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Livio

Livio; I, 6-7 ROMOLO E REMO

Numitor inter primum tumultum, hostes inuasisse urbem atque


adortos regiam dictitans, cum pubem Albanam in arcem praesidio
armisque obtinendam auocasset, postquam iuvenes perpetrata caede
pergere ad se gratulantes vidit, extemplo advocato concilio scelera in
se fratris originem nepotum, ut geniti, ut educati, ut cogniti essent,
caedem deinceps tyranni seque eius auctorem ostendit. Iuvenes per
mediam contionem agmine ingressi cum auum regem salutassent,
secuta ex omni multitudine consentiens vox ratum nomen
imperiumque regi efficit. Ita Numitori Albana re permissa Romulum
Remumque cupido cepit in iis locis ubi eiti ubique educati erant urbis
condendae. Et supererat multitudo Albanorum Latinorumque; ad id
pastores quoue accesserant, qui omnes facile spem facerent paruam
Albam, parvum Lavinium prae ea urbe quae conderetur fore.
Intervenit deinde his cogitationibus avitum malum, regni cupido,
atque inde foedum certamen coortum a satis miti principio. Quoniam
gemini essent nec aetatis verecundia discrimen facere posset, ut di
quorum tutelae ea loca essent auguriis legerent qui nomen novae urbi
daret, qui conditam imperio regeret, Palatium Romulus, Remus
Aventinum ad inaugurandum templa capiunt. Priori Remo augurium
venisse fertur, sex voltures; iamque nuntiato augurio cum duplex
numerus Romulo se ostendisset, utrumque regem sua multitudo
consalutauerat: tempore illi praecepto, at hi numero auium regnum
trahebant. Inde cum altercatione congressi certamine irarum ad
caedem vertuntur; ibi in turba ictus Remus cecidit. Volgatior fama est
ludibrio fratris Remum novos transiluisse muros; inde ab irato
Romulo, cum verbis quoque increpitans adiecisset, "Sic deinde,
quicumque alius transiliet moenia mea," interfectum. Ita solus potitus
imperio Romulus; condita urbs conditoris nomine appellata.

TRADUZIONE
Numitore, all’inizio del tumulto, spargendo la voce che i nemici
avevano invaso la città ed assalito la reggia, avendo richiamato la
gioventù albana sulla rocca per presidiarla e per difenderla (lett.
tenerla con le armi), dopo che vide venire verso di sé i giovani
esultanti per la strage compiuta, convocata subito l’assemblea, rivelò
il tradimento del fratello contro di lui, l’origine dei nipoti, come fossero
stati generati, allevati e riconosciuti e infine l’uccisione del tiranno e
se stesso come autore di quella.
Dopo che i giovani, avanzando incolonnati in mezzo all'assemblea,
ebbero acclamato re il nonno, un grido unanime levatosi dalla folla
intera, convalidò al re il titolo e il potere.
Affidato così a Numitore il governo di Alba, il desiderio di fondare una
città in quei luoghi in cui erano stati esposti ed allevati prese Romolo
e Remo. E infatti la popolazione degli Albani e dei Latini
sovrabbondava; a questa popolazione si erano anche aggiunti i
pastori, tutti che nutrivano, senz'altro, la speranza che Alba e Lavinio
sarebbero state piccole in confronto a quella città che si voleva
fondare.Su questi progetti sopraggiunse un avito malanno, la
cupidigia del regno, e di lì l'indegna contesa sorta da un motivo
piuttosto futile. Siccome erano gemelli ed il rispetto dovuto all’età non
poteva fungere da criterio risolutivo, affinché gli dei, sotto la cui
protezione erano quei luoghi, indicassero per mezzo di segni augurali
chi dovesse dare il nome alla nuova città, chi dopo averla fondata
dovesse regnarvi, Romolo, per prendere gli auspici, occupò il Palatino,
Remo l’Aventino. Si dice che a Remo per primo apparvero come segno
augurale sei avvoltoi; e, dopo che era già stato annunziato l’augurio,
essendo apparso a Romolo il doppio, le rispettive schiere li avevano
acclamati re entrambi: gli uni in base alla priorità del tempo, gli altri
in base al numero degli uccelli reclamavano il potere. Quindi venuti a
parole, dalla foga della discussione sono spinti alla violenza; qui
colpito nella mischia Remo morì. È più diffusa la tradizione che Remo,
in segno di scherno nei confronti del fratello, abbia varcato con un
salto le nuove mura; che per questo sia stato ucciso dall’irato Romolo
che, ingiuriandolo anche a parole, avrebbe aggiunto: ’Così d’ora in
poi, accadrà a chiunque altro oltrepasserà le mie mura’. Così da solo
Romolo si impadronì del potere supremo; la città fondata fu chiamata
dal nome del fondatore.
Livio; I, 16 APOTEOSI DI ROMOLO

His immortalibus editis operibus cum ad exercitum recensendum


contionem in campo ad Caprae paludem haberet, subito coorta
tempestas cum magno fragore tonitribusque tam denso regem operuit
nimbo ut conspectum eius contioni abstulerit; nec deinde in terris
Romulus fuit. Romana pubes sedato tandem pavore postquam ex tam
turbido die serena et tranquilla lux rediit, ubi vacuam sedem regiam
vidit, etsi satis credebat patribus qui proximi steterant sublimem
raptum procella, tamen velut orbitatis metu icta maestum aliquamdiu
silentium obtinuit. Deinde a paucis initio facto, deum deo natum,
regem parentemque urbis Romanae salvere universi Romulum iubent;
pacem precibus exposcunt, uti volens propitius suam semper sospitet
progeniem. Fuisse credo tum quoque aliquos qui discerptum regem
patrum manibus taciti arguerent; manavit enim haec quoque sed
perobscura fama; illam alteram admiratio viri et pavor praesens
nobilitavit. Et consilio etiam unius hominis addita rei dicitur fides.
Namque Proculus Iulius, sollicita civitate desiderio regis et infensa
patribus, gravis, ut traditur, quamvis magnae rei auctor in contionem
prodit. "Romulus" inquit, "Quirites, parens urbis huius, prima
hodierna luce caelo repente delapsus se mihi obvium dedit. Cum
perfusus horrore venerabundusque adstitissem petens precibus ut
contra intueri fas esset, ""Abi, nuntia"" inquit ""Romanis, caelestes ita
velle ut mea Roma caput orbis terrarum sit; proinde rem militarem
colant sciantque et ita posteris tradant nullas opes humanas armis
Romanis resistere posse."" Haec" inquit "locutus sublimis abiit."
Mirum quantum illi viro nuntianti haec fides fuerit, quamque
desiderium Romuli apud plebem exercitumque facta fide
immortalitatis lenitum sit.

TRADUZIONE
Portati a termine questi atti destinati alla posterità, un giorno, mentre
passava in rassegna l'esercito e parlava alle truppe vicino alla palude
Capra, in Campo Marzio, scoppiò all'improvviso un temporale
violentissimo con gran fragore di tuoni ed egli fu avvolto da una
nuvola così compatta che scomparve alla vista dei suoi soldati. Da
quel momento in poi, Romolo non riapparve più sulla terra. I giovani
romani, appena rividero la luce di quel bel giorno di sole dopo
l'imprevisto della tempesta, alla fine si ripresero dallo spavento. Ma
quando si resero conto che la sedia del re era vuota, pur fidandosi dei
senatori che, seduti accanto a lui, sostenevano di averlo visto
trascinato verso l'alto dalla tempesta, ciò nonostante sprofondarono
per qualche attimo in un silenzio di tomba, come invasi dal terrore di
esser rimasti orfani. Poi, seguendo l'esempio di alcuni di essi, tutti in
coro osannarono Romolo proclamandolo dio figlio di un dio, e re e
padre di Roma. Con preghiere ne implorano la benevola assistenza e
la continua protezione per i loro figli. Allora, credo, ci fu anche chi in
segreto sosteneva la tesi che i senatori avessero fatto a pezzi il re con
le loro stesse mani. La notizia si diffuse, anche se in termini non
molto chiari. Ma fu resa nota l'altra versione, sia per l'ammirazione
nei confronti di una simile figura, sia per la delicatezza della
situazione. Si dice anche che ad aumentarne la credibilità contribuì
l'astuta trovata di un singolo personaggio. Questi - un certo Giulio
Proculo -, mentre la città era in lutto per la perdita del re e nutriva
una certa ostilità nei confronti del senato, con tono grave, come se
fosse stato testimone di un grande evento, si rivolse in questi termini
all'assemblea: "Stamattina, o Quiriti, alle prime luci dell'alba, Romolo,
padre di questa città, è improvvisamente sceso dal cielo ed è apparso
alla mia vista. Io, in un misto di totale confusione e rispetto, l'ho
pregato di accordarmi il permesso di guardarlo in faccia e lui mi ha
risposto: "Va' e annuncia ai Romani che la volontà degli dèi celesti è
che la mia Roma diventi la capitale del mondo. Quindi si
impratichiscano nell'arte militare e sappiano e tramandino ai loro figli
che nessuna umana potenza è in grado di resistere alle armi romane."
Detto questo," egli concluse, "è scomparso in cielo." È incredibile
quanto si prestò fede al racconto di quell'uomo e quanto giovò a
placare lo sconforto della plebe e dell'esercito per la perdita di Romolo
l'assicurazione della sua immortalità.

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