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Lege agere

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La locuzione latina lege agere indica il complesso sistema processuale in uso presso
l'antica Roma fino alle Leges Iuliae iudiciariae con cui venne formalmente abolito (tranne
in due casi) e sostituito dall'agere per formulas.

Indice

 1L'etimologia del sintagma lege agere


 2Tipologie di  legis actiones
 3Caratteristiche generali
 4Il processo per legis actiones
o 4.1Fase in iure
 4.1.1Litis contestatio
o 4.2Fase apud iudicem
 5Difetti
 6Note
 7Bibliografia
 8Collegamenti esterni

L'etimologia del sintagma lege agere[modifica | modifica wikitesto]


L'etimologia dell'espressione lege agere era poco nota già ai giuristi romani del periodo
classico. Gaio, giurista del II secolo, dà la seguente spiegazione del termine:
(LA) (IT)
«Actiones, quas in usu veteres habuerunt, legis «Le azioni che ebbero in uso gli antichi erano
actiones appellabantur, vel ideo, quod legibus chiamate legis actiones, o perché erano state
proditae erant, ... vel ideo, quia ipsarum legum introdotte da leggi, ... o perché erano state adattate
verbis accomodatae erant et ideo immutabiles alle parole delle leggi, e perciò venivano osservate
proinde atque leges observabantur» come immutabili al pari delle leggi.»
(Gaio 4.11)
Dunque Gaio ricollega l'espressione lege agere alla Lex intesa come lex publica populi
Romani, ma la romanistica moderna contesta tale spiegazione, giacché le prime legis
actiones (come la legis actio sacramento e la legis actio per manus iniectionem) vennero
introdotte dal mos maiorum ben prima che nascessero le leges, e si riconnettono al
primigenio ius Quiritium.[1] Maggiore credito in dottrina ha riscosso dunque l'opinione che
ricollega il significato dell'ablativo lege al significato del termine lex come pronuncia orale e
solenne, intendendo come lex la pronuncia dei certa verba che non potevano mancare in
nessuna delle legis actiones. Lege agere vorrebbe dire, secondo questa opinione, agere
certis verbis, ossia agire con la pronuncia di parole determinate.
Il termine actio è da intendersi come "procedimento", "comportamento processuale", ma
conserva ancora il significato primigenio di "spingere", nel senso che il soggetto attivo ha
la "possibilità, riconosciuta dall'ordinamento, di forzare (e costringere) un soggetto passivo
all'osservanza o al rispetto della propria situazione giuridica attiva", [2] il che significa che il
processo per legis actiones sarebbe la forma evoluta della ritualizzazione [3] delle forme
originarie di autotutela dei propri diritti da parte del privato.
Di recente si è anche osservato che in origine il verbo ago e il verbo aio avevano in
comune la forma dell'infinito agere, sicché, se si tiene presente questo antico valore
dell'infinito agere, il sintagma legis actio avrebbe indicato la pronuncia di una formula
orale.[senza  fonte]

Tipologie di legis actiones[modifica | modifica wikitesto]


Le legis actiones, a differenza del processo formulare, non costituivano una forma di
processo unitario, ma si articolavano in cinque riti processuali che, pur presentando
qualche carattere in comune, erano fra loro diversi per origine, per funzione e per
struttura. Gaio stesso li descrive nelle sue Istituzioni:
(LA) (IT)
«Lege autem agebatur modis quinque: sacramento, «Si agiva lege in cinque modi: 'per giuramento,
per iudicis postulationem, per condictionem, per attraverso richiesta di un giudice (o di un arbitro),
manus iniectionem, per pignoris capionem» per intimazione, per imposizione della mano, per
presa di un pegno»
(Gaio 4.12)
Gli schemi delle cinque legis actiones erano dunque:

 Legis actio sacramento (o per sacramentum)


 Legis actio per manus iniectionem
 Legis actio per iudicis arbitrive postulationem
 Legis actio per condictionem
 Legis actio per pignoris capionem
Di questi cinque tipi, tre sono "dichiarativi", cioè accertano quale delle due parti in causa
debba prevalere; due (manus iniectio e pignoris capio) sono "esecutivi", cioè dirimono una
situazione nella quale la parte in causa già soccombente non ha ottemperato al dispositivo
del giudice.[4]

Caratteristiche generali[modifica | modifica wikitesto]


Le diverse legis actiones, pur differenti, avevano alcune caratteristiche in comune:

 Formalismo orale e gestuale: la validità delle azioni era subordinata alla rigida
osservanza delle formule verbali e gestuali prescritte dal rituale. Il rispetto della
forma, oltre che necessario, era anche sufficiente, non essendo rilevante ai fini
della sentenza la reale volontà delle parti.

 Tipicità: le legis actiones erano modi di agire aventi ciascuno una data struttura
formale, che corrispondeva a un dato tipo. Atti che non rientravano in alcun tipo
non erano ammissibili e non potevano avere alcuna efficacia. Ciascuna legis
actio di solito serviva a tutelare più di una situazione soggettiva.

Il processo per legis actiones[modifica | modifica wikitesto]


L'iniziativa di ciascuna legis actio era assunta di regola da chi si affermava titolare della
situazione giuridica fatta valere (attore), nei confronti di chi egli affermava titolare della
situazione soggettiva contrapposta (convenuto). Entrambi dovevano essere liberi, cittadini
romani e sui iuris.
Necessaria era la presenza delle parti e di un magistrato che avesse giurisdizione, ovvero
la "iuris dictio".
Il magistrato che aveva giurisdizione, dal 367 a.C., grazie alla Leges Liciniae Sextiae, fu
il pretore, il quale poteva assegnare il possesso provvisorio, nominare il giudice e altre
importanti funzioni (soltanto dopo lo sviluppo del processo formulare nell’età
Repubblicana. Esempio ne è la Bonorum Possessio, diritto onorario non ius civile). [5]
Gli incapaci erano sostituiti dal loro tutor o curator. Nei processi di libertà la persona il cui
status era controverso veniva necessariamente sostituita dall'adsertor in libertatem.
Il contumace era automaticamente condannato.
Fase in iure[modifica | modifica wikitesto]
Le legis actiones cominciavano con l'in ius vocatio, l'intimazione a recarsi davanti a
un magistrato munito di iurisdictio fatta dall'attore al convenuto. Le XII tavole obbligavano
il vocatus a obbedire alla chiamata, e consentivano all'attore l'utilizzo della forza,
propriamente l'imposizione della mano (manus iniectio), per trascinarlo dinnanzi al
magistrato.[6]
Davanti al pretore si svolgeva la fase in iure, un dibattimento formale, dove si stabilivano i
termini giuridici della lite, seguito poi da una seconda fase dinnanzi all'organo giudicante,
nominata dal pretore.[5]
Litis contestatio[modifica | modifica wikitesto]
La litis contestatio è una fase interna alla fase in iure nel processo per legis actiones nel
periodo romano arcaico. La litis contestatio consisteva nello scambio tra le parti di
dichiarazioni solenni, incompatibili tra loro, in quanto l'attore avanzava una pretesa e il
convenuto la negava. La funzione della litis contestatio, che avveniva alla presenza di
testimoni, era duplice: determinava l'oggetto del processo, in maniera tale che si formasse
la preclusione di ripetere la lite sullo stesso rapporto; impegnava le parti alla soluzione
della lite mediante sentenza.
La litis contestatio avveniva a conclusione della fase in iure davanti al magistrato e
precedeva la seconda fase del processo per legis actiones, ovvero la fase apud iudicem.
Con essa le parti esponevano sinteticamente le loro ragioni da far valere davanti al giudice
privato (iudex) che le valutava e decideva la sua sentenza, alla quale non era opponibile
nessun'altra legis actio.
Fase apud iudicem[modifica | modifica wikitesto]
La fase apud iudicem si teneva di fronte al giudice che il pretore aveva nominato, che, di
norma, si trattava di un cittadino privato, il quale avrebbe fatto da giudice o da arbitro, con
la differenza che il secondo trattava controversie dove bisognava avere conoscenze
specifiche tecniche o capacità di valutazione economica.
Nelle liti di libertà, causae liberales e in quelle ereditarie, invece, venivano chiamati a
decidere dei collegi pubblici: nel primo caso i decemviri stlitibus iudicandis, mentre, in
quelle ereditarie di maggior valore i centumviri.
Il giudice, singolo o collegiale, aveva il compito di raccogliere le prove ed emanare la
sentenza.
In questa fase il formalismo che contraddistingueva questa tipologia del processo
scompariva e non era necessaria nemmeno la presenza di tutte le parti, seppur, per effetto
di un precetto delle XII Tavole[7], in assenza di una delle due parti, trascorso mezzogiorno
il giudice avrebbe dovuto dar ragione alla parte presente. [5]

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