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Corso di: GEOLOGIA APPLICATA Parte I

Appunti informali delle lezioni tenute dal Prof. Simeone raccolti dalle studentesse Giovanna Nuzzo e Francesca Maggio
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POLITECNICO DI BARI
II Facoltà di Ingegneria - Taranto
Corso di: GEOLOGIA APPLICATA
Docente: Prof. Ing. Vincenzo SIMEONE

APPUNTI INFORMALI DELLE LEZIONI TENUTE DAL PROF. SIMEONE RACCOLTI DALLE
STUDENTESSE Giovanna NUZZO; Francesca MAGGIO

LA STRUTTURA DELLA TERRA


La geologia è una scienza che ha come laboratorio la terra. Con la geologia non esploriamo solo la
terra come è fatta oggi, ma cerchiamo anche di capire come si è formata e come è evoluta.
Geologia permette all’uomo di capire la natura e di difendersi dai disastri naturali, ma anche di
conoscere le risorse combustibili fossili (petrolio, gas, carbone), materiali e sostanze chimiche,
acqua.
Come la terra è evoluta da un insieme di frammenti di materia al pianeta che noi ora conosciamo?
Inizialmente era omogenea con gli stessi materiali a tutte le profondità. Il 99% della massa della
Terra è costituita da 4 elementi: ferro, ossigeno, silicio e magnesio. Il ferro ricordiamo costituisce il
35% della massa della terra. Il riscaldamento dovuto all’accrescimento ed ai fenomeni di
radioattività permise di raggiungere la temperatura di fusione del ferro che precipitò verso l’interno.
La maggior parte di essa affondò nel nucleo, poco ne rimase nella crosta. Si arrivò alla formazione
di una crosta superficiale costituita da materiali leggeri, un mantello intermedio e un nucleo pesante
centrale. La differenziazione portò gli elementi più leggeri verso gli strati esterni della Terra e iniziò
la fuga, dal suo interno, di gas ancora più leggeri che finirono per formare l’atmosfera, gli oceani e i
mari.

Formazione dei continenti, degli oceani e dell’atmosfera.


La storia della Terra è stata dominata da due motori termici, uno interno e l’altro esterno. Il “motore
termico” interno della Terra è alimentato dall’energia termica legata al decadimento radioattivo dei
materiali costituenti la Terra stessa, il “motore termico” esterno è alimentato dall’energia solare, che
raggiunge la Terra per irraggiamento dal sole e si converte in calore. Il calore interno fonde le
rocce, da origine ai vulcani e fornisce l’energia per formare e spostare i continenti e per sollevare le
catene montuose. Il calore esterno è responsabile del clima e delle condizioni meteorologiche, da
origine alla pioggia e al vento che erodono le montagne e modellano il paesaggio.

Continenti
Si ritiene che all’inizio il materiale costituente la Terra cominciò a raffreddarsi e solidificarsi
creando una prima crosta. Questa crosta primitiva tornò a fondersi e solidificarsi ripetutamente,
mentre i materiali più leggeri separatesi gradualmente da quelli più pesanti andavano alle parti più
esterne della crosta, formando i nuclei primitivi dei continenti. La degradazione meteorica delle
rocce per opera delle precipitazioni e degli altri agenti atmosferici determinò la frammentazione e
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l’alterazione delle rocce. L’acqua, il vento e il ghiaccio misero in movimento i frammenti derivanti
dalla disgregazione delle rocce trasportandoli ad accumularsi formando spessi strati.

Oceani e atmosfera
Si ritiene che l’origine degli oceani e dell’atmosfera possa essere fatta risalire alla Terra stessa,
come conseguenza del riscaldamento e della differenziazione dell’interno del pianeta. Altri
ritengono invece che l’involucro costituito dagli oceani e dall’atmosfera si originò all’esterno della
terra. Sappiamo che le comete sono costituite da ghiacci di sostanze come acqua mista di anidride
carbonica e altri gas; innumerevoli comete possono aver colpito la Terra all’inizio della sua
evoluzione, trasportandovi acqua e gas che formarono gli oceani e l’atmosfera primitivi.

Attualismo.
La geologia moderna è concorde sul principio dell’attualismo (uniformismo, Charles Lyell ) che
stabilisce che tutti quei processi geologici che oggi modificano la crosta terrestre hanno operato
all’incirca nello stesso modo durante il tempo geologico. Le rapidità di modificazione possono
essere variate nel tempo, e rari catastrofi come l’urto di una grande meteorite o di una cometa
contro la Terra possono aver perturbato questi processi.

STRUTTURA INTERNA DELLA TERRA


La Terra è assimilabile ad una sfera avente un raggio di circa 6400 km (6370) o meglio ad
ellissoide con una piccola eccentricità (pari a circa 1:300).
L’esplorazione diretta dell’interno della terra è stata possibile sinora fino a profondità non superiori
a 10 km. Le conoscenze sulla struttura della terra sono state ottenute con metodi indiretti tra cui
quello basato sulla velocità di propagazione delle onde elastiche. Le conoscenze sulla struttura della
terra derivano in gran parte dallo studio dei terremoti, che danno luogo a vibrazioni che si
propagano al suo interno e possono essere registrate anche a notevoli distanze.
Vengono generate onde sismiche che si possono distinguere in 2 grandi categorie:
onde P (primarie prime – longitudinali o veloci) si propagano in tutti i tipi di mezzi (terreno, fluidi,
aria); danno luogo ad una vibrazione che si sviluppa nella stessa direzione in cui viaggia l'onda
(direzione di propagazione dell'onda) ed inoltre sono delle onde di compressione e di trazione
onde S (secondarie o di taglio) si propagano solo nei mezzi solidi e più lentamente delle onde P (Vs
= Vp √3); danno luogo ad una vibrazione perpendicolare alla direzione in cui si propaga l'onda,
queste originano una distorsione e sono legate alla rigidezza al taglio dei materiali, infatti come
abbiamo già detto si propagano solo nei mezzi solidi.
a queste possiamo aggiungere le onde L (lunghe) trasversali si trasmettono lungo la superficie di
separazione di due mezzi (aria – terreno). Si generano quando un onda di tipo P raggiunge una
superficie di separazione (tipicamente aria-terreno o terreno-liquido). Le onde L producono gli
effetti più dannosi, ma, anche le S sono pericolose.
Onde P ed S si propagano all’interno della terra con velocità via via crescenti con l’aumentare della
profondità seguendo percorsi curvi e fuoriescono anche a grande distanza.
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Poiché la velocità delle onde dipende dal rapporto fra la rigidità del mezzo e la densità è possibile
risalire a questo rapporto dai tempi di propagazione delle onde.
Sulla base della velocità di propagazione delle onde P ed S si è potuto ricostruire la struttura interna
della Terra; essa è costituita da più strati concentrici differenziati, separati da alcune superfici di
discontinuità netta, abbiamo quindi variazioni più o meno continue e zone di discontinuità netta.
Il peso di volume delle principali rocce che affiorano sulla superficie terrestre va in media da 24-25
kN/m3 a 33-34 kN/m3 ; mediamente dunque, il peso delle rocce che affiorano può essere
considerato 27-28 kN/m3 circa 2700 g/cm3 con valori massimi di 34-35 kN/ m3.
Il concetto di peso di volume (rapporto tra peso e volume) è diverso da quello di peso specifico
perché le rocce sulla superficie terrestre sono costituite da elementi diversi, hanno caratteristiche di
disomogeneità intrinseca, non hanno una composizione chimica ben determinata mentre il peso
specifico si riferisce ad un elemento, ad un materiale omogeneo.
Se cerchiamo di determinare il peso di volume che dovrebbe avere la Terra sulla base del suo
volume e della velocità con cui essa si muove nello spazio otteniamo il valore di 54 kN/m3 cioè
circa il doppio del peso di volume delle rocce che mediamente affiorano sulla superficie terrestre
questo significa che all'interno della Terra sono presenti materiali molto più pesanti di 54-55 kN/m3
e delle rocce che affiorano. Il peso della Terra è dunque crescente muovendoci dall'esterno verso
l'interno, si è differenziato nel tempo in virtù della diversa densità dei materiali che la costituiscono
(materiali più pesanti al centro, più leggeri nella parte più esterna).
ferro 35% (ma il ferro in superficie non supera il 5%)
ossigeno meno del 20% nella composizione chimica della Terra (40% nelle rocce in superficie)
ELEMENTI nella massa terrestre e nella crosta
% nella massa terrestre % nella crosta
Ferro 35 6
Ossigeno 30 46
Silicio 15 28
Magnesio 13 4
Nichel 2.4 <1
Zolfo 1.9 <1
Calcio 1.1 2.4
Alluminio 1.1 <1
Potassio <1 2.3
Sodio <1 2.1

Analizziamo la crosta terrestre (parte più superficiale e ingegneristicamente più interessante). Essa
è costituita da materiali che hanno una consistenza solida ed ha uno spessore variabile che oscilla
tra i 4-5 km fino ai 60-70 km; è più sottile in corrispondenza dei fondali oceanici e molto più spessa
in corrispondenza delle principali catene montuose, nelle zone continentali; ma la differenza tra la
crosta oceanica e la crosta continentale non si valuta solo in termini di spessore ma anche in termini
di caratteristiche delle rocce tra quelle oceaniche e quelle che costituiscono le catene montuose.
Fosse oceaniche - rocce basaltiche che hanno un peso di volume che va dai 30 ai 35 kN/m3, sono
rocce mediamente pesanti per essere di quelle presenti sulla superficie terrestre.
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Crosta continentale - rocce granitiche e granodioritiche, il peso di volume delle rocce che
costituiscono la crosta continentale è di circa 27-28 kN/m3 quindi è una crosta mediamente più
leggera della crosta oceanica.
In alcuni casi la crosta oceanica si spinge al di sotto della crosta continentale.
Le onde P si propagano attraverso le rocce crostali alla velocità di circa 6-7 km/s. Campionando
vari tipi di materiali della crosta e del mantello ed eseguendo delle misurazioni, si riesce a
compilare una tabelle di velocità sismiche relativa a tutti i tipi di materiali che affiorano sulla
superficie della terra.Per esempio la velocità di propagazione delle onde P nelle rocce ignee sono le
seguenti:
• rocce sialiche (graniti): 6 km/s;
• rocce femiche (gabbri): 7 Km/s;
• rocce ultrafemiche (peridotiti): 8 km/s.
In base alla correlazione tra velocità di propagazione delle onde sismiche e tipi di rocce, si sa che la
crosta continentale è costituita in prevalenza da rocce granitiche, con materiali simili ai gabbri nella
porzione più profonda, e che non sono presenti graniti sul fondo dell’oceano, costituito interamente
da basalti e gabbri. Sotto la crosta la velocità di propagazione delle onde P aumenta bruscamente a 8
km/s, ciò indica che esiste una netta discontinuità tra le rocce crostali e le rocce sottostanti.
La velocità di circa 8 km/s indica che le rocce più profonde sono probabilmente le peridotiti, rocce
ultrafemiche più dense. La superficie di separazione tra la crosta e il mantello è detta discontinuità
di Mohorovicic che è la più importante; in corrispondenza di questa discontinuità si osserva quindi
un brusco aumento di velocità delle onde sismiche. Al di sotto della discontinuità di Mohorovicic
c'è la zona chiamata mantello che comincia ad essere costituito da rocce sicuramente più pesanti,
queste rocce sono ancora solide ma cominciano ad avere un comportamento di tipo plastico per
effetto delle forti pressioni e delle alte temperature presenti a queste profondità.
A circa 1000 km di profondità c'è il mantello plastico vero e proprio e leggiamo una diminuzione
del gradiente di velocità, della capacità con cui cresce la velocità delle onde sismiche.
Discontinuità di Conrad - segna il passaggio tra la crosta continentale e la crosta oceanica presente
al di sotto della crosta continentale; quando si supera questa discontinuità aumenta la velocità di
propagazione delle onde sismiche.
Discontinuità di Gutemberg - si trova ad una profondità di circa 2900 km dalla superficie terrestre e
separa il mantello dal nucleo. Si passa da rocce solide con comportamento plastico (ma ancora
materiale allo stato solido) ad un materiale a consistenza fluida, questo si deduce dal fatto che al di
sotto di questa discontinuità le onde p subiscono una brusca diminuzione di velocità mentre le onde
di tipo s non si propagano più, vengono assorbite dal nucleo, proprio questo ci fa ritenere che il
nucleo abbia una consistenza fluida.

Mantello
La zona più esterna, la litosfera è un involucro spesso circa 70 km in cui sono incastonati i
continenti. Le onde S si propagano facilmente attraverso la litosfera senza venire assorbite: un
segno della solidità della litosfera. Nella zona sotto la litosfera, la velocità di propagazione delle
onde S diminuisce e le onde vengono parzialmente assorbite. Questo si verifica quando le onde S
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attraversano un solido contenente una piccola quantità di liquido. Questa zona è l’astenosfera o
zona di debolezza. Essa sale portandosi vicino alla superficie in corrispondenza delle dorsali
oceaniche, mentre altrove è presente a profondità superiori a 70 km. I geologi ritengono che
l’astenosfera contenga una piccola percentuale di fuso. Questa ipotesi è compatibile con i dati
secondo cui la probabile sorgente di gran parte del magma basaltico è proprio questa regione del
mantello. Quindi la crosta (rocce) e la prima parte del mantello (rocce solide) costituiscono la
litosfera. La parte a carattere plastico o fluido-plastico prende il nome di astenosfera.
Distinguiamo allora 2 zone: la prima a comportamento essenzialmente rigido poggiata su una zona
a comportamento essenzialmente plastico. La seconda zona è a sua volta a contatto con il nucleo e
quindi riceve dalla parte più interna del pianeta del calore che genera all'interno del mantello, in
questo materiale fluido-plastico, dei moti di tipo convettivo.
Mantello: velocità di propagazione delle onde P 14 km/s
Nucleo: velocità di propagazione delle onde P 8 km/s
A 5000 km si passa dal Nucleo Esterno (fluido) - Nucleo Interno (solido) che dovrebbe avere un
peso di volume di 120-130 kN/m3 ; si tratta di valori davvero alti, per avere un parametro di
confronto basti pensare che il peso specifico del ferro è di 75-80 kN/m3.
Strato Discontinuità Profondità Caratteristiche
(km)
Crosta Continentale Rocce granitiche granodioritiche
(granitica_granodior)
Disc Conrad 20
Crosta oceanica Rocce basaltiche
(basaltica)
Mohorovicic 35 (5-65) 33 kN/m3
1450 K°
Mantello esterno Materiale solido roccia (rigido per vibrazioni
plastico per sollecitazioni di lunga durata ) (P 8
km/s); (S 5 km/s)
(Zone a bassa velocità 50 – 130 km)
400
Mantello intermedio Eminentemente plastico (diminuzione della
(astenosfera) crescita della velocità di propagazione)
Repetti 1000 46 kN/m3
1900 K°
Mantello interno Materiale plastico diminuisce la silice ed
aumentano gli ossidi dei metalli pesanti – (Più
lenta la crescita della velocità di propagazione) (P
11-14 km/s); (S 6-7 km/s)
Gutemberg 2900 56 kN/m3
2400 K°
98 kN/m3
Assorbimento onde trasversali e diminuzione
brusca delle longitudinali (da 14 a 8 km/s)
Nucleo esterno Liquido – ferro e nichel – cresce lentamemente la
velocità delle onde P
5000 120 kN/m3
3300 K°
Nucleo interno Solido – ferro e Nichel – Relativamente lente le
onde P max 11 km/s
130 kN/m3
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La temperatura cresce verso l’interno della terra secondo il gradiente geotermico (circa 1° ogni 30
m). Più in profondità aumenta più lentamente. Il forte gradiente in prossimità della crosta è dovuto
al decadimento di elementi radioattivi di cui è ricca la crosta continentale.

TETTONICA DELLE PLACCHE


Le placche sono costituite da crosta + mantello rigido. Si tratta di uno strato rigido fratturato in
circa 15 placche che coinvolgo aree continentali ed oceaniche. Questi elementi rigidi poggiano su
un substrato visco-plastico (astenosfera). Si possono creare delle correnti convettive che creano il
movimento passivo delle placche. Le correnti convettive sono di risalita in corrispondenza delle
dorsali oceaniche dove si forma nuova crosta spingendo lateralmente le placche. Per compenso si
anno zone di subduzione (ingestione) o di abduzione (sovrapposizione ) della crosta.
La teoria della tettonica delle placche si applica al più esterno degli involucri concentrici che
formano il nostro pianeta. Secondo la teoria della tettonica delle placche, la litosfera non è uno
strato continuo, ma è suddivisa in circa 15 grandi placche (o zolle) rigide che si spostano sulla
superficie della Terra.Ciascuna placca si muove come un’unità che galleggia sull’astenosfera. Ma
perché le placche dovrebbero muoversi? Perché il mantello al di sotto della litosfera è caldo e
deformabile. Questa combinazione di alta temperatura e deformabilità permette ai materiali del
mantello di muoversi per convezione. Il moto convettivo ha luogo in un materiale capace di fluire o
scorrere quando il materiale caldo sale dal fondo verso la superficie, mentre il materiale freddo
scende dalla superficie verso il fondo.
Il calore ed i moti convettivi fanno si che si generino zone in cui la crosta tende ad aprirsi (parte
della roccia fonde per effetto delle alte temperature determinando un assottigliamento della crosta
oceanica che finisce per spaccarsi sotto l'azione dei moti convettivi) dando luogo alla fuoriuscita di
magma che viene dalla parte più alta del mantello e che, arrivando verso la superficie, si raffredda,
generando nuova crosta, quindi si ha in questa zona generazione di nuova crosta oceanica. Questi
sono i fenomeni che hanno dato luogo alla formazione delle dorsali oceaniche.

Margini delle placche


Lungo i margini delle placche, dove essi interagiscono l’una con l’altra, si verificano molti
fenomeni geologici. Esistono tre tipi di margini tra placche adiacenti in movimento: lungo margini
divergenti le placche si separano e si allontanano l’una dall’altra; lungo margini convergenti le
placche collidono; e lungo margini costituiti da faglie trasformi le placche scivolano l’una rispetto
all’altra. Un margine divergente è esemplificato da una fossa tettonica, tipicamente localizzata
lungo la cresta di una dorsale oceanica. I margini divergenti sono caratterizzati da attività sismica e
da vulcanismo poiché lo spazio che si forma tra le placche che si allontanano viene colmato da
magma che risale dalla zona posta sotto la litosfera. Il materiale solidifica come roccia nella fossa,
per cui le placche litosferische si accrescono per accumulazione di questa roccia neoformata a mano
a mano che si separano.Con il progressivo separarsi delle placche, può formarsi e accrescere un
bacino oceanico.
Dorsali: la fuoriuscita di materiali avviene da fratture e non da vulcani. Le fratture non sono
continue, ma presentano delle rotture trasversali. L’accrescimento è più o meno simmetrico. Rift
valley
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Se abbiamo zone in cui la crosta si spacca e se ne genera di nuova, in altre zone si deve consumare
parte di crosta; questo accade in zone in cui una parte di crosta oceanica scompare tornando nel
mantello (zone di subduzione) oppure zone in cui la crosta viene compressa dando luogo a catene
montuose (zone di obduzione).

Le ZONE di SUBDUZIONE possono essere di 2 tipi:


Arco Cordigliera Si ha quando si scontra la crosta continentale con quella oceanica. Quest’ultima
si inflette e va sotto. Si crea una fossa ed un arco magmatico questa volta continentale. La crosta
oceanica che si sta espandendo da un lato va a scontrarsi contro una crosta continentale, ed essendo
più pesante di quest'ultima subduce cioè si infila sotto la crosta continentale per effetto dei moti
convettivi, questo accade per esempio lungo tutto l'arco dell'America meridionale, zona ad arco-
cordigliera (Ande); in questo scontro la crosta continentale tende ad arricciarsi e si ha una zona
orogenetica, di nascita di catene montuose. Sulla superficie di separazione tra la crosta oceanica e la
crosta continentale si creano forti attriti con generazione di terremoti profondi, man mano che
questa crosta si infila e fonde in questa zona aumenta la probabilità di manifestazioni vulcaniche
Arco-fossa quando nello scontro fra due placche una si inflette sotto l’altra e viene assorbita. Si
inflette una placca oceanica, sotto una placca continentale con una propagine oceanica. La placca
che si inflette da luogo al piano di Benioff che è rigido fino a 300 m di profondità e per attrito si
creano numerosi terremoti. In superficie si crea una fossa nel punto di scontro e poi un arco
magmatico che si manifesta con una serie di isole (Giappone). il secondo tipo di fenomeno di
subduzione si ha dove si scontrano due parti di crosta oceanica, anche in questo caso si vede che chi
subduce è la parte più distante, si hanno situazioni simili alle precedenti, è il caso dell'arco insulare
giapponese costituito essenzialmente di rocce pesanti, basaltiche, provenienti da rocce di crosta
oceanica
In queste zone è alta la probabilità che si generino terremoti e fenomeni vulcanici.
Piano di Benioff: separa la parte di crosta che subduce, che si infila sotto, dando origine a fenomeni
di attrito, difficoltà di movimento
allontanamento
2 fasi
scontro - movimento di trascorrenza

Le ZONE di OBDUZIONE corrispondono a zone in cui due porzioni di crosta continentale si


scontrano e c’è accavallamento e si includono l'una nell'altra generando una catena montuosa,
questo è quanto accade nella zona dell'Himalaya, anche queste zone sono caratterizzate da una forte
attività di tipo sismico (massa asiatica e subcontinente indiano)

Faglie trasformi (S. Andreas – California)


Le 2 porzioni scorrono l'una rispetto all'altra senza andare l'una sotto l'altra)
movimento relativo → terremoti → faglia di sant'Andrea - California
Le velocità sono di qualche cm/anno.
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I MINERALI
Entriamo nello specifico delle rocce, dei tipi di rocce che costituiscono la crosta terrestre.
Introduciamo preliminarmente due concetti: ROCCIA e MINERALE che non sono sinonimi, hanno
diversa valenza.
MINERALE sostanza solida inorganica con una ben precisa composizione chimica esprimibile
attraverso una formula ed in cui gli ioni sono sistemati in maniera ordinata secondo una
disposizione che si sussegue in maniera regolare e continua nello spazio
ROCCIA: proviene dal raffreddamento molto rapido di magma, è costituita da brandelli di massa
solida sena una struttura ben definita; è una sostanza solida che può essere formata da uno o più
minerali ma che non ha una composizione chimica univoca, unica, ben definita ed in cui un pezzo
può essere diverso dal pezzo vicino; a differenza di quanto accade nei minerali nelle rocce gli ioni
sono organizzati in maniera irregolare.
La roccia può essere costituita da più minerali uniti insieme o da elementi solidi che non seguono
una struttura ordinata nello spazio.
Il MINERALE è una sostanza solida cristallina naturale, generalmente inorganica, con una
composizione chimica specifica. Esistono migliaia di tipi di minerali, ma di questi non più di 30-50
costituiscono da soli più del 90% dei minerali presenti nella crosta, d'altro canto la composizione
chimica della crosta evidenzia che essa è costituita per il 90% da una decina di elementi:
Elemento Simbolo Abbondanza (%)
Ossigeno O 46.6
Silicio Si 27.7
Alluminio Al 8.1
Ferro Fe 5
Calcio Ca 3.6
Sodio Na 2.8
Potassio K 2.6
Magnesio Mg 2.1
Titanio Ti 0.4
Idrogeno H 0.1
Altri elementi sono presenti in percentuali minori: Cl - P - Mn - C - S - N

Processi genetici
I minerali si formano dal processo di cristallizzazione, che è un accrescimento solido in cui gli
atomi si riuniscono in rapporti chimici appropriati e secondo una precisa configurazione cristallina.
La cristallizzazione comincia con la formazione di microscopici cristalli, corpi i cui confini sono
superfici piane che sono espressione della struttura atomica interna. I cristalli grandi si formano se
la cristallizzazione è lenta e vi è la disponibilità di spazio e di sostanza.
La cristallizzazione si può produrre per fenomeni di raffreddamento di magmi costituiti da soluzioni
ioniche complesse o per fenomeni di evaporazione, tipica per esempio è la formazione di cristalli di
sale nelle pozze lungo la costa marina; nella stessa maniera i minerali si formano dal
raffreddamento di magmi costituiti da soluzioni ioniche complesse, bisogna però precisare che si
formano solo se il magma si raffredda lentamente, quando dunque si offre agli ioni il tempo
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necessario ad organizzarsi in una struttura regolare, altrimenti escono masse non ben organizzate.
La disposizione degli atomi e degli ioni in una struttura cristallina è regolata da due fattori
principali: il numero degli atomi o di ioni che si coordinano tra loro per formare la molecola base di
un composto, e le loro dimensioni. I cationi con proprietà chimiche simili e gli ioni con dimensioni
simili tendono a sostituirsi l’un l’altro e a formare composti di composizione variabile. Ad esempio,
Fe e Mg (nelle olivine) in particolari tipi di silicati possono sostituirsi reciprocamente; la formula
dell'olivina è infatti: (Fe,Mg)SiO4 in un tetraedro di Si si inseriscono elementi di Fe o di Mg.

Caratteristiche di un minerale
Esaminiamo le più significative e importanti caratteristiche chimico-fisiche, nonché le principali
proprietà meccaniche dei minerali.
La FORMA CRISTALLINA. Si distinguono 7 classi (o sistemi) di cristallizzazione:
Monometrico Cubico (l'elemento regolare che costituisce il minerale è un cubo)

Tetragonale (parallelepipedo a base quadrata)


Dimetrico Esagonale (parallelepipedo a base esagonale)
Trigonale (cubo inclinato)

Rombico (parallelepipedo a base rombica)


Trimetrico Monoclino (parallelepipedo inclinato)
Triclino

La LUCENTEZZA. Rende conto di come il minerale si relaziona con una luce incidente. Può essere
adamantina (alto indice di rifrazione, è tipica dei diamanti), vitrea (a bassa capacità di rifrazione)
metallica (opaca, se è caratterizzata da una forte riflessione ma non ha la capacità di diffondere la
luce) resinosa (non possiede capacità di riflessione né di rifrazione) sericea (se ha un
comportamento diverso a seconda dell' angolo di incidenza della luce).

POLIMORFISMO. Questa caratteristica riguarda quei minerali che hanno la stessa composizione
chimica ma una disposizione nello spazio degli atomi differente, il che conferisce ai minerali stessi,
proprietà differenti, tipico è l'esempio del diamante e della grafite. Il diamante è costituito
essenzialmente da C (carbonio) ha una durezza 10, ed un peso specifico ≈ 35 kN/m3 ; nella grafite,
che altro non è che la mina di una matita, ci sono sempre atomi di C ma la durezza della grafite è 2-
3 ed il suo peso specifico è 21 kN/m3. Uguale composizione chimica ma punti disposti
diversamente nello spazio.

La DUREZZA. Dipende dai legami di tipo covalente e viene espressa attraverso la Scala di Mohs,
una scala di tipo comparativo in cui ci sono 10 elementi a durezza crescente dove ciascuno riesce a
scalfire il minerale precedente e viene scalfito dal minerale successivo:
1. Talco
2. Gesso
3. Calcite
4. Fluorite
5. Apatite
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6. Ortose
7. Quarzo
8. Topazio
9. Corindone
10. Diamante
1) e 2) sono minerali che possono essere incisi dall'unghia
3) 4) 5) sono più duri e non riusciamo a scalfirli con l'unghia (ad esempio stalattiti e stalagmiti,
rocce calcaree - carbonato di calcio) ma ci riusciamo con un elemento metallico (ad esempio con
una chiave)
7) stavolta la chiave metallica lascia una striscia di metallo sul quarzo senza riuscire a scalfirlo (in
questo caso è il quarzo che "consuma" la chiave!!)
10) non si riga, le punte diamantate sono utilizzate per tagliare cose che non si riescono a tagliare
con altri materiali
1) 2) molto teneri (unghia)
3) 4) teneri (chiave)
5) 6) 7) duri (punta di acciaio)
8) 9) 10) molto duri (non rigabili)
Altre proprietà: SFALDATURA e FRATTURA: il termine sfaldatura indica la tendenza di un
minerale a rompersi lungo superfici piane, dette piani di sfaldatura, determinata dalla struttura
cristallina. Se i legami tra alcuni dei piani sono molto deboli, il minerale può essere sfaldato lungo i
piani di debolezza. Il termine frattura indica una rottura del minerale lungo una superficie irregolare

PESO SPECIFICO si può definire per i materiali caratterizzati da una componente chimica ben
definita e da una successione regolare nello spazio.

Per quanto riguarda le rocce parleremo di PESO DI VOLUME. Il peso specifico della maggior
parte dei minerali presenti sulla Terra è compreso tra 25-35 kN/m3. Il peso specifico dei minerali si
riflette sul peso di volume delle rocce costituite da aggregazioni di minerali.

Altre caratteristiche: Birifrangenza - Colore e Trasparenza - Angolo diedro – Isotropia (Il colore è
un indice importante ma non fondamentale in quanto bastano piccole impurezze per modificarlo)

CLASSI DI MINERALI
1. Silicati
2. Carbonati
3. Solfati
4. Cloruri
5. Fluoruri
6. Composti di Fe, Mn, P, ecc
7. Minerali argillosi
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I silicati sono i minerali più diffusi, costituiscono più del 70% delle rocce presenti sulla Terra,
questa è perciò la classe più importante. Iniziamo a descrivere le altre classi e lasciamo i silicati per
ultimi.
Partiamo dalla classe 2: i CARBONATI, sono frequenti nelle rocce sedimentarie, questi hanno per
noi una particolare valenza perché sono piuttosto diffusi in Puglia:
- CALCITE carbonato di calcio CaCO3 cristalli romboedrici, sfaldatura secondo facce
romboedriche; durezza 3, peso specifico 2,71 g/m3 colore bianco, trasparente a meno di
impurezze
- DOLOMITE carbonato doppio di Ca e Mg CaMg(HCO3)2 durezza 4 , peso specifico 2,86 g/m3.
Tra i due la dolomite è molto più difficilmente solubile in acqua anche in ambiente acido. I
precipitati di dolomite non sono attaccabili dal punto di vista chimico, presentano infatti una
maggiore durezza.
La dolomite si forma in ambiente evaporitico (origine primaria) ma si può formare anche a partire
da un calcare in presenza di Mg, mediante una sostituzione di ioni Ca con ioni Mg (origine
secondaria - fenomeno di METASOMATISMO = reazione di doppio scambio). Dalla calcite e dalla
dolomite a seguito di metamorfosi si formano i marmi.

Appartengono invece alla classe 3 i composti dello zolfo ovvero i SOLFATI tra cui:
- ANIDRITE ossido anidro di zolfo con il calcio CaSO4 durezza 3; peso specifico 3 g/m3
- GESSO (CaSO4 2H2O) durezza 2; peso specifico 2,35 g/m3 lucentezza vitrea cristalli tabulari
bianco giallastri (se puro è incolore)
L'anidrite è un materiale compatto, più compatto del gesso, ha più difficoltà ad assorbire acqua
rispetto al gesso che, essendo invece caratterizzato da piani di sfaldatura, offre, all'interno di questi,
lo spazio dove possono facilmente inserirsi delle molecole di acqua (presenza di acqua
nell’interstrato). Quando l’anidrite assorbe acqua si trasforma in gesso.

Nella classe 4 troviamo i CLORURI come ad esempio il SALGEMMA NaCl si forma in ambiente
evaporitico (Sicilia, Mar Nero), nella classe 5 i minerali con presenza di fluoro detti FLUORURI
che sono normalmente associati ai cloruri.

Nella classe 6 abbiamo i composti del Fosforo (P) si hanno depositi come le rocce fosfatiche da
depositi fossili di vertebrati, c'erano giacimenti in Perù e in Tunisia che però oggi sono quasi
consumati. Sono costituiti essenzialmente da fosfato tricalcico Ca3(PO4)2. I composti del Ferro (Fe):
Ossidi di Fe magnetite
limonite
ematite
pirite (FeS2) peso specifico 5 g/m3 (= 50 kN/m3) durezza 6,5 lucentezza metallica

Altri minerali
Zolfo S – colore giallastro
Grafite C – colore grigio piombo - sfaldabile solo in una direzione

MINERALI ARGILLOSI. Facciamo un breve cenno ai minerali argillosi.


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Sono minerali molto piccoli e facilmente rigonfiabili se miscelati con acqua. Per riconoscerli
occorrono analisi termica differenziale o analisi ai raggi X. Sono essenzialmente dei fillosilicati.
Sono minerali provenienti da fenomeni di alterazione di minerali silicatici; sono caratterizzati da
una grande capacità di legarsi con l'acqua e da forme chimiche molto complesse. Possiamo
suddividerli in 3 classi a crescente capacità di legarsi all'acqua e di gonfiarsi:
- CAOLINITI
- ILLITI
- SMECTITI (MONTMORILLONITI)
Una montmorillonite può quasi raddoppiare il suo volume, mantenendo consistenza solida (in
alcuni casi si può arrivare a materiali costituiti da 1 parte di montmorillonite e 3 parti di acqua).
E' pertanto pericoloso realizzare opere di ingegneria in presenza di montmorillonite perché possono
dare spinte superiori a quelle che ci si aspetta in fase di progettazione; ad esempio facciamo il caso
delle gallerie, se sono scavate nelle montmorilloniti dovranno sopportare spinte elevate e crescenti
nel tempo anche perché il foro, la galleria, comporta richiesta di acqua. La smectiti (bentoniti) le
troviamo in prodotti di tipo impermeabilizzante.
Le argille presenti sul nostro territorio sono prevalentemente illitiche, argille azzurre tipiche di
Taranto.

SILICATI
L'elemento caratteristico dei silicati è il tetraedro di silicio (SiO4) costituito da 4 atomi di ossigeno
che si dispongono ai 4 vertici del tetraedro ed un atomo di silicio che si colloca nel suo centro;
questi tetraedri formano legami in maniera diversa andando a costituire delle strutture ordinate con
orientazioni preferenziali ma anche strutture disordinate; il differente arrangiamento delle molecole,
dei tetraedri, conferirà ai diversi minerali proprietà diverse (diversa forma, diverse caratteristiche).
Alcuni esempi di strutture sono ad anello o strutture allungate (singole o doppie) o ancora strutture
planari.
Si distinguono allora per il diverso modo di associarsi dei gruppi tetraedrici SiO4 in:
NESOSILICATI struttura ad isola (Olivina);
SOROSILICATI due tetraedri accoppiati;
CICLOSILICATI strutture silicatiche, più tetraedri, gruppi ad anello (Berillio);
INNOSILICATI struttura a catena allungata semplice o doppia (rispettivamente Pirosseni e Anfiboli);
FILLOSILICATI struttura planare, tipico abito lamellare, si sfaldano secondo piani paralleli
(Miche e Minerali Argillosi);
TETTOSILICATI - tetraedri concatenati in ogni direzione (Quarzo, Feldspati)
Il silicio è caratterizzato da grande durezza e da assenza di piani di sfaldatura preferenziale.

Silicati:
- Sialici (allumo silicati, minerali della silice) presenza di Si e Al che si interfacciano con tetraedri
di Si (26-28 kN/m3); tipici: quarzo, feldspatoidi, feldspati (plagioclasio, ortoclasio).
- Femici (silicati contenenti Fe e Mg) 30-35 kN/m3; tipici: olivina, anfiboli, pirosseni, miche
(muscovite e biotite).
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Le differenze sono legate al fatto che i silicati sialici hanno in generale un peso specifico minore dei
minerali femici o ancora mentre è caratteristico dei sialici un colore chiaro i femici sono di colore
scuro.

SILICATI SIALICI
QUARZO E' il minerale principe della categoria, durezza 7, colore bianco trasparente, lucentezza
vitrea (non rifrange, si vede trasparente opaco, non luminescente anche se illuminato dalla luce del
sole). E' caratterizzato da una frattura concoide cioè secondo una superficie non piana, non regolare
ma curva, in altre parole non presenta un piano di frattura preferenziale. All'interno delle rocce
assume forme piuttosto irregolari perché essendo l'ultimo minerale che cristallizza nelle rocce che
provengono da magmi, tende ad occupare gli spazi che vengono lasciati liberi dagli altri per questa
ragione è detto allotriomorfo, si adatta agli spazi che gli vengono lasciati disponibili.
Se modifica il suo colore per effetto di piccole impurezze si identifica con nomi diversi:
Violaceo → AMETISTA
Giallo → QUARZO CITRINO
Bruno → QUARZO AFFUMICATO
OPALE (silice idrata amorfa, di colore bianco lattiginoso);
CALCEDONIO (qualità cripto-cristallina del quarzo).

FELDSPATOIDI Sono tettosilicati poveri di silice, si sviluppano in tutte le direzioni e si creano in


rocce che provengono da magmi con raffreddamenti abbastanza veloci.
- LEUCITE (biancastra ma riflette in tutte le direzioni, ha una lucentezza quasi adamantina)
- HAUYNA (di colore azzurrognolo, si trova sul Vulture è raro trovare un grande cristallo, se ne
trovano piccoli, delle dimensioni di un unghia)

FELDSPATI
I feldspati costituiscono il gruppo più importante dei minerali delle rocce.
Feldspati alcalini (feldspato potassico) hanno sfaldatura e sono facilmente attacabili
meccanicamente e chimicamente. A seconda della velocità di raffreddamento elevata o lenta
abbiamo:
- Sanidino (molto veloce (effusive)
- Microclino (media
- Ortoclasio – K-feldspato (lenta – intrusive) Ha colore bianco lattiginoso o rosato se i sono
dispersioni di ematite. Si riconosce dalla sfaldatura a 90° da cui prende il nome

PLAGIOCLASI: non si distinguono in una roccia dall’ortoclasio.Sono soluzioni solide i cui


termini estremi sono rappresentati da un plagioclasio sodico, albite, e da un plagioclasio calcico,
anortite. In pratica i plagioclasi sono miscele in tutte le proporzioni di albite e di anortite. Sfumano
in una serie di minerali a seconda di minore o maggiore percentuale di sodio e/o calcio, non
riusciamo a distinguerli se non in rapporto agli altri minerali presenti nell'intorno.
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Albite (Na 100%, si trova in associazione con rocce sialiche);


Oligoclasio;
Andesina;
Labradorite (azzurrina);
Bytonite;
Anortite (Ca 100%, si trova in associazione con rocce femiche).
Si ha sfaldatura perfetta lungo due direzioni ortogonali, colore bianco latte, difficilmente assume
colorazioni rosate.

MICHE: sono dei fillosilicati, hanno un abito lamellare, si sfogliano in lamelle, sono caratterizzate
da ottima lucentezza ed alto indice rifrazione; se ne possono distinguere due tipi:
- BIOTITE (mica nera) ha lucentezza metallica
- MUSCOVITE (mica chiara) aspetto quasi argenteo,struttura lamellare, tipicamente i suoi cristalli
erano utilizzati come isolante

ANFIBOLI: sono minerali verde scuro o neri con un abito prismatico spesso sottile ed allungato
(catena doppia) . Hanno un doppio sistema di sfaldatura la cui traccia in sezione basale da un angolo
di 120° (orneblenda)

PIROSSENI: non sono distinguibili nelle rocce dagli anfiboli sono neri allungati; Hanno un abito
prismatico tozzo (catena semplice) e Doppio sistema di sfaldatura a 90°

OLIVINA. Appartiene alla categoria dei nesosilicati, possiede una struttura ad isola, è di colore
verdognolo, tipico del verde oliva (da questo deriva il suo nome) e si trova in associazione solo con
minerali femici e in rocce che abbiano avuto un raffreddamento abbastanza rapido.
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ROCCE
Le rocce sono elementi solidi che non cristallizzano in maniera ordinata e regolare, e non sono
caratterizzati da componenti chimiche ben definite; possono anche essere costituite da uno o più
minerali, ed in funzione delle aggregazioni di minerali che le costituiscono sarà possibile dare loro
un nome. E' possibile classificare le rocce in tre grandi famiglie in funzione della loro origine:

ROCCE Caratteristiche

IGNEE hanno origine dai magmi che si trovano all'interno della Terra

SEDIMENTARIE si formano sulla superficie terrestre per effetto dell'accumulo di materiali di


tipo inorganico proveniente dal disfacimento di altre rocce o da parti
inorganiche di organismi viventi; accumulandosi possono arrivare a
formare anche spessori notevoli, ma raramente superano qualche km, sono
presenti nella prima parte superficiale della crosta terrestre
METAMORFICHE provengono da processi di trasformazione di rocce ignee o sedimentarie,
dovuti alla temperatura ed alla pressione, che alterano la struttura originaria
della roccia determinando anche un cambiamento dei minerali che
costituiscono le rocce stesse, il tutto avviene attraverso un processo di
ricristallizzazione allo stato solido dei minerali costituenti la roccia;
sottolineiamo che non avviene una fusione ma, come abbiamo già detto una
trasformazione per un effetto combinato di temperatura e pressione in cui a
volte prevale la temperatura ed altre la pressione

Una roccia sedimentaria può trasformarsi in metamorfica per effetto di temperatura e pressione,
viceversa, una roccia metamorfica, quando viene a giorno e comincia ad essere soggetta all'azione
di agenti atmosferici, di degrado, se si disgrega ed origina frammenti può dare luogo ad una roccia
sedimentaria.
Se esponiamo agli agenti atmosferici una roccia ignea questa viene via via degradata, tanto più se è
costituita da più minerali perché minerali diversi hanno caratteristiche diverse di dilatazione termica
e questo può provocare un allentamento della compattezza soprattutto in altura dove ci sono
considerevoli escursioni termiche.
(Studiando le carte geologiche si vede che in alcune zone della Sila dovrebbero affiorare graniti,
ma, se si va sul posto si trovano invece sabbioni che altro non sono che graniti degradati)
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SCHEMA DI CICLO LITOGENETICO

Disgregazione per processi


atmosferici
Alterazione
Disgregazione fisica
Trasporto e
Sedimentazione

Cementazione degli
elementi precedentemente Sedimenti
ROCCE
disgregati: DIAGENESI
SEDIMENTARIE

Aumento di Alterazione
pressione e Disgregazione Alterazione
temperatura fisica Disgregazione
senza fusione Trasporto e fisica
Metamorfismo Sedimentazione Trasporto e
Sedimentazione

Aumento di
pressione e
ROCCE temperatura ROCCE
METAMORFICHE senza fusione MAGMATICHE
Metamorfismo

Ulteriore aumento di Diminuzione fortissima di


temperatura e pressione temperatura e pressione
con fusione totale Magmi Consolidamento
Anatessi Magmatico
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ROCCE IGNEE
Le rocce ignee dette anche rocce magmatiche, che abbiamo detto essere rocce che si formano dal
raffreddamento di magmi. Le caratteristiche principali e distintive di una qualsiasi roccia
magmatica (composizione chimica, struttura e giacitura) dipendono essenzialmente dal tipo di
magma (chimismo, temperatura e viscosità) e dalle modalità con cui lo stesso magma consolida.
Una prima distinzione all’interno delle rocce ignee è possibile sulla base della modalità di
raffreddamento, alle quali corrispondono strutture diverse, determinate principalmente dalle
differenti dimensioni relative e assolute dei minerali componenti e del grado di cristallinità. Infatti
le rocce ignee possono essersi consolidate all’interno (rocce intrusive) o all’esterno della crosta
terrestre (rocce effusive).
All’interno di una massa fusa in via di solidificazione, forma e dimensione dei cristalli sono
condizionate sia dal numero di centri di cristallizzazione presenti, sia dalla velocità di
cristallizzazione, cioè dalla velocità di accrescimento dei centri di cristallizzazione.
Nelle rocce ignee intrusive, in cui la consolidazione del magma avviene all’interno della crosta
terrestre, il raffreddamento è lentissimo, essendo la perdita di calore rallentata dalle rocce incassanti
il magma. In queste condizioni, i centri di cristallizzazione sono relativamente pochi e il loro
accrescimento è lento; si forma così un piccolo numero di cristalli di dimensioni relativamente
grandi; la roccia corrispondente avrà una struttura olocristallina granulare (cioè una struttura
cristallina costituita da minerali ben evidenti a occhio nudo). Queste rocce sono le più belle e le più
facili da riconoscere. provengono da magmi che non si sono raffreddati in superficie a diretto
contatto con l'atmosfera ma in zone profonde quindi attraverso un lento processo di raffreddamento
per questo motivo hanno avuto modo di formarsi diversi minerali; queste rocce sono quindi
costituite essenzialmente da minerali, sono le più belle e le più facili da riconoscere, la loro struttura
è detta olocristallina granulare (cioè una struttura cristallina costituita da minerali).
Nelle rocce ignee effusive invece, la consolidazione avviene all’esterno della crosta terrestre e il
raffreddamento è più o meno rapido, in conseguenza di una più o meno rapida caduta di
temperatura. In queste condizioni si forma un gran numero di centri di cristallizzazione che, in
seguito alla velocità di raffreddamento rimangono tutti di piccole dimensioni. La roccia
corrispondente sarà costituita da una massa informe, vetrosa che ingloba fenocristalli, cioè
minuscoli cristalli che sono riusciti a formarsi durante la fase di raffreddamento e che ci possono
aiutare a riconoscere il tipo di roccia. Tale struttura è detta porfirica. Le rocce ignee effusive
possono avere anche una struttura vacuolare cioè costituita da tanti piccoli vacuoli dovuti alla
presenza di bolle di gas intrappolate nel magma nella fase di raffreddamento e sfuggite
successivamente in atmosfera.
Si dicono rocce ignee effusive quelle che si sono formate a seguito di un raffreddamento più o
meno rapido del magma avvenuto in superficie; possono avere una struttura informe, vetrosa
laddove il raffreddamento è stato veloce ma non velocissimo, tipicamente è ciò che accade a 20
metri di profondità di una colata lavica; si formerà una pasta che avrà in generale un carattere
vetroso, informe dicevamo, all'interno della quale è però possibile trovare dei fenocristalli, cioè
minuscoli cristalli che sono riusciti a formarsi durante la fase di raffreddamento e che ci possono
aiutare a riconoscere il tipo di roccia. Le rocce ignee effusive possono avere anche una struttura
vacuolare cioè costituita da tanti piccoli vacuoli dovuti alla presenza di bolle di gas intrappolate nel
magma nella fase di raffreddamento e sfuggite successivamente in atmosfera.
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Nella seguente tabella è riportata una prima suddivisione dei magmi in base alla loro origine:
Nella seguente tabella sono riportati dei criteri per una prima suddivisione dei magmi:
MAGMI
intracrostali sono acidi e molto viscosi con fuga di componenti volatili (temperature maggiori)
subcrostali sono basici, molto fluidi e ricchi di componenti volatili
anatessi è il fenomeno di fusione su larga scala

Altri elementi importanti che condizionano notevolmente le caratteristiche del magma (e di


conseguenza della roccia che da esso si origina) sono il chimismo, la viscosità e la temperatura.
Esaminando i costituenti chimici principali di un magma si può notare che l’ossido più abbondante
è la silice. In base a questo primo dato si opera la seguente suddivisione dei magmi: Un altro
elemento importante che condiziona notevolmente le caratteristiche del magma (e di conseguenza
della roccia che da esso si origina) è la percentuale di silice che presenta:
Magmi Sialici (magmi acidi ricchi in silice)
Magmi Femici (magmi basici meno ricchi in silice e più ricchi di minerali ferro-magnesiaci)
Questi due tipi di magma hanno caratteristiche differenti in termini di:
• componenti chimici
• caratteristiche di fluidità
• maggiore o minore presenza di componenti volatili
I magmi acidi sono normalmente dei magmi ricchi in componenti volatili e caratterizzati da una
elevata viscosità. I magmi basici sono invece caratterizzati da una bassa viscosità, si tratta quindi di
magmi fluidi, e da una bassa presenza di componenti volatili. La presenza di componenti volatili
assume una grande rilevanza sia perché le emissioni gassose potrebbero contenere gas velenosi, sia
perché l'attività vulcanica di magmi contenenti componenti volatili è un'attività a carattere
esplosivo.
Percentuale di Silice
TIPI DI MAGMA
(% SiO2)
> 65 magmi persilicici o sialici (acidi)
52 - 65 magmi mesosilicici (neutri)
40 - 52 magmi iposilicici o femici (basici)
< 40 magmi ultrabasici
Ancora sui magmi possiamo dire che quelli che provengono dalle zone più profonde sono
generalmente iposilicici o ultrabasici, mentre quelli che si trovano in una zona intermedia della
crosta sono acidi.Inoltre i magmi acidi sono mediamente più viscosi dei magmi basici che invece
risultano essere mediamente più fluidi.
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Fasi di consolidamento del magma


Il consolidamento del magma avviene in diverse fasi schematizzate nella seguente tabella:
Temperature (C°) Stadio Magmatico
magma
1250
surriscaldato
Il magma comincia a raffreddarsi, si formano i
cristalli che costituiranno le rocce e vengono
750 Ortomagmatico espulsi vapori, magma fluido e magma solido.
In questo stadio si formano l'80% dei cristalli e
tendono a venir fuori i vapori.
Se il magma raggiunge velocemente la temperatura
di 500 °C e resta a questa temperatura per diverso
tempo (questo avviene tipicamente se si intrude
524 Pegmatitico
nella roccia) si raffredda velocemente per contatto
con le rocce confinanti ma resta confinato, in
questa fase si formano cristalli molto grossi
300 Pneumatolitico
200 Idrotermale
Durante il consolidamento il magma si scinde, così, in una parte solida ed in una parte residua fusa.
Queste due fasi hanno composizione chimica sensibilmente diversa sia tra loro che rispetto al
magma iniziale, inoltre sino a quando la cristallizzazione non è ultimata, esse interagiscono
cambiando composizione, per essere in equilibrio con i nuovi valori di temperatura e pressione
dell’ambiente geologico. Questo fenomeno, è detto cristallizzazione frazionata ed è stato studiato da
Bowen. Questi ha osservato che , tra fasi solide e residuo fuso silicatico, si verificano due tipi di
reazioni che danno luogo ad una serie di reazione discontinua e ad una serie di reazione continua.
Nella reazione discontinua il minerale stabile a temperature più elevate reagisce con il fuso per dare
un nuovo minerale con struttura cristallina e composizione chimica differente.
Nella reazione continua, il minerale reagisce con il fuso per dare un nuovo minerale con struttura
identica a quella del primo e composizione chimica poco differente.
L'ordine con cui si formano i cristalli viene definito dalla Serie di Bowen

Plagioclasi
calcici Ricco di Calcio
alta
Olivina temperatura

Pirosseni Calcio e Sodio

Anfiboli Plagioclasi
Ricco di Sodio sodici

Mica bassa
Biotite temperatura

Muscovite
Ortoclasio
Quarzo
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I minerali femici formano una serie detta discontinua: l'olivina già formata reagisce col fluido,
formando pirosseni, che possono in seguito reagire ulteriormente; al termine del processo, se il
magma è abbastanza acido, dei primi minerali formati non è rimasta traccia.
Tra i sialici la serie è continua: dai plagioclasi calcici si passa gradualmente a quelli sodici, che
inglobano ancora il calcio iniziale. Il quarzo è l'ultimo minerale a cristallizzare, il che avviene solo
se il magma di partenza era molto acido, in tal caso finisce per occupare tutti gli spazi lasciati liberi
dagli altri minerali, per questo si dice che è allotriomorfo.
Bisogna notare che la cristallizzazione è strettamente legata al chimismo del magma, oltre che alle
modalità di raffreddamento. I magmi sialici e femici hanno caratteristiche differenti in termini di:
• componenti chimici
• caratteristiche di fluidità
• maggiore o minore presenza di componenti volatili
I magmi acidi sono normalmente dei magmi ricchi in componenti volatili e caratterizzati da una
elevata viscosità. I magmi basici sono invece caratterizzati da una bassa viscosità, si tratta quindi di
magmi fluidi, e da una bassa presenza di componenti volatili.
La presenza di componenti volatili assume una grande rilevanza sia perché le emissioni gassose
potrebbero contenere gas velenosi, sia perché l'attività vulcanica di magmi contenenti componenti
volatili è un'attività a carattere esplosivo.

Rocce Ignee possono essere suddivise in 2 categorie: intrusive ed effusive.


Rocce Ignee Intrusive sono rocce che derivano dal raffreddamento lento di magmi tale da poter dar
luogo alla formazione di cristalli e minerali, infatti le rocce ignee intrusive hanno una struttura che
viene definita olocristallina granulare costituita cioè da tanti cristalli che si intersecano tra di loro.
Rocce Ignee Effusive sono caratterizzate da assenza di cristalli e minerali ma dalla presenza di una
massa vetrosa , solida, indistinta, all'interno della quale possiamo avere eventualmente qualche
singolo cristallo che ha avuto modo di potersi formare.
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ROCCE IGNEE INTRUSIVE


Tipo di Magma. Un magma acido, persilicico (ricco in silice), da vita ad una roccia che viene detta
granito. Man mano che si passa da un magma persilicico ad un magma mesosilicico e poi ad un
magma basico ed infine ad un magma ultrabasico si passa a delle rocce che prendono il nome
rispettivamente di sieniti, dioriti, gabbri.
Il Colore di queste rocce da mediamente chiaro nel caso del granito (di colore bianco o rosato per la
presenza di ortoclasio), diviene via via più scuro man mano che si passa alle sieniti, alle dioriti ed ai
gabbri, questi ultimi sono rocce scure che appaiono nere, a volte sembrano grigiastre per la
lucentezza che deriva dalla levigazione.
Componenti Mineralogiche:
Il granito è caratterizzato dalla presenza di quarzo, ortoclasio (felspato potassico), felspati sodici
(albite) e può contenere anche muscovite (più probabile) e biotite (meno probabile).
Passando dal granito alle sieniti iniziano ad apparire minerali ferro-magnesiaci, le miche, e
possiamo avere anche qualche anfibolo.
Nelle dioriti ormai è sparito il quarzo, c'è invece una modesta presenza di ortoclasio mentre ci sono
prevalentemente plagioclasi calcici, non più plagioclasi sodici.
Nei gabbri ci sono essenzialmente minerali ferro-magnesiaci, quindi olivina, anfiboli, pirosseni e
plagioclasi calcici.
Ovviamente la diversa componente mineralogica si ripercuote anche sulle caratteristiche tecniche
delle nostre rocce. Ad esempio il Peso di Volume di una roccia sarà condizionato dal peso di
volume dei minerali che la costituiscono. Se un granito è costituito soprattutto da minerali sialici
(quarzo, ortoclasio) il suo peso di volume sarà di circa 27-28 kN/m3 perché il peso di volume del
quarzo è 26,5 kN/m3 e dell'ortoclasio e dei plagioclasi un po’ maggiore.
Man mano che ci spostiamo verso i gabbri avremo rocce più pesanti perché saranno costituite da
minerali pesanti, come l'olivina, gli anfiboli, i pirosseni; il peso di volume dei gabbri è infatti pari a
circa 33 kN/m3.
Rocce Ignee Intrusive
Magma Roccia Composizione

Persilicico Granito Quarzo - Ortoclasio


Mesosilicico Sienite (acida) - Ortoclasio
Diorite (composizione sialica e femica in equilibrio) - Plagioclasio
Iposilicico Gabbro Plagioclasio

ROCCE IGNEE EFFUSIVE


In alcuni casi queste vanno a costituire una pasta vetrosa in cui non distinguiamo nessun cristallo,
più comunemente hanno una struttura vetrofilica o ipocristallina in cui abbiamo una serie di cristalli
immersi in una pasta vetrosa. A volte si ha prevalenza di pasta vetrosa ed in essa si riescono a
trovare pochi cristalli, in altre occasioni si osserva una prevalenza di microcristalli rispetto alla
pasta in cui sono immersi; in questi casi è difficile dire se abbiamo una roccia ignea intrusiva o
effusiva, in effetti si passa dalle une alle altre attraverso delle sfumature.
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Le rocce ignee effusive derivanti dal raffreddamento di un magma persilicico si chiamano porfidi,
in essi possiamo avere qualche cristallo di quarzo o di ortoclasio ed eventualmente qualche cristallo
di mica. Dai magmi mesosilicici ha origine la trachite, in essa troveremo un minerale, il sanidino,
che è il corrispondente effusivo dell'ortoclasio, è cioè un feldspato potassico, ha una struttura
cristallina leggermente diversa ed ha un colore bianco trasparente. L'andesite si forma da magmi
basici, ormai siamo nel campo di una roccia sicuramente scura formata prevalentemente da anfiboli
e pirosseni. Un magma iposilicico o ultrabasico ci da rocce detti basalti, rocce nere, scure, che
presentano fenocristalli di olivina e plagioclasi calcici.
Alcune delle rocce ignee effusive, che presentano una particolare ricchezza di fenocristalli tutti
dello stesso tipo, possono prendere il nome dal fenocristallo presente in maggior quantità.
E' il caso della Hauyna un minerale, un silicato tipico di magmi mesosilicici, una roccia ricca di
hauyna viene chiamata HAUYNOFIRO; un altro esempio è la LEUCITITE che è una roccia
classificabile nell'ambito di un porfido o come una roccia di passaggio tra un porfido ed una
trachite, ricca di un minerale sialico chiamato Leucite.
Rocce Ignee Effusive
Magma Roccia Composizione
Persilicico Porfido Quarzo - Ortoclasio - Plagioclasi sodici -
Miche - Anfiboli
Mesosilicico Trachite Sanidino - Plagioclasio sodico -
Feldspatoidi (Nefelina e Lecucite)
Andesite Plagiolasi sodico-calcico - Mica - Pirosseni - Anfiboli
Iposilicico Basalto Plagioclasio calcico - Anfiboli - Pirosseni - Olivina
ƒ Granito (roccia in forma cristallina) - Porfido (pasta vetrosa con presenza di fenocristalli)
hanno strutture diverse ma essenzialmente possiedono la stessa composizione chimica e il peso
di volume è per entrambi dell'ordine di grandezza di 27 kN/m3
ƒ Gabbro - Basalto hanno un peso di volume dell'ordine dei 33-34 kN/m3

STRUTTURA ROCCE INTRUSIVE


Parliamo ora delle strutture delle Rocce Ignee Intrusive; come già sappiamo queste rocce si
formano in profondità, la loro struttura classica è costituita da batoliti una massa di materiale da
raffreddamento di una roccia ignea che resta al di sotto della superficie terrestre andando a
costituire un ammasso di forma leggermente curvilinea che può avere dimensioni dell'ordine di
centinaia di km e che resta sepolto fino a quando viene erosa la parte più superficiale, allora viene a
giorno una roccia molto ben radicata, ad una profondità il cui limite inferiore non è sempre ben
definibile. Normalmente la parte superiore del batolite è ricca di minerali più leggeri (quarzo ed
ortoclasio) perché, durante la fase di raffreddamento, man mano che all'interno del magma fuso si
formano minerali, i minerali più pesanti (pirosseni ed anfiboli) tendono a precipitare nella parte più
bassa laddove il magma di base è persilicico.
Altre tipiche strutture che possiamo incontrare sono i filoni ed i dicchi.
I filoni si formano quando il magma che risale all'interno della crosta si inserisce in discontinuità
orizzontali di strati di rocce sedimentarie.
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Si formano invece i dicchi laddove il magma si intrude secondo strutture ad andamento verticale o
subverticale o in generale con un andamento diverso dalla struttura tipica della zona; quando i
materiali si intrudono in discontinuità strutturali della crosta terrestre.
Un'altro tipo di struttura è la laccolite, struttura ignea intrusiva in cui abbiamo un elemento radicale,
una zona di sorgente, un canale di alimentazione ed una massa ampia che non solo segue la struttura
ma si allarga. In questo tipo di struttura si evidenzia una rilevante attività ascendente che ha
permesso di deformare le rocce incassanti nell'interno delle quali si ha il raffreddamento del
magma.

STRUTTURA ROCCE EFFUSIVE e STRUTTURE VULCANICHE


Per quanto riguarda la giacitura delle Rocce Ignee Effusive sottolineiamo che è essenzialmente
legata ai fenomeni d vulcanesimo, sappiamo infatti che queste rocce provengono da fenomeni di
raffreddamento rapido che avviene in prossimità della crosta terrestre e sulla crosta stessa, a
contatto con l'atmosfera. I fenomeni di vulcanesimo sono legati ai fenomeni di risalita di magma
nella zona di passaggio tra crosta e mantello; nel mantello, dove la roccia comincia ad avere una
componente fluido-plastica, ci sono fenomeni di risalita del magma attraverso il cosiddetto condotto
magmatico che porta alla camera magmatica in cui è presente magma fluido che periodicamente, in
funzione dell'alimentazione che avviene dal condotto, può raggiungere la superficie terrestre dando
luogo alla formazione di un cono vulcanico la cui parte superiore viene detta cratere; normalmente
il vulcano si forma attraverso l'accumulo nel tempo del materiale che viene fuori dalla camera
magmatica.
La forma e la struttura dei vulcani dipende fortemente dal tipo di magma in essi presente.
I magmi basici o ultrabasici sono molto fluidi e producono fenomeni di stratificazione perché in
virtù della loro fluidità riescono ad allargarsi notevolmente, possono viaggiare sulle superfici per
distanze molto lunghe, in questi casi si originano i cosiddetti vulcani a scudo (o hawaiani)
caratterizzati da un camino molto corto e da un elevata estensione dell'area interessata dalla lava. Le
eruzioni a cui si assiste in questi casi non sono pericolose perché si ha tutto il tempo per evacuare
con calma la zona; si tratta di una lenta fuoriuscita di lava, si hanno colate che si muovono
lentamente sulla superficie, l'attività esplosiva è molto modesta, i materiali non vengono proiettati
in alto, in atmosfera, si hanno al più alcuni zampilli in prossimità del cratere.
Via via che il magma assume una composizione più sialica abbiamo la struttura tipica dei vulcani a
cui siamo più abituati, con la costruzione di un camino più alto, una struttura di pendenza
significativa in cui abbiamo più strati di lava sovrapposti, un tipico esempio è l'Etna.
Man mano che il magma diventa più ricco in silice possono venire a formarsi i vulcani cosiddetti a
bastione caratterizzati da un condotto che passa attraverso una vera e propria protrusione solida,
questo fa si che si abbia fuoriuscita di materiale già in parte raffreddato proprio perché
caratterizzato da alta densità; prima della fuoriuscita di magma c'è fuoriuscita di gas.
Passando da magmi basici a magmi acidi comincia ad essere sempre più elevata l'attività esplosiva
dei vulcani perché il magma acido, raffreddandosi prima, finisce per formare un tappo nel camino,
cioè nel condotto che collega la camera magmatica all'esterno. Ricordiamo poi che i magmi acidi
sono caratterizzati dalla ricchezza di materiali volatili che finiscono per dare luogo all'esplosione
del tappo di lava e addirittura all'esplosione dell'intero vulcano.
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Dai vulcani di questo tipo viene eruttato fin molto lontano materiale caratterizzato dall'assenza di
cristalli per via della fuoriuscita immediata, improvvisa ed esplosiva del magma. Si formano
minuscoli elementi che si raffreddano molto velocemente a contatto con l'atmosfera e che, per
effetto dell'esplosione violenta, arrivano anche a km di distanza, questi sono detti materiali
piroclastici. A seguito di un'eruzione esplosiva, sulla sommità del vulcano si può formare un fungo
di cenere, e anche la creazione di nubi ardenti, nubi di materiale piroclastico che viene così
trasportato a grandi distanze, nubi costituite da un insieme di aria e particelle incandescenti che
possono raggiungere decine di km di distanza dal punto in cui si originano.
Questo è il tipo di esplosione più pericolosa che si può verificare.
La zona circostante il vulcano viene completamente sepolta da materiale emesso in tempi
rapidissimi (aria e particelle che viaggiano alla velocità di decine di m/s).
Nei casi di eruzione che da vita a nubi ardenti l'unica misura di sicurezza che si può adottare è
l'evacuazione preventiva della zona dove possono verificarsi questi fenomeni.
Un esempio di questo tipo di eruzioni è l'esplosione del Monte Somma nel 79 d.C. che ha provocato
la distruzione di Pompei e di Ercolano. All'interno del Monte Somma si è venuto a creare a seguito
di nuove esplosioni un nuovo vulcano: il Vesuvio.
Il raffreddamento rapidissimo della nube di aria bollente da origine al tufo, materiale caratterizzato
dalla presenza di vuoti al suo interno, legati appunto al raffreddamento rapido di queste rocce.
A seconda del tipo di magma da cui sono alimentati i vulcani possono avere forme caratteristiche ed
attività differenti.
I vulcani alimentati da magmi persilicici hanno caratteristiche di maggior pericolosità, questi
magmi danno origine ad attività vulcanica di tipo esplosivo anche molto violenta e portano al
verificarsi di fenomeni distruttivi per ricaduta piroclastica e per la formazione di nubi ardenti
ovvero di nubi di fuoco e lapilli che possono viaggiare anche per decine di km. Appartiene a questo
gruppo (vulcani esplosivi) il Vesuvio. I magmi iposilicici originano invece colate di lava. Sono
vulcani di questo tipo l'Etna e lo Stromboli.
I vulcani si possono trovare:
• in corrispondenza delle zone di scontro tra placche,
in questo caso una placca, la più pesante, subduce, si infila al di sotto dell’altra che invece tende
ad innalzarsi; in corrispondenza di questa seconda placca si hanno terremoti e fenomeni di
risalita di magma proveniente dalla crosta continentale ed avente perciò caratteristiche
silicatiche che, come abbiamo già detto, danno luogo ad eruzioni a carattere esplosivo
• laddove abbiamo uno scontro tra due pezzi di crosta oceanica,
questo è il caso ad esempio dell’arco insulare giapponese, dove troviamo tipicamente vulcani
alimentati da magmi iposilicici caratterizzati dal verificarsi di eruzioni continue dove però non
si rilevano mai attività esplosive significative ma semplici colate laviche a differenza di quanto
accade in corrispondenza della cordigliera delle Ande e delle montagne rocciose
Per quanto riguarda l’Italia iniziamo con l’osservare che la nostra nazione si trova in una posizione
particolare di scontro tra placca africana e placca europea, dove la placca africana subduce alla
placca europea.
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Il rischio vulcanico in Italia si manifesta in forme diverse: da una parte abbiamo vulcani a carattere
effusivo tranquillo l’Etna ed i vulcani siciliani, come ad esempio lo Stromboli, ma, se arriviamo
nella zona del Vesuvio, se consideriamo quindi tutta la zona flegrea, troviamo una serie di vulcani
in parte semiattivi caratterizzati da un’attività esplosiva molto violenta, infatti tutta la zona
circostante è caratterizzata dalla presenza di materiali piroclastici, in particolare da tufo che si forma
dopo il raffreddamento rapido di brandelli di materiale vulcanico ardente assieme all’aria.
Altri fenomeni di particolare pericolosità connessi al vulcanesimo sono i cosiddetti LAHAR che
sono delle colate di fango e detrito che si verificano soprattutto in zone montuose laddove, a seguito
del calore emesso dalle eruzioni, parte del ghiaccio e della neve presenti ad alta quota riescono a
sciogliersi e possono svilupparsi delle colate di fango e detrito che possono muoversi con velocità
di decine di m/s e che di fatto spazzano via tutto ciò che si trova a valle; infatti se già l'onda d'urto
di un'onda d'acqua arriva a produrre effetti devastanti consideriamo quanto maggiore sarà la
potenzialità distruttiva di un materiale a cui la fluidità conferisce velocità confrontabili con quella
che riesce a raggiungere l'acqua ma che essendo un materiale più compatto risulta maggiormente
dannoso. In tutta la zona vesuviana, l’arco flegreo, ci sono vulcani con caratteristiche distruttive,
durante le loro eruzioni il materiale incandescente poteva essere proiettato anche a grandi distanze;
gli stessi laghi della zona romana sono vulcani ormai estinti.
Nelle zone circostanti a questi vulcani caratterizzati da attività esplosiva si ha ricaduta di materiali
leggeri piroclastici, questi materiali oltre ad essere pericolosi di per se perché inizialmente sono
incandescenti, in seguito possono provocare anche altri problemi, infatti questi materiali finiscono
per depositarsi e poi, per effetto della pioggia, possono dare luogo a colate di fango, colate di
materiali piroclastici. Fortunatamente questi fenomeni che prendono il nome di LAHAR si
verificano di norma in zone senza insediamenti. (In alta montagna si verificano fenomeni analoghi
ai lahar quando la neve in questo caso invece della pioggia fluidifica il materiale, si tratta di
fenomeni più o meno simili alle valanghe)
Oltre ad un vulcanesimo che è di norma associato ad attività di tipo sismico ed è originato da
fenomeni di scontro tra placche esistono anche vulcani la cui origine non è legata allo scontro tra
placche. In alcune zone abbiamo infatti fenomeni di vulcanesimo “all'interno” di placche
normalmente di tipo oceanico. Questo avviene perché la crosta oceanica è abbastanza sottile ed è
possibile che in alcune aree si abbia una particolare risalita di calore dall'astenosfera verso la crosta;
questo calore può provocare la fusione della crosta e conseguentemente una fuoriuscita di magma;
queste zone sono dette PUNTI CALDI e sono caratterizzate da un’anomalia della temperatura
all'interno della crosta (zone calde del mantello), infatti mentre normalmente la temperatura cresce
con la profondità secondo un gradiente geotermico di 3° ogni 100 m, nei punti caldi il gradiente
geotermico arriva a 7-8° ogni 100 m.
Questi vulcani sono caratterizzati da magmi iposilicici o ultrabasici, essenzialmente basaltici, i
magmi più fluidi di tutti, e non sono associati ad attività sismica, tipicamente questo è il caso delle
Hawaii.
Ancora di un altro tipo sono i vulcani che possiamo trovare in Islanda, formata a cavallo della
dorsale atlantica; la nascita di questi vulcani è associata a movimenti convettivi nel mantello,
nell'astenosfera, che tendono a spaccare la crosta e a dare fuoriuscita di magma.

NOTA
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C’è differenza tra la terminologia corrente nella pratica professionale e la terminologia commerciale; in quella
commerciale ogni pietra levigabile, lucidabile viene chiamata marmo, dal punto di vista petrografico spesso si tratta di
un granito.
Un altro esempio: il tufo. Nella terminologia corrente il tufo indica un certo materiale, in Puglia dal punto di vista
petrografico non c’è tufo ma calcarenite. In petrografia il tufo è una roccia ignea intrusiva dovuta al raffreddamento
rapido dopo un attività esplosiva dovuta a magmi per silicici. La calcarenite pugliese si chiama comunemente tufo
perché ha caratteristiche tecniche simili ad esso, ma in realtà si tratta di due cose diverse.
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ROCCE SEDIMENTARIE
Le rocce sedimentarie provengono da processi di alterazione e disgregazione di altre rocce che
vengono in qualche modo smantellate; il materiale di queste altre rocce viene trasportato e viene poi
depositato in un'altra zona dando luogo ad un altro tipo di rocce che chiamiamo rocce sedimentarie
perché sono formate da sedimenti cioè da materiale trasportato e accumulato.
Le rocce da cui provengono possono essere ignee, metamorfiche o altre rocce sedimentarie.
Le rocce sedimentarie:
• Hanno origine da materiale che si deposita e che si accumula per varie cause;
• Non sempre si tratta di un processo continuo;
• Sono rocce stratificate e rappresentano accumuli successivi nel tempo;
• Gli strati individuano pause nella sedimentazione;
• Sono diffusissime, ma solo fino a profondità limitate (max. 10 km).
Il processo che da luogo alla formazione di rocce sedimentarie non è sempre di tipo continuo ma il
più delle volte è discontinuo nel tempo, se consideriamo ad esempio i materiali che si accumulano
per effetto del trasporto di piene fluviali si depositeranno solo in corrispondenza di eventi di piena.
Tipicamente le rocce sedimentarie presentano degli elementi di discontinuità orizzontale o
suborizzontale che individuano dei pacchetti di materiale che vengono chiamati STRATI; queste
superfici di discontinuità che separano gli strati indicano delle pause nella fase di sedimentazione,
di accumulo dei materiali; quanto più i materiali sono fittamente stratificati tanto più abbiamo
un’alternanza di fasi di deposizione e di periodi di stasi, quanto più fitte sono le discontinuità ed i
materiali sono costituiti da una serie di strati sovrapposti molto sottili tanto più c’è stata una
successione di fasi di deposizione e di interruzione della deposizione.
Le rocce sedimentarie sono molto diffuse ma sono presenti come una spalmatura sulla superficie
della crosta, il massimo spessore raggiunto è di 10 km, è solo un piccolo straterello sulla superficie
della crosta terrestre se pensiamo che la Terra ha un raggio pari a circa 6400 km.

FASI DELLA SEDIMENTOGENESI (= genesi dei sedimenti)


Abbiamo 3 fasi fondamentali:
o Degradazione
o Trasporto
o Deposizione
La fase di degradazione è quella in cui le rocce madri subiscono un processo di smantellamento, di
alterazione; se noi consideriamo un qualsiasi manufatto e lo lasciamo esposto agli agenti
atmosferici vedremo che, quale che sia questo manufatto, nel tempo, se non è oggetto di
manutenzione subirà un degrado (pensiamo anche agli edifici).
Come ogni manufatto anche le rocce esposte agli agenti atmosferici subiscono dei fenomeni di
alterazione e degradazione dovuti a processi di tipo fisico, chimico (ossidazione - idratazione -
carbonatazione - idrolisi) e marginalmente anche a processi di tipo biologico.
I fenomeni di tipo chimico sono fenomeni di dissoluzione o di alterazione.
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Ci sono sostanze che possono essere disciolte (dissoluzione) tipicamente per esempio una roccia
calcarea in ambiente acido può essere disciolta in acqua, il carbonato di calcio (calcare) è
trasformato in carbonato solubile e trasportato a distanza. Altri tipi di rocce invece possono subire
fenomeni di alterazione cioè di trasformazione da un tipo di minerale ad un altro tipo di minerale,
ad esempio i feldspati che sono minerali molto diffusi si trasformano in minerali argillosi sotto
l'azione di acque ricche di anidride carbonica.
L'alterazione chimica apre lo spazio anche ai processi di degradazione di tipo fisico perché consente
la penetrazione dell’acqua che, laddove la temperatura scende sotto lo zero, ghiacciando, aumenta
di volume e facilita le fratturazioni; ma, anche senza pensare a fenomeni di questo tipo, già solo
l'escursione termica, laddove abbiamo rocce costituite da diversi minerali, porta ad una
disgregazione della roccia, questo perché i diversi minerali di cui si costituisce la roccia hanno
diversi coefficienti di dilatazione termica e subiscono di conseguenza dilatazioni termiche di diversa
entità, abbiamo quindi processi di espansione e di contrazione differenti da un minerale all’altro
(pensiamo ad esempio al granito che è costituito da tanti minerali diversi, ciascuno dei quali avrà un
diverso coefficiente di dilatazione termica e reagirà in maniera diversa alle escursioni di
temperatura). I diversi minerali hanno inoltre diversa resistenza ai fenomeni di alterazione chimica,
alcuni vengono subito attaccati dal punto di vista chimico, tipicamente questo è il caso dei feldspati,
altri minerali invece, come il quarzo, sono più resistenti però si è verificato che, nel momento in cui
si innesca una serie di processi di tipo sia fisico che chimico che porta alla fratturazione delle rocce,
all’aumentare delle fratturazioni aumenta la possibilità per la roccia di essere aggredita. Facciamo
un esempio per spiegare meglio questo concetto e consideriamo un quadrato di lato a pari 4 unità a
cui corrisponderà un perimetro pari a 16, il perimetro rappresenta la sua superficie di contorno
ovvero la parte che può essere attaccata dall’esterno; se fratturiamo il quadrato in 4 elementi
avremo 4 quadratini di lato 2 ed un perimetro complessivo pari a 24, questo significa che a parità di
“volume” se un elemento è fratturato si ha un aumento della “superficie” che può essere attaccata;
supponiamo ora di dividere il quadrato in 4 parti questa volta rettangolari piuttosto che quadrati,
questa volta il perimetro sarà pari a 28, questo evidenzia che, a parità di “volume”, quanto più la
forma è allungata tanto più aumenta la “superficie” aggredibile.
Riassumendo una volta che si innesca il processo di degradazione ed il materiale comincia a
fratturarsi la superficie aggredibile diventa via via maggiore, tanto più se le fatturazioni sono
allungate, e quindi il processo avanza più rapidamente.
Su alcune rocce possiamo avere anche processi di tipo biologico ma questi sono più rari, meno
frequenti e di conseguenza meno rilevanti.
Un altro elemento che assume valenza importante nella fase di degradazione è il clima; i processi di
degradazione sono infatti maggiori e molto più forti nel caso di climi umidi, questo perché i
fenomeni di idratazione e di ossidazione che sono i fenomeni più incisivi di attacco chimico
avvengono in presenza di acqua; nei climi aridi i fenomeni di degradazione sono sicuramente meno
accentuati mentre la presenza di un suolo di copertura vegetale favorisce lo sviluppo di processi di
alterazione perché crea un substrato umido-acido.
Se lasciamo un chiodo esposto in atmosfera questo subirà nel tempo un certo processo di
arrugginimento e degradazione, se però lo sotterriamo lo troveremo consumato dall’interno e
potremo spezzarlo facilmente, per effetto dell’ambiente acido sarà infatti consunto internamente.
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Alla fase di degradazione seguono i fenomeni di trasporto che sono legati ad agenti naturali in
movimento: vento, ghiacciai ed acque.
Il vento trasporta materiali di granulometria fine o media, quindi le particelle di dimensioni più
piccole perché l’energia del vento non è tale da riuscire a trasportare elementi di grosse dimensioni.
Ci riescono invece i ghiacciai che hanno una grande capacità di degradazione e di trasporto anche
delle rocce più grandi. Il materiale viaggia all’interno della massa di ghiaccio in movimento e
soprattutto sui suoi bordi. Il materiale che può essere trasportato dai ghiacciai è un materiale a
granulometria molto variabile (da molto fine a grossolana) per questa ragione normalmente nei
depositi dovuti a materiali provenienti dai ghiacciai abbiamo mescolati insieme materiali a
granulometria differente, ciottoli di grosse dimensioni uniti a sabbie e ancora ad argilla molto
minuta.
L’ultimo e più importante elemento di trasporto è l’acqua. Distinguiamo le acque continentali dalle
acque marine: le prime sono tipicamente acque provenienti da ruscellamenti superficiali, quindi
corsi d’acqua medi e piccoli; le seconde non sono altro che il mare, le correnti marine e l’azione del
moto ondoso. Per quanto riguarda l’acqua il trasporto può essere dovuto a correnti in soluzione o in
sospensione. Se si ha una degradazione chimica che da vita ad una dissoluzione il trasporto è in
soluzione, tipicamente questo è il caso del carbonato di calcio che viene attaccato da acque ricche di
anidride carbonica, si trasforma in bicarbonato solubile e viene trasportato in soluzione fino ad un
punto in cui l’equilibrio di temperatura e pressione è tale che la reazione di trasformazione dei
carbonati in bicarbonato (carbonato Ù bicarbonato) non è più in equilibrio ed essendo una
trasformazione reversibile si ha la precipitazione del carbonato di calcio con la formazione di
stalattiti e stalagmiti all’interno di grotte o con la precipitazione calcare sulla resistenza della
lavatrice o dello scaldabagno!! (in breve accade che quando nelle nostre case arriva un acqua ricca
di bicarbonato di calcio, proveniente da acquiferi cartonatici, vicino alle resistenze degli
elettrodomestici trova condizioni di temperatura e pressione che provocano l’inversione della
reazione, si ha precipitazione del bicarbonato solubile che si trasforma in carbonato e forma la
crosta di carbonato di calcio, di calcare)
La capacità di trasporto è legata all’energia, quanto maggiore è l’energia tanto maggiore è la
capacità di trasporto. L’energia cinetica va con il quadrato della velocità K=(1/2)mv2
Le particelle di grosse dimensioni possono essere trasportate da correnti molto veloci, man mano
che la velocità diminuisce si passa gradualmente dalla deposizione delle particelle più grosse fino a
quelle di dimensioni più piccole.
Durante la fase di trasporto si verificano ulteriori fenomeni di degradazione; consideriamo ad
esempio un clasto, cioè un elemento che viene trasportato da una corrente, esso finisce per assumere
una forma via via più regolare, subisce una smussatura degli spigoli, assume una forma tipicamente
tondeggiante a differenza di quanto accade nel caso di materiali trasportati dai ghiacciai. Nei
ghiacciai infatti il materiale urta in continuazione con altri materiali e viene fratturato ma non
“lavorato” come avviene invece nel caso di trasporto effettuato da acque.
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AMBIENTI DI SEDIMENTAZIONE
Gli ambienti di sedimentazione sono definiti dai geologi come quelle località geografiche
caratterizzate da una particolare combinazione di condizioni ambientali e di processi geologici. Le
condizioni ambientali comprendono il tipo e la quantità di acqua, la topografia e l’attività biologica.
I processi geologici tengono conto della natura delle correnti che trasportano e depositano i
sedimenti.
Gli ambienti di deposizione possono essere di tipo continentale o marino, c’è poi una fascia di
ambienti di transizione ovvero di luoghi lagunari, zone in cui si ha un passaggio dalle zone
continentali vere e proprie agli ambienti marini.
¾ Possiamo distinguere gli ambienti continentali in due gruppi:
- sub-aerei: si tratta di zone al di fuori del mare e caratterizzate dall’assenza di acqua,
tipicamente le dune eoliche (dove l’agente di trasporto è il vento e il materiale si accumula
sul continente in assenza di acqua), le montagne (si ha disgregazione della parte superiore e
accumulo a valle dei detriti),e ancora i deserti, le zone pedemontane e le zone glaciali;
- subacquei: si verificano nei corsi d’acqua e nei laghi (ed in questo caso sono quindi legati ad
una deposizione più o meno continua) ma possono essere anche alluvionali (nel caso in cui
la deposizione sia legata a singoli eventi alluvionali)
¾ Gli ambienti di transizione possono essere di tipo: lacustre – palustre – lagunare – deltizio.
Sono ambienti tipicamente subacquei caratterizzati dalla presenza e dall’alternarsi di acque
dolci e salate che creano una variazione di condizioni nel tempo, tanto da non poter ritenere
l’ambiente né marino né continentale.
¾ Gli ambienti marini in funzione della profondità sono distinti in: neritico, pelagico e adale (o
batiale). In prossimità della linea di costa l’energia legata al moto ondoso è significativa e
quindi possono essere movimentati elementi di grosse dimensioni, all’aumentare della
profondità si trovano invece via via accumuli di materiali di granulometria molto fine, al largo
si depositeranno materiali a granulometria finissima.
Man mano che gli apporti che arrivano dalle zone continentali raggiungono l’ambiente marino si ha
una perdita di energia con la deposizione prima dei materiali a granulometria più grossolana e poi
via via sempre più fine.
Subaereo Desertico
AMBIENTI CONTINENTALI Glaciale
Subacqueo Fluviale
palustre
AMBIENTI DI Deltizio e di estuario, lagunare, littorale
TRANSIZIONE
AMBIENTI MARINI Neritico (Infralittorale e circalittorale); Batiale e Abissale
Ambienti di sedimentazione

Una volta che si sono completate le fasi di degradazione, trasporto e deposizione comincia l’ultima
fase che ci porta all’aggregazione di singoli elementi, alla formazione di una roccia coerente.
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Questa fase si chiama diagenesi, si ha che un insieme di sedimenti, di elementi clastici e di piccoli
elementi da essere un accumulo di materiale sciolto diventano una roccia vera e propria; la
diagenesi avviene tipicamente per lo sviluppo di processi di tipo fisico o chimico, principalmente la
maggior parte della diagenesi si realizza per fenomeni di tipo chimico di deposizione di materiale
cementante, per lo sviluppo di legami di cementazione, ma può anche avvenire per compattazione.
Alcuni autori distinguono :
– una diagenesi precoce, che avviene rapidamente appena terminata la fase di deposizione ed è
detta sindiagenesi
– da una diagenesi tardiva che porta alla formazione di nuovi minerali ed è detta anadiagenesi.
La diagenesi precoce, la cui azione può essere sia chimica che meccanica, prende l’avvio dalle
mutate condizioni chimico - fisiche che si determinano in corrispondenza o al di sotto della
superficie di separazione sedimento - mezzo di deposizione (interfaccia) che limita o impedisce gli
scambi dei fluidi e conferisce una spiccata indipendenza ai due ambienti. I fattori che controllano i
processi diagenetici, soprattutto in questa prima fase, sono il potenziale di ossida riduzione (Eh) e la
concentrazione degli ioni idrogeno (pH) del l’ambiente diagenetico, che acquistano valori diversi da
quelli del l’ambiente di deposizione. Particolare importanza assume l’Eh che, nei primi centimetri
di sedimento al di sotto dell’interfaccia, subisce una forte riduzione e passa, in genere, dai valori
positivi dell’ambiente di deposizione a valori negativi, soprattutto per l’azione dei batteri che
consumano rapidamente 1’ossigeno presente nell’ambiente diagenetico, In queste mutate condizioni
il sedimento e i fluidi interstiziali che lo saturano, tendono a nuovi equilibri geochimici.
Le variazioni del pH, che tende ad aumentare al di sotto della interfaccia, sono provocate dalla
decomposizione delle sostanze organiche e dalle acque freatiche o di fondo. Queste variazioni
esercitano la loro influenza soprattutto sulla precipitazione dei carbonati e ad esse, in particolare.
sono dovuti i processi di cementazione dei sedimenti calcarei.
L’azione meccanica nella diagenesi è quella esercitata da organismi limivori e scavatori (
rimescolamento dei sedimenti superficiali), mentre il costipamento avviene in tutti i livelli e, in
particolare in quelli più profondi. L azione dell’anadiagenesi è controllata dalla temperatura e dalla
pressione che crescono con la profondità di seppellimento, assumendo valori più alti di quelli
dell’ambiente sedimentario e determinano cosi ’ processi chimici e fisici analoghi ai precedenti, ma
di maggiore intensità che portano alla litificazione completa. Tra i processi diagenetici, oltre al
costipamento e alla cementazione (deposizione chimica di minerali negli spazi intergranulari), che
sono i più diffusi e tra i più importanti, vanno ricordati la ricristallizzazione la sostituzione, il
metasomatismo, l’autigenesi e la soluzione differenziale. La ricristallizzazione consiste in una
variazione delle dimensioni dei cristalli senza modifiche del chimismo della roccia.
La sostituzione, che comporta la ridistribuzione dei composti chimici costituenti il sedimento,
avviene attraverso la sostituzione dei minerali (ad es. anidrite sostituita da gesso) o attraverso la loro
concentrazione locale (ad es. noduli e liste di selce). Un processo affine alla sostituzione è il
metasomatismo che consiste in una reazione di doppio scambio tra i sedimenti e i fluidi interstiziali,
con formazione di nuovi minerali e senza notevoli variazioni di volume. Il più noto processo
metasomatico, ancora in parte controverso, è la dolomitizzazione che interessa grandi masse
calcaree ed è legata alla presenza in essa di minerali instabili quali l’aragonite e 1a magnesiocalcite.
L’Autigenesi si verifica con lo sviluppo di cristalli non presenti in precedenza nel sedimento
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(minerali di neo formazione o autigeni) ovvero con la ripresa della cristallizzazione su cristalli
detritici (ad es. quarzo nelle arenarie), con tendenza a dar loro forme euedrali. Tra i minerali
autigeni, ricordiamo i feldspati e il quarzo (nei calcari e nelle arenarie).
La soluzione differenziale, infine, interessa i singoli granuli, che reagiscono a seconda della loro
solubilità, provocandone la soluzione parziale o totale, fino a determinare la scomparsa di alcune
specie mineralogiche (ad es. olivina e pirosseni).
Poiché la pressione provoca un aumento della solubilità, spesso due granuli adiacenti risultano
vicendevolmente compenetrati, dando luogo in alcune rocce, soprattutto calcaree, a superfici di
soluzione (superfici stilolitiche) molto irregolari che hanno, in sezione, un andamento seghettato
(stiloIiti).

CLASSIFICAZIONE DELLE RECCE SEDIMENTARIE


Un tipo di classificazione è basata sull’origine delle rocce. Distinguiamo:
1. rocce detritiche = sono una grossa fetta delle rocce sedimentarie, sono costituite da un insieme
di elementi che provengono dal processo di degradazione di altre rocce che si accumulano e,
grazie allo sviluppo di una diagenesi, finiscono per assumere una consistenza lapidea, dura,
coerente
2. rocce di origine chimica = non vengono dall’accumulo di singoli elementi trasportati in
sospensione ma traggono origine dalla deposizione di materiali trasportati in soluzione che ad un
certo punto danno luogo a dei precipitati
3. rocce di origine biochimica = rocce in cui ha un forte effetto l’azione di microrganismi, tipica è
ad esempio la creazione di una barriera corallina che da luogo ad una roccia di origine
biochimica perché abbiamo dei microrganismi che fissano il carbonato di calcio, costituiscono
una serie di gusci e permettono la formazione di questa barriera corallina che è una vera e
propria roccia
Classifichiamo le rocce detritiche in base alle dimensioni dei grani che le costituiscono in:
Nome della Roccia Dimensione dei Grani (diametro)
RUDITI > 2 mm ghiaie
ARENITI 2 mm - 1/16 mm sabbie
LUTITI 1/16 mm - 1/256 mm silt - limi
PELITI < 1/256 mm argille
Molto spesso sia pure con qualche differenza nei limiti quando parliamo di ruditi possiamo parlare
di ghiaie, quando parliamo di areniti sono delle sabbie, le lutiti sono dei silt oppure limi, le peliti
sono delle argille. Specialmente per le ruditi e per le areniti, in funzione della composizione dei
grani possiamo dare un nome alla roccia: delle ruditi o delle areniti costituite essenzialmente da
carbonato di calcio si dicono rispettivamente calciruditi o calcareniti.
Dal punto di vista petrografico, quello che comunemente noi chiamiamo tufo è in realtà una
calcarenite cioè un materiale che si è formato per accumulo nel tempo di elementi clastici minuti su
cui si sono sviluppati dei legami di cementazione, in petrografia invece il tufo è una roccia
piroclastica che deriva dal raffreddamento rapido di materiali provenienti dall’eruzione di un
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vulcano alimentato da magmi sialici, è dunque una roccia porosa costituita da un insieme di
granelli, e la cui porosità è dovuta al raffreddamento improvviso del magma.
Le ruditi vengono distinte in ruditi epiclastiche che si sono formate attraverso un processo di
alterazione, trasporto e deposito (in una parola di sedimentogenesi) che può essere avvenuto in
ambiente continentale (alluvionale, lacustre, glaciale,eolico, fluviale) o in ambienti marini,
(pensiamo alla breccia di scogliera, ai conglomerati trasgressivi). Possono essere piroclastiche,
alcuni inseriscono le rocce piroclastiche tra le rocce sedimentarie. Ed ancora, rocce cataclastiche
cioè rocce formate in corrispondenza di zone di frattura della crosta; nei punti in cui si verifica una
rottura della crosta, con spostamento del terreno e la roccia si presenta tutta rotta e fratturata
tipicamente si trovano rocce cataclastiche.
Le ruditi vengono distinte in brecce o conglomerati in funzione del grado di arrotondamento dei
granuli; in particolare assumono il nome di brecce le rocce sedimentarie detritiche i cui grani hanno
dimensioni maggiori di 2mm (valore tipico delle ruditi) e costituite da elementi a spigoli vivi. La
presenza di questi elementi a spigoli vivi ci indicano che il trasporto è stato breve e caratterizzato da
una energia non particolarmente elevata che non è riuscita ad arrotondare i grani, a smussare le
spigolature.
Una breccia cataclastica è una roccia che contiene elementi a spigoli vivi che non ha subito un
trasporto significativo e questo può verificarsi solo in punti in cui c’è una frattura, una rottura del
materiale e dove la roccia è rimasta imprigionata; al suo interno non vediamo altri elementi a
granulometria fine. Si dice invece puddinga un roccia in cui trovo elementi a spigolo vivo che
convivono con elementi arrotondati. Infine i conglomerati sono rocce sedimentarie detritiche
caratterizzate da clasti arrotondati. Un conglomerato può essere monogenico (se i clasti che
costituiscono la roccia hanno tutti la stessa natura) o poligenico (se abbiamo insieme elementi
lapidei diversi, per esempio clasti costituiti da carbonato di calcio con grani di quarzo e ancora altri
materiali di differente origine).
All’interno delle ruditi e delle areniti sono presenti i grani o clasti ma non sempre questi
costituiscono tutta la roccia, fra di essi vi sono un insieme di vuoti che possono o meno essere
riempiti da materiale a granulometria più fine che prende il nome di matrice. La matrice ha la stessa
funzione del conglomerato cementizio, è un materiale di semplice riempimento; su questo poi si
imposta un legante che tiene unito il tutto, legante che in molti casi, almeno dalle nostre parti, è un
materiale calcareo (è costituito da carbonato di calcio). Quindi abbiamo lo scheletro costituito dai
frammenti clastici, la matrice che è un materiale fine di riempimento ed il legante, un cemento che
tiene unito il tutto (è un precipitato chimico che si forma durante la fase di diagenesi).
Parliamo di rocce intraformazionali se i materiali con cui si sono formate provengono da un vicino
bacino di alimentazione, abbiamo invece rocce sedimentarie extraformazionali se i materiali che le
costituiscono vengono da lontano. E’ importante ricordare la differenza tra:
Brecce e Conglomerati
Scheletro Matrice e Cementi (o Leganti)
Ruditi Areniti Lutiti Peliti
Ruditi e Areniti Calcaree ⇒ Calcirudite Calcarenite
In alcuni casi si può anche parlare di calcilutiti
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Molti dei calcari che affiorano nelle nostre zone sono comunemente detti calcari perché sono
costituiti da depositi di carbonato di calcio ma in realtà sono calcilutiti o calcipeliti, sono dei fanghi
calcarei che si sono consolidati ed in cui non possiamo più distinguere uno scheletro (cioè i clasti)
dal riempimento e dal legante se non utilizzando una grande risoluzione.
A volte l’argilla (pelite) sembra avere una consistenza lapidea, la possiamo rompere con un martello
ma se la mettiamo in acqua si scioglie e ci da un fango che si è compattato per effetto di una
modesta diagenesi per via di legami di cementazione costituiti da carbonato di calcio.

CLASSIFICAZIONE DELLE ROCCE CARBONATICHE CALCAREE


In funzione della percentuale di granuli o di matrice parliamo di calcirudite calcarenite o calcilutite
laddove i granuli costituiscono più del 50% delle rocce, diremo invece micrite una roccia in cui la
matrice inizia a prendere il sopravvento sugli elementi clastici ed invece i granuli costituiscono
meno del 50% della roccia, avremo olomicrite se i granuli costituiscono meno del 10 % (olomicrite
= roccia tutta costituita da micrite che è un fango calcareo che funge da riempimento). La micrite è
una matrice.
DETRITICHE (matrice micrite = fango calcareo)
Micrite (%) Granuli (%)
0 - 10 Calcirudite 90 - 100
Calcarenite
Calcilutite
(intraclastica, bioclastica)
10 - 50 Calcirudite 50 - 90
Calcarenite
Calcilutite
(intra – bio – micritica)
50 - 90 Micrite 10 - 50
(intraclastica, bioclastica)
90 - 100 Olomicrite 0 - 10
Ancora le rocce carbonatiche possono essere costituite da carbonato di calcio (calcare) e carbonato
doppio di calcio e magnesio (dolomite). Se il calcare è presente in quantità maggiore all’85% della
roccia parliamo di calcari, se è invece la dolomite a costituire più dell’85% della roccia parleremo
di dolomie, in mezzo ci sono i calcari dolomitici e le dolomie calcaree a seconda che prevalga il
calcare o piuttosto la dolomite.
CaCO3 (%) MgCa(CO3)2 (%)
100 – 85 Calcari 0 - 15
85 – 50 Calcari Dolomitici 15 - 50
50 – 50 Dolomie Calcaree 50 - 85
15 – 0 Dolomie 85 - 100
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Le rocce argillose
Altri tipi di rocce detritiche che assumono una particolare rilevanza per noi perché affiorano
sull’Appennino e nella zona di Taranto sono le PELITI o ARGILLE, materiali di norma misti con
lutiti o limi o silt (peliti è sinonimo di argille mentre lutiti=limi=silt sono tutti in qualche modo
sinonimi).
Sono materiali a granulometria molto fine e di norma sono caratterizzati da una abbondante
presenza di minerali argillosi che hanno la caratteristica di avere una grande capacità di interazione
con l’acqua e che proprio in funzione della maggiore o minore presenza di acqua possono
modificare la loro consistenza.
Tipicamente nel momento in cui i materiali argillosi entrano in contatto con l’acqua assumono una
caratteristica plastica, questo significa che la roccia acquisisce la capacità di deformarsi a volume
costante se sottoposta a sforzi anche molto modesti senza che si giunga alla rottura della roccia
stessa; come ben sappiamo infatti l’argilla è modellata per ricavare ad esempio vasi di terracotta.
In Italia ed in particolare dalle nostre parti, non abbiamo affioramenti di materiali a granulometria
fine che non abbiano un’ abbondante presenza di minerali argillosi, questi ultimi in generale
provengono dall’alterazione di feldspati.
In alcune zone desertiche ci sono invece degli affioramenti di materiali molto fini che hanno però
proprietà inerti e non riescono a legarsi e ad interagire con l’acqua, questi prendono il nome di
LOESS e si trovano ad esempio in Australia, o in piccoli depositi nel Sahara e ve ne sono grandi
depositi nella Russia asiatica, li troviamo quindi in climi freddo-aridi o caldo-aridi (in zone
caratterizzate da assenza di significativo apporto di acqua) e sono legati a materiali a granulometria
molto fine che non provengono dall’alterazione di feldspati.
Nel nostro territorio, in tutto l’Appennino, troviamo argille, quindi materiali a granulometria fine,
spesso accompagnate da intercalazioni di materiali a granulometria più grossolana come sabbie e
areniti; questo perché le argille si depositano normalmente in ambienti caratterizzati da bassissima
energia dove quindi vengono trasportati questi materiali a granulometria molto fine che si
depositano in maniera tranquilla, stratificata ma, occasionalmente, possono verificarsi degli episodi
in cui si deposita materiale un po’ più grossolano per esempio l’arrivo di una piena può portare alla
formazione di interstrati sabbiosi oppure dei movimenti tettonici possono provocare un
innalzamento o un abbassamento del livello marino e quindi far cambiare le condizioni di
sedimentazione; quindi all’interno di una stessa roccia sedimentaria possiamo avere degli episodi di
materiale a granulometria più fine o più grossolana in funzione dei cambiamenti che si verificano
durante la sedimentazione.
Quando le argille diventano cementate assumono il nome di ARGILLITI (in alcuni casi s’indicano
con il termine inglese SHALE o in altri casi CLAYSTONE che significa roccia costituita da
argilla). Spesso queste argille hanno subito deformazioni tettoniche, si presentano perciò anche
molto stressate e presentano una serie di piani di rottura al loro interno.
Normalmente le nostre argille sono caratterizzate da un’abbondante presenza di carbonato di calcio,
quelle che troviamo nella zona di Taranto per esempio hanno tenori di carbonato di calcio che
possono raggiungere anche il 35%; la maggior parte di questo carbonato di calcio è un carbonato di
precipitazione, dovuto alla soluzione in cui precipita l’argilla, un carbonato in soluzione che
dobbiamo distinguere dal carbonato legato ai gusci fossili che sono sempre presenti nell’argilla
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(micro e macro fossili costituiti da materiali dal guscio calcareo). Il carbonato di origine organica, a
differenza del carbonato di precipitazione, non contribuisce a formare legami di cementazione.
Le rocce che sono costituite da un misto di argilla e di carbonati (calcari o dolomie a seconda che si
abbia a che fare con carbonato di calcio o carbonato doppio di calcio e magnesio) prendono il nome
di MARNE; in funzione della maggiore o minore presenza di carbonati parliamo di calcari o
dolomie laddove la percentuale di argilla è minore del 15%; parliamo di argille o di argilliti quando
abbiamo che la percentuale di carbonati è minore del 15%
CaCO3 (%) Minerali Argillosi
100 – 85 Calcare 0 – 15
85 – 75 Calcare Marnoso 15 – 25
75 – 65 Marna Calcarea 25 – 35
65 – 35 Marna 35 – 65
35 – 25 Marna Argillosa 65 – 75
25 – 15 Argilla Marnosa 75 – 85
15 – 0 Argilla 85 – 100
Anche se esistono le dolomie marnose e le marne dolomitiche, in realtà sono rare in Italia perciò
prendiamo in considerazione solo le combinazioni di calcare e argilla. Come si può vedere dalla
tabella si passa dai calcari alle marne ed infine alle argille attraverso varie sfumature.
Quello che è importante ricordare è che un marna o un calcare marnoso non sono adatti per ricavare
la calce, un calcare marnoso è infatti un calcare che presenta un certo quantitativo di argilla e questa
in seguito può crearci dei problemi poiché ci darà un materiale più facilmente soggetto all’azione di
agenti erosivi, e che avrà una resistenza più bassa rispetto ad una calce ricavata da calcare.
In Puglia troviamo carbonati – calcari – dolomie – calcari dolomitici, è invece difficile trovare
dolomie in associazione a delle argille.
Introduciamo ora un altro tipo di roccia. In realtà non si tratta di una roccia propriamente detta ma
di un’associazione di rocce, ad ogni modo queste rivestono per noi una notevole importanza perché
sono molto diffuse su Alpi e Appennini, si tratta dei FLYSCH un termine svizzero che
letteralmente significa “terra che scivola”, sono materiali costituiti da alternanze di calcari con
argille, argilliti, marne, areniti, si tratta cioè di un insieme di materiali detritici a granulometria
diversa più o meno cementati.
Dal punto di vista sedimentario i flysch possono essere considerati delle TORBIDITI cioè delle
rocce che si formano per la deposizione e l’accumulo di correnti di torbida, che quindi, in funzione
della maggiore o minore energia, trasportano materiali a granulometria differente; tipicamente si
formano in zone di orogenesi in cui avviene un sollevamento della crosta terrestre ed in cui il
materiale che viene sollevato tende ad essere smantellato dagli agenti atmosferici e accumulato più
a valle, sono quindi dei depositi sedimentari caratterizzati da una successione più o meno ritmica o
anche disordinata di materiali a granulometria differente.
Concludiamo il capitolo delle rocce sedimentarie con le rocce di precipitazione chimica ovvero
rocce legate alla deposizione di materiali in soluzione, tipiche di questo gruppo sono le
EVAPORITI. Le rocce di precipitazione chimica sono rocce che si formano in bacini chiusi
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caratterizzati da una forte evaporazione e sono costituite dagli ultimi ioni che precipitano durante la
fase di evaporazione.
Sono classici esempi di evaporiti i GESSI (costituiti da minerali di gesso idrato) e le ANIDRITI
(solfato di calcio anidro). Queste rocce sono spesso sono costituite da depositi di solfato di calcio
anidro o idrato in forma cristallina.

ROCCE SILICEE
Le rocce silicee sono costituite prevalentemente da SiO2, sotto forma di opale, calcedonio o quarzo.
La loro origine e’ legata alla attività degli organismi e ai processi diagenetici (silicizzazione)., La
grande diffusione dei fenomeni di silicizzazione dei sedimenti oceanici è stata documentata negli
ultimi anni da numerose perforazioni profonde effettuate negli oceani Atlantico e Pacifico (Deep
Sea Drilling Progect). Gli organismi che contribuiscono alla formazione di sedimenti silicei in mari
profondi sono diatomee, silicoflagellati. spugne silicee, e soprattutto radiolari. I sedimenti silicei
assumono importanza soprattutto quando il fondo marino si trova al di sotto della cosiddetta
profondità di compensazione del carbonato di calcio profondità che segna il limite inferiore a cui
possono giungere i gusci degli organismi calcarei senza disciogliersi del tutto. Essa negli oceani
attuali è variabile ed oscilla in torno ai 4000 m. Le rocce silicee di origine organica prendono il
nome dai resti degli organismi in esse prevalenti ( radiolariti spongoliti diatomiti)., A queste vanno
aggiunte tutte le altre rocce che derivano da processi di silicizzazione di sedimenti carbonatici,
argillosi o misti ( ad es. calcareniti e marne silicizzate, diaspri, ecc. ).
Altre rocce di precipitazione chimica sono alcune rocce silicee come per esempio le SELCI che
sono costituite dalla aggregazione di silice o di silice idrata con depositi di gusci di microrganismi
che hanno la capacità di fissare la silice; le selci sono costituite da episodi di questi depositi di
materiale siliceo.
Normalmente la troviamo intercalata ai calcari sotto forma di liste o di noduli. Le liste sono degli
straterelli che vanno da qualche centimetro a qualche decina di centimetri ed assumono una
colorazione che può essere rossa (per la presenza di ematiti) o rosata ma anche verdognola e più
raramente marroncina. I noduli sono invece delle specie di sferule di forma allungata che vanno
dalle dimensioni di un dito a quelle di una palla per bambini. E’ facile trovarne nel territorio del
Gargano

ROCCE FOSFATICHE
Sono depositi costituiti in gran parte da fosfati di calcio. Durante la degradazione meteorica il
fosforo. proveniente principalmente dall’apatite delle rocce ignee, viene trasportato verso il mare
come composto colloidale o come ione fosfatico in soluzione. Gli organismi, e in particolare i
vertebrati, assimilano il fosforo che va a costituire le loro parti scheletriche le quali, poi, si
accumulano nei mari bassi o nelle zone prossime alle coste, dando luogo a depositi fosfatici
(fosforite).
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ROCCE METAMORFICHE
Si tratta di rocce complesse e non diffuse nella nostra zona.
Le rocce metamorfiche derivano da rocce preesistenti (sedimentarie, magmatiche ed anche
metamorfiche) che hanno subito processi di trasformazione, più o meno intensi, di struttura,
tessitura e composizione mineralogica. I fattori che sono in grado di produrre tali mutamenti sono
essenzialmente la temperatura e la pressione; fattori secondari sono il fattore tempo e gli agenti
chimici. In certi tipi di metamorfismo, nella riorganizzazione generale della materia influiscono
anche degli apporti fluidi di origine estranea alla massa litoide che si sta metamorfosando.
Vediamo una prima classificazione del metamorfismo sulla base dei fattori temperatura e pressione.
Possiamo distinguere i seguenti tipi di metamorfismo:
1) METAMORFISMO REGIONALE: in cui l’incremento della temperatura e della pressione è
dello stesso ordine su vaste zone crostali. E’ tipico delle zone orogeniche.
2) METAMORFISMO DI CARICO: dove il complesso delle trasformazioni mineralogiche e
strutturali è prodotto da forti incrementi di pressione sulle rocce sottoposte al carico
litostatico.
3) METAMORFISMO TERMICO O DI CONTATTO, dove si verifica un incremento di
temperatura di gran lunga superiore a quello della pressione. Si tratta in questo caso di un
metamorfismo localizzato che interessa le rocce incassanti di intrusione magmatica.
Un ulteriore tipo di metamorfismo è quello dinamico o di dislocazione. Tale processo metamorfico
si verifica, in genere, a basse temperature nei livelli superiori della crosta terrestre ed è associato a
forti pressioni orientate che provocano deformazioni con variazioni della struttura e tessitura delle
rocce ivi compresa, talvolta, la composizione chimica.
Il dinametamorfismo, si verifica, principalmente lungo importanti discontinuità della superficie
terrestre soggetta a movimenti tettonici. Le rocce incassate subiscono una progressiva
frantumazione e triturazione e, nel caso di forti attriti, può verificarsi una fusione con successiva
ricristallizzazione delle parti finemente triturate.
Quando la composizione chimica di una roccia sottoposta a metamorfismo non cambia si parla di
metamorfismo isochimico, quando, più di frequente, il metamorfismo porta ad un cambiamento
della composizione chimica totale della roccia originaria si parla di metamorfismo metasomatico o
allochimico
Deformazione assente Deformazione
temperatura elevata temperatura elevata temperatura bassa
Diffusione in relazione alla Diffusione in relazione alla Diffusione assente
temperatura temperatura e alla deformazione
Ricristallizzazione Ricristallizzazione Ricristallizzazione assente
Effetti meccanici assenti Effetti meccanici Effetti meccanici (cataclasi -
METAMORFISMO METAMORFISMO REGIONALE milonisi)
TERMICO METAMORFISMO
DINAMICO
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Figura: Schema delle condizioni ambientali esistenti nella crosta terrestre

Si è anche detto dei due fattori prevalenti del metamorfismo: temperatura e pressione.
La temperatura presenta dei limiti inferiori sui 200°C circa; al di sotto di tali valori la velocità di
reazione dei diversi componenti mineralogici è talmente bassa da non produrre variazioni di
composizione. Con l’aumentare di questa aumentano e diventano più rapide le reazioni chimiche tra
i minerali che vengono anche facilitate dall’ attività solvente di alcuni fluidi. I materiali di
neoformazione sono stabili entro determinati limiti di temperatura e pressione. Pertanto dalla
composizione mineralogica di una roccia metamorfica, è possibile ricavare un indice del tipo e del
grado di metamorfismo alla quale la roccia è stata sottoposta. Il processo metamorfico è, dunque, un
fenomeno variabile nel tempo e nello spazio e può arrivar sino al limite massimo di fusione dello
stato solido. In questo caso si parla di anatessi (fusione di una roccia) che si verifica quando la
temperatura supera i 700°C circa(temperatura di fusione di una roccia granitica.
La pressione è il secondo fattore che agisce nel metamorfismo. Questa è variabile da punto a punto
nella crosta terrestre e può essere classificata nel seguente modo:
- pressione di carico: di tipo idrostatico, dovuto al peso dei materiali sovrastanti.
- pressione orientata: rappresenta la componente orizzontale degli sforzi durante le
fasi orogeniche. Presenta un valore molto alto nel metamorfismo ragionale mentre è
assente nel metamorfismo di contatto. A questa pressione, sono dovute le variazioni
di struttura e tessitura delle rocce cristalline (struttura scistosa).
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La composizione mineralogica è importante per classificare le rocce metamorfiche. Si dice che


appartengono alla stessa facies metamorfica tutte le rocce ricristallizzate nello stesso intervallo di
temperatura e pressione e che quindi hanno subito lo stesso grado di metamorfismo. Il grado di
metamorfismo raggiunto è caratterizzato da associazioni mineralogiche (paragenesi) costituite da
minerali stabili in un ben determinato campo di pressione e temperatura. Le paragenesi variano in
base alla composizione chimica della roccia di partenza. Eskola ha distinto un certo numero di
facies metamorfiche. Facies degli scisti verdi
- Facies delle anfiboliti albitico epidotiche
- Facies delle anfiboliti
- Facies delle granulati
I nomi delle facies sono stati presi da quelli delle rocce della sequenza delle rocce eruttive basiche.
Un altro tipo di classificazione, si basa sulla composizione mineralogica e la profondità di
formazione delle rocce metamorfiche. Questa classificazione è stata elaborata da Bake. Nella parte
superiore della crosta terrestre si formano minerali di minore volume molecolare essendo prevalente
il fattore pressione sul fattore temperatura, viceversa nelle zone più profonde.
Si definiscono tre zone di metamorfismo: epizona, mesozona, catazona.
EPIZONA MESOZONA CATAZONA
Temperatura bassa Temperatura e pressione Temperatura e pressione elevati
Pressione idrostatica e moderati Pressione non orientata
orientata
Metamorfismo chimico e Metamorfismo chimico Metamorfismo chimico accompagnato da
dinamico grosse deformazioni
clorite, di talco, feldspato muscovite, biotite, pirosseni, olivina, biotite
potassico anfiboli
Facies degli scisti verdi Facies delle anfiboliti Facies delle granuliti
La tessitura più comune delle rocce metamorfiche è la scistosa che può essere:
- lamellare
- scistosa-ondulata (filladi)
- scistoso-lineare (anfiboliti)
- scistosa ghiandolare (gneiss)
- scistosa-zonata.
La struttura cristallina può essere:
- OMEOBLASTICA
- granoblastica
- lepidoblastica
- nematoblastica
- ETEROBLASTICA
- porfiroblastica
- peciloblastica
- diablastica
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Le rocce metamorfiche regionali che vengono anche genericamente definite scisti cristallini
vengono suddivise in base alla percentuale di:
- feldspati
- quarzo
- carbonati
- minerali quali clorite ed anfiboli.
QUARZITE roccia costituita da più del 90 % di quarzo
MARMO roccia costituita da più del 90 % di carbonati
ROCCE VERDI rocce molto ricche di anfiboli, clorite o altri silicati di magnesio e ferro
GNEISS roccia in cui la percentuale di feldspati supera il 20% in volume della roccia e
che non contiene quantità elevate di quarzo, carbonati o di minerali quali la
clorite e di anfiboli.
SCISTO roccia in cui la percentuale di feldspati non supera il 20% in volume della
roccia e che non contiene quantità elevate di quarzo, carbonati o di minerali
quali la clorite e di anfiboli
Dal metamorfismo di contatto si generano rocce che prendono il nome di cornubianiti (hanno una
presenza locale, sono poco diffuse, si verificano dove c’è un filone o un dicco e la zona di
metamorfismo è limitata all’ampiezza del filone) tipicamente queste rocce presentano un colore
scuro dovuto ad un effetto di bruciatura, è possibile trovare al loro interno alcuni grossi singoli
cristalli.
Nel terzo gruppo, delle rocce provenienti da un metamorfismo di dislocazione, troviamo le scisti: se
c’è un prevalere di pressioni orientate normalmente abbiamo che la struttura dei cristalli è una
struttura allungata in direzione prossima alla perpendicolare alla direzione degli sforzi, quindi se
abbiamo degli sforzi orientati i cristalli si dispongono perpendicolarmente alla direzione degli
sforzi.
Alcuni nomi da ricordare:
FILLADI rocce che derivano essenzialmente da un metamorfismo di basso grado di argille;
CALCESCISTI rocce che derivano da metamorfismo di basso grado di marne;
MICASCISTI vengono dal metamorfismo di rocce pelitiche con basso contenuto di minerali
argillosi,
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FACIES, GIACITURE D’ INSIEME E PRINCIPI DI STRATIGRAFIA

Facies, giaciture d’ insieme e principi di stratigrafia


La stratigrafia si occupa delle rocce che formano la crosta terrestre, al fine di ricostruire l’ambiente
(insieme di condizioni locali) in cui si sono formate e la loro cronologia geologica.
Uno strato è una porzione di roccia che è separata da un limite inferiore (letto) e da un limite
superiore (tetto); questi due limiti individuano in qualche modo delle pause nella sedimentazione.
In generale uno strato è caratterizzato da un suo spessore s che viene detto anche potenza dello
strato. Gli strati di notevole potenza/spessore prendono il nome di banchi, si parla di banchi quando
lo spessore è superiore a 1-2 metri di materiale compatto che non presenti elementi di separazione
che indichino pause, interruzioni o cambiamenti durante la fase di sedimentazione.
Nel momento in cui si forma, uno strato ha normalmente una giacitura orizzontale o suborizzontale
(pressoché orizzontale, con inclinazione di pochi gradi rispetto all’orizzontale), dopodiché per
eventi tettonici può subire delle variazioni della propria posizione nello spazio e quindi assumere
una orientazione che può essere la più diversa e che, ai fini applicativi, risulta particolarmente
importante poter individuare.
In generale la posizione nello spazio di uno strato viene individuata attraverso la posizione del
piano medio che attraversa lo strato; per individuare la posizione di questo piano nello spazio
vengono utilizzate 3 grandezze che sono la direzione, l’inclinazione e l’immersione.
La direzione è data dall’intersezione del piano dello strato con la superficie topografica, è espressa
da un angolo rispetto al nord o rispetto al sud e non è orientata.
L’inclinazione invece è l’angolo formato tra il piano che rappresenta lo strato ed il piano
orizzontale.
Questo non è ancora sufficiente ad individuare univocamente nello spazio il nostro piano, se
conosciamo la direzione abbiamo un fascio di piani con uguale direzione, poi, introducendo
l’inclinazione restano individuati due piani coniugati; ci serve perciò un altro angolo per definire
univocamente il piano dello strato.
E’ l’immersione, un angolo orientato, sempre perpendicolare alla direzione, che ci dice in che
verso è orientata la retta di massima pendenza dello strato.
L’inclinazione è un angolo zenitale e ci da la posizione nello spazio, mentre direzione e immersione
sono angoli azimutali che ci danno la posizione nel piano; utilizzando queste tre grandezze
riusciamo ad individuare univocamente un piano e quindi la posizione di uno strato nello spazio.
Nel caso di un piano orizzontale o suborizzontale risulterà che l’inclinazione è uguale a zero, e che
la direzione e l’immersione restano indefinite, perciò si dice semplicemente che il piano è
suborizzontale.
L’inclinazione si misura con il clinometro che consta di un semicerchio graduato e di un pendolino.
Il clinometro va collocato ortogonalmente alla direzione, cioè lungo la linea di massima pendenza.
L’angolo letto sul semicerchio corrisponde all’angolo d’inclinazione. L’angolo azimutale di
immersione si può misurare con una comune bussola. Indicando l’immersione è automaticamente
nota anche la direzione, che è ad essa ortogonale.
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Figura: Orientamento della superficie di uno strato nello spazio

FACIES
Uno degli elementi geologici che viene utilizzato per caratterizzare uno strato è la facies che
esprime l’ambiente in cui lo strato si è formato. Si parla per esempio di facies marina o di facies
continentale. La facies esprime l’ambiente e gli eventuali cambiamenti di ambiente che si verificano
durante la sedimentazione.
In alcuni casi può verificarsi che uno stesso strato, costituito da materiale che si è depositato più o
meno contemporaneamente, sia caratterizzato da elementi di facies differente; quel che succede è
che nel momento in cui si forma uno stesso strato mentre in una zona si depositano materiali di un
certo tipo in un’altra zona si formano materiali differenti, consideriamo ad esempio una zona di
transizione tra acqua dolce ed acqua salata, qui si depositeranno materiali relativi a piene fluviali ma
si avranno pure apporti dovuti a movimenti di sabbia da parte del mare.
A volte si osservano depositi differenti che sfumano gli uni negli altri all’interno di uno stesso
strato; possiamo trovare all’interno della medesima successione delle interdigitazioni cioè delle
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sfumature laterali/orizzontali di un materiale in un’ altro, dei cambiamenti di facies laterali, in


questo caso si parla di facies eteropica.
Normalmente le rocce sedimentarie sono costituite da una serie di strati sovrapposti gli uni agli altri
a formare quella che viene detta una successione sedimentaria o una serie stratigrafica che
esprime le variazioni di ambiente sedimentario che si sono verificate mentre si depositavano le
rocce che costituiscono la successione stessa.
Ci sono serie che sono abbastanza omogenee per grandi spessori ma esistono anche serie che
possono essere formate da un succedersi di strati con caratteristiche litologiche e dimensionali
differenti.
L’individuazione di una successione stratigrafica può consentire di effettuare delle correlazioni
stratigrafiche, cioè di correlare i depositi che sono presenti in zone differenti e verificare il diverso
spessore che la stessa successione può avere in zone differenti per ricostruire ciò che accade in tratti
intermedi su cui non si hanno informazioni dirette.
Spesso può essere utile o interessante conoscere l’età di una roccia, a volte può essere importante
sapere quando una roccia si è formata.

Figura: Schema di cambiamenti verticali di facies; A e B sono due esempi di cambiamento improvviso; C e D sono due
esempi di cambiamento graduale.
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CICLI TRASGRESSIVI E REGRESSIVI


Una tipica serie/successione stratigrafica è quella dei cicli trasgressivi e regressivi associati alle
zone di passaggio tra l’ambiente marino e l’ambiente terrestre. In queste zone abbiamo che il
trasporto solido che viene dai fenomeni di smantellamento, di erosione delle zone continentali, si
deposita in corrispondenza della zona marina facendo si che si verifichi una classazione
granulometria; questo significa che materiali a granulometria differente si depositeranno in zone
diverse secondo il seguente criterio: in prossimità della linea di riva si depositeranno i materiali a
granulometria più grossolana mentre spostandoci verso il largo, all’allontanarsi dall’ambiente
neritico (più prossimo alla costa) troveremo materiali a granulometria sempre più fine, fino a
materiali finissimi in corrispondenza di zone molto profonde.
Spostandoci dalla riva verso il largo troveremo in successione:
Ghiaie (ruditi) - Sabbie (areniti) - Argille (lutiti)
Se il livello marino si innalza, se si verifica una ingressione (o trasgressione) marina, ed il mare
“entra” sulla terraferma, del materiale a granulometria più grossolana, quindi la ghiaia, inizierà a
depositarsi in quelle zone che prima erano asciutte; laddove prima si depositavano le ghiaie, nelle
zone che erano più vicine alla riva, prenderanno a depositarsi sabbie e così via dicendo, dove prima
si trovavano sabbie inizieranno a depositarsi argille.
Se si verificasse un ulteriore innalzamento del livello marino dovremmo ripetere le stesse
considerazioni. In definitiva in una stessa zona in cui prima si depositavano materiali ghiaiosi,
all’avanzare del mare inizieranno a depositarsi materiali di granulometria sempre più fine fino ad
avere materiali argillosi.
Se ad un certo punto il mare iniziasse a ritirarsi (regressione), se il livello marino tendesse ad
abbassarsi lasciando scoperta la terraferma, avverrebbe il contrario; questa volta il materiale
ghiaioso andrebbe a depositarsi dove c’erano le sabbie, e le sabbie sedimenterebbero sulle argille e
così via in modo da chiudere il ciclo con la creazione di una struttura a fuso.
Se analizziamo la successione stratigrafica in un punto interessato da un ciclo trasgressivo-
regressivo (di un mare che si innalza prima e poi si ritira) troveremo prima delle ghiaie o materiali a
granulometria più grossolana e poi materiali sempre più fini dopodiché la successione riprenderà
nel verso contrario e passeremo dall’argilla alla sabbia fino a trovare nuovamente ghiaia. Avremo
prima materiali a granulometria decrescente e poi crescente.
Questa successione è caratteristica di un ciclo marino o trasgressivo e regressivo. I tempi in cui
questo fenomeno si sviluppa sono legati alla tettonica, non c’è una regola precisa per conoscere la
durata di questi cicli, la maggiore o minore velocità influisce però sullo spessore dei materiali: cicli
molto brevi possono anche non lasciare traccia a differenza dei cicli più lunghi che invece si
riconoscono con facilità.
Un tipico esempio di ciclo sedimentario è quello della fossa bradanica a cui appartengono la
maggior parte delle formazioni, delle rocce, che affiorano nella nostra zona.
Se consideriamo il territorio interessato da questo ciclo troveremo più in profondità materiali a
granulometria più grossolana come per esempio le calcareniti che troviamo a Massafra, su queste
sono poggiate le argille di Taranto sulle quali a loro volta possiamo trovare altre calcareniti più
porose, più tenere, meno diagenizzate che troviamo nella zona a sud di Taranto, queste calcarenite
che affiorano in superficie sono dei tufi molto teneri, sbriciolabili, che sono costituiti da un insieme
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di fossili e microfossili ed hanno una facies tipicamente marina di mare basso. Il passaggio si vede
molto bene in più punti andando verso sud di Taranto nella zona della salina o al taglio della
stazione ferroviaria, lì si vede una scarpata grigio-scura di argilla e su di essa una parte bianco
sporco costituita da calcareniti più grossolane che rappresentano la fase terminale di questo ciclo di
passaggio dalle lutiti (argille grigio-scuro) alle areniti che poi si sono cementate dando luogo a delle
calcareniti diverse da quelle che affiorano a Massafra che sono più dure e molto cementate essendo
più antiche; essendosi depositate prima ed avendo subito dei carichi sovrapposti le calcareniti che si
trovano a Massafra hanno avuto circolazione di fluidi che hanno permesso lo sviluppo di una bella
diagenesi cioè di buoni legami di cementazione, man mano che ci si sposta più in superficie si
trovano materiali, ed in questo caso particolare calcareniti, sempre più giovani, che quindi hanno
potuto diagenizzare di meno ed oltretutto non hanno avuto il beneficio del sovraccarico e non sono
state compattate.
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Flysch
Altre successioni tipiche a cui abbiamo già fatto cenno sono quelle dei flysch, in questi si ha ancora
una successione di depositi arenitici, pelitici, lutitici in una sequenza però non sempre regolare; i
flysch si depositano in grandi bacini di sedimentazione di norma chiusi, limitati cioè nello spazio,
che vengono detti geosinclinali.

Figura: Schema di una formazione complessa con caratteri di flysch


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CRONOLOGIA GEOLOGICA
Spesso può essere utile o interessante conoscere l’età di una roccia, a volte può essere importante
sapere quando una roccia si è formata.
Introduciamo le tematiche relative alla cronologia geologica che è lo strumento attraverso il quale
noi assegniamo una posizione nel tempo ai diversi strati, in altre parole datiamo la formazione dei
diversi strati.
Si può far riferimento a due tipi di datazione, di cronologia: una cronologia assoluta ed una
cronologia relativa.
La cronologia assoluta ci dice quanto tempo fa una determinata roccia si è formata rispetto
all’attuale, ed è normalmente basata sui tempi di decadimento di sostanze radioattive presenti
all’interno di una roccia. Si parte dal principio di attualità, cioè dall’idea che le condizioni che
esistevano nel passato fossero non troppo dissimili dalle condizioni attuali, in altre parole che i
rapporti tra isotopi stabili e isotopi radioattivi negli ambienti terrestri fossero gli stessi dell’attuale,
dopodiché, in base ai rapporti relativi tra isotopi stabili e isotopi radioattivi è possibile risalire a
quella che è la datazione assoluta di una determinata roccia.
La datazione relativa, che è quella a cui di norma si fa riferimento, si ricava sulla base dei fossili,
cioè di residui inorganici presenti in una determinata roccia che caratterizzano sia gli ambienti di
sedimentazione sia i periodi in cui questi organismi sono stati presenti. Nella storia della evoluzione
della vita sulla Terra abbiamo una serie di specie che sono apparse in determinati periodi e che dopo
un tempo più o meno lungo si sono estinte, laddove troviamo dei resti di una determinata specie
possiamo allora individuare in qualche modo il periodo in cui la roccia che contiene questi resti si è
formata che è proprio il periodo in cui era presente quella determinata specie.
Era Periodo Milioni di anni fa
Era Neozòica Olocène oggi – 0,015
(o quaternaria) Pleistocène 0,015 – 1.8
Era Cenozòica Pliocène 1.8 – 7
(o terziaria) Miocène 7 – 23
Oligocène 23 – 34
Eocène 34 – 53
Paleocène 53 – 65
Era Mesozòica Cretàcico 65 – 130
(o secondaria) Giuràssico 130 – 204
Triàssico 204 – 245
Era Paleozòica Permiàno 245 – 290
(o primaria) Carbonifero 290 – 360
Devoniàno 360 – 400
Siluriàno 400 – 418
Ordoviciàno 418 – 495
Cambriàno 495 – 570
Precambriàno 570 – 4600
(era arcaica)
Il tempo geologico è comunemente suddiviso in intervalli di tempo detti ERE GEOLOGICHE; si
inizia con l’era arcaica o precambriana, poi c’è l’era primaria (o paleozoica) a seguire ha inizio l’era
secondaria (o mesozoica) e ancora l’era terziaria (o cenozoica) e per finire l’era quaternaria (o
neozoica) nella quale ci troviamo tuttora e va dall’attuale a circa 1,8 milioni di anni fa; l’era
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terziaria copre l’arco temporale che va da 1,8 a 65 milioni di anni fa, la secondaria va fino a circa
240 milioni di anni fa.
Le ere sono a loro volta suddivise in PERIODI, a noi interessano soprattutto quelli che citeremo
nel seguito. L’era quaternaria è suddivisa in 2 periodi: olocene e pleistocene.
L’Olocene costituisce circa gli ultimi 15000 anni. In ogni caso l’Olocene rappresenta proprio la
parte finale. L’era terziaria si suddivide andando a ritroso in pliocene, miocene, oligocene, eocene e
paleocene, tutti questi sono periodi in cui si sono formate rocce presenti nella regione pugliese. Il
pliocene ha inizio circa 7.000.000 di anni fa; il miocene 26.000.000 di anni fa. Per noi è
particolarmente importante il pliocene perché per esempio le argille di Taranto sono del plio-
pleistocene (a cavallo tra i due periodi).
L’era secondaria è divisa in 3 periodi: cretacico (o cretaceo), giurassico e triassico.
Anche questi sono nomi importanti perché la maggior parte dei calcari che formano la piattaforma
appula, pugliese, sono calcari del cretacico. Raramente dalle nostre parti troviamo calcari del
giurassico e del triassico, solo nella zona garganica troviamo qualche affioramento di calcari
risalenti a questi periodi.
Intuitivamente ci aspetteremmo che una successione stratigrafica completa comprenda strati di tutte
le età, a partire dal triassico, poi giurassico, cretaceo, paleocene, eocene… è raro però trovare zone
che abbiano avuto condizioni sostanzialmente stabili che abbiano consentito la formazione di una
successione sedimentaria con l’accumulo costante e continuo di materiali; molto più spesso accade
di trovare la coesistenza di strati di età differenti e si può osservare la mancanza di depositi di una
serie di periodi.
Per esempio nella zona di Taranto troviamo calcari del cretacico su cui sono poggiati depositi del
pliocene e del pleistocene, in questi casi si parla di lacuna stratigrafica cioè di una interruzione
della fase di sedimentazione.
Una lacuna stratigrafica può essere dovuta al fatto che non si siano depositati materiali durante un
particolare periodo oppure può essere accaduto che, pur essendosi verificata la sedimentazione,
durante successive fasi di emersione si siano instaurati dei fenomeni erosivi che hanno finito per
smantellare i depositi che si erano formati.
Nella nostra zona abbiamo una lacuna stratigrafica che riguarda quasi tutto il terziario.
Una lacuna stratigrafica è normalmente caratterizzata dalla presenza di una discontinuità netta con
una superficie che si presenta alterata, erosa o in generale non regolare; la superficie, il contatto in
corrispondenza di una lacuna stratigrafica, è un contatto che non si presenta regolare ed in alcuni
casi possono verificarsi quelle che si chiamano delle discordanze angolari.
Cerchiamo di spiegare meglio questo concetto. Solitamente uno strato si forma con una giacitura
suborizzontale ma può succedere che durante la fase di emersione si verifichi una variazione di
giacitura, una variazione dell’assetto del mio generico strato che si presenterà quindi inclinato
rispetto alla superficie topografica. Quando ricomincia la sedimentazione i nuovi strati si
depositeranno orizzontalmente, in questi casi ho quella che viene detta una discordanza angolare, in
sostanza non c’è accordo tra l’inclinazione degli strati che si trovano prima e dopo la lacuna
stratigrafica.
Per esempio tra i calcari presenti nella zona di Taranto e le calcarenite spesso c’è una leggera
discordanza angolare di una decina di gradi.
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Dopo aver parlato della cronologia geologica introduciamo il concetto di formazione geologica:
una formazione geologica è costituita da uno strato o da una successione di strati caratterizzati da
una uniformità litologica nel caso si tratti di un solo strato o da una successione regolare di strati,
nel caso in cui si tratti di più strati, per i quali sia possibile individuare un limite superiore ed un
limite inferiore, quindi un tetto ed un letto, e ai quali sia possibile assegnare una ben precisa
collocazione nel tempo, come datazione relativa, e ai quali si richiede che abbiano tutti le stesse
caratteristiche paleogeografiche, e cioè che si siano formate nello stesso bacino di sedimentazione.
Normalmente una formazione geologica prende il nome del luogo in cui è stata studiata per la prima
volta e allora si parla ad esempio di Calcari di Altamura (a Martina affiorano rocce che sono
ascrivibili alla formazione dei Calcari di Altamura); le calcareniti che affiorano a Massafra vengono
chiamate Calcareniti di Gravina perché hanno caratteristiche stratigrafiche, litologiche e fossilifere
in qualche modo simili a quelle di Gravina che sono state studiate prima di quelle di Massafra; le
calcareniti del ciclo di chiusura di un ciclo di sedimentazione vengono chiamate Calcareniti di
Monte Castiglione. Per quanto riguarda le argille, quelle che affiorano nella nostra zona prendono il
nome di argille di Taranto o argille bradaniche perché sono state studiate da più parti quasi
contemporaneamente ed hanno differenze piuttosto modeste.
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TETTONICA
PIEGHE, FAGLIE E ALTRE TRACCE DI DEFORMAZIONE DELLE ROCCE
Per ricostruire la storia geologica di una regione, i geologi si basano sulle informazioni di dettaglio
ricavate dalle osservazioni sul terreno. Essi potrebbero chiedersi quali rocce si deposero
originariamente e che cosa è accaduto a queste rocce, la natura delle deformazioni e quali tipi di
forze intervennero. Nelle loro ricerche i geologi hanno osservato modalità di deformazioni simili su
tutta la terra: pochi concetti di base bastano per spiegare perché e come le rocce si deformano. Le
pieghe e le faglie sono le più comuni forme di deformazione delle rocce che costituiscono la crosta
terrestre.

INTERPRETAZIONE DEI DATI OTTENUTI SUL TERRENO


Per poter determinare come vengono deformate le formazioni rocciose, i geologi devono poter
disporre di informazioni precise sulla geometria degli strati che possono osservare.Una fonte
fondamentale è costituita dell’affioramento, dove la roccia in posto è esposta e non celata dal suolo
o da coperture di detriti. La giacitura dello strato è un’informazione importante che il geologo
utilizza per comporre un quadro globale della struttura deformata. Per descrivere la giacitura di uno
strato di roccia in una data località è sufficiente misurare due elementi: la direzione e
l’inclinazione. La direzione di uno strato è la direzione della retta orizzontale che risulta
dall’intersezione del piano dello strato con un piano orizzontale: essa è determinata dall’angolo
azimutale (misurato con la bussola da geologo nel piano orizzontale e variabile da 0° a 360°) che
detta intersezione forma con la direzione del Nord. L’inclinazione (o pendenza) di uno strato è
l’angolo zenitale (misurato con il clinometro della bussola da geologo in un piano verticale e
variabile da 0° a 90°) formato dalla retta di massima pendenza del piano dello strato con un piano
orizzontale. La retta di massima pendenza del piano dello strato, detta immersione dello strato, è
perpendicolare alla direzione dello strato e definisce la direzione verso cui lo strato immerge, ossia
affonda entro terra; è definita dall’angolo azimutale (misurato con la bussola da geologo nel piano
orizzontale rispetto ai punti cardinali e uguale all’angolo che definisce la direzione ±90°).

COME SI DEFORMANO LE ROCCE


Per anni i geologi si sono posti il problema, di come le rocce che sembrano resistenti e rigide,
abbiano potuto essere piegate dalle forze tettoniche o fratturate lumgo faglie. Le forze tettoniche
possono essere di tre tipi: forze di compressione, che tendono a schiacciare e accorciare un corpo;
forze di distensione (o forze di disgiunzione) che tendono ad allungare il corpo e ad assottigliarlo;
forze di taglio che tendono a deformare il corpo in modo che una parte scorre rispetto alla parte
opposta. Gli stessi tipi di forze agiscono ai margini tra le placche: le forze di compressione
predominano ai margini convergenti, dove le placche collidono; le forze di distensione
predominano ai margini divergenti, dove le placche si allontanano l’una dall’altra; e le forze di
taglio predominano ai margini trasformi delle placche, dove le placche scivolano orizzontalmente
l’una rispetto all’altra.
Sebbene la geologia si basi essenzialmente sulle osservazioni di terreno, si effettuano anche
esperimenti in laboratorio per scoprire perché le formazioni rocciose risultino piegate in un posto e
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fratturate in un altro: sono stati eseguiti esperimenti durante i quali le rocce sono state compresse in
condizioni di basse pressioni e temperature, simili

Cenni di tettonica
La tettonica studia le deformazioni che le rocce che affiorano sulla crosta terrestre possono subire
per effetto di forze endogene, di forze legate a deformazioni interne alla crosta terrestre.
Le deformazioni indotte dalle sollecitazioni interne alla crosta possono portare alla deformazione o
alla rottura delle rocce.
Il principale tipo di deformazione sono le pieghe.
Se una successione stratigrafica sedimentaria viene assoggettata a delle forze di tipo orizzontale
questa può cominciare a deformarsi dando luogo ad una struttura del tipo in figura, in questo caso
parleremo di pieghe.

Figura. Stereogramma schematico delle caratteristiche di una piega anticlinale vista in sezione trasversale.
Il piano che passa per i punti solidali di una piega viene chiamato piano assiale della piega, in
figura possiamo vedere invece quella che prende il nome di cerniera
Possiamo avere pieghe di piccola o di grande scala, esistono pieghe aventi un raggio di curvatura di
decine di km (queste sono pieghe di scala regionale), come possono esserci pieghe di piccole
dimensioni con raggi di curvatura centimetrici. In alcuni casi la sedimentazione non avviene in
maniera orizzontale, ma avviene in ambienti marini o lacustri secondo piani leggermente inclinati e
può succedere che un singolo strato, mentre si sta formando o appena si è formato, subisca una
deformazione plastica. Dopodiché la sedimentazione riprende tranquilla, più o meno parallela, ed
ho uno strato deformato. Queste si chiamano pieghe sinsedimentarie o slumping, ce ne sono degli
esempi aventi spessori di 10-20 cm sul Gargano (sulla strada che va da Manfredonia verso
Mattinata troviamo calcari stratificati ed esempi di slumping).
Pieghe di più ampio respiro si trovano un po’ in tutta la regione pugliese dove è possibile trovare
anche alcune pieghe con scala più che chilometrica, e che proprio in ragione della loro grande
estensione è difficile vedere ad occhio nudo (se non su grande scala).
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Il piano che passa per i punti solidali di una piega viene chiamato piano assiale della piega, in
figura possiamo vedere invece quella che prende il nome di cerniera
In generale le pieghe vengono distinte a seconda che rivolgano la concavità verso l’alto o verso il
basso, in pieghe sinclinali e pieghe anticlinali. Le zone anticlinaliche sono soggette a fenomeni di
smantellamento, di erosione perché sono zone in sollevamento; le zone sinclinaliche sono invece
aree di accumulo e/o di deposito.
In generale le pieghe vengono distinte a seconda che rivolgano la concavità verso l’alto o verso il
basso, in pieghe sinclinali e pieghe anticlinali. Le zone anticlinaliche sono soggette a fenomeni di
smantellamento, di erosione perché sono zone in sollevamento; le zone sinclinaliche sono invece
aree di accumulo e/o di deposito.

Figura: Schemi di anticlinale e sinclinali realizzate con serie dirette (a e b) e rovesciate (a’ e b’)
In corrispondenza di una cerniera di una piega nella parte sommitale dell’anticlinale abbiamo che
gli sforzi a cui è soggetta la roccia sono sforzi essenzialmente di trazione, avremo quindi che la
roccia sarà rotta in questo senso (vedi figura seguente);

Figura: Distribuzione delle tensioni all’interno di una lastra piegata elasticamente


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In corrispondenza del nucleo della piega agiscono invece sforzi di compressione, questo riveste
particolare importanza ai fini applicativi perché nel momento in cui realizziamo ad esempio una
galleria all’interno del nucleo di una piega dobbiamo tenere presente che sul rivestimento della
galleria agiranno sforzi considerevoli perché sono somma dello sforzo di posizione e di uno sforzo
di compressione tettonica; se ricaviamo una galleria dalla sommità avremo problemi perché ci
troveremo di fronte ad una roccia intensamente fratturata che può crearci non pochi problemi di
infiltrazione delle acque.
Se abbiamo invece una roccia fratturata che poggia su una roccia impermeabile possono invece
crearsi condizioni adatte al verificarsi di una manifestazione sorgentizia, ma questo è un altro
discorso..
Una piega si dirà simmetrica nel momento in cui la pendenza dei suoi due lati è pressoché uguale,
laddove invece non è uguale parleremo di piega asimmetrica, se l’angolo di inclinazione del piano
assiale (chiamiamolo i) supera i 45° avremo una piega in parte rovesciata, se il piano assiale è
pressoché orizzontale, avremo invece una piega coricata, e ancora, nel momento in cui questa
situazione degenera, e si hanno degli sforzi talmente forti che dopo aver coricato la piega o dopo
averla deformata, creano anche una rottura, parleremo di piega-faglia, che è una piega con una
rottura.

Figura: Classificazione di pieghe semplici secondo la posizione del piano assiale.


A: piega simmetrica;B: piega asimmetrica;C: piega rovesciata; D: piega coricata
Dopo le deformazioni che abbiamo appena introdotto passiamo ora a considerare le rotture che
possono verificarsi nella roccia. Si ha rottura quando le deformazioni imposte risultano talmente
forti che la roccia non ha la capacità di resistervi pertanto non si deforma in maniera plastica ed è
soggetta ad una rottura fragile.
Le rotture danno luogo a zone fratturate, in caso di fratture ampie parleremo di fratture vere e
proprie, le fratture di medie dimensioni prendono invece il nome di diaclasi. Quando la frattura
avviene con movimento relativo fra le due protusioni che vengono separate dalla superficie di
rottura parliamo di faglia. Le faglie possono essere di diversi tipi, secondo una prima
classificazione possiamo distinguerle in faglie dirette e faglie inverse.
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Le faglie dirette corrispondono a stati tensionali di distensione, le faglie dirette sono generate e
quindi sono sintomatiche di stati tensionali distensivi, le faglie inverse sono invece tipiche di stati
tensionali di compressione quindi in corrispondenza di faglie inverse avremo una crosta si sta
distendendo, che si sta allargando, troverò delle faglie inverse nelle zone di sovrapposizione in cui
si hanno dei fronti di accavallamento.
Nel momento in cui si ha una rottura con un movimento relativo orizzontale si parla di faglia
trascorrente; le faglie trascorrenti si distinguono in trascorrenti destre e trascorrenti sinistre un
osservatore posto su uno dei due lati di una faglia trascorrente destra vedrà l’altro lato andare alla
sua destra, se il movimento fosse opposto parleremmo di faglia trascorrente sinistra.
Faglia trascorrente destra e sinistra
Un altro elemento caratteristico di una faglia è il piano di faglia ovvero il piano lungo il quale
avviene il movimento relativo, questo piano si può individuare, al pari della posizione di uno strato,
attraverso la sua direzione, inclinazione ed immersione.
Altra caratteristica fondamentale di una faglia è il rigetto di una faglia; il rigetto esprime l’entità
dello spostamento relativo fra i due bordi della faglia che vengono detti anche labbri della faglia, le
parti terminali dei due blocchi in cui resta suddivisa la roccia; possiamo distinguere un rigetto
orizzontale ed un rigetto verticale e più in generale si può avere anche una componente di
trascorrenza (somma di una componente verticale e di una componente trasversale).

Figura: faglia diretta e faglia inversa.


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Figura: faglie trascorrenti: D=destra; S=sinistra.


Una faglia viene detta conforme quando l’immersione del piano di faglia è congruente con
l’immersione degli strati che vengono rotti altrimenti si parlerà di faglia contraria.

a)Faglia conforme; b) faglia contraria.


Il piano di faglia non è sempre costituito da una superficie di rottura ben definita bensì il più delle
volte è costituito da una zona di materiale rotto, fratturato, disturbato che è tanto più ampia quanto
più ampia è la faglia e quanto maggiore è l’entità del rigetto.
Se troviamo delle brecce in cui il materiale è rotto a spigoli vivi, non arrotondati, perché non c’è
stato trasporto, dopo la rottura il materiale è rimasto incastrato, questo materiale prende il nome di
cataclasiti tanto che noi parliamo di brecce cataclastiche che si sono formate per faglia.
All’interno, proprio in corrispondenza della zona di maggior scorrimento, movimento, possiamo
trovare materiale ridotto in pezzettini minutissimi che può arrivano ad assumere la granulometria di
una lutite o di una pelite, in questo caso parleremo di miloniti. Un materiale milonitizzato è un
materiale ridotto a granulometria finissima per effetto della rottura di una faglia.
Le faglie possono avere anche dimensioni più o meno ampie, possono esserci faglie minuscole che
interessano piccole porzioni di roccia così come possono esserci faglie di carattere regionale che
interessano grosse porzioni di roccia e che separano intere regioni.
Possiamo avere situazioni in cui ci sono più faglie distensive; le faglie distensive separano delle
zone che sprofondano e delle zone che restano isolate; la zona che resta isolata separata da due
faglie di tipo distensivo prende il nome di horst (o pilastro tettonico) mentre la parte ribassata
prende il nome di graben (o depressione tettonica).
Se in una zona abbiamo un succedersi di horst e graben parleremo di uno stile tettonico a horst e
graben; questo concetto è molto importante per noi perché in particolare proprio la zona di Taranto
è caratterizzata da successioni di horst e graben; San Giorgio Jonico e Roccaforzata sono ad
esempio horst calcarei.
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Figura: Pilastro tettonico (Horst) a sinistra e fossa tettonica (Graben) a destra


Diamo ora due importanti definizioni: materiale autoctono e materiale alloctono.
Un materiale autoctono è un materiale che si trova lì dove si è formato, è quindi un materiale che
durante il corso della sua storia geologica non ha subito grandi spostamenti dovuti a deformazioni
tettoniche.
I materiali alloctoni sono invece materiali che si sono formati in una determinata zona e che in
seguito, per effetto di deformazioni tettoniche, hanno viaggiato e sono stati trasportati fino a
raggiungere il luogo dove li troviamo.
Per esempio nel caso di pieghe coricate, il materiale che si è andato a poggiare sopra all’altro è un
materiale alloctono.
Se abbiamo delle pieghe-faglie, quindi del materiale che si deforma e finisce per rompersi sotto
l’azione di uno stato tensionale di compressione forte, si possono originare delle situazioni in cui
abbiamo più materiali sovrapposti, più pieghe poste le une sulle altre, che tendono ad accavallarsi,
si parla in questo caso di faglie di ricoprimento.
Le basi di sovrapposizione di queste pieghe rovesciate e coricate che si sovrappongono le une alle
altre prendono il nome di sovrascorrimenti: ricoprimenti di una faglia sull’altra, di materiali
alloctoni sul materiale autoctono, queste situazioni sono tipiche delle zone orogenetiche, cioè di
quelle zone in cui si ha la formazione di rilievi all’interno della crosta.

Altro concetto importante inerente alla tettonica è la cosiddetta olistolite: si tratta di una massa
rigida immersa in una massa a comportamento essenzialmente plastico; questo elemento si trova
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tipicamente nelle zone di compressione dove ci sono sovrapposizioni di elementi con caratteristiche
litologiche e meccaniche differenti, cioè rocce con un diverso tipo di comportamento meccanico.
Tipici dell’Appennino sono gli olistoliti calcarei, formati da rocce calcaree, ed immersi in masse
argillose.
Consideriamo la seguente successione costituita da:

argille

sabbie e argille

calcari

nel momento in cui tale successione è compressa si vengono a formare una serie di pieghe che si
sovrappongono in parte l’una sull’altra e di conseguenza possono andare a costituire una serie di
faglie di ricoprimento; può accadere che nella massa che si viene a creare, costituita da argille in
qualche modo deformate, essendo queste a comportamento più plastico, più duttile, potremmo
ritrovare un pezzo di calcare staccatosi dal blocco a cui apparteneva immerso nella massa argillosa.
calcare

Formazione delle pieghe argille

Questo elemento calcareo immerso nella massa argillosa va valutato con molta attenzione perché
molto spesso può far credere di trovarsi in una zona idonea alla costruzione di opere civili, mentre
in realtà ci si ritrova su una zona costituita prevalentemente da argille che potrebbero essere
interessata da movimenti franosi.
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Le Carte Geologiche
Le carte geologiche sono delle carte topografiche sulle quali sono riportati gli elementi caratteristici
della geologia dell’area; in particolare sono riportati con diversi colori le diverse formazioni
geologiche presenti in affioramento; attenzione però, sono riportate le formazioni che individuano il
substrato geologico presente al di sotto della coltre di terreno vegetale e della coltre di alterazione
del materiale di base. Infatti potrebbe accadere che le rocce in affioramento abbiano una parte più
alterata più o meno spessa, ed una copertura di terreno vegetale ed ovviamente la carta geologica
non considera questi elementi ma si riferisce al solo substrato.
Sulla carta potremmo trovare rappresentati anche gli olistoliti.
Oltre alle diverse colorazioni, per ogni formazione geologica presente è riportata una sigla che ne
facilita l’individuazione, ad esempio
Q = quaternario; P = pliocene; q = olocene; M = miocene; C = cretacico e così via
Sono presenti, inoltre, delle descrizioni litologiche, paleontologiche (cioè una descrizione delle
associazioni fossilifere presenti), ed in alcuni casi paleografiche (descrizione dell’ambiente in cui
queste rocce si sono formate).
Questa fin ora descritta è più che altro una carta litologica, affinché si abbia una vera e propria carta
geologica abbiamo bisogno anche di informazioni su: elementi tettonici, presenza di faglie,
presenza di pieghe ( rappresentate con il loro asse), inclinazione degli strati, principali località
fossilifere, date (informazione molto indicativa poiché le carte sono aggiornate al 1967), principali
sorgenti, e in alcuni casi pozzi.
In particolare la simbologia inerente le inclinazioni degli strati è la seguente :
+ strati orizzontali o suborizzontali
strati inclinati fino a 10°
strati con inclinazione da 10° a 25°
strati con inclinazione maggiore di 25°
(questa simbologia non sempre è attendibile, dipende dalla carta e dalle entità della deformazione,
comunque in ogni carta è riportata la relativa legenda che ci aiuta nela lettura della carta stessa)

Altri elementi riportati sulle carte geologiche sono le tracce di sezioni geologiche significative, che
consentono di analizzare la situazione in verticale. Inoltre troviamo delle colonne stratigrafiche,
sempre relative ai punti più significativi, che indicano le successioni degli strati in quei punti, infine
è spesso riportato anche uno schema dei rapporti stratigrafici che illustra i rapporti esistenti fra le
diverse rocce, non sempre ben evidenti dalle sezioni.
N.B. normalmente le sezioni geologiche presentano scale differenti per altezze e lunghezze, al fine
di poterne esaltare la leggibilità.
Esempio: nota una sezione geologica lunga 10 km che sulla carta è rappresentata con 30 cm, se
volessi rappresentare uno strato di spessore di 10 m, sul foglio sarebbe lungo appena 0.3 mm, per
una migliore leggibilità sarà quindi necessario ampliare la scala verticale. Lo schema dei rapporti
stratigrafici ci consentirà poi di evidenziare i rapporti tra le diverse formazioni geologiche.
La base di riferimento per le carte geologiche è la carta topografica 1:100000, anche se il rilievo è
stato effettuato utilizzando le carte topografiche 1.25000.
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Normalmente le carte sono divise in diverse sezioni rilevate da diversi rilevatori.


La carta riporta, distinte, le formazioni di origine continentale da quelle di origine marina, e di
norma distingue anche le formazioni autoctone da quelle alloctone.
A volte si riporta sulla carta anche la presenza di doline, e frane (la cui tipologia non è però
specificata) non è detto però che se su una carta non risulta la presenza di una frana questa non ci
sia in realtà.
Infine un altro simbolo che può essere riportato è quello che individua gli orli dei terrazzi, ovvero il
limite tra la zona rimasta in posto e la zona erosa, laddove su una fase deposizionale si instaura un
successivo processo erosivo.
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CENNI SULLA GEOLOGIA DELLA REGIONE PUGLIESE


Possiamo considerare la regione Puglia divisa in diversi domini geografici:
1. Promontorio del Gargano
2. Piana di Foggia
3. Sub-Appennino Dauno
4. Zona Murgiana
5. Tavoliere di Lecce
6. Serre Salentine
7. Fossa Bradanica
Nella zona del Gargano affiorano calcari e calcari con selce.
Nella zona del Tavoliere sono presenti, almeno in superficie, materiali alluvionali essenzialmente
del quaternario.
Il Sub-Appennino è costituito da successioni in facies di flysch che sono successioni alloctone che
sono state portate in quella posizione dalle spinte orogenetiche dell’appennino.
Nella Murgia, così come nei rilievi più alti della Zona Salentina (che sono dei rilievi allungati in
direzione appenninica che prendono il nome di Serre Salentine) affiorano calcari e calcari-
dolomitici.
Nella Piana di Lecce e nella Fossa Bradanica affiorano depositi quaternari.
Vediamo come si è formata la struttura della nostra regione e quali sono i rapporti stratigrafico-
strutturali tra i diversi ambienti pugliesi.
In origine, alla base di tutto, c’è un grosso basamento cristallino di natura essenzialmente basaltica
che attualmente si trova ad una profondità di 6-7 km; su questo basamento cristallino dalla fine
dell’era primaria fino all’inizio dell’era secondaria si è depositato prima un piccolo strato di depositi
terrigeni poi si è creata una situazione di laguna chiusa che ha portato alla deposizione delle
evaporiti, cioè di anidriti e gessi. Su queste, in un ambiente di piattaforma, durante tutta l’era
secondaria fino al cretacico si sono depositati dei calcari che costituiscono il basamento di tutta la
regione pugliese, si tratta di una successione abbastanza spessa di calcari e calcari-dolomitici che
raggiunge uno spessore di quasi 6000-7000 m.
Alla fine del cretacico e quando è cominciata l’orogenesi appenninica, cioè il sollevamento
dell’appennino, la piattaforma carbonatica pugliese ha svolto un ruolo di avampaese cioè di una
zona resistente alle spinte tettoniche che andavano da ovest verso est, spinte legate allo scontro della
placca africana con la placca europea che hanno portato all’orogenesi appenninica.
Cosa è successo? La piattaforma carbonatica sotto l’azione spingente si è deformata inarcandosi e
creando una fossa che prende il nome di avanfossa ed una zona rilevata che prende il nome di
avampaese apulo (o anche appulo).

Secondo la teoria della tettonica a zolle i sistemi catena – avanfossa - avanpaese rappresentano il
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prodotti di processi di subduzione. Il processo di scorrimento del margine migrante della zolla
carbonatica detta Apula, con rifusione del materiale crostale nell’astenosfera di una zolla meno
grande, detta Appenninica, ha ingenerato lo sprofondamento della parte occidentale della suddetta
zolla Apula dando luogo alla Fossa Bradanica. Il materiale rifuso nell’astenosfera della zolla
Appenninica ha dato luogo a pressioni che hanno permesso il sollevamento della catena
dell’Appennino campano-lucano. La parte orientale della zolla Apula è rimasta invece indisturbata,
formando l’Avanpaese Apulo.
La parte emersa dell’Avanpaese Apulo corrisponde sostanzialmente all’intera area pugliese
(Gargano, Murge e Salento) ed è costituita da un estesa area autoctona mesozoica carbonatica.
L’unità stratigrafico-strutturale della piattaforma Apula risulta ribassata verso sud-ovest da un
sistema di faglie dirette.
Detta piattaforma, sebbene abbastanza omogenea dal punto di vista litologico è stata soggetta ad
una significativa evoluzione tettonica e paleogeografica che ne ha condizionato i caratteri
idrogeologici.
Detta piattaforma carbonatica è costituita da una sequenza di calcari detrici e biostromali e di
calcari dolomitici. Durante il sollevamento della catena appennnica la piattaforma carbonatica ha
svolto il ruolo di avanpaese ed ha quindi risentito solo marginalmente degli stress tettonici connessi
al sollevamento appenninico. Il suo assetto tettonico strutturale è abbastanza semplice, è costituita
da un tavolato calcareo debolmente deformato con pieghe a largo raggio di curvatura. I lati i questa
piattaforma sono interrotti da faglie distensive. La morfologia è piatta e gli strati sono di norma
suborizzontali o presentano deboli inclinazioni raramente superiori a 10-15°.
In epoca tardo mesozoica si proponeva come un grande horst asimmetrico che si allungava in
direzione appenninica, successivamente ha subito un assestamento dal punto di vista tettonico
strutturale, mediante un reticolo di faglie subverticali e di pieghe ad ampio raggio di curvatura, che
hanno determinato l’abbassamento generale del complesso roccioso.
L’attività tettonica distensiva che ha interessato la zona può essere divisa in due fasi distinte nel
tempo. La prima fase distensiva ha determinato una serie di faglie con orientazione da Est ad Ovest
le quali hanno ribassato gradualmente l’ammasso carbonatico in questa direzione e cioè
dall’entroterra verso la costa.
La seconda fase distensiva è stata caratterizzata dalla formazione di un reticolo di faglie da Nord-
Ovest a Sud-Est, le quali hanno abbassato ulteriormente l’ammasso carbonatico in queste direzioni,
dando luogo ad un assetto strutturale a gradinata nelle direzioni su citate.
Inoltre la zona è stata interessata, successivamente, da attività tettoniche compressive, soprattutto
nella direzione Nord-Ovest e Sud-Est che hanno determinato la chiusura di alcuni piani di faglia
diminuendo, quindi, la permeabilità dell’ammasso calcareo in tali direzioni, determinando cioè
minore conducibilità idraulica rispetto alle direzioni Est-Ovest.
Le zone che sono state interessate solamente da distensioni in direzione Est-Ovest drenano meglio
la falda e controllano anche il fenomeno dell’intrusione marina.
Durante il Terziario la parte murgiana della piattaforma è stata quasi costantemente emersa
formando una gigantesca isola. Durante il Pleistocene è stata soggetta ad una subsidenza tettonica
con una forte ingressione marina. Infine è stata soggetta ad un forte sollevamento tettonico in epoca
post-calabriana. Il sollevamento tettonico ha creato significative fratture di tipo tettonico che hanno
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suddiviso l’ammasso calcareo in larghi blocchi, che hanno subito spostamenti relativi anche di
diverse decine di metri.
Durante il Cenozoico Terziario e durante il Quaternario si è verificato, per via di fenomeni di
subsidenza, un avanzamento della linea di riva verso l’interno, per cui le aree meno rilevate,
delimitate dalle faglie, sono diventate “bacini di deposito” di sedimenti trasgressivi post-tettonici,
litotipi meno permeabili rispetto alle rocce calcare carbonatiche sedimentate durante il Cenozoico
Terziario e durante il Quaternario.
Questi sedimenti risultano caratterizzati da una certa eterogeneità litologica e da spessori
estremamente variabili da zona a zona, dovuto anche al fatto che le ingressioni marine che hanno
originato i depositi post-mesozoici, hanno invaso aree differenti ogni volta, con differenti profondità
da bacino a bacino e con differenti modalità e tipologie di sedimentazione.
In Puglia nella fase di emersione si sono avute due rotture la prima (a) sconnette la Zona Murgiana
dalla Zona Salentina ed asseconda in qualche modo la direttrice di Taranto verso Brindisi, questa
prende il nome di soglia messapica, una seconda frattura (b) si ha in corrispondenza della Fossa
Bradanica.
Durante il terziario, nell’era cenozoica, la parte Murgiana è rimasta pressoché intatta ed è rimasta
emersa; la parte Salentina invece, proprio perché c‘era una sconnessione, ha subito una serie di cicli
di emersione e sommersione, che hanno portato a fratturare intensamente le rocce di questa zona ed
hanno anche fatto si che queste rocce fossero molto carsificate su più livelli, questo perché la
carsificazione dei calcari è un fenomeno che si verifica nei livelli più vicini al livello marino ed
essendo quest’ultimo cambiato più volte nella Zona Salentina le aree soggette a carsificazione
risultano più diffuse. Nella Zona Murgiana invece si è sviluppato un carsismo più concentrato su
alcuni livelli perché il livello di base è stato abbastanza costante. Nella Zona Salentina infatti è
possibile trovare depositi dell’era cenozoica che non troviamo nella Zona Murgiana.
Una formazione geologica importante presente solo nella Zona Salentina che non ritroviamo in
nessun altro punto è la pietra leccese, che è una calcarenite formatasi durante il miocene che si
presenta abbastanza lavorabile e al tempo stesso possiede buone caratteristiche di resistenza
meccanica; nella Zona Murgiana invece troviamo in affioramento sempre e soltanto calcari tranne
alcune piccole zone in cui si possono trovare affioramenti di depositi quaternari costituiti da piccoli
lembi di argille con sabbie e con ghiaie.
Per quanto riguarda la Murgia, sappiamo che è emersa all’inizio del cenozoico ed è rimasta emersa
grossomodo per tutta l’era cenozoica, su questo territorio si è impostato quindi un insieme di
fenomeni erosivi e di alterazione della superficie topografica legati anche all’instaurarsi di fenomeni
carsici; sul finire del pliocene il blocco Murgiano è sprofondato ed è stato quasi completamente
sommerso dal mare pliocenico, ma questa fase è durata molto poco e già all’inizio del pleistocene il
blocco Murgiano è riemerso sotto l’azione di spinte appenniniche raggiungendo la configurazione
attuale. Durante questa fase di emersione questa zona ha subito una serie di fenomeni di rottura che
hanno interrotto la continuità orizzontale del carsismo impostatosi durante il periodo terziario; è per
questo che troviamo una serie di cavità carsiche a grande sviluppo orizzontale alcune delle quali si
sono sfalsate andando a costituire i grossi blocchi in cui è rimasto suddiviso l’altopiano Murgiano,
non solo, ma, in quelle che erano le depressioni, le zone più concave, più depresse dell’altopiano
Murgiano (le ondulazioni che si sono formate proprio perché la superficie è stata esposta ai
fenomeni erosivi per tutto il cenozoico), si sono depositati materiali quaternari; queste zone sono
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molto importanti perché sono le zone dove si sono poi sviluppati i maggiori insediamenti (Gioia del
Colle, Rutigliano, Terlizzi..), la maggior parte degli abitati sono sorti qui perché a differenza della
Murgia che essendo costituita da calcari permeabili è una zona in cui non c’è disponibilità di acqua,
in questi centri la presenza di depositi sabbiosi e quindi permeabili sopra a zone argillose ha dato
luogo alla formazione di piccole falde, a depositi di acqua. Se consideriamo Acquaviva delle Fonti
possiamo osservare che sorge su un territorio dove sono presenti piccole sorgentelle, a Rutigliano
c’è la tradizione dei fischietti di terracotta che si è potuta radicare per la presenza di argilla in
quell’area.
Il territorio che comprende la Fossa Bradanica ed il Tavoliere di Lecce è caratterizzato da calcari
sprofondati ma in continuità con quelli della Murgia e del Salento; in questa zona durante il periodo
pliocenico e pleistocenico in relazione alla fase di sprofondamento della Murgia si è instaurato un
ciclo trasgressivo e regressivo, abbiamo perciò che sui calcari si sono depositati in trasgressione
delle calcareniti che troviamo in affioramento in tutta la zona vicino a Taranto (nord-ovest) e che
prendono il nome di Calcareniti di Gravina queste rappresentano la parte basale dei depositi del
ciclo trasgressivo, sono poggiate sui calcari e tra di essi abbiamo
una lacuna stratigrafica perché si passa dai calcari del cretacico alle Calcarenite di Gravina del
pliocene superiore-pleistocene inferiore.
Sulle calcareniti si sono poi depositate le argille, con grandi spessori nella zona della Fossa
Bradanica (1000 m di spessore di argilla) e spessori più modesti nella zona di Taranto.
Ma anche qui, in funzione dello sprofondamento dei calcari, possiamo trovare spessori che vanno
da pochi metri a qualche centinaio di metri (200-300 m) perché i calcari digradano dalla Zona
Murgiana attraverso una serie di faglie ed una serie di piccoli horst verso il mar Ionio.
Se per esempio consideriamo la salina grande che è una zona più o meno allungata che ha una
lunghezza di circa 2 km possiamo osservare che nella zona di monte abbiamo uno spessore di
argilla di 80-90 m mentre a valle lo spessore è di circa 300 m il tutto ricordiamo su una porzione di
territorio lungo appena 2 km.
Questo dimostra che, come dicevamo, da punto a punto ci sono spessori notevolmente diversi in
funzione dell’irregolarità dl substrato.
2-3 km a monte della salina troviamo l’horst calcareo su cui nasce S. Giorgio Jonico.
Proprio perché i calcari sono rotti, fratturati, il mare è riuscito a penetrarvi depositando tutti questi
materiali; gli spessori sono legati al livello di sprofondamento che hanno subito i calcari.
Ancora sulle argille (per le quali abbiamo diverse denominazioni: argille del Bradano, argille di
Taranto, argille Sub-Appenniniche, argille grigio-azzurre per via della loro colorazione grigio-
azzurrognola) si sono depositate delle calcareniti regressive, cioè di un mare che si stava ormai
ritirando, che prendono il nome di Calcareniti di Monte Castiglione, che troviamo essenzialmente
nella zona di Taranto; queste sono delle calcareniti molto tenere, riccamente fossilifere con un gran
numero di vuoti.
Verso la zona Appenninica (ovest di Taranto) i depositi regressivi sono costituiti da materiali più
variegati: abbiamo calcareniti, sabbie, ghiaie che costituiscono i depositi di un mare che stava
arretrando e che era caratterizzato non solo dagli apporti carbonatici derivanti dalla Murgia ma
anche da una serie di apporti terrigeni provenienti dall’Appennino.
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Se ci spostiamo nella zona più propriamente della Fossa Bradanica (quindi siamo già in Basilicata)
abbiamo che i depositi regressivi sono costituiti da sabbie che prendono il nome di Sabbie di Monte
Marano e da conglomerati grossolani che prendono il nome di Conglomerato di Irsina; in questa
zona ad ovest di Taranto i depositi regressivi si presentano disposti a quote diverse corrispondenti
alle diverse fasi di arretramento del mare pleistocenico e quindi sono depositi terrazzati, guardando
in sezione si vede una serie di terrazzi. Lentamente abbiamo la formazione di una serie di piccole
scarpate o di dune legate all’arretramento del mare.
Infine nella Zona del Tavoliere abbiamo ancora un substrato calcareo di calcari sprofondati a
notevole profondità ed abbiamo una deposizione di argille in profondità con un grosso spessore di
materiale sabbioso e ghiaioso legato agli apporti di materiale terrigeno che arrivava dall’Appennino.
Per quanto riguarda il Gargano possiamo osservare che è rimasto come un horst calcareo isolato dal
resto della piattaforma, mentre il Sub-Appennino rappresenta il fronte avanzato dei depositi
alloctoni appenninici che si trovano in una zona più arretrata, più interna (verso Campobasso?).
Se vediamo una sezione NE-SO abbiamo più o meno una situazione di questo tipo: abbiamo calcari
dell’avampaese apulo, che spostandoci verso SO troviamo sprofondati per faglia diretta, con la
presenza di qualche horst e riempiti con depositi quaternari del ciclo trasgressivo e regressivo e
proseguendo ancora verso SO abbiamo il fronte che spinge dall’Appennino con una serie di
materiali appenninici incuneati nel mezzo.

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