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10/03/2021

BIOLOGIA 2

EUBATTERI

Gli eubatteri sono degli aploidi: hanno un cromosoma principale che è una molecola circolare nell’ordine di
pochi milioni di coppie di basi come moda. Ci sono anche casi in cui è più piccola: i micoplasmi hanno un
cromosoma che è meno di mezzo milione di coppie di basi.
A parte il cromosoma principale, sono presenti elementi accessori che si replicano autonomamente: i
plasmidi. Questi sono un tipico veicolo di geni di resistenza ambientale o, in generale, sono in grado di
conferire un vantaggio selettivo nella crescita ai ceppi che includono questi particolari geni su particolari
plasmidi. I plasmidi, quando sono dotati del giusto “bagaglio genetico” che ne consente il trasferimento,
possono essere passati vettorialmente ad altri batteri non necessariamente della stessa specie e dello stesso
ceppo ma a volte anche trans-specificamente. Sono quindi un veicolo di passaggio di vantaggi selettivi di
qualsiasi genere e, in particolar modo, della resistenza agli antibiotici: un notevole problema per la medicina
moderna perché sono ormai numerosi i ceppi batterici che hanno incorporato così tante resistenze da essere
praticamente resistenti a tutte le principali classi antibatteriche. Il problema è molto grave: uno dei warnings
più seri dell’organizzazione mondiale della sanità per i prossimi decenni è che intorno al 2050 i morti per
infezioni batteriche poliresistenti si prevede che, salvo cambiamenti energici nella produzione di nuove classi
di antibatterici, arriveranno a superare di nuovo quelli per altre cause prevalenti come tumori o malattie
cardiovascolari.

ARCHAEA
Nonostante l’antico raggruppamento li ponga, insieme ad altre forme batteriche, sotto l’unico cappello di
“procariote”, gli Archaea sono cellule completamente distinte geneticamente e biochimicamente. A
dimostrazione che non hanno a che fare con gli Eubatteri citiamo l’assenza di peptidoglicani nella parete:
hanno infatti pareti di composizione varia, alcuni gruppi hanno sviluppato uno pseudo peptidoglicano ma
non è la stessa molecola.
Viceversa si è scoperto che sono largamente somiglianti, per gli aspetti di base, alle cellule eucariotiche.
Infatti:
- Hanno un DNA che forma una specie di cromatina non molto diversa da quella eucariotica.
- Molti dettagli della loro biochimica e genetica sono fortemente somiglianti a quelli degli eucarioti.
In particolare: il macchinario proteico per la sintesi del DNA ed il macchinario proteico dedicato alla
regolazione e trascrizione dei geni. Ad esempio, Archea ed eucarioti condividono una TATA binding
protein che è un elemento di base nel riconoscimento dei promotori, cioè delle sequenze a monte
dei geni che servono per la loro regolazione. Questo vale per gli Archaea e per gli eucarioti ma non
vale per gli Eubatteri i quali utilizzano invece un fattore sigma per guidare l’enzima che deve fare la
trascrizione (RNA-polimerasi) sui promotori batterici.
- Alcuni dettagli importanti del traffico vescicolare delle cellule eucariotiche moderne, come la
presenza di un sistema escrt (da leggersi “escort”), che si ritrova in forma semplificata negli archaea
che hanno un macchinario per la demolizione delle proteine chiamato proteasoma, una versione
semplificata di quello che si ritrova negli eucarioti.

Domanda: gli Archaea contengono anche introni?


Risposta: Ni, non nella misura in cui sono presenti negli eucarioti (di questo si parla più avanti).

Una stranezza rispetto a questa linea del discorso che ci dice che gli archaea sono parenti nostri è nella
costituzione in fosfolipidi delle membrane: qui c’è uno switch in quanto noi eucarioti ed i batteri veri
(eubatteri) condividiamo, come componente principale delle membrane, dei fosfolipidi che sono fatti come
nell’immagine in basso, che mostra che il fosfolipide di eucarioti ed eubatteri è sostanzialmente identico nella
sua struttura generale. Quindi è una coda alifatica lineare (ombreggiata in grigio) legata, con un ponte estere,
a quello che può essere considerata la piccola “rastrelliera” centrale, cioè il punto di supporto centrale nella
costruzione della molecola (ombreggiata in rosso) che è un glicerolo, il cui terzo gruppo ossidrilico è
impegnato in un legame con la parte idrofilica di testa del fosfolipide rappresentata, nell’immagine, da un
semplice fosfato ma che potrebbe essere più complicata a seconda della particolare specie di fosfolipide.

Se osserviamo la situazione nei fosfolipidi di membrana degli Archaea, viceversa, si vede che la coda è
ramificata (è una coda isoprenica), inoltre il ponte sul glicerolo è fatto da legami etere e non estere. In
aggiunta (e soprattutto) se si guarda alla geometria generale della molecola ci si accorge che la struttura dei
due fosfolipidi comparata non è sovrapponibile ma è speculare: sono esempi di chiralità l’uno rispetto
all’altro. il carbonio asimmetrico presente nelle due molecole mostra una disposizione dei sostituenti che è
speculare e non identica: la versione archeana è levogira, la versione degli eubatteri e degli eucarioti è
destrogira.

Questa stranezza sembra un “divergere ad angolo retto” rispetto all’idea che siamo più simili agli archaea e
viceversa i batteri sono molto distinti geneticamente da noi.

Cosa sono gli ARCHAEA?


Risponde uno studente: “Sono batteri estremofili in grado di vivere in condizioni particolari di pH e
temperatura”.
Il prof risponde che è vero e non vero, è come se un alieno volesse spiegare di ritorno dalla terra come sono
fatti gli esseri umani e dicesse “sono dotati di casco e corrono tutto il tempo su macchine di formula uno” lo
fanno, ma fanno anche altro! Gli Archaea estremofili sono preziosi perché sono stati i primi studiati, ma non
lo sono tutti!

Ci sono ormai parecchi raggruppamenti in cui sono classificati gli Archaea:

Crenarchaeota: include sì degli ipertermofili, ma anche delle forme che crescono


in terreni o acque fredde, quindi cellule planctoniche delle acque marine fredde
oppure sono presenti in suoli tipicamente di regioni temperate/fredde. In
entrambe le sedi (in parte) molte specie danno un contributo importante nella
conversione dell’ammoniaca e dei composti ammoniacali in nitriti (nitrificazione):
elemento fondamentale nel ciclo degli elementi nella biosfera.

Un altro raggruppamento vasto è quello degli Euryarchaeota che effettivamente include estremofili
iperspecializzati che riescono a crescere in condizioni terribili e quindi ad esempio nei pressi di sorgenti calde
sulfuree (come Yellowstone) oppure vicino alle fumarole nere sottomarine (black smokers).

Un raggruppamento particolarmente noto e studiato di Euryarchaeota (che include per


esempio i methanococcus jannaschii, il primo archaea ad essere stato sequenziato
completamente nel suo genoma) sono i metanogeni. I metanogeni si ritrovano in
condizioni strettamente anaerobie, quindi sono ad esempio presenti nel tratto
digerente dei mammiferi (in particolare ad alte concentrazioni nel rumine dei
ruminanti), ma anche nell’intestino delle termiti dove sono assolutamente
indispensabili per le capacità digestive di questi insetti. Poi si ritrovano anche negli strati
profondi del limo degli stagni, delle paludi e recentemente in ambienti umani nelle condutture fognarie.

Altri Euryarchaeota sono gli Alofili (Haloarchea) osservabili facilmente, ad esempio,


nelle saline che forse in questo periodo (marzo) cominciano ad arrossarsi perché
ospitano una serie di organismi alofili di varia natura che tendono ad essere
pigmentati. Parte della pigmentazione è legata alla presenza di microscopici crostacei
come l’artemia salina ma sono presenti anche degli Haloarchaea che sono rossi e
contribuiscono nettamente al bloom rosso delle saline nei mesi più caldi perché
contengono la batteriorodopsina. La batteriorodopsina è un parente stretto delle
rodopsine legate al sistema visivo dei mammiferi e come queste contiene un gruppo chimico legato che è
responsabile della colorazione rossa della proteina e delle cellule che portano, sulla membrana periferica, in
grande quantità questa proteina. Gli Archaea usano la batteriorodopsina come sistema per la conversione
diretta della luce solare in ATP: è un sistema che genera un meccanismo di pompaggio di protoni dall’interno
della cellula verso l’esterno e poi il rientro dei protoni all’interno della cellula consente di alimentare una
fabbricazione diretta (non stechiometrica) di ATP da parte di una ATP sintetasi di membrana. Questa
batteriorodopsina non è identica alle nostre opsine visive ma è un parente stretto. Probabilmente gli archaea
moderni e gli eucarioti che utilizzano le opsine li hanno ereditati da un progenitore comune e poi, per una
curiosa convergenza evolutiva, due famiglie di proteine anticamente derivanti da un unico progenitore hanno
imparato a legarsi a dei pigmenti che sono essenziali per il loro funzionamento di vario tipo.
In realtà, gli Archaea più strettamente imparentati a noi sono stati scoperti molto recentemente con i metodi
della metagenomica, cioè la capacità di sequenziare dei batteri in miscele complesse di microrganismi isolati
in vari ambienti senza la necessità di coltivarli, cosa spesso impossibile. Questi sono batteri che vivono in
acque molto fredde, il nome “Asgard” fa riferimento ad una specie di castello delle divinità norreniche
(vichinghe), come anche le denominazioni dei vari sottogruppi in cui questo raggruppamento è stato
suddiviso (ad esempio esistono i Loki Archaea, Thor Archaea, tutti riferimenti alla mitologia nordica). Sono
più imparentati di altri con noi perché proprio al loro interno si ritrova l’apparato semplificato che ricorda
il sistema escrt delle cellule eucariotiche.
(Il prof. ci ha lasciato un articolo da leggere, se vogliamo, per approfondire)

Quindi gli Archaea ci assomigliano perché probabilmente abbiamo un progenitore comune, poi ci separiamo
e i proto eucarioti alla fine divergono in tutte le forme eucariotiche attuali (gli Eucarya):
- Animali, gruppo singolo omogeneo
- Funghi, variamente suddivisi
- Organismi vegetali, quindi piante e organismi algali più strettamente imparentati alle piante
vascolari
- Protisti, un gruppo in realtà spurio come raggruppamento tassonomico. Sono i vari eucarioti
prevalentemente (ma non esclusivamente) unicellulari.

Quando si può mappare nel tempo la nascita dell’ultimo progenitore noto di tutti gli eucarioti attuali (che
potremmo denominare “LECA”: Last eukaryotic common ancestor)?
circa 1 miliardo e mezzo di anni fa. I primi eucarioti erano probabilmente dei protisti secondo questa
definizione spuria, quindi unicellulari o multicellulari semplici, forse degli anaerobi.

Attualmente i PROTISTI:
- Includono vari raggruppamenti e sottoraggruppamenti;
- Sono degli unicellulari prevalentemente, ma ci sono alcune forme molto studiate di multicellularità;
- Hanno varie modalità di sussistenza, molti sono eterotrofi ma ci sono anche autotrofi (non solo
fotoautotrofi ma anche chemioautotrofi). Molti patogeni importanti per la nostra specie come i
plasmodi e i tripanosomi sono dei protisti.

FUNGHI
I funghi sono il nostro “sister group”, cioè sono i multicellulari e non solo (ci sono anche funghi unicellulari)
più strettamente imparentati con gli animali, mentre lungamente per secoli sono stati ritenuti delle forme
vegetali non fotosintetiche.
Alcuni sono patogeni, ad esempio la candida che abbastanza recentemente è motivo di grande
preoccupazione perché in sedi ospedaliere nel nuovo mondo (Stati Uniti) ci sono specie di candida che si sono
rivelate dei patogeni terribili, difficili da combattere con l'arsenale dei farmaci disponibili.
PIANTE
Sono eucarioti adattati alla capacità di fotosintesi che è legata al fatto che hanno intrappolato come
endosimbionte un cianobatterio in epoca ancestrale. Questo si è progressivamente adattato fino a diventare
un organello obbligato ed incapace di qualunque vita libera. Anche se artificialmente in laboratorio liberato
dal suo contenitore (cioè dalla cellula) e messo in sospensione in soluzione che consente il funzionamento
dal punto di vista biochimico, non sarà capace di moltiplicarsi e tornare a svolgere una vita libera perché ha
perso la gran parte dei geni originali del batterio libero da cui è derivato ancestralmente.

ANIMALI
Hanno le cellule “più noiose” perché, al contrario dei vegetali, non hanno delle pareti (tipicamente le cellule
animali sono prive di pareti più o meno rigide: sono cellule nude). Proprio per questo hanno una caratteristica
particolarmente spiccata, condivisa con alcuni protisti, cioè una mobilità basata su elaborati sistemi di
meccanoenzimi che agiscono all’interno e alla periferia della cellula e ne consentono il movimento. Questa
mobilità è una caratteristica distintiva nelle cellule animali ed è sempre presente in qualche stadio della loro
vita, anche quando sono multicellulari. Può sparire: molti animali si trasformano in organismi sessili per gran
parte della loro esistenza (come i coralli) ma esiste sempre un qualche stadio del ciclo vitale dotato di
mobilità.

Esistono degli animali fotosintetici?


Ad esempio l’Elysia chlorotica ed altre specie di lumache marine simili hanno
la curiosa capacità, nei primi stadi dello sviluppo ingerendo le alghe unicellulari
di cui si nutrono, di strappare letteralmente loro i cloroplasti e ridistribuirli,
attraverso l'apparato digerente, prevalentemente sulla parte dorsale
dell’organismo. Questo si colora di verde grazie alla clorofilla dei cloroplasti e,
sfruttando questa capacità, riescono a diventare secondariamente ed in
maniera acquisita grazie alimentazione degli individui fotosintetici. Ad un
certo punto in poi della loro esistenza, al termine dello sviluppo, sono largamente indipendenti da un
ulteriore alimentazione perché producono ATP direttamente per fotosintesi.
La differenza è comunque sostanziale rispetto ad un organismo fotosintetico vero. Questo fatto deve
avvenire di nuovo ogni volta che un singolo individuo si sviluppa. A valle della fecondazione lo zigote si
sviluppa privo di capacità di fotosintesi e deve acquisire i cloroplasti durante lo sviluppo per riuscire a
trasformarsi in individuo fotosintetico. Queste specie di lumache non hanno incorporato nel proprio genoma
l’intera batteria dei geni ed i meccanismi biochimici guidati da questi geni che consentono di essere
indipendenti: pertanto non possono trasmettere alle generazioni future la capacità fotosintetica, come
invece accade per gli organismi vegetali.

UN ALBERO DELLA VITA EUCARIOTICO PIÙ MODERNO


Dicevamo, accennando ai protisti, che sono un gruppo “parafiletico”, ma classificazioni più moderne ci danno
un’immagine diversa: queste classificazioni sono basate fondamentalmente sul sequenziamento di proteine
(queste per prime storicamente), poi RNA e alla fine modernamente geni singoli e genomi.
Il precursore assoluto in questo campo è stato probabilmente Linus Pauling, doppio premio Nobel (prima per
la chimica e poi per la pace), è stato uno dei geni della scienza del XX secolo. Fra le tante cose di cui si è
occupato, troviamo le proteine e poi in generale la biologia: per primo ha infatti definito le macromolecole
biologiche e, in particolare, pensava alle proteine come un “archivio storico” nella vita degli organismi
cellulari. Per primo ha capito, studiando le differenze di proteine (o in generale macromolecole) simili fra
organismi più o meno lontanamente imparentati, che l’enumerazione di queste differenze potesse essere
usata come un sistema per misurare la distanza evolutiva degli organismi che si stavano considerando.

Successivamente è arrivato Carl Woese, che ha avuto l’intuizione clamorosa di studiare degli RNA
particolarmente utili da questo punto di vista: gli RNA ribosomiali e, in particolare, l’RNA 16 Svedberg, cioè
la molecola di RNA maggiore contenuto all’interno della subunità minore dei ribosomi di tutte le specie.
Questi RNA hanno la peculiare caratteristica di avere delle zone altamente conservate in certi tratti della loro
struttura ripiegata (praticamente identiche dai batteri fino agli esseri umani) ed altre più variabili e tipiche
dei particolari raggruppamenti di organismi ed altre estremamente variabili tanto da essere diverse da specie
a specie. Per primo si è messo a studiare le differenze tra RNA 16S con un “tour de force” sperimentale
faticosissimo che oggi sarebbe ritenuto semplicemente insensato e pericoloso dal punto di vista dei rischi
fisici perché utilizzava la radioattività (fosforo 32 usato in quantità colossali) per la radio marcatura di cellule
vive; il lavoro prevedeva successivamente uno spezzamento degli RNA isolati con delle nucleasi, quindi un
taglio alla volta e poi un taglio dei frammenti in ulteriori frammenti e con questo tipo di mappatura il suo
gruppo, per la prima volta, è riuscito a sequenziare indirettamente tratti di RNA 16S di molti organismi.
Così facendo quindi si è accorto che la comparazione tra RNA era estremamente efficiente per un sistema di
classificazione basata su dati molecolari trasformabili in numeri incontestabili degli organismi. In particolare
si è accorto dell’esistenza degli archaea come un gruppo separato rispetto ai batteri e decisamente più
somigliante, già sulla base del confronto degli RNA 16Svedberg, con gli eucarioti. Questa è la nascita della
filogenesi molecolare. (Del lascito di Carl Woese se ne parla in un articolo)

Sulla base della filogenesi molecolare ci si è accorti ad esempio che:

- Funghi ed animali sono strettamente imparentati e sono raggruppati negli Opisthokonti. Sono così detti in
quanto organismi che, almeno in qualche tipo cellulare, utilizzano cellule con un singolo flagello posteriore
(“Konti” allude ad una radice greca che significa coda).
Dotati di coda posteriore ad esempio, nei mammiferi, gli spermatozoi maschili hanno un singolo flagello
posteriore che agisce come propulsore da dietro e spinge in avanti la cellula.

- Piante ed alghe verdi e rosse sono un unico grande raggruppamento dal punto di vista evolutivo e sono
chiamati Archaeplastida, alludendo al fatto che condividono una storia evolutiva che è segnata dall’utilizzo
di plastidi, cioè una definizione più ampia rispetto a quella di cloroplasti che include anche delle versioni
derivate con una funzione variata, oppure cloroplasti a loro volta incorporati non direttamente ma come
organismi algali quindi con un livello di simbiosi di secondo ordine. A parte questo però gli Archaeplastida
sono chiamati anche Dikonti (termine più o meno sovrapponibile) perché piante e organismi algali
imparentati hanno, ad esempio, dei gameti maschili che usano come propulsione due flagelli anteriori, quindi
con un meccanismo di trascinamento in avanti e non di spinta da dietro.

- Oltre ad Opisthokonti e Archaeplastida, ci sono anche Amoebozoa, Chromalveolata, Excavata e Rhizaria


che rappresentano ciò che resta dopo lo smembramento legato alla filogenesi molecolare dell’antico (e ormai
superato) raggruppamento dei protesti. Tutti questi gruppi sono tra loro imparentati tanto quanto lo sono
con Opisthokonti e Archaeplastida: hanno la stessa dignità tassonomica e la stessa distanza evolutiva gli uni
dagli altri rispetto a quanto non distino da animali, funghi e piante
VIRUS
Perché i virus non sono mai stati inclusi in questa classificazione? Non sono organismi viventi?
Perché non riescono a riprodursi da soli e hanno bisogno dell’apparato sintetico di un’altra cellula.

Se si fa l’equazione organismi viventi terrestri = organismi cellulari allora i virus, che sono parassiti genetici
degli organismi cellulari (di eubatteri, archaea ed eucarioti) non sono organismi viventi. Sono però delle entità
genetiche comparabili a quelle cellulari.
La loro specificità sta nel fatto che sono dei parassiti obbligati degli organismi cellulari. Anche i virus più
grandi, che in parte addirittura riescono a fabbricare un intero apparato biochimico necessario per la loro
replicazione e trascrizione (ad esempio i pox virus che includono il virus del vaiolo), non sono totalmente
autonomi e hanno bisogno ampiamente di un ospite cellulare in cui insinuarsi e di cui sfruttare l’apparato
biochimico per la propria replicazione.

Esempi di virus:
- Virus dell’influenza: è un virus a RNA con un genoma discontinuo fatto di otto frammenti separati di
RNA
- Virus dell’epatite B: è un piccolissimo virus con un genoma circolare incompleto, cioè i due filamenti
complementari non sono completi e chiusi covalentemente. Fatto da sole 3200 coppie di nucleotidi,
è però un patogeno efficacissimo ed epatotropico, quindi con la capacità di andarsi ad infilare negli
epatociti, infettarli con grande efficienza e generare anche infezioni croniche.

I virus quindi non sono cellule ma parassiti. Formano un impero genetico distinto di uguale importanza e
peso nell’evoluzione degli organismi nella biosfera attuale perché:
- Sono abbondantissimi: se si va sulle rive di uno stagno, si prende un mestolo di acqua limacciosa, lo
trasferisce in una provetta e poi con le tecniche della metagenomica (quindi non più con la tecnica
di Carl Woese) sequenziando tutto il DNA disponibile con tecniche di sequenziamento veloce di
ultima generazione e poi ricostruendo al computer la presenza di tutte le specie identificabili (virali
o cellulari) ci si accorge che le singole particelle virali presenti sono in media un logaritmo circa 10
volte più numerose rispetto alle singole cellule presenti.
- Esprimono attualmente (ma presumibilmente da sempre) un’estrema varietà dal punto di vista
genetico e biochimico. Anzitutto, il loro materiale ereditario è molto più vario rispetto a quella
cellulare. Tutte le cellule attuali hanno genomi di DNA; invece i virus sono ancora prevalentemente
con genomi a RNA. Esistono anche virus grandi e piccoli con un genoma a DNA.
- Inoltre, il genoma può avere forme fisiche diverse: una singola molecola circolare a singolo filamento
oppure una serie di frammenti (anche numerosi) che possono essere a singola o a doppia elica. Ci
sono quindi virus a RNA a doppia elica.

Attenzione: il coronavirus non è un virus a RNA a doppia elica ma un virus a RNA a filamento positivo,
cioè un virus in cui l’RNA che codifica direttamente le proteine virali è anche quello che si ritrova
come genoma all’interno della singola particella virale. Contiene circa 30.000 nucleotidi: è quindi un
singolo filamento molto grande.
A doppia elica sono ad esempio i Rotavirus, che sono una causa frequentissima di infezioni
gastrointestinali soprattutto nella prima infanzia, quindi sono dei patogeni umani ben noti in ambito
pediatrico. Ci sono alcuni virus (come questi) che sono dei reovirus che infettano molti tipi di
organismi diversi. Quindi ci sono virus a doppia elica per animali, vegetali, funghi e addirittura i
batteri.
- Oltre a questa estrema variabilità nella natura del materiale ereditario, mostrano sempre un
contenuto in geni unici non di origine cellulare. Da dove arrivano questi geni se non sono stati
piratati durante il lungo connubio tra virus e cellule ospiti durato miliardi di anni nell’evoluzione
terrestre? Fa pensare che questi geni unici se li siano fabbricati da soli e quindi rimanda all’idea che
i virus siano così antichi da essersi manifestati come elementi parassitari nel mondo pre-cellulare
quando, alla pari con frammenti genomici contenuti ad esempio nelle cellette minerali, questi
elementi parassitari si siano comportati come dei traditori: hanno cessati di collaborare con la
collettività dei frammenti genomici utili per far evolvere una singola celletta come cellula funzionante
trasformandosi in elementi parassitari. Questa caratteristica è rimasta e si è coevoluta con gli
organismi cellulari man mano che questi si sono trasformati nelle entità che conosciamo
attualmente. Il fatto di avere geni unici punta a quello: questi geni derivano da caratteristiche
ancestrali che si sono sviluppate nei virus fino dai primi tempi dell’evoluzione degli organismi viventi
terrestri.
- I virus, al pari di altri elementi genetici mobili come i plasmidi, sono una causa fondamentale di
trasferimento genico orizzontale (HGT, horizontal gene transfer): quando il virus penetra in una
cellula è in grado di inglobare parte del DNA della cellula in cui è entrato e poi di trasferirlo in altre
cellule e questo favorisce il rimescolamento genetico. È giusto parlare di DNA ma le cose possono
anche più complicate. Ad esempio, i retrovirus (se pensiamo agli eucarioti, ai mammiferi o all’uomo
in particolare) sono un tipico elemento che può fungere da veicolo per il HGT perché si integrano nel
genoma cellulare come provirus a doppio filamento di DNA, ma alla fine il genoma virale si
ritrasforma in un singolo filamento di RNA. Quindi, il veicolo del trasferimento è temporaneamente
una molecola di RNA, ma al ciclo infettivo successivo viene riconvertito di nuovo in un provirus
integrato e quindi in grado di reinserire in un punto, più o meno casuale della nuova cellula ospite,
anche un frammento che sia stato piratato dal virus in questo passaggio. Così funzionano anche molti
virus integrativi batterici. In effetti il trasferimento genico orizzontale è decisamente più vivace nel
mondo procariotico rispetto a quello eucariotico, per quanto sia stato comunque perfettamente
dimostrato anche negli eucarioti. Per esempio (non molti anni fa) si è capito come gli organismi
vegetali algali abbiano potuto trasformarsi alla fine in piante vascolari. Organismi algali unicellulari,
che hanno cominciato a colonizzare le terre emerse all’inizio del percorso di evoluzione delle piante,
sono entrati in possesso di geni batterici che hanno consentito loro di sussistere in condizioni di
disidratazione molto più spinta rispetto a quella a cui erano abituati come organismi cellulari viventi
completamente immersi in acqua.
Quindi ci sono molti esempi di trasferimento genico orizzontale anche negli eucarioti, come tra
batteri ed eucarioti, ma sicuramente il fatto è molto più vivace nel mondo dei procarioti quindi fra
batteri e batteri, tra batteri ed Archaea.

Il rimescolamento è così vivace che bisogna interrogarsi sull’accettabilità di questa rappresentazione


semplificata dell’albero della vita:

Nell’immagine troviamo LUCA e poi uno sviluppo che diverge nel progenitore di
tutti i batteri moderni ed eubatteri e dall’altra parte la biforcazione che porta agli
archaea e agli eucarioti attuali con il progenitore comune di entrambi.
Ma se esiste il HGT questo schema è falso: bisogna accettare che ci sia una ramificazione di base che resta
quella rappresentata nell’immagine, ma anche dar conto del fatto che ci sono stati (e continuano ad esserci)
continui scambi parziali di materiale genetico tra specie e specie.
Ad esempio, citiamo gli Archaea come esempi di estremofili: alcuni lo sono e in particolare sono dei termofili.
Ci si è accorti che tutti i termofili batterici (sia Eubatteri che Archaea) hanno un gene fondamentale che
consente loro di avere un DNA stabile come doppia elica alle temperature estreme scelte come nicchia per
la sussistenza da questa specie. È un enzima chiamato Girasi inversa, che fa qualcosa di anomalo rispetto a
tutti gli altri organismi cellulari, cioè crea un forte superavvolgimento positivo nel DNA di queste specie
aiutando il DNA a rimanere appaiato nei due filamenti strettamente legati base contro base, cosa che avrebbe
difficoltà a fare in assenza di questo superavvolgimento. Questo enzima è probabilmente codificato da un
gene di derivazione eubatterica che si è sparso sostanzialmente con trasferimento genico orizzontale a tutte
le specie che hanno saputo evolversi come termofili. Quindi, tutte le specie procariotiche eubatteriche e
archeane che hanno saputo svilupparsi come termofili, lo hanno fatto grazie all’acquisizione di un gene
ancestrale essenziale che è la girasi inversa.

Perché si parla di orizzontale in questo caso?


Perché non comporta il passaggio da una generazione ad un’altra. È in contrapposizione al concetto di
verticalità nel trasferimento del materiale genetico, che è caratterizzato da una “discesa” lungo le
generazioni o di singole cellule (che si replicano per divisione) o di organismi multicellulari (che per
riproduzione sessuata generano figli dai genitori).
Si parla di orizzontale invece quando, indipendentemente dai meccanismi riproduttivi normali, c’è un parziale
passaggio di materiale genetico tra cellula e cellula nella stessa generazione. La cosa importante è che questo
passaggio non è bloccato da barriere di specie e quindi è largamente possibile anche fra organismi di specie
distinte e persino molto distanti.

Questo “sporca” la rappresentazione dell’albero della vita che bisogna immaginare come un reticolo di
parziali passaggi e trasferimenti da specie a specie che oggettivamente complicano l’interpretazione. Anche
al meglio delle capacità di studio bio-informatico dei genomi che abbiamo attualmente a disposizione, il HGT
può essere spesso una fonte (certa o sospettata) di complicazioni nell’interpretazione dell’albero della vita e
delle relazioni evolutive tra i vari organismi

I virus sono un raggruppamento geneticamente del tutto distinto rispetto a quello degli organismi cellulari?
In realtà è una generalizzazione sostanzialmente falsa e per capirlo si può guardare il genoma umano:
Questa è una rappresentazione ad istogramma e non una mappa fisica che dimostra che il genoma umano è
un’unica molecola lineare: sono semplicemente delle percentuali di tipi di sequenze distinte presenti
estremamente sparse nel genoma fisico in vari punti del genoma.

Analizzando il genoma:
Segmento rosso: nell’estremo destro troviamo che meno del 2% del genoma totale umano è rappresentato
da sequenze codificanti, cioè da tratti che sono interpretabili come una successione di triplette nucleotidiche
che codificano per amminoacidi di una particolare proteina. Quindi le porzioni dei geni eucariotici e umani
che codificano per proteine sono meno del 2% del totale del genoma umano.

Segmento rosa: i geni umani, come quelli della maggior parte degli eucarioti, sono largamente interrotti da
sequenze chiamate introni nelle loro parti codificanti. Questi introni sono in media molto più lunghi (circa 10
volte) rispetto agli esoni, cioè i tratti codificanti.
Se si includono anche gli introni che si interpongono in moltissimi punti all’interno dei singoli geni e li
allungano fisicamente, allora la parte complessivamente occupata da geni nel nostro genoma è poco più del
20%.

Segmento verde scuro: una parte più ampia rispetto al tratto dei geni è rappresentata da sequenze uniche
non ripetitive che non sono codificanti, non contengono geni. Molte di queste hanno una funzione ignota,
alcune sono interpretabili come regioni regolative per il funzionamento dei geni oppure come ragioni
necessarie per il posizionamento fisico dei cromosomi in particolari aree del nucleo. Quindi hanno spesso
funzioni regolative e insieme ai due segmenti appena analizzati rappresenta circa il 50% del genoma umano

Segmento giallo: c’è ancora una quota di sequenze ripetitive che sono in parte delle duplicazioni segmentali
che possono includere geni. Quindi la rappresentazione è un po’ complicata perché parte del tratto giallo
dovrebbe trovarsi nell’estrema destra dell'istogramma, perché alcune sequenze duplicate sono in effetti
sequenze codificanti.

Segmento viola: sono ripetizioni che in certi tratti dei cromosomi umani sono numerosissime ma essendo
fatte da sequenze estremamente brevi (due o tre nucleotidi oppure 10-12 nucleotidi) occupano uno spazio
limitato rispetto al totale.

Dal grigio all’estrema sinistra, quindi più del 40% totale del nostro genoma, è rappresentato da elementi
parassitari di vario tipo:
Segmento arancione: è una quota che nel nostro genoma (ma non è così in tutti gli organismi eucariotici) è
piccola e fatta solo da elementi fossili, cioè non più capaci di movimenti, ed è data dai trasposoni a DNA.
Questi, per comparazione, sono gli elementi parassitari più abbondanti nel genoma degli insetti, ad esempio
nella Drosophila Melanogaster. Nella linea dei mammiferi invece risultano estremamente ridotti e nel nostro
genoma attualmente non c’è neanche un trasposone a DNA che sia vivo cioè ancora sufficientemente non
mutato da essere capace di nuovi eventi di trasposizione.

Ma, viceversa tutto il resto si traspone eccome:

Segmento grigio: poco meno del 10% del nostro genoma è rappresentato dai retrovirus endogeni. Sono
provirus integrati (cioè retrovirus in forma di cDNA. di DNA copia a doppio filamento) in punti più o meno
casuali del genoma ancestralmente. Molti di questi elementi sono fossili, cioè una serie di mutazioni
successive fanno sì che non siano più in grado di funzionare come doveva succedere originariamente, sono
semplicemente lì presenti fisicamente. In quota minore però sono ancora “vivi”: sono integri geneticamente
e capaci di completare un intero ciclo infettivo. Quindi non solo vengono trascritti nei loro RNA ma questi
RNA alla fine possono ritrovarsi incorporati come RNA genomico all’interno di una particella virale che si
libera dalle nostre cellule. Ad esempio, può succedere nella linea germinale in particolare nel liquido seminale
maschile dove al microscopio elettronico saltuariamente è possibile osservare delle particelle di retrovirus
endogeni che si sono liberate e che sono pronte anche a infettare in quella sede particolarmente favorevole
per la trasmissione da individuo ad individuo. Quindi noi siamo fatti anche di virus.

Segmenti marrone scuro e verde: una quota larghissima del nostro genoma è coperta da LINEs e SINEs, dove
“L” ed “S” nell’acronimo stanno per “Long” e “Short” e la parte comune sta per “interspersed nuclear
elements” (elementi nucleari polidispersi). Si tratta di sequenze brevi o più lunghe di trasposoni di tipo retro,
quindi dei retroposoni che hanno un ciclo di funzionamento non dissimile da quello dei retrovirus. Infatti, dal
loro punto di integrazione vengono trascritti in un RNA che poi può essere convertito in un cDNA che si va ad
integrare in un nuovo punto del genoma.

Come è possibile che le nostre cellule addirittura in un organismo multicellulare complesso possano
sostenere il carico di una quota di quasi il 50% di elementi trasponibili nel proprio genoma e riuscire a
funzionare comunque? Non siamo continuamente distrutti nel nostro genoma da questi elementi di
trasposizione?
Ci sono dei sistemi in grado di reprimere o gli spostamenti o comunque delle modificazioni all’interno del
DNA. Quindi si osserva questa quota larghissima di elementi parassitari che si sono insinuati nel nostro
genoma in tempi successivi nell’evoluzione (non solo nell’uomo naturalmente in quanto sono un retaggio di
tutto il percorso evolutivo precedente degli antenati della nostra specie).
Nel tempo tutti gli organismi che hanno a che fare con elementi parassitari di questo genere sviluppano dei
meccanismi di resistenza intracellulare, in particolare nei mammiferi agiscono dei meccanismi di repressione
che si basano in particolare sulla metilazione. Questi elementi trasponibili condividono tutti delle sequenze
che servono per guidare la trascrizione del loro DNA integrato e quindi la perpetuazione del meccanismo di
trasposizione. Le cellule hanno sviluppato dei meccanismi di ipermetilazione dei promotori potenziatori delle
sequenze regolative per la trascrizione di questi elementi e li mantengono permanentemente repressi.
Ogni tanto qualcuno di questi elementi è ancora capace di un evento di trasposizione completo e può
provocare dei danni. Ci sono casi di malattie ereditarie studiate nell’uomo in cui ci si è accorti che in alcune
famiglie (non in tutte) con una particolare malattia ereditaria la mutazione causativa della malattia ereditaria
è stata una trasposizione recente di un trasposone.
Quindi siamo fatti largamente di elementi parassitari nel nostro genoma che come sempre, visto che
“l’evoluzione non è un ingegnere” come diceva Francois Jacob (un grande biologo del 900) ma un
“bricolatore”, sono stati poi riutilizzati per scopi utili per la cellula.

Ad esempio, molti elementi regolativi in geni cellulari sono presumibilmente o dimostrabilmente, a seconda
del gene, di derivazione retrovirale.
Inoltre, se guardiamo a noi mammiferi placentati la placenta ne è un esempio. Nella placenta, la zona di
contatto tra la parete uterina della madre e la placenta è rappresentata da uno strato di sinciziotrofoblasti,
cioè di trofoblasti che durante lo sviluppo si differenziano in uno strato di cellule che fondono fra loro a
generare un sincizio in cui un unico corpo cellulare gigante include moltissimi nuclei delle cellule originali. Il
processo di fusione richiede delle proteine di fusione esposte sulla superficie di questi trofoblasti che devono
fondere fra loro. Queste proteine si chiamano sincitine e ci si è accorti di due cose clamorose:
- La prima, che è la più rilevante per il nostro discorso, è che queste sincitine sono in realtà derivate
da geni di origine retrovirale: “rubate” a retrovirus endogeni presenti nel genoma dei mammiferi.
Originariamente questi geni retrovirali erano le proteine di superficie del virus, cioè quelle deputate
a far fondere la particella virale (che ha un involucro lipidico nel caso dei retrovirus) con la membrana
della cellula ospite da infettare. Questa capacità fusogena è stata dirottata su una funzione utile
all’organismo, cioè la fusione cellula-cellula come si dice in virologia “fusion from within” (fusione da
dentro). Cellule che si fondono con cellule, cosa che può essere scatenata anche da infezioni virali
come è facile osservare in laboratorio quando si infettano pesantemente delle cellule ma, in questo
caso, il meccanismo è stato convertito in qualcosa di utile per il nostro organismo
- Le sincitine sono diverse per i vari tipi di mammiferi

GLI IMPERI CELLULARI E VIRALI NON SONO REALMENTE DISTINTI


Dal punto di vista genetico risultiamo quindi essere un
patchwork.
In realtà, anche gli introni citati precedentemente sono
interpretati dai più come elementi parassitari nella loro genesi
originale.
L’idea è che nel progenitore di tutti gli attuali eucarioti nel
processo stesso della eucariogenesi, cioè la genesi primitiva
della cellula eucariotica più antica, ci sia stato un evento per cui
da una convergenza genetica fra due tipi di cellule, di cui una
eubatterica, si liberino degli elementi mobili che nella cellula
originale erano costantemente repressi da un controllo
genetico, ma con la fusione delle due cellule non siano più
repressi e si ridistribuiscono e disperdono in grandissimo
numero andando a impallinare in particolare delle sequenze
trascritte, quindi andandosi ad infilare in moltissimi punti
all’interno dei geni della cellula che alla fine diventerà la cellula
eucariotica moderna.
Questo crea un grave problema: forza a una selezione
darwiniana feroce a favore di un meccanismo di eliminazione
di queste sequenze che interrompono i tratti codificanti dei
geni, cioè di splicing, che col tempo è diventato quello
moderno, in cui gli introni vengono eliminati a livello di m-RNA
e non direttamente sul DNA.
Si può immaginare che l’evoluzione dello splicing abbia creato una situazione di conflitto grave con la
traduzione perché i ribosomi in una cellula di struttura semplice come quella procariotica, dove non è
presente un nucleo, sono in grado di impadronirsi degli m-RNA nascenti man mano che questi vengono
sintetizzati per la copiatura dei geni in vari punti del genoma. Quindi nei procarioti la traduzione è co-
trascrizionale, cioè avviene contemporaneamente alla trascrizione: man mano che un m-RNA emerge
dall’apparato proteico di trascrizione viene preso in carico dai ribosomi che si assemblano su questa
molecola di m-RNA nascente e individuano i punti da cui partire a tradurre la proteina corrispondente.
La necessità di sviluppare un meccanismo di splicing genera una situazione di conflitto: un m-RNA
nascente viene fatto oggetto contemporaneamente di un meccanismo di splicing e uno di traduzione. In
molti pensano che possa essere stata proprio questa la spinta dal punto di vista del vantaggio evolutivo
alla formazione dell’involucro nucleare per separare la sintesi degli RNA con il loro processamento post-
trascrizionale (splicing) dalla traduzione. Non tutti sono d’accordo su questa possibilità (non tutti
pensano che lo splicing sia arrivato prima della nascita del nucleo), ci sono molte ipotesi in campo.

INVENZIONI DELLA CELLULA EUCARIOTE


Un aspetto particolarmente evidente condiviso da tutte le cellule che possiamo osservare attualmente
è il ruolo fondamentale di sistemi che gestiscono e rimodellano le membrane all’interno e alla periferia
della cellula, quindi un sistema evoluto e complesso di endomembrane associate a e gestite da
complessi di apparati proteici citoscheletrici e proteine motore associate.
É probabile che questo si sia sviluppato per gradi: probabilmente una cellula progenitrice più antica delle
cellule eucariotiche moderne con una struttura simil batterica ha sviluppato inizialmente un sistema
tubulare secretorio, cioè un sistema primitivo di endomembrane, che espande la superficie di scambio
periferica e rende più favorevole il rapporto area superficiale della cellula/volume al fine del
riversamento verso l’esterno della cellula di enzimi digestivi capaci di rendere assimilabili componenti
nutritive presenti nel mezzo di crescita e poi riassorbirle più o meno per la stessa via. In questa maniera
si sarebbero sviluppati i primordi dei meccanismi della secrezione e dell’endocitosi moderne.
Questo nel lungo periodo si è trasformato nella complicata dotazione delle endomembrane attuali.
Il doppio involucro nucleare, tipico delle cellule eucariotiche attuali, è facile da interpretare come una
particolare evoluzione dell’apparato di endomembrane in cui progressivamente il materiale genomico e
altre componenti della cellula che devono servire alle funzioni dirette del genoma sono avvolte a coppa
e poi racchiuse completamente in una struttura fisica sferica che si trasforma nel nucleo attuale.
Si può quindi immaginare un proeucariote che
sia molto procariotico nel suo genoma, quindi
ad esempio con un singolo genoma circolare
ancorato alla periferia della cellula in un punto.
Lo sviluppo iniziale del sistema di
endomembrane porta progressivamente ad
avvolgere il genoma a coppa e poi a
racchiuderlo completamente in una struttura
sferica che necessariamente da quel momento
ha bisogno per la comunicazione con il
citoplasma di punti di passaggio privilegiati che si evolveranno negli attuali pori nucleari.
Tutto questo porta alla separazione irreversibile della replicazione del DNA e della sintesi degli RNA, che
è un fenomeno nucleare negli eucarioti, dalla sintesi delle proteine: non vale più la natura sincronica di
traduzione e trascrizione presente nei batteri. Per gli eucarioti la trascrizione è separata nello spazio e
nel tempo rispetto alla traduzione con l’ulteriore complicazione dell’eliminazione degli introni in molti
casi.
NUCLEO EUCARIOTICO
Questa è un’immagine del nucleo eucariotico in cui il disegnatore
ha immaginato di “tagliarne una fetta” per mettere in evidenza lo
spessore della doppia membrana dell’involucro nucleare, i singoli
pori che la attraversano, il nucleosol (il contenuto solubile interno
del nucleo) che è anche nucleoplasma perché ha un ricco
contenuto di materiale macromolecolare che in particolare è il
genoma, quindi il DNA che è compattato come cromatina (DNA
avvolto attorno agli ottameri degli istoni).
La cromatina è rappresentata come una nebula poco osservabile
perché anche nella realtà è così: se infatti viene osservato con un
microscopio il nucleo di una cellula viva esso apparirà come un contenuto ialino poco interpretabile
tranne che per la presenza di uno o più nucleoli che sono una parte cospicua, tondeggiante e ben
evidente anche in assenza di qualunque colorazione in una cellula viva.
I nucleoli sono la sede fisica della fabbricazione e assemblaggio delle subunità maggiori e minori dei
ribosomi che tramite i pori nucleari dovranno essere trasportate nel citoplasma per far funzionare
questo apparato di traduzione nella sede opportuna, cioè al di fuori del nucleo.

I PORI NUCLEARI
I pori nucleari hanno una struttura complessa e sono canali
proteici estremamente elaborati che creano dei punti di
passaggio privilegiati fra l’interno e l’esterno del nucleo.
Questi canali non sono attraversati liberamente per libera
diffusione dalle proteine o dai complessi di acidi nucleici e
proteine, ma sono passaggi altamente regolati e controllati
che richiedono uno scambio di messaggi molecolari.

MITOCONDRI
Un aspetto fondamentale del funzionamento delle cellule
eucariotiche è la presenza di organelli endosimbionti, i
mitocondri, i quali ricoprono diverse funzioni tra cui:
! Produzione di ATP (la principale)
! Accumulo di ioni calcio
! Sintesi di ormoni steroidei
! Metabolismo dei lipidi
! Apoptosi

Sono formati da una membrana mitocondriale esterna, una membrana mitocondriale interna ripiegata
a formare le creste e il contenuto centrale del mitocondrio è la matrice che è a tutti gli effetti
l’equivalente di un citoplasma batterico perché il mitocondrio era ed è in un certo modo ancora un
batterio: esso infatti contiene un suo genoma mitocondriale e un completo apparato biochimico per la
replicazione, trascrizione e traduzione del DNA mitocondriale: sono quindi dotati di DNA-polimerasi
mitocondriale per la replicazione del DNA, di RNA-polimerasi mitocondriale di derivazione fagica per la
trascrizione, di ribosomi mitocondriali che hanno dimensioni e composizione tipiche di una cellula
batterica libera e sono quindi più piccoli di quelli presenti nel citoplasma della cellula.
TEORIA ENDOSIMBIONTICA
Tutte queste caratteristiche di tipo batterico sono legate al fatto che il mitocondrio era un batterio.
Questo può essere avvenuto in una cellula nucleata o più probabilmente quando il nucleo ancora non
esisteva perché potrebbe essere stato l’ingresso dei mitocondri nella cellula a scatenare il problema
degli introni e dello splicing.
Nell’eucariote più antico, che probabilmente era una cellula anaerobia o microaerofila, entra il
progenitore degli attuali mitocondri che non viene digerito né determina viceversa la morte della cellula,
immaginando che questo ingresso non sia stato per una fagocitosi a fine alimentare, ma più
probabilmente un ingresso infettivo da parte della
cellula infettante che entra nella cellula eucariotica
per nutrirsene.
Invece si stabilisce un rapporto mutualistico che fa
si che man mano la cellula che si è infiltrata nel
protoeucariote perda il proprio materiale genetico
che non viene eliminato ma passa nel genoma
principale della cellula ospite. A questo punto la
cellula che si è infilata nella cellula protoeucariotica
si moltiplica all’interno della cellula ospite e per
questo non abbiamo un singolo mitocondrio per
cellula ma molti mitocondri per cellula, spesso
anche centinaia a seconda del tipo cellulare
considerato.
Questa ipotesi si basa sul fatto che i mitocondri contengono DNA, scoperta avvenuta grazie all’avvento
delle tecnologie molecolari, e con le tecniche introdotte da Woese si è arrivati addirittura a chiedersi
quali sono le relazioni evolutive fra il mitocondrio e cellule batteriche libere. Concentrandosi sugli rRNA
16S si è potuta ricostruire una filogenesi che mostra in particolare una radice comune fra i mitocondri e
le Rickettsiales, degli α-proteobatteri che tutt’oggi sono molto piccoli e sono agenti infettanti di cellule
eucariotiche (sono la causa di infezioni trasmesse ad esempio da zecche negli esseri umani). Nell’uomo
il DNA mitocondriale, che è una struttura circolare di circa 16700 nucleotidi, contiene 37 geni di cui solo
13 codificano proteine altamente idrofobiche montate dall’interno del mitocondrio dalla matrice nella
membrana mitocondriale interna e fanno parte dei complessi della catena di trasporto degli elettroni,
mentre gli altri 24 codificano per elementi necessari per l’apparato biochimico interno della matrice,
quindi rRNA e tRNA.

L’immagine illustra l’organizzazione dei complessi della catena di trasporto degli elettroni che
alimentano il meccanismo orizzontale sulla membrana mitocondriale interna che, grazie a tutto ciò che
avviene a monte biochimicamente (ciclo di Krebs o dell’acido citrico), genera un evento di suzione di
protoni dall’interno della matrice verso l’esterno andando a generare un gradiente protonico, quindi
elettrico e di concentrazione che viene sfruttato per lasciar rientrare i protoni secondariamente in una
turbina molecolare che è l’ATP sintetasi che con questo flusso protonico ruota su se stessa e monta
fisicamente le molecole di ADP con un fosfato generando continuamente molecole di ATP che poi viene
rapidamente riesportato dal mitocondrio nel citoplasma per servire tutte le funzioni della cellula.
Questa generazione di un gradiente protonico è un
problema perché genera una differenza di potenziale
elettrico a cavallo della membrana mitocondriale
interna, che ha uno spessore di circa 5 nm, che è
elevatissimo (portando l’unita di misura al metro
sarebbe un potenziale di circa 30.000 V).
Un gradiente del genere può essere gestito solo da una
membrana di una struttura cellulare piccola con un alto
raggio di curvatura, come avviene nei mitocondri e nei
batteri liberi da cui i mitocondri derivano.
Esiste un’ipotesi che ragiona però sul “nulla”, nel senso
che non si sa se in linea di principio fosse possibile,
secondo cui Il proeucariote antico anaerobio non ha
utilizzato lui stesso attraverso il trasferimento genico
orizzontale un meccanismo del genere alla propria
periferia cellulare perché avrebbe richiesto di
mantenere delle dimensioni molto minori di quelle della
cellula eucariotica attuale. Viceversa, con questo
sistema di appropriarsi di una cellula convertita
progressivamente in un endosimbionte obbligato, la
cellula eucariotica può crescere e lasciar moltiplicare al
suo interno l’endosimbionte, ha una fonte abbondante
di fabbricazione di ATP e nel contempo può arrivare ad
avere una membrana estesa che altrimenti sarebbe
incompatibile con una gestione diretta alla periferia
della cellula di un gradiente elettrico così intenso che
porterebbe all’annichilamento della cellula per
elettrocuzione. Con questo sistema la cellula può
diventare molto grande ed energivora, cioè capace di
movimenti che consumano enormi quantità di energia
chimica. Le notevoli dimensioni che può raggiungere la
cellula possono sostenere un’abbondantissima sintesi proteica perché contiene molti ribosomi; la sintesi
proteica assorbe una quantità enorme di energia che può essere sostenuta data dalla presenza di
numerosi mitocondri.

È probabile che sia stato proprio l’ingresso del mitocondrio o comunque un evento di endosimbiosi che
abbia scatenato la genesi del nucleo.

IPOTESI UNIFICATRICE
Esistono però delle stranezze:
1. Tutte le cellule fondamentalmente utilizzano un gradiente di protoni periferico per generare ATP →
perché tutte le cellule eucariotiche (con i mitocondri al loro interno) e i batteri liberi aerobi producono
ATP attraverso questo meccanismo?
2. Come mai gli eubatteri e gli eucarioti usano dei lipidi diversi dagli Archaea che per altro per molti altri
aspetti sembrano decisamente i nostri parenti prossimi nel mondo delle cellule procarioti?
3. Come mai dominano virus a RNA come parassiti del mondo cellulare che ha definitivamente acquisito
un genoma a DNA?
4. Perché i virus hanno geni che non sono in alcun modo dimostrati derivati da geni cellulari ancestrali?

Molti pensano che una spiegazione sia legata


al fatto che la genesi precoce della vita
protocellulare sia avvenuta inizialmente in
microcamerazioni di strutture minerali
preesistenti generate da sistemi idrotermali
che, se vanno a generare queste strutture
microporose, stanno facendo accumulare
elementi minerali trasportati da un fluido
idrotermale che si libera continuamente.
Alcune di queste sorgenti idrotermali sono
basiche quindi liberano fluidi idrotermali con
composizione decisamente basica che contrasta con l'acidità relativa delle acque circostanti in cui queste
microporosità minerali sono immerse.
Un possibile scenario che spiega come può essere
stato inventato il sistema di fabbricazione dell’ATP
in tempi molto precoci prevede che sorgenti
idrotermali alcaline basiche sottomarine con
camerazioni, che fanno da sede fisica per
l’evoluzione degli organismi protocellulari, abbiano
generato intorno a sé un gradiente protonico
spontaneo: quindi se a cavallo di queste pareti
porose è presente un gradiente di potenziale
generato automaticamente da differenze di
concentrazioni di protoni, questo può essere
sfruttato andando a far evolvere un sistema in grado
di sfruttare il gradiente per formare ATP.
La presenza di gradienti protonici spontanei
potrebbe spiegare la presenza pervasiva di ATPasi in
grado di sintetizzare in maniera forzata ATP a partire
da ADP e ioni idrogeno. Solo successivamente con
l’adozione di un involucro autonomo, quindi di una
membrana lipidica, questi organismi cellulari sono
diventati liberi ma hanno mantenuto il meccanismo di generazione di ATP legato a un sistema di
pompaggio verso l’esterno di protoni e un loro rientro attraverso un meccanismo rotore estremamente
sofisticato (l’ATP sintetasi) che trasmette la rotazione della parte più prossima al lato dello spazio tra la
membrana esterna ed interna mitocondriale verso l’interno della matrice che va a catturare ADP e
fosfato inorganico e li monta in ATP.

L’ATP sintetasi è un falso esempio di complessità irriducibile, la quale non concepirebbe un'evoluzione
progressiva secondo il meccanismo darwiniano delle sue varie parti perché troppo complesse e così
finemente progettate per agire.

Attualmente delle situazioni che possono far pensare alla genesi accennata sono presenti nella dorsale
medio-oceanica atlantica dove sono presenti sorgenti sottomarine alcaline chiamate Lost City che sono
impensabilmente sede di un’abbondante vita legata ai fluvi alcalini di queste sorgenti.
PROBLEMI DI FILOGENESI
Ci sono dei problemi con un'ipotesi di questo genere: proprio studi di filogenesi dimostrano abbastanza
inoppugnabilmente che il progenitore di tutte le ATP-asi utilizzava SODIO e non protoni.
D’altra parte, se si pensa alla genesi di una membrana impermeabile lipidica in sostituzione alla struttura
minerale originaria, una membrana lipidica che si sia progressivamente evoluta avrebbe dovuto essere
capace dall’inizio di mantenere un'elevata impermeabilità ai protoni che, viceversa, sono dotati di una
certa facilità a passare da uno strato all’altro dello strato
lipidico.
Per questo c’è chi pensa di adattare l’ipotesi dell’ATPasi
ancestrale derivata da un mondo minerale a un diverso tipo
di sorgente idrotermale, ad esempio a sorgenti idrotermali
terrestri a ZINCO-ZOLFO che non sono così alcaline come
quelle citate precedentemente e consentono l'utilizzo di un
gradiente di sodio per l’alimentazione del meccanismo
rotore dell’ATPasi ancestrale. Inoltre l’RNA usato da queste
protocellule come enzimi e materiale genetico è
estremamente sensibile ad un ambiente fortemente
basico. Quindi l’adattamento a un diverso tipo di gradiente
e di sorgente idrotermale mette insieme il perché tutto
questo sia stato possibile dal punto di vista della resistenza
chimica degli RNA e dal punto di vista del passaggio a
membrane che primitivamente probabilmente non
potevano essere troppo impermeabili.

ORIGINE DEGLI EUCARIOTI - IPOTESI DELLA SINTROFIA


Delle tante ipotesi in campo, quella attualmente più accreditata è quella della sintrofia che prevede
almeno 2 episodi successivi di simbiosi a
spiegare in particolare la faccenda dei
fosfolipidi.

Ancestralmente si è verificato un primo


episodio di endosimbiosi che ha portato a
una prima convergenza genetica fra un
ospite Archaeano e un eubatterio, ad
esempio un mixbatterio che anche
attualmente è una cellula batterica capace
di fagocitosi e movimenti ameboidi, che
spiega l'incorporazione dell’Archaea in
questo secondo tipo di batterio. Questo
potrebbe essere stato l’evento scatenante
l’avvento del nucleo al posto dell'endosimbiosi successiva e potrebbe aver creato un compromesso che
ha portato a selezionare per qualche motivo un meccanismo eubatterico per la sintesi dei lipidi lasciando
per altro il controllo biochimico e genetico ai meccanismi archeani fino al secondo evento definitivo di
endosimbiosi che porta all'incorporazione del progenitore dei mitocondri e la genesi finale della cellula
eucariotica.
INVENZIONI DELLE CELLULE EUCARIOTICHE
Riproduzione sessuata
Una clamorosa innovazione delle cellule eucarioti è la riproduzione sessuata che è il risultato finale della
convergenza di diversi meccanismi molto antichi e inizialmente separati e separabili e incorpora nel suo
nucleo fondante un meccanismo di divisione cellulare specializzata, la MEIOSI, che è un meccanismo
aploidizzante, cioè che a partire da un materiale genetico che è poliploide, tipicamente diploide ad
esempio negli animali, arriva ad un assetto aploide alla fine della generazione dei gameti.
Nella genesi della riproduzione sessuata convergono da una parte la ricombinazione omologa e dall’altra
la fusione cellulare e un terzo meccanismo che è quello dei cicli di ploidia. Questi 3 meccanismi sono
almeno concettualmente separati e probabilmente lo sono stati nella genesi della riproduzione sessuata
come la conosciamo oggi.
La ricombinazione omologa è un aspetto fondamentale della meiosi moderna perché nella profase della
prima divisione meiotica avviene un appaiamento dei cromosomi omologhi di origine materna e paterna
a formare delle tetradi e, a due a due, singole doppie eliche di DNA materne o paterne dei cromatidi
possono andare incontro a degli scambi, delle ricombinazioni, che possono generare uno scambio netto
di un tratto di DNA. Questa è in realtà una sovversione della ricombinazione omologa che serve a un
meccanismo di riparazione di frammenti di DNA che si sono spezzati in un cromosoma. La
ricombinazione omologa è presente sia nei batteri che negli Archaea che negli eucarioti, quindi è un
fenomeno generale di tutti gli organismi cellulari e si basa sulla presenza di un tratto di DNA che sia
identico o fortemente simile che sia riconoscibile come strettamente omologo e possa essere utilizzato
come rete di riferimento per una ginnastica di ricombinazione che alla fine consente di risaldare in forma
integrale due tratti di DNA che si sono spezzati. Questo si evolve nella meiosi moderna che rovescia
questo meccanismo: invece che andare a correggere con una riparazione un DNA che si è spezzato,
inizialmente per via enzimatica spezza il DNA per andare a sottoporlo a un meccanismo di
ricombinazione e riparazione che consente lo scambio parziale di tratti di DNA contigui e un
rimescolamento della componente materna e paterna dei cromosomi per la generazione dei gameti che
serviranno alla generazione successiva. Questo implica però una situazione diploide: con la fecondazione
lo zigote rigenera la diploidia che era temporaneamente stata abbandonata nella formazione dei gameti
e accompagnata alla ricombinazione meiotica.
I cicli di ploidia si sono originati forse per una questione di resistenza ambientale e sussistenza
alimentare. Ad esempio un protoeucariote che vive in ambiente ristretto con pochi nutrienti in una
popolazione piccola, in condizione di stress da affamamento le cellule attivano un processo di fusione
cellula-cellula che porta le cellule a fondersi a due a due e in questa maniera si trasformano in diploidi
che contemporaneamente hanno dimezzato le dimensioni della popolazione e hanno creato una
situazione di parziale resistenza temporanea. Successivamente magari per movimenti delle acque
dell’ambiente iniziale è possibile che siano di nuovo disponibili nutrienti e le cellule diploidi possono
ridividersi generando cellule apolidi.
Il problema ostico è capire come mai la riproduzione sessuata è cosi fondamentale negli eucarioti da
essere adottata in maniera così estesa. Gli unici eucarioti che non praticano la riproduzione sessuata
sono i rotiferi bdelloidei fatti da sole femmine da 40 milioni di anni e capaci di animazione sospesa,
alcuni nematodi e i tardigradi.
Sono diverse le cause del successo della riproduzione sessuata e non sono mutuamente esclusive: è
probabile che tutte abbiano agito e abbiano avuto pesi diversi a seconda del particolare raggruppamento
che si considera. I due principali sono l’ingranaggio di Muller e la Regina Rossa.

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