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BIOCHIMICA

GENERALE
Trascrizione delle slide presentate a
lezione dalla prof. Vignini
A.A. 2020-2021

Si ringrazia chiunque abbia contribuito


BIOCHIMICA – biochimica generale BCG01 – AMMINOACIDI E PROTEINE

BIOCHIMICA
“AMMINOACIDI E PROTEINE”

ID lezione BCG01 Modulo Biochimica generale


Data lezione 2 Marzo 2021
Autore Aurora Gregoretti
Lezione
Prof. Vignini
tenuta da
Programma d’esame, classificazione e caratteristiche di amminoacidi e
Argomento
proteine
Eventuali
Trascrizione revisionata delle slide da 1 a 50 della 1° presentazione
riferimenti

Introduzione con storia della biochimica…

PROGRAMMA D’ESAME
- Struttura e funzioni delle proteine. Proteine coniugate. Proteoglicani.
- Funzioni generali degli enzimi e cinetica enzimatica. Isoenzimi. Regolazione dell’attività
enzimatica
- Cofattori e Coenzimi utilizzati nelle reazioni metaboliche ed azione biochimica delle vitamine.
- Struttura e funzione dell’emoglobina e della mioglobina e loro funzioni di legame e trasporto
dell'ossigeno.
- Carboidrati semplici e complessi: aspetti strutturali e funzionali.
- Lipidi (Acidi grassi, trigliceridi, steroli, glicerosfosfolipidi, sfingolipidi).
- Le membrane biologiche: funzioni recettoriali, di trasporto e trasduzione del segnale.
- Bioenergetica e ossidazioni biologiche: ruolo dell’ATP.
- Biochimica del sistema endocrino: rapporto struttura/funzione dei differenti ormoni (proteici
e non proteici) e loro ruolo nel metabolismo.
- Fonti alimentari di carboidrati, lipidi, proteine, vitamine e sali minerali.
- Parametri di qualità nutrizionale degli alimenti
- Principi generali della digestione e dell’assorbimento degli alimenti.
- Trasporto dei lipidi in circolo: classificazione delle lipoproteine plasmatiche (VLDL, LDL e
HDL). Omeostasi del colesterolo plasmatico

Aurora Gregoretti per Medicina08 1 di 9


BIOCHIMICA – biochimica generale BCG01 – AMMINOACIDI E PROTEINE

AMMINOACIDI E PROTEINE: relazione struttura-funzioni


Proteine
La parola, “proteina”, coniata dal chimico olandese Mulder nel 1838, deriva dal greco ”proteios” e
significa “ciò che sta al primo posto”. Le proteine sono indispensabili per la struttura e la funzionalità
di tutti gli esseri viventi; senza di esse non potrebbe esistere la vita. Sono le molecole organiche più
abbondanti nelle cellule e rappresentano più del 50% del loro peso secco. Le proteine sono molecole
molto versatili e svolgono funzioni cruciali essenzialmente in tutti i processi biologici.

Principali funzioni delle proteine:


- Strutturale: Costituiscono le strutture delle cellule
- Regolatrice: Enzimi, ormoni
- Di difesa: Anticorpi
- Di riserva: Riserva di sostanze Calcio, fosforo
- Di trasporto: Emoglobina, albumina, lipoproteine
- Energetica: 1 g = 4 kcal

Classificazione delle proteine presenti nell’organismo


umano:
in base a:
- Peso molecolare
- Composizione
- Solubilità

Si possono quindi dividere in


- Proteine semplici (costituite da soli amminoacidi)
- Proteine coniugate (costituite da una proteina semplice e da un gruppo prostetico di natura non
proteica).
Figura 1: cellula animale. Le proteine sono le
macromolecole più abbondanti e sono presenti in tutti i
compartimenti cellulari Ciò determina le funzioni svolte.

Composizione delle proteine:

Le proteine sono composte da una o più CATENE PEPTIDICHE, ovvero composti lineari formati da
AMMINOACIDI legati uno di seguito all'altro.
Tutte contengono: CARBONIO – IDROGENO - AZOTO
Alcune contengono: OSSIGENO – ZOLFO

Altre contengono elementi addizionali, specialmente FOSFORO – FERRO – ZINCO - RAME


I loro pesi molecolari sono molto elevati ma per idrolisi acida tutte sono riconducibili ad unità base a
basso peso molecolare.

Amminoacidi
La particolare sequenza ed il numero di aminoacidi che costituiscono la catena polipeptidica
determinano:
- La NATURA
- La FUNZIONE
- La STRUTTURA TRIDIMENSIONALE

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GLI AMINOACIDI: I MATTONI
Gli aminoacidi sono
BIOCHIMICA sostanzegenerale
– biochimica relativamente semplici, e tutti BCG01
hanno–la stessa
AMMINOACIDI E PROTEINE
struttura base:

Gruppo amminico (basico)


NH2 Figura 2: struttura base degli
amminoacidi, i mattoni delle proteine
Parte variabile
R C COOH
Catena laterale
Gruppo carbossilico (acido)

Tutti gli amminoacidi (tranne la glicina) hanno l’atomo di carbonio a legato a quattro gruppi
H è quindi un centro chiralico o otticamente attivo
diversi: il carbonio a (asimmetrico)
Un atomo di idrogeno

• Gli amminoacidi che hanno un centro asimmetrico nel carbonio a possono esistere in due
forme speculari (D ed L) dette stereoisomeri, isomeri ottici o enantiomeri

Tutti gli• amminoacidi (tranne la glicina)


Le proteine contengono hanno l’atomo
solo L- amminoacidi di carbonio naturali
o aminoacidi a legato a quattro gruppi diversi: il
carbonio a (asimmetrico) è quindi un centro chiralico
o otticamente attivo

Gli amminoacidi che hanno un centro asimmetrico nel


Si definisce
carbonio a possono chirale
esistere in un speculari (D
due forme
oggetto, o una
ed L) dette stereoisomeri, molecola,
isomeri ottici o enantiomeri
esistente in 2 forme che siano
Le proteine contengono solo L-non
immagini speculari amminoacidi o
aminoacidi naturali sovrapponibili
uando un[Siamminoacido
definisce chirale viene sciolto
un oggetto, o una in molecola,
H2O diventa uno ione dipolare (zwitterione) che p
gire sia come acido
esistente in 2 (donatore
forme che siano diimmagini
protoni) che come
speculari non base (accettore di protoni)
sovrapponibili]
sostanze che hanno questa doppia natura si definiscono anfòtere o anfoliti.
Quando un amminoacido viene sciolto in H2O diventa Figura 3: stereoisomeri
pH fisiologico (valore attorno a 7,4) tutti gli amminoacidi hanno:
uno ione dipolare (zwitterione) che può agire sia come
il gruppo acido (donatore didissociato,
carbossilico protoni) che come base (accettore
si forma lo ione negativo carbossilato (-COO-)
di protoni)
Le sostanze che hanno questa doppia natura si definiscono anfòtere o anfoliti. Al pH fisiologico (valore
il gruppo attorno
amminico protonato (-NH +
a 7,4) tutti gli amminoacidi 3 )
hanno:
• il gruppo carbossilico dissociato, si forma lo ione negativo carbossilato (-COO-)
• l gruppo amminico protonato (-NH3+)

Figura 4

Oltre alla parte funzionale, comune a tutti, ogni amminoacido presenta un gruppo -R proprio:
• La natura del gruppo -R conferisce proprietà diverse a ciascun amminoacido
• Punto isoelettrico (pI): è il valore di pH al quale un amminoacido ha carica netta 0 cioè è elettricamente
neutro.

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• Il pI è una caratteristica di ogni singolo amminoacido


Elettroforesi: È un insieme di tecniche che permettono di separare molecole diverse con l’utilizzo dei campi
elettrici. In biochimica e biologia molecolare è utilizzata per studiare proteine e acidi nucleici

Isoelettrofocusing: sfrutta la separazione di molecole all’interno di un campo elettrico e di un gradiente di


pH. Viene utilizzata per dividere e proteine in base al punto isoelettrico (pH a cui le proteine hanno una carica
netta pari a 0)

Le proprietà di ciascun amminoacido dipendono dalle catene laterali (-R) che sono i gruppi funzionali
responsabili della struttura, delle funzioni e della carica elettrica delle proteine:
• Ciò che sostanzialmente determina il ruolo di un amminoacido in una proteina è la natura della catena
laterale (-R)
• Gli amminoacidi possono essere classificati in base alle proprietà delle loro catene laterali (-R),
considerando la loro polarità o non polarità a pH fisiologico e quindi la tendenza ad interagire con l’acqua
• Gli amminoacidi con catene laterali cariche, idrofiliche, sono generalmente esposti sulla superficie delle
proteine
• I residui idrofobici, non polari, si trovano in genere all’interno delle proteine, protetti dal contatto con
l’acqua

Classificazione degli amminoacidi in base alle caratteristiche del gruppo R:

- Con gruppi R alifatici (non polari): GLICINA, ALANINA, VALINA, LEUCINA, ISOLEUCINA, METIONINA,
PROLINA.
a) Le loro catene laterali sono costituite da una catena idrocarburica satura: sono idrofobici.
b) La metionina è uno dei due amminoacidi contenenti zolfo.
c) La prolina ha una caratteristica struttura ad anello, formato dalla catena laterale e dal suo
gruppo amminico, e differisce dagli altri amminoacidi perché contiene un gruppo imminico (R-
NH-R’). È solo moderatamente polare.

- Con gruppi R aromatici: FENILALANINA, TIROSINA, TRIPTOFANO


a) Le loro catene laterali sono aromatiche
b) Sono relativamente non polari (idrofobici)
c) Possono partecipare tutti ad interazioni idrofobiche
d) I gruppi -OH della tirosina ed NH del triptofano possono formare legami a idrogeno

- Con gruppi R polari, non carichi: SERINA, TREONINA, TIROSINA, CISTEINA, ASPARAGINA,
GLUTAMMINA
a) Sono polari ma in condizioni fisiologiche sono privi di carica elettrica.
b) I loro gruppi -R sono più idrofilici di quelli degli AA non polari: contengono gruppi funzionali che
formano legami idrogeno con l’acqua.
c) La polarità di serina, treonina e tirosina è dovuta al gruppo ossidrilico (-OH), quella della cisteina
al gruppo sulfidrilico (-SH), quella di asparagina e glutammina ai gruppi ammidici (- CONH2),
dove sia la porzione carbonilica che quella amminica possono entrare in gioco.

- Con gruppi R carichi positivamente (basici): LISINA, ARGININA, ISTIDINA


a) Sono accettori di protoni
b) Le loro catene laterali, contenenti gruppi amminici, a pH fisiologico sono ionizzate ed hanno
carica positiva
c) L’istidina è debolmente basica (pKa = 6,0) ed a pH fisiologico l’amminoacido libero è in gran parte
non ionizzato; quando si trova incorporata in una proteina può recare una carica positiva o essere
neutra (proprietà molto importante!)

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- Con gruppi R carichi negativamente (acidi): ACIDO ASPARTICO E ACIDO GLUTAMMICO.


a) Sono donatori di protoni.
b) I gruppi carbossilici delle loro catene laterali, al pH fisiologico, sono ionizzati ed hanno carica
negativa.

Figura 5: tavola degli amminoacidi

Ulteriore classificazione degli amminoacidi:


- ESSENZIALI: Sono Valina Leucina Istidina Treonina Metionina Triptofano Fenilalanina Isoleucina
Lisina
- NON ESSENZIALI: Gli altri
[ESSENZIALI = devono essere introdotti con gli alimenti perché l’organismo non li sintetizza]

Legame peptidico

È il legame che si forma quando gli aminoacidi si combinano per dare origine alle proteine lo fanno attraverso
una specifica reazione dove il gruppo carbossilico del primo aminoacido reagisce con quello aminico del
secondo perdendo una molecola d'acqua.
e questo processo si ripete più volte si produce una lunga catena lineare di AA denominato polipeptide.
Per convenzione la sequenza del polipeptide si scrive iniziando con il residuo che contiene il gruppo amminico
libero (N- terminale) e concludendo con il residuo che contiene il gruppo carbossilico (C-terminale).

Figura 6: struttura di un dipeptide

Il legame peptidico è POLARE, PLANARE e STABILIZZATO per RISONANZA. Nella situazione intermedia gli
elettroni sono coinvolti tra O carbonilico, C carbossilico e N ammidico

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Figura 7: stabilizzazione per risonanza del legame peptidico

La differenza di elettronegatività tra O e N conferisce polarità al legame peptidico; ciò rende possibile, la
formazione di legami a H sia a livello di O che a livello di N
Il legame peptidico ha quindi parziali caratteristiche di doppio legame (oltre il 40%), mentre il doppio legame
C=O si comporta in parte (40%) come un legame singolo.
Tutto ciò trova giustificazione nel fenomeno della risonanza del gruppo peptidico fra due strutture limite

Il carattere di doppio legame parziale del legame peptidico impedisce, alle temperature fisiologiche, la
rotazione del legame C-N, mentre è possibile la rotazione dei legami Cα1-C e Cα2-N

Studi di diffrazione ai raggi X hanno mostrato che nel gruppo peptidico


• il legame C-N è più breve (1.33 Å) di un normale legame C-N (1.46 Å)
• il legame C=O è leggermente più lungo (1.24 Å) di un normale doppio legame C=O (1.20 Å).
Il legame peptidico, quindi, ha per il 60% le caratteristiche di un legame singolo e per il 40% quelle di legame
doppio

Data la NON possibilità di rotazione intorno al legame CO-N si ha possibilità di isomeria CIS TRANS
Delle due configurazioni possibili, la TRANS è quella favorita dal punto di vista energetico (minima repulsione
sterica)
Oltre il 99% dei legami peptidici delle proteine naturali hanno configurazione TRANS. Fanno eccezione alcuni
legami amidici in cui è coinvolto l’N imidico della prolina

Isomeri della prolina:

Le due configurazioni in figura hanno contenuto energetico simile.


La configurazione trans è destabilizzata dalla repulsione sterica tra il carbonio δ dell’anello pirrolidinico e la
catena laterale del residuo aa adiacente.
ISOMERI DELLA PROLINA
Figura 8: configurazioni della prolina

gurazioni hanno contenuto energetico simile

zione trans è destabilizzata dalla repulsione sterica tra il carbonio δ dell’anello


e la catena laterale
Auroradel residuo aaper
Gregoretti adiacente
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Angoli di torsione dello scheletro covalente di un polipeptide:

Sono mostrati 2 gruppi peptidici planari. Le sole rotazioni possibili


sono:
• - intorno al legame Ca-N ( )
• - intorno al legame Ca-C ( )
Per convenzione gli angoli e sono uguali a 180° quando il peptide
è nella conformazione completamente estesa e tutti i gruppi
peptidici sono sullo stesso piano.
La forma geometrica della catena polipeptidica dipende da tutti gli
angoli e che si susseguono lungo la catena

Interferenze steriche tra gruppi peptidici adiacenti:


Figura 9: angoli di torsione
Ma non tutte le combinazioni sono possibili a causa
dell’impedimento sterico (un gruppo che dovrebbe occupare lo spazio di un altro).
Una rotazione può portare a una conformazione in cui l’atomo di H ammidico di un residuo e l’atomo di O
carbonilico del residuo successivo sono più vicini delle loro distanze di van der Waals.

Dagli amminoacidi alle proteine


Peso molecolare medio di un amminoacido: circa 113 g/mol.
Il peso permette di calcolare quanti residui amminoacidici sono presenti in una proteina di una data
dimensione.
Gli amminoacidi più abbondanti sono LEUCINA, SERINA, LISINA e ACIDO GLUTAMMICO costituiscono il 32%
degli amminoacidi nelle proteine.
Aminoacidi meno presenti sono CISTEINA, TRIPTOFANO e METIONINA sono 5% degli amminoacidi nelle
proteine.

Proteine corporee:

• 40% nel muscolo di cui 65% miosina ed actina: per locomozione e lavoro muscolare, ma anche come
fonte di amminoacidi in particolari condizioni fisiologiche
Le proteine muscolari non sono una forma di riserva come glicogeno e lipidi ed una loro perdita porta
a perdita di proteine funzionali.
• 10% tessuti viscerali (fegato, intestino): non mobilizzate rapidamente in condizioni di stress per le
loro funzioni vitali
• 30% nella pelle e nel sangue: lesioni della pelle ed anemia sono presenti in deficit di proteine
alimentari
4 proteine: MIOSINA, ACTINA, COLLAGENE (strutturali) ed EMOGLOBINA (trasporto O2) costituiscono circa
la metà di tutte le proteine

Classificazione delle proteine:

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BIOCHIMICA – biochimica generale BCG01 – AMMINOACIDI E PROTEINE

1) Secondo la composizione chimica


- Semplici = solo amminoacidi
- Complesse = contengono altre sostanze (Lipoproteine, Glicoproteine, Nucleoproteine e
Fosfoproteine)
2) Secondo la conformazione
- Fibrose Globulari
3) Secondo la funzione
- Strutturali
- Di Trasporto
4) Secondo l’importanza nutrizionale: più la proteina alimentare è simile a quelle umane, più il nostro
organismo è in grado di utilizzarne gli amminoacidi
- Alto VB
- Medio VB
- Basso VB

[VALORE BIOLOGICO: capacità di una proteina (o alimento) di fornire aminoacidi essenziali = una scala che va
da 0 a 100, indica la quantità e la varietà di aminoacidi essenziali contenuti in una proteina. Valore vicino al
100 per uova o alcuni tipi di carne. Valori biologici bassi (0-20) per proteine vegetali (perché mancano di alcuni
aminoacidi essenziali]

Le proteine possono essere divise secondo la COMPOSIZIONE CHIMICA in:


- SEMPLICI: Le proteine semplici sono quelle che in seguito ad idrolisi danno luogo solo ad
aminoacidi e a nessun altro prodotto di idrolisi organico o inorganico. Esempi:
a) PROTEINE FIBROSE, generalmente insolubili nei solventi acquosi ed a volte inattaccabili dagli
enzimi proteolitici
collagene (costituente essenziale del tessuto connettivo)
elastina (componente principale delle fibre elastiche e delle pareti vasali)
cheratina (componente essenziale dell'epidermide)
b) PROTEINE GLOBURALI, solubili in acqua e cristallizzabili:
protamine (di struttura semplice, simile ai peptoni)
istoni (di struttura semplice, simile ai peptoni)
albumine, assai diffuse nel mondo animale
globuline, insolubili in acqua, si trovano nel sangue, nel muscolo, nei tessuti in
genere e nei semi
c) PROLAMINE, caratteristiche del mondo vegetale

- CONIUGATE: Le proteine coniugate sono quelle che in seguito ad idrolisi danno luogo ad aminoacidi
ma anche a componenti organici ed inorganici. Questa porzione è detta GRUPPO PROSTETICO.
Esempi:
a) GLICOPROTEINE, PROTEOGLICANI: Proteine + Glucidi
b) LIPOPROTEINE: Proteine + Lipidi
c) FLAVOPROTEINE: Proteine + Nucleotidi flavinici
d) METALLO PROTEINE: Proteine + Metalli
e) FOSFOPROTEINE: Proteine + Gruppi fosforici
f) Emoglobina: proteina + gruppo Eme + Ferro
g) Clorofille: proteina + anello tetrapirrolico + Magnesio
h) Opsine: proteina + Retinale

Le proteine possono essere suddivise in base ad una diversa CONFORMAZIONE in:


- FIBROSE (ruolo strutturale e contrattile): composte da catene polipeptidiche disposte parallelamente
a formare lunghe fibre o fogli.

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BIOCHIMICA – biochimica generale BCG01 – AMMINOACIDI E PROTEINE

a) Esempi:
collagene
a-cheratina
elastina
b) caratteristiche:
tipicamente insolubili in acqua
amminoacidi "idrofobici” (ad esempio Ala, Val, Leu, Ile, Met, Phe) conferiscono
struttura e/o elasticità, resistenza
danno vita a aggregazioni (es. fibre muscolari)

- GLOBULARI: le catene polipeptidiche sono avvolte in forma sferica o globulare.


a) Esempi:
miosina
fibrinogeno
b) caratteristiche:
Svolgono la maggior parte del lavoro metabolico (trasporto, la catalisi e la
protezione);
Rappresentano tutti gli enzimi e le proteine regolatrici (ormoni);
Sono tipicamente solubili in acqua.
o residui AA polari sulla superficie
o residui AA idrofobici all'interno
o non formano aggregati in strutture macroscopiche
o compatte terziarie (a-eliche, fogli b ecc...)

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BIOCHIMICA
“STRUTTURA DELLE PROTEINE”
ID lezione BCG02 Modulo Biochimica Generale
Data lezione 04 marzo 2021
Autore Sara Senni
Lezione
Prof. Arianna Vignini
tenuta da
Argomento Struttura e funzioni proteine
Eventuali
Slide proiettate a lezione
riferimenti

Tra le PROTEINE CONIUGATE(costituite almeno da proteina + gruppo


prostetico) troviamo:

• Emoglobina: proteina + gruppo Eme + Ferro

• Clorofille: proteina + anello tetrapirrolico + Magnesio

• Opsine: proteina + Retinale

Le proteine possono essere divise secondo una diversa CONFORMAZIONE:

- Proteine fibrose : sono composte da catene polipeptidiche disposte parallelamente a formare lunghe
fibre o fogli.

Alcuni esempi sono:

● collagene

● a-cheratina

● elastina

Queste hanno ruolo strutturale e contrattile e possiedono particolari caratteristiche:

- tipicamente insolubili in acqua

- amminoacidi "idrofobici” (ad esempio Ala, Val, Leu, Ile, Met, Phe)

- conferiscono struttura e/o elasticità, resistenza

- danno vita a aggregazioni (es. fibre muscolari)

- Proteine globulari : le catene polipeptidiche sono avvolte in forma sferica o globulare.


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG02 – STRUTTURA DELLE PROTEINE

Alcuni esempi sono:

● miosina

● fibrinogeno

Svolgono la maggior parte del lavoro metabolico (trasporto, catalisi e protezione);

● Rappresentano tutti gli enzimi e le proteine regolatrici (ormoni);

● Sono tipicamente solubili in acqua;

● Hanno residui AA polari sulla superficie;

● Hanno residui AA idrofobici all'interno;

● Non formano aggregati in strutture macroscopiche;

● Possiedono strutture compatte terziarie (a-eliche, fogli b,.);

Le proteine possono essere divise secondo una diversa FUNZIONE:

- Le proteine strutturali sono componenti delle strutture permanenti dell'organismo ed hanno


principalmente una funzione meccanica; due esempi sono il collagene e l'elastina, presenti nella matrice
dei tessuti connettivi;

-Nelle proteine di trasporto si legano a sostanze poco (o comunque non abbastanza) idrosolubili e ne
consentono il trasporto nei liquidi corporei. Comprendono ad esempio le proteine del sangue che
trasportano lipidi, ferro, e ossigeno. Molto importanti sono anche le proteine di trasporto delle
membrane cellulari, che permettono un passaggio selettivo di molecole idrosolubili e ioni.

ApoB-100

4536 aminoacidi con un peso molecolare di 500 KDa.

-Fosfolipidi;

-colesterolo non esterificato alternato a colesterolo esterificato;

Autore: Sara Senni per Medicina08 2 di 13


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG02 – STRUTTURA DELLE PROTEINE

PRINCIPALI TIPI DI PROTEINE

- ENZIMI: citocromo c – esochinasi – lattico deidrogenasi

- PROTEINE DI DEPOSITO: ovalbumina – caseina – ferritina - gliadina

- PROTEINE DI TRASPORTO: emoglobina – emocianina – albumina serica - mioglobina

- PROTEINE CONTRATTILI: miosina – actina

- PROTEINE PROTETTIVE: immunoglobuline – fibrinogeno – trombina

- TOSSINE: tossina difterica – tossina del Clostridium botulinum

- ORMONI: insulina – ormone della crescita; [da non confondere con ormoni di natura lipidica derivanti
da colesterolo (es.ormoni sessuali)]

- PROTEINE STRUTTURALI: glicoproteine – collagene – elastina fibroina - a-cheratina

Autore: Sara Senni per Medicina08 3 di 13


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG02 – STRUTTURA DELLE PROTEINE

Tutte queste funzioni possono essere raggruppate in tre grandi categorie:

- PLASTICA: le proteine sono i "mattoni" per costruire tutti i tessuti che sono continuamente soggetti a
demolizione e sintesi, prime fra tutti i muscoli;

- REGOLATRICE: le proteine sono precursori di ormoni, neurotrasmettitori e altre molecole di


importanza biologica;

- ENERGETICA: gli amminoacidi possono essere trasformati in glucosio tramite la rimozione della parte
azotata (GLUCONEOGENESI).

Taglia molecolare delle proteine:

Small → 50 - 150 aminoacidi

Very large → > 1000 aminoacidi

La più grande conosciuta è la TITINA con oltre 27 000 residui amminoacidici.

La taglia viene determinata confrontando la nostra taglia con la taglia standard.

RAPPORTO STRUTTURA FUNZIONE delle proteine

- Affinché una proteina possa svolgere la propria funzione biologica, la catena polipeptidica deve
ripiegarsi in modo da assumere una struttura tridimensionale stabile Struttura nativa

- Nella struttura 3D di una proteina è possibile riconoscere più livelli di organizzazione, in base a
un criterio dei complessità
- quattro distinti livelli strutturali.

STRUTTURA DELLE PROTEINE

La proteina può essere paragonata ad una costruzione su quattro piani.

- PRIMARIA cioè lo scheletro covalente della catena polipeptidica;

- SECONDARIA disposizione regolare e ricorrente in una dimensione dello spazio;

- TERZIARIA cioè il modo in cui la catena è ripiegata tridimensionalmente a formare una struttura
compatta (esempio: mioglobina);

- QUATERNARIA cioè il modo in cui le singole catene polipeptidiche di una proteina composta da due o
più catene sono disposte l’una rispetta all’altra (esempio: emoglobina);

Autore: Sara Senni per Medicina08 4 di 13


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG02 – STRUTTURA DELLE PROTEINE

1. STRUTTURA PRIMARIA

È formata dalla sequenza specifica degli amminoacidi legati da legami peptidici.

Filo= legame peptidico che lega perle = amminoacidi

Dalla trascrizione dei geni del Dna, l’mRna ottenuto sarà tradotto in proteine.

È proprio dalla struttura primaria derivano tutte le proprietà della proteina.

Ex. Albero filogenetico del Citocromo C

L’evoluzione degli organismi è legata a mutazioni spontanee che avvengono nei loro geni.

Le differenze nella struttura primaria sono la “memoria” dei cambiamenti avvenuti a livello genetico nel
corso dell’evoluzione.

In specie legate da notevole affinità le strutture primarie delle proteine comuni sono simili.

Il Citocromo C è una buona proteina per studi evolutivi comparati perché si trova nella catena
respiratoria di trasporto degli elettroni di tutti gli organismi.

Quando le linee evolutive divergono aumenta il numero di differenze tra le sequenze.

Quando linee divergono, aumenta la differenza negli amminoacidi.

2. STRUTTURA SECONDARIA

Strutture dovute ad interazioni “locali” di tipo ponte-H.

È determinata da interazioni di tipo legame a idrogeno fra l’ossigeno di un gruppo carbonilico del
legame peptidico e l’idrogeno del gruppo ammidico di un altro legame peptidico.

Autore: Sara Senni per Medicina08 5 di 13


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG02 – STRUTTURA DELLE PROTEINE

Esistono due tipi di strutture secondarie:

- l’ a-elica (legami intracatena)

- il foglietto b (legami possono


essere inter-catena)

Struttura secondaria (a-elica)

- È una struttura in cui la catena polipeptidica è avvolta a spirale;

- Le catene laterali degli amminoacidi (-R) si protendono verso l’esterno rispetto all’asse della spirale;

- L’a-elica è stabilizzata da legami idrogeno intracatena che si formano a 4 residui di distanza sulla
catena;

- La prolina interrompe l’a-elica!!!

- Gli amminoacidi con catene laterali (-R ) voluminose o cariche possono interferire con la formazione
dell’a-elica, in base a residui R idrofilici o idrofobici;

- Le proprietà idrofobiche o idrofiliche di una a-elica dipendono dalle catene laterali degli amminoacidi.

Struttura secondaria (foglietto B)

- È una struttura ripiegata, formata da 2 o più catene polipeptidiche (filamenti) quasi completamente
distese;

- I legami a idrogeno sono intercatena e perpendicolari allo scheletro del peptide;

- Tutti i componenti di un legame peptidico partecipano alla formazione di legami a idrogeno;

Autore: Sara Senni per Medicina08 6 di 13


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG02 – STRUTTURA DELLE PROTEINE

- Tali legami si realizzano tra l’ossigeno di un gruppo carbonilico di un legame peptidico e l’idrogeno del
gruppo ammidico di un altro legame peptidico appartenente ad un filamento diverso.

- I polipeptidi che formano un foglietto b possono disporsi in modo parallelo o anti-parallelo(forma più
stabile).

- Un foglietto b può essere formato anche da una singola catena polipeptidica ripiegata su se stessa, in
tal caso i legami a H sono legami intracatena.

- La superficie dei foglietti b è “pieghettata”.

RESIDUI AA PRESENTI NELLE STRUTTURE β:

- Predominano piccoli residui non polari (METIONINA, VALINA ISOLEUCINA);

- sono meno frequenti gli AA con catene laterali polari o ingombranti;

- la PROLINA è talvolta presente ma tende a interrompere l’andamento regolare della struttura


producendo gomiti e inversioni di direzione;

Struttura secondaria (sequenze non ripetitive)

• Queste strutture non ripetitive non sono “casuali”.

• Hanno una forma meno regolare rispetto all’ a-elica ed al foglietto b.

• La catena polipeptidica assume una conformazione ad anse ed avvolgimenti, i cosiddetti random


coil.

Vi sono quindi conformazioni più stabili di altre, perché favorite da un punto di vista energetico, e
conformazioni proibite, quelle in cui si svilupperebbe una forte repulsione tra le catene laterali.

DELLE MOLTISSIME CONFORMAZIONI TEORICAMENTE POSSIBILI PER UN RESIDUO AA IN UNA


CATENA POLIPEPTIDICA SOLO ALCUNE SONO STABILI

RAMACHANDRAN PLOT:

Ramachandran e collaboratori hanno pensato di diagrammare gli angoli e delle proteine note e
hanno verificato la presenza di zone consentite e zone non consentite del piano .

La distribuzione degli angoli e per gli aminoacidi di una particolare proteina è rappresentata
tramite il Ramachandran plot: analisi delle collisioni degli atomi considerando il raggio di van der
Waals.
Zona rossa: nessuna collisione.
Zona gialla: al limite della collisione.
Zona bianca: collisione tra atomi se presenti certi angoli e .

Autore: Sara Senni per Medicina08 7 di 13


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG02 – STRUTTURA DELLE PROTEINE

La Gly non ha impedimenti sterici e presenta la zona permessa più grande.

UN ESEMPIO DI STRUTTURA SECONDARIA: Proteine filamentose


- Ci sono poche proteine che formano lunghi filamenti e la loro struttura è definita dalla struttura
secondaria.

- Il collagene rappresenta ¼ di tutte le proteine di un corpo.

- È l'elemento strutturale più importante formante i tendini e la struttura supportante la pelle e


gli organi interni.

- Le ossa e i denti si formano per aggiunta di cristalli di sali minerali al collagene.

- Da un punto di vista strutturale, il collagene è formato da un numero variabile di microfibrille


formate per la giustapposizione lineare ripetitiva di molecole di tropocollagene singole, lunghe
circa 280-300 nM e con un diametro di circa 1,4-1,5 nM (nano Molare).

- Ogni molecola di tropocollagene è a sua volta costituita da tre catene polipeptidiche elementari
di circa 1000 aa ciascuna.

- Le sequenze aa di ognuna di queste 3 catene polipeptidiche sono formate da 333 triplette


elementari che si ripetono periodicamente, di Glicina-X-Y dove X è spesso rappresentato dalla
prolina e Y dall’idrossiprolina.

Autore: Sara Senni per Medicina08 8 di 13


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG02 – STRUTTURA DELLE PROTEINE

È una struttura flessibile simile ad una corda a 3 fili avvolti a spirale gli uni sugli altri per sopportare le
forze di trazione; più microfibrille a loro volta danno origine a fibrille, l’unione delle fibrille da origine
a fibre collagene

TIPI DI COLLAGENE

Fin’ora in letteratura sono stati individuati ben 28 tipi di collagene, ma i più importanti sono quattro;
essi sono:

La principale funzione del COLLAGENE DI TIPO 1 è quella di conferire stabilità meccanica e


resistenza alla tensione;

il COLLAGENE DI TIPO 2 è importante nel generare la forza di tensione;

il TIPO 3 conferisce all’organismo la flessibilità;

quello di TIPO 4 è implicato nella funzione di supporto degli stimoli meccanici.

Una proteina tende per natura ad assumere una forma compatta dove gli AA idrofobici non polari si
dispongono all’interno andando a creare la tasca idrofobica, dove è posto il sito attivo degli enzimi.

3. STRUTTURA TERZIARIA

È indispensabile per la sua attività biologica e rappresenta la struttura tridimensionale dell’intero


polipeptide che deriva dall’interazione fra le catene laterali di aa anche distanti nella sequenza
primaria.

Caratteristiche:

- La struttura terziaria è la conformazione tridimensionale, avvolta, di una proteina.

- La struttura primaria di una catena polipeptidica determina la sua struttura terziaria.

- Quando una proteina si avvolge su se stessa, gli AA che si trovano in regioni lontane della sequenza
polipeptidica possono ugualmente interagire tra loro.

- È stabilizzata da legami non covalenti come ponti idrogeno, interazioni idrofobiche tra amminoacidi
non polari e legami ionici.

Autore: Sara Senni per Medicina08 9 di 13


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG02 – STRUTTURA DELLE PROTEINE

- Ma anche da legami covalenti, sotto forma di ponti disolfuro fra due cisteine.

- Le interazioni che si instaurano a livello tridimensionale coinvolgono amminoacidi non


necessariamente vicini nella struttura primaria.

- Gli R apolari verso l’interno (eccetto in proteine integrali di membrana).

-Gli R polari verso l’esterno (solvatati da H2O).

Fra 2 residui SH di due cisteine i residui che si vengono a formare sono chiamati cistine.

Legame disolfuro:

• È un legame covalente che deriva dalla ossidazione del gruppo sulfidrilico (-SH) di due residui di
CISTEINA con formazione di un residuo di CISTINA.

• Le due cisteine possono essere molto lontane nella stessa catena polipeptidica o appartenere a due
diverse catene.

Autore: Sara Senni per Medicina08 10 di 13


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG02 – STRUTTURA DELLE PROTEINE

• Essendo legami covalenti, i legami disolfuro concorrono a stabilizzare la struttura delle proteine
impedendone la denaturazione nell’ambiente extracellulare.

DENATURAZIONE

La denaturazione a volte è un processo reversibile, e, allontanando l'agente denaturante,


la proteina riprende spontaneamente la sua conformazione tridimensionale (che è dettata dalla
struttura primaria).
Processo che si verifica quando le interazioni vengono meno: in presenza di temperature non ottimali,
di pH non ottimale o di detergenti.
La struttura tridimensionale viene persa, così la proteina va incontro a denaturazione, perdendo la
sua attività biologica.

ES. denaturazione albume uovo: quando lo cuociamo anche se lo raffreddiamo non torna nello stato
liquido.

Autore: Sara Senni per Medicina08 11 di 13


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG02 – STRUTTURA DELLE PROTEINE

I DOMINI

Le catene polipeptidiche formate da più di 200 amminoacidi in genere comprendono 2 o più domini
(piccole unità compatte).

- I domini sono le unità strutturali e funzionali di una proteina.

- Ciascun dominio è una regione globulare, compatta, che si forma per la combinazione di più elementi
strutturali secondari: a-eliche, foglietti b, sequenze non ripetitive.

- Strutturalmente ciascun dominio è indipendente da altri domini della stessa catena polipeptidica.

- La struttura terziaria riguarda sia il ripiegamento di ciascun dominio sia la disposizione reciproca
finale dei domini di un polipeptide.

Struttura terziaria di una CHINASI:

Queste proteine CATALIZZANO il TRASFERIMENTO di un GRUPPO FOSFATO.


Possiedono 2 domini con funzioni regolatorie e 2 domini con funzioni catalitiche.

• Proteine fibrose
- Insolubili in acqua
- Utilizzate per tessuti connettivi
- Seta, collagene, cheratina

• Poteine globulari
- Solubili in acqua
- Usate per proteine cellulari
Hanno una struttura tridimensionale
complessa

4. STRUTTURA QUATERNARIA

È determinata dall'associazione di due o più unità polipeptidiche unite tra loro da legami deboli in un
modo molto specifico.
Alcune proteine contengono anche una parte non polipeptidica, detta gruppo prostetico; queste
proteine fanno parte delle proteine coniugate.

La struttura quaternaria deriva dalle interazioni deboli (identiche a quelle che stabilizzano la struttura
terziaria) che si stabiliscono tra più catene polipeptidiche (subunità) identiche o diverse per dare
complessi proteici tridimensionali chiamati oligomeri, se il numero delle subunità è molto elevato.

- Struttura quaternaria della emoglobina: oligomero con quattro subunità a due a due identiche (2a2b)

- Rivestimento proteico icoesaedrico di molti virus sferici (poliovirus, rinovirus).

Autore: Sara Senni per Medicina08 12 di 13


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG02 – STRUTTURA DELLE PROTEINE

Vi sono dei limiti alle dimensioni delle proteine.


È più semplice ed efficace sintetizzare molte copie di una proteina piccola che una sola copia di una
proteina molto grande, questo perché mutazioni in una proteina più grande sarebbero più frequenti.

Autore: Sara Senni per Medicina08 13 di 13


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG03 – PROTEINE II

BIOCHIMICAGENERALE
“PROTEINE II”
ID lezione BCG03 Modulo Biochimica Generale

Data lezione 4/3/2021

Autore Piero Canzio


Lezione
Prof. Arianna Vignini
tenuta da
Argomento Proteine Seconda parte
Eventuali
Trascrizione Slide proiettate a lezione
riferimenti

GLICOPROTEINE

La componente glucidica va dall'1 all'80% il resto sono catene di aminoacidi. Nei tessuti sono presenti
due classi fondamentali di glicoproteine:

• Quelle che contengono oligosaccaridi legati mediante legame O-


glicosidico agli aminoacidi serina e treonina;
• Quelle che contengono oligosaccaridi legati mediante legame N-
glicosidico all’amminoacido asparagina

Determinano:

i gruppi sanguigni
Coagulazione del sangue (fibrinogeno)
Difese immunitarie (immunoglobuline)
Collagene

Quali sono i glucidi che troviamo associati alle glicoproteine?

glucidi che entrano nella composizione delle catene oligosaccaridiche legate alle proteine:

Autore: Piero Canzio per Medicina08 1 di 8


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG03 – PROTEINE II

PROTEINE DI MEMBRANA

Circa il 25% di tutte le proteine giocano un ruolo importante:

Nella comunicazione cellulare


Nel metabolismo energetico
Trasporto di molecole/o ioni di fuori dalle cellule
Riconoscimento delle cellule con gli agonisti (es. recettori per ormoni, recettori per
lipoproteine, ecc)

Le catene laterali degli aminoacidi nei segmenti transmembrana appartengono ad aminoacidi non-
polari (ad esempio Ala, Val, Leu, Ile, Phe)

Possiamo, ovviamente, classificare le proteine di membrana in base a come esse sono orientate
all’interno del doppio starato fosfolipidico:

Proteine superficiali o estrinseche


Proteine integrali o intrinseche (transmembrana)

Recettore per le LDL

Il recettore per le LDL include 700 aminoacidi extracellulari, un dominio transmembrana ad alpha
elica di 22 aminoacidi e una coda citoplasmatica di 50
aminoacidi.

All’estremità N-terminale, 292 aminoacidi


costituiscono il dominio de legame per e LDL. Sei
aminoacidi all’interno della coda citoplasmatica
definiscono il segnale di internalizzazione, identificato
per primo grazie al fatto che una mutazione di Tyr in
Cys in un caso si ipercolesterolemia familiare.

Recettore per l’insulina

È una struttura che serve a livello di membrana, che nel


momento in cui arriva l’insulina avvengone delle
fosforilazioni a livello della porzione citoplasmatica del
recettore che permette al recettore di trasportare il glucosio
all’interno della cellula.

Il recettore GLUT4 è presente su specifiche cellule che


definiamo insuliane-sensibili.

Autore: Piero Canzio per Medicina08 2 di 8


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG03 – PROTEINE II

Ruoli degli oligosaccaridi nel riconoscimento e adesione sulla superficie cellulare

1. Gli oligosaccaridi di una varietà di glicoproteine e glicolipidi sulla superficie esterna della
membrana plasmatica, interagiscono con elevata specificità e affinità con le lectine
nell’ambiente extracellulare.
2. I virus che infettano le cellule animali, come il virus dell’influenza, si legano alle glicoproteine
sulla cellula come primo passo dell’infezione.
3. Le tossine batteriche, come le tossine del colera e della pertosse, si legano a un glicolipide di
superficie prima di entrare in una cellula.
4. Alcuni batteri, come l’Helicobacter pylori, aderiscono e quindi colonizzano o infettano le cellule
animali.
5. Le lectine chiamate selectine nelle membrane plasmatiche di alcune cellule mediano
l’interazione cellula-cellula, come quelle dei linfociti T con le cellule endoteliali della parete
capillare durante una infezione.

Supporto meccanico

Contrazione muscolare (actina e miosina nei muscoli degli animali)


Componenti del citoscheletro cellulare (tubulina, spettrina...)

La miosina: è una lunga molecola che termina con due teste globulari ad una estremità, è composta da
due catene pesanti del peso molecolare di circa 230kDa; in prossimità della testa di ogni catena
pesante sono legate due catene leggere diverse fra loro, del peso molecolare di circa 20 KDa ciascuna;
la loro funzione è quella di legare lo ione calcio. L’estremità carbossilica della miosina è localizzata
nella coda ove le due catene pesante sono avvolte l’una sull’altra a formare una struttura ad alpha
elica. La regione globulare della testa della miosina contiene ATPasica che fornisce l’energia per il
processo di contrazione ed il sito di legame per l’actina.

L’actina: è la principale proteina dei filamenti sottili e costituisce circa il 20-25% delle proteine
muscolari, viene sintetizzata come proteina globulare dal peso molecolare di 42KDa. L’actina
neosintetizzata è detta actina G o globulare e presenta due domini distinti, maggiore e minore.

L’actina G contiene un sito di legame specifico per l’ATP ed un sito di legame ad alta affinità
per ioni metallici bivalenti come il Ca2+ ed il Mg2+. L’actina G è una molecola polare e si
aggrega per formare l’actina F (actina fibrosa) grazie all’aggregazione del complesso actina G-
ATP-Mg2+. L’aggregazione può avere luogo su entrambe le parti terminali del polimero, ma
principalmente avviene all’estremità del dominio maggiore.

polimerizzazione dell’actina

Tropomiosina: è una proteina del peso di circa 70 KDa composta da due


subunità (eterodimeriche) ripiegate ad alpha elica. Ha una forma
filamentosa molto lunga ed è implicata nel controllo della contrazione
muscolare prevenendo, in combinazione con il complesso della
troponina, il legame dell’actina con la miosina e quindi la contrazione.

Autore: Piero Canzio per Medicina08 3 di 8


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG03 – PROTEINE II

Abbiamo visto, quindi, che queste interazioni dono Calcio dipendenti:

o A basse concentrazioni di Ca, la tropomiosina blocca stericamente il sito di legame della


miosina all’actina
o Ad alte concentrazioni il suo legame l complesso della troponina induce una modifica
conformazionale provocando a sua volta il demascheramento del sito di legame actina-miosina
permettendo quindi la contrazione muscolare

Troponina: è una proteina, implicata anche essa nel processo di contrazione muscolare, costituita da
tre subunità diverse con peso molecolare diverso:

•Tn-C(18KDa): ha la funzione di legare il calcio, inducendo un cambiamento conformazionale della


Tn-I e della tropomiosina, favorendo in tal modo l’esposizione dei siti di legame del complesso actina-
miosina.

•Tn-I(21KDa): è coinvolta nell’inibizione del legame dell’actina alla miosina in assenza di calcio.

•Tn-T (37KDa: ha invece la funzione di legarsi alla tropomiosina.

Globalmente la tropiomina ha una fondamentale importanza nella fase di eccitazione-contrazione


muscolare scheletrica. Questo processo, svolto nel tessuto muscolare abitualmente, inizia attraverso il
legame Calcio al sito C della troponina, la quale successivamente attraverso il suo sito T si attaccherà
alla tropomiosina facendola scivolare via nella posizione inibitoria che manteneva sui filamenti sottili
di actina.

Titina e Nebulina: queste due proteine sono necessarie per la stabilità strutturale di tutto il sarcomero.
La timina è un enorme proteina elastica che occupa tutta la distanza tra la distanza del disco Z che ha
la funzione elastica di agevolare il ritorno del sarcomero allungato alla sua lunghezza di riposo; la
nebulina che si lega all’actina contribuendo a mantenere il suo allineamento.

LA MEMBRANA INTELLIGENTE DEL GLOBULO ROSSO

Le proteine integrali rappresentano la componete maggiore e tra die esse la proteina della banda 3 e le
glicofotine. Il dominio extracellulare di queste proteine è glicosilato, es esso è il responsabile della
componente antigenica (gruppi sanguini).

Le glicoferine permettono l’attacco del citoscheletro alla membrana cellulare, la glicoforina A in


particolare, consente agli eritrociti di respingersi l’un l’altro. Inoltre, quest’ultima è anche il recettore
del plasmodio della malaria, il quale utilizza il legame con questa proteina per essere veicolato
all’interno dell’eritrocita.

Le proteine della banda 3 fungono da canale passivo per lo scambio di anioni attraverso la
membrana, legare l’emoglobina e agire come ulteriore sito di ancoraggio per il citoscheletro.

Le proteine periferiche comprendono l’actina e le proteine della banda 4.1 e 4,9 e la tropomiosina,
mantengono la forma biconcava dell’eritrocita e controllano i movimenti delle proteine integrali di
membrana. L’ancoraggio della struttura citoscheletrica alla membrana dell’eritrocita avviene
attraverso una proteina chiamata ankyrina.

Il reticolo spettrina-actina conferisce resistenza, elasticità e flessibilità agli eritrociti, i quali circolano i
vasi spesso molto stretti e sono sottoposti a forze tangenziali che tendono a lacerarli.

Autore: Piero Canzio per Medicina08 4 di 8


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG03 – PROTEINE II

Proteolipidi

Nel 1951, proteine solubili in solventi organici quali cloroformio-metanolo sono stati trovati nella
composizione della mielina nel cervello di ratto da Folch e Less e fu coniato il termine proteolipidi.

Possono essere definiti come tutte le proteine contenenti lipidi legati covalentemente, compresi acidi
grassi, isoprenoidi, e glicosil-fosfatidil-inositolo(GPI). Il termine proteolipidi non va confuso con quello
di lipoproteine, strutture deputate al trasporto di lipidi nel sangue, nelle lipoproteine i lipidi non sono
legati covalentemente alle proteine.

La mielina è composta da circa l’80% di lipidi e circa il 20% di proteine. Alcune delle proteine che
costituiscono la mielina sono:

o La proteina basica della mielina (MBP)


o La proteina proteolipidica(PLP)
o Glicoproteina oligodentrocitica associata alla mielina(MOG)

Alla base del processo infiammatorio che sottende la Sclerosi Multipla vi è un attacco autoimmunitario
contro antigeni della mielina di questi oligodentrociti.

Orientamento della proteina proteolipidica nella membrana plasmatica: la


PLP è una proteina con 4 domini transmembrana con i terminali NH 2 e
COOH situati entrambi sulla faccia citoplasmatica della membrana. Le
cisteine coinvolte nella formazione dei due legami disolfuro in PLP sono
mostrate in blu.

Acilazione delle proteine G

Nelle cellule di mammifero la palmitoilazione,


la miristoilazione e la prenilazione mediano
l’associazione della proteina G alla membrana.
La mancanza di queste modificazioni porta alla
solubilizzazione delle proteine.

Prenilazione: aggiunta di residui di fernesile o di geranilgeranile ad una cisteina

Acetilazione con un acido grasso: aggiunta di un acido miristico tramite un legame ammidico all’N-
terminale di una Gly, o un palmitato esterificato a una Cys.

Autore: Piero Canzio per Medicina08 5 di 8


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG03 – PROTEINE II

Il glutatione: presente nelle piante, negli animali e in alcuni batteri, è un


tripeptide che agisce come “tampone redox” contro lo stress ossidativo.
Viene sintetizzato a partire dal glutammato, cisteine, glicina; esiste in
forma ridotta (GSH) e ossidata (GSSG) quest’ultima formata dalla
combinazione di 2 molecole tramite un ponte disolfuro.

Funzioni principali:

o Protegge i gruppi sulfridilici delle proteine


o Mantiene il ferro del gruppo eme in forma ridotta
o Neutralizza i perossidi, composti tossici prodotti dal
metabolismo anaerobico(reazione catalizzata dalla glutatione
perossidasi)

Creatina: sintetizzata dal rene e dal fegato a partire


da arginina, S-adenosilmetionina e glicina, vien
utilizzata come riserva di fosfato inorganico
(fosfocreatina) nel muscolo scheletrico. La capacità
di rigenerare ATP a partire da ADP nel muscolo è
proporzionale alla quantità di fosfocreatina
depositata nel muscolo, motivo per cui molti atleti
ricorrono alla supplementazione di tale composto.

La creatinina costituisce il prodotto di degenerazione


e viene utilizzata a fini diagnostici per stimare il
filtrato glomerulare a fini diagnostici per stimare il
filtrato glomerulare e pertanto per valutare la
funzionalità renale senza ricorrere alla raccolta urine
delle 24 ore

Porfine: dalla combinazione della glicina con una molecola di


succinil-CoA origina l’acido delta-amminolevulnico (ALA),
precursore della sintesi delle profine, da cui prende origine il
gruppo eme contenuto nell’emoglobina, nella mioglobina e
nei citocromi.

Le porfine acquisiscono la loro funzione biologica con


l’aggiunta di un atomo di ferro al termine della loro sintesi.
Difetti della sintesi delle porfine, a seguito del deficit
genetico d’uno degli enzimi coinvolti, prendono il nome di
porfirie, malattie che si manifestano con anemia, dolore
addominale, manifestazioni neurologiche e anormale
pigmentazione di cute e annessi.

Catecolamine:

Autore: Piero Canzio per Medicina08 6 di 8


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG03 – PROTEINE II

la dopamina, la noradrenalina e l’adrenalina sono ammine


biologicamente attive denominate, appunto catecolamine.
Queste sono sintetizzate a partire dalla tirosina, l’enzima
tirosina idrossidasi opera la sintesi di DOPA e richiede la
presenza del cofattore tetraidrobiopterina( la quale richiede
acido folico, vitamina B9, per funzionare correttamente).
Mediante reazioni successive, si ha la sintesi di dopamina,
noradrenalina e adrenalina.

Le catecolamine sono degradate dagli enzimi mnoamino


ossidasi(MAO) e catecol-O-metil-transeferasi (COMT).
L’inibizione farmacologica di tali enzimi permette di
prolungare l’azione delle catecolamine, con affetti benefici su
depressione e malattie neurodegenerative (es.morbo di
Parkinson)

Istamina:

È un messaggero chimico che media un’ampia gamma di risposte


cellulari, tra cui risposte infiammatorie e allergiche, la secrezione
acida gastrica e la neurotrasmissione in alcune zone dell’encefalo.

La sintesi avviene a partire dell’istidina, la quale è decarbossilata in


una reazione che richiede piridossal fosfato (forma attivata della
piridossina, vitaminaB6). Ha potente azione vasodilatatrice ed è
secreta dai mastociti nelle reazioni allergiche e nei traumi. Il rilascio
e l’azione dell’istamina possono essere inibiti da specifici farmaci che
vengono impiegati nel trattamento di forme allergiche, asma, ecc

Serotonina: (5-idrossitriptamina)

È sintetizzata e conservata in diversi sedi:

o Mucosa intestinale
o Piastrine
o Sistema nervoso centrale

È sintetizzata a partire dal triptofano, ossidrilato in una reazione


dipendente dalla tetraidrobiopterina e successivamente
decarbossilato a serotonina. Le molteplici funzioni comprendono la
mediazione del dolore, la regolazione di sonno, appetito,
temperatura e pressione sanguinai.

La serotonina ha un ruolo fondamentale nella regolazione del tono dell’umore, tant’è che i farmaci che
ne inibiscono la ricaptazione dal vallo sinaptico rappresentano i capostipiti nel trattamento dei
disturbi depressivi.

Melanina:

Autore: Piero Canzio per Medicina08 7 di 8


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG03 – PROTEINE II

è un pigmento che si trova in vari tessuti, in particolare negli occhi,


nei capelli e nella pelle. È sintetizzata nell’epidermide da cellule
specializzate, i melanociti, stimolati in seguito all’esposizione a
radiazioni ultraviolette.

La sintesi avviene a partire dalla tirosina, in una serie di reazioni


successive, alcune delle quali catalizzate dall’enzima tirosinasi,
contente rame. La carenza di tale enzima provoca albinismo, una
condizione con deficit o assenza di pigmentazione cutanea e
oculare.

Protegge le cellule dell’epidermide da effetti dannosi delle


radiazioni solari, dal momento che assorbe le radiazioni solari
convertendole in calore ed evitando la formazione di radicali liberi.

BIOSINTESI DELL’NO

Autore: Piero Canzio per Medicina08 8 di 8


BIOCHIMICA GENERALE
“ENZIMI”
ID lezione BCG04 Modulo Biochimica Generale
Data lezione 11 Marzo 2021
Autore Elisa Morabito, Chiara Arleo
Lezione
Prof. Arianna Vignini
tenuta da
Argomento Enzimi e cinetica enzimatica
Eventuali
Slide proiettate a lezione.
riferimenti

Un po’ di storia…

Inizialmente gli enzimi vennero chiamati fermenti, soltanto nel 1835 Berzelius enunciò la prima teoria
della catalisi chimica. Nel 1877 si fece il primo uso del termine enzima. Attualmente sono stati
individuati più di 700 enzimi.

ENZIMI:

Gli enzimi sono delle proteine che hanno il compito di catalizzare le reazioni chimiche che avvengono
negli organismi viventi. Catalizzare nel senso di far avvenire la reazione in tempi che siano compatibili
con la vita. La funzione principale è quella di portare all’equilibrio le reazioni dell’organismo in tempi
brevissimi, il fatto che possano essere regolati fa si che l’organismo possa selezionare quali reazioni
devono essere accelerate e quali devono essere rallentate o bloccate, contemporaneamente non
possono essere “accesi” tutti i diversi metabolismi.

Reazioni di una catalisi enzimatica dove si ha un enzima, un


substrato, la formazione del complesso enzima substrato
che evolve nella formazione del complesso enzima-prodotto
con il prodotto che poi viene liberato. L’enzima può tornare
indietro ed essere di nuovo impiegato in altre catalisi

Caratteristica importante dell’enzima è quella di prendere parte alla reazione ma non viene modificato
dalla reazione e quindi può essere riutilizzato.

Una sola molecola di enzima è in grado di trasformare in 1 secondo migliaia di molecole di substrato in
prodotto. Una reazione catalizzata da un enzima può essere fino a 1000 volte superiore alla velocità
della stessa reazione non catalizzata. Un esempio è la scissione del glucosio che in assenza di un
catalizzatore richiederebbe una temperatura di 100°C e tempi lunghissimi, gli enzimi permettono una
rapida reazione all’interno del corpo umano. I catalizzatori vengono utilizzati per produrre alimenti ma
anche per la degradazione di alcune sostanze che possono essere tossiche.

I geni che controllano le reazioni biochimiche modulano gli enzimi, esistono numerose patologie che
derivano da un difetto di sintesi di alcuni enzimi, ad esempio la fenilchetonuria, il favismo. Le proteine
vanno incontro ad una loro degradazione, questo rientra anche nell’approvvigionamento degli
amminoacidi che poi servono per altri processi.

1
BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG04 – GLI ENZIMI

I catalizzatori:

• aumentano la velocità di una reazione


• non alterano la Keq della reazione
• rimangono inalterati alla fine della reazione

Gli enzimi diversamente dai catalizzatori non proteici hanno:

• una maggiore efficienza (potere catalitico elevato)


• specificità di substrato
• regolabilità (esistono diversi meccanismi di regolazione)

Le caratteristiche degli enzimi sono: ottimizzare la resa tramite lo svolgimento solamente di reazioni
necessarie, la specificità degli enzimi fa si che avvengano reazioni indesiderate (solo un determinato
substrato andrà a reagire con il suo enzima), portare a termine la reazione in tempi brevi e il riutilizzo
dell’enzima. L’enzima tende a minimizzare gli sprechi in quanto non vengono prodotti dei sottoprodotti
(specificità di reazione dell’enzima con il proprio substrato), minimizzare
il dispendio energetico.

Da un composto X alla formazione di un prodotto Y si deve superare la


cosiddetta energia di attivazione (ΔG), energia che serve per rompere i
legami dei reagenti per ottenere i legami nei prodotti, in questo caso la
reazione è termodinamicamente favorita perché si trovano a 2 livelli
energetici diversi ma quello che serve è superare l’energia di attivazione.

Normalmente le molecole stabili sono per lo più presenti ad un livello di


energia relativamente baso, solo una piccola frazione di esse possiede sufficiente energia per superare
la barriera dell’energia di attivazione.

Gli enzimi si combinano transientemente col


substrato e ne abbassano l’energia di
attivazione, la reazione inversa non è possibile,
non spostano l’equilibrio della reazione, ma
aumentano la velocità con cui l’equilibrio viene
raggiunto. Gli enzimi abbassano la barriera
dell’energia di attivazione inserendo stati di
transizione più bassi e stabilizzano lo stato di
transizione.

Gli enzimi favoriscono il raggiungimento dell’equilibrio, quindi catalizzano anche la reazione inversa. Se
B è il composto B è un substrato per una reazione successiva che da C, la prima reazione diventa
praticamente irreversibile.

Gli enzimi sono presenti liberi nel citoplasma o all’interno di organelli intracellulari come i mitocondri
o a livello della membrana plasmatica. Gli enzimi possono trovarsi in determinati tessuti od organi, in
patologia clinica l’espressione di determinati enzimi può determinare il rivelamento di un danno
d’organo. Gli enzimi si distinguono in:

• Costitutivi: La concentrazione rimane costante


• Inducibili: La concentrazione varia a seconda delle esigenze della cellula o delle condizioni
particolari in cui si trova la cellula. Ci sono sostanze che possono indurre la sintesi di
determinati enzimi come ad esempio l’ossido nitrico che viene prodotto a partire dalla L-

Autore: Elisa Morabito e Chiara Arleo per Medicina08 2 di 15


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG04 – GLI ENZIMI

arginina attraverso una classe di enzimi chiamati ossido nitrico-sintasi che posso essere di tipo
costitutivo o inducibile.

Oltre questo esempio possiamo dire che alcuni ormoni steroidei attraversano la membrana e possono
attraverso il legame con il recettore andare a livello nucleare e stimolare la sintesi di proteine o enzimi.

Esistono diversi tipi di classificazione degli enzimi: classificazione gerarchica istituita dal IUBMB
secondo il quale ogni enzima viene classificato a seconda della reazione che catalizza con un numero (EC
X.Y.Z.T) X= classe; Y= sottoclasse; Z= sotto-sottoclasse; T= numero dell’enzima nella sotto-sottoclasse.
Ad esempio: EC 1.1.1.1 (classificazione gerarchica) che rappresenta l’alcool deidrogenasi. Esistono poi
2 tipi di nomenclature: nome comune (alcool deidrogenasi, enizima che in presenza di NAD trasforma
l’alcool in un aldeide o chetone con la produzione del NADH) e il nome sistemico (alcool: NAD+
ossidoreduttasi,).

6 classi di enzimi (ricordarseli in ordine !):

• Ossidoreduttasi: enzimi che operano reazioni di ossido-riduzione. Nel gruppo EC 1 troveremo


le deidrogenasi, ossidasi, perossidasi, catalasi, ossigenasi.
• Transferasi: enzimi che catalizzano il trasferimento di gruppi chimici da una molecola ad
un’altra. Nel gruppo EC 2 troviamo:
Gruppi azotati (transaminasi)
Gruppi fosforici: (cinasi che sono specifiche trasferasi adibite al trasferimento di un
gruppo fosfato. Es: esochinasi, glucosinasi che sono isoenzimi, gli isoenzimi sono
enzimi che catalizzano la medesima reazione ma che si trovano in organi diversi)
• Idrolasi: Aggiunta di acqua ad un legame con contestuale rottura:
Legame estere(esterasi) (un esempio sono le lipasi)
Legami glicosidici (glicosidasi)
Legami peptidici(peptidasi)
• Liasi: Lisi del substrato con formazione di doppi legami (reazione di eliminazione)(nella
reazione inversa possono agire da sintasi)
• Isomerasi: Reazioni di trasformazione di una molecola nel suo isomero
• Ligasi: reazioni di formazione di nuovi legami C-C, C-S, C-O,C-N mediante reazioni di
condensazione accoppiate alla scissione di ATP in AMP e pirofosfato o ADP e 𝑃𝑖

•1- OSSIDOREDUTTASI: reazioni di ossido- 2- TRASFERASI: trasferimento di gruppi chimici


riduzione con aggiunta o rimozione di atomi di da una molecola ad un'altra. Le chinasi sono
H da molti gruppi chimici trasferasi specifiche adibite al trasferimento di
un gruppo fosfato
• 1.1 agisce sul gruppo CHOH del donatore
• 1.2 agisce sul gruppo aldeidico o chetonico • 2.1 gruppi ad una unità di carbonio • 2.2
del donatore • 1.3 agisce sul gruppo CH-CH del gruppi chetonici o aldeidici
donatore • 2.3 gruppi acilici
• 1.4 agisce sul gruppo CH-NH2 del donatore • 2.4 gruppi glicosidici
• 1.5 agisce sul gruppo C-NH del donatore • 2.5 gruppi alchilici
• 1.6 agisce su NADH o NADPH. • 2.6 gruppi azotati
• 1.7 agisce su altri composti azotati • 2.7 gruppi fosforici
• 1.8 agisce su gruppi solforati • 2.8 gruppi contenenti zolfo
• 1.9 agisce sui gruppi eme

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3- IDROLASI: reazioni di idrolisi, aggiunta di •4- LIASI: reazioni di addizione a doppi legami,
H2O ad un legame con contestuale rottura con aggiunta di H2O, NH3 o CO2 ad un doppio
legame o loro rimozione
• 3.1 legami esterei
• 3.2 legami glicosidici • 4.1legamiC=C
• 3.3 altri legami • 4.2legamiC=O
• 3.4 legami peptidici • 4.3legamiC=N
• 3.5 legami C-N non peptidici • 3.6 legami • 4.4legamiC=S
anidridici
• 3.7 legami C-C

•5- ISOMERASI: reazioni di trasformazione di •6- LIGASI: reazioni di formazione di nuovi


una molecola nel suo isomero o trasferimento legami con rottura di ATP in AMP e pirofosfato
intramolecolare di gruppi (mutasi) o ADP e Pi

• 5.1 racemasi • 6.1 legami C-O


• 5.2 cis-trans isomerasi • 6.2 legami C-S
• 6.3 legami C-N
• 6.4 legami C-C

Gli enzimi hanno una doppia nomenclatura:

• Nome sistematico: ha lo scopo di definire con maggior precisione la reazione catalizzata. La


denominazione è costituita da 3 parti:
Nome del substrato
Nome del coenzima
Nome della reazione catalizzata + “asi”
• Nome comune: Costituito dal nome del substrato e da un termine (con suffisso -asi) che tende a
specificare la reazione ma talvolta con qualche variante rispetto al nome della classe di
appartenenza.

Gli enzimi generalmente sono proteine globulari che in soluzione assumono approssimativamente una
conformazione sferica. Nei casi più semplici la molecola enzimatica è formata da una singola catena
mentre negli enzimi più complessi ci possono essere più catene legate tra di loro. Possono essere
classificati in enzimi:

• Monomerici: una sola unità proteica (proteasi digestive)


• Oligomerici: più monomeri legati in modo non covalente (enzimi della glicolisi)
• Complessi enzimatici: associazione organizzata di enzimi che cooperano in una serie
organizzata di reazioni che costituiscono un evento metabolico (sintesi acidi grassi)
La struttura terziaria degli enzimi è molto specifica: gli amminoacidi idrofobici saranno posti all’interno
in quella che viene definita una tasca idrofobica, quelli idrofilici vengono esposti all’esterno.

Molti degli enzimi hanno bisogno di cofattori per poter esplicare la loro funzione, tra i cofattori possiamo
distinguere: gli ioni metallici come il rame il ferro, e lo zinco; i coenzimi come il NAD+ e FAD+ che
derivano dalle vitamine.
4
BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG04 – GLI ENZIMI

Con apoenzima si definisce la parte dell’enzima inattiva che non può catalizzare una reazione, con
l’aggiunta del cofattore diventa un enzima attivo e prende il nome di oloenzima.

Una volta che si ha la sintesi dell’enzima, in molti casi


viene sintetizzato come un precursore, zimogeno come
nel caso degli enzimi deputati alla digestione delle
proteine vengono sintetizzati come zimogeni che poi
devono essere attivati, la prima attivazione del primo
enzima che è la pepsina che viene attivata dall’acido
cloridrico che taglia un tratto di catena polipeptidica per
cui da pepsinogeno si ottiene la pepsina. L’enzima
inattivo per essere attivo deve avere una parte non
proteica che può essere o lo ione metallico o il coenzima.
L’enzima attivato può procedere alla trasformazione del
substrato nel prodotto finale. Uno dei meccanismi di
regolazione degli enzimi è dovuto a delle molecole,
composti che vengono detti effettori allosterici che possono essere negativi o positivi.

Una delle proprietà degli enzimi è che questi hanno una struttura flessibile. L’origine di questa proprietà
va ricercata nelle interazioni idrofobiche e ioniche responsabili della specifica conformazione spaziale
delle catene polipeptidiche. L’enzima non assume una sola struttura fisa ma esiste in una miscela di
forme in equilibrio tra loro, si parla in questo caso di un cambiamento strutturale indotto, che si
ripercuote di solito positivamente sull’attività catalitica. La flessibilità è importante per favorire
l’accesso dei ligandi ai siti attivi con successiva formazione di complessi con l’enzima.

Quando si va a formare il complesso enzima-substrato si ha l’implicazione di una parte dell’enzima


chiamata sito attivo che a sua volta presenta un sito di legame e un sito catalitico dove avviene la
reazione vera e propria. Il sito catalitico ha una struttura tridimensionale costituita da residui
amminoacidici specifici non necessariamente vicini nella sequenza primaria. Il sito catalitico occupa una

Autore: Elisa Morabito e Chiara Arleo per Medicina08 5 di 15


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG04 – GLI ENZIMI

parte molto piccola rispetto all’intera proteina, generalmente idrofobico quindi costituito da
amminoacidi idrofobici. Il sito catalitico inoltre ha i residui amminoacidici coinvolti nella catalisi.

NB: Sito catalitico ≠ sito allosterico

Il sito attivo è formato dal sito catalitico e dal sito di legame, il sito catalitico è quello dove avviene la
trasformazione del substrato nei prodotti mentre il sito di legame è quello in cui gli amminoacidi
accolgono e legano il substrato, stabilizzano il substrato in modo tale che possa avvenire la reazione.
Questi tipi di legami sono deboli perché una volta avvenuta la reazione dovrà esserci il distaccamento
del prodotto e l’enzima che deve ricominciare una nuova reazione. Il sito attivo occupa una piccola parte
della proteina, tutto il resto della proteina da uno scheletro strutturale che garantisce il mantenimento
dei componenti del sito attivo nella conformazione tridimensionale necessaria ad una efficiente e
specifica catalisi.

Il sito attivo è caratterizzato dai residui amminoacidici che lo compongono.

Enzimi e Specificità di substrato

La più elevata specificità: stereospecificità

•Tutti gli enzimi presentano il fenomeno della specificità di substrato.

• Gli enzimi non solo sono in grado di discriminare in base all’ identità chimica del substrato, ma anche
sulla base della sua configurazione geometrica e stereochimica.

• Ad esempio, se un enzima utilizza come substrato la forma D di uno zucchero, ne consegue che il
corrispondente stereoisomero L non sarà oggetto di reazione, se non in misura del tutto trascurabile.

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Nel 1894 H.E. Fischer propose la sua "ipotesi della serratura e


della chiave" (lock and key hypothesis) che implica una
complementarità tra substrato ed enzima legata a rigide
conformazioni molecolari

Modello dell’adattamento indotto

L’avvicinamento del substrato all’enzima modifica la struttura di quest’ultimo e migliora la interazione


con esso. A catalisi avvenuta l’enzima riacquista la conformazione iniziale.

Caratteristica specifica della catalisi enzimatica è che le reazioni avvengono all’interno del complesso
enzima-substrato. Per comprendere quindi il meccanismo di una reazione enzimatica è della massima
importanza conoscere sia la struttura dell’enzima nativo che quella di tutti i complessi che si formano
nel corso della reazione. Solo così sarà possibile arrivare alla identificazione degli aminoacidi coinvolti
nel legame con il substrato e quelli responsabili della catalisi

Meccanismi molecolari

• Catalisi acido-base

Stabilizzazione di intermedi carichi mediante trasferimento di ioni H+ o OH-, esempio: nel sito attivo di
un enzima possono essere presenti residui amminoacidici che fungono da donatori o accettori di
protoni.

• Catalisi covalente

Coinvolge la formazione di un legame covalente transitorio tra l’enzima ed il substrato

• Catalisi di ioni metallici

Coinvolge interazioni deboli tra il metallo, gli amminoacidi della proteina, il substrato.

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La catalisi enzimatica acido-base, che stabilizza un intermedio carico (instabile) tramite


trasferimento di protone da o al substrato, si divide in:

-catalisi acida quando c'è un trasferimento di ioni H+ dal catalizzatore (acido) al substrato

- catalisi basica quando c'è un trasferimento di ioni H+ dal substrato al catalizzatore (basico).

Nella regolazione proteolitica un enzima inattivo viene convertito irreversibilmente nella sua forma
attiva. Alcuni enzimi, infatti, vengono sintetizzati come precursori inattivi, detti zimogeni, e
successivamente attivati per rottura di uno o più legami peptidici specifici. L'attivazione proteolitica
avviene una volta soltanto nella vita di una molecola enzimatica.

Un esempio di tale regolazione è la chimotripsina, un enzima digestivo che idrolizza le proteine


nell'intestino tenue. Il suo precursore inattivo, il chimotripsinogeno, viene convertito nella sua forma
attiva quando il legame peptidico che lega l'Arg-15 alla Ile-16 viene tagliato dalla tripsina. Questo taglio
proteolitico determina la formazione di un nuovo gruppo aminico e carbossilico terminali.

LA VELOCITÀ DI UNA REAZIONE CATALIZZATA È INFLUENZATA DA

Concentrazione del substrato


Concentrazione dell’enzima
Temperatura
pH
inibitori
N.B: l’influenza è diversa da regolazione enzimatica

Effetto della concentrazione del substrato sulla velocità della reazione

1913: Michaelis e Menten

Autore: Elisa Morabito e Chiara Arleo per Medicina08 8 di 15


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Velocità Massima (Vmax) La velocità di una reazione (V) esprime la quantità


di substrato che si trasforma in prodotto nell’unità di tempo

La velocità si esprime in micromol/L di prodotto che si è formato in un minuto.

La Vmax aumenta con l’aumentare della concentrazione del substrato fino a


raggiungere una velocità massima. Questa si raggiunge quando la
concentrazione del substrato è elevata e riflette la saturazione con il substrato
nei siti attivi disponibili nelle molecole degli enzimi presenti

La Vmax è quel valore che corrisponde all’asintoto. Per un primo tratto la curva forma quasi una retta,
quindi sono direttamente proporzionali le due grandezze, poi il grafico forma una curva che va a tendere
al di sotto dell’asintoto.

CONCENTRAZIONE DEL SUBSTRATO: EQUAZIONE DI MICHAELIS MENTEN

La velocità di reazione, cioè la quantità di prodotto che si forma nell’unità di tempo (essendo gran parte
dell’enzima libero) è direttamente proporzionale alla concentrazione del substrato (tratto rettilineo
iniziale della curva). Una volta raggiunta una certa concentrazione, quando tutte le molecole dell’enzima
risultano impegnate nel complesso ES, ogni ulteriore aumento substrato non fa più crescere linearmente
la quantità di prodotto. La velocità della reazione si stabilizza su un valore massimo di conversione in
prodotto e non è più condizionata da ulteriore aggiunta di substrato La velocità massima si raggiunge
nel momento in cui l’enzima è saturato dal substrato, ovvero il numero di molecole dell’enzima risulta
uguale al numero di molecole del complesso ES.

È possibile risalire alla velocità di una reazione enzimatica mediante l’equazione:

EQUAZIONE DI MICHAELIS-MENTEN:

(iperbole equilatera)

[S] concentrazione del substrato

EQUAZIONE DI MICHAELIS-MENTEN

A basse concentrazioni di S, quando [S] è molto più piccola di Km e quindi trascurabile, si ha

V=(Vmax [S])/Km, cioè la velocità è direttamente proporzionale alla concentrazione del substrato.
(primo tratto della curva)

Ad alte concentrazioni del substrato, quando [S] è molto più grande di Km si ha V=Vmax, cioè la
velocità è la massima, indipendentemente dalla concentrazione del substrato
Il significato di Km risulta evidente quando nell’equazione si pone [S] = Km, si ha V=Vmax/2, cioè
Km non è altro che la concentrazione del substrato a cui corrisponde metà della velocità massima
raggiungibile.
I valori di Km variano moltissima da enzima a enzima ed esprimono l’affinità che l’enzima ha per il
substrato I valori di Km sono indipendenti dalla concentrazione sia dell’enzima sia del substrato

Autore: Elisa Morabito e Chiara Arleo per Medicina08 9 di 15


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG04 – GLI ENZIMI

Km bassi, affinità elevata per il substrato


Km alti, affinità bassa

All’esame potrà chiedere di disegnare la curva e di scrivere la Km, che si trova sull’asse x, la cui velocità
corrisponde a Vmax/2

GRAFICO DI MICHAELIS MENTEN

L'enzima viene caratterizzato da due costanti:

Km, cioè la concentrazione del substrato per cui V è


metà della Vmax.

Vmax, la velocità massimale della reazione che si ha quando [S]>>Km

La 𝐾𝑀 é: [S] alla quale v = Vmax/2

[S] alla quale metà dei siti attivi dell’enzima sono occupati

↓Km = ↑legame, ↑affinità

Il valore della Km è importante perché:

a) è una costante specifica per ogni enzima

b) è una stima della concentrazione intracellulare del substrato.

c) lo studio dell'effetto di diversi composti sulla Km permette di identificare eventuali inibitori.

d) conoscendo il valore della Km di un enzima, è possibile misurarne la Vmax ( [S]>>Km ) che è una
misura indiretta di [Etot].

Esempio: esochinasi e glucochinasi (due isoenzimi che catalizzano la stessa reazione, ma con valori di
Km differenti)

La esochinasi ha una km bassa, questo indica l’affinità dell’enzima per il proprio substrato, che in questo
caso è il glucosio. Troviamo l’enzima a livello muscolare, il muscolo ha bisogno di energia quindi a
concentrazioni piccole di substrato viene prodotta grande quantità di ATP

La glucochinasi, si trova a livello del fegato, la Km è alta, quindi affinità minore perché in questo caso
servono concentrazioni di glucosio più elevato in modo che l’organo possa smistare il glucosio in base
al suo destino, se diventare riserva o entrare nella glicolisi.

Cinetica enzimatica: Equazione di Lineweaver-Burk detta “dei doppi reciproci”

Autore: Elisa Morabito e Chiara Arleo per Medicina08 10 di 15


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG04 – GLI ENZIMI

(non la chiede, solo da nominare)

Per la determinazione dei valori di Km e Vmax ci sono vari metodi di trasformazione.

L'equazione di Michaelis-Menten può infatti essere manipolata per ottenere l'equazione di una retta in
cui Vmax e Km siano delle intercette e non più degli asintoti.
Uno dei metodi utilizzati è quello di Lineweaver-Burk o dei doppi reciproci che usa la forma reciproca
dell'equazione di Michaelis-Menten:

Effetto della temperatura sulla attività enzimatica

La velocità delle reazioni enzimatiche varia col crescere della temperatura secondo il grafico a campana.
All’inizio la velocità cresce all’aumentare della temperatura arrivando ad un massimo definita
temperatura ottimale, si riduce poi per effetto della denaturazione dell’enzima

Uomo: 37 gradi temperatura ottimale, altri organismi diversa T

Effetto del pH sulla attività enzimatica

Anche il pH influenza la velocità delle reazioni enzimatiche.


Come per la T anche in questo caso la curva presenta un
andamento a campana e l’attività massima sarà in prossimità
di un valore definito pH ottimale. Gli effetti del pH dipendono
sia dai diversi enzimi sia dal tipo di substrato (per uno stesso
enzima)

Il pH è un agente denaturante, quindi è importante il suo


equilibrio

DETERMINAZIONE DELL’ATTIVITA’ ENZIMATICA

Autore: Elisa Morabito e Chiara Arleo per Medicina08 11 di 15


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L’utilizzazione clinica dei dosaggi enzimatici si basa su:

Differenze nella concentrazione degli enzimi


Localizzazione intracellulare
Isoenzimi specifici per determinati tessuti

La concentrazione degli enzimi viene determinata in base alla loro attività catalitica che si può
misurare il base alla velocità di consumo del substrato o velocità di formazione del prodotto.

Unità Internazionali (U) quantità di enzima che, in determinate condizioni (37°C), trasforma una
micromole di substrato in 1 minuto

ISOENZIMI

Sono enzimi che catalizzano la stessa reazione, ma che differiscono fra loro nella parte proteica della
molecola enzimatica e quindi presentano proprietà diverse (carica, solubilità, optimum di pH, affinità
per il substrato, ecc.)

Es. esochinasi e glucochinasi, stessa funzione ma si trovano in organi diversi, con proprietà diverse.

FORME MOLECOLARI MULTIPLE DI UN ENZIMA che possono originarsi per:

1) espressione di geni strutturali distinti

2) modificazioni post-traduzionali della proteina enzimatica

Principali modificazioni post-traslazionali degli enzimi che portano alla formazione di isoforme:

Enzimi dimerici:
3 combinazioni (AA, AB, BB = 3 isoenzimi).
es. creatin fosfochinasi (CPK)

Enzimi tetramerici:
5 combinazioni di A e B (AAAA, AAAB, AABB, ABBB, BBBB = 5 isoenzimi).
e.s. lattico deidrogenasi (LDH) trasforma l’acido lattico in acido piruvico

Autore: Elisa Morabito e Chiara Arleo per Medicina08 12 di 15


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG04 – GLI ENZIMI

LATTICO DEIDROGENASI (LDH ISOENZYMES)

I diversi isoenzimi derivano molte volte da tessuti o organi diversi. Pertanto, se nel siero si riscontra
l’aumento di un’attività enzimatica, è possibile, attraverso la separazione dei diversi isoenzimi, stabilire
qual è l’isoenzima responsabile dell’aumento e accertare in tal modo qual è il tessuto da cui deriva,
elemento di importante significato diagnostico.

Gli isoenzimi possono essere separati e messi in evidenza con numerose tecniche basate
su:

• Diverse proprietà legate alla loro struttura molecolare:

Diversa carica elettrica

Diversa entità di denaturazione per effetto di calore, agenti chimici, variazioni di pH

Diverso comportamento cromatografico

Diversa specificità antigenica

Diverso punto isoelettrico

• Diverse proprietà catalitiche:

Diversa velocità di reazione

Autore: Elisa Morabito e Chiara Arleo per Medicina08 13 di 15


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG04 – GLI ENZIMI

Diversa attività catalitica in funzione del tampone

Diversa sensibilità nei confronti degli inibitori

METODI DI STUDIO DEGLI ISOENZIMI

generali = consentono di separare, e quindi di misurare, tutti i possibili isoenzimi presenti nel materiale
biologico

Specifici = misurano un singolo isoenzima di interesse diagnostico (specificità non sempre molto
pronunciata).

METODI GENERALI

Metodi elettroforetici: Isoenzimi separati in funzione della loro mobilità


elettroforetica, con l’impiego di supporti adatti (cellulosa, acetato di
cellulosa, gel di agar, gel di poliacrilammide, etc.) e di tamponi idonei per
pH e forza ionica. Le singole frazioni isoenzimatiche possono essere
evidenziate direttamente sul supporto, ricorrendo ad appositi substrati
che danno luogo a prodotti di reazione insolubili e colorati che precipitano
in corrispondenza delle bande elettroforetiche dei singoli isoenzimi.

I 5 isoenzimi della LDH sono facilmente separati mediante


elettroforesi e vengono indicati con un numero progressivo in
rapporto alla loro diversa velocità di migrazione:

LDH1 è l’isoenzima più anodico mentre LDH5 è l’isoenzima


con velocità di migrazione minore che rimane in prossimità del
catodo.

Nel siero, in condizioni normali, prevalgono gli isoenzimi LDH1 e LDH2.

In condizioni patologiche, quando in seguito alla lesione di un tessuto si determina un aumento


dell’attività della lattato deidrogenasi nel siero, la distribuzione degli isoenzimi diventa simile a quella
caratteristica del tessuto di provenienza.

Distribuzione nei diversi tessuti

Infarto nel miocardio: >LDH1 dopo 12-24 ore dall’inizio della sintomatologia che raggiunge il picco
massimo dopo 48-72 ore ed il livello si mantiene elevato per 7- 10 giorni.

Infarto polmonare: LDH2 e LDH3

Autore: Elisa Morabito e Chiara Arleo per Medicina08 14 di 15


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG04 – GLI ENZIMI

Malattie epatiche (epatite virale, intossicazioni acute, necrosi epatica da agenti tossici): LDH5 e LDH4

Tumori: LDH nel siero corrisponde ad


una rapida crescita del tumore

Lesioni, traumi, distrofie muscolari, e


nell’infarto renale: LDH5

CREATINFOSFOCHINASI (CK o CPK)

Enzima che catalizza la fosforilazione reversibile della creatina a fosfocreatina.

È un dimero citosolico costituito da 2 monomeri: M (muscle) e B


(brain), diversamente combinati a formare 3 isoenzimi. MM MB
BB

In assenza di malattie l’attività di CK nel siero è principalmente


dovuta all’isoforma CK-MM.

CK rilasciata in circolo dopo danno muscolare di diversa


origine (ischemica, traumatica, infiammatoria).
Aumento in seguito a danno cerebrale, folgorazione,
traumi da schiacciamento, convulsioni, tetania, ecc.
Soggetti sedentari: 30-50 U/ml; soggetti atletici: 500-1000 U/ml

Principale impiego clinico: diagnostica infarto miocardico


acuto (compare nel siero entro 4-6 ore e ritorna a valori normali
generalmente entro 48 ore).

Autore: Elisa Morabito e Chiara Arleo per Medicina08 15 di 15


BIOCHIMCA GENERALE
“GRUPPO EME e PORFIRIE”
ID lezione BCG05 Modulo Biochimica Generale
Data lezione 13 Marzo 2021
Autore Virginia Giulietti
Lezione tenuta da Prof. Arianna Vignini
Argomento degradazione del gruppo eme e porfirie
Eventuali riferimenti Slide proiettate a lezione 05 degradazione del gruppo eme e porfirie.

INTRODUZIONE
In natura esistono proteine (globine) che interagiscono con l’O2 aumentandone la solubilità in acqua e
sequestrandolo per trasportarlo. Nei mammiferi queste proteine sono:
- Emoglobina Hb (P.M. 66500 Dalton)
- Mioglobina Mb (P:M 16500 Dalton)
Sono proteine globulari contenenti gruppo eme in grado di sequestrare l’ossigeno.
RUOLO DELL’EMOGLOBINA
È contenuta solo negli eritrociti e ha 3 funzioni:
1. Trasporta l’O2 dai polmoni ai tessuti periferici
2. Trasporta la CO2 dai tessuti periferici ai polmoni
3. Azione tampone sul pH del sangue
RUOLO DELLA MIOGLOBINA
Si trova nelle cellule del miocardio e del muscolo scheletrico e ha la funzione di immagazzinare l’O2 nel
citoplasma e di rilasciarlo ai mitocondri quando necessario, garantendo un veloce spostamento dell’O2
all’interno delle cellule muscolari.
Mioglobina ed emoglobina dal punto di vista evoluzionistico sono correlate poiché possiedono
strutture per il legame dell’ossigeno sostanzialmente identiche, tuttavia l’emoglobina è più efficiente
perché è in grado di trasportare ossigeno per il 90% delle sue capacità, mentre la mioglobina soltanto
il 7%.
Emoglobina e mioglobina sono proteine coniugate costituite da:
- Una parte proteica -> globina
- Un gruppo prostetico -> eme con sito per l’O2
STRUTTURA DELLA MIOGLOBINA
È una cromoproteina globulare costituita da una proteina legata non covalentemente col gruppo eme.
È costituita da una singola catena polipeptidica di 154 amminoacidi, ripiegata attorno a un gruppo
prostetico. Possiede una struttura terziaria e lega solamente una molecola di O2.
STRUTTURA DELL’EMOGLOBINA
È una proteina tetramerica (quindi con struttura quaternaria) formata da 2 subunità alpha (141 aa) e
2 subunità beta (146 aa). Le catene alpha e beta sono molto simili fra loro ma non identiche e

Virginia Giulietti per Medicina08


presentano una struttura molto vicina alla catena polipeptidica della mioglobina. Ciascuna catena
contiene un gruppo eme.
STRUTTURA DELL’EME
L’eme è una forma di ferro solubile
biologicamente disponibile per il trasporto di
elettroni. La presenza di doppi legami coniugati
fa sì che esso assorba nell’UV e che sia
fluorescente.

Il gruppo EME è costituito da una PARTE ORGANICA e da un


ATOMO DI FERRO.
La PARTE ORGANICA, la protoporfirina, è costituita da 4
anelli pirrolici legati tra loro da ponti metilenici (o metilici)
che formano un ANELLO TETRAPIRROLICO.
All’anello tetrapirrolico sono legati 4 gruppi metilici (-CH3), 2 gruppi vinilici (CH2=CH-), e 2 propionici
(-CH2-CH2-COO-).
Questi sostituenti possono essere disposti in 15 modi diversi, ma solo la protoporfirina IX è presente
nei sistemi biologici. Nell’eme il Ferro si lega ai quattro atomi di azoto disposti nel centro dell’anello
protoporfirinico.
L’atomo di ferro ha 6 legami di coordinazione:
- 4 nel piano della porfirina e impegnati all’interno del piano
- 2 perpendicolari a questo piano di cui:
1. Uno dei due legami di coordinazione perpendicolare è impegnato con un atomo di azoto
della catena laterale di residuo di istidina (His 93) (residuo F8 detto anche istidina
prossimale)
2. L’altro è libero e serve a legare una molecola di O2. Il sesto legame di coordinazione è
realizzato nella deossimioglobina con una molecola d’acqua, e nella ossimioglobina con una
molecola di ossigeno. La presenza del residuo His 64(residuo F7 detto anche istidina
distale) impedisce all’ossigeno di formare con il ferro un legame a 90° che sarebbe troppo
stabile.
Infatti il monossido di carbonio si lega a 90° con
un’affinità 200 volte superiore all’O2.
Una possibile terapia consiste nella
somministrazione di ossigeno puro in camera
iperbarica.
Il ferro può esistere negli stati ossidati +2 (ferroso) e +3 (ferrico). Soltanto la ferroemoglobina,
contenente il ferro +2 può legare l’ossigeno. La ferriemoglobina contenente ferro +3 è detta
metaemoglobina.
Gli organi principalmente coinvolti nella sintesi dell'eme sono il fegato e il midollo osseo (nelle cellule
eritroidi 85%), sebbene tutte le cellule lo richiedano per funzionare bene. Gli eritrociti non lo
producono, in quanto non sono attive trascrizionalmente. L'eme viene invece sintetizzato dai suoi
precursori, a livello del midollo osseo. Una funzione importante nel fegato è la sintesi del citocromo
P450, un enzima ossidativo coinvolto nella detossificazione.

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L’eme può presentarsi sotto 3 diverse forme: EME a, EME b ed EME c.
EME a: contenuto negli enzimi citocromo c ossidasi
EME b: il più comune, presente nell’emoglobina e nella mioglobina
EME c: simile al b, contenuto nel citocromo c
Troviamo l’eme anche all’interno dell’enzima catalasi.

Inizia a livello mitocondriale per poi spostarsi nel citoplasma e


infine tornare nei mitocondri.
1. Acido d-aminolevulinicosintasi (ALA sintasi) (enzima
mitocondriale):

Succinil-CoA + Glicina d-Aminolevulinato + CoA + CO2

La reazione a localizzazione mitocondriale avviene in due


tappe: condensazione e decarbossilazione. L'ALA per essere
ulteriormente metabolizzato deve essere esportato nel
citoplasma.

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2. Acido d-aminolevulinicodeidratasi (ALA deidratasi):
2 d-Aminolevulinato -> Porfobilinogeno + 2 H2O
L'enzima possiede due siti di legame per le due molecole di substrato denominati A (dove si lega la
molecola di ALA che darà
origine alla porzione del
porfobilinogeno con la catena
laterale acetica) e P (dove si
lega la molecola di ALA che
darà origine alla porzione del
porfobilinogeno con la catena
laterale propionica). La prima
molecola si lega al sito P, ove
forma una base di Schiff con il
pirisdossal fosfato associato all'enzima.

ALA deidratasi (porfobilinogeno sintasi, PGB) da P. aeruginosa


Le PGB sono enzimi con masse molecolari di 280-300 kDa costituite da 8 subunità
Nel sito catalitico è presente un metallo che può essere Mg2+ o Zn2+ molto sensibile all’inibizione da
parte di metalli pesanti (avvelenamento da
piombo).

3. Porfobilinogeno deamminasi (enzima


citoplasmatico):

In assenza di altri fattori il tetrapirrolo lineare


(idrossimetilbilano) si chiude in modo non enzimatico
formando l’uroporfirinogeno I.

Tuttavia, la porfobilinogeno deaminasi


è associata alla uroporfinogeno III
cosintasi che indirizza la reazione
verso la sintesi dell’isomero III.

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4. Uroporfirinogeno decarbossilasi (enzima citoplasmatico):
Uroporfirinogeno III -> Coproporfirinogeno III + 4 CO2
Le quattro catene laterali
acetato vengono
decarbossilate dando
origine al
coproporfirinogeno III, che
viene trasportato
all'interno del mitocondrio.
La uroporfirinogeno
decarbossilasi, agisce anche
sull'uroporfirinogeno I
dando origine al
coproporfirinogeno I, la cui
funzione è ignota.
Torniamo all’interno del mitocondrio:
5. Coproporfirinogeno III ossidasi (enzima mitocondriale):
Coproporfirinogeno III + O2 -> Protoporfirinogeno IX + 2 CO2
L’enzima converte i
gruppi propionici degli
anelli A e B in gruppi
vinilici per
decarbossilazione
ossidativa. L'enzima ha
bisogno di ossigeno
molecolare, ma non di
agenti riducenti. Il
meccanismo di questa
decarbossilazione
ossidativa non è stato
ancora chiarito.

6. Protoporfirinogeno IX ossidasi (enzima mitocondriale):


Protoporfirinogeno IX + 3/2 O2 -> Protoporfirina IX + 3 H2O
Il processo di ossidazione
riguarda la rimozione di 4
idrogeni periferici (appartenenti
ai gruppi ponte metilenici) e di 2
idrogeni interni (appartenenti
agli azoti di due anelli pirrolici).
L'intera struttura viene ora
stabilizzata per risonanza.

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7. Ferrochelatasi (enzima mitocondriale):
Protoporfirina + Fe2+ -> Eme + 2 H+
Aggiunge ferro (II) alla
protoporfirina IX
formando l'eme.

REGOLAZIONE DELLA SINTESI DELL'EME


La biosintesi dell'eme avviene essenzialmente nelle cellule eritroidi e nel fegato. Nel FEGATO l'eme
serve come gruppo prostetico del citocromo P450, enzima ossidativo di cui le cellule epatiche hanno
bisogno in quantità variabili. Pertanto la sintesi dell'eme deve poter essere attivata o no secondo tali
esigenze. La ALA sintasi controlla la tappa limitante della sintesi:
1. L'eme è un inibitore a feed-back dell'ALA sintasi (INIBIZIONE A FEEDBACK).
2. L'eme inibisce il trasporto dell'ALA sintasi dal citoplasma al mitocondrio (INIBIZIONE DEL
TRASPORTO).
3. L'eme reprime la sintesi dell'ALA sintasi (INIBIZIONE DELLA TRADUZIONE).
Nelle CELLULE ERITROIDI l'eme serve come gruppo prostetico dell'emoglobina. Nelle cellule eritroidi,
l’eme stimola la sintesi proteica: infatti non viene attivata solo la sintesi della globina, ma anche degli
enzimi che producono l’eme stesso. Quando l'eme è disponibile, la sintesi della globina avviene.
Inoltre, il Ferro, arrivato alle cellule eritroidi tramite la transferrina, stimola la sintesi di eme e globina.
Le cellule eritroidi si impegnano nella sintesi dell’eme solo in seguito al differenziamento, quando
sintetizzano emoglobina in grandi quantità.
Quando l’EME isolato reagisce con l’O2 il ferro passa irreversibilmente dallo stato ferroso +2 a quello
ferrico +3 per evitarlo dobbiamo utilizzare la proteina globina. Ogni globina contiene un gruppe eme
legato non covalentemente. L’aspetto più significativo della struttura della globina è l’alta percentuale
di alpha eliche: più del 75% degli aa è disposto in 8 tratti ad alpha elica (A B C D E F G H), queste sono
organizzate in una struttura terziaria globulare molto
compatta e quasi sferica.
Gli aa polari sono localizzati quasi esclusivamente sulla
superficie delle globine e contribuiscono alla alta solubilità.
Gli aa totalmente idrofobici sono invece confinati all’interno
della proteina dove stabilizzano l’avvolgimento del
polipeptide e formano una tasca che accoglie l’EME. La sola
eccezione a questa distribuzione degli aa nelle globine sono le
2 istidine (prossimale e distale) che giocano un ruolo
fondamentale nella tasca dell’EME.
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La coordinazione del Fe2+ nella protoporfirina 9 in una tasca idrofobica della globina permette il
legame dell’ossigeno senza ossidazione del ferro in 3+.
Mioglobina ossigenata
La funzione della globina e quella di creare attorno all’EME un ambiente
idrofobico tale da preservare il Fe2+ ridotto e rendere duraturo, anche se
reversibile, il legame con O2.

Curva di legame dell’ossigeno per la mioglobina


La mioglobina, proteina di riserva dell’ossigeno,
presenta un sito singolo di legame e la curva che
descrive il legame è di tipo iperbolico (iperbole
equilatera): con il crescere della Po2 (P=
pressione parziale) si tende asintoticamente alla
saturazione. La P50 (è il parametro che definisce
l’affinità di una proteina per il suo ligando, più il
suo valore è grande meno sarà l’affinità) della
mioglobina è molto bassa (circa 4mm di Hg), il
che vuol dire che la mioglobina ha una elevata
affinità per l’ossigeno: questa caratteristica è
fondamentale per poter legare l’ossigeno dal
sangue periferico (30 mm di Hg). Nelle cellule
metaboliticamente attive la Po2 scende sotto questo valore e la mioglobina può cedere l’ossigeno nella
fase della deossigenazione delle cellule muscolari.
L’emoglobina possiede 3 proprietà fisiologiche principali:
1. Si lega reversibilmente con l’O2. Ossiemoglobina (HBO2) forma ossigenata e emoglobina
(deossiemoglobina Hb) forma non ossigenata.
2. All’interno dei globuli rossi le molecole di O2 di legano e si dissociano dall’Hb in millisecondi.
Questa velocità è critica per il trasporto di O2 in quanto il sangue rimane nei capillari per meno
di 1 secondo.
3. La curva di equilibrio ha una forma sigmoide.
Nel sangue è necessario avere un trasportatore di O2 perché questo gas non è abbastanza solubile da
soddisfare le esigenze dell’organismo.

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Curva di legame dell’ossigeno per
l’emoglobina
Presenta 4 siti di legame. L’efficienza nel
trasporto dell’ossigeno è ottenuta attraverso il
legame cooperativo positivo da parte dei 4 siti e
la curva che descrive questo tipo di legame è
sigmoide.
Cooperatività positiva= il legame di una molecola
di O2 aumenta la probabilità di legare altro O2
alle altre subunità della proteina.
Una proteina trasportatrice di ossigeno deve
legare efficientemente ossigeno alla sua
pressione parziale nei polmoni (circa 100 mm di
Hg) e cederne una frazione apprezzabile nei
tessuti in condizioni di pressione parziale di circa
30 mm di Hg.
L’emoglobina ha queste caratteristiche che risultano da una curva sigmoide, ove a basse Po2 si ha
bassa affinità (legame debole) e ad alte Po2 una elevata affinità (legame forte). Tale curva però non
fornisce un modo semplice per valutare il grado di cooperatività.
La curva sigmoide di legame riflette la transizione riflette la transizione della proteina da uno stato
conformazionale (T= forma tesa) a bassa affinità (per O2) in corrispondenza di basse pressioni di O2
(tessuti periferici) a uno stato conformazionale (R= forma rilassata) ad alta affinità in corrispondenza
di elevate pressioni di O2 (polmoni).
Da dove deriva l’energia
per la transizione
deossi-ossi? Dal legame
dell’O2 all’EME. Quando
lO2 viene rilasciato Hb
riassume la forma T a
più bassa energia
ristabilendo i legami che
l’ossigenazione aveva
rotto. Inoltre nella
forma deossi la
protoporfirina 9 è
leggermente convessa e lo ione Fe 2+ è leggermente al di
sopra del piano dell’EME.
Dunque la forma sigmoide è dovuta all’interazione
molecolare tra i 4 gruppi EME conferisce all’Hb la
prorpietà di:
- Assumere rapidamente l’O2 a livello dei capillari
polmonari dove Po2 alveolare= 100mmHg
- Cedere altrettanto velocemente l’O2 a livello dei capillari
tissutali dove Po2= 30mmHg

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Questo significa che la quantità di O2 trasportata dai polmoni è quasi massima e la quantità ceduta ai
tessuti è notevole pur essendo la Po2 dei capillari sistemici ancora elevata.
MODIFICAZIONI ALLOSTERICHE
1. Effetti degli H+ (e quindi del pH): è dovuto a una maggiore affinità di questi ioni per Hb
deossigenata che per l’ossiemooglobina
2. Effetto della CO2: nel plasma forma acido carbonico per cui determina modificazioni della H+
3. Effetti del 2,3-bifosfoglicerato (2,3-BPG): si lega con maggiore affinità ad Hb deossigenata
4. Effetto della temperatura: è quello tipico per tutti gli equilibri chimici, una temperatura elevata
favorisce la dissociazione tra Hb e O2 e viceversa
La risposta ai cambiamenti di pH è chiamata EFFETTO BOHR
Una caduta di pH a livello dei tessuti, indice di un’alta attività metabolica e di fabbisogno di O2,
determina la protonazione
dell’emoglobina e favorisce
la conformazione deossi che
promuove il rilascio di O2.
Circa il 40% degli ioni H+
totali si lega alle catene
laterali di diversi residui
amminoacidici della
proteina (es. istidina) per
essere trasportato ai
polmoni.
La riduzione di pH sposta la curva verso Dx (minore affinità di Hb
per O2)
L’aumento di pH (più basico) sposta la curva verso Sx (maggiore “ “)

AUMENTO DELLA CONCENTRAZIONE DI CO2


Il suo rilascio dai tessuti riduce l’affinità per O2 sia per una
diminuzione di pH (effetto Bohr) sia per modificazioni conformazionali
indotte dal legame tra Hb e CO2.
Il 15-20% di CO2 viene trasportato verso i polmoni legato a Hb. La CO2
rimanenteviene trasportata sotto forma di HCO3- o CO2 disciolta.
L’aumento di PCO2 sposta la curva verso Dx (minore “ “)
La riduzione di PCO2 sposta la curva verso Sx (maggiore “ “)
2,3-BIFOSFOGLICERATO
È un effettore allosterico negativo, la cui attività si somma a quella di CO2 e H+. Si
lega nella cavità tra le catene beta formando legami ionici con residui carichi
positivamente e stabilizzando la configurazione deossi di Hb. Il 2,3-BPG è sempre
presente e viene allontanato dalla cavità solo in seguito all’ossigenazione. È un
effettore allosterico eterotropico che regola i cambiamenti a lungo termine
dell’affinità di legame per l’O2.

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È presente nei globuli rossi nella stessa concentrazione molare di Hb. Abbassa l’affinità con Hb per l’O2
di 26 volte. Stabilizza la forma deossi favorendo il rilascio di O2 nei capillari tissutali. Si lega al
deossiHb ma non alla ossiHb.
TEMPERATURA
L’aumento sposta la curva verso Dx (minore “ “), la sua riduzione sposta la curva a Sx (maggiore “ “)
Il fenomeno di adattamento ad alte quote è un processo fisiologico legato a:
- Aumento della sintesi di Hb
- Aumento del 2,3-BPG negli eritrociti

VARIANTI DELL’EMOGLOBINA
La variante più comune è l’Hb fetale (HbF9 costituita da 2 catene
alpha e 2 gamma. Subito dopo la nascita le catene gamma vengono
sostituite dalle beta. (N.B. è una condizione fisiologica). La sua
persistenza dopo la nascita costituisce una condizione patologica.
L’HbF ha un’affinità
per O2 leggermente
inferiore dell’HbA
(deviazione a Dx),
però non lega 2,3-BPG
per cui
funzionalmente
mostra un’affinità per
l’O2 maggiore (deviazione a Sx). l’effetto è benefico in
quanto consente al feto di “strappare” O2 al sangue
materno.
Varianti patologiche:
1. Emoglobinopatie: per indicare cambiamenti nella sequenza amminoacidica di una delle
catene della globina. Sono prodotte dalla sostituzione di un amminoacido. Sono conosciute
centinaia di mutazioni e la maggior parte riguardano la tasca idrofobica e la regione di contatto
alpha-beta. Circa la metà delle varianti è clinicamente silente, quelle che non lo sono spesso
sono letali per la proteina, di solito dannose o molto raramente vantaggiose.

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Un esempio è l’HbS, provoca una malattia ereditaria dovuta alla presenza nei globuli rossi di
HbS che polimerizza in particolari condizioni di ipossigenazione e deforma i globuli rossi a
falce (sickle cell disease, sickle=falce). Nelle catene beta dell’emoglobina S l’acido glutammico
A3 (Glu 6) è sostituito da una valina (Val 6). Questa si inserisce nella tasca idrofobica del
gomito EF di una catena beta di un’altra molecola di emoglobina. La tasca idrofobica in EF è
accessibile solo nelle forme deossi.

L’allele Hbs può essere presente in:

HbC: dovuta alla sostituzione dell’acido glutammico con la lisina nella posizione 6 della catena
beta di Hb. Frequente nell’Africa occidentale (40% nord Ghana)
HbE: dovuta alla sostituzione dell’acido glutammico con la lisina nella posizione 26 della
catena beta di Hb. Frequente nel sud-est asiatico.

2. Talassemie: anomalie dovute a difetti quantitativi nella produzione di catene globiniche.


Esistono di due tipi: alpha e beta.

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La frequenza delle
varianti patologiche
varia notevolmente tra le
diverse popolazioni,
alcune sono molto
concentrate nelle
popolazioni in cui
conferiscono un
vantaggio selettivo al
portatore, di solito è la
resistenza a infezioni
malariche (10-40% nelle
popolazioni esposte a
malaria endemica).

EMOGLOBINA GLICATA (HbA1C)


La sua determinazione rappresenta un ottimo mezzo per monitorare il bilancio glicemico del diabete.
Quando la concentrazione ematica del glucosio è elevata questo zucchero può reagire senza
mediazioni enzimatiche con le proteine in una reazione detta GLICAZIONE (N.B. questa non
corrisponde alla glicosilazione che è una reazione regolata da enzimi).
Importanza della determinazione dell’HbA1C nel monitoraggio del diabete: la glicemia consente una
valutazione dello stato metabolico al momento del prelievo, l’emoglobina glicata permette una
valutazione del controllo metabolico nelle 4-8 settimane precedenti il prelievo.
Max Perutz scoprì il modello di Hb e John Kendrew quello della Mb, sono state le prime proteine per
cui si è determinata la struttura tridimensionale mediante cristallografia a raggi x.
Intossicazione da piombo
Fonti ambientali:
• Costruzione di condutture per scarichi urbani in aumento fino alla seconda guerra mondiale, poi
sostituito con materie plastiche
• Batterie
• Additivo nelle benzine
• Incenerimento dei rifiuti
• Industrie metallurgiche
NOTA BENE: Il Pb presente negli alimenti deriva soprattutto da inquinamento ambientale
Tossicità
• Assorbimento più elevato nei giovani
• Bersagli primari i globuli rossi, poi il sistema cardiovascolare, gastrointestinale, nervoso,
riproduttivo e renale

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• Alcuni enzimi della via biosintetica dell’eme sono suscettibili all’intossicazione da Pb: eme sintetasi,
d-ALAD (deidrasi), ferrochelatasi, d-ALAS (sintasi), uroporfirinogeno decarbossilasi e
coproporfirinogeno ossidasi
Manifestazioni della tossicità da piombo al variare delle concentrazioni ematiche di PB negli adulti e
nei bambini d-ALA = d -aminolevulinato.

Test clinici
• Misura del Pb ematico (piombemia): il più specifico!!!
• Misura della protoporfirina: dal momento che il Pb inibisce la ALA-deidrasi e la ferrochelatasi si
accumulano acido delta aminolevulinico e protoporfirina; valori di quest’ultima >35 mg/dL ; Anche
nelle anemie da carenza di Fe
• Misura della inibizione di ALA-deidrasi
LE PORFIRIE
I difetti genetici della biosintesi dell'eme nel fegato e nelle cellule eritropoietiche sono detti porfirie.
Tutte le porfirie sono caratterizzate dall'escrezione di intermedi della sintesi dell'eme nelle urine, che
diventano rosse e dal loro deposito nei denti, che si colorano di rosso-bruno. L'accumulo di questi
prodotti nella pelle la rendono ipersensibile ai raggi solari. Altro sintomo associato alle porfirie è
sovente la crescita di una fine peluria sul volto ed alle estremità degli arti (lupo mannaro).

MALATTIA DEFICIT ENZIMATICO LOCALIZZAZIONE

Porfiria congenita eritropoietica Uroporfirinogeno III cosintasi Cellule eritroidi

Porfiria eritropoietica Ferrochetalasi Cellule eritroidi

Porfiria intermittente acuta Uroporfirinogeno I sintasi Cellule epatiche

Coproporfiria ereditaria Coproporfirinogeno ossidasi Cellule epatiche

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Porfiria cutanea tarda Uroporfirinogeno decarbossilasi Cellule epatiche

Le porfirie sono malattie legate alla mancanza di uno degli enzimi che convertono l’acido δ
amminolevulinico (ALA) nell’eme. Le porfirie sono classificate in eritroidi o epatiche a seconda della
sede anatomica maggiormente colpita. Ne erano affetti al Regina Mary Stuart e Re Giorgio III.

La porfiria cutanea tarda è la più comune e comporta:


Aumento uroporfirogeno III (fotoattivo)
Nei reni urine ambrate
Assorbimento UV-> lesioni cutanee
La ridotta produzione di eme esacerba l’accumulo di intermedi. Interferenza di xenobiotici
(Barbiturici, alcool).
Nel 1913 H. Metz Beyer dimostrò che la malattia fotosensibile mutilante descritta 2 anni prima era
dovuta alla presenza di un eccesso di porfirine.
La luce UV fotoeccita le porfirine che allo stato di tripletto reagiscono con l’ossigeno molecolare
generando il radicale dell’ossigeno che provoca vari danni.
Le urine sono rosso scuro e fluorescenti.

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I sintomi possono essere di 2 tipi:
1. Lesioni bollose – tipiche dei pazienti affetti da porfiria cutanea tarda (PCT) o da porfiria variegata
(VP)
2. Fotosensibilità immediata – tipica dei pazienti affetti da porfiria eritropoietica (EP)

Si conoscono 8 diverse porfirie:


1. Il deficit di ALA sintasi – causa l’anemia
sideroblastica, malattia legata all’X
2. Il deficit di acido levulinico deidratasi (ADP)
o plumboporfiria – dà una porfiria epatica
acuta, a ereditarietà autosomica recessiva, con
paralisi progressiva degli arti
3. La porfiria acuta intermittente (AIP) –
dovuta al deficit di porfobilinogeno deaminasi;
malattia autosomica dominante; tra sintomi
dolore addominale, sintomi gastroenterici,
deficit motori e sensoriali
4. La porfiria congenita (CP) o malattia di
Gunther – dovuta a deficit di uroporfirinogeno
III cosintasi. Sintomi: urine brune;
fotosensibilizzazione cutanea, fluorescenza
rossa dei denti; anemia. È l’unica porfiria
esclusivamente eritrocitaria.
5. La porfiria cutanea tarda (PCT) – è dovuta
ad un deficit di uroporfilinogeno
decarbossilasi. Sintomi: lesioni bollose sulle
parti del corpo esposte alla luce; cirrosi epatica
6. La coproporfiria ereditaria (HCP) – malattia autosomica dominante, dovuta a un deficit di
coproporfirinogeno ossidasi, enzima mitocondriale. Sintomi neuroviscerali; tetraplegia e paralisi
respiratoria; fotosensibilità cutanea
7. La porfiria variegata (VP) – malattia autosomica dominante, dovuta a deficit di protoporfirinogeno
ossidasi. Variegata perché possono coesistere disturbi neuroviscerali e fotosensibilità
8. La protoporfiria eritropoietica (EP) – dovuta a deficit di ferrochetalasi, che causa accumulo di
protoporfirine libere negli eritrociti, nelle feci e nel plasma. Sintomi: fotosensibilità e compromissione
epatica

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I sintomi sono dovuti anche alla localizzazione dell’intermedio che si accumula.
Le diverse porfirie hanno sintomi diversi (scottature, edema, vesciche) a seconda della solubilità dei
diversi intermedi.
La porfiria
cutanea tarda è
spesso una
malattia acquisita.
Radicali liberi
provocano la
sintesi a livello
epatico di un
inibitore della
uroporfilinogeno
decarbossilasi.
Consumo di
alcool, assunzione
di estrogeni e
epatiti sono fattori
scatenanti la
malattia.
La PCT può essere causata anche da altri agenti epatotossici come l’esacloro benzene, un fungicida
usato in Turchia negli anni ’50 per contrastare l’infezione da parte del fungo Tilledia foetida.
La PCT presenta altri danni epatici: cirrosi, epatocarcinoma. La somministrazione di clorochina (che si
lega all’uroporfirinogeno e ne favorisce l’escrezione) dà la remissione dei sintomi in circa 3 mesi.

CATABOLISMO DELL’EME
• Citocromi
• Emoglobina contenuta nei globuli rossi invecchiati. L'eme non può essere riutilizzato, per cui viene
trasformato in bilirubina ed escreto. Il ferro, invece, viene conservato.

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DEGRADAZIONE DELL’EME
Eme + 2 NADPH +3 O2 -------------> Biliverdina + Fe2+ + CO + 2 NADP+ + 3H2O

BILIVERDINA REDUTTASI
Biliverdina + NADPH-------->Bilirubina +NADP+

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BIOCHIMICA
“INIBIZIONE ENZIMATICA E REGOLAZIONE ATTIVITA ENZIMATICA”
ID lezione BCG06 Modulo Biochimica Generale
Data lezione 16 marzo 2021
Autore Rebecca Russo
Lezione
Prof. Arianna Vignini
tenuta da
Argomento Inibizione enzimatica e regolazione dell’attività enzimatica
Eventuali
Slide proiettate a lezione
riferimenti

ENZIMI:

• Inibizione dell’attività enzimatica


• Farmaci che si comportano come inibitori dell’attività enzimatica.

INIBIZIONE ENZIMATICA
Nella trattazione cinetica della inibizione enzimatica si applicano le assunzioni di Michaelis-Menten anche
all'inibitore
KI
E+I EI
Ogni sostanza che riduca la velocità di una reazione enzimatica è da considerarsi un
INIBITORE.
L’inibizione può essere IRREVERSIBILE o REVERSIBILE

• Reversibile – Competitiva, Non competitiva, acompetitiva

È irreversibile quando l’inibitore e l’enzima si legano con legame molto forte per formare il complesso EI e la
reazione di ritorno risulta molto lenta o non avviene per niente in quanto l’enzima è inattivato e non è più in
grado di legare il substrato normale.
Oppure quando l’inibitore irreversibile dissocia molto lentamente dal suo enzima bersaglio perché risulta
strettamente legato all'enzima, sia covalentemente o non covalentemente.
Un inibitore reversibile forma legami non covalenti e transitori con l’enzima.
La formazione reversibile di un legame non covalente con una molecola diversa dal substrato porta alla
formazione di complessi anomali, non produttivi, che non fanno parte del normale processo catalitico.

Inibizione enzimatica irreversibile


• I gas nervini sono un gruppo di sostanze di sintesi la cui produzione è iniziata negli anni 1930 da parte di
alcune industrie tedesche alla ricerca di nuovi insetticidi.

• utilizzate come armi chimiche

Es. Inibitori dell’enzima acetilcolinesterasi

• Si legano all’enzima con legami stabili (covalenti)


• Non possono essere rimossi con mezzi semplici
• Sono utilizzati:
- nello studio dei siti catalitici
- come farmaci (anti-metaboliti)
- come anti-parassitari
BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

L'enzima acetilcolinesterasi (AchE) è deputato alla scissione dell'acetilcolina (Ach) in colina e acido acetico.

acetilcolina + H2O → colina + acetato

L'acetilcolina agisce come neurotrasmettitore dell'impulso nervoso


L'acetilcolina, inoltre è il neurotrasmettitore della placca neuromuscolare della muscolatura scheletrica e di
alcuni interneuroni del sistema nervoso centrale

• Il sito attivo dell’enzima acetilcolinesterasi si trova


in una tasca molto stretta in cui ci sono tre
amminoacidi serina, istidina, glutammato

• L’amminoacido serina è considerato il bersaglio di


attacco dei gas della famiglia dei gas nervini che vi
si legano irreversibilmente e bloccano in questo
modo l’enzima impedendogli di funzionare.

I gas nervini (meccanismi molecolari)

La molecola DFP, inibisce irreversibilmente sistemi biologici formando un complesso enzima-inibitore con uno
specifico gruppo OH della serina situata nei siti attivi di alcuni enzimi.

Gas nervini come diisopropylfluorophosphate (DFP) inibiscono il sito attivo dell’enzima acetilcolinesterasi.

Altri esempi di inibizione irreversibile

Gli organofosforici (OP) sono tra gli insetticidi più utilizzati in agricoltura, in veterinaria, ma anche negli ambienti
domestici, di lavoro etc.

Gli OP costituiscono una classe estremamente vasta di composti con proprietà chimico-fisiche differenti tra di
loro, tutti accomunati dal medesimo meccanismo d'azione: l'inibizione irreversibile dell'enzima
acetilcolinesterasi (AchE).

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 2 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

INIBIZIONE REVERSIBILE dell’attività enzimatica

A) Inibizione competitiva.
Un inibitore competitivo è una sostanza che si lega all'enzima libero, impedendo così la formazione del
complesso enzima-substrato (ES). Esso può essere un analogo non metabolizzabile del substrato, un substrato
alternativo per l'enzima o un prodotto di reazione.

B) Inibizione non-competitiva.
In un tipico sistema di inibizione non-competitiva l'inibitore non ha alcun effetto sul legame del substrato con
l'enzima, ed il substrato non ha alcun effetto sulla formazione del legame tra inibitore ed enzima, in quanto
entrambi si legano reversibilmente all'enzima in siti differenti

C) Inibizione acompetitiva.
Il tipico inibitore acompetitivo è una sostanza che si lega reversibilmente al complesso ES dando origine al
complesso non produttivo ESI.

Competitiva

Un inibitore competitivo può legarsi unicamente all'enzima libero (E). Nel modello classico substrato e inibitore
competono per lo stesso sito sull'enzima.
Nell'inibizione a feedback accade spesso che l'inibitore si leghi ad un sito diverso, inducendo nell'enzima una
modificazione conformazionale che altera la struttura del sito attivo, in modo tale da impedire il legame del
substrato.
La presenza dell'inibitore ha un effetto solo
sulla Km, che aumenta all'aumentare della
[I]: l'affinità dell'enzima per il substrato
diminuisce.

La Vmax resta invece invariata: infatti, per


qualsiasi [I] esiste una [S] tale da
"cancellare" l'effetto inibitorio. Ciò è
evidente, considerando che un aumento
della [S] sposta l'equilibrio del sistema verso
la formazione di ES.

Rappresentazione dell’INIBIZIONE COMPETITIVA secondo i grafici di


MICAELIS-MENTEN e LINWEAVER-BURK

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 3 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

Inibizione competitiva: il trattamento con etanolo dell'avvelenamento


da metanolo
Non può essere
metabolizzata: è
tossica per
l’organismo

Può essere
metabolizzata: non è
tossica per
l’organismo

Può essere utilizzato come inibitore competitivo dell’alcool-deidrogenasi neicasi di intossicazione da metanolo, se utilizzato subito rimuove il METOH dal

Può essere utilizzato come inibitore competitivo dell’alcool-deidrogenasi nei casi di intossicazione da metanolo,
se utilizzato subito rimuove il METOH dal sito attivo dell’enzima.

L’inibitore competitivo è una sostanza che si lega all'enzima libero, impedendo così la formazione del complesso
enzima-substrato.
Può essere un analogo non metabolizzabile del substrato, un substrato alternativo per l'enzima o un prodotto di
reazione.

L'inibizione della succinico deidrogenasi da parte dell'acido malonico è un


classico esempio di inibizione competitiva da analogo non metabolizzabile:

- Esempio INIBIZIONE COMPETITIVA


- Inibizione da analogo del substrato:

Tale fatto diminuisce l’affinità dell’enzima per il substrato: di


conseguenza la KM dell’enzima aumenta in quanto è necessaria
una maggiore concentrazionedi substrato per ottenere la metà
della Vmax
La Vmax non viene alterata, poiché se la concentrazione di
substrato è molto alta, questo riesce a spostare completamente
l’inibitore dal sito attivo e a reagire con la stessa velocità che si
avrebbe in assenza di inibitore.

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BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

Inibizione non-competitiva

In un tipico sistema di inibizione non- competitiva l'inibitore non ha alcun


effetto sul legame del substrato con l'enzima, ed il substrato non ha alcun
effetto sulla formazione del legame tra inibitore ed enzima, in quanto
entrambi si legano reversibilmente all'enzima in siti differenti.

Rappresentazione dell’INIBIZIONE NON-COMPETITIVA secondo i grafici di


MICAELIS-MENTEN e LINWEAVER-BURK

Inibizione acompetitiva

Un inibitore acompetitivo può legarsi unicamente al


complesso enzima- substrato (ES).
Nel modello a fianco, il legame del substrato
all'enzima libero induce una modificazione
conformazionale che rende accessibile il sito per
l'inibitore.

Un inibitore acompetitivo ha effetto sia sulla Vmax


(che diminuisce), sia sulla Km. A differenza
dall'inibizione competitiva, la Km diminuisce
all'aumentare della [I]: apparentemente, quindi,
l'affinità dell'enzima per il substrato aumenta.
L'inibizione acompetitiva è quindi più marcata ad alte concentrazioni di substrato: aumentando la [S], infatti,
aumenta la [ES], la forma alla quale si lega l'inibitore.

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 5 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

Numerose molecole che si comportano come INIBITORI DI ENZIMI sono usati come FARMACI.
Esempi di farmaci come inibitori di enzimi:

• antinfiammatori;

• antibiotici;

• trattamento dell’ipercolesterolemia; ù

• Inibitori dell’enzima α– glicosidasi (antidiabetici)

• chemioterapici

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 6 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

Farmaci come inibitori enzimatici clinicamente utili

Inibitori dell’enzima HMG-CoA Reduttasi (partecipa alla sintesi del colesterolo) per
il trattamento della ipercolesterolemia.
(Farmaci: atorvastatin; pravastatin)

Inibitori degli enzimi Ciclo-ossigenasi come antiinfiammatori, (Farmaci: aspirina, ibuprofen, ketoprofen).

Inibitori come farmaci: le STATINE

Abbassano i livelli di colesterolo inibendo l’HMG-CoA reduttasi (Idrossi Metil Glutaril-CoA reduttasi), enzima-
chiave nella sintesi del colesterolo

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 7 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

Antiinfiammatori
Meccanismo d’azione dei farmaci antiinfiammatori non steroidei (FANS)

Gli enzimi inibiti sono le ciclo-ossigenasi (COX-1 e COX-2) coinvolte nella sintesi di molecole pro-infiammatorie
Sia la COX-1 che la COX-2 esistono come dimeri
Il substrato, acido arachidonico, giunge sul sito catalitico veicolato da un canale idrofobico.
L’aspirina acetila in modo irreversibile un residuo di Serina, che è vicino al sito catalitico.
Questa interazione previene l’accesso del substrato al sito catalitico dell’enzima.

Inibitori α–glicosidasi

•Appartiene a questa classe di farmaci l’Acarbosio.

•L’α–glicosidasi è un enzima della famiglia delle idrolasi, che ha il compito di scindere gli zuccheri complessi
(amido, oligosaccaridi e disaccaridi) in monosaccaridi e permettere così il loro assorbimento da parte della
mucosa intestinale.

•Questo enzima è localizzato sull’orletto a spazzola del tratto prossimale dell’intestino tenue.

Gli inibitori dell' α-glicosidasi sono farmaci antidiabetici che, non essendo assorbiti a livello sistemico (quota di
farmaco assorbita <2%), svolgono la loro azione a livello intestinale mediante l'inibizione dell'enzima α-
glicosidasi, presente sull'orletto a spazzola degli enterociti che rivestono i villi intestinali.
In tal modo impediscono all'enzima di scindere i disaccaridi e gli oligosaccaridi in monosaccaridi assorbibili,
rallentando così la digestione dei carboidrati e di conseguenza attenuando i picchi glicemici postprandiali.

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 8 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

Inibizione irreversibile dell’enzima batterico transpeptidasi


Ruolo della penicillina

La Penicillina inattiva irreversibilmente la glicopeptide transpeptidasi, enzima chiave della sintesi del
peptidoglicano della parete batterica.
La conformazione della penicillina può entrare facilmente nel sito attivo dell’enzima dove si lega molto
stabilmente, appena l’enzima tenta di rompere il legame peptidico contenuto nella molecola di penicillina, questa
si lega covalentemente e quindi irreversibilmente al sito attivo dell’enzima stesso inibendo la sintesi della parete
batterica.

L’Allopurinolo è un farmaco utilizzato principalmente per trattare iperuricemia (eccesso di acido urico nel
plasma sanguigno) e le sue complicanze, tra cui la gotta cronica.
Si tratta di un inibitore della xantina ossidasi che viene somministrato per via orale.

INIBISCE LA PRODUZIONE DI ACIDO URICO

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 9 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

Gli enzimi inducibili sono quelli i cui geni sono espressi soltanto in un determinato stadio dello sviluppo o in
particolari condizioni fisiologiche.
Alcuni ormoni hanno effetti a lungo termine e regolano la sintesi proteica tra cui quella di diversi enzimi.

Per es. in seguito a un aumento della glicemia, come avviene nel periodo post-prandiale, si ha un aumento dei
livelli di insulina che induce nel fegato la espressione della glucochinasi.

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 10 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

Enzimi allosterici

Enzimi che hanno quasi sempre una struttura quaternaria (più subunità polipeptidiche) e possiedono, oltre al
sito attivo in una subunità, anche un altro sito (sito regolatore) in un’altra subunità, al quale si lega una molecola
detta effettore (o modulatore che può essere negativo o positivo).

Nella maggior parte dei casi gli enzimi allosterici sono enzimi polimerici che mostrano anche l’effetto
cooperativo.

Allosterismo: cambiamento conformazionale che si verifica in una catena polipetidica, in risposta ad una
interazione ligando-sito allosterico.

Cooperatività: il cambiamento conformazionale di una catena, indotto dall’interazione con un effettore, a sua
volta, induce una catena adiacente ad assumere una nuova conformazione con una diversa affinità per il ligando
effettore o per un secondo ligando.

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 11 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

Esempi di regolazione allosterica:

L’enzima glicogeno fosforilasi è coinvolta nella demolizione del glicogeno. Esiste come dimero e risponde
allostericamente all’ATP e all’AMP
L’ATP è un inibitore, l’AMP un attivatore.

In alcune vie metaboliche l’enzima regolatore viene inibito in modo specifico dal prodotto finale della via, quando
tale prodotto si accumula oltre le necessità delle cellule.
L’enzima allosterico è in genere il primo della via metabolica.
Questa inibizione si chiama inibizione retroattiva o inibizione da prodotto (meccanismo a feedback).

Un esempio di enzima allosterico: la fosfofruttochinasi

Regolazione allosterica da parte di ATP:

Oltre ad essere un substrato di PFK-1, ATP è uno dei


prodotti finali della glicolisi

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 12 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

- Bassa [ATP]: basso valore di Km per fruttosio 6-fosfato.


L’enzima può funzionare a velocità elevata anche in presenza di
basse concentrazioni di substrato
- Alta [ATP]: aumenta il valore di Km per fruttosio 6-
fosfato
Dove sono dislocati gli enzimi allosterici nelle vie metaboliche

2,3 BIFOSFOGLICERATO
Effettore allosterico dell’emoglobina

Il 2,3-bisfosfoglicerato (o 2,3-BPG o 2,3-DPG) è


presente nei globuli rossi in
concentrazione simile a quella dell’Hb.

Si lega alla Deossiemoglobina in proporzione di


1:1, attaccando selettivamente la cavità centrale
del tetramero, stabilizzandone la struttura, e
diminuendone così l'affinità per l’ossigeno.

Quando l’Hb raggiunge i tessuti cede l’ossigeno.

Appena la cavità idrofila si apre il DPG entra e si


lega al tetramero.

Nei polmoni avviene il processo inverso. Ad alta


pressione di ossigeno l’Hb lega l’ossigeno ed il
DPG viene "spremuto" ed espulso dal tetramero, consentendo un più facile legame.

2,3 BIFOSFOGLICERATO E ADATTAMENTO AD ALTE QUOTE

Aumentando la concentrazione di 2,3-DPG nel sangue, aumenta ulteriormente l’efficienza del trasporto.
Quando si va in alta quota (>4000m) dopo poche ore aumenta [DPG] per adattare la respirazione alla minore
pressione di ossigeno.
Una situazione analoga si crea in soggetti che soffrono di ipossia dovuta ad una minore ossigenazione dei tessuti

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 13 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

periferici per un cattivo funzionamento dei polmoni o del sistema circolatorio.


Attivazione proteolitica

Es. Attivazione degli zimogeni durante la digestione

Precursore inattivo (zimogeno o proenzima)

Enzima attivo
Esempi:
Chimotripsinogeno →chimitripsina
Tripsinogeno →tripsina
Pepsina (pepsinogeno), elastasi (proelastasi), carbossipeptidasi
(procarbossipeptidasi), trombina (protrombina)

La proteolisi riguarda anche proteine diverse dagli enzimi


Attivazione proteolitica dell’Insulina
L'insulina è costituita da due catene polipeptidiche (α più piccola di 21 AA e β più grande di 30 AA), tenute
insieme da ponti disolfuro che si formano tra le cisteine 7 e 20 della catena α e le cisteine 7 e 19 della catena β.
L'insulina viene prodotta a partire dalla pro-insulina tramite taglio proteolitico di un peptide di 33 aa.
Questo peptide è chiamato peptide C mentre l'enzima responsabile del taglio proteolitico è una endopeptidasi.

SEQUENZA
SEGNALE

PEPTIDE C

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 14 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

Modifiche covalenti degli enzimi

Modulazione covalente reversibile: fosforilazione del gruppo –OH di serine, treonine o tirosine

Molti enzimi possono essere regolati mediante fosforilazione e defosforilazione di alcuni residui di
serina, treonina e tirosina presenti nella catena polipeptidica.
Questa modificazione covalente induce nella proteine una variazione
di conformazione che può aumentare o inibire l’attività catalitica
dell’enzima

Esempio:
glicogeno fosforilasi (enzima coinvolto nella demolizione del glicogeno)

ATTIVO nella FORMA FOSFORILATA


INATTVO nella FORMA DEFOSFORILATA

glicogeno sintetasi (enzima coinvolto nella sintesi del glicogeno)

INATTIVO nella FORMA FOSFORILATA ATTVO nella FORMADEFOSFORILATA

Modificazioni covalenti degli Istoni

• FOSFORILAZIONE

• METILAZIONE ( su residui di lisina e arginina)

• ACETILAZIONE (su residui di lisina)

• UBIQUITINAZIONE La proteolisi ubiquitina-dipendente è importante sia nella regolazione dei processi


cellulari che nell’eliminazione delle proteine difettose.

Acetilazione degli istoni

• L'acetilazione reversibile di residui N-terminali di lisina in diverse posizioni provoca alterazioni della
struttura del nucleosoma, e altera le interazioni istoni - DNA, facilitando l'accesso a fattori di trascrizione.

• Gli enzimi Istone acetil transferasi (HAT) e istone deacetilasi (HDAC) regolano il livello di acetilazione
degli istoni.

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 15 di 16


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG06 – INIBIZIONE ENZIMATICA

RUOLO DELLA CALMODULINA

Protein-chinasi dipendenti da Ca2+/calmodulina, la CaM-


chinasi.

Questa chinasi trasferisce gruppi fosfato su altre proteine in


corrispondenza di serine e treonine selezionate (fosforilazione).

Autore: Rebecca Russo per Medicina08 16 di 16


BIOCHIMICA GENERALE
“I COENZIMI”
ID lezione BCG07 Modulo Biochimica generale
Data lezione 16-17/03/2021
Autore Martelli Linda, Vita Francesco, Giulietti Virginia
Lezione
Prof. Arianna Vignini
tenuta da
Argomento I coenzimi, le vitamine, proteine nell’alimentazione
Eventuali
Slide proiettate a lezione.
riferimenti

L’attività degli enzimi viene regolata tramite diverse strategie e fattori:

• Regolazione della quantità di un enzima (Enzimi inducibili e costitutivi)


• Disponibilità di coenzimi e cofattori
• Disponibilità di substrati
• Presenza di metaboliti modulatori positivi o negativi

I cofattori possono essere rappresentati da: ioni metallici (es. Cu2+, Fe3+, Zn2+) o coenzimi (es. NAD+,
FAD+). Molti enzimi ben conosciuti utilizzano infatti ioni metallici specifici per svolgere correttamente
la loro funzione catalitica. Infatti, enzimi come esochinasi, glucosio 6-fosfatasi impiegano Fe3+ e Fe2+;
mentre l’alcol deidrogenasi, anidrasi carbonica, catalasi e perossidasi impiegano Zn2+.

A seconda del legame che viene stabilito tra cofattore e enzima che ne fa uso, i coenzimi si possono
definire:

• Cosubstrati: quando i cofattori sono associati all’enzima specifico che ne fa uso solo
temporaneamente
• Gruppi prostetici: cofattori risultano associati al loro enzima in modo permanente anche
mediante legami covalenti

Normalmente la proteina cataliticamente inattiva viene considerata come apoenzima, quando questa
forma un complesso enzima-cofattore catalicamente attivo dà origine a un oloenzima

I COENZIMI
I coenzimi operano come trasportatori temporanei di specifici gruppi funzionali
e possono essere necessari al funzionamento di enzimi che si servono anche di
cofattori (soprattutto ioni metallici).

Con gli alimenti vegetali e animali assumiamo elementi chimici alcuni dei quali fungono da cofattori
metalli cima non solo, con gli alimenti assumiamo anche vitamine idrosolubili da cui ricaviamo i
coenzimi. In particolare i nutrienti che vengono assunti tramite la dieta possono essere distinti in due
classi ovvero: nutrienti energetici (carboidrati, grassi e proteine) e nutrienti non energetici
(vitamine, Sali minerali, acqua). Gli alimenti vegetali invece sono principalmente ricchi in fibre vegetali
e fitonutrienti tra cui polifenoli, carotenoidi, fitosteroli, fitoestrogeni ecc.
BIOCHIMICA–Biochimica generale BCG07– I COENZIMI

L’interesse per lo studio delle vitamine inizia circa un secolo fa (1911) con le osservazioni fatte in Asia
a proposito del Beriberi, una malattia neurologica e cardiovascolare. Questa malattia colpiva quelle
regioni in cui alla base dell’alimentazione c’era il riso brillato (cioè il riso che era stato privato della
cuticola esterna).

Kazimierz Funk, un medico biochimico polacco isolò dalla parte esterna dei cereali - tra cui il riso - una
sostanza presente in tracce e contenente azoto. La molecola che fu chiamata TIAMINA (Vitamina B1 ),
era in grado di curare i pazienti affetti da Beriberi. Su questa base, il biochimico dedusse che il Beriberi
era correlato con una carenza di tiamina e coniò il termine vitamina = amina della vita
Successivamente il termine “vitamina” è stato utilizzato per indicare composti organici biologicamente
attivi e essenziali (anche se non sempre contenenti azoto) per lo svolgimento di numerose reazioni
chimiche

LE VITAMINE

Le vitamine non vengono ossidate dall’organismo per fornire energia e non fanno parte integrante
della struttura delle cellule. Queste servono allo svolgimento di specifiche funzioni cellulari, in
particolare, le vitamine idrosolubili sono utilizzate come precursori di coenzimi nel metabolismo
intermedio. Le vitamine sono divise in 2 grandi gruppi:

• Liposolubili: vitamine A, D, E, K
• Idrosolubili: vitamine del complesso B, vitamina C

A loro volta le vitamine idrosolubili si distinguono in vitamine del complesso B e vitamine non del
complesso B.
Le vitamine del complesso B sono implicate: nel metabolismo cellulare tra cui la tiamina (vitamina
B1), riboflavina (vitamina B2), niacina (vitamina B3), biotina, acido pantotenico; coinvolte
nell’emopoiesi tra cui acido folico e vitamina B12 e coinvolte in altri processi tra cui piridossina
(vitamina B6), piridossale e piridossamina
Le vitamine non del complesso B invece comprendono l’acido ascorbico ovvero la vitamina C

Le vitamine sono sostanze organiche, di diversa natura chimica necessarie agli organismi animali in
piccolissime quantità per lo svolgimento del metabolismo cellulare. In seguito all’evoluzione, gli
animali hanno perso la capacità di sintetizzarle perciò devono essere assunte con gli alimenti.
Nonostante questo una piccola quota (parte delle vitamine del complesso B, PP, K) è prodotta dalla
nostra flora batterica (i trattamenti antibiotici prolungati possono ridurre la flora batterica)

Di ogni vitamina si può valutare lo stato nutrizionale: gli alimenti ricchi di vitamine idrosolubili
subiscono un assorbimento intestinale e successivamente raggiungono il fegato in cui le vitamine
possono essere convertite in forme coenzimatiche ed esplicano i loro ruoli fisiologici. Quindi o
raggiungono cellule e tessuti periferici dove i coenzimi esplicano i loro ruoli fisiologici oppure vengono
eliminate per escrezione attraverso i reni

Autore: Martelli Linda, Giulietti Virginia, Francesco Vita per Medicina08 2 di 20


BIOCHIMICA–Biochimica generale BCG07– I COENZIMI

Molte delle reazioni per le quali sono richieste vitamine sono comuni alla maggior parte delle cellule
dell’organismo.

Le vitamine del gruppo B hanno un ruolo fondamentale come coenzimi all’interno del nostro
organismo infatti per esempio:

• Tiamina (B1): dà origine al coenzima tiamina pirofosfato (TPP)


• Riboflavina (B2): dà origine a FAD e FMN
• Niacina (PP o B3): dà origine a NAD e NADP
• Piridossina (B6): dà origine al piridossalfosfato (PLP)
• I folati: danno orgine all’acido tetraidrofolico (THF)
• Acido pantotenico: dà origine al coenzima A
• Biotina (H): agisce essa stessa da coenzima
• Vitamina B12: agisce essa stessa da coenzima

Principali conseguenze da deificit di vitamine idrosolubili

La carenza di tiamina comporta il Beriberi, questa consiste in disturbi a carico del sistema nervoso
centrale e periferico, dell’apparato digerente e cardiovascolare. Polineurite diffusa (alterazioni
motorie e sensoriali), crampi muscolari, atrofia muscolare insufficienza cardiaca (Asia-riso brillato).

La carenza di niacina comporta la Pellagra la quale si manifesta con lesioni a carico della mucosa della
bocca, lingua e pelle. Comporta disturbi intestinali e neurologici

La carenza di vitamina B12 comporta Anemia perniciosa dovuta dall’arresto della maturazione dei
globuli rossi. Altri sintomi caratteristici sono glossite, demielinizzazione delle fibre nervose del
midollo spinale.

Autore: Martelli Linda, Giulietti Virginia, Francesco Vita per Medicina08 3 di 20


BIOCHIMICA–Biochimica generale BCG07– I COENZIMI

Il fabbisogno nutrizionale (RDA, recommended Daily Allowance) o dose giornaliera consigliata per
quanto riguarda le vitamine, è riportato nella tabella sottostante:

COENZIMI COINVOLTI NELLE REAZIONI DI OSSIDORIDUZIONE NEL METABOLISMO CELLULARE

Niacina (vitamina B3 o vitamina PP, Pellagra-Preventing)

La niacina può essere sintetizzata anche a partire dal triptofano (amminoacido


essenziale)
60 mg di triptofano → equivalenti a 1 mg di Niacina 100 g proteine →1 g Trp →
equivalenti a 16 mg di niacina

FUNZIONE: Cofattore di numerose deidrogenasi; reazioni di ossido-riduzione. La presenza di niacina è


riscontrabile nella struttura del NAD+ e NADP+

Autore: Martelli Linda, Giulietti Virginia, Francesco Vita per Medicina08 4 di 20


BIOCHIMICA–Biochimica generale BCG07– I COENZIMI

DEFICIENZA: diminuita capacità di produrre energia

RICHIESTA NUTRIZIONALE: 13-19 mg/giorno

MALATTIE ASSOCIATE: pellagra (malattia delle 3D: dermatite, diarrea e demenza)

BIODISPONIBILITA’: nei cereali (mais) è poco disponibile perché legata covalentemente a carboidrati
complessi a formare niacitina, e in minor quantità ai peptidi formando niacinogeni. Per cui diventa
disponibile solo a seguito di trattamento in ambiente basico, per esempio con ossido di calcio.
La tostatura dei chicchi di caffè trasforma la trigonellina (acido1-metil nicotinico) in acido nicotinico
(niacina).

NAD+ E NADP+

Struttura e biosintesi del NAD+ e NADP+:

I dinucleotidi nicotinammide adenindinucleotide (NAD+) e nicotinammide adenindinucleotide fosfato


(NADP+) vengono considerati i principali coenzimi implicati nelle reazioni redox cellulari, infatti
l’anello piridinico della molecola è capace di accettare e donare elettroni. Entrambi i dinucleotidi (nelle
diverse forme) vengono utilizzati sia nel catabolismo (glicolisi, b-ossidazione degli acidi grassi) che
nell’anabolismo (gluconeogenesi, sintesi degli acidi grassi, amminoacidi e nucleotidi).

Questi coenzimi sono i tipici coenzimi di deidrogenasi e


fungono da accettori di idrogeno nell’ossidazione di svariati
composti (reazioni di ossido-riduzione) La loro riduzione
avviene per trasferimento di uno ione idruro (H-) dal substrato
all’anello piridinico del coenzima, con liberazione nel mezzo di
un H+ La forma ossidata viene indicata come NAD(P)+ e quella
ridotta NAD(P)H. Il loro legame all’apoenzima è labile.

DOVE SI TROVA: Lievito, Carne, Fegato, Cereali, Legumi, Latte,


Verdure a foglia verde, Pesce

CARENZA: Data la diffusione della vitamina in natura la deficienza è rara e da rapportarsi a gravi
mancanze alimentari o ad alterazioni dell'assorbimento intestinale.

PELLAGRA: presente nelle popolazioni che si nutrono prevalentemente di farina di mais. È


responsabile di un quadro clinico detto "delle tre D": demenza, dermatite e diarrea. I sintomi della
pellagra sono: desquamazione della pelle delle mani e del collo, diarrea, perdita di appetito e di peso,
lingua arrossata e gonfia, depressione e ansia.

Non si hanno fenomeni di ipervitaminosi, perché la vitamina in eccesso è eliminata con le urine fino a 7
mg/giorno.

Autore: Martelli Linda, Giulietti Virginia, Francesco Vita per Medicina08 5 di 20


BIOCHIMICA–Biochimica generale BCG07– I COENZIMI

Mentre il NAD+ è utilizzato primariamente nei processi catabolici (reazioni di ossidazione del
metabolismo), il NADP+ viene utilizzato nei processi anabolici (reazioni riduttive), particolarmente
nelle reazioni di biosintesi di lipidi ed acidi nucleici. La forma ridotta (NADPH) viene generata
principalmente nella via dei pentoso fosfati (shunt dei pentosi).

ll NAD+ e il NADH quando interagiscono con una proteina


enzimatica come in alcune deidrogenasi, si inseriscono
all’interno di un motivo strutturale noto come “piega di
Rossmann” o “Rossmann fold” dal nome dello scienziato
che per primo ha studiato le “nucleotide-binding proteins”.

Le concentrazioni delle due forme di NAD+ sono regolate dalle interazioni esistenti fra mitocondri e
citoplasma e dagli equilibri delle varie reazioni ossido riduttive. Nel citoplasma il rapporto
[NAD+]/[NADH] è nettamente a favore della forma ossidata, mentre nella matrice mitocondriale ha un
valore molto più basso. Infatti, il ciclo dell’acido citrico e la β-ossidazione degli acidi grassi, che si
svolgono nei mitocondri, producono NADH a una velocità superiore a quella della catena di trasporto
degli elettroni che ossida nuovamente il NADH. I valori del rapporto tra le concentrazioni di NAD e di
NADH sono in grado di fornire un quadro sullo stato ossidoriduttivo di una cellula

Di seguito si riportano alcuni esempi di ossidoriduzione che coinvolgono NAD + e NADH:

[Le ossidoriduzioni sono dei processi in cui vengono accoppiate una reazione di ossidazione e una
riduzione: l’ossidazione è il processo attraverso cui l’atomo perde elettroni, mentre una riduzione è il
processo attraverso cui l’atomo acquista elettroni]

Autore: Martelli Linda, Giulietti Virginia, Francesco Vita per Medicina08 6 di 20


BIOCHIMICA–Biochimica generale BCG07– I COENZIMI

Riboflavina (vitamina B2)

Essa viene assorbita nell'intestino tenue e trasportata nel fegato e in altri tessuti, dove a livello
cellulare viene convertita nelle forme attive: FlavinMonoNucleotide (FMN) e
FlavinAdeninDinucleotide (FAD)
La riboflavina diviene costituente essenziale delle flavoproteine

FMN

Riduzione del FAD:

FUNZIONE: Permettono l’attività catalitica di enzimi coinvolti in reazioni redox incluse, ad esempio,
nel Ciclo di Krebs e nella catena respiratoria.
Catena respiratoria:
Esempio di reazione del ciclo di Krebs:

In realtà anche nella β-ossidazione degli acidi grassi sono implicate delle deidrogenasi FAD dipendenti

Autore: Martelli Linda, Giulietti Virginia, Francesco Vita per Medicina08 7 di 20


BIOCHIMICA–Biochimica generale BCG07– I COENZIMI

DOVE SI TROVA: La riboflavina, in natura, è abbondantemente presente. Si trova nelle verdure


(soprattutto nelle parti a crescita attiva e diminuisce allorché la pianta smette di crescere), nel lievito,
nel latte (la quantità varia a seconda del tipo di alimentazione degli animali produttori), nel fegato, nel
cuore, nel rene e nell'albume dell'uovo.

DEFICIENZA: comporta diminuita capacità di produrre energia. La carenza è rara nel nostro Paese e
determina estese conseguenze: un arresto della crescita, debolezza agli arti inferiori, parestesie e una
sindrome simile alla pellagra (lesioni delle mucose e dell'epitelio dell'occhio e dell'apparato
gastrointestinale). La ragione biochimica sta nell’accumulo di metaboliti intermedi nei tessuti, per
alterazioni dei processi ossidativi cellulari

RICHIESTA NUTRIZIONALE: 1,2-1.7 mg/die

Coenzimi trasportatori di gruppi funzionali

Vitamina B6 (piridossalfosfato o PLP)

Il coenzima PLP viene introdotto nell’organismo sotto forma di piridossina (vitamina B6 ) che per
successiva fosforilazione e ossidazione si trasforma in piridossalfosfato. Viene assorbita nell'intestino
tenue mediante trasporto attivo ATP-dipendente, trasformata nelle forme coenzimatiche attive e
trasportata nel fegato e in altri tessuti, legata all’albumina oppure all’emoglobina (in questo caso si
trova all’interno dei globuli rossi).

La piridossina, il piridossale e la piridossamina (e i


corrispondenti esteri 5' fosfati tra cui il più noto è il
PLP) sono le forme con cui si presenta la vitamina B6.
Tutte e tre sono derivati piridinici che si differenziano
tra di loro per i diversi gruppi chimici che si trovano,
rispetto all’atomo di azoto, in posizione para.

Il gruppo ossidrile, unitamente alla funzione aldeidica e all’azoto presente nel ciclo
è responsabile dell’attività catalitica del cofattore Il gruppo amminico di un
amminoacido attacca il gruppo aldeidico per formare un’immina (base di Schiff)

TRANSAMINAZIONI
Le reazioni di transaminazione, ovvero le prime tappe del metabolismo
aminoacidico, usano come coenzima il piridossal fosfato.
Il piridossal fosfato forma una base di Shiff con un residuo di Lys della transaminasi

Ad eccezione di lisina, treonina, prolina e idrossiprolina tutti gli amminoacidi possono essere
transaminati. Sono reazioni reversibili e catalizzate dalla transaminasi in presenza del PLP quale
coenzima che agisce quale trasportatore di gruppi amminici in quanto esso accetta il gruppo amminico
dall’amminoacido per formare un piridossamina fosfato che a sua volta dà il gruppo amminico al
chetoacido.

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Il PLP è coenzima di diverse vie:

• transaminazione e decarbossilazione degli amminoacidi


• deaminazione ossidativa
• metabolismo del triptofano
• metabolismo lipidico, con trasformazione dell’acido linoleico in acido arachidonico
• glicogenolisi, in quanto è il coenzima della glicogeno-fosforilasi
• sintesi di vari neurotrasmettitori
• diminuzione dell’azione degli ormoni steroidei, per la sua capacità di legarsi ai loro recettori

Il piridossalfosfato è il cofattore della δ-amminovulinato


sintasi, l’enzima che catalizza la prima tappa della biosintesi
dell’eme

In realtà anche la biosintesi della sfingosina si serve di un


enzima PLP-dipendente, ovvero la palmitil serina transferasi.
La sintesi di sfingosina prevede l’unione di acido palmitico e
serina

DOVE SI TROVA: negli organi animali è presente la forma attiva fosforilata (PPLP e PMP), mentre nei
tessuti vegetali è presente la forma defosforilata piridossina

RICHIESTA NUTRIZIONALE: La buona utilizzazione delle proteine assunte con la dieta dipende molto
dalla presenza di vitamina B6
Adulto: 1,5 mg/100 g di proteine assunte
Bambini: 0,3-0,8 mg/100 g.
In gravidanza/allattamento si consiglia di aumentare la dose del 20/30%, rispettivamente

Coenzimi trasportatori di acili

• ACIDO LIPOICO

• ACIDO PANTOTENICO (VITAMINA B5)

• 4’- FOSFOPANTETEINA (COENZIMA A)

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Acido lipoico

Si può classificare tra le vitamine liposolubili. È prodotto dal


nostro organismo e coinvolto nel COMPLESSO DELLA
PIRUVATO DEIDROGENASI, funzionando da accettore di
elettroni, grazie al suo ponte disolfuro, reattivo. È quindi uno
scavenger di radicali liberi nel corso del danno ossidativo

L’acido lipoico (25-100µM) induce attività antiossidanti di vari enzimi tra cui: la catalasi (+55%),
superossido dismutasi, glutatione reduttasi, glutatione perossidasi, glutatione transferasi. Questo
porta a un effetto dose dipendente. Parallelamente l’acido lipoico riduce l’accumulo dei ROS (-55%).

Con l’invecchiamento si realizzano processi di perossidazione dei lipidi sulle membrane cellulari e
mitocondriali sia l’ossidazione delle proteine e del DNA. Nel caso dei lipidi vengono sottratti da essi
atomi di H. Ciò causa una diminuzione di agenti antiossidanti endogeni e inoltre potrebbe causare
patologie come il cancro, malattie cardiovascolari o cataratta. La manifestazione di queste malattie
provoca essa stessa la maggiore perossidazione dei lipidi.

La presenza di acido lipoico permette di ridurre questo effetto di per ossidazione e inibisce l’HMG CoA
reduttasi (sintesi del colesterolo).

DOVE SI TROVA: L’acido a-lipoico è solitamente presente in maggiori quantità nei tessuti che sono più
ricchi di mitocondri, ovvero i tessuti a maggiore attività metabolica. Le principali fonti dell’ALA sono la
carne rossa e alcune frattaglie, in particolar modo il cuore e il fegato. Ne sono particolarmente ricchi
anche i broccoli e gli spinaci.

FUNZIONI: l’ALA è un potente antiossidante endogeno che svolge principalmente tre funzioni: agisce
come antiossidante, come coenzima del metabolismo energetico cellulare e come
antinfiammatorio

• Azione antiossidante: Essendo una molecola anfifilica, l’ALA è l’unico antiossidante in grado
di svolgere la propria attività sia in fase acquosa che lipidica. Grazie alla sua attività di
coenzima è inoltre in grado di rigenerare altri antiossidanti fondamentali quali la vitamina C, la
vitamina E, il coenzima Q e il glutatione

• Azione sul metabolismo energetico: l’ALA è cofattore per numerosi enzimi che partecipano
al processo di conversione del glucosio, degli acidi grassi e delle altre fonti energetiche in ATP
(per esempio, piruvato deidrogenasi, alfachetoglutarato deidrogenasi). La disponibilità di ALA
a livello cellulare aumenta l’efficienza del ciclo di Krebs. La supplementazione con l’ALA
aumenta la biosintesi di ATP e le disponibilità energetiche e autoriparative delle cellule, ha

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effetto ipoglicemizzante, in quanto stimola l’uptake del glucosio nelle cellule muscolari
mimando l’azione dell’insulina e infine aumenta l’uptake di glucosio a livello del nervo,
aumentando di conseguenza l’energia a disposizione della cellula nervosa, anche grazie alla sua
attività di coenzima nel metabolismo energetico cellulare.

• Azione anti-infiammatoria: Azione inibitoria sul fattore di trascrizione nucleare NF-kB


(Nuclear Factor kappa-light-chain-enhancer of activated B cells) che è un importante
regolatore del processo infiammatorio. Modula infatti la biosintesi di numerose citochine
infiammatorie, fra cui IL-1, IL-6 e TNF-α. L’ALA inibisce l’espressione di molecole adesive
(VCAM-1) a livello endoteliale, riducendo la capacità di adesione dei monociti e dei macrofagi e
riducendone dunque l’attivazione. L’ALA è infine un chelante di metalli pesanti. Viene
impiegato, solitamente in associazione ad altri chelanti più potenti, nelle terapie per la
disintossicazione da metalli pesanti.

Acido pantotenico (vitamina B5)

L'acido pantotenico deriva da una fusione, tramite legame


carboamidico, di una β-alanina all’acido pantoico. La forma chirale
attiva è solamente quella destrogira.
Il coenzima che viene formato a partire da questa proteina è la
fosfopanteteina (legata all’Acil CArrier Protein ACP) e il coenzima A

DOVE SI TROVA: ubiquitario da cui il nome (dal greco pantos). Si trova, in particolare, nel fegato, nel
lievito di birra, crusca di frumento, semi di sesamo, pappa reale. In minor misura: semi di girasole,
soia, uova, piselli secchi, farina integrale di grano saraceno e nei legumi.

CARENZA ALIMENTARE: rarissima

RICHIESTA NUTRIZIONALE: non ben definito. Ci si orienta su di una dose giornaliera di 5-10 mg.

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Coenzima A

È un attivatore metabolico degli acidi carbossilici. Aiuta nel trasferimento degli acidi grassi dal
citoplasma a mitocondri e catalizza tutte le reazioni di trasporto di acili. Tale trasporto si realizza per
la formazione di tioesteri tra il -COOH dell’acido ed il - SH del Coenzima A. Risulta perciò un donatore
di acetato nelle proteine (processo che fa parte anche della trasduzione del segnale) L’energia per la
formazione del legame C-S deriva dall’ATP Il legame C-S degli acil-CoA è ad alto contenuto energetico.

UTILIZZI:

• Ossidazione degli acidi grassi (mitocondrio)


• Sintesi del colesterolo e di composti steroidei
• Metabolismo dei corpi chetonici
• Metabolismo ossidativo del piruvato (complesso piruvato deidrogenasi)
• Ciclo dell’acido citrico (a-chetoglutarato deidrogenasi)
• Sintesi dell'acetilcolina per acetilazione della colina
• Nelle reazioni di decarbossilazione dei chetoacidi, con formazione di succinilCoA che entra nel
ciclo di Krebs
• Nella via di sintesi della proto-porfirina

Tiamina (vitamina B1)

La tiamina si compone di un anello tiazolico e di uno pirimidinico uniti tra loro


da un ponte metilenico

FUNZIONE: Cofattore di deidrogenasi

DEFICIENZA: diminuita capacità di produrre energia

RICHIESTA NUTRIZIONALE: 1-1.5 mg/giorno

MALATTIE ASSOCIATE: Beriberi

DOVE SI TROVA: carne fresca: fegato, nel rene, nel cervello e nell'intestino; le uova i legumi; i cereali
integrali; le verdure a foglia verde; la frutta; il latte; il lievito di birra.

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La tiamina, una volta assunta con gli alimenti, si presenta nell'intestino in forma libera o come
fosfoestere, nel qual caso viene poi sottoposta ad idrolisi dalle fosfatasi.

I processi di assorbimento avvengono per lo più a livello del duodeno e diminuiscono lungo il tenue.

Una volta entrata negli enterociti, la tiamina viene liberata nel plasma o in forma libera o coniugata
con un gruppo fosfato (tiamina monofosfato).

Una volta arrivata nei tessuti essa viene fosforilata a tiamina pirofosfato, la forma attiva, dalla tiamina-
pirofosfato sintetasi.

Fermentazione alcolica (in condizioni anaerobie)

Gli enzimi TPP dipendenti sono:

-la piruvico-deidrogenasi che converte l'acido


piruvico in acetil CoA

-l'α chetoglutarato deidrogenasi che trasforma


l'α chetoglutarato in succinil CoA

-la deidrogenasi degli α chetoacidi a catena


ramificata (leucina, isoleucina), che trasforma
questi ultimi nei corrispondenti acil CoA

-cofattore della transchetolasi, (importante per la produzione di NADPH e di ribosio-5-fosfato).

La tiamina è poco immagazzinata nell'organismo, per cui la sua mancanza nella dieta causa problemi
metabolici, in particolare a livello del metabolismo dei carboidrati, già in pochi giorni si rivela un
aumento plasmatico degli α chetoacidi (acido piruvico e acido lattico) ed abbassamento dell'attività
transchetolasica degli eritrociti.

La carenza cronica di tiamina provoca alterazioni del sistema nervoso, problemi cardiovascolari e
gastrointestinali (beri-beri) (problema ancora presente in alcune popolazioni dell'Asia Orientale
facenti uso di riso brillato) Nella fase precoce il deficit determina astenia, irritabilità, turbe della
memoria, disturbi del sonno, anoressia, disturbi addominali e costipazione

Altre sindromi da carenza di tiamina sono particolarmente diffuse tra gli alcolisti, in quanto
l'assunzione di alcool ne fa diminuire l'assorbimento.

Biotina

Strutturalmente presenta due anelli tra loro condensati uno tiofenico ed


uno imidazolidinonico. Legata all'anello tiofenico vi è una catena
laterale di acido valerianico.

È un coenzima in diverse carbossilasi agisce fissando inizialmente la


molecola di CO2 e trasferendola successivamente alla molecola da
carbossilare.

La carbossilazione della biotina a carbossi-biotina utilizza il bicarbonato come donatore di carbossile e


richiede la presenza di magnesio e di ATP.

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Nell'uomo, la biotina è il coenzima di quattro importanti carbossilasi

1) la piruvato-carbossilasi nella gluconeogenesi;


2) la propionil CoA carbossilasi per il metabolismo del propionato (metabolismo acidi grassi a n
dispari;
3) la metilcrotonil CoA carbossilasi per il metabolismo degli aminoacidi ramificati;
4) l'acetil CoA carbossilasi nella sintesi degli acidi grassi.

Venne scoperta a seguito di alcuni studi riguardanti le alterazioni cutanee e della crescita verificatesi
in animali nutriti esclusivamente con albume d'uovo crudo o proteine da esso estratte.

Il suo primo nome (vitamina H) deriva dalla parola tedesca HAUT pelle, perché sui topi da
esperimento dimostrò un’attività protettrice della pelle.

Inattivata dall’avidina (glicoproteina termolabile) fattore antinutrizionale contenuto nell’albume.

DOVE SI TROVA: Carne, Fegato, Tuorlo d’uovo, cereali

CARENZA: Dermatite, Ritardo dello sviluppo, Convulsioni

Folati o Vitamina B9

Folati è un termine collettivo per una classe di composti


formati da un anello pteridinico legato ad acido para
aminobenzoico unito a sua volta ad acido glutammico.

I termini acido folico e i folati sono frequentemente usati


come sinonimi ma i due termini vanno distinti

• il termine FOLATO si riferisce alla vitamina nella sua forma


naturale presente negli alimenti

• l’ACIDO FOLICO rappresenta la forma ossidata, stabile al calore e all’ossidazione, della vitamina, e
identifica la molecola di sintesi presente nei formulati vitaminici e aggiunta negli alimenti cosiddetti
fortificati.

Struttura dell'acido folico

Struttura dell'acido tetraidrofolico

L'acido tetraidrofolico è ottenuto per riduzione enzimatica.

Tale processo avviene attraverso due reazioni di riduzione dell’acido folico catalizzate dalla
tetraidrofolato reduttasi.

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L’acido folico è coenzima di enzimi coinvolti nel trasferimento di unità monocarboniose che includono
alcune fasi del metabolismo degli amminoacidi e delle basi azotate. Coinvolto nella formazione del
principale agente metilante S-adenosilmetionina (SAM).

La forma coenzimatica è l’acido tetraidrofolico (FH4).

Il coenzima trasporta gruppi monocarboniosi a vari livelli di ossidazione


Proliferazione cellulare
Formazione del tRNA iniziatore della sintesi proteica.

SINTESI DEL TIMILIDATO catalizzata dalla timidilato sintasi limitante per la replicazione del DNA, e
dipendente dalla disponibilità del metilene FH4 coenzima donatore del gruppo metilico.

SINTESI EX NOVO DELLE BASI PURINICHE (biosintesi adenina e guanina)

OMOCISTEINA/METIONINA

L’omocisteina è un aminoacido non proteico prodotto dal metabolismo della metionina, un aminoacido
solforato essenziale che viene introdotto nel nostro organismo con la dieta.

Aspetti Clinici

PREVENZIONE DEL CANCRO Folato come agente citoprotettivo Regola stabilità DNA;

DIFETTI DEL TUBO NEURALE sistema nervoso centrale si forma fra il 20° e il 28° giorno dal
concepimento;

ALCOLISMO CRONICO ipotizzato che acetaldeide o l’enzima aldeide ossidasi aumenti l’ossidazione del
folato;

MALATTIE CARDIOVASCOLARI da alti livelli di omocisteina;

FUNZIONI MENTALI (depressione) Alterazioni nei sistemi di metilazione del sistema nervoso centrale.
Associata a bassi livelli di serotonina;

INVECCHIAMENTO Correlazione tra età e ipometilazione DNA;

DONNE IN GRAVIDANZA Chi è a rischio di sviluppare carenza per l’aumentata richiesta di unità
monocarboniosa e sintesi di DNA. Rischio di parto pretermine, minor peso alla nascita, fino a
complicazioni di gravidanza ed aborto spontaneo;

ANEMIA MEGALOBLASTICA Carenza di folati risulta nella inibizione del ciclo cellulare. Anche disturbi
gastrointestinali.

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LARN (Livelli di assunzione giornalieri raccomandati)

Alimenti ricchi di Folati

Negli anni ‘40 Mitchell isolò dalle foglie di spinaci una sostanza attiva contro alcune forme di anemia e
la chiamò acido folico dal latino folium. Ogni giorno bisogna scegliere alimenti fonti di folati, come
frutta, insalate, ortaggi cotti, legumi cotti e alimenti di origine animale.

I folati pur trovandosi in abbondanza nelle verdure a foglia verde (broccoli, asparagi, spinaci, lattuga),
nei legumi (ceci) e in alcuni frutti (fragole e frutta secca), hanno una ridotta biodisponibilità.

Biodisponibilità è variabile e limitata da:

-Fibra presente nell’alimento;

-Instabilità durante la cottura.

Ma è possibile raggiungere il fabbisogno giornaliero con dosi di frutta e verdura distribuite nell’argo
della giornata.

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Coenzimi derivati dalla vitamina B12

Le forme coenzimaticamente attive sono:

- la metil-cobalamina (metionina sintasi)

- la 5 desossi-adenosil-cobalammina (metilmalonil CoA mutasi)

Il meccanismo delle reazioni catalizzate dai coenzimi della vitamina B12 consiste nello scambio
intramolecolare tra un atomo di H ed un gruppo legato a due atomi di C adiacenti.

- Cianocobalamina (vitamina B12)

- Metilcobalammina (MeCbl)

- deossiadenosilcobalammina o adenosilcobalammina (AdoCbl) (coenzima B12)

La cobalamina venne isolata e caratterizzata a seguito di una serie di ricerche in merito all'anemia
perniciosa. Nel 1926 si scoprì che nel fegato vi è un fattore capace di curare tale patologia ed esso
venne isolato e cristallizzato nel 1948. La struttura della vitamina B 12 venne chiarita nel 1956.

Struttura della cobalamina

La vitamina B 12 è una sostanza di colore rosso, formata da un anello corrinico (composto da 4 anelli
pirrolici e tre ponti metinici) con al centro un atomo di cobalto coordinato da quattro atomi di azoto. Il
cobalto presenta, inoltre, due legami di coordinazione perpendicolari rispetto al piano dell'anello.

Il primo con una molecola di 5,6-dimetilbenzimidazolo legata, a sua volta, ad un ribosio 6 fosfato.

Il secondo con diversi gruppi (R) i quali possono essere:

-cianidrico -CN (cianocobalamina)

-ossidrilico -OH (idrossicobalamina)

-metile -CH3 (metilcobalamina)

- 5-deossiadenosile (5’-deossiadenosilcobalamina)

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Le forme metabolicamente attive sono la metilcobalamina e la 5’-deossiadenosilcobalamina. Sotto


forma di deossiadenosilcobalamina la vitamina B 12 interviene in due processi:

-conversione di metilmalonil CoA in succinil CoA tramite l'enzima metilmalonil CoA mutasi

-sintesi dei 2 desossiribonucleotidi.

È necessaria nella produzione di globuli rossi.

Sotto forma di metilcobalamina interviene nella reazione di conversione di omocisteina in metionina


tramite l'enzima omocisteina metiltrasferasi e l'ausilio del metiltetraidrofolato.

DOVE SI TROVA:

La vitamina B12 è prodotta da microrganismi, quindi non è presente negli alimenti vegetali tranne
quando questi sono contaminati da materia fecale. La fonte di vitamina negli alimenti di origine
vegetale dipende dall’ingestione da parte dell’animale dei microrganismi contenenti vitamina B 12. Si
trova nel fegato, nel latte intero, nelle uova, nella carne di maiale e di pollo, nelle ostriche e nei
gamberetti.

CARENZE

-Anemia megaloblastica (presenza nel midollo ed a volte anche nel circolo sanguigno, di megaloblasti
abnormi);

-Anormalità neurologiche (dovuta a perdita di mielina);

-Disturbi gastrointestinali.

È stato visto che l'assunzione di alte quantità di vitamina C (>1 g) possono, col tempo, generare stati
carenziali di cobalamina. Ciò avviene in quanto, in alte dosi, la vitamina C, in presenza di ferro, si può
comportare da ossidante e formare radicali liberi che danneggiano la cobalamina.

Livelli di assunzione e tossicità: Attualmente si consiglia di assumere 2 μg/die di cobalamina Poiché


durante la gravidanza e l'allattamento il fabbisogno individuale di vitamina B 12 aumenta,
rispettivamente, del 20 e del 50 in genere ben soddisfatti dai 2 μg al giorno, si consiglia a tutte le donne
vegetariane che si trovano in queste situazioni di implementare la dose assunta tramite supplementi Si
ritiene che vi possa essere qualche rischio di tossicità a seguito dell'assunzione di quantità di
cobalamina superiori ai 200 μg.

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Acido Ascorbico o Vitamina C

La sua storia si riallaccia a quella dello SCORBUTO una patologia legata ad una carenza di tale
composto nella dieta.

Tale malattia era già nota in Grecia attorno al V secolo a.C.

Nel XVI secolo era noto, soprattutto presso popolazioni marinare, che lo scorbuto poteva venir curato
e prevenuto dall'assunzione di verdure e frutta fresca. Tuttavia la prima prova di ciò venne nel maggio
del 1747 ad opera di un chirurgo della marina reale inglese, James Lind. Egli prese 12 membri
dell'equipaggio affetti da scorbuto e li divise in sei gruppi da due persone ciascuno. Ad ogni gruppo
fece assumere, oltre alle normali razioni alimentari, un composto particolare sidro, acido solforico,
aceto, spezie ed erbe, acqua di mare, arance e limoni I risultati ottenuti permisero di dimostrare che
effettivamente quest'ultima aggiunta permette di prevenire l'insorgere dello scorbuto.

Nel XVIII e XIX secolo venne usato il termine di antiscorbutico per tutti quei cibi che erano in grado di
prevenire la comparsa dello scorbuto. Tra essi, oltre ai limoni, alle arance ed ai lime, vi sono anche i
crauti, il cavolo salato, il malto ed il brodo Pare che James Cook per il suo famoso viaggio
d'esplorazione, abbia utilizzato i crauti.

L'acido ascorbico esiste in due forme enantiomere ma solo una è la vitamina C. La vitamina C assunta
con la dieta viene assorbita a partire dalla bocca, nello stomaco e soprattutto a livello dell'intestino
tenue grazie ad un processo di diffusione passiva dipendente da sodio.

Questo sistema è molto efficiente soprattutto per basse dosi della vitamina. Via via che la
concentrazione di acido ascorbico cresce, il sistema di assorbimento si riduce di efficienza fino a valori
del 16%. Nel plasma la vitamina circola per il 90-95% come acido ascorbico e nel 5-10% come acido
deidroascorbico.

La vitamina C viene immagazzinata nei tessuti dell'organismo, in particolare, nel surrene e nel fegato.
La quota plasmatica che non viene immagazzinata viene eliminata con le urine.

Grazie alla forte azione riducente, la vitamina C è utilizzata in molte reazioni di ossidoriduzione. In
particolare la vitamina è in grado di donare un elettrone, formando così l'acido semideidroascorbico il
quale può donare un secondo elettrone, generando così l'acido deidroascorbico.

Ciò fa della vitamina C un valido donatore di elettroni. Il prodotto finale delle reazioni descritte, l'acido
deidroascorbico può venir ridotto ad opera di un enzima dipendente dal glutatione la deidroascorbato
reduttasi, rigenerando, così, l'acido ascorbico.

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La spiccata azione antiossidante della vitamina C e la sua capacità di mantenere stabili le vitamine A, E,
l'acido folico e la tiamina, viene utilizzata dalle industrie che la usano (come tale o sotto forma di sale
sodico, potassico e calcico) come additivo nei cibi. Impedisce l'ossidazione dei tessuti corporei
bloccando i radicali liberi dell'ossigeno. È inoltre fondamentale nella formazione dei tessuti connettivi
(collageni).

Tra i processi più noti si ricordano:


• idrossilazione della lisina e della prolina ad opera della prolina idrossilasi e della lisina idrossilasi
reazioni importanti per la maturazione del collagene;
• idrossilazione della dopamina per formare la noradrenalina;
• sintesi della carnitina;
• catabolismo della tirosina;
• sintesi degli acidi biliari;
• sintesi degli ormoni steroidei per intervento durante le reazioni di idrossilazione;
• riduzione dell'acido folico per formare la forma coenzimatica;
• aumento dell'assorbimento di ferro per riduzione del Fe 3 a Fe 2;
• azione di rigenerazione della vitamina E per cessione di un elettrone al radicale α tocoferossilico;
• diminuzione della formazione di nitrosamine intestinali e dei vari composti ossidanti (il radicale
superossido l'acido ipocloroso e i radicali idrossilici).

Fonti alimentari: nei vegetali a foglia verde, peperoni, pomodori, kiwi e negli agrumi. La vitamina può
perdersi nel caso in cui questi alimenti vengano tenuti all'aria per molto tempo o dentro contenitori di
metallo (es rame) La cottura può comportare perdita di vitamina (in taluni casi fino al 75 tale
fenomeno può essere ridotto adottando una cottura che sia il più possibile rapida ed in poca acqua

Carenza: scorbuto Alterazioni a livello dei vasi sanguigni con comparsa di emorragie, rallentamento
della cicatrizzazione delle ferite, gengiviti con alterazioni della dentina, gengivorragie ed osteoporosi.
Nei bambini si ha anche un arresto della crescita. Le varie emorragie possono portare anche ad anemia
sideropenica. Bassi livelli di acido ascorbico, sufficienti alla sopravvivenza, ma al di sotto di quelli
necessari, sembrano favorire l'aterosclerosi, sia per l'ipotesi ossidativa sia per l'ipotesi risposta alla
lesione.

Livelli di assunzione e tossicità: Si calcola che la quantità minima giornaliera di vitamina C


necessaria per prevenire lo scorbuto sia di circa 10 mg/die In Italia sia per gli uomini che le donne si
raccomanda una dose di almeno di 60 mg/die. In alcune situazioni la quota di vitamina da introdurre
deve essere più elevata:

-nei fumatori la dose giornaliera andrebbe raddoppiata;

-nelle donne in gravidanza si ritiene che la quantità giornaliera vada aumentata di 10 mg/die;

-nelle donne che allattano si dovrebbe aumentare la dose di 30 mg/die.

Dosi superiori ai 10 g/die di vitamina C in rari casi possono indurre la comparsa di disturbi
gastrointestinali.

Autore: Martelli Linda, Giulietti Virginia, Francesco Vita per Medicina08 20 di 20


PROTEINE NELL’ALIMENTAZIONE

ESSENZIALI = devono essere introdotti con gli alimenti perché l’organismo non li sintetizza
Gli aa essenziali sono quelli che non possono essere sintetizzati a partire da strutture più semplici
nell’animale e che pertanto devono essere assunti con la dieta.
Gli aa condizionatamente essenziali sono quelli per cui è richiesta una fonte alimentare solo in
situazioni nelle quali la sintesi endogena non può far fronte alle richieste.

FABBISOGNO PROTEICO
Tutte le diverse proteine corporee nell’organismo
vengono degradate e sostituite a ritmi diversi per
mantenerle biologicamente attive e funzionali.

Formano anche quelle molecole di derivazione


degli amminoacidi (es glutatione e collagene).
BIOCHIMICA - Biochimica Generale

L’Adequate Intake (AI) è l’apporto di micronutriente che soddisfa quasi certamente i bisogni
dell’individuo senza sviluppare tossicità, teoricamente si trova tra RDA (dose quasi certamente
adeguata) e UL (dose probabilmente tossica). Nel caso delle proteine, l’assunzione giornaliera di 0.75-
0,80 g/kg è sufficiente a soddisfare i bisogni del 97,5% della popolazione adulta (media+2DS). Si parla
pertanto di RDA (recommended dietary allowance).

In alcune situazioni particolari, tuttavia, è necessario incrementare l’assunzione giornaliera di proteine.


In particolare:
-Gravidanza: 1,1 g/kg/die

-Neonato: 2,6 g/kg/die

-Bambino: 1,5 g/kg/die


-Negli atleti è necessario modificare il fabbisogno proteico in relazione a tipologia, intensità e durata
dell’esercizio svolto, fino a livelli di 1,7 g/kg/die, negli atleti che praticano sport di potenza.

La malnutrizione proteica si può trovare non solo nell’anoressia ma anche nel soggetto anziano in cui
vi è una perdita di massa muscolare.
FABBISOGNO DEGLI AA ESSENZIALI

Autore: Giulietti Virginia, Vita Francesco


BIOCHIMICA - Biochimica Generale

Proteine: Fonti alimentari

• Proteine di origine ANIMALE Possiedono elevato Valore Biologico, in quanto contengono tutti gli
Latte e derivati: Caseina, amminoacidi essenziali nelle giuste proporzioni. L’abbondante
lattoalbumina, lattoferrina contenuto in questi alimenti di ulteriori nutrienti (colesterolo,
grassi, carboidrati, fibre) ne impone tuttavia un’assunzione attenta.
-Uova: Ovoalbumina,
ovomucoide, lisozima
-Carne e pesce: Actina, miosina

• Proteine di origine VEGETALE

-Cereali Sono dotate di basso Valore Biologico, per le basse concentrazioni


di amminoacidi essenziali in esse contenute. Dal momento che gli
-Gliadina, glutenina amminoacidi limitanti variano a seconda della fonte proteica, è
-Albumina possibile aumentare il valore biologico combinando diverse fonti tra
loro (complementazione proteica)
-Globine
-Legumi
-Frutta secca

Esempi di complementazione proteica:

Ricorda:
-I legumi sono carenti in metionina e cisteina

-I cereali sono carenti in lisina e triptofano

Fonti non convenzionali (isolati proteici, proteine testurizzate), ad esempio bistecche di soia.

Altre Fonti di proteine


• Insetti

EFSA e insetti allevati: Contengono dal 40 al 60% di proteine. Già impiegati in alcune cucine nazionali.
In commercio, in vari Paesi, sono già disponibili prodotti ottenuti con farine di insetti.
• Alghe

• Biotecnologie (es. peptidi e aminoacidi per produrre integratori)

In Italia non è ancora possibile la commercializzazione di insetti per l’alimentazione.


Fattori che determinano il valore nutrizionale (qualità biologica) delle proteine

Autore: Giulietti Virginia, Vita Francesco


BIOCHIMICA - Biochimica Generale

- Contenuto in proteine totali e


composizione in aminoacidi
(essenziali e non essenziali)
- Digeribilità (D): rapporto tra l’azoto
proteico assorbito e la qualità di
azoto proteico ingerito e corretta per
le escrezioni di azoto con le feci (es.:
proteine del latte 95%, isolato
proteico di soia 95%, farina di soia
86%)
- Potenziale attività regolatoria dei
peptidi bioattivi contenuti nella
sequenza aminoacidica delle
proteine ingerite

Fonti: sia di origine animale (latte e derivati e uova, carne, pesce e anche insetti), sia di origine vegetale
(soia, grano, mais, riso, orzo, patate).

Proteine nei cereali e negli pseudocereali


Poiché alcune fonti proteiche non
contengono tutti gli aminoacidi
necessari all’organismo umano, è
importante variare la propria dieta,
in modo da compensare i ridotti
contenuti di determinati aminoacidi
in alcuni alimenti con l’introduzione
degli stessi da altre fonti alimentari.

Autore: Giulietti Virginia, Vita Francesco


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PROBLEMA DEI NITRITI E DEI NITRATI

Vi è una correlazione di
nitriti e nitrati con la
produzione di
nicosammide, che causa
cancro.

I nitriti e nitrati sono additivi comuni delle carni conservate (bovine, suine, ecc.) perché svolgono 3
funzioni importanti:

1. impediscono lo sviluppo del Clostridium botulinum;


2. reagiscono con la mioglobina per formare nitroso-mioglobina, di colore rosso vivo;

3. sono sinergici con il sale impiegato nella salagione e nella stagionatura delle carni.

Perché il consumo di carni processate è legato all’aumentato rischio di cancro?


• La cottura ad alte temperature provoca la formazione di ammine eterocicliche e idrocarburi policiclici
aromatici

• Il ferro del gruppo eme aumenta la proliferazione cellulare nella mucosa


• Provoca la formazione di nitrosammine, tra i più potenti cancerogeni alimentari

Autore: Giulietti Virginia, Vita Francesco


BIOCHIMICA - Biochimica Generale

Tossicità delle nitrosammine


Le nitrosammine sono un gruppo di sostanze di diversa struttura chimica che contengono un gruppo
funzionale -N-N=O.
• Sono composti organici che si ottengono per reazione dei nitriti con ammine secondarie, terziarie e
più raramente quaternarie presente all’interno di strutture proteiche (carne, pesce, formaggi).

• I nitriti trovano le condizioni ottimali per produrre N-nitrosammine all’interno dello stomaco o tramite
trattamenti di cottura quali la frittura o l’arrostitura.

L’attenzione verso queste sostanze è dovuta a tre ragioni:

1. molte nitrosammine sono potenti cancerogeni;


2. molte nitrosammine sono mutageniche;
3. livelli relativamente elevati di alcune nitrosammine si possono formare negli alimenti e bevande
(birra, formaggi, ecc.), specialmente quelli conservati con nitriti e nitrati (carni).
Nel mese di ottobre 2015 l'International Agency for Research on Cancer (IARC) di Lione, un'agenzia
dell'Organizzazione mondiale della sanità che valuta e classifica le prove di cancerogenicità delle
sostanze, ha definito la carne rossa come probabilmente cancerogena (classe 2A della classificazione
dello IARC) e la carne rossa lavorata (essicazione, salatura o affumicatura) come sicuramente
cancerogena (classe 1 della classificazione dello IARC).

Le carni bianche e il pesce non esercitano questo effetto.


Il rischio esercitato dalle carni rosse:

- formazione di ammine eterocicliche nella cottura delle carni


- formazione di N-nitroso composti favorita dal ferro eme presente nella carne e nitrati, nitriti
presenti nelle carni conservate
Ruolo protettivo delle spezie e delle erbe aromatiche:

• Il rosmarino aggiunto prima della cottura in quantità limitate (15%) riduce sensibilmente la
produzione di molecole dannose.
• È già ben nota l’azione protettiva esercitata da molte spezie nei confronti della perossidazione lipidica
e di altri processi ossidativi (es: nella frittura abbattimento della produzione di acrilamide durante la
cottura)
• Marinare la carne con spezie, erbe aromatiche e vino rosso contribuisce a ridurre i livelli di molecole
dannose

• Associare alla carne alimenti ricchi di fibre e antiossidanti come le verdure, consumate preferibilmente
crude contribuisce ugualmente a proteggere il nostro organismo (a livello del colon)

Le legge italiana fissa i limiti massimi di NO3 ammissibile a 150 mg per ogni kg di prodotto,
concentrazioni che hanno dimostrato essere esenti da potenziali effetti nocivi a carico della salute
dell’uomo.

Ma allora come difendersi? Occorre evitare la carne?

È stato dimostrato che la vitamina C (acido ascorbico) e la vitamina E (alfa-tocoferolo) sono capaci di
inibire la conversione dei nitriti in nitrosammine, trasformandole anzi in ossido nitrico.

Autore: Giulietti Virginia, Vita Francesco


BIOCHIMICA - Biochimica Generale

Non vanno evitate le carni, ma gli alimenti proteici a maggior contenuto di nitrati (insaccati, carni in
scatola, salumi e a volte i prodotti caseari e nei pesci marinati), affumicati, fritti.

Analisi di nitriti e nitrati


I nitriti e i nitrati vengono estratti da campioni (di carne) e analizzati direttamente.

10 g (salame o prosciutto) + 100 ml H2O

Il bilancio dell’azoto
- Lo stato di nutrizione proteica e lo stato del metabolismo proteico dell’organismo possono
essere determinati misurando l’apporto dietetico e l’eliminazione dei composti azotati.
- L’azoto costituisce circa il 16% delle proteine. L’eliminazione dell’azoto avviene per lo più nelle
urine e nelle feci ed in misura minora con il sudore e con il ricambio cellulare della cute.
- La differenza tra la quantità di azoto introdotto e quello eliminato viene definita bilancio
dell’azoto.

Calcolo del bilancio dell’azoto

Il bilancio dell’azoto (N) può essere calcolato con la seguente formula:


N = assunzione di proteine (g/24 ore) – [(UUN + 4g) x 6,25]

• Con UUN = azoto ureico urinario

• 4g = perdita di azoto in altre forme diverse da UUN

Autore: Giulietti Virginia, Vita Francesco


BIOCHIMICA - Biochimica Generale

• 6,25 = grammi di proteine in cui è contenuto 1 g di azoto.

Gli studi effettuati sul bilancio dell’azoto hanno dimostrato profonde diversità dal punto di vista
nutrizionale tra le diverse proteine.
Queste diversità sono correlate al diverso contenuto di amminoacidi delle varie proteine.

Se anche solo uno degli amminoacidi essenziali non viene assunto in misura sufficiente con la dieta
allora, indipendentemente dall’apporto totale di proteine, il bilancio dell’azoto risulterà negativo,
perché non sarà possibile svolgere in maniera efficace la sintesi proteica.

Il valore biologico (VB) delle proteine varia


prevalentemente in funzione della composizione in
amminoacidi assorbiti ed in relazione alla richiesta
metabolica necessaria a mantenere una quantità costante
di proteine corporee.
Il valore nutrizionale delle proteine dipende pertanto da:

- Natura e quantità degli amminoacidi in esse contenute


(in particolare, amminoacidi essenziali)
- Biodisponibilità degli amminoacidi (digeribilità delle
proteine, modificazioni connesse alla cottura ecc.)

Alcune definizioni:
Valore biologico (VB): è correlato alla quantità di azoto effettivamente assorbito e utilizzato al netto
delle perdite urinarie e fecali. Il riferimento è rappresentato dall’uovo, che ha un valore biologico pari a
100.
Rapporto di efficienza proteica (PER): aumento di peso in grammi per grammo di proteina ingerita

Digeribilità (D): rapporto tra azoto proteico ingerito ed assorbito

Indice chimico: rapporto tra la quantità di un dato aminoacido in un grammo della proteina in esame
e la quantità dello stesso aminoacido in un grammo della proteina di riferimento biologica (uovo)

Amminoacido limitante: amminoacido essenziale presente in minore concentrazione in una data


proteina e, pertanto, limitante l’utilizzazione degli altri amminoacidi nella sintesi proteica. È
quell’amminoacido essenziale che, nel caso di assenza nell’alimentazione, provoca la non sintetizzazione
della proteina corrispondente in cui è contenuto.
Punteggio della digeribilità delle proteine corretto
dall'amminoacido limitante (PDCAAS): è il sistema di
scoring più adottato da FAO e FDA per determinare la
qualità delle proteine.
Il calcolo si basa sia sulla quantità di amminoacidi
essenziali contenuti in una proteina, sia sulla sua
digeribilità.
Il valore minimo è 0, il valore massimo è 1.

Si calcola dividendo i mg di amminoacido limitante in 1 g


di proteina in esame per i mg di amminoacido limitante in 1 g della proteina di riferimento (uovo).
Il rapporto viene moltiplicato per un coefficiente di digeribilità.

Autore: Giulietti Virginia, Vita Francesco


BIOCHIMICA
“I CARBOIDRATI”
ID lezione BCG08 Modulo Biochimica generale

Data lezione
Autore Agnese Ottaviani
Lezione
Prof. Arianna Vignini
tenuta da
Argomento Generalità, classificazioni, fabbisogno, strutture
Eventuali
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riferimenti

CARBOIDRATI
• Fonti alimentari

• Aspetti biochimico-
nutrizionali

• Relazione struttura-funzione

• Ruoli fisiologici

I CARBOIDRATI sono la classe più abbondante di molecole organiche che si trovano in natura.
Ex: zucchero, amido, cellulosa, glicogeno.

Carboidrati con ruolo strutturale: chitina e carragenani.


Carragenani (o carragenine) si estraggono dalle alghe rosse e prendono il loro nome dalla città
irlandese di Carragheen.

CRITERI DI CLASSIFICAZIONE DEI CARBOIDRATI

• Peso molecolare (es. carboidrati semplici e complessi)


• Presenza di gruppi funzionali (aldosi, chetosi..)
• Digeribilità
• Cariogenicità
• Potere edulcorante
• Capacità di essere fermentati dalla flora batterica - Effetto prebiotico
BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

CARBOIDRATI: RUOLI FISIOLOGICI NELL’ORGANISMO UMANO

• RUOLO ENERGETICO: i glucidi forniscono 4Kcal/g, la degradazionedei carboidrati fornisce


l’energia che sostiene la vita animale. A loro volta i carboidrati sono i precursori metabolici di
quasi tutte le altre biomolecole.
• RISERVA ENERGETICA: glicogeno
• RUOLO PLASTICO: i carboidrati possono essere legati covalentemente ad una varietà di altre
molecole: i glicoconiugati sono componenti importanti delle paretidelle cellule e delle
strutture extracellularidi piante, animali e batteri.

Sono implicati in una varietà di processi che includono il riconoscimento tra tipi di cellule o il
riconoscimento di strutture cellulari da parte di altre molecole (crescita cellularenormale,
fecondazione, differenziamento cellulare ecc…)

Substrati per la Fermentazione (es. fibre vegetali) a livello intestinalecon formazione di acidi a
corta catena (ac. propionico, butirrico, acetico) che hanno un effetto trofico a livello intestinale.

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 2 di 27


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

CARBOIDRATI: RUOLI FISIO-PATOLOGICI NELL’ORGANISMOUMANO

• Quantità elevate di glucosio nel sangue (es. nei pazienti diabetici) e/o altre molecole
coinvolte nel metabolismo glucidico, sono responsabili della glicazione non enzimatica di
proteine cellulari e plasmatiche (albumina, emoglobina, lipoproteine).
• Le proteine glicate presentano alterazioni strutturalie funzionali
• Un aumento dei livelli di proteine glicate è considerato un fattore coinvolto nei meccanismi
molecolari delle complicanze del diabete.

GENERALITÀ

1. Le funzioni dei carboidrati sono rese possibili da particolari caratteristiche chimiche:


• Esistenza di almeno un centro di asimmetria
• Possibilità di esistere sia come strutture lineari che ad anello
• Capacità di formare strutturepolimeriche mediantelegami glicosidici
• Possibilità di formare legami idrogeno multipli con l’acqua ed altre molecole.

2. Tutti i carboidrati possiedono la formula di base Cn (H2O)n e si classificano in 3 gruppi:


• Monosaccaridi (zuccheri semplici)
• Oligosaccaridi, formati da 2 a 9 residui di zuccheri semplici
• Polisaccaridi, polimeri di >10 zuccheri semplici(e loro derivati)

CLASSIFICAZIONE
I glucidi di interesse alimentare possono essere distinti in base alla loro strutturachimica in:

1. SEMPLICI: monosaccaridi, disaccaridi, oligosaccaridi (polioli)


2. COMPLESSI: polisaccaridi

SEMPLICI
Classificazione nutrizionale:

• DISPONIBILI O DIGERIBILI: Monosaccaridi e disaccaridi(es:


glucosio, maltosio, lattosio..)
• NON DISPONIBILI O NON DIGERIBILI: Disaccaridi e
oligosaccaridi (lattulosio, raffinosio, stachioso…)

COMPLESSI
Classificazione nutrizionale:

• DISPONIBILI O DIGERIBILI: amido e glicogeno


• NON DISPONIBILI O NON DIGERIBILI: Fibre
alimentari/vegetali (es. cellulosa), Amido resistente.

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 3 di 27


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

PRINCIPALI CARBOIDRATI DI INTERESSE AGRO-ALIMENTARE

MONOSACCARIDI

Chimicamente, possono essere considerati aldeidi (aldosi) e chetoni (chetosi)


con formula bruta Cn(H2O)n .
Avremo pertanto:

• TRIOSI (3C): Gliceraldeidee Diidrossiacetone


• TETROSI (4C): Eritrosio, treosio, Eritrulosio
• PENTOSI (5C): Ribosio, Desossiribosio, Arabinosio e Xilosio
• ESOSI (6C): Glucosio, Galattosio, Mannosio, Fruttosio
• EPTOSI (7C): Glucoeptosio, Mannoeptosio, Sedoeptulosio, Mannoeptulosio, Taloeptulosio,
Alloeptulosio

I più importanti monosaccaridi nell’alimentazioneumanasono:

CICLIZZAZIONE DEL GLUCOSIO

Gli ESOSI possono dare origine a STRUTTURE CICLICHE.


La formazione delle strutture piranosiche è resa possibile dalla formazione di un legame semiacetalico
del gruppo ossidrile alcolico dell’atomo di carbonio 5 con l’atomo di carbonio aldeidico.

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 4 di 27


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

GLUCOSIO

È il monosaccaride più diffuso in natura, si trova sia in forma libera che combinata in tutti gli
organismi animali e vegetali.

• Il glucosio libero è contenuto in una vasta gamma di alimenti come miele, frutta, vegetali ed è
inoltre il prodotto di idrolisi dell’amido, del saccarosio e il glicogeno
• È utilizzato dai saccaromiceti (fermentazione alcolica: alcol etilico e
anidride carbonica).
• Si presenta come cristalli bianchi solubili in acqua o come sciroppo di
glucosio

Viene utilizzato come edulcorante nell’industriaalimentare Potere edulcorante


minore del saccarosio (0,74)

• Il D-glucosio, nell'industria alimentare, vienecomunementechiamato


destrosio.
• Industrialmente il metodo maggiormenteutilizzato per produrlo è
mediante idrolisi enzimatica (attuata da amilasi) di altri carboidrati
come amido, maltosio.

PRODUZIONE DI GLUCOSIO: USO DI ENZIMINELL’INDUSTRIA ALIMENTARE

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 5 di 27


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

FRUTTOSIO:

• Contenuto nella frutta, nel miele e alcuni vegetali (cipolla, e cicoria).


• È substrato da parte di lieviti (fermentazionealcolica: alcol etilico e anidride carbonica).
• Potere edulcorante superiorea quello del saccarosio (1,5)
• L’impiego del fruttosio come edulcorante è molto diffuso, in particolare è utilizzato per
dolcificare bevande analcoliche, succhi di frutta, cibi freddi, nei dolci, frutta sciroppata,
marmellate, prodotti farmaceutici.
• Indicato anche nell’alimentazione dei diabetici
• Industrialmente sciroppi di fruttosio (High Fructose Corn Syrup= HFCS) si ottengono mediante
idrolisi dell’amido seguita da una seconda fase di isomerizzazione del glucosio in fruttosio (ad
opera dell’ enzima glucosio-isomerasi).

DISACCARIDI:
Sono formati dall’unione di due molecole di monosaccaridi, legati da un legame
glicosidico:

• MALTOSIO (Glucosio + Glucosio)


• SACCAROSIO (Glucosio + Fruttosio)
• LATTOSIO (Glucosio + Galattosio)

DISACCARIDI E ZUCCHERI RIDUCENTI

• I disaccaridi si ritrovano comunemente in natura . I più comuni sono il


SACCAROSIO, il MALTOSIO e il LATTOSIO .
• Ad eccezione del saccarosio, ciascuna di queste strutture possiede un
atomo di carbonio anomerico libero non sostituito e quindi ciascun di
questi disaccaridi è uno zucchero riducenti
• L’estremità della molecola contenente il carbonio anomerico libero è
l’estremità riducente e l’altra estremità è quella non riducente .
• Il saccarosio non può partecipare alle reazioni di ossido - riduzione caratteristiche degli zuccheri
riducenti .

MALTOSIO (glucosio + glucosio)

Si forma in uno degli stadi dell’idrolisi dell’amido


catalizzata da un enzima che è presente nel malto. Può
essere dunque ottenuto per parziali idrolisi
dell’amido.

Il carbonio anomerico dell’unità di sinistra è legato al


gruppo ossidirilico sul C4 dell’unità di destra, tramite
un legame glicosidico (acetalico) Legame a-1,4-
glicosidico.

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 6 di 27


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

1. Potere edulcorante 0,5.


2. Dalla scissione si ottengono 2 molecole di glucosio (ad opera della maltasi). Per taleprerogativa,
poiché è altamente digeribile, trova largo impiego nella preparazione di alimenti per neonati e
di bevande.
3. Viene usato come substrato per la fermentazioneattuata da lieviti ed è importante nel processo
di produzione della birra, del whisky.
SACCAROSIO (glucosio + fruttosio)
Il più comune zucchero usato come dolcificante per gli
alimenti.
Presente in vari vegetali, in particolare nellabarbabietola
e nella canna da zucchero, da cui viene estratto.
È l’edulcorante più conosciuto e utilizzato nella
preparazione di numerosi alimenti

a-D-glucosio + β-D-fruttosio
legame a-1,2-glicosidico

LATTOSIO (glucosio + galattosio)

Presente nel latte e derivati (formaggi, yogurt..)

• Il latte materno contiene dal 2-8,5% di lattosio e costituisce


il principale nutrienteglucidico per i neonati.
• Rientra nei processi produzione di altri carboidratidi
interesse nutrizionalecome i galattooligosaccaridi.
• Il lattosio è attaccato facilmente da numerosi
microrganismi che provocano le principali fermentazioni
dei derivati del latte e del formaggio (Fermentazione
lattica).

FERMENTAZIONE LATTICA (batteri lattici come Lactobacillus)


Lattosio → 1 glucosio + 1 galattosio → 2 glucosio --> 4 molecole di acido lattico --> Acidificazione latte

OLIGOSACCARIDI
Sono polimeri costituiti da poche molecole di monosaccaridi (3 fino a 9 monosaccaridi) uniti da
legame glicosidico.

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 7 di 27


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

Sono zuccheri per lo più non digeribili, arrivano nel colon e qui avviene la fermentazione ad opera della
flora batterica; si trovano in legumi, cipolle, porri, asparagi, carciofi, barbabietole, miele, ecc…

• Raffinosio: è un trisaccaride formato da fruttosio, glucosio, galattosio (barbabietole, miele,


legumi)
• Stachiosio: è un tetrasaccaride (legumi)
• Verbascosio: è un pentasaccaride(legumi)
• Frutto oligosaccaridi (FOS) Si definiscono più propriamente FOS i derivati del fruttosio con
grado di polimerizzazione (DP) compreso tra 3 e 10

I frutto-oligosaccaridi (FOS) sono carboidrati di riserva accumulatinegli organi di varie specie di


piante tra le quali il topinambour, la cicoria, le graminacee da
granella e le foraggere dei climi temperati-freddi. Questi
carboidrati sono inoltre componenti naturalidi molti alimenti,
quali ad esempio carciofi, porri, cipolle, aglio, banane,
frumento.
Strutturalmente considerati oligosaccarididel fruttosio
vengono uniti mediante legami βglicosidici (1-2) alla cui
estremità è presente un'unità di α-D-Glucosio.

Si ottengono mediante idrolisi dall’inulina (polisaccaride di


origine vegetale).

I FOS rientrano nell'elenco stilato dal Ministero della Salute" Altri nutrienti e altre sostanze ad
effetto nutritivo o fisiologico".
Sono sostanze in grado di stimolare in modo selettivo la crescita e il metabolismo della flora batterica,
favorendone il riequilibrio; svolgono quindi azione prebiotica.
Possono essere sintetizzare anche in seguito a processi tecnologici
A oggi i FOS vengono utilizzati:

• per stimolare l'attività


intestinale;
• per ricostituire la flora
intestinale in seguito a
terapie antibiotiche;
• per favorire la digestione;
• in caso di condizioni come
ipertrigliceridemia e
ipercolesterolemia.
• Secondo alcuni studi
sarebbero anche in grado di
ridurre la presenza
nell'intestino di alcuni
microrganismi
potenzialmente patogeni.

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 8 di 27


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

POLISACCARIDI

• I polisaccaridi sono costituiti da


monosaccaridi e da loro derivati. Se
un polisaccaride contiene un solo
tipo di monosaccaride è un
OMOPOLISACCARIDE, mentre se contiene più di un tipo di monosaccaride è un
ETEROPOLISACCARIDE.
• I polisaccaridi possono contenere anche amminoacidi, peptidi, proteine e lipidi legati
covalentemente alle strutture saccaridiche polimeriche.
• La struttura può essere di tipo lineare o ramificata, vista la possibilità per ciascun residuo di
accettare un legame glicosidico potenzialmentesu tutti i gruppi ossidrilici di cui dispone.

POLISACCARIDI STRUTTURALI
CELLULOSA: è il polimero naturale più abbondante al mondo. Forma le pareti cellulari di tuttele
piante. La catena polimerica non è ramificata (circa 3000 unità). Le catene sono disposte
parallelamente le une alle altree si legano fra loro per mezzo di legami ad idrogeno, formando fibrille.
Queste fibrille localmente sono molto ordinate al punto da raggiungere una strutturaa cristalli

• È un omopolimero lineare di unità di D-glucosio unite da legami β1 4 glicosidici. Per via della
sua particolare struttura, priva di ripiegamenti o strutture elicoidali, la cellulosa è poco
digeribile.
• L’unica differenza tra cellulosa e amilosio è la stereochimica del legame glicosidico: legame
αglicosidico nell’amilosio, β− nella cellulosa.
• L’uomo possiede enzimi in grado di scindere i legami α−glicosidici, manon i legami β- glicosidici
per questo motivo non riesce a digerire la cellulosa.
• Molti batteri possiedono enzimi β-glicosidasici
(cellulasi) e possono perciò idrolizzare la cellulosa.
• Le termiti hanno microorganismi di questo tipo nel
loro intestino e crescono nutrendosi di legno.
• Anche i ruminanti digeriscono l’erba perchè nel
loro rumine sono presenti i microrganismi adatti
che esprimono l’enzima cellulasi, in grado di
scindere il polisaccaride.

POLISACCARIDI STRUTTURALI

• CHITINA : è un polimero della N-acetil glucosamina, con struttura simile alla cellulosa (b 1-4).
Essa è presente nei funghi edibili e nei lieviti, oltre a costituirel’esoscheletro di numerosi insetti
e crostaci. Dopo la cellulosa, la chitina è il più abbondante biopolimero presentein natura.
• Dalla deacilazione della chitina si ottiene il chitosano, un polisaccaride solubile

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 9 di 27


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

CHITINA E CHITOSANO

L’esoscletro dei crostacei consiste in chitina per il 15-20% del peso, ne deriva che proprio da scarti di
lavorazione dei crostacei, si ottiene il chitosano.

Chitina: 2-acetamido-2-deoxy-beta-D-glucopyranose
Per ottenere la CHITINA: Decalcificazionein HCl Deproteinizzazione in NaOH Decolorazione.

Chitosano: Deacetilazione della CHITINA


2-amino-2-deoxy-beta-D-glucopyranose

• Studi condotti in vitro o su modelli animali hanno dimostrato che il chitosano è in grado di
diminuire l’assorbimento dei grassi contenuti negli alimenti solubili.
• Infatti inizialmente emulsiona i grassi alimentari nello stomaco in quanto gelifica a pH acido ed
intrappola i grassi emulsionati.
• Questi ultimi sono quindi protetti dall'azione dellelipasi e quindi possono essere espulsi
invece di essere idrolizzati e assorbiti. Pertanto, supplementi di chitosano sono stati messi a
punto al fine di abbassare i livelli di colesterolo plasmatico.

Our findings provided evidence that CHITOSAN consumption might be a useful adjunctive
pharmacological therapeutic tool for body weight management particularly in
overweight/obese participants.

GLICOGENO

È un omopolisaccaride di riserva
energetica delle celluleanimali
(viene sintetizzato anche in alcuni
funghi)
Particolarmenteabbondante nel
fegato e meno nel muscolo
scheletrico
Costituito da molecole di glucosio
unite tra loro da legame a 1 → 4
glicosidico e nei punti di ramificazioni con legame a 1 → 6
glicosidico ogni 8-10 unità.

Una proteina centrale di glicogenina (proteina con un peso


molecolare di 38,000 Dalton) è circondata da ramificazioni di unità
di glucosio
L'intero granulo globulare può contenere approssimativamente
30,000 unità di glucosio.

La sintesi di glicogeno partendo dal glucosio nel sangue, prende il


nome di GLICOGENOSINTESI ed è stimolato dall'INSULINA .
L'idrolisi del glicogeno, detta GLICOGENOLISI, libera molecole di
glucosio ed è stimolata dall'ormone GLUCAGONE .
La quantità negli alimenti è irrilevante poiché appena macellato l'animale, il glicogeno viene
idrolizzato rapidamente in glucosio e poi in acido lattico.

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BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

RELAZIONE TRA FUNZIONE E STRUTTURA

Molecole di glucosio unite tra loro da


legame a 1 → 4 glicosidico e nei punti di
ramificazioni con legame a 1 → 6 glicosidico
ogni 8-10 unità.

AMIDO
L’amido è un omopolisaccaride insolubile in acqua, utilizzato come riserva nelle cellule vegetali. Oltre
ad essere la forma di riserva glucidica vegetale è anche la più importante fonte di carboidrati disponibili
all’assorbimento ed utilizzabili dal metabolismo cellulare animale.
Le principali fonti alimentari sono i cereali, le leguminose e tuberi (patate) e loro derivati.
Si accumula sotto forma di grani diversi per ogni specie vegetale.
L’amido riveste particolare importanza nell’industria alimentare, quale agente addensante: dall’amido
derivano anche alcuni additivi (addensanti) che si chiamano amidi modificati.

L’amido è una miscela di due polisaccaridi strutturalmente


diversi:
• AMILOSIO
• AMILOPECTINA

Amilosio
È una catena a spirale di molecole di glucosio. Il suo grado di
polimerizzazione è 6000. Possiede legami di tipo glicosidico alfa 1 4. Il
suo peso molecolare medio è 10 *5.
L’amilosio tende a formare strutture elicoidali (circa 6 residui per giro)
che tendono ad occupare la parte centrale del granulo di amido contenuto
nei vari organi della pianta (semi, tuberi, ecc)

Amilopectina
È costituita da catene polisaccaridiche alternate
ramificate. Tali ramificazioni sono originate da legami
glicosidici alfa 1 6, che costituiscono i punti di
ramificazione di tratti lineari in cui il glucosio è legato
con legami alfa 1 4.
Il grado di polimerizzazione arriva fino a 1-2 milioni e

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il peso molecolare medio è 10*6.


Le ramificazioni presenti nell’amilopectina (ogni 10-20 residui) impediscono la formazione dell’elica,
ma favoriscono la formazione di strutture reticolari che si dispongono radialmente nel granulo di amido.

Rapporto tra amilosio e amilopectina nell’amido di diversa origine botanica

Modificazioni della struttura dell’amido durante la cottura:


• GELATINIZZAZIONE
• RETROGRADAZIONE DELL’AMIDO

La disposizione dell’amilosio e dell’amilopectina all’interno del granulo di amido mostra proprietà che
lo rendono insolubile a temperatura ambiente.
La solubilizzazione dell’amido è resa possibile previo riscaldamento in presenza di acqua. In queste
condizioni i granuli di amido, idratandosi progressivamente, aumentano di volume e una frazione di
amilopectina passa nella soluzione poi, se il riscaldamento si prolunga, anche una frazione di amilosio
passa nelle soluzioni.

Gelatinizzazione
Il fenomeno della GELATINIZZAZIONE consiste nella disorganizzazione dei granuli d'amido in ambiente
acquoso, a un'idonea temperatura, tra 50 e 70 °C a seconda dell'origine vegetale
dell'amido. Non si tratta, quindi, di una reazione chimica, ma di un processo fisico.
Perché il processo abbia luogo è necessario che la concentrazione dell'acqua all'interfaccia raggiunga un
valore soglia (circa 30÷35% di acqua) e si è evidenziato come proceda tanto più completamente quanta
più acqua è disponibile.
Il fenomeno avviene rapidamente
durante la cottura in acqua di farine e
semole (ad esempio nella
preparazione di semolini e polenta) o
durante la cottura in forno di impasti
a base di farina ad alto contenuto
d'umidità, come quelli utilizzati nella
panificazione tradizionale.
Quando l’amido viene riscaldato in
presenza di acqua, i granuli di amido
si rigonfiano, questo processo porta
alla gelatinizzazione e rende l’amido

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molto più accessibile agli enzimi digestivi poiché le catene glucidiche sono più esposte all’azione
idrolitica degli enzimi digestivi. Quindi questo processo è fondamentale per favorire l’utilizzazione
metabolica dell’amido contenuto negli alimenti.
La gelatinizzazione caratterizza anche la cottura di pasta e riso in eccesso di acqua: l’acqua diffonde
all’interno della struttura dei globuli e la gelatinizzazione dell’amido procede dalla periferia verso
l’interno.

Retrogradazione
Quando l’amido che è stato riscaldato viene raffreddato, si verifica la retrogradazione, cioè la
trasformazione dell’amido gelatinizzato in una forma cristallina che è resistente alla digestione.
Alimenti come pasta, pane, cereali, patate e riso contengono percentuali diverse di amido retrogradato
che rappresentano la frazione di amido resistente.
Un esempio di retrogradazione di amido si può osservare quando il pane diventa raffermo.
In acqua calda (50-70°), col calore le molecole di acqua penetrano nei granuli di amido, disorganizzano
i cristalli e rompono i legami intermolecolari tra amilosio e amilopectina facendo gonfiare notevolmente
i granuli.

Il raffreddamento favorisce il ripristino della struttura ordinata, sebbene mai ad una configurazione
simile a quella iniziale.
Le catene di amilosio e amilopectina si legano tra loro escludendo l’acqua.
L’amido retrogradato può essere nuovamente gelatinizzato sottoponendolo a calore.

Fattori che influenzano la gelatinizzazione e retrogradazione


• Contenuto in acqua: l’umidità minima per la gelatinizzazione è il 25% della temperatura tra 50
e 70° a seconda dell’origine dell’amido
• Presenza di soluti (sale, zuccheri), lipidi o proteine: aumentano la temperatura di
gelatinizzazione e rallentano la velocità di retrogradazione dell’amido
• Origine dell’amido: gli amidi differiscono per il diverso rapporto di amilosio e amilopectina.
L’amilosio tende a ricristallizzare più velocemente dell’amilopectina; per cui il tempo che
impiega l’amido a ricristallizzare dipende dalla quantità di amilosio che contiene.

Classificazione nutrizionale dell’amido


• Amido digeribile (DS): amidi che vengono facilmente idrolizzati dagli enzimi durante la
digestione. Questo amido si ritrova nei cibi sottoposti a cottura mediante calore umido, come
pane, patate, ecc
• Amido resistente (RS): non tutto l’amido contenuto negli alimenti viene digerito, una parte
sfugge all’azione dell’amilasi e transita ingerito nell’intestino tenue. La resistenza dell’amido è
dovuto alla struttura chimico-fisica del polimero.

Più del 50% dell’amido presente in una banana non matura o di una patata cruda resiste alla
digestione dell’amilasi, mentre quello presente nel pane bianco è quasi totalmente digerito.

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Amidi modificati
Sono tra i principali derivati dell’amido.
Sono amidi di interesse alimentare modificati per via chimica o enzimatica. L’amido viene modificato
in modo mirato a seconda delle esigenze in modo da conferire particolari proprietà (es. maggiore
resistenza alla cottura, maggiore stabilità agli acidi, al freddo)
Vengono impiegati specialmente nella preparazione di gelatine alla frutta, dessert, budini, salse
(maionese e ketchup), carni in scatola, formaggi fusi…

Fabbisogno di carboidrati

Una dieta equilibrata deve prevedere una quota di carboidrati tra il 45-60% (zuccheri semplici 10-
12%).
La RDA per i carboidrati è di circa 130 grammi al giorno per gli adulti e i bambini, determinata sulla
base della quantità di glucosio utilizzato dai tessuti che dipendono dai carboidrati, come l’encefalo e gli
eritrociti.
I carboidrati non sono di per sé sostanze ingrassanti: essi sviluppano 4 kcal/g, quantità pari a quella
liberata dalle proteine e pari a meno della metà dell’energia dei grassi.
I carboidrati hanno come effetto la sintesi di grassi soltanto se consumati in eccedenza rispetto al
fabbisogno energetico del corpo.

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Possibili relazioni tra nutrienti (in eccesso o carenza) e comparsa di patologie cronico-
degenerative

Di quanto zucchero abbiamo bisogno?


L’Organizzazione Mondiale della Sanità raccomanda di non superare circa i 75g di zucchero al giorno
negli uomini adulti e non superare i circa 50g di zuccheri nelle donne, in alcuni paesi occidentali abbiamo
gruppi di popolazione che ne consumano 3-4 volte di più.
Gli zuccheri in eccesso si trasformano facilmente in grasso, l’eccesso di zucchero lo si ritiene uno dei co-
fattori dell’Obesità.

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Carboidrati: fonti alimentari


• Prodotti del grano e derivati: rappresentano la fonte principale di carboidrati nella dieta.
Contengono elevate concentrazioni di amido. I prodotti integrali hanno un maggior contenuto
di fibra alimentare rispetto a quelli raffinati, con proprietà benefiche importanti.
• Legumi e verdure amidacee: i legumi e le verdure amidacee, come patate, piselli, mais
contengono elevati livelli di carboidrati complessi. In aggiunta, questa categoria di alimenti
contengono vitamine, minerali e fibra alimentari, oltre a amminoacidi essenziali.
• Frutta: tutti i frutti contengono principalmente carboidrati semplici (glucosio e fruttosio in
particolari). I carboidrati contribuiscono quasi all’intero potere calorico di questi cibi.
L’assunzione di frutta fresca è da favorire a quella di succhi di frutta, visto il maggior contenuto
di fibra alimentare e il minore contenuto di carboidrati a parità di volume.
• Bevande: il latte è l’unica fonte significativa di carboidrati alimentari non di origine vegetale.
Una tazza di latte contiene circa 12g di carboidrati in forma di lattosio. Molte bevande gassate,
gli integratori alimentari, vino e liquori contribuiscono sostanzialmente all’apporto glucidico
della dieta.
• Dolciumi e zuccheri aggiunti: l’assunzione di dolciumi di ogni genere provoca un marcato
aumento dei carboidrati nella dieta. Gli zuccheri aggiunti ai cibi processati normalmente non
considerati “dolci” rappresentano una fonte misconosciuta di carboidrati, aggiunti allo scopo di
migliorarne il sapore (es. isoglucosio=miscela artificiale di glucosio e fruttosio). Per questo
motivo è sempre necessario consigliare e preferire cibi freschi.

DIGESTIONE E ASSORBIMENTO DEI GLUCIDI


La digestione dei carboidrati inizia a livello della bocca.
La digestione dei carboidrati a livello del tratto gastrointestinale consiste in una serie di reazioni
enzimatiche che demoliscono le grosse molecole dei polimeri, soprattutto amido, in composti semplici
come i monosaccaridi permettendo, il loro assorbimento.
La demolizione avviene ad opera di enzimi (amilasi, glucosidasi, disaccaridasi).
I prodotti finali della digestione dei carboidrati sono quasi esclusivamente glucosio, fruttosio e
galattosio tra i quali il primo rappresenta circa l’80%.

Enzimi coinvolti nella digestione


• Bocca: alfa-amilasi degradano i legami alfa(1 4)
• Stomaco: l’idrolisi si blocca a causa del cambiamento del pH
• Intestino-duodeno:
- Alfa-amilasi pancreatica interrompe i legami alfa(1 4) glicosidici dell’amilosio e
dell’amilopectina
- Beta-amilasi pancreatica degrada i legami alfa(1 4) liberando maltosio dalle
ramificazioni esterne
- Amilo alfa(1 6) glucosidasi idrolizzano i legami alfa(1 6) delle ramificazioni

ENZIMI ANCORATI ALL’ORLETTO A SPAZZOLA


- Saccarasi scinde il saccarosio da cui si liberano il glucosio e il fruttosio
- Lattasi idrolizza lattosio in glucosio e galattosio
- Maltasi idrolizza il maltosio

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Prodotti della digestione dei carboidrati grazie all’azione delle amilasi

Acarbosio
L’acarbosio è un inibitore dell’alfa-glucosidasi.
Grazie all’inibizione dell’alfa-glucosidasi, l’acarbosio ritarda la rottura enzimatica degli zuccheri nel
piccolo intestino, provocando un ritardo nella loro digestione dose-dipendente: il glucosio derivato dai
carboidrati viene quindi rilasciato nel sangue più lentamente.

Principali enzimi dell’orletto a spazzola degli enterociti dell’intestino tenue

Tutti questi enzimi mostrano un elevato grado di glicosilazione, che li rende relativamente resistenti
all’azione dei succhi pancreatici.
Tra un pasto e l’altro gli enzimi dell’orletto a spazzola subiscono un certo turn-over.

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Ruolo della saccarasi nella digestione del saccarosio

Intolleranza al lattosio
Maltasi, invertasi, isomaltasi e saccarasi sono sintetizzate in grande eccesso rispetto alle necessità, la
sintesi delle lattasi subisce un rapido declino a partire dallo svezzamento.
Per quanto riguarda l’assimilazione del lattosio, il passaggio limitante è pertanto rappresentato dalla
digestione piuttosto che dall’assorbimento.
Quando l’espressione delle lattasi diventa insufficiente si sviluppa intolleranza al lattosio (dolore
addominale crampiforme, meteorismo e diarrea, quest’ultima dovuta al richiamo di acqua nel lume
intestinale da parte del lattosio indigerito). Fattori genetici e ambientali concorrono all’intolleranza.
L’intolleranza al lattosio può essere primaria o secondaria, quest’ultima dovuta a carenza relativa di
lattasi in seguito a patologie intestinali che abbiano determinato un danno degli enterociti (es.
gastroenteriti infettive).
Anche la malnutrizione proteico-calorica, allergie alimentari, infezioni batteriche o virali, infestazioni
parassitarie possono causare alterazioni della mucosa intestinale e di conseguenza deficit di lattasi.
Nelle forme più gravi si può ricorrere all’assunzione di lattasi di derivazione batterica.
La riduzione della lattasi è un fenomeno adattativo alla riduzione del consumo di latte. L’espressione
dell’enzima lattasi è massima alla nascita quando è massima la necessità di utilizzare lattosio.
Dopo lo svezzamento, l’attività lattasica diminuisce rapidamente (fino ad oltre il 90%).

Una mutazione che ha permesso agli adulti di continuare a produrre lattasi è emersa circa 7000 anni fa,
e ora il 35% delle persone può digerire il latte da adulti, sebbene vi siano variazioni geografiche marcate.
In Cina e nel Sud-est asiatico si pensa che oltre il 90% delle persone sia intollerante al lattosio, a fronte

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di una percentuale compresa tra il 2% e il 20% di quelle del Nord Europa.

COSA ACCADE AL LATTOSIO CHE NON VIENE DIGERITO NEI SOGGETTI INTOLLERANTI AL LATTOSIO

Nel latte il lattosio viene predigerito ossia scisso nei due zuccheri (glucosio e galattosio) facendo passare
il latte attraverso un materiale inerte in cui vi è adsorbito l’enzima lattasi.
Zymil viene ottenuto aggiungendo al latte una preparazione purificata e standardizzata dall’enzima
lattasi, ottenuto da un ceppo selezionato di lieviti. Il latte così preparato viene quindi lasciato a 6° il
tempo necessario per raggiungere il grado di idrolisi desiderato. Zymil è un prodotto delattosato.

Assorbimento dei carboidrati


I monosaccaridi derivati dalla
digestione dell’amido e dei
disaccaridi o già presenti come tali
negli alimenti vengono assorbiti e
trasportati al fegato attraverso la
vena porta.
L’assorbimento, quindi il
trasferimento delle molecole dal
lume del canale digerente al sangue,
avviene nella prima parte del
digiuno.

Trasporto del glucosio e galattosio


L’entrata di queste molecole nelle cellule epiteliali ha luogo ad opera di “carriers” sodio dipendente
localizzati sulla membrana esterna.
Il trasportatore lega contemporaneamente il Na+ e il glucosio. La bassa concentrazione interna
rispetto a quella esterna di questo ione provoca l’entrata del Na+ e di conseguenza quella del glucosio.
La concentrazione intracellulare di Na+ è mantenuta bassa dalla pompa sodio-potassio che richiede
ATP.

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Il simporto Na+-glucosio è un
cotrasportatore, noto come SGLT o
SGLUT (Sodium GLUcose
Trasporter), presente nella
membrana apicale degli enterociti,
che permette l’introduzione nella
cellula di glucosio e sodio. Il legame
del sodio provoca una modificazione
conformazionale che facilita il
legame del glucosio e viceversa; la
concentrazione di Na+ è molto più
alta nello spazio extracellulare che
nel citosol (grazie all’attività della
pompa sodio-potassio)

ASSORBIMENTO DEI MONOSACCARIDI

Trasportatori del glucosio


Sono delle proteine ubiquitarie e
presenti in tutti gli organismi. I
mammiferi esprimono i trasportatori
della famiglia GLUT i quali, grazie a
modifiche conformazionali, spostano
molecole di glucosio (e altri esosi) da
una parte all’altra delle membrane
plasmatiche. Ciascuna isoforma ha il
suo specifico ruolo nel metabolismo
glucidico, con pattern specifici di
espressione tissutale, specificità solo per determinati substrati e regolazione ormonale specifica.

Il galattosio e il fruttosio non possono essere utilizzati come tali dalle cellule come fonte energetica
benché abbiano una struttura molto simile a quella del glucosio Quindi dopo l’assorbimento intestinale
quasi tutto il galattosio e buona parte del fruttosio a livello del fegato vengono metabolizzati e convertiti
in glucosio. Più del 95% dei monosaccaridi presenti nel sangue sono rappresentati dal glucosio

INDICE GLICEMICO
Alcuni alimenti contenenti carboidrati producono un rapido aumento della concentrazione ematica del
glucosio, seguito da un ripido calo, mentre altri producono un aumento graduale seguito da una lenta
diminuzione. Si parla di una risposta glicemica (RG) maggiore o minore. La fibra alimentare produce una

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 20 di 27


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risposta glicemica nulla.


Per quantificare tali differenze nell’andamento
temporale della concentrazione ematica del glucosio
nella fase post-prandiale è stato proposto l’indice
glicemico (IG)

L’indice glicemico è un valore che consente di


classificare gli alimenti che contengono carboidrati
in base all’incremento di glicemia che si ha dopo
l’assunzione. Esso si calcola confrontando
l’incremento dei livelli di glucosio nel sangue dopo
l’ingestione di una quantità predeterminata dell’alimento rispetto all’incremento osservato dopo
l’ingestione di un alimento di riferimento (glucosio o pane bianco)

L’indice glicemico è definito come il rapporto tra l’area


sottostante la curva della glicemia dopo l’assunzione di
un pasto ricco di carboidrati confrontata con quella
dopo l’assunzione di un pasto consistente nella
medesima quantità di carboidrati sotto forma di
glucosio.

Si calcola confrontando l’incremento dei livelli di


glucosio nel sangue dopo l’ingestione di una quantità
predeterminata dell’alimento rispetto all’incremento
osservato dopo l’ingestione di un alimento di
riferimento (es: glucosio puro)

IN VIVO
• 25 or 50 grammi di carboidrati di
alimento da testare e alimento standard
(glucosio)
• Reclutamento volontari (10-15
soggetti sani)
• Valutazione delle variazioni di glicemia
nelle due ore successive all’assunzione
di alimento standard o alimento da testare (intervalli 15 minuti)
• Valutazione AUC alimento standard e AUC alimento da testare dello stesso soggetto
• Calcolo indice glicemico

Si parla anche di: carboidrati a rapido assorbimento e carboidrati a


lento assorbimento. Un afflusso di glucosio troppo rapido si
ripercuote negativamente sul livello di glicemia nel sangue!

La struttura chimica dei glucidi presenti negli alimenti influenza marcatamente l’indice glicemico.
Monosaccaridi e disaccaridi liberi e prontamente assimilabili tendono ad innalzare l’indice glicemico,
se i glucidi sono rappresentati dagli amidi, l’indice glicemico varia in relazione diretta alla
biodisponibilità ed in relazione inversa alle quote di amido resistente. L’amido resistente, quella parte
di amido contenuto negli alimenti che sfugge alla digestione da parte delle amilasi, transita indigerito
nell’intestino tenue. La compresenza di altri polisaccaridi non digeribili aumenta la resistenza
dell’amido alla digestione, ostacolando la disgregazione dei granuli

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 21 di 27


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In generale si osserva che alimenti contenenti zuccheri raffinati hanno un alto indice glicemico,
mentre le verdure e i legumi e alimenti ricchi di fibre tendono ad avere un indice glicemico più basso.
L’indice glicemico dipende da numerosi fattori, tra cui:

• natura dei carboidrati presenti nell’alimento

• contenuto e alla composizione in fibre vegetali


• tecnologie impiegate durante la lavorazione

• altri fattori in grado di influenzare la digestione e l’assorbimento glucidico (es. la presenza di


proteine e grassi)

Inserire alimenti a basso indice glicemico nell’alimentazione migliora il controllo della glicemia e
contribuisce a prevenire le più comuni patologie dismetaboliche come obesità, diabete e sindrome
metabolica.

A parità di indice glicemico, tuttavia, alimenti diversi hanno un diverso impatto sulla glicemia. È
necessario pertanto introdurre un parametro che tenga conto, oltre al tipo di carboidrati contenuti negli
alimenti, anche della loro quantità. Si definisce carico glicemico (CG o GL) il prodotto dell’indice
glicemico di un alimento per la quantità in grammi di carboidrati contenuta in una porzione di detto
alimento.
Carico glicemico = (indice glicemico x g carboidrati) /
100

FIBRA ALIMENTARE
La fibra alimentare comprende le parti commestibili delle
piante o carboidrati analoghi resistenti alla digestione e
all’assorbimento nell’intestino tenue e soggette a completa o
parziale fermentazione nell’intestino crasso. Questa include
oligosaccaridi e polisaccaridi, lignina ed altri composti vegetali
associati. Viene classificata in fibra solubile e insolubile. Alcuni
tipi di amido resistente vengono considerati parte della fibra
alimentare
Le fibre alimentari svolgono numerosi effetti funzionali e
metabolici:
• aumento del senso di sazietà

• miglioramento della funzionalità intestinale e prevenzione delle patologie correlate (stipsi,


tumori del colon-retto)

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 22 di 27


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• riduzione del rischio cardiovascolare in relazione agli effetti positivi sul metabolismo dei
carboidrati (effetto sull’indice glicemico) e dei lipidi. Prevenzione del diabete.

• effetto prebiotico

Nomenclatura delle fibre alimentari


ANNI 70 - Materiale della parete secondaria delle cellule vegetali
ANNI 80- Polisaccaridi non amidacei (cellulosa, emicellulose, pectine,
gomme, mucillagini)
ANNI 90- Oligosaccaridi e amino-zuccheri non digeribili naturalmente
presenti negli alimenti. Inulina, frutto-oligosaccaridi estratti da materie
prime vegetali. Oligosaccaridi di sintesi chimica. Frazioni di amido
resistenti alla digestione (resistant starch)

Le verdure e i cereali contengono le fibre prevalentemente sotto forma


di fibre insolubili (es. cellulosa), mentre la frutta come in prevalenza
fibre solubili (es. pectina).

Lignina

È composta da una struttura polimerica di unità fenilpropaniche polimeri


costituiti da tre tipi monomeri diversi:
• l'alcool cumarilico (alcool 4-idrossicinnamilico)
• l'alcool coniferilico (alcool 4-idrossi-3-metossicinnamilico)
• l'alcool sinapilico (alcool 4-idrossi-3,5-dimetossicinnamilico

Emicellulosa
È formata da lunghe catene di una varietà di pentosi, esosi, e i loro
corrispondenti acidi uronici.
I polisaccaridi che producono pentosi per idrolisi si chiamano
pentosani, lo Xilano è un esempio di un pentosano e consiste in unità
D-xilosio con legami β 1→4.
L’emicellulosa comprende anche eteropolimeri come ad es.
arabinoxilani, i quali sono polisacaridi lineari costituiti da xilosio e
uniti tramite legami β-(1-4) con ramificazione di arabinosio β-(1-3)

RIDUZIONE DELLA RISPOSTA GLICEMICA : l’assunzione di arabinoxilani nell’ambito di un pasto


contribuisce alla riduzione dell’aumento di glucosio ematico post-prandiale [Health claim approvato
dall’Efsa]

POLISACCARIDI STRUTTURALI
Pectine
Sono polisaccaridi costituiti principalmente da polimeri
dell’acido galatturonico (peso molecolare variabile da 20.000 a
400.000), i cui residui carbossilici sono frequentemente
esterificati con alcol metilico (residui metossilici).
Altri monomeri presenti sono ramnosio e arabinosio

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 23 di 27


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RIDUZIONE DELLA RISPOSTA GLICEMICA : l’assunzione di pectine durante il pasto contribuisce alla
riduzione dell’aumento del glucosio ematico post-prandiale. [Health claim approvato dall’Efsa]
Questa indicazione può essere impiegata solo per un alimento che contiene 10g di pectine per
porzione quantificata

Betaglucani
I beta-glucani sono ampiamente diffusi in natura in lieviti, funghi,
alghe e piante superiori (avena, orzo, segale). Presentano nella loro
struttura unità di β-D glucosio come la cellulosa, ma unite attraverso
un legame β1-6 ogni tre o quattro legami β1-3. Hanno un effetto
modulatore dell’assorbimento di colesterolo durante la digestione.
Opinione Efsa : i betaglucani contenuti nell’orzo riducono ilcolesterolo

Polidestrosio
È costituito da polimeri di glucosio legati con molecole di sorbitolo e con residui di
acido citrico o acido fosforico, il legame 1,6-glicosidico è il legame principale. I
polimeri si ottengono per condensazione degli ingredienti, in natura non esiste, né
lo digeriamo, per questo è considerato una fibra

Chitina
E’ un polimero della N-acetil glucosamina, con
struttura simile alla cellulosa (b 1-4). Essa è
presente nei funghi edibili e nei lieviti, oltre a
costituire l’esoscheletro di numerosi insetti e
crostaci. Dopo la cellulosa, la chitina è il più
abbondante biopolimero presente in natura.
Dalla deacilazione della chitina si ottiene il
chitosano, un polisaccaride solubile

L’esoscheletro dei crostacei consiste in


chitina per il 15-20% del peso, ne deriva che
proprio da scarti di lavorazione dei crostacei, si ottiene il chitosano.
Studi condotti in vitro o su modelli animali hanno dimostrato che il chitosano è in grado di diminuire
l’assorbimento dei grassi contenuti negli alimenti solubili.
Infatti inizialmente emulsiona i grassi alimentari nello stomaco in quanto gelifica a pH acido ed
intrappola i grassi emulsionati. Questi ultimi sono quindi protetti dall'azione delle lipasi e quindi
possono essere espulsi invece di essere idrolizzati e assorbiti. Pertanto, supplementi di chitosano sono
stati messi a punto al fine di abbassare i livelli di colesterolo plasmatico.
Varie scoperte hanno definito che il consumo di chitosano potrebbe essere uno strumento
farmacologico terapeutico aggiuntivo utile per la gestione del peso corporeo in particolare nei casi di
pazienti obesi e sovrappeso

FIBRE E FLORA BATTERICA


La fermentazione delle fibre solubili nel colon produce
acidi grassi a corta catena (SCFA – short chain fatty
acid), tra questi: acido propionico, acido butirrico.
La sintesi di acido lattico e altri composti ha un effetto
trofico sulle cellule della mucosa intestinale e
comporta una riduzione di pH. Inoltre ciò definisce
delle modificazioni della flora batterica ovvero riduce
la colonizzazione degli anaerobi responsabili della
sintesi di acidi biliari secondare (mutageni). Le fibre
riducono il tempo di transito intestinale delle feci, in

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 24 di 27


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

modo che sostanze cancerogene potenzialmente dannose restino a contatto con la mucosa intestinale
del colon per un tempo più breve

Il destino metabolico della fibra alimentare è la digestione ed il catabolismo da parte della microflora
intestinale, che produce acidi grassi a catena corta (butirrico, propionico, acetico) e CO2 .
• L’acido butirrico rappresenta il principale substrato energetico degli enterociti nel colon
• L’acido propionico viene utilizzato dal fegato per la gluconeogenesi
• L’acido acetico viene ossidato o utilizzato per la biosintesi lipidica

È stato dimostrato che gli acidi grassi a catena corta prodotti dal catabolismo della fibra alimentare
stimolano la funzione del colon promuovendo il riassorbimento di acqua e sali.
La fibra, attraverso molteplici meccanismi, provoca riduzione della colesterolemia. Una delle ipotesi
principali riguarda l’aumentato turnover dei sali biliari stimolato dall’aumentata escrezione fecale di
questi.
L’elevato contenuto di fibre alimentari provoca distensione gastrica e intestinale, con riduzione, mediata
da segnali nervosi, dell’assunzione di cibo.

È stato stimato che nell’uomo la produzione di SCFA


è pari a circa 380 mmol/die (range 50-700)
Produzione SCFA mediante fermentazione di carboidrati

I batteri che abitano il corpo umano (nell’intestino) possano influenzare


direttamente lo sviluppo del sistema immunitario, la risposta alle lesioni delle
cellule epiteliali, il bilancio energetico dell’organismo e l'insorgenza di
malattie autoimmuni.
Il microbioma intestinale è il più grande ecosistema batterico del corpo
umano.

Dalla nascita il nostro microbioma si forma e si


modifica in relazione alla nostra alimentazione, le
nostre abitudini, il nostro ambiente di vita e di lavoro,
le malattie che ci colpiscono e le cure che assumiamo,
e in tutto questo il microbioma ha un ruolo attivo,
dinamico.
Si ritiene infatti che il microbioma sia in grado di
contribuire alla digestione dei cibi e all'assorbimento
di nutrienti essenziali, ma anche di permettere la
maturazione della mucosa intestinale, di facilitare il
sistema immunitario nel riconoscere e neutralizzare
potenziali minacce, contrastare la colonizzazione da
parte di agenti infettivi patogeni.

Fibre vegetali
Preferire alimenti naturalmente ricchi in fibra alimentare quali cereali integrali, legumi, frutta e
verdura. Apporto raccomandato: 18-30 g al giorno (privilegiare le fibre insolubili 75%)

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BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

ALIMENTI FUNZIONALI
l concetto di Alimento Funzionale nasce negli anni ‘80 in Giappone, dove viene messa a punto anche
una legislazione apposita

Nel 1991 viene coniato il termine FOSHU (Foods for Specified


Health Use)
I singoli alimenti Foshu sono identificati da un logo e vengono
approvati dal Ministero della Salute e del Welfare giapponese
Il Giappone ha il merito di aver lanciato per primo il concetto di
alimenti funzionali con il FIBE MINE (soft drink arricchito di
fibra) di Otsuka Pharmaceutical 1988

Secondo la definizione dell’EUFIC (European Food Information


Council) “un alimento può essere considerato funzionale se
dimostra in maniera soddisfacente di avere effetti positivi e
mirati su una o più funzioni specifiche dell’organismo, che
vadano oltre gli effetti nutrizionali normali, in modo tale che sia rilevante per il miglioramento dello
stato di salute e di benessere e/o per la riduzione del rischio di malattia. Fermo restando che gli alimenti
funzionali devono continuare ad essere alimenti e devono dimostrare la loro efficacia nelle quantità
normalmente consumate nella dieta. Gli alimenti funzionali non sono nè compresse, nè capsule, ma
alimenti che rientrano in un regime alimentare normale”.
Il termine “alimento funzionale” non identifica quindi né
un prodotto specifico né la forma in cui viene
commercializzato, bensì esso è legato alla funzione o
all’effetto specifico che l’alimento deve dimostrare di
possedere, oltre alla funzione nutrizionale normale. Il
prodotto può variare sia nella tipologia (yogurt, biscotti,
ecc.) che nelle specifiche funzioni svolte, ma il risultato desiderato deve essere, ad ogni modo, un effetto
scientificamente provato della capacità dello stesso di ritardare o impedire l’insorgenza o lo sviluppo di
una determinata malattia. Non, quindi, un effetto curativo, motivo per cui il prodotto si differenzia dai
prodotti curativi e dai farmaci.
Gli alimenti funzionali possono essere ottenuti attraverso differenti processi:
• Eliminazione di un componente che può causare effetti negativi (es lattosio, proteine
allergeniche, glutine)
• Aumento o Diminuzione della concentrazione di un componente presente naturalmente (es
micronutrienti o funzionale "non-nutrienti")
• Aggiunta di un componente non presente naturalmente (es antiossidanti, prebiotici)
• Sostituzione di un componente che risulta "nocivo", se ingerito in eccesso (es grassi) con un
componente "utile" (es microparticelle di proteine)

Tra i componenti il cui ruolo funzionale a livello del sistema gastrointestinale è ormai sufficientemente
dimostrato da studi scientifici da consentire l’uso del termine funzionale, rientrano: alcuni ceppi di
microrganismi (probiotici come Lactobacillus acidophilus, L. Casei, Bifidobacteria) , gli oligosaccaridi
non digeribili, fibre prebiotiche (Inulina Frutto-oligosaccaridi estratti da materie prime vegetali),
oligosaccaridi di sintesi chimica, maltodestrine, frazioni di amido resistenti alla digestione
(resistant starch)
Le fibre di varia composizione chimica, sono spesso usate dall’industria alimentare come ingredienti per
la produzione di alimenti funzionali

Latte a cui è stata aggiunta inulina


durante il processo produttivo

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BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG08 – CARBOIDRATI

Importanza della corretta informazione e educazione alimentare rivolta ai consumatori


È consigliabile aumentare l’apporto di fibra attraverso alimenti che ne sono naturalmente ricchi come
vegetali, legumi, frutta e cereali alimenti caratteristici della dieta mediterranea e quindi incoraggiare
l’uso di cibi a basso indice glicemico
Una alimentazione ricca di alimenti vegetali (frutta, verdure, cereali non raffinati e legumi), esercita
numerosi ruoli preventivi contro l’insorgenza di patologie dismetaboliche come evidenziato in
numerosi studi epidemiologici.
L’effetto protettivo degli alimenti vegetali è da attribuire alla loro peculiare composizione chimica.
Oltre alle fibre vegetali, contengono vitamine, sali minerali, fitonutrienti, antiossidanti, fitosteroli,
fitoestrogeni.
Fibre ed etichetta nutrizionale
Nel Regolamento (CE) n. 1924/2006 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo alle indicazioni
nutrizionali e sulla salute fornite sui prodotti alimentari, vengono definite le condizioni di applicazione
di indicazioni nutrizionali quali «fonte di fibre» o «ad alto contenuto di fibre»
L’indicazione che un alimento è “fonte di fibre” e ogni altra indicazione che può avere lo stesso
significato sono consentite solo se il prodotto contiene almeno 3 g di fibre per 100 g o almeno 1,5 g di
fibre per 100 kcal
L’indicazione che un alimento è ad “alto contenuto di fibre” e ogni altra indicazione che può avere lo
stesso significato sono consentite solo se il prodotto contiene almeno 6 g di fibre per 100 g o almeno 3
g di fibre per 100 kcal.

Autore: Agnese Ottaviani, Beatrice Marchi, Linda Martelli per Medicina08 27 di 27


BIOCHIMICA
“EDULCORANTI”
ID lezione BCG09 Modulo Biochimica generale
Data lezione
Autore Maria Vittoria Lavagna
Lezione
Prof. Arianna Vignini
tenuta da
Argomento edulcoranti
Eventuali
Slide proiettate a lezione
riferimenti

EDULCORANTI
Gli edulcoranti sono sostanze che hanno la proprietà di conferire un sapore dolce agli alimenti a cui
vengono aggiunti. Il Saccarosio è senz’altro il dolcificante più diffuso nelle diete occidentali.

• la necessità di limitare l’apporto calorico e la controindicazione per i soggetti diabetici


all’assunzione del normale zucchero da cucina hanno imposto l’esigenza di sviluppare sostanze
dolcificanti a basso contenuto calorico e con impatto sulla glicemia nullo o quasi.
• i dolcificanti intensi acalorici hanno assunto un ruolo fondamentale nel mondo dei preparati
alimentari, con il loro potere dolcificante, che ha migliorato la palatabilità dei cibi senza fornire
significative calorie.

Potere dolcificante = capacità dolcificante di ciascun edulcorante. Esprime il rapporto o fra la


concentrazione di una soluzione di saccarosio e la concentrazione di una soluzione dell’edulcorante che
ha la stessa intensità di dolcezza. Il saccarosio ha quindi potere dolcificante pari a 1.

• Edulcoranti con effetto massa o POLIOLI: Questi dolcificanti forniscono un numero minore di
calorie per grammo rispetto allo zucchero (saccarosio) a parità di massa (volume) (sorbitolo,
mannitolo, isomalto, maltitolo, lattitolo e xilitolo appartengono tutti a questa famiglia). (pag.4)
• Edulcoranti intensivi: forniscono un intenso gusto dolce con pochissime o addirittura senza
calorie. Dato che sono molto dolci, ne occorrono soltanto piccolissime quantità (acesulfame K,
aspartame, ciclamati, saccarina, taumatina, neoesperidina DC appartengono tutti a questa
famiglia). (pag.7)
BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG09 – EDULCORANTI

A COSA È DOVUTO IL SAPORE DOLCE DEI CIBI?

Lo studio delle caratteristiche strutturali delle molecole e i determinanti molecolari necessari per
evocare il sapore dolce inizia nei primi anni del secolo scorso. Era stata già identificata la saccarina, ma
non c’erano sul mercato gli edulcoranti che conosciamo oggi. Tra i primi ricercatori che cercarono di
identificare la struttura chimica necessaria per impartire il sapore dolce vi fu Cohn nel 1914. Egli la
chiamò “saporous units” e la identificò nella presenza di 2 o più gruppi ossidrilici nelle molecole.

ESEMPI:

Il glicole etilenico, i polioli come l’eritritolo evocavano il sapore dolce al contrario degli alcool che
contengono un solo ossidrile e non hanno lo stesso sapore (es. metanolo, etanolo).

Dopo cinquant’anni nel 1963, Shallenberger riprese gli studi Lo studio della relazione tra svariate
molecole e il sapore dolce da esse evocato, fece comprendere molto presto una maggiore complessità.
Come esempio si notò che l’isomero alfa-D-mannopiranosio era leggermente dolce, al contrario il beta-
D-mannopiranosio, che differisce per la stereoisomeria di un solo atomo di carbonio, è amaro.

COSA CI PERMETTE DI PERCEPIRE QUESTI STIMOLI CHIMICI?

I sensi del gusto e dell’olfatto consentono la percezione degli stimoli chimici:

• Eccitazione di recettori sulla lingua e nella cavità orale

• Molecole volatili raggiungono la cavità nasali attivando i recettori olfattivi

• “Sensazioni olfattive retronasali”

• Sensazioni trigeminali dolorose, termiche, tattili

GUSTO + ODORE= SAPORE

Sistema gustativo

• Papille gustative: fungiformi, vallate, foliate


• Bottoni gustativi: gruppi di cellule recettoriali gustative, rappresentano meno dell’1% delle
cellule dell’epitelio linguale
• Le informazioni poi vengono inviate attraverso le fibre nervose alla corteccia cerebrale

In passato si riteneva che ogni gusto venisse percepito in maniera specifica da una zona della lingua;
dati molecolari e funzionali più recenti hanno dimostrato che l’intera lingua è in grado di riconoscere
tutti i gusti (amaro, salato, dolce, umami, acido). Ciascuna qualità gustativa viene rilevata attraverso un
meccanismo molecolare di trasduzione differente:

• il salato e l’acido agiscono direttamente sui canali ionici di membrana


• il dolce, l’umami e l’amaro utilizzano meccanismi di trasduzione mediati da recettori associati a
proteine G
• il grasso utilizza un trasportatore di acidi grassi e l’acqua utilizza acquaporine

Autore: Maria Vittoria Lavagna per Medicina08 2 di 11


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La teoria della “Saporous Unit” e del gusto dolce

Nel 1967 lo stesso Shallenberger in collaborazione con E. Terry elaborò una nuova teoria sulla
“Saporous unit” (glicoforo). La teoria, individuava nelle sostanze dolci una regione della molecola
responsabile di questa caratteristica Shallenberger la chiamò “AH, B system”. Le molecole in grado di
evocare il sapore dolce dovevano possedere un atomo elettronegativo (es. ossigeno o azoto), indicato
con A, unito covalentemente ad un atomo di H (AH) ed un altro atomo elettronegativo indicato con la
lettera B ad una distanza di 0,3 nm dall’atomo di H. L’area g è un’area idrofobica Il sito del recettore
venne quindi descritto come un sistema che interagiva con la particolare struttura chimica della
molecola, permetteva la formazioni di legami idrogeno (X e YH) e di evocare la sensazione dolce grazie
alle nostre papille gustative.

EDULCORANTI:

• I dolcificanti vengono considerati, come tutte le sostanze aggiunte intenzionalmente ai prodotti


ad uso alimentare, ADDITIVI ALIMENTARI e pertanto soggetti ad autorizzazione, dopo
un’attenta valutazione da parte degli organismi competenti. In Europa l’EFSA (Autorità
Europea Per la Sicurezza Alimentare), ed a livello mondiale un comitato misto di esperti
FAO/OMS valutano la sicurezza dell’uso degli additi alimentari il JECFA (Joint FAO/WHO Expert
Committee on Food Additives)
• La valutazione della sicurezza si ottiene valutando i risultati ottenuti attraverso un preciso
protocollo di studi tossicologici condotti sugli animali, e le osservazioni, ove possibili, sull’uomo.
La finalità è determinare se, e in che quantità, la sostanza può rappresentare un rischio per la
salute e fissare le soglie di sicurezza
• Ogni edulcorante ammesso dalla comunità Europea è contraddistinto da un codice E seguito da
3 cifre Edulcoranti Il protocollo prevede prove di tossicità acuta, sub-cronica e cronica,
informazioni riguardo l’assorbimento, la distribuzione, il metabolismo e l’escrezione,
valutazione sulla eventuale attività mutagena, teratogena o cancerogena.
• Le aziende produttrici gli additivi alimentari possono effettuare una richiesta di approvazione
per l’immissione in commercio, solo se sono stati completati test approfonditi sulla effettiva
sicurezza e utilità del prodotto.
• I dati forniti devono rispondere almeno alle seguenti domande:
1) Come e quanto prodotto sarà consumato
2) Chi, compresi bambini e donne in gravidanza, consumerà l’ingrediente e quanto
3) Il dolcificante è adatto alla trasformazione alimentare
4) Che ruolo svolge il dolcificante come additivo alimentare
5) La sostanza ha dimostrato di non causare effetti avversi o tumori, di non agire sulla
riproduzione, di non essere metabolizzata in una sostanza diversa potenzialmente non sicura e
di non causare reazioni allergiche a livelli di assunzione rilevanti
6) Come e dove è prodotto il dolcificante e chi lo produce.
• Gli esperti del JECFA e dell’EFSA hanno fissato per ogni dolcificante non calorico una
corrispondente DGA (Dose Giornaliera Accettabile), che rappresenta la quantità di una sostanza
che può essere consumata quotidianamente nel corso dell’intera vita senza che vi sia un rischio
apprezzabile per la salute dell’uomo. La DGA è espressa in mg/Kg di peso corporeo al giorno.
È basata sull’apporto massimo giornaliero somministrato ad animali da laboratorio, nel corso
della vita, senza che si verifichi nessun effetto avverso, il NOAEL

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BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG09 – EDULCORANTI

CALCOLO DELLA DGA

NOAEL: 100 = DGA

La DGA è calcolata dividendo il NOAEL per un fattore di sicurezza uguale a 100, che può variare al
variare delle criticità dimostrate dalla sostanza in esame o per scarsi studi di tossicità, fino ad arrivare
a 1000

La DGA rappresenta un livello di sicurezza, tale da poter consumare i dolcificanti intensi acalorici tutti
i giorni per l’intera vita senza che virtualmente si presentino danni. La sicurezza resta anche quando i
dolcificanti sono combinati tra loro. L’occasionale raggiungimento della DGA di un dolcificante intenso
acalorico non costituisce di per sè un rischio per la salute. Non ci sono specifiche controindicazioni
all’USO PEDIATRICO ma:

1) Nei bambini la DGA è dimezzata


2) Non è consigliato l’uso nei primi tre anni di vita
ATTENZIONE Gli studi condotti sull’uso di dolcificanti non calorici in gravidanza non hanno
dimostrato effetti dannosi sia per le donne che per il feto, ma è raccomandato un uso attento, mentre
è possibile l’utilizzo dei dolcificanti ipocalorici, come lo Xilitolo. La maggiore sedentarietà e
l’accresciuto interesse nel controllo del peso corporeo ha portato i dolcificanti non calorici a
svolgere un ruolo importante nel raggiungere e mantenere uno stile di vita sano. Non debbono
comunque essere usati in dosi inappropriate, poiché potrebbero avere effetti negativi sulla salute.

POLIALCOLI

sostanze in tutto o in parte non disponibili sorbitolo, eritritolo, xilitolo, mannitolo, isomalto, maltitolo,
lattitolo

• I Polioli (Polialcoli) sono composti chimici, molto utilizzati per l’alimentazione


• Sono monosaccaridi con sostituzione di un gruppo carbossilico ad un ossidrile
• Hanno un potere calorico di circa il 40 % del saccarosio, 2,4 Kcal/g
• Hanno un potere dolcificante simile, vengono spesso associati ai dolcificanti non calorici.
• Sono presenti in tutte le gomme e caramelle senza zucchero, vengono utilizzati per dentifrici,
colluttori e medicinali.
• Non possono essere utilizzati nelle bevande

Xilitolo: comunemente chiamato zucchero del legno, e è estratto da betulle, fragole, lamponi, prugne,
grano. Questo zucchero naturale ha un forte potere dolcificante che lo rende molto simile al saccarosio,
ma contiene il 40% in meno di calorie. È conosciuto con la sigla E 967. Definito dolcificante amico dei
denti per la proprietà di prevenire le carie e favorire la remineralizzazione delle piccole lesioni ai denti.
Altre fonti:

- Idrogenazione dello xilosio: lo xilosio a sua volte deriva dalla degradazione dello xilano che
è un polisaccaride presente nella corteccia degli alberi, gusci di noci ecc.
- Sintesi microbiologica

Autore: Maria Vittoria Lavagna per Medicina08 4 di 11


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Sorbitolo: è presente in molte bacche e frutti come mele, prugne, ciliegie, uva e sorbe, da cui poi prende
il nome.

- Reazione che forma il sorbitolo: riduzione del glucosio a sorbitolo, con formazione di un
gruppo ossidrilico al posto di quello aldeidico o chetonico

Mannitolo: è una sostanza che si trova facilmente in natura in alghe funghi e il nome deriva dalla manna
da cui si può ottenere.

L’isomalto: si produce con una tecnica che utilizza cellule immobilizzate di Protaminobacter rubrum,
batterio dotato di un enzima in grado di convertire il saccarosio nel suo isomero alfa-1-6 (isomaltosio)
successivamente idrogenato.

Lattitolo: il lattitolo viene preparato artificialmente a partire dal lattosio (zucchero del latte), attraverso
trattamenti ad alte temperature. A differenza del lattosio, il lattitolo non può essere digerito dalle lattasi
Per questo motivo, ad elevati dosaggi, il lattitolo provoca diarrea osmotica e può quindi essere usato
come lassativo

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CARATTERISTICHE POLIALCOLI

Utilizzati come sostituti dello zucchero tradizionale (Edulcoranti).

La biodisponibilità nel tratto gastrointestinale è ridotta. Per cui raggiungono l’intestino crasso in cui
vengono fermentati dalla microflora.

I Polialcoli (xilitolo e mannitolo) sono considerati acariogeni. Infatti essi sono più resistenti alla
fermentazione da parte della microflora batterica orale e producono meno placca.

Sono sostanze meno caloriche dello zucchero: ad esse viene attribuito un potere calorico pari a 2,4
kcal/g, contro le 4 kcal/g degli altri zuccheri, stiamo parlando di una riduzione teorica significativa, pari
al 40% circa.

A questo risparmio calorico si associa molto spesso un potere dolcificante inferiore, che lo rende di fatto
abbastanza trascurabile. Non a caso nei prodotti che contengono polialcoli, spesso vengono utilizzati
anche altri dolcificanti.

Ma allora perché vengono utilizzati? Sostanzialmente per due motivi

- non causano picchi glicemici, particolare molto importante per i diabetici


- molti di essi non sono cariogeni, a differenza dello zucchero.

Polialcoli e glicemia: I principali polialcoli utilizzati negli alimenti hanno indici glicemici molto inferiori
rispetto a quelli del glucosio e del saccarosio. Si parla di valori che variano da zero (eritrolo e mannitolo)
a 40 (maltitolo e poliglicitolo) per l'indice glicemico I polialcoli alzano la glicemia (mediamente) in
misura molto inferiore rispetto alle normali fonti di carboidrati. Questa proprietà può essere
potenzialmente utile per i diabetici: è stato dimostrato che il consumo di almeno 15-20 g di polialcoli al
giorno comportata una riduzione significativa del carico glicemico.

Effetti collaterali: Il più importante effetto collaterale che riguarda il consumo di polialcoli è l'effetto
lassativo che essi hanno, dovuto principalmente al fatto che non vengono assimilati completamente

Autore: Maria Vittoria Lavagna per Medicina08 6 di 11


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG09 – EDULCORANTI

dall'intestino, questo fenomeno può essere positivo in chi cerca l'effetto lassativo, per esempio per chi
soffre di stitichezza, ma può anche essere negativo perché può causare problemi di diarrea e altri
disturbi intestinali L'effetto lassativo dei polialcoli si verifica per quantità variabili a seconda del tipo di
sostanza: in genere quantitativi inferiori a 20 g al giorno sono ben tollerati a prescindere dal tipo di
polialcoli. Alcune sostanze, come il maltitolo, sono ben tollerate (fino a 100 g al giorno), altre come il
mannitolo molto meno (20 g al giorno), altre ancora come il sorbitolo hanno un livello di tolleranza
intermedio (50 g al giorno).

DOLCIFICANTI INTENSI ACALORICI

Forniscono un intenso gusto dolce con pochissime o addirittura senza calorie. Dato che sono molto dolci,
ne occorrono soltanto piccolissime quantità. I dolcificanti intensi acalorici, autorizzati e impiegati,
rispettando le normali dosi giornaliere definite dagli enti preposti, possono divenire un ausilio
importante per la cura di patologie croniche. I principali dolcificanti usati in Italia sono: Acesulfame k,
Aspartame, Ciclamato, Saccarina, Stevioside, Sucralosio. A cui si aggiungono: l’Alitame e il
Neotame.

Acesulfame K: L’acesulfame K è una combinazione di un acido organico e sale di potassio, conosciuto


anche con la sigla E 950 e scoperto causalmente nel 1967 dal chimico tedesco Karl Clauss. L’Acesulfame
K è assorbito rapidamente ed eliminato totalmente per via urinaria, non è apprezzabile nel metabolismo.
Nonostante sia stato criticato per la possibile nocività, due studi condotti sul cane e sul ratto, non hanno
dimostrato tossicità alcuna.

- “Saporous Unit”:
Area (A): Azoto è un atomo elettronegativo, unito covalentemente ad un atomo di H
disponibile per formare legami idrogeno
Area (B): ossigeno è parzialmente negativo e può formare legame idrogeno
Area (gamma): area idrofobica (foto)

Autore: Maria Vittoria Lavagna per Medicina08 7 di 11


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Aspartame: L’Aspartame è composto da due amminoacidi: Ac. Aspartico (40%), Fenilalanina (50%) e
Metanolo (10%), conosciuto con la sigla E 951 e scoperto causalmente dal chimico James M. Schlatter,
mentre studiava dei prodotti anti-ulcera. Le persone che soffrono di fenilchetonuria devono controllare
l’assunzione dell’aspartame. L’Aspartame è il dolcificante più utilizzato attualmente, con i suoi
metaboliti fenilalanina, acido aspartico e metanolo è il più controverso tra i dolcificanti acalorici. Il
sospetto che abbia causato un aumento di incidenza di tumori cerebrali, leucemie, tumori della pelvi,
dell’uretere e dei nervi periferici, non ha mai avuto conferme. Inoltre, è stato accusato di aumento di
incidenza di parto prematuro, anche se un recente lavoro danese, effettuato su donne gravide, non ha
trovato conferma.

Ciclamato: L’Acido ciclamico, sale di sodio o calcio, scoperto da Michael Sveda nel 1937, viene per lo più
usato in associazione con la saccarina È stato sospettato di essere un cancerogeno ad alte dosi (In Europa
è consentito con limitazioni ed esclusioni). Il suo utilizzo come edulcorante è vietato negli Stati Uniti in
seguito a ricerche in campo tossicologico che hanno riscontrato effetti cancerogeni e disturbi di
assorbimento in animali da esperimento. Anche la Comunità Europea, dopo una attenta revisione, ha
deciso di abbassare la DGA a 7mg/Kg, proponendo una riduzione dell’uso di ciclammati sia bandendoli
da alcuni prodotti alimentari come gomme da masticare, microconfetteria e limitando la quantità
ammissibile nelle bevande ipocaloriche. I Ciclamati sono rapidamente assorbiti nel tratto intestinale e
generalmente non vengono metabolizzati ed escreti non modificati per via urinaria.

- “Saporous Unit”:
Area (A): Azoto è un atomo elettronegativo, unito covalentemente ad un atomo di H
disponibile per formare legami idrogeno
Area (B): ossigeno è parzialmente negativo e può formare legame idrogeno
Area (gamma): area idrofobica

Autore: Maria Vittoria Lavagna per Medicina08 8 di 11


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Neotame: Derivato dall’aspartame con presenza di Metanolo è conosciuto con la sigla E 961; dolcificante
artificiale che insieme all’Alitame ha un potere dolcificante estremamente elevato. Il Neotame è stato
solo recentemente autorizzato dall’EFSA, prodotto molto simile all’aspartame, è costituito da due
amminoacidi esterificati con il Metanolo. Il 30% circa di quest’ultimo viene assorbito dal tratto
gastrointestinale. Mentre nel ratto non si hanno significative tossicità, in due studi condotti sui cani
hanno dimostrato un aumento della fosfatasi alcalina con una possibile tossicità epatica (a dose di 600
mg/kg die). Una ulteriore criticità è dovuta al gruppo aminico secondario, non presente nell’aspartame,
che reagendo con i nitrati presenti negli alimenti e nella saliva, può creare nitrosamine, un gruppo di
molecole che sono potenzialmente cancerogene e genotossiche. Tuttavia studi recenti, riguardo le
nitrosamine derivate dal neotame, non hanno evidenziato alcuna tossicità specifica.

Saccarina: Il primo dolcificante scoperto causalmente da Remsen e Fahlbeg nel 1879, come prodotto
dell’ossidazione del O-toluenesulfossamide, prodotto di derivazione del catrame. Conosciuto con la sigla
E 954, sembra interferisca con proprietà enzimatiche della Glucosio-6- fosfatasi. La Saccarina è uno dei
dolcificanti più noti e utilizzati da maggior tempo, non è metabolizzata significativamente
dall’organismo umano. Il suo consumo è permesso nelle bevande ipocaloriche (80mg/L); bustine
impiegate come succedanei del saccarosio in sinergia con altri edulcoranti. Durante gli anni '60 diversi
studi hanno suggerito che la saccarina fosse un cancerogeno per gli animali. L'allarme tocca il livello
massimo nel 1977, dopo la pubblicazione di uno studio in cui si rileva un aumento dei casi di cancro alla
cistifellea e vescica nei ratti alimentati con alte dosi di saccarina. La saccarina viene vietata in Canada.
Da allora molti studi sono stati condotti sulla saccarina, con risultati controversi. Lo studio del 1977 è
stato criticato per via delle altissime dosi di saccarina date ai ratti, un valore ritenuto assolutamente
irrealistico per un normale consumatore. Finora nessuno studio ha evidenziato pericoli per l'uomo, alle
dosi normalmente utilizzate. Nel 1991, la FDA ha ufficialmente ritirato la proposta di bando.

- “Saporous Unit”:
Area (A): Azoto è un atomo elettronegativo, unito covalentemente ad un atomo di H
disponibile per formare legami idrogeno
Area (B): ossigeno è parzialmente negativo e può formare legame idrogeno
Area (g): area idrofobica

Autore: Maria Vittoria Lavagna per Medicina08 9 di 11


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Sucralosio: Derivato dal saccarosio con un processo che sostituisce tre gruppi idrossilici con tre atomi
di cloro, è conosciuto negli USA con il nome di Splenda, da noi con la sigla E 320. Il Sucralosio è costituito
da due molecole glicidiche clorurate, solo una parte del dolcificante viene assorbita, mentre il restante
viene eliminato non modificato. Nel 1989 non venne autorizzato per gli studi tossicologici insufficienti
e effetti dannosi sul peso. Nel 2000 con l’osservazione di nuove evidenze scientifiche il dolcificante è
stato autorizzato all’uso umano. Sintetizzato per la prima volta nel 1976 "accidental discovery" story.
Tate & Lyle, una compagnia britannica produttrice di zucchero, stava cercando modi per usare
saccarosio come intermedio chimico. In collaborazione con il laboratorio del Prof. Leslie Hough al King's
College di Londra, sono stati sintetizzati e testati zuccheri alogenati. Un laureato straniero, lo studente
Shashikant Phadnis, ha frainteso una richiesta di "test" (testing) di uno zucchero clorurato come
richiesta di "degustazione" (tasting), che conduce alla scoperta che molti zuccheri clorati sono dolci con
potenze alcune centinaia o migliaia di volte più grandi di saccarosio.

Neoesperidina diidrocalcone (DC): È prodotta per idrogenazione della neoesperidina, flavone


glucoside, presente nell’albero dei pompelmi e delle arance amare da cui viene estratta. Potere
edulcorante fino a 400-600 volte maggiore del saccarosio. Sensazione persistente nel tempo Retrogusto
tra la liquirizia e il mentolo (limitato numero di alimenti). È stabile al calore e alla lunga conservazione
Poco assorbita e viene metabolizzata dalla flora intestinale. Il suo utilizzo come edulcorante è stato
approvato dall’Unione Europea nel 1994. Non approvato come tale negli USA.

Taumatina: Le taumatine costituiscono una famiglia di proteine presenti nei frutti della pianta tropicale
Thaumatococcus daniellii Benth, che cresce nelle foreste pluviali dell’Africa occidentale. Sono un gruppo
vasto ma le principali sono: taumatina I (costituita da 207AA) e taumatina II (è una proteinadi 235AA).
Il suo potere dolcificante è circa 3000 volte superiore a quello del saccarosio. La taumatina ha un
retrogusto persistente che potrebbe non essere accettato da alcuni palati. È solubile in acqua e stabile
alle alte temperature e in ambienti acidi. L’Unione Europea ha approvato l’utilizzo della taumatina
naturale come ingrediente sicuro ed è stata messa in commercio, trovando impiego negli alimenti per
animali da reddito e da compagnia, nelle gomme da masticare (50 mg/Kg) ed eccipiente per prodotti
farmaceutici. Negli USA il suo utilizzo è approvato come esaltatore di aroma. È possibile ottenere queste
proteine anche attraverso bioingegneria genetica attraverso l’utilizzo di batteri geneticamente
modificati (1 g/L).

Glicosidi steviolici (stevia): I glicosidi steviolici, comunemente noti come Stevia, sono estratti dalle
foglie della pianta Stevia rebaudiana un cespuglio della famiglia dei crisantemi, nativo del Paraguay. I
principi attivi sono lo Stevioside ed il Rebaudioside-A. I glicosidi steviolici, prodotti di derivazione
naturale, sono idrolizzati nell’intestino, dalla flora batterica, liberando lo steviolo. Attualmente non se
ne conoscono effetti tossici o cancerogeni.

Autore: Maria Vittoria Lavagna per Medicina08 10 di 11


BIOCHIMICA – Biochimica generale BCG09 – EDULCORANTI

I dolcificanti da tavola più usati in Italia sono:

1) Aspartame

2) Ciclamato

3) Saccarina

L’utilizzo esagerato di 10 compresse o bustine di aspartame o ciclamato corrispondono al 5 - 12 % della


DGA, lo stesso dosaggio per la saccarina corrisponde al 50 % della DGA I dolcificanti utilizzati per le
bevande light più usate sono:

1) Acesulfame

2) Aspartame

3) Ciclamato

4) Saccarina

5) Stevia (solo dal 2010)

Vengono utilizzati per lo più in associazione. Un litro di bevanda light è circa il 70 % della DGA.

Breath test al Sorbitolo

ll Breath Test al Sorbitolo è un esame utile per la diagnosi di malassorbimento intestinale. Il breath test
al sorbitolo si basa sul principio che gli zuccheri sfuggiti all'assorbimento intestinale - dopo aver subito
l'azione fermentativa della flora batterica del colon - danno origine a gas, come l'idrogeno, che vengono
assorbiti dalla mucosa intestinale e trasportati dal sangue ai polmoni. Tali gas possono quindi essere
rilevati nell'aria espirata dal paziente.

Autore: Maria Vittoria Lavagna per Medicina08 11 di 11


BIOCHIMICA GENERALE
“GAG E MUCOPOLISACCARIDI”
ID lezione BCG10 Modulo Biochimica generale
Data lezione
Autore Martelli Linda
Lezione
Prof. Arianna Vignini
tenuta da
Argomento Proteoglicani Glicosamminoglicani, Mucopolisaccaridosi
Eventuali
Slide proiettate a lezione.
riferimenti

I derivati dei monosaccaridi con ruoli strutturali sono le GLICOPROTEINE, i PROTEOGLICANI e i


GLICOLIPIDI

Glicoproteine e proteoglicani sono formati entrambi da proteine e glucidi:

- Nelle glicoproteine prevale la componente proteica


- Nei proteoglicani prevale la componente glucidica

PROTEOGLICANI

Sono costituiti da proteine e carboidrati, la frazione glucidica è costituita da GAG


(glicosamminoglicani), anche detti mucopolisaccaridi. Il termine mucopolisaccaridi è riferito a
malattie da accumulo dovute a disfunzione lisosomiale: le mucopolisaccaridosi

Glicosaminoglicani

I glicosaminoglicani (GAG) dei tessuti connettivi sono lunghe catene polimeriche formate da un
concatenamento lineare di unità disaccaridiche identiche unite linearmente tra loro da legami O-
glicosidici eterogenei. Tra queste figurano soprattutto: l’acido D-glucuronico e il suo epimero acido
iduronico, gli amino-zuccheri glucosamina e galattosamina che possono essere acetilati (N-
acetilglucosamina e Nacetil-galattosamina) o solforati (es. solfatogalattosamina)
Quando nella molecola sono presenti elevate quantità di acido glucuronico e sono numerose le
molecole solforate.
BIOCHIMICA–Biochimica generale BCG10– GAG E MUCOPOLISACCARIDI

L’acido glucuronico deriva dal glucosio: ha il gruppo


carbossilico in posizione 6, se epimerizzato dà l’acido
iduronico

I GAG si comportano come polianioni infatti si dissociano, assumono carica negativa e interagiscono
con altre molecole e con l’acqua

I proteoglicani includono sia proteine di membrana che proteine della matrice extracellulare (ECM).
Essa è costituita da proteine (collagene, integrine) di membrana, proteoglicani, che interagiscono tra di
loro Ci sono anche glicoproteine adesive, proteine fibrose strutturali, fibronectina (lega collagene,
fibrina, integrine), laminina (presente nelle membrane basali, collega le cellule al connettivo) Queste
proteine sono legate al citoscheletro, influenzando quindi la mobilità della cellula

Nel corpo umano alcuni tessuti hanno poca ECM (es. cervello), altri ne possiedono in grande quantità
(es. osso, cartilagine).

Matrice extracellulare (ECM)

Questa è composta da:

Glicosaminoglicani (GAG) e proteoglicani


Proteine fibrose strutturali (collagene)
Glicoproteine adesive

FIBRONECTINA – proteina che lega collagene, fibrina, proteoglicani, recettori di membrana


(integrine).
LAMININA - componente principale delle membrane basali. Lega alcuni componenti della ECM fra
di loro e con le cellule. Ancóra le cellule al connettivo sottostante

Autore: Martelli Linda per Medicina08 2 di 13


BIOCHIMICA–Biochimica generale BCG10– GAG E MUCOPOLISACCARIDI

Nel 1980 la funzione principale che era attribuita alla matrice extracellulare era di supporto cellulare,
successivamente nel 1990 le venne riconosciuta regolazione della migrazione cellulare, motilità e
adesione, differenziazione e sviluppo embrionale. Dal 2005 venne confermata non solo la funzione
della matrice di supporto meccanico per l‘ancoraggio e la migrazione cellulare ma anche un ruolo fisio-
patologico per il coinvolgimento in vari eventi cellulari tra cui proliferazione, apoptosi, risposta agli
stress, angiogenesi.

Oggi le funzioni della ECM sono ben definite:

Supporto meccanico per ancoraggio e migrazione cellulare


Controllo della proliferazione cellulare
Mantenimento del fenotipo differenziato (mediato dalle integrine – proteine di membrana)
Creazione di microambienti tissutali
Accumulo e presentazione di molecole regolatorie (fattori di crescita) alle cellule bersaglio

I glicosaminoglicani possono essere :

NON SOLFORATI : l’acido ialuronico l’acido condroitinico

SOLFORATI: il condroitin solfato A, il condroitin solfato C, il dermatan solfato (o condroitin


solfato B), il cheratan solfato , l’eparan solfato. Da quest’ultimo deriva l’eparina, un
anticoagulante

NB: il livello di solforazione cambia durante la crescita, con la senescenza.

La distribuzione di questi GAG è tessuto-specifica

Acido ialuronico

L’acido ialuronico è il GAG più abbondante del tessuto


connettivo lasso e presenta come unità disaccaridica di base
l’acido glucuronico e N-acetilglucosammina,

Autore: Martelli Linda per Medicina08 3 di 13

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