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STORIA ROMANA: FONTI

L’ETA’ ARCAICA E REPUBBLICANA

ANNALISTICA E STORIOGRAFIA IN ETA’ REPUBBLICANA

LE ORIGINI E LA DOCUMENTAZIONE SULL’ETA’ REGIA E LA REPUBBLICA ARCAICA


Le riflessioni degli antichi
I dati più antichi e corposi sulla storiografia di Roma, sono quelli di Livio e Dionigi. Tante sono, tra
l’altro, le incertezze nelle datazioni e l’avvicendarsi degli eventi. Questo chiaramente comporta difficoltà
nel ricostruire la storia nel periodo della monarchia e dei primi due secoli d’età repubblicana, per svariate
cause, quali: trasmissione orale dei fatti, incendio gallico del 390 che ha distrutto molta documentazione
(anche se si pensa che ciò sia più che altro una leggenda inventata per giustificare la mancanza di
documenti, dato che le tracce archeologiche non indicano che ci sia stato un incendio) [T1, T2, T3],
possibili falsificazioni ad opera delle famiglie elitarie quali falsi elogi, false iscrizioni funerarie, falsi
autocompiacimenti di presunte imprese; poiché desideravano veder nobilitato il proprio lignaggio [T4].
 T1, T2, T4 Livio, Ad urbe condita
 T3 Plutarco, Numa

La tabula dealbata del pontefice e gli Annales Maximi


In età arcaica il collegio pontificio registrava, con metodo annalistico (elenco di datazioni anno per anno),
gli eventi essenziali della comunità, in tavole in legno imbiancate: Annales Maximi [T5], che il pontefice
massimo poneva davanti la sua casa affinché tutti potessero leggere i principali avvenimenti storici. Erano
composti di 80 libri pubblicati dal pontefice massimo Mucio Scevola [T6]. I contenuti erano essenziali e
citavano soprattutto carestie, epidemie, eventi astronomici e religiosi, seppur contro il disappunto di
alcuni (tra cui Catone) [T7]. Vi è incertezza sull’inizio di queste registrazioni, secondo Dionigi, Polibio
consultò l’unica tavola che all’epoca si conservava al collegio dei pontefici per la cronologia della
fondazione di Roma [T8].
 T5 Servio, ad Vergilii Aeneida
 T6 Cicerone, De oratore
 T7 Catone, Origenes
 T8 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae

Documenti ed archivi
Oltre alle registrazioni dei pontefici, la storiografia annalistica è stata influenzata anche da altri
documenti, quali: trattati e leggi sacre scritte su materiali particolari, come le clausole del patto e della
parità di diritti tra Romani e Gabini, su uno scudo ligneo avvolto in pelle di bue [T9] o libri di lino con
nomi di alcuni consoli conservati presso il tempio di Giunone Moneta e spesso utilizzati dall’annalista
Licinio Macro [T13]; o ancora incise su bronzo, come il trattato con i Latini, esposte in luoghi pubblici o
comunque accessibili ad esso [T10, T11]; a queste si aggiungono scritture non divulgate, documenti
privati di magistrati o censori tramandate per discendenza [T12]. Le registrazioni dei magistrati, spesso
ritoccate [T4] erano conservate, per motivi pubblici, presso i Tablinum, luogo vicino all’atrio [T14]. Tali
ritocchi avvenivano soprattutto mediante laudi funebri, dove veniva lodato il defunto e le sue imprese,
venivano organizzati cortei in suo onore dove alcune persone vestivano di porpora, se il defunto fosse
stato console o pretore o censore, e oro se fosse stato investito di qualche onorificenza. Su queste lodi
dovevano formarsi anche i comportamenti delle nuove generazioni [T15].
 T9, T12 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae
 T10 Cicerone, Pro Balbo
 T11, T15 Polibio, Historiae
 T13 Livio, Ad urbe condita
 T14 Festo, De verbo rum significatu

Tradizioni orali, fabulae, tabulae pictae


Molte sono le tradizioni orali che le fonti ricordano, come lo scrupolo religioso che vietava di modificare
formule sacre [T16], ma questo valeva anche per quelle giuridiche. Si usava imparare a memoria e
tramandare testi di leggi, come le 12 tavole, essenziali per l’educazione giuridica della classe dirigente
[T17, T18]. Nei cortei trionfali si intonavano canti al generale vittorioso e venivano evocati i suoi
antenati [T19]. Durante i banchetti in onore di uomini famosi venivano intonati canti a turno con
accompagnamento del flauto, e quindi esistevano anche dei carmi scritti che potessero accordarsi alla
musica e di cui era vietato l’uso diffamatorio [T20]. Ma i canti servivano anche per cantare lodi agli
antenati ed educare e motivare le imprese gloriose dei giovani [T21]. Tuttavia, ai fini di una ricostruzione
storica vanno presi in considerazione anche le tabulae pictae, dipinti esposti al pubblico che ricordavano
episodi importanti della storia di Roma, tra queste, una nota è quella raffigurante la battaglia che Messala
vinse in Sicilia contro Cartagine o quella di Scipione nella sua vittoria in Asia [T22].
 T16 Quintiliano, Institutiones oratoriae
 T17, T18 Cicerone, De legibus
 T19 Livio, Ad urbe condita
 T20 Cicerone, Tusculanae disputationes
 T21 Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia
 T22 Plinio il Vecchio, Naturalis historia

La scoperta di Roma nella storiografia greca


La storia di Roma era inserita anche in storie greche, anche se se ne avevano notizie o legate a motivi
leggendari o comunque confuse, come la presa di Roma da parte dei Galli, di cui scrissero alcuni greci e
di cui la Grecia ebbe notizie vere miste a probabili invenzioni per produrre più effetto [T23]. La storia di
Roma è importante per gli storici greci di Italia meridionale e Sicilia, ai quali si rifanno gli annalisti che
scrivono in greco gli avvenimenti della città; il primo pare sia stato Ieronimo di Cardia [T24]. Tra i più
importanti storici che si sono occupati di storia romana c’è Timeo Siculo, che scopre il ruolo centrale di
Roma nel Mediterraneo occidentale e pone la data di fondazione di Roma sincronica a quella di Cartagine
[T25]. Grande importanza per questi storici greci aveva la Roma di età regia e la sua egemonia nel Lazio.
 T23 Plutarco, Camillus
 T24, T25 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae

DALLA NASCITA DELLA STORIOGRAFIA ALLA FINE DELL’ETA’ REPUBBLICANA


Le prime opere storiche
Le prime opere storiche in forma letteraria, dette annalistiche perché raccontano le vicende romane anno
per anno sul modello della tabula pontificia, nacquero in epoca della seconda guerra punica, dopo una
serie di eventi che segnarono un mutamento culturale della Roma medio-repubblicana (laicizzazione del
diritto, epigrafia, produzione letteraria con i poemi epico-storici) [T26]. Il più antico tra gli annalisti è il
senatore Fabio Pittore, di cui ricordiamo soprattutto l’inizio del decollo economico di Roma e le cause
della guerra annibalica, quali le ambizioni dei comandanti cartaginesi [T27]. Tra altri annalisti, membri
della classe dirigente, troviamo i senatori Lucio Cincio Alimento, Aulo Albino e Gaio Acilio, che si
giustifica per la sua scarsa conoscenza del greco [T28]. Importante è la produzione storica di Catone il
censore tra II e III guerra punica, che in età avanzata scrisse le “Origines”, comprensivo di 7 libri, di cui
ci sono giunti 143 frammenti, che raccontano le imprese dei re romani, le altre città italiche, le guerre
puniche, registrandone i fatti ma non i nomi dei comandanti [T29]. Secondo Catone, tre sono i modi per
iniziare un’opera storiografica: parlando della storia, dell’autore, della materia e sostiene l’utilità della
storia per la comunità [T30] e la tesi che gli uomini famosi debbano render conto anche del loro tempo
libero [T31]. Catone dava spazio alle origini della città, narrava sommariamente le vicende successive e
dava ancora spazio alla storia contemporanea. Scrisse anche riflessioni sulle forme di costituzione
(popolo, aristocratici e potere del re) [T32] e sulla costituzione dello stato romano, nato dalla mente di
tanti e nello spazio di secoli e generazioni [T33]. Questi storici erano membri della classe dirigente ed
influenti nella vita politica, pertanto la storia incideva moltissimo sulla vita della città e sul suo bene.
 T26 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae
 T27 Fabius Pictor, fr.25 Peter= Polibio, Historiae
 T28 Aulo Gellio, Noctes Atticae
 T29 Cornelio Nepote, Historici Latini
 T30 Catone, Origines
 T31 Cicerone, Pro Cn Plancio
 T32 Servio, Ad Vergilii Aeneida
 T33 Cicerone, De Republica

Le Historiae di Polibio
Nell’ “Historiae”, Polibio, uomo politico greco, pone il problema dell’imperialismo romano
paragonandolo a precedenti imperi, come quello dei Macedoni, che benché conquistarono vasti territori,
non avevano mire di conquista come quelle dei Romani, che conquistarono ed assoggettarono quasi tutta
la terra abitata [T34, T35]. Secondo Polibio, la storia è la migliore preparazione all’attività politica [T36],
soprattutto quando, oltre ad essere elencati gli avvenimenti accaduti (come fa Timeo), ne vengono citate
anche le cause, in modo tale da poterle confrontare con i propri comportamenti [T37]. La storia ben
scritta è pertanto di uomini d’azione, d’affari [T38] e soprattutto bisogna essere imparziali e, se
necessario, lodare i nemici o rimproverare gli amici [T39]. Polibio celebra l’impero Romano, perché la
dinastia dei Romani non ha precedenti né paragoni e rende possibile realizzare una storia universale, non
c’è costituzione migliore di quella romana, ove ogni cittadino collabora alla realizzazione dei
provvedimenti dello Stato, soprattutto in caso di pericoli, e coloro che occupano un posto di rilievo
devono essere legati l’uno all’altro e collaborare alla pari; nonché elogia la grande e rapida espansione
dell’Impero [T40]. Ma, così come tutte le cose, anche Roma è destinata, prima o poi, alla fine, dettata
proprio dalle sue eccessive mire espansionistiche e dalle ribellioni del popolo [T41].
 T34, T35, T36, T37, T38, T39, T40, T41 Polibio, Historiae

L’annalistica dopo Catone


In latino scrivono gli annalisti più importanti del II sec. Lucio Cassio Emina, Calpurnio Pisone e Gneo
Gellio. Interessanti sono i frammenti delle spiegazioni di Emina su alcuni culti, come il divieto di usare
pesci privi di squame come offerte sacre, disposizioni ai fini economici [T42]. Calpurnio Pisone, uomo
politico [T43], tratta soprattutto i contrasti della classe dirigente a seguito del programma graccano e
l’inizio della decadenza della società romana, quando il senso dell’onore fu stravolto durante la censura di
Messala e Cassio nel 154 [T44]. La decadenza, per Pisone, derivava dal lusso importato dall’Asia. Gellio
riprende soprattutto gli interessi italici di Catone [T30]. Tra gli altri storici ricordiamo Celio Antipatro, di
cui Cicerone celebra le capacità retoriche [T45]; singolari sono i suoi 7 libri sulle guerre puniche, ove
vengono raccontati anche sogni, prodigi, avventure marittime dei soldati [T46]. Anche il tribuno militare
Sempronio Asellione si interessò di storia contemporanea, polemizzando soprattutto il metodo di
composizione degli Annali, che raccontano solo le vicende anno per anno senza motivarle, che paiono
così solo delle favole; sottolineando invece il valore politico e formativo della scrittura storica [T47].
 T42 Cassio Hemina, fr.13 Peter= Plinio il Vecchio, Naturalis Historia
 T43, T45 Cicerone, Brutus
 T44 Calpurnio Pisone, fr.38 Peter= Plinio il Vecchio, Naturalis Historia
 T46 Celio Antipatro, fr.40 Peter= Livio, Ad urbe condita
 T47 Aulo Gellio, Noctes Atticae
La storiografia nel I sec. a.C.
Nella prima parte del secolo si scrive soprattutto di storia contemporanea; tra gli scrittori ricordiamo il
console Rutilio, il dittatore Silla, il pretore Sisenna, i cui frammenti delle “Storie” che ci sono giunti
racconta della dittatura di Silla [T48]. Nell’elaborazione greca della storia romana continuava ad essere
centrale il problema dell’imperialismo; in quest’epoca scrive Annali Licinio Marco, uomo politico,
tribuno della plebe che scriveva in sua difesa e in esortazione alla libertà [T49]; attento a dare lustro ai
membri della famiglia di cui faceva parte [T50]. Altro importante annalista di metà secolo fu Valerio
Anziate, letterato che non prendeva parte attivamente alla vita politica e la cui storiografia si caratterizza,
oltre che per le vicende legate alla propria famiglia, per l’ampiezza del racconto, proiettando nel passato
situazioni contemporanee, aggiungendo discorsi, precisando cifre (come ad esempio i morti in battaglia)
[T51]. Lo storico Velleio Patercolo racconta un ricco periodo di 80 anni in cui sono nate tragedie greche,
commedie; e afferma che nessuno scrittore, eccetto Catone e pochi altri, hanno scritto di un periodo più
ampio di 80 anni [T52]. Molti importanti uomini politici continuavano a scrivere storia, come Gaio Giulio
Cesare, che scrive della guerra in Gallia (e della sua divisione tra Celti, Belgi e Aquitani [T53]), quella tra
lui e Pompeo [T54]; i suoi scritti furono già lodati dagli antichi per il loro valore storico e la loro
semplicità e pulizia del testo, privo di ornamenti inutili; tuttavia furono anche criticati da alcuni per le
presunte correzioni ed invenzioni apportate alle vicende personali [T55]. Sallustio invece separa l’attività
politica da quella storiografica, dedicandovi due diversi momenti della sua esistenza. Nel “Bellum
Jugurthinum” sottolinea ancora il valore della storia evocando l’importanza delle gesta degli antenati per
gli uomini contemporanei, per far sì che questi potessero emularle, onde evitare di cedere agli attuali
costumi, dove si gareggia con i propri avi in sperperi e ricchezze anziché in operosità e onestà. [T56]. Lo
stesso scrive di aver continuato a scrivere vicende da lui ritenute importanti, dopo essersi ritirato dalla vita
politica; tra queste si soffermò molto sulla congiura di Catilina, momento di grave pericolo per lo Stato
[T57]. La crisi nasce per Sallustio dalla distruzione di Cartagine, a cui si arrivò a seguito della crisi dei
valori della società, che mantenevano senato e cittadini concordi sulle questioni di Stato, senza contrasti
per l’ambizione di primeggiare, grazie al timore dei nemici [T58]. Il concetto di storia come maestra di
vita e memoria [T59] è testimoniato da Cicerone, le cui opere sono essenziali per ricostruire istituzioni,
personaggi e vicende di Roma, sia quelle politiche sulle riflessioni circa lo Stato e le istituzioni romane,
come il “De officiis” e il “De legibus”, sia quelle filosofiche e retoriche, come il “De legibus”. Cicerone,
nelle sue riflessioni sulla storia, sostiene l’importanza degli eventi contemporanei e il dover scrivere liberi
da altri impegni e in tranquillità per avere una migliore concentrazione [T60], nonché sostiene che un
buon oratore non deve solo saper scrivere con coerenza e chiarezza la lineare successione dei fatti, ma
deve anche saperla raccontare, motivare, spiegare, adottando poi uno stile chiaro e sciolto [T61].
 T48, T56, T58 Sallustio, Bellum Jugurthinum
 T49 Sallustio, Historiae
 T50, T51 Livio, Ad urbe condita
 T52 Velleio Patercolo, Historiae Romanae
 T53 Cesare, Bellum Gallicum
 T54 Bellum Civile
 T55 Svetonio, Divinus Iulius
 T57 Sallustiio, Bellum Catilinae
 T59, T61 Cicerone, De oratore
 T60 Cicerone, De legibus

Annalistica ed antiquaria
Alcune notizie sparse, che derivano dalla letteratura antiquaria e che si trovano in opere storiche e
letterarie, vengono scartate, nelle versioni ufficiali e nelle tradizioni annalistiche, per svariati motivi; un
esempio è la conquista del Campidoglio da parte dei Galli di Brenno o di Roma da parte di Porsenna,
perché non adeguate alla futura gloria della città [T62]. Oppure perché tali frammenti sottolineano aspetti
giuridici, economici e sociali che l’annalistica, che si occupa prevalentemente di fatti politici, istituzionali
e militari, trascura; e addirittura contrastano o non hanno corrispondenza con la ricostruzione dei fatti
nelle tradizioni annalistiche; un esempio è la versione di Varrone sulla struttura proprietaria di età
arcaica, di cui abbiamo un frammento ove si sofferma soprattutto sul sistema della misurazione dei terreni
e le sue possibili varianti con corrispettiva nomenclatura [T63]. Il fatto che si sia cominciato a scrivere di
storia a fine III sec. a.C., quando Roma era divenuta un’importante potenza nel Mediterraneo, ha alterato
la comprensione di alcune pagine della storia precedente, lette spesso dagli storici antichi suggestionati da
vicende e motivi ideologici e politici più recenti. Quell’annalistica è infatti una ricostruzione coerente
della storia di Roma, in quanto viene elaborata in prospettiva di continuità pensando all’evoluzione
successiva; questo accade anche in diritto, Gaio e Pomponio ad esempio fanno coincidere l’inizio delle
loro esposizioni con le origini della città [T64, T65], o ancora Giustiniano che studiò le leggi in
successione a partire dalle più antiche, per poterle poi depurare da superfluità e contraddizioni [T66].
 T62 Silio Italico, Punica
 T63 Varrone, De re rustica
 T64, T65 Digesta (Gaio) - (Pomponio)
 T66 Giustiniano, Constitutio Deo auctore
LE ISTITUZIONI

LA NASCITA DI ROMA
Per la nascita di Roma furono decisivi stratificazione sociale e comparsa di spazi monumentali pubblici,
civili e religiosi, segno di un corpo civico urbano coeso. Ci affidiamo soprattutto a dati archeologici,
come la fortificazione del Palatino da parte di Romolo (le cui mura furono poi consacrate da Servio
Tullio), seguendo alcuni rituali in onore degli dei e di Ercole [T1]; da questo gesto si fa risalire la nascita
di Roma, probabilmente il 21 aprile 753 a.C. Il fondatore, con l’ausilio dell’aratro, tracciò un solco lungo
i confini, delimitando il pomerio (“dietro il muro” o “dopo il muro”) [T2], limite sacro della città, striscia
di terreno consacrata, dietro le mura, ove si possono prendere gli auspici; fu ampliato tante volte, in
seguito all’ampliamento dei confini romani quando venivano sottratti territori ai nemici [T3]. Secondo
Livio, pomerio vuol dire “attorno le mura”, quel luogo che, in antichità, gli Etruschi consacravano
laddove avrebbero costruito le mura e dove non si poteva né arare, né abitare. Esso fu spostato in avanti
con l’ampliamento della città ad opera di Servio Tullio, che vi aggiunse Quirinale, Viminale ed Esquilino
e cinse la città [T4]. Inoltre nel pomerio non poteva né radunarsi l’esercito e lì i consoli perdevano il loro
potere militare [T30].
 T1, T4 Livio, Ad urbe condita
 T2 Plutarco, Romulus
 T3 Gellio, Noctes Atticae

RELIGIONE E POTERE
Il sovrano doveva adempiere ad obblighi religiosi e consultare il volere degli dei, tant’è vero che lo stesso
Romolo stabilì che tutti i suoi successori non dovevano assumere sovranità e magistrature senza
consultazione divina [T5]. Secondo la tradizione, questo fu il motivo scatenante la disputa mortale tra
Romolo e Remo (secondo la leggenda appartenenti alla stirpe di Alba Longa, città fondata dal figlio di
Enea), si dice infatti che, affinché gli dei scegliessero il re, Romolo scelse il Palatino per prendere gli
auspici, e Remo l’Aventino. Remo vide sei uccelli e Romolo il doppio, si scatenò così una disputa tra le
due schiere di sostenitori, poiché pare che il diritto al potere dipendesse dal numero di uccelli avvistati, e
dal litigio che ne nacque Remo rimase ucciso. E’ però più accreditata la versione che racconta che Remo,
per deridere Romolo, avesse superato saltando le nuove mura e che quindi Romolo l’avesse ucciso in un
momento d’ira [T6]. Durante la disputa si discusse sul nome della città, che a seconda del sovrano si
sarebbe chiamata Roma o Remora [T7]. Solo il capo della comunità può chiedere gli auspicia (da aves
spicere= osservare il volo degli uccelli); gli auspici dei patrizi sono di due tipi e i più importanti sono
detenuti da consoli, pretori e censori [T8].
 T5 Livio, Ad urbe condita
 T6 Ennio, fr.57 Vahlen= Cicerone, De divinazione
 T7 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae
 T8 Aulo Gellio, Noctes Atticae

MONARCHIA LATINO-SABINA E MONARCHIA ETRUSCA


Monarchia latino-sabina e monarchia etrusca differiscono anche nella legittimazione del potere. Per
Numa Pompilio, Tullio Ostilio ed Anco Marcio i comizi curiati eleggevano il re su ispirazione e con il
consenso del senato, per conferirgli l’imperium. Il popolo, autorizzato dal senato, chiamò a regnare
sovrani di stirpe non romana [T9]. Tarquinio Prisco e Servio Tullio si rivolsero direttamente al popolo
per ottenere l’investitura: Tarquinio tenne un discorso per ottenere il favore della plebe [T10]; Servio
ebbe ampio consenso dal popolo [T11]. Tarquinio il Superbo accusò infatti Servio di aver corrotto la
plebe e aver preso potere illegalmente [T12]. Il primo metodo elettivo è anche il più usato in età
repubblicana per eleggere i magistrati, che venivano eletti dai comizi centuriati e veniva conferito loro
l’imperium con la lex curiata.
 T9 Cicerone, De republica
 T10 Livio, Ad urbe condita
 T11, T12 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae

ROMOLO E L’ORGANIZZAZIONE DEL CORPO CIVICO


Romolo costituì tra tribù, Tities, Luceres e Ramnes, e si è a lungo dibattuto sull’origine di questi nomi, ad
esempio Plutarco affermò che Ramnes deriva da Romolo, Tities da Tazio re dei Sabini e Luceres dal
bosco dove molti erano fuggiti (dal latino luci= boschi) per poi ottenere la cittadinanza [T13], o Varrone
che, a differenza di Plutarco, sostiene che Luceres deriva da Lucumone (che significa re in etrusco) [T16].
Secondo altri invece, dopo la pace con i Sabini, Romolo divise la cittadinanza in 30 curie [T15] e formò 3
centurie con i nomi che altri invece attribuiscono alle tribù, come sostiene Livio [T14]. Non è ben chiara
la natura di curie e tribù, si pensa ad originari criteri parente lari e gentilizi o all’attribuzione di terre.
 T13 Plutarco, Romulus
 T14 Livio, Ad urbe condita
 T15 Digesta (Pomponio)
 T16 Varrone, De lingua latina

LE RIFORME DI SERVIO TULLIO


A Servio Tullio sono attribuite due importanti riforme:
1. Sistema di classi di censo  doveri civili e militari dipendevano dalla condizione patrimoniale.
- Prima classe comprendeva individui con un censo dai 100mila assi in su, qui vi erano 80 centurie
composte di 40 iuniores, che dovevano sostenere le guerre esterne, e 40 seniores, che dovevano
difendere la città. L’armatura di difesa, in bronzo, era composta da: elmo, scudo rotondo, schinieri e
corazza. Le armi di attacco erano: giavellotto, lancia lunga, spada corta. A questa classe si aggiunsero
due centurie di fabbri che trasportavano attrezzi bellici.
- Seconda classe comprendeva individui con un censo tra 100mila e 75mila assi, qui vi erano 20
centurie. L’equipaggiamento era uguale alla prima classe, eccetto per lo scudo, qui rettangolare, e per la
corazza.
- Terza classe comprendeva individui con un censo minimo di 50mila assi, anche qui vi erano 20
centurie. Dall’equipaggiamento furono sottratti gli schinieri.
- Quarta classe comprendeva individui con un censo minimo di 25mila assi, anche qui vi erano 20
centurie. Per l’equipaggiamento vi erano solo lancia e giavellotto.
- Quinta classe comprendeva individui con un censo minimo di 11mila assi, qui vi erano 30 centurie, di
cui facevano parte i suonatori di corno e tuba. Erano equipaggiati con fionde e pietre. In questa classe vi
era anche il censo minore dei esenti militari. [T17]
2. Tribù territoriali  Servio Tullio, dopo aver cinto i sette colli, divise la città in quattro parti: Palatina,
Suburbana, Collina, Esquilina e ogni residente non poteva spostarsi. Stabilì poi che leva e tasse
patrimoniali non si svolgessero più in base alle tribù parenterali ma in base a queste [T19].
I cittadini erano classificati in base al patrimonio, alla sua capacità militare e alla residenza.
Secondo Gellio l’originario sistema serviano comprendeva due classi di censo, una per chi poteva
permettersi l’ordinamento oplitico (prima classe, detti classici) e una per gli armati alla leggera e non
arruolabili (detti infra classem); [T18]. Probabilmente, per misurare i censi dell’ordinamento centuriato ci
si basava sui lingotti di bronzo, diffusi nel IV sec. a.C., con il segno del ramo secco.
 T17 Livio, Ad urbe condita
 T18 Aulo Gellio, Noctes Atticae
 T19 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitate Romanae
IL PASSAGGIO DALLA MONARCHIA ALLA REPUBBLICA
Secondo le fonti, Tarquinio il Superbo, dopo la sua tirannia o la presunta violenza di suo figlio sulla
moglie di Collatino, fu cacciato da Roma da Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino, aiutati
dal re di Chiusi, Porsenna, poi ritiratosi. Molti storici conoscevano i rapporti di parentela dei congiurati
con i Tarquini: Lucio Giunio era nipote di Tarquinio Prisco [T20], nonché tribuno dei Celeri, comandante
della cavalleria che veniva subito dopo il re [T21]; Collatino era parente di Tarquinio il Superbo [T22]. Si
sa anche della resa di Roma a Porsenna (che però non riuscì a profanare il tempio di Giove [ T23]),
accettando un trattato in posizione di subalternità (ad esempio Porsenna impose il divieto di utensili di
ferro) [T24]. Probabilmente Chiusi approfittò dei dissidi interni della dinastia regnante, o forse occupò
direttamente Roma. In questo contesto può esser stato stipulato il primo trattato con Cartagine, che pare
infatti risalisse all’epoca dei primi due consoli, che secondo Polibio furono Lucio Giunio Bruto e Marco
Orazio [T25].
 T20, T22 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitate Romanae
 T21 Digesta (Pomponio)
 T23 Tacito, Historiae
 T24 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia
 T25 Polibio, Historiae

LA GENS E L’ORGANIZZAZIONE POLITICA IN ROMA ARCAICA


Le gentes avevano forte controllo sul quadro socio-istituzionale. La gens è un gruppo di famiglie con
antenati e riti comuni. La vicenda della guerra dei Fabii contro Veio fa emergere la loro natura di
organismi dotati di risorse e di spirito di iniziativa [T26]. Il potere della gens era dato soprattutto dalla
proprietà della terra, ove lavoravano i clienti. Una possibile traduzione del termine gens è “parentela”, che
in tal caso sarebbe un criterio importante per l’organizzazione dei comizi curiati.
La gens Fabia aveva un suo membro nella coppia consolare e dell’esercito dei Fabi facevano parte anche i
sodales (“compagni”), persone di rango elevato sottoposti ad un capo e ad esso legati da un rapporto di
stima e fedeltà (è da citare il caso di Servio Tullio, sodales di Vibenna) [T27]. A testimoniare il fenomeno
dei sodales anche un’iscrizione latina di un dono votivo dei sodales per Publio Valerio [T28],
probabilmente lo stesso stesso Publio Valerio Publicola che aiutò Bruto e Collatino a cacciare i Tarquini.
 T26 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitate Romanae
 T27
 T28 Lapis Satricanus

IL CONSOLATO
I poteri dei consoli
Il consolato era collegiale ed annuo, a turno, ciascuno dei due colleghi aveva tutto l’imperium, e l’altro
aveva diritto di opporre il suo divieto. Tutti i magistrati erano subordinati ai consoli, tranne i tribuni della
plebe. I consoli si occupavano di questioni militari: imporre decisioni, nominare tribuni militari, dare
punizioni, arruolare soldati, e pubbliche: convocare comizi, proporre leggi, attuare decisioni [T30].
Secondo Livio, i primi due consoli furono Lucio Giunio Bruto e Lucio Tarquinio Collatino [T29].
 T29 Livio, Ad urbe condita
 T30 Polibio, Historiae

Il problema dei più antichi magistrati supremi della repubblica


Secondo la tradizione, la repubblica coincide con la creazione del consolato, ma i consoli non furono i più
antichi magistrati in quanto abbiamo notizie del praetor maximus (che secondo Livio doveva affiggere un
chiodo alla destra nel tempio di Giove Capitolino [T31]), che potrebbe essere un magistrato avente potere
assoluto, seguito dal suo più stretto collaboratore, o colui che a turno, in una coppia con eguali poteri, ne
deteneva l’esercizio. Secondo Festo, alcuni ritenevano che il pretore massimo fosse il detentore di potere
militare al più alto grado, altri il più anziano [T32]. I più antichi magistrati si chiamavano pretori e non
consoli (tra l’altro, secondo Zonara, i primi consoli furono Valerio e Orazio e i primi magistrati a
chiamarsi consoli furono quelli del 449 a.C., primo anno dopo la caduta del decemvirato) [T33]. Il
consolato divenne magistratura suprema stabile dal 367 a.C. con le leggi Licinie-Sestie.
 T31 Livio, Ad urbe condita
 T32 Festo, De verbo rum significatu, sv. Maximum pretore
 T33 Giovanni Zonara, Epitome Historianum

IL SENATO
Secondo Livio, Romolo istituì il senato affermando di dover dare un intelletto alle forze, alla moltitudine
attirata in Roma. I cento senatori furono chiamati patres, patrizi i loro discendenti [T34]. Il senato aveva
il primato nel formulare decisioni politiche (tant’è che secondo Polibio, la vittoria contro i Cartaginesi
deriva dal loro saper deliberare [T35]). Oltre che sull’importanza in decisioni politiche, la centralità del
senato nella costituzione romana si basava sulle competenze assegnategli dalle consuetudini. Polibio
individua la superiorità decisionale del senato, sostenendo che quando il console parte con l’esercito, per
prendere qualsiasi decisione, stabilire piani ed obiettivi, ha bisogno delle delibere del senato (ad esempio
in materia di rifornimenti all’esercito) [T36]; inoltre, il senato detiene pieni poteri sull’erario, ordinando
entrate ed uscite e gestendo spere di questori e censori, si occupa di delitti per cui si avvia un’inchiesta
statale e di risoluzioni di controversie o condanne per una città o un privato; detiene anche ruolo di
ambasciatore in luoghi esteri [T37]. Quando i magistrati convocavano il senato per prendere decisioni o
richiedere pareri, quest’ultimo rispondeva con il senatoconsulto, che diveniva norma di diritto che
vincolava il magistrato che aveva richiesto il parere [T38]. Questo è evidenziato nel senatoconsulto sulla
repressione dei baccanali, quando i consoli Quinto Marco (figlio di Lucio) e Spurio Postumio (figlio di
Lucio) stabilirono il divieto di celebrare baccanali (festività romane propiziatorie) e chiunque ne avesse
avuto l’esigenza avrebbe dovuto richiederlo al senato, che avrebbe in seguito deciso [T39]. Nei confronti
delle attività dei comizi, da un lato i magistrati sottoponevano prima al senato le proposte da fare ai
comizi, cosicché il senato potesse prima esaminarle [T40], dall’altro allo stesso senato spettava l’avallo
alle decisioni prese dai comizi [T41]. All’inizio della repubblica il senato era di 300 membri, nel corso
del I sec. divennero addirittura 900.
 T34 Livio, Ad urbe condita
 T35, T36, T37 Polibio, Historiae
 T38 Digesta (Pomponio)
 T39 (Bacchanalibus)
 T40, T41 Livio, Ad urbe condita

IL DECEMVIRATO
Nel 451 si sarebbe acconsentito alla richiesta da parte della plebe di avere un codice scritto di leggi, fino
ad ora trasmesse oralmente, e si sarebbe eletto un decemvirato legislativo esclusivamente patrizio,
sospendendo le altre magistrature e il diritto di appello delle assemblee popolari sulle loro decisioni. Nel
450 sarebbero stati immessi esponenti della plebe e furono prodotte 12 tavole di leggi, ma il decemvirato
fu cacciato per gli eccessi di potere del patrizio Appio Claudio. Questo quanto sosteneva Livio, che
affermava che quest’istituzione sarebbe stata destinata a sciogliersi dopo aver assolto ai suoi compiti
[T42]. Secondo altri il decemvirato sarebbe diventata una nuova magistratura destinata a durare. Secondo
Cicerone i decemviri avevano somma capacità di comando e di porre leggi per iscritto [T43]. Pare che
anche l’imperatore Claudio pensasse che il decemvirato fosse una nuova forma di magistratura suprema
[T44].
 T42 Livio, Ad urbe condita
 T43 Cicerone, De republica
 T44
I TRIBUNI MILITARI CON POTERI CONSOLARI
Nel 444 a.C. i plebei chiesero di far parte del consolato; richiesta alla quale i patrizi, risposero istituendo
le figure dei tribuni militari con poteri consolari. Fino al 367 a.C. si alternarono collegi di tribuni e di
consoli, finché poi il consolato divenne la magistratura suprema di Roma. Dopo pochi anni dal tentativo
del decemvirato si ripropose il problema dell’assetto delle magistrature superiori. Livio parla di un
dibattito su quest’ulteriore modifica magistratuale, chiedendosi se fosse dovuta ad un momento di
rivendicazione della plebe o in risposta ad esigenze militari [T45]. Si è ipotizzato che l’attribuzione
magistratuale a più esponenti potrebbe esser dovuta all’aumento dei cittadini di ceti inferiori che
arrivavano al censo utile per l’arruolamento, quindi la complicazione progressiva della struttura dei
comizi centuriati e il loro stabilizzarsi tra metà V sec. e metà IV sec. [T46].
 T45 Livio, ad urbe condita
 T46

LA CENSURA
Risale al 443 a.C. ed erano magistrature nate per assolvere a compiti specifici, ovvero il censimento dei
cittadini. Era una carica inizialmente modesta, ma che acquistò poi grande prestigio, tanto da detenere il
governo dei costumi e della disciplina dei Romani e la regolazione di spazi pubblici e privati. La censura
era la più importante magistratura priva di imperium, i comizi centuriati eleggevano due censori ogni 5
anni, aventi però 18 mesi per assolvere ai loro compiti, che aprivano con un editto il quale ricordava gli
obblighi dei cittadini, di cui raccoglievano informazioni anagrafiche e patrimoniali in base a cui
attribuivano i censiti alle rispettive tribù e classi censuarie. Il censimento terminava con la cerimonia del
lustrum, cerimonia di purificazione. I censori, che aggiornavano liste di senatori e cavalieri e di
conseguenza ne esaminavano i costumi, avevano il regimen morum disciplinaeque Romanae [T47]. I
censori controllavano anche le entrate: contratti per lo sfruttamento dell’ager publicus, contratti di
appalto, riscossione di imposte; anche se il senato aveva comunque il dominio su tali contratti [T48].
L’ultima censura risale al 70 a.C.
 T47 Livio, Ad urbe condita
 T48 Polibio, Historiae

LA QUESTURA
E’ una magistratura antica, forse già risalente all’età regia, i cui titolari venivano eletti dal popolo, e
probabilmente legata alla presidenza di affari inerenti ai delitti capitali. Il nome di questori deriva dal fatto
che avevano il compito di riscuotere e conservare denaro [T49]. Il questore urbano, che presiedeva
l’erario, regolava anche gli appalti [T50].
 T49 Digesta (Pomponio)
 T50 Tabula Heracleensis

L’ORGANIZZAZIONE DELLA PLEBE


In età repubblicana, all’azione di chiusura della borghesia che monopolizzò l’accesso al senato e si
proclamò unica detentrice di auspicia, i plebei reagirono con la secessione, abbandonando le città, e
provocando così una grave perdita per la milizia (ritirandosi sul Monte Sacro senza l’ordine dei consoli,
come sostiene Livio, o sull’Aventino, come sostiene Pisone [T51]) e dandosi una propria organizzazione:
tribuni della plebe ed edili come magistrati e il concilio della plebe riunito per tribù come assemblea; i
primi tribuni, secondo quanto afferma Livio, furono Gaio Licinio e Lucio Albino, che nominarono tre
colleghi [T52]. Il tribuno Lucio Giunio Bruto suggerì di rendere sacro il tribunato attraverso una legge, la
lege sacratae, così chiamata perché i contravventori erano consacrati alla divinità, e un giuramento che
sentenziava rispetto reciproco tra i plebei [T53]. Funzione primaria del tribunato della plebe era
l’auxilium contra imperium, contro il potere di comando dei consoli, probabilmente soprattutto contro la
coercitio  potere di punire i soldati, di obbligare i cittadini all’obbedienza altrimenti sarebbero stati
puniti con arresto, morte [T55]. Furono istituiti due edili per la cura dei templi e luoghi pubblici plebei
[T56, T57]. La tribù territoriale di appartenenza dei concilium costituiva l’unità di voto. Le deliberazioni
erano i plebiscita (della plebe). La lotta per l’eguaglianza dei plebisciti alle leggi degli altri comizi si
concluse nel 286 a.C con la Lex Ortensia [T54].
 T51, T52 Livio, Ad urbe condita
 T53, T56 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitate Romanae
 T54, T57 Digesta (Pomponio)
 T55 Cicerone, De republica

LE LEGGI LICINIE-SESTIE E L’ASSESTAMENTO DELLA COSTITUZIONE


Nel 375 a.C. i tribuni Gaio Licinio e Lucio Sestio proposero tre leggi contro la potenza dei patrizi:
- possibilità che gli interessi pagati sui debiti venissero detratti dal totale della somma dovuta;
- introduzione di limiti all’occupazione privata del terreno pubblico;
- obbligo che uno dei due consoli doveva essere un plebeo [T58].
Queste furono approvate nel 367 a.C., quando, il dittatore Marco Furio Camillo, dopo la guerra gallica,
trovò grande clima di discordia a Roma a causa dell’opposizione plebea. Pertanto fu eletto Lucio Sestio
come primo console plebeo e i plebei concessero alla nobiltà un pretore che amministrasse la giustizia.
L’intesa fu celebrata con i Ludi Massimi, della durata di 4 giorni. Nacque anche la carica degli edili
curuli, che ottennero i patrizi al rifiuto dei plebei di sostenere spese per i ludi votivi [T59]. I nuovi pretori
detenevano auspicia, imperium inferiore ai consoli, potere di convocare e presiedere senato e comizi,
avevano giurisdizione in diritto civile, i cui criteri di amministrazione erano segnalati in un editto da lui
emanato [T61]. Nel 242 a.C. nacque il praetor peregrinus, che aveva giurisdizione in controversie che
coinvolgevano stranieri; inoltre, il pretore urbano amministrava il diritto in città quando i consoli erano in
guerra [T60].
Comunque, fino al 342 a.C. la legge non obbligava ad eleggere un console plebeo, solo da quell’anno si
affermò tale consuetudine. Dal 172 a.C. i collegi consolari erano composti anche da due plebei.
 T58, T59 Livio, Ad urbe condita
 T60, T61 Digesta (Pomponio)

LE ASSEMBLEE POPOLARI
Contio  assemblea in cui il magistrato che la presiedeva effettuava comunicazioni al popolo senza
effettuare rogatio (avanzare formalmente la proposta da mettere ai voti) [T64] (cum populo agere 
avanzare proposta formale al popolo; concione habere  viceversa [T63]).
I comizi erano convocati per esprimere voto su una materia; l’unità di voto era costituita dal gruppo in cui
il cittadino era inscritto, quindi curia, centuria o tribù. I comizi curiati votavano in base a gruppi
parenterali, i comizi centuriati votavano in base al censo e all’età, i comizi tributi votavano in base alle
tribù. I centuriati non potevano riunirsi nel pomerio in quanto l’esercito doveva radunarsi fuori città
(Campo Marzio) [T66]. Con il sistema centuriato votavano prima le 18 centurie di cavalieri, poi le 80 di
fanti della prima classe, se non si raggiungeva la maggioranza votava anche la seconda classe [T67]. Nei
comizi centuriati le 18 centurie dei cavalieri e la prima classe formavano 89 centurie, ne restavano altre
104 e di queste ne bastavano 8 per la maggioranza [T68]. Le assemblee, come ogni moltitudine,
dovevano avere un capo legittimo, un magistrato che le convocasse, le presiedesse e avanzasse rogatio
[T65]. Le materie dei comizi: eleggere magistrati, celebrare giudizi popolari (assegnare onori e
punizioni), emanare leggi, decidere in materia di pace e guerra; mentre il senato, tra le molte competenze,
aveva quella essenziale del controllo delle entrate e le uscite, così come i consoli avevano pieno potere in
guerre e campagne militari [T62]. Alle competenze sulla repressione criminale è legata la provocatio ad
populum  diritto dei cittadini di appellarsi al popolo contro pene indotte dai magistrati, cui si lega anche
lo ius auxilii dei tribuni della plebe. Il tribuno Publicola propose che i cittadini potevano convocare in
giudizio, avanti al popolo, il magistrato che aveva disposto pene di morte o punizioni, cosicché il popolo
potesse votare [T70]. Negli anni tra le due guerre puniche le tribù territoriali divennero 35 e vi fu una
nuova riforma dei comizi centuriati connessi alle tribù: nella prima classe, che passò da 80 a 70 centurie,
ogni tribù forniva una centuria di iuniores e una di seniores. Probabilmente con questo metodo le centurie
sarebbero giunte a 350, stravolgendo la logica di Livio e Cicerone [T67, T68]; che sarebbe rimasta intatta
con le 193 centurie e la sola prima classe modificata. Livio crede che il totale delle centurie riformate sia
diverso da quello serviano; tra l’altro nel nuovo comizio la maggioranza si raggiungeva nella seconda
classe, risultato impossibile con 350 centurie [T71]. Cicerone, nel suo “De legibus”, sosteneva che il
popolo diviso per censo ed età votava con maggior riflessione rispetto a quello convocato in massa per
tribù [T69].
 T62 Polibio, Historiae
 T63, T66 Aulo Gellio, Noctes Atticae
 T64 Cicerone, Pro Flacco
 T65, T67, T71 Livio, Ad urbe condita
 T68 Cicerone, De republica
 T69 Cicerone, De legibus
 T70 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitate Romanae

I GOVERNATORI DI PROVINCIA
L’impero nacque quando Roma assoggettò i territori conquistati dalle guerre puniche: Sicilia occidentale,
Sardegna e Corsica nel 227 a.C., alcune regioni della Spagna nel 197 a.C. Si elessero 4 nuovi pretori per
governare tali territori, giungendo così a 6 [T72], ma aumentarono poi a 8 con Silla e 16 con Cesare. I
pretori venivano eletti dai comizi centuriati e poi si sorteggiavano le rispettive sfere di competenza, le
provincae [T73]. Se un territorio era in guerra le province venivano però assegnate ai consoli [T74]. In
altri casi di necessità il governo delle province era affidato mediante proroga dell’imperium del pretore
provinciale o dei magistrati urbani per un altro anno, e la possibilità di proroga dipendeva dalla
distinzione tra carica (honos), conferita con elezione dei comizi centuriati, e potere di comando ad essa
inerente (imperium), conferita con legge approvata dai comizi curiati. Il primo caso di proroga risale al
327 a.C. con Quinto Publilio Filone per consentirgli di terminare la guerra contro Napoli [T75]. Per la
proroga, erano essenziali il senatoconsulto, in quanto la riuscita di piani ed obiettivi dei comandanti
dipendevano dal senato [T76] che forniva anche risorse finanziarie e rifornimenti, e la ratifica
dell’assemblea popolare [T77]. I governatori di provincia in regime di proroga erano detti pro-consoli o
pro-pretori, i cui collaboratori erano: i legati, ai cui il magistrato delegava vari compiti di governo, e
questore, che si occupava di denaro e dello svolgimento dei mercati, attività che a Roma spettava agli
edili curuli, e i cui criteri erano pubblicati in un editto [T78].
 T72 Digesta (Pomponio)
 T73, T74, T75, T77 Livio, Ad urbe condita
 T77 Polibio, Historiae
 T78 Gaio, Institutiones

GLI SVILUPPI DEL II SEC. A.C.


Polibio sostiene che Roma creò il suo impero territoriale tra 221 a.C. e 168 a.C., ma la costituzione di
equilibrio tra senato, assemblee e magistrature non bastava più per l’amministrazione di tale impero.
Furono prese misure dettate dalla volontà di fissare criteri in ambito politico; nel 180 a.C. il tribuno Lucio
Villio propose ai comizi una legge, la lege annales, che fissava l’età minima per rivestire una
magistratura o forse anche l’ordine delle cariche da rivestire [T79]. A metà secolo fu approvata una legge
che vietava l’iterazione consolare. Vi furono comunque delle deroghe su entrambe le leggi, un esempio è
quello di Publio Cornelio Scipione Emiliano Africano, che da edile fu eletto console dal popolo, e
poiché non poteva rivestire tale carica a causa dell’età, egli fu sciolto dall’osservanza della legge [T80];
così accadde per il secondo consolato, in quanto di norma nessuno poteva essere console due volte [T81].
Furono istituiti poi tribunali permanenti (quaestiones perpetuae) specializzati nel perseguire determinati
reati [T82]. La prima quaestio fu nel 149 a.C. su iniziativa del tributo Calpurnio Pisone, per reprimere i
reati di concussione dei magistrati romani nelle province.
Ancora, nel 123 a.C. il tribuno Gaio Gracco fece approvare una legge che stabiliva che le corti giudicanti
fossero composte non più da senatori, accusati di corruzione, ma da cavalieri, e questo fu ampio motivo di
lotta politica [T83]. Lo stesso Gracco pare che propose una legge mediante la quale l’ordine di votazione
nei comizi centuriati era deciso a sorteggio [T84]. Tra 139 a.C. e 131 a.C. furono approvate tre leggi
tabellarie, poiché il voto era espresso su tavolette cosicché il voto divenisse segreto; la prima legge, la lex
Gabinia, riguardava l’elezione dei magistrati; la seconda legge, la lex Cassia, presentata da Lucio Cassio,
riguardava i giudizi popolari; la terza legge, presentata da Carbone, riguardava i comizi legislativi [T85].
Grande importanza, nel corso del II sec. a.C., acquisirono i tribuni della plebe e i loro poteri (auxilium,
intercessio, coercitio), efficaci strumenti di lotta politica; a tal proposito Cicerone esprime il suo pensiero
negativo considerando tali poteri dannosi perché portatori di discordie e “ladri” di prestigio senatoriale, e
cita in proposito il tribuno Tiberio Gracco o molti altri ricorsi alla violenza e all’illegalità [T86].
 T79 Livio, Ad urbe condita
 T80, T81 Livio, Periocha
 T82 Cicerone, Brutus
 T83 Appiano, Bella Civilia
 T84 Pseudo-Sallustio, Epistula ad Caesarem
 T85, T86 Cicerone, De legibus

LE RIFORME DI SILLA
Sia nell’88 a.C. che nell’82 a.C. Lucio Cornelio Silla entrò a Roma con l’esercito e varò una serie di
misure istituzionali. Nel primo caso agì in quanto console, con il collega Quinto Pompeo Rufo, ed
insieme: stabilirono che qualsiasi proposta doveva essere prima esaminata dal senato che dai comizi e
proposero che le votazioni non avvenissero per tribù ma per centurie (quindi il voto lo gestivano i
cittadini più ricchi), in modo da evitare rivoluzioni e sottrarre potere ai tribuni della plebe, carica ormai
tirannica; inoltre reclutarono 300 membri del senato [T87]. Nel secondo caso Silla, deceduti i consoli
dell’anno, anziché eleggere due nuovi consoli, impose al senato di scegliere l’interrex e fu nominato
Valerio Flacco, il quale comunicò al popolo, sotto richiesta di Silla, della necessità di un dittatore che
avesse poteri senza una durata stabilita e che quindi avesse tempo di ridare stabilità a Roma, il dittatore fu
chiaramente Silla [T88]. Sicuramente Silla, che nel 79 a.C. si ritirò dalla vita politica, volle ripristinare il
controllo del senato, per l’altra misura potrebbero esserci delle alternative: o avrebbe tolto potere ai
comizi tributi per rafforzare i centuriati, o avrebbe modificato la struttura di funzionamento dei comizi
centuriati. Ci si chiede, tra l’altro, se i nuovi cittadini a seguito della guerra sociale confluissero in 8
nuove tribù o nelle 35 esistenti [T89]. E’ comunque probabile che le riforme comiziali di Silla siano state
abrogate. Silla ordinò anche la gerarchia della carriera politica: la pretura non prima della questura, il
consolato non prima della pretura, la stessa magistratura poteva essere rivestita dopo almeno 10 anni, i
tribuni della plebe, cui ridusse il potere, non potevano rivestire altre cariche [T90]. Silla dava così tanta
importanza a questa riforma che pare avesse ucciso un candidato che voleva divenire console pur essendo
ancora cavaliere e prima di questura e pretura [T91]. Per quanto concerne la riduzione del potere dei
tribuni della plebe, pare che Silla lasciò ad essi solo lo iux auxilii [T92]. L’inserimento dei 300 cavalieri
in senato restituì le corti giudicanti ai senatori, dato che prima erano state date ai cavalieri e tolte al senato
da Gracco [T93]; tale progetto era già stato proposto dal tribuno Drusio, che morì [T94]. Inoltre, Silla
sistemò i veterani nelle terre confiscate ai proscritti; istituì quattro nuove quaestio; spostò l’esercito
dall’Italia alla Gallia Cisalpina, provincializzata, per poi ritirarsi, probabilmente, a fine 81 o 80 a.C. Nel
70 a.C. i consoli Gneo Pompeo Magno e Marco Licinio Crasso ripristinarono pieni poteri al tribunato
della plebe [T95], mentre il pretore Lucio Aurelio Cotta vietò di nuovo il dominio del senato sulle corti
giudicanti, affidandole ai cavalieri e ai tribuni aerarii, cittadini che, secondo alcuni, avevano censo
equestre ma non cavallo donato dallo stato, secondo altri erano cittadini di fascia censuaria inferiore ai
cavalieri [T96].
 T87, T88, T90, T91, T94 Appiano, Bella Civilia
 T89, T93, T95 Velleio Patercolo, Historiae Romanae
 T92 Cicerone, De legibus
 T96 Asconio, In Pisonianam

LA CRISI DELLA REPUBBLICA


Nel I sec. vi fu la crisi delle istituzioni repubblicane, a partire dalla concessione a privati cittadini di
grandi comandi militari. Il primo esempio fu Gneo Pompeo, nel 67 a.C. Patercolo fece un paragone tra
questi e Marco Antonio, da cui emerse che il potere personale trova limiti non nella costituzione ma nella
volontà del potente, la differenza costituzionale tra i due mandati era che Antonio era pretore in carica e
Pompeo un privato cittadino. Il console Pompeo, nonostante avesse giurato che non si sarebbe recato in
nessuna provincia, fu invece inviato a combattere i pirati, attribuendogli un imperium pari a quello dei
proconsoli provinciali; con tale legge si consegnava un vastissimo imperium ad uno solo, così come
accadde per il pretore Marco Antonio. Poteri straordinari affidati ad uomini che hanno come solo limite la
propria volontà, e che sono capaci di disporne come vogliono, sono molto temuti [T97]. L’imperium era
triennale e aveva rango proconsolare, efficace in tutte le province interessate alla repressione della
pirateria; tale materia era trattata dai comizi.
La vittoria contro i pirati procurò a Pompeo un altro comando straordinario, di tutti gli eserciti fuori i
confini dell’Italia, contro Mitridate [T98]. Ancora una volta il senato rimase estraneo al processo e, la sua
ostilità al ritorno di Pompeo in Italia, lo convinse ad accettare l’alleanza con Cesare e Crasso, formando,
nel 60 a.C., il primo triumvirato; Cesare infatti riconciliò Pompeo e Crasso, in discordia nel loro periodo
di consolato congiunto, che detenevano il massimo potere in città, e attirò su di sé il potere di entrambi
[T99, T100]. Il triumvirato fu rinnovato 4 anni dopo con gli accordi di Lucca, mediante cui Pompeo e
Crasso si sarebbero fatti rieleggere consoli e avrebbero fatto votare per Cesare un altro comando
quinquennale e per sé stessi le province più grandi, risorse e truppe [T101]. Dopo la vittoria su Pompeo,
Cesare, abusò del suo potere: assunse infinite cariche, quali il consolato senza interruzioni, dittatura
continua, controllo sui costumi e il prenome di Imperatore; inoltre tenne il terzo e quarto consolato solo
come titolo e nominò due consoli al suo posto cosicché i comizi votassero solo per l’elezione dei tribuni
della plebe e degli edili plebei; concedeva poi liberamente investiture magistratuali [T102]. Tutto questo
potere oscura le sue azioni concrete: integrò il senato, scelse nuovi patrizi, aumentò pretori, edili,
questori, divise i comizi con il popolo cosicché metà candidati fossero designati dal popolo e metà da lui;
inoltre affidò le corti giudicanti a senatori e cavalieri [T103]. Con legge votata nei comizi nacque il
secondo triumvirato tra Cesare Ottaviano, figlio adottivo di Gaio Giulio Cesare, che depose la carica di
console, Antonio e Lepido; a tutti e tre venne attribuita una magistratura che sedasse lotte civili, per 5
anni, con poteri consolari, che si divisero l’impero [T104].
 T97 Velleio Patercolo, Historiae Romanae
 T98 Appiano, Mithridatica
 T99, T102, T103 Svetonio, Divus Iulius
 T100 Plutarco, Caesar
 T101 Plutarco, Cato minor
 T104 Appiano, Bella Civilia
L’ESPANSIONE DI ROMA IN ITALIA E NEL MEDITERRANEO

GUERRE DIFENSIVE O “IMPERIALISMO”?


Secondo Tito Livio, le porte del tempio di Giano furono chiuse (simbolo di quiete) solo due volte: nel
periodo compreso tra 509 a.C. e 31 a.C.: alla fine della prima guerra punica e dopo la battaglia di Azio;
ciò vuol dire che i Romani erano continuamente in guerra [T1]. Grande espansione ebbe Roma nel
periodo compreso tra le guerre puniche, con le conquiste nel Mediterraneo. Dapprima l’autorità di Roma
era circoscritta, dal 343 a.C., con lo scoppio della prima guerra sannitica, i Romani cominciarono a
conquistare l’egemonia in Italia; dominarono i popoli latini, assoggettarono Etruschi e Sanniti,
sconfissero i Celti e gli alleati di Pirro e sottomisero le popolazioni italiche [T2]. Combatterono poi
contro Cartagine e i vari regni ellenistici, uscendone vittoriosi [T3]. Polibio sostiene che tra la guerra
contro Pirro e la guerra punica i Romani, attraverso imprese impegnative, elaborarono e realizzarono il
loro progetto di egemonia universale [T4, T5]. Ancora non è chiaro, però, se l’espansionismo romano
fosse dovuto dai vantaggi economici o dal timore di possibili aggressioni da parte di altre potenze.
 T1 Livio, Ad urbe condita
 T2, T3, T4, T5 Polibio, Historiae

L’ESPANSIONE DI ROMA NEL LAZIO E NELLA PENISOLA


Dalla caduta della monarchia etrusca al sacco gallico
Nei primi anni di governo senza re, Roma perse il ruolo di città leader del Lazio che le aveva consentito
di stipulare il trattato con Cartagine nel 509, il quale stabiliva che i Cartaginesi non dovevano infastidire i
popoli Latini sotto il controllo romano né mirare a conquistare le città di popoli ancora indipendenti [T6].
Vi furono nuovi conflitti con le vicine città etrusche, che volevano di nuovo imporre re a Roma, e con la
Lega latina. Significativa fu la conquista dell’etrusca Veio, da parte di un esercito stanziale [T7]. Dopo la
sconfitta del Lago Regillo (499 o 496 a.C.) le città latine, sconfitte, strinsero un’alleanza con Roma, il
foedus Cassianum (493 a.C.), che prevedeva: reciproca protezione giuridica e assistenza federale in caso
di assalto di uno dei due contraenti, il comando della guerra e la fondazione di colonie in comune per
difesa, permesso dei cittadini di Roma e della Lega latina di commerciare e sposarsi, ottenendo così anche
la cittadinanza dell’altra parte, spartizione del bottino ottenuto da eventuali guerre, risoluzione di
questioni relative a contratti privati entro 10 giorni e nella città di stipulazione [T8]. L’alleanza permise ai
Romani di affrontare meglio le periodiche minacce di popolazioni quali Volsci, Equi, Sabini, che
tentarono anche di stringere alleanze con i Romani o i Latini a seconda delle opportunità e che volevano
compiere razzie. Le lotte contro questi popoli durarono molti anni, tanto che Livio si chiese come essi
avessero radunato un numero efficace di soldati, attingendo probabilmente da giovani o da altri popoli
[T9]. L’espansione di Roma si bloccò con il sacco e l’incendio gallico nel 390 a.C.; anche se non vi sono
fonti attendibili su tale episodio, sappiamo comunque che Marsiglia inviò aiuti finanziari a Roma, per
poter pagare la Gallia per il riscatto di pace [T10]. La minaccia gallica, con i suoi grandi e preparati
eserciti, durò più di un secolo, fino all’ultima insurrezione causata dall’estendersi del territorio sotto il
controllo romano, mediante l’assegnazione di lotti nel Piceno, zona da cui i Romani cacciarono i Galli
Senoni, suscitando la rivolta dei Galli Boi [T11].
 T6, T11 Polibio, Historiae
 T7, T8 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae
 T9 Livio, Ad urbe condita
 T10 Pompeo Trogo (Giustino), Historiae Philippicae

LE CAMPAGNE DI GUERRA FUORI DEL LAZIO


La prima guerra sannitica
Da metà IV sec. Roma cominciò a combattere contro nuovi popoli; infatti Capua e i suoi alleati chiesero
aiuto ai Romani contro i Sanniti, popolo dell’Appennino centro-meridionale organizzato in tribù
territoriali e dotato di grande esercito, che stavano occupando la valle del Volturno, punto strategico di
passaggio dagli altopiani della Sabina alle pianure di Campania e Lazio [T12, T13]. Scoppiò così la
prima guerra sannitica (343-341 a.C.), combattuta prevalentemente in Campania e vinta dai Romani,
con cui si complimentarono i Cartaginesi, che inviarono dei doni a Roma [T14].
 T12, T14 Livio, Ad urbe condita
 T13 Strabone, Geographia

La guerra contro la Lega latina e il suo scioglimento


Dal 340 a.C. al 338 a.C. Roma combatté contro la Lega latina che, temendo la grande potenza dei Romani
e il loro dominio in continua estensione, alcune delle sue città si allearono con i Volsci e con le comunità
campane, mentre i Romani ebbero l’appoggio dei Sanniti. I romani vinsero, distruggendo gli eserciti
nemici e prendendo con la forza le città latine, alcune delle quali si arresero volontariamente [T15]. Il
foedus Cassianum fu soppresso e la Lega fu sciolta. Ogni città latina e ogni popolo furono
individualmente disciplinati: alcuni centri furono incorporati in territorio romano, ad alcune comunità
furono confiscati territori e altre furono trattate molto duramente, come gli abitanti di Velletri che spesso
si erano ribellati; ad alcuni popoli fu concessa la cittadinanza, come per gli abitanti di Anzio; ai Campani,
che non si erano ribellati con i Latini, fu concessa la cittadinanza senza diritto di voto [T16]. Si
costituirono nuove comunità, che avevano degli obblighi verso Roma: colonie e municipi, questi ultimi
godevano di autonomia amministrativa ed erano soggetti a determinati obblighi in caso di guerra [T17];
erano comunità etnicamente latine incorporate nella cittadinanza e nell’ager romanus che condividevano
gli oneri con i cittadini romani, eccetto le votazioni e l’elezione alle cariche magistratuali [T18]. Altre
comunità etnicamente non romane avevano la civitas sine suffragio  cittadinanza senza esercizio di
diritti politici. Le colonie latine erano obbligate a fornire contingenti militari a Roma e in situazioni di
necessità, come per l’invasione di Annibale, tali obblighi erano insostenibili [T19].
Con altri centri d’Italia alleati (socii) Roma stipulò di volta in volta trattati di alleanza diseguali (foedera).
 T15, T16, T19 Livio, Ad urbe condita
 T17 Gellio, Noctes Atticae
 T18 Festo, De verborum significatu

La prosecuzione e la fine della guerra contro i Sanniti e i loro alleati


La seconda guerra sannitica (327-304 a.C.) fu caratterizzata da maggiori insuccessi militari per i
Romani. Fu scatenata dalla minaccia della nuova colonia romana di Fregellae nel territorio di autorità
Sannita [T20]. Nel 312 fu significativa, ad opera del censore Appio Claudio, la costruzione della via
Appia che, collegando Roma a Capua, permetteva rapidi spostamenti di truppe, e nel 306 la via Valeria;
quindi era essenziale anche estendere le infrastrutture per estendere il loro dominio [T21]. La terza
guerra sannitica (298-290 a.C.) ampliò il fronte antiromano, composto da Sanniti, Umbri, Etruschi, Galli
(anche se Livio è dubbioso sulla grandezza dell’esercito, in quanto pare che alcuni abbiano
numericamente esagerato nel descriverlo [T22]) ma nonostante ciò i Romani sconfissero la coalizione.
Successivamente molti altri popoli alleati dei Sanniti si arresero, e visto il grande dominio dei Romani,
questi avevano a disposizione una riserva di uomini e mezzi immensa [T23].
 T20, T22 Livio, Ad urbe condita
 T21 Strabone, Geographia
 T23 Polibio, Historiae

L’INTRUSIONE IN MAGNA GRECIA: IL CONFLITTO CON TARANTO


Taranto chiese aiuto a Pirro, re dell’Epiro, per bloccare l’egemonia romana. Pirro fu il primo che compì
una spedizione oltremare contro i Romani, fu convinto dagli ambasciatori Tarantini, sia per la prosperità
dell’Italia sia per la dignità stessa del re che avrebbe dovuto ascoltarli [T24]. Pirro, con il suo esercito
superiore, sia per la tattica che per l’equipaggiamento, fornito anche di elefanti, sconfisse due volte i
Romani [T25], che tuttavia, ancora una volta, con la loro tenacia, cacciarono Pirro. Tale conflitto consentì
a Roma di entrare in politica internazionale: nel 273 a.C., il re d’Egitto Tolomeo Filadelfio strinse
alleanza con i Romani [T26].
 T24, T25 Pausania, Descriptio Graeciae
 T26 Eutropio, Breviarium ad urbe condita

LA CONQUISTA DELL’ITALIA CENTRALE E SETTENTRIONALE: IV-II SECOLO A.C.


Verso la fine del IV sec. a.C., dato che le popolazioni galliche in Italia centro-nord e le città etrusche
ancora indipendenti erano una minaccia per i Romani, essi avanzarono contro l’Etruria e l’Umbria
etrusca, ampliando i propri confini geografici [T27]. Dato essenziale dell’assoggettamento dell’Italia
settentrionale fu la sconfitta delle popolazioni galliche di quell’area, a fine III sec. a.C., e la conquista di
Mediolanum, la loro città-capitale [T28]. Di nuovo in rivolta dopo l’invasione annibalica, i Galli del nord
Italia diedero filo da torcere ai Romani e devastarono la colonia di Piacenza [T29]. Il controllo dell’area
padana, ad est fu rafforzato dalla creazione di colonie, ad ovest le tribù liguri rappresentarono un ostacolo,
sia perché le stesse tribù si opposero tenacemente ai Romani, sia perché il territorio era montuoso e
scosceso, con vie di collegamento difficili da percorrere [T30].
 T27, T30 Livio, Ad urbe condita
 T28 Plutarco, Marcellus
 T29 Asconio Pediano, In Pisonianum

L’ESPANSIONE DI ROMA FUORI D’ITALIA E NEL MEDITERRANEO


L’intervento a favore dei Mamertini e la prima guerra con Cartagine
Dopo la guerra contro Pirro, grazie ad una serie di trattati con i vari centri di potere italici e alle colonie
romane e latine, Roma controllava gran parte d’Italia, fino allo stretto di Sicilia, bramata dai Cartaginesi
ma anche da Roma, i quali approfittarono dell’aiuto ai Mamertini per ostacolare le mire di Cartagine, che
era anch’essa una potenza molto estesa e quindi una possibile minaccia per Roma [T31]. La prima
guerra punica (264-241 a.C.) fu per la gran parte combattuta in Sicilia, la cui gran parte, attraverso il
pretesto di aiuto a Messina assediata dai Siracusani e di liberazione di Siracusa minacciata dai
Cartaginesi, era ormai sotto l’autorità romana [T32]. Secondo Polibio, questo piano era già prestudiato
dai Romani da molto tempo, ritenendo che fosse possibile cacciare i Cartaginesi dall’isola [T33].
 T31, T33 Polibio, Historiae
 T32 Livio, Ad urbe condita

Definizione e crisi delle zone di influenza: dal trattato dell’Ebro alla nuova guerra punica
Dopo la prima guerra punica i Cartaginesi costituirono un impero in Spagna, che permise la loro ripresa e
fu la base operativa da cui Annibale progettò l’attacco all’Italia; il suo pretesto fu la conquista di Sagunto
[T34], città della Spagna sottoposta a Cartagine, delimitata dal corso dell’Ebro secondo le clausole del
trattato dell’Ebro del 226/225 a.C. secondo Polibio però, la prima causa della guerra fu il risentimento di
Amilcare, detto Barca, padre di Annibale, e il suo desiderio di rivincita; nonché il fatto che, pur di non
guerreggiare in condizioni pessime, si vide costretto a pagare un’indennità ai Romani [T35, T36]. In
Italia Annibale sconfisse più volte i Romani, cercando di far sì che gli alleati italici abbandonassero i
Romani, trattandoli in modo meno indulgente e affermando di voleva guerreggiare solo contro i Romani e
non contro gli alleati, che invece avrebbero dovuto allearsi con lui per riottenere la libertà e i propri
territori [T37]. Il suo piano però fallì e i Romani sopraffecero Annibale grazie all’enorme disposizione di
uomini e mezzi, in quanto vi furono molti volontari e tutti gli alleati fornirono mezzi necessari per
costruire nuove navi [T38].
 T34, T35, T36, T37 Polibio, Historiae
 T38 Livio, Ad urbe condita
LO SCONTRO CON LE MONARCHIE ELLENISTICHE: MACEDONIA E SIRIA
Le guerre contro Filippo V
L’azione di Roma nel Mediterraneo orientale iniziò nel 229/228 a.C. con l’attacco ai pirati illirici, che
minacciavano il commercio marittimo italico, e poi contro Demetrio di Faro. Secondo Polibio questo fu
un’altra importante tappa dell’egemonia romana anche nel mondo greco [T39]. Nel 215 il re macedone
Filippo V si alleò con Annibale per bloccare l’egemonia romana sull’Adriatico e sull’Illiria, stabilendo
che Cartaginesi e Macedoni sarebbero stati alleati fino a sconfiggere i Romani [T40]. Nel 205 un
armistizio, che prevedeva la spartizione dei territori, concluse la prima guerra macedonica [T41].
Qualche anno dopo però i Romani attaccarono nuovamente la Macedonia, poi, ai Giochi Istmici di
Corinto dichiararono liberi i Greci [T42], mentre gli Etoli parlavano dei Romani come dei nuovi padroni,
al posto dei Macedoni [T43].
 T39, T40 Polibio, Historiae
 T41, T43 Livio, Ad urbe condita
 T42 Plutarco, Flamininus

Il conflitto con il regno di Siria


Gli Etoli, che si sentivano denigrati dai Romani circa gli esiti positivi della guerra contro Filippo, si
allearono con Antioco III di Siria [T44], che voleva riconquistare i territori d’Oriente e d’Asia Minore e
che ospitava Annibale, fuggito da Cartagine, il quale ancora una volta voleva attaccare i Romani e chiese
100 navi, 10mila fanti e 1000 cavalieri [T45]. Dopo le sconfitte di Termopoli e Magnesia il senato impose
agli Etoli di rispettare l’autorità romana, di impedire, nel loro territorio, il passaggio di alleati contro
Roma o contro i suoi alleati e di inimicarsi gli stessi nemici di Roma [T46]. Antioco, che rinunciò alle sue
mire espansionistiche, fu costretto a pagare un’ingente indennità di 12mila talenti in 12 anni [T47].
 T44, T47 Polibio, Historiae
 T45, T46 Livio, Ad urbe condita

La fine del regno macedone


Il figlio di Filippo V, Perseo, sfruttò, attraverso la sua ostilità, il consenso popolare antiromano [T48]. Ma
dopo alcuni fallimenti fu sconfitto a Pidna nel 168 a.C. e i Romani proclamarono liberi i popoli che
appartenevano all’ex regno di Macedonia, in modo tale che i Romani fossero considerati portatori di
libertà e non viceversa [T49].
 T48 Polibio, Historiae
 T49 Livio, Ad urbe condita

LA NUOVA POLITICA ROMANA DI ASSOGGETTAMENTO: LA CREAZIONE DELLE


PROVINCE TRANSMARINE
Distruzione di Cartagine
Nel dibattito sulle corti di Cartagine, che costituiva una minaccia per i Romani, si impose, sulle posizioni
più moderate, che consideravano le azioni dei Romani verso i Cartaginesi troppo dure, il parere di chi,
come Catone, propose la distruzione della città [T50].
 T50 Polibio, Historiae

L’assoggettamento definitivo della Macedonia e della Grecia


Nel 148 a.C. i Romani intervennero contro Andrisco, che pretendeva di essere successore di Perseo.
Quando la Lega achea assalì Sparta vi fu una grave rivolta in Grecia, sedata dai Romani, che distrussero
Corinto ad opera di Lucio Mummio e conquistarono gran parte di Grecia, Epiro ed ex Macedonia [T51].
 T51 Strabone, Geographia
La conquista della Spagna meridionale
Le popolazioni spagnole, che avevano fatto parte dell’impero cartaginese e ora soggette ai Romani, si
ribellarono al loro dominio. La prima fase delle guerre iberiche (197-178 a.C.) consentì 30 anni di pace
cui seguì un ventennio di guerra contro i Lusitani, guidati da Viriato, e contro i Celtiberi, popoli temerari
e dediti al banditismo, che i Romani affrontarono separatamente [T52]. La rivolta finì nel 133 a.C.
quando Scipione Emiliano conquistò e distrusse Numanzia, la città più importante dei Celtiberi [T53].
Vennero organizzate le provincie di Hispania Citerior e Hispania Ulterior.
 T52, T53 Strabone, Geographia
L’EVOLUZIONE ECONOMICA E SOCIALE

LA POSIZIONE GEOGRAFICA DI ROMA E LA PRODUTTIVITA’ DELL’AGER ROMANUS


L’area in cui si sviluppò Roma era caratterizzata da collinette su un’ansa del Tevere e tra esse vi erano
piccole valli [T1]. Il luogo era strategico poiché su tale ansa convergevano le principali vie di
collegamento che servivano il basso e medio corso del Tevere [T2]. La produttività dell’ager Romanus, se
confrontata con altri, come il vicino agro di Veio, era comunque scarsa [T3, T4].
 T1 Cicerone, De lege agraria
 T2 Cicerone, De republica
 T3 Varrone, De re rustica
 T4 Livio, Ad urbe condita

ALLEVAMENTO E AGRICOLTURA
Anticamente, il popolo dei Romani era molto dedito alla pastorizia, questo tra l’altro lo si può notare
anche da alcuni particolari, come le antiche multe inflitte in buoi e pecore o le monene antiche
contrassegnate con figure animali [T5]. Anche l’agricoltura era però fondamentale e la tradizione
attribuisce misure agricole anche a Romolo, che creò i sacerdoti dei campi, e a Numa, che stabilì le
offerte votive con cereali ed istituì feste come i Fornacalia, per la torrefazione del farro. Anche i cognomi
più antichi, tra l’altro, sono legati all’agricoltura: Pisone (da pisere= macinare), e poi Fabi, Lentuli,
Ciceroni a seconda di ciò che ciascuno coltivava meglio [T6]. L’importanza dell’agricoltura trova
conferma nel divieto di uccidere e mangiare buoi usati per l’aratura [T7]. Si produceva già vino, per cui
Numa istituì anche delle regole che ne regolavano l’uso e impose, per le cerimonie religiose, il vino
ricavato da viti potate, costringendo così i contadini a potare gli alberi che sostenevano le viti [T8].
 T5, T7 Varrone, De re rustica
 T6, T8 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia

LA ROMA DEI TARQUINI


Negli anni della monarchia etrusca vi furono cambiamenti politici ed urbani. Livio racconta degli
interventi di Tarquinio Prisco: la costruzione del Circo Massimo e la costruzione di posti a senatori e
cavalieri (i fori), la costruzione della Cloaca Maxima, cinse la città, avviò i lavori per l’edificazione del
tempio di Giove sul Campidoglio [T9, T10]. Il suo programma fu completato dai suoi successori, che
impiegarono anche la manodopera di artisti etruschi, sia per i templi degli dei sia per altri lavori, come la
costruzione dei sedili nel Circo o lo scavo sotterraneo della Cloaca [T11, T12]. Vi erano comunque anche
artisti provenienti dal mondo greco, due dei quali decorarono il tempio di Cerere [T13]. A Servio Tullio
viene attribuita l’introduzione della moneta, dato che il suo censimento valutava i patrimoni dei cittadini;
anche se la notizia è anacronistica poiché la sua comparsa risale al IV sec.; tuttavia, dato che la fonte
risale a Timeo Siculo, il quale scrisse prima dello sviluppo della storiografia romana e poiché nel VI sec.
sono documentati pani e lingotti bronzei con l’impronta del ramo secco, probabilmente la misura di
valore usata da Servio era il bronzo [T14].
 T9, T10, T11 Livio, Ad urbe condita
 T12, T13, T14 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia

ROMA TRA IV E III SECOLO A.C.


Nel IV sec. a.C., la conquista di Veio e la durezza del conflitto portarono all’introduzione di uno stipendio
per i legionari [T15], pagato mediante l’imposizione di una contribuzione, il tributum ex censu [T16].
L’acquisizione di Veio, ricco territorio, consentì la distribuzione di lotti sia ai capifamiglia che ai figli
adulti [T17], dando inizio alla storia della proprietà agraria romana e all’affermazione del
contadino/soldato, che combatteva quando necessario.
Dato il forte indebitamento a metà IV sec. a.C.,Gaio Licinio e Lucio Sestio approvarono le leggi Licinie-
Sestie [T18]. Nel 326 a.C. o 313 a.C. la lex Poetelia-Papiria vietò il nexum, l’assoggettamento personale
per debiti; tale legge deriva da un giovane straziato dall’usuraio Lucio Papirio, e per la violenza su un
solo uomo fu spezzato un importante vincolo e fu ordinato ai consoli di stabilire di prendere in garanzia i
beni del debitore e non il suo corpo [T19]. Varrone sostiene che nexus era colui che per estinguere un
debito lavorava volontariamente fino alla sua estinzione, quindi la schiavitù per debiti consisteva nel
fornire al creditore manodopera, così come facevano anche gli obaerati [T20]. Negli anni dopo la guerra
latina furono dedotte molte colonie di diritto latino, con contingente di coloni variabile, e di diritto
romano, con contingente di coloni fisso di 300 maschi adulti; per queste ultime vi era più difficoltà di
trovare volontari, nonostante fosse la partecipazione a quelle latine a far perdere la cittadinanza romana ai
coloni [T21]. La diffusione di colonie determinò sia la diffusione del modello urbano sia un
rimodellamento del paesaggio rurale circostante, suddiviso mediante assi ortogonali (limites, linee di
confine come strade, che si intersecano ad angolo retto), che delimitavano i lotti. Questo metodo fu
applicato anche in aree dove lo stato metteva in vendita lotti e quindi praticava l’ager quaestorius, poiché
della vendita se ne occupavano i questori; è il caso della Sabina [T22]. Secondo Fabio Pittore i Romani
appresero la propria ricchezza proprio dopo la conquista della Sabina, ad opera di Curio Dentato nel 290
a.C. [T23]. Pochi anni prima nacque l’allevamento specializzato, come testimoniano le multe agli
allevatori di bestiame che contravvenivano alle norme sull’occupazione dell’ager publicus [T24].
Dalla fine del IV sec. a.C. il bronzo a peso fu sostituito dalla produzione di monete fuse in bronzo di peso
definito, l’aes grave (circa 325 gr.). Dal 269 a.C. si coniò anche la moneta d’argento e si stabilì che il peso
di un denario=10 libbre di bronzo, un sesterzio= 2 ½ libbre, il peso fu ridotto durante la prima guerra
punica, poiché lo stato non era in grado di sostenere le spese. Sulle monete d’argento vi erano impressi
biga e quadriga; le monete d’oro furono coniate 51 anni dopo quelle d’argento [T25].
Roma era un importante centro di produzione artigianale di gran qualità, come dimostra la cista Ficoroni
[T26]. Gli esponenti delle élite si dedicavano ad attività artigiane ed artistiche come la pittura, poiché non
si era ancora avuta la svalutazione del lavoro manuale, che fu in seguito ritenuto umile [T27, T28]
 T15, T16, T17, T18, T19, T21 Livio, Ad urbe condita
 T20 Varrone, De re rustica
 T22 Siculo Flacco, De condicionibus agrorum
 T23 Fabio Pittore, fr.20 Peter= Strabone, Geographia
 T24 Ovidio, Fasti
 T25, T27 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia
 T26
 T28 Valerio Massimo, Facta et dicta memorabilia

ROMA TRA II E I SEC. A.C.


Tra la guerra annibalica e la terza guerra macedonica Roma si arricchì molto, incassando 250 miloni di
denarii, cui si aggiungevano i tributi delle province, ingentissimi furono i bottini di guerra ottenuti contro
Antioco di Siria e Perseo, raccogliendo non solo monete (300 milioni di sesterzi per quest’ultima guerra)
ma anche cimeli, oggetti preziosi, argenti [T29, T30, T31, T32], che permisero, tra l’altro, di sospendere
il tributum ex censu [T33, T34]. Le province dovevano versare denaro per approvvigionare le truppe e la
città di Roma, dato che il rifornimento granaio, soprattutto proveniente dalla Sicilia non era più
sufficiente [T35]. Dopo la guerra annibalica, quando vi fu appunto grande rifornimento granaio da parte
della Sicilia [T35], fu estesa ad essa la lex Hieronica  norme che regolavano il pagamento dell’imposta
in natura applicato da Ierone II al regno di Siracusa, in base al cui era prelevato, come canone, un decimo
della produzione di cereali [T36]. Nelle province spagnole grandi guadagni si avevano dagli sfruttamenti
delle miniere d’oro e argento [T37], tanto che molti Italici investirono in tale attività acquistando anche
schiavi per farli lavorare in miniere [T38], schiavi disponibili dopo che Roma, a partire dalla guerra
annibalica, ridusse in schiavitù intere popolazioni, le cui città venivano saccheggiate [T39, T40]. Gli
schiavi erano assicurati anche dalla pirateria, soprattutto quella cilicia: i Cilici infatti si ribellarono a
Trifone e ai suoi tentativi, mal organizzati, rivoluzionari; si organizzarono in gruppi di pirati che
catturavano facilmente gli schiavi e li portavano al mercato di Delo, arricchendosi grazie alla grande
richiesta schiavistica dei Romani [T41]. Tutti questi eventi ampliarono lo spazio delle coltivazioni e la
loro produttività, tanto che Catone istituì una gerarchia delle colture in base ai loro risultati: fondo con
vigne, con orto, con saliceti, con oliveti, con prati, con grano, selvatico, con arboreti, con querceti [T42].
Le terre erano organizzate con una squadra fissa di schiavi gestiti da uno schiavo o liberto. Secondo
Catone, è importante che il fondo godesse di posizione ottimale: alle falde di un monte, esposto al sole,
con abbondanza di manodopera e acqua, vicino ad una città o una strada frequentata o mare/fiume [T43].
Catone, inoltre, stabiliva anche attrezzi e numero di lavoratori per coltivare olivi (13 persone) [T44] e viti
(16 persone) [T45]. Per i lavori di maggior impegno, come la raccolta e la spremitura delle olive e la
vendemmia, si doveva ricorrere ad ulteriore manodopera, mediante contratti che stabilissero la raccolta di
olive buone e la loro misurazione e pulitura, il divieto di sottrazione di esse, la fornitura, da parte
dell’appaltatore, di addetti necessari al lavoro, i premi aggiuntivi [T46]. Si poteva anche ricorrere alla
vendita del raccolto sulla pianta a terzi, lasciando la raccolta al compratore [T47]. Tuttavia, lo stesso
Catone considerava l’allevamento più lucroso; Varrone spiega che l’allevamento, inizialmente praticato
insieme all’agricoltura, si specializzò e si divise in due tipi: in villa e sui campi, per cui spesso uomini
facoltosi affittano o acquistano pascoli; spiega poi numericamente i rendimenti da allevamento [T49,
T50]. Il progressivo impossessarsi dell’ager da parte di medi e grandi proprietari pose in crisi i piccoli
proprietari: i Romani vendevano parte della terra conquistata e parte la davano a cittadini poveri in
cambio di un tributo, i ricchi però offrirono maggiori contributi e quindi esclusero i poveri, che riuscirono
ad ottenere un po’ di pace con la legge sul divieto di possedere più di 500iugeri a testa; tuttavia i ricchi,
con l’aiuto di prestanomi, si impossessarono di altre terre e i poveri furono cacciati [T51, T52, T53].
Tiberio istituì una commissione agraria, attiva soprattutto al meridione, che oltre a limitare il possesso di
terra la ridistribuiva ai cittadini nullatenenti [T54]. Un’iscrizione anonima ritrovata a Salerno ci fa capire
che, in area di assegnazioni graccane, potrebbero esser stati interessati alla riforma agraria soprattutto i
terreni usati per l’allevamento; nell’iscrizione, probabilmente del console Popilio Lenate, l’anonimo si
vanta di esser stato il primo ad aver fatto ritirare i pastori dall’agro pubblico per far posto agli agricoltori e
di aver catturato molti schiavi fuggitivi e averli resi ai proprietari [T55]. Tale concentrazione di schiavi
dipendeva, secondo Diodoro, dal fatto che i ricchi Siciliani investirono molto in agricoltura, comprando
molti schiavi i quali erano maltrattati e per questo si davano al brigantaggio, senza essere puniti poiché i
loro padroni erano spesso cavalieri e facenti parte delle corti giudicanti per i processi nei confronti dei
governatori provinciali, che quindi non li punivano [T56]. I redditi maggiori erano dati dal commercio
marino, esposto però a pericoli, e al prestito finanziario, disonesto (secondo Catone) [T57]. Quest’attività
mercantile arricchì molto Roma e la sua classe dirigente e, il senato, onde evitare sprechi di ricchezze,
impose delle leggi per l’allestimento dei banchetti: lex Orchia  stabiliva il numero dei convitati; lex
Fannia  stabiliva 100 assi di spesa massima per i giorni di festa e per gli altri giorni 10 o 30 assi a
seconda dei casi; lex Didia  promulgata per estenderla all’Italia intera e non solo a Roma e per
moderare non solo gli organizzatori ma anche gli invitati; lex Licinia  rafforzamento della lex Fannia,
stabiliva 100 assi di spesa in alcuni giorni, 200 assi per le nozze e 30 assi per tutti gli altri giorni, nonché
una data quantità di carne da consumare al dì mentre non c’erano limitazioni per prodotti di terra, viti e
alberi [T58, T59].
Una misura che facilitava le attività mercantili è quella di Ambracia del 187 a.C., secondo cui agli abitanti
venivano rese le loro proprietà, potevano vivere secondo le loro leggi e riscuotere ovunque i dazi, eccetto
dai Romani e gli alleati Latini [T60]. Non è chiara invece la misura che vietava ai transalpini la
coltivazione di olivi e viti [T61].
Posizioni strategiche avevano Delo e Alessandria; il primo fu un grande porto, istituito dopo la guerra
contro Perseo per colpire il porto di Rodi, e che commerciava soprattutto schiavi e pullulava di mercanti
romano-italici, secondo quando ci sovviene da un’iscrizione di Alessandria [T62].
Le merci orientali giungevano in Italia al porto di Puteoli (Pozzuoli); Cicerone descrive le zone di
provenienza delle merci e la loro tipologia e proprio a Puteoli giunsero molti mercanti, per invocare
giustizia, al processo contro Verre [T63, T64].
Essenziale era l’esportazione di vino, che portava ingenti guadagni, soprattutto dai Galli, grandi adoratori
della bevanda, tanto da scambiare uno schiavo per un’anfora di vino [T65].
Con l’afflusso di ricchezze cambiarono anche i modelli culturali ed architettonici, molti centri furono
totalmente ristrutturati, i lavori furono finanziati da personaggi influenti della classe dirigente [T66, T67,
T68].
 T29, T30, T31, T32, T35, T39, T40, T60 Livio, Ad urbe condita
 T33 Plinio, Naturalis Historia
 T34 Valerio Massimo, Facta ed dicta memorabilia
 T36, T63, T64 Cicerone, Actio secunda in Verrem
 T37, T41 Strabone, Geographia
 T38, T56, T65 Diodoro Siculo, Bibliotheca Historica
 T42, T49, T50 Varrone, De re rustica
 T43, T44, T45, T46, T47, T57 Catone, De agri cultura
 T48 Cicerone, De officiis
 T51, T52, T53 Plutarco, Ti. Gracchus
 T54, T55, T66, T67, T68
 T58 Macrobio, Saturnalia
 T59 Aulo Gellio, Noctes Atticae
 T61 Cicerone, De republica
 T62 OGIS
SOCIETA’ A CONTATTO

ROMA ARCAICA
Nell’Italia antica vi erano stretti rapporti tra le comunità locali italiche, rafforzatisi con la conquista
romana. Già prima di Roma esistevano molti popoli, di cui Plinio ne ricorda 30, che celebravano insieme
un rito federale sul monte Albano e che sono poi scomparsi [T1]. Molte sono le tradizioni mitiche delle
vicende del Lazio arcaico, raccontate ad esempio nella Teogonia [T2] o negli scritti di Dionigi, secondo
cui Enea fu il vero fondatore di Roma, così chiamata in onore di una donna troiana, che istigò all’incendio
delle navi troiane perché stanca di peregrinare dopo la caduta di Troia [T3]. In effetti sono diffuse diverse
storie sull’origine e sul nome di Roma che, oltre a quello della donna troiana, pare fosse il nome derivante
da donne legate in qualche modo ad Enea; secondo altri il nome deriva da Romolo [T4]. Altre leggende si
collegano a quella di Roma come colonia di Arcadi guidati da Evandro [T5] e al sacrificio del vitello in
onore di Ercole, che dalla Spagna condusse dei buoi ad Argo e proprio nei pressi di Roma effettuò quel
sacrificio [T6] su un’ara, molto venerata dagli abitanti, che su di essa effettuano voti e giuramenti [T7].
Secondo le fonti, Roma era sin dall’inizio una città aperta ai contatti e all’integrazione, né è esempio
l’asilo romuleo, secondo cui Romolo offriva asilo e protezione a coloro che si fossero rifugiati presso un
tempio sacro al Campidoglio [T8], ma anche l’accoglienza di re stranieri [T9], come Tarquinio Prisco,
figlio del corinzio Demarato rifugiato in Etruria per sfuggire alla tirannide, che per cultura e cortesia
ottenne facilmente la cittadinanza romana e fu amico di re Anco Marcio, tanto sa succedergli [T10, T11].
Lo stesso Demarato educò i suoi figli secondo usanze e discipline greche [T14]. Oltre all’Etruria, i cui
ambasciatori recarono a Roma le dodici asce, una da ogni città, che venivano usate dal comandante
militare in guerra, [T13] e alla Sabina, da cui tra l’altro derivano alcune divinità, come Minerva [T12],
altrettanto importante è stata l’influenza delle colonie greche e della Grecia stessa, da cui molte leggi e
discipline sono state attinte [T15, T16], anche se i Romani sostenevano di aver migliorato ciò che era
stato importato da altri luoghi [T17]. Una tradizione, chiaramente anacronistica, afferma addirittura che
Numa fosse allievo di Pitagora, che in realtà giunse in Italia molti anni dopo la morte del re [T18, T19].
E’ una tradizione che si ricorda perché comunque, tra VI e V sec. a.C., Pitagora ebbe grande fama in
Italia con la sua dottrina [T20] e perché Numa si distinse per sapienza, essendo così considerato, da
posteri che ignoravano i rapporti cronologici, allievo di Pitagora [T21]. L’influenza pitagorica rimase a
lungo a Roma, per esempio al IV sec. a.C. risalgono le sentenze di stile pitagorico di Appio Claudio
Cieco [T22, T23], mentre nel III sec. a.C. una statua di Pitagora fu esposta al Foro Romano [T24].
L’insistenza di un presunto legame tra Pitragora e Numa pare derivi da un atto politico del re, ossia la
divisione della popolazione secondo arti e mestieri per superare le divisioni etniche della città, spaccata in
due grandi gruppi che non riuscivano a fondersi, per cui sarebbe stato più semplice dividerli in tanti
piccoli gruppi [T25]. Nel V sec. a.C. Pitagora era maestro anche di popolazioni quali Romani, Sabini e
Lucani [T26] e l’influenza della cultura greca a Roma si ampliò sempre di più con le conquiste nel
meridione d’Italia, dove vi erano le colonie greche; simbolo di ellenizzazione sono le qualità, tipicamente
greche di armonizzare corpo e anima, attribuite a Scipione Barbato nell’iscrizione sul suo sepolcro [T27],
o ancora la romanizzazione della civiltà ellena della colonia greca di Posidonia [T28].
 T1 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia
 T2 Esiodo, Teogonia
 T3, T6, T7, T8, T10, T13, T15 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae
 T4 Plutarco, Romulus
 T5 G.Acilio, fr.1 Peter= Strabone, Geographia
 T9 Tacito, Annales
 T11, T14, T17, T19 Cicerone, De republica
 T12 Varrone, De lingua Latina
 T16 Simmaco, Epistulae
 T18 Livio, Ad urbe condita
 T20, T21, T22 Cicerone, Tusculanae disputationes
 T23 Appio Claudio Cieco
 T24, T25 Plutarco, Numa
 T26 Aristosseno, fr.17 Wehrli
 T27
 T28 Ateneo, Deiphnosophistae

LA CONSAPEVOLEZZA ROMANA DELL’ITALIA


Roma non può intendersi senza l’Italia, questo lo si intuisce anche negli scritti di Fabio Pittore (come per
l’origine dei Volsci, che pare derivassero il loro nome da un personaggio della mitologia greca [T29]). Lo
studio e la preminenza che fu data dagli storici alle popolazioni italiche risale soprattutto al II sec. a.C.,
quando Roma risistemava le varie città e i popoli d’Italia; tra questi storici ricordiamo Catone, che
racconta degli Aborigeni, che si insediarono in Italia e che dopo l’arrivo di Enea in Italia si unirono ai
Troiani e si chiamarono appunto Latini [T30, T31], nonché si occupò di altri popoli italici [T32]. Altri
storici ad occuparsi di popoli d’Italia furono Gellio [T33] e Calpurnio Pisone. Tali autori si rifacevano
soprattutto ad autori siculi come Timeo e a tradizioni locali: ad esempio, Timeo scrisse che il nome Italia
deriva dai buoi, chiamati in greco antico italoi, di cui l’Italia era piena [T34]; ancora Catone ci parla
dell’origine dei Sabini, così chiamati da Sabo, figlio di una divinità locale, e delle loro abitudini [T35]. Di
tutti questi autori, eccetto Catone, abbiamo pochi frammenti, per cui spesso ci si rifà a Catone, secondo il
quale l’Italia aveva come limite le Alpi [T36], seppur fosse non unitaria ma una pluralità di ambienti e
culture. Comunque già dal trattato con Cartagine il nome Italia indicava la zona dell’espansione romana;
esso viene anche citato da Livio in un contesto di celebrazioni religiose [T37]. Dopo la II guerra punica la
repressione dei Baccanali coinvolse appieno l’Italia, ma nel senatoconsulto che li impediva non compare
tale parola [T38]. Di legami tra Roma e l’Italia conosciamo anche quello di re Numa, che diede pace e
tolleranza all’Italia [T39].
 T29 Fabio Pittore, fr.2 Peter
 T30 Frontone, Principia Historiae
 T31 Catone, Origines, fr.5 Peter=Servio, Ad Vergilii Aeneida
 T32, T36 Catone, Origines, fr.28 Peter= Prisciano, Institutio de arte grammatica
 T33 Gellio, fr.10 Peter= Servio, Ad Vergilii Aeneida
 T34 Aulo Gellio, Noctes Atticae
 T35 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae
 T37 Livio, Ad urbe condita
 T38
 T39 Plutarco, Numa

L’ELLENIZZAZIONE
Sin dall’età arcaica e poi soprattutto con la conquista della Magna Grecia vi fu grande influenza della
cultura greca in Roma. Oltre a culti greci come quello di Cerere ed Apollo, fu introdotto a Roma, ad inizi
III sec., quello di Esculapio, in occasione di una pestilenza [T40]. Le conquiste orientali svilupparono
ulteriormente il processo di ellenizzazione, anche con l’import di oggetti raffinati [T41]. Le élite
cominciarono ad adottare anche tattiche militari tipiche dei Greci, giocando sull’astuzia e sull’inganno
[T42]. L’influenza greca si sentì molto per quanto concerne l’educazione e la cultura del cittadino, un
esempio fu Tiberio Gracco, educato nelle arti letterarie greche sin da piccolo [T43, T44]. Anche le
reazioni a tale cultura furono forti, sia entusiaste, per la dottrina filosofica greca [T45, T46], sia
incriminanti, che consideravano i Greci malvagi, superbi ed indecorosi [T47, T48].
 T40 Livio, Annales
 T41 Calpurnio Pisone, fr.34 Peter= Plinio il Vecchio, Naturalis Historia
 T42 Livio, Ad urbe condita
 T43 Cicerone, Brutus
 T44, T45 Plutarco, Ti. Gracchus
 T46 Plutarco, Cato maior
 T47 Plinio il Veccio, Naturalis Historia
 T48 Macrobio, Saturnalia

L’INTEGRAZIONE PROGRESSIVA
Già in età regia Roma aveva supremazia sugli altri popoli del Lazio, partecipando ai culti federali dei
popoli latini; ne è un simbolo l’edificazione del tempio di Diana sull’Aventino, voluto da Servio Tullio,
nonché l’attuazione di leggi, che regolassero i rapporti tra le città, fissate con caratteri greci su una stele
bronzea [T49]. Alla supremazia romana si ribellarono però molti popoli latini alleati all’indomani della
cacciata dei re [T50], fino all’alleanza sancita dal foedus Cassianum, che dopo un periodo di contrasti fu
rinnovato a metà IV sec. a.C. [T51]; successivamente i Latini furono assorbiti nello stato Romano in
espansione in Italia meridionale.
Le guerre successive, contro Etruschi, Galli, Sanniti, furono molto dure e sanguinose, molti uomini
furono uccisi [T52] o fatti prigionieri, molte terre furono conquistate, specie in Sabina ad opera di Mario
Curio Dentato [T53]. Durante queste guerre i Romani impararono anche nuove tattiche militari, specie
quelle dei Sanniti (scudi lunghi e giavellotti) [T54] e dei Greci per quanto concerne la cavalleria (lance
più spesse ed affilate, scudi più solidi) [T55].
Roma garantiva ai vinti dignitosi diritti (a proposito di questo, circa i Latini, in senato si discuteva che i
Romani, sia distruggendo sia offrendo la cittadinanza, avrebbero dominato) [T56], un esempio è con la
città di Tusculo, i cui abitanti restarono impuniti e anzi ricevettero anche la cittadinanza, evitando che
rinascessero pretesti per ribellioni [T57]. Questo però suscitò anche reazioni negative, come nel caso
degli Equi che sostennero che Roma, sotto la minaccia della guerra, convinceva i popoli a diventare
cittadini romani [T58]. Roma era decisa al controllo dell’Italia meridionale e pronta a sfidare altre
potenze, come dimostra il discorso di Appio Claudio Cieco nel rifiutare la proposta di pace di Pirro, che
prevedeva la restituzione dei prigionieri di Pirro in cambio della libertà ai Greci d’Italia e della
restituzione di ciò che avevano tolto in guerra a Lucani, Sanniti, Bruzi. Appio Claudio rimase indignato
da questa proposta, sostenendo che i Romani, così facendo, sarebbero diventati schiavi dei Macedoni e
non alleati [T59]. In circa 150 anni (322-180 a.C.) Roma dedusse moltissime colonie latine, comunità ex
novo in zone non romane, adatte alla difesa da molti pericoli [T60, T61] con cittadini Romani che
rinunciavano alla loro cittadinanza in cambio di lotti e possibilità di ascesa sociale. Nel territorio
circostante si diffondevano così usi e costumi romani.
Ad inizi II sec. a.C. nelle colonie i cittadini Romani mantenevano tale status [T62]. Con tale politica
espansionistica si diffuse anche la lingua latina [T63]. Le conquiste fuori Italia avvennero non per offerta
della cittadinanza ma per dominio; in un primo periodo, considerato ancora positivo (guerre puniche), ma
i successivi cent’anni, dalla distruzione di Cartagine, di Corinto e Numanzia ad Augusto, vi furono
importanti imprese militari ma anche molte stragi e grande ricchezza e prosperità, secondo molti,
originaria causa della decadenza di Roma [T64]. A metà II sec. a.C. Roma fu molto dura e decisa nelle
sue azioni, distruggendo ogni suo possibile nemico, come accadde per Cartagine, la cui distruzione fu
istigata da Catone, il quale, mandato lì come ambasciatore durante la guerra della città contro la Numidia,
e vi riscontrò, nonostante le sconfitte e il trattato stipulato con Roma, una città fiorente e ricca, quindi
potenziale minaccia per Roma. Al contrario, Scipione Nasica sosteneva che a Roma doveva restare la
paura per Cartagine, per frenare l’arroganza dei Romani e la loro eccessiva sicurezza [T65]. Altro
episodio che dimostra la durezza di Roma furono i provvedimenti di Lucio Mummio contro le città
greche, a pochi anni dalla proclamazione della libertà dei Greci: distrusse le mura delle città che avevano
combattuto contro Roma e vi tolse le armi, istituì regimi fondati sul censo e sottopose a tributo anche la
Grecia, sciolse tutte le leghe etniche (Achei, Beoti ecc) [T66]. Molto odio fu generato a seguito delle
conquiste dei Romani; ricordiamo in proposito la strage di Giugurta a Cirta, dove furono uccisi molti
commercianti italici e Numidi [T67] o quella, ad opera degli Asiatici, intimata da Mitridate, contro
Romani ed italici lì residenti [T68]. Molti furono i problemi anche in Italia: fu difficile per gli alleati
mantenersi tali durante la guerra annibalica, dato che dopo la sconfitta essi dubitarono della supremazia di
Roma, cui vennero tolti alcuni popoli (Campani, Bruzzi, Apuli ecc) per esser ceduti a Cartagine [T69]; si
giunse allo scontro, tra II e I sec. a.C., a causa dei contrasti nella classe dirigente romana sulla
concessione della cittadinanza ai popoli italici, da molti bocciata, in quanto rimandavano ogni individuo
alla cittadinanza della propria città d’origine [T70]; questo scatenò la ribellione degli alleati italici, che
tanto si prodigavano per sostenere Roma nelle guerre e nelle imprese di conquista e che vedevano negati i
loro diritti [T71], e che inoltre cominciarono a sentire un forte senso d’indipendenza, tra cui i Sanniti, che
andarono contro Silla, decisi a distruggere Roma [T72]. Successivamente, dopo la repressione delle
ribellioni, l’ascesa sociale delle plebi rurali mediante arruolamento volontario e l’entrata delle élite
municipali nella classe dirigente romana portarono a quella che fu definita rivoluzione romana, in cui
viene valorizzata molto l’unità linguistica [T73], nonché l’Italia come base per la conquista
dell’egemonia [T74].
 T49, T50, T57 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae
 T51, T56, T58, T63, T69 Livio, Ad urbe condita
 T52 Teodoro Siculo, Bibliotheca Historica
 T53 Anonimo, De viris illustri bus
 T54 Ineditum Vaticanum
 T55 Polibio, Historiae
 T59 Appiano, Sannitica
 T60 Cicerone, De lege agraria
 T61 Orazio, Sermones
 T62, T71, T72 Velleio Patercolo, Historiae Romanae
 T64 Floro, Epitome
 T65 Plutarco, Cato maior
 T66 Pausania, Descriptio Graeciae
 T67 Sallustio, Bellum Jugurthinum
 T68 Appiano, Mithridatica
 T70 Asconio, In Cornelianam
 T73 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia
 T74 Strabone, Geographia
IL PRINCIPATO

LE ISTITUZIONI E L’AMMINISTRAZIONE DELL’IMPERO

LA FONDAZIONE DEL PRINCIPATO TRA INNOVAZIONI E PERSISTENZE


I fondamenti del potere di Augusto
Ottaviano legalizzò la sua posizione tra 27 e 28 a.C. attraverso una serie di misure tese a restaurare
formalmente la repubblica, che però lui stesso si occupò di controllare, affinché Roma potesse essere una
città di cui ritenersi soddisfatti e si prodigò, oltre ad adornarla e abbellirla, affinché le sue misure
perdurassero nel tempo [T1]. Inoltre, nel 28 a.C. annullò le norme emanate durante il triumvirato [T2,
T3]; l’anno successivo dichiarò di voler restituire la repubblica al controllo del senato e del popolo
romano e per questo, con un senatoconsulto, gli furono conferiti poteri e onori, attestati da fregi ed
iscrizioni, nonché il cognomen di Augusto; lo stesso affermò di essere superiore a tutti per autorità ma
senza avere maggiori poteri degli altri colleghi magistrati [T4]. Alcuni anni dopo Augusto depose il
consolato ed ottenne la potestà tribunizia [T5, T6, T7] e il controllo di costumi e leggi a vita [T6], nonché
un imperium decennale su 10 province non pacificate ed un altro imperium proconsolare [T5] senza
precisa limitazione territoriale, per alcuni superiore a quello dei governatori di singole province [T7].
L’imperium proconsolare e il titolo di proconsole di Augusto sono attestati anche da alcuni documenti,
quali un editto emanato per una comunità spagnola [T8]. Proprio per l’importanza della repubblica
Augusto rifiutò delle magistrature straordinarie [T9, T10].
 T1, T6 Svetonio, Divus Augustus
 T2 Tacito, Annales
 T3 Aureus di Ottaviano
 T4, T9, T10 Augusto, Res gestae
 T5 Cassio Dione, Historia Romana
 T7 Laudatio funebris di Agrippa
 T8 Tessera Paemeiobrigensis

L’organizzazione amministrativa
Con Augusto continuarono ad esistere le magistrature repubblicane, cui vennero però tolte molte
competenze, affidate a funzionari di nomina imperiale (prefetti e curatori) per garantire una maggiore
efficienza delle strutture amministrative. Questi furono scelti sia nell’ordine senatorio sia tra i cavalieri.
Molti furono i vari curatori di svariati settori: cura delle opere pubbliche, delle strade, della distribuzione
di frumento, la prefettura urbana; Augusto nominò inoltre i censori e aumentò il numero dei pretori [T11].
Scelse poi ex consoli per il controllo di schiavi e rivoltosi [T12], furono stabiliti addirittura controlli sugli
acquedotti e sulla distribuzione dell’acqua, il cui supervisore fu Marco Agrippa, che aveva a disposizione
degli assistenti [T13]. Ai cavalieri spettarono ruoli prestigiosi, come il comando delle coorti pretorie,
affidato a due prefetti [T14, T15]. Roma, essendo ormai molto estesa, fu divisa in 14 regiones, controllare
da magistrati annuali, a loro volta divise in quartieri, a capo del quale vi erano dei magistri, per esser
meglio organizzata in tutti i servizi, come la prevenzione di incendi e la tutela dell’ordine pubblico [T16].
Divise poi l’Italia in 11 regiones [T17]. Vi erano province che facevano capo al popolo e altre che
facevano capo all’imperatore, a seconda che fossero pacificate o meno, quindi a seconda della necessità di
legioni stanzianti sul territorio [T18, T19]. Nelle province populi i governatori, ex consoli o ex pretori,
erano sorteggiati, avevano il titolo di proconsules e duravano un anno in carica; nelle province Caesaris
erano nominati dall’imperatore in genere per tre anni e avevano il titolo di legati Augusti pro praetore.
L’organizzazione finanziaria, nelle province populus era affidata ad un questore, nella province Caesaris
ad un procuratore [T20]. Lo stesso Augusto affermava che tutte le province, compreso l’Egitto,
appartenessero al popolo [T21], in realtà egli poteva esercitare il proprio potere su tutti i territori
provinciali, questo lo testimonia anche un’iscrizione di Cuma, prova che il princeps intervenne in Asia,
circa disposizioni su oggetti sacri, quando questa era affidata al senato [T22]. L’Egitto fu affidato ad un
cavaliere. A senatori e cavalieri illustri era vietato l’ingresso nella regione senza l’autorizzazione del
princeps, per evitare tentativi di usurpazione, dato che l’Egitto era fertile fonte di approvvigionamenti di
grano [T23].
 T11, T16 Svetonio, Divus Augustus
 T12, T23 Tacito, Annales
 T13 Frontino, De aquae ductu urbis Romae
 T14, T15, T19, T20 Cassio Dione, Historia Romana
 T17 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia
 T18 Strabone, Geographia
 T21 Augusto, Res gestae
 T22 Die Inschriften von Kyme

Le assemblee popolari e il senato


Augusto ripristinò l’antico potere legislativo ed elettorale dei comizi [T24], su cui il controllo imperiale si
esprimeva con la commendatio (raccomandare determinati candidati), la suffragatio (raccomandazione
non vincolante) e la nominatio (decisione sull’ammissibilità delle candidature), avendo cura di scegliere
uomini capaci [T25]. Nel 5, con la lex Valeria Cornelia, furono create 10 centurie di senatori e cavalieri,
in onore di Gaio e Lucio Cesari, che avevano il compito di designare i candidati per le elezioni di consoli
e pretori; tali centurie divennero 20 [T26]. Nel corso del tempo la competenza elettorale passò al senato
[T27]. Augusto, durante i suoi consolati, per ben tre volte censì la popolazione; poi, per controllare il
senato, aggiornò tre volte la lista dei senatori [T28], diminuendone il numero, che era divenuto eccessivo,
ed eliminandone la componente indigena e pericolosa [T29, T30]. Si occupò anche di creare una
commissione ristretta di 20 membri, esponenti della magistratura, ove presentare le decisioni che poi
sarebbero state sottoposte al senato [T31, T32]. In età augustea nacque anche un nuovo autonomo ordine
senatorio, cui appartenevano senatori e famiglie, mentre l’ordine equestre fu ridimensionato, sulla base
della situazione patrimoniale, della condotta e del ceto di origine [T34], inoltre ne stabilì alcune modalità,
come la possibilità, per anziani e feriti, di mandare il proprio cavallo in parata militare [T33]. Inoltre,
proprio Augusto, per far fronte ai propri affari, si serviva dei procuratori e della familia Caesaris.
 T24, T29, T33 Svetonio, Divus Augustus
 T25, T30, T31, T32 Cassio Dione, Historia Romana
 T26 Tabula Hebana
 T27 Tacito, Annales
 T28 Augusto, Res gestae
 T34 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia

L’esercito
Per l’esercito si fissò: durata della ferma di 20 anni, stipendium di 225 denari l’anno, congedo di 3000
denari. L’esercito, arruolato con cittadini, popoli sottomessi e alleati, doveva essere sempre in armi e in
allenamento. Alle legioni si affiancarono le unità ausiliarie, reclutate tra i peregrini, che al congedo
potevano avere la cittadinanza romana in cambio dei servigi. Le truppe più importanti erano le coorti
pretoriane, stanziate a Roma cui era affidata la guardia imperiale. Percepivano compensi maggiori [T35].
 T35 Cassio Dione, Historia Romana

DA TIBERIO A COMMODO: IL CONSOLIDAMENTO DEL PRINCIPATO


Il problema della successione
Circa la successione, Augusto, da una parte cercava l’erede in famiglia, dall’altra, per garantire l’aspetto
repubblicano, che voleva conservare, faceva seguire ai designati la comune carriera magistratuale,
insignendoli poi di poteri quali imperium proconsulare e tribunicia potestas, fondamento del dominio.
Quando gli successe Tiberio, già insignito di questi poteri, egli inizialmente, e forse ipocritamente, rifiutò
la nomina di Augusto sostenendo che un Impero tanto vasto avrebbe dovuto essere gestito da più persone,
preoccupandosi quindi di potersi rivelare incapace [T36]. Alla morte di Tiberio, la plebe acclamò
Caligola, che non aveva imperium proconsulare e tribunicia potestas ma era l’erede testamentario di
Tiberio [T37]. Dopo vi furono Claudio e Nerone, e la successione a questi ci fa capire che gli imperatori
si crearono non più a Roma ma sul campo di battaglia [T38], ne è la prova che il giorno dell’imperatore
coincide, sotto la dinastia Flavia, con la data dell’acclamazione, non con quella dell’attribuzione dei
poteri [T39]. A Vespasiano, per sua volontà, successero i suoi figli, seguendo quindi ancora il principio
dinastico [T40]; mentre con gli Antonini la successione era mediante l’adozione di uomini ritenuti
valorosi [T41], quindi l’adozione non avveniva più in famiglia [T42].
 T36 Tacito, Annales
 T37 Svetonio, Caligula
 T38, T42 Tacito, Historiae
 T39, T40 Svetonio, Divus Vespasianus
 T41 Plinio il Giovane, Panegyricus Traiani

Assetto istituzionale e riforme amministrative


Dal punto di vista istituzionale, il senatoconsulto di Pisone patre rivela per Tiberio l’esistenza di una
gerarchia di potere  Germanico, Cesare, aveva un imperium maggiore di chiunque governatore di
provincia, mentre Tiberio, Augusto, aveva un imperium maggiore di Germanico [T43, T44]. A livello
amministrativo, Tiberio migliorò gli scrinia ma Claudio riorganizzò e creò veri e propri uffici, ove
venivano assolti compiti diversi dai liberti dell’imperatore, guadagnando ricchezze e prestigio [T45].
Claudio favorì l’integrazione provinciale sia attraverso la concessione della cittadinanza [T46] sia
accogliendo in senato gli esponenti provinciali, come nel caso dei Galli durante il principato di Claudio
[T47]. Nei primi anni di potere, Nerone, sotto la benefica influenza di Seneca e del prefetto Burro, pare
avesse tenuto comportamenti oculati, dichiarando in senato di mantenere i due ordines che formavano la
classe dirigente, senatario ed equestre, e mantenendo distinta la domus dalla res publica [T48, T49]. Molti
sconvolgimenti si ebbero poi nel corso della sua vita, fino al suicidio.
Dopo il longus et unus annus nel 68/69, salì al potere Vespasiano, che era appartenuto al ceto equestre, il
quale crebbe in misura esponenziale, insieme all’avanzata dei provinciali, in senato e nell’esercito.
Vespasiano rimise in sesto le finanze statali; imperium consulare e tribunicia potestas gli furono attribuiti
con la lex de imperio Vespasiani, un senatoconsulto fatto però votare come legge dai comizi, in cui
venivano indicati i poteri e le prerogative di Vespasiano (concludere trattati, convocare il senato,
presentare proposte, raccomandare aspiranti alla magistratura, modificare i confini del pomerio) e gli
conferiva gli stessi poteri che avevano avuto Augusto, Tiberio e Claudio, gli “Augusti buoni”. Una
clausola della legge dava all’imperatore diritto e potere di fare qualsiasi cosa ritenesse necessaria per il
bene dello Stato, conferendogli quindi poteri eccezionali in casi d’emergenza [T50]. Egli estese alla
comunità della Spagna la ius Latii, che ammetteva alla cittadinanza romana le comunità peregrine e
comportava l’acquisto della cittadinanza romana per magistrati e membri dei senati locali [T51]. A
Vespasiano successe Tito, breve regno definito da Svetonio “delizia del genere umano” [T52], e poi
Domiziano, il quale fu considerato un tiranno, ma che comunque fu un valente generale ed efficiente
amministratore, egli rafforzò la burocrazia imperiale sostituendo i liberti con procuratori dell’ordine
equestre, cui fu affidata l’amministrazione della cassa imperiale [T53, T54]. Il successore Nerva,
secondo Tacito, seppe conciliare principato e libertà [T55]. Ad egli successe Traiano e poi Adriano, che
proseguì l’opera di Domiziano nella sostituzione dei liberti imperiali con funzionari dell’ordine equestre,
per cui il numero dei procuratori equestri imperiali aumentò con la stabilizzazione di una vera e propria
carriera equestre che prevedeva un avanzamento fisso e compensi differenti per vari gradi [T56]. In
campo del diritto, affidò al giurista Salvio Giuliano la revisione e la pubblicazione dell’editto che
raccoglieva le norme alle quali i pretori si uniformavano nella propria attività [T57]. Crebbe molto
l’elemento provinciale, la nomina, da parte di Adriano, di 4 ex consoli per amministrare la giustizia
[T58], sostituiti poi da Antonino da giudici [T59] rappresenta un esempio di intromissione del governo
centrale nell’amministrazione delle comunità italiche.
 T43 Pisone patre
 T44, T47, T48 Tacito, Annales
 T45 Plinio il Giovane, Epistulae
 T46 Edictum Claudii de civitate Anaunorum
 T49 Aurelio Vittore, Liber de Caesaribus
 T50 Lex de imperio Vespasiani
 T51 Lex Irnitania
 T52 Svetonio, Divus Titus
 T53 Svetonio, Domitianus
 T54 Stazio, Silvae
 T55 Tacito, Agricola
 T56, T57, T58 Scriptores Historiae Augustae, De vita Hadriani
 T59 Scriptores Historiae Augustae, De vita Marci Antonini Philosophi

LA CRISI: DAI SEVERI ALL’ANARCHIA MILITARE


Alla morte di Commodo gli successe un anziano senatore: Pertinace, che tentò di attuare varie misure
per risanare le finanze (le casse imperiali erano quasi vuote) e incentivare la produzione agricola, ma
dopo tre mesi fu ucciso dai pretoriani, che volevano donativi sempre più alti [T60]. L’Impero fu messo
all’asta e scoppiò una guerra civile, ma prevalse Settimio Severo: crisi dell’assetto repubblicano e
importanza dei soldati, a favore di cui prese una serie di misure: aumento del soldo, organizzazione
dell’annona militare, concessione di vantaggi, tanto da spingere gli stessi figli, in punto di morte, a
preoccuparsi di arricchire i militari [T61]. L’importanza dell’esercito per Settimio fu conseguenza del
modo in cui giunse al potere. Alla sua morte gli successero Geta, ucciso, e Caracalla, cui si deve la
constitutio Antoniniana, con cui diede la cittadinanza a tutti gli abitanti liberi dell’impero, tranne i
dediticii [T62], alcune fonti sostengono che fu fatta per estendere e mantenere gli antichi obblighi dei
cittadini (come per le concessioni di Marco Aurelio e Commodo, che non diminuirono il fisco [T63]).
Successori: Macrino, Elagabalo, Severo Alessandro, giudicato buon imperatore (nei primi anni di
impero, essendo giovane, ebbe la reggenza delle donne della famiglia), che trasformò il gruppo di
consiglieri in un organo rappresentativo dei due ordines di senatori e cavalieri e anche come detentori di
altre cariche, come quella del prefetto al pretorio [T64]; egli fu inoltre moderato nelle spese e rispettoso
nei confronti del senato e delle sue volontà [T65, T66]. Il successore fu Massimino, un soldato,
probabilmente di origini barbare [T68], acclamato dalle sue truppe che addestrava per il suo valore e la
sua capacità di azione, ragion per cui le truppe consideravano inetto e debole Alessandro Severo [T67].
Successivamente cominciò un periodo di sovrani e usurpatori, in cui un rilievo particolare ebbe Gallieno,
il quale vietò al senato il servizio militare, per impedire a qualche valoroso esponente di prendere
l’Impero [T69] e dovette accettare la presenza, nell’Impero, di due entità separate: imperium Galliarum e
regno di Palmira.
 T60, T61 Cassio Dione, Historia Romana
 T62 Constitutio Antoniniana de civitate
 T63 Tabula Banasitana
 T64, T67 Erodiano, Ab excessu divi Marci
 T65, T66 Scriptores Historiae Augustae, De vita Alexandri Severi
 T68 Scriptores Historiae Augustae, De vita Maximinorum duorum
 T68 Aurelio Vittore, Liber de Caesaribus
IL DIRITTO NEL PRINCIPATO
La produzione del diritto
Il giurista di età antoniana Gaio, nelle sue Institutiones, ci da un quadro completo dell’ordinamento
giuridico del popolo romano: leggi, ciò che il popolo (patrizi e plebei) ordina e stabilisce; plebisciti, ciò
che la plebe ordina e stabilisce, vincolanti, dopo la lex Hortensia, per tutto il popolo; senatoconsulti, ciò
che il senato ordina e stabilisce e ha valore di legge; costituzioni dei principi: ciò che l’imperatore
stabilisce e aveva valore di legge; editti, ordini di coloro che hanno il potere per emanarli (magistrati,
specie pretore urbano e peregrino, la cui giurisdizione viene esercitata nelle province dai governatori);
responsi dei giuristi, pareri degli esperti in diritto, che se erano unanimi allora erano legge [T70]. Dopo
Augusto, che aveva fatto ampio uso di tradizionali fonti di produzione del diritto (presentazione di
progetti ai concilia plebis, proposte di leggi ai comizi), l’attività legislativa delle assemblee popolari
diminuì, l’ultima legge comiziale è una legge agraria di Nerva sulle punizioni inflitte agli schiavi che
agivano dolosamente nei confronti dei padroni [T71]. I senatoconsulti, che acquistarono grande valore
legislativo, furono molto usati in età imperiale, anche per i campi prima riservati ai comizi.
Comunque, fondamentale furono le costituzioni imperiali, con cui ciò che decretava il princeps aveva
valore di legge, in quanto era con una legge che gli veniva attribuito tutto il potere. L’attività normativa
del princeps si esplicava in diverse forme: rescritti, che potevano essere lettere di risposta a magistrati o
risposte a richieste avanzate da privati; edicta; decreta, ovvero sentenze del tribunale imperiale in materia
civile e penale (in quanto fu concessa all’imperatore la facoltà di giudicare su richiesta [T73]); mandata,
istruzioni per gli amministratori provinciali [T72].
 T70 Gaio, Institutiones
 T71 Digesta (Callistrato)
 T72 Digesta (Ulpiano)
 T73 Cassio Dione, Historia Romana

La giurisprudenza di epoca classica


Augusto associò i giuristi alla sua politica mediante ius publice respondendi  rafforzava con la propria
autorità il valore dei responsi di alcuni giuristi [T74], che avevano così più peso presso giudici e
magistrati, senza però esser vincolanti (a meno che il responso non fosse unanime [T70]).
 T74 Digesta (Pomponio)
PRODUZIONE LETTERARIA E STORIOGRAFICA TRA OPPOSIZIONE E CONSENSO

L’ETA’ DI AUGUSTO
Un periodo complesso
L’età augusta fu tempo di grandi trasformazioni, sia politiche che culturali. Anche la storiografia aveva un
rapporto difficile con il princeps, in quanto “la libertà di scrivere era limitata da colui che poteva
proscrivere” [T1], considerazioni analoghe le fece anche Fedro, paragonando il popolo a un asino che se
cambia padrone, alla fine cambia solo il nome, il padrone resta [T2]. Gli imperatori condizionarono molto
la storiografia, che spesso era distorta, raccontata in modo falso, esagerato, distorto o adulatore dagli
scrittori, per timore delle ritorsioni dei sovrani [T3], molti invece si astennero dallo scrivere, altri lo
fecero molti anni dopo [T4]. Secondo Dione, prima dell’Impero, tutte le questioni venivano sottoposte al
senato e al popolo, cosicché tutti ne venissero a conoscenza e molti ne tramandassero la memoria, in
modo tale che molti avvenimenti potessero essere posti per iscritto, seppur alcuni di questi condizionati
da varie circostanze; in età imperiale invece molti avvenimenti cominciarono a divenire segreti, quelli
pubblici invece non potevano essere verificati, si sospettava che tutto venisse detto e fatto secondo le
decisioni di chi regnasse; pertanto si diffusero avvenimenti di dubbia veridicità e il loro numero immenso
e in continua crescita ne rendeva difficile anche un resoconto [T5]. A tal proposito pare che Cesare avesse
stabilito la pubblicazione degli atti ufficiali del senato [T6], che fu poi revocata da Augusto [T7]. La
storiografia senatoria fu consapevole di dover raccontare cose di scarso rilievo e non essere così
all’altezza delle antiche gesta del passato [T8], raccontate tra l’altro, da altri storici come Dionigi e Livio.
 T1 Macrobio, Saturnalia
 T2 Fedro, Fabulae
 T3, T8 Tacito, Annales
 T4 Tacito, Historiae
 T5 Cassio Dione, Historia Romana
 T6, T7 Svetonio, Divus Augustus

La storiografia senatoria militante


Questi storici, in età augustea, raccontavano forse prevalentemente le vicende cui avevano preso parte.
Tra questi ricordiamo Pollione, console nel 40 a.C., critico di Augusto e amico dello storico greco
Timagene, che scrisse contro Augusto [T9] e a cui si deve un’opera storica antiromana, che non ci è
giunta [T10]. Delle storie di Pollione [T11] ci sono giunti pochi frammenti, così come di altri autori, tra
cui Messala. Significativo, per la libertà di parola più o meno concessa agli scrittori, è la difesa di
Cremuzio Cordo, accusato per le sue storie nel regno di Tiberio. Egli, il quale aveva lodato Cassio e
Bruto, definendoli come ultimi romani, si difese avanti all’imperatore, puntando il dito contro molti altri
scrittori che avevano lodato le glorie del passato, tra cui Livio, Pollione, Messala, Cicerone, o contro altri
che avevano recato offesa all’Impero ed erano rimasti impuniti, come i Greci; sostenne inoltre che non
c’era niente di male se la memoria passata venisse tramandata, e che così sarebbe stato nel corso degli
anni. Il senato decretò di bruciare i libri, ma in realtà furono conservati, nascosti e poi pubblicati, poiché
di tali uomini si sarebbe comunque conservata memoria e lodi [T12].
 T9 Seneca, De ira
 T10 Livio, Ad urbe condita
 T11 Orazio, Carmina
 T12 Tacito, Annales

Livio
Lo storico, non senatore, Livio, ha voluto, nella sua opera, cominciare a raccontare Roma dall’antichità,
cercando però di evitare tutte le leggende che la circondano, bensì basandosi su fatti più concreti, come
una sorta di elenco di ciò che è accaduto, senza favoleggiare, per far conoscere quali siano i modi di vita, i
costumi, per opera di chi, con quali mezzi, sia nato e cresciuto l’Impero, come i costumi siano degenerati.
In sostanza vuol fornire insegnamento ai lettori, che possano distinguere gli atti illustri e ricavarne lezioni,
da quelli da evitare perché ignobili [T13]. Livio fu un colto studioso e scrittore, si tenne fuori dagli affari
politici; dai frammenti che ci sono pervenuti sappiamo che glorificò la Roma antica, ammirava Pompeo e
Cicerone, stimava Bruto e Cassio, criticava Cesare. Per capire la concezione di grandezza che aveva di
Roma, frutto dell’unione delle azioni di uomini illustri che si sono susseguiti, si cita un suo discorso in cui
immagina cosa sarebbe successo se Alessandro Magno si fosse mosso contro Roma, arrivando alla
conclusione che avrebbero avuto la meglio molti grandi condottieri romani, di grande esperienza ed
abilità militare, ribadendo così la superiorità di Roma nei confronti di tutte le altre organizzazioni
politiche antiche e concludendo con il desiderio di pace e concordia che lo stesso Augusto sosteneva
[T14]. Livio ha raccolto molte informazioni da Polibio e gli annalisti, confrontando le varie versioni,
trovando analogie ed incongruenze, distinguendo ciò che potesse essere vero da leggenda o da finzione.
 T13, T14 Livio, Ad urbe condita

La storiografia greca di età augustea


A differenza di Livio, che parte dalla fondazione di Roma alla sua età contemporanea, l’opera di Dionigi
è incentrata sulle origini di Roma, la protostoria italica, la storia romana fino alle guerre puniche. Egli si
proponeva di scrivere, con impegno, il vero, l’utile e l’interessante per i lettori. Dionigi vuole esaltare la
grandezza di Roma, dominatrice di una vastissima area di terra e mare, primo stato di cui si ha ricordo,
potenza duratura che ha saputo sottomettere molti popoli e che non ha rivali [T15]. Di Roma, egli mostra
anche gli originari elementi greci, e quindi si ostina a difendere Roma da chi la accusava di essere città
nata dal rifugio di vagabondi e barbari, quando in realtà ha natali più illustri [T16, T17]; anche la lingua
parlata era una mescolanza di barbara e greca, di cui conservavano molti elementi; tra l’altro vissero alla
greca, ossia in modo civile, da subito [T18]. Per dimostrare ciò Dionigi prende spunto anche da racconti
mitici, come l’arrivo di Ercole [T19]. Lo scrittore vuole fare della sua opera non una semplice narrazione,
bensì un’opera completa che unisca elementi di eloquenza, filosofia e narrazione storica [T20].
Autore di una storia universale è il greco Diodoro Siculo, che nella seconda metà del I sec. a.C. scrisse la
sua opera in cui raccontava parallelamente storia greca e romana, con l’intento di rendersi utile
all’umanità e offrire ad essa un valido insegnamento, rilevando analogie, connessioni e affinità tra popoli
diversi per farne un unico resoconto [T21]. Ancora in età augustea ricordiamo Strabone, dove nella sua
opera geografica del mondo conosciuto, strumento da lui dichiarato utile per i ceti dirigenti, vi sono anche
degli elogi a Roma e alla sua monumentalità [T22].
 T15, T16, T17, T18, T19, T20 Dionigi di Alicarnasso, Antiquitates Romanae
 T21 Dionigi di Alicarnasso, Bibliotheca Historica
 T22 Strabone, Geographia

LETTERATURA ED EPICA
Grande contributo alla storiografia hanno dato intellettuali che non erano né Romani né senatori, tra
questi menzioniamo Orazio e Virgilio. Questi, celebra nel poema epico dell’Eneide la vicenda di Enea e
la fondazione della nuova Troia, in cui prefigura l’avvento messianico della nuova Roma, sotto la guida
di Augusto [T23]; Orazio divenne uno dei poeti ufficiali del nuovo regime, soprattutto per le sue Odi e gli
accenni politici contenutivi, e per il carme secolare commissionatogli da Augusto per i ludi secolari nel 17
a.C., che ripercorre i momenti culminanti della storia di Enea: navigazione verso il Lazio, arrivo dei
Troiani al Tevere, la missione dominatrice di Roma [T24]. Ancora ricordiamo le elegie Romane di
Properzio, ove si celebrano le tradizioni locali di Roma e l’origine dei riti religiosi nazionali [T25];
Ovidio, che nei Fasti scrive mese per mese le feste e i riti religiosi, interrotta però dal suo esilio [T26]; il
più recente Lucano, nipote di Seneca, morto nella congiura pisoniana, che nella sua Pharsalia esalta la
lealtà dell’età repubblicana, come nell’elogio di Catone, e condanna il regime imperiale (anche se
all’inizio del poema, per necessità dei suoi tempi, compare un elogio a Nerone) [T27].
 T23 Virgilio, Aenedis
 T24 Orazio, Carmen Saeculare
 T25 Properzio, Elegiae
 T26 Ovidio, Tristia
 T27 Lucano, Pharsalia

DOPO AUGUSTO
Svetonio scrive che, a partire dall’età di Augusto, la crudeltà aumentò, le parole degli scrittori furono
ritenuti delitti, molti furono accusati e i loro scritti distrutti [T28]. Si possono distinguere tre tipi di
storiografia: una di opposizione, repressa, come Tiberio che rimise in vigore la legge di lesa maestà, che
appunto puniva anche la diffamazione da parte degli scrittori [T29]. In verità Caligola ordinò di
recuperare i libri che Tiberio fece sequestrare (Cremuzio Cordo, Cassio Severo) affinché tutti gli eventi
potessero essere tramandati ai posteri [T30], ma a sua volta infierì contro uomini illustri, distrusse statue
di personaggi celebri, criticò scrittori come Virgilio e Livio [T31]. Altro tipo di storiografia si esercita
morto il principe che si attacca, come Tacito, che cominciò a scrivere alla morte di Domiziano [T32]. E’
sovente una storiografia senatoria che tende a difendere il ruolo del senato e cerca l’accordo con il
principe in carica. Altra storiografia è quella degli storici sostenitori, spesso emersi militarmente o
giuridicamente al seguito dell’imperatore di turno, come il senatore tiberiano Velleio Patercolo, che
elogia Tiberio per aver riportato l’ordine, tra le magistrature, nella giustizia e nelle città [T33]. Legato ai
Flavi era il tribuno militare Plinio il Vecchio, autore delle Historiae, della Naturalis Historia che dedicò a
Tito, e di una storia di guerre germaniche [T34]. Di età augustea è la tradizione dello storico cavaliere,
funzionario al servizio del principe, come Plinio e Svetonio. Le nuove classi di ufficiali e burocrati si
sentivano liberi da implicazioni ideologiche; si distinsero sempre più attività politica e culturale.
Ricordiamo poi Tacito, di cui ricordiamo soprattutto l’Agricola, biografia del suocero, in cui attacca
Domiziano; le Storie, che vanno dalla morte di Nerone a quella di Domiziano; e gli Annali, che vanno
dalla morte di Augusto a quella di Nerone. Ne restano comunque solo frammenti. Rispetto alla
storiografia più antica, secondo Tacito cambiava il contenuto della storia, chi scrive non conosce a fondo
ciò che vuole narrare [T35], il compito della storia nei nuovi tempi deve essere quello di distinguere
l’onesto da ciò che non lo è, indagare e tramandare [T36]. Tacito è sempre stato molto attento a narrare ai
posteri non solo le fonti, ma anche presunte voci, quali quelle sul presunto assassinio di Germanico da
Parte di Tiberio, accordatosi con Pisone [T37], sul malcontento di Agrippina [T38], e sulla predilezione
degli dei per Vespasiano e le sue presunte guarigioni di un cieco e uno storpio, a detta di molti eseguite,
dopo il consulto dei medici e dopo un’iniziale diffidenza, con il tocco delle sue mani [T39].
Svetonio ci offre in contemporanea storia e biografia degli imperatori, fino ai Flavi; il suo incarico accorte
gli diede probabilmente accesso agli archivi imperiali, come possiamo notare circa le notizie su data e
luogo di nascita di Cesare, questione molto discussa dagli storici, anche se Svetonio ne sostiene la nascita
in mesi invernali e ad Anzio, secondo atti pubblici che aveva consultato [T40]. Svetonio soleva scrivere
molte biografie di personaggi chiave della storia romana di imperatori, anche usando fonti ostili (come
quelle che raccontano che Tiberio, in punto di morte, fosse stato soffocato dal prefetto al pretorio allora in
carica [T41]). Il suo modello narrativo ordinava la materia in questione per settori. In età adrianea si
diffuse molto l’epitome, di cui ricordiamo quella di Anneo Floro, che raccontò le guerre romane; suo è un
parallelo tra la storia romana e l’evoluzione biologica  età dei re= infanzia, età dai consoli Bruto e
Collatino fino ad Appio Claudio= adolescenza, età fino ad Augusto= maturità, età imperiale di
invecchiamento e ripresa a seconda degli imperatori [T42]. Ancora di età augustea l’opera dell’ebreo
Flavio Giuseppe, ormai rassegnato a convivere con l’impero romano, tanto vasto e grande che
probabilmente era voluto da Dio [T44] Tra gli intellettuali greci ricordiamo invece Plutarco, scrittore di
Vite parallele, biografie di uomini illustri greci e romani narrate parallelamente per poterne trarre
paragoni [T44]. In epoca antoniniana, Elio Aristide, nel suo Encomio a Roma, appunto elogio alla grande
potenza e alla sua capacità governativa, considerava l’Impero come un’unità cui tutti dovevano
contribuirne per mantenerne prosperità [T45]. Lo storico Appiano, esponente dei nuovi ceti di governo tra
II e III sec., ha ordinato la sua trattazione della storia romana secondo un criterio etnografico, raccontando
le vicende dei singoli popoli in rapporto con Roma, raccontandone la vastità e la capacità militare, di
azione e di conquista [T46]. Il più importante tra gli storici greci dell’alto impero è Cassio Dione, che fu
console. Della sua Storia Romana, che va dalle origini al 229 d.C., si è conservata una buona parte,
affronta tutta una serie di argomenti, come il regime di governo, cui suo preferito è la monarchia
illuminata, fondata sul consenso e la partecipazione dei migliori di tutte le province ed è il regime più
stabile, al contrario di quello democratico; tali principi sono esposti nella sua opera, in un discorso fittizio
tra Augusto e Agrippa sull’ordinamento dello stato [T47].
 T28 Svetonio, Tiberius
 T29, T36, T37, T38 Tacito, Annales
 T30, T31, T40, T41 Svetonio, Caligula
 T32, T39 Tacito, Historiae
 T33 Velleio Patercolo, Historiae Romanae
 T34 Plinio il Giovane, Epistulae
 T35 Tacito, Agricola
 T42 Floro, Epitome
 T43 Plutarco, Alexander
 T44 Flavio Giuseppe, Bellum Iudacium
 T45 Elio Eristide, Romae Encomium
 T46 Appiano, Historiae Romanae
 T47 Cassio Dione, Historia Romana
L’ITALIA E LE PROVINCE NELLE DINAMICHE SOCIO-ECONOMICHE

LA DIVISIONE AMMINISTRATIVA DELLE PROVINCE DEL POPOLO E DI CESARE E IL


RAPPORTO TRIBUTARIO CON ROMA
Province populi e provinciae Caesaris
Augusto distinse: province populi, pacificate, affidate a proconsoli estratti a sorte, e province Caesaris,
non pacificate, di cui assunse il governo [T1]. Le province populi: Sicilia, Sardegna, Gallia Narbonense,
Betica, Dalmazia, Macedonia, Acaia, Bitinia, Ponto, parte dell’Asia Minore, Africa, Creta; le province
Caesaris: Tarraconense, Lusitania, Gallia, Cilicia, Siria, Egitto. Con l’espansione dell’Impero le nuove
province furono costituite direttamente come Caesaris. (Parlare delle tre casse di Augusto)
Le province versavano a Roma il tributum capitis e il tributum soli [T2], a differenza dell’Italia che era
esente dal pagamento dei tributi [T3]. Le province erano definite tributarie o stipendiarie, le prime sono
proprietà dell’imperatore, le seconde del popolo [T4].
 T1 Svetonio, Divus Augustus
 T2 Velleio Patercolo, Historiae Romanae
 T3 Frontino, De controversiis agrorum
 T4 Gaio, Institutiones

Redigere in formam provinciae. Censimenti e assetto tributario


Tale assetto quindi prevedeva che le province fossero sotto dominio romano, che fosse del popolo o
dell’imperatore [T5] (tra l’altro pare che, sotto autorità romana, non ci si potesse comportare crudelmente
con gli schiavi [T6]) e che dovessero pagare dei tributi. Bisognava quindi intervenire sul riassetto del
territorio imperiale ed effettuare un’ampia attività censitaria [T8, T9, T10], per rilevare il numero dei
contribuenti e dei beni imponibili; con un editto di Cesare ognuno si fece registrare nella propria città
[T7], e proprio in quegli anni a Betlemme giunse anche Giuseppe, padre di Gesù [T8].
 T5, T6 Gaio, Institutiones
 T7 Digesta (Ulpiano)
 T8 Evangeliorum secundum Lucam
 T9, T10

Diversi tipi di imposizione fiscale in base alle diverse modalità di conquista e aree dell’impero
Esistevano diversi tipi di imposizione tributaria, a seconda delle modalità di conquista di una provincia e
delle peculiarità della zona, infatti, in alcune aree si mantenne il sistema tributario vigente prima della
redazione in provincia, come in Sicilia e in Asia, ove si riscuoteva la decima, in altre zone si adattò il tipo
di prelievo fiscale alle caratteristiche produttive della provincia, come in Africa e in Spagna [T11], ove i
magistrati romani non potevano stabilire il prezzo del grano né imporre prefetti in città che si occupassero
della riscossione del denaro [T13]. Anche in Bitinia il sistema di riscossione fu la decima [T12].
Comunque, in caso di riduzioni di esigenze fiscali, a volte si ottenevano sgravi o esenzioni.
 T11 Cicerone, Actio secunda in Verrem
 T12 Dione Crisostomo, Orationes
 T13 Livio, Ad urbe condita

Proprietà imperiale
Per quanto riguarda le entrate, da un lato, c’era l’aerarium populi, cassa pubblica, dall’altro fiscus, res
privata, patrimonium, finanze imperiali, tutto appartiene all’imperatore [T14, T15]. Soprattutto grazie alle
imposte provinciali, a confische di beni e grandi fondi, e a donazioni, la proprietà imperiale si accrebbe
sempre più [T16]. La famiglia imperiale divenne sempre più protagonista dell’attività produttiva e
commerciale che era alla base dell’economia imperiale, come per le industrie di laterzi e tegole che
sorgevano su proprietà imperiali e la cui gestione dipendeva dalla famiglia imperiale, questo lo notiamo
dai bolli sulla merce prodotta, anche ne indicavano appunto la provenienza [T17, T18].
 T14 Seneca, De beneficiis
 T15 Digesta (Ulpiano)
 T16 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia
 T17, T18

LE DINAMICHE ECONOMICHE
Libero mercato, concorrenza e dialettica tra l’Italia e le province. Le dinamiche dell’integrazione
Quindi, l’Impero aveva molti introiti annuali. Per produrre ricchezza sufficiente a pagare le imposte, i
produttori di beni primari dovevano produrre il surplus necessario, cosicché le province, pur di pagare,
incrementarono la loro produzione e soprattutto i commerci con Roma, accrescendosi così in ricchezza. In
tal modo, tra I e II sec. le province potevano concorrere con l’Italia per produzione e sviluppo economico
e questo portò un processo di integrazione economica, sociale e culturale degli esponenti provinciali
dell’impero. L’economia romana era infatti fondamentalmente agricola e commerciale, con un grande
flusso marittimo in ogni dove. I prezzi delle merci erano diverse a seconda dei luoghi e ai tassi d’interesse
del denaro [T19]. Il commercio era garantito da un libero mercato, che lasciava spazio alla concorrenza,
ove i prezzi dei beni erano determinati dal rapporto domanda/offerta, con conseguenti prezzi diversi.
Questo valeva anche per le vendite dei fondi [T20]. Vi erano terre a diverso prezzo, in base alla
localizzazione e alla produttività, e storici come Columella offrono consigli su come sfruttarle e ottenere
il massimo della redditività [T21].
 T19, Digesta (Gaio)
 T20 Plinio il Giovane, Epistulae
 T21 Columella, De re rustica

Coinvolgimento imperiale nella produzione e nel trasporto di prodotti di consumo a Roma


Pare che l’imperatore, con le sue finanze e i suoi dipartimenti fiscali e amministrativi, fosse coinvolto nel
trasporto di alcuni beni di consumo destinati a Roma, da quanto si evince dalle iscrizioni sulle anfore
Dressel provenienti dalla Betica, per il trasporto dell’olio [T22, T23, T24], ed erano recipienti a basso
costo, con capienza di 70kg. Le iscrizioni erano dipinte sia sul collo sia sulla pancia e vi erano bolli
impressi sulle anse [T25].
 T22, T23, T24 Tituli picti su anfore
 T25 Bolli anforici dalla Betica

Specializzazione delle produzioni: diminuzione dell’autoconsumo e aumento dell’economia


mercantile. L’andamento del mercato
Ogni area dell’Impero aveva una propria specializzazione produttiva e su di essa si incentrava l’economia
di mercato e il rapporto con Roma [T26, T27, T28]. Dato che le province aumentarono la loro
produttività per pagare il tributo a Roma, alcune di queste divennero i produttori maggiori di alcune
derrate destinate all’Italia, in particolare Africa ed Egitto furono i granai di Roma, oltre chiaramente a
pagare i tributi [T30, T31].
Al tempo stesso la spinta demografica in Italia premeva sulle risorse primarie che, non essendo prodotte
in quantità adeguata, erano insufficienti, per cui c’era bisogno di appaltatori esterni [T29].
 T26 Strabone, Geographia
 T27, T28 Plinio il Vecchio, Naturalis Historia
 T29 Columella, De re rustica
 T30 Pseudo Aurelio Vittore, Epitoma de Caesaribus
 T31 Flavio Giuseppe, Bellum Iudacium

Annona e distribuzioni di beni di consumo primari a Roma e nelle città dell’Impero


La specializzazione produttiva delle province serviva all’annona di Roma, nel sostentamento della
popolazione, parte della quale aveva diritto a distribuzioni gratuite o a prezzi stracciati di beni primari.
Augusto spesso faceva anche donazioni in denaro al popolo [T32], e alla sua morte c’era una gran
quantità di beni di consumo in riserva [T33]. Il sistema annonario richiedeva un grande impiego di mezzi
economici e una complessa organizzazione amministrativa; fu preoccupazione degli imperatori
provvedervi [T34], in tutti i periodi dell’anno, in misura sempre sostanziosa, facendosi carico dei trasporti
e di eventuali imprevisti durante il tragitto delle merci [T35]; la produzione e il trasporto in gran quantità
di frumento a Roma veniva ricompensato in vari modi, uno di questi, istituito da Claudio, fu la
cittadinanza romana [T36].
 T32 Svetonio, Divus Augustus
 T33 Scriptores Historiae Augustae, De vita Severi
 T34
 T35 Svetonio, Divus Claudius
 T36 Gaio, Institutiones

Misure protezionistiche nei confronti dell’economia dell’Italia e interventi imperiali in questioni


economiche locali
Malgrado l’esistenza di un libero mercato, talvolta fu necessario l’intervento dell’autorità imperiale con
misure protezionistiche, soprattutto pro Italia, e con concessioni particolari; ad esempio Domiziano, per
salvaguardare l’economia italiana e l’agricoltura, soprattutto i cereali, vietò di piantare nuove vigne, fin
troppo abbondanti a discapito del frumento, in Italia e ne distrusse molte nelle province [T37]. Questo per
difendere l’economia dell’Italia rispetto al dilagare dei prodotti delle province che, essendo a più basso
costo, erano concorrenziali. Ugualmente, le norme di Traiano [T20] che imponevano ai senatori
extraitalici di investire una quota del loro patrimonio in proprietà fondiarie in Italia, forse favorivano
l’agricoltura della stessa [T38]. Una delle norme che invece potenziava l’agricoltura e la produzione
extraitalica, era quella di Adriano per le terre non dissodate, che assicurava il diritto perpetuo di possesso
e sfruttamento dei terreni, trasmissibili per eredità, per chi avesse intrapreso la coltivazione dei terreni
incolti nelle zone predesertiche dell’Africa [T39]. Per quanto concerne gli interventi imperiali a favore
della popolazione, significativo è il programma degli alimenta: in ognuna delle comunità cittadine
interessate venivano scelti un certo numero di fanciulli le cui famiglie ricevevano una sorta di assegno
familiare destinato alle spese del loro mantenimento fino all’età adulta; questi soldi venivano ricavati
dagli interessi del 5% annuo dei prestiti che l’imperatore concedeva ai piccoli proprietari terrieri delle
stesse comunità dei ragazzi assistiti [T40].
 T37 Svetonio, Domitianus
 T38 Scriptores Historiae Augustae, De vita Marci Antonini Philosophi
 T39
 T40 Plinio il Giovane, Panegyricus Traiani

Il ruolo economico delle città


Per la sopravvivenza della struttura imperiale, in tutti i suoi aspetti, fondamentale era l’apporto
economico, amministrativo e culturale delle città [T41, T42], tant’è che Plinio sosteneva che al proprio
interesse privato bisognava sempre anteporre l’utilità pubblica [T41]. Ogni comunità, colonia o municipio
possedeva ricchezze proprie e aveva la possibilità, in caso di necessità, di riscuotere rendite secondo una
precisa regolamentazione (Codex Iustinianus) [T43] e previo consenso delle autorità [T44]; poteva inoltre
intraprendere commerci, ricevere donazioni. I proventi cittadini derivavano perlopiù da contribuzioni
volontarie, prestiti, tasse locali, multe, rendite d’affitto o vendita di fondi.
 T41, T42 Plinio il Giovane, Epistulae
 T43 Codex Iustinianus
 T44

GLI ASPETTI SOCIO-CULTURALI DELL’IMPERO-MONDO


L’aspetto ideologico del rapporto tra Roma e le province
Con l’ulteriore espansione, crescita e prosperità, Roma ampliò i suoi confini, considerando l’intero
Impero come territorio romano e salvaguardando il più possibile le loro conquiste [T45]; Augusto pose
fine al servizio militare degli italici e li spogliò delle armi, al contrario costituì fortezze e accampamenti
per difendere i confini dell’Impero, che furono rafforzati e posti in luoghi inaccessibili, e formò un
esercito di mercenari [T46]. La città ormai non era più solo tale, ma un luogo comune, un’etnia comune
in cui tutti potevano riconoscersi, il fulcro di tutto il territorio che aveva occupato, i cui popoli erano tutti
figli di Roma [T47]. Le città dell’Impero erano una sorta di copia di Roma [T48]. L’impero era unitario
ma al contempo costituito di diverse realtà: singole comunità e realtà locali [T49] che tuttavia erano parte
di un’unica patria [T50]. Con l’integrazione culturale crescente fu necessario concedere la cittadinanza
romana a tutti gli abitanti dell’impero, accadde con l’editto di Caracalla [T51], che fu anche criticato.
 T45 Appiano, Historiae Romanae
 T36 Erodiano, Ab excessu divi Marci
 T47 Elio Aristide, Romae Encomium
 T48 Aulo Gellio, Noctes Atticae
 T49 Svetonio, Divus Augustus
 T50 Digesta (Modestino)
 T51 Digesta (Ulpiano)

Acquisizione di modelli culturali. Le élites, i rapporti con il centro


Concetto che stava a cuore all’imperatore e anche agli intellettuali fu quello di unità dell’Impero. A tal
proposito ricordiamo il discorso di Claudio in merito all’apertura del senato ai senatori provenienti dalla
Gallia, in cui si dimostrava aperto ad accogliere i provinciali [T52]. Per questo Claudio viene ricordato
ironicamente da Seneca come colui che voleva concedere a tutti la cittadinanza [T53]. L’aristocrazia
provinciale si integrava così in Italia e in Roma, sia sul piano economico che culturale e politico [T54].
L’integrazione fu perlopiù orizzontale, solo in rari casi fu anche verticale, coinvolgendo i livelli più bassi
tra i provinciali; in merito abbiamo un’anonima testimonianza di un contadino che grazie ai suoi sacrifici
si arricchì e divenne anche censore [T55].
 T52, T55
 T53 Seneca, Apocolocyntosis
 T54 Tacito, Agricola

La percezione del rapporto tra centro e periferia dell’Impero


Vi fu una grande integrazione tra centro e periferia anche sul piano ideologico, integrazione determinata
anche dalla maggiore o minore attenzione e disposizione dei singoli principi verso le realtà locali [T56].
Poiché il funzionamento dell’intero sistema imperiale si basava sulle singole cellule che lo costituivano,
gli imperatori dovevano salvaguardare il benessere e la situazione economica delle comunità, assicurando
spese attente, oculate e utili alla comunità ed evitando sprechi. In merito, abbiamo molte testimonianze e
frammenti circa le varie disposizioni dei sovrani su materie di differente interesse [T57, T58, T59].
 T56 Plinio il Giovane, Panegyricus Traiani
 T57, T58, T59
IL CRISTIANESIMO DELLE ORIGINI

LA FIGURA DI GESU’ IN FONTI NON CRISTIANE


La presenza della figura di Gesù in fonti non cristiane è testimoniato da alcuni testi, quali quelli dello
storico ebreo Flavio Giuseppe, che contiene tre articoli fondamentali del cristianesimo: la natura divina di
Gesù, il suo essere Messia, la resurrezione; la specificazione del prefetto di Giudea Ponzio Pilato serve a
certificare l’autenticità dell’evento collegandolo in un contesto ben preciso [T1].
 T1 Flavio Giuseppe, Antiquitates Iudaicae

LA DIFFUSIONE DEL CRISTIANESIMO


Il cristianesimo si diffuse rapidamente nelle province orientali dell’Impero, anche grazie alla predicazione
di Paolo apostolo, fino alla persecuzione neroniana; l’evangelizzazione di Paolo era rivolta dapprima ai
Giudei della diaspora e da questi spesso respinta, poi ai pagani, tra cui raccolse molti consensi [T2]. Più il
cristianesimo si diffondeva, maggiori erano le proteste di svuotare i templi pagani, in particolare il tempio
di Diana ad Efeso, uno dei maggiori luoghi di culto dell’oriente romano, mettendo così a rischio gli
artigiani di tempietti e statue pagane [T3]. Plinio, Governatore della Bitinia, considerava i cristiani come
superstiziosi e chiedeva all’imperatore Traiano le modalità di provvedimento contro questi ultimi [T4].
Quando Paolo giunse in Italia dopo una denuncia da parte degli Giudei, vi trovò comunità di fedeli pronti
ad accoglierlo [T5]. Notizie di Pietro si hanno nella Historia Ecclesiastica di Eusebio, da lui annunciato
come il più grande predicatore della parola di Dio, che giunse a Roma e fu vescovo [T6, T7].
 T2, T3, T5 Actus Apostolorum
 T4 Plinio il Giovane, Epistulae
 T6 Eusebio di Cesarea, Chronicon
 T7 Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica

ROMA E I CRISTIANI
Nella celebre frase di Gesù: “rendete a Cesare quel che è di Cesare e a Dio quel che è di Dio”,
pronunciata in merito ad una discussione del diritto o meno di Cesare di riscuotere tributi, si riconosceva,
secondo molti, il potere imperiale ma soprattutto la riaffermazione della netta separazione tra il potere
politico e l’autorità di Dio [T8, T9]. Proprio tale distinzione faceva sì che l’Impero esigesse dai suoi
sudditi una dimostrazione di lealtà attraverso il culto dell’imperatore divinizzato, a cui il cristianesimo
non aderiva e probabilmente per questo da Roma furono espulsi ebrei e cristiani sotto l’imperatore
Claudio [T10]. Grande ed ingiusta persecuzione fu quella di Nerone, accanito contro la comunità cristiana
che intanto cresceva sempre più [T11]. Pare che fosse stato istituito il reato di essere cristiano, e questo è
testimoniato dagli scambi epistolari di Plinio e Traiano, il quale ordinò che se i cristiani avessero negato
la loro “colpa” e avessero sacrificato agli dei, sarebbero stati assolti, altrimenti, in caso di denuncia non
anonima e di colpevolezza, sarebbero stati condannati [T12, T13].
 T8 Evangeliuroum secundum Lucam
 T9 Paolo, Epistula ad Romanos
 T10 Svetonio, Divus Claudius
 T11 Tacito, Annales
 T12, T13 Plinio il Giovane, Epistulae
L’ORGANIZZAZIONE DELLE COMUNITA’ CRISTIANE
Organizzazione  definizione di una dottrina comune, gerarchia nelle e tra le comunità. La fede del
cristiano è quella trasmessa da Cristo agli apostoli e da questi alle comunità, tale tradizione è perpetrata
dai vescovi [T15], appunto “successori” degli apostoli nella gerarchia ecclesiastica di una comunità. Per
quanto riguarda la gerarchia tra le comunità, il primato era del vescovo di Roma, della cheisa fondata da
Pietro e Paolo alla quale tutte le altre devono conformarsi [T14]. Il primato di Roma era in un certo senso
dovuto anche alle maggiori possibilità economiche della chiesa romana, che ha dato assistenza materiale
ai fedeli delle chiese di tutto l’Impero [T16].
 T14, T15 Ireneo di Lione, Adversus Haereses
 T16 Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica

LE PERSECUZIONI
Marco Aurelio
La crisi imperiale con Marco Aurelio moltiplicò gli episodi anticristiani, tra cui la sommossa contro i
cristiani di Lione, molti dei quali furono percossi e arrestati [T17], o anche il processo di Cartagine del
180 (quando già regnava Commodo) dove alcuni cristiani furono condannati per non aver accettato il
culto dell’imperatore [T18], pare secondo direttive simili a quelle di Traiano e Plinio [T12, T13]
 T17 Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica
 T18 Acta martyrum, Scillitanorum

Decio
Decio ordinò la prima persecuzione nel 250 contro chiunque rifiutasse di sacrificare, e chi lo facesse
doveva avere un attestato (libellus) che lo comprovasse, secondo disposizioni imperiali [T19]. E’ stato
testimoniato, tra l’altro, anche un traffico clandestino di certificati [T20].
 T19 Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica
 T20 Cipriano, De lapsis

Valeriano
Valeriano con due editti, 257 e 258, scatenò una persecuzione che non volle più colpire i singoli, ma la
chiesa in quanto istituzione, per cui gli editti stabilirono il divieto di riunioni per adorare Dio, piuttosto
bisognava adorare l’imperatore e gli dei [T21], ancora l’eliminazione fisica delle gerarchie ecclesiastiche
(vescovi, preti, diaconi) ed economica dei funzionari cristiani nell’amministrazione imperiale [T22],
nonché la confisca dei beni a questi ultimi e ai beni della Chiesa. Le disposizioni di Valeriano furono
annullate da Gallieno, che pose fine alla persecuzione, impose la liberazione dei luoghi di culto e restituì i
cimiteri [T23].
 T21, T23 Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica
 T22 Cipriano, Epistulae

Diocleziano
Il clima di distensione che si era avuto con Gallieno [T24] era destinato a scomparire con Diocleziano,
che nutriva una crescente ostilità nei confronti dei cristiani, anche se pare che la diretta responsabilità
della persecuzione è imputabile al suo Cesare, Galerio, autore di vari editti, che stabilivano di privare ai
cristiani cariche e rango, di torturarli, di privarli di libertà e possibilità di appello [T25], nonché
distruggere le Chiese e le Sacre Scritture, obbligare ai capi ecclesiastici a sacrificare [T26]. L’editto
conclusivo, quello di Serdica del 311, è un editto di tolleranza, quindi l’imperatore concedeva la fede
cristiana per clemenza, con una sorta di perdono per i “peccati” di cui si erano macchiati i cristiani [T27].
 T24, T26 Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica
 T25, T27 Lattanzio, De mortibus persecutorum
COSTANTINO
L’editto di Milano era invece un riconoscimento del diritto di seguire la fede che si ritenesse più consona,
e in questo caso la divinità il cui favore era invocato dagli imperatori era Dio; il risvolto era dato dal
coinvolgimento della Chiesa nell’organizzazione statale, questo spiega i vantaggi patrimoniali accordati
ad essa, a partire dalla restituzione delle sue proprietà fino all’equiparazione del servizio svolto dai
chierici in chiesa ai servizi svolti dai cittadini per lo Stato [T28]. Costantino consentì anche la
costituzione di un tribunale di vescovi per affari ecclesiastici [T29], ma presto anche le parti di un
processo civile, se concordi, poterono rivolgersi agli ecclesiasti o comunque passare dal tribunale civile a
quello ecclesiastico anche a causa già avviata [T30]. Si poneva, tra l’altro, il problema di definire il ruolo
e l’intervento dell’imperatore nei confronti della Chiesa, e Costantino, per garantire la conciliazione di
tutte le chiese dell’Impero ed evitare che nascessero contrasti, si proclamò vescovo di tutti, costituito da
Dio, e partecipava alle riunioni vescovili per garantire la pace [T31]; inoltre l’imperatore fu anche
vescovo degli affari esterni alla Chiesa, come lui stesso si proclamò per differenziarsi da quelli interni
[T32]. Costatino si adoperò molto per l’unità e l’universalizzazione della Chiesa, promuovendo spesso
concili, quali quello ecumenico di Nicea del 325, in occasione del dibattito ariano, che avviò il discorso
sulla natura di Cristo e da cui nacque il Credo. Ario era un monaco alessandrino che sosteneva che il
Figlio era una creatura del Padre e non partecipava alla sua natura divina [T33].
 T28 Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica
 T29 Agostino di Ippona, Epistulae
 T30 Codex Theodosianus
 T31, T32 Eusebio di Cesarea, Vita Constantini
 T33 Rufino di Aquileia, Historia Ecclesiastica
I FATTORI DI CRISI

Il personale politico-militare dell’Impero era esiguo, perché l’amministrazione e la difesa erano assicurate
anche dalle élites locali, che tra l’altro riscuotevano le tasse. I costi di questo apparato erano sostenuti
dalla tassazione, che doveva essere contenuta per non gravare troppo sulle masse rurali e permettere alle
élite cittadine di incamerare rendite sufficienti a mantenere il loro status. Era anche necessario che si
mantenesse un equilibrio tra le entrate garantite dalla tassazione e le spese per mantenere l’esercito, ma
tale equilibrio entrò in crisi con Marco Aurelio, quando fu necessario un rafforzamento dell’esercito,
producendo un incremento della spesa, a questo si aggiunse lo scoppio di una forte epidemia che ridusse
le capacità produttive dell’Impero con conseguente decremento di entrate. Vi furono una serie di misure
per riequilibrare la situazione: aumento del carico fiscale, riduzione del contenuto di metallo nella
moneta, allargamento, mediante confische, della proprietà imperiale e quindi dei prodotti che l’imperatore
gestiva direttamente e poteva destinare all’esercito, senza gravare ulteriormente sui contribuenti.

LA PESTE ANTONINA
La guerra partica del 161 comportò delle conseguenze disastrose sull’Impero. L’esercito fu colpito dal
vaiolo e i reduci della campagna portarono la malattia, che decimò la popolazione, in moltissime regioni
dell’Impero e fu contagiosissima, tanto che anche tutti i morti furono seppelliti in luoghi appositi. Inoltre,
approfittando del fatto che la campagna partica aveva lasciato gli altri fronti sguarniti, le popolazioni
germaniche di Quadi e i Marcomanni sfondarono il limes presso il fronte renano e danubiano e invasero i
territori provinciali. Si dovettero reclutare nuove legioni e lo stesso Marco assunse il comando delle
operazioni sul fronte danubiano [T1, T2, T3, T4, T5]. Pare che la pestilenza durò molti anni,
probabilmente 25, con continui scoppi violenti [T6, T7, T8]. Si è a lungo discusso sulla gravità di questa
epidemia; da un documento papiraceo sappiamo che nel Fayum, in Egitto, morì circa un terzo dei
contribuenti, determinando l’aumento del carico fiscale sulle spalle dei sopravvissuti [T9]; altre iscrizioni
riportavano, contro la pestilenza, imprecazioni divine [T10], il cui culto fu molto rafforzato a seguito
della piaga [T11]. Fu difficile anche reclutare nuove truppe, viste le decimazioni, tanto che si arruolarono
anche i barbari [T11], che si insediarono non solo nelle aree di confine ma nella stessa Italia [T12]. Il calo
della popolazione con conseguente diminuzione delle entrare potrebbe spiegare la vendita dei beni
imperiali da parte di Marco Aurelio [T13], dato che non era possibile gravare ulteriormente sui
contribuenti sopravvissuti, tanto che l’imperatore dovette condonare 45 anni di tasse arretrate [T14].
 T1 Ammiano Marcellino, Res gestae
 T2, T3 Orosio, Historiae adversus paganus
 T4, T5, T11, T13 Scriptores Historiae Augustae, De vita Marci Antonini Philosophi
 T6, T9, T10
 T7, T12, T14 Cassio Dione, Historia Romana
 T8 Erodiano, Ab excessu divi Marci

LA POLITICA ECONOMICA DI PERTINACE


La situazione economica si aggravò con le spese di Commodo, che per recuperare ricorse, da un lato,
introdusse nuove tasse, come le donazioni obbligatorie del giorno del suo compleanno [T15], dall’altro
ridusse il contenuto di argento della moneta, che però secondo alcuni studiosi determinò un’inflazione, a
cui l’imperatore avrebbe cercato di rimediare imponendo un calmiere, che ebbe però scarsa efficacia [T16
]. Alla morte di Commodo le casse imperiali erano vuote [T17], per cui il successore Pertinace dovette
porvi rimedio mediante tagli alle spese, soprattutto quelle imperiali superflue, da cui derivò anche un
abbassamento dei prezzi, [T21] e mise all’asta i beni imperiali, specie quelli di Commodo [T18, T20].
Tra le tante altre misure: stabilì premi per i soldati, fissò un tetto di spesa per le opere pubbliche, stanziò
denaro per restauri cittadini, pagò stipendi arretrati [T22]. Per il rilancio agricolo concesse poi, in Italia e
province, di occupare tutte le terre incolte e abbandonate e chi se ne fosse preso cura sarebbe divenuto
proprietario e avrebbe goduto di immunità fiscale per 10 anni; per il rilancio del commercio eliminò i
tributi imposti da Commodo sul traffico commerciale, rendendolo nuovamente libero [T19].
 T15, T18 Cassio Dione, Historia Romana
 T16 Scriptores Historae Augustae, De vita Commodi
 T17, T19 Erodiano, Ad excessu divi Marci
 T20, T21, T22 Scriptores Historae Augustae, De vita Pertinacis

LA POLITICA ECONOMICA DEI SEVERI


Secondo alcune fonti la crisi economica dell’Impero perdurò, nonostante i brevi interventi di Pertinace.
Settimio Severo ridusse al 50% il contenuto d’argento nel denarius, per poter fronteggiare la crescita delle
spese militari, a cui tra l’altro concesse un donativo, i matrimoni legittimi e l’aumento di stipendio [T23].
Il bottino ottenuto dal saccheggio di Ctesifonte [T24], mediante il quale effettuò anche elargizioni al
popolo [T25], e le confische dei beni dei seguaci di Nigro e Albino, che furono uccisi, [T26, T27]
fruttarono un enorme bottino e molto oro, tanto venne istituito un dipartimento autonomo dei beni
imperiali, la res privata [T27]. A questo si aggiunsero anche le confische a Plauziano, consuocero
dell’imperatore e prefetto, così estese tanto da richiedere un amministratore apposito [T28]. Severo
inoltre diede il via alle distribuzioni gratuite di olio e grano alla plebe romana [T29], per cui fu utilizzato
anche olio prodotto nelle tenute imperiali, fatto testimoniato dai bolli sulle anfore [T30]. Affinché potesse
aumentare le entrate e fornire in modo razionale le legioni, Severo emise un’imposta fondiaria che
gravava anche su territori che avevano goduto l’immunità, l’annona militaris, da pagare in natura, in
modo da non risentire delle oscillazioni della moneta [T31]. Era punito severamente chi svolgeva
illegalmente attività di cambiavaluta [T32]. Alla morte di Settimio le casse imperiali erano piene e vi era
gran quantità di olio e grano [T33], e vi fu anche la ripresa di un’intensa attività edilizia, soprattutto con il
restauro di edifici pubblici pericolanti [T35, T36], dell’acquedotto [T37] e la costruzione di nuovi edifici
monumentali [T38]. Il successore Caracalla raddoppiò le imposte, e secondo alcuni un espediente per
farlo fu la constitutio Antoniniana [T39]; aumentò poi di nuovo lo stipendio ai militari [T33, T34]. In
campo monetario ridusse il peso della moneta d’oro e introdusse un nuovo nominale argenteo di peso pari
a un denario e mezzo; su questo le fonti sono incerte, non sapendo bene se ciò avesse lo scopo di
incrementare le possibilità di spesa svalutando la moneta, o viceversa stabilizzare il sistema monetario di
fronte all’eccessivo svilimento operato da Settimio Severo. La moneta era considerata non come merce
ma come valore, sulla base della cui quantità si regolavano gli scambi [T40]; la moneta contrassegnata
dal volto dell’imperatore non era determinata dal valore intrinseco ma dal valore nominale. Non accettare
la moneta dell’imperatore significava macchiarsi del reato di lesa maestà, per cui si era puniti con l’esilio
per gli honestiores e con i lavori forzati per gli humiliores [T41]. Dione espone un giudizio molto severo
nei confronti di questa moneta, poiché secondo lui l’imperatore avrebbe fatto circolare moneta falsata,
ossia ricoperta con un materiale più prezioso di quanto in realtà non fosse internamente [T42]. Macrino
ridusse la pressione fiscale abolendo le tasse sull’eredità [T43] e ridusse le paghe e i benefici militari
[T44, T45]. Fu comunque Severo Alessandro ad operare in modo molto moderato, riducendo le imposte
[T46] ed eliminando l’aurum coronarium, stabilendo che nessuno doveva più contribuzioni di quanto
potesse dare [T47, T48]. Tali riduzioni furono aiutate anche dalla riduzione del personale di corte,
tenendone solo il numero necessario [T49, T50]. Ancora, Severo sarebbe intervenuto in campo agricolo
mediante prestiti ad interessi bassi o nulli pur di permettere di acquistare le terre pubbliche messe in
vendita [T51, T52]; fu attento ai rifornimenti annonari e di olio, sostenendoli se necessario anche a
proprie spese [T53, T54] ed effettuò distribuzioni straordinarie [T55] e probabilmente prese misure di
diminuzione del costo della carne [T56]. Infine, diede vita a molte attività edilizie, quali costruzione di
terme, restauri di vecchie opere e abbellimenti vari [T57, T58].
 T23, T24, T26, T33, T34 Erodiano, Ab excessu divi Marci
 T25, T39, T42, T43, T44, T45, T52 Cassio Dione, Historia Romana
 T27, T29, T35, T36 Scriptores Historiae Augustae, De vita Severi
 T28, T30, T31, T38, T48
 T32 OGIS
 T40 Digesta (Paolo)
 T41 Paulii Sententiae
 T46, T47, T49, T50, T51, T53, T54, T55, T56, T57, T58 Scriptores Historiae Augustae, De vita
Alexandri Severi

DA MASSIMINO IL TRACE AD AURELIANO


A Severo Alessandro successe Massimino il Trace, il quale sottopose il popolo ad una dura pressione
fiscale, appropriandosi tra l’altro di ciò che apparteneva al popolo, confiscando il denaro destinato ai
rifornimenti e alle distribuzioni di viveri o all’amministrazione della vita pubblica [T59]; tutto questo
portò ad un’insurrezione dell’Africa [T60] anche se non sono ben chiari i motivi di tale rivolta. Negli anni
successivi il peso fiscale era ancora forte, considerata la continua pressione barbarica lungo i confini e gli
esiti della campagna antipersiana di Gordiano III e Filippo l’Arabo, chiusasi con il pagamento di una
pesante indennità alla Persia [T61], per cui la pressione tributaria spesso era insostenibile e molte
comunità effettuavano rimostranze [T62]. A contribuire vi furono nuovi scoppi epidemici tra 250 e 270 a
Roma e in varie province orientali durante i regni di Decio [T63], Treboniano Gallo [T64, T65], Gallieno
[T66], Claudio il Gotico [T67], che ridussero drasticamente la popolazione [T68]. Negli anni centrali del
III sec. l’unità dell’Impero era gravemente minacciata, tali avvenimenti erano visti dal vescovo di
Cartagine Cipriano come segni divini che si dimostravano nel tracollo del mondo: gli squilibri delle
stagioni, la minore quantità di risorse naturali, il crollo dei valori, l’invasione delle pestilenze, le guerre,
l’invecchiamento precoce del mondo e la sua decadenza così come invecchia e muore l’uomo, in quanto
tutto ha un inizio e una fine; e secondo Cipriano tutto ciò accadeva per la mancanza di fede in Dio [T69].
Gli anni di Aureliano videro una sostanziale ripresa politica, con la realizzazione di nuove mura a Roma e
di edifici pubblici, quali il tempio del Sole [T70, T71], l’ampliamento delle distribuzioni annonarie
(aumentò anche di un’oncia il peso del pane) e il progetto, realizzato in parte, per l’introduzione della
distribuzione del vino mediante terreni incolti messi a disposizione di prigionieri di guerra, senza ricavare
entrate per l’erario ma concedendo tutto al popolo [T72, T73, T74]; a questo si affiancarono le operazioni
di bonifica dell’erede all’impero Probo [T75], il quale portò a termine il progetto, circa le viti, del
predecessore [T76]. Ancora, Aureliano nel 274, a seguito di una rivolta dei monetieri di Roma, procedette
ad una riforma monetaria con l’introduzione di una moneta di rame argentato e il ritiro della vecchia
moneta, per effetto della quale si ebbe un consistente incremento dei prezzi. [T77]
 T59, T60 Erodiano, Ab excessu divi Marci
 T61 Res gestae Divi Saporis
 T62 OGIS
 T63 Orosio, Historiae adversus paganos
 T64, T77 Zosimo, Historia Nova
 T65 Eutropio, Breviarium ad Urbe condita
 T66 Scriptores Historiae Augustae, De vita Gallieni
 T67 Scriptores Historiae Augustae, De vita Claudii
 T68, Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica
 T69 Cipriano, Ad Demetrianum
 T70, T71, T72, T73, T74 Scriptores Historiae Augustae, De vita divi Aureliani
 T75, T76 Scriptores Historiae Augustae, De vita Probi
L’ETA’ TARDOANTICA

ISTITUZIONI, DIRITTO E SOCIETA’ DA DIOCLEZIANO ALLA FINE DELL’IMPERO

DIOCLEZIANO: LA CONCEZIONE ASSOLUTISTICA DEL POTERE IMPERIALE


Dominato e tetrarchia
Con Diocleziano si afferma l’assolutismo imperiale, il sovrano era considerato una divinità da adorare e
un Signore, come lui stesso volle [T1, T2, T3]. Per far fronte alle minacce esterne ed interne che
mettevano in pericolo l’Impero [T4] con lui si istituì la tetrarchia [T5, T6], che secondo i progetti doveva
garantire un’amministrazione più efficiente, maggiore presenza militare e regolare in anticipo la
successione al trono.
 T1 Eutropio, Breviarum ad Urbe condita
 T2 Ammiano Marcellino, Res gestae
 T3 Aurelio Vittore, Liber de Caesaribus
 T4 Orosio, Historiae adversus paganus
 T5 Lattanzio, De mortibus persecutorum
 T6 Panagyrici Latini

Le riforme diclezianee: l’amministrazione, l’esercito, l’annona


Molte furono le riforme di Diocleziano [T7]. Per quanto riguarda le province, furono divise in entità
territoriali meno estese, così il numero fu raddoppiato, avvicinando il potere imperiale agli abitanti
dell’Impero, esercitato attraverso i suoi rappresentanti. I governatori continuarono ad esercitare funzioni
giurisdizionali, finanziarie e civili; mentre il comando militare nelle provincie fu affidato a duces. Le
province furono a loro volta riaccorpate in 12 grandi circoscrizioni territoriali, le diocesi, con a capo
funzionari tratti dall’ordine equestre, i vicari, che svolgevano vari compiti civili a livello locale,
supervisionavano i governatori di provincia e riscuotevano l’annona. Inoltre il consilium divenne
consistorium, cioè tutti dovevano stare in piedi di fronte all’imperatore. Con la tetrarchia la sede imperiale
non fu più a Roma ma in varie residenze: Nicomedia (Bitinia) fu la residenza di Diocleziano; Tessalonica
e Serdica di Galerio; Milano di Massimiano e Treviri di Costanzo.
Anche i fondi italiani furono sottoposti a tributi [T8]. l’esercito vide l’incrementarsi il numero dei suoi
effettivi; si ebbe una moltiplicazione delle legioni, numerose ma di conseguenza più piccole. Ciò
prevedeva una riorganizzazione della fiscalità e della finanza imperiale (vedi sistema capitatio-iugatio,
malvisto da Lattanzio [T9]). Ricordiamo anche l’editto de pretiis [T7].
 T7, T9 Lattanzio, De mortibus persecutorum
 T8 Aurelio Vittore, Liber de Caesaribus

LA FINE DEL SISTEMA TETRARCHICO E L’ASCESA DI COSTANTINO


All’indomani dell’abicazione di Diocleziano e Massimiano
Nel 305, per volontà di Diocleziano, i due Augusti abdicarono [T10, T11, T12], tra le possibili ragioni le
fonti annoverano: vecchiaia, malattia, fattori psicologici, motivi religosi. Lasciarono l’Impero a Costanzo
Cloro (Occidente) e Massimiano Galerio (Oriente). Furono nominati due nuovi Cesari: Massimino Daia
(Oriente) e Severo (Occidente) [T13]. Vi furono, successivamente, una serie di scontri per il potere, fino
al regno di Costantino e Licinio, e alla morte di quest’ultimo, Costantino riunì sotto di sé l’Impero.
 T10 Orosio, Historiae adversus paganos
 T11, T13 Lattanzio, De mortibus persecutorum
 T12 Aurelio Vittore, Liber de Caesaribus

Le riforme amministrative
Costantino sancì una sempre più netta separazione tra carriere civili e militari. Vi furono nuove cariche: il
quaestor sacrii palatii, a cui competeva la redazione di nuovi testi imperiali [T14]; il comes sacrarum
largitionum, che si occupava delle entrate fiscali in denaro e delle spese imperiali; il comes rerum
privatarum, che sovraintendeva il patrimonio imperiale [T16]; il magister officiorum, che sovraintendeva
tutto l’apparato burocratico [T15]. Con un’importante riforma si riorganizzò la prefettura in pretorio, in
cui i prefetti divennero una sorta di viceré, posti a capo di vastissime circoscrizioni territoriali, che
riunivano più diocesi [T17]. Fondò la nuova Roma sul sito dell’antica Bisanzio e la chiamò
Costantinopoli, consacrandone il suolo, cingendola con mura, favorendo l’afflusso di immigrati e
dotandola di strutture analoghe a Roma [T18, T19].
 T14 Simmaco, Epistulae
 T15, T16 Giovanni Lido, De magistrati bus
 T17, T18 Zosimo, Historia Nova
 T19 Socrate, Historia Ecclesiastica

DA GIULIANO ALLA CADUTA DELL’IMPERO D’OCCIDENTE


Costanzo II, figlio di Costantino, nel 335 nominò Cesare suo cugino Giuliano, cui vennero affidate le
Gallie, unico sopravvissuto alla strage della sua famiglia [T20], il quale si rivelò un ottimo
amministratore e un valente generale: vinse contro gli Alamanni a Strasburgo nel 357 e fu inoltre in grado
di dimostrare che la contribuzione prevista era sufficiente e che non c’era necessità di imposte
supplementari, come viceversa richiedeva il prefetto al pretorio nominato da Costanzo II [T21, T22].
Costanzo, preoccupato dei successi di Giuliano, richiese un contributo di truppe per la campagna
persiana, sulle prime Giuliano accettò, poi le truppe si sollevarono e lo proclamarono Augusto, salendo al
potere alla morte di Costanzo [T23]. Durante il suo regno si ebbe la diminuzione del carico fiscale,
soprattutto mediante soppressione delle esenzioni, che tanto giovavano quasi sempre i ricchi [T24]. Dopo
di egli si aprì un periodo di nuove successioni repentine fino a Teodosio, che divise l’Impero tra i due
figli: Arcadio a Oriente, sotto tutela di Rufino, e Onorio a Occidente, sotto tutela di Stilicone [ T25], le
due parti finirono per separarsi prendendo ognuno la propria strada, fino alla caduta dell’Impero
d’Occidente per mano del barbaro Odoacre [T26].
 T20, T21, T22, T23, T24 Ammiano Marcellino, Res gestae
 T25 Zosimo, Historia Nova
 T26 Procopio, De bello Gothico

LA RELIGIONE E L’IMPERO
Dalla grande persecuzione al cesaropapismo di Costantino
Diocleziano tentò, pur fallendo, di restaurare l’Impero pagano perseguitando i cristiani per 10 anni [T27].
Alcuni, quali Lattanzio, additano invero Galerio come vero responsabile, tuttavia proprio quest’ultimo nel
311 vi pose fine con un editto che concedeva ai cristiani la libertà religiosa [T28]. La svolta del
cristianesimo si ebbe con Costantino, già a partire dalla battaglia di Ponte Milvio aggiunse, a seguito di un
sogno, alle sue insegne il monogramma cristiano e si pose così sotto la protezione di Dio, che pregava e
ringraziava [T29]. Nel 313 promulgò, con Licinio, l’editto di Milano, che riaffermava la tolleranza di
tutte le religioni, compresa quella cristiana [T30]. Il sovrano portò avanti una politica filo cristiana,
intervenendo anche negli affari ecclesiastici, ad esempio partecipò, nel 325, al Concilio di Nicea primo
consiglio ecumenico, istituito per risolvere le controversie ariane, in cui l’imperatore si presentò con vesti
sfolgoranti adornate di pietre preziose, ma che nascondevano un’anima timorosa e veneranda di Dio
[T31]. Il cristianesimo, pur non essendo ancora religione di stato, era favorito; Costantino però non ruppe
del tutto con il paganesimo, a tal proposito si riferisce un rescritto imperiale con il quale l’imperatore
dettava norme per l’effettuazione dei ludi scenici e gladiatorii in Umbria e Tuscia e per la costruzione di
un tempio pagano, a Hispellum, alla famiglia imperiale, presso il quale celebrare i ludi. [T32]
 T27 Orosio, Historiae adversus paganus
 T28 Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica
 T29, T31 Eusebio di Cesarea, Vita Constantini
 T30 Lattanzio, De mortibus persecutorum
 T32

Da Giuliano all’Editto di Tessalonica


Giuliano tentò di restaurare il paganesimo, ai cristiani furono interdette molte funzioni civili e militari se
non avessero abbandonato la religione e sacrificato agli dei, riaprì templi pagani e cancellò i privilegi al
clero cattolico, vietò ai cristiani di insegnare la letteratura classica. Fu denominato “Apostata” ma cercò
invece di restaurare il paganesimo, pur senza giungere ad una vera e propria persecuzione dei cristiani
[T33, T34, T35]. Il cristianesimo comunque era sempre più sviluppato, tanto che Teodosio, con Graziano
e Valentiniano, nel 380 a Tessalonica, emanò un editto che stabiliva la religione cristiana come sola
religione dell’Impero, seguendo quel credo religioso che Pietro apostolo aveva trasmesso ai romani.
Evidenzia i tre dogmi del Cristianesimo, Padre, Figlio e Spirito Santo sotto un’unica identità. Tutti coloro
che non credevano in questa religione erano definiti eretici e sottoposti ad azioni punitive [T36].
 T33 Socrate, Historia Ecclesiastica
 T34 Ammiano Marcellino, Res gestae
 T35, T36 Codex Theodosianus

IL DIRITTO: FONTI DI PRODUZIONE E FONTI DI COGNIZIONE


Le costituzioni imperiali
Nel tardo impero la constitutio principis era l’unica fonte ufficiale del diritto. Mutò la tecnica legislativa:
caddero in disuso decreta (sentenze imperiali) e mandata (istruzioni ai funzionari) e nacquero l’adnotatio,
annotata al margine della richiesta, ed era la soluzione ad un caso, e la pragmatica sanctio, statuti con
contenuto generale. Dopo Diocleziano persero valore anche i rescripta [T37, T38] e, soprattutto con
Teodosio e Valentiniano, si legiferava perlopiù con edicta o leggi generali, che fossero valide per tutti
[T39] e, se per risolvere una questione pubblica o privata non vi fossero leggi adatte, i senatori avrebbero
provveduto, ove d’accordo, a promulgare nuove leggi sulla base di decisioni prese all’unanimità [T40]. A
partire da Costantino, inoltre, si sarebbe accentuato l’influsso cristiano e dei diritti provinciali sul diritto
romano [T41]. A fine III sec. furono compitale due raccolte di costituzioni imperiali: il codice Gregoriano
(costituzioni da Adriano a Diocleziano, diviso per libri e titoli) e il codice Ermogeniano (costituzioni di
Diocleziano, unico libro, diviso per titoli). Nel 429 Teodosio II nominò una commissione di 8 uomini per
compilare due raccolte: una, a scopo conoscitivo, doveva raccogliere le costituzioni (vigenti e non, poiché
vennero comunque scritte anche norme e consuetudini poi abrogate o in disuso) da Costantino in poi;
l’altra, a scopo pratico, per contenere solo le costituzioni in vigore, attingendo anche dai due codici
precedenti [T42]. Sei anni dopo l’imperatore ridimensionò il progetto e incaricò una nuova commissione
di 16 componenti di realizzare una raccolta delle costituzioni imperiali a partire da Costantino, divise per
titoli, indici degli argomenti, e fu concesso ai redattori di eliminare ogni parte superflua e lasciare solo
quelle che dessero validità alla norma [T43]. Il Codice Teodosiano, che entrò in vigore nel 439,
rappresenta la prima raccolta ufficiale di costituzioni imperiali e il ritorno all’unità legislativa
dell’Impero, poiché entrò in vigore anche in Occidente.
 T37, T38, T42, T43 Codex Theodosianus
 T39, T40, T41 Codex Iustinianus

La giurisprudenza postclassica
Vista la gran quantità di opere dei giuristi, che era ancora diritto vigente ed utilizzabile in ambito
processuale, furono emanate leggi con cui si stabiliva quali opere della giurisprudenza potessero essere
citate nei tribunali [T44].
 T44 Codex Theodosianus

LE CLASSI SOCIALI
Il regime vincolistico
Molti cittadini in età imperiale verano vincolati alle proprie professioni, tra cui coloni, cui non era
neanche consentito allontanarsi dai campi, militari [T45, T46, T47, T48] e decurioni [T49]. I discendenti
avevano l’obbligo di ereditare la professione. Non tutte le attività erano però soggette a vincoli.
 T45, T47 Codex Theodosianus
 T46, T48 Codex Iustinianus
 T49 Novella Valentiniani

Honestiores e humiliores
Si accentuò la differenza tra le due categorie. I senatori erano i più privilegiati, in base al rango essi
furono distinti in: illustres, spectabiles e carissimi; godevano di esenzioni e privilegi [T50]. L’ordine
equestre, che con Diocleziano occupava i vertici della carriera militare e burocratica, sparì ad inizi IV sec.
e i cavalieri ottennero il rango senatorio. Ancora, agli honestiores, che comunque avevano privilegi
diversi, appartenevano: militari, funzionari amministrativi, il clero. Agli humiliores appartenevano gli
esclusi dal potere e dalle ricchezze.
 T50 Codex Theodosianus
LA STORIOGRAFIA PAGANA

LA STORIOGRAFIA PAGANA COME STORIOGRAFIA D’OPPOSIZIONE ANTICRISTIANA?


Nel V sec. i principali storiografici latini non presero ampiamente in considerazione le trasformazioni
sociali e culturali con Costantino. Nei loro scritti sono quasi assenti gli accenni al nuovo credo, come una
storiografia pagana di opposizione. Ad esempio nella Historia Augusta, raccolta di biografie imperiali,
trapelavano sia sottili accuse contro il cristianesimo, riutilizzando una lettera di Adriano [T1], sia
mescolando entrambe le religioni, mediante venerazione degli stessi uomini santi, sull’esempio di
Alessandro Severo, che aveva inserito nel suo tempio anche immagini di Cristo e Abramo [T2]. D’altra
parte, gli intellettuali cristiani non erano attratti dalla storiografia tradizionale, che comunque ormai
appariva poco praticata preferendole le opere più brevi e circoscritte, e scrivevano perlopiù narrazioni
sacre e biografie dei santi.
 T1 Scriptores Historiae Augustae, De vita Firmi
 T2 Scriptores Historiae Augustae, De vita Alexandri Severi

LA STORIOGRAFIA “PAGANA” DI AMMIANO


Ammiano scrisse una storia dell’Impero in 31 libri, ma ce ne sono giunti solo 18. Ammiano, per quanto
riguarda le religione, risulta essere un tradizionalista non ostile al cristianesimo, sfavorevole, ad esempio,
all’eccessiva ritualità pagana dei sacrifici di Giuliano [T3]. Condannò poi l’incapacità di Costanzo II nel
risolvere le questioni religiose [T4]. Si prese poi gioco di quei superstizioni che prima di fare qualsiasi
cosa consultavano gli astri [T5]. D’altro canto, criticava il lusso in cui viveva il clero cittadino mentre
apprezzava l’umiltà dei prelati di provincia [T6]. Una critica aspra fu nei confronti del vescovo Giorgio di
Alessandria, e le sue continue ingiuste accuse di disobbedienza nei confronti del popolo [T7].
 T3, T4, T5, T6, T7 Ammiano Marcellino, Res gestae

LA VICENDA DELL’ALTARE DELLA VITTORIA: L’ULTIMO CONFLITTO CULTURALE FRA


INTELLETTUALI PAGANI E CRISTIANI
Un’accesa disputa tra intellettuali pagani e cristiani si accese quando Graziano, antipagano, abrogò le
sovvenzioni statali ai culti pagani e confiscò i beni dei templi, e soprattutto fece eliminare l’altare della
Vittoria della curia, in cui si riuniva il senato, che era simbolo della devozione senatoriale verso
l’imperatore. Esso fu posto da Ottaviano dopo la battaglia di Azio. Già Costanzo II lo fece togliere,
poiché su di esso i senatori effettuavano sacrifici, ma probabilmente fu riposto ad opera di Giuliano;
anche Valentiniano lo tollerò per il suo essere una tradizione [T8]. E lo scagliarsi contro questa [T9]
portò alla definitiva inconciliabilità tra i valori e le antiche tradizioni pagane su cui praticamente Roma
era cresciuta [T10] e gli ideali cristiani, rappresentati allora dal vescovo di Milano, Ambrogio. Vi furono
vari tentativi di far ricollocare l’altare in senato e di riottenere sussidi statali per i culti tradizionali,
soprattutto da parte di membri dell’aristocrazia senatoria quali il retore Simmaco, che ottennero la
concessione per un breve periodo, fino all’arrivo di Teosodio. Tra le vittime di tali sconfitte vi fu
Flaviano, forse suicida per non riuscire a sopportare il crollo dei suoi ideali; egli ottenne, anni dopo, la
riabilitazione [T11].
 T8, T9, T10 Simmaco, Relatio tertia
 T11
LA STORIOGRAFIA PAGANA DEL V SECOLO: EUNAPIO, OLIMPIODORO E ZOSIMO
Eunapio
L’assedio di Alarico del 410 acuì la spaccatura cristiani/pagani, questi ritenevano infatti che le sciagure
che l’Impero attraversava erano dovute al diffondersi del cristianesimo a scapito del culti degli dei.
Il greco Eunapio fu accanitissimo contro i critiani, della sua opera dell’Impero (fino al 404) vi sono solo
frammenti, è stata comunque molto usata anche da Zosimo. Eunapio apprezzava Giuliano per essere
tornato alla religione tradizionale, per cui ne esaltava tutte le qualità disprezzando invece i successori,
soprattutto Teodosio, additato come incapace, avido (per l’aumento delle cariche militari), oppressivo e
sprecone in fasti di corte [T12], nonché falso nei confronti dell’usurpatore Magno Massimo, che accettò
come imperatore mentre preparava piani contro di lui [T13], e colpevole di aver reclutato molti barbari
nell’esercito romano [T14]. Critica poi, nella sua opera “Vite dei sapienti”, la distruzione dei centri di
culto pagani per ospitarvi monaci, uomini in veste nera colpevoli considerare uomini morti come martiri e
divinizzarli [T15], nonché, secondo quanto afferma Eunapio, di aver indicato ad Alarico la via d’accesso
alla Grecia attraverso le Termopili [T16]. Al contrario, i sapienti pagani, quando veniva loro attribuita
una carica sacerdotale, dimostrarono atteggiamenti rispettosi verso i cristiani [T17].
 T12, T13, T14 Eunapio, in Zosimo, Historia Nova
 T15, T16, T17 Eunapio, Vitae sophistarum

Olimpiodoro
Anche della sua opera dell’Impero (404-425) vi sono solo frammenti, è stata comunque molto usata anche
da Zosimo. Olimpiodoro riteneva che le sciagure dell’Impero erano dovute all’abbandono dei vecchi
culti, con speciale riferimento all’assedio di Alarico, quando le autorità rimossero le immagini pagane e
fuso statue, quali la Virtus (coraggio) di metalli preziosi [T18].
 T18 Olimpiodoro, in Zosimo, Historia Nova

Zosimo
Il funzionario imperiale la pensava come Olimpiodoro, anzi, secondo lui proprio la svolta cristiana
dell’Impero avrebbe posto termine a quest’ultimo. Zosimo racconta che Teodosio tenne un discorso in
senato, ancora ancorato alle tradizioni, in cui esortò i membri a seguire la fede cristiana per la liberazione
dal peccato; tuttavia i senatori non vollero rinunciare a quei culti tanto antichi quanto la città stessa;
Teodosio allora elencò gli elevati costi sacrificali e cerimoniali e l’intenzione di sopprimerli [T19]. Inoltre
ribadì come l’Impero tese a sfaldarsi in tempo breve, dopo gli scontri con i Goti nel 378, proprio per
l’abbandono dei culti, e cita ancora l’episodio della marcia di Valente verso la Tracia e l’incontro con un
uomo morente, dilaniato dalle frustate ma ancora vigile, per poi capitolare, metafora della fine che
avrebbe fatto l’Impero [T20]. L’uccisione di Graziano ad opera dell’usurpatore Massimo sarebbe causata,
a detta di Zosimo, dal rifiuto di Graziano di ricevere il titolo di pontefice massimo [T21] e tutti gli
sconvolgimenti del V sec. furono la vendetta degli dei [T22]. Non a caso, nel terremoto del 375 Atene fu
risparmiata, si ritiene grazie al sommo sacerdote che, dopo un sogno rivelatore, per ottenere la salvezza
associò al culto di Atena quello della statua di Achille [T23]; e Atene si salvò anche dall’assedio di
Alarico, che pare avesse avuto visione delle due divinità e avesse abbandonato l’opera di conquista [T24].
 T19, T20, T21, T22, T23, T24 Zosimo, Historia Nova

LA FINE DELLA STORIOGRAFIA PAGANA A ROMA


Con la conversione di molti aristocratici romani e la sciagura dell’Impero d’Occidente, la storiografia
pagana pian piano scomparve; tra le ultime opere di difesa della tradizione ricordiamo i “Saturnalia” di
Macrobio, che ricordavano nostalgicamente l’antica cultura che aveva portato l’Impero alla grandezza e
colse occasione per citare le feste annuali in onore di Saturno [T25].
 T25 Macrobio, Saturnalia
LA STORIOGRAFIA CRISTIANA

L’APOLOGETICA
Disciplina teologica, nata a fine II sec., che cercava di dimostrare la verità della propria dottrina in difesa
di tesi avversarie. Tertulliano, nel suo “Apologeticum” (II sec.), riporta il rapporto di alcuni imperatori
con il cristianesimo, quindi i favorevoli o comunque tolleranti e gli oppositori [T1], inoltre mette a punto
una cronologia alternativa a quella romana, a partire da Mosè, primo profeta, che raccontò la creazione
del mondo fino al periodo a lui contemporaneo e predisse eventi futuri. Come lui, molto più antichi dei
personaggi della cronologia romana, vi erano altri profeti; inoltre tutte le leggi e le opere d’ingegno
utilizzate dai Romani possono essere ritrovate in quanto anticipate dalla dottrina divina, quindi non sono
invenzione Romana [T2]. L’apologetica ideò anche una filosofia della storia, che ritroviamo nel “De
civitate dei” di Agostino (V sec.) con al centro la provvidenza e il suo piano salvifico, nella cui attuazione
anche l’Impero romano aveva un ruolo [T3].
 T1, T2 Tertulliano, Apologeticum
 T3 Agostino di Ippona, De civitate Dei

EUSEBIO E LATTANZIO
Il “Chronicon” di Eusebio
Eusebio visse tra III e IV sec. e fu vescovo di Cesarea di Palestina. Tre sono le sue opere storiografiche. Il
“Chronicon” riassume dettagliatamente, per periodi, regni, personaggi di rilievo, la storia dei popoli
antichi: Caldei, Assiri, Ebrei, Egiziani, Greci, Romani. Dispone poi su colonne parallele le date
fondamentali della storia biblica e della storia universale, cioè quella dei diversi popoli. Come data
iniziale sceglie la nascita di Abramo considerata come prima data storica intorno al 2016/2013 a.C.
Nell’introduzione Eusebio esorta i lettori a non vantarsi di poter collocare con precisione i fatti nel tempo,
nessun popolo dispone di una cronologia completamente attendibile, il sistema cronologico deve essere
solo orientativo [T4]. In greco vi sono dei frammenti mentre l’opera intera ci è giunta in traduzione
armena e solo la seconda parte è in latino tradotta da Girolamo.
 T4 Eusebio di Cesarea, Chronicon

La “Historia Ecclesiastica” di Eusebio


Composta da 10 libri che parlano dei primi tre secoli cristiani, gli argomenti vanno dagli inizi della
Chiesa fino al 324, vittoria di Costantino su Licinio. Pare che invero Eusebio non fosse interessato alla
storia ma alla persistenza del principio ispiratore del Vangelo. Eusebio sostenne di aver usato, come
metodo per la costruzione della sua opera, le narrazioni parziali di precedenti scrittori ecclesiastici.
Racchiude in sé citazioni di apologeti, teologi, filosofi, storici, documenti ufficiali di vescovi e materiale
avente attinenza ecclesiastica. Quindi pare che Eusebio riconoscesse il fondamentale ricorso della
storiografia, ai fini dell’attendibilità, alle fonti e documenti, rovesciando così quel criterio secondo cui la
storiografia si basasse sulla verosimiglianza, ricavata sulla base della natura dei personaggi raccontati.
L’opera fu tradotta in latino da Rufino. Rivolgendosi ai lettori chiede pazienza in quanto l’argomento è
più grande di sé stesso e quindi non potrà mai essere perfetto poiché è il primo a compiere una simile
opera. Prega il Signore di assisterlo nella compilazione del lavoro [T5].
 T5 Eusebio di Cesarea, Historia Ecclesiastica

La “Vita Constantini di Eusebio”


Opera biografica minore, si concentra sull’esaltazione della politica filocristiana dell’imperatore. Eusebio
si ricollega alla potenza divina la quale dona un’orribile morte ai tiranni ed ai suoi nemici e dona la vita
eterna e la memoria indimenticabile di quelle anime buone e giuste. Fu devoto a Dio e onorò la Chiesa e
nessun imperatore fu come lui [T6]. Rufino rese gli stessi onori a Teodosio al termine dei due libri
aggiunti alla sua traduzione della Storia Ecclesiastica. Elogiò Teodosio, che, cacciati gli eretici, restituì le
chiese ai cattolici sostenendo anche elargizioni per esse, si adoperò per la diffusione della fede cristiana e
prestava ascolto ai più umili [T7].
 T6 Eusebio di Cesarea, Vita Constantini
 T7 Rufino di Aquileia, Historia Ecclesiastica

Il “De mortibus persecutorum” di Lattanzio


Scritto nella prima metà del IV sec. è un trattato che descrive gli effetti terribili dell’ira di Dio e i castighi
dei persecutori dei cristiani, che hanno fatto tutti una brutta fine. Il tema è quello dell’inesorabile vittoria
della chiesa cattolica [T8]. Lattanzio ci descrive le pene dei martiri, come le torture e il rogo a fuoco lento
[T9] e le morti dei persecutori, tra cui ricordiamo quella terribile di Galerio, affetto da un male incurabile
che infettava pian piano tutte le parti del corpo [T11]. Il modello ispiratore è il libro dei Maccabei
dell’AT, che racconta la persecuzione antigiudaica del re ellenista Antioco nel II sec. a.C. e in particolare
l’episodio di tortura di una famiglia [T10]. Anche il re trovò la morte con un’orribile piaga incurabile
all’intestino [T12]. Vengono comunque riconosciuti i valori genuini dei Romani, e i peggiori persecutori
furono additati come estranei alla cultura romana: basti citare Galerio, che era un semibarbaro [T13] e
Diocleziano, che agiva senza pudore e dignità che dovrebbe avere un sovrano [T9].
 T8, T9, T11, T13 Lattanzio, De morti buspersecutorum
 T10, T12 II Machabaeorum

OROSIO
Il prete spagnolo scrisse, su incarico di Agostino, “Historiae adversus paganus” dopo il sacco di Roma del
410, aveva lo scopo di difendere la dottrina cristiana dalle accuse dei pagani in un periodo ormai di
grande diffusione del cristianesimo e della storiografia cristiana di respiro universale, basata soprattutto
sul concetto di lotta al peccato e alla morte e vittoria finale [T14]. Orosio si basò su una cronologia che
permetteva di abbracciare storia sacra e politica (il re assiro Nino-Abramo, Cesare Augusto-Cristo) [T15];
nella sua opera infatti narrò sia storia religiosa che politica e militare, sentendo quasi la necessità di
scusarsi per il ricorso a fonti provane, utili per precisazioni cronologiche e per la successione coerente dei
fatti [T16]. Aspetto politico-militare a cui Orosio ha dato importanza rilevante, sono i rapporti tra barbari
e Romani, che si traduce però, in chiave religiosa, come la pacificazione prevista dalla provvidenza, di cui
imperatori romani e re barbari devono farsi strumento [T17]. Tuttavia, successivamente Salviano
considerò le invasioni barbariche come punizione per la degenerazione morale della cristianità [T18,
T19].
 T14, T15, T17 Orosio, Historiae adversus paganus
 T16 Sulpicio Severo, Chronica
 T18, T19 Salviano, De gubernatione
I BARBARI E L’IMPERO

LA RELIGIONE E I POPOLI OLTRE I CONFINI SETTENTRIONALI DELL’IMPERO


Le fonti relative ai barbari
Abbiamo poche notizie sulle popolazioni barbariche, stanziate perlopiù a ridosso del Reno e del Danubio
anche perché molte tradizioni di questi popoli erano ancora tramandate oralmente e vi sono alcune
iscrizioni non del tutto decifrate, scritte infatti mediante simboli. A creare ulteriore confusione il fatto che
vi furono continui scambi ed influenze reciproche tra le varie popolazioni barbare [T1].
 T1 Tacito, Germania

I Germani, ovvero i “barbari”per eccellenza?


Secondo i Greci, gli individui primitivi e barbari per eccellenza erano rappresentati dalle popolazioni
dell’area renana-danubiana. Li ritenevano incapaci di esprimersi in una lingua e capaci di emanare solo
suoni vocali. Non appartenevano ad una comunità basata sulla legge e sul diritto, erano riuniti in gruppi di
persone di estrazione sociale simile su cui si imponevano alcuni con forza e violenza, formando quindi
tribù e popoli minacciosi e ostili, che vivevano perlopiù di allevamento come i nomadi e si spostavano
continuamente alla ricerca di nuova aree da invadere, e ai loro occhi apparivano appetibili le aree delle
province romane subito al di là dei confini fluviali, nonostante gli accordi con i Romani. Furono i
Sygambri presso il Reno ad iniziare le ostilità; da allora cominciarono continue ribellioni [T2]. Si
apprezzavano però le qualità belliche dei Germani, soprattutto il coraggio di mettersi contro i Romani, la
cui tecnica militare era superiore [T3]. In alcuni casi però venivano raccontati gli usi di questi popoli per
confrontarli con la più corrotta società romana, si cita “Germania” di Tacito, in cui sosteneva che in tali
popoli viveva la concezione dell’onore delle battaglie, della sofferenza di coppia di un matrimonio, le
donne erano tenute fuori da ogni occasione peccaminosa, si cibavano di viveri semplici [T4].
 T2 Strabone, Geographia
 T3 Tacito, Annales
 T4 Tacito, Germania

I Germani come etnia a sé e la loro dislocazione geografica


Da quando Giulio Cesare intuì che i Galli, a differenza dei Germani, avevano sacerdoti e compivano riti, i
secondi furono chiamati tali ed identificati con tutte le popolazioni al di là del Reno. In precedenza si
indicavano solo due gruppi barbari, i Celti (Galli) in Gallia, Britannia ed Europa centrale, e i Sciti, in
Europa orientale; i Germani erano più violenti e di aspetto più pallido dei Celti, infatti “Germani”, per i
Romani, significava “puri” [T5, T6]. Anche se pian piano questi barbari si distinsero in vari gruppi, Goti,
Alamanno, Franchi, venivano perlopiù identificati come un’unica massa stanziata fuori dal territorio
romano; in realtà fu proprio la divisione in gruppi, che pian piano crebbero e si organizzarono, che portò a
tutta la serie di invasioni del V sec. I nuclei si formavano o perché le etnie più deboli venivano inglobate
in gruppi più forti, o per motivi religiosi, o perché i guerrieri, soprattutto i giovani, si riunivano in un
gruppo, il comitatus, agli ordini di un capo forte ed autorevole [T7].
 T5 Strabone, Geographia
 T6, T7 Tacito, Germania

GERMANI E ROMANI NELL’ETA’ IMPERIALE


La formazione della “frontiera”
Il progetto di Augusto di conquistare le Gallie attaccando i barbari, diedero vita ad una dura campagna
militare tra 16 a.C. e 9 a.C., condotta dai figli adottivi Druso e Tiberio, che dovettero però affrontare
ribellioni e forti ostilità, nonché sconfitte. Questo evidenzia l’importanza del pericolo che
rappresentavano queste tribù e la difficoltà di un loro assoggettamento definitivo fino all’Elba, come
sostiene Floro [T8]. Dopo le sconfitte subite i Romani cominciarono a preferire accordi con i Germani,
spesso anche attraverso donazioni da parte dei primi o tentativi di far eleggere capi più affidabili, i cui
figli venivano spesso inviati a Roma ed educati alla fedeltà degli imperatori [T9, T10]. Con il passare del
tempo però i capi barbari cominciarono a pretendere maggiori concessioni e tentare di ottenerle con la
forza in caso di rifiuto. Per intensificare le strategie difensive i Romani crearono una linea continua di
difesa, presidiata dalle truppe legionarie e ausiliarie, il limes dell’Impero, strada fortificata parallela al
confine costituita da sbarramenti naturali e fortificazioni artificiali.
Al di là di questa linea venivano effettuati scambi commerciali, e il diffondersi, tra le popolazioni
dell’area renano-danubiana di ricchezze e denaro, accentuò le differenze socio-economiche tra i vari
gruppi [T11]. Sebbene Dione consideri un insuccesso la campagna germanica di Domiziano (combatté
contro Quadri e Marcomanni rifiutandone le trattative di pace, ma sconfitto fu lui stesso, in seguito, a
chiedere la trattativa ai Daci [T12]), in realtà fu occupata un’area strategica tra il Reno e il Danubio, gli
agri decumates, rafforzando così il limes e organizzando la zona in Germania inferiore e superiore.
Nonostante ciò i popoli germanici erano considerati invincibili, quindi non vi furono ulteriori conquiste
nella Germania libera [T13]. Nonostante i vari rafforzamenti del limes, un forte attacco si ebbe tra 166 e
170 con Quadi e Marcomanni che sfondarono il limes presso il fronte renano-danubiano ed assediarono
Aquileia, strategica per i collegamenti con il limes; giunsero poi sino in Grecia. Ai barbari fu concesso di
solcare il confine solo per motivi commerciali e solo in punti prestabiliti e controllati. Problema grave fu
anche quello di gestire l’assottigliamento dell’esercito e della popolazione a causa della pestilenza in età
aureliana, per cui furono arruolati e stanziati gruppi ristretti di barbari nel territorio imperiale [T14].
 T8 Floro, Epitome
 T9 Strabone, Geographia
 T10, T11, T13 Tacito, Germania
 T12, T14 Cassio Dione, Historia Romana

La politica di strenua difesa dei confini nel III secolo


Prima del III sec. si riusciva tenere a bada i popoli barbari, che divennero però poi sempre più forti e
bellicosi, come Franchi, Alamanni, Goti, Quadi, Parti, che approfittarono soprattutto del periodo debole di
anarchia militare e della peste per attaccare e portare devastazione in moltissime province imperiali. Di
fronte a tale minaccia molte province organizzarono la propria difesa autonomamente, come il regno delle
Gallie dell’usurpatore Postumo, il quale però riuscì a scacciare i nemici e riportare le province perdute
all’assetto precedente; l’esercito contadino di Odenato, che riportò all’Impero la Mesopotamia; Claudio il
Gotico che annientò i Goti che avevano invaso Illirico e Macedonia; Aureliano, che sconfisse i Goti;
Probo, che liberò le Gallie dai barbari [T15] (quest’ultimo, in una lettera al senato, manifestò la sua gioia
nell’aver assoggettato molte popolazioni barbariche, liberato decine di città, ucciso migliaia di nemici e
obbligato molti prigionieri e lavorare per i Romani, specie nei campi [T17]). Ad aggravare la situazione
furono le stesse sollevazioni delle truppe, stanche della situazione di indecisione dei sovrani in merito
all’attaccare o al trattare con i barbari, a tal proposito si cita in particolare Alessandro Severo, il quale
volle trattare con i Germani, concedendo loro anche un indennizzo più che combatterli. I soldati quindi
erano pronti a rovesciare l’imperatore, cui successe Massimino [T16]. Le avanzate dei Romani, specie se
rapide, potevano rivelarsi vantaggiose poiché i funzionari imperiali imponevano contribuzioni ai popoli
sconfitti, requisivano beni e bestiame, catturavano uomini e donne da cedere ai commercianti e ai
latifondisti, che spesso ottenevano che un gruppo di prigionieri lavorasse gratuitamente sui propri terreni,
i cui operai e contadini fossero stati uccisi o rapiti dai nemici; mentre i più forti venivano reclutati [T18]
 T15 Orosio, Historiae adversus paganos
 T16, T18 Erodiano, Ab excessu divi Marci
 T17 Scriptores Historiae Augustae, De vita Probi
IL PERIODO DELLE INVASIONI E LA CREAZIONE DEI REGNI ROMANI-BARBARICI
Gli effetti delle nuove strategie militari
Tra IV e V sec. nei testi letterari emersero i nomi di “Romania”, che, sotto il profilo geografico-politico,
era lo spazio controllato dall’Impero (che secondo alcune testimonianze il re visigoto Ataulfo voleva
trasformare in Gotia, assoggettando dunque tutto l’Impero al suo dominio [T19]), contrapposto agli spazi
nemici, che prendevano nome a seconda del nome delle varie popolazioni. La necessità di rafforzare la
difesa al limes e ai territori imperiali portò Costantino ad una serie di riforme militari: distinse i
contingenti posti ai confini dell’Impero (limitanei) e l’esercito mobile (comitatenses), riforma considerata
negativa dallo storico greco Zosimo, il quale sostenne che abbandonando le misure di difesa di
Diocleziano, che stanziò l’esercito ad ogni punto strategico di difesa, con Costantino gran parte
dell’esercito alle frontiere, tra cui i soldati migliori, fu ritirato per combattere in città, dove chiaramente il
bisogno di difesa era minore e il limes, con meno soldati, poteva essere più facilmente valicato, tra l’altro
molti soldati, reclutati dai gruppi barbarici, non erano molto affidabili [T20]. In più si aggiunse il fatto
che molti popoli germanici combattevano a cavallo, tattica a cui i Romani non erano abituati. Comunque,
furono gli stessi vertici, i comandanti supremi di cavalleria e fanteria del comitatus scelti per nomina
imperiale (magistri militum) a subire un processo di barbarizzazione (intervennero con i Romani
soprattutto i Goti) [T21]: se un capo barbaro si fosse dimostrato particolarmente capace, poteva
raggiungere i più alti gradi della carriera militare; tra fine IV sec. e V sec. la gran parte dell’esercito
imperiale era barbaro, addirittura fu istituita la figura del generalissimo, comandante supremo di
cavalleria e fanteria con autorità quasi pari all’imperatore. Al contrario di quanto gli autori dei panegirici
su Costantino e Costanzo II affermino che ormai l’Impero godeva di pace, avendo liberato territori,
assoggettato molti popoli barbari e avendoli posti al loro servizio [T22, T23], in realtà l’unico vero
successo duraturo per l’Impero fu la conversione al cristianesimo di molte tribù gotiche.
 T19 Orosio, Historiae adversus paganos
 T20 Zosimo, Historia Nova
 T21 Iordanes, Getica
 T22, T23 Panegyrici Latini, Mynors

La crisi militare, le invasioni di massa e la nascita dei regni romano-barbarici in Occidente


Altra grande minaccia era rappresentata dagli Unni, per cui i popoli germanici, soprattutto Goti, cercarono
scampo oltre il Danubio, nel territorio dell’Impero. Gli unni giungevano dalle steppe della Cina, avevano
grandi e rapide capacità di conquista grazie all’abilità dei loro capi. Nel frattempo, i barbari furono accolti
nei confini, a costo di deporre le armi, ma riuscirono ad eludere la sorveglianza dei soldati al fronte e
razziarono molti territori [T24]. Molto negativamente sono descritti gli Unni dallo storico Marcellino,
visti come uomini rozzi, innanzitutto nell’aspetto, sgraziati, primitivi ed incivili, si nutrivano di erbe e
carne cruda, non avevano abitazioni ma vivevano selvaggiamente, indossavano grossolane vesti in pelle,
erano violenti e irrispettosi nei confronti di qualsiasi cosa o persona, veloci nell’attacco sia da vicino che
da lontano [T25]. Nel frattempo Valente subì una sconfitta dai Goti, ad Adrianopoli, che secondo gli
intellettuali cristiani fu una punizione divina per la fede ariana di Valente, che inviò un vescovo ariano ai
Goti, i quali volevano invece apprendere il cristianesimo [T26]. Rendendosi conto dell’incapacità
dell’Impero di gestire tutte quelle invasioni, le comunità iniziarono a pensare che non bastassero più
pochi non romani, bensì che ci fosse bisogno di interi popoli. Teodosio, nel 381, stipulò un trattato con i
Goti e ad essi venne consentito di stanziarsi nell’Illirico. Dopo la morte di Teodosio il re gotico Alarico
avanzò ulteriori pretese per sé e per il suo popolo, comprendendo che quanto pagatogli dai Romani poteva
essere anche ottenuto come bottino. Il retore Sinesio propose così all’imperatore Arcadio di tornare alle
milizie esclusivamente romane, ricavando i soldati da qualsiasi lavoratore e cittadino in nome della patria,
impresa alquanto improbabile [T27]. In modo sinistro è visto da Orosio anche Stilicone, che avrebbe,
secondo lo storico, approfittato per sostituire l’imperatore Onorio con suo figlio; invece di considerare il
suo successo per l’opposizione della conquista gotica dell’Italia, viene additato come un Vandalo senza
scrupoli che avrebbe addirittura favorito l’ingresso in Italia dei barbari per indebolire il potere imperiale;
fu ucciso da Onorio [T28]. Alarico nel 410 riuscì a saccheggiare Roma per tre giorni; intanto nel 406 orde
di barbari, per sfuggire alla pressione unna, avevano attraversato il Reno ghiacciato giungendo nelle
Gallie e portando morte e devastazione [T29]. Ad Alarico successe il cognato Ataulfo, che mosse verso le
Gallie, dove gli fu nel 413 consentito di stabilirsi con il suo popolo in Aquitania. Altra area dell’Impero
ad esser posta sotto il controllo dei barbari furono le province nordafricane, con i Vandali guidati dal re
Genserico, e lì estesero presto il loro dominio ed effettuarono una serie di stragi e saccheggi, bruciarono
chiese e monasteri, giungendo fino a Cartagine, ove sottomisero le élite cittadine e costrinsero tutti a
cedere loro tutto ciò che di più prezioso avessero [T30]. Dopo che l’imperatore Marciano non volle
pagare il tributo agli Unni, che nel frattempo si erano stanziati in Pannonia, Attila decise di attaccare
l’Occidente ma fu sconfitto da Ezio nel 451 ai Campi Catalunici, ma il re Unno riuscì a ritirarsi al di là
del Reno. L’anno dopo tornò in Italia, assediò e saccheggiò Aquileia e devastò la pianura Padana ma non
riuscì ad arrivare a Roma poiché fu dissuaso dai suoi soldati, che temevano per la sua vita, egli fu
titubante ma fu comunque fermato dall’ambasceria di papa Leone sul fiume Mincio; morì nel 453 [T31].
Dal momento in cui crescevano sempre più le comunità barbariche stanziate nell’Impero, gli intellettuali
cristiani non solo sostennero che la loro progressiva crescita era una punizione divina inflitta ai Romani
pagani, per quanto tali popolazioni furono ormai considerate un’etnia legittimata, attraverso la
conversione al cristianesimo, ad inserirsi progressivamente nel sistema politico-culturale romano. Erano
ormai considerati barbari solo quei popoli dell’area renana-danubiana ancora ostili al cristianesimo.
Addirittura nel V sec. pareva più conveniente, per un cittadino romano, entrare a far parte di una
comunità barbarica che viceversa, in quanto i popoli barbari, durante la pace, vivevano tranquillamente e
si accontentavano di poco, a differenza dei Romani, con la loro corruzione, le loro ingiustizie (soprattutto
per quanto riguarda la differenza di pene per i potenti e gli umili), la loro sete di denaro [T32].
 T24 Zosimo, Historia Nova
 T25 Ammiano Marcellino, Res gestae
 T26, T28 Orosio, Historiae adversus paganos
 T27 Sinesio, De monarchia
 T29 Salviano, De gubernatione Dei
 T30 Vittore di Vita, Historiae persecutionis Africanae provinciae
 T31 Iordanes, Getica
 R32 Prisco di Panion
L’ECONOMIA DEL MEDITERRANEO TARDOANTICO FRA INTEGRAZIONE E
FRAMMENTAZIONE

L’ECONOMIA E LE RIFORME FISCALI A PARTIRE DALL’EPOCA DEI SEVERI. TRA


INTEGRAZIONE E FRAMMENTAZIONE
A partire dai Severi, nel III sec., cominciarono una serie di riforme istituzionali e finanziarie che
mutarono il sistema economico e fiscale romano. In ambito monetario si diede inizio ad una serie di
svalutazioni che, cercando di equilibrare il rapporto di cambio tra oro e argento, portò allo svilimento
della moneta argentea, fino a divenire rame rivestito d’argento. Inoltre, con Settimio Severo, le confische
furono tante che venne istituito un dipartimento autonomo dei beni imperiali, la res privata. Severo
controllò alcune attività economiche, soprattutto quelle collegate con l’approvvigionamento dell’esercito,
inoltre diede il via alle distribuzioni gratuite di olio e grano alla plebe romana.

Introduzione e sviluppo successivo dell’annona militaris


Severo fu sempre attento alle esigenze delle truppe, oltre ad aumentare il soldo militare, affinché potesse
aumentare le entrate e fornire in modo razionale le legioni, emise un’imposta fondiaria che gravava anche
su territori che avevano goduto l’immunità, l’annona militaris, da pagare in natura (vietando le
conversioni in denaro), in modo da non risentire delle oscillazioni della moneta. Tale sistema fu a lungo
mantenuto dai successori, quali Costanzo, Valentiniano, Teodosio, Arcadio e Onorio [T1, T2, T3, T4].
 T1, T2, T3, T4 Codex Theodosianus

LA CRISI DEL III SECOLO (250-270)


Il giudizio negativo dei contemporanei
Il susseguirsi di pestilenze, il conseguente calo demografico, la guerra, la conseguente spesa pubblica, la
svalutazione monetaria, le inflazioni, il calo produttivo, sono tutti i motivi che i contemporanei additano
come fattori di crisi per l’Impero, talvolta enfatizzando la situazione, soprattutto da parte di scrittori
cristiani: Tertulliano vedeva in questi fattori la decisione divina di decimare l’umanità e prepararla alla
sopportazione di ogni genere di sofferenza, fino all’avvicinarsi del ritorno di Dio [T5, T6]. Tuttavia,
documenti e testimonianze archeologiche evidenziano effettivamente la crisi.
 T5 Tertulliano, De anima
 T6 Cipriano, De mortali tate

Le differenziate situazioni economiche locali: prosperità, crisi regionali e ripresa economica e


demografica della produzione
Dalle fonti, date le diversità culturali, produttive, territoriali, emergono giudizi contrastanti circa la
situazione dell’Impero, specie nel III sec.. Vengono infatti individuate zone più prospere e zone più
colpite dalla crisi. Questo rende difficile sintetizzare con precisione gli eventi economici di determinati
periodi di età imperiale. Anche nel IV sec., con una ripresa evidente soprattutto in alcune zone, sia le fonti
sia le testimonianze archeologiche attestano diversi livelli di prosperità e produttività o crisi (coma ad
esempio Antiochia, che appariva in situazione miserrima, così come molti contadini erano costretti ad
abbandonare i terreni perché ormai improduttivi e non offrivano loro da vivere) [T7, T8]. Grande
decadenza e degrado si è riscontrata in alcune zone d’Italia [T9].
 T7 Libanio, Orationes
 T8 Panegyricus Latini, Minors
 T9 Rutilio Damaziano, De reditu suo

DIOCLEZIANO E LE RIFORME FISCALI


Il census e la capitatio-iugatio
Per far sì che entrate e uscite fossero pari e che i rifornimenti per l’esercito fossero regolarizzati, furono
necessarie delle riforme amministrative. Per poter ripartire il carico fiscale fu necessario un nuovo
censimento della popolazione dell’impero e una revisione catastale per misurare l’estensione dei fondi
agricoli, sistemandone il diverso rendimento a seconda del tipo di coltura adottato. La spesa si ripartiva
tra tutti i contribuenti con il sistema della capitatio-iugatio, una procedura censitaria che combinava le
unità di terreno e il numero dei coloni in una data area, determinando anche le diverse capacità
contributive delle varie aree. Il numero delle province fu raddoppiato, esse furono a loro volta accorpate
in 12 grandi circoscrizioni territoriali, le diocesi, e per ognuna di queste si ottenne la formula census,
quota che ogni contribuente doveva versare [T10, T11]. Ne restava immune la plebe urbana [T12].
 T10 Giovanni Lido, De magistrati bus
 T11 Eutropio, Breviarium ad Urbe condita
 T12 Codex Theodosianus

L’editto dei prezzi e le riforme monetarie


Tra 294 e 296 Diocleziano attuò una riforma complessiva di emissione monetaria che ricreava la vecchia
moneta d’argento di elevato contenuto, come il denarius neroniano (96 pz. per libbra) [T13, T14] mentre
il peso della moneta d’oro venne fissata a 60 pz. per libbra. Si introdusse anche un nuovo nominale di
rame argentato che ebbe la funzione del sesterzio, a tale moneta si accompagnarono nominali più piccoli
con la funzione di spiccioli, tra cui la più grande fu detta nummus. Tuttavia tale riforma non fu in grado di
fermare l’incremento generale dei prezzi, tra cui i prezzi degli stessi metalli nobili, per cui, l’autorità
dovette attribuire alla nuova moneta emessa un valore nominale che era divenuto inferiore a quello
intrinseco, la moneta veniva dunque emessa in perdita. Venne poi attuata un’altra riforma che cercò di
arginare la precedente, incrementando il solo valore nominale dei vari pezzi [T15], rischiando però di
innescare un’ulteriore inflazione. Così, nel 301, per bloccare l’inflazione, si pensò di congelare i prezzi
con un editto, l’edictum de pretiis, che conteneva un dettagliato resoconto dei prezzi dei generi alimentari,
manufatti, salari e trasporti. Per impedire che i commercianti fornissero merci alle truppe a prezzi troppo
elevati, l’imperatore ne aveva fissato i prezzi. Pesantissime pene per chi avesse trasgredito le norme.
Tuttavia, il risultato fu la scomparsa delle merci e il mercato nero, e l’editto fu lasciato cadere [T16].
 T13 Argenteus di Diocleziano
 14 Argenteus dei Tetrarchi
 T15
 T16 Editto dei prezzi di Diocleziano

L’ECONOMIA ALL’EPOCA DI COSTANTINO E OLTRE


La riforma monetaria
Costantino avviò una consistente produzione di moneta aurea, l’oro nella forma di solidus di 1/72 di
libbra fu la nuova moneta creata da Costantino che si avviò a divenire la base del sistema monetario.
Introdusse poi la siliqua, moneta d’argento, e il numus centonionalis di bronzo che corrispondeva a 1/100
di siliqua. Il ritorno dell’oro ebbe costi sociali non indifferenti, l’anonimo autore del “De rebus bellicis”
critica aspramente Costantino per aver determinato con la politica dell’emissione basata sull’oro, la
rovina dei ceti più disagiati, infatti questa liberalizzazione dell’oro fece salire i prezzi generando anche
una sorta di inflazione e accrescendo la distanza tra ricchi e poveri [T17].
 T17 Anonimus, De rebus bellicis

Aderazione, species, ecc.


Nel IV e V sec., vi furono numerose disposizioni imperiali volte a frenare gli alti tassi di aderazione e
quindi le speculazioni degli esattori a danno dei contribuenti. Le opportunità di speculazione, soprattutto
per i burocrati, erano legate alla riscossione fiscale e all’approvvigionamento militare: l’annona militare,
l’imposta in natura, poteva essere aderata (convertita in imposta in denaro), la cui conversione poteva
essere stabilita arbitrariamente a un livello elevato, mentre quando poi si acquistavano le derrate, il loro
prezzo era fissato dai responsabili militari a un livello molto più basso di quello corrente di mercato,
intascando così la differenza che i contribuenti avevano pagato [T18, T19, T20]. I contribuenti
ricorrevano sempre più spesso a prestazioni annonarie, versamenti in natura dell’imposta fondiaria;
Costantino obbligò i soldati ad accettare i tributi in natura, onde evitare di far marcire le derrate né di
pesare sui contribuenti, pena la morte [T21].
 T18, T21 Codex Theodosianus
 T19 P.Reinach
 T20 Anonimus, De rebus bellicis

Liberalità degli imperatori nei confronti delle città


L’epoca di Costantino e dei Valentiniani, secondo le fonti, fu caratterizzata per un continuo scambio tra
centro del potere e realtà locale. Vi furono molti sgravi fiscali nei confronti di intere comunità, per
risollevarle dal sistema capitatio-iugatio; Costantino rimise inoltre debiti per un elevato ammontare [T22].
La benevolenza dei vari imperatori fu relazionata al loro rapporto col senato e soprattutto alla capacità di
creare una buona relazione con le città, mediante maggiore o minore liberalità. Giuliano, specialmente, si
distinse per la sua benevolenza, per aver lasciato spazio all’autonomia cittadina, per i tributi lievi, per
l’esenzione dall’aurum coronarium (imposta pagata per la corona in occasione di un nuovo imperatore), la
remissione di debiti, la restituzione delle entrate municipali alle città assieme alle loro proprietà fondiarie,
che i precedenti imperatori avevano venduto [T23, T24, T25].
 T22 Panegyrici Latini, Mynors
 T23 Ammiano Marcellino, Res Gestae
 T24 Codex Theodosianus
 T25 Eutropio, Breviarium ad Urbe condita

Fiscalità, distribuzioni, annona, contribuzioni in natura. Gli interventi imperiali contro la


speculazione degli esattori
Le distribuzioni di beni di consumo primari avvennero anche a Costantinopoli. Sempre più serrati furono
i controlli per evitare gli abusi di aderazione [T26, T27, T28, T29, T30].
 T26, T27, T28, T29, T30 Codex Theodosianus

L’ECONOMIA E LE RIFORME FISCALI DOPO COSTANTINO


Con Costantino il fiscus, fino ad allora cassa unitaria, fu tripartito e gestito in parte dai prefetti, in parte a
due nuovi ufficiali: comes sacrarum largitionum e rationalis rei privatae.
I proventi dell’originario fisco furono ripartiti tra due casse:
1. arca  la cassa controllata dal prefetto al pretorio;
2. aerarmi  la cassa della cancelleria imperiale, divisa in:
- aerarium sacrum (o sacrae largitiones)  vi confluiscono: collatio lustralis, ovvero tassa in oro
quinquennale per le transazioni commerciali; vestis militaris, ovvero contribuzione per il vestiario dei
soldati; imposte indirette, come le dogane; tasse di conversione in oro.
- privatum (o res privata)  subì un declino e fu sempre più colpita da usurpazioni e donazioni, fino ad
essere offuscata dal patrimonium.
MODELLI PRODUTTIVI E TIPOLOGIE DI AFFITTO AGRARIO
Un esempio della condizione dei coloni è dato da un’epigrafe del II sec. trovata in Africa. I grandi
affittuari dei fondi imperiali affittavano parte della proprietà ai coloni perché la coltivassero in cambio di
un canone in denaro o in natura, ma a ciò nascevano contestazioni da parte dei coloni, sfruttati dai
proprietari per ottenere prestazioni ottimali e al massimo della produttività. L’imperatore Commodo diede
ragione ai coloni stabilendo dei limiti per le prestazioni di lavoro [T31]. I coloni, assistiti da una sorta di
avvocato e tutelati dalla legge, in caso di contrasti con gli affittuari, venivano risarciti dei danni subiti.
Mediante disposizioni imperiali (Giustiniano) avevano l’obbligo di non lasciare il campo ove lavoravano
e dimoravano e legare a tale obbligo anche i loro figli [T32]. I coloni poterono godere del diritto perpetuo
di usufrutto della terra, anche di proprietà imperiale, a patto di pagare un canone [T33].
 T31
 T32 Codex Iustinianus
 T33 Codex Theodosianus

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