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GENERALE
Trascrizione delle slide presentate a
lezione dalla prof. Vignini
A.A. 2020-2021
BIOCHIMICA
“AMMINOACIDI E PROTEINE”
PROGRAMMA D’ESAME
- Struttura e funzioni delle proteine. Proteine coniugate. Proteoglicani.
- Funzioni generali degli enzimi e cinetica enzimatica. Isoenzimi. Regolazione dell’attività
enzimatica
- Cofattori e Coenzimi utilizzati nelle reazioni metaboliche ed azione biochimica delle vitamine.
- Struttura e funzione dell’emoglobina e della mioglobina e loro funzioni di legame e trasporto
dell'ossigeno.
- Carboidrati semplici e complessi: aspetti strutturali e funzionali.
- Lipidi (Acidi grassi, trigliceridi, steroli, glicerosfosfolipidi, sfingolipidi).
- Le membrane biologiche: funzioni recettoriali, di trasporto e trasduzione del segnale.
- Bioenergetica e ossidazioni biologiche: ruolo dell’ATP.
- Biochimica del sistema endocrino: rapporto struttura/funzione dei differenti ormoni (proteici
e non proteici) e loro ruolo nel metabolismo.
- Fonti alimentari di carboidrati, lipidi, proteine, vitamine e sali minerali.
- Parametri di qualità nutrizionale degli alimenti
- Principi generali della digestione e dell’assorbimento degli alimenti.
- Trasporto dei lipidi in circolo: classificazione delle lipoproteine plasmatiche (VLDL, LDL e
HDL). Omeostasi del colesterolo plasmatico
Le proteine sono composte da una o più CATENE PEPTIDICHE, ovvero composti lineari formati da
AMMINOACIDI legati uno di seguito all'altro.
Tutte contengono: CARBONIO – IDROGENO - AZOTO
Alcune contengono: OSSIGENO – ZOLFO
Amminoacidi
La particolare sequenza ed il numero di aminoacidi che costituiscono la catena polipeptidica
determinano:
- La NATURA
- La FUNZIONE
- La STRUTTURA TRIDIMENSIONALE
Tutti gli amminoacidi (tranne la glicina) hanno l’atomo di carbonio a legato a quattro gruppi
H è quindi un centro chiralico o otticamente attivo
diversi: il carbonio a (asimmetrico)
Un atomo di idrogeno
• Gli amminoacidi che hanno un centro asimmetrico nel carbonio a possono esistere in due
forme speculari (D ed L) dette stereoisomeri, isomeri ottici o enantiomeri
Figura 4
Oltre alla parte funzionale, comune a tutti, ogni amminoacido presenta un gruppo -R proprio:
• La natura del gruppo -R conferisce proprietà diverse a ciascun amminoacido
• Punto isoelettrico (pI): è il valore di pH al quale un amminoacido ha carica netta 0 cioè è elettricamente
neutro.
Le proprietà di ciascun amminoacido dipendono dalle catene laterali (-R) che sono i gruppi funzionali
responsabili della struttura, delle funzioni e della carica elettrica delle proteine:
• Ciò che sostanzialmente determina il ruolo di un amminoacido in una proteina è la natura della catena
laterale (-R)
• Gli amminoacidi possono essere classificati in base alle proprietà delle loro catene laterali (-R),
considerando la loro polarità o non polarità a pH fisiologico e quindi la tendenza ad interagire con l’acqua
• Gli amminoacidi con catene laterali cariche, idrofiliche, sono generalmente esposti sulla superficie delle
proteine
• I residui idrofobici, non polari, si trovano in genere all’interno delle proteine, protetti dal contatto con
l’acqua
- Con gruppi R alifatici (non polari): GLICINA, ALANINA, VALINA, LEUCINA, ISOLEUCINA, METIONINA,
PROLINA.
a) Le loro catene laterali sono costituite da una catena idrocarburica satura: sono idrofobici.
b) La metionina è uno dei due amminoacidi contenenti zolfo.
c) La prolina ha una caratteristica struttura ad anello, formato dalla catena laterale e dal suo
gruppo amminico, e differisce dagli altri amminoacidi perché contiene un gruppo imminico (R-
NH-R’). È solo moderatamente polare.
- Con gruppi R polari, non carichi: SERINA, TREONINA, TIROSINA, CISTEINA, ASPARAGINA,
GLUTAMMINA
a) Sono polari ma in condizioni fisiologiche sono privi di carica elettrica.
b) I loro gruppi -R sono più idrofilici di quelli degli AA non polari: contengono gruppi funzionali che
formano legami idrogeno con l’acqua.
c) La polarità di serina, treonina e tirosina è dovuta al gruppo ossidrilico (-OH), quella della cisteina
al gruppo sulfidrilico (-SH), quella di asparagina e glutammina ai gruppi ammidici (- CONH2),
dove sia la porzione carbonilica che quella amminica possono entrare in gioco.
Legame peptidico
È il legame che si forma quando gli aminoacidi si combinano per dare origine alle proteine lo fanno attraverso
una specifica reazione dove il gruppo carbossilico del primo aminoacido reagisce con quello aminico del
secondo perdendo una molecola d'acqua.
e questo processo si ripete più volte si produce una lunga catena lineare di AA denominato polipeptide.
Per convenzione la sequenza del polipeptide si scrive iniziando con il residuo che contiene il gruppo amminico
libero (N- terminale) e concludendo con il residuo che contiene il gruppo carbossilico (C-terminale).
Il legame peptidico è POLARE, PLANARE e STABILIZZATO per RISONANZA. Nella situazione intermedia gli
elettroni sono coinvolti tra O carbonilico, C carbossilico e N ammidico
La differenza di elettronegatività tra O e N conferisce polarità al legame peptidico; ciò rende possibile, la
formazione di legami a H sia a livello di O che a livello di N
Il legame peptidico ha quindi parziali caratteristiche di doppio legame (oltre il 40%), mentre il doppio legame
C=O si comporta in parte (40%) come un legame singolo.
Tutto ciò trova giustificazione nel fenomeno della risonanza del gruppo peptidico fra due strutture limite
Il carattere di doppio legame parziale del legame peptidico impedisce, alle temperature fisiologiche, la
rotazione del legame C-N, mentre è possibile la rotazione dei legami Cα1-C e Cα2-N
Data la NON possibilità di rotazione intorno al legame CO-N si ha possibilità di isomeria CIS TRANS
Delle due configurazioni possibili, la TRANS è quella favorita dal punto di vista energetico (minima repulsione
sterica)
Oltre il 99% dei legami peptidici delle proteine naturali hanno configurazione TRANS. Fanno eccezione alcuni
legami amidici in cui è coinvolto l’N imidico della prolina
Proteine corporee:
• 40% nel muscolo di cui 65% miosina ed actina: per locomozione e lavoro muscolare, ma anche come
fonte di amminoacidi in particolari condizioni fisiologiche
Le proteine muscolari non sono una forma di riserva come glicogeno e lipidi ed una loro perdita porta
a perdita di proteine funzionali.
• 10% tessuti viscerali (fegato, intestino): non mobilizzate rapidamente in condizioni di stress per le
loro funzioni vitali
• 30% nella pelle e nel sangue: lesioni della pelle ed anemia sono presenti in deficit di proteine
alimentari
4 proteine: MIOSINA, ACTINA, COLLAGENE (strutturali) ed EMOGLOBINA (trasporto O2) costituiscono circa
la metà di tutte le proteine
[VALORE BIOLOGICO: capacità di una proteina (o alimento) di fornire aminoacidi essenziali = una scala che va
da 0 a 100, indica la quantità e la varietà di aminoacidi essenziali contenuti in una proteina. Valore vicino al
100 per uova o alcuni tipi di carne. Valori biologici bassi (0-20) per proteine vegetali (perché mancano di alcuni
aminoacidi essenziali]
- CONIUGATE: Le proteine coniugate sono quelle che in seguito ad idrolisi danno luogo ad aminoacidi
ma anche a componenti organici ed inorganici. Questa porzione è detta GRUPPO PROSTETICO.
Esempi:
a) GLICOPROTEINE, PROTEOGLICANI: Proteine + Glucidi
b) LIPOPROTEINE: Proteine + Lipidi
c) FLAVOPROTEINE: Proteine + Nucleotidi flavinici
d) METALLO PROTEINE: Proteine + Metalli
e) FOSFOPROTEINE: Proteine + Gruppi fosforici
f) Emoglobina: proteina + gruppo Eme + Ferro
g) Clorofille: proteina + anello tetrapirrolico + Magnesio
h) Opsine: proteina + Retinale
a) Esempi:
collagene
a-cheratina
elastina
b) caratteristiche:
tipicamente insolubili in acqua
amminoacidi "idrofobici” (ad esempio Ala, Val, Leu, Ile, Met, Phe) conferiscono
struttura e/o elasticità, resistenza
danno vita a aggregazioni (es. fibre muscolari)
- Proteine fibrose : sono composte da catene polipeptidiche disposte parallelamente a formare lunghe
fibre o fogli.
● collagene
● a-cheratina
● elastina
- amminoacidi "idrofobici” (ad esempio Ala, Val, Leu, Ile, Met, Phe)
● miosina
● fibrinogeno
-Nelle proteine di trasporto si legano a sostanze poco (o comunque non abbastanza) idrosolubili e ne
consentono il trasporto nei liquidi corporei. Comprendono ad esempio le proteine del sangue che
trasportano lipidi, ferro, e ossigeno. Molto importanti sono anche le proteine di trasporto delle
membrane cellulari, che permettono un passaggio selettivo di molecole idrosolubili e ioni.
ApoB-100
-Fosfolipidi;
- ORMONI: insulina – ormone della crescita; [da non confondere con ormoni di natura lipidica derivanti
da colesterolo (es.ormoni sessuali)]
- PLASTICA: le proteine sono i "mattoni" per costruire tutti i tessuti che sono continuamente soggetti a
demolizione e sintesi, prime fra tutti i muscoli;
- ENERGETICA: gli amminoacidi possono essere trasformati in glucosio tramite la rimozione della parte
azotata (GLUCONEOGENESI).
- Affinché una proteina possa svolgere la propria funzione biologica, la catena polipeptidica deve
ripiegarsi in modo da assumere una struttura tridimensionale stabile Struttura nativa
- Nella struttura 3D di una proteina è possibile riconoscere più livelli di organizzazione, in base a
un criterio dei complessità
- quattro distinti livelli strutturali.
- TERZIARIA cioè il modo in cui la catena è ripiegata tridimensionalmente a formare una struttura
compatta (esempio: mioglobina);
- QUATERNARIA cioè il modo in cui le singole catene polipeptidiche di una proteina composta da due o
più catene sono disposte l’una rispetta all’altra (esempio: emoglobina);
1. STRUTTURA PRIMARIA
Dalla trascrizione dei geni del Dna, l’mRna ottenuto sarà tradotto in proteine.
L’evoluzione degli organismi è legata a mutazioni spontanee che avvengono nei loro geni.
Le differenze nella struttura primaria sono la “memoria” dei cambiamenti avvenuti a livello genetico nel
corso dell’evoluzione.
In specie legate da notevole affinità le strutture primarie delle proteine comuni sono simili.
Il Citocromo C è una buona proteina per studi evolutivi comparati perché si trova nella catena
respiratoria di trasporto degli elettroni di tutti gli organismi.
2. STRUTTURA SECONDARIA
È determinata da interazioni di tipo legame a idrogeno fra l’ossigeno di un gruppo carbonilico del
legame peptidico e l’idrogeno del gruppo ammidico di un altro legame peptidico.
- Le catene laterali degli amminoacidi (-R) si protendono verso l’esterno rispetto all’asse della spirale;
- L’a-elica è stabilizzata da legami idrogeno intracatena che si formano a 4 residui di distanza sulla
catena;
- Gli amminoacidi con catene laterali (-R ) voluminose o cariche possono interferire con la formazione
dell’a-elica, in base a residui R idrofilici o idrofobici;
- Le proprietà idrofobiche o idrofiliche di una a-elica dipendono dalle catene laterali degli amminoacidi.
- È una struttura ripiegata, formata da 2 o più catene polipeptidiche (filamenti) quasi completamente
distese;
- Tali legami si realizzano tra l’ossigeno di un gruppo carbonilico di un legame peptidico e l’idrogeno del
gruppo ammidico di un altro legame peptidico appartenente ad un filamento diverso.
- I polipeptidi che formano un foglietto b possono disporsi in modo parallelo o anti-parallelo(forma più
stabile).
- Un foglietto b può essere formato anche da una singola catena polipeptidica ripiegata su se stessa, in
tal caso i legami a H sono legami intracatena.
Vi sono quindi conformazioni più stabili di altre, perché favorite da un punto di vista energetico, e
conformazioni proibite, quelle in cui si svilupperebbe una forte repulsione tra le catene laterali.
RAMACHANDRAN PLOT:
Ramachandran e collaboratori hanno pensato di diagrammare gli angoli e delle proteine note e
hanno verificato la presenza di zone consentite e zone non consentite del piano .
La distribuzione degli angoli e per gli aminoacidi di una particolare proteina è rappresentata
tramite il Ramachandran plot: analisi delle collisioni degli atomi considerando il raggio di van der
Waals.
Zona rossa: nessuna collisione.
Zona gialla: al limite della collisione.
Zona bianca: collisione tra atomi se presenti certi angoli e .
- Ogni molecola di tropocollagene è a sua volta costituita da tre catene polipeptidiche elementari
di circa 1000 aa ciascuna.
È una struttura flessibile simile ad una corda a 3 fili avvolti a spirale gli uni sugli altri per sopportare le
forze di trazione; più microfibrille a loro volta danno origine a fibrille, l’unione delle fibrille da origine
a fibre collagene
TIPI DI COLLAGENE
Fin’ora in letteratura sono stati individuati ben 28 tipi di collagene, ma i più importanti sono quattro;
essi sono:
Una proteina tende per natura ad assumere una forma compatta dove gli AA idrofobici non polari si
dispongono all’interno andando a creare la tasca idrofobica, dove è posto il sito attivo degli enzimi.
3. STRUTTURA TERZIARIA
Caratteristiche:
- Quando una proteina si avvolge su se stessa, gli AA che si trovano in regioni lontane della sequenza
polipeptidica possono ugualmente interagire tra loro.
- È stabilizzata da legami non covalenti come ponti idrogeno, interazioni idrofobiche tra amminoacidi
non polari e legami ionici.
- Ma anche da legami covalenti, sotto forma di ponti disolfuro fra due cisteine.
Fra 2 residui SH di due cisteine i residui che si vengono a formare sono chiamati cistine.
Legame disolfuro:
• È un legame covalente che deriva dalla ossidazione del gruppo sulfidrilico (-SH) di due residui di
CISTEINA con formazione di un residuo di CISTINA.
• Le due cisteine possono essere molto lontane nella stessa catena polipeptidica o appartenere a due
diverse catene.
• Essendo legami covalenti, i legami disolfuro concorrono a stabilizzare la struttura delle proteine
impedendone la denaturazione nell’ambiente extracellulare.
DENATURAZIONE
ES. denaturazione albume uovo: quando lo cuociamo anche se lo raffreddiamo non torna nello stato
liquido.
I DOMINI
Le catene polipeptidiche formate da più di 200 amminoacidi in genere comprendono 2 o più domini
(piccole unità compatte).
- Ciascun dominio è una regione globulare, compatta, che si forma per la combinazione di più elementi
strutturali secondari: a-eliche, foglietti b, sequenze non ripetitive.
- Strutturalmente ciascun dominio è indipendente da altri domini della stessa catena polipeptidica.
- La struttura terziaria riguarda sia il ripiegamento di ciascun dominio sia la disposizione reciproca
finale dei domini di un polipeptide.
• Proteine fibrose
- Insolubili in acqua
- Utilizzate per tessuti connettivi
- Seta, collagene, cheratina
• Poteine globulari
- Solubili in acqua
- Usate per proteine cellulari
Hanno una struttura tridimensionale
complessa
4. STRUTTURA QUATERNARIA
È determinata dall'associazione di due o più unità polipeptidiche unite tra loro da legami deboli in un
modo molto specifico.
Alcune proteine contengono anche una parte non polipeptidica, detta gruppo prostetico; queste
proteine fanno parte delle proteine coniugate.
La struttura quaternaria deriva dalle interazioni deboli (identiche a quelle che stabilizzano la struttura
terziaria) che si stabiliscono tra più catene polipeptidiche (subunità) identiche o diverse per dare
complessi proteici tridimensionali chiamati oligomeri, se il numero delle subunità è molto elevato.
- Struttura quaternaria della emoglobina: oligomero con quattro subunità a due a due identiche (2a2b)
BIOCHIMICAGENERALE
“PROTEINE II”
ID lezione BCG03 Modulo Biochimica Generale
GLICOPROTEINE
La componente glucidica va dall'1 all'80% il resto sono catene di aminoacidi. Nei tessuti sono presenti
due classi fondamentali di glicoproteine:
Determinano:
i gruppi sanguigni
Coagulazione del sangue (fibrinogeno)
Difese immunitarie (immunoglobuline)
Collagene
glucidi che entrano nella composizione delle catene oligosaccaridiche legate alle proteine:
PROTEINE DI MEMBRANA
Le catene laterali degli aminoacidi nei segmenti transmembrana appartengono ad aminoacidi non-
polari (ad esempio Ala, Val, Leu, Ile, Phe)
Possiamo, ovviamente, classificare le proteine di membrana in base a come esse sono orientate
all’interno del doppio starato fosfolipidico:
Il recettore per le LDL include 700 aminoacidi extracellulari, un dominio transmembrana ad alpha
elica di 22 aminoacidi e una coda citoplasmatica di 50
aminoacidi.
1. Gli oligosaccaridi di una varietà di glicoproteine e glicolipidi sulla superficie esterna della
membrana plasmatica, interagiscono con elevata specificità e affinità con le lectine
nell’ambiente extracellulare.
2. I virus che infettano le cellule animali, come il virus dell’influenza, si legano alle glicoproteine
sulla cellula come primo passo dell’infezione.
3. Le tossine batteriche, come le tossine del colera e della pertosse, si legano a un glicolipide di
superficie prima di entrare in una cellula.
4. Alcuni batteri, come l’Helicobacter pylori, aderiscono e quindi colonizzano o infettano le cellule
animali.
5. Le lectine chiamate selectine nelle membrane plasmatiche di alcune cellule mediano
l’interazione cellula-cellula, come quelle dei linfociti T con le cellule endoteliali della parete
capillare durante una infezione.
Supporto meccanico
La miosina: è una lunga molecola che termina con due teste globulari ad una estremità, è composta da
due catene pesanti del peso molecolare di circa 230kDa; in prossimità della testa di ogni catena
pesante sono legate due catene leggere diverse fra loro, del peso molecolare di circa 20 KDa ciascuna;
la loro funzione è quella di legare lo ione calcio. L’estremità carbossilica della miosina è localizzata
nella coda ove le due catene pesante sono avvolte l’una sull’altra a formare una struttura ad alpha
elica. La regione globulare della testa della miosina contiene ATPasica che fornisce l’energia per il
processo di contrazione ed il sito di legame per l’actina.
L’actina: è la principale proteina dei filamenti sottili e costituisce circa il 20-25% delle proteine
muscolari, viene sintetizzata come proteina globulare dal peso molecolare di 42KDa. L’actina
neosintetizzata è detta actina G o globulare e presenta due domini distinti, maggiore e minore.
L’actina G contiene un sito di legame specifico per l’ATP ed un sito di legame ad alta affinità
per ioni metallici bivalenti come il Ca2+ ed il Mg2+. L’actina G è una molecola polare e si
aggrega per formare l’actina F (actina fibrosa) grazie all’aggregazione del complesso actina G-
ATP-Mg2+. L’aggregazione può avere luogo su entrambe le parti terminali del polimero, ma
principalmente avviene all’estremità del dominio maggiore.
polimerizzazione dell’actina
Troponina: è una proteina, implicata anche essa nel processo di contrazione muscolare, costituita da
tre subunità diverse con peso molecolare diverso:
•Tn-I(21KDa): è coinvolta nell’inibizione del legame dell’actina alla miosina in assenza di calcio.
Titina e Nebulina: queste due proteine sono necessarie per la stabilità strutturale di tutto il sarcomero.
La timina è un enorme proteina elastica che occupa tutta la distanza tra la distanza del disco Z che ha
la funzione elastica di agevolare il ritorno del sarcomero allungato alla sua lunghezza di riposo; la
nebulina che si lega all’actina contribuendo a mantenere il suo allineamento.
Le proteine integrali rappresentano la componete maggiore e tra die esse la proteina della banda 3 e le
glicofotine. Il dominio extracellulare di queste proteine è glicosilato, es esso è il responsabile della
componente antigenica (gruppi sanguini).
Le proteine della banda 3 fungono da canale passivo per lo scambio di anioni attraverso la
membrana, legare l’emoglobina e agire come ulteriore sito di ancoraggio per il citoscheletro.
Le proteine periferiche comprendono l’actina e le proteine della banda 4.1 e 4,9 e la tropomiosina,
mantengono la forma biconcava dell’eritrocita e controllano i movimenti delle proteine integrali di
membrana. L’ancoraggio della struttura citoscheletrica alla membrana dell’eritrocita avviene
attraverso una proteina chiamata ankyrina.
Il reticolo spettrina-actina conferisce resistenza, elasticità e flessibilità agli eritrociti, i quali circolano i
vasi spesso molto stretti e sono sottoposti a forze tangenziali che tendono a lacerarli.
Proteolipidi
Nel 1951, proteine solubili in solventi organici quali cloroformio-metanolo sono stati trovati nella
composizione della mielina nel cervello di ratto da Folch e Less e fu coniato il termine proteolipidi.
Possono essere definiti come tutte le proteine contenenti lipidi legati covalentemente, compresi acidi
grassi, isoprenoidi, e glicosil-fosfatidil-inositolo(GPI). Il termine proteolipidi non va confuso con quello
di lipoproteine, strutture deputate al trasporto di lipidi nel sangue, nelle lipoproteine i lipidi non sono
legati covalentemente alle proteine.
La mielina è composta da circa l’80% di lipidi e circa il 20% di proteine. Alcune delle proteine che
costituiscono la mielina sono:
Alla base del processo infiammatorio che sottende la Sclerosi Multipla vi è un attacco autoimmunitario
contro antigeni della mielina di questi oligodentrociti.
Acetilazione con un acido grasso: aggiunta di un acido miristico tramite un legame ammidico all’N-
terminale di una Gly, o un palmitato esterificato a una Cys.
Funzioni principali:
Catecolamine:
Istamina:
Serotonina: (5-idrossitriptamina)
o Mucosa intestinale
o Piastrine
o Sistema nervoso centrale
La serotonina ha un ruolo fondamentale nella regolazione del tono dell’umore, tant’è che i farmaci che
ne inibiscono la ricaptazione dal vallo sinaptico rappresentano i capostipiti nel trattamento dei
disturbi depressivi.
Melanina:
BIOSINTESI DELL’NO
Un po’ di storia…
Inizialmente gli enzimi vennero chiamati fermenti, soltanto nel 1835 Berzelius enunciò la prima teoria
della catalisi chimica. Nel 1877 si fece il primo uso del termine enzima. Attualmente sono stati
individuati più di 700 enzimi.
ENZIMI:
Gli enzimi sono delle proteine che hanno il compito di catalizzare le reazioni chimiche che avvengono
negli organismi viventi. Catalizzare nel senso di far avvenire la reazione in tempi che siano compatibili
con la vita. La funzione principale è quella di portare all’equilibrio le reazioni dell’organismo in tempi
brevissimi, il fatto che possano essere regolati fa si che l’organismo possa selezionare quali reazioni
devono essere accelerate e quali devono essere rallentate o bloccate, contemporaneamente non
possono essere “accesi” tutti i diversi metabolismi.
Caratteristica importante dell’enzima è quella di prendere parte alla reazione ma non viene modificato
dalla reazione e quindi può essere riutilizzato.
Una sola molecola di enzima è in grado di trasformare in 1 secondo migliaia di molecole di substrato in
prodotto. Una reazione catalizzata da un enzima può essere fino a 1000 volte superiore alla velocità
della stessa reazione non catalizzata. Un esempio è la scissione del glucosio che in assenza di un
catalizzatore richiederebbe una temperatura di 100°C e tempi lunghissimi, gli enzimi permettono una
rapida reazione all’interno del corpo umano. I catalizzatori vengono utilizzati per produrre alimenti ma
anche per la degradazione di alcune sostanze che possono essere tossiche.
I geni che controllano le reazioni biochimiche modulano gli enzimi, esistono numerose patologie che
derivano da un difetto di sintesi di alcuni enzimi, ad esempio la fenilchetonuria, il favismo. Le proteine
vanno incontro ad una loro degradazione, questo rientra anche nell’approvvigionamento degli
amminoacidi che poi servono per altri processi.
1
BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG04 – GLI ENZIMI
I catalizzatori:
Le caratteristiche degli enzimi sono: ottimizzare la resa tramite lo svolgimento solamente di reazioni
necessarie, la specificità degli enzimi fa si che avvengano reazioni indesiderate (solo un determinato
substrato andrà a reagire con il suo enzima), portare a termine la reazione in tempi brevi e il riutilizzo
dell’enzima. L’enzima tende a minimizzare gli sprechi in quanto non vengono prodotti dei sottoprodotti
(specificità di reazione dell’enzima con il proprio substrato), minimizzare
il dispendio energetico.
Gli enzimi favoriscono il raggiungimento dell’equilibrio, quindi catalizzano anche la reazione inversa. Se
B è il composto B è un substrato per una reazione successiva che da C, la prima reazione diventa
praticamente irreversibile.
Gli enzimi sono presenti liberi nel citoplasma o all’interno di organelli intracellulari come i mitocondri
o a livello della membrana plasmatica. Gli enzimi possono trovarsi in determinati tessuti od organi, in
patologia clinica l’espressione di determinati enzimi può determinare il rivelamento di un danno
d’organo. Gli enzimi si distinguono in:
arginina attraverso una classe di enzimi chiamati ossido nitrico-sintasi che posso essere di tipo
costitutivo o inducibile.
Oltre questo esempio possiamo dire che alcuni ormoni steroidei attraversano la membrana e possono
attraverso il legame con il recettore andare a livello nucleare e stimolare la sintesi di proteine o enzimi.
Esistono diversi tipi di classificazione degli enzimi: classificazione gerarchica istituita dal IUBMB
secondo il quale ogni enzima viene classificato a seconda della reazione che catalizza con un numero (EC
X.Y.Z.T) X= classe; Y= sottoclasse; Z= sotto-sottoclasse; T= numero dell’enzima nella sotto-sottoclasse.
Ad esempio: EC 1.1.1.1 (classificazione gerarchica) che rappresenta l’alcool deidrogenasi. Esistono poi
2 tipi di nomenclature: nome comune (alcool deidrogenasi, enizima che in presenza di NAD trasforma
l’alcool in un aldeide o chetone con la produzione del NADH) e il nome sistemico (alcool: NAD+
ossidoreduttasi,).
Gli enzimi generalmente sono proteine globulari che in soluzione assumono approssimativamente una
conformazione sferica. Nei casi più semplici la molecola enzimatica è formata da una singola catena
mentre negli enzimi più complessi ci possono essere più catene legate tra di loro. Possono essere
classificati in enzimi:
Molti degli enzimi hanno bisogno di cofattori per poter esplicare la loro funzione, tra i cofattori possiamo
distinguere: gli ioni metallici come il rame il ferro, e lo zinco; i coenzimi come il NAD+ e FAD+ che
derivano dalle vitamine.
4
BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG04 – GLI ENZIMI
Con apoenzima si definisce la parte dell’enzima inattiva che non può catalizzare una reazione, con
l’aggiunta del cofattore diventa un enzima attivo e prende il nome di oloenzima.
Una delle proprietà degli enzimi è che questi hanno una struttura flessibile. L’origine di questa proprietà
va ricercata nelle interazioni idrofobiche e ioniche responsabili della specifica conformazione spaziale
delle catene polipeptidiche. L’enzima non assume una sola struttura fisa ma esiste in una miscela di
forme in equilibrio tra loro, si parla in questo caso di un cambiamento strutturale indotto, che si
ripercuote di solito positivamente sull’attività catalitica. La flessibilità è importante per favorire
l’accesso dei ligandi ai siti attivi con successiva formazione di complessi con l’enzima.
parte molto piccola rispetto all’intera proteina, generalmente idrofobico quindi costituito da
amminoacidi idrofobici. Il sito catalitico inoltre ha i residui amminoacidici coinvolti nella catalisi.
Il sito attivo è formato dal sito catalitico e dal sito di legame, il sito catalitico è quello dove avviene la
trasformazione del substrato nei prodotti mentre il sito di legame è quello in cui gli amminoacidi
accolgono e legano il substrato, stabilizzano il substrato in modo tale che possa avvenire la reazione.
Questi tipi di legami sono deboli perché una volta avvenuta la reazione dovrà esserci il distaccamento
del prodotto e l’enzima che deve ricominciare una nuova reazione. Il sito attivo occupa una piccola parte
della proteina, tutto il resto della proteina da uno scheletro strutturale che garantisce il mantenimento
dei componenti del sito attivo nella conformazione tridimensionale necessaria ad una efficiente e
specifica catalisi.
• Gli enzimi non solo sono in grado di discriminare in base all’ identità chimica del substrato, ma anche
sulla base della sua configurazione geometrica e stereochimica.
• Ad esempio, se un enzima utilizza come substrato la forma D di uno zucchero, ne consegue che il
corrispondente stereoisomero L non sarà oggetto di reazione, se non in misura del tutto trascurabile.
Caratteristica specifica della catalisi enzimatica è che le reazioni avvengono all’interno del complesso
enzima-substrato. Per comprendere quindi il meccanismo di una reazione enzimatica è della massima
importanza conoscere sia la struttura dell’enzima nativo che quella di tutti i complessi che si formano
nel corso della reazione. Solo così sarà possibile arrivare alla identificazione degli aminoacidi coinvolti
nel legame con il substrato e quelli responsabili della catalisi
Meccanismi molecolari
• Catalisi acido-base
Stabilizzazione di intermedi carichi mediante trasferimento di ioni H+ o OH-, esempio: nel sito attivo di
un enzima possono essere presenti residui amminoacidici che fungono da donatori o accettori di
protoni.
• Catalisi covalente
Coinvolge interazioni deboli tra il metallo, gli amminoacidi della proteina, il substrato.
-catalisi acida quando c'è un trasferimento di ioni H+ dal catalizzatore (acido) al substrato
- catalisi basica quando c'è un trasferimento di ioni H+ dal substrato al catalizzatore (basico).
Nella regolazione proteolitica un enzima inattivo viene convertito irreversibilmente nella sua forma
attiva. Alcuni enzimi, infatti, vengono sintetizzati come precursori inattivi, detti zimogeni, e
successivamente attivati per rottura di uno o più legami peptidici specifici. L'attivazione proteolitica
avviene una volta soltanto nella vita di una molecola enzimatica.
La Vmax è quel valore che corrisponde all’asintoto. Per un primo tratto la curva forma quasi una retta,
quindi sono direttamente proporzionali le due grandezze, poi il grafico forma una curva che va a tendere
al di sotto dell’asintoto.
La velocità di reazione, cioè la quantità di prodotto che si forma nell’unità di tempo (essendo gran parte
dell’enzima libero) è direttamente proporzionale alla concentrazione del substrato (tratto rettilineo
iniziale della curva). Una volta raggiunta una certa concentrazione, quando tutte le molecole dell’enzima
risultano impegnate nel complesso ES, ogni ulteriore aumento substrato non fa più crescere linearmente
la quantità di prodotto. La velocità della reazione si stabilizza su un valore massimo di conversione in
prodotto e non è più condizionata da ulteriore aggiunta di substrato La velocità massima si raggiunge
nel momento in cui l’enzima è saturato dal substrato, ovvero il numero di molecole dell’enzima risulta
uguale al numero di molecole del complesso ES.
EQUAZIONE DI MICHAELIS-MENTEN:
(iperbole equilatera)
EQUAZIONE DI MICHAELIS-MENTEN
V=(Vmax [S])/Km, cioè la velocità è direttamente proporzionale alla concentrazione del substrato.
(primo tratto della curva)
Ad alte concentrazioni del substrato, quando [S] è molto più grande di Km si ha V=Vmax, cioè la
velocità è la massima, indipendentemente dalla concentrazione del substrato
Il significato di Km risulta evidente quando nell’equazione si pone [S] = Km, si ha V=Vmax/2, cioè
Km non è altro che la concentrazione del substrato a cui corrisponde metà della velocità massima
raggiungibile.
I valori di Km variano moltissima da enzima a enzima ed esprimono l’affinità che l’enzima ha per il
substrato I valori di Km sono indipendenti dalla concentrazione sia dell’enzima sia del substrato
All’esame potrà chiedere di disegnare la curva e di scrivere la Km, che si trova sull’asse x, la cui velocità
corrisponde a Vmax/2
[S] alla quale metà dei siti attivi dell’enzima sono occupati
d) conoscendo il valore della Km di un enzima, è possibile misurarne la Vmax ( [S]>>Km ) che è una
misura indiretta di [Etot].
Esempio: esochinasi e glucochinasi (due isoenzimi che catalizzano la stessa reazione, ma con valori di
Km differenti)
La esochinasi ha una km bassa, questo indica l’affinità dell’enzima per il proprio substrato, che in questo
caso è il glucosio. Troviamo l’enzima a livello muscolare, il muscolo ha bisogno di energia quindi a
concentrazioni piccole di substrato viene prodotta grande quantità di ATP
La glucochinasi, si trova a livello del fegato, la Km è alta, quindi affinità minore perché in questo caso
servono concentrazioni di glucosio più elevato in modo che l’organo possa smistare il glucosio in base
al suo destino, se diventare riserva o entrare nella glicolisi.
L'equazione di Michaelis-Menten può infatti essere manipolata per ottenere l'equazione di una retta in
cui Vmax e Km siano delle intercette e non più degli asintoti.
Uno dei metodi utilizzati è quello di Lineweaver-Burk o dei doppi reciproci che usa la forma reciproca
dell'equazione di Michaelis-Menten:
La velocità delle reazioni enzimatiche varia col crescere della temperatura secondo il grafico a campana.
All’inizio la velocità cresce all’aumentare della temperatura arrivando ad un massimo definita
temperatura ottimale, si riduce poi per effetto della denaturazione dell’enzima
La concentrazione degli enzimi viene determinata in base alla loro attività catalitica che si può
misurare il base alla velocità di consumo del substrato o velocità di formazione del prodotto.
Unità Internazionali (U) quantità di enzima che, in determinate condizioni (37°C), trasforma una
micromole di substrato in 1 minuto
ISOENZIMI
Sono enzimi che catalizzano la stessa reazione, ma che differiscono fra loro nella parte proteica della
molecola enzimatica e quindi presentano proprietà diverse (carica, solubilità, optimum di pH, affinità
per il substrato, ecc.)
Es. esochinasi e glucochinasi, stessa funzione ma si trovano in organi diversi, con proprietà diverse.
Principali modificazioni post-traslazionali degli enzimi che portano alla formazione di isoforme:
Enzimi dimerici:
3 combinazioni (AA, AB, BB = 3 isoenzimi).
es. creatin fosfochinasi (CPK)
Enzimi tetramerici:
5 combinazioni di A e B (AAAA, AAAB, AABB, ABBB, BBBB = 5 isoenzimi).
e.s. lattico deidrogenasi (LDH) trasforma l’acido lattico in acido piruvico
I diversi isoenzimi derivano molte volte da tessuti o organi diversi. Pertanto, se nel siero si riscontra
l’aumento di un’attività enzimatica, è possibile, attraverso la separazione dei diversi isoenzimi, stabilire
qual è l’isoenzima responsabile dell’aumento e accertare in tal modo qual è il tessuto da cui deriva,
elemento di importante significato diagnostico.
Gli isoenzimi possono essere separati e messi in evidenza con numerose tecniche basate
su:
generali = consentono di separare, e quindi di misurare, tutti i possibili isoenzimi presenti nel materiale
biologico
Specifici = misurano un singolo isoenzima di interesse diagnostico (specificità non sempre molto
pronunciata).
METODI GENERALI
Infarto nel miocardio: >LDH1 dopo 12-24 ore dall’inizio della sintomatologia che raggiunge il picco
massimo dopo 48-72 ore ed il livello si mantiene elevato per 7- 10 giorni.
Malattie epatiche (epatite virale, intossicazioni acute, necrosi epatica da agenti tossici): LDH5 e LDH4
INTRODUZIONE
In natura esistono proteine (globine) che interagiscono con l’O2 aumentandone la solubilità in acqua e
sequestrandolo per trasportarlo. Nei mammiferi queste proteine sono:
- Emoglobina Hb (P.M. 66500 Dalton)
- Mioglobina Mb (P:M 16500 Dalton)
Sono proteine globulari contenenti gruppo eme in grado di sequestrare l’ossigeno.
RUOLO DELL’EMOGLOBINA
È contenuta solo negli eritrociti e ha 3 funzioni:
1. Trasporta l’O2 dai polmoni ai tessuti periferici
2. Trasporta la CO2 dai tessuti periferici ai polmoni
3. Azione tampone sul pH del sangue
RUOLO DELLA MIOGLOBINA
Si trova nelle cellule del miocardio e del muscolo scheletrico e ha la funzione di immagazzinare l’O2 nel
citoplasma e di rilasciarlo ai mitocondri quando necessario, garantendo un veloce spostamento dell’O2
all’interno delle cellule muscolari.
Mioglobina ed emoglobina dal punto di vista evoluzionistico sono correlate poiché possiedono
strutture per il legame dell’ossigeno sostanzialmente identiche, tuttavia l’emoglobina è più efficiente
perché è in grado di trasportare ossigeno per il 90% delle sue capacità, mentre la mioglobina soltanto
il 7%.
Emoglobina e mioglobina sono proteine coniugate costituite da:
- Una parte proteica -> globina
- Un gruppo prostetico -> eme con sito per l’O2
STRUTTURA DELLA MIOGLOBINA
È una cromoproteina globulare costituita da una proteina legata non covalentemente col gruppo eme.
È costituita da una singola catena polipeptidica di 154 amminoacidi, ripiegata attorno a un gruppo
prostetico. Possiede una struttura terziaria e lega solamente una molecola di O2.
STRUTTURA DELL’EMOGLOBINA
È una proteina tetramerica (quindi con struttura quaternaria) formata da 2 subunità alpha (141 aa) e
2 subunità beta (146 aa). Le catene alpha e beta sono molto simili fra loro ma non identiche e
VARIANTI DELL’EMOGLOBINA
La variante più comune è l’Hb fetale (HbF9 costituita da 2 catene
alpha e 2 gamma. Subito dopo la nascita le catene gamma vengono
sostituite dalle beta. (N.B. è una condizione fisiologica). La sua
persistenza dopo la nascita costituisce una condizione patologica.
L’HbF ha un’affinità
per O2 leggermente
inferiore dell’HbA
(deviazione a Dx),
però non lega 2,3-BPG
per cui
funzionalmente
mostra un’affinità per
l’O2 maggiore (deviazione a Sx). l’effetto è benefico in
quanto consente al feto di “strappare” O2 al sangue
materno.
Varianti patologiche:
1. Emoglobinopatie: per indicare cambiamenti nella sequenza amminoacidica di una delle
catene della globina. Sono prodotte dalla sostituzione di un amminoacido. Sono conosciute
centinaia di mutazioni e la maggior parte riguardano la tasca idrofobica e la regione di contatto
alpha-beta. Circa la metà delle varianti è clinicamente silente, quelle che non lo sono spesso
sono letali per la proteina, di solito dannose o molto raramente vantaggiose.
HbC: dovuta alla sostituzione dell’acido glutammico con la lisina nella posizione 6 della catena
beta di Hb. Frequente nell’Africa occidentale (40% nord Ghana)
HbE: dovuta alla sostituzione dell’acido glutammico con la lisina nella posizione 26 della
catena beta di Hb. Frequente nel sud-est asiatico.
Test clinici
• Misura del Pb ematico (piombemia): il più specifico!!!
• Misura della protoporfirina: dal momento che il Pb inibisce la ALA-deidrasi e la ferrochelatasi si
accumulano acido delta aminolevulinico e protoporfirina; valori di quest’ultima >35 mg/dL ; Anche
nelle anemie da carenza di Fe
• Misura della inibizione di ALA-deidrasi
LE PORFIRIE
I difetti genetici della biosintesi dell'eme nel fegato e nelle cellule eritropoietiche sono detti porfirie.
Tutte le porfirie sono caratterizzate dall'escrezione di intermedi della sintesi dell'eme nelle urine, che
diventano rosse e dal loro deposito nei denti, che si colorano di rosso-bruno. L'accumulo di questi
prodotti nella pelle la rendono ipersensibile ai raggi solari. Altro sintomo associato alle porfirie è
sovente la crescita di una fine peluria sul volto ed alle estremità degli arti (lupo mannaro).
Le porfirie sono malattie legate alla mancanza di uno degli enzimi che convertono l’acido δ
amminolevulinico (ALA) nell’eme. Le porfirie sono classificate in eritroidi o epatiche a seconda della
sede anatomica maggiormente colpita. Ne erano affetti al Regina Mary Stuart e Re Giorgio III.
CATABOLISMO DELL’EME
• Citocromi
• Emoglobina contenuta nei globuli rossi invecchiati. L'eme non può essere riutilizzato, per cui viene
trasformato in bilirubina ed escreto. Il ferro, invece, viene conservato.
BILIVERDINA REDUTTASI
Biliverdina + NADPH-------->Bilirubina +NADP+
ENZIMI:
INIBIZIONE ENZIMATICA
Nella trattazione cinetica della inibizione enzimatica si applicano le assunzioni di Michaelis-Menten anche
all'inibitore
KI
E+I EI
Ogni sostanza che riduca la velocità di una reazione enzimatica è da considerarsi un
INIBITORE.
L’inibizione può essere IRREVERSIBILE o REVERSIBILE
È irreversibile quando l’inibitore e l’enzima si legano con legame molto forte per formare il complesso EI e la
reazione di ritorno risulta molto lenta o non avviene per niente in quanto l’enzima è inattivato e non è più in
grado di legare il substrato normale.
Oppure quando l’inibitore irreversibile dissocia molto lentamente dal suo enzima bersaglio perché risulta
strettamente legato all'enzima, sia covalentemente o non covalentemente.
Un inibitore reversibile forma legami non covalenti e transitori con l’enzima.
La formazione reversibile di un legame non covalente con una molecola diversa dal substrato porta alla
formazione di complessi anomali, non produttivi, che non fanno parte del normale processo catalitico.
L'enzima acetilcolinesterasi (AchE) è deputato alla scissione dell'acetilcolina (Ach) in colina e acido acetico.
La molecola DFP, inibisce irreversibilmente sistemi biologici formando un complesso enzima-inibitore con uno
specifico gruppo OH della serina situata nei siti attivi di alcuni enzimi.
Gas nervini come diisopropylfluorophosphate (DFP) inibiscono il sito attivo dell’enzima acetilcolinesterasi.
Gli organofosforici (OP) sono tra gli insetticidi più utilizzati in agricoltura, in veterinaria, ma anche negli ambienti
domestici, di lavoro etc.
Gli OP costituiscono una classe estremamente vasta di composti con proprietà chimico-fisiche differenti tra di
loro, tutti accomunati dal medesimo meccanismo d'azione: l'inibizione irreversibile dell'enzima
acetilcolinesterasi (AchE).
A) Inibizione competitiva.
Un inibitore competitivo è una sostanza che si lega all'enzima libero, impedendo così la formazione del
complesso enzima-substrato (ES). Esso può essere un analogo non metabolizzabile del substrato, un substrato
alternativo per l'enzima o un prodotto di reazione.
B) Inibizione non-competitiva.
In un tipico sistema di inibizione non-competitiva l'inibitore non ha alcun effetto sul legame del substrato con
l'enzima, ed il substrato non ha alcun effetto sulla formazione del legame tra inibitore ed enzima, in quanto
entrambi si legano reversibilmente all'enzima in siti differenti
C) Inibizione acompetitiva.
Il tipico inibitore acompetitivo è una sostanza che si lega reversibilmente al complesso ES dando origine al
complesso non produttivo ESI.
Competitiva
Un inibitore competitivo può legarsi unicamente all'enzima libero (E). Nel modello classico substrato e inibitore
competono per lo stesso sito sull'enzima.
Nell'inibizione a feedback accade spesso che l'inibitore si leghi ad un sito diverso, inducendo nell'enzima una
modificazione conformazionale che altera la struttura del sito attivo, in modo tale da impedire il legame del
substrato.
La presenza dell'inibitore ha un effetto solo
sulla Km, che aumenta all'aumentare della
[I]: l'affinità dell'enzima per il substrato
diminuisce.
Può essere
metabolizzata: non è
tossica per
l’organismo
Può essere utilizzato come inibitore competitivo dell’alcool-deidrogenasi neicasi di intossicazione da metanolo, se utilizzato subito rimuove il METOH dal
Può essere utilizzato come inibitore competitivo dell’alcool-deidrogenasi nei casi di intossicazione da metanolo,
se utilizzato subito rimuove il METOH dal sito attivo dell’enzima.
L’inibitore competitivo è una sostanza che si lega all'enzima libero, impedendo così la formazione del complesso
enzima-substrato.
Può essere un analogo non metabolizzabile del substrato, un substrato alternativo per l'enzima o un prodotto di
reazione.
Inibizione non-competitiva
Inibizione acompetitiva
Numerose molecole che si comportano come INIBITORI DI ENZIMI sono usati come FARMACI.
Esempi di farmaci come inibitori di enzimi:
• antinfiammatori;
• antibiotici;
• trattamento dell’ipercolesterolemia; ù
• chemioterapici
Inibitori dell’enzima HMG-CoA Reduttasi (partecipa alla sintesi del colesterolo) per
il trattamento della ipercolesterolemia.
(Farmaci: atorvastatin; pravastatin)
Inibitori degli enzimi Ciclo-ossigenasi come antiinfiammatori, (Farmaci: aspirina, ibuprofen, ketoprofen).
Abbassano i livelli di colesterolo inibendo l’HMG-CoA reduttasi (Idrossi Metil Glutaril-CoA reduttasi), enzima-
chiave nella sintesi del colesterolo
Antiinfiammatori
Meccanismo d’azione dei farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS)
Gli enzimi inibiti sono le ciclo-ossigenasi (COX-1 e COX-2) coinvolte nella sintesi di molecole pro-infiammatorie
Sia la COX-1 che la COX-2 esistono come dimeri
Il substrato, acido arachidonico, giunge sul sito catalitico veicolato da un canale idrofobico.
L’aspirina acetila in modo irreversibile un residuo di Serina, che è vicino al sito catalitico.
Questa interazione previene l’accesso del substrato al sito catalitico dell’enzima.
Inibitori α–glicosidasi
•L’α–glicosidasi è un enzima della famiglia delle idrolasi, che ha il compito di scindere gli zuccheri complessi
(amido, oligosaccaridi e disaccaridi) in monosaccaridi e permettere così il loro assorbimento da parte della
mucosa intestinale.
•Questo enzima è localizzato sull’orletto a spazzola del tratto prossimale dell’intestino tenue.
Gli inibitori dell' α-glicosidasi sono farmaci antidiabetici che, non essendo assorbiti a livello sistemico (quota di
farmaco assorbita <2%), svolgono la loro azione a livello intestinale mediante l'inibizione dell'enzima α-
glicosidasi, presente sull'orletto a spazzola degli enterociti che rivestono i villi intestinali.
In tal modo impediscono all'enzima di scindere i disaccaridi e gli oligosaccaridi in monosaccaridi assorbibili,
rallentando così la digestione dei carboidrati e di conseguenza attenuando i picchi glicemici postprandiali.
La Penicillina inattiva irreversibilmente la glicopeptide transpeptidasi, enzima chiave della sintesi del
peptidoglicano della parete batterica.
La conformazione della penicillina può entrare facilmente nel sito attivo dell’enzima dove si lega molto
stabilmente, appena l’enzima tenta di rompere il legame peptidico contenuto nella molecola di penicillina, questa
si lega covalentemente e quindi irreversibilmente al sito attivo dell’enzima stesso inibendo la sintesi della parete
batterica.
L’Allopurinolo è un farmaco utilizzato principalmente per trattare iperuricemia (eccesso di acido urico nel
plasma sanguigno) e le sue complicanze, tra cui la gotta cronica.
Si tratta di un inibitore della xantina ossidasi che viene somministrato per via orale.
Gli enzimi inducibili sono quelli i cui geni sono espressi soltanto in un determinato stadio dello sviluppo o in
particolari condizioni fisiologiche.
Alcuni ormoni hanno effetti a lungo termine e regolano la sintesi proteica tra cui quella di diversi enzimi.
Per es. in seguito a un aumento della glicemia, come avviene nel periodo post-prandiale, si ha un aumento dei
livelli di insulina che induce nel fegato la espressione della glucochinasi.
Enzimi allosterici
Enzimi che hanno quasi sempre una struttura quaternaria (più subunità polipeptidiche) e possiedono, oltre al
sito attivo in una subunità, anche un altro sito (sito regolatore) in un’altra subunità, al quale si lega una molecola
detta effettore (o modulatore che può essere negativo o positivo).
Nella maggior parte dei casi gli enzimi allosterici sono enzimi polimerici che mostrano anche l’effetto
cooperativo.
Allosterismo: cambiamento conformazionale che si verifica in una catena polipetidica, in risposta ad una
interazione ligando-sito allosterico.
Cooperatività: il cambiamento conformazionale di una catena, indotto dall’interazione con un effettore, a sua
volta, induce una catena adiacente ad assumere una nuova conformazione con una diversa affinità per il ligando
effettore o per un secondo ligando.
L’enzima glicogeno fosforilasi è coinvolta nella demolizione del glicogeno. Esiste come dimero e risponde
allostericamente all’ATP e all’AMP
L’ATP è un inibitore, l’AMP un attivatore.
In alcune vie metaboliche l’enzima regolatore viene inibito in modo specifico dal prodotto finale della via, quando
tale prodotto si accumula oltre le necessità delle cellule.
L’enzima allosterico è in genere il primo della via metabolica.
Questa inibizione si chiama inibizione retroattiva o inibizione da prodotto (meccanismo a feedback).
2,3 BIFOSFOGLICERATO
Effettore allosterico dell’emoglobina
Aumentando la concentrazione di 2,3-DPG nel sangue, aumenta ulteriormente l’efficienza del trasporto.
Quando si va in alta quota (>4000m) dopo poche ore aumenta [DPG] per adattare la respirazione alla minore
pressione di ossigeno.
Una situazione analoga si crea in soggetti che soffrono di ipossia dovuta ad una minore ossigenazione dei tessuti
Enzima attivo
Esempi:
Chimotripsinogeno →chimitripsina
Tripsinogeno →tripsina
Pepsina (pepsinogeno), elastasi (proelastasi), carbossipeptidasi
(procarbossipeptidasi), trombina (protrombina)
SEQUENZA
SEGNALE
PEPTIDE C
Modulazione covalente reversibile: fosforilazione del gruppo –OH di serine, treonine o tirosine
Molti enzimi possono essere regolati mediante fosforilazione e defosforilazione di alcuni residui di
serina, treonina e tirosina presenti nella catena polipeptidica.
Questa modificazione covalente induce nella proteine una variazione
di conformazione che può aumentare o inibire l’attività catalitica
dell’enzima
Esempio:
glicogeno fosforilasi (enzima coinvolto nella demolizione del glicogeno)
• FOSFORILAZIONE
• L'acetilazione reversibile di residui N-terminali di lisina in diverse posizioni provoca alterazioni della
struttura del nucleosoma, e altera le interazioni istoni - DNA, facilitando l'accesso a fattori di trascrizione.
• Gli enzimi Istone acetil transferasi (HAT) e istone deacetilasi (HDAC) regolano il livello di acetilazione
degli istoni.
I cofattori possono essere rappresentati da: ioni metallici (es. Cu2+, Fe3+, Zn2+) o coenzimi (es. NAD+,
FAD+). Molti enzimi ben conosciuti utilizzano infatti ioni metallici specifici per svolgere correttamente
la loro funzione catalitica. Infatti, enzimi come esochinasi, glucosio 6-fosfatasi impiegano Fe3+ e Fe2+;
mentre l’alcol deidrogenasi, anidrasi carbonica, catalasi e perossidasi impiegano Zn2+.
A seconda del legame che viene stabilito tra cofattore e enzima che ne fa uso, i coenzimi si possono
definire:
• Cosubstrati: quando i cofattori sono associati all’enzima specifico che ne fa uso solo
temporaneamente
• Gruppi prostetici: cofattori risultano associati al loro enzima in modo permanente anche
mediante legami covalenti
Normalmente la proteina cataliticamente inattiva viene considerata come apoenzima, quando questa
forma un complesso enzima-cofattore catalicamente attivo dà origine a un oloenzima
I COENZIMI
I coenzimi operano come trasportatori temporanei di specifici gruppi funzionali
e possono essere necessari al funzionamento di enzimi che si servono anche di
cofattori (soprattutto ioni metallici).
Con gli alimenti vegetali e animali assumiamo elementi chimici alcuni dei quali fungono da cofattori
metalli cima non solo, con gli alimenti assumiamo anche vitamine idrosolubili da cui ricaviamo i
coenzimi. In particolare i nutrienti che vengono assunti tramite la dieta possono essere distinti in due
classi ovvero: nutrienti energetici (carboidrati, grassi e proteine) e nutrienti non energetici
(vitamine, Sali minerali, acqua). Gli alimenti vegetali invece sono principalmente ricchi in fibre vegetali
e fitonutrienti tra cui polifenoli, carotenoidi, fitosteroli, fitoestrogeni ecc.
BIOCHIMICA–Biochimica generale BCG07– I COENZIMI
L’interesse per lo studio delle vitamine inizia circa un secolo fa (1911) con le osservazioni fatte in Asia
a proposito del Beriberi, una malattia neurologica e cardiovascolare. Questa malattia colpiva quelle
regioni in cui alla base dell’alimentazione c’era il riso brillato (cioè il riso che era stato privato della
cuticola esterna).
Kazimierz Funk, un medico biochimico polacco isolò dalla parte esterna dei cereali - tra cui il riso - una
sostanza presente in tracce e contenente azoto. La molecola che fu chiamata TIAMINA (Vitamina B1 ),
era in grado di curare i pazienti affetti da Beriberi. Su questa base, il biochimico dedusse che il Beriberi
era correlato con una carenza di tiamina e coniò il termine vitamina = amina della vita
Successivamente il termine “vitamina” è stato utilizzato per indicare composti organici biologicamente
attivi e essenziali (anche se non sempre contenenti azoto) per lo svolgimento di numerose reazioni
chimiche
LE VITAMINE
Le vitamine non vengono ossidate dall’organismo per fornire energia e non fanno parte integrante
della struttura delle cellule. Queste servono allo svolgimento di specifiche funzioni cellulari, in
particolare, le vitamine idrosolubili sono utilizzate come precursori di coenzimi nel metabolismo
intermedio. Le vitamine sono divise in 2 grandi gruppi:
• Liposolubili: vitamine A, D, E, K
• Idrosolubili: vitamine del complesso B, vitamina C
A loro volta le vitamine idrosolubili si distinguono in vitamine del complesso B e vitamine non del
complesso B.
Le vitamine del complesso B sono implicate: nel metabolismo cellulare tra cui la tiamina (vitamina
B1), riboflavina (vitamina B2), niacina (vitamina B3), biotina, acido pantotenico; coinvolte
nell’emopoiesi tra cui acido folico e vitamina B12 e coinvolte in altri processi tra cui piridossina
(vitamina B6), piridossale e piridossamina
Le vitamine non del complesso B invece comprendono l’acido ascorbico ovvero la vitamina C
Le vitamine sono sostanze organiche, di diversa natura chimica necessarie agli organismi animali in
piccolissime quantità per lo svolgimento del metabolismo cellulare. In seguito all’evoluzione, gli
animali hanno perso la capacità di sintetizzarle perciò devono essere assunte con gli alimenti.
Nonostante questo una piccola quota (parte delle vitamine del complesso B, PP, K) è prodotta dalla
nostra flora batterica (i trattamenti antibiotici prolungati possono ridurre la flora batterica)
Di ogni vitamina si può valutare lo stato nutrizionale: gli alimenti ricchi di vitamine idrosolubili
subiscono un assorbimento intestinale e successivamente raggiungono il fegato in cui le vitamine
possono essere convertite in forme coenzimatiche ed esplicano i loro ruoli fisiologici. Quindi o
raggiungono cellule e tessuti periferici dove i coenzimi esplicano i loro ruoli fisiologici oppure vengono
eliminate per escrezione attraverso i reni
Molte delle reazioni per le quali sono richieste vitamine sono comuni alla maggior parte delle cellule
dell’organismo.
Le vitamine del gruppo B hanno un ruolo fondamentale come coenzimi all’interno del nostro
organismo infatti per esempio:
La carenza di tiamina comporta il Beriberi, questa consiste in disturbi a carico del sistema nervoso
centrale e periferico, dell’apparato digerente e cardiovascolare. Polineurite diffusa (alterazioni
motorie e sensoriali), crampi muscolari, atrofia muscolare insufficienza cardiaca (Asia-riso brillato).
La carenza di niacina comporta la Pellagra la quale si manifesta con lesioni a carico della mucosa della
bocca, lingua e pelle. Comporta disturbi intestinali e neurologici
La carenza di vitamina B12 comporta Anemia perniciosa dovuta dall’arresto della maturazione dei
globuli rossi. Altri sintomi caratteristici sono glossite, demielinizzazione delle fibre nervose del
midollo spinale.
Il fabbisogno nutrizionale (RDA, recommended Daily Allowance) o dose giornaliera consigliata per
quanto riguarda le vitamine, è riportato nella tabella sottostante:
BIODISPONIBILITA’: nei cereali (mais) è poco disponibile perché legata covalentemente a carboidrati
complessi a formare niacitina, e in minor quantità ai peptidi formando niacinogeni. Per cui diventa
disponibile solo a seguito di trattamento in ambiente basico, per esempio con ossido di calcio.
La tostatura dei chicchi di caffè trasforma la trigonellina (acido1-metil nicotinico) in acido nicotinico
(niacina).
NAD+ E NADP+
CARENZA: Data la diffusione della vitamina in natura la deficienza è rara e da rapportarsi a gravi
mancanze alimentari o ad alterazioni dell'assorbimento intestinale.
Non si hanno fenomeni di ipervitaminosi, perché la vitamina in eccesso è eliminata con le urine fino a 7
mg/giorno.
Mentre il NAD+ è utilizzato primariamente nei processi catabolici (reazioni di ossidazione del
metabolismo), il NADP+ viene utilizzato nei processi anabolici (reazioni riduttive), particolarmente
nelle reazioni di biosintesi di lipidi ed acidi nucleici. La forma ridotta (NADPH) viene generata
principalmente nella via dei pentoso fosfati (shunt dei pentosi).
Le concentrazioni delle due forme di NAD+ sono regolate dalle interazioni esistenti fra mitocondri e
citoplasma e dagli equilibri delle varie reazioni ossido riduttive. Nel citoplasma il rapporto
[NAD+]/[NADH] è nettamente a favore della forma ossidata, mentre nella matrice mitocondriale ha un
valore molto più basso. Infatti, il ciclo dell’acido citrico e la β-ossidazione degli acidi grassi, che si
svolgono nei mitocondri, producono NADH a una velocità superiore a quella della catena di trasporto
degli elettroni che ossida nuovamente il NADH. I valori del rapporto tra le concentrazioni di NAD e di
NADH sono in grado di fornire un quadro sullo stato ossidoriduttivo di una cellula
[Le ossidoriduzioni sono dei processi in cui vengono accoppiate una reazione di ossidazione e una
riduzione: l’ossidazione è il processo attraverso cui l’atomo perde elettroni, mentre una riduzione è il
processo attraverso cui l’atomo acquista elettroni]
Essa viene assorbita nell'intestino tenue e trasportata nel fegato e in altri tessuti, dove a livello
cellulare viene convertita nelle forme attive: FlavinMonoNucleotide (FMN) e
FlavinAdeninDinucleotide (FAD)
La riboflavina diviene costituente essenziale delle flavoproteine
FMN
FUNZIONE: Permettono l’attività catalitica di enzimi coinvolti in reazioni redox incluse, ad esempio,
nel Ciclo di Krebs e nella catena respiratoria.
Catena respiratoria:
Esempio di reazione del ciclo di Krebs:
In realtà anche nella β-ossidazione degli acidi grassi sono implicate delle deidrogenasi FAD dipendenti
DEFICIENZA: comporta diminuita capacità di produrre energia. La carenza è rara nel nostro Paese e
determina estese conseguenze: un arresto della crescita, debolezza agli arti inferiori, parestesie e una
sindrome simile alla pellagra (lesioni delle mucose e dell'epitelio dell'occhio e dell'apparato
gastrointestinale). La ragione biochimica sta nell’accumulo di metaboliti intermedi nei tessuti, per
alterazioni dei processi ossidativi cellulari
Il coenzima PLP viene introdotto nell’organismo sotto forma di piridossina (vitamina B6 ) che per
successiva fosforilazione e ossidazione si trasforma in piridossalfosfato. Viene assorbita nell'intestino
tenue mediante trasporto attivo ATP-dipendente, trasformata nelle forme coenzimatiche attive e
trasportata nel fegato e in altri tessuti, legata all’albumina oppure all’emoglobina (in questo caso si
trova all’interno dei globuli rossi).
Il gruppo ossidrile, unitamente alla funzione aldeidica e all’azoto presente nel ciclo
è responsabile dell’attività catalitica del cofattore Il gruppo amminico di un
amminoacido attacca il gruppo aldeidico per formare un’immina (base di Schiff)
TRANSAMINAZIONI
Le reazioni di transaminazione, ovvero le prime tappe del metabolismo
aminoacidico, usano come coenzima il piridossal fosfato.
Il piridossal fosfato forma una base di Shiff con un residuo di Lys della transaminasi
Ad eccezione di lisina, treonina, prolina e idrossiprolina tutti gli amminoacidi possono essere
transaminati. Sono reazioni reversibili e catalizzate dalla transaminasi in presenza del PLP quale
coenzima che agisce quale trasportatore di gruppi amminici in quanto esso accetta il gruppo amminico
dall’amminoacido per formare un piridossamina fosfato che a sua volta dà il gruppo amminico al
chetoacido.
DOVE SI TROVA: negli organi animali è presente la forma attiva fosforilata (PPLP e PMP), mentre nei
tessuti vegetali è presente la forma defosforilata piridossina
RICHIESTA NUTRIZIONALE: La buona utilizzazione delle proteine assunte con la dieta dipende molto
dalla presenza di vitamina B6
Adulto: 1,5 mg/100 g di proteine assunte
Bambini: 0,3-0,8 mg/100 g.
In gravidanza/allattamento si consiglia di aumentare la dose del 20/30%, rispettivamente
• ACIDO LIPOICO
Acido lipoico
L’acido lipoico (25-100µM) induce attività antiossidanti di vari enzimi tra cui: la catalasi (+55%),
superossido dismutasi, glutatione reduttasi, glutatione perossidasi, glutatione transferasi. Questo
porta a un effetto dose dipendente. Parallelamente l’acido lipoico riduce l’accumulo dei ROS (-55%).
Con l’invecchiamento si realizzano processi di perossidazione dei lipidi sulle membrane cellulari e
mitocondriali sia l’ossidazione delle proteine e del DNA. Nel caso dei lipidi vengono sottratti da essi
atomi di H. Ciò causa una diminuzione di agenti antiossidanti endogeni e inoltre potrebbe causare
patologie come il cancro, malattie cardiovascolari o cataratta. La manifestazione di queste malattie
provoca essa stessa la maggiore perossidazione dei lipidi.
La presenza di acido lipoico permette di ridurre questo effetto di per ossidazione e inibisce l’HMG CoA
reduttasi (sintesi del colesterolo).
DOVE SI TROVA: L’acido a-lipoico è solitamente presente in maggiori quantità nei tessuti che sono più
ricchi di mitocondri, ovvero i tessuti a maggiore attività metabolica. Le principali fonti dell’ALA sono la
carne rossa e alcune frattaglie, in particolar modo il cuore e il fegato. Ne sono particolarmente ricchi
anche i broccoli e gli spinaci.
FUNZIONI: l’ALA è un potente antiossidante endogeno che svolge principalmente tre funzioni: agisce
come antiossidante, come coenzima del metabolismo energetico cellulare e come
antinfiammatorio
• Azione antiossidante: Essendo una molecola anfifilica, l’ALA è l’unico antiossidante in grado
di svolgere la propria attività sia in fase acquosa che lipidica. Grazie alla sua attività di
coenzima è inoltre in grado di rigenerare altri antiossidanti fondamentali quali la vitamina C, la
vitamina E, il coenzima Q e il glutatione
• Azione sul metabolismo energetico: l’ALA è cofattore per numerosi enzimi che partecipano
al processo di conversione del glucosio, degli acidi grassi e delle altre fonti energetiche in ATP
(per esempio, piruvato deidrogenasi, alfachetoglutarato deidrogenasi). La disponibilità di ALA
a livello cellulare aumenta l’efficienza del ciclo di Krebs. La supplementazione con l’ALA
aumenta la biosintesi di ATP e le disponibilità energetiche e autoriparative delle cellule, ha
effetto ipoglicemizzante, in quanto stimola l’uptake del glucosio nelle cellule muscolari
mimando l’azione dell’insulina e infine aumenta l’uptake di glucosio a livello del nervo,
aumentando di conseguenza l’energia a disposizione della cellula nervosa, anche grazie alla sua
attività di coenzima nel metabolismo energetico cellulare.
DOVE SI TROVA: ubiquitario da cui il nome (dal greco pantos). Si trova, in particolare, nel fegato, nel
lievito di birra, crusca di frumento, semi di sesamo, pappa reale. In minor misura: semi di girasole,
soia, uova, piselli secchi, farina integrale di grano saraceno e nei legumi.
RICHIESTA NUTRIZIONALE: non ben definito. Ci si orienta su di una dose giornaliera di 5-10 mg.
Coenzima A
È un attivatore metabolico degli acidi carbossilici. Aiuta nel trasferimento degli acidi grassi dal
citoplasma a mitocondri e catalizza tutte le reazioni di trasporto di acili. Tale trasporto si realizza per
la formazione di tioesteri tra il -COOH dell’acido ed il - SH del Coenzima A. Risulta perciò un donatore
di acetato nelle proteine (processo che fa parte anche della trasduzione del segnale) L’energia per la
formazione del legame C-S deriva dall’ATP Il legame C-S degli acil-CoA è ad alto contenuto energetico.
UTILIZZI:
DOVE SI TROVA: carne fresca: fegato, nel rene, nel cervello e nell'intestino; le uova i legumi; i cereali
integrali; le verdure a foglia verde; la frutta; il latte; il lievito di birra.
La tiamina, una volta assunta con gli alimenti, si presenta nell'intestino in forma libera o come
fosfoestere, nel qual caso viene poi sottoposta ad idrolisi dalle fosfatasi.
I processi di assorbimento avvengono per lo più a livello del duodeno e diminuiscono lungo il tenue.
Una volta entrata negli enterociti, la tiamina viene liberata nel plasma o in forma libera o coniugata
con un gruppo fosfato (tiamina monofosfato).
Una volta arrivata nei tessuti essa viene fosforilata a tiamina pirofosfato, la forma attiva, dalla tiamina-
pirofosfato sintetasi.
La tiamina è poco immagazzinata nell'organismo, per cui la sua mancanza nella dieta causa problemi
metabolici, in particolare a livello del metabolismo dei carboidrati, già in pochi giorni si rivela un
aumento plasmatico degli α chetoacidi (acido piruvico e acido lattico) ed abbassamento dell'attività
transchetolasica degli eritrociti.
La carenza cronica di tiamina provoca alterazioni del sistema nervoso, problemi cardiovascolari e
gastrointestinali (beri-beri) (problema ancora presente in alcune popolazioni dell'Asia Orientale
facenti uso di riso brillato) Nella fase precoce il deficit determina astenia, irritabilità, turbe della
memoria, disturbi del sonno, anoressia, disturbi addominali e costipazione
Altre sindromi da carenza di tiamina sono particolarmente diffuse tra gli alcolisti, in quanto
l'assunzione di alcool ne fa diminuire l'assorbimento.
Biotina
Venne scoperta a seguito di alcuni studi riguardanti le alterazioni cutanee e della crescita verificatesi
in animali nutriti esclusivamente con albume d'uovo crudo o proteine da esso estratte.
Il suo primo nome (vitamina H) deriva dalla parola tedesca HAUT pelle, perché sui topi da
esperimento dimostrò un’attività protettrice della pelle.
Folati o Vitamina B9
• l’ACIDO FOLICO rappresenta la forma ossidata, stabile al calore e all’ossidazione, della vitamina, e
identifica la molecola di sintesi presente nei formulati vitaminici e aggiunta negli alimenti cosiddetti
fortificati.
Tale processo avviene attraverso due reazioni di riduzione dell’acido folico catalizzate dalla
tetraidrofolato reduttasi.
L’acido folico è coenzima di enzimi coinvolti nel trasferimento di unità monocarboniose che includono
alcune fasi del metabolismo degli amminoacidi e delle basi azotate. Coinvolto nella formazione del
principale agente metilante S-adenosilmetionina (SAM).
SINTESI DEL TIMILIDATO catalizzata dalla timidilato sintasi limitante per la replicazione del DNA, e
dipendente dalla disponibilità del metilene FH4 coenzima donatore del gruppo metilico.
OMOCISTEINA/METIONINA
L’omocisteina è un aminoacido non proteico prodotto dal metabolismo della metionina, un aminoacido
solforato essenziale che viene introdotto nel nostro organismo con la dieta.
Aspetti Clinici
PREVENZIONE DEL CANCRO Folato come agente citoprotettivo Regola stabilità DNA;
DIFETTI DEL TUBO NEURALE sistema nervoso centrale si forma fra il 20° e il 28° giorno dal
concepimento;
ALCOLISMO CRONICO ipotizzato che acetaldeide o l’enzima aldeide ossidasi aumenti l’ossidazione del
folato;
FUNZIONI MENTALI (depressione) Alterazioni nei sistemi di metilazione del sistema nervoso centrale.
Associata a bassi livelli di serotonina;
DONNE IN GRAVIDANZA Chi è a rischio di sviluppare carenza per l’aumentata richiesta di unità
monocarboniosa e sintesi di DNA. Rischio di parto pretermine, minor peso alla nascita, fino a
complicazioni di gravidanza ed aborto spontaneo;
ANEMIA MEGALOBLASTICA Carenza di folati risulta nella inibizione del ciclo cellulare. Anche disturbi
gastrointestinali.
Negli anni ‘40 Mitchell isolò dalle foglie di spinaci una sostanza attiva contro alcune forme di anemia e
la chiamò acido folico dal latino folium. Ogni giorno bisogna scegliere alimenti fonti di folati, come
frutta, insalate, ortaggi cotti, legumi cotti e alimenti di origine animale.
I folati pur trovandosi in abbondanza nelle verdure a foglia verde (broccoli, asparagi, spinaci, lattuga),
nei legumi (ceci) e in alcuni frutti (fragole e frutta secca), hanno una ridotta biodisponibilità.
Ma è possibile raggiungere il fabbisogno giornaliero con dosi di frutta e verdura distribuite nell’argo
della giornata.
Il meccanismo delle reazioni catalizzate dai coenzimi della vitamina B12 consiste nello scambio
intramolecolare tra un atomo di H ed un gruppo legato a due atomi di C adiacenti.
- Metilcobalammina (MeCbl)
La cobalamina venne isolata e caratterizzata a seguito di una serie di ricerche in merito all'anemia
perniciosa. Nel 1926 si scoprì che nel fegato vi è un fattore capace di curare tale patologia ed esso
venne isolato e cristallizzato nel 1948. La struttura della vitamina B 12 venne chiarita nel 1956.
La vitamina B 12 è una sostanza di colore rosso, formata da un anello corrinico (composto da 4 anelli
pirrolici e tre ponti metinici) con al centro un atomo di cobalto coordinato da quattro atomi di azoto. Il
cobalto presenta, inoltre, due legami di coordinazione perpendicolari rispetto al piano dell'anello.
Il primo con una molecola di 5,6-dimetilbenzimidazolo legata, a sua volta, ad un ribosio 6 fosfato.
- 5-deossiadenosile (5’-deossiadenosilcobalamina)
-conversione di metilmalonil CoA in succinil CoA tramite l'enzima metilmalonil CoA mutasi
DOVE SI TROVA:
La vitamina B12 è prodotta da microrganismi, quindi non è presente negli alimenti vegetali tranne
quando questi sono contaminati da materia fecale. La fonte di vitamina negli alimenti di origine
vegetale dipende dall’ingestione da parte dell’animale dei microrganismi contenenti vitamina B 12. Si
trova nel fegato, nel latte intero, nelle uova, nella carne di maiale e di pollo, nelle ostriche e nei
gamberetti.
CARENZE
-Anemia megaloblastica (presenza nel midollo ed a volte anche nel circolo sanguigno, di megaloblasti
abnormi);
-Disturbi gastrointestinali.
È stato visto che l'assunzione di alte quantità di vitamina C (>1 g) possono, col tempo, generare stati
carenziali di cobalamina. Ciò avviene in quanto, in alte dosi, la vitamina C, in presenza di ferro, si può
comportare da ossidante e formare radicali liberi che danneggiano la cobalamina.
La sua storia si riallaccia a quella dello SCORBUTO una patologia legata ad una carenza di tale
composto nella dieta.
Nel XVI secolo era noto, soprattutto presso popolazioni marinare, che lo scorbuto poteva venir curato
e prevenuto dall'assunzione di verdure e frutta fresca. Tuttavia la prima prova di ciò venne nel maggio
del 1747 ad opera di un chirurgo della marina reale inglese, James Lind. Egli prese 12 membri
dell'equipaggio affetti da scorbuto e li divise in sei gruppi da due persone ciascuno. Ad ogni gruppo
fece assumere, oltre alle normali razioni alimentari, un composto particolare sidro, acido solforico,
aceto, spezie ed erbe, acqua di mare, arance e limoni I risultati ottenuti permisero di dimostrare che
effettivamente quest'ultima aggiunta permette di prevenire l'insorgere dello scorbuto.
Nel XVIII e XIX secolo venne usato il termine di antiscorbutico per tutti quei cibi che erano in grado di
prevenire la comparsa dello scorbuto. Tra essi, oltre ai limoni, alle arance ed ai lime, vi sono anche i
crauti, il cavolo salato, il malto ed il brodo Pare che James Cook per il suo famoso viaggio
d'esplorazione, abbia utilizzato i crauti.
L'acido ascorbico esiste in due forme enantiomere ma solo una è la vitamina C. La vitamina C assunta
con la dieta viene assorbita a partire dalla bocca, nello stomaco e soprattutto a livello dell'intestino
tenue grazie ad un processo di diffusione passiva dipendente da sodio.
Questo sistema è molto efficiente soprattutto per basse dosi della vitamina. Via via che la
concentrazione di acido ascorbico cresce, il sistema di assorbimento si riduce di efficienza fino a valori
del 16%. Nel plasma la vitamina circola per il 90-95% come acido ascorbico e nel 5-10% come acido
deidroascorbico.
La vitamina C viene immagazzinata nei tessuti dell'organismo, in particolare, nel surrene e nel fegato.
La quota plasmatica che non viene immagazzinata viene eliminata con le urine.
Grazie alla forte azione riducente, la vitamina C è utilizzata in molte reazioni di ossidoriduzione. In
particolare la vitamina è in grado di donare un elettrone, formando così l'acido semideidroascorbico il
quale può donare un secondo elettrone, generando così l'acido deidroascorbico.
Ciò fa della vitamina C un valido donatore di elettroni. Il prodotto finale delle reazioni descritte, l'acido
deidroascorbico può venir ridotto ad opera di un enzima dipendente dal glutatione la deidroascorbato
reduttasi, rigenerando, così, l'acido ascorbico.
La spiccata azione antiossidante della vitamina C e la sua capacità di mantenere stabili le vitamine A, E,
l'acido folico e la tiamina, viene utilizzata dalle industrie che la usano (come tale o sotto forma di sale
sodico, potassico e calcico) come additivo nei cibi. Impedisce l'ossidazione dei tessuti corporei
bloccando i radicali liberi dell'ossigeno. È inoltre fondamentale nella formazione dei tessuti connettivi
(collageni).
Fonti alimentari: nei vegetali a foglia verde, peperoni, pomodori, kiwi e negli agrumi. La vitamina può
perdersi nel caso in cui questi alimenti vengano tenuti all'aria per molto tempo o dentro contenitori di
metallo (es rame) La cottura può comportare perdita di vitamina (in taluni casi fino al 75 tale
fenomeno può essere ridotto adottando una cottura che sia il più possibile rapida ed in poca acqua
Carenza: scorbuto Alterazioni a livello dei vasi sanguigni con comparsa di emorragie, rallentamento
della cicatrizzazione delle ferite, gengiviti con alterazioni della dentina, gengivorragie ed osteoporosi.
Nei bambini si ha anche un arresto della crescita. Le varie emorragie possono portare anche ad anemia
sideropenica. Bassi livelli di acido ascorbico, sufficienti alla sopravvivenza, ma al di sotto di quelli
necessari, sembrano favorire l'aterosclerosi, sia per l'ipotesi ossidativa sia per l'ipotesi risposta alla
lesione.
-nelle donne in gravidanza si ritiene che la quantità giornaliera vada aumentata di 10 mg/die;
Dosi superiori ai 10 g/die di vitamina C in rari casi possono indurre la comparsa di disturbi
gastrointestinali.
ESSENZIALI = devono essere introdotti con gli alimenti perché l’organismo non li sintetizza
Gli aa essenziali sono quelli che non possono essere sintetizzati a partire da strutture più semplici
nell’animale e che pertanto devono essere assunti con la dieta.
Gli aa condizionatamente essenziali sono quelli per cui è richiesta una fonte alimentare solo in
situazioni nelle quali la sintesi endogena non può far fronte alle richieste.
FABBISOGNO PROTEICO
Tutte le diverse proteine corporee nell’organismo
vengono degradate e sostituite a ritmi diversi per
mantenerle biologicamente attive e funzionali.
L’Adequate Intake (AI) è l’apporto di micronutriente che soddisfa quasi certamente i bisogni
dell’individuo senza sviluppare tossicità, teoricamente si trova tra RDA (dose quasi certamente
adeguata) e UL (dose probabilmente tossica). Nel caso delle proteine, l’assunzione giornaliera di 0.75-
0,80 g/kg è sufficiente a soddisfare i bisogni del 97,5% della popolazione adulta (media+2DS). Si parla
pertanto di RDA (recommended dietary allowance).
La malnutrizione proteica si può trovare non solo nell’anoressia ma anche nel soggetto anziano in cui
vi è una perdita di massa muscolare.
FABBISOGNO DEGLI AA ESSENZIALI
• Proteine di origine ANIMALE Possiedono elevato Valore Biologico, in quanto contengono tutti gli
Latte e derivati: Caseina, amminoacidi essenziali nelle giuste proporzioni. L’abbondante
lattoalbumina, lattoferrina contenuto in questi alimenti di ulteriori nutrienti (colesterolo,
grassi, carboidrati, fibre) ne impone tuttavia un’assunzione attenta.
-Uova: Ovoalbumina,
ovomucoide, lisozima
-Carne e pesce: Actina, miosina
Ricorda:
-I legumi sono carenti in metionina e cisteina
Fonti non convenzionali (isolati proteici, proteine testurizzate), ad esempio bistecche di soia.
EFSA e insetti allevati: Contengono dal 40 al 60% di proteine. Già impiegati in alcune cucine nazionali.
In commercio, in vari Paesi, sono già disponibili prodotti ottenuti con farine di insetti.
• Alghe
Fonti: sia di origine animale (latte e derivati e uova, carne, pesce e anche insetti), sia di origine vegetale
(soia, grano, mais, riso, orzo, patate).
Vi è una correlazione di
nitriti e nitrati con la
produzione di
nicosammide, che causa
cancro.
I nitriti e nitrati sono additivi comuni delle carni conservate (bovine, suine, ecc.) perché svolgono 3
funzioni importanti:
3. sono sinergici con il sale impiegato nella salagione e nella stagionatura delle carni.
• I nitriti trovano le condizioni ottimali per produrre N-nitrosammine all’interno dello stomaco o tramite
trattamenti di cottura quali la frittura o l’arrostitura.
• Il rosmarino aggiunto prima della cottura in quantità limitate (15%) riduce sensibilmente la
produzione di molecole dannose.
• È già ben nota l’azione protettiva esercitata da molte spezie nei confronti della perossidazione lipidica
e di altri processi ossidativi (es: nella frittura abbattimento della produzione di acrilamide durante la
cottura)
• Marinare la carne con spezie, erbe aromatiche e vino rosso contribuisce a ridurre i livelli di molecole
dannose
• Associare alla carne alimenti ricchi di fibre e antiossidanti come le verdure, consumate preferibilmente
crude contribuisce ugualmente a proteggere il nostro organismo (a livello del colon)
Le legge italiana fissa i limiti massimi di NO3 ammissibile a 150 mg per ogni kg di prodotto,
concentrazioni che hanno dimostrato essere esenti da potenziali effetti nocivi a carico della salute
dell’uomo.
È stato dimostrato che la vitamina C (acido ascorbico) e la vitamina E (alfa-tocoferolo) sono capaci di
inibire la conversione dei nitriti in nitrosammine, trasformandole anzi in ossido nitrico.
Non vanno evitate le carni, ma gli alimenti proteici a maggior contenuto di nitrati (insaccati, carni in
scatola, salumi e a volte i prodotti caseari e nei pesci marinati), affumicati, fritti.
Il bilancio dell’azoto
- Lo stato di nutrizione proteica e lo stato del metabolismo proteico dell’organismo possono
essere determinati misurando l’apporto dietetico e l’eliminazione dei composti azotati.
- L’azoto costituisce circa il 16% delle proteine. L’eliminazione dell’azoto avviene per lo più nelle
urine e nelle feci ed in misura minora con il sudore e con il ricambio cellulare della cute.
- La differenza tra la quantità di azoto introdotto e quello eliminato viene definita bilancio
dell’azoto.
Gli studi effettuati sul bilancio dell’azoto hanno dimostrato profonde diversità dal punto di vista
nutrizionale tra le diverse proteine.
Queste diversità sono correlate al diverso contenuto di amminoacidi delle varie proteine.
Se anche solo uno degli amminoacidi essenziali non viene assunto in misura sufficiente con la dieta
allora, indipendentemente dall’apporto totale di proteine, il bilancio dell’azoto risulterà negativo,
perché non sarà possibile svolgere in maniera efficace la sintesi proteica.
Alcune definizioni:
Valore biologico (VB): è correlato alla quantità di azoto effettivamente assorbito e utilizzato al netto
delle perdite urinarie e fecali. Il riferimento è rappresentato dall’uovo, che ha un valore biologico pari a
100.
Rapporto di efficienza proteica (PER): aumento di peso in grammi per grammo di proteina ingerita
Indice chimico: rapporto tra la quantità di un dato aminoacido in un grammo della proteina in esame
e la quantità dello stesso aminoacido in un grammo della proteina di riferimento biologica (uovo)
Data lezione
Autore Agnese Ottaviani
Lezione
Prof. Arianna Vignini
tenuta da
Argomento Generalità, classificazioni, fabbisogno, strutture
Eventuali
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riferimenti
CARBOIDRATI
• Fonti alimentari
• Aspetti biochimico-
nutrizionali
• Relazione struttura-funzione
• Ruoli fisiologici
I CARBOIDRATI sono la classe più abbondante di molecole organiche che si trovano in natura.
Ex: zucchero, amido, cellulosa, glicogeno.
Sono implicati in una varietà di processi che includono il riconoscimento tra tipi di cellule o il
riconoscimento di strutture cellulari da parte di altre molecole (crescita cellularenormale,
fecondazione, differenziamento cellulare ecc…)
Substrati per la Fermentazione (es. fibre vegetali) a livello intestinalecon formazione di acidi a
corta catena (ac. propionico, butirrico, acetico) che hanno un effetto trofico a livello intestinale.
• Quantità elevate di glucosio nel sangue (es. nei pazienti diabetici) e/o altre molecole
coinvolte nel metabolismo glucidico, sono responsabili della glicazione non enzimatica di
proteine cellulari e plasmatiche (albumina, emoglobina, lipoproteine).
• Le proteine glicate presentano alterazioni strutturalie funzionali
• Un aumento dei livelli di proteine glicate è considerato un fattore coinvolto nei meccanismi
molecolari delle complicanze del diabete.
GENERALITÀ
CLASSIFICAZIONE
I glucidi di interesse alimentare possono essere distinti in base alla loro strutturachimica in:
SEMPLICI
Classificazione nutrizionale:
COMPLESSI
Classificazione nutrizionale:
MONOSACCARIDI
GLUCOSIO
È il monosaccaride più diffuso in natura, si trova sia in forma libera che combinata in tutti gli
organismi animali e vegetali.
• Il glucosio libero è contenuto in una vasta gamma di alimenti come miele, frutta, vegetali ed è
inoltre il prodotto di idrolisi dell’amido, del saccarosio e il glicogeno
• È utilizzato dai saccaromiceti (fermentazione alcolica: alcol etilico e
anidride carbonica).
• Si presenta come cristalli bianchi solubili in acqua o come sciroppo di
glucosio
FRUTTOSIO:
DISACCARIDI:
Sono formati dall’unione di due molecole di monosaccaridi, legati da un legame
glicosidico:
a-D-glucosio + β-D-fruttosio
legame a-1,2-glicosidico
OLIGOSACCARIDI
Sono polimeri costituiti da poche molecole di monosaccaridi (3 fino a 9 monosaccaridi) uniti da
legame glicosidico.
Sono zuccheri per lo più non digeribili, arrivano nel colon e qui avviene la fermentazione ad opera della
flora batterica; si trovano in legumi, cipolle, porri, asparagi, carciofi, barbabietole, miele, ecc…
I FOS rientrano nell'elenco stilato dal Ministero della Salute" Altri nutrienti e altre sostanze ad
effetto nutritivo o fisiologico".
Sono sostanze in grado di stimolare in modo selettivo la crescita e il metabolismo della flora batterica,
favorendone il riequilibrio; svolgono quindi azione prebiotica.
Possono essere sintetizzare anche in seguito a processi tecnologici
A oggi i FOS vengono utilizzati:
POLISACCARIDI
POLISACCARIDI STRUTTURALI
CELLULOSA: è il polimero naturale più abbondante al mondo. Forma le pareti cellulari di tuttele
piante. La catena polimerica non è ramificata (circa 3000 unità). Le catene sono disposte
parallelamente le une alle altree si legano fra loro per mezzo di legami ad idrogeno, formando fibrille.
Queste fibrille localmente sono molto ordinate al punto da raggiungere una strutturaa cristalli
• È un omopolimero lineare di unità di D-glucosio unite da legami β1 4 glicosidici. Per via della
sua particolare struttura, priva di ripiegamenti o strutture elicoidali, la cellulosa è poco
digeribile.
• L’unica differenza tra cellulosa e amilosio è la stereochimica del legame glicosidico: legame
αglicosidico nell’amilosio, β− nella cellulosa.
• L’uomo possiede enzimi in grado di scindere i legami α−glicosidici, manon i legami β- glicosidici
per questo motivo non riesce a digerire la cellulosa.
• Molti batteri possiedono enzimi β-glicosidasici
(cellulasi) e possono perciò idrolizzare la cellulosa.
• Le termiti hanno microorganismi di questo tipo nel
loro intestino e crescono nutrendosi di legno.
• Anche i ruminanti digeriscono l’erba perchè nel
loro rumine sono presenti i microrganismi adatti
che esprimono l’enzima cellulasi, in grado di
scindere il polisaccaride.
POLISACCARIDI STRUTTURALI
• CHITINA : è un polimero della N-acetil glucosamina, con struttura simile alla cellulosa (b 1-4).
Essa è presente nei funghi edibili e nei lieviti, oltre a costituirel’esoscheletro di numerosi insetti
e crostaci. Dopo la cellulosa, la chitina è il più abbondante biopolimero presentein natura.
• Dalla deacilazione della chitina si ottiene il chitosano, un polisaccaride solubile
CHITINA E CHITOSANO
L’esoscletro dei crostacei consiste in chitina per il 15-20% del peso, ne deriva che proprio da scarti di
lavorazione dei crostacei, si ottiene il chitosano.
Chitina: 2-acetamido-2-deoxy-beta-D-glucopyranose
Per ottenere la CHITINA: Decalcificazionein HCl Deproteinizzazione in NaOH Decolorazione.
• Studi condotti in vitro o su modelli animali hanno dimostrato che il chitosano è in grado di
diminuire l’assorbimento dei grassi contenuti negli alimenti solubili.
• Infatti inizialmente emulsiona i grassi alimentari nello stomaco in quanto gelifica a pH acido ed
intrappola i grassi emulsionati.
• Questi ultimi sono quindi protetti dall'azione dellelipasi e quindi possono essere espulsi
invece di essere idrolizzati e assorbiti. Pertanto, supplementi di chitosano sono stati messi a
punto al fine di abbassare i livelli di colesterolo plasmatico.
Our findings provided evidence that CHITOSAN consumption might be a useful adjunctive
pharmacological therapeutic tool for body weight management particularly in
overweight/obese participants.
GLICOGENO
È un omopolisaccaride di riserva
energetica delle celluleanimali
(viene sintetizzato anche in alcuni
funghi)
Particolarmenteabbondante nel
fegato e meno nel muscolo
scheletrico
Costituito da molecole di glucosio
unite tra loro da legame a 1 → 4
glicosidico e nei punti di ramificazioni con legame a 1 → 6
glicosidico ogni 8-10 unità.
AMIDO
L’amido è un omopolisaccaride insolubile in acqua, utilizzato come riserva nelle cellule vegetali. Oltre
ad essere la forma di riserva glucidica vegetale è anche la più importante fonte di carboidrati disponibili
all’assorbimento ed utilizzabili dal metabolismo cellulare animale.
Le principali fonti alimentari sono i cereali, le leguminose e tuberi (patate) e loro derivati.
Si accumula sotto forma di grani diversi per ogni specie vegetale.
L’amido riveste particolare importanza nell’industria alimentare, quale agente addensante: dall’amido
derivano anche alcuni additivi (addensanti) che si chiamano amidi modificati.
Amilosio
È una catena a spirale di molecole di glucosio. Il suo grado di
polimerizzazione è 6000. Possiede legami di tipo glicosidico alfa 1 4. Il
suo peso molecolare medio è 10 *5.
L’amilosio tende a formare strutture elicoidali (circa 6 residui per giro)
che tendono ad occupare la parte centrale del granulo di amido contenuto
nei vari organi della pianta (semi, tuberi, ecc)
Amilopectina
È costituita da catene polisaccaridiche alternate
ramificate. Tali ramificazioni sono originate da legami
glicosidici alfa 1 6, che costituiscono i punti di
ramificazione di tratti lineari in cui il glucosio è legato
con legami alfa 1 4.
Il grado di polimerizzazione arriva fino a 1-2 milioni e
La disposizione dell’amilosio e dell’amilopectina all’interno del granulo di amido mostra proprietà che
lo rendono insolubile a temperatura ambiente.
La solubilizzazione dell’amido è resa possibile previo riscaldamento in presenza di acqua. In queste
condizioni i granuli di amido, idratandosi progressivamente, aumentano di volume e una frazione di
amilopectina passa nella soluzione poi, se il riscaldamento si prolunga, anche una frazione di amilosio
passa nelle soluzioni.
Gelatinizzazione
Il fenomeno della GELATINIZZAZIONE consiste nella disorganizzazione dei granuli d'amido in ambiente
acquoso, a un'idonea temperatura, tra 50 e 70 °C a seconda dell'origine vegetale
dell'amido. Non si tratta, quindi, di una reazione chimica, ma di un processo fisico.
Perché il processo abbia luogo è necessario che la concentrazione dell'acqua all'interfaccia raggiunga un
valore soglia (circa 30÷35% di acqua) e si è evidenziato come proceda tanto più completamente quanta
più acqua è disponibile.
Il fenomeno avviene rapidamente
durante la cottura in acqua di farine e
semole (ad esempio nella
preparazione di semolini e polenta) o
durante la cottura in forno di impasti
a base di farina ad alto contenuto
d'umidità, come quelli utilizzati nella
panificazione tradizionale.
Quando l’amido viene riscaldato in
presenza di acqua, i granuli di amido
si rigonfiano, questo processo porta
alla gelatinizzazione e rende l’amido
molto più accessibile agli enzimi digestivi poiché le catene glucidiche sono più esposte all’azione
idrolitica degli enzimi digestivi. Quindi questo processo è fondamentale per favorire l’utilizzazione
metabolica dell’amido contenuto negli alimenti.
La gelatinizzazione caratterizza anche la cottura di pasta e riso in eccesso di acqua: l’acqua diffonde
all’interno della struttura dei globuli e la gelatinizzazione dell’amido procede dalla periferia verso
l’interno.
Retrogradazione
Quando l’amido che è stato riscaldato viene raffreddato, si verifica la retrogradazione, cioè la
trasformazione dell’amido gelatinizzato in una forma cristallina che è resistente alla digestione.
Alimenti come pasta, pane, cereali, patate e riso contengono percentuali diverse di amido retrogradato
che rappresentano la frazione di amido resistente.
Un esempio di retrogradazione di amido si può osservare quando il pane diventa raffermo.
In acqua calda (50-70°), col calore le molecole di acqua penetrano nei granuli di amido, disorganizzano
i cristalli e rompono i legami intermolecolari tra amilosio e amilopectina facendo gonfiare notevolmente
i granuli.
Il raffreddamento favorisce il ripristino della struttura ordinata, sebbene mai ad una configurazione
simile a quella iniziale.
Le catene di amilosio e amilopectina si legano tra loro escludendo l’acqua.
L’amido retrogradato può essere nuovamente gelatinizzato sottoponendolo a calore.
Più del 50% dell’amido presente in una banana non matura o di una patata cruda resiste alla
digestione dell’amilasi, mentre quello presente nel pane bianco è quasi totalmente digerito.
Amidi modificati
Sono tra i principali derivati dell’amido.
Sono amidi di interesse alimentare modificati per via chimica o enzimatica. L’amido viene modificato
in modo mirato a seconda delle esigenze in modo da conferire particolari proprietà (es. maggiore
resistenza alla cottura, maggiore stabilità agli acidi, al freddo)
Vengono impiegati specialmente nella preparazione di gelatine alla frutta, dessert, budini, salse
(maionese e ketchup), carni in scatola, formaggi fusi…
Fabbisogno di carboidrati
Una dieta equilibrata deve prevedere una quota di carboidrati tra il 45-60% (zuccheri semplici 10-
12%).
La RDA per i carboidrati è di circa 130 grammi al giorno per gli adulti e i bambini, determinata sulla
base della quantità di glucosio utilizzato dai tessuti che dipendono dai carboidrati, come l’encefalo e gli
eritrociti.
I carboidrati non sono di per sé sostanze ingrassanti: essi sviluppano 4 kcal/g, quantità pari a quella
liberata dalle proteine e pari a meno della metà dell’energia dei grassi.
I carboidrati hanno come effetto la sintesi di grassi soltanto se consumati in eccedenza rispetto al
fabbisogno energetico del corpo.
Possibili relazioni tra nutrienti (in eccesso o carenza) e comparsa di patologie cronico-
degenerative
Acarbosio
L’acarbosio è un inibitore dell’alfa-glucosidasi.
Grazie all’inibizione dell’alfa-glucosidasi, l’acarbosio ritarda la rottura enzimatica degli zuccheri nel
piccolo intestino, provocando un ritardo nella loro digestione dose-dipendente: il glucosio derivato dai
carboidrati viene quindi rilasciato nel sangue più lentamente.
Tutti questi enzimi mostrano un elevato grado di glicosilazione, che li rende relativamente resistenti
all’azione dei succhi pancreatici.
Tra un pasto e l’altro gli enzimi dell’orletto a spazzola subiscono un certo turn-over.
Intolleranza al lattosio
Maltasi, invertasi, isomaltasi e saccarasi sono sintetizzate in grande eccesso rispetto alle necessità, la
sintesi delle lattasi subisce un rapido declino a partire dallo svezzamento.
Per quanto riguarda l’assimilazione del lattosio, il passaggio limitante è pertanto rappresentato dalla
digestione piuttosto che dall’assorbimento.
Quando l’espressione delle lattasi diventa insufficiente si sviluppa intolleranza al lattosio (dolore
addominale crampiforme, meteorismo e diarrea, quest’ultima dovuta al richiamo di acqua nel lume
intestinale da parte del lattosio indigerito). Fattori genetici e ambientali concorrono all’intolleranza.
L’intolleranza al lattosio può essere primaria o secondaria, quest’ultima dovuta a carenza relativa di
lattasi in seguito a patologie intestinali che abbiano determinato un danno degli enterociti (es.
gastroenteriti infettive).
Anche la malnutrizione proteico-calorica, allergie alimentari, infezioni batteriche o virali, infestazioni
parassitarie possono causare alterazioni della mucosa intestinale e di conseguenza deficit di lattasi.
Nelle forme più gravi si può ricorrere all’assunzione di lattasi di derivazione batterica.
La riduzione della lattasi è un fenomeno adattativo alla riduzione del consumo di latte. L’espressione
dell’enzima lattasi è massima alla nascita quando è massima la necessità di utilizzare lattosio.
Dopo lo svezzamento, l’attività lattasica diminuisce rapidamente (fino ad oltre il 90%).
Una mutazione che ha permesso agli adulti di continuare a produrre lattasi è emersa circa 7000 anni fa,
e ora il 35% delle persone può digerire il latte da adulti, sebbene vi siano variazioni geografiche marcate.
In Cina e nel Sud-est asiatico si pensa che oltre il 90% delle persone sia intollerante al lattosio, a fronte
COSA ACCADE AL LATTOSIO CHE NON VIENE DIGERITO NEI SOGGETTI INTOLLERANTI AL LATTOSIO
Nel latte il lattosio viene predigerito ossia scisso nei due zuccheri (glucosio e galattosio) facendo passare
il latte attraverso un materiale inerte in cui vi è adsorbito l’enzima lattasi.
Zymil viene ottenuto aggiungendo al latte una preparazione purificata e standardizzata dall’enzima
lattasi, ottenuto da un ceppo selezionato di lieviti. Il latte così preparato viene quindi lasciato a 6° il
tempo necessario per raggiungere il grado di idrolisi desiderato. Zymil è un prodotto delattosato.
Il simporto Na+-glucosio è un
cotrasportatore, noto come SGLT o
SGLUT (Sodium GLUcose
Trasporter), presente nella
membrana apicale degli enterociti,
che permette l’introduzione nella
cellula di glucosio e sodio. Il legame
del sodio provoca una modificazione
conformazionale che facilita il
legame del glucosio e viceversa; la
concentrazione di Na+ è molto più
alta nello spazio extracellulare che
nel citosol (grazie all’attività della
pompa sodio-potassio)
Il galattosio e il fruttosio non possono essere utilizzati come tali dalle cellule come fonte energetica
benché abbiano una struttura molto simile a quella del glucosio Quindi dopo l’assorbimento intestinale
quasi tutto il galattosio e buona parte del fruttosio a livello del fegato vengono metabolizzati e convertiti
in glucosio. Più del 95% dei monosaccaridi presenti nel sangue sono rappresentati dal glucosio
INDICE GLICEMICO
Alcuni alimenti contenenti carboidrati producono un rapido aumento della concentrazione ematica del
glucosio, seguito da un ripido calo, mentre altri producono un aumento graduale seguito da una lenta
diminuzione. Si parla di una risposta glicemica (RG) maggiore o minore. La fibra alimentare produce una
IN VIVO
• 25 or 50 grammi di carboidrati di
alimento da testare e alimento standard
(glucosio)
• Reclutamento volontari (10-15
soggetti sani)
• Valutazione delle variazioni di glicemia
nelle due ore successive all’assunzione
di alimento standard o alimento da testare (intervalli 15 minuti)
• Valutazione AUC alimento standard e AUC alimento da testare dello stesso soggetto
• Calcolo indice glicemico
La struttura chimica dei glucidi presenti negli alimenti influenza marcatamente l’indice glicemico.
Monosaccaridi e disaccaridi liberi e prontamente assimilabili tendono ad innalzare l’indice glicemico,
se i glucidi sono rappresentati dagli amidi, l’indice glicemico varia in relazione diretta alla
biodisponibilità ed in relazione inversa alle quote di amido resistente. L’amido resistente, quella parte
di amido contenuto negli alimenti che sfugge alla digestione da parte delle amilasi, transita indigerito
nell’intestino tenue. La compresenza di altri polisaccaridi non digeribili aumenta la resistenza
dell’amido alla digestione, ostacolando la disgregazione dei granuli
In generale si osserva che alimenti contenenti zuccheri raffinati hanno un alto indice glicemico,
mentre le verdure e i legumi e alimenti ricchi di fibre tendono ad avere un indice glicemico più basso.
L’indice glicemico dipende da numerosi fattori, tra cui:
Inserire alimenti a basso indice glicemico nell’alimentazione migliora il controllo della glicemia e
contribuisce a prevenire le più comuni patologie dismetaboliche come obesità, diabete e sindrome
metabolica.
A parità di indice glicemico, tuttavia, alimenti diversi hanno un diverso impatto sulla glicemia. È
necessario pertanto introdurre un parametro che tenga conto, oltre al tipo di carboidrati contenuti negli
alimenti, anche della loro quantità. Si definisce carico glicemico (CG o GL) il prodotto dell’indice
glicemico di un alimento per la quantità in grammi di carboidrati contenuta in una porzione di detto
alimento.
Carico glicemico = (indice glicemico x g carboidrati) /
100
FIBRA ALIMENTARE
La fibra alimentare comprende le parti commestibili delle
piante o carboidrati analoghi resistenti alla digestione e
all’assorbimento nell’intestino tenue e soggette a completa o
parziale fermentazione nell’intestino crasso. Questa include
oligosaccaridi e polisaccaridi, lignina ed altri composti vegetali
associati. Viene classificata in fibra solubile e insolubile. Alcuni
tipi di amido resistente vengono considerati parte della fibra
alimentare
Le fibre alimentari svolgono numerosi effetti funzionali e
metabolici:
• aumento del senso di sazietà
• riduzione del rischio cardiovascolare in relazione agli effetti positivi sul metabolismo dei
carboidrati (effetto sull’indice glicemico) e dei lipidi. Prevenzione del diabete.
• effetto prebiotico
Lignina
Emicellulosa
È formata da lunghe catene di una varietà di pentosi, esosi, e i loro
corrispondenti acidi uronici.
I polisaccaridi che producono pentosi per idrolisi si chiamano
pentosani, lo Xilano è un esempio di un pentosano e consiste in unità
D-xilosio con legami β 1→4.
L’emicellulosa comprende anche eteropolimeri come ad es.
arabinoxilani, i quali sono polisacaridi lineari costituiti da xilosio e
uniti tramite legami β-(1-4) con ramificazione di arabinosio β-(1-3)
POLISACCARIDI STRUTTURALI
Pectine
Sono polisaccaridi costituiti principalmente da polimeri
dell’acido galatturonico (peso molecolare variabile da 20.000 a
400.000), i cui residui carbossilici sono frequentemente
esterificati con alcol metilico (residui metossilici).
Altri monomeri presenti sono ramnosio e arabinosio
RIDUZIONE DELLA RISPOSTA GLICEMICA : l’assunzione di pectine durante il pasto contribuisce alla
riduzione dell’aumento del glucosio ematico post-prandiale. [Health claim approvato dall’Efsa]
Questa indicazione può essere impiegata solo per un alimento che contiene 10g di pectine per
porzione quantificata
Betaglucani
I beta-glucani sono ampiamente diffusi in natura in lieviti, funghi,
alghe e piante superiori (avena, orzo, segale). Presentano nella loro
struttura unità di β-D glucosio come la cellulosa, ma unite attraverso
un legame β1-6 ogni tre o quattro legami β1-3. Hanno un effetto
modulatore dell’assorbimento di colesterolo durante la digestione.
Opinione Efsa : i betaglucani contenuti nell’orzo riducono ilcolesterolo
Polidestrosio
È costituito da polimeri di glucosio legati con molecole di sorbitolo e con residui di
acido citrico o acido fosforico, il legame 1,6-glicosidico è il legame principale. I
polimeri si ottengono per condensazione degli ingredienti, in natura non esiste, né
lo digeriamo, per questo è considerato una fibra
Chitina
E’ un polimero della N-acetil glucosamina, con
struttura simile alla cellulosa (b 1-4). Essa è
presente nei funghi edibili e nei lieviti, oltre a
costituire l’esoscheletro di numerosi insetti e
crostaci. Dopo la cellulosa, la chitina è il più
abbondante biopolimero presente in natura.
Dalla deacilazione della chitina si ottiene il
chitosano, un polisaccaride solubile
modo che sostanze cancerogene potenzialmente dannose restino a contatto con la mucosa intestinale
del colon per un tempo più breve
Il destino metabolico della fibra alimentare è la digestione ed il catabolismo da parte della microflora
intestinale, che produce acidi grassi a catena corta (butirrico, propionico, acetico) e CO2 .
• L’acido butirrico rappresenta il principale substrato energetico degli enterociti nel colon
• L’acido propionico viene utilizzato dal fegato per la gluconeogenesi
• L’acido acetico viene ossidato o utilizzato per la biosintesi lipidica
È stato dimostrato che gli acidi grassi a catena corta prodotti dal catabolismo della fibra alimentare
stimolano la funzione del colon promuovendo il riassorbimento di acqua e sali.
La fibra, attraverso molteplici meccanismi, provoca riduzione della colesterolemia. Una delle ipotesi
principali riguarda l’aumentato turnover dei sali biliari stimolato dall’aumentata escrezione fecale di
questi.
L’elevato contenuto di fibre alimentari provoca distensione gastrica e intestinale, con riduzione, mediata
da segnali nervosi, dell’assunzione di cibo.
Fibre vegetali
Preferire alimenti naturalmente ricchi in fibra alimentare quali cereali integrali, legumi, frutta e
verdura. Apporto raccomandato: 18-30 g al giorno (privilegiare le fibre insolubili 75%)
ALIMENTI FUNZIONALI
l concetto di Alimento Funzionale nasce negli anni ‘80 in Giappone, dove viene messa a punto anche
una legislazione apposita
Tra i componenti il cui ruolo funzionale a livello del sistema gastrointestinale è ormai sufficientemente
dimostrato da studi scientifici da consentire l’uso del termine funzionale, rientrano: alcuni ceppi di
microrganismi (probiotici come Lactobacillus acidophilus, L. Casei, Bifidobacteria) , gli oligosaccaridi
non digeribili, fibre prebiotiche (Inulina Frutto-oligosaccaridi estratti da materie prime vegetali),
oligosaccaridi di sintesi chimica, maltodestrine, frazioni di amido resistenti alla digestione
(resistant starch)
Le fibre di varia composizione chimica, sono spesso usate dall’industria alimentare come ingredienti per
la produzione di alimenti funzionali
EDULCORANTI
Gli edulcoranti sono sostanze che hanno la proprietà di conferire un sapore dolce agli alimenti a cui
vengono aggiunti. Il Saccarosio è senz’altro il dolcificante più diffuso nelle diete occidentali.
• Edulcoranti con effetto massa o POLIOLI: Questi dolcificanti forniscono un numero minore di
calorie per grammo rispetto allo zucchero (saccarosio) a parità di massa (volume) (sorbitolo,
mannitolo, isomalto, maltitolo, lattitolo e xilitolo appartengono tutti a questa famiglia). (pag.4)
• Edulcoranti intensivi: forniscono un intenso gusto dolce con pochissime o addirittura senza
calorie. Dato che sono molto dolci, ne occorrono soltanto piccolissime quantità (acesulfame K,
aspartame, ciclamati, saccarina, taumatina, neoesperidina DC appartengono tutti a questa
famiglia). (pag.7)
BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG09 – EDULCORANTI
Lo studio delle caratteristiche strutturali delle molecole e i determinanti molecolari necessari per
evocare il sapore dolce inizia nei primi anni del secolo scorso. Era stata già identificata la saccarina, ma
non c’erano sul mercato gli edulcoranti che conosciamo oggi. Tra i primi ricercatori che cercarono di
identificare la struttura chimica necessaria per impartire il sapore dolce vi fu Cohn nel 1914. Egli la
chiamò “saporous units” e la identificò nella presenza di 2 o più gruppi ossidrilici nelle molecole.
ESEMPI:
Il glicole etilenico, i polioli come l’eritritolo evocavano il sapore dolce al contrario degli alcool che
contengono un solo ossidrile e non hanno lo stesso sapore (es. metanolo, etanolo).
Dopo cinquant’anni nel 1963, Shallenberger riprese gli studi Lo studio della relazione tra svariate
molecole e il sapore dolce da esse evocato, fece comprendere molto presto una maggiore complessità.
Come esempio si notò che l’isomero alfa-D-mannopiranosio era leggermente dolce, al contrario il beta-
D-mannopiranosio, che differisce per la stereoisomeria di un solo atomo di carbonio, è amaro.
Sistema gustativo
In passato si riteneva che ogni gusto venisse percepito in maniera specifica da una zona della lingua;
dati molecolari e funzionali più recenti hanno dimostrato che l’intera lingua è in grado di riconoscere
tutti i gusti (amaro, salato, dolce, umami, acido). Ciascuna qualità gustativa viene rilevata attraverso un
meccanismo molecolare di trasduzione differente:
Nel 1967 lo stesso Shallenberger in collaborazione con E. Terry elaborò una nuova teoria sulla
“Saporous unit” (glicoforo). La teoria, individuava nelle sostanze dolci una regione della molecola
responsabile di questa caratteristica Shallenberger la chiamò “AH, B system”. Le molecole in grado di
evocare il sapore dolce dovevano possedere un atomo elettronegativo (es. ossigeno o azoto), indicato
con A, unito covalentemente ad un atomo di H (AH) ed un altro atomo elettronegativo indicato con la
lettera B ad una distanza di 0,3 nm dall’atomo di H. L’area g è un’area idrofobica Il sito del recettore
venne quindi descritto come un sistema che interagiva con la particolare struttura chimica della
molecola, permetteva la formazioni di legami idrogeno (X e YH) e di evocare la sensazione dolce grazie
alle nostre papille gustative.
EDULCORANTI:
La DGA è calcolata dividendo il NOAEL per un fattore di sicurezza uguale a 100, che può variare al
variare delle criticità dimostrate dalla sostanza in esame o per scarsi studi di tossicità, fino ad arrivare
a 1000
La DGA rappresenta un livello di sicurezza, tale da poter consumare i dolcificanti intensi acalorici tutti
i giorni per l’intera vita senza che virtualmente si presentino danni. La sicurezza resta anche quando i
dolcificanti sono combinati tra loro. L’occasionale raggiungimento della DGA di un dolcificante intenso
acalorico non costituisce di per sè un rischio per la salute. Non ci sono specifiche controindicazioni
all’USO PEDIATRICO ma:
POLIALCOLI
sostanze in tutto o in parte non disponibili sorbitolo, eritritolo, xilitolo, mannitolo, isomalto, maltitolo,
lattitolo
Xilitolo: comunemente chiamato zucchero del legno, e è estratto da betulle, fragole, lamponi, prugne,
grano. Questo zucchero naturale ha un forte potere dolcificante che lo rende molto simile al saccarosio,
ma contiene il 40% in meno di calorie. È conosciuto con la sigla E 967. Definito dolcificante amico dei
denti per la proprietà di prevenire le carie e favorire la remineralizzazione delle piccole lesioni ai denti.
Altre fonti:
- Idrogenazione dello xilosio: lo xilosio a sua volte deriva dalla degradazione dello xilano che
è un polisaccaride presente nella corteccia degli alberi, gusci di noci ecc.
- Sintesi microbiologica
Sorbitolo: è presente in molte bacche e frutti come mele, prugne, ciliegie, uva e sorbe, da cui poi prende
il nome.
- Reazione che forma il sorbitolo: riduzione del glucosio a sorbitolo, con formazione di un
gruppo ossidrilico al posto di quello aldeidico o chetonico
Mannitolo: è una sostanza che si trova facilmente in natura in alghe funghi e il nome deriva dalla manna
da cui si può ottenere.
L’isomalto: si produce con una tecnica che utilizza cellule immobilizzate di Protaminobacter rubrum,
batterio dotato di un enzima in grado di convertire il saccarosio nel suo isomero alfa-1-6 (isomaltosio)
successivamente idrogenato.
Lattitolo: il lattitolo viene preparato artificialmente a partire dal lattosio (zucchero del latte), attraverso
trattamenti ad alte temperature. A differenza del lattosio, il lattitolo non può essere digerito dalle lattasi
Per questo motivo, ad elevati dosaggi, il lattitolo provoca diarrea osmotica e può quindi essere usato
come lassativo
CARATTERISTICHE POLIALCOLI
La biodisponibilità nel tratto gastrointestinale è ridotta. Per cui raggiungono l’intestino crasso in cui
vengono fermentati dalla microflora.
I Polialcoli (xilitolo e mannitolo) sono considerati acariogeni. Infatti essi sono più resistenti alla
fermentazione da parte della microflora batterica orale e producono meno placca.
Sono sostanze meno caloriche dello zucchero: ad esse viene attribuito un potere calorico pari a 2,4
kcal/g, contro le 4 kcal/g degli altri zuccheri, stiamo parlando di una riduzione teorica significativa, pari
al 40% circa.
A questo risparmio calorico si associa molto spesso un potere dolcificante inferiore, che lo rende di fatto
abbastanza trascurabile. Non a caso nei prodotti che contengono polialcoli, spesso vengono utilizzati
anche altri dolcificanti.
Polialcoli e glicemia: I principali polialcoli utilizzati negli alimenti hanno indici glicemici molto inferiori
rispetto a quelli del glucosio e del saccarosio. Si parla di valori che variano da zero (eritrolo e mannitolo)
a 40 (maltitolo e poliglicitolo) per l'indice glicemico I polialcoli alzano la glicemia (mediamente) in
misura molto inferiore rispetto alle normali fonti di carboidrati. Questa proprietà può essere
potenzialmente utile per i diabetici: è stato dimostrato che il consumo di almeno 15-20 g di polialcoli al
giorno comportata una riduzione significativa del carico glicemico.
Effetti collaterali: Il più importante effetto collaterale che riguarda il consumo di polialcoli è l'effetto
lassativo che essi hanno, dovuto principalmente al fatto che non vengono assimilati completamente
dall'intestino, questo fenomeno può essere positivo in chi cerca l'effetto lassativo, per esempio per chi
soffre di stitichezza, ma può anche essere negativo perché può causare problemi di diarrea e altri
disturbi intestinali L'effetto lassativo dei polialcoli si verifica per quantità variabili a seconda del tipo di
sostanza: in genere quantitativi inferiori a 20 g al giorno sono ben tollerati a prescindere dal tipo di
polialcoli. Alcune sostanze, come il maltitolo, sono ben tollerate (fino a 100 g al giorno), altre come il
mannitolo molto meno (20 g al giorno), altre ancora come il sorbitolo hanno un livello di tolleranza
intermedio (50 g al giorno).
Forniscono un intenso gusto dolce con pochissime o addirittura senza calorie. Dato che sono molto dolci,
ne occorrono soltanto piccolissime quantità. I dolcificanti intensi acalorici, autorizzati e impiegati,
rispettando le normali dosi giornaliere definite dagli enti preposti, possono divenire un ausilio
importante per la cura di patologie croniche. I principali dolcificanti usati in Italia sono: Acesulfame k,
Aspartame, Ciclamato, Saccarina, Stevioside, Sucralosio. A cui si aggiungono: l’Alitame e il
Neotame.
- “Saporous Unit”:
Area (A): Azoto è un atomo elettronegativo, unito covalentemente ad un atomo di H
disponibile per formare legami idrogeno
Area (B): ossigeno è parzialmente negativo e può formare legame idrogeno
Area (gamma): area idrofobica (foto)
Aspartame: L’Aspartame è composto da due amminoacidi: Ac. Aspartico (40%), Fenilalanina (50%) e
Metanolo (10%), conosciuto con la sigla E 951 e scoperto causalmente dal chimico James M. Schlatter,
mentre studiava dei prodotti anti-ulcera. Le persone che soffrono di fenilchetonuria devono controllare
l’assunzione dell’aspartame. L’Aspartame è il dolcificante più utilizzato attualmente, con i suoi
metaboliti fenilalanina, acido aspartico e metanolo è il più controverso tra i dolcificanti acalorici. Il
sospetto che abbia causato un aumento di incidenza di tumori cerebrali, leucemie, tumori della pelvi,
dell’uretere e dei nervi periferici, non ha mai avuto conferme. Inoltre, è stato accusato di aumento di
incidenza di parto prematuro, anche se un recente lavoro danese, effettuato su donne gravide, non ha
trovato conferma.
Ciclamato: L’Acido ciclamico, sale di sodio o calcio, scoperto da Michael Sveda nel 1937, viene per lo più
usato in associazione con la saccarina È stato sospettato di essere un cancerogeno ad alte dosi (In Europa
è consentito con limitazioni ed esclusioni). Il suo utilizzo come edulcorante è vietato negli Stati Uniti in
seguito a ricerche in campo tossicologico che hanno riscontrato effetti cancerogeni e disturbi di
assorbimento in animali da esperimento. Anche la Comunità Europea, dopo una attenta revisione, ha
deciso di abbassare la DGA a 7mg/Kg, proponendo una riduzione dell’uso di ciclammati sia bandendoli
da alcuni prodotti alimentari come gomme da masticare, microconfetteria e limitando la quantità
ammissibile nelle bevande ipocaloriche. I Ciclamati sono rapidamente assorbiti nel tratto intestinale e
generalmente non vengono metabolizzati ed escreti non modificati per via urinaria.
- “Saporous Unit”:
Area (A): Azoto è un atomo elettronegativo, unito covalentemente ad un atomo di H
disponibile per formare legami idrogeno
Area (B): ossigeno è parzialmente negativo e può formare legame idrogeno
Area (gamma): area idrofobica
Neotame: Derivato dall’aspartame con presenza di Metanolo è conosciuto con la sigla E 961; dolcificante
artificiale che insieme all’Alitame ha un potere dolcificante estremamente elevato. Il Neotame è stato
solo recentemente autorizzato dall’EFSA, prodotto molto simile all’aspartame, è costituito da due
amminoacidi esterificati con il Metanolo. Il 30% circa di quest’ultimo viene assorbito dal tratto
gastrointestinale. Mentre nel ratto non si hanno significative tossicità, in due studi condotti sui cani
hanno dimostrato un aumento della fosfatasi alcalina con una possibile tossicità epatica (a dose di 600
mg/kg die). Una ulteriore criticità è dovuta al gruppo aminico secondario, non presente nell’aspartame,
che reagendo con i nitrati presenti negli alimenti e nella saliva, può creare nitrosamine, un gruppo di
molecole che sono potenzialmente cancerogene e genotossiche. Tuttavia studi recenti, riguardo le
nitrosamine derivate dal neotame, non hanno evidenziato alcuna tossicità specifica.
Saccarina: Il primo dolcificante scoperto causalmente da Remsen e Fahlbeg nel 1879, come prodotto
dell’ossidazione del O-toluenesulfossamide, prodotto di derivazione del catrame. Conosciuto con la sigla
E 954, sembra interferisca con proprietà enzimatiche della Glucosio-6- fosfatasi. La Saccarina è uno dei
dolcificanti più noti e utilizzati da maggior tempo, non è metabolizzata significativamente
dall’organismo umano. Il suo consumo è permesso nelle bevande ipocaloriche (80mg/L); bustine
impiegate come succedanei del saccarosio in sinergia con altri edulcoranti. Durante gli anni '60 diversi
studi hanno suggerito che la saccarina fosse un cancerogeno per gli animali. L'allarme tocca il livello
massimo nel 1977, dopo la pubblicazione di uno studio in cui si rileva un aumento dei casi di cancro alla
cistifellea e vescica nei ratti alimentati con alte dosi di saccarina. La saccarina viene vietata in Canada.
Da allora molti studi sono stati condotti sulla saccarina, con risultati controversi. Lo studio del 1977 è
stato criticato per via delle altissime dosi di saccarina date ai ratti, un valore ritenuto assolutamente
irrealistico per un normale consumatore. Finora nessuno studio ha evidenziato pericoli per l'uomo, alle
dosi normalmente utilizzate. Nel 1991, la FDA ha ufficialmente ritirato la proposta di bando.
- “Saporous Unit”:
Area (A): Azoto è un atomo elettronegativo, unito covalentemente ad un atomo di H
disponibile per formare legami idrogeno
Area (B): ossigeno è parzialmente negativo e può formare legame idrogeno
Area (g): area idrofobica
Sucralosio: Derivato dal saccarosio con un processo che sostituisce tre gruppi idrossilici con tre atomi
di cloro, è conosciuto negli USA con il nome di Splenda, da noi con la sigla E 320. Il Sucralosio è costituito
da due molecole glicidiche clorurate, solo una parte del dolcificante viene assorbita, mentre il restante
viene eliminato non modificato. Nel 1989 non venne autorizzato per gli studi tossicologici insufficienti
e effetti dannosi sul peso. Nel 2000 con l’osservazione di nuove evidenze scientifiche il dolcificante è
stato autorizzato all’uso umano. Sintetizzato per la prima volta nel 1976 "accidental discovery" story.
Tate & Lyle, una compagnia britannica produttrice di zucchero, stava cercando modi per usare
saccarosio come intermedio chimico. In collaborazione con il laboratorio del Prof. Leslie Hough al King's
College di Londra, sono stati sintetizzati e testati zuccheri alogenati. Un laureato straniero, lo studente
Shashikant Phadnis, ha frainteso una richiesta di "test" (testing) di uno zucchero clorurato come
richiesta di "degustazione" (tasting), che conduce alla scoperta che molti zuccheri clorati sono dolci con
potenze alcune centinaia o migliaia di volte più grandi di saccarosio.
Taumatina: Le taumatine costituiscono una famiglia di proteine presenti nei frutti della pianta tropicale
Thaumatococcus daniellii Benth, che cresce nelle foreste pluviali dell’Africa occidentale. Sono un gruppo
vasto ma le principali sono: taumatina I (costituita da 207AA) e taumatina II (è una proteinadi 235AA).
Il suo potere dolcificante è circa 3000 volte superiore a quello del saccarosio. La taumatina ha un
retrogusto persistente che potrebbe non essere accettato da alcuni palati. È solubile in acqua e stabile
alle alte temperature e in ambienti acidi. L’Unione Europea ha approvato l’utilizzo della taumatina
naturale come ingrediente sicuro ed è stata messa in commercio, trovando impiego negli alimenti per
animali da reddito e da compagnia, nelle gomme da masticare (50 mg/Kg) ed eccipiente per prodotti
farmaceutici. Negli USA il suo utilizzo è approvato come esaltatore di aroma. È possibile ottenere queste
proteine anche attraverso bioingegneria genetica attraverso l’utilizzo di batteri geneticamente
modificati (1 g/L).
Glicosidi steviolici (stevia): I glicosidi steviolici, comunemente noti come Stevia, sono estratti dalle
foglie della pianta Stevia rebaudiana un cespuglio della famiglia dei crisantemi, nativo del Paraguay. I
principi attivi sono lo Stevioside ed il Rebaudioside-A. I glicosidi steviolici, prodotti di derivazione
naturale, sono idrolizzati nell’intestino, dalla flora batterica, liberando lo steviolo. Attualmente non se
ne conoscono effetti tossici o cancerogeni.
1) Aspartame
2) Ciclamato
3) Saccarina
1) Acesulfame
2) Aspartame
3) Ciclamato
4) Saccarina
Vengono utilizzati per lo più in associazione. Un litro di bevanda light è circa il 70 % della DGA.
ll Breath Test al Sorbitolo è un esame utile per la diagnosi di malassorbimento intestinale. Il breath test
al sorbitolo si basa sul principio che gli zuccheri sfuggiti all'assorbimento intestinale - dopo aver subito
l'azione fermentativa della flora batterica del colon - danno origine a gas, come l'idrogeno, che vengono
assorbiti dalla mucosa intestinale e trasportati dal sangue ai polmoni. Tali gas possono quindi essere
rilevati nell'aria espirata dal paziente.
PROTEOGLICANI
Glicosaminoglicani
I glicosaminoglicani (GAG) dei tessuti connettivi sono lunghe catene polimeriche formate da un
concatenamento lineare di unità disaccaridiche identiche unite linearmente tra loro da legami O-
glicosidici eterogenei. Tra queste figurano soprattutto: l’acido D-glucuronico e il suo epimero acido
iduronico, gli amino-zuccheri glucosamina e galattosamina che possono essere acetilati (N-
acetilglucosamina e Nacetil-galattosamina) o solforati (es. solfatogalattosamina)
Quando nella molecola sono presenti elevate quantità di acido glucuronico e sono numerose le
molecole solforate.
BIOCHIMICA–Biochimica generale BCG10– GAG E MUCOPOLISACCARIDI
I GAG si comportano come polianioni infatti si dissociano, assumono carica negativa e interagiscono
con altre molecole e con l’acqua
I proteoglicani includono sia proteine di membrana che proteine della matrice extracellulare (ECM).
Essa è costituita da proteine (collagene, integrine) di membrana, proteoglicani, che interagiscono tra di
loro Ci sono anche glicoproteine adesive, proteine fibrose strutturali, fibronectina (lega collagene,
fibrina, integrine), laminina (presente nelle membrane basali, collega le cellule al connettivo) Queste
proteine sono legate al citoscheletro, influenzando quindi la mobilità della cellula
Nel corpo umano alcuni tessuti hanno poca ECM (es. cervello), altri ne possiedono in grande quantità
(es. osso, cartilagine).
Nel 1980 la funzione principale che era attribuita alla matrice extracellulare era di supporto cellulare,
successivamente nel 1990 le venne riconosciuta regolazione della migrazione cellulare, motilità e
adesione, differenziazione e sviluppo embrionale. Dal 2005 venne confermata non solo la funzione
della matrice di supporto meccanico per l‘ancoraggio e la migrazione cellulare ma anche un ruolo fisio-
patologico per il coinvolgimento in vari eventi cellulari tra cui proliferazione, apoptosi, risposta agli
stress, angiogenesi.
Acido ialuronico