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BIOLOGIA 2
EUBATTERI
Gli eubatteri sono degli aploidi: hanno un cromosoma principale che è una molecola circolare nell’ordine di
pochi milioni di coppie di basi come moda. Ci sono anche casi in cui è più piccola: i micoplasmi hanno un
cromosoma che è meno di mezzo milione di coppie di basi.
A parte il cromosoma principale, sono presenti elementi accessori che si replicano autonomamente: i
plasmidi. Questi sono un tipico veicolo di geni di resistenza ambientale o, in generale, sono in grado di
conferire un vantaggio selettivo nella crescita ai ceppi che includono questi particolari geni su particolari
plasmidi. I plasmidi, quando sono dotati del giusto “bagaglio genetico” che ne consente il trasferimento,
possono essere passati vettorialmente ad altri batteri non necessariamente della stessa specie e dello stesso
ceppo ma a volte anche trans-specificamente. Sono quindi un veicolo di passaggio di vantaggi selettivi di
qualsiasi genere e, in particolar modo, della resistenza agli antibiotici: un notevole problema per la medicina
moderna perché sono ormai numerosi i ceppi batterici che hanno incorporato così tante resistenze da essere
praticamente resistenti a tutte le principali classi antibatteriche. Il problema è molto grave: uno dei warnings
più seri dell’organizzazione mondiale della sanità per i prossimi decenni è che intorno al 2050 i morti per
infezioni batteriche poliresistenti si prevede che, salvo cambiamenti energici nella produzione di nuove classi
di antibatterici, arriveranno a superare di nuovo quelli per altre cause prevalenti come tumori o malattie
cardiovascolari.
ARCHAEA
Nonostante l’antico raggruppamento li ponga, insieme ad altre forme batteriche, sotto l’unico cappello di
“procariote”, gli Archaea sono cellule completamente distinte geneticamente e biochimicamente. A
dimostrazione che non hanno a che fare con gli Eubatteri citiamo l’assenza di peptidoglicani nella parete:
hanno infatti pareti di composizione varia, alcuni gruppi hanno sviluppato uno pseudo peptidoglicano ma
non è la stessa molecola.
Viceversa si è scoperto che sono largamente somiglianti, per gli aspetti di base, alle cellule eucariotiche.
Infatti:
- Hanno un DNA che forma una specie di cromatina non molto diversa da quella eucariotica.
- Molti dettagli della loro biochimica e genetica sono fortemente somiglianti a quelli degli eucarioti.
In particolare: il macchinario proteico per la sintesi del DNA ed il macchinario proteico dedicato alla
regolazione e trascrizione dei geni. Ad esempio, Archea ed eucarioti condividono una TATA binding
protein che è un elemento di base nel riconoscimento dei promotori, cioè delle sequenze a monte
dei geni che servono per la loro regolazione. Questo vale per gli Archaea e per gli eucarioti ma non
vale per gli Eubatteri i quali utilizzano invece un fattore sigma per guidare l’enzima che deve fare la
trascrizione (RNA-polimerasi) sui promotori batterici.
- Alcuni dettagli importanti del traffico vescicolare delle cellule eucariotiche moderne, come la
presenza di un sistema escrt (da leggersi “escort”), che si ritrova in forma semplificata negli archaea
che hanno un macchinario per la demolizione delle proteine chiamato proteasoma, una versione
semplificata di quello che si ritrova negli eucarioti.
Una stranezza rispetto a questa linea del discorso che ci dice che gli archaea sono parenti nostri è nella
costituzione in fosfolipidi delle membrane: qui c’è uno switch in quanto noi eucarioti ed i batteri veri
(eubatteri) condividiamo, come componente principale delle membrane, dei fosfolipidi che sono fatti come
nell’immagine in basso, che mostra che il fosfolipide di eucarioti ed eubatteri è sostanzialmente identico nella
sua struttura generale. Quindi è una coda alifatica lineare (ombreggiata in grigio) legata, con un ponte estere,
a quello che può essere considerata la piccola “rastrelliera” centrale, cioè il punto di supporto centrale nella
costruzione della molecola (ombreggiata in rosso) che è un glicerolo, il cui terzo gruppo ossidrilico è
impegnato in un legame con la parte idrofilica di testa del fosfolipide rappresentata, nell’immagine, da un
semplice fosfato ma che potrebbe essere più complicata a seconda della particolare specie di fosfolipide.
Se osserviamo la situazione nei fosfolipidi di membrana degli Archaea, viceversa, si vede che la coda è
ramificata (è una coda isoprenica), inoltre il ponte sul glicerolo è fatto da legami etere e non estere. In
aggiunta (e soprattutto) se si guarda alla geometria generale della molecola ci si accorge che la struttura dei
due fosfolipidi comparata non è sovrapponibile ma è speculare: sono esempi di chiralità l’uno rispetto
all’altro. il carbonio asimmetrico presente nelle due molecole mostra una disposizione dei sostituenti che è
speculare e non identica: la versione archeana è levogira, la versione degli eubatteri e degli eucarioti è
destrogira.
Questa stranezza sembra un “divergere ad angolo retto” rispetto all’idea che siamo più simili agli archaea e
viceversa i batteri sono molto distinti geneticamente da noi.
Un altro raggruppamento vasto è quello degli Euryarchaeota che effettivamente include estremofili
iperspecializzati che riescono a crescere in condizioni terribili e quindi ad esempio nei pressi di sorgenti calde
sulfuree (come Yellowstone) oppure vicino alle fumarole nere sottomarine (black smokers).
Quindi gli Archaea ci assomigliano perché probabilmente abbiamo un progenitore comune, poi ci separiamo
e i proto eucarioti alla fine divergono in tutte le forme eucariotiche attuali (gli Eucarya):
- Animali, gruppo singolo omogeneo
- Funghi, variamente suddivisi
- Organismi vegetali, quindi piante e organismi algali più strettamente imparentati alle piante
vascolari
- Protisti, un gruppo in realtà spurio come raggruppamento tassonomico. Sono i vari eucarioti
prevalentemente (ma non esclusivamente) unicellulari.
Quando si può mappare nel tempo la nascita dell’ultimo progenitore noto di tutti gli eucarioti attuali (che
potremmo denominare “LECA”: Last eukaryotic common ancestor)?
circa 1 miliardo e mezzo di anni fa. I primi eucarioti erano probabilmente dei protisti secondo questa
definizione spuria, quindi unicellulari o multicellulari semplici, forse degli anaerobi.
Attualmente i PROTISTI:
- Includono vari raggruppamenti e sottoraggruppamenti;
- Sono degli unicellulari prevalentemente, ma ci sono alcune forme molto studiate di multicellularità;
- Hanno varie modalità di sussistenza, molti sono eterotrofi ma ci sono anche autotrofi (non solo
fotoautotrofi ma anche chemioautotrofi). Molti patogeni importanti per la nostra specie come i
plasmodi e i tripanosomi sono dei protisti.
FUNGHI
I funghi sono il nostro “sister group”, cioè sono i multicellulari e non solo (ci sono anche funghi unicellulari)
più strettamente imparentati con gli animali, mentre lungamente per secoli sono stati ritenuti delle forme
vegetali non fotosintetiche.
Alcuni sono patogeni, ad esempio la candida che abbastanza recentemente è motivo di grande
preoccupazione perché in sedi ospedaliere nel nuovo mondo (Stati Uniti) ci sono specie di candida che si sono
rivelate dei patogeni terribili, difficili da combattere con l'arsenale dei farmaci disponibili.
PIANTE
Sono eucarioti adattati alla capacità di fotosintesi che è legata al fatto che hanno intrappolato come
endosimbionte un cianobatterio in epoca ancestrale. Questo si è progressivamente adattato fino a diventare
un organello obbligato ed incapace di qualunque vita libera. Anche se artificialmente in laboratorio liberato
dal suo contenitore (cioè dalla cellula) e messo in sospensione in soluzione che consente il funzionamento
dal punto di vista biochimico, non sarà capace di moltiplicarsi e tornare a svolgere una vita libera perché ha
perso la gran parte dei geni originali del batterio libero da cui è derivato ancestralmente.
ANIMALI
Hanno le cellule “più noiose” perché, al contrario dei vegetali, non hanno delle pareti (tipicamente le cellule
animali sono prive di pareti più o meno rigide: sono cellule nude). Proprio per questo hanno una caratteristica
particolarmente spiccata, condivisa con alcuni protisti, cioè una mobilità basata su elaborati sistemi di
meccanoenzimi che agiscono all’interno e alla periferia della cellula e ne consentono il movimento. Questa
mobilità è una caratteristica distintiva nelle cellule animali ed è sempre presente in qualche stadio della loro
vita, anche quando sono multicellulari. Può sparire: molti animali si trasformano in organismi sessili per gran
parte della loro esistenza (come i coralli) ma esiste sempre un qualche stadio del ciclo vitale dotato di
mobilità.
Successivamente è arrivato Carl Woese, che ha avuto l’intuizione clamorosa di studiare degli RNA
particolarmente utili da questo punto di vista: gli RNA ribosomiali e, in particolare, l’RNA 16 Svedberg, cioè
la molecola di RNA maggiore contenuto all’interno della subunità minore dei ribosomi di tutte le specie.
Questi RNA hanno la peculiare caratteristica di avere delle zone altamente conservate in certi tratti della loro
struttura ripiegata (praticamente identiche dai batteri fino agli esseri umani) ed altre più variabili e tipiche
dei particolari raggruppamenti di organismi ed altre estremamente variabili tanto da essere diverse da specie
a specie. Per primo si è messo a studiare le differenze tra RNA 16S con un “tour de force” sperimentale
faticosissimo che oggi sarebbe ritenuto semplicemente insensato e pericoloso dal punto di vista dei rischi
fisici perché utilizzava la radioattività (fosforo 32 usato in quantità colossali) per la radio marcatura di cellule
vive; il lavoro prevedeva successivamente uno spezzamento degli RNA isolati con delle nucleasi, quindi un
taglio alla volta e poi un taglio dei frammenti in ulteriori frammenti e con questo tipo di mappatura il suo
gruppo, per la prima volta, è riuscito a sequenziare indirettamente tratti di RNA 16S di molti organismi.
Così facendo quindi si è accorto che la comparazione tra RNA era estremamente efficiente per un sistema di
classificazione basata su dati molecolari trasformabili in numeri incontestabili degli organismi. In particolare
si è accorto dell’esistenza degli archaea come un gruppo separato rispetto ai batteri e decisamente più
somigliante, già sulla base del confronto degli RNA 16Svedberg, con gli eucarioti. Questa è la nascita della
filogenesi molecolare. (Del lascito di Carl Woese se ne parla in un articolo)
- Funghi ed animali sono strettamente imparentati e sono raggruppati negli Opisthokonti. Sono così detti in
quanto organismi che, almeno in qualche tipo cellulare, utilizzano cellule con un singolo flagello posteriore
(“Konti” allude ad una radice greca che significa coda).
Dotati di coda posteriore ad esempio, nei mammiferi, gli spermatozoi maschili hanno un singolo flagello
posteriore che agisce come propulsore da dietro e spinge in avanti la cellula.
- Piante ed alghe verdi e rosse sono un unico grande raggruppamento dal punto di vista evolutivo e sono
chiamati Archaeplastida, alludendo al fatto che condividono una storia evolutiva che è segnata dall’utilizzo
di plastidi, cioè una definizione più ampia rispetto a quella di cloroplasti che include anche delle versioni
derivate con una funzione variata, oppure cloroplasti a loro volta incorporati non direttamente ma come
organismi algali quindi con un livello di simbiosi di secondo ordine. A parte questo però gli Archaeplastida
sono chiamati anche Dikonti (termine più o meno sovrapponibile) perché piante e organismi algali
imparentati hanno, ad esempio, dei gameti maschili che usano come propulsione due flagelli anteriori, quindi
con un meccanismo di trascinamento in avanti e non di spinta da dietro.
Se si fa l’equazione organismi viventi terrestri = organismi cellulari allora i virus, che sono parassiti genetici
degli organismi cellulari (di eubatteri, archaea ed eucarioti) non sono organismi viventi. Sono però delle entità
genetiche comparabili a quelle cellulari.
La loro specificità sta nel fatto che sono dei parassiti obbligati degli organismi cellulari. Anche i virus più
grandi, che in parte addirittura riescono a fabbricare un intero apparato biochimico necessario per la loro
replicazione e trascrizione (ad esempio i pox virus che includono il virus del vaiolo), non sono totalmente
autonomi e hanno bisogno ampiamente di un ospite cellulare in cui insinuarsi e di cui sfruttare l’apparato
biochimico per la propria replicazione.
Esempi di virus:
- Virus dell’influenza: è un virus a RNA con un genoma discontinuo fatto di otto frammenti separati di
RNA
- Virus dell’epatite B: è un piccolissimo virus con un genoma circolare incompleto, cioè i due filamenti
complementari non sono completi e chiusi covalentemente. Fatto da sole 3200 coppie di nucleotidi,
è però un patogeno efficacissimo ed epatotropico, quindi con la capacità di andarsi ad infilare negli
epatociti, infettarli con grande efficienza e generare anche infezioni croniche.
I virus quindi non sono cellule ma parassiti. Formano un impero genetico distinto di uguale importanza e
peso nell’evoluzione degli organismi nella biosfera attuale perché:
- Sono abbondantissimi: se si va sulle rive di uno stagno, si prende un mestolo di acqua limacciosa, lo
trasferisce in una provetta e poi con le tecniche della metagenomica (quindi non più con la tecnica
di Carl Woese) sequenziando tutto il DNA disponibile con tecniche di sequenziamento veloce di
ultima generazione e poi ricostruendo al computer la presenza di tutte le specie identificabili (virali
o cellulari) ci si accorge che le singole particelle virali presenti sono in media un logaritmo circa 10
volte più numerose rispetto alle singole cellule presenti.
- Esprimono attualmente (ma presumibilmente da sempre) un’estrema varietà dal punto di vista
genetico e biochimico. Anzitutto, il loro materiale ereditario è molto più vario rispetto a quella
cellulare. Tutte le cellule attuali hanno genomi di DNA; invece i virus sono ancora prevalentemente
con genomi a RNA. Esistono anche virus grandi e piccoli con un genoma a DNA.
- Inoltre, il genoma può avere forme fisiche diverse: una singola molecola circolare a singolo filamento
oppure una serie di frammenti (anche numerosi) che possono essere a singola o a doppia elica. Ci
sono quindi virus a RNA a doppia elica.
Attenzione: il coronavirus non è un virus a RNA a doppia elica ma un virus a RNA a filamento positivo,
cioè un virus in cui l’RNA che codifica direttamente le proteine virali è anche quello che si ritrova
come genoma all’interno della singola particella virale. Contiene circa 30.000 nucleotidi: è quindi un
singolo filamento molto grande.
A doppia elica sono ad esempio i Rotavirus, che sono una causa frequentissima di infezioni
gastrointestinali soprattutto nella prima infanzia, quindi sono dei patogeni umani ben noti in ambito
pediatrico. Ci sono alcuni virus (come questi) che sono dei reovirus che infettano molti tipi di
organismi diversi. Quindi ci sono virus a doppia elica per animali, vegetali, funghi e addirittura i
batteri.
- Oltre a questa estrema variabilità nella natura del materiale ereditario, mostrano sempre un
contenuto in geni unici non di origine cellulare. Da dove arrivano questi geni se non sono stati
piratati durante il lungo connubio tra virus e cellule ospiti durato miliardi di anni nell’evoluzione
terrestre? Fa pensare che questi geni unici se li siano fabbricati da soli e quindi rimanda all’idea che
i virus siano così antichi da essersi manifestati come elementi parassitari nel mondo pre-cellulare
quando, alla pari con frammenti genomici contenuti ad esempio nelle cellette minerali, questi
elementi parassitari si siano comportati come dei traditori: hanno cessati di collaborare con la
collettività dei frammenti genomici utili per far evolvere una singola celletta come cellula funzionante
trasformandosi in elementi parassitari. Questa caratteristica è rimasta e si è coevoluta con gli
organismi cellulari man mano che questi si sono trasformati nelle entità che conosciamo
attualmente. Il fatto di avere geni unici punta a quello: questi geni derivano da caratteristiche
ancestrali che si sono sviluppate nei virus fino dai primi tempi dell’evoluzione degli organismi viventi
terrestri.
- I virus, al pari di altri elementi genetici mobili come i plasmidi, sono una causa fondamentale di
trasferimento genico orizzontale (HGT, horizontal gene transfer): quando il virus penetra in una
cellula è in grado di inglobare parte del DNA della cellula in cui è entrato e poi di trasferirlo in altre
cellule e questo favorisce il rimescolamento genetico. È giusto parlare di DNA ma le cose possono
anche più complicate. Ad esempio, i retrovirus (se pensiamo agli eucarioti, ai mammiferi o all’uomo
in particolare) sono un tipico elemento che può fungere da veicolo per il HGT perché si integrano nel
genoma cellulare come provirus a doppio filamento di DNA, ma alla fine il genoma virale si
ritrasforma in un singolo filamento di RNA. Quindi, il veicolo del trasferimento è temporaneamente
una molecola di RNA, ma al ciclo infettivo successivo viene riconvertito di nuovo in un provirus
integrato e quindi in grado di reinserire in un punto, più o meno casuale della nuova cellula ospite,
anche un frammento che sia stato piratato dal virus in questo passaggio. Così funzionano anche molti
virus integrativi batterici. In effetti il trasferimento genico orizzontale è decisamente più vivace nel
mondo procariotico rispetto a quello eucariotico, per quanto sia stato comunque perfettamente
dimostrato anche negli eucarioti. Per esempio (non molti anni fa) si è capito come gli organismi
vegetali algali abbiano potuto trasformarsi alla fine in piante vascolari. Organismi algali unicellulari,
che hanno cominciato a colonizzare le terre emerse all’inizio del percorso di evoluzione delle piante,
sono entrati in possesso di geni batterici che hanno consentito loro di sussistere in condizioni di
disidratazione molto più spinta rispetto a quella a cui erano abituati come organismi cellulari viventi
completamente immersi in acqua.
Quindi ci sono molti esempi di trasferimento genico orizzontale anche negli eucarioti, come tra
batteri ed eucarioti, ma sicuramente il fatto è molto più vivace nel mondo dei procarioti quindi fra
batteri e batteri, tra batteri ed Archaea.
Nell’immagine troviamo LUCA e poi uno sviluppo che diverge nel progenitore di
tutti i batteri moderni ed eubatteri e dall’altra parte la biforcazione che porta agli
archaea e agli eucarioti attuali con il progenitore comune di entrambi.
Ma se esiste il HGT questo schema è falso: bisogna accettare che ci sia una ramificazione di base che resta
quella rappresentata nell’immagine, ma anche dar conto del fatto che ci sono stati (e continuano ad esserci)
continui scambi parziali di materiale genetico tra specie e specie.
Ad esempio, citiamo gli Archaea come esempi di estremofili: alcuni lo sono e in particolare sono dei termofili.
Ci si è accorti che tutti i termofili batterici (sia Eubatteri che Archaea) hanno un gene fondamentale che
consente loro di avere un DNA stabile come doppia elica alle temperature estreme scelte come nicchia per
la sussistenza da questa specie. È un enzima chiamato Girasi inversa, che fa qualcosa di anomalo rispetto a
tutti gli altri organismi cellulari, cioè crea un forte superavvolgimento positivo nel DNA di queste specie
aiutando il DNA a rimanere appaiato nei due filamenti strettamente legati base contro base, cosa che avrebbe
difficoltà a fare in assenza di questo superavvolgimento. Questo enzima è probabilmente codificato da un
gene di derivazione eubatterica che si è sparso sostanzialmente con trasferimento genico orizzontale a tutte
le specie che hanno saputo evolversi come termofili. Quindi, tutte le specie procariotiche eubatteriche e
archeane che hanno saputo svilupparsi come termofili, lo hanno fatto grazie all’acquisizione di un gene
ancestrale essenziale che è la girasi inversa.
Questo “sporca” la rappresentazione dell’albero della vita che bisogna immaginare come un reticolo di
parziali passaggi e trasferimenti da specie a specie che oggettivamente complicano l’interpretazione. Anche
al meglio delle capacità di studio bio-informatico dei genomi che abbiamo attualmente a disposizione, il HGT
può essere spesso una fonte (certa o sospettata) di complicazioni nell’interpretazione dell’albero della vita e
delle relazioni evolutive tra i vari organismi
I virus sono un raggruppamento geneticamente del tutto distinto rispetto a quello degli organismi cellulari?
In realtà è una generalizzazione sostanzialmente falsa e per capirlo si può guardare il genoma umano:
Questa è una rappresentazione ad istogramma e non una mappa fisica che dimostra che il genoma umano è
un’unica molecola lineare: sono semplicemente delle percentuali di tipi di sequenze distinte presenti
estremamente sparse nel genoma fisico in vari punti del genoma.
Analizzando il genoma:
Segmento rosso: nell’estremo destro troviamo che meno del 2% del genoma totale umano è rappresentato
da sequenze codificanti, cioè da tratti che sono interpretabili come una successione di triplette nucleotidiche
che codificano per amminoacidi di una particolare proteina. Quindi le porzioni dei geni eucariotici e umani
che codificano per proteine sono meno del 2% del totale del genoma umano.
Segmento rosa: i geni umani, come quelli della maggior parte degli eucarioti, sono largamente interrotti da
sequenze chiamate introni nelle loro parti codificanti. Questi introni sono in media molto più lunghi (circa 10
volte) rispetto agli esoni, cioè i tratti codificanti.
Se si includono anche gli introni che si interpongono in moltissimi punti all’interno dei singoli geni e li
allungano fisicamente, allora la parte complessivamente occupata da geni nel nostro genoma è poco più del
20%.
Segmento verde scuro: una parte più ampia rispetto al tratto dei geni è rappresentata da sequenze uniche
non ripetitive che non sono codificanti, non contengono geni. Molte di queste hanno una funzione ignota,
alcune sono interpretabili come regioni regolative per il funzionamento dei geni oppure come ragioni
necessarie per il posizionamento fisico dei cromosomi in particolari aree del nucleo. Quindi hanno spesso
funzioni regolative e insieme ai due segmenti appena analizzati rappresenta circa il 50% del genoma umano
Segmento giallo: c’è ancora una quota di sequenze ripetitive che sono in parte delle duplicazioni segmentali
che possono includere geni. Quindi la rappresentazione è un po’ complicata perché parte del tratto giallo
dovrebbe trovarsi nell’estrema destra dell'istogramma, perché alcune sequenze duplicate sono in effetti
sequenze codificanti.
Segmento viola: sono ripetizioni che in certi tratti dei cromosomi umani sono numerosissime ma essendo
fatte da sequenze estremamente brevi (due o tre nucleotidi oppure 10-12 nucleotidi) occupano uno spazio
limitato rispetto al totale.
Dal grigio all’estrema sinistra, quindi più del 40% totale del nostro genoma, è rappresentato da elementi
parassitari di vario tipo:
Segmento arancione: è una quota che nel nostro genoma (ma non è così in tutti gli organismi eucariotici) è
piccola e fatta solo da elementi fossili, cioè non più capaci di movimenti, ed è data dai trasposoni a DNA.
Questi, per comparazione, sono gli elementi parassitari più abbondanti nel genoma degli insetti, ad esempio
nella Drosophila Melanogaster. Nella linea dei mammiferi invece risultano estremamente ridotti e nel nostro
genoma attualmente non c’è neanche un trasposone a DNA che sia vivo cioè ancora sufficientemente non
mutato da essere capace di nuovi eventi di trasposizione.
Segmento grigio: poco meno del 10% del nostro genoma è rappresentato dai retrovirus endogeni. Sono
provirus integrati (cioè retrovirus in forma di cDNA. di DNA copia a doppio filamento) in punti più o meno
casuali del genoma ancestralmente. Molti di questi elementi sono fossili, cioè una serie di mutazioni
successive fanno sì che non siano più in grado di funzionare come doveva succedere originariamente, sono
semplicemente lì presenti fisicamente. In quota minore però sono ancora “vivi”: sono integri geneticamente
e capaci di completare un intero ciclo infettivo. Quindi non solo vengono trascritti nei loro RNA ma questi
RNA alla fine possono ritrovarsi incorporati come RNA genomico all’interno di una particella virale che si
libera dalle nostre cellule. Ad esempio, può succedere nella linea germinale in particolare nel liquido seminale
maschile dove al microscopio elettronico saltuariamente è possibile osservare delle particelle di retrovirus
endogeni che si sono liberate e che sono pronte anche a infettare in quella sede particolarmente favorevole
per la trasmissione da individuo ad individuo. Quindi noi siamo fatti anche di virus.
Segmenti marrone scuro e verde: una quota larghissima del nostro genoma è coperta da LINEs e SINEs, dove
“L” ed “S” nell’acronimo stanno per “Long” e “Short” e la parte comune sta per “interspersed nuclear
elements” (elementi nucleari polidispersi). Si tratta di sequenze brevi o più lunghe di trasposoni di tipo retro,
quindi dei retroposoni che hanno un ciclo di funzionamento non dissimile da quello dei retrovirus. Infatti, dal
loro punto di integrazione vengono trascritti in un RNA che poi può essere convertito in un cDNA che si va ad
integrare in un nuovo punto del genoma.
Come è possibile che le nostre cellule addirittura in un organismo multicellulare complesso possano
sostenere il carico di una quota di quasi il 50% di elementi trasponibili nel proprio genoma e riuscire a
funzionare comunque? Non siamo continuamente distrutti nel nostro genoma da questi elementi di
trasposizione?
Ci sono dei sistemi in grado di reprimere o gli spostamenti o comunque delle modificazioni all’interno del
DNA. Quindi si osserva questa quota larghissima di elementi parassitari che si sono insinuati nel nostro
genoma in tempi successivi nell’evoluzione (non solo nell’uomo naturalmente in quanto sono un retaggio di
tutto il percorso evolutivo precedente degli antenati della nostra specie).
Nel tempo tutti gli organismi che hanno a che fare con elementi parassitari di questo genere sviluppano dei
meccanismi di resistenza intracellulare, in particolare nei mammiferi agiscono dei meccanismi di repressione
che si basano in particolare sulla metilazione. Questi elementi trasponibili condividono tutti delle sequenze
che servono per guidare la trascrizione del loro DNA integrato e quindi la perpetuazione del meccanismo di
trasposizione. Le cellule hanno sviluppato dei meccanismi di ipermetilazione dei promotori potenziatori delle
sequenze regolative per la trascrizione di questi elementi e li mantengono permanentemente repressi.
Ogni tanto qualcuno di questi elementi è ancora capace di un evento di trasposizione completo e può
provocare dei danni. Ci sono casi di malattie ereditarie studiate nell’uomo in cui ci si è accorti che in alcune
famiglie (non in tutte) con una particolare malattia ereditaria la mutazione causativa della malattia ereditaria
è stata una trasposizione recente di un trasposone.
Quindi siamo fatti largamente di elementi parassitari nel nostro genoma che come sempre, visto che
“l’evoluzione non è un ingegnere” come diceva Francois Jacob (un grande biologo del 900) ma un
“bricolatore”, sono stati poi riutilizzati per scopi utili per la cellula.
Ad esempio, molti elementi regolativi in geni cellulari sono presumibilmente o dimostrabilmente, a seconda
del gene, di derivazione retrovirale.
Inoltre, se guardiamo a noi mammiferi placentati la placenta ne è un esempio. Nella placenta, la zona di
contatto tra la parete uterina della madre e la placenta è rappresentata da uno strato di sinciziotrofoblasti,
cioè di trofoblasti che durante lo sviluppo si differenziano in uno strato di cellule che fondono fra loro a
generare un sincizio in cui un unico corpo cellulare gigante include moltissimi nuclei delle cellule originali. Il
processo di fusione richiede delle proteine di fusione esposte sulla superficie di questi trofoblasti che devono
fondere fra loro. Queste proteine si chiamano sincitine e ci si è accorti di due cose clamorose:
- La prima, che è la più rilevante per il nostro discorso, è che queste sincitine sono in realtà derivate
da geni di origine retrovirale: “rubate” a retrovirus endogeni presenti nel genoma dei mammiferi.
Originariamente questi geni retrovirali erano le proteine di superficie del virus, cioè quelle deputate
a far fondere la particella virale (che ha un involucro lipidico nel caso dei retrovirus) con la membrana
della cellula ospite da infettare. Questa capacità fusogena è stata dirottata su una funzione utile
all’organismo, cioè la fusione cellula-cellula come si dice in virologia “fusion from within” (fusione da
dentro). Cellule che si fondono con cellule, cosa che può essere scatenata anche da infezioni virali
come è facile osservare in laboratorio quando si infettano pesantemente delle cellule ma, in questo
caso, il meccanismo è stato convertito in qualcosa di utile per il nostro organismo
- Le sincitine sono diverse per i vari tipi di mammiferi
I PORI NUCLEARI
I pori nucleari hanno una struttura complessa e sono canali
proteici estremamente elaborati che creano dei punti di
passaggio privilegiati fra l’interno e l’esterno del nucleo.
Questi canali non sono attraversati liberamente per libera
diffusione dalle proteine o dai complessi di acidi nucleici e
proteine, ma sono passaggi altamente regolati e controllati
che richiedono uno scambio di messaggi molecolari.
MITOCONDRI
Un aspetto fondamentale del funzionamento delle cellule
eucariotiche è la presenza di organelli endosimbionti, i
mitocondri, i quali ricoprono diverse funzioni tra cui:
! Produzione di ATP (la principale)
! Accumulo di ioni calcio
! Sintesi di ormoni steroidei
! Metabolismo dei lipidi
! Apoptosi
Sono formati da una membrana mitocondriale esterna, una membrana mitocondriale interna ripiegata
a formare le creste e il contenuto centrale del mitocondrio è la matrice che è a tutti gli effetti
l’equivalente di un citoplasma batterico perché il mitocondrio era ed è in un certo modo ancora un
batterio: esso infatti contiene un suo genoma mitocondriale e un completo apparato biochimico per la
replicazione, trascrizione e traduzione del DNA mitocondriale: sono quindi dotati di DNA-polimerasi
mitocondriale per la replicazione del DNA, di RNA-polimerasi mitocondriale di derivazione fagica per la
trascrizione, di ribosomi mitocondriali che hanno dimensioni e composizione tipiche di una cellula
batterica libera e sono quindi più piccoli di quelli presenti nel citoplasma della cellula.
TEORIA ENDOSIMBIONTICA
Tutte queste caratteristiche di tipo batterico sono legate al fatto che il mitocondrio era un batterio.
Questo può essere avvenuto in una cellula nucleata o più probabilmente quando il nucleo ancora non
esisteva perché potrebbe essere stato l’ingresso dei mitocondri nella cellula a scatenare il problema
degli introni e dello splicing.
Nell’eucariote più antico, che probabilmente era una cellula anaerobia o microaerofila, entra il
progenitore degli attuali mitocondri che non viene digerito né determina viceversa la morte della cellula,
immaginando che questo ingresso non sia stato per una fagocitosi a fine alimentare, ma più
probabilmente un ingresso infettivo da parte della
cellula infettante che entra nella cellula eucariotica
per nutrirsene.
Invece si stabilisce un rapporto mutualistico che fa
si che man mano la cellula che si è infiltrata nel
protoeucariote perda il proprio materiale genetico
che non viene eliminato ma passa nel genoma
principale della cellula ospite. A questo punto la
cellula che si è infilata nella cellula protoeucariotica
si moltiplica all’interno della cellula ospite e per
questo non abbiamo un singolo mitocondrio per
cellula ma molti mitocondri per cellula, spesso
anche centinaia a seconda del tipo cellulare
considerato.
Questa ipotesi si basa sul fatto che i mitocondri contengono DNA, scoperta avvenuta grazie all’avvento
delle tecnologie molecolari, e con le tecniche introdotte da Woese si è arrivati addirittura a chiedersi
quali sono le relazioni evolutive fra il mitocondrio e cellule batteriche libere. Concentrandosi sugli rRNA
16S si è potuta ricostruire una filogenesi che mostra in particolare una radice comune fra i mitocondri e
le Rickettsiales, degli α-proteobatteri che tutt’oggi sono molto piccoli e sono agenti infettanti di cellule
eucariotiche (sono la causa di infezioni trasmesse ad esempio da zecche negli esseri umani). Nell’uomo
il DNA mitocondriale, che è una struttura circolare di circa 16700 nucleotidi, contiene 37 geni di cui solo
13 codificano proteine altamente idrofobiche montate dall’interno del mitocondrio dalla matrice nella
membrana mitocondriale interna e fanno parte dei complessi della catena di trasporto degli elettroni,
mentre gli altri 24 codificano per elementi necessari per l’apparato biochimico interno della matrice,
quindi rRNA e tRNA.
L’immagine illustra l’organizzazione dei complessi della catena di trasporto degli elettroni che
alimentano il meccanismo orizzontale sulla membrana mitocondriale interna che, grazie a tutto ciò che
avviene a monte biochimicamente (ciclo di Krebs o dell’acido citrico), genera un evento di suzione di
protoni dall’interno della matrice verso l’esterno andando a generare un gradiente protonico, quindi
elettrico e di concentrazione che viene sfruttato per lasciar rientrare i protoni secondariamente in una
turbina molecolare che è l’ATP sintetasi che con questo flusso protonico ruota su se stessa e monta
fisicamente le molecole di ADP con un fosfato generando continuamente molecole di ATP che poi viene
rapidamente riesportato dal mitocondrio nel citoplasma per servire tutte le funzioni della cellula.
Questa generazione di un gradiente protonico è un
problema perché genera una differenza di potenziale
elettrico a cavallo della membrana mitocondriale
interna, che ha uno spessore di circa 5 nm, che è
elevatissimo (portando l’unita di misura al metro
sarebbe un potenziale di circa 30.000 V).
Un gradiente del genere può essere gestito solo da una
membrana di una struttura cellulare piccola con un alto
raggio di curvatura, come avviene nei mitocondri e nei
batteri liberi da cui i mitocondri derivano.
Esiste un’ipotesi che ragiona però sul “nulla”, nel senso
che non si sa se in linea di principio fosse possibile,
secondo cui Il proeucariote antico anaerobio non ha
utilizzato lui stesso attraverso il trasferimento genico
orizzontale un meccanismo del genere alla propria
periferia cellulare perché avrebbe richiesto di
mantenere delle dimensioni molto minori di quelle della
cellula eucariotica attuale. Viceversa, con questo
sistema di appropriarsi di una cellula convertita
progressivamente in un endosimbionte obbligato, la
cellula eucariotica può crescere e lasciar moltiplicare al
suo interno l’endosimbionte, ha una fonte abbondante
di fabbricazione di ATP e nel contempo può arrivare ad
avere una membrana estesa che altrimenti sarebbe
incompatibile con una gestione diretta alla periferia
della cellula di un gradiente elettrico così intenso che
porterebbe all’annichilamento della cellula per
elettrocuzione. Con questo sistema la cellula può
diventare molto grande ed energivora, cioè capace di
movimenti che consumano enormi quantità di energia
chimica. Le notevoli dimensioni che può raggiungere la
cellula possono sostenere un’abbondantissima sintesi proteica perché contiene molti ribosomi; la sintesi
proteica assorbe una quantità enorme di energia che può essere sostenuta data dalla presenza di
numerosi mitocondri.
È probabile che sia stato proprio l’ingresso del mitocondrio o comunque un evento di endosimbiosi che
abbia scatenato la genesi del nucleo.
IPOTESI UNIFICATRICE
Esistono però delle stranezze:
1. Tutte le cellule fondamentalmente utilizzano un gradiente di protoni periferico per generare ATP →
perché tutte le cellule eucariotiche (con i mitocondri al loro interno) e i batteri liberi aerobi producono
ATP attraverso questo meccanismo?
2. Come mai gli eubatteri e gli eucarioti usano dei lipidi diversi dagli Archaea che per altro per molti altri
aspetti sembrano decisamente i nostri parenti prossimi nel mondo delle cellule procarioti?
3. Come mai dominano virus a RNA come parassiti del mondo cellulare che ha definitivamente acquisito
un genoma a DNA?
4. Perché i virus hanno geni che non sono in alcun modo dimostrati derivati da geni cellulari ancestrali?
L’ATP sintetasi è un falso esempio di complessità irriducibile, la quale non concepirebbe un'evoluzione
progressiva secondo il meccanismo darwiniano delle sue varie parti perché troppo complesse e così
finemente progettate per agire.
Attualmente delle situazioni che possono far pensare alla genesi accennata sono presenti nella dorsale
medio-oceanica atlantica dove sono presenti sorgenti sottomarine alcaline chiamate Lost City che sono
impensabilmente sede di un’abbondante vita legata ai fluvi alcalini di queste sorgenti.
PROBLEMI DI FILOGENESI
Ci sono dei problemi con un'ipotesi di questo genere: proprio studi di filogenesi dimostrano abbastanza
inoppugnabilmente che il progenitore di tutte le ATP-asi utilizzava SODIO e non protoni.
D’altra parte, se si pensa alla genesi di una membrana impermeabile lipidica in sostituzione alla struttura
minerale originaria, una membrana lipidica che si sia progressivamente evoluta avrebbe dovuto essere
capace dall’inizio di mantenere un'elevata impermeabilità ai protoni che, viceversa, sono dotati di una
certa facilità a passare da uno strato all’altro dello strato
lipidico.
Per questo c’è chi pensa di adattare l’ipotesi dell’ATPasi
ancestrale derivata da un mondo minerale a un diverso tipo
di sorgente idrotermale, ad esempio a sorgenti idrotermali
terrestri a ZINCO-ZOLFO che non sono così alcaline come
quelle citate precedentemente e consentono l'utilizzo di un
gradiente di sodio per l’alimentazione del meccanismo
rotore dell’ATPasi ancestrale. Inoltre l’RNA usato da queste
protocellule come enzimi e materiale genetico è
estremamente sensibile ad un ambiente fortemente
basico. Quindi l’adattamento a un diverso tipo di gradiente
e di sorgente idrotermale mette insieme il perché tutto
questo sia stato possibile dal punto di vista della resistenza
chimica degli RNA e dal punto di vista del passaggio a
membrane che primitivamente probabilmente non
potevano essere troppo impermeabili.