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LEZ° 1

2/10/2017
Oggi introduciamo una descrizione dell’origine dei terreni per poi iniziare a parlare delle
caratteristiche fisiche dei terreni.

Parliamo della genesi delle rocce in quanto sappiamo che i terreni sono costituiti dalla disgregazione
di queste ultime.

Le rocce possono essere determinate dalla fusione del magma che fuoriesce da un vulcano, come
possiamo vedere dall’immagine, se si trovano sulla superficie esterna vengono chiamate “effusive”,
“piroclastiche” e “intrusive”. Effusive quando il magma fuoriesce sotto forma di lava sull’esterno e si
deposita sui fianchi del vulcano. Intrusive quando il magma non fuoriesce all’esterno ma intrude
all’interno di formazioni esistenti e crea rocce che si trovano appunto al di sotto della superficie,
esempio i graniti. Le rocce Piroclastiche invece sono sempre prodotto dell’attività vulcanica ma non
sono generate da lave, sono generate da prodotti che esplodono in aria sotto forma di mix di vapori e
magma polverizzato. Tali prodotti poi raffreddandosi in atmosfera si depositano e formano come ad
esempio i tufi e la pozzolana che sono molto presenti nel territorio napoletano.

Dopodiché abbiamo altri fenomeni che avvengono in realtà in profondità della crosta terrestre e sono
le rocce “metamorfiche “. Le metamorfiche provengono sempre da rocce esistenti (ignee) ma sono
state sottoposte ad azioni meccaniche e termiche e si presentano con una struttura molto particolare e
differente rispetto alle altre rocce, come ad esempio le gneiss.

Infine abbiamo le rocce sedimentarie che si formano per effetto della deposizione, cioè in acqua le
particelle di roccia stesse si depositano e nel tempo si sedimentano con una velocità molto lenta e cosi
creano legami di cementazione tra le particelle minerali, come per esempio i calcari.

I terreni invece nascono dall’alterazione e disgregazione delle rocce per effetto dei agenti atmosferici,
come pioggia vento e sole che agendo sulla superficie delle rocce determinano o un’alterazione
chimica o una disgregazione fisica. In questi casi si rompono i legami che ci sono tra le particelle
minerali che costituiscono la roccia e determinano particelle più piccole che vengono chiamate rocce
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sciolte che formano appunto i terreni. Questi terreni possono essere poi anche trasportati per azione
dell’acqua dei fiumi, sedimentare nuovamente in ambiente “acquatico”, per esempio lungo le anse dei
fiumi dove la corrente dell’acqua è più lenta e quindi le particelle più piccole hanno maggior tempo di
sedimentare e in funzione di regime idraulico abbiamo la sedimentazione delle particelle più
grossolane e delle particelle più fini. Poi potremmo avere fenomeni di diagenesi cioè delle
riformazioni, la roccia una volta disgregata costituisce un terreno, dopodiché in un ambiente
chimicamente consentito o per effetto di azioni meccaniche per esempio un sovraccarico litostatico,
cioè che deriva dall’accumulo di terreno al di sopra, si riformano nuovi legami che sicuramente
saranno più deboli rispetto alla roccia madre. Tali legami formeranno dei terreni o molto addensati
quindi molto compatti o terreni che a volte presentano una cementazione, cioè c’è un cemento tra le
particelle del terreno e quindi abbiamo dei materiali che hanno consistenza di una roccia tenera. Per
esempio le arenarie o le calcarenite che sono delle sabbie che sono cementate e quindi sono prodotto
di diagenesi che però presentano una resistenza meccanica bassa.

Per quanto riguarda la struttura fisica di una roccia e di un terreno, nella roccia avremo una struttura
continua con un volume di interesse geotecnico continuo mentre il terreno è discontinuo perché è
costituito da particelle che sono circondati da vuoti, tali vuoti a volte sono riempiti da un fluido e
quindi oltre ad essere discontinui sono anche multifase. Infine a differenza di una roccia, un terreno o
meglio una roccia sciolta messa in acqua e soggetta ad una blanda azione meccanica perde i legami tra
le particelle e quindi da luogo ad un fango. Quindi è un aggregato costituito da granuli che sono le
componenti solide elementari di cui è costituita la terra quando è stata a contatto con l’acqua. Che
dimensione hanno i granuli?

Possiamo avere dimensioni più varie possibili, passiamo da dimensioni che possiamo apprezzare ad
occhio nudo, dell’ordine dei 10 cm (ciottoli), fino a dimensioni che possiamo apprezzare solo a livello
macroscopico dell’ordine dei micron. Da ciò distinguiamo terreni granulari o grossolani a terreni fini,
in particolar modo quelli granulari hanno una forma più arrotondata o meglio regolare, quelli fini
invece hanno una forma meno regolare diciamo appiattita.

L’insieme delle particelle o dei granuli che costituiscono il terreno lo chiamiamo “scheletro solido”, e
distinguiamo terre granulari da terre fini.

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Come si può vedere dall’immagine in quelle fini le particelle sono più appiattite e dell’ordine del
centimetro, nei granulari sono arrotondati e sono dell’ordine del centesimo del millimetro. Come
possiamo vedere inoltre, l’acqua riempie i pori tra le particelle (non è detto che riempie tutti i pori, non
completamente saturi), osserviamo inoltre che nei terreni fini oltre ai pori che possono essere riempiti
d’acqua c’è una sorta di velo d’acqua intorno a ciascuna particella allungata che costituisce quello che
si chiama “complesso di adsorbimento”. Quindi le particelle all’interno dello scheletro interagiscono
tra di loro sia per azioni meccaniche, mentre per particelle fini, per azioni solido-fluido o meglio
elettrochimiche. Quindi le caratteristiche che distinguono i terreni granulari (sabbia, ghiaia) da quelli
fini (argilla limo), oltre ad essere una differenza di dimensione c’è anche una differenza legato al
modo in cui i granuli tra di loro interagiscono.

La grandezza che regola la distinzione tra un terreno a grana fine e un terreno a grana
grossa(granulare) è la superficie specifica cioè il rapporto tra la superficie del singolo granulo e la sua
massa. Questo rapporto definisce appunto un rapporto tra le forze superficiali del granello e le forze di
volume, dove le forze di volume sono legate alla massa e quindi legate alle azioni meccaniche che si
scambiano le particelle mentre le forze superficiali sono di natura elettrochimiche e quindi definisce
un rapporto tra le azioni. Ad esempio per una particella sferica, la superficie specifica sarà:

Quindi notiamo che la superficie specifica è direttamente proporzionale al diametro, più piccolo è il
diametro più grande sarà la superficie specifica.

Terre Granulari
Allora se parliamo di terre granulari abbiamo detto che le forze di superficie sono molto più piccole di
quelle di massa e quindi l’iterazione meccanica dipende:

1. Dalla dimensione e distribuzione granulometrica delle particelle. La distribuzione


granulometrica ci dice come sono distribuiti le dimensioni delle particelle nella miscela, la
distribuzione può essere uniforme quando tutte le particelle hanno la stessa dimensione oppure
possono avere una distribuzione assortita quando avrò diverse dimensioni di particelle che
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vanno anche ad occupare i vuoti particellari. Tale differenza comporta delle conseguenze su
alcune caratteristiche meccaniche e idromeccaniche, che sono:

-la permeabilità, l’acqua che scorre all’interno dei vuoti (acqua libera) fa più fatica a scorrere se si
trova in una distribuzione assortita per la presenza di particelle più fini. Quindi quanto più grande è la
presenza di particelle maggiore sarà la difficoltà dell’acqua a filtrare in quanto ci saranno perdite di
carico.

-le proprietà meccaniche, la distribuzione assortita avrà una maggiore resistenza alle azioni
meccaniche e fisiche perché ha una densità maggiore ed è più compatto e meno deformabile.

2. Dalla forma dei grani. La forma dei grani può essere subferica, allungata e appiattita, tale
forma vengono stabilite da un rapporto tra la superficie sfera di pari volume su superficie
granulo, indicato con il simbolo Ψ.
- Ψ=1 forma subsferica
- 0 >Ψ> 1 forma appiattita
- Ψ≈ 0 forma allungata

3)Dalla mineralogia. Può capitare che la mineralogia delle particelle può essere tale che le particelle
stesse sono fragili per azioni meccanica, un caso semplice sono le pomici, le pozzolane. Una pomice si
può rompere facilmente anche con le dita perché presenta una struttura molto porosa e quindi
facilmente si sfalda.

Quindi in definitiva possiamo sintetizzare in questo modo:

Terre Fini
Per quanto riguarda i terreni a grana fini, le unità elementari sono costituite da minerali che si
combinano tra di loro in reticoli. Le unità principali dei terreni a grana fini abbiamo visto che sono dei
fibrosilicati costituiti da silice legate alle particelle di ossigeno, le singole unità di silice si trovano
legati in aggregati di tetraedri di forma planari con legami molto forti di equivalenza. Come possiamo
vedere:

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Inoltre la silice + la gibbsite si legano tra di loro chimicamente perché hanno una prevalenza di cariche
positive e negative, costituendo degli aggregati di Caolinite (materiale che costituisce l’argilla). La
caolinite è costituita da un piano di silice e un altro piano di idrossido di alluminio:

A loro volta queste strutture presentano sulla superficie uno squilibrio di cariche negative, quindi
hanno capacità ancora di interagire chimicamente con altre strutture simili. Quindi tra di loro sono
legati tramite legami ionici Al+Si ma a loro volta questo pacchetto è connesso, con legami più deboli,
ponti idrogeno, ad altri pacchetti analoghi. Questi pacchetti tra di loro costituiscono i granuli, quindi
ogni granulo è costituito da frammenti di roccia e ogni frammento di quest’ultima è costituita dagli
aggregati di questi pacchetti di minerali.

Possiamo osservare che il granulo ha comunque al suo esterno un certo squilibrio elettrolitico per cui
ci sono delle cariche superficiali negative all’esterno che sono in grado di attrarre l’acqua contenuta
dai granuli. L’acqua si lega al granulo visto prima, c’è un velo di acqua che non è libero di muoversi
ma è legata chimicamente e viene chiamata “acqua assorbita”. Al di là di questo velo d’acqua le altre

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particelle di acqua contenuta nei pori sono libere di muoversi e viene chiamata acqua libera, l’insieme
del granulo e dell’acqua adsorbita si chiama “doppio strato”. L’acqua libera contiene all’interno dei
sali in soluzione o meglio ioni, tale presenza di sale è molto importante perché il complesso acqua
adsorbita+granulo interagiscono fra di loro con forze di tipo repulsive e di tipo attrattive. Le forze
repulsive decrescono con la distanza cioè più le particelle sono distanti e meno si respingono, questo
respingimento tra le particelle stesse per effetto della presenza di cariche elettriche sulla superficie e in
presenza di ioni disciolti in acqua vicino alle particelle, la forza repulsiva si riduce. Quindi come
possiamo vedere dal grafico all’aumentare della concentrazione salina le forze di repulsione si
abbattono:

Invece le forze di attrazione dipendono dal campo magnetico degli elettroni che ruotano intorno alle
particelle minerali e non dipendono dalla concentrazione salina, anche queste però all’aumentare della
distanza si riducono. Se componiamo le curve blu e quelle rosse abbiamo queste curve viola che
rappresentano la somma di forze di attrazione e di repulsione, da questa osserviamo che c’è una
distanza in cui a seconda della concentrazione c’ è equilibrio tra le due forze. Quindi la presenza di
ambiente salmastro o dolce cambia la struttura del terreno, perché in acqua dolce le particelle tendono
a disporsi in maniera caotica e distanti, se aumenta la concentrazione salina si avvicinano e tendono ad
avere una forma flocculata perché ricorda un fiocco.

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II PARTE

Adesso invece ci spostiamo di più sul vivo della geotecnica, in particolare avendo descritto quindi una
distinzione del comportamento meccanico di un terreno a grana fine (argilla, limo) e a grana grossa
(sabbia, ghiaia) ora il problema principale che ci poniamo nella geotecnica è quello di identificare
questi materiali. Quindi sicuramente abbiamo necessità di identificare cosa abbiamo in sito, se per
esempio andiamo a costruire un edificio, il terreno sottostante nella fondazione di che natura è? Per
fare questo innanzitutto bisogna fare delle prove in laboratorio, questo sono in particolar modo
sintetizzate in questa slide:

Inizialmente dobbiamo riconoscere un campione di terreno che portiamo in laboratorio e di questo


cerchiamo di capire: da che sito proviene, come è stato prelevato e che aspetto presenta. Quindi
possiamo fare delle prime indagini molto veloci che consentono di capire se per caso questo è un
terreno che presenta legami interparticellari di cementazione, ad esempio se c’è della cementazione
con calcite, soggetto a poche gocce di acido cloridico i legami di calcite vengono sciolti e quindi
possiamo ritenere che il materiale presenta deboli legami di cementazione. Possiamo vedere anche se
per caso sono presenti particelle di contenuto organico nel terreno per esempio le torbe, le torbe infatti
sono terreni non buoni perché sono molto compressibili e quindi caricati tendono a cedere
notevolmente. Per conoscere la presenza di materiale organico basta fare reagire il contenuto di
campione con l’acqua ossigenata e da questa identifichiamo la presenza di sostanze organiche.
Possiamo inoltre fare quello che si chiama Shaking test cioè un riconoscimento rapido di quanta
frazione fine è presente nel terreno, se prendiamo una nota quantità di terreno e la mettiamo in un
barattolo di acqua, lo agitiamo e lo lasciamo sedimentare, notiamo che subito sedimentano gli elementi
a grana grossa e nel tempo sedimentano quelli a grana fine. Appena l’acqua si chiarifica cioè non ci

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sono più particelle in sospensione e quindi si sono tutte depositate, i vari strati che si formeranno nel
barattolo, quindi strato di particelle grossolane, meno grossolane e fini, aiutano a capire quanto è la
percentuale di sostanza argillosa (di contenuto a grana fine) presente nel terreno. Tutte queste azioni
che svolgiamo per il riconoscimento generale sono svolte rapidamente soltanto per orientarci nella
scelta delle prove che andiamo poi ad effettuare. Adesso è importante distinguere un materiale
rimaneggiato da un materiale indisturbato, il materiale rimaneggiato è un materiale che noi preleviamo
da un sito però lo alteriamo per operazione meccanica oppure lo mescoliamo, cambiamo la struttura
quindi cambiando lo stato rispetto a quello che si trova in sito. Ovviamente il materiale rimaneggiato è
meno pregiato dal punto di vista della caratterizzazione rispetto a quello indisturbato. Viceversa il
materiale indisturbato per eccellenza sarebbe il materiale che è esattamente come si trova nelle sue
condizioni in sito, con tecniche e accorgimenti siamo in grado di alterare il meno possibile la struttura
del terreno e quindi è come prelevare un terreno nelle sue condizioni reali.

Sul materiale rimaneggiato possiamo fare delle prove di identificazione cioè delle prove che servono a
determinare quelle caratteristiche del terreno che non sono sensibili a rimaneggiamento. Se prendo un
campione di terreno e lo sbatto come voglio in acqua o senza acqua, allora lo disgrego, la distribuzione
granulometrica delle particelle che c’è dentro è sempre la stessa.

Oltre alla granulometria nel materiale rimaneggiato possiamo identificare altre due grandezze: il peso
specifico delle particelle e i limiti di atterberg.

Il peso specifico delle particelle non dipende dallo stato in cui si trova il campione di terreno, quindi
anche se è rimaneggiato rispetto allo stato che c’è in sito, il peso specifico della singola particella sarà
sempre lo stesso.

Invece sul materiale indisturbato cioè quello che non altera lo stato, andiamo ad identificare il peso
dell’unità di volume ϒ, che non è un peso specifico perché dipende anche dalla presenza dei vuoti
interparticellari e quindi può cambiare. Lo stesso terreno se si addensa avrà un peso per unità di
volume maggiore, mentre il peso specifico dipende solo dal materiale, quindi per le particelle è
corretto parlare di peso specifico ciò non è vero per un terreno perché appunto dipende dallo stato,
ecco perché in questo caso lo stato naturale è importante e non dobbiamo alterarlo, quindi il peso per
unità di volume lo possiamo trattare solo se è un materiale indisturbato.

Mentre il contenuto di acqua w rappresenta il contenuto di acqua presente nei pori, anche questa
quantità non può essere fatta su un campione rimaneggiato perché una parte dell’acqua presente nel
campione si sarà allontanata quindi abbiamo di nuovo alterato le condizioni del campione rispetto a
quello che era in sito.

Quindi in sostanza alcune le possiamo identificare sul materiale rimaneggiato e sono quelle che si
chiamano identificazioni, che sono parametri o grandezze che non dipendono dallo stato. Altri invece
dette caratteristiche fisiche generali dobbiamo determinarle dal materiale indisturbato e sono appunto:
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peso per unità di volume, contenuto d’acqua ma anche la porosità o indice dei vuoti che ci indica
quanti vuoti sono presenti tra le particelle in termini volumetrici e che si determinano anche questi su
un campione allo stato naturale, quindi su un materiale indisturbato una volta però noto il peso
specifico. In geotecnica vedremo spesso la distinzione tra un campione indisturbato e rimaneggiato,
ancora nell’indisturbato oltre alle caratteristiche fisiche generali, chiamate fisiche perché non sono
meccaniche cioè ci dicono quanto pesa, quanta acqua c’è e quanti vuoti ci sono ma non ci dettano
quali sono le azioni meccaniche e le proprie conseguenze (spostamento, deformabilità). Però sul
materiale indisturbato possiamo fare anche delle prove meccaniche, prendiamo un provino di una certa
forma, cilindrico allungato, cilindro piatto, una sorta di prisma, queste ci consentono di determinare le
proprietà idrauliche e le proprietà meccaniche. Vediamo nell’immagine di prima, le varie sigle che
indicano le prove principali che troviamo in laboratorio:

PROVE MECCANICHE

*TX= PROVA TRIASSALE

La deformabilità si traduce in un modulo di taglio o modulo di young

*CEd= COMPRESSIONE EDOMETRICA

La compressibilità nella prova edometrica si traduce in un modulo edometrico.

*TD= TAGLIO DIRETTO

La resistenza si traduce in una coppia di parametri che sono coesione e attrito.

PROVE IDRAULICHE

*PP= PERMEABILITA’

Sono prove che ci dicono quanto velocemente l’acqua scorre l’acqua all’interno del terreno. Queste
prove fatte in laboratorio sono meno interessanti rispetto a prove sempre idrauliche fatte in sito, perché
il campione perderà nel corso del tempo questa permeabilità e quindi potremmo sfasarla.

Quindi abbiamo detto che un campione di terreno prelevato viene portato all’interno delle fustelle in
laboratorio, all’interno si presenta con una forma cilindrica, si apre la fustella e si estrude dalla fustella
il campione e si descrive in termini di colore (legato alla mineralogia), plasticità (lavorabilità) e cosi
via come possiamo vedere dall’immagine:

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Queste sono tutte descrizioni all’apertura del campione che sono semi-qualitative, cioè non sono delle
descrizioni qualitative affidabili ma sono basati su un’analisi visuale e sul tatto e quindi è una
descrizione sommaria che servono a stabilire quali sono le ulteriori analisi da fare in laboratorio per
poi determinare i parametri. Dal campione ricaviamo poi dei provini più piccoli dell’odine di 10-15
cm per analisi granulometrica , per prove triassiali, per prove compressione edometrica.

Adesso cominciamo a capire come determinare tutte le caratteristiche fisiche-generali che possiamo
trovare su un campione indisturbato attraverso opportune prove.

Quest’ultima figura ci indirizza sul fatto che il comportamento meccanico della roccia sciolta o del
terreno rispetto alla roccia lapidea è interessata da quali sono i rapporti volumetrici tra particelle-
fluido-vuoti. Quindi le prime caratteristiche fisiche che ci interessano determinare sono proprio questi
rapporti tra fasi e che servono per analizzare il problema del terreno con un approccio ai continui
sovrapposti cioè significa che noi immaginiamo il terreno costituito da una fase solida, o scheletro
solido, costituito dalle particelle e da una fase fluida sovrapposta che analizziamo di solito con
un’analisi di idraulica attraverso i moti di filtrazione. Nell’ambito del corso vedremo che l’approccio
ai continui sovrapposti si traduce attraverso un principio che chiameremo “il principio delle tensioni
efficaci”. Infine ci sarebbe anche la fase gassosa che di solita la assumiamo priva di peso e quindi ci
interessa solo dal punto di vista volumetrico.
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E’ comodo fare riferimento a degli schemini definendo:

l’unità di volume elementare V, il volume del solido Vs che corrisponde al volume delle particelle
solide, immaginando di compattare tutte queste particelle eliminando tutti i vuoti, il volume dell’acqua
Vw e infine il volume dei gas Vg. Il volume dell’acqua e il volume del gas sommati assieme
restituiscono il volume dei vuoti Vv, quindi il volume totale per unità di volume è dato:

Queste sono le fasi volumetriche con cui analizziamo di solito il problema.

Mentre in termini di peso poiché il peso del gas è pari a zero, il peso complessivo per unità di volume
è dato dal peso dei grani Ps più Pw cioè peso dell’acqua, il peso totale è valutato come P=Ps+Pw

La maggior parte delle grandezze che noi possiamo definire saranno combinazioni di volumi e di pesi
o viceversa, vediamo quali sono:

Dove:

-il contenuto di acqua w è una delle caratteristiche che dobbiamo determinare su un campione
indisturbato perché l’acqua deve essere presenta e non allontanata.
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-il peso specifico del solido ϒs definito come il peso della fase solida su volume della fase solida.

-peso specifico del fluido ϒw dove il 9,81 kN/m³ è un dato noto

-peso dell’unità di volume ϒ detto anche peso umido per ricordarci che in realtà c’è anche l’acqua
dentro. Tale peso è dato come vediamo dal peso delle particelle più il peso del fluido diviso il volume
totale e notiamo che questo volume è ben diverso da ϒs.

-peso secco dell’unità di volume ϒd invece assumo che non ci sia acqua o meglio che ci sia acqua ma
che mi interessa determinare soltanto l’incidenza delle particelle solide, come faccio? metto il provino
in una stufa o forno che starà a 105°C per 24 h, l’acqua libera evapora e quindi il Vw è pari a 0. Se
peso il campione e poi lo divido per il volume ottengo ϒd.

Normalmente sempre per avere un’idea, abbiamo detto che ϒw vale circa 10 kN/m³, ϒs vale circa 25-
27 kN/m³, ϒ è compreso tra ϒw e ϒs mentre ϒd è più basso di ϒ perché non c’è l’acqua, quindi in
sostanze vale la seguente reazione:

ϒw < ϒd < ϒ < ϒs

Abbiamo parlato quindi di pesi per unità di volume come rapporto tra pesi e volumi invece adesso
guardiamo i rapporti tra volumi:

La porosità n rappresenta il volume dei vuoti sul volume totale, dove il volume dei vuoti non è altro
che la somma dei volumi di acqua e gas quando non è saturo il terreno.

L’indice dei vuoti e è un altro indicatore della porosità, dove in questo caso invece di rapportare il
volume dei vuoti al volume totale lo si rapporta al volume della fase solida. Questa grandezza è utile
perché ha un vantaggio, infatti al denominatore c’è Vs, ora Vs nel corso di una prova meccanica non
cambia perché se un provino si comprime cambia il volume dei vuoti ma non cambia il volume delle
particelle solide e nei calcoli questo può essere utile.

Queste due grandezze sono tra di loro legate da questa relazione e lo si può dimostrare:

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Ora se per esempio assumiamo che il volume dei vuoti non si distingue tra volume di acqua e volume
di gas e prendiamo un volume unitario, se la mia base è l’intera unità di volume allora vuol dire che il
mio volume unitario sarà 1*1. Invece se la mia base è il volume delle particelle solide vuol dire che il
mio volume sarà soltanto 1*1 la parte solida, vediamo dal disegno:

Con delle relazioni possiamo ricavare n in funzione di e come:

e n e
= quindi n=
1+e 1 1+e

Ancora possiamo ricavare e in funzione di n:

e n n
1
= 1−n quindi e = 1−n

Un’altra grandezza che rappresenta i rapporti tra volumi è il grado di saturazione che ci indica il
rapporto tra il volume di acqua e il volume dei vuoti, se tutti i vuoti sono pieni di acqua questo
rapporto è pari ad 1. Vediamo adesso le condizioni limite: dove per solido continuo vuol che non ci
sono vuoti

Introduciamo adesso la distinzione tra terreno asciutto, terreno umido e terreno saturo, dal solito
schemino del cubetto del terreno con i vari vuoti, vediamo che:

1) Terreno Asciutto

Per terreno asciutto intendiamo il grado di saturazione pari a zero (Sr= 0), non c’è acqua, il peso ϒ in
questo caso è pari a ϒd cioè pari al peso del secco. Facendo i vari passaggi otteniamo che ϒd è pari
alla relazione scritta nel riquadro.

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2) Terreno Umido

Per terreno umido vuol dire che c’è l’acqua però non riempie tutti i vuoti, ci sarà anche dell’aria. Il
grado di saturazione Sr è compreso tra 0 < Sr < 1 mentre il peso ϒ e il grado di saturazione saranno
dati da:

3) Terreno Saturo

Per terreno saturo invece Sr=1

Queste relazioni possono essere espresso in maniera più semplificata, prendendo sempre lo schemino
di prima:

𝑃𝑠
ϒs= 𝑉𝑠 quindi in un volume unitario pari a 1 il ϒs rappresenta il peso del cubetto solido 1x1

𝑃𝑠 ϒ𝑠∗1
ϒd= 𝑉
= 1+𝑒 per il volume totale mi sto riferendo al lato di sinistra, mentre se ci riferiamo al lato di

destra:
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𝑃𝑠 (1−𝑛) ϒ𝑠
ϒd= = ϒ𝑠* ; ϒd= = ϒs (1-n) 1
𝑉 1 1+𝑒

Questa è la relazione scritta per il terreno asciutto.

Per il terreno umido vediamo che:

ϒ= ϒs (1-n) questo dalla relazione precedente 1 è pari a ϒd + il peso dell’acqua contenuta,


ricordiamoci il contenuto di acqua a cosa era pari:

𝑃𝑤
w= 𝑃𝑠
quindi posso anche scrive che il peso dell’acqua sarà dato da: w= ϒw * w (1-n) perchè

Pw= w*Ps

Ps= ϒs * (1-n)

Quindi alla fine scriverò:

ϒ= ϒ𝑠 ∗ (1 − 𝑛)(1 + 𝑤)

Mentre se sto in presenza di saturazione posso scrivere:

ϒsat = ϒ𝑠 ∗ (1 − 𝑛) + ϒ𝑤 ∗ 𝑛

Scrivo ϒw perché tutti i vuoti sono pieni di acqua e tutta la porosità dell’unità di volume è riempita di
acqua.

Inoltre c’è un altro ϒ di cui faremo uso in geotecnica che è il ϒ’ o meglio peso immerso dell’unità di
volume. Questo peso fa riferimento al fatto che un “corpo solido immerso in acqua è soggetto a una
spinta verso l’alto che è pari al volume del liquido spostato” (Principio di Archimede).

Se prendiamo un corpo ad esempio un terreno saturo di volume unitario

questo sarà soggetto al peso del corpo ϒsat*Vunitario e alla sottospinta dell’acqua che sarà uguale al
peso dell’acqua ϒw*Vunitario. La risultante del peso del corpo + la sottospinta dell’acqua sarà dato da
ϒsat-ϒw

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Se invece prendiamo un corpo di particella solida il cui volume sappiamo che è pari a V=(1-n)

allora in questo caso il proprio peso sarà pari a ϒs*(1-n) mentre la sottospinta sarà data da ϒw*(1-n).
La risultante del peso del corpo + la sottospinta sarà data da : (ϒs-ϒw) (1-n)

Da quest’ultime possiamo scrivere le risultanti sono uguali tra di loro, in modo tale da definire il ϒ’
come la differenza tra ϒsat e ϒw, ovvero come:

In definitiva quindi il ϒ’ per definizione rappresenta il peso delle particelle del terreno immerso in
acqua e lo utilizziamo quando ci troviamo in condizione di saturazione e vogliamo calcolare le
cosidette tensioni efficaci.

Come determiniamo in laboratorio queste grandezze che abbiamo definito?

Per quanto riguarda il peso specifico ϒs lo determiniamo con il ”picnometro” o con il


“volumenometro”

Il picnometro lo utilizziamo per terreni a granulometria più fine mentre il volumenometro per terreni a
granulometria più grossa.

La definizione del peso specifico è:

𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑠𝑜𝑙𝑖𝑑𝑜
ϒs= 𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑠𝑜𝑙𝑖𝑑𝑜

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Quindi dobbiamo sapere quanto pesano una certa quantità di particelle solide e quanto volume
occupano le sole particelle solide. Per calcolare il peso è semplice, prendiamo un campione di terreno
lo mettiamo in una stufa per allontanare l’acqua libera a 105°C per 24h, dopodichè lo pesiamo e
conosciamo Ps.

Invece per calcolare il volume a questo punto serve o il picnometro o il volumenometro, entrambi
sono dotati di una buretta graduata.

Se noi prendiamo un recipiente pieno di acqua distillata e ci mettiamo dentro il terreno seccato di peso
Ps, l’acqua che c’è dentro una volta messo il terreno tende ad uscire e allora con la buretta leggiamo il
livello di quanta acqua è fuoriuscita e quindi sappiamo quanto è il volume del terreno che abbiamo
messo dentro. Questo è il principio di funzionamento del volumenometro, mentre il picnometro
funziona diversamente nel senso che, anche in questo caso pesiamo prima il recipiente pieno di acqua
distillata poi pesiamo il recipiente con l’acqua più il terreno, la differenza dei due pesi ci fornisce il
peso dell’acqua che abbiamo allontanato. Poiché abbiamo noto il peso del terreno e conosciamo il
peso specifico dell’acqua, dal peso specifico dell’acqua moltiplicandolo per il peso dell’acqua spostata
otteniamo il volume dell’acqua spostata e quindi il volume del terreno che c’è dentro.

Adesso vediamo invece come si determinano le caratteristiche fisiche generali n,w,ϒ cioè i rapporti
delle fasi in termini di pesi e volumi.

-Misura del peso (umido) dell’unità di volume, ϒ (campione anche disturbato)

Prendiamo una fustella che contiene una certa quantità di terreno, sappiamo quanto pesa la fustella
(acciaio) vuota Pf , poi pesiamo la fustella con il campione di terreno dentro Pf+c, sottraendo il peso
della sola fustella sappiamo quanto è il peso del solo campione. Se lo dividiamo per il volume della
fustella in cui il terreno è contenuto otteniamo il peso umido dell’unità di volume ϒ:

-Misura del peso secco dell’unità di volume ϒd (campione non disturbato)

Dobbiamo semplicemente allontanare l’acqua, quindi facciamo la stessa operazione che abbiamo fatto
prima ma il campione lo mettiamo prima in una stufa, in modo da far evaporare l’acqua. La differenza
di peso del campione prima della stufa e dopo la stufa corrisponde all’acqua che si è allontanata e
quindi ci fornisce la Pw.

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-Misura del contenuto di acqua

Note queste quantità ricaviamo n, e , Sr con le operazioni prime descritte, perché noi in realtà in
laboratorio misuriamo solo ϒ, ϒs, ϒd e w.

-Riepilogo finale:

Da notare la torba, essendo di contenuto organico ha un peso specifico delle particelle molto basso,
una porosità molto alta, questo fa capire che sono molto compressibili e la presenza di torba ci crea
problemi di forti cedimenti. Riconosciamo la torba anche dal fatto che il peso specifico per unità di
volume è prossimo a quello dell’acqua 10-13.

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LEZIONE 2

09/10/2017

Una caratteristica che influenza notevolmente il comportamento meccanico dei terreni è la dimensione delle
particelle, quindi un aspetto che in laboratorio dobbiamo assolutamente analizzare è la distribuzione
granulometrica , cioè la distribuzione ponderale della dimensione dei granelli che costituiscono l’aggregato
particellare di cui è fatto il nostro terreno. Quindi preso un campione di terreno un’analisi che sicuramente
faremo in laboratorio è un’analisi granulometrica. L’analisi granulometrica viene condotta con due tecniche:

Due tecniche perché distinguiamo terreni che hanno un diametro equivalente di dimensioni maggiori di 75
micron dai terreni con una dimensione minore di 75 micron. Questo limite è convenzionale e si assume come
limite che distingue i terreni a grana fine dai terreni a grana grossa, ossia terreni fini dai granulari. 75 micron
è una dimensione che mi fa capire che le due classi granulometriche si distinguono in funzione della loro
visibilità ad occhio nudo, in quanto al di sotto del millimetro non siamo in grado di apprezzare la dimensione
di una particella. La rappresentazione granulometrica viene riportata in un piano semilogaritmico dove
sull’asse delle ascisse abbiamo il diametro espresso in millimetri in scala logaritmica, sulla scala delle ordinate
il passante al generico staccio (se ci riferiamo alla stacciatura) in peso in termini percentuali.

Figura 2.1

Adoperiamo una scala logaritmica perché come in altri casi in geotecnica e in meccanica dei terreni la scala
logaritmica serve quando dobbiamo rappresentare sullo stesso grafico grandezze che hanno una grossa
variabilità, la dimensione delle particelle è una di quelle grandezze che ha una elevata variabilità e quindi se
la rappresentassimo in scala naturale non riusciremmo ad apprezzare la distribuzione. Le curve colorate rosse
e blu si riferiscono rispettivamente alla stacciatura e alla sedimentazione. Esse si raccordano in un punto che
corrisponde a 75 micron. Sulla base di questa curva noi facciamo una distinzione che troveremo sempre in
geotecnica che è leggermente più accurata delle distinzione fatta tra terreni a grana fine e grana grossa cioè :
Possiamo notare una lieve incongruenza perché mentre il passaggio tra terreni fini e terreni granulari è
assegnato tra 75 micron, il passaggio tra sabbia e limo è assegnato a 60 micron. Tale incongruenza nasce
banalmente tra la differente scala che c’è tra sistema italiano e sistema americano, quello americano 75 micron
quello italiano 60 micron, sono equivalenti, dipende il laboratorio quale segue. In entrambi i casi sia ghiaia che
sabbia sono individuati tramite stacciatura e sono terreni granulari, limo e argilla sono identificate per
sedimentazione e sono terreni a grana fine. Sulla base della distribuzione granulometrica si può dare una
denominazione al terreno in funzione della frazione prevalente. Per esempio quello rappresentato in figura 2.1
è caratterizzato dalla presenza di frazioni in tutti i campi (sabbia, ghiaia, limo e argilla), il nome il terreno lo
prende dalla frazione prevalente quella che ha la componente maggiore nella distribuzione. Ad esempio in
questo caso:

Essendo il limo presente in una percentuale superiore al 25% nella denominazione diremo che è sabbia con
limo, per quanto riguarda l’argilla, presente al 13%, utilizziamo il suffisso osa, poiché l’ultima frazione
presente è la ghiaia al 5% utilizzeremo l’avverbio debolmente. Quindi il nome di questo terreno sarà : sabbia
con limo argillosa debolmente ghiaiosa. Se ad es. la ghiaia fosse stata presente al di sotto del 5% non sarebbe
stata proprio menzionata.
Non è detto che siano presenti tutte le tipologie, potrei infatti avere la presenza in un solo campo come ad
esempio quello della sabbia e avremo quindi una sabbia al 100%.
Questa curva non solo ci dice che contiene materiale su tutte le classi granulometriche ma essendo molto
allargata è una curva che rappresenta una distribuzione molto ben assortita per questo motivo si definisce un
parametro che si chiama coefficiente di uniformità:

Dove:
𝐷60 rappresenta la frazione al passante al 60%;
𝐷10 rappresenta la frazione al passante al 10%.
Quindi traccio la curva poi entro nel grafico (figura 2.1) al 60% e vado ad intercettare la curva e leggo quindi
sull’asse delle ascisse un diametro 0.12 , entro con il 10% e faccio lo stesso e ottengo un diametro, vado quindi
poi ad effettuare il rapporto dei diametri così ottenuti.

Questo rapporto ci dice:

Nel caso il rapporto sia pari ad 1 la curva granulometrica si presenta molto verticale, molto ripida e parliamo
di un terreno monogranulare, cioè c’è una sola classe granulometrica.
Quindi per i terreni a grana grossa la granulometria si determina per stacciatura utilizzando dei setacci se hanno
la maglia quadrata oppure crivelli se hanno la luce tonda.

C’è quindi una procedura da seguire (figura 2.2):


• prendiamo un campione ne facciamo una quartatura, in questo
modo consideriamo una componente del campione statisticamente
significativa;
• lo essicchiamo in stufa a 105° al fine di allontanare l’acqua libera
presente, questo perché noi effettuiamo le percentuali in peso
quindi se c’è un velo d’acqua presente tra le particelle, perché i
terreni naturali hanno sempre un contenuto d’acqua, questo altera
le distribuzioni ponderali;
• lo pesiamo;
• lo mescoliamo;
• Effettuiamo una stacciatura con una batteria di stacci o crivelli
disposti con il diametro decrescente dall’alto verso il basso in
modo che le particelle più grosse vengono trattenute in alto. Tali
setacci vengono disposti su un tavola vibrante per agevolare la
stacciatura.

Figura 2.2

Ci sono quantità minime (figura 2.3) di terreno che vengono adoperate per
effettuare una stacciatura e dipendono dalla granulometria. Se abbiamo particelle
del diametro di 75 mm (dei ciottoli) dobbiamo usare una massa minima di 120 kg,
se invece abbiamo particelle più piccole bastano poche centinaia di grammi per
poter effettuare l’analisi per stacciatura.

Figura 2.3
Su ciascuno staccio resta conservata una certa massa (Figura 2.4) un certo peso, una
certa quantità di terreno che sono quelle che hanno un diametro superiore di quello
del setaccio su cui i depositano e quindi restano trattenute. Ciascuna di queste masse
rappresenta una classe granulometrica del nostro terreno. Si può calcolare per
ciascun setaccio il trattenuto come sommatoria delle masse sulla massa totale ovvero
il passante perché è il complemento ad 1 del trattenuto .𝑃𝑖 per il generico setaccio di
diametro di luce 𝐼𝑖 , viene messo in relazione con il diametro, quindi ognuno di questi
punti sulla curva rappresenta un passante in funzione del diametro i-esimo del
setaccio in cui abbiamo fatto il calcolo del passante. Ogni punto rosso corrisponde
ad una determinazione i della formula di 𝑃𝑖 . (Figura 2.5)

Figura 2.4

Figura 2.5

La sedimentazione si adopera invece per terreni a grana più fine, questo perché quando le particelle sono molto
piccole noi non siamo in grado di effettuare la stacciatura, appena mettiamo in vibrazione i setacci, ammesso
che ci siano setacci con diametri molto piccoli inferiore ai 75 micron vedremmo sollevare polvere in aria. La
stessa discriminazione tra le classi granulometriche viene fatta in acqua mediante un processo di
sedimentazione. Dentro ad un cilindro che si chiama idrometro o aerometro o densimetro che in ogni caso è
costituito da un cilindro di vetro con uno stelo graduato.
Nel cilindro di vetro mettiamo acqua
distillata con terreno. Il terreno che
passa al diametro 75 micro, in una
quantità nota di 50 g viene messo in
sospensione in un litro di acqua
distillata, in realtà aggiungiamo anche
un agente disperdente per evitare che il
terreno flocculi, cioè le particelle di
terreno in sospensione si aggreghino in
fiocchi cosa che farebbe alterare la
distribuzione granulometrica perché
andremo a misurare il diametro
equivalente del fiocco e non della
particella.

Figura 2.6

Su quale principio si fonda la misura ?


Lo stelo graduato cavo immerso in acqua affonda
fino ad una certa profondità che è nota perché viene
spinto con una forza che per il principio di
Archimede è proporzionale al suo volume e quindi
sullo stelo graduato leggiamo un valore. Per
esempio se arriviamo al livello 1 questo vuol dire
che siamo in acqua distillata, in acqua distillata
infatti questo strumento legge valore 1(densità
dell’acqua) nel terreno che ha una densità maggiore
dell’acqua, la spinta che riceve questo aerometro è
più elevata, quindi lo stelo emerge di più, ad
esempio fino a 1.2,1.25 ecc. mostrando
chiaramente una densità maggiore che è quella
della sospensione. Man mano però che passa il
tempo le particelle che sono in sospensione, quelle
più grosse tendono a scendere, scendono prima quelle più grosse poi quelle più piccole si dà quindi vita al
processo di sedimentazione, dopo un certo periodo di tempo saranno tutte sul fondo e quella in superficie sarà
acqua distillata, chiarificata. Man mano che si svolge il processo della sedimentazione diminuisce la densità
da quella inziale fino a quella finale che è quella dell’acqua distillata , quindi di nuovo 1, l’aerometro affonda(
abbiamo messo il terreno nell’acqua e abbiam agitato). Come possiamo notare dalla figura 2.6 nel tempo t da
circa 1.27 arriviamo a 1.03.
La velocità di affondamento per la legge di Stockes è proporzionale al diametro quindi più grande è il diametro
delle particelle più velocemente sedimentano e di conseguenza cambia la densità della sospensione e quindi
più velocemente affonda l’idrometro. Da quanto velocemente scende l’idrometro possiamo trovare
un’informazione sul diametro delle particelle che hanno appena sedimentato, come se questa cosa
corrispondesse all’aver messo un setaccio di un certo diametro nella nostra sospensione. Leggiamo
contemporaneamente anche la densità della sospensione la quale ci dice qual è la massa di terreno che ancora
è sospesa cioè ancora non è sedimentata (passante: cioè massa di particelle più fini rispetto a quelle
sedimentate). Quindi otteniamo due informazioni:

Tali informazioni ci consentono di completare la curva granulometrica determinando quindi il tratto in blu (
Figura 2.1). La massa che avremo alla fine della sedimentazione non sarà la massa di 50 g alla fine della
sedimentazione quindi avremo la curva con i puntini bianchi (Figura 2.7) che è la rappresentazione della
frazione granulometrica avuta per sedimentazione, dovremmo scalarla in funzione di una certa massa che
abbiamo alla fine della sedimentazione per accordare le due curve. Quindi in realtà quella che dobbiamo
guardare è la curva blu. Notiamo quindi una certa regolarità nel tratto rosso per quanto riguarda i diametri
perché corrispondono a set di setacci standard quindi che hanno un assegnato valore del diametro, quel tratto
blu sono più irregolari perché sono ricavati da una misura di velocità, quindi non abbiamo sempre lo stesso
valore.

Figura 2.7
Un’altra analisi he effettuiamo in laboratorio è la definizione dei limiti di consistenza o dei limiti di Atterberg.

Questi limiti sono solitamente determinati soltanto sui terreni a grana più fine (limi e argille ) quelli per i quali
facciamo un’analisi per sedimentazione, non è così ma praticamente è proprio così. I limiti di Atterberg ci
servono a determinare la transizione del comportamento di un terreno da terreno secco a una miscela fluida di
acqua e terreno in funzione del contenuto d’acqua, man mano che aumentiamo il contenuto d’acqua passiamo
da un terreno asciutto secco a un fango sostanzialmente passando quelli che sono 4 stati il cui passaggio tra
l’uno e l’altro è definito da 3 limiti: (Figura 2.8)

Figura 2.8

Quindi i limiti di Atterberg altro non sono che contenuti di acqua, quindi noi andiamo a determinare il
contenuto di acqua in corrispondenza del passaggio tra uno stato e l’altro. Li determiniamo solo per i terreni a
grana fine perché sono quelli il cui comportamento meccanico è influenza dall’interazione tra particelle e
fluido : acqua di porosità e acqua assorbita ecc. Al variare del contenuto d’acqua sono questi i terreni che
cambiano di stato, se invece prendessimo una sabbia o una ghiaia il cui comportamento non è interessato
dall’interazione tra particelle e fluido ma solo dalle azioni che si scambiano i singoli granelli, la variazione di
contenuto d’acqua non comporta nessuna variazione di comportamento apparente. Questa variazione di stato
corrisponde ad uno stato in cui noi non riusciamo a modellare il terreno allo stato di un fango liquido che non
prende forma,quindi l’evidenza ci dice che c’è un cambiamento di stato del terreno in funzione del contenuto
d’acqua. Se per caso prendessimo una ghiaia che sia asciutta o piena d’acqua non cambia nulla in termini di
lavorabilità perché le particelle di ghiaia si comportano indipendentemente dalla presenza di acqua. A noi
interessa conoscere quanto sia lavorabile, ossia individuare questi limiti di consistenza con delle prove di
misura di tali proprietà le quali ci consentono di correlarle a quelle meccaniche che invece ci interessano in
fase progettuale. Quindi pur se tale classificazione non avviene mediante una misura delle proprietà
meccaniche, tuttavia ci anticipa delle grandezze che sono degli indici che sono correlabili alle proprietà
meccaniche, quindi con correlazioni empiriche potremmo ad esempio avere un’idea di quale sia l’angolo di
attrito del terreno.
Il limite di plasticità è la differenza tra il contenuto d’acqua al passaggio tra stato plastico e stato liquido e il
contenuto d’acqua al passaggio tra lo stato semisolido a plastico. Quanto più questo indice è grande, perché i
due contenuti di acqua sono piuttosto differenti, vuol dire che avremo un terreno al quale possiamo aggiungere
parecchia acqua e continuare a lavorarlo prima che diventi liquido e quindi non più lavorabile. Questo vuol
dire che questo terreno ha un’attività mineralogica delle particelle elevate perché aggiungiamo parecchia acqua
la quale va ad interagire grazie al fatto che c’è una forte attività mineralogica o che c’è un’elevata superficie
specifica, quindi stiamo parlando di un terreno a grana molto fine.
Non facciamo riferimento al limite di ritiro perché per i terreni è sempre lo stesso, non è significativo.

Tali limiti rappresentano dei criteri di rappresentazione dei terreni a grana fine. Dobbiamo determinare 𝑤𝑝 e
𝑤𝑙 .

LIMITE DI PLASTICITA’
Determiniamo 𝑤𝑝

1) Prepariamo il materiale aggiungendo una certa quantità di acqua, dovremmo andare a tentativi, in
realtà tale procedura viene fatta da un tecnico di laboratorio che ha una certa esperienza e sa già quanta
acqua mettere. Prepara una pallina di materiale ;
2) su una lastra di marmo prepariamo dei bastoncini con tale materiale,questi bastoncini per rotolamento
raggiungeranno un certo diametro ( 3 mm) e vediamo che se a 3 mm iniziano a fessurarsi vuol dire
che l’acqua che abbiamo raggiunto è il valore del contenuto d’acqua del limite plastico.
3) Prendiamo questi bastoncini fessurati li pesiamo poi li mettiamo in stufa, li pesiamo dopo 24 h che
abbiamo allontanato l’acqua così veniamo a conoscenza del contenuto d’acqua definiamo quindi così
il limite di passaggio tra lo stato plastico allo stato solido.
Faremo più di una pesata prendendo il valore medio.

LIMITE LIQUIDO

Determiniamo 𝑤𝑙 (passaggio tra lo stato plastico alo stato liquido):

Viene effettuata in tale strumento che è costituito da una coppetta di ottone,


dotata di un eccentrico che mediante una manovella ci consente di sollevare
la coppetta. La coppetta viene sollevata e ricade, ogni volta che ricade le
stiamo dando un colpo.
Tale coppetta viene riempita con una certa
quantità di terreno preparato con un contenuto
d’acqua maggiore di quello che abbiamo
utilizzato per misurare il contenuto di acqua
plastica, ma sufficientemente consistente da
poter generare un solco standard. Nel fondo
della coppetta si taglia un solco standard con
un utensile che è una palettina sagomata a V
sul fondo. Assegniamo quindi una certa
energia a questo terreno fino a che non collassa
e chiude il solco. Assegnare una certa energia
significa dargli un certo numero di colpi, con
ogni colpo lo energizziamo. Il numero di colpi
necessario per far chiudere il solco è tanto più
alto quanto minore è il contenuto di acqua e
viceversa. Quando i limiti del solco sono
rischiusi per mezzo pollice (15mm),definiamo
il solco chiuso.
Se quel terreno fosse stato preparato al contenuto d’acqua 𝑤𝑙 ci sarebbero voluti 25 colpi (def. Convenzionale).
Il contenuto d’acqua 𝑤𝑙 è quel contenuto d’acqua con il quale preparato il terreno, il solco nella coppetta di
Casagrande si richiude dopo 25 colpi. Siccome non sappiamo tale contenuto d’acqua ma sappiamo l’intorno
in cui si trova, procediamo per tentativi.

Ad esempio effettuiamo tale operazione 4 volte ottenendo 4 diversi valori, numero di colpi. Per ciascuna di
queste prove otteniamo quindi una coppia di valori: contenuto di acqua e numero di colpi:(Figura 2.9)

Figura 2.9
Assumendo una relazione lineare tra contenuto d’acqua e numero di colpi, interpoliamo una retta, una
regressione lineare di questi quattro punti. Ora siccome la definizione ci dice che il valore del contenuto
d’acqua del limite plastico al limite liquido corrisponde al numero di colpi pari a 25, entriamo con 25 e
sulla retta di regressione lineare leggiamo il valore del contenuto di acqua in corrispondenza (in tal caso
circa 33%). Quindi il 𝑤𝑙 di queste quattro determinazioni è pari al 33%.

Ai fini della classificazione entriamo in una carta detta Carta della Plasticità o di Casagrande: (2.10)

Figura 2.10

Su tale diagramma sull’ordinata rappresentiamo il limite di liquidità 𝑤𝑙 e sull’ascissa l’indice di plasticità


𝐼𝑝 =𝑤𝑝 − 𝑤𝑙 . Questa carta che deriva da quella di Casagrande ma in realtà è più articolata, viene riportato:

- Una retta blu inclinata linea A che esprime una relazione tra il limite di elasticità e il contenuto d’acqua;
- Due linee verticali: una in corrispondenza di 𝑤𝑙 in corrispondenza del 30% e una del 50%.
Il piano risulta essere diviso in 6 porzioni e si classificano per bassa, media, alta plasticità. Se guardiamo
la legenda espressa in inglese, possiamo vedere che i terreni a grana fine si collocano in diversi campi.
Tutti i terreni organici sono al di sotto della linea A cioè contengono sostanze organiche, i terreni al di
sopra delle linea A non contengono sostanze organiche. Da sx verso dx la plasticità aumenta, i limi si
trovano sempre a sx perché generalmente hanno una plasticità più bassa rispetto alle argille che hanno una
plasticità più elevata per due motivi: sia perché hanno una superficie specifica più elevata sia perché hanno
un’attività mineralogica più elevata. Se noi preleviamo dei campioni all’interno di una sezione omogenea
di terreno, normalmente i valori che otteniamo in termini di coppie si allineano lungo una retta parallela
alla retta A ( vedi punti rossi Figura 2.10), quindi un terreno omogeneo darà luogo a punti allineati con la
retta A e quelli che stanno più in alto più a destra sono quelli che hanno una frazione argillosa più elevata
che si traduce in maggiore plasticità per un’assegnata mineralogia perché la superficie specifica è
maggiore.
La Carta dell’Attività è derivata dall’indice di plasticità in quanto esso tiene conto sia dell’attività
mineralogica delle particelle cioè quanto sono attive da un punto di vista elettrochimico sia dell’estensione
della superficie specifica. Particelle che hanno la stessa attività mineralogica ma che hanno dimensioni più
grandi hanno una superficie specifica più piccola e quindi il terreno è meno plastico rispetto ad un terreno
costituito dallo stesso minerale con dimensioni più piccole quindi con superficie specifica maggiore, i terreni
saranno più plastici.

Quello che si fa di solito è definire un indice di attività come rapporto tra Indice di plasticità e la CF frazione
argillosa che è il passante a 2 micron , quindi nella curva granulometrica ci dice la quantità di argilla.

Figura 2.11

Esso è una sorta di indice di plasticità normalizzato rispetto alla quantità di argilla, quindi maggiore è la
quantità di argilla a parità di indice di plasticità, più piccolo è l’indice di attività, minore è la quantità di
argilla a parità di indice di plasticità, più grande è l’indice di attività, vuol dire che l’argilla che c’è è poca
ma molto attiva mineralogicamente. Questo quindi ci consente di definire l’attività di un terreno da bassa
ad elevata in funzione di questa carta in cui l’indice di plasticità è rappresentato in funzione di CF. Le rette
inclinate rappresentano campi dove l’indice di attività è costante delimitando una bassa, elevata, limitata
e normale attività. (Figura 2.11).
Tutti gli indici individuati e i limiti rappresentano insieme alla granulometria il pedigree del nostro terreno,
lo definiamo quindi con delle proprietà che non dipendono dallo stato del terreno, tali proprietà sono infatti
ottenute con delle prove in laboratorio che sono altamente distruttive. Sono grandezze che identificano il
terreno ma non lo stato in cui si trova, ci servono però per identificare delle grandezze correlate che ci
dicono in che stato si trova il terreno cioè se è più o meno compatto. In realtà questa informazione ci viene
data già da alcune caratteristiche fisiche che abbiamo identificato la volta scorsa: indice dei vuoti ( usato
per i terreni a grana grossa) e contenuto di acqua ( usato per i terreni a grana fine) se un terreno ha un
indice dei vuoti elevato ha un numero di pori molto elevato sarà certamente poco compatto, se un terreno
a grana fine ha molta acqua all’interno sarà certamente meno consistente e viceversa. In termini assoluti
questo è vero, se però vogliamo definire una grandezza che ci dice quanto è vero questo in termini relativi
dobbiamo fare riferimento ad una scala di variazione che dipende proprio dalle proprietà indice pocanzi
definite e definire dei parametri aggiuntivi quali densità relativa e indice di consistenza.

Indice di consistenza

Se il terreno viene a trovarsi con un contenuto di acqua naturale compreso tra 𝑤𝑝 𝑒 𝑤𝑙 si trova in uno stato
che è lavorabile , plastico ecc. se si trova più vicino a 𝑤𝑙 è molto poco consistente, se si trova più vicino
a 𝑤𝑝 è molto più consistente. Quindi viene definito l’indice di consistenza che ci dice il contenuto di acqua
relativo alla scala in cui generalmente può variare che è 𝐼𝑝 , un terreno naturale si ritroverà quindi all’interno
di questa scala. L’indice di consistenza associa quindi il contenuto d’acqua e lo rapporta ai limiti di
Atterberg di quel terreno, quindi due terreni diversi possono avere lo stesso contenuto d’acqua ma diverso
indice di consistenza perché i loro limiti di Atterberg sono diversi. Il comportamento meccanico sarà quindi
influenzato dal valore assoluto di contenuto d’acqua ma soprattutto da quello relativo, quindi ci interessa
sapere quanto siano vicini ai limiti di consistenza e di plasticità, ecco perché questo indice esprime la
consistenza in contenuto di acqua relativo, relativo all’indice di plasticità.

Per un terreno granulare, possiamo far riferimento all’indice dei vuoti e definire :

Dobbiamo quindi definire un campo 𝑒𝑚𝑎𝑥 (indice dei vuoti massimo) e 𝑒𝑚𝑖𝑛 (indice dei vuoti minimo) e il
terreno si troverà all’interno di questo campo con il suo indice dei vuoti naturale. Tale densità sarà pari a 0
quando il terreno avrà un indice dei vuoti pari a quello massimo e 1 quando il suo indice dei vuoti è pari a
quello minimo. Un terreno molto denso avrà un indice dei vuoti pari a quello minimo un terreno molto sciolto
ha un indice dei vuoti pari a quello massimo. Tali limiti massimo e minimo sono convenzionali e si possono
ottenere con delle prove di vibrazione o di caduta e ci dicono per il terreno oggetto di studio quanto riesco con
una certa energia convenzionale vibrandolo, ad addensarlo. Tale indice dei vuoti corrispondente al massimo
addensamento viene chiamato indice dei vuoti minimo. Per lo stesso terreno facendo una prova di pluviazione
cioè facendo cadere da un imbutino questo terreno da un’altezza nota e quindi assegnando un’energia
potenziale iniziale nota , che indice dei vuoti riesco a raggiungere, cioè quale indice dei vuoti corrisponde al
massimo grado di scioltezza al di sotto del quale non riesco ad andare perché il terreno sarà sempre un po’
denso? In linea di principio questi valori sono noti per le particelle sferiche per un terreno invece vengono
determinati sperimentalmente. Quindi noti tali limiti massimo e minimo posso definire una scala di consistenza
e di densità che vanno da 0 a 1, minore di 0 per un terreno allo stato liquido, maggiore di 0 per un terreno allo
stato semisolido.
Abbiamo anche una valutazione empirica di queste grandezze quando vogliamo definire una classificazione
più qualitativa nel caso non avessimo a disposizione prove di laboratorio possiamo fare riferimento alle tabelle
seguenti:

Queste tabelle ci fanno capire come ad una determinazione quantitativa, effettuata in laboratorio, corrisponde
un certo comportamento di quel terreno visibile e sperimentabile nella pratica.
Un’ulteriore cosa che riguarda lo stato di addensamento dei terreni, in particolare riguarda i terreni da
costruzione più che i terreni naturali. Ad esempio se mettiamo in opera un terreno in rilevato vogliamo che
questo abbia le migliori caratteristiche meccaniche. Le caratteristiche meccaniche di un mezzo granulare sono
generalmente legate alla sua densità, più è denso più alta sarà la sua resistenza a rottura. Per far ciò il terreno
misto granulare viene messo in opera per costipamento.

Viene quindi posto in opera in strati e costipato opportunamente per aumentare la densità. L’efficacia della
costipazione per compattamento è misurata con una prova convenzionale che si chiama prova Proctor

Sperimentalmente si è considerato che questa relazione per un’assegnata energia di compattazione non è una
relazione lineare.
Queste curve sono state fatte all’aumentare dell’energia: quella più bassa per un’energia di costipamento più
bassa, quella più alta per un’energia di costipamento più alta. In corrispondenza del punto di massimo della
curva sull’asse delle ascisse possiamo leggere il valore ottimale di contenuto d’acqua. Tale punto rappresenta
ottime caratteristiche e una densità elevata. Questo vuol dire che quando vado a preparare il materiale pur non
cambiando in quanto le particelle di terreno restano invariate devo solo decidere quanta acqua metterci per
prepararlo al meglio. Conoscendo tale curva vado a ricavarmi la quantità di acqua in corrispondenza di ottimo,
ossia quella che mi consente di ottenere il migliore addensamento del materiale.
Queste curve sono ottenute attraverso una prova Proctor.
Prova Proctor

Abbiamo quindi una fustella di acciaio che andiamo a riempire con un terreno preparato con un certo contenuto
d’acqua, viene poi predisposto in un compattatore costituito da un battente messo in moto da un motore che
consente di applicare un certo numero di colpi sulla testa di questo provino di terreno, quindi viene costipato
da questa massa battente con una certa energia che è legata al peso della massa battente , all’altezza di caduta
,al numero di colpi e allo spessore di strato di terreno che si trova all’interno quindi l’energia è regolata da
questi parametri che regolano la macchina. Per ciascuna energia posso ottenere una curva Proctor e ottenere
quindi le condizioni di ottimo Proctor.(Figura 2.12) Questa caratterizzazione si riferisce ad un terreno costipato
messo in opera, quindi un terreno da costruzione.

Figura 2.12

Figura 2.13
Se ci troviamo nella zona dry (Figura 2.13), quindi con un contenuto di acqua più basso dell’ottimo,
generalmente la struttura del terreno che otteniamo è una struttura più dispersa.Nella parte umida invece la
struttura che abbiamo ottenuto è più orientata, quindi lo stesso incremento di energia di compattazione che ci
fa passare da una curva ad un’altra non ci dà grossi vantaggi in termini di densità perché la struttura è già
abbastanza orientata, quindi non riusciamo a migliorare più di tanto. Motivo per cui non dobbiamo stare né
troppo a destra né troppo a sinistra, ci mettiamo invece in corrispondenza di un punto di ottimo dove otteniamo
un valore di addensamento elevato.

Questo contenuto di acqua di ottimo è legato ad un certo grado di saturazione del terreno. Il terreno che
mettiamo in opera come materiale rilevato non è mai saturo, avrà un grado di saturazione diverso da 1 perché
in questo modo riusciamo ad avere un contenuto d’acqua che è diverso dal contenuto d’acqua massimo, ma è
pari a quello ottimo quindi massimo addensamento.

Comportamento meccanico di un mezzo particellare a più fasi quali il terreno.


Consideriamo un provino di terreno costituito da particelle e da fluido sottoposto a un sistema di forza δF e
prendiamo a riferimento una sezione di questo provino pari a δA.(Figura 2.14) I carichi esterni, le forze di
massa sono equilibrate da tensioni che sono identificate da quelle di distribuzione t definite come:

Figura 2.14

Quindi se δF sono le forze del carico esterno applicato ovvero le forze di massa delle singole particelle del
fluido possiamo definire una tensione t che equilibra le forze esterne. Queste forze t in realtà sono un tensore
[Ϭ] ossia il tensore delle tensioni. In un mezzo continuo definiamo le tensioni, in un mezzo granulare multifase
a questa grandezza che definiamo tensione, dobbiamo aggiungerci un aggettivo che è totale. Le tensioni totali
sono quelle che equilibrano i carichi esterni e le forze di massa. Queste tensioni però siccome il mezzo è
multifase, all’interno del mezzo si ripartiscono tra lo scheletro solido (sistema delle particelle) e il fluido di
porosità che quindi esercitano a loro volta degli stati tensionali. Le tensioni sono quelle viola (Figura 2.15)
che si ripartiscono tra i granelli di terreno ossia le forze intergranulari che si scambiano i granelli (forze rosse)
e la pressione interstiziale o interparticellare che chiamiamo anche pressione neutra che è la pressione del
fluido (celeste) che si trova tra le particelle (Figura 2.15). Notiamo che non è un caso che le pressioni sono
rappresentate con le freccette verticali e le forze interparticellari con le forze inclinate perché dobbiamo
ricordare che la pressione è un campo scalare ed è uguale in tutte le direzioni mentre in linea di massima le
forze interparticellari si trasmettono forze normali e di taglio, quindi sono orientate in maniera casuale.

Figura 2.15

La somma delle aree di contatto tra le particelle la chiamiamo δAc esso è molto più piccolo di δA. (Figura
2.16)

Figura 2.16

Le tensioni di contatto sono molto elevate perché la superficie di contatto è molto elevata. Esse non sono altro
che le tensioni che si scambiano le singole particelle l’una con l’altra.
Per i fluidi abbiamo una pressione uniforme in tutte le direzioni ed agiscono in direzione normale all’area di
contatto.

Figura 2.17

Dove abbiamo:
- б tensioni totali;
- ΔN forze interparticellari (solo quelle normali perché vogliamo fare un equilibrio nella direzione verticale,
normale alla sezione, quindi prendiamo solo la componente normale a quella sezione;
- u le pressioni neutre.

Notiamo che possiamo trascurare l’area di contatto essendo molto piccola.


La tensione efficace oltre ad essere normale non è la tensione di contatto. La tensione di contatto sono definite
per ΔAc che tende a zero, le tensioni efficaci invece sono definite per ΔA che tende a zero. Cioè sulla stessa
area dove sono definite le pressioni totali e le pressioni neutre definiamo anche le tensioni efficaci. Quindi lo
scheletro solido nella meccanica dei mezzi a più fasi definisce uno stato tensionale che chiamato di tensioni
efficaci che sono diverse dalle tensioni di contatto. Cioè le forze da cui nascono sono le stesse cioè quelle
interparticellari però per come sono definite sono differenti. Noi in geotecnica non faremo mai riferimento alle
tensioni di contatto. Le tensioni efficaci le possiamo definire come:
Possiamo quindi conoscere la tensione efficace perché conosciamo la tensione totale che viene fuori
dall’equilibrio con i carichi esterni che sono noti, e anche la pressione neutra possiamo calcolarla con uno
strumento che ci consente di misurare il campo di pressioni neutre in un fluido, possiamo quindi definirla in
ogni punto del mezzo particellare saturo.
Per le tensioni tangenziali posso fare un ragionamento analogo però osservo che gli sforzi tangenziali
nell’acqua sono nulli, quindi compaiono solo le componenti rosse δ Ti (Figura 2.17) delle forze interparticellari
se compongo Ni con Ti ottengo Fi.

Passiamo quindi ad una rappresentazione matriciale:

Notiamo che u è uno scalare quindi per rappresentarlo in termini scalari lo moltiplichiamo per la matrice
identica diagonale.

Essa infatti è neutra rispetto al comportamento meccanico in quanto:

Se una variazione di tensione totale quindi di carico che applichiamo al nostro terreno produce soltanto una
variazione di pressione dell’acqua, pressione neutra, non sortirà nessun effetto sul terreno, non misureremo
deformazioni, cedimenti ecc.
Vediamo gli effetti della variazione di sollecitazione di compressione:

Figura 2.18

Se prendiamo due particelle e le sottoponiamo ad uno sforzo normale queste si deformano, ma se prendiamo
un sistema di particelle queste potrebbero anche non deformarsi, comunque l’assemblato sistema di particele
si deforma, scorrono. Il che significa che la relazione sforzi deformazioni per un terreno è una relazione non
lineare, perché le particelle tra di loro scorrono. Mentre possiamo immaginare che lo spostamento tra P e P’ è
proporzionale a N,in realtà manco è vero perché varia l’area di contatto quindi se varia l’area di contatto non
è più lineare. Per i terreni quindi ci dobbiamo dimenticare dell’esistenza di relazioni lineari tra tensioni e
deformazioni. Se scarichiamo, cioè se riduciamo N e lo riportiamo di nuovo a alla condizione iniziale, non
torno sullo stesso percorso, torna a 0 ma non nella configurazione iniziale perché parte dello scorrimento tra
particelle non riesco a recuperarlo questo identifica un comportamento NON REVERSIBILE. (Figura 2.18)

Vediamo cosa succede con le sollecitazioni di taglio:

Figura 2.19
Anche gli sforzi di taglio comportano degli scorrimenti tra le particelle. Anche in questo caso il comportamento
è NON REVERSIBILE. Osserviamo per compressione la concavità della curva è rivolta verso l’alto quindi il
terreno è sempre più rigido man mano che lo comprimiamo esso in fatti man mano risulta essere meno
compressibile e più rigido, quindi è una non linearità a rigidezza crescente. Per taglio invece man mano che lo
deformiamo è sempre più deformabile la rigidezza prima aumenta poi si abbassa la curva è quindi rivolta verso
il basso. Possiamo inoltre notare che la compressibilità diminuisce e quindi la rigidezza aumenta in percorsi di
compressione. La deformabilità aumenta e quindi la rigidezza diminuisce in percorsi di taglio. Inoltre per il
comportamento a taglio siccome la rigidezza si riduce ad un certo punto immaginiamo che si iniziano ad
accumulare spostamenti molto elevati per variazioni anche nulle di sforzi, il che significa che stiamo
raggiungendo condizioni di massimo. Per gli sforzi di taglio ci interessano sia S.L.E. che S.L.U. (quando
attingiamo la resistenza massima del terreno)
3° LEZIONE- 13/10/17_ Richiami di Meccanica del continuo e principio delle tensioni efficaci(slide 4),
Tensioni nel sottosuolo (slide 5)

La volta scorsa abbiamo iniziato la descrizione del comportamento meccanico di un terreno, aggregato
particellare definendo i percorsi delle sollecitazioni di compressione e le sollecitazioni di taglio. Abbiamo
visto che il comportamento è generalmente non lineare e non reversibile che va espresso quindi con un
legame costitutivo adeguato che non è certamente un legame elastico. Prima di procedere dobbiamo
introdurre alcune variabili tensionali e deformative che ci ritroviamo durante il corso, che sono le invarianti
di tensione media (o sferica) p e deviatorica q e le corrispondenti invarianti di deformazione volumetrica εv
e distorsionale εs (dove s sta per ‘shear’ taglio) che servono ad esprimere in maniera grafica, ed è comodo
poterlo fare,il percorso di compressione e di trazione cui è soggetto un volume di terreno. Per esempio in
un piano q, p noi partiremo da uno stato iniziale (un punto) rappresentato da una coppia (p,q) che di fatto
rappresenta lo stato iniziale in termini tensionali ossia le tensioni che agiscono su quell’elemento all’inizio e
descriveremo un percorso tensionale generico (stress path) che mostra come evolve lo stato tensionale per
effetto di un carico applicato e quindi per una variazione delle condizioni al contorno.

p lo definiamo in termini di tensioni efficaci p’ e in termini di tensioni totali p. Ricordiamoci che vale quello
che abbiamo detto la volta scorsa, ossia il Principio delle tensioni efficaci per cui la tensione totale σ si
scompone in due tensioni, una che compete al continuo scheletro solido, l’altra che compete al continuo
fase fluida con un principio di continui sovrapposti per cui σ= σ’ + u (tensione totale=tensione efficace +
pressione neutra) Analogamente possiamo definire p’ come invariante di tensione media (o sferica) che è
la somma di (σ1+ σ2+ σ3)/3, somma delle tensioni principali che sono quelle tensioni che troviamo sulla
diagonale della matrice del tensore delle tensioni orientate secondo gli assi principali di tensione, in questo
caso i termini al di fuori della diagonale sono nulli. Queste σ qui sono con gli apici poiché sono tensioni
efficaci che è anche uguale a p’:

p’ lo chiamo invariante medio di tensioni efficaci; p è invariante medio di tensioni totali e u è la pressione
neutra che sapete essere uno scalare e quindi uguale in tutte le direzioni.

p è un po’ più complicata ed è uguale 1 su radical 2 per la radice della sommatoria dei quadrati delle
differenze tra σi e σj in termini di tensioni efficaci ovvero σi e σj in termini di tensioni totali.
Quindi se la svolgiamo avremo:
1
√2
√(𝜎1 − 𝜎2)2 + (𝜎2 − 𝜎3)2 + (𝜎3 − 𝜎1)²

Vedremo che in molte ipotesi applicative 𝜎2 𝑒 𝜎3 sono uguali per simmetria quindi avremo solo (𝜎1 −
𝜎3 ). E quindi è l’espressione del deviatore q nel caso di simmetria radiale dove 𝜎2 = 𝜎3

Vediamo che q’=q e questo ci ricorda che meccanicamente il fluido interstiziale non trasmette sforzi di
taglio e quindi questa q che rappresenta una componente deviatorica e quindi di taglio dello stato
tensionale, nell’acqua è nulla e quindi il deviatore efficace q’ coincide con il deviatore totale q. Quindi
possiamo rappresentare nello stesso piano p-q sia il percorso in termini di tensioni totali sia quello in
termini di tensioni efficaci. La distanza tra TSP (Total Stress Path) e ESP(Efficacy Stress Path) è data dalla
pressione neutra u che in linea di principio può variare nel corso di un generico percorso tensionale quindi
la distanza tra i due percorsi non resta costante. Normalmente noi ragioniamo in termini di invarianti
tensionali p e q; che in realtà se il comportamento meccanico del terreno è regolato da tensioni efficaci ci
interessano p’ e q’=q e quindi partendo da un percorso in tensioni totali, (che è quello che noi controlliamo
perché corrisponde ad una variazione di tensioni al contorno, e cioè corrisponde ad una variazione di
carichi che noi applichiamo ad una fondazione o ad un problema di geotecnica in generale) nota la
pressione neutra, che può essere costante o può variare lungo il percorso, conosciamo per differenza il
percorso in tensioni efficaci. Ci interessa il percorso in tensioni efficaci perché è quello che regola il
comportamento meccanico del terreno saturo. Quali sono i percorsi principali con cui avremo a che fare?
sono sintetizzati in questa tabellina:

Percorsi Compressione isotropa: avviene quando tutte le tre tensioni principali 𝜎1, 𝜎2 𝑒 𝜎3 sono uguali tra
di loro e le tre variazioni di tensioni principali sono uguali tra loro quando comprimiamo allo stesso modo in
tutte le direzioni un elemento di volume e quindi avremo Δσ=Δσ1+ Δσ2+ Δσ3; Δp=Δσ e Δq=0 a questo
corrisponde una variazione nulla del invariante q e quindi si sviluppa un percorso orizzontale con Δq=0=cost
mentre c’è un incremento di p che è pari alla Δσ applicata in tutte le direzioni.

Percorsi Taglio semplice: Un percorso alternativo, completamente diverso a quello della compressione
isotropa è quello del taglio semplice nel quale abbiamo uno scorrimento tra due piani e quindi un
elementino cubico si deforma diventando un prisma di sezione romboidale. Sono applicate due tensioni
tangenziali e ovviamente anche le simmetriche sulla faccia opposta, quindi in questo caso la Δσ1= Δτ e la
Δσ3= -Δτ di conseguenza la Δp=0 perché se le sommiamo viene zero e invece la Δq=√3𝛥𝜏. Questa cosa
significa, che abbiamo un percorso in cui applichiamo solo una tensione tangenziale e quindi abbiamo solo
l’invariante deviatorico Δq, il Δp=0 e quindi abbiamo un percorso verticale nel piano q,p.
Percorsi Compressione o Estensione cilindrica: Abbiamo altri due percorsi che sono compressione
cilindrica per carico o per scarico(la differenza sta se applichiamo una forza di compressione o di trazione) e
quindi otteniamo Δσ1= Δσ, Δσ2=0 , Δσ3=0, Δp= Δσ/3 , Δq= Δσ ( mentre nel caso di estensione Δσ1 e Δp
sono negative) questo significa che il percorso nel piano q-p è un percorso inclinato di 3 a 1, se salgo di 3
unità, mi sposto in avanti di 1 nel caso della compressione (nel caso dell’estensione mi sposto indietro di 1
unità). Questi ultimi due percorsi si chiamano di compressione e estensione cilindrica perché le tensioni
orizzontali sulle 2 facce sono uguali tra di loro e restano invariate (e infatti qui Δσ2=0 e Δσ3=0) mentre
facciamo variare una sola tensione quella sulla faccia verticale quindi lo stato di simmetria cilindrica resta
invariato ed è un percorso tipico di una prova di laboratorio che si chiama prova triassiale convenzionale
(che in realtà più correttamente si dovrebbe chiamare appunto prova di compressione cilindrica). Durante il
corso noi ci troveremo a ragionare essenzialmente sui primi tre percorsi che abbiamo visto (poiché vediamo
che l’estensione alla fine è come la compressione) più uno aggiuntivo che vedremo e che sarebbe la
compressione monodimensionale o edometrica. Abbiamo visto che il comportamento di un terreno nel
piano σ-ε è in realtà un comportamento non lineare. Vediamo che se scarichiamo il comportamento è
irreversibile perché non ritorniamo indietro nella posizione iniziale ma manteniamo una certa
deformazione residua a tensione nulla. Dopodichè se ricarichiamo l’osservazione sperimentale ci dice
questo:

Compres s ine

Si avrà una sorta di cappio tale che se andiamo a ricaricare il provino dopo lo scarico, vediamo che la
P’

deformazione che si raggiunge non sarà la stessa pur coincidendo con la stessa tensione σ. Il nostro
modello in compressione invece lo semplifichiamo tale che avviene il carico (linea blu) e poi lo scarico e il
ricarico avvengono sulla stessa linea (linea rossa).

Nei casi di compressione edometrica terremo conto di questo comportamento e quindi nel quale scarico e
ricarico coincidono, però tiene conto di una differenza tra primo carico o carico vergine, in cui il terreno non
aveva mai conosciuto uno stato tensionale prima, e poi uno scarico e ricarico lungo la stessa linea.
Ricordiamo che i problemi di compressione ci servono per il calcolo dei cedimenti e quindi associamo subito
compressibilità (carico-scarico e ricarico) a cedimenti di una fondazione e quindi per esempio spostamenti
verso il basso. Invece nei percorsi di taglio la realtà sperimentale la osserviamo in un piano τ-γ poiché ci
stiamo riferendo a delle tensioni tangenziali e osserviamo una variazione di forma e non di volume:
Il comportamento all’inizio sembra essere lineare poi, non più, il diagramma presenta una curva e il terreno
tende ad essere più deformabile e addirittura non riusciamo a far assorbire uno sforzo di taglio superiore a
questo punto, il terreno si rompe. Il nostro modello costitutivo si semplifica e diventa con un tratto lineare
ed uno costante e quindi un comportamento elasto-plastico perfetto se ipotizziamo che arrivati a questo
punto la deformazione distorsionale procede in maniera indefinita( come succede per un mezzo plastico
perfetto). Tornando all’osservazione sperimentale, se scarichiamo, abbiamo sempre che si forma un cappio
e quindi un ciclo tensodeformativo in cui si dissipa energia e quindi il ricarico non coincide con lo scarico del
provino. Invece nel modello semplificato scarichiamo e ricarichiamo lungo lo stesso tratto e quindi
dovremmo caratterizzare il modello ideale. Questi comportamenti sono quelli che caratterizzano lo stato
limite a rottura e quindi SLU. Per lo SLE invece facciamo rifermento ad una condizione in cui siamo lontani
dalla rottura e possiamo semplificare il problema idealizzandolo con un comportamento elastico lineare. E
quindi per il calcolo dei cedimenti possiamo utilizzare questo modello. Mentre per il calcolo degli Stati
Limite Ultimi semplifichiamo il problema perché ci interessa la soglia,e quindi solo il max valore di τ che
possiamo sostenere e quindi ci basta un mezzo rigido perfettamente plastico perché non ci serve a cacolare
gli spostamenti, ma raggiunto il valore di snervamento nel materiale questo coincide col valore di rottura.

Se questi sono i due comportamenti semplificati di comportamento del terreno che a noi servono per le
applicazioni e che ricaviamo osservando le prove di laboratorio, osserviamone un attimo le caratteristiche:

Il mezzo elastico lineare ha deformazioni reversibili, al contrario, il mezzo rigido plastico ha deformazioni
irreversibili quindi se sono arrivato a rottura e scarico, quella deformazione non la recupero più, ho un
percorso verticale vado su e giù non ho deformazioni elastiche prima della rottura. Nel mezzo elastico
lineare gli incrementi di deformazione dipendono solo dagli incrementi di tensione e quindi ad un certo
incremento di tensione corrisponde un certo incremento di deformazione e la soluzione in un mezzo
elastico esprime diretta proporzionalità tra incrementi di tensione e incrementi di deformazione. Nel caso
del mezzo plastico la soluzione dipende dallo stato iniziale, cioè non da come son arrivato alla rottura ma
dal fatto che io mi trovi in condizione di rottura e quindi l’incremento di spostamento plastico irreversibile
dipende da qual è il valore dello stato di plasticizzazione in termini tensionali. Nel caso elastico a rigore
possiamo applicare la sovrapposizione degli effetti. Nel caso plastico il principio di sovrapposizione degli
effetti non è valido perché la soluzione dipende dallo stato iniziale quindi se parto da un punto o da un altro
la soluzione cambia. Nel caso elastico lineare risolviamo problemi di equilibrio e congruenza, invece nel
caso rigido plastico è sufficiente solo l’equilibrio, non possiamo risolvere un problema in termini di
congruenza poiché in condizioni di mezzo rigido-plastico perfetto lo spostamento è indefinito. Il mezzo
elastico stabilisce una corrispondenza biunivoca tra matrice delle tensioni e matrice delle deformazioni (σ-
ε). Quindi il cubetto si deforma e da luogo ad una certa deformazione εi per effetto di una tensione σi, in
linea generale si esprime in maniera incrementale e questo è il caso di Ei=modulo di Young che è uno dei
parametri che ci interessano.

Se applico una forza σi non osservo solo un abbassamento ma anche uno spanciamento (incremento di
volume di terreno εj) il rapporto tra l’incremento di deformazione in direzione trasversale alla forza e quello
in direzione longitudinale alla forza si chiama Coefficiente di Poisson. In pratica poiché il mezzo è elastico
lineare noi potremmo definire ciò non solo in termini di incrementi ma anche in termini di relazioni finite e
quindi non come dσ ma come Δσ. Il caso generale ci consente di semplificare il problema considerando il
mezzo non lineare ma linearizzandolo a tratti. Noi tratto per tratto descriviamo un percorso non lineare
come una successione di tratti lineari, noi ipotizziamo un modulo che non è costante lungo tutto il terreno
ma in un certo tratto assumerà un certo valore, in un altro tratto un altro..ecc..E quindi potremmo risolvere
un problema non lineare con un approccio lineare equivalente. In ipotesi di omogeneità e isotropia i pedici
ij di E e di ν li perdiamo e per noi esisteranno solo E e ν. Per un solido elastico ideale, lineare, omogeneo,
isotropo, valgono le relazioni di Navier esprimibili anche in forma matriciale.

Se ragioniamo in termini di invarianti di tensione p e q e di deformazione εv ed εs capiamo perché ci fa


comodo ragionare con queste invarianti perché facendo i passaggi (che vi propongo ma non li dovete fare)
εv= εx+ εy+ εz per definizione, se applichiamo le formule di Navier e svolgiamo i calcoli, otteniamo che εv=
(3(1-2ν)/E)p = p/K dove 1/K= reciproco del modulo di elasticità volumetrica=3(1-2ν)/E e quindi diciamo
che la deformazione volumetrica εv =all’incremento di tensione sferica diviso il modulo di elasticità
volumetrica ( o modulo di compressibilità volumetrica K) mentre la deformazione distorsionale εs= q/3G
dove G è il modulo di rigidezza tangenziale G=E/2(1+ν). Quindi c’è una relazione diretta tra la deformazione
volumetrica e l’incremento di tensione media e tra la deformazione devia torica e l’incremento del
deviatore. Ci sono dei casi particolari che dobbiamo ricordarci e sono quelli per cui ν=0,5 quando raggiunge
questo limite, vediamo che il modulo di rigidezza volumetrica K tende a infinito e questo significa che
qualunque sia la variazione di invariante tensionale isotropa che noi applichiamo, il mezzo non subisce
deformazione volumetrica, mezzo incompressibile, qualunque sia l’incremento di tensione che noi
applichiamo. Questa condizione corrisponde a quella in cui i carichi sono applicati così velocemente che per
un mezzo saturo l’acqua presente all’interno dei pori non è in grado di uscire e quindi in un mezzo
particellare saturo d’acqua se l’acqua non può uscire, siccome l’acqua è incompressibile, la variazione di
volume non avviene, poiché può avvenire solo se l’acqua fuoriesce. Se per qualche motivo l’acqua non può
fuoriuscire, poiché il carico è applicato troppo velocemente, allora il terreno sarà nel caso di
incompressibilità volumetrica che si può dire anche condizioni non drenate. Osserviamo che se il mezzo è
elastico, una variazione di volume corrisponde ad una variazione di tensione media p e una una variazione
di forma corrisponde ad una variazione di tensione deviatorica q perché gli altri due termini fuori dalla
diagonale principale sono nulli.

Questo non è vero in generale ma è vero per un mezzo elastico. Quando andiamo ad applicare la
semplificazione del mezzo elastico ad un terreno, possiamo farlo seguendo due procedure differenti:
secondo il PTE(Principio delle Tensioni Efficaci)applicato al solido continuo poroso ci dice che il
comportamento meccanico è solo funzione della variazione di tensioni efficaci; e quindi abbiamo le tensioni
totali in equilibrio con i carichi esterni, abbiamo le pressioni neutre u la differenza tra i due mi da le tensioni
efficaci( freccettine rosse) che sono responsabili del comportamento meccanico.

(I parametri che utilizziamo E’,ν’ sono con gli apici). C’è anche un’altra procedura che ignora la ripartizione
della forza tra le fasi. In questo caso ci dimentichiamo della distinzione tra solido e acqua e utilizziamo un
mezzo equivalente al primo e monofase (guardiamo come si comporta dall’esterno) e quindi ad una
variazione di azioni esterne corrisponde una variazione di tensioni totali (i parametri sono senza apici).
Questo qui è proprio il modello che si adopera in condizioni Non drenate.
Condizione non drenata: la velocità di azione dei carichi è molto rapida rispetto alla velocità dell’acqua di
uscire dai pori e quindi non c’è variazione di volume.

Condizione drenata: si verifica quando la velocità di applicazione dei carichi è confrontabile con la velocità
di fuoriuscita dell’acqua dai pori e quindi le pressioni neutre all’interno del mezzo sono in equilibrio con le
condizioni al contorno (conosciamo qual è lo stato tensionale neutro all’interno del mezzo).

Proprietà del mezzo plastico

In un diagramma σ-ε raggiungiamo una tensione di snervamento σy a partire dalla quale se scarichiamo
abbiamo accumulato deformazioni plastiche irreversibili, se poi ricarico ho un comportamento elastico fino
ad arrivare alla stessa tensione σy. Possiamo avere tre condizioni:plasticità perfetta, lo snervamento
coincide con la rottura; materiale duttile, incrudimento positivo, aumento di tensione; materiale fragile,
incrudimento negativo, diminuzione di tensione. Se imponiamo una deformazione e calcoliamo la tensione
allora siamo capaci di descrivere anche il ramo softening (ossia dopo il picco di tensione)poiché la forza
applicata sarà più bassa perché il materiale non riesce ad esprimere una resistenza ulteriore; se invece
applichiamo una tensione può succedere che il materiale ha una rottura fragile improvvisa. Normalmente i
terreni hanno un comportamento incrudente positivo. Il raggiungimento della tensione di snervamento, in
condizioni di plasticità perfetta corrisponde al raggiungimento della resistenza del materiale, i modelli di
riferimento sono quelli di due blocchi scorrevoli per attrito, non scorre fino a quando viene raggiunto un
valore di sforzo di taglio proporzionale al peso del blocco. Questo stesso schema si può riprodurre per una
coppia di particelle o per un asseblaggio di particelle di un mezzo granulare.

Un criterio di resistenza per un mezzo granulare è espresso in un piano τ-σ con una curva che separa gli
stati possibili da quelli non possibili. Al di sopra della curva io violo le condizioni di resistenza del terreno.

Normalmente la curva è non lineare ma noi la approssimiamo con un comportamento lineare e otteniamo
il Criterio di Resistenza di Mohr-Coulomb caratterizzato da una retta avente una pendenza e un’intercetta
definita in un piano τ-σ. Se definiamo uno stato tensionale con un cerchio di Mohr, il cerchio verde
rappresenta quello in tensioni efficaci ed è traslato rispetto al cerchio rosso di una quantità u(pressione
neutra). (ricordiamo che il cerchio di Mohr rappresenta in ogni punto lo stato tensionale al ruotare della
giacitura dell’orientazione del piano in quel punto). La condizione di rottura si attinge quando il cerchio di
Mohr verde è tangente ad un Criterio di Rottura. La condizione di rottura si verifica in condizione di tensioni
Totali. Il cerchio rosso non è tangente a un criterio di Rottura.
Possiamo vederlo anche in un piano σ1- σ3 tensioni efficaci. Il Criterio di Mohr Coulomb e quello di Rankine
sono la stessa cosa, semplicemente si rappresentano in un piano diverso, quello di Rankine si rappresenta
in un piano σ1- σ3 tensione massima e minima. Possiamo anche rappresentarlo in un piano p-q secondo la
Teoria dello Stato critico. Parto da un valore q-p di tensione totale, sottraggo le pressioni neutre( le u
modificano p e non q), ottengo il punto p’ sulla linea verde che è la rappresentazione del Criterio di Mohr
Coulomb nel piano q-p. In questi 3 piani abbiamo 3 diverse linee caratterizzate da 3 pendenze e 3 intercette
che però rappresentano lo stesso Criterio di rottura che è quello Mohr Coulomb che è quello di rottura per
un mezzo granulare. Nel caso più generale la bilatera di Coulomb non parte da zero ma parte da un valore
negativo, ha una certa intercetta c e quindi una certa resistenza a trazione.

Il Criterio di Mohr Coulomb è definito da due parametri c o c’ e tangϕ. c rappresenta la resistenza allo
scorrimento in assenza di tensioni normali. Se incollo questo cellulare al tavolo avrò che ci sarà una certa
coesione quindi non riuscirò a farlo scorrere neanche se ci applico un peso sopra(quindi ho una resistenza
allo scorrimento senza sforzo normale). Se io non lo incollo per farlo scorrere vedo che devo applicare una
forza tangenziale maggiore vuol dire che c’è un’altra aliquota σtangϕ dove tangϕ rappresenta la resistenza
allo scorrimento in termini di attrito sulla superficie a contatto e però c’è la σ e quindi sforzo normale
applicato. Man mano che cresce aumenta la resistenza τ secondo una legge regolata dall’attrito
interparticellare. Il terreno è caratterizzato da attrito e coesione. Può essere un mezzo incoerente quando
ϕ≠0 e c=0 e in questo caso abbiamo il mezzo di Coulomb, oppure possiamo avere un terreno coesivo
quando ϕ=0 e c≠0 anche detto Mezzo di Tresca.
Quest’ultima è una condizione degenere, la pendenza è nulla e la resistenza è pari all’intercetta coesiva.
Questi 2 comportamenti ideali giustificano anche alcune assunzioni che noi facciamo in geotecnica.
Solitamente una sabbia o ghiaia è un terreno incoerente, poiché ammenocchè non vi sia un legame di
cementazione la coesione è nulla. Tuttavia il Mezzo di Tresca ci torna utile per caratterizzare il
comportamento a rottura di un mezzo monofase equivalente, ossia quando non vogliamo ragionare in
termini di tensioni efficaci ma solo in termini di tens totali perché siamo in condizioni non drenate e questo
ci torna comodo perché così non dobbiamo calcolare le pressioni neutre nel mezzo. Usiamo quindi il Mezzo
di Tresca dove non ci sono apici ma anzi useremo il pedice u (undrained). Poiché le condizioni non drenate
competono anche a quei terreni che hanno bassa permeabilità perché in essi i carichi sono molto veloci
rispetto alla capacità dell’acqua di essere espulsa dal terreno questo è il motivo per cui le argille e i limi li
chiamiamo terreni coesivi, non perché realmente abbiano una coesione ma perché in molti casi si
comportano in condizioni non drenate e vengono caratterizzati con quello che si chiama mezzo coesivo alla
Tresca. Ma in realtà un mezzo particellare non è un mezzo coesivo, è sempre un mezzo attritivo,
indipendentemente dalla dimensione delle particelle. Abbiamo esaurito la parte relativa alla modellazione
costitutiva, il modo in cui semplifichiamo il modello meccanico come mezzo elastico o mezzo plastico
caratterizzando stati limiti di esercizi e stati limiti ultimi con caratteristiche di deformabilità o di
resistenza(coesione e attrito).

Adesso passiamo ad un argomento differente che riguarda la determinazione delle tensioni litostatiche. Se
ci troviamo nel sottosuolo,è un mezzo pesante, ad una certa profondità sarà caratterizzato da un certo
stato tensionale che è dovuto al fatto che il mezzo ha un peso per unità di volume γ, può trovarsi sotto
falda, può essere omogeneo oppure stratificato. Al variare della profondità nel sottosuolo è intuitivo
immaginare che la tensione verticale sia sempre maggiore. Le tensioni litostatiche aumentano
all’aumentare della profondità nel terreno. È importante conoscere queste tensioni perché normalmente il
comportamento del terreno non è elastico, non è indipendente dallo stato iniziale, qualunque problema
geotecnico che abbiamo non può prescindere dalla conoscenza dello stato di partenza in termini di tensioni
totali, pressioni neutre e quindi di tensioni efficaci come differenza tra le due. Si semplifica la condizione
siccome spesso ci troviamo nel caso di simmetria indefinita piana e radiale, se ipotizziamo che il semispazio
dato dalla sup. orizzontale si estende indefinitamente nelle due direzioni in ogni punto avremo una
simmetria radiale e ogni piano passante per quel punto avremo che lo stato tensionale è sempre lo stesso.
E quindi il problema varia solo con la profondità, non varia al variare di x e y. Il problema è stabilire come
varia la tensione con z. Inoltre siccome ogni asse verticale è di simmetria ed è anche principale sia per le
tensioni sia per le deformazioni, e quindi le tensioni tangenziali τxz e τzy e le corrispondenti deformazioni γ,
sono nulle, non ci sono tensioni tangenziali perché sono assi di simmetria( e quindi non ci sono nemmeno
deformazioni tangenziali) e ogni direzione orizzontale è principale, sia la verticale che le orizzontali tutte,
qualunque essa sia ruotando questo sistema di riferimento, sono sempre direzioni principali e quindi
compaiono le tensioni normali ma non compaiono le τ . Per calcolarci la tensione verticale σz che varia con
z usiamo le equazioni di equilibrio indefinito in un continuo in direzione verticale. Essa in realtà avrebbe
anche le componenti tangenziali che però abbiamo detto essere nulle. Scritta questa equazione la posso
integrare ottenendo una condizione al contorno riferita a z=0 (piano campagna) più l’integrale di γ in dz che
banalmente è una funzione lineare. La distribuzione di tensioni verticali è data dalla legge

Perché l’integrale di γ dz è proprio una costante la costante σz in dz se non c’è nessun carico al piano
campagna è 0. Quindi parte da zero, costante è nulla, cresce linearmente con una pendenza che è pari
proprio a γ. Questa è la distribuzione di tensioni verticali, litostatica totale con la profondità, in un
sottosuolo omogeneo( per omogeneo si intende che il peso γ per unità di volume è costante).

Se il mezzo è stratificato, il γ nei vari strati non è lo stesso, ogni unità litologica peserà diversamente γ1,…,
γn e questo significa che a tratti integrerò questa equazione. Quell’integrale si spezza in tre parti ognuno
caratterizzato da una condizione al contorno. Quindi parto da 0 con andamento lineare con pendenza γ1 e
avrò σv= γ1*z , poi avrò γ1*z1 che agisce sullo stato 2 . Lo stato due sarà caratterizzato a sua volta da un
tratto lineare con pendenza data da γ2 dove però la tensione in testa non è 0 ma è quella data dallo strato
di sopra.

Questa formula significa dire che σv(z)= γ1*h1 + γ2*h2+ γ3[z-(h1+h2)] immaginando di trovarmi già ad una
profondità z maggiore di h1+h2 e quindi nello strato 3. Questa corrisponde ad una distribuzione ancora
lineare, ma lineare a tratti con pendenza pari a γi. E queste sono le tensioni verticali totali. Le pressioni
neutre sono più semplici perché il γ è quello dell’acqua ed è γw. Distinguiamo il piano campagna e il piano
limite di falda che si identifica ad esempio mettendo un tubo, tubo piezometrico ad esempio, l’acqua nel
tubo risalirà ad un certo livello. Questo livello è il livello della falda, se la falda è in quiete questo livello è
costante. Zw è la profondità della falda. La tensione totale iniziale è data da γ*zw e le tens totali al di sopra
della falda coincidono con quelle efficaci, perché ovviamente le pressioni neutre sopra la falda sono nulle.
(in realtà non è proprio vero perché al di sopra della falda potrebbero esserci delle pressioni neutre per
risalita capillare, ma di questo non ne teniamo conto e quindi in questo corso convenzionalmente
assumiamo che le pressioni neutre sopra la falda sono nulle).

La pressione neutra varia linearmente a partire dal piano di falda dove u è pari a 0, cresce linearmente con
la profondità con pendenza pari a γw. Al di sotto del piano di falda le tensioni totali ancora crescono con la
profondità, perché vediamo che il γ sopra falda (γ naturale) è diverso da quello sotto falda che è un γ
saturo(il γ saturo è normalmente maggiore del γ del terreno). Vediamo che la pendenza è lievemente
diversa. Le tensioni efficaci si ottengono per differenza tra tensioni totali e pressioni neutre e quindi a
ciascuna profondità del terreno possiamo diagrammare un tratto verde che rappresenta le tensioni
efficaci. Dalla formula:

vediamo che anche le tensioni efficaci variano linearmente con pendenza γ fuori falda e pendenza γ’ sotto
falda (γ’ è il peso del terreno alleggerito come γsat- γw) che rappresenta un incremento di tensioni efficaci
per unità di profondità. Abbiamo calcolato tensioni totali, pressioni neutre e tensioni efficaci, sfruttando
soltanto condizioni di equilibrio di tensioni efficaci con le condizioni al contorno. Sono sufficienti le
condizioni di equilibrio per ottenere anche le tensioni orizzontali? No. Le sole condizioni di equilibrio non ci
dicono nulla sulle tensioni orizzontali È necessario invocare anche le condizioni di congruenza. Dobbiamo
quindi introdurre il legame costitutivo del terreno. Il più semplice è quello elastico e quindi utilizzare le
condizioni di Navier per il mezzo elastico e imporre la condizione di congruenza. Essa corrisponde a dire che
se in condizioni litostatiche sono valide le condizioni di simmetria indefinita e cioè ogni piano è piano di
simmetria e ogni verticale è verticale di simmetria, per effetto del peso proprio del terreno, gli clementini di
volume non possono spanciare in nessuna direzione perché se lo facessero violerebbero le cond. Di
congruenza.(gli clementini si compenetrerebbero) siccome quello che succede in questa verticale è uguale
a quello che succede nella verticale affianco. La condizione di congruenza deve essere εh= εx= εy=0 e le
leggi di Navier si applicano facilmente. Alla fine si semplifica di molto la scrittura e ottengo σh=(ν/1-ν)*σv
e quindi nota la tensione verticale σv conosco quella orizzontale σh. Ovviamente questo ragionamento che
ho fatto senza apici lo dovrei fare in tensioni efficaci perché se il comportamento del terreno è retto dalle
tens efficaci l’equazione elastica deve essere scritta in termini di tensioni efficaci e quindi : σ’h =(ν/1-ν)*σ’v
.
Noi però adoperiamo un approccio più empirico, definiamo il rapporto tra σ’h e σ’v come coefficiente di
spinta a riposo k0. Se facciamo ipotesi di mezzo elastico k0= (ν’/1-ν’) oppure lo misuriamo con prove in sito
oppure lo correliamo all’angolo di attrito e scriviamo k0= 1-senϕ. Noto k0 conosciamo σ’h.

Mezzo stratificato con falda: conosco le tensioni totali, conosco le pressioni neutre, conosco le tensioni
efficaci verticali, le moltiplico per k0, aggiungo la pressione neutra alla σ’h per ottenere la σh totale. E
quindi ottengo anche le tensioni totali orizzontali. Questa è la procedura con cui ho calcolato lo stato
tensionale in un terreno equazioni di eq. Indefinito per le tensioni verticali e le equazioni di congr. Per le
tensioni orizzontali. Su questo faremo un esercizio venerdì prossimo.

Cosa succede invece se al piano campagna ho applicato un sovraccarico q. Rispetto a prima la condizione al
contorno è cambiata. Invece di avere σz(0)=0 avremo σz(0)=q. q è aplicato uniformemente su tutto il piano
campagna. Integro la stessa eq di prima, la differenza è che ottengo una tensione verticale che non è pari a
σvz(0) ma è pari alla tensione litostatica iniziale + il carico q applicato.

Se in assenza di carico la distribuzione di tensioni verticali parte da zero, in presenza di carico,avrò una
distribuzione che è parallela a quella litostatica iniziale di una quantità che è q dappertutto.

Analogamente la tensione orizzontale la posso ottenere come ho fatto precedentemente


Per il sottosuolo omogeneo

Questo caso è quello per cui la falda sia al piano campagna. Se io applico al sottosuolo un carico uniforme q
rispetto a un carico iniziale. Ci aspettiamo che il sottosuolo ceda tutto insieme, se ne scenda. E io posso
calcolare qual è la deformazione che sto imponendo per effetto di un carico uniforme q esteso sul piano
limite del mio sottosuolo omogeneo. Posso calcolare le deformazioni indotte dal carico superficiale in
queste condizioni. E si deforma di εz. L’elementino non si spancia perché il carico è distribuito
uniformemente e indefinitamente sul piano. E quindi ho solo deformazioni verticali, le def. Orizzontali sono
uguali a zero.Le def. Verticali si ottengono applicando Navier. E cioè in un mezzo elastico, per esempio per il
calcolo dei cedimenti, per gli Stati Limite d’Esercizio. Calcolo la εz:

Con Eed indico il modulo di compressione edometrica detto anche Modulo di compressione a
deformazione laterale impedita o monodimensionale, che non significa che ho solo una tensione, ma che
ho solo una deformazione εz( ho solo def verticale, non ci sono def orizzontali). Questo modulo edometrico
lo useremo molto perché spesso mi trovo nel caso in cui ho un’estensione del carico molto elevata rispetto
alla porzione di terreno deformabile mi trovo in condizioni che sono prossime a quelle edometriche e
quindi posso calcolare le deformazioni dividendo Δσv per Eed. In generale il modulo edometrico si può
definire a prescindere dal mezzo elastico ideale anzi noi lo definiamo sulla base della prova edometrica.
Normalmente Eed ed E sono diversi tra loro. Per un mezzo elastico ideale

Per ν=0,5 che corrisponde alle condizioni non drenate, il modulo edometrico tende a infinito. Se questo
carico è applicato in condizioni non drenate e quindi molto velocemente rispetto alla capacità dell’acqua
per fuoriuscire dai pori, allora la deformazione εz quant’è ? εz=0 cioè non ci sono cedimenti in condizioni
udometriche e non drenate. Queste sono le tensioni indotte da un carico indefinito.
Che succede se applico solo una forza?

In ogni punto del mio semispazio avrò che si generano delle tensioni σx, σy e σz che dipendono dalla
posizione e dalla distanza dal punto. Immaginiamo di avere un semispazio elastico in assenza di peso (γ=0).
Per effetto di una forza concentrata esiste una soluzione che dice che in ogni punto possiamo calcolare una
tensione radiale,circonferenziale, verticale e una τ, funzione delle forze applicate e queste sono le soluzioni
di Boussinesq per un problema simmetrico in coordinate cilindriche che ci descrivono quanto vale un
incremento di tensione in ogni punto per effetto della forza applicata. In un mezzo elastico vale il principio
di sovrapposizione degli effetti e se io applico una linea di carico basterà integrare la soluzione alla linea,
integrando le tensioni nel punto P dovute a ciascuna di queste forze elementari lungo la linea ottengo la
tensione indotta da una linea di carico. È interessante anche quando invece di una linea di carico abbiamo
un nastro di carico, una striscia nastriforme che è indefinita in una direzione ma non nell’altra.

E quindi dovrò integrare da -∞ a +∞ in direzione longitudinale, mentre da un punto ad un altro in direzione


orizzontale seguendo l’angolo α. E quindi integrando su un’area la stessa soluzione di Boussinesq ottengo le
tensioni indotte da una striscia di carico. La cosa interessante di queste soluzioni ottenute per un mezzo
elastico è che in realtà le tensioni verticali non dipendono dalle caratteristiche del mezzo da E e ν, le
tensioni orizzontali invece dipendono dal coefficiente di poisson. Quindi poiché non dipendono dal modulo
di Young noi calcoliamo gli incrementi di tensione sul mezzo elastico ma poi esse sono uguali per qualunque
nostro problema. Noi calcoliamo gli incrementi di tensione per calcolarci i cedimenti e le deformazioni
indotte da un’area di carico applicato al piano campagna ipotizzando un mezzo elastico, ma avremo delle
soluzioni che sono indipendenti dal mezzo elastico, perché non dipendono dalle caratteristiche del mezzo.
Questa distribuzione delle tensioni in asse alla striscia di carico: tensioni verticali indotte (rosse) σz, tensioni
verticali σx e σy. Queste tensioni sono tensioni indotte nel sottosuolo da un carico applicato in superficie.
Mentre le tensioni verticali e orizzontali per un carico indefinito si conservano costanti con la profondità.
Quando l’area di carico è limitata non è tutta la superficie, al piano campagna partiamo da un valore di
tensione che è pari proprio al carico q.
Ma poi man mano che ci allontaniamo in profondità, l’incremento di tensione diminuisce finchè per una
profondità z/p ( dove p è la larghezza dell’area di carico) il valore dell’incremento di tensione è pari a circa il
20% del carico applicato. Questo vuol dire che le tensioni indotte da un’area di carico si estinguono con la
profondità. Quelle orizzontali si estinguono ancora più velocemente. Questo è interessante perché a meno
di trovarci nelle condizioni udometriche in cui effettivamente applichiamo un carico in superficie e abbiamo
un incremento di tensioni che si propaga uguale. In realtà gli incrementi di tensione si distinguono in
profondità in ragione di B; questo significa che se B tende ad ∞ e quindi il valore di profondità tende ad ∞,
vuol dire che stiamo ritornando così alle condizioni edometriche. Normalmente queste soluzioni sono
espresse in un abaco con asse σ/q , normalizzato rispetto al carico, perché essendo ricavate in un mezzo
elastico, valgono per qualunque carico vogliamo dare. Moltiplichiamo questo valore per il carico applicato
ed otteniamo le distribuzioni di tensione σ.

Ci interessa una soluzione per un area circolare piuttosto che nastriforme, vediamo che la soluzione è
sempre quella di Boussinesq. Forza concentrata su un’areola dell’area circolare.

Viene integrata, si ottiene la soluzione. Considerazione analoghe, la tensione verticale non dipende dalle
caratteristiche nel mezzo elastico, quella orizzontale dipende dal coefficiente di Poisson. Gli abachi che
otteniamo sono simili a quelli di prima. Abbiamo z/R invece che z/B, perché considero il raggio e Δσz/q(
questa è una rappresentazione in scala semi-logaritmica). Tutte queste curve che partono da 1 sono tutte
curve che partono al di sotto dell’area di carico, perché per equilibrio le tensioni verticali in tutti questi
punti al di sotto dell’area di carico, sono pari al carico applicato. C’è solo una curva che parte da 0,5 perché
riguarda la tensione dell’elementino sul bordo, che per metà è sollecitato da 1 e per metà da 0. Tutte le
altre curve partono da 0 perché corrispondono alle verticali che si trovano esterne all’area di carico
Osserviamo che anche le verticali esterne all’area di carico, partono da zero, ma la tensione aumenta,
perché per trasferimento di tensioni tangenziali, quest’area di carico diffonde le tensioni lateralmente,
quindi abbiamo nelle verticali esterne all’area di carico ad una certa profondità si riscontra una tensione
indotta, che anche questa però diminuisce con la profondità, e tendono ad estinguersi ad una profondità
che è due volte p dove p=2R. Praticamente le tensioni indotte da un’area circolare si estinguono prima, ad
una profondità minore, rispetto ad un’area di carico nastriforme. E anche questo ce lo spieghiamo, tra
un’area che è confinata ad un cerchio ed una pari ad una striscia indefinita, è chiaro che l’influenza dell’area
circolare è più limitata. E infatti noi possiamo tracciare delle linee (un diagramma simmetrico rispetto
all’asse verticale)isolinee che congiungono punti in cui l’incremento di tensione corrisponde ad una certa
aliquota del carico inclinato. Scendendo con la profondità arrivando ad una profondità di circa 4 volte il
raggio arrivo a 0,10. Cosa vuol dire, lungo la isolinea pari a 0,10, l’incremento di tensione verticale è pari al
10% del carico applicato. Questi diagrammi ci fanno capire che ci sono delle porzioni di sottosuolo,
interessati da incrementi di tensione significativi. Se definiamo il 20 % come incremento di tensione
significativo, tutta la parte di sotto suolo che sta all’interno di questa linea è significativa in termini di effetti
degli incrementi di tensione, per esempio ai fini del calcolo dei cedimenti indotti da quel carico. Tutta la
parte di sottosuolo esterna a questa linea 0,20 è trascurabile, cioè non la consideriamo nell’integrazione
delle deformazioni. Questa porzione di terreno che si trova caratterizzata da un incremento significativo
delle tensioni indotte si chiama bulbo delle tensioni, ovvero nel caso del calcolo dei cedimenti, rappresenta
il volume significativo di terreno, che interessa ai fini del calcolo dei cedimenti.

Ricapitolando:

abbiamo visto le tensioni litostatiche iniziali, in presenza e in assenza di falda e per mezzo omogeneo e
stratificato. Abbiamo visto che in particolari condizioni, quando il carico è applicato in maniera indefinita, e
cioè in condizioni edometriche, come si calcolano le tensioni a valle del carico e quindi gli incrementi di
tensione che sono costanti con la profondità verticale. Poi abbiamo visto come esistono soluzioni per un
mezzo elastico privo di peso per calcolare a seconda della forma dell’area di carico, gli incrementi di
tensione indotta, quindi avremo tante soluzioni quante sono le forme delle aree di carico. Ci sono degli
abachi che possiamo consultare. Quindi per esempio se noi applichiamo ad una porzione di terreno un’area
di carico circolare noi ci troviamo in una certa condizione che è questa e cioè aggiungo alla condizione
iniziale quella ottenuta con l’abaco , dove ad una certa distanza che è pari a circa 4 volte il raggio dell’area
di carico è trascurabile e quindi torno ad avere le stesse condizioni litostatiche iniziali.

In questa zona osservo incrementi di deformazione significativi che danno luogo a deformazioni.

L’ultima cosa : se il piano limite non è orizzontale ma è in pendenza, anche in questo caso avremo delle
tensioni iniziali. Definita z l’asse ortogonale al pendio e h la distanza di un certo punto lungo la verticale,
quindi z e h sono legati da un angolo che è l’angolo del pendio, immaginiamo che sia i e quindi z=h*cos i ;
se prendo un elemento di volume con un piano diretto parallelamente al pendio, esso non è caratterizzato
da tensioni normali ma da tensioni tangenziali τ, quindi non siamo nelle condizioni di prima in cui abbiamo
integrato le equazioni di equilibrio indefinito assumendo le τ pari a 0, ma dobbiamo integrare le equazioni
indefinite di equilibrio assumendo che lungo x e lungo z le τ≠0.

Se facciamo i passaggi otteniamo che le τ sui piani paralleli al pendio non sono nulle e valgono γ*h*sen i e
γ*h*cos i e quindi dipendono dalla profondità h e dipendono dall’inclinazione del pendio; così come anche
le tensioni ortogonali al pendio σz saranno diverse da zero e pari a γ*h*cos² i . A differenza delle tensioni
litostatiche per i piani orizzontali, qui le tensioni litostatiche verticali dipenderanno dall’angolo del pendio.
(1:47) Anche in questo caso possiamo calcolarci le tensioni orizzontali ipotizzando che tutte le verticali sono
verticali di simmetria perché il pendio ha pendenza costante quindi va da -∞ a +∞ quindi per qualunque
verticale lo stato tensionale orizzontale è lo stesso e quindi otteniamo:
Imponendo le solite equazioni di Navier ossia εx=0.

Ovviamente se il piano di falda è coincidente col piano di campagna le tensioni efficaci si ottengono
facilmente come:

Nell’ambito del corso non faremo nessun esempio in cui ci troveremo a lavorare con un piano inclinato.
Sappiate che per quanto concerne la stabilità dei pendii anche in quel caso è importante conoscere le
tensioni iniziali ed esse dipendono dall’angolo di inclinazione del pendio oltre che dalla presenza o meno
della falda e quindi applichiamo il principio delle tensioni efficaci e tensioni totali.
Lezione 4 16/10/2017 Moti di filtrazione (slide 6)
La scorsa lezione abbiamo parlato delle tensioni nel sottosuolo in condizioni idrostatiche sia in condizioni
litostatiche, cioè quelle che troviamo nel sottosuolo prima del nostro arrivo (solo il peso proprio del terreno),
sia in condizioni indotte da un’ area di carico applicata al piano campagna(es. carico di una struttura). Oggi
ci occupiamo degli aspetti relativi all’acqua nel terreno e in generale a come calcolare le pressioni neutre,
che note le pressioni totali, ci permettono di calcolare le tensioni efficaci anche in condizioni non
idrostatiche.
La causa che determina il moto di filtrazione nell’acqua, così come nell’idraulica delle condotte, è il carico
idraulico (H) che per il trinomio di Bernulli risulta essere:

𝑢 𝑣2 𝑢
𝐻(𝑐𝑎𝑟𝑖𝑐𝑜 𝑖𝑑𝑟𝑎𝑢𝑙𝑖𝑐𝑜 [𝐿]) = 𝜁 + + ≈ 𝜁+ = ℎ(𝑞𝑢𝑜𝑡𝑎 𝑝𝑖𝑒𝑧𝑜𝑚𝑒𝑡𝑟𝑖𝑐𝑎 [𝐿])
𝛾𝑤 2𝑔 𝛾𝑤

Dove:
𝜁(zita) è la quota geometrica perché rappresenta la distanza rispetto ad un piano di riferimento;
𝑢
𝛾
è l’altezza piezometrica perché è una pressione diviso il peso specifico dell’acqua e rappresenta di
𝑤
quanto l’acqua risale in un tubo piezometrico immerso nel mezzo in cui l’acqua sta filtrando;
𝑣2
è l’altezza cinetica con v velocità di filtrazione.
2𝑔

Nei terreni l’ultimo termine, relativo all’altezza cinetica, si può trascurare perché la velocità di filtrazione è
piuttosto bassa; allora nei nostri calcoli il carico idraulico (H) coincide con la quota piezometrica (h).

Il moto di filtrazione fu studiato per la prima volta da Darcy con l’esperienza del permeametro: cilindro
orizzontale riempito di un terreno che collega due serbatoi uno di monte e uno di valle che hanno livelli di
acqua diversi.
Tra monte e valle c’è una differenza di quota di livello di acqua che chiamiamo h, anche se volendo essere
coerenti dovremmo chiamare Δh.
Si osserva che l’acqua filtra attraverso il permeametro, cioè si muove da monte verso valle e man mano che
filtra perde energia,cioè perde quota piezometrica. Congiungendo il livello di monte con quello di valle
passando per i punti di quota piezometrica intermedi otterremo una linea che rappresenta come varia il carico
idraulico o la quota piezometrica dato che sono la stessa cosa (perdita di carico). La pendenza di questa retta
tratteggiata rossa si chiama cadente piezometrica(o gradiente idraulico) e si indica con i ed è il rapporto tra
Δh (o h come è sulle slide) e la distanza tra i due serbatoi L.

L’esperienza di Darcy ci dice che la velocità di filtrazione dell’acqua attraverso questo materiale poroso, che
è pari alla portata Q diviso la sezione A del cilindro orizzontale in cui è presente il materiale, è proporzionale
alla cadente piezometrica i attraverso una costante k che prende il nome di coefficiente di permeabilità [LT-1]
che dipende dalle caratteristiche del fluido e del mezzo poroso.
𝑄 ∆ℎ
𝐿𝐸𝐺𝐺𝐸 𝐷𝐼 𝐷𝐴𝑅𝐶𝑌: 𝑣 = = 𝑘 = 𝑘𝑖
𝐴 𝐿
Questa legge vale sempre ad accezione dei casi di moto turbolento, cioè quando il numero di Reynolds è
molto alto.
Questa legge va generalizzata nelle tre dimensioni perché il moto di filtrazione non avviene mai lungo solo
una direzione: detta vi la componente di velocità in una certa direzione, ciascuna di queste componenti è
proporzionale alla derivata della quota piezometrica rispetto alla variabile spaziale di riferimento; di fatto è
come se scrivessimo la legge di Darcy, che precedentemente era scritta in termini finiti, espressa al limite
come una derivata perché deve valere punto per punto.
Allora possiamo scrivere che il vettore velocità è proporzionale al vettore gradiente i attraverso non più uno
scalare ma una matrice [k] (un tensore) perché varia in relazione alla direzione. i che prima abbiamo anche
chiamato gradiente idraulico lo possiamo esprimere proprio come gradiente di –h, abbiamo il meno che serve
per ristabilire il segno positivo, dato che il moto dell’acqua va da quote piezometriche maggiori a quote
piezometriche minori.

Se consideriamo il mezzo isotropo cioè le componenti kx= ky= kz= k , allora possiamo scrivere la legge di
resistenza al moto nel mezzo isotropo in questo modo:
{𝑣} = 𝑘 grad(−ℎ)
Passiamo adesso alla legge di continuità o di conservazione della massa che insieme alla legge di resistenza
ci serve per ricavare l’equazione di campo del moto di filtrazione che poi dobbiamo risolvere. Consideriamo
un elemento di volume elementare pieno di acqua; abbiamo dei vettori di acqua che entrano nelle tre
direzioni x, y e z e quindi abbiamo velocità di filtrazione in entrata ( vx ,vy e vz ), in uscita, invece, avremo
𝜕𝑣𝑥
v𝑥 + 𝜕𝑥
𝑑𝑥 lungo x e in maniera analoga ritroveremo tale termine anche lungo y e z.

Allora se facciamo un bilancio in tutte le direzioni tra ciò che entra e ciò che esce estendendolo alla portata,
moltiplicando per la densità del fluido ρw (acqua) e per il tempo dt, cioè vogliamo calcolare la massa di fluido
entrante nel volume elementare si ha:
𝜕𝑣𝑥 𝜕𝑣𝑦 𝜕𝑣𝑧
𝑚𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑓𝑙𝑢𝑖𝑑𝑜 𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑛𝑡𝑒 𝑛𝑒𝑙 𝑣𝑜𝑙𝑢𝑚𝑒 𝑒𝑙𝑒𝑚. = −𝜌𝑤 ( 𝑑𝑥 𝑑𝑦𝑑𝑧 + 𝑑𝑦 𝑑𝑥𝑑𝑧 + 𝑑𝑧 𝑑𝑥𝑑𝑦) 𝑑𝑡 (1)
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧
il segno dipende da se vogliamo la massa entrante o uscente dal volume elementare.

Questa massa di fluido entrante per continuità deve essere pari alla variazione di massa del fluido
interstiziale contenuto nell’elemento di volume. Se c’è una massa di fluido che entra ce la dobbiamo
ritrovare all’interno del volume di terreno.
Ricordiamo che il volume dell’acqua all’interno del terreno è espresso dal volume dei vuoti e dal grado di
saturazione. In generale se non è saturo il terreno il grado di saturazione Sr si definisce come rapporto tra
volume dell’acqua e volume dei vuoti, invece, la porosità n ci dice quanto è il volume dei vuoti sul volume
totale, allora il prodotto n Sr rappresenta il volume dell’acqua sul volume totale che moltiplicato per densità
dell’acqua ρw ci dice quanto è la massa di acqua sul volume totale; se questa la moltiplichiamo per il volume
totale dell’elemento (dxdydz) ci dice quanto è la massa di acqua all’interno del terreno; quanto questa vari
nell’unità di tempo ce lo dice la derivata rispetto al tempo t; moltiplicando, infine, per dt otteniamo quanto
varia la massa di acqua nel terreno in un istante di tempo dt:
𝜕(𝜌𝑤 𝑛𝑆𝑟 )
𝑣𝑎𝑟𝑖𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑚𝑎𝑠𝑠𝑎 𝑓𝑙𝑢𝑖𝑑𝑜 𝑖𝑛𝑡𝑒𝑟𝑠𝑡𝑖𝑧𝑖𝑎𝑙𝑒 = 𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 ∙ 𝑑𝑡 (2)
𝜕𝑡

Uguagliando la (1) con la (2) otteniamo l’equazione di continuità della massa di un fluido in un elemento di
volume:
𝜕𝑣𝑥 𝜕𝑣𝑦 𝜕𝑣𝑧 𝜕(𝜌𝑤 𝑛𝑆𝑟 )
−𝜌𝑤 ( 𝑑𝑥 𝑑𝑦𝑑𝑧 + 𝑑𝑦 𝑑𝑥𝑑𝑧 + 𝑑𝑧 𝑑𝑥𝑑𝑦) 𝑑𝑡 = 𝑑𝑥𝑑𝑦𝑑𝑧 ∙ 𝑑𝑡
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑡

Mettendo in evidenza sia nel primo termine che nel secondo termine ρw , dxdydz e dt l’equazione diventa:
𝜕𝑣𝑥 𝜕𝑣𝑦 𝜕𝑣𝑧 𝜕(𝑛𝑆𝑟 ) 𝜕(𝑛𝑆𝑟 )
+ + = ↔ 𝑑𝑖𝑣{𝑣} =
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑡 𝜕𝑡
La prima parte dell’equazione essendo la somma delle derivate della velocità lungo i tre assi cartesiani la
possiamo scrivere anche come divergenza del vettore v, div{v}.
Mettiamoci nelle ipotesi di mezzo stabilmente saturo Sr=1 , fluido incomprimibile ρw=cost. e scheletro solido
indeformabile n=cost, quest’ultima ipotesi è forte perché noi ci stiamo mettendo nelle condizioni in cui
mentre l’acqua filtra nel terreno questo non si deforma, e ciò non è sempre vero. Con queste ipotesi il
secondo termine dell’equazione è nullo. Allora l’equazione di continuità diventa: div{v}=0

Adesso rimanendo in queste ipotesi, combinando l’equazione di continuità, div{v}=0 e la legge di resistenza,
{v}=k grad(-h), otteniamo: div{grad(-h)}=0, questo è un Laplaciano, cioè è un operatore di derivate seconde
di h e si indica così: ∇2h=0. Abbiamo in questo modo scritto l’equazione del campo di moto che era il nostro
obiettivo iniziale. Graficamente il campo di moto è descritto da:

Osserviamo che il moto del fluido, come detto in precedenza va da una quota piezometrica più alta (h+Δh)
ad una più bassa (h-Δh).
Proprietà delle due famiglie di curve:

• La quota piezometrica decresce lungo una linea di flusso;


• Lungo “un tubo di flusso” (superficie generata da linee di flusso) la portata è costante;
• Non c’è flusso lungo una superficie isopiezica(piani disegnati in blu).

Questa rappresentazione nello spazio la vediamo in un piano cioè passiamo dalla 3D a un 2D, cioè per
esempio assumiamo vy=0.

NB l’immagine è sbagliata le linee di flusso dovrebbero andare da h+Δh a h-Δh, nel disegno sono invertiti.
Con gli stessi colori di prima adesso abbiamo linee isopieziche (blu) in cui la quota piezometrica è la stessa e
linee di flusso (rosse). Notiamo che le linee di flusso e le linee isopieziche sono sempre ortogonali tra di loro.
Inoltre, la superficie nera è una superficie impermeabile, cioè l’acqua non può passare ma ci scorre sopra,
allora è chiaro che la superficie impermeabile è una linea di flusso. La superficie racchiusa tra due
isopieziche e due linee di flusso è detta maglia elementare, dal disegno di dimensioni Δa, distanza tra due
linee di flusso, che in questo caso rappresenta anche la sezione del tubo di flusso se immaginiamo che lo
spessore del tubo di flusso sia unitario, e Δs, distanza tra due linee isopieziche. Osserviamo che Δh, che è la
caduta tra due linee isopieziche successive, diviso Δs ci dà la cadente piezometrica in quella maglia.
Fatte queste osservazioni possiamo scrivere l’espressione della portata che passa attraverso una maglia
elementare:
∆ℎ
∆𝑞 = 𝑣𝑛 ∆𝑎 → 𝑟𝑖𝑐𝑜𝑟𝑑𝑎𝑛𝑑𝑜 𝐷𝑎𝑟𝑐𝑦 → ∆𝑞 = 𝑘𝑖 ∆𝑎 = 𝑘 ∆𝑎
∆𝑠

Questa ha la stessa forma della legge sperimentale di Darcy (esperimento permeametro) perché abbiamo
assunto che nella singola maglia il moto è mono-direzionale. Per una singola maglia essendo queste molto
piccole possiamo accettare l’ipotesi di moto mono-direzionale.

La definizione di rete(o reticolo) di flusso come l’insieme di linee isopieziche e linee di flusso è utile nella
risoluzione di alcuni problemi in forma grafica che in realtà sono risoluzioni di equazione differenziali in un
certo dominio. Per esempio immaginiamo di avere il caso di un terreno con un setto che regge uno
scavo(VEDI IMMAGINE): a sinistra abbiamo una certa quota e a destra dove c’è lo scavo una quota più
bassa la differenza di quota piezometrica tra monte(destra) e valle(sinistra) è indicata con H. La presenza di
un dislivello di quota piezometrica fa si che si generi un moto di filtrazione, fluido in moto. Potremmo
disegnare il reticolo di filtrazione ma per farlo dobbiamo ricordare che il moto del fluido è condizionato dalle
condizioni al contorno. In questo caso abbiamo due quote diverse, quindi, il flusso si muove da una quota più
alta(destra) ad una più bassa(sinistra), e due superfici impermeabili, il setto verticale e il limite inferiore(che
può essere visto come argilla, cioè lo strato in cui avviene il moto è sabbia(rosa) e lo strato inferiore(linea
nera orizzontale) è argilla). Per quanto detto prima sappiamo che le superfici impermeabili individuano delle
linee di flusso che saranno verticali(dall’alto verso il basso) lungo il setto e orizzontali(da sinistra verso
destra) lungo il limite inferiore, inoltre le linee di flusso saranno sempre perpendicolari alle isopieziche; con
queste informazioni possiamo disegnare le linee di flusso:
N.B. non abbiamo parlato dei contorni laterali perché facciamo l’ipotesi che i contorni laterali siano
sufficientemente lontani per considerare l’acqua in quiete cioè non subiscono gli effetti del moto di
filtrazione. Nella pratica a una distanza pari a due volte lo spessore dello strato filtrante si assume che
l’acqua sia in quiete.
N.B.2 il disegno è in parte sbagliato perché le prime linee di flusso(rosse a sinistra) non partono
perpendicolari alla linea isopiezica (blu) orizzontale.
∆a
Se ∆s
= 𝑐𝑜𝑠𝑡 allora la rete flusso si dice a maglie regolari; se, invece, ∆s ≈ ∆a la rete di flusso si dice a
maglie quadre.
Calcoliamo la portata nell’ipotesi di rete a maglie quadre:
∆𝑎
∆𝑞 = 𝑘 ∆ℎ = 𝑘 ∆ℎ
∆𝑠
per definizione sappiamo che lungo un tubo di flusso la portata è costante ma se la portata è costante allora è
chiaro che, in questa ipotesi, anche Δh deve essere costante, cioè il Δh (perdita di carico tra due isopieziche)
in tutte le maglie della rete di flusso è lo stesso. Se questo è vero allora la perdita di carico idraulico totale H
diviso il numero di campi tra le isopieziche nh (salti che facciamo tra monte e valle) ci dà la perdita di carico
tra due isopieziche Δh:
𝐻
∆ℎ =
𝑛ℎ
A questo punto possiamo facilmente sapere in ogni punto quanto vale la quota piezometrica h; perché H
(variazione di carico idraulico) è nota e Δh in ogni punto lo possiamo calcolare grazie alla relazione di prima,
allora, per calcolare la quota piezometrica basterà fare H – Δh. Conoscendo la quota piezometrica posso
calcolarmi le pressioni neutre u, in ogni punto di un terreno sottoposto a moto di filtrazione, dalla formula
inversa:

𝑢 = 𝛾𝑤 (ℎ − 𝜁)

Ricordiamo che ζ(zita) è nota perché è la quota geometrica rispetto ad un piano che scegliamo noi.

E’ possibile calcolare anche la portata filtrante Q:


𝐻 𝑛𝑞
𝑄 = 𝑛𝑞 ∆𝑞 = 𝑛𝑞 𝑘∆ℎ = 𝑛𝑞 𝑘 = 𝑘𝐻
𝑛ℎ 𝑛ℎ
con nq numero dei tubi di flusso.
Questa formula può essere utile, per esempio riferendoci sempre allo schema precedente, quando a valle noi
effettuiamo uno scavo e vogliamo mantenere sempre lo stesso livello di acqua, allora con questa formula
possiamo dimensionare la nostra pompa per asportare l’acqua che da monte(sx) va a valle(dx) dove è
presente il nostro scavo.

Ritornando alle pressioni interstiziali u: se io conosco h in quel terreno (e lo conosco perché conosco tutte le
linee blu dove le ho disegnate), sapendo che il salto piezometrico è pari a Δh e conoscendo anche in tutti i
punti che hanno uno ζ(zita) noto posso calcolare il valore della pressione neutra. Questo flusso che abbiamo
appena visto è in realtà un flusso di tipo stazionario o permanente perché le condizioni al contorno e il
dominio di saturazione sono invariabili nel tempo, cioè abbiamo assunto che il livello a monte e a valle sia
sempre lo stesso. Questi calcoli ormai non si fanno più a mano ma si integrano tramite MatLab, questi
schemi però vengono ancora presentati perché avendo a che fare con un’equazione differenziale è chiaro che
bisogna avere ben chiare tutte le condizioni al contorno e questi schemi ci aiutano a capire quali sono le
condizioni al contorno che dovremo andare ad inserire nei nostri calcoli. Per esempio il setto verticale che è
una superficie impermeabile, in questo caso, possiamo dire che la componente di velocità orizzontale vx è
uguale a zero, ma dato che stiamo integrando in h dobbiamo fare in modo di far comparire h in questa
condizione al contorno allora ci ricordiamo che vx può essere vista come la derivata di h rispetto ad x. Allora
nel programma inseriremo che lungo la parete la derivata di h rispetto a x è uguale a zero. In maniera analoga
lo faremo sul fondo, in questo caso però è la componente della velocità verticale vz che è pari a zero e quindi
in MatLab inseriremo che sul fondo sarà la derivata di h rispetto a z che è nulla. A monte e a valle invece
abbiamo un valore di h che è noto e costante. Abbiamo quindi assegnato in tutti i tratti del dominio(nello
schema è quello rosa) le condizioni al contorno e dato che il flusso è stazionario cioè le condizioni al
contorno non variano con il tempo ciò ci basta per risolvere l’equazione differenziale, se non ci fossimo
trovati in condizioni di stazionarietà avremmo dovuto assegnare anche delle condizioni iniziali.

Relativamente al flusso sarà utile dare le seguenti definizioni:

• FLUSSO STAZIONARIO: condizioni al contorno e dominio di saturazione invariabili nel tempo.


• FLUSSO TRANSITORIO: condizioni al contorno e/o dominio di saturazione variabili nel tempo.

Si ha per esempio flusso transitorio nel caso di emungimento da un pozzo: abbiamo un certo livello di acqua
quando preleviamo(pompiamo) acqua dal pozzo; se smettiamo di pomparla pian piano l’acqua tende a
tornare alle sue condizioni iniziali(pre-emungimento). Allora nel tempo ci sarà una variazione sia della
condizione di saturazione che delle condizioni al contorno.

Diamo anche altre due definizioni che riguardano le condizioni al contorno:

• FLUSSO CONFINATO: condizioni al contorno non dipendono dal dominio di saturazione (es.
traversa in muratura)
• FLUSSO NON CONFINATO: condizioni al contorno che dipendono dal dominio di saturazione (es.
diga in terra)

Adesso vediamo cosa succede agli stati tensionali, ricordiamo, infatti, che il nostro fine è quello di calcolare
le tensioni efficaci. Torniamo al caso semplice (mono-dimensionale) del permeametro, solo che in questo
caso è verticale, cioè è stato ruotato e non è più orizzontale come l’abbiamo visto all’inizio, e sul fondo,
inoltre, sarà presente un piezometro che ci indica il livello di acqua a valle.

Analizziamo il caso 1. FLUIDO IN QUIETE ↔ quota piezometrica costante

In questo caso la quota piezometrica è la stessa tra monte e valle, perché la quota del livello di acqua nel
piezometro(posto a valle) è uguale a quella di monte. Stiamo, quindi, in condizioni idrostatiche.
Possiamo disegnare un grafico h-z (in cui z è la profondità dal pelo libero posto a monte ); essendo uguale la
quota piezometrica tra monte e valle, avremo una linea (azzurra) verticale (h=cost).
In condizioni idrostatiche sappiamo che u= γwz , avendo definito z come h-ζ, cioè siccome h è costante
questa differenza è di fatto proporzionale a z e quindi vale la relazione u= γwz. Infatti possiamo scrivere che
h= ζ+u/γw che quindi sarà pari a ζ+z e in ogni punto questo sarà pari ad H che è, quindi, anch’essa una
costante.
La volta scorsa, in condizioni idrostatiche, già avevamo visto questa relazione senza aver parlato di moti di
filtrazioni ma affrontando il problema dal punto di vista fisico con la legge di Stevino, dove la pressione è
proporzionale all’affondamento. La tensione totale sappiamo dalla scorsa lezione che è 𝛾𝑠𝑎𝑡 ∙ 𝑧 , perché
abbiamo detto che si integra l’equazione di equilibrio(o del moto???) in direzione verticale, con peso pari a
𝛾𝑠𝑎𝑡 perché questo terreno è saturo di acqua, e quindi la σv sarà pari a 𝛾𝑠𝑎𝑡 ∙ 𝑧 ; allora, 𝜎𝑣′ = 𝜎𝑣 − 𝑢 = 𝛾 ′ 𝑧 ;
ricordando che 𝛾𝑠𝑎𝑡 − 𝛾𝑤 = 𝛾 ′ . Questa è la condizione da cui siamo partiti la scorsa lezione, cioè, fluido in
quiete e quote piezometriche costanti.

Analizziamo il caso 2. FLUIDO IN MOTO VERSO IL BASSO ↔ quota piezometrica decrescente con z

Vediamo adesso un caso diverso, immaginiamo che si è abbassato il livello di acqua nel tubo piezometrico,
quindi, stiamo imponendo un valore della quota piezometrica a valle (idraulico), in questo caso in basso, più
bassa rispetto a quella che c’è a monte. Guardando il grafico h-z notiamo che la quota piezometrica a monte
(in alto) è il valore h, in basso, invece, avremo un valore inferiore, infatti, qui il livello si è abbassato di Δh
perché abbiamo un valore del carico che è h-Δh. E’ chiaro quindi che c’è una cadente idraulica i pari a Δh
diviso la lunghezza Htotale del permeametro, questa rappresenta una cadente piezometrica con una quota
decrescente dall’alto verso il basso. Tutto ciò immaginando che il livello di monte resti costante,
supponiamo, cioè, esserci una continua alimentazione di acqua. Notiamo che la quota piezometrica non è più
𝑢
costante come prima ma varia linearmente con la profondità z e ricordando che ℎ = 𝜁 + 𝛾 , anche ζ (zita) e
𝑤
u varieranno linearmente con la profondità z. La distribuzione di pressioni, inizialmente (h=costante)era la
linea tratteggiata(BLU, GUARDA IL GRAFICO A DESTRA), ora dato che il carico a valle si è abbassato ad
h-Δh anche la pressione neutra si sarà abbassata ad un valore u –Δu , se u inizialmente era pari a u= γwz
adesso sarà pari a questa quantità meno Δh γw .
Studiamo l’andamento delle pressioni neutre con la profondità z: h è linearmente variabile e sarà pari a H-iz ;
ζ = H-z; quindi, la pressione neutra u sarà γwz , che sarebbe l’idrostatica iniziale, meno un qualcosa che è
γwiz che corrisponde alla varazione di carico nel permeametro. Quindi la pendenza della nuova linea blu sarà
più piccola di quella tratteggiata precedentemente (pressioni neutre diminuiscono) e dato che le tensioni
totali non hanno subito effetti poiché sono regolate dal peso per unità di volume del terreno saturo (essendo
che il terreno era ed è rimasto saturo le tensioni totali σv saranno ancora γsatz ) ciò che è cambiato sono le
tensioni efficaci σ’:

𝜎𝑣′ = 𝜎𝑣 − 𝑢 = 𝛾𝑠𝑎𝑡 𝑧 − (𝛾𝑤 𝑧 − 𝛾𝑤 𝑖𝑧) = 𝛾𝑠𝑎𝑡 𝑧 − 𝛾𝑤 𝑧 + 𝛾𝑤 𝑖𝑧 = 𝛾 ′ 𝑧 + 𝛾𝑤 𝑖𝑧

Quindi si nota che le tensioni efficaci aumentano della quantità 𝛾𝑤 𝑖𝑧 e graficamente lo vediamo anche perché
la tensioni efficaci sono la distanza tra linea rossa e linea blu e rispetto a prima questa distanza è aumentata.

Analizziamo il caso 3. FLUIDO IN MOTO VERSO L’ALTO ↔ quota piezometrica crescente con z

Se invece il moto è diretto verso l’alto allora invertiamo il Δh, cioè, il livello in basso è più alto di ciò che ho
in cima, quindi, il moto va da sotto verso sopra, si inverte il ragionamento. Le pressioni neutre questa volte
sono aumentate e nella relazione delle pressioni neutre u non cambia niente se non il segno e quindi
graficamente vediamo che le curve blu e rosse si avvicinano e quindi diminuiscono le tensioni efficaci.

Vediamo gli effetti su casi(problemi) reali.

CASO 2) Se aumentano le tensioni efficaci per effetto di questi moti di filtrazione avremo aumenti di
deformazioni che si traducono in cedimenti del piano campagna:
abbiamo due strati ad elevata permeabilità sopra e sotto e uno strato intermedio a permeabilità ridotta. Questa
è una situazione tipica di uno strato di sabbia su argilla su sabbia; immaginiamo di emungere dalla sabbia
inferiore dell’acqua (preleviamo acqua da sotto) rispetto allo stato iniziale indicato con 1 poi la freccia ci
indica il passaggio allo stato 2(vedi figura) da uno il livello d’acqua passa a due; se questa è la situazione
abbiamo una riduzione della quota piezometrica che prima era 1 dappertutto adesso nell’acquifero superiore
è rimasto 1 in quello inferiore è sceso da 1 a 2 la quota è più bassa all’estremità dello strato
intermedio(argilla) abbiamo quote piezometriche diverse tracciamo quindi un andamento lineare di quota
piezometrica nello strato intermedio. Le pressioni totali sono sempre le stesse linea rossa le pressioni neutre
inizialmente avevano l’andamento curva tratteggiata blu 1 , adesso nello strato superiore non è cambiato
nulla in quello inferiore invece abbiamo tracciato una linea blu parallela alla precedente 2 che prolungandola
incontra l’asse (punto in cui u=0) proprio in corrispondenza del pelo libero dello strato, il diagramma
intermedio sappiamo che il carico varia linearmente anche le pressioni neutre dovranno variare linearmente
allora basterà congiungere i due punti all’estremità dello strato e disegnando un segmento avremo
l’andamento delle pressioni neutre. L’area in verde tratteggiata rappresenta l’incremento di tensioni efficaci
rispetto allo stato 1. Questo moto di filtrazione dall’alto verso il basso (con acquifero superiore
continuamente alimentato) per differenza di quota piezometrica e in particolare ciò che accade allo strato
intermedio corrisponde al caso precedente.
In teoria, anticipando un po’ ciò che vedremo successivamente, potremmo anche calcolarci l’effetto di
questo ∆𝜎𝑣′ ;
𝐻 𝐻 𝐻
∆𝜎𝑣′ ∆𝑢 ∆𝑢 ∆𝑢 𝛾𝑤 ∆ℎ𝐻1 𝛾𝑤 ∆ℎ𝐻2
𝑤 = ∫ 𝜀𝑍 𝑑𝑧 = ∫ 𝑑𝑧 = − ∫ 𝑑𝑧 = − ∫ 𝑑𝑧 − ∫ 𝑑𝑧 = +
𝐸𝑒𝑑 𝐸𝑒𝑑 𝐸𝑒𝑑,1 𝐸𝑒𝑑,2 2𝐸𝑒𝑑,1 𝐸𝑒𝑑,2
0 0 0 𝐻1 𝐻2

infatti, il cedimento del piano di campagna, w, sarà pari ad un integrale lungo tutto lo strato deformabile(da 0
ad H) della deformazione verticale(εz) in dz, questa sarà connessa ad una variazione di tensioni efficaci,
infatti, se consideriamo il moto come mono-dimensionale e ∆𝜎𝑣′ uguale per ogni punto siamo in condizioni
edometriche (o a espansione laterale impedita), allora, possiamo calcolare le deformazioni verticali, come
∆𝜎𝑣′
abbiamo fatto la volta scorsa, ε𝑧 = 𝐸 . Ma la variazione delle tensioni efficaci abbiamo visto che è uguale
𝑒𝑑
ed opposta a Δu. Ciò che è interessante è che questa variazione di tensione efficace avviene solo nel secondo
e terzo strato, non nel primo. Allora possiamo dividere l’integrale in due parti poiché i moduli edometrici dei
due strati saranno diversi (terreni diversi). Nello strato inferiore indicato con H2 la variazione delle tensioni
efficaci è costante e pari a γwΔh, quindi possiamo cacciarlo dal segno di integrale come il modulo
edometrico; in quello intermedio, indicato con H1, invece varierà linearmente e per questo al denominatore
comparirà il 2(area triangolo). L’effetto di un moto di filtrazione verso il basso genera un cedimento del
piano campagna perché variano le tensioni efficaci.

CASO 1. Ecco, invece, cosa accade per moti di filtrazione verso l’alto.

Lo stato 1 coincide con le linee tratteggiate; concentriamoci solo su ciò che accade a valle. Le tensioni totali
sono sempre le stesse(linea rossa) le pressioni neutre per effetto del moto di filtrazione c’è una distribuzione
di pressioni neutre che è diverse dallo stato 1 (condizioni idrostatica) semplificando un attimo succede che il
moto di filtrazione a destra del setto può essere considerato sub-verticale. La situazione è simile al CASO 3,
anche se questo non è proprio un problema mono-dimensionale ma con una certa approssimazione possiamo
considerarlo tale. Le pressioni neutre a valle aumentano, mentre a monte diminuiscono, ciò lo si nota dai
diagrammi linea tratteggiata condizioni idrostatiche, linea continua(entrambe blu) stato di moto di
filtrazione. Può succedere che per un valore del gradiente i per il quale addirittura le pressioni neutre
crescono tale da sovrapporsi alle tensioni totali se la linea blu si sovrappone alla linea rossa le tensioni
efficaci sono pari a zero.
ricordando che: formule

Quando 𝜎𝑣′ è pari a zero allora il termine dentro le parentesi 𝛾 ′ − 𝛾𝑤 𝑖 deve essere uguale a zero, allora
possiamo definire un valore critico del gradiente ic per il quale si annullano le tensioni efficaci:
𝛾′
𝑖𝑐 = → 𝜎𝑣′ = 0 ∀𝑧
𝛾𝑤
Questo caso è molto interessante perché se stiamo studiando un terreno a grana grossa, annullando le tensioni
efficaci non potrà offrire alcuna resistenza poiché ricordando Mohr-Coulomb:

𝜏𝑙𝑖𝑚 = 𝑐 ′ + 𝜎 ∙ 𝑡𝑎𝑛𝜑
Se il terreno è incorente c’ è pari a zero ed essendo, in questo caso, anche σ pari a zero allora la τ è pari a
zero; in pratica questo terreno, a valle, in queste condizioni, non è in grado di resistere a nessuna azione di
taglio, questo porta ad un collasso, che viene detto collasso per sifonamento. Appunto per questo la
normativa ne richiede la verifica(S.L. per Sifonamento).
Esiste un criterio semplificato di Terzaghi che ci permette di capire se avviene il sifonamento:

𝑖𝑚 < 𝑖𝑐 ↔ 𝐶𝑅𝐼𝑇𝐸𝑅𝐼𝑂 𝐷𝐼 𝑇𝐸𝑅𝑍𝐴𝐺𝐻𝐼

Quindi, al fine di evitare il collasso per sifonamento la cadente media, in una certa zona a valle, deve essere
inferiore al valore di cadente critica. Questa zona viene definita da un volume di terreno pari a L(profondità
di infissione della parete nel terreno) per L/2. La cadente media im sarà pari alla differenza tra h2 (che di
solito viene fatto coincidere con il valore di quota di monte) e h1 (valore di quota di valle), il tutto diviso la
profondità di infissione della parete nel terreno L. Avendo risolto il moto di filtrazione conosciamo questi
valori in tutti i punti.

Fino ad ora abbiamo parlato di moto di filtrazione del fluido e quindi di permeabilità. Il coefficiente di
permeabilità (o conducibilità idraulica k) non è un parametro ‘intrinseco’ del terreno in quanto dipende anche
dal fluido e dallo stato del terreno stesso. In linea di principio k si potrebbe esprimere come:

Dove:
k sovra segnato è la permeabilità assoluta che dipende solo dal solido poroso;
γw è il peso specifico del fluido;
μw è la e viscosità del fluido.

I principali fattori che influenzano k sono quindi:


• per il fluido la temperatura (da cui dipendono γw e μw)
• per il solido la granulometria (influenza dimensione e tortuosità degli interstizi)

L’ influenza della granulometria è riflessa dalla relazione empirica per sabbie uniformi (Hazen, 1911):
2
𝑘 = 𝑐 ∙ 𝐷10

Dove: c=0.4 ÷ 1.2 e D10 in mm è il diametro a cui passa il 10% del terreno alla stacciatura(passante al 10%).
Tale legge evidenzia la dipendenza di k soprattutto dalla dimensione dei granuli più fini, essendo
proporzionale a D10. N.B. se nella distribuzione granulometrica c’è una frazione fine è quella che regola la
permeabilità. Quando ad inizio corso è stato detto che la permeabilità è la grandezza che maggiormente varia
nei terreni ci riferivamo proprio a questo. Infatti osservando questo grafico come questa vari molto nei
terreni. L’indice di porosità n nei terreni vari da 1 a 4 mentre la permeabilità riportata sulle ascisse, in scala
logaritmica, ha un variazione molto più marcata (10 ordini di grandezza tra terreni argillosi e sabbiosi):
Dal grafico si nota che a parità di granulometria la porosità dipende dall’indice dei vuoti presenti nel terreno.
Lezione 5 20/10/2017 – ESERCITAZIONE
L’esercizio ci propone un caso reale di terreno stratificato, composto da 3 stati, terreno A, B e C che poggiano
su un banco di roccia. Il primo stato è spesso 10 m, il secondo 20 m (da -10 m a -30 m), il terzo 10 m (da -30
m a -40 m). Una campagna di indagini ha consentito, mediante carotaggi, di ricostruire questa stratigrafia. In
aggiunta ci sono alcuni dati di laboratorio effettuati su campioni rappresentativi dell’intero strato (indicati in
tabella) che per ciascuno degli strati ci forniscono la composizione granulometrica (argilla, limo, sabbia,
ghiaia) attraverso la quale ci viene chiesto di classificare il terreno. Ci viene fornito inoltre il peso specifico
adimensionalizzato 𝐺𝑠 , i limiti liquido e plastico 𝑤𝐿 e 𝑤𝑃 , ci viene chiesto di calcolare l’indice di plasticità 𝐼𝑝 ,
il contenuto d’acqua, l’indice di consistenza 𝐼𝐶 e l’indice di attività 𝐼𝐴 . Dopodiché ci viene dato il peso
dell’unità di volume γ, il peso dell’unità di volume del secco 𝛾𝐷 e ci viene chiesto di determinare la porosità
n, l’indice dei vuoti e ed il grado di saturazione 𝑆𝑟 . Infine viene assegnato il valore del coefficiente di spinta
a riposo 𝑘𝑜 , che rappresenta il rapporto tra le tensioni orizzontali efficaci e le tensioni verticali efficaci.

Nel primo punto l’esercizio ci chiede di completare la caratterizzazione del terreno sulla base dei risultati avuti
dalle prove di laboratorio, il che significa che dovremo assegnare una classifica granulometrica e valutare
successivamente i parametri presenti in tabella che non sono stati calcolati. Nel secondo punto ci viene detto
che sono state fatte delle misure piezometriche negli strati A e C, che hanno condotto al rilievo di una
profondità della falda di entrambi gli strati inizialmente pari a 2m, cioè vuol dire che in entrambi i tubi
piezometrici che pescavano rispettivamente nel terreno A e C, il livello dell’acqua si è testato pari a 2m di
profondità dal piano di campagna.

Inizialmente il livello piezometrico era lo stesso sia nel terreno A che C (quindi si presume anche nel terreno
B), successivamente è stato effettuato un emungimento di acqua dal terreno C che ha provocato un
abbassamento del livello di falda, per cui, mentre nel terreno A questo piezometro continua a leggere un valore
che si trova sempre allo stesso livello, nel terreno C c’è stato un abbassamento della quota piezometrica da
-2m a -7m.
Dopo aver caratterizzato il terreno, l’esercizio ci chiede di valutare le tensioni litostatiche totali, efficaci e
neutre, prima dell’emungimento, cioè quando in entrambi i piezometri si ha lo stesso livello d’acqua a -2 m di
profondità, quindi nelle condizioni iniziali. Poi ci chiede di valutare la distribuzione di tensioni totali, efficaci
e neutre dopo l’emungimento, quindi a seguito dell’abbassamento del livello piezometrico nel terreno C.
Poiché questo abbassamento del livello piezometrico ha generato una variazione delle tensioni efficaci nel
terreno, ci viene anche chiesto di calcolare l’entità del cedimento generato dall’abbassamento della falda.
Infine, per alcuni punti, collocati più o meno nei vari strati a 7 m, 20m, 35 m di profondità, ci chiede di valutare
il percorso tensionale, quindi nel piano (q-p) tensioni totali o (q-p’) tensioni efficaci.
Il foglio Excel è formato da 4 fogli: il primo per la valutazione delle caratteristiche, il secondo per la
valutazione delle tensioni prima dell’emungimento, il terzo per la valutazione delle tensioni dopo
l’emungimento e l’ultimo contiene dei grafici già predisposti per visualizzare i grafici p-p’-q una volta che
abbiamo calcolato i valori a 7-20-35 m nelle due fasi.

PRIMO FOGLIO: DATI TERRENI


Ci sono quattro campioni prelevati in un sondaggio. Il primo provino è stato prelevato ad una profondità che
va da 1 m a 1,5 m, ed è caratterizzato da una distribuzione granulometrica formata dal 3% di argilla, 24% di
limo, 69% di sabbia, 4% di ghiaia. Anche il secondo campione ha una distribuzione granulometrica simile, per
cui possiamo classificare entrambi come sabbia limosa. Questa classificazione è possibile farla attraverso
l’utilizzo delle curve granulometruche, in questo caso infatti capiamo che, essendoci un 69% di sabbia, questo
terreno è una sabbia. In particolare siamo in presenza di sabbia limosa, ricordiamo infatti che, quando siamo
nella seconda frazione e quando abbiamo un valore percentuale che va al di sotto del 25 % si aggiunge il
suffisso -oso, come in questo caso, mentre sia ghiaia che argilla sono inferiori al 5 % e quindi non compaiono.
Il terzo campione presenta il 62% di limo ed il 28% di argilla, quindi è un limo con argilla (in questo caso la
percentuale di argilla è superiore al 5% quindi si mette in conto), ma c’è anche un 10 % di sabbia, dunque
possiamo considerarlo un limo con argilla debolmente sabbioso (sopra al 5% è debolmente sabbioso, sotto
il 5% non verrebbe proprio considerata). L’ultimo campione contiene l’81% di sabbia e il 15 % di ghiaia quindi
risulta essere una sabbia ghiaiosa.

I primi due campioni sono relativi ad una profondità che va da 1,5 m a 7m, dunque corrispondono entrambi al
terreno A. Il primo campione però si trova ad una profondità di 1 / 1.5 m quindi, siccome inizialmente il livello
di falda si trova a 2m, esso sarà al di sopra del livello di falda iniziale, mentre il secondo si trova ad una
profondità di 6,5 / 7 m, dunque sarà al di sotto del livello di falda iniziale. Quindi ci aspettiamo che quest’ultimo
sia saturo d’acqua ed il primo probabilmente no. Il terzo campione che sta a circa 19m di profondità è
rappresentativo del terreno B e il quarto è rappresentativo del terreno C. Quindi ricapitolando abbiamo 4
campioni che si riferiscono a tre terreni diversi A, B, C e in particolare i primi due sono distinti uno sopra falda
e uno sotto falda: A1 fuori falda, A2 dentro falda, B e C.
Come possiamo vedere il peso specifico adimensionalizzato 𝐺𝑠 in tutti questi terreni ha più o meno lo stesso
valore (2,67; 2,69; 2,71), quindi è poco variabile. La classifica granulometrica fatta in precedenza ci dice che
il primo e secondo campione sono una sabbia limosa, con una percentuale di limo abbastanza importante, ma
risulta essere comunque una sabbia, quindi lo classifichiamo come terreno a grana grossa, anche se presenta
una componente di fine non trascurabile, limosa. Il terzo campione è un limo con argilla debolmente sabbiosa,
con una percentuale tra limo e argilla del 90%, è quindi un terreno a grana fine (abbiamo classificato in
precedenza limo e argilla come terreni a grana fine e sabbia e ghiaia come terreni a grana grossa). L’ultimo,
infine, è una sabbia ghiaiosa, cioè ha una percentuale tra sabbia e ghiaia del 95%, quindi è certamente un
terreno a grana grossa.
Rispetto alla permeabilità di questi terreni ci aspettiamo che il terreno C (sabbia ghiaiosa), abbia una
permeabilità molto elevata; il terreno B, che invece è a grana fine, abbia una permeabilità piuttosto bassa ed il
terreno A abbia una permeabilità intermedia, ma certamente più prossima a quella del terreno C, piuttosto che
a quella del terreno B (che ha una percentuale di argilla del 30%, dunque molto elevata).
Quindi, sul terreno B sono stati determinati i limiti liquido e plastico di Atterberg (𝑤𝐿 e 𝑤𝑃 ) perché è un terreno
a grana fine, così anche per il terreno A, perché pure essendo complessivamente un terreno a grana più grossa,
ha una percentuale di fine su cui è possibile determinare i limiti. Nel terreno C, invece, che è una sabbia
ghiaiosa, non ha nessun senso determinarli perché non c’è indice di attività mineralogica, essendo chiaramente
un terreno a grana grossa.
Una volta determinati i limiti possiamo calcolare l’indice di plasticità 𝐼𝑝 , essendo calcolato come:
𝐼𝑝 =𝑤𝑙 − 𝑤𝑝 (si esprime in percentuale).
Possiamo notare che il 𝑤𝑝 in questi due terreni A e B, che sono diversi, è sempre lo stesso, infatti come
avevamo già anticipato, il contenuto d’acqua al limite plastico varia poco, è tutto pari al 22 %. Quello che varia
è invece il contenuto 𝑤𝑙 che raddoppia (da 0,25 a 0,50). Questa informazione ci dice che il primo terreno è un
terreno che ha una presenza di fine, ma è molto poco plastico, infatti l’indice di plasticità è prossimo a 0. Invece
il secondo terreno è più plastico ed ha un indice di plasticità del 28%.
Avendo calcolato quindi 𝐼𝑝 e 𝑤𝑙 viene compilata automaticamente questa parte del foglio:

E la carta di plasticità di Casagrande (USCS)

Come possiamo, vedere il punto verde corrisponde ai terreni a bassa plasticità (come il terreno A) il punto blu,
invece, corrisponde ad un terreno che sta al confine tra la media e alta plasticità (terreno B).
Ora possiamo calcolare l’indice di attività 𝐼𝐴 , dato dal rapporto tra indice di plasticità e frazione argillosa in
𝐼𝑃
percentuale, 𝐼𝐴 = 𝐶𝐹
.

Questo può variare tra valori di 0,75 e 1,25 e quindi nel nostro caso essendo pari a 1,00 dovrebbe essere a
cavallo tra la media e la bassa attività, quindi diciamo che sono terreni comunque poco attivi. Questi due terreni
A e B, pur essendo uno molto plastico e uno poco plastico hanno lo stesso livello di attività, il che
probabilmente è ragionevole perché è possibile che il terreno che si è depositato nel tempo proviene dalla
stessa roccia, quindi dagli stessi minerali ed è dunque probabile che abbia anche la stessa attività. Dopodiché,
laddove c’è stata una maggiore deposizione di fine, perché magari il fiume in cui si è depositato andava più
piano, allora c’è una maggiore quantità di argilla e una maggiore plasticità. Laddove invece c’è stata una
minore deposizione di fine, c’è una più bassa plasticità.
Il contenuto d’acqua w, lo otteniamo dal peso di unità di volume e dal peso di unità di volume secco, dopo che
γ
lo abbiamo messo in stufa per 24h a 105°C. In particolare 𝑤 = 𝛾 − 1.
𝐷

Ricordiamo che:
𝛾𝐷 = 𝛾𝑠 (1-n)
γ=𝛾𝐷 (1+w) = 𝛾𝑠 (1-n)(1+w).
Il contenuto d’acqua del terreno A nei due campioni è significativamente differente 21% e 26%, perché il
primo è sopra falda, quindi c’è meno acqua e il secondo è sotto falda (è prelevato a 7m, pienamente dentro la
falda), quindi è assai saturo.
Passiamo ora a calcolare l’indice di consistenza 𝐼𝐶 , che è funzione del contenuto d’acqua e dell’indice di
plasticità:

Esso varia tra 0 e 1.

Siccome sono limiti convenzionali può capitare che in qualche caso siamo al di sopra di 1 ed in qualche caso
anche al di sotto di 0 in termini di contenuto d’acqua. Quindi possiamo dire che questo limo con argilla (terreno
B), è un limo mediamente consistente perché ha un 70% di 𝐼𝐶 .
(1−𝛾𝑑 ) (1−𝛾𝑑 )
La porosità è ottenuta dalla formula 𝑛 = 𝛾𝑠
=𝐺
𝑠 ∗ 𝛾𝑤

Con: 𝛾𝑠 = 𝐺𝑠 * 𝛾𝑤
𝐺𝑠 = 𝛾𝑠 /𝛾𝑑
𝛾𝑤 =9,81
Come possiamo notare il terreno A ha la stessa porosità sia sopra che sotto falda, pari a 0,41; il terreno B è un
po’ più poroso, il terreno C è un po’ meno poroso e questo ce lo spieghiamo perché il terreno B è quello più
argilloso, quindi è probabile che sia anche più poroso (la porosità può cambiare secondo le azioni meccaniche
del terreno assorbito).
n
L’indice dei vuoti lo calcoliamo come 𝑒 = 1−𝑛 .

Esso ci fornisce un’informazione analoga a quella precedente. Vediamo che i primi due campioni (terreno A)
hanno lo stesso indice dei vuoti perché hanno la stessa porosità, il terreno B ha un indice dei vuoti maggiore
di quello A e di quello C, che è anche inferiore al terreno A, esattamente come la porosità. Quindi n ed e ci
danno la stessa informazione.
Il grado di saturazione 𝑆𝑟 indica il rapporto tra il volume di acqua e il volume dei vuoti e lo calcoliamo come
𝐺𝑠 ∗w
𝑆𝑟 = e
.

Ci aspettiamo che sotto falda il grado di saturazione sia pari a 1, essendo tutti i vuoti pieni d’acqua, e sopra
falda minore di 1, essendo una parte dei vuoti piena di acqua e una parte piena di aria. Nel primo caso è pari a
0.8, infatti siamo sopra falda, sotto invece è pari a 1. Questo è compatibile col fatto che gli ultimi tre campioni
sono stati prelevati sotto falda e che non abbiamo perso acqua durante il prelievo.

SECONDO FOGLIO: TENSIONI LITOSTATICHE


L’esercizio chiede di calcolare le tensioni totali verticali σ𝑣 , le pressioni neutre u e per differenza otteniamo le
tensioni efficaci verticali. Moltiplicando queste ultime per il k 𝑜 , che rappresenta il rapporto tra tensioni efficaci
orizzontali e le tensioni efficaci verticali, otteniamo le tensioni efficaci orizzontali. Sommando queste ultime
con la pressione neutra, otteniamo le tensioni totali orizzontali e in questo modo abbiamo caratterizzato
completamente lo stato tensionale verticale e orizzontale, totale ed efficace e le pressioni neutre. Nelle ultime
tre colonne ci chiede di calcolare l’invariante tensionale isotropo p, in tensioni totali, p’ in tensioni efficaci e
q che è, in tensioni totali ed efficaci, l’invariante deviatorico.
Quindi la prima cosa da calcolare è la tensione totale verticale. In un terreno omogeneo questa è data da σ𝑣 =
γ* z (profondità).
Andiamo quindi a trovare i valori di γ. A 0 m di profondità, γ non c’è e quindi anche tutti i valori della prima
riga quali u, σ𝑣 , ecc., saranno pari a 0 perché non c’è nessun carico che agisce sull’elemento di volume, tranne
il valore k 𝑜 che andremo a vedere dopo.
Vediamo che c’è una colonna Δz, che indica quanto terreno c’è su quel punto, se ci mettiamo a 2m di profondità
ovviamente ci sono 2m. Ci chiediamo dunque quale sia il peso del terreno, e quindi dobbiamo andare a valutare
il γ, i cui valori andiamo a prenderli dalla tabella del foglio precedente. Da questa ricaviamo per il terreno A i
valori 18,58 sopra falda e 19,40 sotto falda perché è un gamma saturo, per il terreno B abbiamo tre righe uguali
pari a 18.89 e per il terreno C ancora tre righe uguali pari a 20.22. Il terreno A ha solo eccezione al primo rigo
perché essendo sopra falda è un gamma non saturo e quindi pesa di meno.
Come abbiamo detto la tensione verticale è data da σ𝑣 = γ ∗ z.
Nei primi 2m, che pesano 18.58, avremo σ𝑣 =γ * z= 18,58*2= 37.16.
A 7m di profondità il Δ𝑧 sarà pari a 5 m di terreno a cui si sommano i 2m di prima, quindi diciamo che
l’incremento di tensione da sommare alla tensione precedente sarà Δ𝑧 * γ, dunque in questo caso la tensione
litostatica verticale sarà σ𝑣 = 37.16 + Δ𝑧 * γ = 37,16 + 5 * 19,40 = 134.16
Se osserviamo la figura, fino a 2m c’è il terreno rosso e pesa 37,16, se scendo da 2m a 7m a questa profondità
ho il peso della colonna rossa che è 37.16 a cui si somma il peso di questo Δ𝑧 per il suo γ che è 19.40. Quindi
5m *19.40 sommato a quello che c’è sopra, cioè il quadratino rosso, ci dà il valore che c’è a questa profondità
di 7m. Dunque ogni volta che calcoliamo ad una certa profondità la tensione verticale dobbiamo prendere
quella che c’è al rigo di sopra e sommare a quella l’incremento dovuto all’incremento di profondità Δ𝑧 per il
peso corrispondente γ.
Vediamo che i valori di σ𝑣 a 10m e a 30m di profondità sono uguali perché sono stati calcolati due volte ad
entrambe le profondità. Dal punto di vista del calcolo delle tensioni verticali non ha senso perché le stiamo
calcolando due volte nello stesso punto, ma per le orizzontali ha un diverso significato che vedremo
successivamente.
Passiamo al calcolo delle pressioni neutre u. La falda prima dell’emungimento si trova a 2m di profondità nel
terreno A e nel terreno C, perché ci sono i piezometri ed evidentemente l’equilibrio si troverà a 2m di profondità
anche nel terreno B, quindi, in condizioni iniziali ci aspettiamo che le pressioni neutre avranno una
distribuzione lineare con la profondità di pendenza pari a 𝛾𝑤 , che parte proprio dal punto 0, ovvero dal pelo
libero della falda. Quindi a 2m u sarà pari a 0.
A 7m invece sarà pari alla pressione neutra precedente, a cui si somma il prodotto 𝛾𝑤 * Δ𝑧 , ovvero
u=0+9.81*5=49,05. Questa formula la estendiamo a tutta la colonna e anche in questo caso ci sono dei valori
uguali perché sono calcolati alla stessa profondità.
Dopo aver calcolato le tensioni verticali totali e le pressioni neutre, le tensioni efficaci verticali si ricavano
come σ′𝑣 =σ𝑣 − 𝑢.
Per controllare eventuali errori faccio un calcolo veloce, ad esempio mettendomi a z =40m: l’acqua pesa 9.81,
quindi circa 10 che moltiplicato per 40m risulta essere pari a 400. Il numero che viene fuori è proprio prossimo
a 400 e dunque mi trovo.
I valori di k 𝑜 li prendiamo dalla tabella precedente, oppure dalla traccia dell’esercizio. Abbiamo per il terreno
A k 𝑜 = 0,50, per il terreno B k 𝑜 = 0,67, per il terreno C k 𝑜 = 0,40.
Le tensioni orizzontali efficaci sono date da σ′ℎ =k 𝑜 *σ′𝑣 . A questo punto si capisce perché sono stati calcolati
i valori due volte per il punto a 10m e due volte per il punto a 30m, perché pur essendo uguale sia la tensione
verticale, efficace e totale, sia la pressione neutra, per la tensione orizzontale, in quel punto dove c’è un
passaggio stratigrafico, si hanno valori diversi per lo strato superiore e inferiore.

Se ci spostiamo sul grafico delle tensioni orizzontali, vediamo che in corrispondenza dei passaggi di strato c’è
una discontinuità delle tensioni orizzontali, infatti la linea verde ha proprio una discontinuità in due punti: dove
c’è il passaggio di strato tra terreno A e terreno B e dove c’è il passaggio dal terreno B al terreno C.

Le tensioni totali orizzontali sono date dalla somma della linea verde e della linea blu, ottenendo la linea rossa.
In altri termini esse sono date da σℎ = 𝑢 + σ′ℎ .
Osserviamo anche il grafico delle tensioni verticali: la linea rossa rappresenta le tensioni totali, la blu le
pressioni neutre e la verde la differenza tra le due ovvero le tensioni efficaci. Fuori falda, la linea verde e rossa
coincidono perché le tensioni efficaci orizzontali e verticali coincidono.
Ora dobbiamo calcolare le invarianti p, p’ e q.
P è la somma delle tensioni principali diviso 3. Sono tensioni litostatiche, quindi siamo nel caso in cui le
tensioni orizzontali e verticali sono principali e nel piano orizzontale sono anche uguali, quindi la σ1 e la σ2
σ1 +σ2 +σ3
sono uguali tra di loro e sono uguali anche alle orizzontali. Dunque se normalmente p = 3
, in questo
σ𝑣 +2σℎ
caso p = 3
.
σ′𝑣 +2σ′ℎ
P’ si ricava allo stesso modo ma in termini efficaci, infatti p’ = 3
. Però, possiamo anche osservare che
σ′𝑣 +𝑢+2σ′ℎ +2𝑢 σ′𝑣 +2σ′ℎ
se sottraggo u a σ𝑣 𝑒 𝑎 σℎ , ottengo che p = 3
e quindi p= p = 3
+ 𝑢 siccome sappiamo che
σ′𝑣 +2σ′ℎ
3
= 𝑝′avremmo che p= p’ +u quindi p’ posso semplicemente ottenerlo come p’=p-u.

Infine la tensione principale massima q = σ𝑣 − σℎ oppure σ′𝑣 − σ′ ℎ .

TERZO FOGLIO: TENSIONI DOPO EMUNGIMENTO


In questo caso, avendo emunto acqua dallo strato C, si è abbassata la quota piezometrica, quindi il livello del
piezometro si è spostato da 2m sotto il piano di campagna a 7m sotto il piano campagna. Mentre, nel terreno
A, non c’è stata alcuna variazione, infatti la falda non si è abbassata. Questo succede perché tra questi due
strati (A e C) che abbiamo detto a grana più o meno grossa, quindi piuttosto permeabili, c’è uno strato di
terreno (B) meno permeabile, il quale fa sì che l’abbassamento della falda avvenuta nello strato C non si risenta
nello strato A. Rispetto al caso precedente stiamo solo cambiando il regime delle pressioni neutre che non è
più quello idrostatico verticale, lineare, ma cambia da strato a strato. Poiché cambiano le tensioni delle
pressioni neutre, cambieranno anche le tensioni efficaci, ma non quelle totali, in quanto non variano i pesi delle
unità di volume. Nello strato A, ad esempio, rimarranno 2m fuori falda e 8m sotto falda e quindi avremo
sempre lo stesso peso, così come negli strati B e C in cui avremo sempre un terreno sotto falda e quindi anche
qui il peso totale non cambia e di conseguenza non cambiano le tensioni totali. Cambiano però le pressioni
neutre, quindi una volta che abbiamo definito le nuove pressioni neutre, possiamo procedere a calcolare tutto
il resto. Le σ𝑣 sono le stesse, le u cambiano e tutti gli altri valori si calcolano come quelli del foglio precedente.
Andiamo a spiegare perché le pressioni neutre u sono cambiate. Quando siamo nella situazione prima
dell’emungimento, il diagramma delle u è sempre lo stesso, ma possiamo fare anche il diagramma delle quote
piezometriche h, ricordando che h = ζ + (u / 𝛾𝑤 ) dove ζ è il riferimento che si prende con un asse orientato dal
basso verso l’alto in corrispondenza del piano orizzontale, che in questo caso è il limite dello strato roccioso.
Quindi, essendo un piano di riferimento arbitrario posso sceglierlo dove voglio (sotto o sopra).

La conseguenza di questa scelta è che in condizioni idrostatiche se per esempio ci troviamo nel punto (1) a
2m, in cui u = 0 e ζ = 38, avremo che h =38. Se ci mettiamo nel punto (2), a 30m, avremo u= 274.68 e ζ = 10m
quindi h=10 + (274,68/9,81) = 10+28= 38m.
D’altra parte significa che se io metto un piezometro in questo punto, l’acqua del piezometro risale di 28m.
Come possiamo vedere, qualunque punto si prende sarà sempre h = 38m perché siamo in condizioni
idrostatiche e la quota piezometrica è costante.
Per definizione h deve essere costante e il valore dipende dalla scelta di ζ. Avendo scelto ζ a 40m, possiamo
scrivere una colonna in cui h = 38 dappertutto e potremmo fare una colonna in cui inseriamo ζ che invece è
variabile con zeta, quindi a 2m sarà ζ= 40-2=38, Δz =38-38=0 e ci esce una pressione neutra pari a 0. A 7m
sarà ζ = 40 -7=33, Δz =33-38=5m, u = 5* 9.81= 49,05 quindi diciamo che noi l’abbiamo calcolata come 𝑧𝑤 *
𝛾𝑤 . In realtà potevamo anche applicare la definizione h= ζ + u /𝛾𝑤 e u= h- ζ *𝛾𝑤 formula di validità generale,
che h sia costante o meno. Quando h è costante, h- ζ = 𝑧𝑤 che è l’asse che parte dal punto del pelo libero della
falda a scende verso il basso e quindi viene 𝛾𝑤 * 𝑧𝑤 che è la formula che abbiamo applicato.
Quindi io posso diagrammare inizialmente h in funzione di z e questo h è pari a 38 dappertutto. Quando emungo
l’acqua da sotto, h scende.
Mettiamoci ad esempio nel punto (3) in presenza del piezometro, in cui la ζ è sempre la stessa. Si è abbassato
u/𝛾𝑤 quindi anche h si è abbassata della stessa quantità, ovvero di quanto si è abbassata l’acqua nel piezometro.
Siccome l’acqua del piezometro si è abbassata da 2m a 7m, nello strato C il piezometro è sceso di 5m quindi
c’è stato un Δu/ 𝛾𝑤 di 5m. Quindi, nello strato A la quota piezometrica è pari a 38m, nello strato C la quota
piezometrica è pari a 33m. Nello strato B non abbiamo ancora visto cosa succede, ma in ogni caso c’è una
differenza della quota piezometrica tra sopra e sotto, quindi sappiamo che quando c’è una differenza di quota
piezometrica c’è un moto di filtrazione che va dalla quota piezometrica più alta a quella più bassa. D’altra
parte se io sto prendendo l’acqua da sotto, essa si richiama l’acqua da sopra (possiamo fare anche l’ipotesi che
la parte superiore sia alimentata quindi il livello è costante e non se ne accorge proprio). Se c’è un moto di
filtrazione e prendiamo una verticale qualunque (linee verdi figura), il moto di filtrazione va dall’alto al basso
in qualunque verticale poiché sto emungendo con una quantità di pozzi che posso ritenere estesa in orizzontale.
Questo sarà un tubo di flusso.
Prendiamo per esempio la sezione di passaggio da A a B (vedi figura precedente). L’acqua che passa è una
portata 𝑞𝐴 che deve essere uguale alla portata 𝑞𝐵 , cioè l’acqua a che entra nella sezione è uguale a quella che
esce. Quindi essendo un tubo ed essendo a sezione costante posso anche scrivere che la velocità di
filtrazione 𝑣𝐴 è uguale alla velocità di filtrazione 𝑣𝐵 .
Ricordiamo ora la legge di Darcy (è un moto monodimensionale quindi posso utilizzare la formula empirica,
la prima in termini di delta e non necessariamente quella generalizzata) secondo la quale:
Δℎ𝐴 Δℎ𝐵
𝑘𝐴 * 𝐿𝐴
= 𝑘𝐵 * 𝐿𝐵

Dove: 𝑘𝐴 e 𝑘𝐵 sono coefficienti di permeabilità, Δℎ𝐴 e Δℎ𝐵 sono le perdite di carico che avvengono negli
strati A e B, 𝐿𝐴 e 𝐿𝐵 sono le lunghezze degli strati A e B interessati da questa perdita di carico.
Da cui
𝑘 𝐿𝐴
Δℎ𝐴 = Δℎ𝐵 * 𝐵*
𝑘 𝐴 𝐿𝐵

Inoltre sappiamo che


𝐿𝐴 = 8m
𝐿𝐵 = 20 m
𝐿 8
quindi 𝐿𝐴 = 20 = 0.4
𝐵

𝑘𝐵
Per quanto riguarda il rapporto 𝑘𝐴
, sappiamo che A è una sabbia limosa, B è un limo con argilla, quindi
𝑘 10−10
possiamo assumere 𝑘𝐴 = 10−6m/s e 𝑘𝐵 = 10−10m/s , dunque 𝑘𝐵 = 10−6
= 10−4
𝐴
Δℎ𝐴
Quindi anche il rapporto è pari a circa 10−4 il che significa che la perdita di carico che ho in A è un
Δℎ𝐵

decimillesimo della perdita di carico che ho in B ciò vuol dire che in A non perdo carico. Questo è compatibile
col fatto che il piezometro è rimasto come se h fosse costante in A, non si è proprio mosso ed ha perso tutto in
B.
Δℎ𝐴
Se faccio un ragionamento tra B e C succede che essendo C una sabbia più grossa, il rapporto Δℎ𝐵
risulta

essere circa a 10−5o 10−6 quindi 10−5o 10−6 volte la perdita di carico rispetto a quella in B. Ciò vuol dire
che anche in C non c’è perdita di carico. Allora la perdita di carico di 5m Δh tot, coincide con Δℎ𝐵 , cioè nello
strato B ho tutta la perdita di carico da 38m a 33 m . Il carico h si perde tutto in B perché sia in A che in C, per
effetto della differente permeabilità, non ho avuto perdite di carico, h è rimasto costante in entrambe le parti.

Ci potremmo chiedere perché disegniamo il segmento rosso in figura. Ricordiamo qual è l’equazione che regge
il moto. In termini generali il laplaciano di h è pari a 0. Questa è l’equazione della legge di filtrazione, è un
moto monodimensionale, il laplaciano è soltanto lungo z quindi lo posso scrivere come derivata seconda di h
𝜕ℎ
rispetto a z al quadrato pari a 0, 𝜕𝑧 2
= 0, ha una sola componente lungo zeta. Derivata seconda pari a 0 vuol

dire derivata prima costante, cioè vuol dire che h ha il grado di una costante, quindi la tensione h per ipotesi di
moto monodimensionale è una funzione lineare, per cui devo semplicemente congiungere le due condizioni al
contorno con un tratto di retta perché la tensione varia linearmente.
Tornando in tabella, partiamo direttamente da 2m perché a 0m non c’è falda, e ipotizziamo h = 38m. Abbiamo
detto h = ζ + u/𝛾𝑤 , ζ a 2m è pari a 38 e quindi h =38. Sappiamo che h = 38 fino a 10m, poi mi sposto nel
terreno C dove so che c’è stata una perdita di carico di 5m quindi h = 33m (i valori di h cambiano in base a ζ,
infatti se lo prendevamo a 50 anziché 40 cambiavano, ma comunque la differenza sarebbe stata sempre la
stessa). Mettiamo dunque valori pari a 38m e 33m per tutti, tranne per la tabella del terreno B a 20m, in cui,
siccome abbiamo detto che cambia linearmente possiamo prendere il valore medio pari a 35.50.
Siccome h è cambiato dal valore iniziale a quello finale, 0 nel terreno A, linearmente nel terreno B e 5 costante
nel terreno C, anche le pressioni neutre sono cambiate allo stesso modo.

Quindi il nuovo diagramma delle pressioni neutre (in rosso a sinistra) che inizialmente era lineare e costante
fino a sotto, adesso sarà sceso di 49,05 kPa nello strato C e poi collego i punti avendo anche una distribuzione
lineare nello strato B.
Il Δh è uguale al valore h di prima, ovvero 38 che è costante dappertutto, meno il valore di h attuale: 38-h.
Le Δu sono date da Δh*𝛾𝑤 .
I valori di 𝛾 e σ𝑣 restano gli stessi dunque vado a copiarli dal foglio precedente.
Le pressioni neutre sono date dalla u delle tensioni litostatiche (foglio precedente) meno Δu.
Da questo punto in poi tutte le formule, così come i valori di 𝑘0 , sono uguali a quelle del foglio precedente
σ𝑣 +2σℎ
(σ′𝑣 =σ𝑣 − 𝑢, σ′ℎ =k 𝑜 *σ′𝑣 , σℎ = 𝑢 + σ′ℎ , p = 3
, p’=p-u , q = σ𝑣 − σℎ ).
Dai grafici vediamo che le tensioni verticali totali non sono cambiate, le pressioni neutre u sono cambiate
rispetto a prima infatti hanno una pendenza diversa dalle altre due, le tensioni orizzontali totali non sono
cambiate.

In quest’ultimo grafico le linee tratteggiate rappresentano le condizioni iniziali e le linee continue quelle finali.
Vediamo che le linee rosse coincidono perché sono le tensioni verticali totali, le blu sono le pressioni neutre
perché sono prima tratteggiate con pendenza costante e dopo sono sovrapposte.
Le linee verdi continue sono le attuali tensioni efficaci, che sono la differenza tra la rossa e la blu. Possiamo
osservare che le tensioni efficaci da tratteggiate sono diventate continue aumentando sia in B che in C, così
come sono diminuite le pressioni neutre, che da tratteggiate sono diventate continue e quindi c’è stata una
diminuzione. Quindi, sono aumentate le tensioni efficaci verticali per effetto dell’emungimento di acqua, della
variazione delle pressioni neutre.
Dopo l’emungimento il peso sullo strato C non è diminuito perché non è stata tolta acqua ma è stata emunta,
dunque dal punto di vista del peso l’acqua contenuta è sempre la stessa. Cioè, nella parte superiore, il livello
di acqua è costante perché evidentemente c’è un continuo afflusso di acqua che emungiamo da sotto, però i
vuoti sono sempre nell’acqua perché scorre proprio in essi, quindi non la stiamo svuotando ma stiamo creando
un flusso verticale dall’alto verso il basso.
Passiamo alla tabella in basso. Per effetto della variazione della tensione efficace, si avrà una deformazione
verticale e quindi un cedimento. Questa deformazione verticale è data dalla variazione di tensione efficace
diviso il modulo edometrico, che l’esercizio ci dice essere pari nel terreno B a 2 MPa = 2000 kPa e nel terreno
A e C 50 MPa= 50000 kPa. Osserviamo che gli strati C ed A, che sono sabbie, hanno un modulo che è 25 volte
più grande delle argille, quindi sabbia e ghiaia hanno modulo generalmente più grande e quindi sono più rigide,
meno deformabili e meno compressibili delle argille. Nella tabella non c’è il banco A perché non compare in
quanto non è interessato da variazioni di tensioni efficaci, quindi qualunque sia il suo modulo, non essendoci
queste variazioni, poiché le pressioni neutre restano così come stanno, non c’è deformazione.

Nell’integrale per il calcolo di w, c’è la deformazione verticale definita come variazione di tensione diviso il
modulo edometrico. La possiamo scrivere così perché avendo ipotizzato che il flusso è monodimensionale,
diretto dall’alto verso il basso e poiché in ogni verticale succede la tessa cosa, le condizioni di deformazione
sono monodimensionali, che significa condizioni edometriche, cioè c’è soltanto deformazione verticale e non
ci sono deformazioni orizzontali.
In queste condizioni sappiamo che la deformazione verticale è data dalla variazione di tensione verticale
efficace diviso modulo edometrico che è noto. Per cui basterà calcolarsi una deformazione media nel terreno
C e una deformazione media nel terreno B.

Questi integrali rappresentano il contributo al cedimento dello strato B e C. Facendo i conti risulta che Δh per
entrambi è pari a 5m, h tot è dato dai 20m di spessore dello strato B e i 10 m di spessore dello strato C.
Il cedimento w sarà dato da queste formule:

Nel calcolo del cedimento dello strato C, il 2 al denominatore non c’è perché il diagramma è costante, il Δh è
costante.
Vediamo che i valori di w sono 24 cm in B e meno di 1 cm in C, perché lo strato C pur avendo la differenza
di tensioni efficaci maggiore, in realtà è molto poco compressibile perché ha un modulo di compressibilità
edometrica alto. Alla fine questo emungimento ha prodotto 25.5 cm di abbassamento del piano campagna.

QUARTO FOGLIO: STRESS PATH (DATI+GRAFICI)


Sull’ultimo foglio sarà tutto già calcolato. I valori corrispondono alle profondità di 7m, 20m e 35 m e sono
tutti indicati nelle tabelle, sia per la falda inizialmente calcolata che dopo l’emungimento e fornisce i valori di
p, p’ e q. Quindi possiamo capire cosa è successo in termini di tensioni in un piano q, p e p’.

I simboli in blu corrispondono alle tensioni totali e i rossi alle tensioni efficaci. Vediamo che a 7m di profondità
la variazione è nulla perché siamo nello strato A, infatti pallini e triangoli, sia rossi che blu, sono sovrapposti.
A 20m invece c’è stata una variazione, questa variazione ha comportato in tutti i casi un aumento di deviatore:
siamo passati dal pallino che sta sotto, al triangolo che sta sopra, quindi il deviatore q è aumentato, la tensione
totale media p è diminuita e la tensione efficace media p’ è aumentata. Lo stesso è avvenuto anche nel punto
a 35m di profondità, in cui c’è stato un aumento di deviatore: dal pallino iniziale, al triangolo dopo
emungimento, quindi c’è stata una diminuzione della tensione media totale e un aumento della tensione
efficace media. L’aumento del deviatore q è avvenuto perché abbiamo abbassato la proporzione di pressione
neutra nello stato tensionale, quindi avendo ridotto le pressioni neutre, che sono isotrope, abbiamo aumentato
il livello deviatorico complessivo nel sottosuolo, quindi c’è stato tale aumento perché abbiamo abbassato le
pressioni neutre. P è stato ridotto per lo stesso motivo, ovvero, avendo complessivamente abbassato le pressioni
neutre, abbiamo ridotto lo stato isotropo totale perché abbiamo ridotto una componente isotropa totale delle u.
p’, infine, lo abbiamo aumentato perché sono aumentate le σ′𝑣 e di conseguenza anche le σ′ℎ in funzione di
𝑘𝑜 e quindi p’ per effetto della riduzione delle pressioni neutre è aumentato. Quindi le tensioni totali sono
diminuite perché abbiamo ridotto le pressioni neutre che sono una componente delle tensioni totali, ma le
tensioni efficaci sono aumentate (in particolare è aumentato l’invariante sferico), perché complessivamente
sono aumentate sia le σ𝑣 verticali, sia le σ′ℎ , che per effetto della riduzione delle pressioni neutre. Tutto questo
ha portato ad un aumento di p’ che ha comportato il cedimento del piano campagna calcolato precedentemente.
LEZIONE N.6 del 23/10/2017

CONDIZIONI DI DRENAGGIO NEI TERRENI SATURI/ CONSOLIDAZIONE

La volta scorsa abbiamo anticipato la questione delle condizioni di drenaggio nei terreni saturi, e abbiamo
iniziato a descrivere che se applichiamo un carico ad un terreno saturo, le linee rosse in Fig.1, che
rappresentano le tensioni totali partono da un valore iniziale e, successivamente all’applicazione del carico,
subiscono un salto delle tensioni totali per poi mantenersi, a carico costante, costanti fino ad infinito.

Figura 1

Vediamo ora cosa succede alle pressioni neutre una volta applicato il carico. Immaginiamo di inserire nel
terreno un piezometro, ovvero un tubo che misura le pressioni neutre come da Fig.2 , vediamo che localmente
il livello di acqua risale al di sopra di quello che è il livello iniziale del piano di campagna, quindi c’è una
risalita piezometrica ovvero un Δu/γw (segmento blu) e allo stesso tempo osserviamo che, in base alle
condizioni geometriche che stiamo considerando di carico applicato, c’è una variazione geometrica del piano
di campagna (la linea tratteggiata in Fig.2 corrisponde alla configurazione deformata del piano campagna che
provoca un cedimento w0). Fino a questo punto abbiamo ragionato all’istante t=0 cioè all’istante di
applicazione del carico. Possiamo quindi dire che se c’è un cedimento, c’è una deformazione e se c’è una
deformazione ci deve essere una variazione di tensioni efficaci, cioè che la Δu non è pari all’intero incremento
delle tensioni totali in quanto quest’ultimo si ripartisce tra l’incremento di pressione neutra e un incremento di
tensioni efficaci; Tuttavia questo incremento di pressione neutra non è in equilibrio con le condizioni al
contorno, in quanto si genera a causa del fatto che l’acqua, contenuta nei pori del terreno saturo, non ha
sufficiente tempo per fuoriuscire dal terreno all’atto di applicazione del carico; Ecco perché questo processo è
tipicamente riferito a terreni a grana fine, laddove la permeabilità è bassa in relazione a processi di applicazione
del carico di tipo quasi statico come quelli che siamo abituati a pensare in geotecnica.

Figura 2

Nel caso di processo di sisma, dove il carico dinamico del terremoto è molto rapido, anche le sabbie, ovvero i
terreni a grana più grossa e le ghiaie, possono avere un effetto di sovrappressione neutra all’istante t = 0. In
ogni caso, succede che la pressione neutra conosce le condizioni al contorno e quindi tende a riequilibrarsi,
ovvero a riportarsi in una condizione stazionaria e in equilibrio con le condizioni al contorno, dando luogo al
cosiddetto processo di consolidazione, dove le Δu inizialmente insorte si dissipano nel tempo (come si può
vedere dalla linea blu della Fig. 1 che decresce tendendo all’infinito al valore iniziale che è la condizione al
contorno del problema). Con ciò voglio dire che lontano dal nostro dominio, l’applicazione di questo carico
non ha comportato nessuna alterazione, per cui le pressioni neutre lateralmente ed inferiormente sono quelle
che c’erano prima, quindi le sovrappressioni che si sono generate lungo la linea tratteggiata in Fig. 2 tendono
a ristabilire un equilibrio con le condizioni al contorno. Contemporaneamente, quindi, il segmento di differenza
tra la curva blu e la curva rossa di Fig. 1 ,che sappiamo essere le tensioni efficaci (tratto verdi), aumentano. Se
le tensioni efficaci aumentano, aumentano le deformazioni e quindi il cedimento, per cui il cedimento del piano
di campagna passa dal valore iniziale w0 ad un valore che cresce nel tempo in funzione della fase di
consolidazione (wc); La fase finale che avviene a t=∞ è la condizione in cui le Δu sono ritornate a 0, quindi le
u sono in equilibrio con le condizioni al contorno, l’incremento di tensioni efficaci è pari all’incremento di
tensioni totali che abbiamo applicato all’istante t=0, di conseguenza il cedimento finale è rappresentato da w∞,
come se avessimo applicato l’incremento di tensione totale in condizioni drenate.

Ora, se ragioniamo in termini di tensioni efficaci, possiamo definire le equazioni di equilibrio nelle tre direzioni
x, y, z per un terreno saturo (da notare che rispetto a quanto visto nelle lezioni precedenti è cambiato solo γ
che in questo caso è un γsat in quanto siamo in presenza di un terreno saturo).

Le equazioni di cui sopra, le possiamo riscrivere in funzione delle tensioni efficaci, separando le σ’ dalle u. E
ricordandoci di quella che è la definizione di tensioni efficaci, ovvero:
Per cui, avremmo:

σx=σ’x + u

𝜕σ′ x 𝜕u
da cui ∂σx = 𝜕x
+ 𝜕x e via dicendo le altre; le τ non variano in quanto le τ totali ed efficaci sono le stesse non
essendo interessate da regimi di pressioni neutre. Possiamo quindi notare che sono cambiati soltanto i termini
σ da 𝜎 → 𝜎 ′ + 𝑢

Queste sono quindi le equazioni in termini di tensioni efficaci e pressioni interstiziali. Sono esattamente la
stessa cosa, solo che abbiamo esplicitato le tensioni efficaci che sono le tensioni che ci interessano.

Abbiamo definito la pressione neutra come:

𝑢 = 𝛾𝑤 (ℎ + 𝑧)

N.B. Nelle scorse lezioni lo abbiamo visto come u = γw (h − ζ) ma va considerato che ζ (zita) e z sono due
assi che hanno segno opposto ma uguale direzione per cui è la stessa cosa.

A questo punto sostituiamo nelle equazioni precedenti il termine ∂u, partendo dall’ultima, ma le altre sono
tutte molto simili:

𝜕𝜏𝑥𝑧 𝜕𝜏𝑦𝑧 𝜕𝜎 ′ 𝑧 𝜕𝛾𝑤 (ℎ + 𝑧)


+ + + − 𝛾𝑠𝑎𝑡 = 0
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑧

𝜕𝜏𝑥𝑧 𝜕𝜏𝑦𝑧 𝜕𝜎 ′ 𝑧 𝛾𝑤 𝜕ℎ 𝛾𝑤 𝜕𝑧
+ + + + − 𝛾𝑠𝑎𝑡 = 0
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑧 𝜕𝑧

𝜕𝜏𝑥𝑧 𝜕𝜏𝑦𝑧 𝜕𝜎 ′ 𝑧 𝛾𝑤 𝜕ℎ
+ + + + 𝛾𝑤 − 𝛾𝑠𝑎𝑡 = 0
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑧

ricordando che:

γ′ = γsat − γw

otteniamo:

𝜕𝜏𝑥𝑧 𝜕𝜏𝑦𝑧 𝜕𝜎 ′ 𝑧 𝛾𝑤 𝜕ℎ
+ + + − 𝛾′ = 0
𝜕𝑥 𝜕𝑦 𝜕𝑧 𝜕𝑧

in questo modo abbiamo ottenuto la terza equazione dove compare γ’. Nelle altre due equazioni non vi è
𝛾𝑤 𝜕ℎ
l’effetto di γsat per cui resta soltanto . Otteniamo quindi:
𝜕𝑧
𝛾𝑤 𝜕ℎ
Le forze che sono scritte come derivata della quota piezometrica rispetto a zeta ( 𝜕𝑥𝑖
) rappresentano le
cosiddette forze di trascinamento o forze di filtrazione che dipendono dai gradienti della quota piezometrica,
quindi se la quota piezometrica è costante, come nel caso di falde in quiete, allora questi gradienti sono nulli;
In questo caso tutti i termini delle equazioni sarebbero nulli eccetto γ’ nell’ultima equazione, quindi siamo
nelle condizione di equilibrio delle tensioni efficaci in condizioni idrostatiche, cioè con falde in quiete. Se
invece, questi gradienti non sono nulli e quindi c’è un moto di filtrazione, queste forze non sono nulle ma
facciamo l’ipotesi che abbiamo risolto il moto di filtrazione a priori e che quindi siano termini noti. Questo è
reso possibile dal fatto che stiamo ragionando in termini di condizioni drenate in quanto, in questo caso, il
fluido interstiziale, che è o in quiete o in moto permanente, a causa dell’assenza di sovrappressioni neutre (le
pressioni neutre sono ovunque in equilibrio con le condizioni al contorno) si trova in un regime di moto
permanente se non di quiete; Possiamo, quindi, risolvere il problema di filtrazione che è un problema in
condizione di regime permanente, ottenere le quote piezometriche h dalla soluzione del moto di filtrazione con
l’integrazione di quell’equazione lagrangiana (?) (che abbiamo visto che è quell’operatore di derivate seconde
a quota pari a zero con le condizioni al contorno). Indipendentemente dalle tensioni totali risolviamo il
problema idraulico separatamente da quello meccanico, dopo di che avendo noti questi termini possiamo
esprimere le equazioni in termini di tensioni efficaci e risolvere tutti i problemi meccanici con un equilibrio
che è scritto in termini di tensioni efficaci.

Quanto detto, riguarda le condizioni drenate cioè quelle che si verificano a t=ꝏ, ma possono essere considerate
valide anche per quelle che si verificano inizialmente, laddove non si ha un accoppiamento a causa della
mancata insorgenza delle sovrappressioni neutre, dovute al fatto che le velocità di applicazione dei carichi
sono sufficientemente piccole rispetto alle permeabilità elevate di quei terreni (es. sabbie, ghiaie in condizione
di carico quasi statici, appunto i terreni a grana grossa)

Le condizioni drenate, fino ad ora esposte, sono in un certo qual modo semplici, perché in effetti l’equilibrio
lo possiamo scrivere in termini di tensioni efficaci una volta risolto il moto di filtrazione, concentriamoci ora
sulle condizioni più complicate, ovvero sulle condizioni NON DRENATE.

Immaginiamo che venga applicato un carico sul piano di campagna, e di avere quindi quell’incremento di
tensioni totali, diagrammato in Figura 3 (in rosso), che otteniamo dalla teoria dell’elasticità di cui abbiamo
visto alcune soluzioni tutte date da Boussinesq, che esprimono l’incremento di tensione verticale, ma anche
orizzontale, totale in funzione della profondità per effetto di un’area di carico legata al piano campagna o al
piano di posa della fondazione.

Figura3

Ora questi incrementi di tensioni totali produrrebbero un cedimento, ma a differenza di quanto visto
inizialmente dove c’era un cedimento iniziale, siccome siamo in presenza di un terreno saturo in condizioni
non drenate, allora non vi può essere variazione di acqua nei pori; Siamo in condizioni non drenate quindi le
deformazioni volumetriche, all’istante t=0 sono nulle in quanto non si dà il tempo all’acqua di uscire dai pori,
quindi 𝜀𝑣 = 0 allora il cedimento iniziale è paria a zero.

Immaginiamo tre elementi di terreno che si trovano al di sotto dell’unità di carico:

-Uno in asse;

-Uno sul bordo;

-Uno al di fuori dell’area di impronta della fondazione.

Figura 4

Vediamo quindi che l’incremento di pressioni neutre, conseguenti a questo incremento di tensioni totali, avrà
una certa distribuzione, calcolabile, ma che consideriamo pari alla distribuzione di pressioni neutre
rappresentata in Fig. 3. Stiamo riproponendo lo schema in Fig. 1, dove all’atto dell’applicazione del carico c’è
una variazione di pressione neutra, in questo caso, la variazione di pressione neutra è proprio uguale
all’incremento di tensione verticale totale. La differenza è ancora una volta un incremento di tensioni efficaci,
adesso stiamo guardando il processo in profondità e non nel tempo come fatto fino ad ora; Succede che per
effetto del carico, si ha una deformata del piano di campagna, che corrisponde ad alcune variazioni di forma
degli elementi considerati, infatti come vediamo in figura 4 , gli elementi tratteggiati corrispondono alla nuova
conformazione degli elementi rossi originali che avranno una forma differente ma l’area sia del quadrato rosso
che della corrispondente figura tratteggiata sarà stessa, il che vuol dire che non vi sarà variazione di volume.
Ecco così spiegato il motivo per cui ci può essere una variazione della configurazione del piano campagna,
prima delle distribuzioni dei cedimenti, pur non potendoci essere una variazione di contenuto d’acqua
all’interno dei pori il che significa che non ci sono deformazioni volumetriche, 𝜀𝑣 = 0 , ma ci sono
deformazioni distorsionali delle forme di questi elementi. Assumendo positivi verso l’alto e negativi verso il
basso, o viceversa, gli spostamenti, se andiamo ad integrare l’area sottesa dalla curva nera (deformata del piano
di campagna), Fig.4, quest’area è nulla perché non deve essere cambiato il volume rispetto al volume
preesistente, di fatto il volume della figura deformata complessiva è pari al volume della figura allo stato in
deformato. Quindi, per effetto delle deformazioni distorsionali in condizioni di terreno saturo, possiamo avere
un cedimento all’istante iniziale anche in assenza di variazione volumetrica del contenuto d’acqua.

Abbiamo visto quindi la necessità di avere un terreno incompressibile ovvero senza variazione di volume che
si possa però deformare e quindi possa avere una variazione di deformazioni distorsionali. Una possibilità di
modellare il problema è quella di fare riferimento ad un comportamento di un mezzo, che risponde alle
variazioni di tensioni totali come un mezzo elastico; Allora parliamo di mezzo monofase equivalente o elastico
ovvero un mezzo in cui, se ricordiamo le dimensioni di quando abbiamo parlato del mezzo elastico, i parametri
da cui dipende sono due a scelta tra quattro e sono: 𝜈, 𝐸, 𝑘, 𝐺 nel senso che due sono indipendenti e gli altri
sono dipendenti della scelta fatta.

Assumere un mezzo elastico incompressibile vuol dire imporre che il coefficiente di Poisson è pari a 0,5 (𝜈 =
0.5). Questo lo vediamo considerando la definizione di rigidezza volumetrica K, che per definizione del mezzo
elastico è pari:

e quando 𝜈 = 0.5 → 𝐾 = ∞ questo vuol dire che qualunque sia la variazione di tensione, il mezzo non ha
nessuna variazione di deformazione volumetrica. Al valore 𝜈𝑢 = 0.5 ci mettiamo un pedice u, così come lo
inseriamo nel modulo di Young non drenato (𝐸𝑢 ) per ricordarci che siamo nelle condizioni non drenate in
quanto u sta per “undrained”. Quindi Eu e 𝜈𝑢 = 0.5 sono i due parametri che ci consentono di definire un
mezzo elastico monofase equivalente; Equivalente perché abbiamo detto che il comportamento meccanico
dipende dalle tensioni efficaci mentre questo mezzo monofase equivalente, non essendoci apici da nessuna
parte, è regolato dalle tensioni totali, quindi non è il terreno bifase ma si comporta allo stesso modo. Quindi
premesso che siamo in grado di caratterizzarlo e quindi di conoscere il valore del modulo E u questo mezzo si
comporta come si comporterebbe il terreno bifase, quindi in termini di deformazioni globali, se dobbiamo
calcolare il cedimento del piano di campagna lo sappiamo fare. Siccome è monofase, non abbiamo nessuna
informazioni su quanto succede alle pressioni neutre all’atto di applicazioni del carico, di come si incrementano
o si dissipano nel tempo, perché non sappiamo cosa c’è dentro ma sappiamo che si comporta allo stesso modo.

[equivalente = non dovremmo studiare cosa avviene in un terreno saturo bifase e quindi dovremmo in teoria
ragionare in termini di tensioni efficaci, tuttavia preferiamo utilizzare un mezzo monofase che è regolato dalle
sole tensioni totali. Lo definiamo equivalente in quanto si comporta allo stesso modo del mezzo bifase. Se noi
assegniamo un incremento di tensione totale, avendo caratterizzato il mezzo equivalente, le deformazioni che
calcoliamo sono le stesse che avremmo nel caso in cui, avendo assegnato lo stesso incremento di tensioni totali,
fossi in grado di distinguere come questo si ripartisse tra pressioni neutre ed efficaci e quindi andassimo a
calcolare le deformazioni indotte dalle sole tensioni efficaci (mezzo bifase). È una scorciatoia che ci serve
nelle condizioni non drenate dove possiamo adoperare un approccio in tensioni totali o in tensioni efficaci.]

Quindi assegnando un incremento di tensioni totali, se adoperiamo un approccio di tensioni totali saliamo nella
seconda colonna in verticale:
- non conosciamo gli incrementi di tensioni interstiziali;
- non conosciamo gli incrementi di tensioni efficaci;
- dobbiamo caratterizzare il terreno monofase equivalente con un modulo di Young Eu e con il coefficiente di
Poisson 𝜈𝑢 = 0.5 (perché deve essere incompressibile per cui questo approccio vale SOLO nell’ipotesi di
terreno incompressibile e possiamo calcolare le deformazioni come funzione gli incrementi di tensioni totali,
del modulo di Young non drenato e del coefficiente di Poisson non drenato).

La terza colonna invece è relativa ad un approccio di tensioni efficaci per cui applichiamo le tensioni totali:
-conosciamo la funzione con cui le sovrappressioni neutre sono funzioni dell’incremento di tensione totale,
allora siamo in grado di calcolarci l’incremento delle tensioni efficaci
- conosciamo come si ripartisce lo stato tensionale, note le tensioni efficaci sappiamo che la deformazione è
funzione delle caratteristiche meccaniche dello scheletro solido ovvero E’, ν’ (N.B. ricordiamoci di inserire gli
apici per i parametri riferiti alle tensioni efficaci)
- di conseguenza la deformazione che calcoliamo è funzione di ∆𝜎 ′ , 𝐸 ′ 𝑒 𝜈 ′

In linea di principio i risultati che dovremmo avere dai due approcci dovrebbero essere uguali, l’unico
problema è che per fare questo ragionamento noi stiamo ipotizzando che il modulo di taglio 𝐺𝑢 (sto usando la
teoria elastica per cui G=𝐺𝑢 ) è pari:

𝐸𝑢 𝐸𝑢 𝐸𝑢
𝐺𝑢 = = =
2(1 + 𝜈) 2(1 + 0.5) 3

𝐺𝑢 ≡ 𝐺′ perché G regola il rapporto tra τ e γ. Le τ non dipendono dalle pressioni neutre per cui sono coincidenti
per le tensioni efficaci e totali per cui τ/ γ o τ’/ γ sono la stessa cosa per cui 𝐺𝑢 = 𝐺′ che a sua volta è pari a:

𝐸′
𝐺𝑢 = 𝐺 ′ =
2(1 + 𝜈′)

allora se ragioniamo secondo la teoria elastica possiamo utilizzare questa relazione:

(1)
Quindi in effetti i parametri di durezza delle tensioni totali e quelle efficaci sono tra loro legati e si possono
scrivere mediante la relazione (1). Nella realtà non è così in quanto il terreno non è un mezzo elastico per cui
noi dovremmo fare delle prove di laboratorio:

- Drenate, se vogliamo ottenere informazioni sui parametri drenati;


- Non drenate, se vogliamo ottenere informazioni sui parametri non drenati.

Quindi l’approccio in tensioni totali ci costringe a fare delle prove specifiche non drenate; l’approccio in
tensioni efficaci ci consente di fare prove specifiche in condizioni drenate o comunque prove in cui conosciamo
l’evoluzione dei percorsi in tensioni efficaci. Se abbiamo 2 provini uguali dello stesso terreno, testati una volta
in tensioni efficaci e una volta in tensioni totali, ottenendo una serie di parametri meccanici che sono tra loro
congruenti, i risultati sono gli stessi. Se il mezzo fosse elastico non ci sarebbe bisogno di fare tutte queste prove
in quanto, essendo legate tra loro, basterebbe farne una, tuttavia siccome il mezzo non è elastico devo fare
prove diverse in laboratorio per caratterizzarlo. Quindi abbiamo prove in laboratorio che sono finalizzate a
caratterizzare il mezzo monofase equivalente e che ci restituiscono i parametri (che di solito indichiamo
aggiungendo una u come indice o qualche volta anche aggiungendo uno 0 in quanto si riferiscono all’istante
t=0) e un altro insieme di prove che ci restituiscono i parametri del terreno in tensioni efficaci. I veri parametri
meccanici del terreno bifasico sono quelli in tensioni efficaci , quelli totali invece sono dei parametri fittizi che
si riferiscono al mezzo bifase equivalente; E’ quindi una semplificazione che ci fa comodo quando non
sappiamo, non vogliamo o non possiamo impelagarci nel calcolo delle sovrappressioni neutre che insorgono e
quindi preferiamo adottare questo modello semplificativo che complessivamente ci restituisce il risultato,
anche se non risolve tutti i problemi di geotecnica.

In relazione all’approccio efficace, ci soffermiamo ora sulle due funzioni relative agli incrementi
rispettivamente delle tensioni totali ed interstiziali:

- f(P, νu )→ ci dà le ∆𝜎 in funzione di P e νu ; questa f in realtà è implicita nelle formule derivate della


teoria di Boussinesq, che per le diverse forme ed unità di carico abbiamo visto ci restituiscono degli
abachi che utilizziamo per ottenere dal carico applicato P, il valore di incremento di tensioni ∆𝜎 ,che
ci ricordiamo dipenderà più da coefficiente di Poisson perché per il mezzo omogeneo le tensioni
verticali sono dipendenti dai parametri di rigidezza del mezzo elastico mentre quelle orizzontali
dipendono dal coefficiente di Poisson (ecco perché troviamo P=carichi applicati e ν)
- ∆𝑢 = 𝑓(∆𝜎) rappresenta l’incremento di pressione neutra che noi inizialmente abbiamo ottenuto
applicando una certa variazione di tensioni totali e viene data dalla formula di Skempton che definì i
cosiddetti parametri di pressione interstiziali A e B; Questa definizione è stata espressa in condizioni
di compressione cilindrica, ovvero condizione in cui la sollecitazione assiale e quelle radiale sono
uguali. In queste condizione: ∆𝜎3 = ∆𝜎2:

∆𝜎1 che è la maggiore

∆𝜎3 che è la minore ed è uguale in tutte le direzioni del piano orizzontale

Skempton definisce ∆𝑢 = 𝐵[∆𝜎3 + 𝐴(∆𝜎1 − ∆𝜎3 )] , per cui noti i due coefficienti A e B siamo in grado di
stabilire quanto valgono gli incrementi di pressione neutra per effetto dell’incremento di tensione totale. (N.B.
questa formula in cui siamo in grado di stabilire quanto valgono gli incrementi di pressioni nutre valgono
SOLO nelle condizioni di compressione cilindrica.)

Guardiamo cosa succede nel piano 𝜎1 , 𝜎3 che sono le due tensioni principali per effetto di un incremento di
tensione 𝜎3 ;
Figura 5

Questo in Fig. 5 corrisponde ad un tipico percorso che si osserva in una prova triassiale. Se noi incrementiamo
il valore della pressione di cella che confina il provino in laboratorio e la tensione orizzontale 𝜎3 (che
corrisponde ad un incremento sferico di tensione perché, nella fase iniziale della prova triassiale, la simmetria
reagisce in tutte le direzioni) notiamo che nel piano q, p’p u, Fig.6, abbiamo una freccia orizzontale ovvero c’è
un incremento di tensione totale con q pari a zero che resta un incremento isotropo. Ci stiamo riferendo alla
soluzione in cui 𝜎1 𝑒 𝜎3 aumentano, come è possibile notare in Fig. 5 dove il segmento è inclinato a 45°, questo
comporta che p aumenta e q non aumenta, come possibile notare in Fig.6, questo vuol dire che siamo in una
condizione di incremento sferico o isotropo di tensione. Di conseguenza sappiamo che nella formula di
Skempton, il termine (∆𝜎1 − ∆𝜎3 )=0 perché gli incrementi di tensioni sono uguali.

Figura 6

Applicando la formula di Skempton se ∆𝜎1 = ∆𝜎3 = 0 come nel caso in Fig. 6, allora:

Quindi, Fig.6, avrò una ∆𝑝 che è pari alla differenza tra la linea rossa e la linea blu (pari alla freccia verde).
Quindi ho un incremento di p’ che non è pari all’incremento di p, ma differisce di una certa quantità in
condizioni sferiche.

Una volta applicato l’incremento sferico, vediamo ora cosa succede quando applichiamo l’incremento
deviatore. In questo caso ci sarà una ∆𝜎1 𝑒 𝑢𝑛𝑎 ∆𝜎3 per cui ci sarà un incremento di pressioni pari a:
Figura 7

L’incremento di tensione totale, in Fig.7, vediamo che è verticale il che vuol dire che ha ∆𝜎3 = 𝑐𝑜𝑠𝑡 quindi
stiamo applicando un incremento deviatore senza cambiare ∆𝜎3 ma cambiando soltanto ∆𝜎1 che è ancora una
volta un percorso che facciamo per la prova triassiale. Questo si riscontra anche nel fatto che il percorso rosso
nel piano qp, Figura 8, ha un incremento di deviatore a cui corrisponde un incremento sferico pari a 1/3 ∆𝑞.


④ ③

⑤ ①

Figura8

Questo si può spiegare perché


𝜎1 +2𝜎3
𝑝= 3
(2) per definizione

𝑞 = 𝜎1 − 𝜎3 (3)

La (2) e la (3) le posso scrivere anche come:


∆𝜎1 +2∆𝜎3
∆𝑝 = 3
(4)

∆𝑞 = ∆𝜎1 − ∆𝜎3 (5)

Se 𝜎3 = 𝑐𝑜𝑠𝑡 come nel caso in fig. 7, allora 𝜎3 = 0 e la (4) e la (5) divengono:

∆𝜎1
∆𝑝 =
3

∆𝑞 = ∆𝜎1

Per cui ∆𝑞/∆𝑝 sarà pari a:


∆𝑞 ∆𝜎 1
∆𝑝
= ∆𝜎1 ∗ 3=3 =>∆𝑝 = 3 ∆𝑞
1
Il fatto che la linea rossa, in fig. 8, si è inclinato di 3 a 1 è conseguenza del fatto che il percorso, nel piano
𝜎1 , 𝜎3 (Fig. 7), sia verticale, ovvero che ∆𝜎3 = 𝑐𝑜𝑠𝑡 = 0.

Il percorso di tensioni totali (tratto rosso Fig. 8) parte dal punto ① con le pressioni neutre che abbiamo
inizialmente accumulato per l’effetto dell’incremento sferico, dopo di che:

il tratto ②③ sarà 𝐵∆𝜎3 che abbiamo inizialmente accumulato con l’incremento sferico

il tratto ④③ invece è dovuto soltanto al deviatore in quanto ∆𝜎3 = 0, quindi resta che ∆𝑢 nella seconda fase
è pari a 𝐵𝐴 (∆𝜎1 − ∆𝜎3 ) quindi al valore di ∆𝑢 iniziale che era 𝐵∆𝜎3 si aggiunge un altro incremento di ∆𝑢
che è pari a 𝐵𝐴 (∆𝜎1 − ∆𝜎3 ) questo vuol dire che le tensioni efficaci che inizialmente in termini di p’ partivano
dal punto ⑤ pari a ∆𝑝 − 𝐵∆𝜎3 adesso si riducono di un altro termine pari a 𝐵𝐴 (∆𝜎1 − ∆𝜎3 ).

Vediamo ora cosa succede se applico una compressione isotropa ad un terreno di base dove per compressione
isotropa intendiamo che tutte e due le tensioni principali aumentano della stessa quantità ∆𝜎1 = ∆𝜎2 = ∆𝜎3
quindi la loro somma divisa per tre è uguale alla singola ∆𝜎e quindi è pari a ∆𝑝 per definizione. Così facendo
ci riconduciamo al caso precedentemente analizzato in Fig.6, dove ∆𝑝 = ∆𝜎1 = ∆𝜎3.

Il nostro obiettivo è quello di calcolarci il valore del coefficiente B di Skempton in condizioni isotrope, cioè
sapere la relazione che intercorre tra ∆𝑢 e ∆𝜎3 . Se riusciamo ad avere il valore di B analizzando le condizioni
isotrope avremmo ottenuto il valore per poter utilizzare la formula di Skempton.

Per effetto di una sollecitazione isotropa, uguale in tutte le direzioni, applicata ad un volume di terreno noi
avremo delle variazioni di volume del fluido e delle variazioni di volume dello scheletro solido infinitesime in
base alla rigidezza volumetrica dello scheletro solido del fluido. Le variazioni di volume infinitesime per lo
scheletro solido e fluido le calcoliamo come:

(6)

(7)

∆𝑉𝑓
Dove ∆𝑉𝑓 è la variazione di volume del fluido (Potremmo scrivere per parlare di deformazione volumetrica,
𝑉
adesso ho scritto ∆𝑉𝑓 quindi è moltiplicato per V il secondo termine) è dato dalla variazione di pressione fratto
la rigidezza volumetrica del fluido. Cioè applico una certa variazione di pressione neutra, divido per la
rigidezza volumetrica ed ottengo la deformazione volumetrica del fluido. Se lo moltiplico per il valore del
volume iniziale del fluido ottengo la variazione finita di volume del fluido ∆𝑉𝑓 . Ricapitolando, applicando la
variazione di tensione sferica e dividendo per la rigidezza volumetrica ottengo la deformazione volumetrica
del fluido che integrata al volume ci dà la variazione di volume.

Lo stesso ragionamento lo possiamo fare per lo scheletro solido dove però cambiano le variabili:

- invece della variazione delle pressioni neutre ∆𝑢 abbiamo la variazione di tensione efficace media
∆𝑝′ che corrisponde alla tensione sferica dello scheletro solido
- invece di 𝐾𝑓 abbiamo 𝐾𝑠𝑠 = rigidezza volumetrica dello scheletro solido per cui la variazione
volumetrica dello scheletro solido è pari alla (7).
Abbiamo espresso il volume del fluido come la porosità per il volume complessivo.

N.B. per definizione la porosità è il volume dei vuoti sul volume totale ma siccome stiamo del mezzo saturo
allora volume dei vuoti coincide con il volume del fluido quindi nV = 𝑉𝑓 .

Dopo di che, sappiamo anche che lo scheletro solido corrisponde all’intero volume dell’elemento di volume
in quanto ne costituisce la struttura. [Ad esempio immaginate un castello di carte, in mezzo alle carte ci sono
dei vuoti ma il volume occupato dal castello è il volume della vostra struttura]. Quindi possiamo dire che il
volume dello scheletro solido, è il volume dell’elemento di volume del terreno. Quindi:

𝑉𝑠𝑠 ≡ 𝑉

Ora se ci sono variazioni di volume di scheletro solido e di fluido, queste devono essere per congruenza uguali,
cioè di quanto varia il volume dello scheletro solito di tanto varia il volume del fluido, per cui:

∆𝑉𝑓 = ∆𝑉𝑠𝑠

∆𝑢 ∆𝑝′
𝐾𝑓
𝑛𝑉 = 𝐾𝑠𝑠
𝑉 (8)

Per ottenere una relazione tra ∆𝑢 𝑒 ∆𝑝′ . Mi ricordo che:

∆𝑝 = ∆𝑝 − ∆𝑢 (9)

Sostituisco la (9) nella (8) e ottengo:

Riordinando ottengo:

Visto che ∆𝑝 = ∆𝜎3 ottengo:

∆𝑢 ∆𝑢
Quindi, siccome ∆𝑝 = ∆𝜎 = 𝐵, secondo Skempton, avrò:
3

(10)
∆𝑢
Il rapporto ∆𝑝
dipende da 𝐾𝑓 = 𝐾𝑠𝑠 cioè dalla rigidezza volumetrica del fluido di porosità e quella dello
scheletro solido. Valutiamo quanto valgono questi due fattori.

Possiamo dire che la rigidezza volumetrica dell’acqua 𝐾𝑤 ≅ 2000 𝑀𝑃𝑎 mentre la rigidezza volumetrica dello
scheletro solido ha un ordine di variazione di 𝐾𝑠𝑠 = 1 ÷ 100 𝑀𝑃𝑎 (1 per i terreni a grana più fine e 100 per
𝐾
terreni a grana più grossa). In ogni caso, 𝐾𝑤 è almeno un ordine di grandezza, ma in molti casi anche più di un
𝑠𝑠
ordine di grandezza.

N.B. Aggiungiamo anche l’informazione sulla rigidezza volumetrica del gas, ovvero l’aria che è un mezzo
molto compressibile rispetto agli altri per cui 𝐾𝑔 ≈ 0

Quindi nell’IPOTESI DI TERRENO SATURO per cui ∆𝑉𝑓 = ∆𝑉𝑠𝑠 (questa congruenza vale solo nel caso di
terreno saturo, in quanto in caso contrario ci poteva esser una variazione volumetrica dello scheletro solido
senza una variazione volumetrica del fluido perché semplicemente l’aria contenuta nei pori si sarebbe
compressa per cui sarebbe stato più complicato), B è pari a:

Tende a zero perché se fate il rapporto esce un valore molto piccolo, che
tra l’altro è moltiplicato per la porosità n che di solito varia tra 0.5 ÷0.8,
𝐾𝑠𝑠
per cui n è trascurabile di fatto B≅1.
𝐾𝑤

Quando B=1 per effetto di un incremento ∆𝑝 (segmento rosso Fig.9), si avrà S=1 => ∆𝑢 = ∆𝑝 e quindi non ci
sarà incremento di tensioni efficaci e tutto l’incremento delle tensioni totali è a carico dell’acqua e si ripartisce
totalmente sul suolo di porosità. Quindi, in condizioni isotrope, all’istante t=0, siccome siamo sempre nelle
condizioni non drenate, tutto l’incremento di tensione totale si ripartisce sul fluido di porosità.

Figura9

Se invece il terreno è asciutto l’equazione di congruenza (10) si può scrivere sostituendo a 𝐾𝑤 la 𝐾𝑔 in quanto
l’acqua non c’è proprio ma c’è solo il gas ovvero l’aria; Quindi posso ripetere gli stessi passaggi ed ottengo:

Pari a ꝏ per cui 1/ꝏ va a zero

Per cui applicando Skempton per un percorso isotropo, in presenza di terreno asciutto e quindi in assenza di
acqua abbiamo che ∆𝑢 = 0 (tratto verde Fig.9), il che significa che l’intero l’incremento delle tensioni totali
finisce sullo scheletro solido.
Nella normalità è probabile che il terreno non sia saturo per cui le cose sono un po’ più complicate, non lo
dimostriamo, ma guardiamo l’espressione che ne deriva:

In questo caso B è in funzione di entrambi i rapporti di rigidezza volumetrica pesati sul grado di saturazione,
per cui:

- S=1 => si ricade del primo caso


- S=0 => si ricade nel secondo caso

Quindi normalmente B è compreso tra 0 e 1 il che vuol dire che se il mezzo non è saturo allora il ∆𝜎 si ripartisce
tra le fasi e B dipende dalla combinazione di:

- Porosità n;
- Grado di saturazione S;
- Rigidezza 𝐾𝑠𝑠 dello scheletro solido.

La nostra fortuna è che in questo corso i terreni sono saturi.

Ricapitolando: abbiamo applicato la formula di Skempton al percorso isotropo per ricavarci il valore di B e
scoprire che B=1 per un mezzo saturo quindi nelle applicazioni che faremo in questo corso B=1 sempre, in
quanto il mezzo o è asciutto per cui non parliamo proprio di pressioni neutre oppure è non saturo.

Ora dobbiamo ricavarci il valore di A visto che B è noto ed è pari a 1 per il mezzo saturo. Quindi per conoscere
A, applico un percorso deviatorico, con un incremento di deviatori, ∆𝜎1 𝑒 ∆𝜎3 e mi determino le
sovrappressioni neutre ∆𝑢 , mi ricavo B*A e conosco A.

Procedo quindi sulla base di quanto appena detto, applicando l’incremento di deviatore ∆𝜎1 − ∆𝜎3 , come
precedentemente fatto in Fig.7, quindi posso utilizzare quanto appena detto per il caso isotropo riferendomi
alla sola componente isotropa o sferica del percorso in tensioni totali dove:

∆𝑞
∆𝑝 = ∆𝜎1 = ∆𝜎3 = 3
il resto è uguale a prima.

Quindi posso scrivere:

per la legge di Skampton

AB per la legge d Skempton sarà dato da:

Coefficiente B
Quindi risulta:

A=1/3 se il terreno è saturo, questo significa che se ho un incremento di tensioni totali (segmento rosso in
∆𝑞
figura 5) inclinato di 3 a 1 => ∆𝑢 = 3
quindi in tensioni efficaci il percorso sarà verticale. Se A=1/3 il valore
∆𝑢 = ∆𝜎1 − ∆𝜎3 e quando ∆𝜎3 = 0 => ∆𝑢 = ∆𝜎1 il percorso in tensioni efficaci risulta verticale.

Figura 10

Si può dimostrare che il valore di A è in funzione del percorso, per cui se variassi l’inclinazione della retta
rossa cambierebbe il valore di A; Se avessi un percorso di estensione (q<0) [ve lo faccio vedere ma non dateci
2
troppo peso] allora in questo caso il valore di A si può dimostrare essere pari a 𝐴 = ∆𝑞.
3

Quindi A non è una costante ma dipende dal percorso, quelli in Fig. 10 sono i due tipici percorsi delle prove
di compressione triassiali, tuttavia è possibile avere un qualsiasi percorso partendo dal punto ① e facendo
ruotare la freccia rossa a piacimento per avere un percorso generale. Quindi non è necessario focalizzarci su
quanto vale A nei vari percorsi, quello che voglio sottolineare è che questa ipotesi è valida in ipotesi di elasticità
cioè:
1
𝐴 = 3 e quindi il percorso in tensioni efficaci è verticale se abbiamo adottato l’ipotesi di elasticità. Se non
1 2
avessimo adottato questa ipotesi in quanto il terreno non è elastico i valori di 𝐴 ≠ ≠ e quindi si riportano
3 3
nella tabella sottostante i valori tipici di A

N.B. sono riportati i valori solo delle argille in quanto stiamo facendo riferimento ai terreni a grana fine. Con
valori di A che vanno da 0.7-1.5 per l’argilla sensitiva e che arrivano a ridursi per le argille molto consistenti
fino ad arrivare a 0, se non a valori negativi massimo -0.5 (il valore negativo vi dice soltanto che insorgono
per effetto della compressione, delle sovrappressioni neutre negative, cioè noi comprimiamo il terreno e questo
anziché dar luogo, come ci aspettiamo intuitivamente, a delle sovrappressioni neutre positive perché l’acqua
non riesce ad uscire, quando l’argilla è molto consistente le sovrappressioni che insorgono possono essere
negative e quindi, nonostante l’acqua non riesca ad uscire, tende a ridurre il valore rispetto a quello iniziale ).
Possiamo dunque dire che 𝐴 = 0.5 ÷ 1 − 1.5 che sono valori reali ben diversi da quelli che otteniamo
dall’ipotesi di mezzo elastico che sono pari 𝐴 = 0.33 ÷ 0.66 . (il mezzo elastico non ci dà mai valori negativi
mentre nella realtà possiamo avere valori negativi.)

Quindi abbiamo ottenuto uno strumento per calcolarci le sovrappressioni neutre, in certe condizioni particolari,
note le tensioni totali. Tutto questo ci consente, con la formula di Skempton, di misurare attraverso prove di
laboratorio quali sono le sovrappressioni neutre che insorgono all’istante t=0. Abbiamo visto che per modellare
il comportamento non drenato possiamo ragionare in tensioni totali o efficaci; Se siamo in grado di calcolarci
gli incrementi di pressione neutre e quelli di tensioni efficaci possiamo far riferimento al comportamento
meccanico del mezzo bifase, se non siamo in grado possiamo riferirci al mezzo monofase. Sempre con
riferimento alla condizione non drenata, quindi all’istante t=0.

Ora:
t=ꝏ => parametri drenati => mezzo drenato
t=0 => parametri drenati se riusciamo a conoscere le tensioni efficaci oppure mezzo monofase equivalente e
quindi i parametri non drenati.
Nel mezzo tra queste due fasi ci sta la consolidazione. Adesso concertiamoci sul processo di consolidazione,
che a differenza della filtrazione di cui abbiamo parlato la volta scorsa, è un regime transitorio cioè il regime
di pressione varia nel tempo passando da una condizione di drenaggio impedito (t=0) ad una condizione di
drenaggio libero (t=ꝏ). Quindi abbiamo due condizioni temporali estreme: t=0 e t=ꝏ e nel mezzo c’è quel
processo che varia nel tempo (ecco perché non è permanente ma transitorio) e che è necessario in quanto
vogliamo ristabilire nel tempo l’equilibrio delle pressioni neutre con le condizioni al contorno. Nel frattempo
che ciò accade si ha una variazione di porosità dello scheletro solido dovuta alla fuoriuscita dell’acqua dai pori
(se c’è una variazione di porosità per deformazione volumetrica c’è eventualmente il cedimento).

Con un modellino molto semplice, Fig.11, che rappresenta un pozzetto pieno d’acqua chiuso da un piatto forato
(il foro è in corrispondenza del doppio triangolo con la k), il quale poggia su una molla.

Eed= MODULO EDOMETRICO

A = BASE PROVINO

H= ALTEZZA PROVINO

Figura11

Abbiamo chiamato la molla e la sua rigidezza MODULO EDOMETRICO perché man mano che il piatto
scende, per effetto di un carico di tensione verticale applicato 𝜎, si ha solo un abbassamento verticale, ma
siccome il recipiente è rigido, lateralmente non abbiamo spanciamenti ma ci troviamo in condizioni che
possiamo chiamare edometriche. L’acqua esce ma da un foro molto piccolo, quindi il diametro di questo foro
è associabile alla permeabilità del mezzo poroso ideale a cui ci vogliamo riferire. Tanto più è piccolo il foro
quanto più l’acqua fuoriuscirà lentamente facendo scendere lentamente il piatto e viceversa.

Quindi questo modellino è caratterizzato da un pistone idraulico con una molla che rappresenta la rigidezza
dello scheletro solido e da una valvola che rappresenta la permeabilità del terreno. La deformazione, è dovuta
al piatto che si abbassa e comprime la molla (configurazione tratteggiata Fig.11); Inizialmente la molla, che
rappresenta lo scheletro solido, non si accorge proprio che ho applicato una tensione in testa e il piattino è
sostenuto dall’acqua che è in pressione, dopodiché l’acqua inizia a fuoriuscire dalla valvola di sfogo e seppur
mantenendo una certa pressione questa si riduce nel tempo, di conseguenze la molla a causa dell’abbassamento
del piattino si carica ; In questo modo lo scheletro solido entra in carico e si esprimono le tensioni efficaci,
questo vuol dire che man mano che si abbassa il piattino le tensioni totali sono sempre le stesse (perché il peso
che abbiamo applicato in testa non cambia), aumentano le tensioni efficaci in quanto entra in carico la molla e
si riducono le sovrappressioni neutre che inizialmente sono insorte per sostenere il carico che abbiamo
applicato.

Facendo due conti semplificati:


𝜎
V=volume acqua espulsa=𝑤𝑓 𝐴 = 𝐸 𝐻𝐴
𝑒𝑑

Dove:

wf = cedimento finale che è dato dalla deformazione verticale per l’altezza iniziale H (poiché la deformazione
avviene in condizioni monodimensionali edometriche, la deformazione verticale è pari a: σ/ Eed dove σ siccome
questo è il cedimento finale rappresenta quello che avviene a t= ꝏ per cui σ=σ’).

A= area della sezione del cilindro

NB. La rappresentazione in Fig.11 non è rigorosa in quanto la molla di solito non si rappresenta con un modulo
ma con una costante k, però la utilizziamo in quanto ci aiuta a mettere in evidenza un parametro che ci interessa
come vedremo alla fine.

Definiamo ora un gradiente idraulico medio, cioè quanto vale la variazione di quota piezometrica tra monte e
valle cioè tra fuori e dentro il pozzetto. Inizialmente ci sarà all’interno del pozzetto un incremento di pressione
neutra ∆𝑢 che in termini di ∆ℎ è pari:
∆𝑢
∆ℎ = 𝛾 che posso dividere per lo spessore in cu si dissipa ∆𝑢 che è pari a H ed ottengo:
𝑤

∆𝑢 ∆ℎ
𝑖=𝛾 ; Dove 𝑖 = e rappresenta il gradiente idraulico medio
𝑤𝐻 𝐻

Che posso anche scrivere come:


∆𝑢 𝜎
𝑖=𝛾 =𝛾 perché inizialmente ∆𝑢 è proprio pari a σ
𝑤𝐻 𝑤𝐻

Valutiamo ora quanto vale la portata che fuoriesce dal forellino, la quale dipenderà dalla legge di Darcy legata
al gradiente i, ecco perché abbiamo avuto la necessità di calcolare il gradiente idraulico medio, per cui
possiamo dire:

v=ki (dove v=velocita, k= coefficiente di permeabilità e i= gradiente idraulico medio)

Q=kiA (dove Q=portata media affluente, ki=velocità, A= area della sezione)

Quindi posso scrivere:


𝜎
Q = portata media affluente = kiA = k 𝛾𝑤 𝐻
𝐴

Allora ricapitolando ho:


𝜎
V=volume acqua espulsa=𝐸 𝐻𝐴
𝑒𝑑

𝜎
Q = portata media affluente = k 𝛾𝑤 𝐻
𝐴
Se ne faccio il rapporto tra il volume e l’acqua che fluisce ottengo il tempo necessario affinché il volume
d’acqua sia del tutto fluito, ottenendo così il tempo di riequilibrio che è pari:

V 𝜎 𝐻𝐴 𝛾𝑤 𝐻 𝛾𝑤 𝐻 2
𝑡𝑓 = tempo di riequilibrio = = ∙ = questo vuol dire che ci metterà più tempo tanto più è
Q 𝐸𝑒𝑑 𝑘 𝜎 𝐴 𝑘𝐸𝑒𝑑
maggiore l’altezza del pozzetto H ovvero la massima distanza dal punto in cui c’è il drenaggio (valvola k).

Il tempo di riequilibrio dipende quindi da H ed è in funzione di:

𝛾𝑤 = 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑠𝑝𝑒𝑐𝑖𝑓𝑖𝑐𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙 ′ 𝑎𝑐𝑞𝑢𝑎


𝑘 = 𝑝𝑒𝑟𝑚𝑒𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡à
𝐸𝑒𝑑 = 𝑚𝑜𝑑𝑢𝑙𝑜 𝑒𝑑𝑜𝑚𝑒𝑡𝑟𝑖𝑐𝑜 𝑜𝑣𝑣𝑒𝑟𝑜 𝑟𝑖𝑔𝑖𝑑𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑠𝑐ℎ𝑒𝑙𝑒𝑡𝑟𝑜 𝑠𝑜𝑙𝑖𝑑𝑜

Quanto appena visto è un modellino semplice, seppur non proprio corretto dal punto di vista formale che però
ci serve a mettere in evidenza da cosa dipende il tempo di riequilibrio. In pratica ci serve per comprendere, che
se quel modellino in Fig.11 rappresenta la semplificazione della realtà, effettivamente ci aspettiamo che il
tempo di riequilibrio o tempo di consolidazione è in funzione dei parametri suddetti e della distanza H della
superficie drenante.

Vediamo invece come, con più rigore, la soluzione è stata posta da Terzaghi e per far questo innanzitutto ci
riferiamo alla consolidazione monodimensionale verticale, quindi siamo nell’ipotesi edometrica di flusso
monodimensionale, deformazione monodimensionale ovvero tutto avviene in una sola dimensione.

Ritorniamo all’equazione di continuità, che abbiamo visto nelle lezioni precedenti ragionando in termini di
filtrazione, per il terreno saturo.

𝑣𝑥 = 𝑣𝑦 = 0 quindi resta solo 𝑣𝑧

∂ 𝑣𝑧
Nell’elemento di volume vi è un flusso entrante di acqua 𝑣𝑧 e un flusso uscente 𝑣𝑧 + 𝑑𝑧 ,come si evince
∂z
dalla Fig. 12, dove dz rappresenta l’incremento di tensione verticale; Queste sono velocità in termini di portata
che vanno integrate all’area della sezione che vale dA=dx*dy.

Fig. 12

Per continuità, possiamo scrivere che:


∂ 𝑣𝑧
𝑣𝑧 + ∂z
𝑑𝑧 − 𝑣𝑧 rappresenta la differenza tra quello che esce e quello che entra e quindi cambiata di segno
rappresenta la quantità di acqua entrante.
Il volume di acqua che in un certo intervallo di tempo dt si accumula nel terreno è pari a:
∂ 𝑣𝑧
− ∂z
𝑑𝑧 ∙ 𝑑𝐴𝑑𝑡 ovvero la quantità di acqua entrante integrata all’area dA nell’istante di tempo in cui ciò
avviene dt. A questo deve corrispondere una variazione della porosità che avviene nello stesso intervallo di
tempo quindi:
∂ 𝑣𝑧 ∂n
− ∂z
𝑑𝑧 ∙ 𝑑𝐴𝑑𝑡 = ∂t
𝑑𝑧𝑑𝐴 ∙ 𝑑𝑡 (11)

Stesso volume e se lo moltiplico per la variazione di porosità che avviene in


quell’intervallo di tempo, ottengo la variazione di volume dello scheletro solido in
quell’intervallo di tempo.

Questa equazione non è del tutto nuova infatti nelle scorse lezioni ne abbiamo trovata già una analoga solo che
era scritta in tutte le direzioni x, y, e z, ed in particolare scrivemmo che:
∂n
∂t
= 0 perché stavamo studiando il problema stazionario (indipendente dal tempo=> t=0)

Oggi invece stiamo studiando un analogo problema, che invece è dipendente dal tempo di fatti stiamo
∂n
studiando il problema non in regime stazionario bensì transitorio, per cui ∂t
≠ 0.

L’equazione di continuità è quindi, semplificando la (11), pari a:

(12)

Posso anche, a questo punto, esprimere 𝑣𝑧 con la legge di Darcy scritta solo in una direzione:

Se chiamo u l’incremento di pressione interstiziale con la sovrappressione ottengo:

(13)
𝑢
ℎ = 𝛾 + 𝜉 (14)
𝑤

N.B. Bisogna ricordare che per la teoria di Terzaghi, le u non sono le pressioni neutre ma sono soltanto le
sovrappressioni neutre, per cui avremmo dovuto scrivere nella (13) ∆𝑢 e non come u, ma per non appesantire
la simbologia di solito si scrive u e si sa che ci stiamo riferendo solo alle sovrappressioni neutre. Quindi ai soli
fini della consolidazione, quando leggiamo u in realtà si dovrebbe leggere ∆𝑢 ovvero una sovrappressione.

Questo vuol dire che la u che compare nella (14) la posso chiamare u totale e sarà pari a:

𝑢𝑡𝑜𝑡 = 𝑢0 + 𝑢 dove 𝑢0 è la pressione neutra stazionaria iniziale, mentre u = ∆𝑢 = incremento di pressione


neutra o sovrappressione.
La (14) la posso scrivere anche come:
𝑢0 𝑢
ℎ= + + 𝜉 dove 𝑢0 = 𝛾𝑤 𝑧 se pensiamo ad una condizione idrostatica iniziale.
𝛾𝑤 𝛾𝑤

Se derivo h rispetto a z ottengo:


∂h ∂ 𝑢0 𝑢 𝛾 ∂z ∂u 1 ∂𝜉
∂z
= (
∂ z 𝛾𝑤
+ 𝛾 + 𝜉) = 𝛾𝑤 ∂ z + ∂ z 𝛾 + ∂ z (15)
𝑤 𝑤 𝑤

Se è vero che 𝑢0 = 𝛾𝑤 𝑧 allora z è rivolta verso il basso mentre 𝜉 è rivolta verso l’alto anche se sono entrambe
verticali hanno versi opposti. Quindi:

𝛾𝑤 ∂z
=1
𝛾𝑤 ∂ z

∂𝜉
= −1perchè hanno segno opposto quindi quando uno cresce l’altro decresce
∂z

Quindi la (15) diventa:


∂h ∂u 1 1 ∂u
∂z
= 1 + ∂z𝛾 − 1 = 𝛾 dove la u è la sovrappressione degli incrementi della pressione interstiziale.
𝑤 𝑤∂z

Detto ciò, è dimostrata la (13):

∂h ∂𝑣𝑧 𝑘 ∂2 u
𝑣𝑧 = −𝑘 => − = ∙ (16)
∂z ∂z 𝛾𝑤 ∂ z2

𝑒
Vediamo ora quanto vale la variazione di porosità, come sappiamo dalle scorse lezioni 𝑛 = 1+𝑒 anche se in
realtà:

∆𝑒
−∆𝑛 = − 1+𝑒 = 𝜀𝑣 (17)

dove 𝜀𝑣 è la variazione volumetrica, che però coincide con la variazione verticale in quanto siamo in condizioni
monodimensionali per cui 𝜀𝑣 = 𝜀𝑧 .

La variazione verticale in condizione edometrica 𝜀𝑧 è pari a:

𝜎′
𝜀𝑣 = 𝜀𝑧 = 𝐸 se per come abbiamo detto 𝜎 ′ = −𝑢′ (segno opposto perché se una aumenta l’altra si riduce e
𝑒𝑑
viceversa) quindi:
𝜎′ 𝑢
𝜀𝑣 = 𝜀𝑧 = 𝐸 = −𝐸
𝑒𝑑 𝑒𝑑

N.B. il ∆𝑛 della (17) è negativo in quanto è sempre quello che c’è dopo meno quello che c’è prima, allora se
il provino si sta comprimendo la porosità che c’è dopo è più piccola, quindi ∆𝑛 ha un valore negativo ma
siccome in geotecnica per convenzione sappiamo che le compressioni sono positive, per convenzione si assume
che 𝜀𝑣 = −∆𝑛. Per cui:
𝑢 𝑢
−∆𝑛 = − => ∆𝑛 =
𝐸𝑒𝑑 𝐸𝑒𝑑
La derivata nel tempo di n è pari a:

(18)

Costante

Mettendo insieme le formule (12), (13) e (18) ed in particolare uguagliando la (12) e la (13) uscirà fuori che:

𝑘 ∂2 u ∂n
∙ = dopo di che considero la (18) ed ottengo:
𝛾𝑤 ∂ z2 ∂t

𝑘 ∂2 u 1 ∂u
∙ = (19) questa è l’equazione della consolidazione monodimensionale di Terzaghi dove
𝛾𝑤 ∂ z2 𝐸𝑒𝑑 ∂ t
compaiono k, 𝛾𝑤 e𝐸𝑒𝑑 che possono essere raggruppati in un coefficiente di
consolidazione verticale:

Per cui in definitiva la (19), ovvero l’equazione reggente la consolidazione monodimensionale è:

(20)

La (20) è un’equazione differenziale, che regge la consolidazione monodimensionale ottenuta dall’equazione


di continuità della fase fluida, sfruttando la legge di Darcy, quindi possiamo utilizzare le stesse ipotesi con cui
abbiamo proceduto con la legge del moto di filtrazione però ricordando che il regime non è stazionario bensì
transitorio. Detto ciò, non deve essere integrato solo con riferimento alle condizioni di drenaggio al contorno,
come abbiamo fatto per il moto di filtrazione, dove bastava conoscere il valore al contorno delle pressioni
neutre per risolvere il problema; Ma in aggiunta bisogna conoscere quant’è la distribuzione iniziale di
sovrappressione 𝑢0 , fornita dall’analisi in condizione drenate. Ecco che per risolvere i problemi di
consolidazione dobbiamo conoscere la distribuzione iniziale di sovrappressione e quindi conoscere quanto
vale u all’istante t=0.

In ultimo vorrei farvi osservare solo questa immagine:


Figura 13

Come si evince dalla Fig. 13 abbiamo riportano un problema:

Abbiamo uno strato di argilla centrale, sopra abbiamo uno strato di sabbia, sotto uno strato di roccia compatta
(impermeabile), all’altezza del triangolino tratteggiato abbiamo una falda quindi sappiamo che la superficie è
tutta satura e abbiamo un carico applicato 𝜎𝑧 .

Allora c’è una distribuzione di 𝑢𝑠 con cui indichiamo le stazionarie (quelle che prima ho chiamato 𝑢0 , cioè
quelle legate alla falda prima dell’applicazione del carico), poi applico il carico ed ottengo la 𝑢 ̅̅̅0 (che
rappresenta l’incremento di pressione neutra che risulta costante con la profondità e funzione della 𝜎𝑧 ); Tramite
le leggi di Skempton, la distribuzione in verde (Fig. 13) rappresenta la somma della u iniziale più la
sovrappressione, quindi le condizioni iniziali in termini di pressioni neutre o in termini di sovrappressioni.
Ragioniamo secondo quella che si chiama Isocrona, ovvero la somma delle distribuzioni delle sovrappressioni
neutre ad un certo istante di tempo. Man mano che il processo si evolve, queste sovrappressioni si riducono e
le isocrone si spostano, quindi diciamo, che lo studio del problema di consolidazione si risolve nello studio
dell’evoluzione delle isocrone da quelle inziali, passando per quella generica ad un certo istante di tempo, fino
ad arrivare a quella finale. Quest’ultima, coincide con la condizione stazionaria al contorno, che è appunto
quella regolata dal livello di falda nella sabbia a tempo t.
LEZIONE 27-10-2017
ESERCITAZIONE N2
Abbiamo uno strato di terreno che poggia su di una superfice impermeabile, nel quale ho inserito una parete
verticale impermeabile (un setto).
Che permette di avere un dislivello piezometrico tra monte e valle.

A monte abbiamo un piano 𝜉 pari a zero per definire le quote geometriche. Il livello d’acqua arriva a 27metri
(dal piano zero) con uno strato di terreno di 18metri.
A valle il battente d’acqua sulla superfice del terreno che è costante tra monte e valle arriva a 19.5metri.
Quindi a monte abbiamo un serbatoio d’acqua di 9metri e a valle un serbatoio d’acqua di 1.5metri.
All’interno della figura sono stati inseriti dei tubi piezometrici in corrispondenza dei punti A, C, E, G, I.
L’ESERCIZIO CI CHIEDE

L’esercizio ci fornisce la profondità dal piano di campagna con asse z rivolto verso il basso dei punti A, C, E,
G, I e anche dei punti con lettera minuscola che sono riportati lungo il setto impermeabile (a, b, c, d, e, f, g,
h, i).
La rete che vediamo disegnata è quella che chiamiamo rete idrodinamica a maglie quadre che è una
soluzione grafica di un problema analitico dell’equazione di Laplace di “h” peri a 0.

Questa situazione tiene conto delle situazioni al contorno


Per prima cosa dobbiamo definire il dominio di definizione del problema cioè il terreno all’interno del quale
avviene la filtrazione, ovviamente la parte in grigio
Dove il contorno sarà definito dalle linee orizzontale superiore, inferiore e le due laterali.
Da un punto di vista idraulico la linea superiore la dobbiamo dividere in due parti una dove sta k e b e dal
punto h al punto l.
La dobbiamo distinguere perché c’è una discontinuità che è rappresentata dal setto impermeabile per cui a
monte avremo una quota piezometrica h diversa da quella a valle quindi le chiamiamo hmonte hvalle in termini
simbolici.
Sono quelle che abbiamo chiamato linee isopienziche perché hanno lo stesso valore della quota piezometrica
La linea inferiore è la linea impermeabile ed è una linea di flusso

???

Lungo il setto data la sua impermeabilità avremo due condizioni uno sulla faccia di sinistra ed uno sulla
𝑑ℎ
faccia di destra in cui vx = 0 quindi la 𝑥
=0 lungo queste due linee.

In fine sui due bordi laterali del dominio se questi sono sufficientemente lontani dalla zona del setto
impermeabile possiamo dire che la quota piezometrica non sia influenzata dal moto di filtrazione le
condizioni che scriviamo è che h= hmonte = hvalle a sinistra e a destra di conseguenza sono delle linee
isopienziche

Tutto questo mi consente di disegnare come in figura le linee di flusso e le linee isopienziche ortogonali
perché il loro angolo è pari al gradiente della linea piezometrica e sono reticoli di linee ortogonali tra di loro
e partono ortogonali alle condizioni al contorno.
Le linee di flusso (quelle nelle nella figura) tanto più sono vicine alle superfici impermeabili tanto più
tendono a essergli parallele per questo partono verticali in prossimità del setto e poi girano in direzione del
fondo impermeabile per ritornare parallele al setto.
OVVIMENTE TUTTE LE LIEE ISOPIENZICHE SONO ORTOGONALI ALLE LINEE DI FLUSSO.
Questo esercizio grafico rappresenta la soluzione del problema perché queste è una rete a maglie quadre e
regolari in cui le dimensioni tra le maglie sono confrontabili e il loro rapporto è pari a 1.

Questo ci permette di fare una semplificazione detto ∆htot il salto piezometrico tra monte e valle questa viene
persa con dei salti piezometrici più piccoli ∆h nell’ambito di ciascuna maglia. Nel passaggio tra ogni maglia
io avrò un ∆hi e sono tutti uguali perché la maglia è regolare.
Quindi ci possiamo ricavare ∆hi dividendo ∆Htot per il numero di isopienziche meno 1.
USIAMO EXEL
∆Htot = quota piezometrica di monte – quota piezometrica di valle=
27-19.5=7.5m
Avremo che ogni salto ∆hi =0.9375m
Vuol dire che in ogni maglia perdiamo circa un metro di carico di quota piezometrica.

1˚ PUNTO ESERCIZO

Ora passiamo vedere quanto vale la quota piezometrica lungo la linea che per i punti A, C, E, G, I
𝑢
Ricordandoci la definizione di quota piezometrica ℎ =𝛾 +𝜉
𝑤

Ora dobbiamo sapere quanto vale 𝜉= 18 – z

Z: profondità piano campagna verso il basso


18m: distanza tra i due assi

Questa definizione andrà bene anche per il caso successivo

La quota piezometrica h
Nel punto A è pari ad hmonte (27m)

Negli altri punti sarà uguale a:


h del punto precedente - n*∆hi (0.9375m)
Dove “n” è il numero di salti piezometrici tra un punto e l’latro.
Es.
Dal punto A al punto C sono due salti piezometrici (segmenti blu)
Nel passaggio da E a G la h continua a decrescere perché l’acqua non è in
quiete quindi anche se G si trova ad una quota geometrica più alta di E la
quota piezometrica h è più piccola perché si trova su una linea isopienzica
che è due salti dopo e quindi l’acqua ha perso carico.
Nel punto I ci ritroviamo nelle condizioni al contorno h=19.5m che sarebbe la quota piezometrica del
serbatoio di valle.

2˚ PUNTO ESERCIZO

𝑢
Per poter calcolare le pressioni nutre devo calcolare 𝛾 che è pari a
𝑤

𝑢 A
=ℎ−𝜉 C
𝛾𝑤
𝑢
𝛾𝑤
altezza piezometrica (altezza acqua G I
E
piezometro)

Rappresento in figura le altezze piezometriche dei punti A, C, E, G, I.

3˚ PUNTO ESERCIZO

Pressioni neutre
𝑢
u=𝛾 *𝛾𝑤 𝛾𝑤 =9.81 [KN/m3] (peso specifico dell’acqua)
𝑤

4˚ PUNTO ESERCIZO

Al contorno della palancora abbiamo disegnato dei punti significativi a, b, c, d, e, f, g, h, i


Ora dobbiamo svolgere lo stesso procedimento per calcolare le pressioni neutre in questi punti.
Nei punti a e b h=27m perché è il
valore di monte del serbatoio.
Negli altri punti le 𝜉 e le h si
calcolano come sopra.
𝑢
Come anche 𝛾 e u.
𝑤
Grafici
Con la linea tratteggiata indichiamo quella che è la
distribuzione idrostatica nella condizione di acqua
in quiete se prendessimo il pelo libero dell’acqua e
disegnassimo una linea inclinata di 9.81 [KN/m3] in
verticale ed otterremmo questa condizione
idrostatica a monte e a valle. Sono state tracciate
come riferimento.

Se compilate l’esercizio vi compaiono le linee blu continue nei tratti in cui siete in acqua effettivamente
l’andamento è lineale ed è pari all’idrostatica a monte e a valle
Poi a monte la distribuzione reale delle pressioni neutre sono meno dell’idrostatica di riferimento.
A valle invece è il contrario il diagramma sta più sopra.

5˚ PUNTO ESERCIZO

Verifica a sifonamento nell’ipotesi che 𝛾𝑠𝑎𝑡 =20 [KN/m3]


Il sifonamento è quella condizione per la quale si raggiunge un valore della cadente idraulica in un certo
𝛾′
volume di terreno pari al valore critico ic= 𝛾 .
𝑤

𝛾′
dobbiamo verificare per prima cosa dove avviene il sifonamento perché la condizione ic= 𝛾 . è una
𝑤
condizione per la quale le pressioni neutre che si generano per effetto del moto di filtrazione.
La linea blu tanto più si discosta dall’idrostatica quanto più è maggiore il gradiente idraulico i.

Esiste un criterio semplificato di Terzaghi che ci permette di capire se avviene il sifonamento.


Dobbiamo scegliere in un volume di riferimento ipotizziamo D (profondità di infissione della parete nel
terreno) =9m
Dobbiamo vedere cosa accade in un rettangolo paria D*(D/2) = [9*4.5].
La cadente media im sarà pari alla differenza tra hm (che di solito viene
fatto coincidere con il valore di quota di monte) e hv (valore di quota di
valle), il tutto diviso la profondità di infissione della parete nel terreno D.
Avendo risolto il moto di filtrazione conosciamo questi valori in tutti i
punti.
̅̅̅̅̅
Utilizzo ℎ 𝑚 (medio) perché attraverso 3 linee isopienziche (rosso)

̅̅̅̅̅
ℎ𝑚 = (he + he -∆hi + hf)/3 (h medio a monte)
hv = h h
̅̅̅̅̅
im = (ℎ 𝑚 – hv)/D

ic =(𝛾𝑠𝑎𝑡 -𝛾𝑤 )/ 𝛾𝑤
𝑖𝑐
la verifica sarà soddisfatta se 𝑖𝑚 < 3

che si può scrivere anche 3𝑖𝑚 < 𝑖𝑐

divido per 3 perché metto un fattore di sicurezza.


La verifica è soddisfatta (ok)
Se invece avessi avuto un terreno più leggero con 𝛾𝑠𝑎𝑡 =19 [KN/m3]
Con questo moto di filtrazione non sarebbe stata soddisfatta la verifica a
sifonamento.

Fine esercizio

Slide 12
La volta scorsa siamo arrivati a definire l’equazione della teoria della consolidazione di Terzaghi.
Cioè il fenomeno transitorio per il quale le sovrappressioni neutre indotte da una reazione di tensioni totali si
dissipano nel tempo contestualmente ad una deformazione dello scheletro solido, che è regolata in condizioni
monodimensionali da un’equazione che è regolata da un coefficiente di consolidazione verticale cv.
𝛾𝑤 = 𝑝𝑒𝑠𝑜 𝑠𝑝𝑒𝑐𝑖𝑓𝑖𝑐𝑜 𝑑𝑒𝑙𝑙 ′ 𝑎𝑐𝑞𝑢𝑎
𝑘 = 𝑝𝑒𝑟𝑚𝑒𝑎𝑏𝑖𝑙𝑖𝑡à del terreno
𝐸𝑒𝑑 = 𝑚𝑜𝑑𝑢𝑙𝑜 𝑒𝑑𝑜𝑚𝑒𝑡𝑟𝑖𝑐𝑜 𝑜𝑣𝑣𝑒𝑟𝑜 𝑟𝑖𝑔𝑖𝑑𝑒𝑧𝑧𝑎 𝑑𝑒𝑙𝑙𝑜 𝑠𝑐ℎ𝑒𝑙𝑒𝑡𝑟𝑜 𝑠𝑜𝑙𝑖𝑑𝑜
Essendo questa un equazioni differenziale è integrabile purché siano assegnate le condizioni di drenaggio al
contorno e la condizione iniziale che rappresenta la distribuzione di sovrappressioni neutre nel campo dovuta
alle condizioni di carico u0 (z).
Abbiamo uno strato di argilla centrale(H),
sopra abbiamo uno strato di sabbia, sotto uno
strato di roccia compatta (impermeabile),
all’altezza del triangolino tratteggiato abbiamo
una falda e quindi la distribuzione idrostatica
iniziale è pari a us.
Su questo sottosuolo applichiamo un carico
distribuito che fornisce un incremento di
tensioni totali ̅̅̅
𝜎𝑧 costante e uguale in tutte le
verticali di questo sottosuolo (questa è quella
che si chiama condizione monodimensionale
endometrica)
Per effetto di un incremento di tensioni totali al piano campagna uniforme si ha un incremento di tensione
totale in profondità uguale.
Se ho un incremento di tensione totale che non varia con la profondità, l’incremento di pressione neutra u in
condizioni endometriche ed isotrope è pari proprio al valore dell’incremento di tensioni totale iniziale. (si
potrebbe dimostrare partendo dalle formule di Skempton)
Quindi l’incremento di pressione neutra iniziale è dato da un diagramma rettangolare che si somma alla
idrostatica stazionaria rappresentato da un parallelepipedo (giallo)e la linea verde rappresenta l’isocorona
inziale 𝑢
̅̅̅.
0

Nel tempo succede che questa isocorona iniziale per effetto della
consolidazione tende a riportarsi a 0.
Perché si riporta la pressione complessiva ad una condizione stazionaria us
Quindi l’isocorona verde tende ad annullarsi passando per isocorone che
nel tempo saranno di diversa forma (es. rosso).

L’isocorona evidenziata in rosso, riferita ad un generico istante t>0 quindi


durante la consolidazione, deve rispettare le condizioni al contorno.
Sopra l’argilla c’è la sabbia dove non si generano sovrappressioni neutre perché la sabbia è un terreno a
grana grossa quindi molto permeabile ed immediatamente in condizioni drenate (𝑢 ̅̅̅̅=0),
0 quindi nelle sabbie
non ci aspettiamo sovrappressioni neutre per effetto del carico applicato e la pressione complessiva della u è
pari al segmento in blu evidenziato in figura.(tutte le isocorone successive a 0 passeranno per questo punto
dato dall’intersezione del segmento blu e quello rosso)
̅
𝜕𝑢
Nel limite inferiore invece abbiamo una roccia compatta impermeabile (non ha flusso verticale) 𝜕𝑧 =0

Vuol dire che la tangente a tutte le isocorone successiva a quella iniziale deve essere parallela alla condizione
idrostatica e quindi ortogonale alla condizione al contorno.

Slide 13
Qua facciamo almeno della
distribuzione iniziale delle
pressioni neutre e ci
concentriamo soltanto sulla
sovrappressione.

s= sovraccarico uniforme

u0= isocorona iniziale


rettangolare
2H è lo spessore di argilla che consolida.
Il drenaggio qui avviene su entrambe le superfici.
C’è una soluzione analitica che non
pretendo che ricordiate.
È funzione di una variabile
adimensionale z che è la profondità
dello spessore che stiamo considerando.
H= la massima distanza della particella
d’acqua dal contorno drenante.

Nella slide precedente H era tutta l’altezza del banco perché il posto più lontano dal contorno drenante era lo
strato di roccia compatta.
Questo è importate perché T (fattore tempo) è indirettamente proporzionale ad H, quindi tanto maggiore è H
tanto più tempo servirà al terreno per consolidare.
Questo è facilmente intuibile perché tanto è più spesso il banco di terreno tanto più tempo servirà alle
pressioni neutre che sono insorte e trovarsi in equilibrio con le condizioni al contorno.
La fine della consolidazione avviene a tempo infinito.

Slide 14
Pelo libero
In questo grafico è
rappresentata la soluzione
riferita ad un banco
doppiamente drenante che
passano da T=0 a T=0.9
dove le isocore cambiano, si
dissipano le sovrappressioni
neutre.
impedito
Ciascuna di queste linee
rappresenta una
distribuzione di pressioni
neutre normalizzata rispetto
al carico applicato.
Quindi se io applico una
tensione totale σ ottengo
che inizialmente sul bordo
sinistro del grafico avrò 0
Poi mi sposto verso destra al variare di T (fattore tempo) e mi metto all’altezza del puntino rosso avrò valori
𝜎′ 𝑢
di tensioni efficaci che crescono con 𝜎 con il complemento 𝜎 , se mi continuo a spostare verso destra avrò la
tensione totale applicata σ.
L’abaco è normalizzato rispetto ad H quindi al valore 1 a destra corrisponde H perché abbiamo un banco
spesso 2H.
Questa stessa soluzione vale anche per un banco singolarmente drenato purché ci ricordiamo che H è tutto lo
spessore dello strato, quindi devo guardare solo la parte superiore del diagramma fino alla linea rossa.
Quindi in caso di singolo drenaggio posso dimensionalizzare quest’abaco moltiplicando per il valore di H e
posso dimensionalizzare in termini di σ’ e u moltiplicando per il valore del carico applicato σ.
Slide 15

W(t)= cedimento W al tempo t


Wc= cedimento a fine consolidazione

Uw varia tra 0 (quanto all’istante iniziale t=0) e 1 (quando Wc =W(t))


Us si calcola sull’area sottesa all’isocorona su l’area dell’intero
rettangolo.
Quando l’isocorona (area bianca) è arrivata a zero tutte le tensioni totali
sono pari a quelle efficaci.
Invece quando tutta l’area è bianca tutte le tensioni totali sono pari alle pressioni neutre.

Us si può calcolare anche come 1- il rapporto delle due aree.

Slide 16
Ora passiamo al calcolo del cedimento w(t)

σ'/Eed dà la conformazione verticale, integrando questo rapporto ottengo il cedimento.


L’andamento del cedimento W(t) sarà un valore che varia da 0 (t=0) a wc
Quindi possiamo dire che:
Con un valore di T molto elevato tendnete a infinito.

Questa curva
rappresenta una curva
di consolidazione in
termini di cedimento
e tempo

Quindi possiamo dire che:

Quindi la soluzione della curva cedimenti tempo in termini adimensionali è una forma di questo genere del
tipo U(t) funzione di T.

Slide 17
Qui abbiamo la stessa curva a desta dove sono evidenziati alcuni valori caratteristici e a sinistra la stessa
curva però in scala semilogaritmica (cambia la scala dei tempi)
T50 è un valore riferito ad un rado di consolidazione del 50%

Per questa soluzione esistono anche delle


formule approssimante di tipo parabolico
che però a noi non interessa imparare.
(utili per compilare file Excel)
Slide 18
Il diagramma semilogaritmico rappresentala soluzione nel caso di un banco doppiamente drenato o
singolarmente drenato (basta cambiare il valore di H) purché ci riferiamo ad un isocorona iniziale
rettangolare.
Cioè a questo caso qua:

Caso 1

Ci possiamo trovare in altri casi dove il terreno è drenato da entrambe le parti e l’isocorona iniziale è
triangolare.

È il caso dell’esercizio della volta scorsa.


La volta scorsa abbiamo analizzato un moto di filtrazione dal basso verso l’alto che nasceva per effetto
dell’emungimento di un pozzo che sta sotto.
Adesso stiamo valutando l’istane inziale
dove noi abbiamo generato una
sottopressione nel acquifero inferiore
(nel livello di sopra resta costante)
Ciò vuol dire che io ho una Caso 2
sovrappressione neutra sotto e 0 sopra.
Quindi la mia isocorona iniziale è
conseguente della condizione idraulica al
contorno sarà triangolare.

Se faccio la stessa cosa invece dell’acquifero superiore


avrò una situazione analoga solamente che il diagramma sarà
invetrio.
La sovrappressione idraulica la avrò al bordo superiore di questo
strato di argilla e sotto peri a 0. Caso 3

Ora la combinazione 1 possiamo immaginarla come somma della 2 più 3.


Quindi si può assumere che anche per la condizione 2 e 3 valgano le stesse soluzioni della 1, purché lo strato
sia doppiamente drenato.
La soluzione è funzione dell’isocorona iniziale e delle condizioni di drenaggio.
Slide 20
Ci possiamo trovare in condizioni diverse dove il banco è singolarmente drenato.

La differenza sta che nel caso c la sovrappresione maggiore


dell’isocorona iniziale si trova nella parte del contorno
drenante.

Nel caso b la sovappresione maggiore si trova dal lato


impermeabile.

Le curve c e b sono diverse, ed in mezzo c’è un'altra curva

che è riferita al caso di isocorona rettangolare con contorno


singolarmente drenante(caso a).

Il caso a coincide con il caso 1 della slide precedete.

Questi due casi(c,b) sono teorici, noi immaginiamo di avere un contorno drennante sopra(sabbia) e
impermeabile sotto(roccia) ed una soprassione iniziale rettangolare.

Questo capita quando abbiamo un incremento di tensioni verticali non distribuito ma soltanto su di un area
di carico, ottengo una distribuzioni di tensioni totali che varia con la profondità, applico la formula di
skepton e do luogo a distriguzioni di sovrappresioni neutre approssimati alla forma di un triangolo con
vertice in basso (caso c).

IL caso b potrebbe essere il caso rappresentitvo di un altro problema, di un terreno che si stà depositnado.

In tempi geologici molto lunghi io ho un bacino d’acqua con delle particelle che sedimentando e sullo strato
più basso genenrano dei carichi che sono quelli della colonna di terreno man mano che sedimenta.

Quindi queste distribuzioni di tensioni totali sono delle distribuzione che crescono lineramenete con la
profondità perché sarà massima sotto e minima (pari a zero sopra).

Siccome ancora non è ancora consolidato il banco (stiamo al inizio della storia geologica dle banco) le
tensioni totali si traducono in sovrappresisoni neutre non ancora in tensioni efficaci.

La consolidazione asarà più veloce laddove la sovrappresione maggiore sarà nella parte del contorno
drenante.

Infatti guardando il diagramma avremmo che la c sarà piu veloce, avedno più del 50% della consolidazione
per un tempo inferiore a 0.1

Nella b invece avrò un fattore di tempo pari a 3(+ o -), quindi è molto più lento
rispetto a c.

(non sta suelle diapositive)

Se invece siamo nel caso c (figura a lato) drena inferiormente l’isocorna dal tempo
T=0 si evolerà velocemtne verso zero.

Nel caso B (figura a lato) non drena lo strato inferiore e l’isocorna non va a zero
perché il drenaggio sta lontano ma col tempo diminuisce però deve rispettare la
condizione di essere sempre ortogonale alla superfice impermeabile.
Prova Edometrica

Questa prova di laboratorio, fatta su un provino di terreno, risponde a 3 percorsi:

Nella compressione edometrica studiamo le tensioni efficaci verticali 𝜎𝑣′ e le deformazioni assiali verticali
del provino, che, nel caso edometrico, coincidono anche con quelle volumetriche 𝜀𝑣 .

Le informazioni sulla compressibilità che otteniamo sono di tipo unidimensionale ovvero di tipo 𝑘0 , cioè
quelle che abbiamo anche in sito, non isotrope, per distinguersi dalle altre prove in cui abbiamo
informazioni di tipo isotrope. Questo non è un grosso problema perché in realtà i parametri di
compressibilità unidimensionali o isotropi sono legati gli uni agli altri, quindi, se li otteniamo da prova
edometrica, ci possiamo spostare su un percorso isotropo e viceversa.

La prova edometrica si fa su un provino:


Il provino è un disco di terreno molto schiacciato ed è confinato lateralmente da un anello rigido. Questo
confinamento è il fulcro della prova edometrica perché è una prova monodimensionale il che vuol dire che
c’è solo una deformazione in direzione verticale. L’anello rigido deve impedire le deformazioni radiali, ossia
le deformazioni nel piano orizzontale. Ci sono due piastre porose che si mettono sopra e sotto il provino e
che servono a garantire una condizione di drenaggio libero, quindi a ridurre i tempi di consolidazione. Il
provino è quindi doppiamente drenato e l’altezza di drenaggio sarà 𝐿⁄2.

Abbiamo inoltre una piastra metallica sopra che serve a ripartire il carico, che è applicato come sforzo
normale, cioè come carico assiale, attraverso un sistema di leve. Ogni edometro ha una cella in cui è
contenuto il provino. Vi è una leva, con all’estremità una serie di pesi. Aggiungendo pesi all’estremità della
leva noi stiamo applicando un carico verticale centrato, per evitare di trasferire anche un momento
flettente, alla testa del provino, che si traduce in tensioni verticali totali applicate alla superficie del
provino. Il provino è contenuto in una vaschetta cilindrica, dentro la quale c’è un battente d’acqua che deve
coprire anche la piastra porosa perché deve garantire che le piastre porose siano sature. La vaschetta ha
un’altezza di 5 o 6 centimetri mentre il provino è alto 2 cm. La condizione al contorno del provino è quindi
che la pressione neutra sia pari a 0 ed è la condizione di equilibrio all’inizio della prova.

Gli obiettivi della prova sono:

• Determinare le caratteristiche di compressibilità monodimensionali ed il rigonfiamento.


Determinare le caratteristiche di compressibilità vuol dire determinare la legge che lega le
deformazioni volumetriche agli incrementi di tensione isotropa in generale, o di compressione.
Determiniamo il rigonfiamento, invece, perché se in compressione stiamo caricando il provino,
quando lo scarichiamo questo tenderà ad aumentare di volume in condizione edometriche, ossia
con deformazione laterale impedita.
• Determinare le caratteristiche di consolidazione, perché, dalla prova edometrica, interpretando il
processo di consolidazione che avviene in ciascun incremento di carico che noi applichiamo,
aspettiamo un po’ di tempo che si dissipino le sovrappressioni neutre, otteniamo informazioni su
𝐶𝑣 , quel parametro che ci serve per vedere quanto è veloce la consolidazione e la dissipazione delle
sovrappressioni neutre di questo terreno e quindi quanto è veloce il passaggio tra condizione non
drenata e condizione drenata.
• Conoscere la storia tensionale precedente del campione. La prova edometrica è lo strumento
principale con cui otteniamo informazioni su quello che si chiama anche grado di
sovraconsolidazione del terreno.

Le deformazioni verticali le leggiamo attraverso la misura degli spostamenti verticali della testa del provino,
che sono letti con un’attrezzatura un poco obsoleta, ossia un micrometro che misura lo spostamento
verticale della testa del provino. C’è un nucleo che scorre in verticale, connesso alla testa del provino,
quindi man mano che il provino si comprime la testa scende e questo micrometro legge di quanto si è
abbassato il provino. Oggi in realtà si usano strumenti di misurazione dello spostamento digitali, che
funzionano in maniera simile.
Vediamo meglio come è fatto l’edometro:

All’interno vediamo l’anello rigido, le piastre porose con dei sistemi di serraggio, la testa di carico. Sotto
vediamo che la base ha delle scanalature connesse ad un rubinetto, perché da lì è possibile far entrare e
uscire acqua per consentire facilmente il drenaggio.

Le dimensioni del provino sono contenute in altezza per ridurre i tempi di consolidazione in quanto più
piccolo è ℎ, più piccolo sarà 𝐻, quindi minore sarà il tempo di consolidazione necessario per passare dalle
condizioni non drenate alle condizioni drenate. 𝐷 invece è elevata per evitare concentrazione di tensioni
nei bordi e quindi per avere una distribuzione delle tensioni verticali uniformi. 𝐷⁄ℎè compreso tra 2,5 e 6.
Inoltre lo spessore è piccolo così da ridurre l’attrito che viene trasferito. Questi sono i motivi per i quali
nella prova edometrica abbiamo questa forma a disco.
Abbiamo una leva che deve applicare il carico 𝑁:

Noi applichiamo il peso P con un sistema di pesi, per cui tramite la legge delle leve otteniamo 𝑁. Dividendo
poi per l’area A otteniamo la tensione verticale 𝜎𝑣 , quindi noti i pesi applicati abbiamo la tensione totale.

La 𝜎𝑣 è quella rossa, funzione del tempo. Applichiamo il primo gradino, ossia il primo incremento di 𝜎𝑣 , e
aspettiamo 24 ore, poi applichiamo un altro gradino ed aspettiamo altre 24 ore e così via. Questi
incrementi di tensione totale corrispondono a variazioni di tensioni efficaci. Assumendo che a 24 ore la
consolidazione sia completamente avvenuta, si sviluppano mano mano le tensioni efficaci (verdi), che
partono da un valore iniziale e tendono alla fine al valore delle tensioni totali (rosse). La differenza sono le
sovrappressioni neutre perché questi tratti verticali di distanza tra la verde e la rossa rappresentano la
sovrappressione che si riduce e va a 0 alla fine del passo di carico di 24 ore.

Poiché si incrementano le tensioni efficaci pur essendo costanti le tensioni totali, aumentano gli
spostamenti. Il 𝑤 rappresenta il cedimento della testa di carico del provino nel tempo, quei punti viola
corrispondono alla lettura del cedimento che noi facciamo nelle 24 ore ogni tot tempo.

In una prova edometrica gli incrementi di carico effettuati sono circa una decina. Partiamo da 10 𝑘𝑃𝑎 per
arrivare a 5000 𝑘𝑃𝑎 e gli incrementi sono sempre il doppio del precedente, con le dovute approssimazioni.
Il delta dei gradini è dato da una progressione geometrica che ci consente di avere punti equidistanziati
nella nostra rappresentazione. Ci sono quindi dei tempi standard tra la misura di un cedimento e l’altra.
Di solito nella prova edometrica noi facciamo non soltanto un carico ma anche uno scarico, cioè arrivati a
5000 𝑘𝑃𝑎, arriviamo di nuovo a 10 𝑘𝑃𝑎. In questo caso, normalmente, non utilizziamo tutti i carichi, ma
invece di prendere un carico ogni 24 ore, ne prendiamo uno ogni 48 ore. Questo perché in scarico il
comportamento del terreno è più lineare, quindi non abbiamo bisogno di tanti punti per stabilire come
varia la compressibilità del terreno in fase di scarico.

A noi interessa riportare il risultato non soltanto in termini di cedimenti ma anche in termini di indice dei
vuoti poiché le relazioni che esprimono la compressibilità sono espresse in termini di indice dei vuoti. Per
conoscere l’indice dei vuoti, ovvero la porosità, dobbiamo procedere ad una doppia pesata. Terminata la
prova, prendiamo il provino così come è e lo pesiamo. Lo mettiamo in stufa 24 ore a 105° e poi facciamo
essiccare. Con il metodo della doppia pesata conosciamo il contenuto d’acqua e quindi conosciamo l’indice
dei vuoti, il che significa che conosciamo l’indice dei vuoti finale. Sappiamo inoltre quali sono state le
deformazioni volumetriche, poiché conoscendo l’abbassamento 𝑤 possiamo conoscere le deformazioni
assiali, siccome quelle orizzontali sono nulle, le deformazioni assiali coincidono con quelle volumetriche.
Noto quindi il valore finale dell’indice dei vuoti risaliamo al valore iniziale dell’indice dei vuoti sottraendo la
deformazione volumetrica che abbiamo misurato.

In un piano 𝑞 − 𝑝’ il percorso edometrico può essere rappresentato dalla linea verde, dove il rapporto 𝜂 =
𝑞
⁄𝑝′ rappresenta la pendenza di questa retta.

Ognuno dei punti rappresenta un punto della prova che si ottiene definendo 𝑞 e 𝑝′ partendo dalla tensione
verticale e dalla tensione orizzontale. Poiché siamo in condizioni di deformazione laterale impedita, le
tensioni verticali e le tensioni orizzontali sono legate tra di loro tramite un coefficiente 𝑘0 che rappresenta il
𝑞
rapporto tra la tensione orizzontale e quella verticale. Questa pendenza ⁄ è costante in carico. Se
𝑝′
rappresentiamo un inviluppo di rottura in termini 𝑞 − 𝑝’, questa retta ha una pendenza che è sempre
superiore a 𝜂, il che vuol dire che se facessimo una prova edometrica, ci muoviamo sempre lungo la linea
verde, e non è possibile che si possa arrivare a rottura. Infatti i percorsi di compressione sono definiti come
quei percorsi in cui le deformazioni volumetriche prevalgono su quelle deviatoriche e non giungono a
rottura. Il motivo per cui questa prova è una prova di compressione è perché la sua pendenza è inferiore a
quella dell’inviluppo di rottura. Il 𝑘0 però a priori non è noto, ma possiamo stimarlo. In una prova
edometrica tradizionale, per calcolarlo dobbiamo conoscere le tensioni efficaci e dovremo misurare non
soltanto le tensioni orizzontali ma anche le sovrappressioni neutre, altrimenti non conosceremo le tensioni
orizzontali efficaci.

In termini di cedimento-tempo, possiamo osservare in tabella i valori degli istanti di tempo a cui andiamo a
misurare i cedimenti tramite il trasduttore, in una scala naturale 𝑤 in funzione del tempo avremo:

In una scala semilogaritmica avremo:

La scala semilogaritmica ci consente di avere i punti più o meno equidistanziati, si distende la parte iniziale
della curva, che altrimenti sarebbe molto verticale e schiacciata quindi difficile da leggere.

Queste rappresentazioni ci mostrano alcuni dettagli che non sono compatibili con la teoria di Terzaghi. Il
primo errore è che il cedimento iniziale non è pari a 0, questo errore è dovuto al fatto che la superficie
superiore del provino non è perfettamente regolare, quindi quando andiamo ad appoggiare la testa di carico
c’è sempre un minimo errore dovuto alla connessione della testa alla superficie superiore del provino e vi è
uno spostamento necessario per connettere la testa alla superficie del provino che non corrisponde
esattamente ad una compressione del provino. Il secondo errore è che la consolidazione finisce a tempo
infinito, quindi a tempo infinito dovremo aspettarci un cedimento costante con un asintoto orizzontale della
curva, invece la curva non ha un asintoto orizzontale ma un asintoto obliquo, che corrisponde ad un
comportamento viscoso, ossia il materiale, a carico costante, nel tempo continua a deformarsi. In realtà
quello che è costante è la 𝜎𝑣′ .

La consolidazione primaria, che risponde alla teoria di Terzaghi, consiste nelle deformazioni di volume
associate a dissipazioni di sovrappressioni neutre.

Il cedimento in funzione del tempo è rappresentato dalla curva viola, la Δ𝑢⁄Δ𝜎 invece passa da 1 a 0.

La consolidazione secondaria, invece, è a tensione efficace costante quindi con Δ𝑢 sempre nulla, e dà un
andamento lineare in scala logaritmica del cedimento.

La consolidazione secondaria non avviene dopo quella primaria, ma avviene fin dall’inizio, soltanto che ci
rendiamo conto che c’è un cedimento secondario soltanto alla fine, quando il cedimento primario è poco,
quindi l’asintoto sarà obliquo e non orizzontale.
La somma dei due fenomeni dà luogo alla curva sperimentale.

Il coefficiente 𝑐𝑣 , coefficiente di consolidazione verticale, è quello che dobbiamo determinare. Poiché 𝑐𝑣


risponde al fenomeno di consolidazione primaria e non secondaria, dobbiamo ripulire la curva dall’errore per
poter ottenere un valore affidabile di 𝑐𝑣 . Lo facciamo con il metodo di Casagrande. Questa è la curva
sperimentale cedimento-tempo:

Il provino ha altezza ℎ0 = 2𝐻, con 𝐻 altezza di drenaggio.


Possiamo determinare:

• il cedimento di consolidazione primaria, 𝑤𝑐 ;


• il coefficiente di consolidazione primaria, 𝑐𝑣 ;
• il coefficiente di consolidazione secondaria, 𝑐𝛼 , che rappresenta la pendenza della curva nella
consolidazione secondaria.

Innanzitutto identifichiamo due istanti di tempo, 𝑡 e 4𝑡. Il cedimento in 4𝑡 sarà pari a due volte il cedimento
in 𝑡, quindi la prima parte della curva rispetta una legge di tipo parabolico. La differenza di cedimento tra 4𝑡
e 𝑡, ossia Δ𝑤 (segmento verde), la ribaltiamo ed il nostro 0 sarà in sommità del Δ𝑤 ribaltato.

Cioè è come se stessimo traslando verso l’alto la nostra curva di un valore pari a Δ𝑤, ossia a quando il grado
di consolidazione medio è pari a 0. Tutto quello che c’è sopra questo punto corrisponde ad un assestamento
del provino, quindi non è un effetto della consolidazione.

Altro problema è sulla coda, dove facciamo la tangente al punto di flesso, poi la tangente all’asintoto obliquo,
dove questi due si incontrano abbiamo la fine della consolidazione primaria con 𝑈 = 1.

Su questa curva andiamo a definire un parametro 𝑡50 , in corrispondenza del 50% della consolidazione in
modo da spalmare l’errore un po' prima ed un po' dopo, che ci serve a determinare il coefficiente di
consolidazione verticale:

0,197 ∙ 𝐻 2
𝑐𝑣 =
𝑡50

Con:
𝑐𝑣 ∙ 𝑡50
𝑇50 = = 0,197
𝐻2

𝐻 2 lo conosco perché conosco l’altezza del provino, quindi noto 𝑡50 so quanto vale 𝑐𝑣 . Il 𝑡50 corrisponde
all’istante di tempo a metà della consolidazione. Poiché conosco quanto valgono 𝑤0 e 𝑤100 , i cedimenti a 0
𝑤100 −𝑤0
e 100%, so anche qual è la loro metà ( 2
+ 𝑤0 ). In corrispondenza del punto così trovato, vado a
leggere sopra l’istante di tempo che è il 𝑡50 da usare nella formula. In questo modo posso calcolare 𝑐𝑣 .

Calcoliamo ora 𝑐𝛼 che rappresenta la pendenza di questo asintoto obliquo. L’asintoto obliquo che viene
utilizzato nella costruzione per ricavarci il cedimento di consolidazione primaria in realtà ha pendenza che
tan 𝛼
chiamiamo tan 𝛼, perché alfa è l’angolo, mentre 𝑐𝛼 = ℎ𝑜
, questo perché ci dà una variazione nel tempo
𝑤
non dello spostamento ma della deformazione verticale che è e quindi ecco perché diviso h0.
ℎ0
Ricapitolando:
Innanzitutto calcoliamo il cedimento immediato, vale la relazione che 𝑤 è proporzionale alla radice dei tempi,
𝑤(4𝑡)
quindi 𝑤(𝑡)
= 2, posso ribaltare ed estrapolare il valore a 𝑡 = 0.

Poi calcoliamo il cedimento secondario 𝑤𝑠 che è l’intersezione tra la tangente del punto di flesso e l’asintoto.
Poi calcoliamo il cedimento di consolidazione 𝑤𝑐 che è dato da: 𝑤𝑐 = 𝑤𝑓 − 𝑤0 − 𝑤𝑠

Con: 𝑤𝑓 =cedimento finale; 𝑤0 = cedimento iniziale; 𝑤𝑠 = cedimento secondario.

Calcoliamo poi il coefficiente di consolidazione 𝑐𝑣 che otteniamo a metà del cedimento di consolidazione,
𝑐𝑣 ∙𝑡50 0,197∙𝐻 2
cioè quando 𝑈 è pari al 50%, imponendo 𝑇50 = 𝐻2
= 0,197 ed invertendo 𝑐𝑣 = 𝑡50
.

Infine calcoliamo il coefficiente di consolidazione secondaria 𝑐𝛼 in termini di deformazione che sarebbe:


𝑤
−Δ𝜀 −Δ 𝑠⁄ℎ tan 𝛼
0
𝑐𝛼,𝜀 = Δlog 𝑡
= Δlog 𝑡
= ℎ𝑜
.

−Δ𝑒
A volte si usa esprimere 𝑐𝛼 non come Δ𝜀 ma come Δ𝑒, indice dei vuoti, quindi 𝑐𝛼 = Δlog 𝑡. Differiscono per
una costante perché la deformazione assiale, che è uguale a quella volumetrica, è proporzionale alla
variazione degli indici dei vuoti, quindi a meno di una costante che è 1 + 𝑈0 , i due valori 𝑐𝛼,𝜀 e 𝑐𝛼 sono
proporzionali l’uno all’altro.

Tutto quello che abbiamo detto fino ad esso sintetizza quello che facciamo nel singolo passo di carico:
applichiamo una forza, misuriamo gli spostamenti, otteniamo la curva rossa, passano 24 ore, applichiamo
un'altra forza, otteniamo un’altra curva rossa, facendone tante quanti sono gli incrementi di carico. Da
ciascuna curva rossa possiamo ottenere 𝑐𝑣 e 𝑐𝛼 . 𝑐𝑣 lo potremmo ricavare da una delle curve che abbiamo nei
vari passi di carico, ma il valore è sensibilmente costante, cioè 𝑐𝑣 non dipende dal carico o dall’incremento di
carico applicato perché l’ordine di grandezza è lo stesso in tutti i passi di carico, quindi determinato in un
caso è uguale per tutti gli altri. Una volta fatti tutti i passi di carico possiamo arrivare alla legge di
compressibilità.
Nella curva tensione deformazione che otteniamo sperimentalmente dalla prova edometrica ognuno dei
punti blu rappresenta il risultato degli incrementi di carico, quindi rappresenta il valore finale della curva
rossa, vista prima.

Ognuno di questi punti corrisponde a 24 ore di attesa con eventuali spostamenti e cedimenti e, visto che
misuriamo il cedimento al termine delle 24 ore, conosciamo la deformazione verticale, conosciamo anche la
tensione verticale applicata efficace che corrisponde al carico applicato, una volta che abbiamo aspettato la
fine della consolidazione, effettivamente al carico applicato, che è uguale sempre alla tensione totale,
corrisponde la tensione efficace quindi possiamo ottenere un punto. Lo facciamo 𝑛 volte all’aumentare del
carico e 𝑛⁄2 volte nella fase di scarico. Il risultato è quindi una curva di carico fino a 5000 𝑘𝑃𝑎 e una scarico.

Osserviamo che il terreno caricato, quando è stato scaricato ha recuperato una deformazione elastica (che
corrisponde alla differenza tra il valore di deformazione finale a 5000𝑘𝑃𝑎 e l’ultimo a 0, circa il 23 − 26% di
deformazione elastica recuperata). Invece una parte della deformazione non è stata recuperata, perché
ormai il terreno è compresso plasticamente in maniera irreversibile. Quindi possiamo definire le
deformazioni elastiche, quelle reversibili, e quelle plastiche, irreversibili. Abbiamo di fatto cambiato l’assetto
delle particelle nel provino in maniera irreversibile per effetto di questo 𝜀𝑝 , perché quando vado a scaricare
recupero 𝜀𝑒 .

Se fosse stato un materiale elastico, anche non lineare, una volta arrivati al carico massimo saremmo scesi
lungo la stessa curva fino allo stato iniziale, recuperando tutte le deformazioni, come succede ad una spugna
che una volta rilasciata torna alla sua configurazione iniziale. Il terreno non è così, perché parte delle
deformazioni sono di natura elastica e parte di natura elasto-plastica, definendo così il comportamento
elasto-plastico del terreno.

Se per esempio andassimo a calcolare il valore del modulo di compressione edometrica 𝐸𝑒𝑑 , definito come
rapporto tra Δ𝜎𝑣′ e deformazione corrispondete, tra 0 e 5000, sarebbe 5000 diviso il 26% di deformazione.
Ovviamente avremmo linearizzato una cosa che non è lineare. Potremmo, però, definire meglio ciascuno di
questi moduli. Per ogni Δ𝜎𝑣′ che applichiamo, leggiamo la corrispondete variazione di deformazione verticale
Δ𝜎𝑣′
e facciamo il rapporto Δ𝜀𝑧
. Facendo tutti questi rapporti, all’aumentare della tensione verticale efficace
questo valore cresce poiché al centro il terreno è sempre meno compressibile, poiché i vuoti che stanno
dentro, che sono quei vuoti che consentono al materiale di deformarsi, si riducono.

Il modulo di compressibilità edometrica va da 5 𝑀𝑃𝑎 a 50 𝑀𝑃𝑎, quindi diventa 10 volte più grande, il che ci
dice quanto è non lineare il terreno, perché se fosse lineare quel modulo sarebbe costante. Quindi
𝑤
sperimentalmente misuriamo 𝑤, otteniamo la deformazione 𝜀𝑧 come ℎ e riportiamo il diagramma 𝜎 ′ − 𝜀𝑧 ,
0
ottenendo una legge in termini di modulo edometrico.

L’altro modo di rappresentare la compressibilità è in termini di indice dei vuoti. 𝜀𝑧 è la deformazione verticale
che è anche pari alla deformazione volumetrica, perché le deformazioni orizzontali sono pari 0 in quanto
bloccate, quindi la deformazione volumetrica coincide con la deformazione verticale.

−Δ𝑣 1 + 𝑒 − (1 + 𝑒0 ) 𝑒 − 𝑒0 −Δ𝑒
𝜀𝑧 ≡ 𝜀𝑣𝑜𝑙 = = = =
𝑤0 1 + 𝑒0 1 + 𝑒0 1 + 𝑒0

Dove:

𝜀𝑣𝑜𝑙 è la deformazione volumetrica;

Δ𝑣 rappresenta il volume finale (1 + 𝑒) meno il volume iniziale (1 + 𝑒0 ), ed è negativo perché il volume finale
è più piccolo del volume iniziale;

𝑤0 rappresenta il volume iniziale (1 + 𝑒0 ).

Se questo è vero possiamo scrivere una relazione lineare tra la deformazione verticale 𝜀𝑧 che misuriamo e
l’indice dei vuoti Δ𝑒 che vogliamo conoscere:

𝑒 = 𝑒0 − 𝜀𝑧 (1 + 𝑒0 )
Allora possiamo ricavare dalle deformazioni 𝜀𝑧 , quindi dai valori degli spostamenti 𝑤, i valori di 𝑒, ottenendo
questa nuova curva:

Quindi questa curva 𝑒 − 𝜎𝑣′ è il risultato che noi avremo, assieme a tutte le curve di consolidazione nel tempo,
da un laboratorio commerciale. Sulla curva possiamo identificare un ramo di ricompressione, che ha una
pendenza definita 𝐶𝑟 , una retta vergine che ha pendenza 𝐶𝑐 (indice di compressibilità) e un ramo di
rigonfiamento o di scarico che ha pendenza 𝐶𝑠 (dove 𝑠 sta per swelling = rigonfiamento).

Possiamo notare che ricompressione e rigonfiamento sono molto simili in particolare 𝐶𝑟 è pari a 𝐶𝑠 . Quello
che è interessante guardare e che la retta vergine ha la pendenza 𝐶𝑐 > 𝐶𝑠 . Inoltre possiamo ancora osservare
che noi mentre accumuliamo deformazioni plastiche vediamo che in realtà, dove si congiungono il ramo di
compressione e la retta vergine, questa ci ricorda uno snervamento del materiale, cioè dove cambia il
comportamento, tendendo a passare da un comportamento elastico ad uno elasto-plastico, con notevoli
deformazioni plastiche. La gran parte delle deformazioni plastiche avvengono nella curva di primo carico,
invece la gran parte delle deformazioni elastiche avvengono nella curva di scarico, lo snervamento quindi
avviene nella zona identificata nel grafico.

Quali sono le relazioni tra questi coefficienti? Innanzitutto, la compressibilità può essere correlata ai limiti di
Atterberg, cioè quanto più il terreno è plastico tanto più è compressibile. Esistono quindi delle relazioni tra
𝐶𝑐 e 𝑤𝐿 , 𝐶𝑐 ed 𝐼𝑝 , cioè noti 𝑤𝐿 e 𝐼𝑝 di un terreno noi già ci aspettiamo quanto possa valere 𝐶𝑐 che misuriamo
nella prova edometrica.

𝐶𝑐 ≈ 0,9(𝑤𝐿 − 0,1)

𝐼𝑝
𝐶𝑐 ≈ ≈ 1,35 ∙ 𝐼𝑝
0,75

Queste relazioni ci servono per capire se il valore ottenuto dalla prova è buono, perché sia 𝐼𝑝 sia 𝐶𝑐 devono
in qualche modo rientrare in determinati range. Se così non è bisogna capire se c’è stato qualche errore o se
il terreno è un terreno particolare che ha caratteristiche diverse dagli altri.
Un’altra relazione da tenere in conto è quella che c’è tra 𝐶𝑠 o 𝐶𝑟 ( che sono praticamente uguali) e 𝐶𝑐 . La
pendenza della linea vergine rispetto a quella della linea di rigonfiamento è di 5 − 10 volte maggiore, quindi
il rapporto tra il coefficiente di compressibilità 𝐶𝑐 e quello di rigonfiamento 𝐶𝑟 è di 0,1 o 0,2:

𝐶𝑟
= 0,1 ÷ 0,2
𝐶𝑐

Ci sono anche correlazioni che ci dicono quanto ci aspettiamo che sia il coefficiente di consolidazione
secondaria 𝑐𝛼 in funzione del 𝐶𝑐 e ci dà un’indicazione per argille inorganiche o organiche:
𝑐𝛼
= 0,04 ÷ 0,01 (𝐴𝑟𝑔𝑖𝑙𝑙𝑒 𝑖𝑛𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑐ℎ𝑒)
𝐶𝑐
𝑐𝛼
= 0,05 ÷ 0,01 (𝐴𝑟𝑔𝑖𝑙𝑙𝑒 𝑜𝑟𝑔𝑎𝑛𝑖𝑐ℎ𝑒)
𝐶𝑐

Possiamo sintetizzare in questa tabella valori tipici di 𝐶𝑐 , di rapporto 𝐶𝑐 − 𝐶𝑠 e valori tipici di 𝑐𝛼 in funzione
di 𝐶𝑐 .

Notiamo che passando da limi ed argille inorganiche ad argille organiche, 𝐶𝑐 aumenta passando da 0,2 a 4,
cioè man mano che il terreno diventa più plastico, aumenta la sua compressibilità. Le torbe invece hanno una
compressibilità pari a 15, cioè sono molto compressibili rispetto agli altri terreni.

È importante sapere in che campo tensionale stiamo lavorando per sapere che valore del modulo edometrico
aspettarmi.

Se stiamo considerando un volume significativo di terreno inferiore ai 20 m, quindi aree di carico piccole,
allora possiamo prendere i valori tra 50 e 100𝑘𝑃𝑎, se invece abbiamo volumi significativi più estesi,
tra 20 e 50 metri , allora avremo un modulo di compressibilità edometrica che è il doppio. Se l’argilla è
sovraconsolidata (OC over consolidated) ha un modulo edometrico che, a parità di argilla, è molto più grande
rispetto ad un’argilla normal consolidata (10 − 20 volte).
Dalla prova edometrica possiamo ottenere informazioni relative alla storia tensionale dei depositi.

Immaginiamo una storia tensionale, per esempio un terreno che si è depositato per millenni passando dalla
posizione 1 alla posizione 2. Ovviamente il terreno, quando il piano di campagna era in posizione 1, era
soggetto ad una tensione efficace verticale 𝜎𝑣′ ed alla corrispondente 𝜎ℎ′ , è poi passato ad un valore diverso
di tensione, lo possiamo vedere sia nel piano 𝑒 − 𝜎𝑣′ , sia nel piano 𝜎ℎ′ − 𝜎𝑣′ . Nel piano 𝜎ℎ′ − 𝜎𝑣′ è chiaro che
se aumentassimo il peso del terreno che c’è sopra, aumentando la tensione efficace verticale, aumenta anche
quella orizzontale. Nel piano 𝑒 − 𝜎𝑣′ se mettessimo il terreno sopra, l’indice dei vuoti tenderà a ridursi perché
il terreno si comprime, come è possibile osservare dal grafico. Se andiamo al punto 3, succede esattamente
la stessa cosa. Supponiamo che il punto 3 è il punto massimo a cui è arrivato il piano di campagna, allora la
tensione verticale corrispondete nel punto 3 è la massima tensione geostatica 𝜎𝑣′ che il generico elemento di
volume ha subito nel tempo, e la chiamiamo tensione di sovraconsolidazione. Il percorso 1-3 è stato tale che
il rapporto tra 𝜎𝑣′ e 𝜎ℎ′ è pari a 𝑘0 , perché è un percorso edometrico monodimensionale, e quindi questo
percorso avviene in condizioni 𝑘0,𝑁𝐶 (normal consolidata), o meglio, il terreno è stato caricato ma mai
scaricato, ha quindi raggiunto la massima tensione di sovraconsolidazione.

Immaginiamo che avvenga un’erosione per cui il terreno viene asportato e, da 3, il livello scende a quello che
era 2. Questo livello lo chiamiamo 4 perché stiamo scaricando e recuperiamo solo una parte delle
deformazioni (quindi non stiamo più sulla stessa curva) con indice dei vuoti più basso. Se fossimo arrivati di
nuovo in 2 avremo recuperato tutta la deformazione. Ormai, però, il terreno è stato compresso in parte in
maniera irreversibile e anche il rapporto tra 𝜎𝑣′ e 𝜎ℎ′ non è più 𝑘0,𝑁𝐶 ma è 𝑘0,𝑂𝐶 , in quanto dipende dallo stato
di sovraconsolidazione. Continuando a scaricare, passando da 4 a 5, torniamo nella stessa posizione di 1, però
l’indice dei vuoti di 5 è molto diverso dall’indice dei vuoti di 1, e anche 𝑘0,5 è diverso da 𝑘0,1. Allora dobbiamo
tener conto che se ci troviamo nel punto 5 il comportamento di questo terreno fa riferimento all’indice dei
vuoti che per oggi è iniziale, ma è ben diverso da quello che si trovava alcune decine di anni fa quando l’indice
dei vuoti era quello del punto 1. Pur essendo la tensione applicata la stessa, il terreno non è più lo stesso, per
la differenza di indice dei vuoti, e quindi la sua risposta oggi sarà diversa. Per tener conto di questo aspetto
definiamo una grandezza chiamata OCR (Over Consolidation Ratio = Grado di sovraconsolidazione) che è

definita come il rapporto tra la tensione 𝜎𝑣𝑝 (la massima tensione verticale geostatica che questo terreno

abbia mai conosciuto nella sua vita geologica) e l’attuale tensione 𝜎𝑣0 in sito alla generica profondità. Tale
valore è ≥ 1. Se 𝑂𝐶𝑅 = 1 il terreno è normal consolidato e non ha mai conosciuto una tensione superiore a
quella attuale, se 𝑂𝐶𝑅 > 1 il terreno è sovraconsolidato. In sedimentazione il terreno è più compressibile
che in erosione, quindi si accumulano deformazioni maggiori nel percorso 1-3 piuttosto che nel percorso 3-
5, inoltre c’è anche la differenza di 𝑘0 .

Vediamo cosa succede in un campione di terreno normal consolidato in un grafico 𝑒 − 𝜎𝑣′ :

Abbiamo prelevato un campione ad una certa profondità di un terreno normal consolidato. Se è normal
consolidato in sito, si trova sulla linea LS, che abbiamo chiamato curva di sedimentazione. Per effetto del
campionamento abbiamo alterato lo stato, l’abbiamo un po’ scaricato, quindi non stiamo più sulla linea
iniziale ma stiamo in C. Ovviamente ci troviamo in C perché partiamo da 10 𝑘𝑃𝑎 (dato dallo standard della
prova). Se il provino si trovava a 5 m di profondità, si trovava ad una tensione di 50 𝑘𝑃𝑎 = 10 ∙ 5.

Allora ricarichiamo l’edometro, abbiamo questo primo tratto che abbiamo chiamato di ricompressione, poi
entriamo nella linea vergine, che è una linea di normal consolidazione e coincide con la curva di

sedimentazione, oltre ad esserne il prolungamento. Il punto trovato è il punto di snervamento 𝜎𝑣𝑦 (y sta
yield = snervamento) che coincide con la tensione di sovra consolidazione apparente. Apparente perché
questo punto, siccome il provino è normal consolidato, è esattamente allo stesso punto in cui si trova il
terreno in sito, se lo riportiamo alla tensione che abbiamo in sito a quella profondità, il provino ritornerà in
𝜎′
linea vergine, linea di normal consolidazione. Infatti se calcoliamo 𝑂𝐶𝑅 = 𝑣𝑦⁄𝜎 ′ = 1.
𝑣0
Se il terreno è sovraconsolidato, nel sito non si trova sulla linea di sedimentazione LS ma si trova in un punto
O che è esterno, che è già effetto di uno scarico.

Immaginiamo che ci sia stata un’erosione, (es: il punto 5 del caso precedente), questo punto già si è scaricato.

Attualmente la sua tensione efficace verticale in sito è minore di quella che è stata la 𝜎𝑣𝑝 (la massima tensione
storica) , che può essere rappresentata tra l’intersezione della linea vergine e la curva di scarico. Facendo
riferimento all’esempio precedente, abbiamo percorso quella che è la storia tensionale di questo deposito
(1->2->3->4->5). Se, per effetto del campionamento, lo riportiamo un’altra volta a 10 kPa, siamo tornati
un'altra volta in C. Abbiamo quindi un tratto di ricompressione ed un tratto di linea vergine, questa volta però
′ ′
𝜎𝑣𝑦 > 𝜎𝑣0 .

Per trovare 𝜎𝑣𝑦 usiamo la costruzione di Casagrande:

Per cui, prendiamo la curva sperimentale (blu), prendiamo la retta che ci dice qual è la nostra linea di normal
consolidazione o vergine (tratteggiata rossa), queste si congiungono in un punto, che è il massimo punto in

cui potrebbe esserci lo snervamento (𝜎𝑣,𝑚𝑎𝑥 ), perché tutti quelli successivi, per tensioni maggiori sono già
linea vergine. Se prendiamo l’orizzontale che passa per il punto iniziale di questa curva sperimentale
otteniamo un altro punto di intersezione con la linea vergine che potrebbe essere la tensione di snervamento

(𝜎𝑣,𝑚𝑖𝑛 ). Lo snervamento non potrà accadere prima di questo punto perché non può avvenire con un indice
′ ′
dei vuoti inferiore a quello iniziale. Quindi il punto di snervamento sarà compreso tra 𝜎𝑣,𝑚𝑖𝑛 e 𝜎𝑣,𝑚𝑎𝑥 .
Prendiamo ora la tangente al punto di massima curvatura della curva sperimentale, prendiamo poi
l’orizzontale per questo punto e ne facciamo la bisettrice. Dove questa bisettrice (tratteggiata verde) incontra

la linea vergine (tratteggiata rossa) abbiamo il punto cui corrisponde la tensione di snervamento 𝜎𝑣𝑦 . Una
volta che abbiamo ottenuto questo valore, possiamo calcolare 𝑂𝐶𝑅. Queste informazioni servono a capire
se il terreno è sovraconsolidato e di quanto, oppure se è normal consolidato.

Ovviamente ci sono delle eccezioni. Se immaginiamo uno stato tensionale sulla linea di sedimentazione,
(ricordiamoci che oltre alla sedimentazione c’è la diagenesi, cioè il terreno nel tempo a tensione costante si
può deformare ulteriormente per effetto del creep, quindi si riduce l’indice dei vuoti ma la tensione non
cambia), si possono formare dei legami interparticellari perché nel tempo avvengono delle reazioni chimiche
con le particelle di acqua intorno. Questo vuol dire che quando andiamo a ricaricare il terreno, anche se
l’abbiamo lasciato storicamente in un punto, quel terreno ha subito una variazione degli indici dei vuoti per
effetto di un carico costante (creep).
Il comportamento del terreno sarà quindi:

Ecco perché viene chiamata sovraconsolidazione apparente. Se il terreno si fosse comportato come ci si
′ ′
aspettava, allora 𝜎𝑣𝑦 andrebbe a coincidere con 𝜎𝑣𝑝 , e quindi effettivamente la tensione di
sovraconsolidazione coinciderebbe con lo snervamento. Ma se il terreno ha avuto una storia più complessa,
′ ′
la prova sperimentale ci mostra un risultato differente, con 𝜎𝑣𝑝 < 𝜎𝑣𝑦 , quindi possono insorgere problemi
di interpretazione del risultato.
Lezione del 03/11/2017 Elementi di Geotecnica Prof. Bilotta
Ricapitoliamo quello visto la volta scorsa sull’uso della prova edometrica:

Cosa ricaviamo nell'uso della prova edometrica


• Coefficiente di consolidazione primaria Cv Dalle curve cedimento e logaritmo nel tempo
(Nella formula poniamo x = 50, mentre per H Poniamo la misura dei due estremi
dell’edometro come metà dell’altezza del provino).
• Coefficiente di consolidazione secondaria
• Modulo edometrico
• Coefficiente di permeabilità (Per le misure di permeabilità bisogna fare le prove sul sito,
perché nel sottosuolo possiamo avere vie preferenziali di drenaggio e quindi è certamente
più grande di quella che potremo misurare in laboratorio)
Poi abbiamo tutta una serie di informazioni che sono ricavabili dalla curva di compressibilità, ci
interessano in particolar modo per quando calcoleremo i cedimenti.
• Tensione di snervamento (Dalla proiezione di Casagrande da cui possiamo ricavare la
massima tensione a cui il terreno è stato posto in passato, quindi avremo informazioni sulla
storia tensionale da cui possiamo ricavare il valore di Cr
• Indice di ricompressione Cr
• Indice di compressibilità Cc (Pendenza della retta vergine, è il tratto più pendente, per cui il
terreno si comporta come un normal consolidato)
• Indice di rigonfiamento Cs
Cr è praticamente uguale a Cs. Cc è circa uguale a C, tra cinque e dieci volte superiore.
Un terreno Sovraconsolidato si comporta con una compressibilità molto ridotta, Si muove lungo una
linea di compressione o di confinamento (Questo è un dato molto importante ai fini del calcolo perché
si dice che a parità di tensione un cedimento calcolato su un terreno normal-consolidato è maggiore
a parità di tensione su un terreno sovraconsolidato)
CEDIMENTI DI UNA FONDAZIONE SUPERFICIALE

In geotecnica uno degli elementi che dobbiamo valutare sono i cedimenti di una fondazione (quindi
sotto un edificio) indotti dalla costruzione di un edificio stesso applicati alle fondazioni e alle
fondazioni adiacenti (perchè indurre un cedimento anche all’edificio adiacente per il trasferimento
dei carichi verso l’area di influenza)

Abbiamo anche altri tipi di cedimenti però che in questo corso non trattiamo

Quello che dobbiamo fare calcolo dei cedimenti e sintetizzato nella tabella, in particolare sono state
evidenziate Quali sono le fasi per il calcolo e quali sono gli strumenti che abbiamo a disposizione.
• partiamo con L'analisi dei carichi (Sono dati che di ingegnere geotecnico ricava
dall’ingegnere strutturista in questo corso Noi partiremo da un carico assegnato)
• Calcolo delle tensioni litostatiche , Perché ci ricordiamo che il comportamento del terreno
non lineare quindi lo stesso incremento di carico che noi applichiamo produce effetti differenti
a seconda delle condizioni iniziali
• calcolo incrementi tensionali indotti dai carichi (lo vedremo meglio nell'esercizio)
in generale abbiamo già visto in che noi possiamo far riferimento alla teoria dell'elasticità per
calcolarci gli incrementi di tensione indotti da un carico applicato su un’area di carico
• Determinazione relazione tensione - deformazione - tempo dei terreni di fondazione, questo
lo facciamo attraverso le prove in laboratorio ad esempio facendo la prova edometrica la
stessa ci fornisce 2 risultati di interesse:
Uno sono le curve cedimenti-tempo,) che ci danno informazioni sulla deformazione e consolidazione
nel tempo, e quindi le caratteristiche della consolidazione cioè possiamo conoscere in quanto tempo
si sviluppa il cedimento del terreno.
La seconda è l’informazione riguardante l’indice dei vuoti, tensione verticale efficace, e quindi
incremento di tensione efficace che si può tradurre in quei coefficienti di compressibilità (Cc Cr Cs).
La tabella degli strumenti per terreni si divide in due parti Uno per i terreni a grana fine uno per i
terreni a grana grossa, perché normalmente nei terreni a grana fine noi siamo in grado di
campionare il campione In maniera indisturbata cioè andiamo in sito e preleviamo un campione
senza alterare troppo o meglio per nulla rispetto alle sue condizioni iniziali e quindi possiamo parlare
Che è significativa delle caratteristiche meccaniche che ci interessano (limi e argilla), Mentre nei
terreni a grana grossa ( sabbie e Ghiaie) in realtà il prelievo del campione comporta comunque un
certo grado di disturbo e quindi necessario utilizzare un campione in sito e quindi di fare delle
prove sito, e quindi ricavare le caratteristiche di compressibilità e deformabilità che ci interessano
per il calcolo dei cedimenti. In entrambi i casi lo si fa utilizzando un approccio cosiddetto lineare
equivalente, cioè noi sappiamo che il comportamento meccanico non è l lineare equivalente. In
pratica abbiamo linearizzato il problema con un comportamento lineare equivalente per campi di
tensione.
Nei terreni a grana fine ci interessa conoscere e utilizzare i parametri perché il cedimento è differito
nel tempo mentre nei terreni a grana grossa invece la valutazione nel corso del tempo non è
significativa perché il cedimento è istantaneo.( proprio grazie alla loro permeabilità in condizioni
quasi statiche non si generano sovrappressioni neutre e quindi istantaneamente tutte le tensioni
totale si trasferiscono alle tensioni efficaci perché abbiamo soltanto un cedimento iniziale
W0 eventualmente accompagnato da un cedimento secondario, nei terreni a grana fine abbiamo
un cedimento iniziale, un cedimento di consolidazione, è un cedimento secondario.

• ILLUSTRAZIONE DELLO SCHEMA


Ci serve per capire quando progettiamo un’edificio per capire quali sono le principali fasi che noi
possiamo sintetizzare in termini curva carico tempo. Innanzitutto c'è uno scavo (c'è uno scavo del
livello campagna) poi postuliamo il carico che rimane costante;
C'è la presenza di un carico netto che rappresenta la differenza tra il carico totale applicato e lo
scarico che abbiamo inizialmente effettuato quando abbiamo idealizzato per effetto dello
scavo. l'aliquota di carico che a noi interessa perché è quella che fornisce il cedimento è quello
netto.
Poi c'è una curva cedimento tempo, in cui possiamo distinguere un cedimento iniziale è un
cedimento di consolidazione, la somma dei due è la curva nera, che se lo decoriamo dal cedimento
iniziale ci darà una curva tratteggiata che rappresenta soltanto l’evoluzione del cedimento di
consolidazione.

Ipotesi fondamentale che noi facciamo nel calcolo dei cedimenti per quanto riguarda il metodo
edometrico è:
Che la deformazione avvenga soltanto in direzione verticale; se noi applicassimo un carico
uniformemente distribuito in maniera indefinita su uno strato strato di terreno indefinito, siamo in
condizione effettivamente monodimensionale e quindi ci sono solo deformazioni verticali e non
deformazioni laterali. in realtà il metodo edometrico si applica anche a condizioni
non edometriche in particolare con buona approssimazione quando lo spessore dello strato
deformabile H è molto minore della base, perché in questo caso possiamo assumere che nella
zona centrale effettivamente ci troviamo in condizioni edometriche, avremo qualche differenza in
corrispondenza dei bordi ma complessivamente ma a noi interessa quello che succede nella zona
centrale, E quindi possiamo dire che la deformazione volumetrica coincida con la deformazione
verticale.
in condizioni non edometriche, quando lo spessore h è maggiore della base b, non possiamo dire la
stessa cosa perché è probabile applicare il metodo edometrico ci porterebbe ad un errore, perché
ci dimenticheremo che questo elemento di volume non solo si deforma per compressione e quindi
cambia di volume, ma può deformarsi per variazione di forma, e questo comporta un cedimento
anche a parità di volume.
Il cedimento finale nell'ipotesi di metodo edometrico coincide con il cedimento che chiamiamo
edometrico (perchè lo calcoliamo in condizioni edometriche). ricordiamoci che le deformazione
ε
verticale z che è data dall’incremento di tensione diviso il modulo, quindi se noi integriamo questa
εz tra zero ed H, otteniamo l'integrale delle deformazioni e quindi il cedimento a piano
campagna sotto l'area di carico, questo integrale per noi sarà una sommatoria cioè non lo
risolviamo in forma chiusa (perchè sarebbe complicato per le troppe variabili) discretizzando il
sottosuolo in un numero di strati n calcolando ci per ciascuno strato lo stato di deformazione
ε
verticale zi moltiplicata per lo spessore dello strato, E quindi facendo la sommatoria otteniamo un
integrale risolto in forma discreta, ottenendo così il cedimento complessivo. In pratica per la
risoluzione dell’esercizio ci riconduciamo a questa formula.

Dobbiamo partire dalla caratterizzazione del sottosuolo e nel caso di applicazione del metodo
edometrico non può che essere fatta sulla base della prova edometrica in particolare per terreni a
grana fine.
Diagramma per la rappresentazione schematica della linea vergine ottenuta dalla prova di
laboratorio.

In generale quindi noi dovremmo calcolare un incremento di tensione, con la teoria dell'elasticità,
andando sugli abachi (viste qualche lezione fà) e leggiamo quanto vale l'incremento di tensione in
profondità, e avendo diviso in strati il sottosuolo, nel baricentro di ciascuno strato dove
σ σ’
conosciamo quanto vale la Δ i verticale e Δ i efficace che è quello che ci serve per calcolarci
la deformazione più che altro la variazione degli indici dei vuoti.
Questo incremento di tensione è indipendente dalle caratteristiche di deformabilità del mezzo per
calcolarci questo incremento di tensione quindi dipende dal carico ovvero dal carico netto per quello
che abbiamo detto prima cioè depurato dall'aliquota dovuta allo scavo. a questo punto dobbiamo
calcolare gli incrementi di deformazione verticale εi per ciascuno di questi strati e poi sommarli.

Dallo schema possiamo osservare un valore di H uno spessore dello strato deformabile che si
ferma ad una certa profondità, le possibilità sono due ovvero o abbiamo realmente un sottosuolo
cioè uno strato rigido oppure a volte può capitare anche che in questo strato rigido non si rilevi
veramente e quindi si fa una assunzione che questo incremento di tensioni indotte dal carico
applicato, è trascurabile rispetto al carico applicato Q posso ritenere che incremento di tensione
che c'è sotto sia poco significativo cioè che da un piccolo contributo al cedimento, questa cosa è
tanto più vera perché noi sappiamo che il modulo di rigidezza o di compressibilità
edometrica cresce con la profondità, perché abbiamo visto ad esempio dei risultati della prova
edometrica che dipende dallo stato tensionale e aumenta all'aumentare dello stato
tensionale, quindi quanto più stiamo in profondità tanto più il terreno anche se non omogeneo dal
punto di vista geologico, ha una rigidezza maggiore e quindi una compressibilità minore. Quindi di
solito una assunzione che si fa è quella di assumere che quando
∆𝜎′𝑣
= 0,2
𝑞
Siamo giunti a una profondità al di sotto della quale è inutile andare al di sotto per calcolare i
contributi al cedimento, Quindi virtualmente rappresenta la nostra h in assenza di un comparto
stratigrafico che definisca un effettivo cambio di rigidezza del terreno cioè di un banco roccioso.
Adesso possiamo calcolare ed integrare gli incrementi di deformazione verticale εz
Previa discretizzazione in n strati dello spessore H di sottosuolo deformabile:

e0,i = indice dei vuoti iniziale


e1,i = indice dei vuoti finale
Possiamo direttamente operare con la curva che ci viene data dalla prova in laboratorio per
calcolarci questo ∆𝑒

Noi applicheremo il carico netto ovvero q - ( σ’ ) v0 se ad esempio il piano di posa della


fondazione non si trova a 0 ma si trova ad una profondità d dal piano di campagna dobbiamo
sottrarre al carico applicato il valore della tensione verticale litostatica al piano di posa che possiamo
calcolare come γ Peso per unità di volume) per la profondità d.
γ d = tensione efficace litostatica al piano di posa
q - (γ d) = Carico netto corrispondente al carico totale applicato
Questo significa che noi siamo passati dalla condizione uno ovvero
1. condizione litostatica iniziale
2. Esecuzione scavo (La variazione del livello del piano di posa quindi avendo condizioni
litostatiche più basse, prima dell'applicazione del carico) Ipotizzando che il ciclo di scarico
ovvero lo scavo del piano di posa e successivo ricarico sul piano di posa fino a σ’v0 non
producano le deformazioni quindi come se ci fosse una sorta di compensazione.
3. Esecuzione Opera.

La curva che noi otteniamo dalla prova edometrica è una cosa diversa da una retta vergine,
possiamo riportare la retta vergine estrapolando il tratto lineare dalla curva (reale) Con
un'equazione estrapolata da Cc,questo nel caso di un terreno normal consolidato.
Invece nel caso di un terreno sovraconsolidato utilizziamo Cr o Cs stiamo praticamente
ricomprimendo il terreno (perché lo abbiamo scaricato rispetto alla sua massima tensione che
storicamente aveva subito, rispetto allo snervamento che aveva subito, considerando il punto di
snervamento notiamo che stiamo in una curva di carico e di scarico, Per cui dobbiamo utilizzare
come coefficiente di pendenza del legame Cr o Cs. Concettualmente dovremmo utilizzare Cr mentre
Cs è meno affetto da un possibile disturbo iniziale del campione e quindi utilizzeremo Cs, questo
nell'ipotesi che queste curve di carico e scarico sono tutte parallele tra di loro.
Campionamento

I campioni di terreno, che si prelevano per fini geotecnici, possono essere classificati in base al grado di
disturbo, ovvero in base al tipo di deformazioni geotecniche che da essi si possono ricavare.

Il campionamento più semplice, ma anche forse quello più utile, è quello di superficie, cioè quello che
consiste nell’infiggere una fustella, ossia un cilindro metallico, generalmente in acciaio con bordo tagliente,
che viene infisso a pressione nel terreno e che preleva un cilindro di terreno utilizzato per fare delle prove.

Ultimata l’infissione, il terreno circostante al campionatore viene asportato con una paletta ed il
campionatore viene staccato dal fondo per mezzo di un utensile che taglia al di sotto del campione
cercando di disturbare il meno possibile.
Prelevato il campione, un’operazione importante è quella dei tappi a tenuta, ossia delle capsule sopra e
sotto utilizzate per chiudere la fustella per poi sigillarla con del nastro oppure utilizzando un contenitore
metallico esterno. Questo è il modo più semplice, ma anche forse quello meno interessante e
probabilmente è il metodo con cui meno avremo a che fare, trattandosi di una caratterizzazione molto
superficiale.

Fasi di prelievo di un blocco cubico

Un’alternativa è quello di prendere un blocco cubico, e senza che ci perdiamo troppo tempo, è solo una
questione di forma perché il processo è praticamente lo stesso, isoliamo il cubo dal terreno circostante,
infiliamo una cassetta dopo averne rimosso il coperchio ed il fondo, dopo di che tagliamo dal basso e poi lo
richiudiamo in questa scatola campionatrice utilizzando la tecnica di sigillatura con paraffina fusa che viene
colata sul campione e dopo di che raffreddandosi si solidifica e questo consente ad esempio, di ridurre il
meno possibile l’allontanamento dell’acqua, perché appunto consente di avere una superficie
impermeabile. La paraffinatura è un’operazione che viene fatta spesso anche in laboratorio per conservare
i provini, quando ad esempio non si fanno le prove subito, e quindi per mantenerli il più possibile
indisturbati.
Tecniche di prelievo da fondo foro

Gli strumenti di campionamento con cui più spesso potremo avere a che fare, nel verificare una campagna
di indagine, sono generalmente di tre tipi, ne vediamo riportati quattro ma sono tre perché il campionatore
continuo è una variazione del campionatore a pistone:

1. Campionatore ad infissione (Shelby)


2. Campionatore a pistone (Osterberg)
3. Campionatore continuo (Begemann/Kjelman)
4. Campionatore a doppio carotiere (Maizer)

Vediamoli più nel dettaglio:

Campionatore ad infissione, detto anche Shelby, consiste di fatto in una sola fustella, con cilindro più
allungato, e che presenta un bordo tagliente all’estremità e una valvola a sfera in testa, che consente la
fuoriuscita dell’acqua. Noi lo inseriamo all’estremità di una batteria di aste durante un sondaggio, che
consiste nel carotaggio del terreno lungo la verticale fino ad una certa profondità, finalizzato ad
identificarne la stratigrafia. Perché usarlo? Durante il sondaggio, noi normalmente preleviamo attraverso il
tubo carotiere, che non è questo, le carote di terreno, che poi deponiamo nella cassetta catalogatrice e che
ci consente di riconoscere il tipo di terreno alle diverse profondità (da 0 ad 1 m, da 1 a 2 m e così via). In
ogni cassetta ci sono 5 metri di sondaggio, dopo di che qualcuno in cantiere farà il riconoscimento e
genererà le colonne stratigrafiche. Durante il sondaggio però, potremmo essere interessati a prelevare
provini per sottoporli a delle prove di laboratorio, e che quindi devono essere il più possibile indisturbati
per preservare le caratteristiche. Allora in questo caso, invece del carotiere, montiamo il campionatore, il
primo è Shelby, la cui geometria è studiata in maniera tale di indurre al minimo il disturbo al cilindro di
terreno che entra nel tubo. Il campionatore viene infisso a pressione nel terreno, man mano che infiggiamo
il campionatore in profondità, il terreno entra nel fondo foro perché per effetto di questa valvola, man
mano che il terreno entra fuoriesce aria, fino a quando il tubo campionatore si riempie per intero. Dopo di
che, con una manovra di rotazione lo stacchiamo dalla parte inferiore e lo solleviamo, la valvola a sfera si
richiude e l’aria ottenuta qui dentro, in questa piccola cameretta va in depressione consentendo al terreno
di non fuoriuscire dal basso. Viene utilizzata per terreni di consistenza ridotta o media, perché essendo un
tubo a pareti sottili, se il terreno fosse stato molto consistente, queste pareti si instabilizzerebbero senza
riuscire ad entrare nel terreno e quindi non sarebbe adatto alla operazione di campionamento.

Campionatore a pistone (Osterberg), è più adatta per terreni meno consistenti

Campionatore continuo ( Begeman/Kjelman), è una variazione del campionatore a pistone e consente di


avere un foglio di materia plastica che avvolge il campione man mano che entra e questo consente di
ridurre l’attrito sulle pareti del tubo campionatore.

Campionatore a doppio carotiere (Maizer) si utilizza per terreni molto consistenti innanzitutto consentendo
al carotiere di penetrare in profondità e questo avviene tramite una rotazione: c’è un cilindro esterno che
ruota e va in profondità, quindi disgrega il terreno intorno per poter scendere più in basso, poi c’è un tubo
interno che è un po sporgente rispetto a quello esterno che ha il bordo tagliente ed è quello che va più in
basso di tutti e che è effettivamente l’equivalente di questo shelby, e cioè è la fustella campionatrice. Ci
sono quindi due cilindri: quello più interno, che è il vero campionatore e quello più esterno che ruota e che
serve a disgregare il terreno intorno. In mezzo a questi due tubi scorre un fluido che serve a migliorare
l’operazione di rotazione e quindi consente al campionatore di scendere. Questo fluido però non deve
interagire con il terreno che sta entrando, perché arricchirebbe il campione di acqua artificiale. Per questo
motivo è necessario che il bordo inferiore (scarpa) del tubo interno fuoriesca rispetto al tagliente del tubo
ruotante, in modo che il campione non venga a contatto con il fluido di perforazione che viene fatto
circolare nell’intercapedine fra i due tubi.

La scelta di questi campioni si lega essenzialmente alle caratteristiche di consistenza del terreno. Quello più
tradizionale è Shelby, che è una semplice fustella cilindrica che viene infissa nel terreno a pressione, se il
terreno è meno consistente passiamo al campionatore a pistone (Oterberg) o a quello continuo che
consente di evitare le tensioni tangenziali, perché quando il cilindro di terreno entra nella fustella
ovviamente, le tensioni tangenziali che si generano a contatto possono disturbare la configurazione del
campione oppure se abbiamo terreni molto consistenti e dobbiamo agevolare l’operazione di
campionamento usiamo un doppio carotiere che con l’esterno ruota consentendo l’avanzamento.

Fasi di avanzamento del campionatore a pistone

Funzionamento

1. posizionamento

Il pistone è molto simile al fusto di una siringa, la punta nera che si vede in figura è la punta del pistone.

2. prelievo

La punta del pistone è ferma, quello che avanza a fondo foro è una fustella che scorre attorno alla punta
che resta ferma, infatti si chiama anche a pistone stazionario, quindi la fustella entra nel terreno, il terreno
entra nella fustella però la punta nera del campionatore sta sempre ferma.
3. recupero

Una volta che la fustella è stata occupata totalmente dal campione possiamo procedere alla manovra di
recupero, al solito modo e quindi con una piccola rotazione stacchiamo il terreno e a questo punto l’effetto
stantuffo diciamo che ci aiuta ad evitare che il campione fuoriesca dalla fustella in fase di prelievo.

Caratteristiche geometriche dei campionatori

Le caratteristiche geometriche dei campionatori sono definite in funzione del diametro esterno e diametro
interno, del rapporto lunghezza su diametro, e anche in relazione alla scarpa che è questa parte tagliente
che si può vedere in figura nella parte terminale identificato con Ls e Ds la cui geometria è studiata in
maniera tale da ridurre fonti di disturbo.

Per esempio si può notare che il diametro esterno è più grande del diametro della scarpa che è più piccolo
e questo consente al campione, una volta entrato, di poter procedere all’interno con poco attrito sulle
pareti laterali, il che migliora la qualità del campione. Tuttavia non può essere troppo grande questa
dimensione perché altrimenti il campione, all’interno, tenderebbe ad allargarsi variando ovviamente il
volume dei vuoti. Queste geometrie sono definite più o meno in misure standard.

Qualità del prelievo dei campioni


Definizione di classi di qualità secondo AGI (1977) e EC7 (1997)

A seconda della qualità del campione del terreno che riusciamo a prelevare possiamo utilizzare il campione
in laboratorio con differenti finalità.

L’associazione geotecnica italiana definisce 5 classi di qualità crescente del terreno; l’Eurocodice 7 definisce
tre classi che sono A, B e C, dove Q1 e Q2 corrisponde a C, Q3 e Q4 a B e Q5 ad A. Nello specifico QA
corrisponde al campione completamente indisturbato, Q4 e Q5 corrispondono al campione a disturbo
limitato e Q1 e Q2 sono invece corrispondenti a campioni rimaneggiati. Questa tabella ci dice cosa
possiamo fare con il campione. Ad esempio, se vogliamo determinare il profilo stratigrafico, da C in poi va
bene qualunque campione. Altro esempio, se vogliamo verificare il contenuto d’acqua dobbiamo passare
da Q3 in poi perché dobbiamo conservare la massa fluida. Se invece, non solo conserviamo l’acqua, ma
conserviamo anche i rapporti con le fasi, cioè i rapporti fase fluida e fase solida restano gli stessi che sono in
sito, allora la qualità è ancora migliore e passiamo a Q4 e Q5, in cui è possibile determinare anche il peso
dell’unità di volume. Quando invece il campione ha le caratteristiche migliori possiamo determinare le
caratteristiche meccaniche, cioè dal campione che abbiamo conservato nella migliore maniera possibile,
possiamo ricavare i provini, per esempio il provino edometrico, da sottoporlo a prove meccaniche
ricavando le caratteristiche meccaniche del terreno. Quindi le proprietà fisiche possono ricavate anche con
campioni di terreno che non ricadono in Q5 mentre per determinare le caratteristiche meccaniche è
necessario che i provini ricadano nella categoria Q5.

Fonti di disturbo e rimedi

L’ultima slide è un riepilogo di quali sono le possibili fonti di disturbo. Si può osservare che tutto quello che
dobbiamo evitare è nei riguardi del disturbo. Ad esempio dobbiamo evitare che le operazioni di
campionamento generi rigonfiamento del terreno dovuto alla riduzione delle tensioni durante la fase di
perforazione, oppure evitare l’eccessiva compressione del terreno dovuta all’avanzamento del
campionatore e così via. E a tutte queste fonti di disturbo noi cerchiamo il rimedio scegliendo il campione
più adatto a seconda delle caratteristiche del sottosuolo che dobbiamo campionare, facendo riferimento
anche alle misure standard e quindi ai rapporti geometrici oppure ad esempio già nelle operazioni di
perforazione dobbiamo fare in modo che il fondo del foro in cui andiamo a posizionare il campionatore sia
sempre pulito. Oltre a queste operazioni c’è il trasporto in cui bisogna evitare colpi e variazione di
temperatura. Oppure per la conservazione bisogna sigillare accuratamente e conservare a temperatura e
umidità controllate, il più possibile simili a quelle in sito, bisogna fare attenzione durante l’estrusione
perché quando entra la fustella campionatrice possiamo avere un po' di difficoltà per farla uscire con il
rischio di disturbare il campione, infatti una buona abitudine è quello di fare uscire il terreno dallo stesso
verso con cui è entrato e quindi se è entrato dal bordo tagliente deve uscire dalla parte superiore. Infine
abbiamo una fonte di disturbo che è inevitabile che è la variazione dello stato tensionale già dato dal fatto
che abbiamo prelevato una parte del terreno e quindi sono variate le condizioni al contorno.

Tecniche di misure piezometriche in sito

Attrezzature

1. Piezometri idraulici a tubo aperto che vengono infissi nel terreno e che misura la quota
piezometrica h
2. Celle piezometriche che non misurano la quota piezometrica h ma direttamente la pressione
neutra u

Installazione

In foro di sondaggio o infissi da superficie. Ad esempio se immaginiamo un foro da sondaggio, installiamo


all’interno questo cilindro fino a raggiungere una certa profondità dove c’è un tratto finestrato, ossia un
tubo a vari i fori e generalmente qui disponiamo intorno un filtro fatto di materiale più grossolano,
ghiaietto e questo tubo serve a misurare le pressione neutre in condizioni di sottosuolo omogenee, perché
noi riteniamo che la quota piezometrica sia uguale dappertutto , ritenendo che lungo la verticale di un
terreno omogeneo a qualsiasi quota le pressioni neutre sono le stesse, cosa non vera se il terreno è
stratificato.

Se invece ho un terreno stratificato dove la quota piezometrica varia di profondità, devo andare a misurare
profondità per profondità e in questo caso identifico un tratto di misura. Il principio è lo stesso, sempre il
tubo piezometrico aperto finestrato con il filtro, però al di sopra e al di sotto dispongo di un tampone
impermeabile, cioè di materiale più fine, in maniera tale che questo tratto di misura sia isolato e si può
capire effettivamente cosa succede in questo tratto. E quindi così facendo sono in grado di conoscere
quello che succede tratto per tratto a quote piezometriche differenti.

Esecuzione di una lettura piezometrica

Come si misura la quota?

Si inserisce all’interno di questo tubo una sondina elettrica con sensore acustico che prende il nome di
Freatimetro e che legge la risalita d’acqua nel piezometro. Quando l’estremità di questo cavo entra in
contatto con l’acqua si chiude un circuito e questo circuito restituisce un suono per cui noi sappiamo,
siccome questo cavo è graduato, a che profondità abbiamo incontrato l’acqua nel tubo piezometrico.
Questo è il piezometro più semplice, a tubo aperto.
Piezometro Casagrande

Un altro piezometro che anche legge la risalita d’acqua nel piezometro e quindi una quota piezometrica, è
il piezometro Casagrande. Il principio di funzionamento è lo stesso, però vediamo che ha una presa con
filtro poroso, che ha la forma di un cilindretto plastico di colore bianco (vedi in figura in basso).

La presa con filtro poroso è un volume che è in grado di riempirsi d’acqua, collegato in superfice da due
tubicini (quelli blu che si vedono dalla figura in alto), che risalgono fino alla superficie. In questo modo
possiamo avere una presa localizzata a seconda della profondità in cui infiggiamo questo piezometro.
Abbiamo i tappi, come nel caso precedente, tra i due tappi c’è il filtro, e il piezometro legge l’h piezometrica
ad una certa profondità. Come? Perché l’acqua filtra all’interno del piezometro, riempie il volume, riempie i
tubicini fino ad arrivare sopra dove abbiamo un riscontro dell’h piezometrica. Perché usiamo questo e non
il tubo aperto? Il principio di funzionamento è lo stesso, non cambia tanto, il vantaggio è che il volume che
deve riempirsi di acqua per poter avere un riscontro dell’altezze piezometriche in superficie, è molto
piccolo, quindi, rispetto al tubo aperto che è invece è un tubo a tutta altezza che deve riempirsi d’acqua,
qui abbiamo un volume più piccolo oltre questi tubicini che sono più veloci a riempirsi.

Immaginiamo che man mano che il terreno è a granulometria più sottile. Quando vado a fare un foro di
sondaggio se ad esempio ho un terreno argilloso probabilmente io non intercetto l’acqua, e l’acqua per
poter riempire il foro ci mette un pò di tempo e ha una velocità di cm/s. Il filtraggio all’interno del foro
è lento, quindi il piezometro a tubo aperto non è adatto, ecco perché al ridursi della permeabilità del
terreno si utilizzano piezometri sempre più piccoli passando da piezometri a tubo aperto a Casagrande. Si
può osservare che il filtro poroso che c’è intorno fatto di ghiaietto, ha sempre una granulometria elevata
per essere più permeabile del terreno introno, altrimenti si potrebbe alterare la misura.

Celle piezometriche

Quando il terreno è molto poco permeabile, quindi molto fine dobbiamo ridurre ancora di più il volume.
Quando quasi non c’è più il volume da riempire, passiamo a quella che si chiama cella piezometrica, cioè un
trasduttore di pressione che consente una lettura diretta della pressione interstiziale nel terreno a
contatto.

Come? C’è una piastra porosa, di qualche cm, collocata sulla testa che serve semplicemente per evitare
che il terreno entri in contatto con il trasduttore, perché se fosse così, noi misureremmo la tensione totale
non la pressione neutra e quindi quello che filtra nella cameretta è solo acqua che è in equilibrio con
l’acqua esterna. Abbiamo che la cameretta si riempie di acqua in pressione che è la stessa pressione di
quello che c’è fuori il trasduttore. Dentro la cameretta c’è un diaframma metallico che è dotato di
trasduttore di deformazione, questo diaframma si inflette per effetto della differenza di pressione che c’è
tra la cameretta anteriore, in cui c’è l’acqua in pressione e quella posteriore, in cui c’è aria a pressione
atmosferica (perché è collegata alla superficie mediante i cavetti elettrici che arrivano al trasduttore).
Questa deformazione produce una variazione della resistenza elettrica, si altera l’intensità di corrente e
quindi posso misurare la variazione dell’intensità di corrente in superficie. Il trasduttore è tarato, e quindi
ad una certa inflessione di questo diagramma, corrisponde una certa pressione dell’acqua. Quindi questo
trasduttore mi restituisce direttamente la pressione.

Scelta del tipo di strumento

In definitiva abbiamo a disposizione una mappa in cui si legge:

La permeabilità k in funzione del (ore) (che è 95% dell’altezza piezometrica e che rappresenta il tempo
necessario alla risposta stazionaria del piezometro, quindi il tempo di riferimento che serve per avere la
misura).

Si può notare che al diminuire della permeabilità, per ciascun tipo di piezometro il tempo di risposta del
piezometro (che è il tempo che dobbiamo aspettare per avere una risposta) aumenta. Ad esempio in
corrispondenza di , , ,il tempo che dobbiamo aspettare è di qualche ora, siamo nel campo
delle sabbie limose. Nel campo delle sabbie, il tempo di risposta affinché io abbia un risultato attendibile è
di qualche minuto, verso le argille ad esempio ci vuole troppo tempo ed utilizziamo altri piezometri. Il
tempo di risposta, ovvero la prontezza del piezometro a rispondere si riduce passando dal tubo aperto
piezometrico a Casagrande fino alle celle piezometriche viste prima. Ad esempio per le argille omogenee,
che presentano una permeabilità ridotta, si utilizzano le celle piezometriche con tempo di risposta
attendibile pari ad un’ora.

La tabella (sopra in figura), sintetizza quello che si è detto finora con riferimento alla permeabilità dei
terreni. E quindi la scelta del piezometro va fatta in relazione alle condizioni di sottosuolo ed alla velocità
del fenomeno da monitorare.
Misura del coefficiente di permeabilità

Il coefficiente di permeabilità o conduttività idraulica o semplicemente permeabilità k è definito dalla legge


di Darcy (1856):

Dove rappresenta il vettore velocità di filtrazione ed h la quota piezometrica.

I valori della permeabilità k dei terreni possono variare tantissimo, passando da valori fino a 10 cm/s per
terreni a granulometria grossolana a valori fino a cm/s per argille omogenee, inoltre va determinato
sperimentalmente con apposite prove in laboratorio o in sito.

In laboratorio

• Permeametro in cui si misura la velocità di filtrazione e da cui ricaviamo k noto il gradiente idraulico
• Edometro avendo ricavato il coefficiente di consolidazione verticale definito come cv= ,

noto Eed per quell’incremento dii carico dato da , è noto ricaviamo la permeabilità.

Però questa misura della permeabilità in realtà non è troppo utile perché si riferisce al provino
piccolo e non riferito al volume complessivo. In questo caso dobbiamo mettere in campo delle
prove in sito.
In sito

Ad esempio, con un sistema di pozzi e piezometri, quello che vediamo in figura sono tubi piezometrici
aperti. Il livello piezometrico iniziale è quello tratteggiato orizzontale in figura.

Se noi abbassiamo il pozzo tramite emungimento il livello di una certa quota, si può notare che i vari
piezometri laterali leggono quote diverse. La prova di permeabilità praticamente consiste nella misura del
tempo necessario affinché questo livello che abbiamo abbassato si metta al livello di falda originario.

Tecniche di misure di permeabilità in sito

Esecuzione

L’esecuzione viene fatta

• in fori di sondaggio condizionati come piezometri idraulici


• in pozzetti superficiali
• in pozzi con piezometri di controllo
Principio

il principio: ottenere il coefficiente di permeabilità (k) facendo un confronto tra le portate che vengono
emunte o immesse e il gradiente idraulico che misuriamo. Abbiamo visto il caso di emungimento ma se ad
esempio siamo nel caso fuori dalla falda, ovviamente non possiamo emungere perché non troveremo
niente, e possiamo immettere acqua e sulla base dello stesso principio, misurando la portata di acqua che
immettiamo e il gradiente idraulico che misuriamo possiamo utilizzare la legge di Darcy che ci da la
relazione tra la velocità di filtrazione (portata) e il gradiente idraulico i e leggiamo la permeabilità k.

Pro e contro

Emungimento che possiamo fare solo sotto falda e quindi in terreno saturo con rischio di erosione del
terreno (sovrastima di k)

Con le prove di immissione, al contrario, il fenomeno di trasporto tenderebbe a trascinare particelle più fini
riducendo la permeabilità rispetto a quella reale però è l’unica cosa che possiamo fare quando siamo fuori
falda, sono affette da un graduale intasamento del filtro (sottostima di k).

È quindi buona norma eseguire ambedue i tipi di prova assumendo come permeabilità del terreno la media
geometrica dei due valori misurati.

Prove in foro a carico costante

In generale, le prove in foro vengono condotte nel corso della perforazione di fori di sondaggio o in fori
appositamente eseguiti, predisponendo nella parte terminale del foro un’opportuna sezione filtrante e
procedendo ad instaurare un dislivello piezometrico fra l’interno del foro ed il terreno circostante. Ne
consegue un moto di filtrazione che può essere diretto dal foro verso l’esterno (prove di immissione) o
viceversa (prove di ritorno).
Le prove le possiamo effettuare o abbassando il livello del pozzo e misurando il tempo di risalita, in questo
caso abbiamo un carico nel tempo variabile, perchè partirebbe dal valore depresso, e tenderebbe ad
arrivare verso lo stazionario finale e sono le così dette prove a carico variabile, oppure possiamo invece
effettuare prove a carico costante cioè imponiamo una differenza di carico, misuriamo la portata che
emungiamo o immettiamo in corrispondenza di questo dislivello idraulico imposto, e quindi portata
necessaria per mantenere costante il dislivello piezometrico e da questo ci ricaviamo la cadente idraulica i.

Queste ultime prove si chiamano prove in foro a carico costante. Il principio di funzionamento è questo:
realizziamo un pozzo, abbiamo una pompa che preleva l’acqua dal pozzo, misuriamo la portata emunta,
quindi mantenendo costante il livello depresso all’interno del pozzo, e dal confronto con il livello che
abbiamo intorno che resta costante, da questo delta piezometrico ci ricaviamo la differenza di carico , e
quindi nota la distanza ci ricaviamo la cadente idraulica i. Misuriamo la portata che emungiamo in maniera
tale da avere un valore costante e quindi un valore costante di i, e mi consente di avere un rapportop
tra la portata ed i , la portata in funzione della geometria del filtro che c’è alla base del pozzo, e quindi il
diametro della sezione filtrante ci restituisce la velocità di filtrazione, e quindi il rapporto tra v e i ci da k.

Il valore della permeabilità viene calcolato a mezzo della relazione:

q=kfh

Nella quale con q si indica la portata immessa od emunta, con h il dislivello piezometrico fra foro e terreno
circostante e con F un coefficiente di ingresso, che ha le dimensioni di una lunghezza e dipende dalla forma
e dalle dimensioni del filtro. Questa è un’applicazione della legge di Darcy al filtro.

Prove Triassiali

Campionamento ed effetti sullo stato tensionale

Risulta essere possibile lasciare invariate le variazioni di stato tensionale dei campioni prelevati rispetto alle
condizioni in sito. Si esaminano le condizioni di partenza di un generico elemento di terreno situato ad una
certa profondità:
..dove:

= tensioni totali al contorno;

= tensioni efficaci;

= pressione neutra;

I pedici 0 che compaiono nelle formule stanno ad indicare che ci si riferisce allo stato iniziale, prima del
prelievo. E’ chiaro che le tensioni al contorno totali in questa situazione sono diverse da 0, ma se si effettua
il prelievo e si porta il campione in superficie la condizione al contorno cambia, non ci sono più pressioni
esercitate dal terreno e le tensioni totali (verticali ed orizzontali) al contorno sono pari a 0.

Accade dunque una variazione Δ dello stato tensionale del campione. Il segno – sta ad indicare che la
variazione dello stato tensionale è stata ricavata dalla differenza tra le proprietà dello stato finale e quello
iniziale:

(1)

L’ultima formula rappresenta la formula semplificata della relazione di Skempton per la pressione neutra in
quanto è assente il parametro delle pressioni interstiziali B che è pari a 1 (perché il campione è saturo),
mentre A è pari ad 1/3 per mezzo elastico e si determina sperimentalmente. Sostituendo Δσh e Δσv si
ottiene l’espressione generalizzata dove z è la profondità del campione nel momento del prelievo. Dalla (1)
si può ricavare il valore di pressione neutra del campione quando è in superfcie e risulta:

(2)

Tale formula esprime la somma tra e e se la si scrive per esteso…

…si elimina , quindi mettendo in evidenza si ottiene la (2). La pressione neutra che resta nel
campione dopo il prelievo risulta essere minore di 0 e tale situazione rappresenta lo stato di suzione. Se la
pressione neutra è negativa ed è nulla la tensione totale allora la tensione efficace è positiva:
Lo stato di confinamento efficace è uguale in valore assoluto alla pressione neutra (perché le tensioni
verticali ed orizzontali sono uguali) ed è maggiore di 0, che è il motivo per cui il provino conserva la sua
forma e dimensione dopo il prelievo. Per capire il fenomeno basta immaginare di trovarsi in spiaggia e
costruire un castello di sabbia con un secchio. Rimuovendo il secchio pieno di sabbia satura d’acqua si
rimuove anche lo stato tensionale di confinamento totale ma visto che l’acqua presente tra i granelli è
andata in suzione c’è uno stato di confinamento efficace per cui il castello non crolla e la sabbia non si
disperde. Diversamente accade quando invece si utiliza la sabbia asciutta, in questo caso se si toglie il
secchio il castello si sfalda perchè è assente l’acqua in suzione, le tensioni totali sono nulle e sono pari a
quelle efficaci per cui la sabbia perde la configurazione cilindrica imposta dalla geometria del secchio.

Il grafico che segue rappresenta la variazione dello stato tensionale indotta dal campionalmento:

Si osserva che dopo il campionamento si possono verificare due casi: quando p’c<p’0 e quando p’c>p’0 ma in
ogni caso si avrà qc = 0. Il che significa che la cosa migliore che si può fare dopo il campionamento è
mantenere p’c circa pari a p’0, ma è inevitabile dover annullare la condizione di anisotropia iniziale O.

Modifche di stato indotte dal campionamento

Nei grafici è mostrato il comportamento dello stato


ideale e reale del campionamento. Bisogna ricordare
che in geotecnica il punto iniziale non dipende
soltanto dallo stato tensionale qp’ ma dipende
anche dalla condizione volumetrica data ad esempio
dall’indice dei vuoti e, e dalla variabile tensionale log
σ’z . Nei diagrammi a sinistra si nota che nel punto
iniziale lo stato del terreno in sito (O) e lo stato dello
stesso dopo il campionamento (C) coincidono, cioè
non c’è stata variazione di tensione efficace media
Δp’ = 0 e nemmeno quella dell’indice dei vuoti Δe =
0. Nella realtà si osserva che Δp’ e Δe variano prima
e dopo il campionamento e ciò vuol dire che i
campioni prelevati devono presentare andamenti
tendenti a coincidere con lo stato ideale, dati quindi
da un minore scostamento possibile tra C ed O (alto
a destra) ed un’inclinazione della retta OC quanto
più ortogonale all’asse p’ (basso a destra).
Prova di compressione triassiale

La prova triassiale serve a


determinare le
caratteristiche di resistenza a
rottura definita dalle tensioni
rubinetto
ultime e la deformabilità
definita dalla relazione che
lega gli incrementi delle
tensioni efficaci alle
deformazioni (diagrammi σ-
Figura 1 Ɛ).

Una prova triassiale si esegue contemporaneamente con tre provini presi dallo stesso campiome (figura in
alto a destra) con tre diverse tensioni di confinamento applicate (100, 200 e 300 kPa) per ottenere risultati
minimi atti a valutare le caratteristiche nel piano di Mohr.

Per distinguere le varie fasi delle prove si controllano due parametri: i carichi applicati e le condizioni di
drenaggio. Nella prima fase si fa entrare il liquido in pressione nella cella avvolta da un cilindro in perspex
che compime il provino esercitando quindi una pressione sferica. Quest’ultimo è generalmente di forma
cilindrica ed è avvolto da una membrana di lattice collegata alle estremità a due anelli neri di materiale
plastico che garantiscono la chiusura idraulica della membrana. In seguito si esercita sul provino anche una
tensione di confinamento isotropa sulla piastra rigida fino alla rottura. In basso allo schema in Figura 1 è
presente una piastra porosa che consente all’acqua di fuoriuscire dalla membrana durante l’applicazione
dei carichi. Il circuito di drenaggio collegato alla piastra può essere aperto allontanando l’acqua ed
osservando la variazione di volume del provino inizialmente saturo, oppure collegare un trasduttore di
pressione (u0) per misurare le pressioni neutre. La fase pre-sollecitazione si svolge lentamente, bisogna
aspettare che lo stato tensionale totale di confinamento (esterno) sia pari allo stato di confinamento
efficace σ’c = σc e con questo si definisce un esempio di prova consolidata C). La fase di sollecitazione a
taglio (fase di rottura) può essere drenata (D) o non drenata (U), dipende se si decide di lasciare il circuito di
drenaggio aperto o chiuso ma ovviamente nel secondo caso, non consentendo al liquido di uscire, non si
possono determinare ne le caratteristiche volumetriche ne quelle di forma. Dunque si possono distinguere
le prove in:

CID = consolidata isotropicamente - drenata;


CIU = consolidata isotropicamente - non drenata;

UU = non consolidata - non drenata.

Caratteristiche dei provini e fasi di montaggio e saturazione

La prima caratteristica è determinata dalle dimensioni ridotte dei provini per diminuire i tempi di prova
(tempi di drenaggio). I prelievi fatti direttamente in sito presentano priovini cilindrici di diametro circa pari
a 10 cm. Da questi, poi vengono estratti cilindri più piccoli e conformi agli standard imposti dalle
attrezzature di laboratorio, ma comunque è opportuno utilizzare diametri pari almeno a 3,5 cm
(Raccomandazioni nazionali AGI, 1990). Le raccomandazioni europee ETC5, 1995 presentano i seguenti
standard:

Durante la fase di montaggio del provino è importante osservare la funzione della membrana che lo
avvolge. I rettangoli verticali presenti sulla carta da filtro consentono il drenaggio d’acqua anche
lateralmente, oltre che con l’ausilio della piastra porosa, in questo modo si riducono ulteriormente i tempi
della prova velocizzando il processo di consolidazione in fase isotropa.

Con l’immissione dell’acqua nella cella si garantisce la


saturazione totale del provino ma questa condizione può essere
raggiunta in alternativa applicando degli incrementi di tensioni in
cella mantenendo rubinetti chiusi (Figura 1). Il rapporto tra la
sovrapressione neutra e la tensione in cella è pari a B di
Skempton: , il provino è saturo quando anche se
in realtà è una condizione difficile da raggiungere per cui si
impone . Da notare che questo processo di saturazione
non altera l’entità delle pressioni efficaci. Le variazioni di
appaiono nulle in alcuni tratti della spezzata in figura a destra ma
alla fine il percorso porta a come nel caso della linea tratteggiata.

Fase di consolidazione isotropa


Dapprima viene incrementata la tensione di cella fino ad un valore ritenuto necessario. La tensione di
consolidazione isotropa deve essere pari almeno alla tensione media litostatica e vale:
Al termine della consolidazione il provino è alto hc con un’area Ac di cui è possibile stabilire la deformazione
cilindrica o la variazione di volume:

..dove è la deformazione volumetrica e la


deformazione assiale.

Il grafico in figura serve a definire il tempo di


consolidazione e quindi calcolare la velocità di rottura del
provino. Bisogna porre una particolare attenzione al
tempo di consolidazione nella prima fase, in base a
questo viene scelta la velocità di compressione assiale da
eseguire sul provino fino alla rottura (seconda fase).
Fase di consolidazione isotropa della prova triassiale
La prova triassiale ha la finalità di determinare le:
• caratteristiche di deformabilità, e quindi il modulo di elasticità e il modulo di
deformabilità di Young
• e le caratteristiche di resistenza, espresse in termini di criterio di Mohr-Coulomb, che è
caratterizzato da due parametri: c e c’.

In tale prova abbiamo due fasi:


1. una fase di saturazione isotropa
2. ed una fase deviatorica o anche detta di taglio dove leggiamo effettivamente le
caratteristiche di deformabilità e di
resistenza del materiale.

La fase di saturazione isotropa è comune a due


delle tre prove triassiali ovvero alla prova
consolidata drenata e non drenata. Tali prove
hanno una fase iniziale in comune ovvero quella
della consolidazione in cui applichiamo al
provino una pressione isotropa (uguale in tutte le
direzioni) attraverso un fluido di cella che non è
in contatto idraulico con il provino perché isolato
da una membrana. Tale pressione uniforme
genera una deformazione volumetrica.

Partendo dalla configurazione iniziale del


provino (AxH), si arriva alla fine della
compressione isotropa (ovvero si arriva alla
consolidazione) in cui il provino si è ridotto di
dimensioni, secondo una deformazione
volumetrica ɛvc , assunta pari a tre volte la ɛac
assiale in quanto per tutte e tre le direzioni la deformazione è sempre uguale e pari a ɛac..

Questa parte di consolidazione ci serve a raggiungere uno stato tensionale isotropo “che
decidiamo noi”, nel nostro provino. Quindi se nella cella applichiamo 100 kPa di compressione,
alla fine della consolidazione, quando avremo raggiunto l’equilibrio tra la tensione totale di cella
applicata e la tensioni efficaci, avremo di fatto applicato l’intera tensione esterna in termini di
tensioni efficaci al provino, ovvero si sarà raggiunta una tensione isotropa nel provino. Ciò
significa che in un piano q,p (o p’) avremo raggiunto il valore 100 kPa partendo da un certo valore
iniziale. Quindi a seconda della tensione che scegliamo possiamo scegliere il punto di partenza per
la fase successiva ovvero per la fase di taglio.

Ciò significa che ciascuna fase di taglio che andiamo adesso a rappresentare si riferisce ad un
diverso stato tensionale.

Dunque, con questa prova possiamo tenere conto dell’influenza dello stato tensionale di
confinamento in cella efficace (termini di p’) sul comportamento meccanico del terreno. Sappiamo
infatti che la resistenza del materiale dipende dalla tensione di confinamento in cella.

È come se stessimo simulando un approfondendo del volume di provino alle diverse profondità
del sottosuolo, misurandone le relative caratteristiche. Quindi con questa prova caratterizziamo il
comportamento in un campo tensionale che ci interessa dal punto di vista applicativo,
semplicemente cambiando le tensioni di cella. Anche se non è rilevante impararlo, in tale fase di
consolidazione si misura anche la velocità di rottura in termini di proporzionalità con la ɛf (ovvero
deformazione di rottura).

Per la prova prendiamo tre provini diversi dello stesso materiale e scegliamo tre tensioni diverse
di cella cui svolgere la prova, ed ecco perché la prova si effettua
simultaneamente su tre presse. Telaio rigido che
contrasta tutti e
tre gli anelli
Che si comprime dinamometrici.
variando il suo
diametro secondo la
sua rigidezza Pistone che carica la
testa del provino.
Questo urta contro
l’anello
dinamometrico
innescando un
meccanismo del tipo
MOLLA.

Cella in cui
giace il provino

Pressa che spinge dal basso la base


della cella originando in risposta una
forza F in testa al provino.

La forza F che leggiamo in realtà è la reazione di contrasto del telaio che calcoliamo moltiplicando
la costante elastica dell’anello per uno spostamento, rappresentato dalla riduzione di diametro
misurata tramite il trasduttore di spostamento di spostamento: ovvero il micrometro che misura
quel delta di avvicinamento tra i due punti sopra e sotto di esso, anche detto “spostamento in
testa”.
Inoltre ci interessa sapere quanto si abbassa la testa del provino attraverso un analogo
trasduttore di spostamento che questa volta è collegato al pistone che scende e alla testa della
cella, spostamento che accade quando il pistone cala e riduce l’altezza del provino.
Calcoliamo la velocità di avanzamento della cella contro il telaio di contrasto tramite la formula:
che ci serva ad assicurarci che la prova DRENATA sia svolta lentamente (rispetto alla
granulometria del terreno) in quanto se così non fosse genereremmo delle sovrappressioni
neutre, uscendo dalle condizioni drenate che vogliamo considerare.

Analisi della fase di taglio in condizioni drenate (PROVA CID, o PROVA SLOW)
Abbiamo una forza applicata ed uno spostamento in testa. Abbiamo una deformazione finale del

tipo: ove osserviamo che le deformazioni volumetriche sono


ammesse e quindi diverse da zero. Esse sono calcolabili misurando la quantità d’acqua che è uscita
tramite il rubinetto da quel circuito.
Se invece svolgessimo tale seconda parte della prova in condizioni veloci e NON DRENATE (prova
CIU, QUICK), allora dobbiamo impedire la variazione di volume per garantire la suddetta
condizione non drenata.
Per fare ciò, durante la
prova si utilizza un
circuito in collegamento
idraulico tramite una
piastra porosa con
l’interno del provino.
Esiste un rubinetto che
noi dobbiamo chiudere
proprio per fare in modo
che l’acqua non esca dal
provino saturo. Ciò
implica che il provino
può cambiare di forma,
ma non potendo
espellere l’acqua, non
può subire variazioni di
volume.
Utilizziamo, inoltre, un
trasduttore di pressione
per leggere la pressione
che nasce durante
l’applicazione del carico
all’interno del provino.

Dunque, ribadiamo che la CID e la CIU si distinguono soltanto nella seconda parte delle rispettive
prove perché applichiamo i carichi allo stesso modo, ma solo nella CIU chiudiamo il rubinetto
dell’acqua interstiziale di porosità per bloccare le deformazioni volumetriche del provino saturo.
Ecco cosa vogliamo calcolare durante la prova di taglio.

Con ɛv = ɛassiale + 2ɛradiale


Solitamente ɛr / ɛa ci da per definizione il coefficiente di Poisson v > 0 . Quindi in condizioni non
drenate v=0,5 a causa di ɛv = 0.
Lette le deformazioni, possiamo passare alle tensioni.

In fase di compressione isotropa la tensione di cella è uguale in tutte le direzioni, quindi anche la
direzione orizzontale σh coincide con la tensione di cella e chiaramente anche con quella verticale.

In fase di rottura incrementiamo la forza verticale, quindi tendenzialmente manteniamo costante


la pressione di cella e incrementiamo la forza verticale. Quindi essendo, inizialmente, la tensione
orizzontale pari alla tensione di cella, essa resta ancora pari alla tensione di cella e resta anche la
tensione minima. Dunque la tensione orizzontale è la tensione principale minima σ 3, coincidente
con la tensione di cella.

La tensione verticale dipende dalla forza applicata, in questo caso applichiamo F tramite il pistone
sulla testa di carico che a sua volta è a contatto con la testa del provino.

Proprio sul provino risulterò applicata


una tensione σ1 che vogliamo calcolare ricordando che in tutto ciò la piastra rigida è ancora nella
cella. Al di sopra della piastra rigida c’è ancora la tensione di cella σ3 indisturbata, che a noi ora
non interessa, in favore di quello che agisce sulla testa del provino.
Per l’equilibrio:

Così possiamo calcolare σ1.


Possiamo distinguere due casi applicativi di questo equilibrio, a seconda del pistone utilizzato,
ricordando che quello meccanico è di facile comprensione, ma tuttavia obsoleto e che attualmente
si preferiscono i moderni Pistoni Idraulici.
Per definizione di q

Dunque tramite la forza F applicata sappiamo ricavare il


deviatore q. (che ci serve per metterci sul piano q, p/p’).

A seconda dell’esigenza possiamo scegliere un piano q,p o q,p’. In ogni caso, che sia p o p’….

In fase isotropa: p è la tensione di cella

In fase deviatorica: p sarà la somma delle σ/3 (σ1 + σ2 + σ3 , con σ2 = σ3 e quindi (σ1 + 2 σ3 ) / 3

Dunque in totale:

Facendo una panoramica, durante la prova siamo noi ad applicare F e ad applicare la tensione di
cella, e quindi ad originare i valori delle sigma. La pressione neutra se è pari a zero e resta pari a
zero (prova consolidata drenata), allora le tensioni efficaci e totali coincidono. Se invece insorgono
delle sovrappressioni neutre durante la fase di rottura (fase non drenata -> Prova CIU), allora
dobbiamo sottrarre le sovrappressioni u dalle totali per avere quelle efficaci. Quindi nella prova
consolidata non drenata, precisamente nella parte distintiva della prova, ovvero nella fase
deviatorica, le tensioni efficaci e quelle totali non coincidono e differiscono proprio del valore di
pressione neutra u, che noi misuriamo con un trasduttore di pressione. In realtà tutto ciò è una
semplificazione solita, utile ai fini dell’esame, ma nella realtà ci ricordiamo che per saturare
abbiamo avuto bisogno di applicare una contropressione uo , e quindi già nella fase isotropa si
palesa la differenza tra σ3 e σ’3 , pari proprio ad uo che si mantiene costante lungo le fasi e quindi
si riporta anche nella fase deviatorica. Dal nostro punto di vista non è importante, ci basta sapere
che nelle applicazioni e nell’interpretazione della prova dobbiamo sottrarre alle tensioni totali
questo uo per calcolare quelle efficaci, e dobbiamo farlo anche nelle condizioni drenate (dove
pensavamo che non ci fosse differenza tra efficaci e totali). Il motivo è che dobbiamo capire che le
condizioni iniziali delle totali e delle efficaci non coincidono, e per questo dobbiamo operare
questa traslazione, che ben ci rappresenta questa situazione.

Total Stress Path


Effective Stress Path

Infatti, come possiamo notare dalla foto precedente, si apprezza una traslazione dei cerchi rossi
(corrispondenti al percorso ESP sul piano q,p’) rispetto ai cerchi celesti (percorso TSP del piano
q,p) pari proprio ad uo .
Quindi, riassumendo, nella prova drenata CID, dal punto di vista pratico, abbiamo bisogno di
conoscere il valore uo : lo sappiamo che c’è e resta la, e possiamo dire che i due percorsi
coincidono perfettamente a meno della contropressione, invece di dire solo che coincidono
perfettamente, come solitamente facciamo nella nostra semplificazione. Dal punto di vista
dell’applicazione, a noi questa cosa non interessa tanto, perché ci basta ricordare che
numericamente abbiamo un valore uo all’interno dei nostri, che andrebbe sottratto formalmente,
ma nulla di più. Se applichiamo 100 kPa, ma avevamo una uo di 50 kPa, ci basta ricordare che
stiamo facendo tale prova con un confinamento efficace di 100-50 = 50 kPa totali!! E quindi
andremo a rappresentare il nostro punto traslandolo indenticamente sui 50 kPa effettivi. Per
converso, se abbiamo una contropressione di 200 kPa e vogliamo un confinamento efficace di 100,
dobbiamo applicare una tensione di cella pari a 300 kPa. Nel ragionare ci conviene trascurare uo e
considerarla nulla, anche se non è vero, perché abbiamo visto che non porta cambiamenti
sostanziali nei percorsi.
Formuliamo un’altra osservazione in merito alla precedente figura, riguardo il piano degli
invarianti q,p.
• E’ lampante che il primo percorso e quindi il primo punto si svolgono sull’asse delle p (/p’),
dunque a q uguale a zero. Ciò simboleggia la consolidazione isotropa, in cui sono nulli gli
sforzi di taglio perché assenti le componenti deviatoriche.
• Possiamo, ancora notare, che la prova si svolge aumentando via via la forza VERTICALE e
dunque la σ1. Questo è il motivo per cui sul piano tau-sigma in cui rappresentiamo gli stati
tensionali “sull’elemento di volume”, i cerchi di Mohr vedono il primo punto fermo e quello
delle σ1 crescente (quindi proprio la sigma 1 causa l’aumento del diametro di tali cerchi).
In particolare sigma 1 è la tensione principale massima e sigma tre la tensione principale
minima. Nel piano q,p’, al crescere della forza inclinata, invece, vediamo comparire il
segmento inclinato sia in termini di Tensioni totali che efficaci. Ovviamente la differenza
reciproca tra tutti i punti in successione rimane sempre uo perché stiamo considerando
una prova consolidata drenata, quindi non stiamo introducendo sovrappressioni neutre
durante la fase deviatorica e infatti il rubinetto è aperto ed è connesso con la pressione
sempre fissa uo (“back press?????”), che origina due percorsi paralleli. Ma perché sono
inclinati in questo modo? Questa pendenza è nota! E’ un ∆q/∆p! Con…
∆q = ∆ σ1 - ∆ σ3
∆p= (∆ σ1 + 2 ∆ σ3 )/3
E dunque… ∆q/∆p= 3*(∆ σ1 - ∆ σ3 ) / (∆ σ1 + 2 ∆ σ3 ) .

Facendo il punto della situazione: abbiamo visto che nella nostra prova triassiale, così come
appena studiata, vediamo che solo la σ1 può aumentare, e non la σ3, perché l’aumento di forza
verticale F causa solo il rispettivo aumento di tensioni verticali σ1, mentre le σ3 dipendono solo
dalla tensione di cella, che rimane costante e di conseguenza non avremo mai in tale prova un ∆σ3
diverso da zero. Come già visto, ciò si traduce in un aumento del diametro del cerchio e non
spostamento del suo primo punto, che rimane fisso sul valore iniziale di σ3.
Possiamo allora osservare che: ∆ σ3 = 0 e di conseguenza => ∆q/∆p= 3! Per tale motivo il percorso
sul piano q,p è detto PERCORSO TRE A UNO, in cui quando p aumenta di un’unità, q aumenta di 3,
ed il PERCORSO CONVENZIONALE DELLA PROVA TRIASSIALE.
Cosa diversa è il caso della prova non drenata CIU, dove possiamo determinare univocamente
il percorso delle tensioni totali, mentre quello delle tensioni efficaci è la risposta del provino e non
possiamo conoscerlo a priori.
Cosa succede mentre cresce il cerchio di Mohr? Cresce liberamente fino a raggiungere la
situazione di rottura. Tale rottura si definisce, appunto, tramite il CRITERIO DI ROTTURA DI
MOHR secondo il quale:
τlimite = c’ + σ’*tanφ’, con c’= coesione e φ’=angolo di attrito del terreno (nonché pendenza della
retta rappresentata in nero nella figura).
Per semplicità la retta passa per l’origine e ciò significa che trascuriamo la coesione c’. Se così non
fosse, la retta non passerebbe per l’origine degli assi ed avrebbe, quindi, un’intercetta.
Analogamente, la stessa retta dello stato di rottura, si ritrova nel piano q,p’ ed in questo caso avrà
equazione q=qc+Mp’, con analoga possibilità di considerare qc pari a zero (discendente proprio da
coesione nulla). La pendenza, dunque, è M, ed è l’equivalente della tangente di phi’ incontrata
prima. In realtà, questa retta prende il nome di RETTA DI STATO CRITICO perché è legata alla
condizione di rottura.
Di fatto questo corrisponde a un certo e ad una bilatera, ovvero corrisponde al criterio di rottura
sul piano di Mohr.

Cerchio a rottura
Bilatera di Mohr rappresentante
l’inviluppo di rottura

Il punto in cui il cerchio è tangente all’inviluppo di rottura descrive lo stato tensionale che agisce
sulla giacitura di rottura. Quindi possiamo individuare la giacitura di rottura: è quella che
corrisponde allo stato tensionale di quel punto di intersezione.
Definiamo due condizioni limite:
1) DI STATO LIMITE ATTIVO
2) DI STATO LIMITE PASSIVO

Nello stato limite attivo, la tensione minima è la σ3 orizzontale e quella massima è quella
verticale, ovvero la σ1. Se riflettiamo, queste sono le caratteristiche qualitative che
ritroviamo nella condizione a rottura della prova triassiale.

Se ci mettiamo nel punto A ha per coordinate ( σ3 ; 0 ) e rappresenta lo stato tensionale


che agisce sulla giacitura verticale (perché ha solo una tensione orizzontale). In A
tracciamo il piano verticale, ovvero una linea verticale passente per esso. Unendo il punto
A con il punto di rottura, otteniamo la giacitura su cui avviene la rottura. L’angolo formato
dal piano verticale e dalla retta appena disegnata rappresenta di quanto è inclinata la
giacitura di rottura rispetto al piano verticale. Siccome cerchio di Mohr è simmetrico
rispetto all’asse delle sigma (infatti va anche nel piano negativo delle tau), anche il criterio
è simmetrico! Così, possiamo tracciare analogamente l’altra linea nel sottostante
semipiano delle tau negative ed ottenere l’altra giacitura di rottura. Dunque esistono due
famiglie di giaciture a rottura che sono inclinate in una delle due maniere. Con delle
considerazioni trigonometriche, si dimostra che l’inclinazione rispetto al piano verticale di
queste rette è di 45° - φ/2. Quindi, ogni volta che abbiamo una giacitura di rottura, essa
risulterà inclinata di 45°-φ/2 rispetto alla direzione principale massima!

Nello stato limite passivo immaginiamo di mantenere costante la tensione verticale ed


aumentare quella orizzontale. Ovviamente questa non è la condizione della prova
triassiale, ma più propriamente, è il caso di un generico problema di geotecnica “al finito”.
Dunque si intuisce che la situazione è “ruotata” rispetto a quella di prima, come
osserviamo in figura, e che dunque la tensione principale massima risulta essere quella
orizzontale e quella principale minima, la verticale. Per comodità, in figura troviamo
ancora denominato con σ3 la minima e con σ1 la massima, seppure indicano direzioni
diverse da prima.

La giacitura di rottura si ottiene unendo il punto P con il punto di tangenza del cerchio con
l’inviluppo di rottura. Ripetiamo poi l’operazione anche nel semipiano negativo delle tau.
Abbiamo così ottenuto le due giaciture di rottura, che hanno una certa inclinazione
rispetto alla giacitura verticale, precisamente pari a 45°+φ/2.

Si ricordi che qualitativamente, ora la giacitura verticale passante per P rappresenta per lo
stato limite passivo, la direzione principale minima.

Dunque: la direzione di rottura è a 45° - φ/2 rispetto alla direzione principale massima e
45°+φ/2 rispetto alla direzione principale minima. Queste sono le due definizioni di S.L.
attivo e passivo che vogliamo tenere a mente.

La rottura nello stato limite attivo è anche detta ROTTURA PER DECONFINAMENTO
LATERALE. Il meccanismo proviene dal fatto che quanta più forza applico, più il provino
vuole cedere lateralmente, fino a superare la compressione laterale imposta e sconfiggere
il confinamento orizzontale.

Se volessimo evitare la condizione di rottura di quel cerchio dovrei fare i modi di traslare il
cerchio verso destra (e non che resti fermo come abbiamo visto fino ad ora!). Dunque, se
volessi far spostare il cerchio, non dovrei mantenere la nostra situazione di σ3 fissa, ma di
σ3 che cammina sull’asse, contestualmente all’aumento del diametro. Nel caso dello SL
Passivo, invece, abbiamo bisogno di un confinamento verticale per evitare la rottura.

La stessa retta vista nel criterio di Mohr, si può rappresentare alternativamente anche sui
piani σ1 - σ3 e p-q .
Ka = COEFFICIENTE Intercetta
DI SPINTA ATTIVA Pendenza pari a Kp (COEFFICIENTE
DI SPINTA PASSIVA)

La pendenza può essere vista come l’angolo formato con l’asse delle x e quindi pari a Kp, oppure
come la pendenza rispetto all’asse delle y, ovvero in termini di Ka. Entrambi sono legali all’angolo
φ e sono l’uno il reciproco dell’altro.

Anche nel piano degli invarianti q,p abbiamo che la pendenza è un parametro funzione di φ. In

particolare, si dimostra che tale pendenza M è , e qc si può dimostrare che è


funzione di Ka e di c. Inoltre è possibile determinare la relazione tra le tensioni principali nelle
condizioni di rottura di Mohr. Essa è scritta in termini totali e non efficaci perché è un caso
generale ed è detta FORMULA DI RANKINE.

Di fatto, le formule di Rankine per spinta attiva o spinta passiva sono la stessa formula scritta in
funzione una volta della sigma 1 e una volta della sigma 3 e sono equivalenti al criterio di Mohr-
Coulomb. Quindi quella linea rossa del piano sigma 1 e sigma 3 è scritta grazie alle formule di
Rankine, ma corrisponde al criterio di Mohr-Coulomb in quanto le costanti sono funzione del sen
φ e c è proprio la stessa coesione presente nella teoria di Coulomb.

L’altro piano q-p rappresenta ancora lo stesso criterio di Mohr Coulomb, ma in termini di
invarianti. M e qc infatti sono ancora funzione di φ e di c. Ciò è ragionevole se si pensa che le
caratteristiche del terreno sono fondamentalmente riconducibili all’angolo di attrito φ e la
coesione c, e tutti gli altri sono secondari e funzione di questi ultimi.
Notiamo che nei grafici precedenti, tra cui quello di inviluppo di Mohr, le rette partivano da zero,
ovvero rappresentavano dei casi particolari in cui la coesione è pari a zero. Nell’ultima immagine,
invece, notiamo la presenza di un’intercetta e quindi è la rappresentazione del caso generale di
coesione diversa zero, che trasla la retta, non facendola più passare per l’origine degli assi.

Assumiamo c uguale a zero e cerchiamo di dimostrare che

e dunque che per c=0,


.
Come posso fare?

Bisogna dimostrare che:


1+sin 𝜑
σ1 = σ3kp (1) dove kp = 1−sin 𝜑

Essendo ABC un triangolo rettangolo, retto in C, allora si ha:


σ1−σ3
𝑟= 2
(2)

σ1 − σ3 2σ3 + σ1 − σ3 𝜎3 + 𝜎1
σ3 + r = σ3 + = =
2 2 2
Quindi:
𝜎3 + 𝜎1
σ3 + r = (3)
2
Adesso, essendo:
(σ3 + r) sin 𝜑 = 𝑟 (4)

Andando a sostituire la (2) e la (3) nella (4), allora:


𝜎3 + 𝜎1 𝜎3 − 𝜎1
sin 𝜑 =
2 2
Quindi:
(𝜎3 + 𝜎1) sin 𝜑 = 𝜎3 − 𝜎1
𝜎3 sin 𝜑 + 𝜎1 sin 𝜑 = 𝜎3 − 𝜎1
𝜎3 sin 𝜑 − 𝜎3 = −𝜎1 sin 𝜑 − 𝜎1
−𝜎3 sin 𝜑 + 𝜎3 = 𝜎1 sin 𝜑 + 𝜎1
𝜎3(1 − sin 𝜑) = 𝜎1(1 + sin 𝜑)
1 + sin 𝜑
𝜎3 = 𝜎1 (5)
1 − sin 𝜑
Essendo:
1 + sin 𝜑
= 𝑘𝑝
1 − sin 𝜑
Dalla (5) si ha la (1):
σ1 = σ3kp
Se invece c è diversa da zero, possiamo tenerne conto considerando una retta traslata che non
passa per l’origine ed ha un’intercetta, come rappresentato nella figura precedente e in quella
successiva. Se chiamiamo c’ il valore dell’intercetta con l’asse delle sigma, avremo che:

C’

φ C’cot φ

DIMOSTRAZIONI FACOLTATIVE

DIMOSTRAZIONE DELLA FORMULA DI RENKINE:

Rappresentiamo le condizioni tensionali sul piano di Mohr τ – σ, e ragioniamo qui.

Il caso in cui c’ è diverso da zero, sarebbe rappresentato tramite una condizione di rottura (retta
nera) traslata che non passa per l’origine, ma che ha un’intercetta c’ (come già visto prima).
Ovvero:

C’cot φ’ C’

σ3 σ1
Se traslassimo idealmente, potremmo ragionare su uno stato tensionale equivalente, in cui la σ3 si
compone anche di questo segmento fittizio c’cot φ.

C’cot φ’
σ3 + c’cotφ’ σ1 + + c’cotφ’

Dunque, avremo un nuovo piano con l’asse delle τ traslato e c=0 (INFATTI NON AVREMO PIU’
L’INTERCETTA!). Quindi nelle relazioni potrei scrivere: σ*1 = σ1 + c’cotφ’, sfruttando un semplice
criterio geometrico. Analogamente: σ*3 = σ3 + c’cotφ’
Sostituendo si avrà:
σ1 = Kp σ3 + c’ cotφ’(kp - 1)

Passiamo al piano degli invarianti p,q.


Vale la relazione:

Non ci interessa dimostrare che , quanto provare che q e p sono legati da M.


Se c’è una coesione, posso scrivere che q=M(p’+c’cotφ’)
Questo perché nello studio equivalente p’*= (σ*1 +2 σ*3)/3
ma: (σ*1 +2 σ*3)/3 = (σ’1 +2 σ’3)/3 + (3c’cotφ’)/3= p’ + c’cotφ’
e dunque
q= Mp’ + Mc’cotφ’ = M[(σ’1 +2 σ’3)/3 + (c’cotφ)]
Alla fine se pongo qc= q- Mp’
Avrò: qc = Mc’cot φ’ (scrittura poco formale, ma equivalente a q=Mp’ + qc )

Fine dimostrazioni formule di Renkine.


Oltre il solo funzionamento della prova triassiale che abbiamo visto fino ad ora, risulta molto più
utile e importante capire cosa stiamo in realtà facendo meccanicamente al provino in funzione dei
piani coordinati.

Linea di stato critico

Epsilon Piano di
Piano dei percorsi tensionali Mohr
q-epsilon assiale rappresenta il volumetrica-
della prova triassiale
comportamento meccanico epsilon assiale

Il piano q-ԑassiale ci illustra punto per punto il legame tra la tensione deviatorica q e la
deformazione assiale. Ci interessa studiare questo percorso meccanico per ottenere le
informazioni in termini di deformabilità e di rottura.

Il piano ԑvolumetrica - ԑassiale è il piano che ci descrive il comportamento volumetrico, ovvero ci dice
come varia il volume del provino nel corso della prova.

A questi 4 piani possiamo aggiungerne un quinto che ci dice come varia l’indice dei vuoti, al
variare di p’ (un po’ in analogia con il piano in cui rappresentiamo i risultati della prova
edometrica: e-log(σ’v) ).
Le curve disegnate con il rosso rappresentano la situazione in tensioni efficaci.

Possiamo notare che le curve del piano q-epsilon, tendono a diventare una retta. Ciò indice che q
da un certo punto in avanti rimane fisso e non dipende più da epsilon. Il che significa che arrivati a
quel punto della prova, posso continuare ad osservare delle deformazioni ma non degli incrementi
di carico sopportato.

Allo stesso tempo, se andassi a misurare le deformazioni volumetriche otterrei la curva del piano
epsilon v- epslion assiale. Anche qui tendiamo verso un valore limite.

Osservando ciò nel complesso, osserviamo che durante la prova, aumentando la tensione,
tendiamo verso una situazione stazionaria in cui si bloccano sia q che le deformazioni
volumetriche epsilon v, e dunque anche l’indice dei vuoti, che rimane infatti stazionario se il
volume non cambia.

La situazione di stato critico, dunque, può essere così descritta: volume stazionario e
deformazione crescente. Questo corrisponde proprio ai punti che si proiettano sulla linea nera,
che abbiamo quindi, per questo, denominato retta di stato critico (oltre ad essere anche la retta di
rottura).

Se parto da una tensione di cella maggiore, ovvero dal cerchio verde, e considero di partire da una
tensione di cella = 200 kPa, osservo che il cerchio è più grande: questo dipende dal fatto che
aumentando la tensione di cella è aumentato il confinamento. Raggiungo così un diamentro
maggiore e dunque un deviatore maggiore. Da ciò deriva una tensione di rottura più alta e una
deformazione volumetrica leggermente maggiore. Se aumento ancora la tensione, mi trovo nel
cerchio blu da cui discendono analoghe considerazioni.

NB: Teniamo sempre presente che questi tre cerchi di Mohr sono relativi alla parte deviatorica
della prova, a consolidazione isotropa avvenuta per ciascuna tensione di cella e quindi per ciascun
provino. Dunque, tutte queste curve rappresentano i percorsi deviatorici della prova.

Come anticipato sarebbe produttivo imparare a ragionare anche sul piano dell’indice dei vuoti (E-
p’). Infatti, il comportamento meccanico del terreno (C.M.), sia nell’ambito della prova triassiale,
sia in generale, avviene in funzione di condizioni particolari. Ovvero: il tipo di materiale (“nome e
cognome del materiale”), la tensione efficace di confinamento σ’ (il punto di partenza delle sigma
cambia il comportamento, riflettendosi ad esempio sull’andamento della curva q-epsilon),
parametro OCR (grado di sovraconsolidazione) per i terreni a grana fina, densità relativa o altri
parametri per i terreni a grana grossa, condizioni di drenaggio (infatti se il drenaggio è consentito
o meno, cambia tutto). Quello che abbiamo appena visto era relativo ad una condizione drenata in
fase deviatorica, ed è diverso analizzarla in condizione non drenate.

Se il terreno è normal-consolidato, OCR=1. Consideriamolo tale.


Il tipo di materiale è descritto dalle sue caratteristiche meccaniche ovvero c’ e φ’, dunque risulta
ben descritta dalla solita retta dell’inviluppo di Mohr in quanto ci comunica entrambi i valori.
Deviatore a rottura

Curva di scarico ricarico dei terreni


La linea di stato critico è una ed un’unica linea dello
sovraconsolidati
spazio q,p’,E le cui proiezioni nel piano q-p’ e nel piano E-
p’ sono rappresentate da una retta e una curva. L’altra coppia di linea e di curva è invece detta
linea di compressione normale LCN e rappresenta il percorso che segue il provino in
compressione isotropa. La proiezione della linea di compressione normale sul piano q-p’ coincide
con l’asse p’. Infatti, se io comprimo isotropamente (aumento la tensione di cella in fase isotropa)
mi muovo lungo la linea vergine nella prova edometrica e lungo l’asse p’ se il terreno è normal
consolidato.

Se il terreno forse sovraconsolidato, mi muoverei su una curva di scarico-ricarico. Quindi, sia sul
piano E-p’ che sul piano edometrico e-log σ’v , ho una curva vergine di compressione normale e
delle curve di scarico-ricarico.

Quindi, io posso definire anche in questi piani delle curve caratteristiche che sono rappresentate
da parametri meccanici che rappresentano il comportamento intrinseco del materiale, ad esempio
attraverso M, attraverso le pendenze delle curve nei piani logaritmici, ecc ecc. In effetti la
pendenza della curva del piano semilogaritmico è parente della Cc vista nel piano edometrico,
ovvero le è proporzionale tramite un coefficiente, così come la pendenza della curva di scarico
ricarico è funzione di Cs, a meno di un coefficiente di proporzionalità. TOT: Posso ricavarli anche
dal piano edometrico. Questo vuol dire che ogni volta che io parto da una certa tensione iniziale
partendo dal presupposto di terreno normal consolidato in compressione isotropa. Poi faccio la
prova di carico.

Per quanto detto all’inizio, se la prova è drenata so che ragiono in termini di tensioni totali (che in
questo caso coincidono con quelle efficaci) e so che arrivo a rottura con una pendenza di 3:1 in
corrispondenza della retta di stato critico (in quanto per il criterio di Mohr-Coulomb le tensioni
efficaci non possono mai superare la retta critica!! E qui le nostre totali coincidono con le efficaci!).
Proietto il mio deviatore a rottura sul piano q-epsilon e traccio a maniera la curva del
comportamento non lineare del materiale. In termini di deformazioni volumetriche, posso
proiettare i valore di p (o p’) sul piano e-p (p’), per capire in corrispondenza di quale ascissa
incontrerò le curve di stato critico e di compressione normale, per dedurre gli indici dei vuoi
iniziale (eo) e finale (e1), ed il percorso che conduce da un indice all’altro. Da questo noi vogliamo
capire i valori delle deformazioni volumetriche.

La deformazione volumetrica ԑv si calcola: ԑv = - ∆e / 1+eo (metto un meno avanti perché voglio


un valore positivo ed il delta sarebbe di per se negativo in quanto in compressione l’indice dei
vuoti diminuisce). Il valore epsilon v così ottenuto ci dice il valore asintotico cui arriviamo nel
grafico.

Se avessimo cominciato da una tensione di cella maggiore, ci saremmo aspettati un


comportamento più rigido del tipo…… in quanto la rigidezza dipende anche dalla tensione di
confinamento.

NB. Se al posto di p’ avessi usato una scala logaritmica (logp’), avrei avuto delle rette e non delle
curve, proprio come ho la retta vergine nel piano e-log σ’v nella prova edometrica. E sarebbero
delle rette parallele, ovvero con la stessa pendenza nel piano semilogaritmico. Detto ciò, possiamo
immaginare che la distanza tra le due curve nel piano e-p’ (o delle due rette nel piano
semilogaritmico associato) è pressoche costante e dunque il ∆e rimani quasi uguale. Quello che
cambia è piuttosto la epslion iniziale (e che quindi fa cambiare la ԑv )
Dunque se facessimo il diagramma e-p’ in scala migliore, dovremmo osservare una situazione
tipo:

Tot: grazie a questi 4 piani possiamo seguire la prova consolidata drenata, tenendo sempre
presente anche il piano di Mohr.

CONDIZIONI NON DRENATE


Osservazioni:
1. Durante la fase di taglio cresce il cerchio di Mohr.

2. La prima cosa strana che osserviamo è che in tensioni efficaci cambiano entrambe le sigma
primo perché seppure la prova è condotta mantenendo la tensione di cella, manteniamo
chiuso il rubinetto del drenaggio interno. Ciò significa che mantengo costante il volume del
provino, ma comprimendolo mando in tensione l’acqua al suo interno, facendo insorgere
sovrapressioni neutre. Questo implica una crescita del cerchio molto più veloce, che lo
avvicina altrettanto velocemente alle condizioni di rottura.

3. Il percorso in tensioni efficaci sul piano q,p’ a causa di tali pressioni neutre ∆u (drenaggio
non libero!), addirittura svergola verso sinistra, invece di conservare la pendenza e la
distanza uo (contropressione). Quindi non controllo più il percorso in tensioni efficaci, ma
in tensioni totali. La tensione efficace è invece la risposta del provino perché dipende dal
∆u che genera.

4. Il percorso tratteggiato è quello che avremmo avuto a rubinetto aperto.

5. Il deviatore a rotture a parità di tutto è sempre diverso nelle condizioni non drenate, e nel
nostro caso, sul piano tau-sigma è più basso (sempre perché l’incremento di
sovrapressioni neutre, riduce quelle efficaci, e sposta il cerchio verso sinistra
avvicinandolo all’inviluppo di rottura. Se avessi osservato una riduzione delle
sovrapressioni neutre (cosa possibile), il cerchio sarebbe andato a destra, migliorando la
resistenza del materiale, ovvero avendo un deviatore a rottura più grande (raggio del
cerchio più grande). Attenzione! Il raggio del cerchio a rottura (ovvero quello che
chiamiamo deviatore a rottura qf) assume in questa prova un significato particolare: 2cu
(con cu = COESIONE NON DRENATA, ovvero resistenza a taglio non drenata.) Questo
simboleggia il parametro di coesione in un mezzo monofase equivalente, cioè: quando
ragioniamo in termini di tensioni totali, il criterio di Mohr-Coulumb degenerale in una
retta orizzontale che ha pendenza nulla ed intercetta cu. Quindi l’abbiamo determinata da
una prova consolidata non drenata in cui abbiamo associato il comportamento meccanico
ad una precisa tensione di cella.
LEZIONE 16.11.2017 Slide9
Abbiamo visto come si calcola il cedimento con il metodo edometrico ; per l’ applicazione del prossimo esercizio
non ci troviamo più in condizioni edometriche per cui calcoleremo il cedimento iniziale e di consolidazione con il
metodo di Skempton e Bjerrun attraverso la conoscenza del cedimento finale composto da un cedimento iniziale
calcolato con la teoria dell’elasticità e uno di consolidazione calcolato con il metodo edometrico che sarà
modificato poiché nella realtà non è un cedimento edometrico. Il cedimento iniziale 𝒘𝟎 sarà valutato in
condizioni non drenate per cui non avremo variazioni di forma ma variazioni di tipo distorsionali, cioè 𝜀𝑣 =0 e sarà
:

(0)
La deformazione iniziale la otteniamo attraverso la teoria dell’elasticità , cioè attraverso la formula di Navier ,
applicando la formula in tensioni totali su mezzo monofase con modulo di Young 𝐸𝑢 in condizioni non drenate e il
coefficiente di Poisson 𝜈=0.5 .
𝐸𝑢 però varia con la profondità e per ottenerlo possiamo analizzare una prova consolidata non drenata (1). Dal
piano q-𝜀𝑎 possiamo ricavare Eu; Eu deve esser valutato secondo un punto della curva e a seconda del punto
scelto avremo una retta secante che definisce un diverso 𝐸𝑢 .

Eu

(1) (2)

La curva è integrata da una quota 0 a quota in profondità; il modulo di Young dipende dalla profondità ma anche
dalle tensioni verticali di cella che applichiamo. Al variare di tali fattori, profondità e tensioni, avremo che la curva
q-𝜀𝑎 sale Fig(2), quindi a seconda della curva avremo un modulo differente .Dovrò scegliere una tensione
verticale di cella a cui fare riferimento per ricavare il punto . Per conoscere la tensione considero un area di carico
con tensioni litostatiche al di sotto di tale area.

(3)
Se non ho un banco deformabile ben definito di spessore H poggiato su un banco rigido posso ragionare
applicando un carico q che induce un incremento di tensione significativo identificato da un bulbo delle tensioni
in cui ∆𝜎𝑣 /q ≥0.2 (20%) . All’ interno di tale bulbo mi metterò nel baricentro G e valuterò la tensione verticale
nel baricentro che sarà la tensione verticale di cella che mi serve ,rappresentativa del volume deformabile. Se ho
un banco deformabile considererò sempre le tensioni verticali a metà dell’altezza cioè nel baricentro che è però
un po’ spostato verso l’alto poiché ( Fig.3 a fianco, linea nera) le tensioni verticali sono massime sul piano di
campagna, proseguono in modo pressoché costante fino a decrescere; a tal proposito consideriamo una tensione
media a una quota un po’ più in alto del baricentro. Individuare una quota nel diagramma 𝜎𝑣 significa individuare
una quota percentuale di tensione (𝜎𝑣 20%).
Valutata la tensione sul bulbo considerato sceglierò la curva di riferimento secondo la tensione litostatica ricavata
a quella profondità ; tale procedimento è richiesto perché non conosciamo Ko. Se invece conosco 𝐾0 posso
1+𝑘0
ricavare la tensione , e quindi la curva di riferimento come 𝑝′0 = × 𝜎′𝑣
3
Dalla curva (1) devo poi definire il punto da cui tracciare la secante ; per fare ciò , nella pratica in un area su cui
agisce un carico di fondazione avremo delle tensioni che sono lontane dalla condizione di rottura poiché
consideriamo le tensioni in esercizio. Se definisco il carico limite allo stato limite ultimo ,devo verificare che il
carico di esercizio sia minore di quello limite con differenza che prende il nome di Fattore di sicurezza (FS) che è
dell’ordine di 3 (N.B. NON è UNA VERIFICA RICHIESTA DALLA NORMA, ma è un equivalenza secondo cui il carico
limite è 3 volte quello di esercizio).
Se questo è vero, il rapporto CaricoLimite/CaricoEsercizio mi da FS, cosicché posso considerare un valore
deiviatorico q=qex (esercizio) che sarà distante da qf ( è un ipotesi che non è sempre vera poiché per ogni punto
di terreno potremmo avere tensioni differenti; mi è utile solo per valutare il punto).

Il punto di riferimento sarà definito come rapporto tra qf/FS e in tal punto traccio la secante fig.(1).
Una volta valutato Eu lo porto al di fuori dell’ integrale (0) poiché è costante ( condizione non drenata). Il
cedimento è funzione di Eu e di un integrale di tensione che definisce il metodo Skempton che ci permette di
definire il cedimento iniziale come :

Tale formula è ottenuta considerando la (0) dividendo le tensioni per q e moltiplicando q a Eed, al di fuori
dell’integrale, e moltiplicando e dividendo allo stesso modo per B, che è la dimensione dell’area di carico e
siccome siamo in condizioni edometriche B è trascurabile rispetto allo strato deformabile.
Infine L’integrale in dz/B integrato tra 0 e H/B definisce L’ Iw che dipende dagli incrementi di tensione rispetto al
carico che sono soluzioni di Boussinesq.

Questo integrale dipende dalla forma della fondazione, se rigida o flessibile, e anche da H/B . Se B è molto grande
, e se B>>H allora tendiamo alla condizione edometrica , cioè il 𝑤0 =0 in condizioni non drenate poiché tutta la
tensione è assorbita dal fluido interstiziale, quindi se B è molto grande 𝐼𝑤 =0
L’ integrale è funzione a sua volta di 𝐼1 *𝐼2 che sono variabili che dipendono della forma e fattori geometrici della
fondazioni definibili da abachi elaborati con formule adimensionali secondo Boussinesq .

Il cedimento di consolidazione 𝑾𝒄 è dovuto, invece, a un carico che verrà assorbito in parte dalle sovrappressioni
neutre e in parte dall’ incremento di tensione efficace. Le tensioni si ripartiscono attraverso la legge di Skempton
cioè assumendo B=1 poiché il mezzo è saturo; per valutare A facciamo
riferimento alla prova triassiale.
In una prova triassiale non drenata in fase deviatorica facciamo riferimento al diagramma ∆𝑢-𝜀𝑎 in cui non si
hanno deformazioni volumetriche ma l’acqua di porosità aumenta di pressione.

(4)
Se misuro ∆𝑢 posso ricavare A da ∆𝑢0 che viene diviso per il modulo Edometrico, integrato tra 0 e H ottenendo
cosi Wc.
Per valutare il cedimento a quota pari a 0 mi basterà conoscere ∆𝜎1 𝑒∆𝜎3 indotti dal carico q e noto il parametro
di Skempton ottengo l’integrale.
Se A di Skempton non è noto lo possiamo ricavare dalla prova triassiale non drenata andando a considerare la
curva blu Fig (4). ∆𝑢 è dato dalla curva, conosco le tensioni perché le imponiamo a seconda del carico q e quindi
da formula inversa mi ricavo la A di Skempton osservando che ∆𝑢= ∆𝜎3 + 𝐴(∆𝜎1 − ∆𝜎3),ma nella prova
triassiale la tensione di cella ∆𝜎3 è costante ;considereremo solo la tensione assiale e quindi ∆𝜎3 =0 .
Ricaveremo
∆𝑢 ∆𝑢
A =∆𝜎1 = 𝑞
Il parametro di Skempton varia a seconda della profondità della fondazione , per cui vado a prendere il punto che
corrisponde al punto di valutazione del modulo Edometrico Eu di partenza Fig.(1).
Inoltre noi sappiamo che Wf=𝑤0 +𝑤𝑐 e se consideriamo che all’ istante inziale induco una ∆𝜎𝑧 implicitamente
induco un ∆𝜎′𝑧0 che produce il cedimento iniziale ,che in condizioni edometriche =0 ; quando arrivo all’infinito le
∆𝑢 si dissipano arrivando a 0 , avremo che per t=∞ , ∆𝑢0 ≡ ∆𝜎′𝑧∞ per cui tutte le sovrappressioni neutre
diventeranno incremento di tensioni efficaci la cui somma da la ∆𝜎𝑧𝑡𝑜𝑡 ed in funzione di ∆𝜎′𝑧∞ definiamo il
cedimento finale.

(5)
Wc si calcola con l’integrale di questa curva:

che può essere rielaborata con Eed e A costanti e portati fuori dall’integrale da cui:

in cui 𝛽 è funzione dell’area della fondazione e dei rapporti H/B, H/D , forma e rigidezza. In tal caso 𝛽 può esser
calcolato dai grafici noto A , tipo di fondazione , tipo di terreno e rapporti H/B e H/D.
3 ESERCITAZIONE Eg 03.11.2017 (Del Sorbo Antonio) continuo 10.03.2017( Di Somma Luisa Alba)

L’ esercizio di oggi riguarda la valutazione del cedimento con l’ applicazione del metodo edometrico nella tabella
NORMAL-CONSOLIDATA ,mentre nella SOVRA-CONSOLITATA applichiamo il metodo di Skempton.
Dal testo dell’esercizio:
“Per realizzare una pista aeroportuale su di un banco di argille limose, saturo a partire dal piano di
campagna, dotato di un 𝛾sat di 18.5 KN/m3 e dello spessore di 30 m, occorre costruire un rilevato di altezza
2.1 m, lunghezza 3000 m e larghezza 150 m” ; vista l’ estensione della pista parliamo quindi di un corpo
solido molto lungo per cui il calcolo dei cedimenti più essere complicato quando operiamo in ambito
tridimensionale. In tal caso il modello viene semplificato considerando la larghezza della pista che poggia su
un banco di 30m per cui il Rapporto tra la base B=150 e lo spessore H=30 è dell’ ordine di 5 e in cui l’ ipotesi
edomentrica è applicabile poiché H<<B.
“Il rilevato sarà costruito con un terreno ghiaioso, costipato a un 𝛾d = 21 KN/m3 e un contenuto d’acqua
w=0.04.”Questi dati vengono forniti per capire se il rilevato è costipato a seconda del carico che viene
applicato.
Ricordando che 𝛾𝑑 = 𝛾𝑠 ∗ (1 − 𝑛) da cui otteniamo 𝛾 = 𝛾𝑑 (1 + 𝑤) ottenendo cosi il peso di unità di
volume del rilevato che moltiplicato per l’ altezza ci dara il carico applicato in condizioni edometriche sul
banco di terreno (𝑞). Il carico totale 𝛾 e netto 𝛾𝑑 coincidono poiché il carico è applicato sul piano di
campagna.
Il carico applicato infatti è molto esteso e può influire sul contorno per le condizioni idrauliche ; in tal caso la
ghiaia è permeabile per cui come condizioni al contorno il terreno risulta drenante e ciò influenza la
valutazione del decorso dei cedimenti.
Da valutazione in laboratorio abbiamo una curva di prova edometrica (Fig 1ESERCIZIO); tale curva riguarda
un campione rilevato a 20 m di profondità ; nel caso dello spessore di banco andiamo a rilevare una quota al
di sotto del baricentro cioè a 20 m poiché in tal punto lo stato tensionale è MEDIAMENTE caratteristico del
banco deformabile (generalmente è consuetudine prelevare più campioni a diverse profondità per una
valutazione più corretta caratterizzate da più curve edomentriche che però riportano più o meno la stessa
curva vergine nel caso di TERRENO OMOGENEO).
Abbiamo un ulteriore curva relativa al decorso dei cedimenti a seconda dei carichi sul banco con intervallo di
riferimento da 80-150 KPa (Fig.2 ESERCIZIO). Con questa curva andiamo a ricavare il coefficiente di
consolidazione verticale 𝑐𝑣 secondo questo incremento di carico che sarà lo stesso qualunque sia l’
incremento di carico.
L’esercizio ci chiede di calcolare in cedimento del banco e in quanto tempo viene raggiunta l’80% della
consolidazione; si considera 80% poiché siamo prossimi alla consolidazione e quindi alla valutazione del
cedimento finale.
Infine viene chiesto di valutare l’andamento dei cedimenti nel tempo per il banco di argille limose e che il
calcolo del cedimento sia valutato che l’ipotesi di compressibilità faccia riferimento ai risultati di una
seconda prova edometrica Fig 3 ESERCIZIO.
Passando al file EXEL cominciamo a calcolare il carico da applicare ; ricavo 𝛾 = 𝛾𝑑 ∗ (1 + 𝑤) che moltiplicato
per l altezza mi definisce il carico applicato 𝑝.
La casella relativamente a 𝛾’ e 𝑝 definiscono il carico netto però per le ipotesi di partenza abbiamo impostato che
il carico netto e totale coincidono (NON è UTILE A FINI DI ESECUZIONE DELL’ESERCIZIO)
Dobbiamo ricavare le 𝑐𝑐 e 𝑐𝑠 dalla retta vergine per ricavare le equazioni di indice dei vuoti con formula inversa.
Per fare ciò dobbiamo capire se l’argilla è NC o OC; mediante disegno geometrico sulla curva costruiamo e
determiniamo la tensione di consolidazione con metodo Casagrande. (1)
Per la costruzione consideriamo la tangente al punto di massima curvatura, segue l’ orizzontale nel punto di
tangenza; consideriamo la bisettrice dell’angolo che si forma, prolunghiamo linearmente i tre punti della curva
vergine per avere la pendenza della linea vergine la quale incontra la bisettrice definendo il punto finale che ci
indica la tensione di snervamento , di consolidazione o normalconsolidazione -a seconda del caso- (1)
(1)
Dopo di che si valuta OCR=𝜎′𝑣 /𝜎′𝑣0=𝑧 in cui 𝜎′𝑣0 è la tensione verticale litostatica a seconda della profondità del
campione (20m).
Ciò detto dal grafico considero il punto di max curvatura e si valuta che la tensione verticale 𝜎′𝑣 =300KPa ; a 20 m
al tensione verticale litostatica 𝜎’𝑣𝑜 si ricava considerando
𝛾 ′ = 𝛾𝑠𝑎𝑡 -9.81 =18.05-9.81  𝜎′𝑣0 =𝛾’*20m= 8.7*20= 175 KPa
Si ottiene cosi OCR= 300/175 =1.72≅ 2 per cui il terreno sarebbe sovraconsolidato. Per applicazione della tabella
si pone l‘ipotesi che il terreno risulta normalconsolidato; ciò è dovuto all’incertezza dell’OCR, ma anche perché ci
avviciniamo al caso di normal-consolidazione con valore OCR valutato non lontano da quello di normal-
consolidazione (condizione cautelativa).
Passiamo alla definizione della pendenza della linea vergine 𝑐𝑐 che è dato dalla pendenza della retta vergine che
è utile per ricavare 𝑒 (𝜎 ′ 𝑝)=𝑒0 -𝑐 log 𝜎′𝑣 /𝜎′𝑣0 con 𝑒0 e 𝜎′𝑣0 che sono le coordinate del punto sulla retta vergine
,un qualsiasi punto che definisce ( quindi deve appartenere alla retta vergine) dei punti di ancoraggio della retta
vergine. Dal grafico mi conviene considerare l’ultimo punto che si trova a 5000KPa con 𝑒0 =0.63 .Dalla tabella tale
punto considero Po lnc .
Valutiamo ora 𝑐𝑐 che può esser ricavato considerando 2 tensioni e leggendo sul grafico gli 𝑒0 ;avremo che la
pendenza sarà proprio uguale alla differenza degli 𝑒0 (1). Se consideriamo a 𝜎′𝑣= 5000Kpa e 𝜎′𝑣 =500 ricaviamo
𝑒0 =1.16
Ricavo quindi 𝑐𝑐 come 𝑒0 (500)-𝑒0 (5000)= 1.16-0.63=0.53.
Dalla tabella vengono considerati 15 strati di terreno poiché quante più stratificazioni abbiamo più valori
otteniamo che si avvicinano alla soluzione reale. Considero strati più fitti in cui mi aspetto che ci siano gradienti di
tensione specifici; man mano che mi allontano considero un ∆z di 2 e poi 5 m.
Zg è il baricentro dello strato; calcoliamo la 𝜎’𝑧 = 𝜎’𝑣𝑖 cioè la tensione verticale litostatica iniziale ,quella finale , l’
indice dei vuoti iniziale e finale etc.
𝜎’𝑧 =zg*𝛾’ e che 𝜎’𝑣𝑓 proviene da formule della teoria elastica ma in questo caso siamo nel campo puramente
edometrico e in condizioni in cui il carico è indefinito e applicato sul piano campagna (2).

(2)
In tal caso noi applichiamo le formule della teoria elastica, in cui il carico è indefinito e applicato al piano di
campagna; se non ci fosse nessun carico allora dalle equazioni indefinite di equilibrio in direzione verticale
𝜕𝜎 ′ 𝑧 ′
avremo che 𝜕𝑧
=𝛾 . Integrando 𝜎 ′ 𝑧 = 𝛾 ′ 𝑧 + 𝑐 in cui c può essere 0 sul piano di campagna, o 𝑝 quando abbiamo
un carico applicato. Allora 𝜎 ′ 𝑧𝑖 = 𝛾 ′ 𝑧 e che 𝜎 ′ 𝑧𝑓 = 𝛾 ′ 𝑧 + 𝑃 sviluppano un inviluppo di tensione parallelo a 𝜎 ′ 𝑓
che è pari a 𝜎′𝑃 con valore pari proprio a 𝑝 (3).

(3)
Nella realtà anche la soluzione elastica nel caso di esecuzione dell’opera avremo che la 𝜎 ′ 𝑧 diminuisce al variare
del rapporto 𝑍/𝐵 e viene individuato l’abaco elastico nel tratto principale di partenza.
Dal exel imponiamo 𝜎 ′ 𝑧𝑓 = 𝜎 ′ 𝑧 + 𝑃.
Calcoliamo 𝑒𝑖 e 𝑒𝑓 considerando per 𝑒𝑖 la tensione iniziale e per 𝑒𝑓 la tensione finale.
Per valutare se i dati che stiamo ricavando siano validi ricaviamo dal grafico della prova edomentrica l’indice dei
vuoti alla relativa tensione 𝜎 ′ 𝑧𝑓 ed è verificato che siamo prossimi alla curva di prova edomentrica.( a 𝜎 ′ 𝑧𝑓 285
sto a 1.35).
La differenza degli indici dei vuoti ∆𝑒 = 𝑒𝑓 − 𝑒𝑖 che è negativa perche stiamo comprimendo mentre 𝜀𝑧 =
−∆𝑒/(1 +ei).
L’ incremento di contributo al cedimento sarà pari a ∆𝑊𝑒𝑑 = 𝜀𝑧 ∗ ∆𝑧 che mi dirà allo strato i-esimo quanto
contribuisce il cedimento.
Il cedimento sul primo strato è di circa 10 cm e ciò non è dovuto al carico ma al modulo edometrico basso per cui
lo strato superficiale si comprime molto di più a parità di tensione rispetto allo strato profondo.
𝑞 1
Il modulo edometrico è valutato secondo 𝐸𝑒𝑑 = ∗ che restituiscono valori bassi per la presenza di argilla
𝜀𝑧 1000
che è molto comprimibile; per argilla normalconsolidata ci aspettiamo questi valori .
Calcoliamo ora il cedimento totale come somma di ∆𝑊𝑒𝑑 e poi il tempo totale per raggiungere 80% di
consolidazione 𝑇80%.
𝑇80%=cv* (𝑡80 /𝐻 2 ) se conosco cv il 𝑡80 =𝑇80%*𝐻 2 /cv con incognite pari a 𝐻 2 e cv poiché so che 𝑇80% =( tabella
cedimento =0.567), 𝐻 è lo strato ed è doppiamente drenato per cui consideriamo meta spessore H=15m.
Cv = 𝑇50%*𝐻 2 ) /𝑡50 con 𝑇50% =0.197 (tabella lezione a fianco grafico), h è quello drenato del provino edometrico
che è doppiamente drenato dall’ esercizio L=17.51  per cui h=L/2 ; calcoliamo il 𝑡50 sulla grafico dei cedimenti
che deve essere depurato .In prima fase il grafico non ci da cedimento pari a 0 e ciò non è possibile nella prova
Edometrica e il tratto finale deve avere un andamento più asintotico ; poi possiamo calcolare il cedimento finale e
cedimento iniziale e ottenere il relativo tempo 𝑡50 .
Per la costruzione di Casagrande dobbiamo considerare a un generico T e 4T quanto vale il cedimento e calcolare
le differenze di cedimento e traslarla; se prendo t =0.1 il cedimento vale 0.18 mentre a 4T= t0.04 avrà cedimento
pari a 0.28 , la cui differenza sarà 0.10.A questo punto sottraggo 0.10 al punto iniziale. Noto che il punto in punto
iniziale è 0.18-0.10= 0.08 e ottengo il punto iniziale della curva cedimento-tempo. Il 𝑤100 si ottiene prendendo la
tangente all’asintoto finale , la tangente al punto di flesso e nel punto in cui si incontrano abbiamo il valore di
100% di consolidazione. Il punto di cedimento è 1.90 e la differenza con il punto iniziale della curva (0.08) è 1.82 ;
facciamo la meta al 50% .

(4)
Otteniamo cosi 0.91 come cedimento al 50%, pero sulla curva dobbiamo aggiungerci l’ errore iniziale quindi
avremo che 0.91+0.08=0.99≅1
Leggo in corrispondenza di 1 il 𝑇50% che è 7 minuti che sostituisco nella tabella exel e ottengo cv.
A questo punto sarà noto il cv per 𝑇80% e allo stesso modo sarà anche noto 𝑡80 =112.5 anni per avere questo
cedimento.

CONTINUO ESERCIZIO in data 10.11


Vogliamo ricavare il cedimento del banco di argille nel tempo ; dalla curva cedimento-tempo (4) ricaviamo U e T
t(anni) e t(min) e wc (decorso di cedimento di consolidazione in cui t99% possiamo considerarlo dalla formula
(𝑐𝑣/ℎ2 ) ∗ 𝑡 , ma in forma approssimata al 99% si raggiunto un fattore di tempo par a 5).
Il tmin può esser valutato come tmin=(ℎ2 *T)/cv e che U=wc/w(t)  wc= U*w(t)
Realizzando un diagramma si ha un andamento del genere in cui dopo 200anni il diagramma si è stabilizzato.

Grafico t(anni)-wc
0,0 200,0 400,0 600,0 800,0 1000,0 1200,0
0,00
0,20
0,40
0,60
0,80
1,00
1,20
1,40
(5)
Concludiamo l’ esercizio con calcolo del cedimento con terreno sovraconsolidato considerando la tabella di prova
edometrica (fig.3 ESERCIZIO). Tale curva è differente poiché in tal caso dobbiamo verificare se il terreno è
sovraconsolidato o meno. Valutiamo quindi l’ OCR per cui effettuiamo la stessa costruzione di Casagrande (1).
L’OCR si valuta come 𝜎′𝑝 /𝜎′𝑣𝑧 = 1050/174 che è la tensione verticale valutata a quota 20m; tale rapporto è >>1
è sicuramente sovraconsolidato per cui dobbiamo considerare l’ indice di rigonfiameno Cs e non Cc; per ricavare
∆𝑒 partiamo dalla linea di rigonfiamento per calcolare l’indice dei vuoti.
L’OCR varia a seconda della profondità in particolare nella valutazione del nostro OCR di partenza abbiamo
considerato la tensione a 20 m.

(6)
Valutiamo OCR per ogni strato facendo l’ipotesi che il banco in passato fosse caratterizzato da un piano
campagna più elevato.

(7)
Le tensioni in passato scendevano parallelamente alle tensioni attuali distanziati di un valore ∆ (7)che
corrisponde alla 𝜎′𝑝-𝜎 ′ 𝑣𝑧𝑐 che è costante per cui saprò in ogni punto quanto vale la tensione di
sovraconsolidazione poiché considero l’attuale tensione verticale a cui sommo ∆ e ricavo la 𝜎′𝑝.
Noto che ∆ = 𝜎′𝑝 − 𝜎′𝑣𝑧 =1050-𝛾′ ∗ 20 ; valutiamo quindi 𝜎 ′ 𝑧 = 𝛾 ′ ∗ 𝑧𝑔 e 𝜎′𝑝 = 𝜎 ′ 𝑣𝑧 + ∆ e ricaviamo 𝜎 ′ 𝑓 =
𝜎 ′ 𝑧 + 𝑝. Osserviamo che 𝜎′𝑝 (TENSIONE DI PRECONSOLIDAZIONE) è molto grande rispetto a 𝜎′𝑓 che sono
inferiori il che significa che siamo partiti da una condizione di sovraconsolidazione e siamo rimasti in tale
condizione ; se in qualche caso 𝜎′𝑓 è maggiore a 𝜎′𝑝 allora dobbiamo calcolare l’ indice dei vuoti , dopo
l’applicazione del carico , sulla retta vergine.
L’OCR ha valore elevato dall’alto e si riduce con la profondità e ciò ci conferma che il terreno è sovraconsolidato
𝜎′𝑝 𝜎 ′ 𝑣𝑧+∆ 1+∆
anche quando noi applichiamo il carico poiché OCR= = = e possiamo notare che l’OCR ha un
𝜎′𝑣𝑧𝑐 𝜎′𝑣𝑧 𝛾 ′ ∗𝑧𝑔
andamento asintotico.

(8)
in cui per z=o, OCR tende a infinito mentre per z=∞ OCR tende a 1.
Quindi in superficie, l’OCR è maggiore e in profondità può tendere a limite PARI A 1 ;in profondità avremo così la
condizione di NORMAL-CONSOLIDAZIONE.
Calcoliamo Cs e Cc rispettivamente dalla linea di rigonfiamento e la linea vergine che ci serve.
Nel riferimento (FIG:3) abbiamo sulla retta vergine la pendenza Cc mentre sulla linea di rigonfiamento abbiamo
Cs per cui ci dovremmo mettere a seconda della profondità sulla linea di rigonfiamento a cui corrisponde l’ indice
dei vuoti iniziale.
La linea di rigonfiamento passa in un punto che è comune alla linea vergine che corrisponde alla 𝜎′𝑝 di
preconsolidazione poiché appartiene alle linea di normal consolidazione. In tale condizione invece la nostra 𝜎′𝑣𝑧
si trova sulla linea di rigonfiamento. Noto 𝜎′𝑝 conosciamo il corrispondente indice dei vuoti e allo stesso modo lo
conosciamo per 𝜎′𝑣𝑧.

Per valutare l’ indice dei vuoti 𝑒𝑜 (𝜎′𝑝) = 𝑒𝑜 (lineavergine)-cc log(𝜎′𝑝 / 𝜎’𝑣𝑜 (linea vergine).
Dobbiamo quindi valutare Cc e Cs dalla prova edometrica prendendo come riferimento il punto P0lrv.
Consideriamo allora le tensioni 1 e 10volte l altra per ottenere Cc ; considerato 10000 con 𝑒 =0.26 e a 1000 con
𝑒 =0.64 per cui Cc= 0.64-0.26 = 0.38 che è la pendenza della linea vergine per la Cs possiamo linearizzare la curva
tracciando un segmento leggendo il valore di 𝑒 (1000) − 𝑒 (10000) = 0.35-0.26 = 0.08. (dalla costruzione
grafica c’è uno scostamento di valori ).
Definiamo 𝑒𝑜 (𝜎′𝑝) e notiamo dalle tabelle che l’indice dei vuoti da preconsolidazione era tra 0.62 e 0.66 ; 𝑒𝑖 si
può calcolare considerando l’equazione sulla linea di rigonfiamento definita in precedenza .
Valuto poi 𝑒𝑓 con 𝜎’𝑣𝑓. L’indice dei vuoti si riduce rispetto a quello iniziale per effetto di incremento di tensione.
A questo punto valuto ∆𝑒 = 𝑒𝑓 -𝑒𝑖 ; la deformazione verticale è 𝜀𝑧 = –∆𝑒 /(1+𝑒𝑖 ), la deformazione va da dal 2.5%
allo 0.4% in riferimento anche all’ indice dei vuoti che diminuisce in profondità poiché a parità di profondità
aumenta in modulo edometrico per cui il terreno resiste alle sollecitazioni .Definiamo infine la
∆𝑊 𝑒𝑑 = 𝜀𝑧*𝑑𝑧 valutando l’i-esimo abbassamento e poi l’abbassamento complessivo .Per ricavare 𝐸 𝑒𝑑 =𝑞/1000/
𝜀𝑧 in cui il modulo edometrico aumenta con la profondità che paragonato al terreno normalconsolidato dello
stesso esercizio diminuisce ma con variazione minore all’ordine tra 0.02 e 2. Quindi il modulo edometrico del
terreno sovraconsolidato è circa 10 volte quello di normalconsolidazione.
Esercitazione n° 4 del 17/11/2017

PARTE A

La prima parte dell’esercizio ci chiede di considerare il sottosuolo costituito da un terreno profondo


40 metri che poggia su un banco roccioso, sul quale dobbiamo realizzare un serbatoio idrico a pianta
circolare di diametro pari a 30 metri in struttura metallica, destinato ad un riempimento di 15 m
d’acqua. L’esercizio ci chiede di calcolare il cedimento in asse alla fondazione del serbatoio
applicando la teoria d’elasticità, modellando il terreno come mezzo elastico, caratterizzato però
differentemente a breve e a lungo termine: dobbiamo calcolarci gli incrementi di tensione indotti
dal carico applicato in superficie, quindi gli incrementi in profondità lungo l’asse dell’area di carico,
e calcolarci il cedimento di breve termine in condizioni non drenate e il cedimento di lungo termine
in condizioni drenate, in poche parole dobbiamo calcolare il cedimento inziale e quello finale. Ci
aspettiamo un cedimento iniziale diverso da zero perché essendo il diametro pari a 30 metri, quindi
l’area di carico ha una dimensione di 30 metri che è inferiore allo spessore dello strato deformabile
di 40 metri, non ci troviamo in condizioni edometriche quindi ci aspettiamo una deformazione
iniziale per variazione di forma del terreno. Il sottosuolo è omogeneo, caratterizzato con i parametri
elastici “E” e “ν”; l’esercizio ci chiede di adottare i seguenti valori:

νu è pari a 0.5 perché per la teoria di elasticità, l’incompressibilità, ovvero il fatto che ci sia una
rigidezza infinita, coincide con assumere νu pari a 0.5. Questa scelta di parametri non è casuale
perché risponde alla teoria d’elasticità. Si utilizzino le formule della teoria dell’elasticità, per la
condizione di sovraccarico circolare (soluzione di Boussinesq), in asse alla fondazione (Figura 2).
𝜎 𝑍
Nell’abaco in figura è riportato il rapporto in funzione di 𝑅, dove R è il raggio del serbatoio e Z è la
𝑞
profondità, 𝜎 è l’incremento di tensioni indotto per diversi valori di r/R=0 vuol dire che siamo in
asse all’area di carico, r/R=1 vuol dire che siamo sul bordo, r/R > 1 vuol dire che siamo al di fuori
dell’area di carico. Ci sono diverse linee continue che rappresentano le tensioni verticali per “ν” che
va da 0 a 0.5 perché le tensioni verticali non dipendono dal coefficiente di Poisson. Questo abaco ci
restituisce la linea tratteggiata che è la 𝜎x in asse (r/R=0) e per ν=0.5, quindi in condizioni non
drenate. Noi applicheremo tali formule:

Notiamo che le tensioni verticali non dipendono da “ν”, le tensioni orizzontali dipendono “ν”,
nessuna delle due formule dipende da “E”, quindi la scelta di E è indifferente alla distribuzione di
tensioni nel sottosuolo al di sotto dell’area di carico. In asse all’area di carico e per tutti i punti,
quindi r/R=0, r/R < 1 sono tutti punti al di sotto dell’area di carico, l’incremento di tensione parte da
1 e poi scende in profondità, sul valore di r/R=1 l’incremento di tensione parte da 0.5 perché
l’elementino di volume che sta a cavallo dell’area di bordo possiamo immaginarlo sollecitato per
metà dal carico q e per metà dal carico 0, quindi la 𝜎z che equilibra il mezzo carico applicato su metà
dell’area è pari a q/2, perciò l’incremento di tensione non parte da 1 ma parte da 0.5. Per gli
elementi che si trovano sotto l’area di carico invece l’incremento di tensione parte da 1, al di fuori
dell’area di carico parte da zero. Le linee 1.5, 2.0, 2.5, 3.0 etc. partono da zero.

Il valore del 10% del carico applicato lo otteniamo per un valore di Z/R=4 ciò vuol dire che, avendo
definito il 20% come limite del bulbo delle tensioni, valore raggiunto con Z/R=2.5, quindi ad una
profondità Z=2.5R ci troviamo già al di fuori del bulbo delle tensioni; nel caso specifico se abbiamo
un diametro pari a 30 metri a circa 40 metri stiamo al di fuori del bulbo delle tensioni.
Questo esercizio ha scopi puramente didattici, nella pratica non faremo così. Ciò che faremo nella
pratica è contenuto nello svolgimento della parte B di questo esercizio.
Inoltre la parte A ci chiede di fare l'analisi a breve termine, e di confrontare i risultati ottenuti con
gli approcci in termini di tensioni totali ed efficaci, assumendo coefficienti di pressione interstiziale
B=1 e A=0, 0.33, 1. Ciò ci viene chiesto perché se la scelta dei parametri è congruente tra di loro,
fare l’analisi in tensioni totali o efficaci è equivalente. Infine l’esercizio ci chiede di sviluppare, in
ognuno dei casi, sotto forma di diagrammi:
• i profili verticali degli incrementi di tensioni verticali (∆σz) e orizzontali (∆σx);
• i profili verticali delle deformazioni εz e dei cedimenti.
Si confrontino inoltre i profili verticali di tensioni, deformazioni e cedimenti nei casi D=30m, D=15m,
D=60m.

Foglio excel:

Il parametro “A” assunto è pari ad 1/3. I parametri di Skempton sono utili perché conoscendo A e B
possiamo calcolarci le sovrappressioni neutre indotte e quindi possiamo calcolare le tensioni efficaci
all’istante di tempo iniziale e possiamo ripetere il calcolo anche in tensioni efficaci. Il calcolo del
cedimento W0 effettuato con due metodologie diverse risulterà uguale. La prima cosa da conoscere
è l’entità del carico q che è pari al peso specifico dell’acqua moltiplicato 15 metri che è il
riempimento del serbatoio. Il ∆Z è stato impostato ad 1 metro, calcolato l’incremento di tensione
metro per metro, calcoliamo le deformazioni metro per metro, le moltiplichiamo per il ∆ Z e
otteniamo la distribuzione dei cedimenti. La cella Z/R ci serve solo per diagrammare il grafico in
funzione di σ/q. Completata la parte in azzurro sul calcolo delle tensioni, nel frattempo si sono
diagrammate le distribuzioni di tensioni: in verde ci sono gli incrementi di tensione orizzontali (∆σh),
in rosso le totali (∆σz). La tensione verticale scende più lentamente di quella orizzontale (quella
tratteggiata in verde): mentre l’orizzontale sta a 0.95 quella verticale sta ancora ad 1.

incrementi di tensione, Ds (kPa)


-100 -50 0 50 100 150
0
Ds'h Ds'z
Dsh

Du
10

Dsz

z (m) 20

30

40
Adesso passiamo a calcolare le deformazioni; applichiamo la teoria dell’elasticità, in particolar modo
la formula di Navier:

1
εz = [∆σz - ν (∆σx + ∆σy)]
𝐸

Dobbiamo far riferimento alle tensioni totali, con “Eu” e “νu” non drenato. Riempendo le caselle di
colore giallo si diagrammano anche le deformazioni, queste presentano un picco, però questo picco
è un po' più spostato perché man mano che scendiamo stiamo deformando sempre un po’ di più il
terreno, però ad un certo punto gli incrementi di tensioni diminuiscono e le deformazioni che
aggiungiamo sono più piccole, quindi il valore massimo non l’abbiamo in superficie ma ad una certa
profondità e poi si riducono perché si riduce l’effetto dell’incremento di tensione. L’ultima colonna
gialla ci fornisce il cedimento cumulato (Wcum), questa colonna ci dice quanto cede la testa di
ciascuno strato e ci dice che man mano che salgo verso l’alto sommo quello che c’è sotto tranne
l’ultimo punto che è il cedimento del piano di campagna cioè 39.8 cm (Figura 1). Il fondo ha
praticamente un cedimento quasi vicino allo zero, poi man mano che saliamo gli strati superiori
cedono sempre più.

deformazioni, ez (%) cedimenti, w(cm)


0,0 1,0 2,0 0 20 40 60 80
0 0

10 10

tensioni totali
20 tensioni efficaci
20
z (m) z (m)

30 30

40 40
Figura 1

Adesso ripetiamo il calcolo in tensioni efficaci. La prima cosa da fare e calcolarci il ∆u con la formula
di Skempton:

∆u = B [∆σh + A(∆σz - ∆σh)]

B viene posto uguale ad 1 perché il terreno è saturo, A è pari a 0.33. Sul grafico la ∆u è diagrammata
in blu e si trova tra ∆σ e ∆σz. Notiamo che la distribuzione blu di pressioni neutre si può approssimare
come un triangolo, quindi se dovessimo calcolare la consolidazione per effetto di quel ∆u iniziale
dovremmo adoperare la curva (grado di consolidazione, tempo) relativa ad un’isocora triangolare e
non quella relativa ad un’isocora rettangolare che si utilizza nel caso edometrico. ∆σ’h è negativo
perché la ∆u è maggiore della ∆σh quindi avremo dei decrementi di tensioni orizzontali efficaci
negative, queste sul grafico compaiono tratteggiate in verde, notiamo che gli incrementi di tensioni
orizzontali efficaci sono sempre negativi e gli incrementi di tensioni verticali efficaci sono sempre
positivi. Sul grafico delle deformazioni le due curve coincidono. Le deformazioni dipendo dalle
tensioni efficaci, questo è spiegato dal fatto che il picco delle tensioni si trova allo stesso punto di
quello delle deformazioni. Una volta completata la parte del calcolo del cedimento con tensioni
efficaci viene diagrammato il cedimento che è uguale a quello delle tensioni totali. Se poniamo ad
esempio A=0, cambiano le ∆u, ∆σ’z e le ∆σh, se A è pari a zero, nella formula di Skempton ∆u è uguale
a ∆σh perchè gli incrementi di tensioni efficaci orizzontali sono tutti nulli e il cedimento in tensioni
totali sarà leggermente più piccolo di quello in tensioni efficaci siccome le ∆σ’z sono cresciute, e sono
andate a zero invece le ∆σ’h, sono aumentate le deformazioni e di conseguenza anche il cedimento.
incrementi di tensione, Ds (kPa) deformazioni, ez (%)
-100 -50 0 50 100 150 0,0 1,0 2,0
0 0
Ds'h Ds'z
Ds

Du
10 10

Dsz

20
z (m) z20(m)

30 30

40 40
cedimenti, w(cm)
0 20 40 60 80
0

10

tensioni totali
tensioni efficaci
20
z (m)

30

40

“A” pari a 0.33 è esattamente il valore che si adopera nella teoria d’elasticità, quindi “A” pari a zero
è una scelta che non è conforme alla teoria d’elasticità, essendo la scelta dei parametri non
congruente, il calcolo fatto alle tensioni totali e poi efficaci da un risultato diverso. Se ripetiamo lo
stesso calcolo mettendo A=1 il risultato che si ottiene è il seguente: nella parentesi quadra della
formula di Navier resta solo ∆σz, quindi le ∆u sono uguali a ∆σz. ∆σ’z risulta uguale a zero e cambiano
invece le ∆σh (Figura 2). Le deformazioni saranno più basse (Figura 3) e quindi anche il cedimento in
tensioni efficaci sarà più basso rispetto a quello in tensioni totali che sono rimasti gli stessi (Figura
4). Però anche questa scelta dei parametri non è conforme alla teoria d’elasticità. Facciamo tutte
queste prove cambiando il valore di A perché nel terreno A non è sempre uguale a 0.33, ma dovremo
basarci sui risultati delle prove di laboratorio. In definitiva diremo che il valore di A=1 lo si può
utilizzare per i terreni normal-consolidati, A=0 lo si può utilizzare per i terreni fortemente sovra-
consolidati.
incrementi di tensione, Ds (kPa) deformazioni, ez (%)
-100 -50 0 50 100 150 0,0 1,0 2,0
0 0
Ds'h Ds'z
Ds

Du
10 10

Dsz

20
z (m) z20
(m)

30 30

40 40

Figura 2 Figura 3
cedimenti, w(cm)
0 20 40 60 80
0

10

tensioni totali
tensioni efficaci
20
z (m)

30

40

Figura 4

Se noi andassimo a modificare il valore di “E” invece, il calcolo eseguito in tensioni efficaci e totali
da di nuovo un risultato diverso, questo è perché i valori assunti in tale esercitazione sono dei valori
che a noi fanno comodo per trovarci i conti, ma in teoria dovremmo sempre rifarci alle relazioni
della teoria d’elasticità che sono le seguenti:

𝐸
G= (1)
2(1+ν)

Questa formula ci dice che il modulo di taglio (G), il modulo di young (E) e il coefficiente di Poisson
(ν) sono legati da questa relazione, quindi se è vera la teoria d’elasticità deve essere sempre vera
questa relazione. Noi sappiamo anche che le tensioni totali sono uguali alle tensioni tangenziali
efficaci:
τ= τ’
Possiamo anche scrivere che:

ϒ • Gu = ϒ • G’

In questo modo la τ la posso calcolare o con il modulo di rigidezza non drenato oppure con il modulo
di rigidezza trattato però sempre non drenato (spero di aver ascoltato bene).
Se il ϒ è molto piccolo allora:

Gu = G’ questo è sempre vero perché τ= τ’, allora la (1) la scrivo come:


𝐸′
G’ = ; Gu = Eu/2(1+νu)
2(1+ν′)

Se questi parametri non sono conformi alla teoria d’elasticità l’approccio in tensioni totali e in
tensioni efficaci da valori differenti, e siccome ci fidiamo delle tensioni efficaci questo potrebbe
indicare che l’approccio in tensioni totali non funziona però noi lo usiamo lo stesso perché in realtà
il terreno non è un mezzo elastico, noi in realtà diciamo che i parametri in tensioni totali e i parametri
in tensioni efficaci devono essere tra di loro congruenti qualunque sia il comportamento del terreno
che esso sia elastico o meno, siccome nella realtà non abbiamo una teoria d’elasticità usiamo i
parametri che provengo dai risultati delle prove di laboratorio. Sui provini dello stesso terreno,
grazie alle prove di laboratorio, abbiamo un set di informazioni che fanno riferimento ai parametri
in tensioni totali e in tensioni efficaci sia in condizioni drenate che in condizioni non drenate, che
sono tra di loro congruenti. Dalle prove triassiali consolidate otterremo E’ e ν’ e dalle prove triassiali
non drenate otterremo Eu, νu e il parametro A di Skempton. Fino adesso abbiamo calcolato il
cedimento iniziale W0, adesso dobbiamo calcolarci il cedimento anche a t=∞ dove intervengono
solo i parametri efficaci. Osserviamo che la εz è diversa da quella calcolata in precedenza, a
differenza di prima l’incremento di tensione efficace è stato calcolato con ν=0.25 e non con ν=0.5.
Osserviamo che la ∆σ’z è la stessa di prima mentre la ∆σ’h rispetto a prima è differente.
incrementi di tensioni, Ds' (kPa)
-50 0 50 100 150
0

Ds'h
Ds'z

10

z (m)
20

30

40

Una volta completati i calcoli notiamo che le deformazioni hanno una gobba più grande verso l’alto
(sono anche maggiori rispetto a prima) e il cedimento è arrivato a 65.48 centimetri
deformazioni, ez (%) cedimenti, w (cm)
0,0 1,0 2,0 3,0 0 20 40 60 80
0 0

10 10

z (m) z (m)
20
20

30 30

40 40

Il Wf = 65.48 centimetri, il W0 = 39.8 centimetri, ciò vuol dire che abbiamo circa 25 centimetri di
differenza dovuti alla consolidazione. Sfruttando l’ipotesi fondamentale ci ricaviamo Wc:

Wc = Wf – W0 = 65.48 – 39.8 = 25.68 centimetri

Se facciamo un diagramma del cedimento nel tempo avremmo inizialmente 39 centimetri e poi
arriveremmo a 65 centimetri
Scegliendo sempre come parametro A=0.33 facciamo variare il diametro del serbatoio (15
centimetri). Con un diametro più piccolo il cedimento è più piccolo, con un diametro più grande (60
centimetri) il cedimento è più grande, quindi man mano che aumentiamo il diametro aumenta il
cedimento. A parità di carico distribuito se io questo lo estendo il terreno cede di più. Questa prima
parte è conclusa e ci è stata utile per ragionare sulla scelta dei parametri.

PARTE B
I risultati di una prova triassiale sono in termini di q, deformazioni assiali e in termini di u,
deformazioni assiali (Figura 4). Le “u” sono le croci e i pallini sono le “q”.
È importante conoscere la stratigrafia perché in questo caso non avendo i parametri a disposizione
noi dobbiamo andare a caratterizzare il terreno partendo dallo stato tensionale iniziale oltre
all’incremento di tensione. Nota: gli incrementi di tensione sono relativi ad un mezzo elastico quindi
non dipendono dallo stato tensionale iniziale ma dipendono soltanto dall’incremento di carico che
abbiamo applicato, poiché noi dovremmo calcolare il cedimento non drenato iniziale (W0) dobbiamo
mettere un modulo non drenato che si riferisce ad un certo stato tensionale che è quello del
baricentro dello strato deformabile, allora se abbiamo una prova fatta su un campione prelevato a
20 metri se moltiplico il gamma saturo per 20 metri ottengo 170 KPa, ciò significa che la tensione di
confinamento verticale a 20 metri di profondità è 170 KPa. Noi però abbiamo detto che dobbiamo
mettere una pressione di cella che è pari alla tensione verticale in corrispondenza del baricentro
dello strato deformabile o del bulbo delle tensioni e misuriamo la curva (q, ε assiali) in una prova
consolidata non drenata alla stessa tensione di cella. Nell’esercizio abbiamo una prova fatta con una
tensione di cella pari a 100 KPa (Figura 4), possiamo fare un’osservazione:

➢ Il calcolo andrebbe fatto a 17 metri, nella metà del baricentro dello strato deformabile.
Inoltre la scelta della tensione da indurre sul provino va motivata e deve essere fatta in modo
che non andiamo a sottostimare il modulo di rigidezza che andiamo a ricavare dalla prova
perché così facendo calcoliamo un cedimento un po' più alto; però questa cosa ovviamente
è molto cautelativa.
L’esercizio ci chiede di:

Il metodo di Skempton e Bjerrum è quello che abbiamo fatto nella prima parte: calcola un cedimento
in tensioni totali partendo da una distribuzione di tensioni di Boussinesq

Il cedimento iniziale si calcola con l’integrale espresso sopra, però lo possiamo semplificare
scrivendo W0 in questo modo:

con

Per applicare questa formula abbiamo bisogno di Eu che si ricava dalla prova consolidata non
drenata, di q che è il carico applicato, e abbiamo bisogno di B che è la dimensione in pianta del
serbatoio, nonché di W0 che è funzione di questi due abachi:

Dobbiamo conosce:
• D è la profondità del piano di posa (nel nostro caso 1 metro)
• B è la dimensione in pianta
• H/B, è il rapporto tra lo spessore di terreno deformabile al di sotto del piano di posa e la
dimensione della fondazione
• La forma, nel nostro caso è un cerchio perché è un serbatoio cilindrico
Foglio excell

Il carico applicato (q) si calcola tenendo conto dei 6 metri di acqua che vanno moltiplicati per il peso
specifico dell’acqua, questo carico non è quello netto ma è il carico totale, cioè il carico non è
applicato sul piano campagna ma al piano di posa. Eu lo otteniamo dalla prova consolidata non
drenata. Siccome il margine di sicurezza è pari ad 1/3, quindi se la tensione finale di rottura q=45
KPa, vuol dire che io sceglierò 15 come valore di riferimento per il deviatore, e in corrispondenza di
15 sulla curva leggo una deformazione che è dell’ordine dell’1%:

𝑞
Eu = = 15/1000 (in questo modo il risultato lo ottengo in MPa) / 0.01
ε

Mi accorgo che questa è una argilla normal-consolidata dal fatto che la curva (u, ε) mi da le
sovrappressioni neutre sempre positive, se fosse una argilla sovra-consolidata avrei una curva che
tende ad essere più bassa e tende a valori prima nulli e poi negativi.

𝐷 1
I1 = = = 0.05 allora I1 = 1-0.05 = 0.95
B 20

𝐻 34
I2 = = = 1.7 se ci mettiamo a 0.45 intercettiamo anche la curva relativa alla nostra forma del
B 20
serbatoio, quindi per I2 scegliamo proprio il valore di 0.45.

Una volta calcolato il W0 passiamo a calcolarci il cedimento di consolidazione (Wc):

Wc = β • Wed il β l’otteniamo dagli abachi, il Wed ce lo dobbiamo calcolare, e per farlo dobbiamo
calcolarci di nuovo le tensioni in riferimento al carico netto (qnetto)

Il qnetto = q - ϒ • D ϒ=peso del terreno vegetale, D=spessore del piano di posa

Quando noi andiamo a ricaricare il terreno una volta scavato, nel peso che andiamo a mettere è
compreso un metro di terreno che abbiamo tolto che, ipottizando che non si sia deformato, quando
andiamo a ricaricare fino a che non arriviamo allo stesso peso che aveva prima non stiamo
deformando il terreno, c’è una deformazione soltanto dopo quindi per un peso extra che è appunto
il qnetto. Il terreno in realtà tende a deformarsi, tende a sollevarsi perché comunque abbiamo scavato
un metro, però nelle fasi di scarico e carico assumiamo che il comportamento del terreno sia
elastico. In definitiva il calcolo del cedimento Wed è molto simile a quello già calcolato in precedenza
cambia solo che il σ finale non è σz iniziale + “q” ma è σz iniziale + ∆σz che varia con la profondità
dato che siamo in condizioni edometriche.
“z” è la profondità dal piano campagna, “z pp” è la profondità dal piano di posa e differiscono di 1
metro; z mi serve perché le tensioni efficaci inziali idrostatiche vanno calcolate in funzione di z, cioè
dal piano di campagna e non dal piano di posa.
SBOBINA DEL 20 NOVEMBRE 2017
ELEMENTI DI GEOTECNICA
ANTONIO GRIMALDI

L’ultima volta ci siamo lasciati con questa rappresentazione della prova consolidata
drenata, ovvero CID, e ci siamo detti che in genere queste prove le rappresentiamo
nei piani q-Ɛass, Ɛv-Ɛass, e-p’, q-p’ e infine τ-σ’.

In particolare nel piano τ-σ’ e q-p’ compaiono queste due rette che rappresentano il
criterio di rottura espresso in tensioni efficaci (Criterio di Mohr-Coulomb)
Abbiamo inoltre visto che, in condizioni drenate, partendo dal piano q-p’ (i cui
percorsi sono inclinati di 3/1), all'aumentare dello stato tensionale di confinamento in
condizione isotropa, aumenta la resistenza finale che il provino esibisce.
Quindi il deviatore a rottura è maggiore passando dalla curva rossa alla curva verde
alla curva blu, perché abbiamo aumentato inizialmente la tensione di confinamento.
Abbiamo detto che come quadro di riferimento iniziale prendiamo il q-Ɛass, dove
appunto compare un andamento che è in funzione del tipo di materiale, della tensione
di confinamento, dell’OCR e delle condizioni di drenaggio.

Il tipo di materiale: In questa rappresentazione, è definito attraverso la linea di stato


critico (o dalla curva di Mohr Coulomb nel piano q-p’)
L'influenza della tensione di confinamento: L'abbiamo osservata perché all'aumentare
della tensione di cella aumenta la resistenza.

L'effetto del OCR non l'abbiamo analizzato perché abbiamo assunto un terreno
normal-consolidato.
Tale effetto potremmo vederlo se rappresentiamo anche il piano e-p’.

La condizione di drenaggio: In questo caso è data dalla prova stessa. (condizione di


drenaggio libero).

Partendo da queste ultime considerazioni viste l'ultima volta, parliamo della


prova consolidata non drenata. CIU
Anche questa prova parte da una condizione isotropa (abbiamo quindi compresso il
provino in maniera isotropa e lasciato consolidare).
Partiamo quindi da una condizione di equilibrio con le pressioni neutre interne.
La prima fase della prova consolidata non drenata è uguale in tutto e per tutto alla
prova consolidata drenata. CIU=CID solo nella 1° Fase

Per cui arriviamo alla fine della fase isotropa ad una tensione di cella σc (puntino blu
nel piano τ-σ o nel piano q-p’) che differisce dalla σ’ di cella perché c'è sempre una
contropressione.
In questi piani sia τ che q (iniziali) sono pari a 0 perché siamo in condizione isotropa.

I punti rossi e blu in genere non coincidono tra loro nella realtà, ma nella nostra
applicazione possiamo ipotizzare che coincidano in quanto quella differenza di
pressione neutra che sussiste è nota perché andiamo ad applicarla noi.
Di fatto sappiamo che la nostra tensione σ’ sarà quella efficace. (puntino rosso e non
il blu che rappresenta la Totale).
In termini di cerchio di Mohr possiamo ragionare ancora nella fase di Taglio (perché
sono note le tensioni totali).
Quindi osservando il cerchio di Mohr blu, noi riconosciamo lo stesso andamento
della prova precedente perché in termini di tensione applicate noi manteniamo
costante la tensione orizzontale o di cella (infatti il cerchio continua a passare per il
punto σc) e aumentiamo la tensione assiale (infatti cresce il diametro del cerchio).
Analogamente succederà che crescerà il diametro del cerchio rosso di tensioni
efficaci.
Tuttavia vediamo che il cerchio rosso non passa più per il punto rosso.
Ciò vuol dire che né la tensione orizzontale efficace né la tensione verticale efficace
sono rimaste uguali alla fase iniziale isotropa, probabilmente la tensione orizzontale
efficace è diminuita rispetto alla tensione di cella, e la tensione verticale efficace è
aumentata.
I cerchi continuano ad evolversi fino ad arrivare alla condizione in cui il cerchio
rosso è tangente alla retta di Mohr Coulomb (condizione di rottura).
In questa condizione finale possiamo riconoscere il diametro del deviatore a rottura
(cioè il diametro del cerchio rosso) che coincide con il q (che leggiamo sul piano q-
p’) dovuto al percorso rosso non tratteggiato che va a colpire la retta di stato critico.
Inoltre nel piano q-p’ vediamo un incremento di pressioni neutre a rottura.
Su questo stesso piano insistono 3 Curve:

- Quella Blu: che rappresenta il percorso 3/1 delle tensioni totali


- Quella Rossa Tratteggiata: che rappresenta il percorso blu semplicemente
traslato di una quantità pari a Uo. (comportamento in una condizione
consolidata drenata).
- Quella Rossa: poiché parliamo di una condizione non drenata nella fase
deviatorica, si accumulano sovrappressioni neutre positive e quindi
l’andamento tende a curvare verso sinistra (cioè tende a valori di p’ che si
riducono rispetto alla condizione di pressione neutra nulla) fino ad incontrare
la retta di stato critico.

Questa prova l'abbiamo anche guardando il cerchio di Mohr a rottura rosso che si è
spostato verso sinistra nel piano τ-σ’.
Cioè si sono ridotte le tensioni efficaci, il centro si è spostato verso sinistra fino ad
arrivare a σ’ 3F, e questa differenza rappresenta proprio la differenza delle
sovrappressioni neutre a rottura. Δuf.
Nel piano q-p’ rappresentiamo quindi anche il deviatore a rottura (σ 1 - σ 3), che
corrisponde al diametro del cerchio di mohr a rottura.
Questo valore rappresenta 2 Cu (dove Cu rappresenta la resistenza non drenata).
Quindi dal punto di vista della resistenza la prova consolidata drenata ci restituisce un
valore di rottura che corrisponde a due volte la resistenza non drenata, che è un
parametro che noi adoperiamo spesso quando analizziamo il problema in termini di
tensioni totali. (Carico Limite Fondazione)
Vediamo adesso la stessa prova in riferimento ai piani q-p’, q- Ɛass, e-p’, Δud- Ɛass.
Definiamo innanzitutto il tipo di materiale definendo la retta di stato critico. Mp’
Il tipo di materiale è definito anche nel piano e-p’ in cui abbiamo la proiezione della
linea di stato critico L.S.C. (curva di colore verde) e una linea parallela alla
precedente (blu) che chiamo linea di compressione normale L.C.N. (che corrisponde
alla retta vergine edometrica isotropa)

Il punto P è il punto da dove parte il percorso deviatorico, io so che la retta di tensioni


totali sarà inclinata di 3/1 (perché così la imposto io) l'intersezione tra la retta di
tensioni totali e la retta di stato critico non ci dà alcuna informazione.
Ipotizziamo che il provino sia normal-consolidato, ciò significa che partiamo dalla
retta vergine (cioè dalla curva di normal-consolidazione)

Dal punto P scendo verso il piano e-p’ intersecando la linea di compressione normale
e ottengo il mio indice dei vuoti iniziale.
Essendo la prova non drenata, cioè non cambia il volume, l'indice dei vuoti finale
sarà uguale a quello dei vuoti iniziale. Pertanto lo troviamo tracciando l'orizzontale al
punto precedentemente trovato e intersecandola con la linea di stato critico.

Ottengo così P’f, che risalendo verso il piano q-p’ risulta essere a sinistra del punto
iniziale P.
Continuo a prolungare il punto P’f fino ad incrociare la retta di stato critico ottenendo
così il punto finale del percorso di tensioni efficaci.

Il percorso dal punto iniziale al punto finale ovviamente è un tratto di curva.


A questo punto conoscendo il deviatore a rottura posso definire anche il percorso
lineare delle tensioni totali che insistono sulla retta precedentemente tracciata.

Continuando a proiettare il deviatore a rottura sul piano q-Ɛass ottengo il punto lungo
il quale insiste l'asintoto della mia curva relativa a tale piano.
Andiamo ora a definire quanto vale il Δud per andare a descrivere quello che succede
il piano Δud-Ɛass.
Tornando sul piano q-p’ definiamo il punto Pf come la proiezione sull’asse p’ del
punto finale delle tensioni totali.
Per definizione Pf - P’f è pari ad U (pressione neutra)

La distanza che intercorre tra i due percorsi nel tempo (percorso tensioni efficaci E
percorso tensioni normali) definisce di volta in volta (partendo da zero) la grandezza
del segmento Δuf.
Quindi tornando al nostro piano Δud-Ɛass andiamo a individuare Δuf sull'asse Δud e
costruiamo l'andamento della curva relativa al piano.
Andando ad analizzare ora quello che mi dice la slide ottengo:
- Nel caso della slide il cerchio di Mohr relativo alle tensioni totali è tratteggiato
mentre quello relativo alle tensioni efficaci e continuo.
- Se parto da una tensione di cella maggiore vediamo che il nostro caso in esame
passa dal colore rosso al colore verde e infine al colore blu. Osserviamo che in
tutti e tre i casi i punti finali relativi al percorso di tensione efficace insistono
sulla retta di stato critico e hanno un andamento curvo verso sinistra.

Ciò che abbiamo appena visto, è quello che facciamo il laboratorio.


Facciamo tre prove, disegniamo l'andamento nei piani q-Ɛass e q-p’ ed eventualmente
i cerchi di Mohr. Interpolando i punti di rottura otteniamo la retta del piano τ-σ’.
Fondamentalmente ciò che abbiamo fatto alla lavagna e ciò che c'è sulle slide
rappresenta lo stesso fenomeno, solo che alla lavagna abbiamo dato per scontato di
conoscere l'angolo di attrito e le linee di compressione, mentre sulle slide abbiamo
fatto il contrario. (Dopo aver preso il provino di materiale lo sottoponiamo differenti
tensioni di cella fino ad arrivare ai punti di rottura e otteniamo le informazioni che ci
interessano sul tipo di materiale).
Entrambi i percorsi possono definirsi l'uno il contrario dell’altro.
Un'ultima informazione utile, sulle slide e alla lavagna i Δu che sono sorte in questi
tre percorsi (rosso, verde, blu) sono positive.
Questa tipologia di situazione determina l'insorgere di deformazioni volumetriche
positive. (il provino si comprime).
Può succedere però che, durante le prove consolidate drenate, il provino mostri
deformazioni volumetriche negative, cioè tende a dilatarsi piuttosto che a
comprimersi.
Reciprocamente nelle prove consolidate non drenate, dove la deformazione
volumetrica è impedita, il provino tenderà a ridurre le sovrappressioni neutre, cioè
avremo lo sviluppo di sopra pressioni neutre negative.

Le prove che abbiamo appena visto possono essere confrontate attraverso questo
grafico:

Questo rappresenta i percorsi q-p’ sia della prova drenata sia della prova non drenata
relativi all’argilla del fucino. Si tratta di un'argilla normal-consolidata come possiamo
vedere dal fatto che le prove non drenate curvano verso sinistra, mentre le
corrispondenti prove drenate sono ovviamente 3/1.
È interessante osservare che questa condizione di stato stazionario (volume costante)
fa in modo che tutti i punti finali relativi di tutti percorsi si allineano lungo una
singola retta definita come q=Mp’
Indipendentemente dal fatto che la prova sia drenata o non drenata, il percorso arriva
e finisce lungo la retta di stato critico.
In definitiva guardiamo questa tabella:

Riassume tutti i parametri di resistenza che otteniamo dalle prove, sia consolidata
drenata, sia consolidata non drenata.

In termini di deformabilità ovviamente le curve q-Ɛass si prestano per ricavare i


parametri di deformabilità:

Dalle formule sovrastanti ricaviamo il modulo di Young che però non è costante,
dipende molto dal tipo di tensione di confinamento.
Se io diagrammo il modulo di Young in base a quattro esempi differenti di tensione
ottengo:

Dalle formule sovrastanti ricaviamo Ni, il coefficiente di Poisson, che in condizioni


non drenante è uguale a 0,5, mentre in condizioni drenate è dato dal rapporto tra la
deformazione radiale e la deformazione assiale

Dalle formule sovrastanti ricaviamo G, il modulo di taglio, che si ricava


dall'interpretazione della prova q-Ɛs (q-deformazione distorsionale)
2
Ɛs= Ɛs = (Ɛa − Ɛr)
3
Dove:
Ɛa mi rappresenta la deformazione assiale
Ɛr mi rappresenta la deformazione radiale

Il coefficiente di pressione neutra, mentre nella prova drenata non sussiste, nella non
drenata è uguale a A= Δu/q

Δu = B Δσ3 + A (Δσ1 − Δσ3 )

Δσ3 nella prova triassiale è uguale a 0


B è uguale a 1
Δσ1 - Δσ3 è uguale a q (deviatore)

Δu = A q
Vediamo lo schema:

Osserviamo che alcuni sono positivi (Verde) e altri sono negativi (Rosso)
Di fatto questo riproduce il differente andamento nei due tipi di terreni: sovra-
consolidati e normal-consolidati.
Ovviamente davanti (nello schema) abbiamo lo stesso terreno che a differenti tensioni
di cella cambia dall'essere normal-consolidato all’essere sovra-consolidato.
Perché per esempio se questo terreno ad 1.57 MPa esibisce un comportamento
normal-consolidato, a 0.2 MPa esibisce un comportamento sovra-consolidato.

Aggiungo una definizione:


Tutti i terreni che stanno sulla linea di compressione normale si definiscono normal-
consolidati, tutti quelli che stanno al di sotto di tale linea si definiscono sovra-
consolidati, che a loro volta si differenziano in debolmente sovra-consolidati (se si
trovano tra la linea di compressione normale e la linea di stato critico) e fortemente
sovra-consolidati (si stanno al di sotto della linea di stato critico).
La distinzione nasce perché per esempio in condizioni non drenate vanno a rottura
uno spostandosi verso destra e l'altro spostandosi verso sinistra.
Il debolmente sovra-consolidato (OCR piccolo) accumula deformazioni volumetriche
positive mentre il fortemente (OCR grande) sovra-consolidato accumula
deformazioni volumetriche negative.

Implicitamente nella pratica quando parliamo di terreni sovra-consolidati, parliamo


sempre di terreni fortemente sovra-consolidati.
Proprio perché quelli debolmente sovra-consolidati possono assumersi di
comportamento uguale come quelli normal-consolidati.

“Vi sarete accorti come non vi ho mai mostrato il percorso di una prova consolidata
drenata su un terreno sovra-consolidato.
Questo perché non c’è.
Non ve la mostro adesso, ma in seguito.
Dopo le prove di taglio.” Cit.
Vediamo adesso la terza prova triassiale:

Prova Non Consolidata Non Drenata. UU

Ovvero in questa prova il drenaggio è impedito sia nella fase di compressione


isotropa, sia nella fase deviatorica.
In questo schema sono rappresentati tre andamenti relativi a tre provini con tre
differenti tensioni di cella totali.

Rappresentazione in un piano q/2 - Ɛass.

Abbiamo detto che nella prova consolidata non drenata all'aumentare della tensione
di cella aumenta il deviatore, qui invece vediamo che all'aumentare della tensione di
cella il deviatore resta costante. (assimilabile costante per i tre casi)
Perché succede questo?
Andiamo ad analizzare alcune cose:
- A fine consolidazione non conosciamo le dimensioni del provino.
- Per quanto riguarda le tensioni, sono note quelle totali, mentre su quelle neutre non
so nulla.
Per cui posso tracciare i cerchi di mohr solo in tensioni totali.
Questa prova è utile per determinare la resistenza non drenata del campione. C.U.
Adesso vediamo la rappresentazione della prova non consolidata non drenata nei
piani q-p’ e τ-σ’.

Andiamo a vedere i tre percorsi relativi alle tre tensioni di cella.


Tutti e tre rappresentano la tensione totale.
La tensione efficace è ignota in quanto non conosciamo la pressione neutra.
Ognuno hanno il proprio andamento nel piano q-p’ ed il proprio cerchio di mohr nel
piano τ-σ’.
Osserviamo che mentre i tre provini nelle tensioni totali hanno dei cerchi che sono
ben distinti tra loro, quando parliamo di tensione efficaci, I tre cerchi si
sovrappongono tra loro.

Blu tratteggiato = Tensioni efficaci dei 3 provini sovrapposta

Notiamo inoltre che tutti i cerchi hanno ugual diametro, quindi il deviatore a rottura è
lo stesso.
Il raggio lo chiamo c.u. (q/2) cioè resistenza non drenata, che è indipendente dalla
tensione di cella.
Tutti e tre i provini sono stati presi dallo stesso campione e sottoposti a tensioni cella
differenti, ciò non ha influito sulle tensioni efficaci, che sono rimaste costanti a
prescindere dalle tensioni cella, andando a modificare solamente le sovra-pressioni
neutre all'interno del provino.
La distanza rispettivamente tra il cerchio di tensioni totali e il cerchio di tensioni
efficaci rappresenta la sovra-pressione neutra.

Osservo quindi che la c.u. che ottengo la posso immaginare come l'intercetta di una
retta tangente a tutti e tre i cerchi relativi allo stato tensionale totale con l'asse delle τ
nel piano τ-σ’.

Come possiamo vedere dal disegno questa retta a pendenza nulla.


L’angolo viene definito come φu, e viene definito come pendenza dell’inviluppo di
rottura in condizioni non drenate in tensione totale per un mezzo monofase
equivalente.
Quindi c.u. si può definire come una coesione apparente del terreno, e non come un
parametro di resistenza.
Non è un parametro di resistenza in quanto dipende sia dal fatto che la tensione
efficace è rimasta costante e non è cambiata, sia dal fatto che è un parametro che
varia in base alla profondità di campionamento, contiene quindi anche l'influenza
dello stato tensionale di confinamento.
Ciò non toglie che è un parametro che utilizziamo molto spesso.

L'ultimo appunto che le slide riportano:

In questa prova noi non conosciamo le tensioni efficaci quindi ci è impossibile


definire sia c’ che φ’.
Per questo motivo tale prova è stata declassata a “prova indice di resistenza”
Cioè tare prova non viene più considerata una prova meccanica valida.
TAGLIO DIRETTO
Le prove di taglio diretto che affronteremo ora potevano precedere quelle delle prove
triassiali perché in questo tipo di prove partiamo dal capire quali sono i modelli
meccanici di riferimento (meccanismo di resistenza per attrito).
Andiamo ad analizzare tre modelli semplici:
- Blocco scorrevole per attrito

Due blocchi dello stesso materiale, quello di sopra scarica il suo peso (N) e per
effetto di questo sforzo normale si sviluppa una resistenza a taglio F. E non ci sarà
scorrimento fino a quando la forza che applichiamo non sarà superiore alla F.

- Mezzo granulare elementare

La situazione è piuttosto simile a quella precedente eccezion fatta per l'area di


contatto che è molto più piccola.
Non c'è solo scorrimento ma può esserci anche rotolamento.

- Mezzo granulare complesso


Essendo un insieme di particelle la situazione è più complessa.
Innanzitutto per tenere tutto insieme va messo in una scatola tagliata a metà.
Facendo spostare quella di sopra rispetto a quella di sotto applicando una certa forza
F e una certa forza N, otterremo uno scorrimento che è in funzione delle particelle e
della loro superficie.
Essendo le particelle non perfettamente allineate non sarà definita la retta S lungo la
quale ci sarà lo scorrimento.

Definiamo ora il criterio di resistenza a rottura.


Il criterio di resistenza a rottura di un terreno è definibile attraverso una superficie
limite (cioè un luogo geometrico che separa gli stati tensionali possibili da quelli
impossibili)

Sopra abbiamo introdotto delle forze F ed N


In questo caso introduciamo delle tensioni quindi passiamo da F a τ e da N a σ.

Essendo gli stati possibili al di sotto della curva limite, é anche spiegato perché i
cerchi di Mohr non possono andare oltre la retta tangente di φ'.
Il criterio di resistenza di Mohr-Coulomb per i terreni è dato da due parametri "C" e
"tang φ"
Il primo coesivo e il secondo attritivo.
E si esprime con la formula:
Siccome le τ possono essere sia positive sia negative, non dimentichiamo che stiamo
parlando di una bilatera.

La coesione rappresenta la resistenza allo scorrimento in assenza di tensioni normali


L'attrito invece dipende dall'incremento della resistenza allo scorrimento con σ.

Le prove di taglio diretto servono a caratterizzare il criterio di Mohr coulomb. (in


realtà anche quelle Triassiali)
Storicamente le prove di taglio diretto sono quelle su cui φ e C sono stati definiti,
quindi possiamo dire che il criterio di Mohr coulomb si interpreta meglio con delle
prove di taglio diretto.
Ricordiamoci sempre che noi negli esempi che facciamo parliamo sempre di stato
stazionario (o critico).
Le prove di taglio diretto servono a determinare le caratteristiche di resistenza taglio
su provini consolidati in condizioni Ko.
Alla prova di taglio diretto vera e propria, precede una fase di consolidazione di tipo
Edometrico.
Osserviamo lo schema:

Osserviamo questa foto relativa ad un apparecchio di taglio:

Definita meglio nello schema successivo:

Dove possiamo distinguere due semi scatole contenenti il provino (1)

Mentre la parte di sotto si può muovere con le rotelline, la parte di sopra è bloccata e
fissata ad un anello dinamometrico che misura la forza applicata.
E quindi noi operativamente spingiamo la parte di sotto della scatola verso destra,
questo comporta che la parte di sotto trasmetta alla parte di sopra sforzi di taglio.
Questi sforzi di taglio sono letti dall'anello dinamometrico.
I carichi verticali sono applicati attraverso la freccia con il numero 4.
Il provino in questa prova a una forma di parallelepipedo.
Come funziona la prova:

Prendiamo un fustello di campione rettangolare, lo mettiamo tra due scatole e lo


spingiamo dentro.
A questo punto, una volta montato, aspettiamo il tempo di consolidazione.
Determiniamo quindi poi la velocità di prova e infine passiamo alla fase di rottura (di
taglio)
In questa fase è importante tenere presente sia δ che W, che rappresentano
rispettivamente lo spostamento orizzontale e lo spostamento verticale.
Infine leggiamo lo sforzo di taglio che mi rappresenta la reazione vincolare allo
spostamento orizzontale.
Passiamo infine all'elaborazione di dati.
Guardiamo più nel dettaglio come è montato il provino:

Riconosciamo uno schema simile a quello dell'edometro, innanzitutto riconosciamo


la piastra porosa sia sopra che sotto, tra quest'ultima e il provino insiste una piastra
nervata che serve ad avere un miglior trasferimento dello sforzo di taglio dalla scatola
al provino.
In basso la piastra di base é scanalata per consentire il drenaggio.

I limiti che si impongono sono:


-La superficie di rottura è predeterminata.
-Non possiamo controllare il drenaggio (sempre e solo prove drenate)
-Non conosciamo le deformazioni tangenziali ma conosciamo gli spostamenti.
-Anche in termini di tensioni tangenziali non conosciamo tutto (conosciamo solo le
tensioni verticali)

Quello quindi che osserviamo é una τ in funzione di δ


I colori ancora una volta rappresentano una tensione crescente di consolidazione.
Inoltre le variazioni di volume derivanti da questi percorsi le leggiamo in un piano
W/ δ

Inizialmente il provino cede, in seguito poi tende ad alzarsi la testa del provino
sviluppando deformazioni volumetriche positive.
Definiamo ora alcune cose:

- Resistenza di picco, resistenza oltre il quale essa scende. (all'aumentare dello


scorrimento, la forza che io misuro a taglio è più bassa)
- Resistenza di stato stazionario, in cui abbiamo lo scorrimento senza una variazione
verticale. (cedimento costante)
- Resistenza residua, resistenza derivante da uno scorrimento molto elevato. (molto
più che evidente per i terreni a grana fine)
Osserviamo ora questo disegno:

Osservando questo piano di Mohr, vediamo che a seconda del punto di riferimento
che prendo (picco, stazionario o residua), ottengo dai tre provini, che sono a tre
differenti tensioni di consolidazione, tre diversi inviluppi (picco, stazionario e
residuo).
Ovviamente per le tre differenti condizioni abbiamo tre differenti coppia di φ' - C'.

Come facciamo a scegliere quale parametro di resistenza utilizzare?


Dipende dai problemi che dobbiamo affrontare!
Per esempio, per i problemi riguardanti il calcolo del carico limite di fondazione, o
per problemi che riguardano la stabilità di un pendio, ci troviamo in condizione di
deformazioni basse. In questo caso la resistenza disponibile é quella di Picco

Quando invece siamo in condizione di pendii di stabilità incerta oppure opere di


sostegno in generale, e quindi ci troviamo in condizione di deformazioni elevate,
allora è opportuno fare riferimento allo stato stazionario/critico

Quando invece abbiamo scorrimenti molto elevati, come ad esempio reinnesto di


frane esistenti oppure pendii già instabilizzati in passato, la resistenza disponibile in
questi casi diventa quella residua.

Un ultimo appunto riguardante la curva presente nel piano τ-σ


Noi possiamo osservare tale curva perché imponiamo scorrimenti sempre crescenti,
nel caso in cui invece avessimo imposto τ sempre crescenti, superata la resistenza di
picco, ci sarebbe stata un'interruzione.
Ci fermiamo su quest'ultima diapositiva:

In tale diapositiva osserviamo un caso di prova di taglio diretto. Che ci fornisce un


inviluppo di picco (blu), un inviluppo residuo (rosso) più basso del precedente.

Mentre per l'inviluppo di picco si parte da una data intercetta, per l'inviluppo residuo
si parte da 0.
Come evidenziato nel disegno, i due cerchi di Mohr evidenzierebbero una tangente
superiore a quella di picco. Ciò è dovuto dal fatto che le prove di taglio diretto e le
prove triassiali danno inviluppi di rottura differenti.
Lezione n.15 del 24/11/2017
Questo arnese è montato sull’estremità di una batteria di aste e viene spinto in profondità a
partire dal piano campagna, quindi infisso, con un martinetto idraulico che, applicando una data
pressione, lo spinge gradualmente verso il basso.
L’obbiettivo è quello di misurare la resistenza alla penetrazione di questa punta e del manicotto,
riuscendo sia a misurare la resistenza a alla punta che la resistenza laterale.
Questa prova ha delle limitazioni esecutive perché non possiamo applicare oltre una certa spinta
sulla punta, quindi se troviamo dei terreni addensati o cementati la punta non entra; se, durante la
prova, incontro uno strato cementato devo estrarre la punta, perforare lo strato cementato con
un sondaggio a distruzione e poi ricalare di nuovo la punta fino allo strato di terreno non
cementato che si trova al di sotto.

Qui vediamo anche qualche schema di contrasto che può essere fornito da un camion pesante;
normalmente la velocità di avanzamento è di 2cm/s, il che vuol dire che nei terreni a grana grossa
ci troviamo in condizioni drenate mentre nei terreni a grana fine (per esempio le argille) ci
troviamo in condizioni non drenate.
Questa immagine riporta due schemi di punta: una di tipo olandese mentre l’altro schema
rappresenta una punta con manicotto (cilindro alle spalle della punta che scorre separatamente
rispetto ad essa).
La punta ha l’ampiezza di apertura standard (60°) come le sue dimensioni.
Noi, facendo scendere la punta, incontriamo una resistenza da parte del terreno, questa resistenza
è chiamata 𝑅𝑃 (noi la definiamo meglio in termini di tensione come 𝑞𝑐=𝑅𝑃 ).
𝐴𝑃

L’aria 𝐴𝑃 di solito è pari a 10 cm² e quindi 𝑞𝑐 e 𝑅𝑃


differiscono di un fattore l’uno vicino all’altro.
In aggiunta a 𝑅𝑃 misuriamo anche la resistenza laterale 𝑅𝐿 ;
nella versione senza manicotto, ossia con punta semplice,
noi dobbiamo infiggere anche una camicia esterna (un
cilindro esterno) per far avanzare la punta senza che il
terreno crolli intorno, per cui la resistenza che noi
misuriamo 𝑅𝐿 è la resistenza offerta dall’avanzamento di
questa camicia esterna. Nella versione con il manicotto
(ormai si fanno tutte così) noi leggiamo una resistenza 𝑅𝐿 e
una resistenza laterale locale 𝑅𝐿𝐿 che è la resistenza di
avanzamento del manicotto.
Questi due schemi presentano una differenza: nello schema
a destra vediamo che il manicotto scende dopo la punta,
quindi misura una resistenza per il fatto che scendendo è
contrastato lateralmente sulla superficie laterale dal terreno che sta nel foro generato dalla punta.
𝑅𝐿𝐿
In sintesi misuriamo la resistenza della punta e la resistenza laterale locale (𝑓𝑠 = , dove 𝐴𝑆 è
𝐴𝑆
l’aria della superficie laterale del manicotto cilindrico).
La resistenza laterale totale 𝑅𝐿 è meno interessante, a noi interessa di più quella locale.

Qui vediamo un CPT elettrico, a differenza di quello meccanico, è dotato di trasduttori a strain-
gage che sono proprio sul retro della punta e misura localmente la resistenza alla punta (leggono
una deformazione che equilibra la resistenza che la punta incontra); a differenza di quelli
meccanici, la resistenza non va misurata alla sommità della batteria di assi (dove misuriamo con
una cella di carico posta in testa), ma direttamente nella punta con i trasduttori a strain-gage
(calibrati per misurare una forza applicata sulla punta) e, in qualche caso, aggiungiamo anche dei
trasduttori di pressione neutra che misurano anche le pressioni neutre (CPTU).

Quindi abbiamo in CPT meccanico, quello più vecchio, il CTP elettrico che misura la resistenza
direttamente alla punta, e un CTPU che misura in aggiunta anche le pressioni neutre intorno, sulla
punta o alle spalle del manicotto.
Si chiama Piezocono perché misura anche le pressioni neutre.
Dalla prova otteniamo dei profili di resistenza alla punta (laterale e pressione neutra).
La punta avanza in questo terreno (sabbia-argilla con una lente sepolta nel nostro caso).
Nell’avanzare il poiezocono va a definire i diagrammi riportati sulla destra dell’immagine.
La 𝑞𝑐 ci dice chiaramente che c’è una parte, fino a 10 metri, con una resistenza maggiore e una
parte con una resistenza minore; sopra i 10 metri vediamo che la curva è
molto frastagliata mentre sotto la curva è piuttosto continua tranne che
sulla lente sepolta (la curva diventa meno frastagliata perché dipende
dalle dimensioni delle particelle). Le particelle più grossolane sono quelle
di sabbia e, rispetto alla punta, presentano una dimensione più simile e
quindi mentre avanza la reazione del terreno non è continua ma dipende
dai contatti con le particelle, contatti che entrano in gioco maggiormente
con la discontinuità, e quindi abbiamo continue perdite di resistenza
perché è come se avessimo più o meno contatto di particelle con la punta
per effetto di scala (se la particella è più grande abbiamo delle perdite di
resistenza più importanti perché ad un certo punto la punta entra in una
zona di vuoto, poi in una zono di pieno, poi nuovamente in una zona di
vuoto, ecc; quindi presenta un’alternanza maggiore). Questa alternanza
la potremmo vedere meglio anche nella zona di sotto se le particelle
fossero più grandi, il fatto che, quindi, abbiamo profili più regolari,
rispetto a quelli di sopra, significa che sopra abbiamo terreni più a grana
grossa e sotto terreni più a grana fine; anche avendo solo questo profilo
(senza il sondaggio) potremmo identificare la grana del terreno dall’andamento della curva.
Il sondaggio aiuta a dire che sopra ho la sabbia e sotto l’argilla con indicazioni anche visive sul
materiale, individuando anche l’ordine di grandezza.
La resistenza della punta non dipende soltanto dall’angolo di attrito, quindi dalla resistenza
intrinseca del materiale, ma dipende anche dallo stato di confinamento, per questo mi aspetto che
aumenti con la profondità per un terreno omogeneo con lo stesso angolo di attrito; a dieci metri
vediamo un aumento progressivo di resistenza della profondità, questo non significa che il terreno
è diverso ma che aumenta lo stato tensionale e, siccome il comportamento è attritivo, aumenta la
resistenza alla punta.
Questo grafico ci indica l’andamento della resistenza laterale; 𝑓𝑆 assume
generalmente valori maggiori per terreni a grana grossa.
Stiamo attraversando due strati (sabbia e argilla) con una velocità costante (il
primo in condizione drenata e il secondo in condizioni non drenata). In condizioni
drenate posso scrivere:
𝜏𝐿𝐼𝑀 = 𝜎𝑛 ∗ tan 𝜑′
mentre in condizioni non drenate posso scrivere:
𝜏 = 𝑐𝑢
allora la resistenza laterale varia maggiormente in condizione drenata ed è
maggiormente variabile in quanto legata a tan 𝜑′; in condizione non drenata
dipende solo da cu, per cui possiamo pensare sia più omogeneo e crescente
linearmente con la profondità.

Un altro aspetto che ci dice questa prova lo leggiamo nelle pressioni neutre.
Abbiamo detto che la prova avviene in condizione drenate in sabbia e in
condizioni non drenate in argilla e, infatti, queste pressioni neutre sono molto
piccole, quasi nulle, e seguono un andamento idrostatico (linea azzurro chiaro)
nella sabbia mentre nell’argilla abbiamo degli incrementi di pressioni neutre
rispetto all’idrostatica. Questi incrementi di pressioni sono generati in condizioni
non drenate, cioè sono incrementi di pressione transitori (dopo un po' di tempo
il profilo di pressioni neutre ritorna a quello dell’andamento idrostatico).
Indirettamente questa prova ci dice anche dove sta la falda.
Il CPTU ci distingue immediatamente i terreni a grana grossa da quelli a grana
fine: anche senza sondaggio potrei dire che fino a 10 metri abbiamo i terreni a
grana grossa e, dai dieci metri in poi, abbiamo i terreni a grana fine (questo mi
viene detto dalla 𝑞𝑐 e la u). Quindi il primo dato che ci fornisce è l’andamento
stratigrafico del terreno (ha funzione di indicatore stratigrafico), se associata ad
un sondaggio ci fornisce informazioni ancora più dettagliate (normalmente si fa
un solo sondaggio e varie CPT in tutta l’aria in quanto meno costose).
Esempio di certificato di prova.
Individuiamo ora i parametri meccanici che possiamo ricavare dalla CPT.
Immaginiamo questa come una punta penetrometrica; 𝑞𝑐 è il
carico che applichiamo sulla punta a cui il terreno offre
resistenza (offerto attraverso un meccanismo di trazione alla
resistenza in questo volume di terreno). Posso immaginare ci
sia una zona di terreno (immaginiamo una bilancia) da questo
lato c’è un cuneo di terreno (a destra) che ruota e offre
resistenza alla penetrazione di questa punta tramite un carico

applicato da quest’altro lato (a sinistra), 𝜎𝑉0 in condizione
drenate e 𝜎𝑉0 in condizioni non drenate.
Questo è il principio attraverso il quale Terzaghi ha definito il
carico limite di una fondazione superficiale e anche il carico
limite di una fondazione su pali.
Facendo riferimento alla formula di Terzaghi per fondazioni superficiali:

vediamo che 𝑞𝑐 può essere scritta come la sommatoria di tre termini (l’ultimo termine può essere
trascurato perché la dimensione B, ossia la dimensione dell’aria di carico, nel nostro caso è molto
piccola, la punta è molto piccola).
𝑁𝑞 e 𝑁𝑐 sono fattori in funzione dell’angolo di attrito, per la teoria del carico limite di Terzaghi, c è
la coesione, q rappresenta la tensione litostatica applicata su questa superficie.

𝑁𝑞 è scomparso perché essendo 𝜑 = 0 si ha che 𝑁𝑞 = 1: essendo che dipende dall’angolo di


attrito, quando l’angolo di attrito è pari a zero, questo valore è pari a 1.
𝑁𝑐 assume valori compresi fra 10 e 30 (15 e 25 se vogliamo restringere un po’ il campo); se fosse
un palo 𝑁𝑐 sarebbe pari a 9. Normalmente possiamo o considerare gli estremi mettendo una volta
10 e una volta 30, oppure noi potremmo aver fatto una prova consolidata (una prova triassiale)
per misurare la 𝑐𝑢 ad una data profondità. Se sappiamo quanto vale la 𝑐𝑢 in quella data
profondità possiamo porre 𝑐𝑢 ,a questa data profondità, e ricavare 𝑁𝑐 in modo da utilizzare lo
stesso valore per tutte le prove fatte in quell’aria. Interpretiamo la prova, calibrata per una sola
prova fatta in laboratorio, calibriamo la formula e la utilizziamo ovunque.

A grana grossa resta tutto uguale tranne il fatto che interpretiamo tutto in condizioni drenate e in
tensioni efficaci.

La coesione efficace qui è pari a zero, mentre l’angolo di attrito 𝜑 è diverso da zero.
Essendo che 𝑞𝑐 dipende da 𝜎′𝑉0 , anche in uno stesso terreno, aumenta con la profondità.
Nella pratica adottiamo delle correlazioni empiriche che si appoggiano su questa teoria, come:
Noi possiamo andare, per esempio, ad utilizzare quest’abaco; noto 𝜎′𝑉0 e nota la resistenza alla
punta entriamo ed intercettiamo una di queste rette (che corrisponderà ad un certo valore di
angolo di attrito).
Questa relazione ci dice che, se l’angolo di attrito è costante, la resistenza alla punta cresce
linearmente con la 𝜎′𝑉0 dato che il rapporto 𝜎′𝑉0 ∗ 𝑁𝑞 è legato direttamente a 𝜑′.

Un altro parametro che ci interessa è il fattore FR.

𝑞𝑐
E’ più interessante questo valore (ossia il rapporto fra ) che 𝑓𝑆 perché questo rapporto è molto
𝑓𝑠
piccolo per terreni a grana fine e molto grande per terreni a grana grossa quindi di indica la
tipologia di terreno, noto tale rapporto sappiamo dove è il terreno a grana fine e dove il terreno a
grana grossa.
Dal rapporto delle due misure otteniamo una discontinuità stratigrafica.
Un altro modo di interpretare i due parametri è con il diagramma di Robertson.

Questo abaco è diviso in aree, qui si disporranno una serie di punti dai profili piezomentrici che
cadono nelle differenti aree. Le differenti aree hanno un numero e ogni numero presenta una
descrizione.
I punti blu stanno su sabbia limosa e tendono su sabbia con ghiaia, mentre i rossi sono dispersi ma
stanno più o meno tutti in sabbia limosa e argilla limosa. Già la CPT ci può dare un’informazione
sulla granulometria del terreno che stiamo incontrando, indipendentemente dalla classifica
granulometrica fatta sui campioni in laboratorio.
Ragioniamo su una prova di taglio diretto per esempio:

Una stessa sabbia, confinata alla stessa tensione di confinamento, a seconda della densità
presenta o non presenta un picco di resistenza; se la sabbia è sciolta, cioè ha una bassa densità
relativa, ha un andamento sempre crescente in termini di 𝜏 − 𝜕 ( potremmo dire la stessa cosa
𝑞
anche in termini di 𝑝′ in funzione di 𝜀𝑎 ). La sabbia densa presenta invece prima un picco e poi una
curva di resistenza entrambe arrivano a quella che abbiamo chiamato stato stazionario; per un
terreno granulare il comportamento è dettato dalla densità.
La presenza o meno di un picco, quindi, dipende da quanto il
terreno è denso.
Nella prova penetrometrica misuriamo la prima rottura del
terreno, perché la punta entra, rompe e scende quindi non è
questo il valore dell’angolo di attrito ma è il picco; se è quello
di picco, per il terreno denso, dipenderà da quando è denso il
terreno e, all’aumentare della densità relativa, avremo un
picco più prominente e, al diminuire, avremo un picco meno
prominente (potrebbe addirittura scomparire).
L’interpretazione della prova dovrebbe passare per la conoscenza della densità relativa perché, in
verità, io sto misurando una densità relativa durante la prova, perché sto misurando sempre la
resistenza di picco. Ecco perché alcune interpretazioni invece di fornirci l’angolo di attrito, in
funzione di questo rapporto, ci forniscono valori di densità relativa e poi, sulla base della densità
relativa e in funzione della granulometria, forniscono l’angolo di attrito. Quindi non abbiamo
direttamente l’angolo di attrito ma passiamo per la densità relativa e poi, inserendo informazioni
sulla granulometria, avremo anche il valore dell’angolo di attrito.

La CPT in termini meccanici avrà un’interpretazione diretta che ci fornisce direttamente l’angolo
d’attrito attraverso l’abaco o un’interpretazione indiretta che passa attraverso un abaco che ci
fornisce prima la 𝐷𝑟 e, in funzione della granulometria, l’angolo di attrito.

La prova è una prova a rottura, quindi misura una rottura, però è correlabile anche con una
deformabilità o con una compressibilità.
Se io ho una prova q- 𝜀, laddove ho una resistenza maggiore ho anche una rigidezza maggiore,
quindi se incontro una resistenza maggiore ho un terreno più denso e quindi ho una rigidezza
maggiore. Esistono correlazioni che legano la CPT ai moduli e cioè al modulo di Young.
Fa riferimento ad un modulo di Young operativo, cioè a un certo livello di deformazione, è un
modulo di Young calibrato sui metodi di calcolo di cedimenti.
Ci sono correlazioni che ci danno 𝐸′ in funzione di 𝛽 𝑒 𝑞𝑐 ed 𝐸′25 in funzione di 𝜂 𝑒 𝑞𝑐 , entrambe
fanno riferimento a diversi valori del livello di deviatore; questo 𝐸′25 corrisponde al 25% cioè mi
sto portando al 25% del deviatore a rottura.
Utilizzando le formule a destra otteniamo direttamente il modulo edometrico, cioè quando non
abbiamo una prova edometrica ma vogliamo il modulo edometrico da mettere nel calcolo del
cedimento possiamo far riferimento alla 𝑞𝑐 utilizzando questa relazione:

ovvero prendere 𝐸′ e calcolare il modulo edometrico in funzione del modulo di Young:

Si tratta comunque di correlazioni e hanno una validità limitata all’ambito regionale nella quale
sono state ricavate.
La prova SPT è una prova penetrometrica standard (è standard perché è standardizzata; si chiama
anche dinamica perché un campionatore a parete spessa in un tubo viene fatto cadere nel foro del
sondaggio e campiona il terreno, è stato infisso a percussione; talvolta è sostituito da una punta
conica che non campiona ma funziona con questo principio nei terreni a grana più grossa).
L’energia con cui viene infisso è standard; si chiama prova standard perché è data da una massa
battente di 63,5 kg che cade da un’altezza di 76 cm sulla testa della colonna di aste a cui è
collegato il campionatore.
Ci sono altre versioni che sono meno standardizzate o che sono standardizzate in maniera diversa.
Questa è la foto del sistema che si trova in testa a piano campagna, la massa viene portata ad
un’altezza
di 76 cm
dalla testa
della
batterai di
aste e viene
lasciata
cadere sulla
cuffia che
protegge la
batteria di
aste;
battendo
da un
colpo.
Ricevendo il colpo entra un po’ nel terreno. Se ho la punta conica non campiona ma entra lo stesso
nel terreno.

Entra nel terreno e man mano che entra campiona, avanza prima di 15 cm, poi di 30 cm, poi di
45cm (questo vuol dire che io gli do una serie di colpi fino a che non sarà avanzato di 15 cm,
misuro questo numero di colpi chiamandolo N1; poi avanzo di altri 15 cm con un altro numero di
colpi N2; poi avanzo di altri 15 cm con un altro numero di colpi N3; quindi sono avanzato di 45 cm
con N1+N2+N3 numero di colpi, ossia con tre serie di colpi). Arrivato a 45 cm ho riempito il mio
campionatore ed estraggo il campione.
Il campione lo conservo giusto per testimonianza del luogo in cui ho effettuato la prova ma non
sarà utilizzabile in quanto tutto disgregato; però conto i colpi N1, N2 e N3.

Di N1 non me ne faccio niente perché rappresenta il numero di colpi necessari ad entrare dei primi
15 cm che stanno a fondo foro e, siccome stanno a fondo foro, sono certamente disturbati dalle
operazioni per frazione e quindi rappresentano una condizione disturbata del terreno. Mi
conservo gli altri due N2 e N3 la cui somma la chiamo Nspt (corrisponde al numero di colpi
necessari a far entrare il campionatore di 30 cm).
Se questo numero è superiore a 100 “rifiuto”, nel senso che non riesco ad entrare perché
evidentemente il terreno è troppo denso e non riesco a camminare.
Quando il terreno è a grana grossa (come in ghiaia) devo utilizzare la punta conica.
Questo è un profilo di
prova penetrometrica
eseguita in cinque
sondaggi (S1,S2,S3,S4,S5)
perché, a differenza della
CPT che si esegue a piano
campagna, la SPT si
esegue dentro il
sondaggio: andiamo ad
una certa profondità e
montiamo il
campionatore e invece di
prelevare il campione col
campionatore prendo una
batteria e eseguo la prova
ottenendo i punti a diverse profondità. Anche qui l’andamento è crescente con la profondità, ci
aspettiamo che se il terreno è omogeneo la batteria è costante e la resistenza cresce con la
profondità. Nel terreno eterogeneo l’andamento non cresce con la profondità.
Il criterio di base è semplicemente un fatto meccanico: per entrare nel campionatore il terreno
deve vincere gli sforzi di attrito laterali che si sviluppano quando il terreno entra dentro il
campionatore, nel contempo il campionatore deve vincere gli sforzi di attrito laterali che si
sviluppano nel terreno, abbiamo quindi sforzi di attrito laterale dentro e fuori il campionatore che
dipendono dalla tensione 𝜎′.
La resistenza che incontriamo nel campionamento è funzione di 𝜏 che è funzione di:

Questa resistenza viene vinta da un’energia dinamica che viene data dalla massa battente m che
cade da un’altezza h e quindi con un’energia nota.
due volte perché le 𝜏 sono sia dentro che fuori il campionatore; i è l’avanzamento.

Anche qui interpretiamo con degli abachi:

Noi mettiamo nel diagramma i punti N e 𝜎′𝑉 e, grazie a questo diagramma, otteniamo valori di 𝜑
(abaco di de Mello).
Anche in questo caso abbiamo un’interpretazione indiretta tramite la densità relativa.

Anche per Nspt differenti abbiamo diversi valori di densità relativa e, dalla densità relativa, con lo
stesso abaco di prima, possiamo ricavare l’angolo di attrito.

Per concludere qui vediamo un confronta fra il profilo di 𝑞𝑐 in funzione proprio di N con la profondità
del sottosuolo generico. A parte la corrispondenza delle scale, che sono diverse, il profilo delle CPT
ribatte molti punti delle SPT questo perché le prove hanno una deformazione congruente fra di loro.
A 30 metri la CPT si impiantata perché ha trovato uno strato di sabbia molto densa (non si è potuto
andare avanti); siamo andati avanti con la SPT ricavando
valori abbastanza alti e in qualche caso sono andati
anche a “rifiuto”.
Le indicazioni sono state completate sotto i 30 metri con
le SPT laddove la CPT non riusciva ad andare in
profondità.
Perché i terreni a grana fine sono poco sensibili
a pressioni neutre; l’interpretazione non può
che essere in condizioni non drenate però noi
non le misuriamo; mentre nelle CPT abbiamo
le CPTU ci consentono di misurare le
sovrappressioni neutre qui non lo sappiamo
quindi misuriamo la resistenza non drenata ma
in maniera non controllata

Possiamo effettuare il riconoscimento del


terreno perché qui il campione è indisturbato,
abbiamo recuperato 50/55 cm mentre nella
CPT li abbiamo buttati

Tra tutte le prove che facciamo la SPT è la più rozza,


però, essendo effettuata da molti anni, la sua affidabilità
nasce dal fatto che, se fatta in maniera standard, può
contare sull’interpretazione consolidata.

Infine possiamo vedere che c’è un’equivalenza tra la prova penetrometrica dinamica e quella
statica.

Questo abaco ci dice che il rapporto 𝑞𝑐 /𝑁 è in funzione della granulometria e di D50 (il diametro
passante al 50% nella stacciatura); i punti si collocano sulla curva unica e possiamo vedere che per
diverse granulometrie questo rapporto rimane costante.
Completiamo la questione del calcolo dei cedimenti

Abbiamo confrontato una fondazione flessibile con una fondazione rigida; l’effetto di un carico
applicato su una fondazione flessibile o rigida è diverso, cambia la deformata (linea blu) e cambia
anche la distribuzione delle tensioni (mentre nelle fondazioni flessibili le tensioni applicate sono
tutte uguali alla distribuzione del carico applicato, in quella rigida abbiamo una distribuzione che
tende a concentrare delle tensioni maggiori sui bordi e a ridurre in corrispondenza della mezzeria,
questo per poter compensare il fatto che la deformata tende a uniformarsi e quindi a cedere di più
sul bordo e di meno in mezzeria).
Tenendo presente ciò gli abachi fanno riferimento a quei punti in cui il cedimento è lo stesso, sia
per la fondazione rigida che per quella flessibile (Pc= punti caratteristici).
Tutti i metri che utilizzano l’aria di carico (in teoria fondazione flessibile) in realtà si estendono alla
fondazione rigida perché fanno riferimento ai punti critici.
Applicazione del metodo di Schmertmann per i terreni a grana grossa.

Nei terreni a grana grossa noi non possiamo prelevare i campioni quindi non possiamo avere
modulo edometrico a disposizione da prove di laboratorio. Non possiamo fare un calcolo dei
cedimenti con il metodo edometrico se non interpretando il metodo della prova penetrometrica:
ricaviamo la colorazione 𝑞𝑐 nell’edometrico e da qui un profilo di edometrico (dalla colorazione
della CPT).
Si potrebbe adoperare, oltre al metodo sopra enunciato, un metodo più semplice P di calcolo del
cedimento sviluppato da Schmertmann a partire dal risultato della prova penetrometrica CPT.
Questo metodo si basa sulla osservazione, sia sperimentale che numerica, del profilo delle
deformazioni con la profondità; Schmertmann definisce un abaco in funzione del fattore Iz (fattore
di deformazione, parente della 𝜀𝑧 ) e del tipo di fondazione (aria di calcolo) che può essere
simmetrica (L/B=1) o una striscia definita ossia con una lunghezza molto prevalente rispetto
all’altra (B/L≥10); la differenza sta nel fatto che una si annulla a 2B e una a 4B di profondità.
Queste due distribuzioni sono ricavate analiticamente.
Questo picco 𝐼𝑧 𝑚𝑎𝑥 è pari a:

𝜎′𝑣𝑝 rappresenta uno stato tensionale alla


profondità del picco.

Questa è la formula finale:


È molto simile al metodo edometrico solo che non compare il modulo edometrico ma compare il
modulo di Young secante.
Il metodo ci fornisce già i valori da utilizzare che possono essere 𝛽 = 2,5 per L/B=1 e 𝛽 = 3,5 per
L/B≥10.
Poi ci sono dei fattori correttivi; C1 corregge in funzione della profondità del piano di posa, è pari a
1 (cioè non corregge nulla) per un piano di posa che coincide con un piano campagna, mentre
corregge per un piano di posa al di sotto del
piano campagna ma non supera un valore
pari a 0,5.
C2 tiene conto dell’effetto viscoso secondario
ed è funzione del logaritmo del tempo, cioè il
cedimento cresce con velocità pari a 0,2 in
funzione del logaritmo del tempo
asintoticamente.

Oltre al cedimento in asse, ossia il cedimento


assoluto, a noi interessa anche il cedimento
differenziale perché una struttura in
elevazione può essere danneggiata da
cedimenti differenziali in fondazione.
Ci interessa anche la rotazione rigida,
l’inflessione (cioè quanto si scossa la
deformata della fondazione rispetto alla
deformata rigida, questo è correlato all’insorgere di deformate aggiuntive nelle travi per effetto
dell’incremento di sollecitazioni elastiche), la curvatura e la distorsione angolare.
Nella realtà non andiamo a calcolare i cedimenti in ogni punto della fondazione perché il
cedimento differenziale dipende molto dall’eterogeneità del terreno (nei nostri casi il terreno è
sempre omogeneo nella realtà no), ecco perché noi non calcoliamo il differenziale mettendoci in
punti stabiliti ma calcoliamo il cedimento assoluto in asse e poi lo colleghiamo empiricamente al
differenziale.
Questo abaco ci fornisce questa correlazione: 𝛿 e w sono uguali cioè hanno un rapporto 1 a 1,
però i cedimenti delle sabbie sono più piccoli, nelle argille la correlazione è 0,4-0,5 cioè il
differenziale è circa la metà dell’assoluto (le argille sono più deformabili quindi ho cedimenti in
assoluto più grandi rispetto a quelli delle sabbie).
Le strutture flessibili hanno cedimenti maggiori di quelle rigide perché, a parità di cedimento in
asse, il differenziale, nelle strutture rigide, sarà più basso.
Esistono tabelle che ci danno informazione sui valori ammissibili degli altri fattori per diverse
tipologie strutturali, come:
Esercitazione

Per determinare il cedimento edometrico applichiamo il metodo edometrico, ma lo applichiamo


non con riferimento a tutto il carico perché non siamo in condizione edometrica, ma con
riferimento agli incrementi di tensioni dovuti alla profondità (varia con la profondità); nella
pressurizzazione, avendo pressurizzato in n strati, io prendo per ciascuno strato un valore di ∆𝜎′𝑧
(diverso per ciascuno strato).

Essendo la falda a piano campagna 𝜎′𝑧 sarà 1 metro * il peso del terreno che sta sopra (16) + z -1 *
(il terreno sotto falda 𝛾𝑠𝑎𝑡 - 𝛾𝑤 ).
La pressione finale sarà pari a quella iniziale più ∆𝜎𝑧 𝑇𝑂𝑇 .
L’indice dei vuoti iniziale sulla linea vergine è pari a 𝑒0 - 𝑐𝑐 * 𝑙𝑜𝑔10 (𝜎′𝑧,𝑖 /𝜎′𝑝0 ).
L’indice dei vuoti finale presenta una formula uguale solo che sostituiamo 𝜎′𝑧,𝑖 con 𝜎′𝑧,𝑓 .
𝜀𝑧 = ∆𝑒/(1 + 𝑒𝑖 )
𝑑𝑤𝑒𝑑 = 𝜀𝑧 ∗ ∆𝑧
Il cedimento finale è pari a: ∑ 𝑑𝑤𝑒𝑑
A è pari a 0,5 (A=7,5/15); 𝛽 = 0,7 (ricavato dalla curva) per cui 𝑤𝑐 = 𝛽 ∗ 𝑤𝑒𝑑 .
Lezione del 27/11/2017
L’altra volta eravamo rimasti, parlando delle prove di carico
diretto, alla definizione di tre diverse condizioni per i criteri di
resistenza che possiamo osservare sperimentalmente in una
prova di carico diretta, ma due di queste, le prime due sono
prove di carico triassiali e sono il picco, lo stato stazionario o
volume costante o anche stato critico per la resistenza residua,
le prime due le osserviamo anche in una prova triassiale drenata,
l’ultima residua la osserviamo invece soltanto nel taglio diretto
perché è la condizione che viene raggiunta per grandi
spostamenti. Quindi per ottenere quella condizione dobbiamo
imporre alla scatola di taglio uno spostamento molto elevato, che corrisponderebbe a deformazioni che non
sono raggiunte nella prova triassiale. Quindi normalmente nella prova triassiale le varie deformazioni che
otteniamo non è sufficiente a mobilitare eventualmente una resistenza residua ecco perché non lo
osserviamo quando c’è. E abbiamo anche detto che la resistenza residua solitamente è attribuita a materiale
argilloso, perché lì le particelle hanno una forma appiattita quindi all’aumentare degli spostamenti,
aumentano lungo la superficie di discontinuità, chiaramente l’effetto dell’attrito si riduce, un conto è lo
scorrimento tra particelle che sono orientate in maniera caotica una rispetto all’altra, quindi tende a rotolare,
a imbrogliarsi così una con l’altra, un conto è invece lo scorrimento delle particelle che sono orientate allo
stesso modo e quindi scorrono come tante lamette una rispetto all’altra. Questo è un aspetto che riguardano
terreni che hanno particelle di forma appiattita come possono essere le argille, e non riguarda invece i terreni
come le sabbie che hanno per loro natura una forma sub-arrotondata.

Quindi questo diagramma, rappresenta il piano di Mohr in cui sono


rappresentate con lo stesso materiale un inviluppo di picco (quello
in blu) con la prova di taglio diretto, un inviluppo residuo tramite la
prova di taglio diretta, in cui la condizione residua come vedete è
posta pari a zero perché in realtà i punti si allineano e passano per
lo zero ma se anche avessimo una piccola intercetta imporremo noi,
ovvero potremmo fare per punti una regressioni dei minimi
quadrati, e il coefficiente di regressioni potrebbe essere
leggermente maggiore se la retta non passa per lo zero. Però in questo caso quando parliamo di una
resistenza residua possiamo noi imporre la retta passante per lo zero perché assumiamo noi che la tensione
residua sia nulla e anche il coefficiente di regressione dovrebbe essere un po’ minore, preferiamo accettare
un coefficiente di regressione minore imponendo il passaggio per l’origine degli assi. Come vedete i risultati
delle prove di taglio sono rappresentate in termini di punti, coppie (τ, σ) a rottura perché non abbiamo altre
informazioni dalla prova di taglio, mentre nello stesso piano sono rappresentati, per lo stesso materiale, due
cerchi di Mohr ottenuti per condizione triassiale non drenata ma interpretati in condizioni efficaci, sono
riportati in termini di 𝜎′𝑣 grazie al fatto per cui leggiamo le pressioni neutre della struttura in pressione e
possiamo ricavare le tensioni efficaci. Vedete che generalmente dalle prove triassiali abbiamo il risultato in
termini di cerchio completo. I risultati sono abbastanza in accordo fra di loro, nel senso che se io avessi avuto
tanti cerchi verdi, probabilmente avrei un gruppo più alto rispetto a quello ottenuto dal taglio diretto, perché
c’è comunque una differenza di percorsi tensionali tra la prova di carico diretta e la prova triassiale
sull’ambito di resistenza, ed è un aspetto su cui non poniamo l’attenzione, ma che esiste. Nei risultati delle
prove di taglio diretto è evidente l’influenza di un parametro della resistenza che osserviamo per l’effetto
della densità sul comportamento del terreno granulare in particolare.
Questi tre schemi, sono degli schemi molto semplici che
diversificano il comportamento di un terreno denso da uno
sciolto e da uno terreno che si trova ad una densità che
chiameremo critica. Queste tre configurazioni corrispondono a
tre diverse densità, il terreno di sinistra è molto denso, quindi le
particelle sono molto serrate, c’è un alto grado di serraggio tra le
particelle. Invece in quelle di destra le particelle sono molto
sciolte, ci sono molti vuoti e i contatti tra le particelle sono di
numero minore, poi c’è una condizione intermedia che
chiamiamo critica. Questi tre diversi stati corrispondono a stati in cui il terreno tende, quando è denso ad
avere deformazioni volumetriche negative, cioè ad espandersi (dilatare), quando è sciolto ad avere
deformazioni volumetriche positive, cioè a contrarsi, e invece quando si trovano in zona critica ad avere
deformazioni volumetriche nulle. Quindi se guardiamo questo schema di sotto, vedete tre diversi schemi di
blocchetti che scorrono l’uno rispetto all’altro (blocchetti rigidi). Nel primo caso sono incastrati tramite
questo contatto a dente di sega, in questo modo la parte di sopra tende a salire quindi simula una
deformazione negativa della dilatazione del provino, nel caso ultimo condizione contraria, la stessa
geometria e orientata in maniera tale che il piano inclinato del dente è nella direzione del taglio verso il basso,
quindi in questo caso partono da una condizione più sciolta e tendono a serrarsi ancora di più. Invece in un
caso intermedio abbiamo una condizione in cui le due scatole sono a contatto in una superficie orizzontale,
quindi sollecitate in direzione orizzontale del taglio, scorre la parte di sopra rispetto a quella di sotto ma senza
variazione di volume, cioè non si solleva e non si abbassa la parte di sotto rispetto a quella di sopra, come
invece accade nel terreno denso e in quello sciolto. E’ uno schema semplice per capire quello che è l’evidenza
strumentale, cioè che in un piano τ in funzione dello spostamento x, abbiamo un effetto denso, mediamente
addensato e sciolto, vediamo che all’aumentare della densità del terreno si manifesta una condizione di
picco, il più denso ha un picco più prominente rispetto alla condizione finale che abbiamo chiamato
condizione di stato stazionario o di stato critico, e corrisponde ad una condizione in cui lo scorrimento (x)
avviene senza deformazioni di volume. Questo aspetto si riflette anche sulla resistenza (τ), immaginate che
per far scorrere un provino in cui le particelle sono tali che tendono a dilatare, dobbiamo vincere una
resistenza aggiuntiva per permettere lo scavalcamento di una particella rispetto all’altra. Mentre quando
stiamo a densità critica, ovvero stiamo in una condizione per cui le particelle sono orientate in maniera tale
che le particelle possono scorrere in orizzontale, cioè su una superficie di scorrimento senza doversi
scavalcare, in questo caso la resistenza è più bassa. Quindi il cinematismo delle particelle durante il taglio,
influenza anche la resistenza che mostrano. La differenza tra l’angolo di resistenza che misuriamo in
corrispondenza del picco (𝜑′ 𝑝 ) e l’angolo di resistenza che misuriamo in corrispondenza della resistenza
finale, stazionaria o critica, (𝜑′ 𝑐𝑣 ), rappresenta l’angolo di dilatanza υ, cioè la pendenza del terreno
all’aumentare del volume, quando è positiva. Cioè se ho un picco maggiore dello stato critico la dilatanza è
positiva, se non ho un picco, e in queste slide non c’è esattamente un caso in cui non ho il picco, anche quella
sciolta comunque ha un leggero picco, l’angolo di picco e l’angolo critico coincidono cioè non c’è variazione,
e l’ultimo valore costante è anche quello di resistenza. In questo caso la dilatanza è nulla, ed è nulla la
dilatanza anche in corrispondenza dello stato critico, ovvero nella part finale. Possiamo mettere in relazione
l’angolo di dilatanza con la resistenza di picco con uno schema a modellino molto semplice, immaginiamo di
avere nel nostro terreno, che per effetto della rugosità dovute alle
particelle, presenta una superficie di contatto tra le due porzioni un po’
irregolare che per semplicità di dimostrazione mettiamo in questo caso
costituito da una spezzata con un inclinazione rispetto all’orizzontale
costante e di angolo pari a υ. Dovete immaginare come se io avessi
preso un provino, avessi cementato le particelle e avessi consentito
soltanto lo spostamento lungo le due porzioni inferiore e superiore,
quindi non so considerando nessun movimento tra le particelle della
singola porzione, ma soltanto un movimento tra la porzione di sotto e quella di sopra, ed è più o meno la
condizione che modella il comportamento di una scatola di taglio, dove una porzione del terreno è contenuta
nella semiscatola inferiore e una porzione in quella superiore, e quindi le due semiscatole scorrono per
contatto tra la superficie scabra e questo scorrimento si effettua proprio per la geometria delle particelle
della faccia superiore e inferiore delle due semiscatole. Nella scatola di taglio noi imponiamo uno sforzo
normale ed un taglio, chiamati rispettivamente P e Q, e misuriamo degli spostamenti che chiamiamo δ
(spostamento orizzontale) e w (cedimento). Poiché la geometria di quello schema ondulato è un angolo a
inclinazione costante pari a υ, la scatola di sopra spostata verso sinistra tende a sollevarsi scorrendo lungo il
piano inclinato di υ, e quindi ad avere una componente dello spostamento verticale w, tale che la derivata di
w rispetto a δ è pari alla tangente di υ. Questo ci dice che il cinematismo della parte superiore rispetto a
quella inferiore è legato alla tangente dell’angolo di dilatanza. L’effetto di attrito si sviluppa prevalentemente
lungo la superficie del piano inclinato, dove effettivamente la parte di sopra scorre rispetto a quella di sotto,
su questo piano possiamo identificare due componenti di sforzo normale N e di taglio T, che sono legate tra
di loro per l’effetto dell’attrito tra le due semiscatole. Se esprimiamo N e T in funzione di P e Q, dalla
geometria si ricava che N e T sono funzioni P e Q per una matrice di passaggio che è in funzione dell’angolo
di dilatanza υ, e lungo il piano possiamo definire la direzione di scorrimento, cioè lo scorrimento avviene
quando il valore di T è pari a tang(𝜑′ 𝑐𝑣 ) e quindi da un lato possiamo sostituire T dentro l’equazione e
ottenere una funzione che lega tra di loro υ e l’angolo di stato critico. Dai passaggi otteniamo che:

Q ha risultante del taglio agente sulla scatola di taglio, è data da P per la tangente di un angolo che è dato da
𝜑 ′ 𝑐𝑣 + 𝜐. Quindi vuol dire che la relazione che c’è tra Q e P, è sì in funzione dell’angolo di attrito a volume
costante ma anche dell’angolo in cui è inclinato il piano inclinato υ. Poiché abbiamo detto che la tang(υ) è
pari alla derivata di w rispetto a δ a meno del segno, io posso sostituire nell’equazione il valore dell’angolo di
w rispetto a δ, allora ottengo che la tangente dell’angolo di attrito, ci metto una m per dire che è una tangente
dell’angolo mobilitato, mobilitato durante la prova, cioè definisco la tangente dell’angolo di attrito il rapporto
𝜏
tra 𝜎′, quindi durante a prova questo rapporto è variabile, assume un certo valore al picco e un certo valore
allo stato critico, in generale :
𝑄 (sin 𝜐+cos 𝜈 tan 𝜑𝑐𝑣 ) 𝜏
Posso scrivere 𝑃 = (cos 𝑣−sin 𝜈tan 𝜑𝑐𝑣 )
vedo che man mano che mobilito una resistenza m(𝜎′) questa resistenza
avrà una parte costante che è dovuta all’angolo di attrito di stato critico e una parte variabile che è dovuta
alla derivata del cedimento rispetto allo spostamento δ. In realtà se torno indietro questa seconda parte in
questo modellino è costante perché υ è costante, appunto ho imposto un inclinazione, però nulla vieta che
svincoli questo vincolo, così che per ogni istante della prova, quell’inclinazione non è costante come in realtà
è, perché le particelle tra di loro si muovono, hanno momenti relativi
per cui per una generica superficie, indicata in nero nella figura, le
particelle si muovono una rispetta all’altra, quindi cambia υ, se
cambia υ come succede durante la prova, questa derivata non è
costante durante la prova. Allora se il terreno è sciolto e ha un
comportamento contraente
perché quella derivata è
positiva e quindi abbiamo sempre un abbassamento del provino ad
𝜏
evolvere di δ, e quindi il comportamento di 𝜎′ è contraente e si
ottengono le condizioni limite senza avere un picco. Quindi questo
𝜏
comportamento qui in termine di 𝜎′ e w in funzione di δ è definito
contraente perché non mostra un picco, perché abbiamo sempre w
che aumenta all’aumentare di δ, e aumentare w vuol dire che c’è un
cedimento, quindi vuol dire che se la parte di sopra scende rispetto a
quella di sotto, la deformazione volumetrica è negativa e cioè che il
provino si sta addensando fino ad arrivare a condizioni finali in cui la
tangente dello stato critico è pari alla tangente al picco in cui lo stato critico risponde alla condizione di
volume costante e corrisponde alla tangente della derivata di w rispetto a δ pari a 0, cioè ha uno scorrimento
orizzontale definito per un cedimento verticale costante.

A contrario il comportamento opposto che è il comportamento di un


terreno denso, ed è un comportamento definito dilatante, manifesta
un picco di resistenza e dopodiché il provino evolve verso lo stato
critico, come si vede anche nella curva di cedimento-δ, ottengo la
stessa cosa, prima un abbassamento perché la derivata di w rispetto
a δ è positiva, dopodiché ho un’inversione e la derivata cambia di
segno, cresce e poi tende di nuovo a zero in corrispondenza dello
stato critico. In realtà io ho due punti di nullo della derivata, uno è il
massimo abbassamento dove ho il punto di nullo della derivata
perché si inverte e l’altro in fondo. In questa figura osservo che
𝜏
all’evolvere della prova 𝜎′ in funzione di delta arrivo ad un picco di
resistenza che corrisponde alla massima derivata del diagramma w-δ, che corrisponde al massimo valore
della tangente dell’angolo υ. Quindi alla massima dilatanza corrisponde il massimo angolo di attrito
mobilitato, in corrispondenza del punto in cui ho la derivata nulla, ottengo un valore che è proprio pari a
quello finale dove peraltro la derivata è anche nulla. Questo diagramma mostra la relazione tra la resistenza
mobilitata e il comportamento dilatante del terreno, dilatante perché questa è una curva con cedimenti e
spostamenti orizzontali ma corrisponde evidentemente ad una curva di deformazione volumetrica e
spostamento orizzontale, perché dove ho un cedimento la deformazione volumetrica è positiva, quindi
compressione, quando invece ho uno spostamento verso l’alto, la deformazione volumetrica è negativa
quindi di dilatazione, corrisponde ad un ΔV positivo, quindi un aumento di volume.
Partiamo da questa slide, lungo il piano inclinato agisce una componente
di attrito tan 𝜑𝑐𝑣 , questa cosa è vera nell’ipotesi in cui io ho congelato le
particelle, per cui la superficie di scorrimento irregolare resta la stessa e
quindi anche υ resta lo stesso perché significa che io sto considerando
l’attrito tra due blocchetti dello stesso materiale che posso chiamare anche
attrito minerale (avvolto vien chiamato con 𝜇 = 𝑎𝑡𝑡𝑟𝑖𝑡𝑜 𝑚𝑖𝑛𝑒𝑟𝑎𝑙𝑒),
quindi in questo caso sto dicendo che l’attrito minerale tra due blocchetti di materiale coincide con l’attrito
di stato critico perché immagino che le due superficie
inclinate scorrono l’una rispetto all’altra. Ma nella
realtà le particelle non sono bloccate, cioè tra di loro
possono scorrere: allora un parte della resistenza è
dovuta all’angolo di attrito minerale, un’altra parte
ovvero la differenza che c’è tra 𝜑𝜇 𝑒 𝜑𝑐𝑣 di questo
diagramma, è dovuto al fatto che le particelle non sono
ferme, ma rotolano tra di loro quindi dissipano energia
per effetti di rotolamento, scorrimenti che nel
modellino semplice impostato prima in cui i due
blocchi erano ognuno congelati non potevano essere
mobilitati quindi macroscopicamente lungo la
superficie vedo 𝜑𝑐𝑣 che è maggiore di 𝜑𝜇 che avrei tra
due blocchetti di materiale che scorrono l’uno rispetto
all’altro. Quindi una parte è dovuto all’attrito che c’è tra i grani, una componente è dovuta all’assestamento,
cioè che le particelle si riorganizzano e poi c’è una componente che è dovuta alla densità iniziale del materiale
che chiamiamo appunto dilatanza, perché abbiamo visto che se il materiale è sciolto, oppure è denso, si
comporta diversamente. In particolare se è sciolto stiamo nella condizione in cui non c’è effetto di dilatanza
e l’angolo di attrito è pari all’angolo di attrito critico, qua sull’asse delle x c’è la porosità, che è orientata
nell’altro modo nonostante ci sia la freccia, la densità aumenta verso destra, mentre la porosità verso sinistra,
quindi tanto più è poroso e meno è denso. Quindi muovendomi da sinistra verso destra sto aumentando la
densità. Allora vedo che se la porosità iniziale è alta, ho bassa densità e l’angolo di attrito coincide con quello
critico, man mano che invece mi sposto vedo che l’angolo di attrito di picco cresce in funzione
dell’addensamento, quanto più è denso inizialmente il provino, tanto più è grande l’angolo di attrito. Allo
stesso modo quanto più è denso il provino, vedete che la componente di assestamento dei granuli si riduce,
perché quanto più sono serrati tra di loro i granuli, le particelle tantomeno tendono a rotolare o a scorrere
l’uno rispetto all’altro, e quindi quella condizione di congelamento delle due parti viene a verificarsi quando
c’è il massimo addensamento del provino. Ricapitolando abbiamo definito un angolo di attrito minerale, un
angolo di attrito di stato critico, abbiamo visto come le componenti dell’attrito sono, una base costante che
dipende dall’attrito tra i granuli, una componente dovuta all’assestamento delle particelle e che giustifica la
differenza tra l’attrito minerale e lo scorrimento tra due materiali e una componente dovuta alle densità
iniziali che è legata al fenomeno della dilatanza che giustifica la differenza tra l’attrito di stato critico e l’angolo
di attrito al picco di resistenza. Questo significa che in questa condizione qui, densità critica, io ho una
deformazione volumetrica nulla, quindi non c’è l’effetto di dilatanza però le particelle tra di loro rotolano e
scorrono, quindi c’è un movimento delle particelle, ma la risultante complessiva di quelli elementi è
orizzontale, il che vuol dire che questo scorrimento relativo tra le particelle giustifica la differenza che c’è tra
l’angolo di attrito minerale e l’angolo di attrito di stato critico, perché se non ci fosse non ci sarebbe energia
dissipata e quindi questi due angoli dovrebbero essere coincidenti ed è il motivo per cui per alte densità
tendono a coincidere perché quei movimenti sono sempre più inibiti.
Quest’altro grafico ci fa vedere che è vero che l’angolo di
resistenza al taglio si riduce con l’aumentare della
porosità iniziale, però fa anche vedere che in funzione
della granulometria a parità di densità, i terreni a grana
più fine hanno un angolo di attrito più basso rispetto ad
un terreno con granulometria maggiore come ciottoli e
ghiaia che a parità di densità hanno un angolo di attrito
più alto. In definitiva influenza sull’angolo di attrito la
granulometria che influenza l’angolo di attrito di stato
critico, la densità iniziale che ha un influenza sull’angolo
di attrito di picco e non sull’angolo di attrito di stato
critico.

Infine la granulometria ha un influenza sull’angolo di attrito residuo, questo vale per le argille soltanto, e
possiamo vedere da questa diapositiva in cui abbiamo un valore dell’angolo di attrito residuo, 𝜑′𝑟 , in funzione
della percentuale argillosa, all’aumentare della percentuale argillosa si riduce l’angolo di attrito residuo da
30 a 10m gradi, quindi ci aspettiamo che man mano che aumenta la frazione argillosa, si riduce nel materiale
l’angolo di attrito residuo.

In quest’altro caso il diagramma è simile e non è messo in funzione


della frazione argillosa ma dell’indice di plasticità che indica la
prevalenza di materiale a grana fine nel terreno ed è consistente il
fatto che anche in questo caso l’angolo di attrito residuo si riduca
all’aumentare della plasticità In realtà vedete valori dell’angolo di
attrito residuo che arrivano a 5 – 10 gradi, sono valori moto bassi e
che sono quindi quei valori di angolo di attrito residuo che noi ci
aspettiamo che possano essere mobilitati in un fenomeno di
instabilità molto importanti, già mobilitati in passato quando per
esempio frane si attivo su superfici di scorrimento già
precedentemente attivate.

Quest’ultimo grafico dice la


stessa cosa perché qui invece
di φ abbiamo m che è
parente di φ ed è in funzione
di Ip che è la stessa cosa di Pi
che è la Plasticity index,
quindi la resistenza ultima,
quella residua, decresce con
l’aumento della frazione argillosa e con l’aumento dell’indice di plasticità.

Il comportamento meccanico di un materiale (diagramma q εa) è una funzione del tipo di materiale, tensione
di confinamento efficace, l’Ocr nei terreni a grana fina, per i terreni a grana grossa dalla Densità relativa, e
dalla condizione di drenaggio, che può essere una condizione drenata o una condizione non drenata.

I percorsi triassiali e i loro effetti li possiamo rappresentare su 4 piani coordinati.


Il piano q p sovrapposto al piano p q’ perché possiamo vedere il percorso sia in tensioni totali che in tensioni
efficaci. Affianco a questo mettiamo il piano q- εa che è il comportamento meccanico, dove possiamo
misurare la resistenza e la rigidezza del materiale.
Al di sotto abbiamo il piano con l’indice dei vuoti(e) in funzione di p’ che è analogo a quello con cui
rappresentiamo i risultati di una prova edometrica, dove ragioniamo con indice dei vuoti e 'v perché nella
prova edometrica 'h non la conosciamo, in questo caso in condizione triassiali conosciamo il valore della
tensione media efficace e misuriamo p’. Il quarto piano, dove a seconda della condizione drenata e non,
mettiamo in funzione della deformazione assiale la deformazione volumetrica se siamo in condizione drenata
poiché consentiamo variazioni di volume o la sovrappressione neutra in fase deviatorica ud se siamo in
condizione non drenata.
Immaginando di conoscere il tipo di materiale, quindi sappiamo come si comporta perché abbiamo
caratterizzato tutti i parametri di resistenza, deformabilità, angolo di attrito, compressibilità come possiamo
prevedere il comportamento tipico del materiale in un certo percorso tensionale ad esempio in una prova
triassiale drenata e non drenata, normal-consolidata o sovraconsolidata, con un certa tensione iniziale o
confinata con un’altra tensione iniziale?
Definire il tipo di materiale, significa definire una retta nel piano q-p,p’, che ha una pendenza M, che è una
proiezione di una curva di stato critico, e un’analoga proiezione della stessa curva nel piano e-p’, poiché
abbiamo visto che lo stato critico o stato a volume costante è una condizione in cui le variabili tensionali di
deformazione volumetrica non cambiano, quindi è un luogo dei punti nello spazio e, p’ in cui siamo in
condizione stazionaria.(nella prova di taglio non definiamo l’indice dei vuoti ma abbiamo visto che la
deformazione volumetrica V è pari ad una costante, non si spostava più, non si muove più la , non si
muove più la  in questo caso non si muove più q, non si muove più p’, non si muove l’indice dei vuoti. In
aggiunta posso tirare una linea che ha andamento analogo a quella di Stato critico, che se fosse un piano e-
logp’, sarebbero due linee parallele in scala logaritmica, in scala naturale non sono due rette parallele, però
mantengono questa caratteristica di essere pressoché parallele, questa linea è detta di compressione
normale, è una linea, la stessa linea vergine che abbiamo nella prova edometrica, soltanto non è ottenuta in
condizione con pressione edometrica, ma è ottenuta in condizione con pressione isotropa, cioè un terreno
normal consolidato parte da p pari a zero e viene compresso isotropamente si muove lungo questa linea.
Definite queste curve, il tipo di materiale è definito. Qui dentro ci sono una serie di parametri, che devo aver
caratterizzato da prove di laboratorio.
Vediamo il percorso triassiale drenato a partire da un certo valore di cella 'c assegnata, vediamo l’effetto
del grado di sovraconsolidazione. Fisso 'c, significa fisso p’, mi riferisco a tre condizioni di
sovraconsolidazione: condizione 1 mi trovo sulla linea di normalconsoldazione, se mi trovo tra la linea LNC e
LSC mi trovo in condizione 2(come se avessi compresso e poi scaricato in quel punto) che chiamo condizione
di debole sovraconsolidazione. Se invece l’indice dei vuoti sta sotto la LSC(ci arrivo sempre comprimendo e
poi scaricando come faccio nella prova edometrica),sono in condizione 3 che chiamo di fortemente
sovraconsolidata. Ho tre condizioni diverse di OCR.
Effetto sul comportamento meccanico. Parto da p’, è un percorso drenato, so che il percorso in tensioni
totali coincide con il percorso in tensioni efficaci, non insorgono sovrappressioni neutre in quanto il drenaggio
è libero. Poiché la prova è a tensione di cella costante, so che il rapporto tra  p su q è pari a 3. Il percorso in
tensioni totali è inclinato di 3 a 1 e coincide con il percorso in tensioni efficaci. Aumento il deviatore fin
quando non arrivo ad incontrare l’inviluppo di rottura, la LSC. Proietto il punto nel piano e-p’ e mi fermo sulla
linea di LSC. Dal punto di partenza a quello finale ho un andamento quasi curvo.
Nel piano q- εa, tenderò al deviatore finale partendo da q=0 con un andamento non lineare. Nel piano εv- εa,
succede che partendo da un indice di vuoti iniziale e arrivando ad un indice dei vuoti più basso significa che
sto comprimendo il mio provino, tenderò ad un valore di deformazione volumetrica finale positiva che sarà
costante, perché sono in condizioni drenate a volume costante perché quando arrivo a LSC, il volume è
costante è anche l’indice dei vuoti è costante.
Condizione 2-Terreno debolmente sovraconsolidato. Il ragionamento è quasi uguale ad 1, ma parto da 2, il
percorso è sempre drenato, con percorso in tensioni totali che coincide con il percorso in tensioni efficaci,
arrivo nello stesso punto di rottura. Nel piano, poiché ho un e più piccolo rispetto a prima (condizione 1),
la curva q- εa arriva esattamente nello stesso punto di stato critico però mi aspetto che, essendo il terreno
debolmente sovraconsolidato, sia più rigido rispetto alla condizione 1, quindi la curva è più rigida rispetto a
prima, ma arrivo allo stesso punto. In termini di deformazione volumetrica εv, partendo da un indice di vuoti
più basso, ho una differenza più bassa rispetto a prima, ma sempre un valore positivo perché riduco l’indice
dei vuoti.
Condizione 3-Terreno fortemente sovraconsolidato. Comprimo il provino, quindi inizialmente l’indice dei
vuoti dovrà scendere, si allontana dalla LSC e raggiunge la massima densità (minimo indice dei vuoti), ma poi
inverte il percorso e si ferma su LSC. (Piano e-p’). Se proietto questo punto nel piano q-p’, il percorso dovrà
continuare sopra alla LSC e poi torna indietro. Il percorso è A, B, C, D con D che coincide con B. Se proietto
sempre nel piano q- εa, ho sempre un punto A, il punto C è una resistenza di picco, mentre in D sono arrivato
allo stato critico dove non cambia q,e,p’. Il termine di deformazione volumetrica(piano εv- εa,) presenta
inizialmente deformazione volumetrica positiva, ma arrivati alla proiezione del punto B, dove p’ è uguale a p’
in stato critico (LSC) e anche q, ma non sto ancora in stato critico perché l’indice dei vuoti non è quello di
stato critico, da B il provino tende a dilatare e la deformazione volumetrica tende a ridursi quindi B è un
punto di massimo della deformazione volumetrica positiva, e poi scende e tende ad un valore di resistenza
di picco quindi la dilatanza è massima, vuol dire che la dilatanza espressa come derivata del cedimento w
rispetto allo scorrimento, in questo caso è pari alla derivata della deformazione volumetrica rispetto alla
deformazione assiale(sono parenti in quanto quando ho cedimento positivo ho deformazione volumetrica
positiva, quando ho uno spostamento negativo verso l’alto ho deformazione volumetrica negativa, lo
scorrimento lo associo a deformazione assiale. Quando ho la max derivata, ho il picco e quindi la pendenza
in C è massima, poi tende a decrescere verso lo stato critico.

Se avessi variato la tensione di cella, posso ripetere lo stesso ragionamento partendo da p’ diverso.

Cambiamo ora la condizione di drenaggio, prima abbiamo simulato una CID, ora simuliamo una CIU, quindi
una triassiale non drenata assegnando sempre una 'c di cella. In condizione non drenata si accumulano
sovrappressioni neutre, metto ud in fase deviatorica in funzione della εa. Ora quindi l’OCR varia in condizioni
non drenate, vuol dire che il percorso triassiale in tensioni totali è sempre inclinato di 3 a 1, in tensioni efficaci
non lo sono sappiamo perché sono una risposta del comportamento, non conoscendo le u, non conosco le
tensioni efficaci, nel piano q,p conoscono solo le pressioni totali che non hanno niente a che vedere con la
LSC quindi il tratto dopo lo tratteggio perché l’intersezione non ha senso. Partendo da condizioni non drenate,
la variazione di volume è nulla e quindi l’indice dei vuoti è costante. Definisco i tre stessi punti di prima,
condizione 1,2,3. Se parto da 1(normal consolidato) mi trovo a rottura con lo stesso indice dei vuoti, quindi
il percorso nel piano e-p’ è orizzontale e arrivo su LSC, poi proietto questo punto sul piano q-p’, e trovo il
punto finale a rottura in tensioni efficaci, e ci arrivo con un percorso curvo, essendo non lineare. Conosco
anche il percorso in tensioni totali, perché anche il deviatore a rottura è lo stesso e quindi ho il punto finale,
e quindi proiettando anche sul piano q- εa, ho un andamento con una curva che tende a quel valore di q
definito prima e le sovrappressioni neutre che si generano, per definizione pari a tensioni totali meno tensioni
efficaci, ud, quindi la differenza orizzontale che leggo nel piano q,p’ me la riporto nel piano ud - εa, e ottengo
una curva che tende a questo valore di differenza.
Provino debolmente sovraconsolidato (condizione 2). Anche qui parto dal fatto che l’indice dei vuoti finale è
lo stesso (piano e,p’) trovo quindi il punto p’ finale a rottura che proietto nel piano q,p’, ed è più grande
rispetto a quello della condizione 1. Ottengo anche il percorso in tensioni totali con deviatore un po' più alto
di prima e vedo che le sovrappressioni neutre sono un po' più basse rispetto a prima (condizione 1). Quindi
nel piano ud - εa, mi trovo sotto al punto 1.
Provino fortemente sovraconsolidato(3). Ho l’indice dei vuoti sotto la LSC, va a rottura spostandosi non a
sinistra ma a destra, arrivato sulla LSC, proietto il punto nel piano q-p’, come percorso in tensioni totali mi
appoggio sempre a quella con pendenza 3 a 1, e si incontra con il percorso in tensioni efficaci, che fino al
punto di incontro è sempre a sinistra di quello in tensioni totali poi il percorso in tensioni efficaci sta alla
destra. Nella curva q- εa, il deviatore sta ancora più sopra e poi vedo che le sovrappressioni neutre sono
positive quando p’ è più piccolo di p (vedi piano q-p’) per poi diventare negative. Il valore di A di SKEMPTON
rapporto tra u / q per i terreni normal consolidati assume un valore A=0.5, quelli debolmente consolidati
tra 1 e 0.5 e quelli sovraconsolidati hanno A inferiore a 0, anche negativi a rottura, questo lo vediamo da
questo andamento nel piano ud - εa. Il punto di nullo corrisponde alla condizione di eguaglianza tra p e p’,
L’effetto che le sovrappressioni sono prima positive e poi negative, è dovuto al fatto che il provino che
vorrebbe dilatare perché sovraconsolidato non lo può fare perché siamo in condizioni non drenate e quindi
tende a ridurre le sue pressioni neutre per compensare il fatto che vorrebbe dilatare ma non può.
La resistenza non drenata, è il valore finale qF è il deviatore del cerchio di Mohr a rottura, quindi è pari a 2cu,
perché se faccio un cerchio di Mohr, in tensioni efficaci  ‘, abbiamo che il raggio pari a metà del deviatore
è tangente all’inviluppo di rottura, quindi la resistenza non drenata aumenta all’aumentare dell’OCR.
L’OCR è significativo per i terreni a grana fine, per i terreni a grana grossa ha anche un effetto, però più della
consolidazione gioca un ruolo importante la densità iniziale.

Ripetiamo il tutto per un terreno a grana grossa. Lo vediamo solo in condizioni drenate perché normalmente
in applicazioni statiche è l’unico comportamento che hanno questo tipo di terreni. Al posto quindi dell’OCR
consideriamo la densità relativa Dr.

Tracciamo le LSC, nel piano q-p,p’, e in quello e-p’. Ora, per i terreni a grana grossa, è piuttosto complicato
definire una linea vergine. Un esempio di questa cosa possiamo vederlo prendendo un barattolo di sabbia
con una certa densità iniziale che non è mai stato sollecitato da una compressione (quindi corrisponde a un
terreno NC) se proviamo a scuoterlo tramite una tavola vibrante, la sua condizione iniziale dell’indice dei
vuoti cambia ciò implica che definire la linea vergine di NC non è cosa semplice e addirittura secondo alcuni
la linea di NC per i terreni a grana grossa non esiste. In questo caso quindi non traccio la linea di NC. D’ altro
canto abbiamo visto che la differenza la fa, anche nei terreni a grana fine, la LSC, perché sia il terreno NC sia
quello SC si comportano sostanzialmente allo stesso modo. In questo caso io non distinguo in base alla SC ma
distinguo l’addensamento iniziale, quindi posso parlare di un terreno sciolto e di un terreno denso.
Consideriamo quindi due terreni, uno denso e uno sciolto a parità di p’. Un terreno sciolto è un terreno che
si trova al di sopra della LSC; viceversa quello denso. Non si parla di densità relativa perché per farlo si
dovrebbero mettere in mezzo 𝑒𝑚𝑖𝑛 ed 𝑒𝑚𝑎𝑥 , ma stiamo ragionando a prescindere da questi.

Chiamiamo 1 il terreno sciolto e 2 quello denso. Il terreno sciolto seguirà il percorso blu con inclinazione 3 a
1 nel primo piano mentre nel secondo piano tenderà alla LSC come accadeva nei casi precedenti per un
terreno NC; quindi facilmente ci fa gioco associare il comportamento di un terreno granulare sciolto ad un
terreno NC. Il terreno denso, invece, come accadeva prima per quello SC, scendendo giù (percorso rosso)
tende ad allontanarsi dalla LSC, quindi in condizioni di limite stato critico (massimo addensamento) nel punto
B e poi tenderà a dilatare tornando indietro. Nel punto B quindi indentifico la condizione di massimo
addensamento (minimo indice dei vuoti), in corrispondenza del picco C ho la massima pendenza della curva
(massima dilatanza) che nel quarto diagramma identifica il flesso. Quindi il comportamento di un terreno
denso è simile a quello di un terreno SC. A parità di indice dei vuoti, all’ aumentare della tensione di
confinamento, il comportamento evolve verso quello di un materiale sciolto; allo stesso modo a parità di
tensioni di confinamento, all’ aumentare dell’indice dei vuoti, il terreno passa da denso a sciolto. Esempio: il
punto 3 pur avendo lo stesso indice di vuoti del punto 1 si comporta come il punto 2 perché essendo sotto la
LSC risulta essere un terreno denso e quindi si comporta come tale.
Esercitazione n. 5 - 28.11.2017 Raoul

Il sottosuolo è costituito, al di là del terreno vegetale, da pozzolana con pomici in due strati
diversi l’uno dall’altra; questi poggiano su un letto di roccia. Non vi è presenza di falda.
Osservando la prova CPT ci si rende conto che i primi 10 m hanno una resistenza,
mediamente, un po’ più bassa, 𝑞𝑐 ≅ 5 𝑀𝑃𝑎; i restanti 10 m sono caratterizzati da una
resistenza un po’ più alta, 𝑞𝑐 ≅ 10 ÷ 15 𝑀𝑃𝑎. Superati questi strati poi la prova va a rifiuto
proprio a causa della presenza del bedrock.
Le caratteristiche sono riportate sulla traccia.
Il calcolo del cedimento è richiesto col metodo di Schmertmann. A seconda che si abbia una
condizione di assialsimmetria (𝐿/𝐵 = 1) o di deformazione piana (𝐿/𝐵 > 10), vi è l’abaco
per la valutazione del coefficiente 𝐼𝑧 di deformazione.

La formula da adoperare è:
𝑛
𝐼𝑧,𝑖
𝑤 = 𝐶1 𝐶2 𝑞 ∑ ∆𝑧 (1)
𝐸′𝑖 𝑖
𝑖=1

nella quale:
- q rappresenta il carico netto applicato alla fondazione;
- 𝐼𝑧 è il fattore di deformazione;
- 𝐸′𝑖 rappresenta il modulo di deformabilità secante del terreno in corrispondenza dello
strato i-esimo considerato nel calcolo;
- ∆𝑧𝑖 rappresenta lo spessore dello strato i-esimo;
- 𝐶1 , 𝐶2 sono due coefficienti correttivi.
Il modulo di Young è ricavato da correlazioni con la resistenza penetrometrica:
𝐸 ′ = 𝛽𝑞𝑐 (2)
dove:
- 𝛽 = 2.5 per fondazione circolare o quadrata;
- 𝛽 = 3.5 per fondazione a striscia indefinita.

𝐶1 è un coefficiente funzione della profondità del piano di posa:


𝜎 ′ 𝑣0
𝐶1 = 1 − 0.5 ≥ 0.5 (3)
𝑞
𝐶2 è un coefficiente di incremento per gli effetti secondari (t è il tempo riferito in anni):
𝑡
𝐶2 = 1 + 0.2 log ( ) (4)
0.1

Il carico q è pari a:
𝑞 = 𝐻𝑠𝑒𝑟𝑏 ∙ 𝛾𝑤 (5)
Il carico netto 𝑞 ∗ è pari a:
𝑞 ∗ = q − D ∙ 𝛾𝑡𝑒𝑟𝑟.𝑣𝑒𝑔𝑒𝑡 (6)

Per valutare i pesi specifici dei terreni A e B si applica la seguente formula:


𝛾 = 𝛾𝑠 ∙ (1 − 𝑛) ∙ (1 + 𝑤) (7)

Occorre valutare la tensione verticale litostatica in corrispondenza del piano di posa 𝜎 ′ 𝑣0 ;


questa è data da:
𝜎 ′ 𝑣0 = 𝛾𝑡𝑒𝑟𝑟.𝑣𝑒𝑔𝑒𝑡 ∙ 𝐷 (8)

Valutati 𝜎 ′ 𝑣0 e 𝑞 ∗ , rispettivamente con la (8) e la (6), è ricavabile 𝐶1 con la (3).

Per la valutazione di 𝐶2 , formulazione (4), può considerarsi un tempo t pari a 1 anno così da
avere un’amplificazione del cedimento pari al 20 %.
La 𝑧𝑝𝑖𝑐𝑐𝑜 nel caso assialsimmetrico è 0.5 B, nel caso di striscia indefinita sarebbe stata B.
La formula di 𝐼𝑧,𝑚𝑎𝑥 è:

𝑞
𝐼𝑧,𝑚𝑎𝑥 = 0.5 + 0.1√ (9)
𝜎′𝑣𝑝

Occorre valutare quindi 𝜎′𝑣𝑝 :


𝜎′𝑣𝑝 = 𝜎 ′ 𝑣0 + 𝛾𝑡𝑒𝑟𝑟. 𝐴 ∙ 𝑧𝑝 (10)
Affinché sia possibile individuare 𝐼𝑧,𝑖 per ogni livello di z, occorre valutare anche la z per 𝐼𝑧 =
0. Ciò è possibile con la seguente formulazione fornita da Schmertmann:
𝑧𝑛𝑢𝑙𝑙𝑜 = 2 ∙ 𝐵 (11)
Per poter valutare 𝐼𝑧,𝑖 bisogna considerare se si è superato o meno la 𝑧𝑝𝑖𝑐𝑐𝑜 :
- Se 𝑧 ≤ 𝑧𝑝 allora:
(𝐼𝑧,𝑚𝑎𝑥 − 𝐼𝑧0 )
𝐼𝑧,𝑖 = 𝐼𝑧0 + ∙𝑧 (12)
𝑧𝑝
- Se 𝑧 > 𝑧𝑝 allora:
(𝑧 − 𝑧𝑝 )
𝐼𝑧,𝑖 = 𝐼𝑧𝑚𝑎𝑥 ∙ (1 − ) (13)
(𝑧𝑛𝑢𝑙𝑙𝑜 − 𝑧𝑝 )

Attraverso la (2) è possibile ricavare 𝐸′𝑖 e attraverso le (1) è possibile ricavare 𝑤𝑓 .


Nel file Excel può vedersi come il modulo di Young sia stato valutato in relazione alla prova
CPT; la resistenza alla punta 𝑞𝑐 è stata mediata in intervalli di 2 m.
Si riporta di seguito quanto illustrato.

strato dz [m] z [m] Iz,i qc [MPa] Ei [MPa] wed,i [m]


1 2 1 0.20 4 9.7 0.0024
2 2 3 0.39 3 7.7 0.0059
3 2 5 0.59 4 10.0 0.0068
4 2 7 0.51 5 12.0 0.0049
5 2 9 0.43 12 29.5 0.0017
6 2 11 0.35 6 16.2 0.0025
7 2 13 0.27 10 25.9 0.0012
8 2 15 0.20 10 23.8 0.0010
9 2 17 0.12 15 36.5 0.0004
10 2 19 0.04 27 66.8 0.0001
wed 0.027

Si sono poi fatti confronti per t pari a 1 mese, 1 anno e 10 anni; tutto ciò per vedere l’entità
del cedimento al variare del tempo.
Lezione 28.11.2017 Raoul

Le fondazioni sono quella parte di un’opera a diretto contatto con il terreno, destinata a
trasmettere al terreno stesso le forze provenienti dalla struttura in elevazione.
L’analisi di un sistema di fondazione può essere fatta in condizioni limite (terreno prossimo
alla rottura) oppure in condizioni di esercizio.

Si possono distinguere due famiglie di fondazioni: superficiali e profonde.


Le fondazioni superficiali presentano un piano di posa a una profondità D dalla superficie del
suolo minore o uguale alla dimensione B della base della fondazione; i carichi sono trasmessi
al terreno essenzialmente attraverso la base X-X.

I tipi più comuni per questa tipologia sono:


- plinti;
- travi rovesce e muri continui;
- platee.

Viceversa, le fondazioni profonde presentano un piano di posa a una profondità D maggioro


o molto maggiore di B; i carichi sono trasmessi al terreno, oltre che attraverso la base X-X,
anche attraverso le superfici laterali X-Z.

I tipi più comuni sono:


- pozzi e cassoni (𝐷/𝐵 > 1);
- pali (𝐷/𝐵 ≫ 1).
Carico Limite per Fondazioni Dirette o Superficiali

In questa fase si analizzano più nello specifico le fondazioni dirette, descrivendone anzitutto il
meccanismo di rottura.
È possibile riscontrare un meccanismo di rottura generale caratterizzato dalla formazione di
una superficie di scorrimento; il terreno sottostante la fondazione rifluisce lateralmente e
verso l’alto; alla superficie del terreno circostante la fondazione si osserva quindi un
sollevamento del terreno stesso e l’emergere della superficie di scorrimento. A questo
meccanismo corrisponde un comportamento della fondazione di tipo plastico o fragile; il
valore del carico limite risulta sempre chiaramente individuato come il punto di massimo o
come asintoto della curva carico-cedimento1.

Il punzonamento è caratterizzato dall’assenza di una superficie di scorrimento ben definita; il


terreno sottostante la fondazione si comprime (con diminuzione della porosità); alla superficie
si osserva uno spostamento verso il basso del terreno circostante la fondazione che si attenua
gradualmente allontanandosi dalla fondazione stessa. Ad un meccanismo di questo tipo
corrisponde un comportamento della fondazione di tipo plastico con incrudimento, e quindi
cedimenti che crescono con gradualità all’aumentare del carico senza consentire una chiara
determinazione del carico limite.

1
La curva carico-cedimento simula un comportamento che non è quello reale dell’edificio (altrimenti avrebbe
ceduto), ma un comportamento atteso se si incrementano i carico fino a rottura.
In genere il meccanismo di rottura generale si verifica per terreni poco deformabili (sabbie
addensate, argille consistenti); quando sussistono le condizioni non drenate esso è l’unico
meccanismo possibile, perché può avvenire senza variazioni di volume del terreno.
È forse il caso di precisare, però, che in condizioni drenate la rottura generale può avvenire
anche con variazioni di volume; tuttavia il meccanismo dominante non è la compressione ma
lo scorrimento.
Il meccanismo di punzonamento, richiedendo una variazione di volume del terreno, può
verificarsi solo in condizioni drenate; esso è caratteristico dei terreni deformabili, quali sabbie
poco addensate ed argille poco consistenti.
Tuttavia anche altri fattori concorrono a determinare il verificarsi dell’uno o dell’altro
meccanismo; ad esempio, a parità di condizioni, al crescere della profondità della fondazione
si tende a passare dalla rottura generale al punzonamento.

Una fondazione deve poter trasmettere al terreno i carichi agenti sulla sovrastruttura in modo
da garantire un adeguato sostegno all’opera da fondare insieme ad un suo soddisfacente
comportamento. In altri termini, come prescrive la normativa italiana, i requisiti di una
fondazione sono:
- “lo stato di tensione indotto nel terreno deve essere compatibile con le caratteristiche
di resistenza del terreno stesso, nella situazione iniziale ed in quelle che potranno
presumibilmente verificarsi nel tempo”;
- “gli spostamenti delle strutture di fondazione devono essere compatibili con i
prefissati livelli di sicurezza e con la funzionalità delle strutture in elevazione”.

Lo Stato Limite Ultimo della fondazione lo si valuta attraverso un’applicazione della teoria
della plasticità. Si fornisce il valore del carico limite per una fondazione nastriforme indefinita
(problema piano) sottoposta a carichi con risultante verticale e centrata.
Il carico limite è calcolabile nell’ipotesi che il terreno sia un mezzo rigido-plastico e che il
criterio di rottura alla Mohr-Coulomb:
𝜏 = 𝑐 + 𝜎 tan 𝜑 (1)
Si considera il caso di una fondazione di lunghezza indefinita L e di larghezza B, con piano di
posa alla profondità D, sottoposta a carichi verticali e centrati.
Questa struttura generalmente presenta un piano di posa differente dal piano campagna
perché, nel pratico, vi è la comodità di regolarizzare il piano in questione; poi gli stati
superficiali generalmente sono costituiti da terreni vegetali i quali sono molto eterogenei e
molto scadenti. Vi è poi un altro motivo, approfondendo la fondazione ci si affida stati
tensionali maggiori che comportano un aumento di capacità della fondazione stessa.

Si consideri, per il momento, la condizione di falda idrica assente. La base della fondazione
attraverso la quale è applicato il carico q è considerata una soletta indeformabile orizzontale
che, penetrando nel terreno, mobilita la resistenza al taglio del terreno stesso.
Come detto, si genera una superficie di scorrimento e si determinano diversi cunei di spinta.
Sotto l’area d’impronta della fondazione si determina un cuneo di spinta attiva (A), di lato si
determina un cuneo di spinta passiva (P) e tra i due vi è un ventaglio di transizione (T).

Ricorda: le condizioni di spinta attiva e passiva si sono già esaminate precedentemente


analizzandole con la teoria di Mohr. Se la rottura avviene considerando un confinamento
laterale come nella prova triassiale di compressione (carico deviatore costante con la tensione
𝜑
di cella), le superfici di rottura sono inclinate di 45° + 2 rispetto alla direzione principale

minima di tensione ovvero rispetto alla giacitura su cui agisce la tensione principale massima
(in questo caso rispetto all’orizzontale).
Le linee in rosso e in blu indicano le famiglie di giaciture di rottura che si verificano in
condizioni di spinta attiva. Ovviamente si hanno anche tensioni tangenziali negative e quindi
le due famiglie sono coniugate.
Posto il carico che tende alla condizione limite, la resistenza si mobilita poiché il cuneo tende
a schiacciarsi richiedendo uno spanciamento laterale; non essendoci sufficiente equilibrio in
direzioni orizzontali avviene la rottura.
Al di fuori dell’area d’impronta della fondazione agisce un sovraccarico q che è proprio il
peso del terreno che agisce sopra il piano di posa, ovvero la tensione verticale litostatica a
quella profondità z. Tale tensione è fissa nella mobilitazione di tale meccanismo;
immaginando che il cuneo A tende a scendere verso il basso, questo spinge il ventaglio T il
quale, a sua volta, spinge il cuneo P.
La rottura, dunque, non avviene per perdita di confinamento laterale ma per una condizione di
estensione triassiale (la tensione verticale resta costante ma la tensione orizzontale aumenta).
𝜑
In questo caso le direzioni principali di rottura si ribaltano, sono sempre inclinate di 45° + 2
𝜑
ma rispetto all’altro piano; rispetto al piano orizzontale sono orientate di 45° − 2 . È così

spiegata la forma più chiusa del cuneo di spinta attiva rispetto a quello di spinta passiva.
Il terreno quindi è caratterizzato da 𝑐 e da 𝜑 e anche dal peso dell’unità di volume 𝛾 poiché
definisce lo stato tensionale interno del terreno.
Nel settore di transizione T le tensioni ruotano. Questo ha una forma che diversi autori
(Prandt, Caquot, Terzaghi, Vesic) hanno definito come arco di spirale logaritmica. Questa è
una curva il cui raggio, definito come la congiungente di un punto qualunque della spirale col
fuoco della spirale (punto O2), è inclinato di un certo angolo rispetto alla normale della
tangente allo stesso punto; tale angolo, nella teoria di Terzaghi-Prandt, è pari a 𝜑 e chiamasi
anomalia.

2
È un punto di discontinuità tensionale perché vi agiscono tensioni che, a secondo della giacitura, ne cambiano
lo stato tensionale.
Nota: nella spirale logaritmica il raggio cresce ruotando. A mano a mano che si avvicina al
polo, la curva ci si "avvolge" intorno senza mai raggiungerlo.

La formula del carico limite è stata ricavata attraverso un equilibrio alla rotazione intorno al
fuoco O. Si proceda con l’isolare metà del cuneo di spinta attiva, la superficie di transizione e
metà del cuneo di spinta passiva.

Superiormente agiranno:
𝐵
- il carico limite 𝑞𝑙𝑖𝑚 su una lunghezza pari a 2 ;

- il sovraccarico laterale q su metà cuneo di spinta passiva.

Lateralmente si ha una reazione, una distribuzione di tensioni orizzontali, che è data dalle
formule di Rankine in relazione alla condizione di spinta. Sulla faccia legata al cuneo di
spinta attiva, A, si ha:
𝐾𝐴 ∙ 𝑞 − 2𝑐√𝐾𝐴

Nota: all’altezza del piano di posa 𝑞 = 𝑞𝑙𝑖𝑚 , poi cresce con un gradiente pari a 𝐾𝐴 ∙ 𝛾.

Analogamente, sull’altra faccia si ha:


𝐾𝑃 ∙ 𝑞 + 2𝑐√𝐾𝑃

Si noti che la dimensione del raggio dell’arco di spirale a contatto col cuneo spinta attiva è
noto attraverso mere formule trigonometriche. La dimensione dell’arco di spirale è anch’esso
noto attraverso una semplice applicazione della propria formula matematica; in questo modo è
possibile conoscere anche l’altro raggio che consente di individuare la lunghezza di metà
cuneo di spinta passiva.
Sull’arco di spirale, essendo una superficie in condizione di rottura, agiscono tensioni normali
e tangenziali. Nella figura precedente sono rappresentate le 𝜏 mentre le 𝜎 sono rappresentate
dalla composizione delle 𝜎⃗ + 𝜎⃗ tan 𝜑. Il perché è desumibile dalla seguente considerazione:
le tensioni tangenziali di rottura, come detto all’inizio della trattazione, sono valutate
attraverso il criterio di Mohr-Coulomb attraverso la (1). 𝑐 e 𝜎⃗ tan 𝜑 sono due tensioni
tangenti; poi c’è il vettore 𝜎⃗ che in ogni punto è diretto secondo la normale. Per l’anomalia 𝜑,
la normale è inclinata di 𝜑 rispetto al raggio. Presa la normale 𝜎⃗ e la componente della
tensione tangenziale attritiva 𝜎⃗ tan 𝜑, se queste si compongono tra loro si ha una componente
inclinata di 𝜑 rispetto alla normale e quindi diretta secondo il raggio.
Ricapitolando, si scompongono le tensioni in una componente, inclinata secondo il raggio,
𝜎⃗ + 𝜎⃗ tan 𝜑 e una componente tangenziale 𝑐 costante, la quale è indipendente dallo stato
tensionale.

Facilmente si può scrivere l’equilibrio, essendo tutto noto, in cui l’unica incognita è proprio il
carico limite. L’equazione è trinomia in cui compaiono 𝑞, 𝑐, 𝛾, 𝑏 e l’angolo di attrito risiede
nei coefficienti A, B e C.
𝑞𝑙𝑖𝑚 = 𝐴 ∙ 𝑞 + 𝐵 ∙ 𝑐 + 𝐶 ∙ 𝛾 ∙ 𝑏

Nota: questa formula vale per la striscia indefinita.

La formula si esplicita nel seguente modo:


𝐵
𝑞𝑙𝑖𝑚 = 𝑁𝑞 ∙ 𝑞 + 𝑁𝑐 ∙ 𝑐 + 𝑁𝛾 ∙ 𝛾 ∙ (2)
2
dove:
- 𝑁𝑞 è una definizione di Terzaghi e vale:

′ 𝜋 𝜑′
𝑁𝑞 = 𝑒 𝜋∙tan 𝜑 ∙ tan2 ( + )
4 2
- 𝑁𝑐 è un’applicazione del teorema di Caquot sugli stati corrispondenti e vale:
𝑁𝑐 = (𝑁𝑞 − 1) ∙ cot 𝜑 ′
- 𝑁𝛾 è una soluzione ottenuta in maniera diversa da vari autori. Se ne riporta una:
𝑁𝛾 ≅ 2 ∙ (𝑁𝑞 + 1) ∙ tan 𝜑 ′
Graficamente si ha:

Si può osservare che, oltre ad essere non lineari e anche molto variabili in relazione all’angolo
d’attrito, l’asse delle ordinate è in scala logaritmica.

Per fondazioni non nastriformi il problema non è piano. Per forma circolare si usa una
soluzione in forma chiusa attraverso il metodo delle linee caratteristiche. Per quanto concerne
le forme rettangolare e quadrata si usano soluzioni approssimate o si eseguono prove su
modello in scala.
In generale si utilizzano dei coefficienti correttivi correggendo la formula (2). Si ha:
𝐵
𝑞𝑙𝑖𝑚 = 𝜁𝑞 ∙ 𝑁𝑞 ∙ 𝑞 + 𝜁𝑐 ∙ 𝑁𝑐 ∙ 𝑐 + 𝜁𝑐 ∙ 𝑁𝛾 ∙ 𝛾 ∙ (3)
2
Si riportano i valori di seguito.
Rimuovendo anche l’ipotesi di carichi centrati, si ha che una parte della fondazione è a
contatto col terreno, reagendo. Si effettua quindi un focus su di essa e si modifica l’area
d’impronta considerando una fondazione equivalente.

Altro aspetto da correggere è legato all’inclinazione del carico. A causa della presenza di
un’azione orizzontale 𝑞𝐻 in sommità, vi può essere un’inclinazione dell’azione verticale 𝑞𝑉 .
Ciò comporta la verifica di due aspetti: la prima riguarda la verifica rispetto al carico inclinato
e la seconda riguarda il carico limite per scorrimento.
La (3) dunque diviene:
𝐵
𝑞𝑣,𝑙𝑖𝑚 = 𝜁𝑞 ∙ 𝜉𝑞 ∙ 𝑁𝑞 ∙ 𝑞 + 𝜁𝑐 ∙ 𝜉𝑐 ∙ 𝑁𝑐 ∙ 𝑐 + 𝜁𝛾 ∙ 𝜉𝛾 ∙ 𝑁𝛾 ∙ 𝛾 ∙ (4)
2
𝑞𝐻,𝑙𝑖𝑚 = 𝑐 + 𝑞𝑣 ∙ tan 𝛿𝑐 (𝛿𝑐 < 𝜑) (5)

Questi coefficienti dipendono, come si vede, dal tipo di terreno. L’esponente m dipende dalla
direzione 𝑞𝐻 . Ovviamente, se è obliqua, va composta in relazione all’angolo 𝜃.
Nota: Immaginando un blocco rigido che scorre su un terreno, questo possiede una certa
scabrezza la quale si oppone allo scorrimento orizzontale. Incrementando i carichi si avrà la
formazione di una superficie di scorrimento nel terreno stesso. Quindi nella (5) ecco spiegato
perché 𝛿𝑐 ≤ 𝜑. Ovviamente la verifica è fatta in relazione allo SLE.

Altra correzione da tenere in considerazione è l’inclinazione del piano di posa della


fondazione e del piano campagna.

Si adottano, anche in questo caso, coefficienti correttivi. Si perviene alla seguente


formulazione finale:
𝑞𝑣,𝑙𝑖𝑚 = 𝛼𝑞 ∙ 𝛽𝑞 ∙ 𝜁𝑞 ∙ 𝜉𝑞 ∙ 𝑁𝑞 ∙ 𝑞 ∙ 𝜓𝑞 + 𝛼𝑐 ∙ 𝛽𝑐 ∙ 𝜁𝑐 ∙ 𝜉𝑐 ∙ 𝑁𝑐 ∙ 𝑐 ∙ 𝜓𝑐 + 𝛼𝛾 ∙ 𝛽𝛾 ∙ 𝜁𝛾 ∙ 𝜉𝛾 ∙ 𝑁𝛾 ∙ 𝛾
𝐵
∙ (6)
2

Questa condizione si verifica, per esempio, con un muro di sostegno di un terrapieno che ha
una componente di spinta sia orizzontale che verticale. Allora, per aumentare la resistenza allo
scorrimento, si adotta come soluzione l’applicazione di un “dente”. La superficie di resistenza
diviene quindi inclinata.
I coefficienti ψ tengono conto del punzonamento e sono stati ricavati dal Vesic.

In relazione al tipo di terreno si hanno condizioni di drenaggio differenti e, quindi, si


particolarizza la formula trinomia.

Per analisi in tensioni totali, sotto falda, si ricava per terreni a grana fine in condizioni non
drenate di breve termine:
𝑁𝑞 = 1, 𝑁𝑐 = 2 + 𝜋, 𝑁𝛾 = 0
Dunque:
𝑞𝑙𝑖𝑚 = 𝑞 + (2 + 𝜋) ∙ 𝑐𝑢 (7)

Per analisi in tensioni efficaci, per terreni a grana grossa si effettua una verifica in condizioni
drenate, mentre per terreni a grana fina si effettua una verifica a lungo termine (𝑡 = ∞).
Occorre, per questa tipologia di analisi, tenere in considerazione la profondità della falda la
formula del carico limite si differenzia. In particolare:
- Falda al di sopra del piano di posa
𝐵
𝑞𝑙𝑖𝑚 − 𝛾𝑤 ∙ ℎ𝑤 = 𝑁𝑞 ∙ 𝜎𝑣′ + 𝑁𝑐 ∙ 𝑐 ′ + 𝑁𝛾 ∙ 𝛾 ′ ∙ (8)
2
Si tiene in considerazione, dunque, la sottospinta.
- Falda assente, o 𝒅𝒘 > 𝑩

𝐵
𝑞𝑙𝑖𝑚 = 𝑁𝑞 ∙ 𝜎𝑣 + 𝑁𝑐 ∙ 𝑐 + 𝑁𝛾 ∙ 𝛾 ∙ (8)
2
Si ragiona in assenza di pressioni neutre, quindi tensioni totali e tensioni efficaci
coincidono.

- Falda a profondità 𝒅𝒘 < 𝑩

𝐵
𝑞𝑙𝑖𝑚 = 𝑁𝑞 ∙ 𝜎𝑣′ + 𝑁𝑐 ∙ 𝑐 ′ + 𝑁𝛾 ∙ 𝛾̅ ∙ (9)
2
Con:
𝛾𝑑𝑤 + 𝛾 ′ (𝐵 − 𝑑𝑤 )
𝛾̅ =
𝐵
Cioè è un valore mediato tra 𝛾 e 𝛾 ′ per una profondità B. L’equazione (9) è scritta
sempre in tensioni efficaci. Il terzo termine presenza questo peso per unità di volume
poiché la superficie della falda intercetta la superficie di scorrimento.

Nota: possono esservi diversi strati di terreno. Nel caso di falda al piano campagna, nei terreni
a grana fine vi è sempre una risalita capillare. Anche se la superficie della falda fosse più
profonda, il 𝛾𝑠𝑎𝑡 è da tenere in considerazione sempre a partire dal piano campagna. In analisi
in tensioni totali quindi si usa sempre questo peso per unità di volume.
Considerazione: nei terreni a grana fine ci sono condizioni a breve termine e a lungo termine.
Volendo essere cautelativi si dovrebbero eseguire le verifiche per entrambe le condizioni. Può
farsi, però, la verifica solo a breve termine. Applicato il carico, in condizioni non drenate,
questo comporta un aumento delle pressioni neutre ∆𝑢. Se gli incrementi di pressione sono
positivi (in compressione ci si aspetta questo segno) nel tempo vanno a dissiparsi; quindi, nel
passaggio da breve a lungo termine le tensioni efficaci aumentano, di conseguenza la
resistenza aumenta incrementandosi il carico limite.
C’è una precisazione da fare: è così per un terreno normal-consolidato o debolmente
consolidato. Ricordando che:
∆𝑢 = ∆𝜎3 + 𝐴(∆𝜎1 − ∆𝜎3 )
Le tensioni orizzontali sicuro si incrementano. Per un terreno fortemente consolidato si ha un
A negativo e nel piano q,p si hanno ∆𝑢 negative. Se ciò è così potrebbe succedere che il
carico limite tende a diminuire. Per essere cautelativi sarebbe più giusto fare entrambe le
verifiche.
Progettazione ai sensi della Normativa

Le normative alle quali si fa riferimento sono le NTC 2008, precedentemente si faceva capo
alle norme del 1988 le quali hanno preceduto l’EuroCodice 7.
Andando in ordine cronologico, dunque, si fornisce un breve cenno al DM ’88. La sicurezza
era espressa quantitativamente da coefficienti globali. La verifica di sicurezza per il carico
limite era data dal rapporto tra il carico limite e il carico di esercizio; tal rapporto doveva
essere maggiore di un certo fattore di sicurezza.
Esempio, per una fondazione superficiale:
𝑄𝑙𝑖𝑚
≥ 𝐹𝑚𝑖𝑛 = 3
𝑄𝑒𝑥
Il coefficiente globale di sicurezza tiene conto di tutti i tipi di incertezza (geometria, carichi,
proprietà meccaniche, modelli e metodi di analisi, ecc.).
Oggi si tende a differenziare, nell’approccio semiprobabilistico, il fattore di sicurezza.
Anzitutto vi sono degli Stati Limite differenziati oltre a molteplicità di approcci progettuali.
Si adotta un approccio ai coefficienti parziali, si fattorizzano separatamente le azioni. Si
distinguono i parametri geotecnici di progetto da quelli caratteristici.
La verifica che oggi si fa è la seguente:
𝐸𝑑 ≤ 𝑅𝑑

Nelle verifiche nei confronti degli SLU si considerano cinque stati limiti ultimi che,
mantenendo la denominazione abbreviata degli eurocodici, sono così identificati:
EQU – perdita di equilibrio della struttura, del terreno o dell’insieme terreno-struttura,
considerati come corpi rigidi;
STR – raggiungimento della resistenza degli elementi strutturali, compresi gli elementi di
fondazione;
GEO – raggiungimento della resistenza del terreno interagente con la struttura con sviluppo
di meccanismi di collasso dell’insieme terreno-struttura;
UPL – perdita di equilibrio della struttura o del terreno, dovuta alla sottospinta dell’acqua
(galleggiamento);
HYD – erosione e sifonamento del terreno dovuta a gradienti idraulici

Gli stati limite STR e GEO sono gli unici che prevedono il raggiungimento della resistenza
delle strutture o del terreno, rispettivamente.
Nelle verifiche nei confronti degli stati limite ultimi strutturali (STR) e geotecnici (GEO) si
possono adottare, in alternativa, due diversi approcci progettuali.
Nell’Approccio 1 si impiegano due diverse combinazioni di gruppi di coefficienti parziali,
rispettivamente definiti per le azioni (A), per la resistenza dei materiali (M) e, eventualmente,
per la resistenza globale del sistema (R).
Nella Combinazione 1 dell’Approccio 1, per le azioni si impiegano i coefficienti 𝛾𝐹 riportati
nella colonna A1 delle tabelle della Normativa.
Nella Combinazione 2 dell’Approccio 1, si impiegano invece i coefficienti 𝛾𝐹 riportati enlla
colonna A2.
Nell’Approccio 2 si impiega un’unica combinazione dei gruppi di coefficienti parziali definiti
per le azioni (A), per la resistenza dei materiali (M) e, eventualmente, per la resistenza globale
(R). In tale approccio, per le azioni si impiegano i coefficienti 𝛾𝐹 riportati nella colonna A1.
I coefficienti parziali 𝛾𝑀 per i parametri geotecnici e i coefficienti 𝛾𝑅 che operano
direttamente sulla resistenza globale di opere e sistemi geotecnici sono definiti nel capitolo 6
delle NTC e della Circolare del 2009.

Con riferimento agli stati limite GEO, si possono menzionare, a mero titolo di esempio, gli
stati limite che riguardano il raggiungimento del carico limite nei terreni di fondazione e lo
scorrimento sul piano di posa di fondazioni superficiali e muri di sostegno, la rotazione
intorno a un punto di una paratia a sbalzo o con un livello di vincolo, ecc.
In questi casi, si esegue, di fatto, una verifica del sistema geotecnico nei confronti di un
meccanismo di collasso che, in alcuni casi, può implicare anche la plasticizzazione degli
elementi strutturali.

Al contrario, nelle verifiche rispetto agli stati limite STR, ci si riferisce in genere al
raggiungimento della crisi di una delle sezioni della struttura, senza pervenire
necessariamente alla determinazione di un meccanismo di collasso, o alla valutazione di
una distanza da esso.

Nelle verifiche di sicurezza rispetto agli SLU, può essere utilizzato l’Approccio 1 o
l’Approccio 2. Nell’ambito dell’Approccio 1, la combinazione 1 è generalmente
dimensionante per le verifiche di sicurezza rispetto agli stati limite di tipo strutturale STR,
mentre la combinazione 2 risulta in genere dimensionante per le verifiche di sicurezza rispetto
agli stati limite di tipo geotecnico, GEO.
L’approccio 1, combinazione 1 (STR) ha la seguente espressione:
𝐴1 + 𝑀1 + 𝑅1

Ci si limita ad amplificare tutte le azioni e non si riducono parametri e resistenze.

L’approccio 1, combinazione 2 (GEO) ha la seguente espressione:


𝐴2 + 𝑀2 + 𝑅2
Si amplificano, di meno, le sole azioni variabili e si riducono sia i parametri del terreno sia le
resistenze caratteristiche.

L’Approccio 2 è una mediazione tra i precedenti ed è molto simile alla combinazione 2


dell’Approccio 1.
𝐴1 + 𝑀1 + 𝑅3
Si amplificano tutte le azioni e non si riducono i parametri del terreno ma le resistenze
caratteristiche.

Le azioni del terreno e dell’acqua sono comprese tra quelle strutturali. Le azioni A1 derivano
dagli stessi calcoli già fatti per le verifiche SLU della struttura, le A2 richiedono calcoli “ad
hoc” per le verifiche geotecniche.
A1 è più cautelativo rispetto ad A2 perché:
- Amplifica anche le azioni permanenti
- Amplifica maggiormente le azioni variabili.

Nota: in condizioni sismiche, i coefficienti 𝛾𝐹 sulle azioni sono tutti unitari.

I valori caratteristici delle grandezze fisiche e meccaniche da attribuire ai terreni devono


essere ottenuti mediante specifiche prove di laboratorio su campioni indisturbati di terreno e
attraverso l’interpretazione dei risultati di prove e misure in sito poiché non c’è
un’interpretazione statistica in merito.
Per valore caratteristico di un parametro geotecnico deve intendersi una stima ragionata e
cautelativa del valore del parametro nello stato limite considerato.
I coefficienti 𝛾𝑀 sono destinati a ridurre i valori caratteristici dei parametri di resistenza al
taglio del terreno (ma non il peso dell’unità di volume). In effetti solo M2 li riduce, M1 li
lascia inalterati.
I valori indicati valgono per tutte le opere con l’eccezione dei pali e degli ancoraggi, per i
quali sono tutti unitari.

La resistenza di progetto 𝑅𝑑 si può determinare:


1. Con metodi razionali, dividendo i parametri caratteristici per 𝛾𝑀 ed eventualmente la
resistenza così calcolata per 𝛾𝑅
2. In modo analitico ma facendo riferimento a correlazioni con prove in sito e dividendo
la resistenza così calcolata per 𝛾𝑅
3. In base a misure dirette su prototipi (es. prove di carico) e dividendo la resistenza per
𝛾𝑅 .

La resistenza caratteristica 𝑅𝑒 determinata per via empirica, cioè tramite correlazioni con
prove in sito o misure dirette, va preventivamente ridotta in base a coefficienti d’indagine ξ
decrescenti con il numero n di determinazioni eseguite.
(𝑅𝑒 )𝑚𝑒𝑑 (𝑅𝑒 )𝑚𝑖𝑛
𝑅𝑘 = 𝑚𝑖𝑛 { ; }
𝜉𝑖 (𝑛) 𝜉𝑗 (𝑛)

In condizioni sismiche il capitolo di riferimento è il cap. 7 sia delle NTC che della Circolare.
Le onde sismiche si propagano dal bedrock in superficie e possono amplificare lo scuotimento
sismico del terreno che interagisce con l’edificio. Questo problema, in genere, si semplifica
considerando dapprima un’interazione cinematica trascurando l’edificio sovrastante la
fondazione (in genere per fondazioni su pali); poi si può trascurare l’effetto della fondazione e
si considera l’interazione inerziale.
Di seguito una slide di sintesi sugli stati limite di riferimento in condizioni Statiche [S] e
Sismiche [E].
In maniera del tutto sintetica si riporta un esempio di verifica allo SLU di una fondazione
superficiale, in particolare un plinto a base quadrata.
Lezione EG 30/11/17
Esercitazione 6

PARTE A

In Figura 1 è illustrata la geometria di una fondazione nastriforme poggiante su


terreno sabbioso (𝛾𝑡 =18 kN/m³, ϕ’k=36°, c’k=0) soggetta a carico verticale
eccentrico. Si esegua la verifica allo SLU per carico limite seguendo l’approccio
progettuale 1 ai sensi della norma NTC 2008 (DA1 per Eurocodice)

Il carico agente sul piano di posa è dato dalle seguenti componenti (riferite al
baricentro):

Nd =528 kN/m, Md = 147 kN m/m


quando si applicano i coefficienti A1 per le azioni e si assume il coefficiente 𝛾∅ =1 sui
materiali (combinazione 1: A1+M1+R1)

Nd =431 kN/m, Md = 120 kN m/m


quando si applicano i coefficienti A2 per le azioni (combinazione 2: A2+M2+R2)

Fig. 1

Ci da le caratteristiche, il peso 𝛾𝑡 del terreno pari a 18 kN/m³. È un terreno sabbioso,


quindi è caratterizzato in termini di parametri ϕ e c. Vediamo che nel caso di verifica
senza la Norma, questi ϕ e c sono definiti come parametri caratteristici (𝜙′𝑘 e 𝑐′𝑘 ) e
in particolare, essendo un terreno sabbioso 𝜙′𝑘 è pari a 36° (angolo d’attrito) e 𝑐′𝑘 è
stato posto pari a 0, assumendo comportamento da terreno granulare incoerente a
grana grossa.

Questa fondazione è soggetta ad un carico eccentrico, poiché, riportata nel baricentro,


la sollecitazione è costituita da uno sforzo normale e da un momento flettente.

L’esercizio ci chiede di fare una verifica allo SLU per carico limite, seguendo
l’approccio progettuale 1 della Norma corrisponde all’Approccio B design Approccio
1 dell’Eurocodice. Il carico agente sul piano di posa nell’Approccio 1, definisce due
diverse combinazioni che devono essere contemporaneamente verificate
(Combinazione 1 e Combinazione 2) una di natura prevalentemente strutturale, in cui
le azioni sono amplificate e i parametri di resistenza del terreno non sono modificati e
l’altra di natura geotecnica in cui invece non amplifichiamo i carichi (abbiamo 1,
come coefficiente di amplificazione) e coefficienti che ci dicono di quanto dobbiamo
ridurre le caratteristiche di carico del terreno per tener conto dei parametri di
sicurezza sul materiale.

Quindi, nelle due combinazioni dell’Approccio 1, in un caso i carichi sono


amplificati (𝑁𝑑 = 528 kN/m, per metro perché si tratta di una fondazione lastriforme
quindi la verifica la facciamo per m di profondità, e 𝑀𝑑 = 147 kNm/m) per i
coefficienti di amplificazione, sono già i risultati dell’analisi strutturale con i
coefficienti (che stanno nella tabella A1). L’altra combinazione, quella geotecnica, ha
carichi che non sono amplificati (sono più bassi, 𝑁𝑑 = 421 kN/m e 𝑀𝑑 = 120 kNm/m)
in cui però dobbiamo applicare dei coefficienti riportati per la Combinazione 2, cioè
dobbiamo ridurre in questo caso i parametri geotecnici, in questo caso l’angolo
d’attrito, per un fattore che è pari a 1,25 (come vediamo in tabella, dove la tangente
dell’angolo di attrito è ridotta di 1,25) infine dovremo considerare nella verifica un
fattore 𝛾𝑅 che dipende dal modello di calcolo, fornito dalle tabelle della normativa, a
carico limite, vale 1 per la Combinazione 1 ed 1.80 per la Combinazione 2,
nell’Approccio 1.

Nell’esercizio, abbiamo una trave lastriforme, quindi in questo caso la formula da


recuperare è quella tradizionale, vista nella precedente lezione, sul carico limite,
senza alcuna correzione in quanto stiamo lavorando sulla striscia, quindi il carico
limite è pari a:
𝐵
𝑞𝑙𝑖𝑚 = 𝑁𝑞 ∙ 𝑞 + 𝑁𝑐 ∙ 𝑐 + 𝑁𝛾 ∙ 𝛾 ∙ ;
2
dove B è la dimensione trasversale della trave e c è pari a 0. Non ci resta che
calcolare 𝑁𝑞 ed 𝑁𝛾 .

COMBINAZIONE 1

Calcoliamo dapprima 𝑁𝑞:

𝜋 𝜑′
𝑁𝑞 = 𝑒 𝜋∙𝑡𝑎𝑛𝜑′ ∙ 𝑡𝑎𝑛2 ( ∙ ) = 37,75;
4 2
e poi 𝑁𝛾 :

𝑁𝛾 = 2 ∙ (𝑁𝑞 + 1) ∙ 𝑡𝑎𝑛𝜑 ′ = 56,31.

Per ricavare 𝑞𝑙𝑖𝑚 abbiamo bisogno ancora di q e di B (B non è propriamente B


assegnato, ma sarà pari a 𝐵′ in quanto siamo in presenza di un’eccentricità data dallo
sforzo normale 𝑁𝑑 ed il momento flettente 𝑀𝑑 ); quindi:

𝑞 = 𝐷 ∙ 𝛾𝑡 = 21,6;

𝐵′ = 𝐵 − 2𝑒 = 1,24 [𝑚];
𝑀𝑑
dove: 𝐷 = 1,2 [𝑚]; 𝐵 = 1,8 [𝑚]; 𝑒 = = 0,28 [𝑚];
𝑁𝑑

Adesso abbiamo tutto. Pertanto:


𝐵′ 𝑘𝑁
𝑞𝑙𝑖𝑚 = 𝑁𝑞 ∙ 𝑞 + 𝑁𝛾 ∙ 𝛾 ∙ = 1445,5 [ 2 ] ;
2 𝑚
Lo sforzo, o meglio il carico 𝑄𝑙𝑖𝑚 , inteso come risultante è pari a:
𝑘𝑁
𝑄𝑙𝑖𝑚 = 𝑞𝑙𝑖𝑚 ∙ 𝐵′ = 1797 [ ] ;
𝑚
Lo sforzo normale resistente (𝑁𝑙𝑖𝑚 = 𝑁𝑅𝑑 ) è pari a:

𝑄𝑙𝑖𝑚⁄ 𝑘𝑁
𝑁𝑙𝑖𝑚 = 𝛾𝑅 = 1797 [ ];
𝑚
Dove 𝛾𝑅 = 1. In questa situazione la verifica della combinazione 1 è certamente
soddisfatta, poiché 𝑁𝑑 = 528 < 1797 = 𝑁𝑙𝑖𝑚 .

COMBINAZIONE 2

Adesso passiamo alla verifica della combinazione 2. Cambiano i dati di 𝑀𝑑 ed 𝑁𝑑 ed


i coefficienti. 𝑁𝑑 =431 kN/m ed 𝑀𝑑 =120 kNm/m. L’angolo d’attrito 𝜑𝑑′ = 30.2° (sarà
minore di 36° poiché in questo caso dovrò fare {arctg[(tg36)]/1.25]}, dove 1,25 è un
fattore di riduzione, che “penalizza” il terreno, assegnato dalla normativa per questo
tipo di combinazione).

Il peso proprio non cambia, quindi i valori di q, D, B, 𝐵′ ed e non variano.


𝑁𝑞 ed 𝑁𝛾 , essendo 𝜙′ diminuito, diminuiscono di conseguenza e saranno pari a 18,75
e 22,96 per la combinazione 2. Andiamo quindi a calcolare 𝑞𝑙𝑖𝑚 che per la
combinazione 2 sarà pari a 662 kN/m². Adesso per calcolare 𝑄𝑙𝑖𝑚 dobbiamo
moltiplicare 𝑞𝑙𝑖𝑚 per 𝐵′ e otterremo un valore pari a 822,9 kN/m.
Infine calcoliamo 𝑁𝑙𝑖𝑚 per controllare se la verifica è soddisfatta. Per calcolarlo
dobbiamo dividere 𝑄𝑙𝑖𝑚 per 𝛾𝑅 che nel caso della combinazione 2 è pari ad 1,8.
Quindi 𝑁𝑙𝑖𝑚 è pari a 457 kN/m ed anche in questo caso la verifica risulta soddisfatta
poiché 𝑁𝑙𝑖𝑚 = 457 > 431 = 𝑁𝑑 .

Questo ci conferma che di solito la Combinazione 2, dell’Approccio 1 è quella


“dimensionante”.

PARTE B

Il plinto rettangolare di dimensioni a = 2m e b = 3m, poggiante su una sabbia fine


limosa (𝛾𝑡 = 19 kN/m³, ∅′𝑘 =32°, 𝑐′𝑘 =0) va verificato a carico limite con l’approccio
di progetto 2 ai sensi della norma NTC 2008 (DA2 per Eurocodice) A1+M1+R3, per
un carico di progetto definito dalle seguenti azioni al baricentro (Figura 2):

𝑁𝑑 =820 kN, 𝑀𝑥,𝑑 = 123 kN m, 𝑀𝑦,𝑑 = 574 kN m, 𝐻𝑦, = 66 kN

valutate con i coefficienti parziali A1.

Nella verifica si consideri, ai lati della fondazione, un sovraccarico stabilizzante


q = 10 kPa.

Fig. 2

In questo caso abbiamo un solo approccio (non a caso è detto anche “approccio
secco”).
Abbiamo ϕ’=32° e 𝛾=19 kN/m³. Siccome l’Approccio 2 prevede M1 non andiamo a
ridurre l’angolo d’attrito che resta 32°.

Qui abbiamo due sollecitazioni diverse (in due direzioni diverse) perché abbiamo due
momenti flettenti (uno lungo x ed uno lungo y) e poi abbiamo anche un taglio H,
questo vuol dire che siamo in un caso un po’ particolare, in cui abbiamo sia
un’eccentricità lungo x sia un’eccentricità lungo y.

Dobbiamo ridurre quindi entrambe le dimensioni, sia a portandola a 𝐿′ sia b


portandola ad 𝐵′ e dobbiamo anche considerare la presenza di una forza orizzontale
che fa si che il carico abbia anche una risultante inclinata e quindi a carico limite
dobbiamo considerare dei coefficienti di inclinazione del carico, inoltre il plinto ha
forma rettangolare, quindi la formula che nasce per una striscia lastriforme dev’essere
fattorizzata per dei coefficienti di forma, quindi dobbiamo fare 3 cose:

• Modificare le dimensioni di a e b;
• Moltiplicare per i coefficienti di forma;
• Calcolarci i coefficienti d’inclinazione del carico.

In questo caso le eccentricità saranno due e sono pari a:


𝑀𝑥𝑑 𝑀𝑦𝑑
𝑒𝑦 = = 0,15 ed 𝑒𝑥 = = 0,70.
𝑁𝑑 𝑁𝑑

Pertanto L’ = (a-2𝑒𝑦 ) = 1,70 [m] e B’ = (b-2𝑒𝑥 ) = 1,60 [m]

N.B. in figura li chiama solo L e B perché li ha già modificati.

Passiamo a calcolare i coefficienti di correzione per la forma che chiameremo 𝜁𝛾 e 𝜁𝑞 .

Infine calcoliamo i coefficienti di inclinazione 𝜉𝑞 ed 𝜉𝛾 .

Per quanto riguarda i coefficienti di forma dobbiamo modificare la formula dalla


striscia definita da una forma rettangolare in quanto 𝐵′ ≠ 𝐿′:

𝐵′
𝜁𝑞 = 1 + ∙ 𝑡𝑔𝜑 ′ = 1,59;
𝐿′
𝐵′
𝜁𝛾 = 1 − 0,4 ∙ ′ = 0,62;
𝐿
𝐵′
2+
𝑚𝐵 = 𝐿′ = 1,52;
𝐵′
1+
𝐿′
𝜉𝑞 = 0,88;

𝜉𝛾 = 0,81;

A questo punto possiamo ricavare il carico limite che comprenderà i coefficienti


correttivi:
𝐵′ 𝑘𝑁
𝑞𝑙𝑖𝑚 = 𝜁𝑞 ∙ 𝜉𝑞 ∙ 𝑁𝑞 ∙ 𝑞 + 𝜁𝛾 ∙ 𝜉𝛾 ∙ 𝑁𝛾 ∙ 𝛾 ∙ = 556 [ ]
2 𝑚²
Per calcolarci il carico limite 𝑄𝑙𝑖𝑚 dobbiamo moltiplicare 𝑞𝑙𝑖𝑚 per 𝐿′ e per 𝐵′:

𝑄𝑙𝑖𝑚 = 𝑞𝑙𝑖𝑚 ∙ 𝐵′ ∙ 𝐿′ = 1512,3 [𝑘𝑁];

L’Approccio 2 ci da un fattore 𝛾𝑅 = 2,3 quindi 𝑁𝑙𝑖𝑚 sarà pari a:


𝑄𝑙𝑖𝑚
𝑁𝑙𝑖𝑚 = = 658[𝑘𝑁];
𝛾𝑅

La verifica NON risulta soddisfatta poiché 𝑁𝑙𝑖𝑚 = 658 < 820 = 𝑁𝑑 . Affinché la
verifica risulti soddisfatta aumentiamo le dimensioni del plinto (ad esempio
aumentiamo il valore di a da 2m a 2,5m).

PARTE C

Con l’approccio progettuale 1 si esegua la verifica a carico limite, a breve e a lungo


termine, di un plinto quadrato, di lato a = 2 m, soggetto a un’azione verticale
eccentrica e fondato a 0.75 m di profondità su un limo argilloso caratterizzato dai
seguenti parametri:

𝛾𝑡 = 20 kN/m³, 𝑐𝑢𝑘 =30 kPa, 𝜙′𝑘 =26°, 𝑐′𝑘 =0

I calcoli siano svolti con la sola combinazione 2 (A2+M2+R2), essendo questa la più
severa.

Per la verifica a lungo termine si prendano in esame tre condizioni:


1) che la falda non interferisca con la potenziale superficie di rottura;
2) che possa risalire fino a raggiungere il piano di posa;
3) che possa risalire fino a raggiungere il piano di campagna.

L’azione di calcolo, valutata con i coefficienti parziali delle azioni A2 ha le seguenti


componenti (riferite al baricentro): 𝑁𝑑 =200 kN, 𝑀𝑑 = 60 kN m
In questo caso ci chiede una verifica su un sottosuolo argilloso, infatti ci chiede una
verifica a breve termine e a lungo termine, di un plinto quadrato di lato a = 2 m
soggetto ad un’azione verticale eccentrica e fondato a 0,75 m di profondità.

Ci chiede di verificare la Combinazione 2 che è la più severa delle due, quindi se sarà
verificata la Combinazione 2 sarà certamente verificata anche la Combinazione 1.

Quindi siamo nel caso di APPROCCIO 1, COMBINAZIONE 2.

Ci chiede per la verifica a lungo termine di assicurarci che la falda si trovi molto al di
sotto del piano di posa, quindi non interferisce col meccanismo di carico limite
oppure che la falda si trovi al piano di posa ed infine che la falda si trovi al piano di
campagna.

Le due ultime sono molto simili. Cominciamo dalla parte a breve termine.

𝑀𝑑 ed 𝑁𝑑 sono 60 e 200, siccome 𝑁𝑞 ed 𝑁𝛾 sono calcolate per ϕ, 𝑁𝑞 è pari ad 1 ed 𝑁𝛾


è pari a 0, lo sappiamo quindi non ci serve, però ci serve 𝑁𝑐 che viene 5,14 per la
striscia indefinita 2 + π; q è pari a 𝛾 ∙ 𝐷 (con 𝛾 = 20 e D = 0,75) che fa 15.

C’è un’eccentricità, B è pari a 2, eB è pari M/N quindi 0,3, e B’ è pari a 2 - 2eB


quindi 2 - 0,60 = 1,4. Nella Combinazione 2 però, dobbiamo ricordarci che la
coesione non drenata è quella caratteristica, mentre invece a noi serve quella di
progetto e quella di progetto nella Combinazione 2 è divisa per 1,4.

Nella Combinazione 2 la coesione 𝑐𝑢𝑘 viene divisa per 1.4, quindi dobbiamo dividere
30 per 1.4 per avere il valore di progetto che sarà pari a 𝑐𝑢𝑑 = 21.4. 𝜁𝑞 è pari a 1
perché il plinto è quadrato, 𝜁𝑐 invece, andiamo in tabella, per plinto quadrato è pari a
𝑁
1 + 𝑞⁄𝑁 e risulta 1,19 .
𝑐

Il carico limite 𝑞𝑙𝑖𝑚 sarà pari a 146,6 kN/m² mentre 𝑄𝑙𝑖𝑚 sarà dato da 𝑞𝑙𝑖𝑚 ∙ 2𝐵′ ,
dove 2𝐵′ è l’area del plinto, e sarà pari a 287,3 kN.
𝑄𝑙𝑖𝑚
Infine calcoliamo 𝑁𝑙𝑖𝑚 come dove 𝛾𝑅 è pari a 1,8 e quindi 𝑁𝑙𝑖𝑚 sarà pari a 160
𝛾𝑅
kN. Anche il questo caso la verifica non è soddisfatta, poiché 𝑁𝑙𝑖𝑚 < 𝑁𝑑 , allora
affinché risulti verificata aumentiamo le dimensioni del plinto da 2 m a 2,5 m.

Per quanto riguarda la parte a lungo termine, cominciamo col calcolare 𝜁𝑞 e 𝜁𝛾 ,


𝐵
rispettivamente pari a 1,49 e 0,6; il primo viene dalla formula 1 + 𝑡𝑔(∅) ∙ dove
𝐿
𝐵
B/L è pari a 1; il secondo è invece pari ad 1 − 0,4 , con B/L è pari a 1 quindi 𝜁𝛾 è
𝐿
pari a 0,6;

q è sempre pari a 𝐷 ∙ 𝛾. Mettiamoci innanzitutto nella condizione in cui la falda si


trova ben al di sotto del meccanismo di rottura, quindi le tensioni totali e le tensioni
efficaci coincidono.

Calcoliamo quindi 𝑞𝑙𝑖𝑚 , che dalla formula è pari 226 mentre 𝑄𝑙𝑖𝑚 = 815,9 (carico
limite unitario) è pari 𝑞𝑙𝑖𝑚 ∙ 2𝐵′ (dove 𝐵′ in questo caso è pari a 1,9), infine ricavo
𝑄
𝑁𝑙𝑖𝑚 = 𝑙𝑖𝑚⁄𝛾𝑅 , con 𝛾𝑅 pari a 1,8 e pertanto pari a 453,26 che è ben maggiore di
200, confermando che siamo a lungo termine con un grado di sicurezza molto
maggiore rispetto al breve termine (siamo nel caso in cui la falda non interferisca con
la potenziale superficie di rottura).

Poi potrebbe salire fino al piano di posa oppure possa raggiungere il piano di
campagna. Nel caso in cui la falda risalga al piano di posa, q è sempre lo stesso
perché sopra al piano di posa il terreno pesa sempre 𝛾 = 20kN/m³, le tensioni totali e
quelle efficaci coincidono, 𝑁𝑞 ed 𝜁𝑞 non sono cambiati; al di sotto del piano di posa il
peso proprio non è 𝛾 ma è 𝛾′, pari a 𝛾 − 9,81 , che moltiplicato per 𝐵′⁄2 ci darà un
carico limite 𝑞𝑙𝑖𝑚 minore pari a 189,9 e di conseguenza anche 𝑄𝑙𝑖𝑚 sarà più piccolo,
pari a 685,2 ottenendo così un 𝑁𝑙𝑖𝑚 = 381 > 200 = 𝑁𝑑 .

Nell’ultimo caso anche q è cambiato e diventa 𝑞 = 𝛾′ ∙ 𝐷, con 𝛾 ′ = 𝛾 − 9,81 .

Il carico limite 𝑞𝑙𝑖𝑚 è diminuito perché abbiamo portato la falda dal piano di posa al
piano di campagna quindi si è alleggerita la tensione efficace al piano di posa, perché
è sceso il carico limite, così facendo è scesa anche la risultante.

Qui in realtà il carico limite non va confrontato con 𝑁𝑑 ma con 𝑁𝑑 meno l’azione
favorevole dell’acqua che a questo punto è pari a 𝑈 = 𝐷 ∙ 9,81 , e quindi
𝑁𝑑 − 𝑈 = 193.

Essendo:

𝑁𝑙𝑖𝑚 = 231 > 193 , anche la verifica dell’ultimo caso risulta soddisfatta.
Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

Lezione del 04/12/2017


Introduzione
Nel parlare di carico limite di deformazione superficiale abbiamo accennato al fatto che ci
sono due tipologie di fondazione:
- Fondazione Superficiale (o diretta): la quale scarica le azioni sugli strati più
superficiali del terreno, ad una piccola profondità dal piano di campagna (ma
comunque in superfice);
- Fondazione Profonda (o indiretta): la quale risulta necessaria quando la verifica a
carico limite di deformazione superficiale non è soddisfatta, ovvero quando è
soddisfatta ma siamo in presenza di cedimenti molto importanti che vogliamo limitare.
Si necessità di una fondazione profonda, su pali, nel caso in cui lo strato di terreno
sottostante all’edificio non presenta sufficienti caratteristiche meccaniche, sia in
termini di resistenza che in termini di rigidezza, per poter avere una buona performance
in condizioni di esercizio.

Tipologia dei pali di fondazione


Quando abbiamo la necessità di trasferire i carichi a profondità maggiori si fa riferimento alle
fondazioni di tipo indiretto su Pali.
Classificazione dei pali rispetto alla metodologia di installazione.
Assimilando il comportamento del palo di fondazione a quello di un chiodo che viene battuto
nel legno, possiamo classificare i pali in:
- Pali a grande spostamento, che dislocano il terreno
spostandone grandi quantità (il chiodo battuto nel legno fa sì
che il legno vada a comprimersi lateralmente, spostandosi per
garantire la penetrazione del chiodo); questi pali prendono il
nome di pali battuti o infissi e possono essere generalmente
prefabbricati oppure gettati in opera.
- Pali a piccolo spostamento, che spostano piccole quantità di
terreno (l’esempio può essere quello della vite che si avvita nel
legno e che di conseguenza sposta una piccola parte di legno,
successivamente asportata come truciolo); questi pali
prendono il nome di pali avvitati e possono essere a vite oppure
ad elica continua.
- Pali a sostituzione, che rimuovono il terreno per garantire
l’inserimento del palo (l’esempio può essere la punta del
trapano, la quale penetrando nel legno genera una notevole
quantità di truciolo che viene successivamente asportato);
questi pali prendono il nome di pali trivellati e possono essere
prefabbricati oppure gettati in opera.
1
Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

In relazione al diametro, i pali possono essere classificati in:


- Pali di piccolo diametro (micropali), con un diametro d ≤ 250mm;
- Pali di medio diametro, con un diametro compreso tra 300mm ≤ d ≤ 600mm;
- Pali di grande diametro, con un diametro d ≥ 800mm.

Carico limite verticale di collasso di fondazioni profonde


Esemplifichiamo le ipotesi fondamentali per il calcolo del carico limite sul singolo palo.
Le 4 ipotesi, che ci consentono di calcolare la componente assiale Qlim del carico limite
(quindi quella verticale poiché il palo è verticale), sono:
1) Ipotesi sulla geometria del palo, il quale deve essere di forma cilindrica, rigido e privo
di peso (figura 1);
2) Ipotesi sul terreno, il quale si comporta come un terreno pesante e rigido-plastico alla
Mohr-Coulomb (figura 2);

3) Esistenza di due meccanismi di collasso indipendenti (figura 3):


- Resistenza alla punta p (come per fondazioni superficiali): se vediamo in figura
3, la punta del palo genera un meccanismo di rottura, sotto la punta stessa, la
cui risultante è la resistenza assiale alla punta P, che si mobilità con una curva
di tipo carico-spostamento (vedi curva rossa in figura 4);
- Resistenza laterale s (scorrimento palo-terreno): questo meccanismo di rottura
avviene lungo le pareti, dove per effetto dell’attrito, si mobilitano delle tensioni
tangenziali, distribuite lungo il fusto laterale del palo.
Questa rappresenta la resistenza laterale dovuta allo scorrimento tra il palo e il
terreno che quindi si mobilitano con una curva differente. La curva azzurra
(figura 4) è la curva di mobilitazione della resistenza laterale.
2
Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

I due meccanismi essendo indipendenti tra di loro, quindi comportano due curve
separate. La risultante di questi due meccanismi è una mobilitazione della
resistenza complessiva Q assiale, di resistenza alla punta e resistenza laterale
(curva magenta in figura 4).
4) Mobilitazione contemporanea di resistenza alla punta e laterale: l’ultima ipotesi che
consideriamo, è che le due resistenze si mobilitano contemporaneamente, in
particolare che i massimi siano mobilitati contemporaneamente.
Questa ipotesi si fa nel calcolo del carico limite, ma non è vera nella realtà, in quanto
si mobilita prima la resistenza laterale, in quanto bastano piccoli spostamenti per
mobilitare completamente l’attrito laterale lungo il fusto, mentre per mobilitare
completamente la resistenza alla punta, sono necessari spostamenti più elevati. Quindi,
in realtà, a parità di spostamento della testa del palo, l’aliquota di resistenza alla punta
che è mobilitata è molto più piccola dell’aliquota di resistenza laterale che è mobilitata;
noi trascuriamo questo aspetto in quanto calcoliamo separatamente le due resistenze e
successivamente le sommiamo.

Formula statica del carico di collasso: Resistenza alla punta


Per calcolare il carico limite del palo abbiamo tre metodologie:
- una costituita dalle formule statiche;
- una costituita dalle correlazioni empiriche con le prove in sito, in particolare con prove
penetrometriche, CPT e SPT;
- una costituita dalla misura diretta del carico limite attraverso una prova sul singolo
palo.
Per quel che riguarda le formule statiche, si riferiscono a questa equazione:

in cui la resistenza alla punta è calcolata come integrale sulla punta di p, dove Ap è l’area
della punta e p è la resistenza unitaria, quindi il prodotto di p·Ap ci darà la risultante P; invece
la resistenza laterale è data dall’integrale di s (τ), che sono le tensioni tangenziali
all’interfaccia palo terreno integrate lungo il fusto tra 0 e L, dove L è la lunghezza del palo e
As è l’area laterale.
In virtù dell’ipotesi di palo cilindrico di diametro d, possiamo scrivere questa formula anche
nel seguente modo:

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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

dove s è la tensione tangenziale, d è il diametro, integrato su dz poiché la s varia lungo il fusto


del palo e quindi non è costante.
Nel caso in cui il palo sia a sezione variabile, la formula non cambia in quanto basterà
semplicemente sostituire il diametro d costante, con il diametro d che varia in funzione di z.
(in questo caso la risoluzione dell’integrale è un po’ più complicato, ma noi gli integrali li
risolviamo sempre come sommatoria e quindi non ci creiamo nessun problema).
A questo punto, il problema si sposta nel determinare due grandezze, p e s (variabile con il
fusto):
Per quel che riguarda la resistenza unitaria alla punta p, questa assume un’espressione
familiare, in quanto, come abbiamo visto, il meccanismo di rottura è simile a quello che si
produce sotto una fondazione superficiale, quindi anche qui ci aspettiamo una formula
analoga.
In realtà, a differenza delle fondazioni superficiali, per le quali abbiamo utilizzato una
relazione trinomia funzione di tre coefficienti (Nc, Nq, Nγ), in questo caso utilizziamo una
formula binomia, in quanto vi è solo Nq e Nc, e manca Nγ:

Per le fondazioni superficiali, il termine Nγ moltiplica il termine B/2 riferito alla dimensione
della base della fondazione diretta, invece il termine Nq moltiplica q, ovvero la tensione che
agisce alla profondità del piano di posa della fondazione diretta, oppure alla profondità della
punta del palo nel caso di fondazione indiretta su pali.
Per le fondazioni profonde, alla profondità della punta del palo la tensione efficace è pari a
γ·L, quindi è proporzionale alla lunghezza del palo L attraverso il peso di unità di volume γ.
Invece il termine che manca, che sarebbe γ·d/2, risulta essere proporzionale a d/2, ovvero
proporzionale ad una grandezza che è molto più piccola rispetto alla lunghezza del palo L,
mentre i coefficienti Nq e Nγ sono infatti confrontabili, quindi in effetti il termine Nγ·γ·d/2
viene trascurato rispetto a Nq·γ·L. Questo è il motivo per cui i termini sono soltanto 2.

Come per le fondazioni superficiali,


anche i coefficienti Nq e Nc sono
funzione dell’angolo di attrito φ. In
realtà nel caso del palo si aggiunge un
altro aspetto, ovvero il fatto che oltre
una certa profondità la resistenza alla
punta non cresce più.
Infatti, se questi coefficienti fossero proporzionali soltanto all’angolo di attrito, assumendo
per semplicità c costante pari a zero, la funzione crescerebbe linearmente al crescere della
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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

lunghezza del palo; nella realtà invece, se facciamo un palo 10 volte più lungo di un altro
palo, non è vero che la resistenza alla punta del palo più lungo sia 10 volte maggiore del palo
corto. Questo perché man mano che incrementiamo la profondità del palo, la dipendenza dalla
profondità della punta, non è più una dipendenza lineare; questo significa che la formula così
com’è non va bene se non introduciamo una dipendenza dei coefficienti Nq e Nc anche dalla
lunghezza del palo, quindi queste due curve
rappresentano l’aumentare dell’angolo di attrito
φ, quindi il comportamento con un φ più piccolo
e con un φ più grande e la dipendenza della
resistenza alla punta all’aumentare di φ.
All’aumentare di z invece i vari punti
rappresentano il valore della resistenza alla punta
per diversi valori della profondità della punta del
palo e quindi una dipendenza non lineare. In
definitiva, dobbiamo presumere che
nell’applicare quella formula, Nq debba
dipendere anche dalla lunghezza del palo, o in
alternativa dovremmo esplicitare una formula differente in cui Nq sia moltiplicato per un
fattore che dipende non linearmente dalla lunghezza del palo.
Per questo problema si sono espressi molti
autori (vedi diagramma); dal grafico si può
notare la forte dipendenza della singola
soluzione con l’angolo di attrito φ, ma anche
tra una soluzione e l’altra la presenza di
valori che sono anche 10 volte maggiori,
quindi chiaramente le soluzioni sono molte
e danno una certa incertezza sulla soluzione
del problema.
Nel grafico vengono riportati i risultati di
vari autori i quali hanno ricavato valori del
coefficiente di resistenza alla punta Nq
variabili anche per un ordine di grandezza.

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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

Meccanismo di resistenza alla punta secondo Berezantzev


- “Effetto Silo” secondo Berezantzev et. al (1961)
La teoria che viene maggiormente adottata è quella
di Berezantzev, il quale, come si evince dalla figura,
considera un meccanismo di rottura molto simile a
quello di una fondazione superficiale dove la
tensione verticale σ’vL, rappresenta il sovraccarico
laterale, e sul piano a profondità della punta (z=L),
è minore della tensione litostatica ideale σ’v0 per la
presenza di tensioni tangenziali agenti in direzione
verticale sul cilindro di terreno di sovraccarico del
volume di collasso.
A differenza del caso della fondazione superficiale
osserviamo la distribuzione delle tensioni verticali
σ’v lungo la verticale, che non è lineare.
Cioè Berezantzev assume che a causa di un
meccanismo di “effetto arco”, per effetto dello
spostamento verticale della punta del palo rigido, un intero volume di terreno cilindrico
coassiale con il palo subisca uno spostamento verticale, come se noi stessimo scavando al di
sotto della punta del palo, consentendo un abbassamento di questo volume di terreno.
Ipotizziamo che questo volume di terreno sia confinato in un serbatoio cilindrico, succede che
ad un certo punto, per effetto dello scorrimento verticale, si generano delle tensioni
tangenziali sulle pareti laterali, non del palo ma di questo cilindro tratteggiato che vedete
rappresentato in figura, per cui, le tensioni verticali si riducono in quanto l’equilibrio è in
parte sostenuto in direzione verticale e in parte sostenuto in direzione tangenziale a causa
delle tensioni che si generano lateralmente. Questo vuol dire che la tensione verticale che
agisce ad una certa profondità non è più lineare e non vale più γ·L ma vale qualcosa di meno
per effetto dell’introduzione di questa tensione tangenziale.
Rispetto alla tensione verticale litostatica σ’v0 a quella profondità, la tensione verticale, a metà
della punta del palo è diversa, cambia di un certo fattore αT:

dove questo fattore è funzione delle tensioni tangenziali mobilitate, quindi dell’angolo di
attrito e del rapporto fra la lunghezza del palo e il diametro del palo stesso, quindi quello che
si chiama snellezza del palo L/d, che definisce la geometria di questo cilindro interessato dal
problema e quindi dal meccanismo di rottura.
Questo fattore è minore di 1.
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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

La resistenza p, si calcola assumendo:


- la tensione litostatica ideale σ’v0;
- il coefficiente Nq
Consideriamo quindi la seguente formula:

Il valore N'q è pari a quei valori indicati in parentesi, in cui ci sono Nγ e Nq che sono quelli
da carico limite di fondazione superficiale che dipendono soltanto dall’angolo di attrito, però
a loro volta Nγ e αT dipendono da L/D, quindi ecco spiegato meglio perché nella Teoria di
Berezantzev il fattore Nq è funzione dell’angolo di attrito e di snellezza L/D. Quindi posso
anche evitare di trascurare il terzo termine, infatti nella formula compare ancora il terzo
termine che associamo al primo termine avendo messo tutto in relazione alla tensione
verticale litostatica σ’v0 e spostando la dipendenza dall’effetto arco e quello della snellezza
del palo all’interno del coefficiente, che non dipende più soltanto dall’angolo di attrito ma
anche dalla snellezza del palo.
Quindi si può assumere una funzione di Nq pari a:
dove i valori di α e β sono tabellati
in funzione della snellezza L/D.

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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

Da questa funzione ricaviamo un abaco (vedi figura precedente), in una scala semi
logaritmica, dove le curve colorate rappresentano differenti valori di L/D, quindi il palo più
lungo è quello che sta più sotto, che presenta un valore di Nq più basso proprio perché essendo
più lungo attinge ad una tensione verticale litostatica più elevata. La curva blu è quella relativa
al palo più superficiale, relativo a 5 diametri di lunghezza, invece il viola, posto più in basso
è quello di 25 diametri di lunghezza.

Determinazione di p in relazione alle caratteristiche del terreno


Quindi in definitiva, questa è l’espressione della resistenza del carico limite unitario,
applicando le formule statiche per la punta del palo:

Questa formula è relativa ad un generico mezzo monofase pesante alla Mohr – Coulomb
caratterizzato da peso dell’unità di volume γ, coesione c e angolo di attrito φ.
Naturalmente dobbiamo applicare questa formula con riferimento a terreni a grana grossa o
terreni a grana fina.
- Nel caso di terreni a grana grossa, come al solito siamo in condizioni di drenaggio
libero e quindi ragioniamo in tensioni efficaci; utilizzeremo γ’, c’ = 0 e φ’.
- Nel caso di terreni a grana fine, invece ragioniamo in tensioni totali; in questo caso
utilizzeremo γsat, cu e la φu = 0 perché nel mezzo monofase equivalente il criterio di
rottura è quello di Tresca che degenera in una retta orizzontale del piano di Mohr.
Di seguito vengono illustrate le condizioni di riferimento usuali per le verifiche sotto falda:

- La resistenza alla punta per terreni a grana grossa in condizioni drenate sarà:

- La resistenza alla punta per terreni a grana fina in condizioni non drenate sarà:

In questo caso il valore di Nc dipende specificamente dalla geometria che stiamo


considerando; per i pali si considerano valori che variano tra 8 e 12 e generalmente si assume
un valore pari a 9. Chiaramente la cu è valutata alla profondità della punta del palo. Siccome
stiamo ragionando a quella profondità, i parametri che ci interessano, sono quelli relativi a
quella profondità, quindi si fa riferimento ad un volume d’interesse che va da 1 diametro sotto
la punta a 4 diametri sopra la punta e si considerano valori medi in quella profondità.
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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

Scelta del parametro di resistenza alla punta


- Effetto dell’installazione del palo
Tuttavia, le formule che abbiamo visto fino a questo punto non tengono conto dell’influenza
dell’installazione del palo. Infatti dopo aver materializzato il palo nel terreno, abbiamo
supposto che l’angolo di attrito sia lo stesso del terreno indisturbato precedente. In realtà
questo non è vero in quanto mettendo il palo nel terreno, l’installazione ha creato un disturbo.
Per tener conto di questo disturbo, posto ϕ’ come l’angolo di attrito del deposito indisturbato
(pima dell’installazione), Kishida (1967) suggerisce di assumere per il calcolo:
- Nei pali battuti o infissi un valore medio tra ϕ’ e 40°:

questo nell’ipotesi che se il terreno aveva inizialmente un angolo di resistenza al picco


(ragioniamo sulle resistenze di picco perché stiamo mobilitando per la prima volta la
resistenza del terreno) superiore a 40°, vuol dire che il terreno era piuttosto denso e
l’installazione del palo ha comportato un fenomeno di dilatanza (essendo una
sollecitazione a taglio) la quale ha reso il terreno stesso meno denso e quindi ha ridotto
l’angolo di attrito. Quindi questo 40° corregge, riducendo l’angolo di attrito, quando
lo stesso è maggiore di 40°, mentre invece quando è inferiore a 40° lo aumenta. Il
motivo di questa correzione è per tener conto del disturbo su un terreno addensato che
può essere dilatato per effetto di questa installazione.
- Nei pali trivellati la realizzazione del palo comporta un’asportazione di terreno, a
differenza dei pali infissi, i quali comportano uno spostamneto di terreno.
Questa asportazione di terreno comporta un rilascio tensionale dalle pareti del foro che
viene realizzato, quindi ci aspettiamo che ci possa essere una riduzione dell’angolo di
attrito rispetto al valore di picco. In questo caso Kishida suggerisce di ridurre di 3°
l’angolo di attrito:

Quindi le formule vengono corrette rispetto all’uso dell’angolo di attrito, a seconda che
ragioniamo su pali infissi battuti o su pali trivellati.

- Interpretazione di prove penetrometriche


Fino ad ora abbiamo affrontato il discorso riferendoci all’applicazione delle formule statiche
per la valutazione della resistenza alla punta.
A questo punto passiamo alla seconda metodologia, ovvero quella relativa all’applicazione
delle correlazioni empiriche con prove penetrometriche.
- Nel caso di prove CPT, per pali infissi in terreni incoerenti, si può porre la resistenza
alla punta p pari a 𝒒̅c:

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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

dove 𝒒̅c è la resistenza alla punta in prove CPT, mediata fra le profondità L-4d e L+d,
dove d è il diametro.
Qualche lezione fa abbiamo introdotto la prova penetrometrica CPT. Per correlare la
resistenza alla punta all’angolo di attrito abbiamo visto le formule del carico limite di un palo.
Se torniamo a quelle formule si può vedere come queste sono le stesse che abbiamo utilizzato
per correlare la 𝑞̅c, messa al posto di p, a cu ovvero a Nq che è funzione di φ’.
Questo si ha perché il meccanismo di rottura che si mobilità intorno alla punta di un
penetrometro è assimilabile al meccanismo di rottura che si mobilità alla punta di un palo e
quindi per tale motivo viene studiato con la stessa teoria. Come si può vedere, da luogo a
formule che sono analoghe a queste dei pali e quindi si adoperano come base teorica le
correlazioni empiriche destinate alla CPT. Ovviamente i valori di Nq e Nc non sono gli stessi
nel caso del palo e nel caso della CPT: la formula è la stessa ma i valori cambiano poiché il
problema è differente in quanto un conto è il palo che ha un diametro di alcune decine di
centimetro e un conto invece è la punta conica del penetrometro che invece ha un diametro di
circa 3 centimetri, quindi molto più piccolo.
Il motivo per cui nel calcolare il carico di resistenza alla punta del palo torna comodo riferirci
ai valori della CPT è che entrambe, sia la resistenza alla punta penetrometrica che la resistenza
alla punta del palo, fanno riferimento ad un medesimo meccanismo di rottura.
- Nel caso della prova SPT possiamo recuperare quelle correlazioni basate su un numero
di coppie N della prova SPT. In questo caso p è proporzionale al numero delle coppie
NSPT tramite un coefficiente K:

il valore di K è tabellato in
funzione delle tipologie di
terreno e delle tipologie di palo.
Questi valori di K si riferiscono
ad un’espressione di p espressa
in MPa, quindi sono coefficienti
che hanno una dimensione
espressa in MPa e che a seconda
dei diversi autori variano fra
0,10 e 0,45.

Quanto detto fino a questo punto riguarda la valutazione della resistenza alla punta p mediante
le formule statiche o mediante le correlazioni con le penetrometriche. A questo punto
passiamo alla determinazione della resistenza laterale s.

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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

Determinazione della resistenza laterale s


Nel caso della resistenza laterale dobbiamo ragionare sul fatto che il
singolo concio verticale del palo, di altezza dz, è soggetto a tensioni
tangenziali s, che a loro volta sono funzione delle tensioni
orizzontali normali σh, attraverso il coefficiente di attrito.
In realtà, l’espressione generale ci dice che la resistenza laterale s, in funzione di z, mobilitata
allo scorrimento all’interfaccia paolo-terreno, è data dalla seguente relazione:

come si può vedere, dipende da un coefficiente di adesione a che rappresenta l’effetto della
coesione e da un coefficiente d’attrito palo terreno μ che moltiplica la tensione orizzontale,
agente alla profondità z, σh.
- Nei terreni a grana grossa consideriamo le seguenti condizioni:

Come si può vedere, la tensione orizzontale che entra in gioco è quella efficace σ’h che
si ottiene da quella verticale σ’v moltiplicata per un coefficiente di spinta k. Se fosse in
condizioni litostatiche indisturbate questo k varrebbe k0. Siccome invece ci troviamo
in condizioni non litostatiche questo coefficiente va determinato in funzione della
tipologia del palo di fondazione. Osserviamo che quindi, in questo caso, s(z) si
semplifica alla seguente relazione:

quindi la tensione tangenziale diventa proporzionale alla tensione verticale efficace


attraverso un parametro pari a μ·k.
Dicevamo che k è funzione della tipologia del palo di fondazione mentre μ invece è funzione
dell’interfaccia tra palo e terreno quindi dipenderà dall’angolo di attrito dell’interfaccia.
Per quel che riguarda l’angolo di attrito dell’interfaccia differenziamo il caso in cui
consideriamo:
- Palo gettato in opera: in questo caso l’angolo di attrito dell’interfaccia è minore
o uguale all’angolo di attrito poiché il palo gettato in opera ha una superfice di
cls contro terreno molto scabra e quindi, in questo caso, la rottura avverrà nel
terreno.
- Palo prefabbricato: in questo caso se immaginiamo di avere un palo in cls
prefabbricato che viene infisso, essendo la superfice realizzata in stabilimento
è molto liscia e levigata rispetto al palo gettato in opera con cls contro terreno
e quindi l’angolo di attrito all’interfaccia sarà inferiore all’angolo di attrito del
terreno.
Quindi μ in generale è minore o uguale alla tangente dell’angolo di attrito ed è tabellato in
funzione della tipologia di palo.
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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

Il valore di k, invece dipende molto dalla tecnologia e dal tipo di palo. Infatti possiamo
considerare i due differenti casi:
- Palo infisso battuto: in questo caso spostiamo il terreno localmente, stiamo
aumentando lo stato tensionale orizzontale rispetto a quello verticale e quindi
normalmente k è maggiore o uguale di 1 perché tendiamo ad aumentare la
tensione orizzontale.
- Palo trivellato: in questo caso, al contrario, facciamo prima lo scavo e poi
realizziamo il palo, quindi k è di solito minore o uguale a 1 e si pone compreso
tra ka e k0. In realtà, con le tecnologie attuali, nel caso di paolo trivellato, si
disturba molto poco il terreno e quindi possiamo anche assumere direttamente
k = k0.
Il prodotto μ·k è poco sensibile all’angolo di attrito, cioè a cambiare angolo di attrito questo
prodotto non cambia moltissimo, e quindi in realtà è più influenzato dagli aspetti tecnologici.
- Nei terreni a grana fina consideriamo la seguente condizione:

Per quel che riguarda il terreno a grana fina, in questo caso μ = 0, in condizioni non
drenate, in tensioni totali e quindi la formula in questo caso si riduce a:

quindi in questo caso s è pari ad


un’aliquota di adesione, pari a sua volta ad
un’aliquota della coesione non drenata, e
questa aliquota α della coesione non
drenata è funzione essa stessa della
coesione non drenata, quindi mostra la non
linearità della dipendenza dalla coesione
non drenata secondo una legge di
variazione che è semplificata ed è riportata
in figura sia per il palo infisso che per il
palo trivellato. L’adesione è più bassa per un palo trivellato rispetto ad un palo infisso.

Nel caso della resistenza laterale le formule statiche propongono questa procedura di
valutazione della s.

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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

Resistenza laterale s da prove in sito


- Prove CPT
Nelle formule penetrometriche, per un palo infisso, in terreni incoerenti, potremmo assumere
s = fs, ovvero pari alla resistenza laterale misurata dal manicotto durante la penetrazione della
punta. In realtà questo valore è meno affidabile; è più affidabile invece correlare la resistenza
laterale alla stessa resistenza alla punta della CPT, attraverso un coefficiente α che è diverso
rispetto a quello visto in precedenza, tabellato in funzione della stessa qc. In questo caso la
resistenza laterale sarà pari a s = α·qc.
La logica considerata è sempre la stessa, ovvero all’aumentare dell’aderenza relativa stiamo
variando il fattore α penalizzando il risultato, quindi la dipendenza di s da qc non è lineare
poiché α dipende da qc, quindi con riferimento alla seguente tabella si determina s.

- Prove SPT
Per quel che riguarda la prova SPT, la formula da utilizzare è la seguente:

con NSPT funzione dei parametri α e β, anch’essi tabellati (vedi tabella) a seconda della
tipologia dei pali e dei terreni. Come si può vedere sono correlazione empiriche, peraltro
queste correlazioni funzionano meglio per i pali battuti infissi rispetto a quelli trivellati in
quanto l’infissione del palo riproduce perfettamente il meccanismo di infissione della punta
del penetrometro mentre la trivellazione è differente e quindi non riproduce lo stesso
meccanismo e quindi la correlazione è più debole.

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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

Prove di carico
- Prova di carico con zavorra
L’altra possibilità è quella di far riferimento alla prova
di carico. Per quel che riguarda la prova di carico con
zavorra, viene realizzata una zavorra, con dei pesi
messi sopra che devono contrastare la forza che
applichiamo al palo e tramite un martinetto idraulico
applichiamo una forza verticale sulla testa del palo,
simulando l’effetto di un carico trasmesso
dall’edificio e misuriamo il valore.
Applicando una forza, contrastata da questo sistema di
contrasto, produciamo un meccanismo di
mobilitazione di resistenza laterale alla tenuta del palo
che si traduce in una curva carico-cedimento, nella
quale possiamo assumere che il cedimento al carico
limite sia mobilitato in corrispondenza di un
cedimento limite che è pari al 10% del diametro del
palo battuto e al 25% del diametro del palo trivellato.
In realtà vedremo che la normativa, attualmente ci
impone di ruotare il cedimento limite al 10% del
diametro del palo, indipendentemente dal tipo di palo,
battuto o trivellato, limitando in un certo qual modo il
valore del cedimento del palo.
Alla fine quello che facciamo, se possibile, è fare una
prova di carico pilota, quindi si realizza un palo
prototipo nel terreno in cui vogliamo fare la
fondazione, ovvero un palo a perdere che carichiamo
fino a rottura. Va comunque detto che nei pali, ai fini
del collaudo, è normalmente necessario effettuare
delle prove di collaudo, che non determinano la rottura
del palo, sui pali realizzati per la palificata. Infatti
realizzata una palificata, vengono fatte delle prove
analoghe, che interessano solo il primo tratto di quella
curva, per verificare il comportamento del singolo
palo, quindi per verificare a campione se i pali della
palificata sono effettivamente realizzati bene.

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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

Effetto di gruppo
Il carico limite di un gruppo di pali differisce, in generale, per un fattore di efficienza E dal
prodotto del carico limite Qlim del palo singolo per il numero N di pali del gruppo.

In generale vediamo cosa succede ad un gruppo di pali. In linea generale, non è vero che il
carico limite di n pali è pari n volte il carico limite del singolo palo perché passa tutto per un
fattore, detto fattore di efficienza che viene indicato con E.
- Terreni Incoerenti: in questo caso sia per i pali battuti che per i pali trivellati si verifica
in genere E ≥1, ma si assume cautelativamente E=1.
Questo fattore per terreni incoerenti cambia a
seconda che il palo sia battuto o trivellato ed è
funzione dell'interasse dei pali indicato con il
rapporto i/d dove i è l'interasse dei pali mentre d è il
diametro. Se tale rapporto è maggiore di 5-6 allora il
coefficiente di efficienza sarà pari ad 1 (E=1), in
genere per terreni incoerenti il coefficiente di
efficienza è sempre positivo.
Talvolta, tale coefficiente, può anche superare l'unità nel caso in cui si considerino pali
posti ad interassi molto piccoli. Naturalmente, assumiamo l'efficienza pari ad 1, per
terreni incoerenti, sia per pali trivellati che per pali battuti a vantaggio di sicurezza.
- Terreni a grana fine: in questo caso l'efficienza risulta sempre minore dell'unità,
(E<1). Tipicamente si attesta a poco più della metà (0,6-0,7). Può essere calcolata
anche per una palificata di n righe e m colonne di pali con una spaziatura regolare di
m x n pali attraverso la formula empirica di Converse-Labarre:

questa formula ci fornisce l'efficienza (E) in funzione del rapporto i/d e del numero di
righe e colonne con cui sono allineati i pali. Per diversi valori dell'interasse, si osserva
che l'efficienza, in funzione del numero di pali è sempre minore dell'unità.
Nel caso in cui m = n si può utilizzare un abaco con cui si può ricavare il coefficiente
di efficienza (vedi grafico pagina successiva).
Nel caso in cui m ≠ n allora si può usare la formulazione empirica di Converse-Labarre.

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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

Metodo della fondazione monolitica equivalente


Per i terreni a grana fine, è possibile utilizzare la formulazione di
Converse-Labarre, oppure in alternativa si assimila la palificata ad
un blocco rigido soggetto ad un meccanismo di rottura generale
(come una fondazione superficiale) ovvero, si considera la
palificata come un unico blocco di fondazione, dove l'insieme dei
pali, con il terreno che c'è in mezzo, si comportano come un unico
grande puntone.
Dunque il carico limite lo possiamo ricavare con la formula
trinomia di Terzaghi e Peck, indicando con D la profondità del
piano di posa, B e L le dimensioni della fondazione equivalente
(vedi figura) che rappresenta la platea di fondazione sotto cui sono
posizionati tutti i pali.
La formula trinomia nella versione di Terzaghi e Peck, in condizioni non drenate, risulta
essere:

Osserviamo che questa formulazione, a differenza della formula di Terzaghi, tiene conto
anche del contributo delle tensioni tangenziali sulla parte verticale della fondazione, in quanto
il secondo termine che tiene conto di D (profondità del piano di posa), si aggiunge alla formula
per il calcolo del carico limite di una fondazione superficiale. In questo caso il coefficiente
Nc dipende dal rapporto L/B che ha valori che oscillano tra 5 e 9.
In definitiva, per terreni a grana fine, si può assumere per il carico limite del gruppo il valore
più basso tra quelli calcolati con i due metodi.
Tipicamente il metodo di Terzaghi e Peck è più cautelativo per i/d<3, mentre la formula di
Converse-Labarre è più cautelativa per i/d>3.

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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

Nota: l'ipotesi di comportamento a blocco è vera solo quando si ha una fondazione formata
da pali con un interasse molto stretto.

Cedimento del palo singolo e del gruppo


- Palo singolo
Per un palo singolo il cedimento viene calcolato con la seguente relazione:

dove:
Q è il carico assiale sul palo;
W1 è la deformabilità assiale del palo;
Iw è un coefficiente d’influenza adimensionale, funzione di:
- Snellezza del palo, L/d;
- Coefficiente di Poisson del terreno, ν;
- Rigidezza relativa palo-terreno, K = Ep /E1;
- Modello di sottosuolo.
Il coefficiente Iw è diagrammato in un abaco (vedi figura), inoltre dipende sostanzialmente da
K, che è la rigidezza relativa palo-terreno data dal rapporto Ep/E1 dove Ep è il modulo di
Young del palo mentre E1 è il modulo di Young del terreno.
Nell'abaco sono riportate diverse soluzioni al variare del rapporto di L/d (snellezza del palo):
per valori compresi tra 10 e 100, la linea tratteggiata si riferisce alla linea di carico in spazio
omogeneo, quindi di un unico materiale, mentre la linea continua si riferisce ad un caso limite
in cui al di sotto della punta del palo ci sia un terreno con un valore del modulo di Young 100
volte maggiore del modulo di Young del terreno superiore (Es.: un palo su basamento
roccioso). Con rapporti di Ep/E1 differenti esistono degli abachi intermedi.

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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

Quindi per calcolare il cedimento verticale sotto carico assiale di un palo si può utilizzare
l’abaco, una volta nota la snellezza, avendo il coefficiente di Poisson del terreno, la rigidezza
relativa ed il modello del sottosuolo (eterogeneo o omogeneo).

- Gruppo di pali
Il cedimento di un gruppo di pali, invece, è data da un fattore Rs:

dove Rs è dato dal rapporto del cedimento del gruppo di pali ed il cedimento del palo singolo;
vuol dire che noto il cedimento del palo singolo moltiplicando per Rs ottengo il cedimento
del gruppo di pali.
R dipende da n, s e L che sono rispettivamente il numero dei pali, l’interasse tra i pali e la
lunghezza dei pali.

Il calcolo delle resistenze di progetto nelle NTC (6.2.3.1.2)


La resistenza di progetto Rd si può determinare:
1. con metodi razionali, dividendo i parametri caratteristici per γM e (eventualmente) la
resistenza così calcolata per γR.
2. in modo analitico, ma facendo riferimento a correlazioni con prove in sito e dividendo
la resistenza così calcolata per γR.
3. in base a misure dirette su prototipi (es. prove di carico) e dividendo la resistenza così
determinata per γR.
La resistenza caratteristica Re determinata per via empirica (cioè tramite correlazioni con
prove in sito o misure dirette) va preventivamente ridotta in base a “coefficienti di indagine”
ξ decrescenti con il numero n di determinazioni eseguite.
Dunque Rk e data da:

dividendo la resistenza minima e media per dei coefficienti di indagini ξ che tengono conto
del numero di indagini fatte e si riducono all'aumentare delle indagini eseguite.
I valori ξ (n) sono fissati in base alla procedura empirica ed al tipo di opera (es.: pali,
ancoraggi).
Le NTC premiano i maggiori oneri da sopportare per l’esecuzione di un programma di
indagini più approfondito.

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Elementi di Geotecnica Pali di fondazione (blocco slide n.14)

I coefficienti di indagine per i pali di fondazione


Nell’ambito dello stesso sistema di fondazione, il numero di verticali d’indagine da
considerare per la scelta del coefficiente ξ deve corrispondere al numero di verticali lungo le
quali la singola indagine (sondaggio con prelievo di campioni indisturbati, prove
penetrometriche, etc.) sia stata spinta ad una profondità superiore alla lunghezza dei pali, in
grado di consentire una completa identificazione del modello geotecnico di sottosuolo.
Carico limite verticale calcolato attraverso un metodo analitico (es.: formule statiche o
correlazioni con la resistenza penetrometrica):

Carico limite verticale valutato attraverso prove di carico:

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LEZIONE DEL 5/12/2017

Ci occupiamo del problema di una spinta su una parete liscia e di qualche applicazione pratica per le opere
di sostegno, le paratie, con delle ipotesi semplificative forti.

La prima semplificazione più forte che facciamo è quella di considerare la parete liscia, cioè immaginiamo di
avere una parete verticale liscia all'interno di un sottosuolo. Al contatto tra la parete e il sottosuolo agirà
uno stato tensionale orizzontale. Se immaginiamo di realizzare questa parete all'interno del sottosuolo
senza effettuare uno scavo, senza considerare i prospetti di installazione, quindi in pratica in assenza di
spostamenti, la tensione che agisce è la stessa che agisce in condizioni litostatiche, perché la parete è liscia
e quindi non scambia le tensioni tangenziali lungo la linea verticale di contatto. Quindi se la tensione iniziale
era inizialmente la tensione litostatica, resta tale e quindi la tensione orizzontale inizialmente è la stessa
che avrò in condizioni di quiete. Poi immaginiamo di spostare la parete in orizzontale, verso destra o verso
sinistra, tale spostamento comporta una variazione allo stato tensionale al contatto, che chiaramente
tende a diminuire se la spostiamo verso sinistra o ad aumentare se spingiamo la parete verso destra.

Questa cosa si traduce in due condizioni che sono condizioni di spinta attiva e passiva.

Cosa che abbiamo già visto per esempio nel caso della prova triassiale. In quel caso partendo dalla
condizione isotropa in cui la σ orizzontale e verticale erano uguali 𝜎ℎ =𝜎𝑉 , quindi stiamo parlando della
tensione di cella, abbiamo aumentato la tensione verticale, mantenendo costante la tensione orizzontale,
quindi c'è la 𝜎𝑉 che ad un certo punto è tangente all'inviluppo di rottura. Abbiamo la rottura in questa
condizione con la tensione verticale, che è principale massima e la tensione orizzontale che è principale
minima. Come alternativa avremmo potuto ridurre la tensione verticale, mantenendo costante quella
orizzontale, avendo la rottura adesso con la tensione verticale che è principale minima. Ricapitolando nella
prova triassiale arriviamo a rottura per perdita del confinamento laterale, nel caso in cui aumentiamo la
tensione verticale e nell'altro caso invece arriviamo a rottura per allungamento del provino di dilatazione
verticale, riducendo la tensione verticale.
Queste condizioni di rottura le ritroviamo anche nel caso di Spinta su parete liscia, dove però qui accade il
contrario: in questo caso infatti la tensione verticale resta costante, si riduce o aumenta la tensione
orizzontale, a seconda se stiamo nelle condizioni di spinta attiva o passiva. Nello specifico: quando la
tensione orizzontale si riduce la condizione è di spinta attiva, con un valore minimo di tensione
orizzontale𝜎ℎ =𝜎𝐴 , ci stiamo allontanando dal terreno; invece quando la tensione orizzontale aumenta, la
condizione è di spinta passiva, con un valore massimo di tensione orizzontale 𝜎ℎ =𝜎𝑃 , stiamo spingendo
contro il terreno.

Quindi prima, con la prova triassiale, abbiamo a sinistra una condizione di spinta passiva e a destra una
condizione di spinta attiva, invece con il caso di spinta su parete liscia la situazione è invertita.

La tensione verticale resta costante perché abbiamo assunto l'ipotesi di parete liscia. Se la parete non fosse
liscia lo spostamento relativo genererebbe per effetto dell'attrito con il terreno una tensione tangenziale, il
che significherebbe che nell'equilibrio delle tensioni verticali comparirebbero anche delle τ. Nell'equilibrio
le τ riducono le tensioni verticali, che cambiano quindi di valore, non risultando più costanti.

Queste condizioni di spinta attiva e passiva corrispondono a legami tra le tensioni principali minima e
massima, che è data da quella retta rossa che rappresenta il criterio di Mohr. E quindi sono tradotte in
pratica da formule (che abbiamo già visto) per cui:

la tensione della spinta attiva vale 𝜎𝐴 = 𝐾𝐴 𝜎𝑉 - 2c√𝐾𝐴

la tensione della spinta passiva vale 𝜎𝑃 = 𝐾𝑃 𝜎𝑉 + 2c√𝐾𝑃


1−sin 𝛷 1
In cui 𝐾𝐴 =1+sin 𝛷 e 𝐾𝑃 = 𝐾
𝐴

In linea di massima se il comportamento del terreno è un comportamento q-ε di tipo rigido perfettamente
plastico, come di solito siamo abituati a ragionare,

nel momento in cui imponiamo una minima deformazione abbiamo già ottenuto istantaneamente una
condizione di rottura. Se fosse così ci aspetteremmo un diagramma della spinta attiva e passiva, in cui dato
d lo spostamento e 𝜎 il valore della spinta, istantaneamente passeremmo a 𝜎 passiva o a 𝜎 attiva, a
seconda del verso dello spostamento, se cioè andiamo verso sinistra o destra, insomma a seconda se
andiamo contro il terreno o ci allontaniamo dal terreno. Avremo cioè un diagramma che è fatto a scalino.

Ma nella realtà non è proprio così. Tendiamo verso una spinta passiva o attiva man mano che mobilitiamo
un certo spostamento, questo perché il comportamento del terreno non è esattamente rigido
perfettamente plastico.

Se è così però osserviamo anche che in questo diagramma lo spostamento d è normalizzato rispetto
all'altezza della parete e vediamo che in termini tensionali per un valore di spostamento dell'ordine del
millesimo dell'altezza della parete, abbiamo mobilitato praticamente tutta la spinta attiva, ma non abbiamo
mobilitato l'intera spinta passiva. Ma per mobilitare l'intera spinta passiva dobbiamo avere uno
spostamento dell'ordine del centesimo. Questo ci dice che per mobilitare la spinta passiva è necessario
spostare di più la parete verso destra di quanto non sia necessario spostare la parete verso sinistra per
mobilitare la spinta attiva.

Consideriamo adesso cosa succede su una parete liscia in termini di spinta, cioè in termini di sollecitazione
agente. Se sappiamo la sollecitazione di tensione orizzontale in condizioni di spinta attiva, pari a: 𝜎𝐴 = 𝐾𝐴 𝜎𝑉
= 𝐾𝐴 Ɣ z (trascuriamo il termine coesivo per semplicità, quindi c=0) , la distribuzione delle tensioni è
1
triangolare, integrando si ottiene 𝑆𝐴 = 2 𝐾𝐴 Ɣ𝐻 2 (H è l'altezza della parete). Questa espressione di 𝑆𝐴
rappresenta la risultante che agisce ad 1/3 del'altezza della parete, funzione di 𝐾𝐴 e del quadrato
dell'altezza della parete.

In condizione di spinta passiva, quindi spostando la parete contro il terreno, ancora la distribuzione delle
tensioni è triangolare, ancora la risultante è applicata ad 1/3 dell'altezza, se lo spostamento è sufficiente a
1
mobilitare l'intera spinta passiva, questa spinta passiva sarà pari a 𝑆𝑃 = 2 𝐾𝑃 Ɣ𝐻 2 . Quindi siamo in grado di
calcolarci in un caso e nell'altro il valore della spinta.

Le opere di sostegno sono opere che servono a sostenere terreni. Immaginiamo di avere un pendio,
realizzo su di esso uno scavo, per sostenere parte del terreno che altrimenti franerebbe e coprirebbe lo
scavo, realizzo un muro, la parte retrostante al muro poi la rinterro.

Sostanzialmente sono due le tipologie di muri di sostegno: una più massiccia, un muro di sostegno a gravità,
e un'altra, un muro di sostegno a mensola, più snella.
Il principio di funzionamento del muro a gravità: la spinta è chiaramente una forza orizzontale che tende
sicuramente a far traslare e a far ribaltare questo muro. Per stabilizzare questa forza è necessario applicare
una forza verticale, in maniera tale che l'equilibrio instabilizzante della spinta orizzontale sia
controbilanciato dal momento stabilizzante dovuto al peso proprio, quindi si realizza una struttura molto
massiccia, che abbia un suo peso considerevole, che mi bilancia l'effetto instabilizzante della spinta
orizzontale.

Il principio di funzionamento del muro a mensola: qui si risparmia un po' sulla parte strutturale, si realizza
alla base una considerevole soletta, in maniera tale che parte del terreno gravi proprio sulla soletta, per cui
il peso complessivo che vado a considerare, in realtà solo in parte è costituito dal muro, ma in gran parte è
costituito dal peso del terreno che grava sopra la soletta, per cui questo contribuisce a stabilizzare il muro.

Adesso ragioniamo su come calcolare una spinta in assenza di falda, nel caso in cui abbiamo un terrapieno
che spinge su un muro, generalmente il muro tende a spostarsi, quindi la progettazione del muro di
sostegno, viene fatta per condizioni di spinta attiva.

Potrebbe succedere una situazione differente, per esempio se questo stesso muro agisce come fondazione
per un ponte, succede che il ponte scarica con una componente che tende a spingere contro il muro, allora
chiaramente in questo caso non sarebbe corretto progettare per una spinta attiva ma per una spinta
passiva, o comunque per un'aliquota di spinta passiva, dipende da quanto questa componente possa
spostare il muro.

Comunque in questo caso assumiamo che nel terreno vi siano mobilitate condizioni di spinta attiva.

Stiamo sempre considerando una parete liscia, 45- Φ /2 rappresenta l'inclinazione della giacitura a rottura
rispetto alla giacitura verticale. Analogamente dal'altra parte avrò il resto del cerchio di Mohr e quindi è
identificata un'ulteriore giacitura a rottura. Attraverso questi piani a rottura identifico un volume di terreno
che spinge contro il muro.

In condizioni di spinta attiva sulla parete agisce una tensione orizzontale pari a 𝜎𝐴 =𝜎𝐴′ = 𝐾𝐴 Ɣ z ( perché
abbiamo considerato in assenza di falda). Trascuro il termine coesivo (perché considero un mezzo granulare
alle spalle del muro, che quindi per sua natura non ha coesione. E in ogni caso non considerare la coesione
mi pone a vantaggio di sicurezza, in quanto mi sovrastima la spinta).
1
Il valore della spinta sarà quindi: 𝑆𝐴 = 2 𝐾𝐴 Ɣ𝐻 2

Vediamo adesso cosa succede in presenza di acqua. Immaginiamo che non ci sia alcun drenaggio e che il
muro poggia su una base impermeabile, allora in questo caso alle spalle del muro il terrapieno è saturo
d'acqua e la linea di falda è al piano di campagna, sulla cresta del terrapieno. Dobbiamo ragionare
assumendo che la spinta complessiva è data dalle tensioni efficaci e dalle pressioni neutre. Cioè la spinta 𝑆𝐴
sarà uguale alla componente 𝑆𝐴′ , che esprime la spinta delle tensioni efficaci e ad una componente U, che
esprime la spinta idrostatica. Quindi 𝑆𝐴′ ha la stessa espressione di prima, ma semplicemente invece del Ɣ
1
c'è Ɣ′ , avremo quindi 𝑆𝐴′ =2 𝐾𝐴 Ɣ′ 𝐻 2 e la pressione dell'acqua è una pressione idrostatica, quindi sarà U
1
= Ɣ𝑊 𝐻 2 .
2

Osserviamo che la spinta totale 𝑆𝐴 è maggiore del caso precedente.


Immaginiamo che Ɣ =Ɣ𝑠𝑎𝑡 =20 kN/𝑚3 (non è proprio così, ma insomma questi sono più o meno uguali),
mettendo Ɣ𝑊 =10 kN/𝑚3 (sempre approssimando),sarà Ɣ′ =10 kN/𝑚3 . Mentre al caso di prima risultava
1 1 1 1
𝑆𝐴 = 𝐾𝐴 Ɣ𝐻 2 = 𝐾𝐴 20 𝐻 2 , adesso risulta 𝑆𝐴′ = 𝐾𝐴 Ɣ′ 𝐻 2 =𝑆𝐴′ = 𝐾𝐴 10 𝐻 2, quindi 𝑆𝐴′ si è dimezzato. Ma la
2 2 2 2
spinta dell'acqua non è affetta da 𝐾𝐴 , perché l'acqua non scambia sforzi di tensione tangenziali, quindi non
c'è un coefficiente di spinta, che è pari ad 1. Così nel caso della presenza di falda si hanno 10 kN/𝑚3 che
sono affetti da un coefficiente 𝐾𝐴 (per il valore di 𝑆𝐴′ ) e 10 kN/𝑚3 =Ɣ𝑊 che sono affetti da un coefficiente 1
(per il valore di U). Quindi rispetto al caso precedente ho avuto un incremento di spinta totale.

Cosa si può fare per ovviare a questo problema, per ridurre il termine della spinta. Si mette in opera un
drenaggio, cioè un tessuto sintetico che garantisce un drenaggio sulla parete verticale, in cui l'acqua
confluisce in un collettore posto in basso, lungo tutto il muro, un tubo forato che viene mantenuto vuoto,
che consente il passaggio a valle. Se il collettore non fosse sufficiente la distribuzione sarebbe idrostatica,
(ed è chiaramente quella tratteggiata in figura), ma siccome invece c'è un moto di filtrazione verso il
collettore, la distribuzione è meno dell'idrostatica, avremo quindi un valore di pressione neutra non nulla.

Quindi in questo caso, rispetto al caso di assenza di falda, il valore della spinta totale è ancora cresciuto,
però cresce di meno rispetto al caso precedente, perché questa distribuzione di pressione neutra è meno
dell'idrostatica adesso, allora si calcola la spinta attiva con un coefficiente di spinta attiva corretto, che
chiamiamo 𝐾𝐴∗ , che viene corretto con degli abachi in funzione dell'angolo di attrito e che varia tra un 10-
50% del coefficiente di spinta attiva, moltiplicato poi per Ɣ𝑠𝑎𝑡 .

Però questa tipologia di drenaggio ancora non è efficiente, perché idealmente vorremmo proprio
cancellare la spinta dell'acqua. Per fare questo dobbiamo disporre un drenaggio diverso, che è quello del
drenaggio inclinato. Quindi ho ancora il collettore posto in basso, il geotessile lo metto inclinato, in maniera
tale che la sua inclinazione sia maggiore dell'inclinazione della condizione di spinta attiva che conosco, che
è 45 - Φ /2 rispetto alla verticale, e quindi inclino maggiormente questo geotessile, lo dispongo più in
orizzontale. In questo modo posso garantire di drenare tutta l'area interessata dalla condizione di spinta
attiva. Quindi tutta questa superficie garantisce condizioni drenate di pressioni pari alla pressione neutra
nulla. Vediamo perché: In presenza di pioggia, che fa giungere acqua a questo terreno, l'acqua tende a
scendere verso il basso, quindi il terreno è soggetto ad un moto di filtrazione verticale, con linee di flusso
verticali e con isopieziche orizzontali (sarebbero quelle rappresentate in rosso). Ora prendiamo una
qualunque di queste isopieziche, quella ad esempio a cui corrisponde il punto P, nel punto 𝑃′ il valore della
pressione neutra è pari a zero, come per tutti i punti che stanno su questa linea inclinata, inoltre possiamo
scrivere che lungo la linea isopiezica la quota piezometrica è la stessa, quindi per il punto P e 𝑃′ , come per
qualunque altro punto di questa linea, h è costante e quindi risulta:
𝑈 𝑈
ξ𝑝 +Ɣ 𝑃 = ξ𝑝′ + Ɣ𝑃′ la quota geometrica ξ è la stessa per i due punti considerati, essendo la linea
𝑊 𝑊
orizzontale la stessa, quindi è possibile semplificare l'espressione e ci resta 𝑈𝑃 = 𝑈𝑃′ =0. Questo è vero per
qualunque punto appartenente a questa isopiezica e questo ragionamento è vero per qualunque altra
isopiezica. Per cui in tutti i punti di questo cuneo di spinta sul muro la pressione neutra è pari a zero.

A questo punto la spinta sul muro è calcolabile dalle tensioni efficaci e siccome U si annulla ovunque,
1
coincide con le tensioni totali. Sarà: 𝑆𝐴 = 𝐾𝐴 Ɣ𝑠𝑎𝑡 𝐻 2 .
2

Il terreno è sott'acqua, ho usato per la formula di 𝑆𝐴 il valore di Ɣ𝑠𝑎𝑡 , avremmo dovuto usare Ɣ′ .

Ɣ′ è il peso dell'unità di volume alleggerito.

Ma questo caso è un caso un po' particolare. Quando esiste un moto di filtrazione esiste una forza di
filtrazione e le tensioni efficaci variano per effetto di queste forze di filtrazione. Ma qui le forze di filtrazioni
sono tali che annullano le pressioni neutre e quindi le tensioni totali coincidono con quelle efficaci. Il 𝐾𝐴 è
moltiplicato per le tensioni efficaci, ma il peso del terreno sarà Ɣ𝑠𝑎𝑡 , perché è saturo d'acqua (il peso Ɣ è
tutto quello che c'è nel terreno, e c'è scheletro solido più acqua e quindi pesa Ɣ𝑠𝑎𝑡 ).

Per il problema della spinta che agisce orizzontalmente il muro tende a scorrere, per cui esiste una verifica
allo scorrimento: vi è una resistenza orizzontale sul piano della fondazione, che è pari al coefficiente di
attrito per il peso proprio del muro, quindi bisogna verificare che lo scorrimento sia inferiore alla resistenza.

C'è poi la verifica al ribaltamento: ci sarà un momento dovuto alla spinta attiva, che tenderà a far ribaltare il
muro, ed un momento stabilizzante, che invece è dovuto al peso proprio del muro, l'equilibrio 𝑆𝐴 𝑏𝑆𝐴 +W𝑏𝑊
deve essere nullo.

Infine vi è la verifica al carico limite: è un meccanismo di collasso per carico limite, in cui semplicemente
abbiamo una componente verticale W e una componente orizzontale 𝑆𝐴 , quindi una componente inclinata,
per altro anche eccentrica, quindi è un meccanismo da fondazione superficiale, con carichi inclinati
eccentrici, che possiamo verificare tranquillamente come abbiamo fatto per il caso delle fondazioni
superficiali.

Le paratie sono pareti infisse in un terreno (quindi è una parete diciamo sottile rispetto ad un muro di
sostegno) che garantiscono un dislivello tra monte e valle. A differenza dei muri, qui non rinterriamo a
monte, ma partendo dal piano di campagna, scaviamo e per scavare in sicurezza mettiamo delle paratie a
destra e a sinistra, che ci impediscono di far franare il terreno ai lati dello scavo. Oppure se stiamo su un
pendio si mettono prima le paratie e poi si procede con lo scavo. Il terreno a monte della paratia è quello
naturale che c'è già in sito. Consideriamo adesso gli schemi tipici delle paratie:

Un primo schema è quello della paratia a sbalzo, a mensola cioè; Poi vi è quello a berma e soletta, quando
c'è una soletta orizzontale ed un riempimento interno contro la parete per aiutare l'opera a sostenere lo
scavo; esistono anche paratie con puntelli, che servono a vincolare in testa la paratia, con una fondazione
alla base del puntello; o anche con un tirante, ovvero un cavo di acciaio che viene inserito nel terreno,
ancorato ad una certa profondità del terreno, che mi serve a vincolare in testa la paratia; o anche con più
puntelli e più ancoraggi; oppure con puntoni, ovvero elementi orizzontali che fanno da contrasto
orizzontale tra due pareti affacciate una sull'altra.

In tutti i casi, ad eccezione del primo, la paratia è sostenuta da un'ulteriore forza, che è una forza
orizzontale applicata ad una certa altezza (più o meno in prossimità della testa, oppure variabile). Nel primo
caso invece l'equilibrio è garantito senza questa forza adiacente, per effetto del fatto che si mantiene con
differenti condizioni di spinta a monte e a valle della parete.

Il meccanismo di funzionamento della paratia libera a mensola: per effetto della spinta applicata in testa la
parete tende a ruotare verso lo scavo, cioè si ipotizza una rotazione rigida della parete intorno al punto C.
Questo vuol dire che al di sopra del punto C abbiamo condizioni di spinta attiva a destra, a monte, e
condizioni di spinta passiva a valle. Questo perché la parete si allontana dal terreno a destra, però a valle
spinge contro il terreno di fondo scavo. Al di sotto del centro di rotazione le cose si invertono: a monte la
parete spinge contro il terreno, quindi si mobilitano condizioni di spinta passiva, a valle si allontana dal
terreno e perciò mobilita condizioni di spinta attiva.

E' rappresentata la distribuzione delle tensioni in condizioni di spinta attiva e passiva (sono quelle 4
fondamentali tratteggiate), a destra lo zero sta chiaramente sulla cresta, a sinistra sta a fondo scavo. ( La
condizione di spinta attiva in giallo e di spinta passiva celeste).

Perché compare un asterisco sulla formula della spinta passiva?

Se la spinta attiva certamente è mobilitata, perché abbiamo visto che occorrono piccoli spostamenti per
mobilitare l'intera spinta attiva, è probabile che non tutta la spinta passiva sia invece mobilitata. Allora ecco
perché in queste formule è presente 𝐾 ∗ , per ricordarci che questo non è detto che sia un K passivo,
potrebbe essere un' aliquota della componente di spinta passiva e quindi un'aliquota di 𝐾𝑃 , più piccola di
𝐾𝑃 . Per ricordarci che assai probabilmente non tutta la spinta passiva è mobilitata in realtà, perché lo
spostamento in molti casi è inferiore al valore che determina la condizione di spinta passiva (pari ad 1/100
dell'altezza limite). E perché è inferiore? Perché di solito, se progettiamo bene la paratia, la progettiamo
per limitare gli spostamenti. Le paratie sono generalmente realizzate quando non c'è sufficiente spazio,
perché evidentemente ci sono altre opere intorno, infatti se avessimo sufficiente spazio potremmo anche
sostenere lo scavo con una bella scarpata. Ma se vi è un edificio affianco, questo non è possibile, quindi la
parete serve proprio a limitare l'influenza dello scavo e di conseguenza è progettata per ridurre al minimo
gli spostamenti.

Per una paratia libera il metodo di calcolo fa riferimento all'ipotesi di Blum, secondo cui: se C è il centro di
rotazione, il diagramma delle tensioni risultanti si annulla proprio nel punto C, e che il momento flettente in
questo punto sia pari a zero.

Il diagramma delle tensioni risultanti è una spezzata (rappresentata in rosso). Ora è possibile semplificare
tale diagramma: si aggiunge un'area (in verde) P1 e un'area (in verde) P2 , che sono uguali. P1 =P2 vuol dire
che rispetto all'equilibrio alla traslazione non è cambiato niente, ho aggiunto a destra e a sinistra una stessa
risultante. In realtà se considero la somma di P1 ,P2 e P3 , questi tre diagrammi di tensione danno luogo ad
una risultante detta R, che è applicata di poco al di sotto di C. Ora l'ipotesi di Blum è quella di ipotizzare che
la risultante R sia applicata proprio nel punto C. Ciò significa spostare R (anche se di poco, lungo un piccolo
braccio). Quindi spostare R in C significa anche trascurare un piccolo momento in C che in realtà esiste. E
ipotizzare quindi che nel punto C la sezione abbia momento nullo.

Ora se è questa l'ipotesi che si verifica, allora si fa riferimento non più al diagramma complicato in rosso ma
ad un diagramma semplificato in cui si ha a destra una distribuzione di spinta attiva che va a C, a sinistra
una distribuzione di spinta passiva che va a C, e nel punto C applico la risultante R. Se questo è vero scrivo
l'equilibrio alla rotazione intorno a C (in questo modo mi sono liberato di R, che passa per C, non genera
momento).

In questo caso l'incognita è 𝑖0 , cioè la distanza del punto C dal fondo dello scavo.

In pratica nel progettare la paratia si deve progettare quanto deve essere infissa la paratia nel terreno, per
poter mobilitare le spinte attive e passive, in maniera tale che si facciano equilibrio e quindi da sorreggere
lo scavo in condizioni di sicurezza.

In realtà l'incognita è i, l'infissione, che mi indica di quanto devo approfondire rispetto al fondo scavo della
parete (H è noto, perché è un parametro di progetto, è la profondità dello scavo). Noto 𝑖0 assumo i=1,25𝑖0 .

𝑖0 compare nel braccio della spinta passiva, la spinta passiva è applicata ad 1/3 di 𝑖0 . Compare anche nel
braccio della spinta attiva, in quanto la spinta attiva è applicata ad 1/3 di H+𝑖0 . Quindi in questo equilibrio
dove c'è 𝑏𝑎 e 𝑏𝑝 in realtà compaiono 𝑖0 ed H. L'unica incognita è proprio 𝑖0 .

Passiamo a tracciare le sollecitazioni sulla parete in termini di taglio e momento. Integrando la tensione
1
orizzontale 𝜎𝐴 = 𝐾𝐴 Ɣ z, il taglio sarà T = 2 𝐾𝐴 Ɣ 𝑧 2 (è questa la componente del taglio che viene integrando il
diagramma giallo); arrivati poi ad una certa profondità a questo valore devo sottrarre una nuova
componente (la componente del taglio che viene integrando il diagramma blu), quindi a partire dalla
1
tensione orizzontale 𝜎𝑃 = 𝐾𝑃∗ Ɣ (z-H), integrando si ottiene T = 𝐾𝑃∗ Ɣ (𝑧 − 𝐻)2 .
2

1
Ovviamente noto il taglio, conosco il momento, in quanto basta moltiplicare il valore del taglio ( 𝐾𝐴 Ɣ 𝑧 2 )
2
1
con il valore del braccio ( z).
3
Osserviamo il diagramma del taglio che parte da zero, cresce andando verso il basso, fino a raggiungere un
valore massimo, poi comincia a diminuire, quando entra in gioco la componente di spinta passiva, quindi a
fondo scavo comincia a diminuire verso il basso, poi raggiunge un equilibrio, c'è un punto di nullo del taglio,
a cui corrisponde un valore massimo del momento flettente. Poi il taglio cresce, fino ad arrivare ad
annullarsi. Il momento massimo per la paratia libera si trova quindi entro terra. ( Ricordiamoci che in
corrispondenza di C per ipotesi di Blum il momento è uguale a zero, ma in realtà esiste in C un piccolo
momento dovuto al fatto che R non sarebbe nel punto C).

Fino ad ora abbiamo ragionato assumendo tensioni totali e tensioni efficaci coincidenti, adesso vediamo
cosa succede quando c'è l'acqua. In questo caso molto dipende dallo schema idraulico. Nell'esempio il
livello di falda è a fondo scavo e sul piano di campagna. E' una situazione semplificata. (Esistono
chiaramente anche situazioni differenti). In ogni caso qualunque sia, se c'è un dislivello idraulico tra monte
e valle, questo 𝐻𝑊 è pari a tutta l'altezza H, questo dislivello idraulico genera cioè un moto di filtrazione,
cosa che determina un andamento delle tensioni efficaci, che è meno l'idrostatica a monte, più l'idrostatica
a valle. Quando è meno l'idrostatica a monte, vuol dire che le tensioni efficaci sarebbero in teoria minori
di 𝐾𝐴 Ɣ′ z, però nel nostro caso a vantaggio di sicurezza trascuriamo l'effetto del moto di filtrazione a monte
sulle tensioni efficaci. A valle invece il moto di filtrazione è diretto verso l'alto, quindi le tensioni efficaci
sono corrispondenti ad una distribuzione più l'idrostatica, quindi sono più basse di quelle che calcoliamo
per normativa e se qui mettessi Ɣ′ avrei la distribuzione idrostatica 𝐾𝑃 Ɣ′(z-H), ma ci metto invece Ɣ′′ ,che è
pari a Ɣ′ meno la cadente piezometrica j ,moltiplicata per Ɣ𝑊 . La cadente piezometrica j vale tutta la
differenza di carico 𝐻𝑊 tra monte e valle, diviso 3 volte i. Dove i è l'infissione.

Perché 3 volte i? Perché generalmente per una paratia libera la proprietà di infissione è confrontabile con
l'altezza di tenuta. Il percorso dell'acqua con cui si dissipa 𝐻𝑊 sarà pari ad H+i+i, se pompo acqua pari ad i
(possiamo assumere questa approssimazione), in maniera semplificata questo diventa 3i, ecco quindi che la
lunghezza con cui si dissipa 𝐻𝑊 è pari a 3 volte i.
Sulla paratia esiste anche la spinta dell'acqua.

Immaginiamo di avere una paratia che si assesta su un manto impermeabile, quindi se è impermeabile avrò
l'idrostatica a monte e a valle. Posso osservare che ho due aree uguali, quindi se prendo l'idrostatica a
monte e l'idrostatica a valle, il diagramma del taglio che viene fuori sarà questo in rosso: lineare fino a
fondo scavo e costante fino al piede della paratia (che nella slide in alto è rappresentata con una linea
tratteggiata). Questo quindi corrisponde ad una paratia infissa in uno stato impermeabile, cosa che può
capitare, evitando quindi di avere moti di filtrazione.

Se invece abbiamo un moto di filtrazione, si ha una pressione neutra più l'idrostatica ed una pressione
neutra meno l'idrostatica. La cosa da osservare è che si ottengono due segmenti che sono uguali, se sono
uguali vuol dire che la differenza è pari a zero, quindi in quel punto, cioè in corrispondenza del piede della
paratia, il diagramma della spinta va a zero, presentando quindi andamento lineare anche entro terra.
Si procede in questo caso come è stato fatto prima (con il caso in assenza di moto di filtrazione). Cioè
possiamo calcolare una risultante, che è quindi riferita alle pressioni neutre, che andrà poi sommata alla
risultante delle tensioni efficaci. E si considera ancora una volta l'equilibrio alla rotazione intorno al punto
C, ricavandoci da questo equilibrio l'infissione i.

Le paratie vincolate esistono di differenti tipologie: con un tirante orizzontale, che vincola un punto in
sommità; oppure con tirante inclinato; con tiranti con probabili ancoraggi; o anche con puntelli. In ogni
caso abbiamo più o meno sempre un vincolo in prossimità della superficie.

Cerchiamo di analizzare come si progetta in questo caso la parete: sempre attraverso un equilibrio alla
rotazione. Questa volta però, essendoci un vincolo di tirante, la rotazione non avviene più intorno al punto
C, ma intorno al punto P, che sta in prossimità della testa. Chiamiamo F la forza che sollecita assialmente il
tirante (questo cavo di acciaio ancorato ad una certa profondità), la componente F*cosα ci fornisce 𝐹ℎ , cioè
la forza orizzontale esercitata dal tirante. Scriviamo quindi l'equilibrio alla rotazione intorno al punto P, la
forza 𝐹ℎ non compare in quanto passa per P, quindi ancora una volta scriverò: 𝑆𝐴 𝑏𝐴 -𝑆𝑃∗ 𝑏𝑃 =0, in cui 𝑆𝐴 e
𝑆𝑃∗ sono sempre gli stessi, spinta attiva a monte e spinta passiva a valle, ma cambia il valore del braccio, in
2 2
quanto non è più calcolato rispetto a C, ma a P. Ottenendo 𝑏𝐴 = 3 i+H-a; 𝑏𝑃 = 3 (H+i)-a; in cui a rappresenta
la distanza del punto di ancoraggio dalla testa della paratia. E quindi in definitiva anche qui posso scrivere
l'equilibrio in cui l'unica incognita è i. Posso cioè progettare la lunghezza di infissione.

Generalmente per una paratia ancorata la profondità di infissione è più piccola rispetto ad una equivalente
paratia libera.

Il passaggio da una paratia libera ad una paratia vincolata nasce per il fatto che se vado a considerare le
sollecitazioni del momento, queste sono funzioni del cubo della profondità, quindi il valore del momento
massimo cresce con il cubo della dimensione della paratia. Ora se per stabilizzare ho bisogno di infiggere la
paratia adottando i, questo mi genera sollecitazioni che non sono compatibili con la struttura, allora
piuttosto che approfondire la parete, che poi si rompe perché non riesce a sopportare il momento,
aggiungo una forza con un tirante, riducendo le sollecitazioni sulla parete e comunque garantendo la
stabilità dello scavo.

Osserviamo il diagramma del taglio che parte da zero, cresce andando verso il basso, poi compare 𝐹ℎ in
corrispondenza di questa forza vi è una discontinuità. Poi continua a crescere fino ad arrivare entro terra,
qui per effetto della spinta passiva il taglio decresce, e infine tende a zero in corrispondenza dell'estremità.

Il valore del momento massimo (la pancia del diagramma del momento), in corrispondenza del punto di
nullo del taglio, potrebbe essere tanto fuori terra, quanto entro terra.
Infine è importante valutare dove collocare l'ancoraggio. Ovviamente deve essere in una zona stabile. Se lo
si fissa all'interno del cuneo di spinta attiva (determinato in maniera semplificata tracciando una linea
inclinata di 45 - Φ/2 a partire dal piede) poi questa zona tende a franare, se ne cadrebbe tutta la porzione
di terreno, quindi non è efficace posizionare l'ancoraggio qui, bisognerà allungarsi fino alla zona gialla.

Questa zona gialla, che quindi è quella stabile, è identificata in maniera empirica. Valutiamola prima per il
caso di tirante orizzontale: si traccia a partire dal piede della parete una prima retta inclinata di 45 - Φ/2; a
partire poi dal piano di campagna si traccia una nuova retta inclinata di 90° rispetto alla prima retta
tracciata; infine a partire dall'orizzontale in corrispondenza del fondo scala, si traccia un'ultima retta
inclinata dell' angolo Φ. La parte che diciamo resta al di fuori di tutta questa costruzione di rette è quella
stabile, indicata quindi in giallo.

Per il caso di tirante inclinato: si traccia a partire dal piede della parete una prima retta inclinata di 45 - Φ/2;
poi traslo questa prima retta di 0,15H; ed infine a partire dall'orizzontale in corrispondenza del fondo scala,
si traccia un'ultima retta inclinata dell' angolo Φ. La parte che diciamo resta al di fuori di tutta questa
costruzione di rette è quella stabile, indicata quindi in giallo.

Dato il tirante il bulbo di tensione resiste allo scorrimento per effetto dell'attrito con il terreno, attrito che è
funzione delle tensioni normali alla superficie del bulbo. Se il bulbo sta più in profondità la tensione
normale intorno al bulbo cresce, per effetto della profondità, e quindi la resistenza allo scorrimento
aumenta. Quindi il bulbo inclinato iniettato è più efficace.
ESERCITAZIONE 7

L'esercizio ci dice che per un sottosuolo come quello riportato in figura


abbiamo i primi 5 metri formati da un terreno di riporto,10 metri di lapillo distinto tra pumice e scoriaceo e
a 15 m di profondità abbiamo pozzolana. In particolare si riferisce ad un sito dell'isola di Ischia dove il
lapillo, di fatto è un materiale piroplastico, frutto anche questo delle eruzioni dei campi flegrei, è un
materiale granulare (sabbia con ghiaia ) che può essere più poroso, quindi pumiceo, o più duro, quindi
scoriaceo, e poi sotto c'è la pozzolana, che è la solita sabbia limosa delle nostre parti, anch'essa piroclastica
che si trova a 15 metri di profondità inoltre non c'è falda, almeno nella parte di interesse del sondaggio.
Per la pozzolana e per il terreno di riporto (che hanno una consistenza più compatta) sono stati anche
prelevati dei campioni indisturbati che hanno consentito di valutare gli angoli di resistenza a taglio
rispettivamente di 25° e 32°. Per il resto invece ci si è basto sulla caratterizzazione di resistenza
penetrometrica di due prove Triassiali che sono riportate in figura. Si chiede di valutare i parametri di
resistenza dell'angolo di attrito. Dobbiamo calcolare il carico limite del palo per azioni verticali.
Prendiamo il foglio excel dove già ci stanno le CPT 1 e CPT 2, che sono le due prove che sono state fatte,
(sono distinte per colore a seconda della tipologia del terreno attraversata, gialli sono i lapilli pumicei,verdi
sono quelli scoracei ). Nel nostro modello c'è un alternanza variegata di elementi, il nostro modello
rispecchia meglio la CPT 6 della campagna di indagine che è stata fatta; questo è il profilo più tipico rispetto
a quello che si è riscontrato, in ogni caso le prove sono già elaborate ed abbiamo già un CPT medio, cioè le
due prove sono state sovrapposte, dove vediamo il profilo medio, che è stato anche regolarizzato metro
per metro. Quindi ha dato luogo ad un profilo scalettato a cui facciamo riferimento. Noi qui potremmo
anche applicare la normativa calcolando per ogni CPT un valore di carico limite, in questo caso avremmo i
valori calcolati che non sarebbero più unici ma sarebbero due, ed avremmo un valore medio e un valore
minimo, è una scelta che possiamo fare, in questo caso abbiamo scelto di caratterizzare, vista l'omogeneità
del sottosuolo, con parametri medi, che vengono da entrambe le CPT, quindi avere un unico modello del
sottosuolo e a quel punto il calcolo che facciamo è unico, non facciamo due calcoli separati. Nella formula
della normativa avremo che il valore minimo e il valore medio coincidono.

Profilo cpt medio.

Le correlazioni tra le CPT che dobbiamo applicare sono le seguenti :


Cioè dobbiamo calcolarci in corrispondenza di ogni determinazione della CPT il valore qc e il corrispondente
valore di σ'v ,ovviamente questo lavoro lo facciamo sul profilo regolarizzato. Sugli abachi sono stati riportati
i valori per il lapillo pumiceo e per il lapillo scoriaceo, distinti con due colori giallo e verde. Osserviamo che il
lapillo scoriaceo ha un angolo di attrito maggiore del lapillo pomiceo, questo perché essendo più compatto,
la resistenza complessiva sarà maggiore essendo meno interessato dalla fratturazione delle particelle . In
ogni caso ci interessa stabilire quale è il valore caratteristico dell'angolo di attrito, questa scelta è fatta dal
progettista, in questo caso si potrebbe scegliere il valore medio o il valore minimo. Osservando il grafico
relativo al lapillo pumiceo si nota che tutti i valori sebbene sparsi, sono al di sopra dei 36° tranne uno che è
compreso tra i 34° e 36° , escludendo quest'ultimo valore possiamo definire 36° come valore minimo. In
maniera duale ragioniamo sul grafico relativo al lapillo scoriaceo ed anche in questo caso otteniamo un
valore di 36°. A questo punto possiamo andare ad applicare le formule statiche e penetrometriche per il
calcolo della resistenza di punta e laterale.
Inizialmente riporto la lunghezza del palo pari a 15 m ed il suo diametro 0,6 m, dal rapporto ottengo il
valore di L/D =25 mi serve in quanto il coefficiente Nq di Berentazev dipende da L/D .

Poi è riportata la conformazione del terreno : Riporto e Lapillo ai fini del calcolo della resistenza laterale e
alla punta.
Per la resistenza laterale mi interessa riporto e lapillo, mentre per la resistenza alla punta del palo mi
interessano i lapilli inferiori e la pozzolana.

Analizziamo questa tabella che ci fornirà tutti i valori di cui avremmo bisogno per il calcolo delle resistenze
• γ = peso dell'unità di volume
• α = ci servirà per calcolare la resistenza laterale per le CPT (αqc) che è funzione della densità
relativa (che potremmo definire meglio una volta trovato il valore di qc).

• α(rid) = i valori prima determinati


sono riferiti a pali battuti, ma nel nostro caso sono pali trivellati pertanto li riduciamo del 50%.

• φ = rappresenta il valore che abbiamo determinato precedentemente dalle prove CPT per i lapilli,
mentre invece per lo strato di riporto il valore ce l'ho dalla traccia ed è pari a 25°, tale valore è
definito con delle prove di laboratorio.

• K = è un coefficiente pari a K = 1 – sin φ.

• μ = per pali gettati in opera viene calcolato come μ = tan φ

• kμ = prodotto dei due coefficienti determinati che variano tra 0,27-0,30 cioè di pochissimo anche se
stiamo facendo un'analisi per angoli di attrito che vanno da 25 a 36°.

• Nq(Berenzntzev) = è valutato alla punta per un diametro (0,6) e per un angolo di attrito pari a 32°
,mentre sulla parte superiore consideriamo 4 diametri ed un angolo di attrito paria 36°, facendo
una media pesata otteniamo un angolo di attrito pari a 35°, quindi entrando nell'abaco con il
rapporto di L/D ed l'angolo di 35° (facendo riferimento alla linea viola ) otteniamo Nq= 50
• Nq(rid)= ai fini del calcolo usiamo un Nq ridotto di 3 volte in maniera arbitraria in quanto teniamo
conto del fatto che le correlazioni che abbiamo utilizzato per determinare l' angolo di attrito sono
riferite ad un terreno che non è piroclastico.

Per le prove penetrometriche invece valutiamo la resistenza laterale dividendo il terreno in strati. Se
guardo la stratigrafia questa è formata da 5m di riporto, 5m di lapillo pumiceo, 5m di lapillo scoriaceo, si
potrebbe fare riferimento a questa stratigrafia, ma la resistenza penetrometrica è variabile, ovvero risulta
più alta sulla parte superiore e più bassa sulla parte inferiore, allora conviene dividere i 2m con valori di
resistenza più elevati e 3m con valori di resistenza più bassi, dividendo gli strati in 5,5,2,3 metri.

Così si ottiene una stratigrafia semplificata in 4 strati, per averne una precisa dovrei andare a fare l'
integrale metro per metro.

Poi mi vado a ricavare i valori di qc facendo una media dei valori rappresentati sul grafico che segue :

ovvero nel primo tratto i valori oscillano tra 5-10 prendiamo 6m, nel secondo tratto 10-12 prendiamo 15m ,
nel terzo tratto tra 12-15 prendiamo 8.

In questo caso utilizziamo il coefficiente di sicurezza γ=1 in quanto secondo la normativa, i coefficienti sui
parametri dei materiali sono sempre uguali ad 1, questo vale solo per pali e tiranti. Questo significa che l'
angolo di attrito che definiamo anche se caratteristico sarà lo stesso che adotteremo per il progetto.
Φk = φd
Secondo le formule statiche, per terreni a grana grossa si ha una resistenza laterale s = k μ 𝜎𝑉′ .

Quindi per prima cosa bisogna calcolare 𝜎𝑉′ per ciascuno strato in cui si è suddiviso il terreno.

𝜎𝑉′ va calcolato nel baricentro di ciascuno strato, quindi per il primo strato si avrà: 5m/2 *γdel riporto;

nel baricentro del secondo strato la tensione sarà:5m(dello strato sopra)* γdel riporto +5m/2(del secondo
strato) *γ dei lapilli;

analogamente la tensione nel baricentro corrispondente al terzo strato sarà: 5m(strato di riporto)*γdel
riporto+5m(strato dei lapilli)*γ dei lapilli + 2m(strato corrispondente)/2*γ dei lapilli;

al quarto strato: 5m*γdel riporto+5m*γ dei lapilli+2m*γ dei lapilli+3m(strato corrispondente)/2*γ dei
lapilli.

E' interessante osservare come il peso dei lapilli, γ=13,5KN/mc, è abbastanza basso rispetto al peso del
riporto. Questo perché i materiali piroclastici generalmente hanno un peso più basso, sono piuttosto
porosi, hanno una struttura vetrosa.

Quindi noto 𝜎𝑉′ è possibile calcolare s per ciascuno strato.

Passiamo poi a calcolare ∆s = πd∆z s, sempre per ciascuno strato di terreno.

Sommando ciascuna ∆s ottenuta si ottiene il valore della resistenza laterale S, nel caso dell'uso delle
formule statiche.

Passiamo adesso a calcolare la resistenza laterale dalle formule penetrometriche, che è data dalla formula:

s = α 𝑞𝑐

α come abbiamo già visto prima dipende da 𝑞𝑐 . Nello specifico lo assumiamo per il riporto pari a 0,015 per
un valore di 𝑞𝑐 fino a 5, e per i lapilli pari a 0,012, per un valore di 𝑞𝑐 fino a 15. Poi abbiamo ridotto α della
metà, per tener conto del fatto che le formule penetrometriche sono correlate meglio ai pali battuti,
mentre per i pali trivellati è meglio ridurre questi valori alla metà, per quanto riguarda la resistenza laterale.

Si calcola poi esattamente come prima, sempre per ciascuno strato, ∆s= πd∆z s.

Dalla somma di ciascun ∆s ottenuto, si ricava il valore della resistenza laterale S, nel caso dell'uso delle
formule penetrometriche.

Possiamo osservare come i due valori della resistenza laterale S ottenuti siano diversi per i due metodi.
Passiamo ora a definire la resistenza alla punta P. Considerando prima il caso delle formule
penetrometriche.

Per prima cosa valutiamo 𝑞𝑐 . 𝑞𝑐 va definito nella zona di interesse della punta. Cerchiamo di capire quanto
vale tale zona di interesse: se questo è il palo, il terreno a rottura più o meno fa così, con queste dimensioni
di 4 diametri sopra e 1 diametro sotto.

Quindi nel nostro caso avremo da sopra 15m -(4*0,6)= 12,6m e da sotto 15m+0,6= 15,6m.

Vado così a considerare la 𝑞𝑐 media tra 12,6m e 15,6m che risulta essere pari ad 8 (vado a leggere questo
valore nel diagramma che mette in correlazione 𝑞𝑐 con la profondità).

Inoltre sempre per il discorso delle formule penetrometriche, che sono meglio correlate ai pali battuti, per
il caso del palo trivellato è necessario ridurre 𝑞𝑐 , dividendolo per 3.

Quindi ricaviamo p =𝑞𝑐 /3.

Otteniamo poi P = π𝑑2 /4*p.

Per quanto riguarda le formule statiche invece bisogna calcolare per prima cosa 𝜎𝑉′ .

Poi si passa a ricavare p =𝑁𝑞 𝜎𝑉′ .

E inoltre P =π𝑑2 /4*p.

Osservando i risultati ottenuti possiamo notare come le due formulazioni adottate di CPT e formule statiche
in realtà si compensano, perché con le CPT abbiamo una resistenza laterale più alta ed una resistenza alla
punta più bassa. Con il caso delle formule statiche invece la situazione è inversa.

Adesso questi valori di resistenza ottenuti dobbiamo trasformarli in resistenze caratteristiche. Quindi
dobbiamo considerare i coefficienti di correlazione.
Se avessimo fatto il calcolo due volte, per entrambe le prove CPT, cosa che potevamo fare, avremmo avuto
due valori, ne avremmo fatto la media, e quindi avremmo ottenuto un 𝑞𝑐 medio ed un 𝑞𝑐 minimo,
avremmo ottenuto così due risultati, ciascuno diviso per il coefficiente di correlazione 𝜉3 e 𝜉4 , che sono
tabellati. Ma in questo caso abbiamo un solo valore, perché abbiamo scelto di utilizzare un profilo medio,
quindi andiamo a mettere direttamente il valore 𝜉3 , del coefficiente di correlazione che ci conviene, che
vale 1,65,che è quello più grande, che ci fornisce quindi un valore più piccolo.

E quindi otteniamo le resistenze caratteristiche 𝑆𝐾 , dividendo S per 1,65. E 𝑃𝐾 , dividendo P per 1,65.
Chiaramente sia per il caso CPT, che per quello delle formule statiche.

Passiamo poi al calcolo del Q di progetto, ottenuto moltiplicando 𝑆𝐾 e 𝑃𝐾 per i coefficienti di sicurezza
parziali dati dalla norma, che sono riportati in tabella.

Essi sono distinti per resistenza alla base, per resistenza laterale in compressione, per resistenza totale e
per la resistenza laterale in trazione. Ora la resistenza alla base è per la resistenza alla punta; la resistenza
laterale in compressione è per la resistenza laterale; la totale la applichiamo quando elaboriamo il caso
delle prove di carico; e infine la laterale in trazione la applichiamo nel caso dei pali di trazione, che a noi in
questo caso non serve.

I coefficienti quindi che usiamo sono 𝛾𝑏 e 𝛾𝑠 . Ce ne sono per diverse tipologie di pali, a noi interessa quello
trivellato. E per diverse combinazioni.

Otteniamo quindi 3 valori di 𝑄𝑑 per CPT e 3 valori di 𝑄𝑑 per le formule statiche (uno sarà riferito ad R1, una
a R2 ed uno a R3).
Alla fine i valori che abbiamo calcolato con le due metodologie sono molto simili. Nello specifico con le CPT
ho una sovrastima della resistenza laterale, e invece con le formule statiche ho una sovrastima della
resistenza alla punta. Quindi alla fine si compensano e vengono valori simili.

Guardiamo adesso che cosa prevede la prova di carico.

Dovremmo prendere il carico limite di questa curva, il suo valore finale, ma in realtà questo valore è
asintotico, allora lo valutiamo in corrispondenza del cedimento limite.

Il cedimento limite è pari al 10% del diametro dei pali battuti e pari al 25% del diametro dei pali trivellati.
Questo perché per i pali trivellati è necessario un cedimento maggiore per mobilitare la resistenza alla
punta. Ora però la normativa attuale permette di adoperare il 10% anche per i pali trivellati. Se il palo è
trivellato questo dovrebbe sottostimare la resistenza, però in realtà conviene, perché così per le
sollecitazioni viene un cedimento più basso.

Quindi il cedimento limite è pari al 10% di 60cm, cioè è pari a 60mm. Così entro nel diagramma in alto con il
valore di 60mm e leggo il carico corrispondente, che è pari a 2450.

A questo punto per avere il valore della resistenza caratteristica, considerando che ho fatto una sola prova,
entro nella tabella per prendere il valore del corrispondente coefficiente, pari ad 1,40, e calcolo
2450/1,4=1750.

Per ottenere la resistenza di progetto devo considerare i coefficienti 𝛾𝑡 in tabella, per pali trivellati.

Calcolo quindi i tre valori di 𝑄𝑑 per i tre coefficienti (dividendo 𝑄𝑘 per tali coefficienti).

Possiamo osservare come la prova di carico ci ha dato dei carichi limite maggiori, rispetto ai calcoli fatti
precedentemente, quindi in questo caso ci è convenuta farla.
Esercitazione 8

Parte A
Con riferimento al muro di sostegno rappresentato in Figura 1, valutare la spinta a seguito di un
evento meteorico intenso nelle seguenti ipotesi:

1. terrapieno incoerente ( SAT,k=19 kN/m3; ’k=35°, c’k=0) e opportuno sistema di drenaggio


2. nell’ipotesi che, per un difetto di funzionamento, il sistema di drenaggio risulti
completamente occluso (assenza di drenaggio)

Verificare l’opera nei confronti dello stato limite ultimo per scorrimento sul piano di posa (GEO)
e dello stato limite ultimo per ribaltamento (EQU).

Figura 1
NOTE:
Ai fini della verifica SLU di scorrimento si segua l’Approccio 2 del D.M. 2008: amplificando la spinta
sul muro per un coefficiente di sicurezza parziale sulle azioni F= G1=1.3, mantenendo inalterato il
valore del peso proprio (azione favorevole, F= G1=1) nel calcolo della resistenza e riducendo la
resistenza allo scorrimento attraverso un coefficiente di sicurezza parziale R=1.1. Si assumano
invariati i parametri dei materiali ( M=1). Ai fini della verifica SLU di ribaltamento si amplifichino le
azioni instabilizzanti di un coefficiente parziale G1=1.1 (azione sfavorevole) e si riducano le azioni
stabilizzanti moltiplicandole per G1=0.9 (azione favorevole). Inoltre, per il calcolo della spinta si
riducano i parametri dei materiali (tangente dell’angolo d’attrito) attraverso il coefficiente M=
=1.25.
La teoria relativa alla spinte delle terre per verificare ai sensi della norma due opere: un muro di
sostegno che vediamo disegnato nella figura 1 che sostiene un terrapieno di altezza 3 metri + 40
cm di soletta di base. In realtà è un muro a mensola che si comporta come opera di sostegno
perchè il terreno che grava sulla parte posteriore della soletta va a stabilizzare il muro con il suo
peso rispetto al meccanismo di ribaltamento intorno a punto C (piede del muro). Quindi l’opera a
cui far riferimento è il muro in cls più il terreno: la parete su cui andiamo a calcolare la spinta è una
parete virtuale che va dal punto B al punto A lungo la verticale BA all’interno del terreno. Finchè le
famiglie di rottura ovvero le combinazioni di spinta attiva (inclinate a 45° - φ/2 rispetto la verticale
secondo Rankine) non intercettano lo stelo del muro possiamo ritenere che questo meccanismo
funziona cosa che avviene nel nostro caso; infatti siamo legitimati ad adottare soluzioni
semplificate in particolare utilizziamo la spinta attiva e spinta passiva da Rankine con maggior
rilievo alla prima che interessa il muro, considerano assente le tensioni tangeziali lungo
l’interfaccia muro-terreno; in questo caso infatti essa risulta tutta all’interno del terreno proprio
perchè consideriamo questa parete virtuale e l’interfaccia tra terreno e parete risulta tutta essere
all’interno del volume di sostegno posto posteriormente al muro. Noi dobbiamo calcolare la spinta
delle tensioni orizzontali che agiscono su questa parete verticale che integrate con le tensioni di
spinta orizzontale ovvero di spinta attiva (rottura a monte del muro) e integrate lungo la verticale
ci danno la spinta Sa che è = ½ γ ka h^2 (con h nel nostro caso --> 3m + 40 cm = 3,40 m).
Nell’esercizio (dati di riferimento (γ SAT,k=19 kN/m3; φ ’k=35°, c’k=0)) ci viene chiesto di valutare
che succede se ci troviamo in terreno incoerente in presenza di un opportuno sistema di drenaggio
in grado di annullare la spinta dell’acqua ovvero se ci troviamo in condizione in cui per effetto di
un difetto di funzionamento questo sistema di drenaggio viene occluso bloccando di fatto l’effetto
benefico stesso del drenaggio e avremo quindi la presenza di acqua che non può defluire a valle.
Se ci troviamo in una di queste due condizioni dobbiamo andare a fare due verifiche (in realtà
sono tre ma nell’esercizio ce ne chiede solo 2) sul muro di sostegno: la verifica allo SLU per
scorrimento sul piano di posa (cioè per effetto di questa spinta orizzontale il muro tenderà a
scorrere da destra verso sinistra; ciò che gli impedisce questo scivolamento è l’attrito che si
sviluppa sulla superficie CA alla base del piano di posa che è in funzione del peso proprio e del
coefficiente di attrito all’interfaccia tra terreno e muro). Finchè la resistenza di progetto è
maggiore della spinta attiva avremo una verifica soddisfatta allo scorrimento.
L’altra verifica è di equilibrio di corpo solido; ovvero intorno al punto C il muro può ribaltare per
effetto della spinta, che crea alla base del muro un momento antiorario che dev’essere equilibrato
da un momento orario che si crea per effetto del peso proprio del terreno; finchè ciò succede la
verifica per ribaltamento è soddisfatta.
La terza verifica che andrebbe fatta ma che l’esercizio non ci chiede è la verifica a carico limite che
non facciamo in quanto questo muro che possiamo considerare a tutti gli effetti come una
fondazione di pianta pari a CA sollecitata da un carico inclinato in quanto abbiamo una
componente orizzontale e il peso proprio ed inoltre c’è la formazione di un momento ribaltante
dato dalla forza di spinta per il braccio.
Noi facciamo solo le prime due utilizzando l’approccio 2 che ci conviene in quanto più semplice e
breve in quanto caratterizzato da una sola verifica e si procede amplificando le azioni di un
coefficiente γg=1.3 per azioni permanenti e sfavorevoli (nel nostro caso le spinte); mentre il peso
proprio del terreno e del cls vengono nel calcolo della resistenza lungo il piano di scorrimento
siccome sono azioni favorevoli e moltiplicate per un γg=1 in quanto utili ad incrementare l’attrito
sul piano di posa. Ed infine la resistenza a scorrimento che calcoliamo per attrito viene ridotta con
un coefficiente γr complessivo pari a 1.1 ottenendo così la resistenza di progetto.
Poichè nella verifica incrementiamo le azioni i materiali restano invariati e quindi l’angolo di attrito
non viene penalizzato quindi assumiamo γφ=1.
Per quanto riguarda invece la verifica a ribaltamento la normativa prevede un set di coefficienti di
sicurezza parziali: in particolare prevede che le azioni sfavorevoli instabilizzanti vengono
amplificate di 1.1 mentre le azioni stabilizzanti vengono ridotte moltiplicate per 0.9 e che i
parametri caratteristici dei materiali vengano ridotti utilizzando il fattore
γφ= 1.25 / tang angolo d’attrito.
Passiamo a svolgere l’esercizio: proprio il fatto che il muro contenga un terrapieno messo in opera
da noi ci permette di mette in opera un drenaggio in particolare il filtro inclinato con inclinazione
superiori alla superfici di rottura in spinta attiva (linea tratto punto). Se il dreno è più inclinato di
questa linea tutto il volume che spinge sul muro è drenato quindi possiamo considerare che il
dreno è efficace. Per effetto del moto di filtrazione che è diretto verso il basso, le isopieziche che
sono tutte orizzontali e quindi se u= 0 sarà uguale a 0 in ogni isopiezica. Quindi vuol dire che la
pressione neutra pure essendo il terreno saturo d’acqua perchè attraversato da un moto di
filtrazione dall’altro verso il basso avrà una spinta attiva che coinciderà con la spinta attiva efficace
essendo sw=0 che calcoleremo non usando γ’ ma γsat proprio perchè tutto il terreno saturo spinge
sul muro: avremo infatti che sa=sa’ = .

PRIMO FOGLIO EXCEL


Partiamo dai dati

E andiamo a calcolarci la tangente dell’angolo d’attrito che sarà pari a tangente di γk=19 -->0.70.
Vediamo subito che per M1 l’angolo resta invariato mentre per M2 viene ridotto dividendo il γ per
1.25. Questi angoli d’attrito ci servono per calcolarci la spinta e nella verifica a scorrimento e la
resistenza sul piano di posa.
La spinta la calcoliamo con il ka pari a (formula di Rankine)= 1-sen φ / 1+ sen φ; nel nostro caso
0.27 per M1 e 0.34 per M2 (notiamo che ad una diminuzione di φ corrisponde un aumento di ka in
quanto aumenta la spinta sul muro poichè il terreno resiste meno. Inoltre abbiamo già
automaticamente calcolato il braccio della spinta rispetto al piano di posa utile per l’equilibrio alla
rotazione (instabilizzante) rispetto al punto C (1.13 m ovvero 173 dell’altezza totale).

Andiamo a calcolare ora la spinta che con terreno completamente efficiente è:


moltiplicando però anche un ulteriore coefficiente amplificativo pari 1.3.

Ora procediamo andando a identificare gli effetti sulle azioni che sarà porprio pari alla spinta che
abbiamo calcolato in quanto utilizziamo l’approccio 2 (percorso arancione). Dobbiamo trovare la
resistenza che è pari al peso del muro (cls + terreno) moltiplicato alla tangenze dell’angolo
d’attrito. Dividiamo il muro i 4 aree: 1 porzione di terreno che grava sul muro, 2 porzione dello
stelo con forma rettangolare, 3 complemento triangolare e 4 la base e andiamo a moltiplicarle per
i relativi pesi propri (rispettivamente terreno e cls).
Abbiamo ottenuto il peso totale (99,4 kN/m; usiamo questa unità di misura perchè stiamo
calcolando tutto ad un metro di profondità). La resistenza sarà data dal peso del terreno
moltiplicato per la tang dell’angolo d’attrito corrispondente a M1= 0.70. Abbiamo quindi che la
verifica è soddisfatta in quanto Rd > Ed.
Facciamo adesso la verifica a ribaltamento: in questa verifica il terreno non compare perchè
consideriamo il muro come un corpo rigido ma compare comunque però nel calcolo della spinta.
Le azioni sono la spinta di senso antiorario e la risultante delle forze verticali 1-2-3-4 ciascuna
moltiplicata per il suo braccio che ci creeranno ciascuno un momento; la somma di tali momenti ci
darà il momento complessivo. La spinta nella verifica del ribaltamento risulta essere sfavorevole
che per il set di parametri EQU viene moltiplicata per 1.1 diversa da quella di prima ovvero:
senza motiplicare ancora il coefficiente 1.1 che farò dopo quando trovo il momento
ribaltante. Il momento ribaltante corrispondente al complessivo sarà pari al peso di ogni area
moltiplicata per il relativo braccio (distanza dal punto C): rispettivamente del braccio i valori 1,3;
0,675; 0,5; 0,9.
Il momento totale sarà pari a 105,8 kNm/m. Abbiamo la spinta del momento che da luogo ad un
momento stabilizzante pari proprio al momento stabilizzante Ms pari al momento totale per 0.9
quindi 95.3. Il momento ribaltante Mr è invece pari alla spinta per il braccio che è 1/3 della spinta
(1.13 rispetto al punto C) motiplicato per il coefficiente 1.1 ottenendo un valore di 47 kNm/m che
si confronta con la resistenza pari a 95 e quindi siamo ampiamente in condizione di sicurezza.

Vediamo cosa succede quando il dreno si occlude e quindi l’acqua risale in condizione idrostatica a
monte del muro. Partiamo sempre da:

In questo caso la spinta è data dalla spinta efficace S’a (calcolata con il γ’ che assumiamo pari a 10
e facendo 19 – 10 =9) + la spinta dell’acqua. La tangente dell’angolo d’attrito non è cambiata, il
braccio è lo stesso; comparirà anche la spita idrostatica dell’acuqa cratterizata dallo stesso braccio
bw= 1.13. Notiamo che la spinta efficace da 38.7 diventa 18.3 quindi si è abbattuta la spinta
efficace del terreno (ciò perchè al posto di 19 abbiamo messo 9 ovvero la riduzione del peso
dell’unità di volume da quello saturo a quello alleggerito) cui dobbiamo sommare la spinta
dell’acqua (pari a ½ * γsat * H^2 con γ=10; tutto da moltiplicare per il coefficiente della norma pari
a 1.3 in quanto condizione sfavorevole) ottenendo una spinta complessiva di 18.3 + 75.1 che è la
spinta dell’acqua con un totale di 93.5. La resitenza è uguale al caso precedente e quindi la
verifica dal confronto risulta non soddifatta.
Vediamo cosa succede nel ribaltamento:

Rispetto a prima sono cambiate le spinte; infatti non abbiamo più un solo valore ma 2 (S’h,d e
Sw,d). Il momento ribaltante sarà = (S’ h,d * b + Sw,d * b)* 1.1; ovvero la somma della spinta dello
scheletro solido moltiplicato per il braccio (1,13) + la spinta dell’acqua per l’altro braccio (1.3) il
tutto moltiplicato per il coefficiente 1.1. Il momento stabilizzante è pari al momento complessivo
moltiplicato per il coefficiente 0.9. Otteniamo quindi che la resistenza è > dell’effetto anche se con
margine molto più basso. Non essendo soddisfatta la verifica l’opera non è stata progettata
correttamente nella condizione di occlusione nel dreno.

La seconda parte dell’esercizio ora:

Vogliamo determinare la lunghezza di fissione della parete, ovvero il tratto in figura non quotato,
con questa paratia caricata da una forza puntuale applicata a 1.50 m ovvero nel punto A esercitata
in realtà da un tirante posizionato nel terreno in grado di garantire quella forza di tiro. Non ci sono
azoni variabili nel nostro esercizio perchè l’unica azione in gioco è la spinta attiva del terreno che
viene amplificata di 1.0 (se ci fosse stato un sovraccarico sul terreno a monte quello sarebbe stato
amplificato di 1.3). La spinta stessa viene calcolata secondo parametri ridotti con γφ=1,25. In
questa verifica sappiamo che a valle l’equilibrio è garantito dalla formazione a valle di una spinta
passiva e dall’effetto del tirante.

Siamo in presenza di una paratia punzonata in assenza di falda di cui questo sopra riportato è lo
schema di riferimento: dobbiamo calcolare ϭa ovvero la distribuzione di spinta attiva a monte; una
distribuzione di spinta passiva a valle ϭp; fare l’equilibrio intorno ad un punto in cui è applica la
forza del tirante da cui otteniamo la profondità di infissione i.
Dall’equilibrio alla traslazione, ovvero spinta attiva meno spinta passiva otteniamo proprio la forza
Fh applicata o meglio la forza che il tirante dev’essere in grado di esercitare.

Nel terzo foglio excel cominciamo a riportarci i parametri:

Nel caso della paratia non appare l’approccio 2 in quanto esso si può usare solo per fondazioni e
muri e non per le paratie.
I coefficienti di sicurezza sono questi riportati:

La tangente dell’angolo d’attrito ridotta dividendo 0.67 per 1.25 che ci dà l’angolo d’attrito ridotto
28 che ci fornisce il coefficiente di spinta attiva incrementato (ka,d) e il coefficiente di spinta
passiva ridotto (kp,d); incrementi e decrementi rispetto all’approccio 1 combinazione 1 in grigio:

L’equilibrio l’otteniamo scrivendo le spinte e moltiplicando per i relativi bracci:

ovvero Sa,d * ba + Sp,b * bp dev’essere = 0 con i bracci misurati dal punto in cui è applicato il tiro.
Questa geometria però è funzione anche della stessa profondità d’infissione infatti variando i
cambiano sia le spinte che i bracci; quindi partiamo ipotizzando un valore di i pari a 2 metri e
scriviamo il valore dei due bracci che sono pari rispettivamente a:
ba= 2/3 * (H + i) – a bp= 2/3 * (i + H) – a
otteniamo così i bracci e andiamo a calcolarci la spinta attiva e passiva:
Sa,d = ½ * ka,d * γk * (H + i)^2 Sp,d = ½ * kp,d * γk * i^2
L’equilibrio non risulterà pari a 0 e quindi andiamo ad imporre che il risultato sia 0 ed in funzione
di ciò ci troviamo il valore di i e di conseguenza il valore dei bracci e delle spinte. Quindi l’equilibrio
alla rotazione sarà così garantito e otteniamo anche il valore del tiro qui calcolato sarà dato
proprio da spinta attiva meno spinta passiva ottenendo proprio quanto dev’essere la componente
orizzontale di tiro affinchè l’equilibrio sia garantito.
NB abbiamo risolto l’esercizio con l’approccio 1 della comb 2 che se soddisfatto ai sensi della
norma ci permette di non calcolarci l’esercizio con l’approccio 1 con comb 1 in quanto uscirebbe
un valore minore di i che non garantirebbe l’equilibrio nella comb 2.

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