse ai futuristi

Egli auspicava la nascita della musica elettronica, perciò nel 1917 espresse il suo parere dissacrante sui
futuristi: secondo lui questi imitavano solo gli aspetti più banali e ovvi delle attività della vita quotidiana; il
suo sogno era la creazione di strumenti docili che rendano possibili timbri finora insospettati e si aprano a
qualsiasi combinazione che egli proponesse, soddisfacendo le richieste che provenivano dal suo ritmo
interiore.
Nella sua ricerca di nuove sonorità si avvalse di strumenti a percussione, ecco allora: venti percussioni in
Americhe per grande orchestra, sedici in Iperprisma e diciassette in Integrali, e la stupefacente Ionizzazione,
interamente affidata a tredici percussionisti. Nella composizione successiva, Equatoriale, affiancò alla voce
di basso e agli strumentisti anche due Thereminvox, uno strumento elettronico le cui onde sonore non
erano soddisfacenti; così, nella rielaborazione della partitura, egli le sostituì con un altro strumento
elettronico: le onde Martenot.
L’elettronica gli serviva per realizzare la sua personale concezione della musica: masse sonore composte da
suono organizzato che si muovono l’una contro l’altra, variando sia il volume che l’intensità dei raggi sonori.
Successivamente venne commissionato all’architetto Le Corbusier la realizzazione del padiglione Philips per
l’Esposizione Universale di Bruxelles; l’architetto affidò a Iannis Xenakis la realizzazione pratica del progetto,
e richiese a Varèse un Poema elettronico per nastro magnetico, una serie di diapositive sonore da far
ascoltare all’interno del padiglionei suoni registrati erano rumori o suoni concreti che potevano essere
distorti, accelerati, ritardati, sovrapposti. Questo indirizzo, detto musica concreta, fu praticato a Parigi
dove, nel 1951, venne fondato il Gruppo di Ricerche di Musica Concreta.
Precedenti esperimenti americani

 Charles Edward Ives

La prima vera figura di musicista americano fu quella di Charles Ives, figlio di un maestro di banda che
amava realizzare arditi esperimenti sonori. Per poter scrivere con libertà e senza scendere a compromessi
col mercato musicale, egli non volle mai esercitare la musica come professione; le sue musiche, infatti, non
rientravano nei canoni di scrittura tradizionaleil suo linguaggio era non tonale, con contrappunti che
creavano la sovrapposizione di elementi diversi e con frequenti poliritmie. La sua caratteristica principale fu
l’uso della citazione musicale, quasi distorta, come fosse il rimembrare di alcuni ricordi. Inoltre giunse di
proprio conto alla formulazione di una specie di dodecafonia, anche se non la sviluppò in un vero e proprio
sistema, scrivendo anche composizioni per due pianoforti accordati alla distanza di un quarto di tono l’uno
dall’altro.
 Henry Cowell

Questi elaborò una particolare tecnica per pianoforte ottenendo così effetti sonori di natura nuova,
inaugurando la pratica del cluster: un insieme di note ravvicinatissime da suonare tutte insieme. Cowell ne
fece un uso suggestivo ne Le onde di Manaunaun e Tigre; mentre in Arpa eolia alcuni tasti devo essere
abbassati con una mano, ma senza suonare, in modo che le corde possano vibrare; in Lo spirito che
annuncia la morte il pianista di deve mettere dalla parte della coda del pianoforte, per suonare sulla
cordiera mentre un assistente tiene abbassato il pedale della risonanza.

La musica elettronica

Altra possibilità per creare musica consisteva nell’ottenere suoni di tipo sintetico, intervenendo sulle
componenti dell’onda sonora per forgiare elementi del tutto nuovi. A questa vera e propria musica
elettronica si dedicò lo Studio per la musica elettronica in Germania, fondato da Herbert Eimert.
Fu proprio l’ampliamento della tavolozza timbrica generato dalla musica elettronica che consentì ad alcuni
compositori si imprimere nuove direzioni alla musica del loro tempo.

 Bruno Maderna

Figura fondamentale sia come compositore che come direttore d’orchestra. La sua musica non sacrificò mai
una fondamentale esigenza espressiva alla tentazione della scientificità pura, neppure nelle sue
composizioni più tecnologiche come Musica su due dimensioni.

 Luigi Nono

La sua Polifonica-monodia-ritmica per sette strumenti fu salutata come la prima composizione interessante
del dopoguerra. Nel 1959, in una conferenza a Darmstadt, si schierò contro l’estetica mistico-ironica di
Cage: egli inquadrava l’attività compositiva all’interno di un imperioso compito di natura etico-politica.
Nono si discostò dalla serialità integrale per ricercare un linguaggio rigoroso ma non privo di tensione
emotiva. Un ruolo importante nella sua produzione lo assume il testo affidato al coro, poiché ha la funzione
di veicolare il messaggio esplicito e stimolare l’autore a costruire un nuovo stile vocale.
Negli anni ’60 fu affascinato dalla musica elettronica per le sue inedite possibilità timbriche ed espressive:
dopo alcune composizioni egli integrò il mezzo elettronico con le sonorità degli strumenti tradizionali e
delle voci, producendo alcuni lavori molto rilevanti, ad esempio Come un’onda di forza e luce per soprano,
pianoforte, orchestra e nastro magnetico, Sofferte onde serene per pianoforte e nastro magnetico; dagli
anni ’80 si fece ancora più poetico, con sonorità preziose e distillate da lunghi silenzi. Il rapporto con
l’elettronica si tradusse in una presenza delle manipolazioni elettriche dal vivo, come nel caso del
Prometeo. Tragedia dell’ascolto, ovvero una tragedia fatta senza scene.

 Luciano Berio

Collaboratore di Bruno Maderna, egli concepiva l’accostamento tanto al nuovo mezzo elettronico, quanto
alla serialità integrale e all’aleatorietà, come un intervento empirico sul suono e di profonda volontà
comunicativa. La direzione più importante nella sua ricerca musicale si rivolse verso la vocalità: l’unico
materiale utilizzato in Thema consisteva nella registrazione di voci che leggono alcuni frammenti de L’Ulisse
di Joycela manipolazione elettroacustica gli permette di isolare i singoli fonemi e trattarli in modo
musicale, come fossero timbri allo stato puro.
Tanto nelle sue composizioni con la voce, quanto in quelle strumentali, Berio si caratterizza per un uso
spregiudicato di tutti i materiali musicali possibili.

 Iannis Xenakis

Dopo aver studiato architettura e musica ad Atene si spostò a Parigi, esercitando entrambe le professioni.
La sua mentalità matematica si riversò all’interno della sua musica, anche se egli rifiutò la concezione
puntillistica della serialità integralesi servì spesso di procedimenti stocastici, basati quindi sul calcolo
delle probabilità, per realizzare ampie masse sonore; ne sono un esempio le composizioni ST/4, ST/10 ed
ST/48, dove ST sta per stocastico e il numero indica il numero dei compositori.
In Trasformazione per orchestra, tentò il continuo spostamento di linee rette; in composizioni come Duello
e Strategia, entrambe per orchestra, utilizza la teoria dei giochi.

Uso delle fasce sonore: Ligeti e Penderecki

Ciascuno con le proprie caratteristiche, utilizzarono una scrittura musicale basata su grandi clusters, i quali
formarono fittissime fasce sonore immobili, ma brulicanti di vita.
Di Ligeti citiamo Luce perpetua per sedici voci e Continuum per clavicembalo; mentre per Penderecki
Trenodia per le vittime di Hiroshima per 52 archi.

Il teatro strumentale di Kagel e il teatro gestuale di Bussotti

Kagel apprese da Cage a servirsi di tutti i tipi di materiale sonoro: il suo giovanile Eterofonia per 42
strumenti solisti, utilizza materiali musicali di altri autori. La caratteristica di questo musicista è l’uso della
gestualità, al fine di oggettivare l’assurdità e l’alienazione della condizione umana modernala partitura
deve specificare sia le note da suonare che i gesti da compiere; si tratta quindi di un tipo di scrittura il cui
scopo è stimolare l’inventiva e le azioni dell’interprete, definibile come scrittura d’azione.
Bussotti usò spesso la scrittura d’azione, principalmente in Cinque pezzi pianistici per David Tudor.
Emblematico il suo “mistero da camera” La passione secondo Sade: in esso sia il mimo che gli interpreti
devono effettuare particolari azioni suggerite da insoliti grafismi.

Gli atteggiamenti negativi di Donatoni e Clementi

Una componente gestuale era presente anche nel compositore Franco Donatoni, ma successivamente
questi andò ripensando un atteggiamento negativo avviato dallo strutturalismo.
Donatoni portò alle estreme conseguenze questa spaccatura tra processo compositivo e risultato sonoro,
forgiandosi un sistema di scrittura automatico: stabilendo alcune regole, il materiale si assembla
nell’assoluta indifferenza del compositore al risultato che ne uscirà.
Aldo Clementi riteneva che la musica sia in lenta estinzione: la musica dei grandi maestri era godibile sia
con l’intelletto che con i sensi; oggi tutto ciò è stato perduto, e la musica attuale non può essere che una
musica al quadrato che afferra brandelli di qualcosa già composto.

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