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della saldatura
Pubblicato nel 2013
IIS Progress s.r.l., Gruppo Istituto Italiano della Saldatura
Lungobisagno Istria, 15 16141 Genova (Italia)
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1. ELEMENTI DI METALLURGIA
I metalli si possono abbastanza facilmente distinguere dagli altri elementi chimici grazie ad alcune
loro proprietà caratteristiche:
− elevata conducibilità termica;
− buona conducibilità elettrica;
− aspetto brillante;
− resistenza meccanica.
E' forse meno nota l'origine di tali proprietà: essa va ricercata nella struttura interna dei metalli
stessi e, più precisamente, nel legame metallico.
In tutti gli elementi, infatti, gli atomi (o le molecole) sono tenuti insieme da elettroni periferici (detti
elettroni di valenza) che ne assicurano il legame.
Il legame metallico, rispetto agli altri tipi di legami che caratte-
rizzano gli altri elementi, presenta la specificità che gli elettroni
di valenza descrivono orbite molto allungate per cui diviene
relativamente facile, sotto l'influenza di forze non elevate
(come piccole differenze di potenziale elettrico) che essi ab-
bandonino il proprio orbitale per passare ad un altro.
Ciò spiega, ad esempio, la buona conducibilità elettrica, ossia
il facile passaggio dagli elettroni attraverso il metallo (figura
1.1). Figura 1.1 - Rappresentazione
Per i metalli, infatti, si può assumere quasi che gli elettroni di schematica del legame metalli-
co
valenza costituiscano un gas elettronico, distinguendo nella
struttura interna di un metallo due parti distinte: la prima costituita dalla nube elettronica che per-
mea l'intera massa metallica, la seconda dalla posizione reciproca degli ioni positivi costituenti il
metallo.
Ad esempio, la forza di coesione che determina l'esistenza di un metallo deriva dall'attrazione
degli ioni positivi verso gli elettroni di valenza che liberamente si muovono attorno ad essi: pertan-
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Metallurgia generale e della saldatura
to, può essere interessante visualizzare un metallo come un insieme di sfere, che rappresentano
gli ioni, la cui coesione è dovuta ad un liquido viscoso ciò alla nube elettronica.
Tale teoria (proposta da Drude e Lorentz) spiega agevolmente la conducibilità elettrica intesa co-
me facoltà di trasferire cariche elettriche mentre la buona conduttività termica trova una spiega-
zione nella facilità con cui gli elettroni di valenza a più elevata temperatura, quindi dotati di mag-
giore energia cinetica, la trasferiscono per urto a quelli appartenenti alle zone a temperatura mi-
nore.
I metalli, allo stato solido, sono caratterizzati dalla cristallinità: quando si solidificano i loro atomi,
cioè gli ioni citati al paragrafo precedente, si dispongono in modo regolare costituendo un reticolo
cristallino.
E' da notare che tale ordinamento crea legami più
stabili di quanto si potrebbe ottenere con una disposi-
zione casuale, come nei materiali amorfi.
La presenza del legame metallico crea una situazione
di accentramento intorno ad un singolo atomo del nu-
mero più grande possibile di atomi (numero di coordi-
nazione) compatibilmente alle loro limitazioni geome-
Figura 1.2 - Rappresentazione schematica triche e, quindi, l'ottenimento di strutture molto com-
di una struttura cristallina patte.
Al termine cristallo è associato il concetto di disposizione regolare e periodica nello spazio forma-
ta da unità elementari traslando le quali tridimensionalmente si genera tutto l'edificio cristallino
(reticolo): le unità elementari così definite sono indicate con il nome di celle.
La maggior parte dei metalli cristallizza, a seconda della temperatura e della natura degli atomi
che lo costituiscono, secondo uno dei seguenti sistemi:
− cubico a corpo centrato;
− cubico a facce centrate;
− esagonale compatto.
I primi due derivano dal reticolo cubico semplice.
Riprendendo il modello delle sfere, i centri di questi sono situati ai vertici di un cubo e la superficie
di ogni sfera tocca le altre sfere (figura 1.3).
Nello studio delle macrostrutture elementari, oltre la lunghezza dello spigolo del cubo (a = b = c),
sono utilizzati due parametri per caratterizzare la cella:
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Elementi di metallurgia
− il fattore d'impacchettamento;
− il numero di coordinazione.
Il primo definisce la frazione volumetrica di celle strutturali
occupata dagli atomi ed è calcolato - per ogni tipologia di
cella - come rapporto tra il volume complessivo delle sfere
(o loro frazioni) contenute nella cella ed il volume della
cella stessa.
Nel caso specifico del reticolo cubico semplice, in base a
semplici valutazioni geometriche, il fattore è espresso dal-
Figura 1.3 - Struttura del reticolo
la relazione: cubico semplice
In questo tipo di reticolo, dunque, quasi il 50% del volume resta vuoto: ciò costituisce il presuppo-
sto per l'inserimento di piccoli atomi in questo spazio.
L'altro parametro utile allo studio delle microstrutture elementari è il numero di coordinazione, de-
finito come il numero di atomi equidistanti più prossimi ad un dato atomo. Per il reticolo cubico
semplice tale numero è pari a sei: esso, come è facile intuire, dà la misura della compattezza del-
la struttura.
Dal reticolo cubico semplice si fa derivare quello cubico a facce centrate (figura 1.5) ottenuto po-
nendo un atomo al centro delle facce. Tale tipo di reticolo è indicato con CFC1.
Lo spazio risulta così occupato in maniera ancora più compatta: il fattore d'impaccamento sale a
0,74 ed il numero di coordinazione a dodici.
Valutando tale struttura in termini di piani, si nota che i piani che passano per le superfici inferiore
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Nella letteratura anglosassone, tali reticoli sono indicati rispettivamente con BCC (body cubic centered) e FCC (face cubic
centered).
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Metallurgia generale e della saldatura
Tra i principali tipi di reticolo si può ricordare infine la struttura esagonale compatta (figura 1.6) in
cui cristallizzano numerosi metalli.
Essa è caratterizzata da un alto grado di compattezza, con un
fattore d'impaccamento (0,74) ed un numero di coordinazione
(12) uguali a quelli della struttura cubica a facce centrate.
Figura 1.6 - Struttura del reticolo le celle è importante per conoscere quali siano le dimensioni
esagonale compatto massime degli ioni che possono essere ospitati in una struttura
senza alterarla ed appare fondamentale, ad esempio, nella determinazione della concentrazione
massima di un altro elemento (il carbonio soprattutto) che ciascuna forma allotropica del ferro può
mantenere in soluzione.
I metalli che cristallizzano in un solo tipo di reticolo, senza più cambiarlo durante il raffreddamen-
to, si dicono monomorfi (tabella 1.1); quelli, invece, che cristallizzano in un tipo di reticolo e, du-
rante il raffreddamento cambiano la loro disposizione per costituire reticoli differenti per tipo e di-
mensioni si dicono polimorfi.
Quando un elemento cristallizza in due o più tipi di reticolo, ciascuno dei quali stabile in un deter-
minato intervallo di temperature, si definiscono allotropiche le sue diverse forme, che vengono
indicate utilizzando le lettre dell’alfabeto greco (α, β, γ, ecc.), in ordine progressivo al crescere
della temperatura.
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Elementi di metallurgia
Il ferro, principale costituente degli acciai, è ad esempio un metallo polimorfo le cui forme allotro-
piche sono:
− il ferro delta (δ): cristallizza nel sistema cubico a corpo centrato ed è stabile da 1538° a
1403°C;
− il ferro gamma (γ): alla temperatura di 1403°, durante il raffreddamento, il ferro cambia la
disposizione degli atomi assumendo una struttura cubica a facce centrate; essa risulta stabi-
le da 1403° a 911°C;
− il ferro alfa (α) : a quest'ultima temperatura il ferro cambia ulteriormente disposizione degli
atomi e ritorna a cristallizzare nel reticolo cubico a corpo centrato; al di sotto di tale tempera-
tura, il ferro non presenta ulteriori trasformazioni allo stato solido.
Quando un liquido ed un solido coesistono, alla temperatura di fusione, il numero di atomi che
passano dallo stato liquido (distribuzione casuale degli ioni) a quello solido (distribuzione cristalli-
na) risulta identico a quello del passaggio inverso: affinché si abbia trasformazione di stato è ne-
cessario fornire calore (fusione) o sottrarre calore (solidificazione). Bisogna, pertanto, che si crei
un gradiente di temperatura tra solido e liquido: esso si indica come grado di sottoraffreddamento.
Nella trasformazione liquido - solido sono presenti due momenti:
− nucleazione;
− accrescimento.
In un primo tempo si ha la formazione di piccoli nuclei di ioni aggregatisi in forma cristallina in se-
no alla massa fusa; successivamente, essi si accrescono a spese del liquido circostante finché
non si raggiunge la solidificazione.
Il fattore predominante di questo cambiamento di stato e della forma di solidificazione è il gradien-
te di temperatura esistente nel liquido e nel soli-
do; In base all’andamento della temperatura al-
l’interfaccia è possibile distinguere due casi diffe-
renti, come descritto in seguito:
− positivo, se la differenza di temperatura fra
liquido e solido diminuisce allontanandosi
dall'interfaccia: detto gradiente si ha, ad
esempio, quando il calore risulta assorbito
attraverso il solido. Tale il caso, ad esem-
Figura 1.7 - Interfaccia solido - liquido con
pio, è caratteristico della solidificazione di gradiente positivo
un metallo puro in lingottiera: il liquido è più caldo del solido, ma sulla sua superficie esiste
un piccolo sottoraffreddamento (figura 1.7): la solidificazione procede dal solido verso il liqui-
do a strati successivi;
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Metallurgia generale e della saldatura
più frequente: pertanto, quando un cristallo tende a crescere, la parte solidificata penetra, nell'e-
stendersi, in una zona a più bassa temperatura e tende a svilupparsi preferenzialmente secondo
una specie di scheletro arborescente da cui si dipartono delle ramificazioni ben spaziate: detta
struttura è definita dendrite2 (figura 1.9).
In ogni momento del passaggio di stato è rilasciata una
certa quantità di calore, localmente, che fa diminuire il sot-
toraffreddamento, rallentando la solidificazione che, inve-
ce, procede in altre direzioni.
In seguito, arrestandosi la crescita delle singole dendriti,
per effetto della reciproca interferenza, il liquido residuo
solidifica negli interstizi finché l'intera massa non diventa
Figura 1.9 - Interfaccia solido - liqui- solida. Si ottiene, così, una tipica struttura policristallina
do con struttura dendritica
con un cristallo per ciascun nucleo.
Ciascun cristallo, definito grano, risulta costituito da atomi disposti in un reticolo cristallino con una
precisa orientazione nello spazio. Pertanto, due grani hanno lo stesso tipo di reticolo ma diversa
orientazione: è, quindi, intuibile che la zona di giunzione sia sede di una transizione dell'orienta-
zione. Tale zona, definita bordo del grano, ha notevole influenza su molte proprietà del metallo
(figura 1.10).
Un metallo sarà definito a grano grosso o a grano fine a seconda della presenza di un numero
ristretto di grossi grani oppure, viceversa, di numero elevato di piccoli grani.
Tale numero dipende da vari fattori tra cui la presenza di particelle non metalliche che costituisco-
no germi di solidificazione e la velocità di raffreddamento all'aumentare della quale aumenta la
velocità di nucleazione; al contrario, per basse velocità quest'ultima molto bassa ed i grani formati
tendono a coalescere tra loro.
Il bordo grano definisce una zona di transizione del materiale, meno compatta in quanto non ap-
partiene né ad un elemento cristallino né ad un altro; facilmente comprensibile che costituisca un
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Dalla parola greca dendron (albero).
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Elementi di metallurgia
1.5.1. Generalità
Finora si sono presi in esame cristalli geometricamente perfetti o ideali.
Esaminando, però, in pratica, i cristalli si può vedere che esistono delle irregolarità strutturali per
cui un cristallo ideale rappresenta solo un modello semplificato di un vero cristallo; tali irregolarità
possono esercitare un ruolo determinante sul comportamento dei metalli.
Si possono, pertanto, definire i seguenti tipi di difetto:
− impurezze;
− difetti reticolari (posti vacanti; atomi interstiziali; difetti di Shottky; difetti di Frenkel);
− dislocazioni.
1.5.2. Impurezze
Le impurezze sono costituite da particelle distribuite nel reticolo con dimensioni e strutture elettro-
niche (es. particelle non metalliche) diverse da quelle del cristallo ospitante e pertanto, possono
agire da centri di distorsione del reticolo base che possono a loro volta interagire indirettamente
con i meccanismi di deformazione del reticolo.
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Metallurgia generale e della saldatura
zione per migrare negli interstizi del reticolo, il difetto è chiamato difetto di Frenkel: pertanto un
reticolo con tale difetto avrà un dato numero di atomi situati in posizioni interstiziali ed un uguale
numero di posizioni atomiche vacanti.
1.5.4. Dislocazioni
Nei cristalli, lo slittamento di piani è ottenuto da un movimento di tipo incrementale degli atomi:
quelli appartenenti ad un piano subiscono cioè uno slittamento relativo rispetto ad un piano adia-
cente mentre gli atomi della parte rimanente restano fermi. La linea delimitante l'area di tale spo-
stamento è definita linea di dislocazione e il fenomeno si arresta quando questa esce dal cristallo.
Pertanto, una dislocazione può essere definita come un difetto lineare costituito da irregolarità o
distorsioni di piani reticolari. Si può immaginare di ottenere una dislocazione praticando un taglio
nel materiale e successivamente - nel caso di una dislocazione ad elica - facendo slittare rigida-
mente i due lembi del taglio in direzione parallela alla linea terminale del taglio stesso oppure, nel
caso di una dislocazione a spigolo, allontanando l'uno rispetto all'altro i due lembi in direzione
ortogonale alla linea di dislocazione ed inserendo nella intercapedine un semipiano dello stesso
materiale (figura 1.12).
Le dislocazioni sono prodotte durante una deformazione plastica e nel corso di essa si muovono
intersecandosi tra loro.
Esse sono responsabili, assieme ai bordi grano, atomi interstiziali e particelle di altre fasi, dell'au-
mento di resistenza dei metalli.
Figura 1.12 - Rappresentazione di una di- Figura 1.13 - Immagine di una dislo-
slocazione cazione ottenuta con microscopia
elettronica
1.6.1. Generalità
Il prodotto che si ottiene dall'unione di due o più elementi diversi e che possieda alcune delle prin-
cipali caratteristiche dello stato metallico è denominato lega.
Si supponga di avere un metallo puro fuso, detto solvente, e di introdurre in tale massa un certo
numero di atomi di un metallo differente, soluto in esso: nella successiva solidificazione gli atomi
delle due specie saranno forzati a modificare le loro reciproche posizioni.
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Elementi di metallurgia
Se gli atomi di soluto si attraggono tra loro in misura equivalente a quella caratteristica degli atomi
del metallo solvente, si può dire che la dispersione degli uni negli altri è completa e la miscela
appare omogenea anche in scala atomica.
Una struttura di questo tipo è denominata soluzione solida.
Qualora atomi del metallo soluto si attraggano con maggiore intensità degli atomi simili, si manife-
sta una tendenza per la quale si forma una struttura in cui gli atomi di solvente sono circondati da
un certo numero degli atomi di soluto in modo che ciascun individuo coordina intorno a sé il mas-
simo numero di atomi di soluto o viceversa. Nei metalli che hanno caratteristiche elettrochimiche
simili si crea una struttura ordinata denominata soluzione solida ordinata (o super-reticolo).
Infine, quando i componenti differiscono tra loro, per esempio, uno dei due risulta decisamente
più elettronegativo (forte differenze di natura elettrica) dell'altro, la struttura presenta alcune delle
caratteristiche proprie di un composto chimico ed è chiamato composto intermetallico.
Le principali caratteristiche
delle soluzioni solide sono:
− perfetta omogeneità;
− possono esistere in un
esteso intervallo di
composizioni; Figura 1.14 a, b e c - Esempi di soluzione solida
− realizzazione di legami
metallici.
E' possibile individuare tre tipi di soluzioni solide:
− interstiziale (figura 1.14 a);
− sostituzionale casuale (figura 1.14 b);
− sostituzionale ordinata (figura 1.14 c).
Le prime si originano quando gli atomi del soluto vanno ad occupare posizioni situate tra gli inter-
stizi degli atomi solvente.
Nelle soluzioni solide sostituzionali, gli atomi del soluto si posizionano in un certo numero di posi-
zioni atomiche caratteristiche del reticolo cristallino solvente.
E' evidente che le soluzioni interstiziali possono avere origine soltanto quando gli atomi del soluto
hanno dimensioni inferiori a quelle degli atomi di solvente: tale situazione si realizza quando i rag-
gi atomici dei due elementi differiscono di più del 15%.
Un esempio importante è il carbonio disciolto nel ferro gamma (CFC): per quanto piccoli, gli atomi
di carbonio hanno dimensioni tali da distorcere il reticolo; ne consegue l'impossibilità fisica di far
occupare dal carbonio più del 10% delle posizioni interstiziali nel reticolo CFC. A minore tempera-
tura, trasformandosi il reticolo in cubico a corpo centrato, si verifica un'ulteriore contrazione degli
spazi che aumentano di numero ma le cui dimensioni diminuiscono. Ciò limita drasticamente la
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Metallurgia generale e della saldatura
Le soluzioni solide, come detto, sono caratterizzate da un ampio intervallo di composizioni chimi-
che mentre i composti intermetallici e interstiziali sono a composizione chimica ben definita e va-
riabile entro limiti ristretti (da cui il termine composto).
In questi composti le posizioni del reticolo possono essere occupate da atomi di metalli diversi in
modo ordinato oppure in modo fortuito: la loro formazione risulta connessa al fattore dimensioni
atomiche. I composti interstiziali si ottengono quando gli atomi di
un elemento si sistemano ordinatamente negli interstizi di un
reticolo base; si hanno composti di questo tipo con elementi non
metallici di dimensioni molto piccole: nel caso di strutture cristal-
line semplici quando il raggio dell'atomo interstiziale risulta infe-
riore di 0,59 unità dell'elemento del solvente, si ha una fase in-
terstiziale.
Quando il rapporto tra i raggi è superiore a tale valore gli inter-
spazi non risultano più sufficienti per contenere gli atomi del non
metallo, a meno che non compaia una distorsione nel reticolo, e
pertanto hanno origine reticoli più complessi. Questo fenomeno
Figura 1.15 - Cementite
si verifica negli acciai al carbonio nei quali il rapporto vale 0,63.
Ne consegue che l'atomo di carbonio è troppo grande per adattarsi al reticolo del ferro: la fase
intermedia che si ottiene è la cementite (figura 1.15); questa possiede proprietà metalliche ma ha
una struttura più complessa. Anche elementi come l'idrogeno e l'azoto presentano interesse: essi
formano fasi interstiziali con molti metalli tra cui anche il ferro.
Il ferro, oltre alla cementite, forma tre importantissime soluzioni solide con il carbonio:
− il ferro alfa può mantenere in posizione interstiziale lo 0,04% di carbonio massimo e questo
massimo lo raggiunge alla temperatura di 723°C. Per sostituzione, può accogliere quantità
significative di cromo, silicio, tungsteno e molibdeno. La soluzione solida prende il nome di
ferrite (figura 1.16 a).
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Elementi di metallurgia
− il ferro gamma può mantenere in soluzione interstiziale l'1,7% di carbonio massimo; e questo
massimo, lo raggiunge alla temperatura di 1143°C. E' pure possibile la presenza, per sostitu-
zione, di notevoli quantità di nichel e manganese, elementi che si adattano molto bene alla
struttura cubica a facce centrate. La soluzione solida prende il nome di austenite (figura 1.16
b).
− il ferro delta può mantenere in soluzione lo 0,07% di carbonio massimo; questo valore lo rag-
giunge alla temperatura di 1486°C. La soluzione solida prende il nome di ferrite delta (figura
1.16 c).
Figura 1.16 a, b e c - Esempi di ferrite (in chiaro), austenite e ferrite delta (in scuro)
Nel reticolo gli atomi possiedono una mobilità che non è limitata alla vibrazione indotta dall'ener-
gia termica ma che può arrivare a veri e propri passaggi da una posizione reticolare ad un'altra.
Il fenomeno, molto facilitato da un'alta temperatura, prende il nome di diffusione.
L'intervento della temperatura è fondamentale in quanto induce un atomo sottoposto a forti vibra-
zioni termiche ad abbandonare la sua posizione originale, occupandone altre libere.
Queste, dette vacanze, sono presenti in grande numero in quanto ad alta temperatura frazioni
significative di atomi si muovono verso i bordi grano e la superficie lasciando libere le sedi iniziali.
A questo meccanismo si aggiunge quello degli atomi di piccolo raggio atomico, che diffondono
per interstizi reticolari.
Il numero di atomi che diffondono, nell’unità di tempo (J), è proporzionale al gradiente di concen-
trazione tramite una costante D detta coefficiente di diffusione; in base alla relazione seguente:
− D(C 2 − C 1 )
J=
x 2 − x 1
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Il segno negativo è dovuto al fatto che gli atomi hanno un movimento contrario all'andamento del gradiente di concen-
trazione.
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Metallurgia generale e della saldatura
1.8.1. Generalità
Con il termine diagramma di stato s'intende la rappresentazione grafica dei campi di esistenza
delle fasi in equilibrio in funzione della composizione e di specifiche condizioni ambientali (in ge-
nere la temperatura).
Tali diagrammi sono utilizzati sia per lo studio delle trasformazioni di stato sia quando, nell'ambito
di uno stesso stato di aggregazione, possono esistere fasi diverse.
Si consideri per semplicità un sistema binario (figura 1.17) tra due elementi A e B completamente
solubili e si supponga
che la temperatura di
solidificazione dell'ele-
mento A sia superiore
a quella di B: ogni
lega della serie avrà
una sua temperatura
di solidificazione, valo-
re che varierà con il
Figura 1.17a e b - Curve di raffreddamento e diagramma di stato variare della percen-
(completa solubilità allo stato solido) - esempio
tuale dei due elemen-
ti, diminuendo con l'aumentare della percentuale dell'elemento B.
Essendo gli elementi perfettamente miscibili allo stato liquido, la lega presa in considerazione a-
vrà, una volta allo stato liquido, l'identica composizione chimica in tutti i punti della massa.
Quando, però, dal liquido cominciano a separarsi i primi cristalli di solidificazione, generalmente
avviene che questi non abbiano la composizione della lega liquida ma una composizione più ricca
nell'elemento A che solidifica a temperatura più alta. Riferendosi all'esempio di figura 1.17 b, si
supponga che i primi cristalli siano costituiti dal 95% di A e dal 5% di B (composizione E')
Dopo la solidificazione del primo cristallino avente la composizione descritta, il liquido sarà più
ricco in B di quanto non lo fosse prima dell'inizio della solidificazione.
Al cambiare della percentuale degli elementi della massa metallica varia però anche la temperatu-
ra di solidificazione (in figura 1.17 b, da E ad F'): poiché la composizione del liquido, man mano
che si separano i cristalli, varia in modo continuo, anche la temperatura varierà fino alla solidifica-
zione dell'ultimo cristallo (di composizione F).
Si può quindi concludere che, mentre per gli elementi puri la solidificazione avviene sempre a
temperatura costante, per le leghe di due o più elementi, anche se perfettamente miscibili allo
stato liquido ed allo stato solido, la solidificazione avviene sempre, generalmente, in un intervallo
di temperatura.
I cristalli che si separano dallo stato liquido e che hanno, appena solidificati, composizione chimi-
ca leggermente diversa (nell'esempio di figura 1.17 b variabile da E' a F), dovrebbero, in teoria,
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Elementi di metallurgia
avere alla fine della solidificazione tutti la stessa composizione (nell'esempio di figura 1.17: com-
posizione x corrispondente a E ed F') perché, in condizioni di equilibrio, dovrebbe essere perfetta
e completa la diffusione dei vari elementi. Nella pratica, invece, il processo di solidificazione fini-
sce mentre la diffusione dei vari elementi appare ben lungi dall'essere completa.
Inoltre si può affermare che tutte le impurezze, generalmente a più basso punto di fusione dei
metalli, essendo poco diffusibili, rimangono localizzate fra dendrite e dendrite generando zone di
minore resistenza. Il caso considerato è il più semplice tra quelli che si possono riscontrare nei
metalli; considerando, infatti, le differenti condizioni di solubilità tra i metalli si ritroveranno sul dia-
gramma di stato indicazioni relative alle solubilità ed ai possibili composti.
Prima di considerare i vari tipi di lega che il ferro può formare con il carbonio è opportuno ram-
mentare i cambiamenti che il ferro subisce durante un raffreddamento lentissimo (figura 1.18).
Esaminando la curva di raffreddamento a) si nota un andamento decrescente uniforme fino alla
temperatura di 1528°C; a questo valore la curva presenta un tratto parallelo all'asse delle ascisse,
ossia la temperatura rimane costante per un certo tempo.
L'arresto della temperatura avviene perché dalla massa fusa del ferro si è separato il primo cri-
stallo solido e la temperatura è rimasta costante fino al momento in cui tutta la massa risulta soli-
dificata.
Il valore di 1538°C è quello della temperatura di solidificazione del ferro (in altre fonti si possono
trovare valori un po' diversi, oscillanti tra 1528°C e 1538°C).
Appena il ferro è completamente solidificato, la temperatura (curva a) riprende a diminuire fino a
1403°C. A questo valore si ha, per un certo tempo, un secondo arresto e la curva presenta nuo-
vamente un tratto orizzontale parallelo alle ascisse (arresto strutturale), poi la temperatura ripren-
de a scendere con continuità fino a 911°C: un nuovo tratto parallelo all'asse delle ascisse e poi,
dopo un ulteriore raffreddamento, un altro tratto parallelo alla temperatura di 769°C.
Le temperature a cui avvengono le trasformazioni sono indicate con "A" e poiché si verificano sia
durante il riscaldamento che il raffreddamento ma a temperature leggermente diverse, quelle che
si verificano durante il raffreddamento sono indicate con "Ar" mentre quelle delle trasformazioni
che si verificano durante il riscaldamento sono indicate con "Ac".
Inoltre, per distinguere le trasformazioni sono aggiunti degli indici:
− A1, temperatura dell'equilibrio austenite - perlite: la austenite si forma durante il riscaldamen-
to e si decompone durante il raffreddamento formando l'eutettoide perlite, costituito da ferrite
e cementite;
− A3, temperatura di equilibrio austenite - ferrite, nel caso di un acciaio con carbonio <0,80%,
al di sopra della quale solo l'austenite risulta stabile ed al di sotto della quale appare la ferri-
te.
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Metallurgia generale e della saldatura
Si possono distinguere:
− Ac1, temperatura alla quale l'austenite comincia a formarsi nelle condizioni di riscaldamento;
− Ar1, temperatura alla quale la trasformazione dell'austenite (avente composizione eutettoide)
in ferrite e cementite avviene durante il raffreddamento
Anche per A3 si ha la distinzione tra:
− Ac3, temperatura alla quale la trasformazione ferrite - austenite si completa nelle condizioni
di riscaldamento;
− Ar3, temperatura alla quale l'austenite comincia a trasformarsi in ferrite al raffreddamento.
Si supponga ora di poter disporre di alcune leghe ferro - carbonio, di portare ciascuna alla tempe-
ratura di fusione e di lasciarla raffreddare lentamente.
Da un confronto tra le curve di raffreddamento del ferro puro (curva a) e quelle delle leghe ferro-
carbonio (curve b, c, d, e, f) si notano alcune differenze sostanziali:
− sebbene le stesse trasformazioni allotropiche del ferro puro avvengano in tutte le leghe ferro
- carbonio, in queste ultime le temperature delle trasformazioni differiscono non soltanto da
quelle che si hanno per il ferro puro, ma risultano diverse tra lega e lega, variando con il va-
riare del tenore di carbonio contenuto nella lega;
− nelle curve di raffreddamento degli acciai, alla temperatura di 723°C si nota un arresto della
discesa della temperatura, non riscontrata nel ferro, definita con A1;
− mentre la curva del ferro puro mette in evidenza che solidificazione e trasformazioni allotropi-
che avvengono nel ferro sempre a temperatura costante, le curve di raffreddamento delle
leghe hanno andamento discendente anche nelle zone di trasformazione (fatta eccezione
per A1).
Per ogni tipo di lega o meglio gruppo di leghe, si possono ancora notare le forme allotropiche in
cui solidificano le leghe ferro-carbonio in relazione al contenuto di carbonio e alle trasformazione
delta-gamma e gamma - alfa.
Relativamente alla trasformazione delta - gamma si possono distinguere alcuni casi fondamentali;
schematizzabili in quattro raggruppamenti, come descritto di seguito.
− 1° gruppo: contenuto di carbonio inferiore a 0,07% (curva b).
Le leghe di questo gruppo solidificano completamente nella forma allotropica delta. La tra-
sformazione delta - gamma avviene quando le leghe sono completamente solidificate, in un
intervallo di temperature crescente con l'aumentare del tenore di carbonio e comunque a
temperature sempre inferiori a quelle delle stesse trasformazioni del ferro puro.
− 2° gruppo: contenuto in carbonio compreso tra 0,071% e 0,19% (curva c).
Le leghe di questo gruppo solidificano parzialmente nella forma allotropica delta ed a tempe-
ratura variabile decrescente; raggiunta la temperatura di 1486°C, la solidificazione prosegue
a temperatura costante. A questo valore avviene una reazione tra il liquido residuo ed i cri-
stalli misti delta con formazione di austenite: questo tipo di reazione è detta peritettica.
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Metallurgia generale e della saldatura
Appena la lega è tutta allo stato solido, la trasformazione delta - gamma prosegue a tempe-
ratura decrescente.
− 3° gruppo: contenuto in carbonio compreso tra 0,19% e 0,36% (curva c).
Le leghe di questo gruppo iniziano la solidificazione nella forma delta a temperature fino a
1486°C. La solidificazione prosegue a questa temperatura costante; avviene la reazione pe-
rittetica ma i cristalli si esauriscono prima del liquido e così appena tutti i cristalli delta sono
trasformati in gamma cessa la reazione e si separano cristalli gamma fino a completa solidifi-
cazione.
− 4° gruppo: contenuto in carbonio compreso tra 0,361% e 1,7% (curve d, e, f).
Le leghe di questo gruppo solidificano direttamente nella forma gamma.
La trasformazione delta-gamma non ha molta importanza ai fini pratici in quanto le leghe fer-
ro - carbonio, agli effetti dei trattamenti termici, sono sempre nella forma gamma.
E' importantissima, invece, la trasformazione allotropica gamma - alfa: dal punto di vista della
trasformazione ed in dipendenza del contenuto di carbonio le leghe (acciai) si possono sud-
dividere in tre gruppi, come riportato di seguito.
− 1° gruppo: acciai ipoeutettoidi contenenti C < 0,83% (curve b, c, d).
Per gli acciai di questo gruppo la trasformazione dell'austenite avviene in un intervallo di
temperatura compreso tra 911° e 723°. In questo intervallo la temperatura d'inizio della
trasformazione diminuisce, con l'aumentare del tenore di carbonio contenuto nell'auste-
nite, e finisce sempre, quando il raffreddamento è molto lento, a 723°.
Raffreddando le leghe ipoeutettoidi da temperature superiori ad Ac3 (struttura austeniti-
ca), le modificazioni strutturali che si verificano sono le seguenti:
− l'austenite si trasforma in ferrite;
− la cementite si separa, a causa della minore solubilità del carbonio nel ferro alfa
rispetto al ferro gamma;
− la cementite tende a coalescere.
Proseguendo il raffreddamento, il processo continua, sempre nello stesso modo, fino
alla temperatura di 723°C alla quale l'austenite ha raggiunto il grado di saturazione per
un contenuto in carbonio, sotto forma di carburo di ferro (o cementite), corrispondente a
0,83% .
A questa temperatura, l'austenite residua, avendo raggiunto il massimo grado di solubili-
tà per il carbonio, separa una piccolissima particella (in forma di lamella) di cementite,
provocando una diminuzione nella percentuale di carbonio disciolto. Questa diminuzione
di contenuto di carbonio provoca a sua volta la trasformazione di un'ulteriore particella di
austenite in ferrite (sottile lamella).
La separazione della particella di ferrite riporta l'austenite ad un contenuto in carbonio
che determina un nuovo grado di saturazione, per cui dall'austenite si separa nuova-
mente una lamella di cementite, in sostanza si forma una struttura costituita da sottili
lamelle affiancate, detta perlite per l'aspetto perlaceo notato al microscopio.
16
Elementi di metallurgia
Il processo continua a temperatura costante fino a che tutta l'austenite sia trasformata in
perlite (figura 1.19).
Appena terminata questa trasfor-
mazione la temperatura diminuisce
fino a temperatura ambiente.
Durante questo raffreddamento,
però, la solubilità del carbonio nel
ferro alfa diminuisce ancora per cui
dalla ferrite si separano degli ulte-
riori cristalli di cementite che costi-
tuiscono la cosiddetta cementite
terziaria.
− 2° gruppo: acciai eutettoidi - con- Figura 1.19 - Esempio di microstruttura perlitica
17
Metallurgia generale e della saldatura
Data la differenza di composizione tra solido e liquido, quest'ultimo, dopo la separazione del pri-
mo cristallino, appare arricchito in carbonio; la linea del liquidus indica, pertanto, che la tempera-
tura d'inizio solidificazione si abbassa con l'aumentare del tenore di carbonio nella lega, quindi il
successivo cristallo si separerà dalla massa liquida a temperature più basse del precedente.
Alla temperatura di 1486°C tutti i cristalli delta, finora solidificati, dovrebbero avere un tenore di
carbonio pari allo 0,07%, mentre il liquido ha un tenore di carbonio di 0,36%. A questa temperatu-
ra tra liquido B e cristalli delta avviene la reazione peritettica dalla quale compaiono i cristalli misti
gamma (0,18%).
Appena completata la trasformazione peritettica a 1486°C, nella massa metallica esiste ancora,
tra dendrite e dendrite, qualche piccola particella di lega allo stato liquido che solidificherà nella
forma gamma.
In teoria, in condizioni di perfetto equilibrio, e in
assenza di impurezze, la solidificazione è ac-
compagnata dal fenomeno di diffusione per cui,
dopo un certo tempo, tutti i cristalli separati in
tempi diversi durante la solidificazione, a fine
trasformazione, dovrebbero avere, per la lega
considerata, la stessa composizione chimica di
0,20% di carbonio.
Figura 1.20 - l fenomeno della microsegrega-
Tali condizioni sono per pressoché impossibili ad
zione
ottenersi per cui, alla fine della solidificazione, si
hanno differenze sempre notevoli tra la composizione chimica dei cristalli che costituiscono gli
assi dendritici e quelli che costituiscono le zone interdendritiche: questa differenza costituisce la
microsegregazione (figura 1.20). Esiste anche una macrosegregazione che non va confusa con la
precedente: questa ha sempre luogo durante la solidificazione ma è determinata dalla differenza
di composizione tra parti interne e periferiche di un pezzo.
Durante il raffreddamento tutta la massa rimane allo stato austenitico fino alla temperatura deter-
minata dall'incontro dell'ordinata corrispondente alla lega con la linea "GS".
A questa temperatura inizia la trasformazione gamma - alfa: una parte del reticolo si trasforma da
cubico a facce centrate a cubico a corpo centrato.
La trasformazione non permette al carbonio di rimanere nella sua sede perché nel reticolo a cor-
po centrato lo spazio centrale della cella unitaria è occupato da un atomo di ferro.
Il carbonio migra quindi nella soluzione non ancora trasformata: la temperatura diminuisce fino ad
arrivare a 723°C che corrisponde al grado di saturazione dell'austenite con 0,83% di carbonio ed
in pari tempo il limite inferiore di stabilità dell'austenite. A questa temperatura l'austenite residua si
trasforma in perlite.
18
Elementi di metallurgia
1.9.1. Generalità
L'aggiunta di uno o più elementi alla lega ferro - carbonio ne modifica il diagramma di equilibrio;
essi possono, pertanto, dividersi in:
− elementi austenitizzanti: allargano il campo dell'austenite: ad esempio, manganese, nichel,
cobalto, azoto; la temperatura A3 risulta abbassata;
− elementi ferritizzanti, che restringono il campo dell'austenite: ad esempio, alluminio, fosforo,
silicio, vanadio, cromo, molibdeno, tungsteno; la temperatura A3 risulta innalzata.
Il carbonio, rispetto a questi due gruppi, si comporta in termini di:
− rafforzamento dell'azione del primo gruppo, cioè tendenza ad aumentare sempre più il cam-
po di esistenza dell'austenite;
− tendenza ad ostacolare l'azione di restringimento del campo austenitico in presenza degli
elementi del secondo gruppo.
In un acciaio composto da ferrite e carburi, gli elementi aggiunti si possono trovare:
− disciolti nella ferrite (nichel, silicio, molibdeno, vanadio);
− disciolti nella cementite o combinati sotto forma di carburi complessi (vanadio, titanio, niobio,
19
Metallurgia generale e della saldatura
tungsteno, molibdeno);
− distribuiti nella massa ed in parte combinati sotto forma di carburi (cromo) o nitruri (azoto);
− combinati sotto forma di composti non metallici: ossidi, solfuri, silicati;
− dispersi in forma elementare come il piombo aggiunto per aumentare la lavorabilità.
Di seguito si riporta una sintesi degli effetti dei singoli elementi; si noti, tuttavia, che in generale
l’effetto può cambiare quando questi sono combinati tra loro.
− Carbonio: è l'elemento base, che agisce sia sulla resistenza sia sulla durezza in tutti gli stati
di trattamento termico; aumenta la temprabilità e la fragilità, diminuendo la saldabilità degli
acciai.
− Manganese: tutti gli acciai contengono piccole quantità di manganese perché è aggiunto
come disossidante; è considerato un elemento di lega al di sopra di circa 0,8÷1%.
Esso influisce sulla temprabilità (diminuzione della temperatura di tempra, diminuzione della
velocità critica, aumento della penetrazione di tempra); inoltre, aumenta la resistenza a tra-
zione, affina il grano e migliora la saldabilità.
Tra gli aspetti negativi, va ricordato l'aumento della sensibilità all'ingrossamento del grano.
− Cromo: uno degli elementi di lega più usati; presenta una notevole tendenza a formare car-
buri stabili e aumenta notevolmente la temprabilità. Aumenta la resistenza mentre riduce la
sensibilità all'ingrossamento del grano per la presenza di carburi non disciolti nell'austenite.
Il cromo aumenta la resistenza all'usura e la resistenza meccanica alle alte temperature.
− Molibdeno: questo elemento appartiene allo stesso gruppo del cromo e, pertanto, forma
carburi doppi duri e stabili.
Esso aumenta la temprabilità e la resistenza all'usura; migliora la resistenza meccanica ed in
particolare la resistenza allo scorrimento a caldo.
− Nichel: disciolto nella matrice ferritica, il nichel migliora il complesso resistenza - tenacità in
misura superiore a tutti gli altri elementi anche alle basse temperature. Aumenta la temprabi-
lità, cioè diminuisce la temperatura di tempra e ne aumenta la penetrazione, ed aumenta la
sensibilità alla fragilità di rinvenimento.
− Silicio: migliora le caratteristiche meccaniche (esclusa la tenacità) e le proprietà magnetiche
(resistività); inoltre aumenta la temprabilità riducendo la velocità critica di raffreddamento.
− Vanadio: forma carburi come il cromo: data la loro formazione, essi sottraggono carbonio
alla matrice metallica, con una riduzione indiretta della temprabilità, a meno di elevare la
temperatura di tempra onde sciogliere i carburi.
Una delle proprietà notevoli del vanadio è il potere affinante del grano.
− Cobalto: aumenta la resistenza della ferrite nella quale entra in soluzione solida e rende sta-
bile la martensite.
− Tungsteno: ha tendenza a formare carburi che conferiscono durezza e resistenza all'usura.
20
Elementi di metallurgia
4
L'ossidazione ed il surriscaldamento spinti che si possono verificare con certi procedimenti di saldatura si chiamano, in
gergo, "bruciatura".
21
Metallurgia generale e della saldatura
22
Trasformazioni allo stato solido e trattamenti termici
Con l'espressione trattamento termico, genericamente, s'intende una sequenza di operazioni ter-
miche eseguite al fine di ottenere, mediante trasformazioni allo stato solido, una determinata
struttura o proprietà finali desiderate: sono operazioni che consistono, di solito, in un riscaldamen-
to, un mantenimento ad una certa temperatura ed un raffreddamento secondo leggi predetermi-
nate.
Uno dei parametri fondamentali per tutti i trattamenti è certamente la velocità di raffreddamento.
Negli acciai, l'austenite (soluzione solida di inserzione del carbonio nel ferro gamma che, come si
è visto, si forma per un riscaldamento sopra Ac3), durante il raffreddamento si decompone dando
luogo a due processi:
− trasformazione del reticolo a facce centrate dell'austenite nel reticolo cubico a corpo centrato
della ferrite;
− separazione del carbonio come cementite dall'austenite.
La trasformazione del reticolo avviene facilmente perché i due reticoli stanno tra loro in relazioni
geometriche semplici.
Aumentando la velocità di raffreddamento, si produce nel materiale un equilibrio instabile con un
fenomeno di sottoraffreddamento: al crescere di questo aumentano le forze che tendono a pro-
durre il mutamento del reticolo, il reticolo dell'austenite diventa sempre più instabile ed il carbonio
in esso contenuto in condizione di crescente soprassaturazione.
Il ritardo nella trasformazione, dovuto ad una forte velocità di raffreddamento con conseguente
soprassaturazione dell'austenite, dà luogo alla formazione di una struttura perlitica tanto più fine e
meno risolvibile al microscopio quanto maggiore il sottoraffreddamento.
Quando un acciaio, durante il raffreddamento, esce dal campo austenitico il carbonio non trova
una sistemazione nel reticolo cubico a corpo centrato così trasformato ma, nello stesso tempo, se
il raffreddamento è stato molto rapido, non ha possibilità di organizzarsi in modo da formare una
seconda fase. Il carbonio rimane, quindi, in soluzione soprassatura producendo una distorsione
23
Metallurgia generale e della saldatura
24
Trasformazioni allo stato solido e trattamenti termici
25
Metallurgia generale e della saldatura
per lo specifico tipo di acciaio, il punto Ar' si sdoppia, cioè la trasformazione avviene in parte ad
una temperatura Ar' con formazione di bainite ed in parte ad una temperatura Ar" - molto inferiore
- dove l'austenite si trasforma in martensite.
Con un ulteriore aumento della velocità scompare il punto Ar' e la trasformazione avviene in corri-
spondenza di Ar" con la formazione di sola martensite; si ha la cosiddetta tempra.
Nel primo caso si parla di velocità critica inferiore di raffreddamento, nel secondo velocità critica
superiore (di raffreddamento).
Si definisce inoltre Ms (Martensite Start) la temperatura alla quale inizia la trasformazione marten-
sitica ed Mf (Martensite Finish) la temperatura alla quale termina detta trasformazione.
Quando la velocità di raffreddamento é troppo alta, per un determinato tipo di acciaio, il materiale
raggiunge istantaneamente temperature tanto basse a cui corrispondono rigidità atomiche tali per
cui la trasformazione non può più avvenire e l'austenite rimane intrasformata a temperature am-
biente: in questo caso si parla di trattamento termico di ipertempra.
Va infine osservato che la temprabilità, cioè la tendenza di un acciaio ad avere trasformazioni
ritardate a seguito della velocità di raffreddamento, dipende oltre che dal tenore di carbonio anche
dalla presenza di certi elementi di lega (cromo, molibdeno, nichel, etc): pertanto, le velocità criti-
che di raffreddamento e le trasformazioni dipendono essenzialmente dalla composizione chimica
dell'acciaio.
La velocità di raffreddamento che in un acciaio consente la formazione di bainite superiore - strut-
tura relativamente grossolana e fragile - può provocare, in un acciaio maggiormente legato, la
formazione di bainite inferiore - struttura assai fine e tenace. Infine la stessa velocità, in un acciaio
ancora più legato, trasforma completamente la sua struttura in martensite, cioè in una struttura
estremamente dura e fragile.
Su questa dipendenza della temprabilità, negli acciai, dalla composizione chimica si fonda il con-
cetto largamente usato del carbonio equivalente5.
2.3.1. Generalità
5
Il carbonio equivalente è, infatti, un indice di temprabilità basato sulla composizione chimica degli acciai, determinato
sulla base di opportune sperimentazioni.
26
Trasformazioni allo stato solido e trattamenti termici
27
Metallurgia generale e della saldatura
− nella zona intermedia si produce la trasformazione bainitica, con formazione di bainite supe-
riore, al di sotto della zona perlitica, e di bainite inferiore alle temperature vicine ad Ms;
− alla temperatura Ms inizia la trasformazione martensitica; all'abbassarsi della temperatura si
ottengono percentuali di martensite sempre maggiori.
Si deve notare che la trasformazione perlitica e quella bainitica hanno un periodo di incubazione
mentre quella martensitica risulta praticamente istantanea.
Riassumendo, si può dire che i diagrammi TTT danno le seguenti informazioni:
− conoscenza dei tempi e delle temperature delle trasformazioni più importanti;
− conoscenza dei valori di durezza ottenibili con i trattamenti nelle varie posizioni delle curve.
Nel caso specifico dei giunti saldati risulta tuttavia più significativo studiare il fenomeno del raf-
freddamento dell'austenite in condizioni anisoterme, cioè di raffreddamento continuo con velocità
variabili fino alla temperatura ambiente.
La figura 2.7 presenta il diagramma TRC (Trasformazione a Raffreddamento Continuo, detto an-
che, secondo la terminologia anglosassone, diagramma CCT - Continuous Cooling Tranforma-
tion) dove sono riportate, come nei diagrammi TTT, in ordinate le temperature ed in ascisse i tem-
pi.
28
Trasformazioni allo stato solido e trattamenti termici
Nel diagramma sono distinte, con i numeri 1, 2, 3 e 4, quattro curve (rappresentate con linea con-
tinua) corrispondenti ad altrettante diverse velocità di raffreddamento.
− La curva 1 è relativa ad una bassissima velocità di raffreddamento e rappresenta un ciclo
completo di ricottura. Le trasformazioni che si susseguono, in sequenza, riguardano l'inizio
della trasformazione dell'austenite in ferrite, quindi l'inizio della trasformazione dell'austenite
non trasformata in perlite e, con l'intersezione con la seconda curva, il completamento della
trasformazione dell'austenite in perlite. Oltre tale intersezione non si ha più nessuna trasfor-
mazione strutturale.
− Nella curva 2 la velocità di raffreddamento è maggiore di quella associata alla curva I: le cur-
ve di trasformazione sono intersecate a temperature più basse, dove si ottengono microstrut-
ture più dure. Dopo l'intersezione della curva di raffreddamento con la seconda curva del
diagramma l'austenite appare completamente trasformata, dando origine a strutture miste
costituite da ferrite, perlite e bainite.
− Nella curva 3, in cui la velocità appare notevolmente aumentata, si ha l'inizio della trasforma-
zione dell'austenite in bainite in corrispondenza dell'intersezione con la prima curva di tra-
sformazione; nell'intervallo tra Ms ed Mf l'austenite residua si trasforma in martensite.
− La curva 4, per l'elevata velocità di raffreddamento, non interseca né la zona di trasforma-
zione perlitica né quella bainitica: si ha la trasformazione completa in martensite.
I diagrammi CCT si possono ottenere con prove di laboratorio, per diversi tipi di acciai da costru-
zione: alcuni esempi degli stessi sono riportati nelle figure 2.8, 2.9, 2.10 e 2.11 tratte da pubblica-
zioni specializzate: si vede chiaramente come a composizioni diverse di acciaio corrispondano
curve e temprabilità diverse.
Nel caso della saldatura è possibile ottenere l'indicazione delle trasformazioni mediante l'analisi
delle temperature rilevate da termocoppie durante il raffreddamento.
Effettuando con mezzi elettronici le derivate prima e seconda della curva registrata delle tempera-
ture si possono ottenere i punti di inizio e fine trasformazione, mentre l'esame metallografico rive-
la le strutture trasformate.
Ponendo le termocoppie in punti opportuni della zona termicamente alterata di saldature o tuffan-
dole nella zona fusa, si possono ottenere per punti, operando con diversi apporti termici o pre e
postriscaldi e quindi con diverse velocità di raffreddamento, le curve del materiale base e della
saldatura.
29
Metallurgia generale e della saldatura
Figura 2.8 - Diagramma TRC di un acciaio con analisi 0.13 C, 0.26 Si, 0.56 Mn, 0.019 P,
0.027 S, 0.07 Cr, 0.20 Cu, 0.05 Ni (laminato 80 mm, normalizzato, austenitizzato a 920°C per
5')
Figura 2.9 - Diagramma TRC di un acciaio ad alto limite elastico con analisi chimica 0.19 C,
0.42 Si, 1.20 Mn, 0.025 S, 0.025 P, 0.08 Cr, 0.21 Cu, 0.5 Mo, 0.06 Ni (laminato a 35 mm, nor-
malizzato quindi austenitizzato a 900°C per 5')
30
Trasformazioni allo stato solido e trattamenti termici
Figura 2.10 - Diagramma TRC di un acciaio 0.8 Cr, 0.5 Mo con analisi, 0.18 C, 0.25 Si,
0.62 Mn, 0.011 P, 0.017 S, 0.18 Cu, 0.14 Ni (barra Ф 30 mm, austenitizzata a 920°C per
10')
Figura 2.11 - Diagramma TRC di un acciaio 2.25 Cr 1 Mo con analisi, 0.11 C, 0.211 Si, 0.47
Mn, 0.010 P, 0.010 S, 0.18 Cu, 0.14 Ni (barra Ф 30 mm, austenitizzata a 980°C per 10')
31
Metallurgia generale e della saldatura
2.4.1. Generalità
2.4.2. Tempra
32
Trasformazioni allo stato solido e trattamenti termici
tempra, deve essere di circa 50°C superiore alla temperatura minima di austenitizzazione.
2.4.3. Rinvenimento
33
Metallurgia generale e della saldatura
ciaio (con particolare riferimento alla sue durezza, duttilità, tenacità) in funzione della temperatura
di rinvenimento.
Un esempio di questi diagrammi é riportato nelle figura 2.15, di seguito riportata.
2.4.4. Bonifica
L'insieme della tempra e del rinvenimento costituisce un trattamento indicato con il termine bonifi-
ca. Essa ha lo scopo di conseguire un compromesso tra resistenza meccanica e la tenacità attra-
verso l'ottenimento di una struttura a grano fine adeguata alle condizioni d'impiego.
2.4.5. Ricottura
Scopo principale della ricottura è l'addolcimento dell'acciaio per annullare o attenuare gli effetti di
precedenti trattamenti o di lavorazioni a caldo o a freddo ed eventuali relativi incrudimenti, nonché
le tensioni residue.
34
Trasformazioni allo stato solido e trattamenti termici
Ricottura completa
Si riscalda l'acciaio al di sopra di Ac3, lo si mantiene per un tempo sufficiente per ottenere una
struttura austenitica, poi lo si raffredda lentamente in forno.
Negli acciai da costruzione, la ricottura completa dà luogo ad una struttura di ferrite e perlite la-
mellare uniforme.
Nel caso di acciai basso-legati o addirittura legati come quelli al cromo - molibdeno essa provoca
una completa precipitazione dei carburi di cromo e molibdeno.
Ricottura di globulizzazione
Il trattamento consiste nel mantenimento a temperatura prossima ad Ac1 - con eventuali oscilla-
zioni intorno a tale temperatura - per un tempo di permanenza tanto lungo da consentire ai carburi
di trasformarsi gradualmente dalla forma lamellare della perlite o aciculare della bainite e della
martensite rinvenuta in globuli tondeggianti; segue il raffreddamento, tipicamente in aria.
Si ottiene una struttura costituita da carburi globulizzati in una matrice ferritica, detta perlite globu-
lare.
2.4.6. Normalizzazione
Allo scopo di migliorare le caratteristiche meccaniche ed in particolare la tenacità alla frattura, gli
acciai sono spesso sottoposti ad un trattamento di normalizzazione: esso consiste in:
− un riscaldamento dell'acciaio a temperatura superiore ad Ac3;
− un mantenimento per un tempo sufficiente a completare la trasformazione in austenite, sen-
za però causare ingrossamento del grano;
− estrazione dal forno dell'acciaio per un raffreddamento in aria calma, quindi abbastanza velo-
ce.
La struttura ottenuta appare molto fine e regolare: gli acciai al carbonio e bassolegati presentano
una struttura ferritico-perlitica, mentre negli acciai bassolegati o legati (ad esempio, acciai al Ni o
acciai al Cr - Mo) si possono avere strutture miste con la presenza di bainite e, talvolta, di marten-
site. In questo caso, per certi acciai, al trattamento di normalizzazione può essere fatto seguire un
trattamento di rinvenimento; in questo caso, lo stato di fornitura è convenzionalmente indicato con
la sigla (N+T).
I valori del carico di snervamento e della durezza sono sensibilmente superiori a quelli ottenibili
con la ricottura, soprattutto quando il tenore di elementi di lega e di carbonio risultano elevati; la
tenacità è, in genere, superiore grazie alla formazione di strutture metallurgiche più fini.
35
Metallurgia generale e della saldatura
2.4.7. Distensione
6
Apparirà evidente che, nel caso di alcuni acciai al carbonio e basso-legati, questo trattamento possa coincidere con
quello di rinvenimento; pertanto talvolta, si parla di trattamento di rinvenimento-distensione.
36
Caratteristiche meccaniche delle leghe metalliche e dei giunti saldati
Le proprietà di una lega metallica possono essere studiate da vari punti di vista, considerandone
ad esempio le caratteristiche chimiche, fisiche, meccaniche e tecnologiche.
Le prime sono quelle che il materiale presenta intrinsecamente, indipendentemente da azioni e-
sterne: fra queste sono di interesse tecnologico la resistenza alla corrosione, la temperatura di
fusione, le caratteristiche strutturali etc.
Le proprietà meccaniche sono quelle che il materiale presenta in relazione ad azioni meccaniche
esterne, statiche o dinamiche, a diverse temperature; esse sono di interesse per valutarne la resi-
stenza e la sicurezza d'impiego in una costruzione saldata, con particolare riferimento al dimen-
sionamento delle parti strutturali e delle relative giunzioni.
Le proprietà tecnologiche, infine, consistono nell'attitudine che i materiali hanno ad essere lavora-
ti, ad esempio imbutibilità, formabilità a caldo e a freddo, lavorabilità all'utensile, saldabilità con i
vari processi.
Tra le proprietà chimico - fisiche la composizione chimica rappresenta il primo dato che caratteriz-
za la natura di una lega, necessario per verificare la corrispondenza dell'analisi ai valori nominali
e l'eventuale presenza di elementi indesiderati o impurezze che possano risultare dannose al ma-
teriale in relazione all'impiego a cui destinato. Molte proprietà fisiche (temperatura di fusione, la
conducibilità termica ed elettrica) sono molto importanti per la scelta dei procedimenti di saldatura
e per l'ottimizzazione dei cicli termici; altre proprietà (quali la brillantezza o riflettività della superfi-
cie) sono importanti, in quanto limitano l'assorbimento di radiazioni luminose, nel caso di partico-
lari processi di saldatura come ad esempio la saldatura laser.
Infine, tra le proprietà chimico - fisiche, il fenomeno della corrosione appare senz'altro ascrivibile
ad una manifestazione del comportamento in esercizio di materiali metallici ma, per la sua natura,
37
Metallurgia generale e della saldatura
si può ricondurre ad una proprietà del materiale intesa come sua capacità di resistere al fenome-
no. Tuttavia, il fenomeno corrosivo è fortemente legato alle condizioni di esercizio, e pertanto può
essere di due tipi: ad umido ed a secco. Il primo si osserva quando un metallo viene posto a con-
tatto con un ambiente liquido, il secondo (detto genericamente ossidazione) avviene in ambienti
gassosi a carattere ossidante.
3.3.1. Classificazione
Le proprietà meccaniche sono quelle che i materiali manifestano in relazione ad azioni esterne di
natura meccanica. Queste azioni possono essere di carattere statico (trazione, compressione,
flessione e torsione) o dinamico (urti, strappi, fatica).
Possono, di conseguenza essere considerate proprietà meccaniche la resistenza ad azioni stati-
che (resistenza a trazione, compressione, flessione, torsione e taglio) e la tenacità, cioè la resi-
stenza agli urti. Tali proprietà possono essere considerate sia a temperatura ambiente, così come
ad alta o bassa temperatura.
Altre importantissime proprietà meccaniche sono la durezza, la resistenza a fatica (resistenza ad
azioni dinamiche ripetute), la resistenza all'usura, etc.
Le prove meccaniche sono prove atte a verificare le suddette proprietà e possono essere suddivi-
se secondo criteri molto vari; ad esempio, una prima distinzione può essere fatta tra:
− prove a tensione definita
− prove a tensione non definita
ed ancora in:
− prove in cui il carico applicato una sola volta fino ad ottenere la rottura od una prefissata de-
formazione (aperiodiche)
− prove in cui il carico applicato in maniera periodica secondo un certo ciclo fino a rottura o fino
ad una deformazione prefissata (periodiche).
Le prove meccaniche più diffuse sono:
− aperiodiche (trazione monoassiale, durezza, resilienza, scorrimento a caldo);
− periodiche (o di fatica): flessione rotante, flessione alterna, trazione - compressione pulsanti.
Generalità
Nella prova a temperatura ambiente, in generale, si possono distinguere tre fasi successive
(figura 3.1), come di seguito descritto.
Periodo elastico
Durante tale periodo, applicando un carico ad una provetta costituita da un campione omogeneo
38
Caratteristiche meccaniche delle leghe metalliche e dei giunti saldati
Figura 3.1 - Relazioni tipiche tra tensione e deformazione nella prova di trazione monoassiale relati-
vo prende il nome di carico di snervamento
di acciaio, si osserva un allungamento progressivo, sino a che il carico non supera un valore criti-
co detto carico al limite elastico: fino a questo valore, scaricando la provetta, si riassorbe comple-
tamente l'allungamento.
Il rapporto tra carico ed allungamento specifico é noto come modulo di Young ed è indicato con la
lettera E; esso è definito dalla relazione:
E = σ/ε
in cui:
σ = tensione, definita come forza per unità di superfi-
cie;
ε = allungamento, definito come variazione di lunghez-
za in percentuale rispetto alla lunghezza iniziale.
39
Metallurgia generale e della saldatura
ne plastica, i materiali duttili acquistano valori di resistenza meccanica e di durezza sempre mag-
giori a seguito del fenomeno dell'incrudimento. Ciò è dovuto al fatto che durante la deformazione
si generano nel metallo nuove dislocazioni, la cui numerosità aumenta con il procedere della de-
formazione plastica, con uno stato di mutua interazione che rende necessarie forze sempre mag-
giori per provocarne il movimento.
L'incrudimento permane a temperatura ambiente; per eliminarlo, si rende necessario un aumento
di temperatura tale che permetta al materiale di distendersi (ossia, scaricare le tensioni elastiche
esistenti tra grano e grano) e/o ricristallizzarsi (ossia, formare nuovi grani che eliminino le disloca-
zioni formatesi).
Le modalità esecutive delle prove di trazione per i materiali base sono indicate nella norma UNI
EN 10002:2004 "Materiali metallici - Prova di trazione - Parte 1: Metodo di prova a temperatura
ambiente". Dalla prova di trazione monoassiale si ricavano le grandezze di seguito descritte.
Limite elastico
E' definito dalla relazione: Re = Fe/ S0 (N/mm²)
dove:
− Fe = carico al limite elastico
− S0 = area della sezione trasversale iniziale
Poiché il valore reale del carico al limite elastico Fe si determina sperimentalmente con difficoltà,
ai fini pratici (ad esempio, per la determinazione delle tensioni ammissibili in sede di dimensiona-
mento dei componenti), si preferisce riferirsi al carico unitario di snervamento.
40
Caratteristiche meccaniche delle leghe metalliche e dei giunti saldati
Allungamento a rottura
E' definito dalla relazione: A = (Lf - L0)/ L0
dove Lf e L0 sono rispettivamente la lunghezza finale e quella iniziale della parte centrale della
provetta, misurata tra due punti di riferimento (lunghezza di riferimento L0).
Per provette cilindriche, tale lunghezza fra i riferimenti è, di norma, uguale a cinque volte il diame-
tro della barretta (nel caso di provette rettangolari, invece, si considera la lunghezza utile equiva-
lente a 5,65 S½ dove S è l'area della sezione trasversale della provetta); in queste condizioni,
l'allungamento indicato con A, A5 o A5D.
Nella maggior parte delle norme statunitensi, invece, la lunghezza tra i riferimenti è pari a 2", con
un diametro della barretta cilindrica di 1/2". Detto allungamento è indicato, pertanto, con A4 ed il
suo valore non può essere comparato con assoluta precisione all'allungamento A5 usato nei pae-
si europei.
L'allungamento è certamente un indice della deformazione plastica che può essere raggiunta pri-
ma della rottura, quindi della duttilità del materiale.
Coefficiente di strizione
Una misura della duttilità largamente usata è anche quella espressa come riduzione specifica
della sezione trasversale, nel punto di rottura. Essa è espressa dalla relazione:
Z = (S0 - Sf)/ S0
dove: S0 e Sf sono le aree delle sezioni iniziale e finale.
In alcuni casi le prove di trazione sono eseguite su materiali non omogenei come la prova di tra-
zione trasversale su giunti saldati. In questa circostanza le norme di riferimento, in ambito euro-
peo, sono:
- UNI EN 895:1997 “Prove distruttive su giunti saldati in materiali metallici. Prova di trazione tra-
sversale”.
- UNI EN 876:1997 “Prove distruttive sulle saldature di materiali metallici. Prova di trazione lon-
gitudinale sui giunti saldati per fusione”.
Per le diversità di composizione chimica, modalità di raffreddamento, microstruttura la zona fusa
ha spesso caratteristiche meccaniche diverse dal materiale base; esso, a sua volta, nella zona
termicamente alterata dal ciclo termico di saldatura, ha caratteristiche meccaniche ancora diffe-
renti.
41
Metallurgia generale e della saldatura
In queste condizioni, durante le prove, avvengono deformazioni ed incrudimenti diversi nelle di-
verse zone della provetta di trazione, per cui appaiono non più significativi alcuni dei parametri
caratteristici delle prove condotte su provette omogenee: il limite elastico, il carico di snervamen-
to, l'allungamento a rottura, la strizione. Ad esempio, nella figura 3.2b, (in cui la prova è stata ar-
restata poco prima della rottura) si osservano chiaramente allungamenti e strizioni diversi nel ma-
teriale base ai due lati della saldatura, mentre quest'ultima appare quasi indeformata.
In definitiva, l'unico parametro significativo che si può ricavare da una prova di trazione trasversa-
le su giunti saldati è il carico di rottura (unitamente all'informazione sull'ubicazione della rottura:
materiale base, zona termicamente alterata, zona fusa).
Le provette di trazione ricavate longitudinalmente al giunto saldato sono invece costituite intera-
mente dalla zona fusa (figura 3.3) e possono essere considerate praticamente omogenee. Da
questa prova si possono quindi ottenere tutti i parametri sopra indicati; pertanto, essa risulta la più
indicata per valutare le caratteristiche del giunto saldato.
Particolarmente importante, specialmente nel caso in cui la provetta non sia costituita da materia-
le
o-
mogeneo, è infine la velocità con la quale il carico viene applicato; essa deve essere sufficiente-
mente bassa da permettere una adeguata distribuzione delle deformazioni nei diversi punti della
provetta.
Generalità
Le prove di durezza hanno rilievo tra le altre prove meccaniche e sono particolarmente diffuse in
quanto presentano numerosi vantaggi: permettono indagini estremamente puntuali, non distrug-
gono né alterano sensibilmente il pezzo su cui vengono effettuate e consentono di dedurre indi-
rettamente altre fondamentali proprietà meccaniche.
Esistono molte definizioni di durezza: fisicamente, la durezza può essere definita come la resi-
stenza alla deformazione elasto - plastica; in pratica, è di solito definita come la resistenza che un
materiale oppone alla penetrazione.
42
Caratteristiche meccaniche delle leghe metalliche e dei giunti saldati
Nei metalli puri la durezza aumenta con la coesione e la densità degli atomi.
Nelle leghe, la durezza aumenta con l'incrudimento, l'entità delle tensioni residue ed è funzione
dello stato metallurgico di fornitura.
I metodi di prova più usati in campo metallurgico sono basati sul principio della resistenza che un
materiale oppone alla penetrazione: essi si differenziano per la forma del penetratore e per le
condizioni di prova. Nel caso dei giunti saldati, le norme di riferimento in ambito europeo sono:
- UNI EN 1043-1:1997 “Prove distruttive di saldature su materiali metallici. Prova di durezza.
Prova di durezza su giunti saldati ad arco”.
− UNI EN 1043-2:1997 “Prove distruttive sulle saldature di materiali metallici. Prova di durez-
za. Prove di microdurezza su giunti saldati”.
Durezza Brinell
La prova di durezza Brinell, usata di solito sul materiale base, si esegue utilizzando un penetrato-
re (figura 3.4) costituito da una sfera di acciaio temprato pressata
da un carico variabile nell'intervallo 500 ÷ 3000 kgf a seconda che
si voglia un'impronta più o meno localizzata.
Naturalmente, un materiale duro offrirà una notevole resistenza alla
penetrazione e l'impronta sarà proporzionalmente piccola, mentre
una grande impronta sarà indice di una bassa durezza.
Il valore della durezza Brinell è dato dal rapporto tra il carico F im-
posto al penetratore e l'area della superficie dell'impronta.
Per indicare la durezza Brinell è usato il simbolo HB; frequente-
mente, nel caso di condizioni di prova diverse dalle condizioni stan-
dard specificate nella norma, tale simbolo deve essere completato
Figura 3.4 - Caratteristiche
dal diametro del penetratore D (in mm), dal carico F (in kgf) e dalla del penetratore Brinell
durata (in s) per cui, ad esempio, HB5/750/20 rappresenta una durez-
za misurata con sfera avente diametro 5 mm, carico 7355 N (750 kgf) per il tempo di 20 secondi.
Durezza Vickers
Il sistema più usato per il rilievo delle durezze dei giunti saldati è il metodo Vickers.
In questa prova si impiega un penetratore (figura
3.5) costituito da una piramide a base quadrata con
angolo al vertice di 136°.
La durezza Vickers si indica con HV ed è espressa
dal rapporto tra il carico applicato F e l'area S del-
l'impronta, attraverso la relazione:
HV = F/S (kgf/mm²)
esprimendo l'area S in funzione della diagonale d,
si ottiene: HV = 0,189 F/d².
Figura 3.5 - Caratteristiche del penetratore
Quando le condizioni di prova sono diverse da Vickers
43
Metallurgia generale e della saldatura
Figura 3.6 - Esempio di schema di prelievo ri possono anche superare i 350, raggiungendo talvolta
delle durezze anche i 500 HV.
Per quanto riguarda le prove nelle diverse zone della saldatura (zona fusa, zona termicamente
alterata, come ad esempio riportato dallo schema di prelievo delle misure di figura 3.6) si deve
osservare che, data la loro disomogeneità microstrutturale, più la prova è effettuata in modo loca-
lizzato (con basso carico, ad esempio HV5) più, da punto a punto, si osservano differenze di valo-
ri.
Alla luce delle considerazioni espresse, per una caratterizzazione dei giunti saldati si è nel tempo
affermato l'uso:
− di carichi sufficientemente elevati per ottenere informazioni medie tra le diverse microstruttu-
re presenti (ad esempio, HV30 oppure HV10);
− del valore medio di più impronte adiacenti (ad esempio 3 impronte);
− di entrambi i metodi suddetti.
Talvolta, ad esempio per una precisa caratterizzazione del giunto, si eseguono file di durezze vici-
ne assai localizzate (con basso carico) per essere informati delle variazioni delle proprietà della
zona investigata; i risultati sono spesso espressi in forma grafica, attraverso i cosiddetti profili di
durezza (figura 3.7).
Durezza Rockwell
E' un metodo assai diffuso, particolarmente nei paesi anglosassoni, per la semplicità di esecuzio-
ne e la facilità di lettura.
Consiste nel far penetrare, in due tempi, un penetratore di forma prestabilita e nel misurare la pe-
44
Caratteristiche meccaniche delle leghe metalliche e dei giunti saldati
Figura 3.7 - Esempio di profilo di durezze HV0.1 (processo FSW, leghe di Al)
netrazione ottenuta. La durezza è, pertanto, espressa come funzione della profondità di penetra-
zione, secondo diversi metodi (C, B etc.); si usano, pertanto, i simboli HRB, HRC.
I penetratori possono essere coni di diamante di apertura 120°: la durezza con questo penetrato-
re si indica con HRC.
Se si usa una sfera di acciaio temprato, di dimensioni e durezza determinate, si ottiene una du-
rezza HRB.
Esistono apposite tabelle di conversione tra i valori di HRB e HRC ed i valori di HB ed HV.
Oltre alla misura dell'allungamento o della strizione, durante la prova di trazione, una valutazione
della duttilità di un materiale può provenire dalla prova di piegamento.
In detta prova si usa una provetta di sezione rettangolare, generalmente appoggiata su due rulli
(di diametro R) posti a distanza
L - valore legato allo spessore a
della barretta ed al diametro D
del mandrino: il carico è appli-
cato al centro da un mandrino
(con diametro D correlato allo
spessore della provetta), sino al
raggiungimento di un prefissato
angolo di prova, misurato dopo
la rimozione del carico per con-
Figura 3.8 - Schema di una prova di piegamento
siderare il recupero della com-
ponente elastica della deformazione (figura 3.8).
Di solito, quest'angolo è pari a 160° (il valore 180° può presentare difficoltà di rimozione della pro-
45
Metallurgia generale e della saldatura
Figura 3.9 - Prova di piegamento al diritto o al Figura 3.10 - Prova di piegamento laterale in saldatu-
rovescio in saldatura ra
vetta dal dispositivo di piegamento7), ma nel caso di materiali di duttilità limitata si prescrivono,
talvolta, anche angoli di piegamento inferiori: 130° o anche 60°.
Nel caso di giunti saldati, la prova di piegamento è largamente usata, ad esempio in sede di mes-
sa a punto dei processi o qualificazione del personale o delle procedure di saldatura: oltre ad evi-
denziare eventuali mancanze di duttilità in zona fusa od in zona termicamente alterata (dovute, ad
esempio, a grano eccessivamente ingrossato, ossidazione del materiale o presenza di strutture
dure e fragili) la prova risulta inoltre adatta al rilievo di particolari discontinuità (incollature, piccole
cricche) non facilmente rilevabili con le prove non distruttive.
La prova viene in genere condotta su provette ricavate trasversalmente al giunto; in particolare, si
parla di prova di piegamento:
− al dritto o al rovescio (figura 3.9), nel caso in cui sia posta in trazione la superficie esterna o il
vertice di una saldatura;
− laterale (figura 3.10), nel caso in cui si ponga in trazione una sezione trasversale della salda-
tura; questo caso è particolarmente utile per evidenziare difetti di fusione (ad esempio incol-
lature).
E' da osservare che, date le possibili differenze esistenti da punto a punto del giunto del limite
elastico, della resistenza e della duttilità, può essere difficile ottenere piegamenti sufficientemente
uniformi.
Sono usate talvolta, ad esempio per le leghe di alluminio, particolari modalità di prova come l'av-
volgimento su rullo (figura 3.11a) oppure il piegamento guidato - guided bend test - come preve-
7
Questo valore dell'angolo di piegamento è richiesto ad esempio dalle normative in vigore relative alla qualificazione dei
processi di saldatura (EN 15614-1).
46
Caratteristiche meccaniche delle leghe metalliche e dei giunti saldati
Mentre le prove di trazione, durezza e piegamento sono prove statiche, nelle quali il carico è ap-
plicato con sufficiente lentezza, le prove di resilienza (figura 3.13) sono aperiodiche a carattere
dinamico: il carico è applicato per urto con velocità prefissata, in genere piuttosto elevata. Le pro-
ve sono effettuate su provette intagliate, per ottenere una misura della tenacità alla frattura del
materiale.
norma che prescrive le modalità di prova per i materiali base è la UNI EN 10045-1:1992 " Mate-
riali metallici. Prova di resilienza su provetta Charpy. Metodo di prova".
La prova è eseguita con un'attrezzatura, di larghissima diffusione, detta pendolo di Charpy, rap-
47
Metallurgia generale e della saldatura
presentato figura 3.13; un pendolo costituito da una massa m nota, generalmente di 30 kg, è la-
sciato cadere da una prefissata altezza di caduta H, in modo da colpire con un coltello opportuna-
mente sagomato la provetta, posta su due appoggi e intagliata al centro.
Il pendolo raggiunge nel punto più basso della pro-
pria traiettoria una ben determinata energia cinetica
(corrispondente a m g H); ne consuma una parte per
rompere la provetta e l'energia rimanente ne consen-
te la risalita (ad un'altezza H'): misurando quest'ulti-
ma, si ottiene l'energia utilizzata per rompere la pro-
vetta:
J = (m g H) - (m g H') = m g (H - H')
48
Caratteristiche meccaniche delle leghe metalliche e dei giunti saldati
8
Per certe applicazioni particolari, specialmente nella normativa americana, anziché valutare la percentuale di aspetto
fragile si prescrive la misura della "strizione" (o contrazione) a fondo intaglio, espresso in mils, cioè millesimi di pollice
(corrispondenti a circa = 25,4 µm.
9
Fenomeno di diminuzione della duttilità a bassa temperatura.
49
Metallurgia generale e della saldatura
Generalità
50
Caratteristiche meccaniche delle leghe metalliche e dei giunti saldati
veloce ed detto scorrimento primario, mentre il secondo (detto scorrimento secondario) presenta
una fase piuttosto lunga in cui la deformazione procede a velocità costante. Infine durante l'ultimo
tratto (detto scorrimento terziario) l'allungamento percentuale cresce sempre più rapidamente nel
tempo finché il provino arriva a rottura.
Le velocità di scorrimento a caldo sono maggiori nei materiali a grano fine in quanto i bordi dei
grani sono coinvolti nel processo. Da una parte, infatti, le zone del bordo intervengono nello scor-
rimento, in conseguenza della loro minore densità atomica; dall'altra, esse costituiscono zone di
attrazione per le dislocazioni che vengono allontanate e perdono la loro funzione di freno allo
scorrimento dei piani atomici. Pertanto, ad alta temperatura i bordi dei grani hanno una influenza
negativa mentre a temperatura più bassa contribuiscono ad una buona resistenza meccanica.
Si può, pertanto, affermare che per temperature sufficientemente elevate, a seconda dei materiali,
la comune prova di trazione monoassiale non rivesta più grande significato mentre acquistano
particolare importanza le prove di snervamento a caldo e di scorrimento; per esse la durata di
prova e la velocità di incremento del carico acquistano moltissimo valore (ovviamente, la resisten-
za allo scorrimento diminuisce all'aumentare della temperatura).
La provetta, di solito di forma cilindrica, è collegata con estensimetri destinati alla misurazione
della lunghezza tra i riferimenti, circondata da un fornetto. Raggiunta la temperatura di prova desi-
derata, la provetta viene sollecitata gradualmente; nella curva tempo - scorrimento si possono
distinguere i tre diversi stadi di scorrimento:
− primario: la velocità di deformazione decresce
− secondario: la velocità rimane costante
− terziario: la velocità comincia a crescere
indicati all’inizio del punto 3.3.6..
Al crescere della temperatura di prova si passa gradualmente dallo stadio primario fino a quello
terziario. Per le determinazioni dei carichi unitari di lunga durata, si deve rimanere, di regola, nello
stadio primario o secondario.
Nelle prove di scorrimento a caldo assume particolare importanza il tempo necessario per rag-
51
Metallurgia generale e della saldatura
giungere la rottura o una determinata deformazione plastica. Si parla, quindi, di carico unitario di
rottura in t ore a T °C (ad esempio, бR/100.000/550°C) o di limite di scorrimento percentuale (ad esem-
pio 1%) in t ore a T °C (ad esempio, б1/100.000/550°C). Questi parametri sono presi come riferimento
per la determinazione della tensione ammissibile durante il dimensionamento, nel caso di servizio
ad alta temperatura in regime di scorrimento viscoso.
Le provette cilindriche possono essere considerate omogenee se costituite da solo materiale ba-
se o da materiale d'apporto. Per provette ricavate trasversalmente ad un giunto saldato, quindi
eterogenee, hanno significato i valori di rottura e non quelli di snervamento.
Dato il lunghissimo tempo di prova (100.000 ore corrispondono a 12 anni) necessario per l'otteni-
mento di valori attendibili, talvolta sono eseguite prove di durata inferiore (10.000 ore corrispondo-
no a circa 14 mesi), estrapolando con opportuni metodi i risultati ottenuti, anche se i valori così
ottenuti presentano incertezze.
52
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
4.1.1. Generalità
Durante l'esecuzione di una saldatura autogena, parte del materiale base è portato alla tempera-
tura di fusione10. In generale viene impiegata anche una certa quantità di materiale d'apporto che,
portato anch'esso alla temperatura di fusione, si mescola con il materiale base formando il bagno
di fusione. Una volta solidificato il bagno di fusione prende il nome di zona fusa (ZF) o cordone di
saldatura.
Nella saldatura a passate multiple è chiamato generalmente zona fusa della saldatura l'insieme
delle zone fuse di tutte le passate.
Il termine cordone di saldatura è più vago; talvolta, è usato per designare la singola passata, tal-
volta l'insieme delle passate.
Per evitare confusioni, è usato qui il termine zona fusa riferibile, volta a volta, ad una singola pas-
sata o all'intera saldatura, mentre è usato il termine cordone quando la passata è singola (ad e-
sempio: cordone di riporto eseguito in una passata; giunto a T saldato con due cordoni d'angolo,
dai due lati), sarà, invece, usato correntemente il termine univoco e ben preciso di passata.
In questo paragrafo sono analizzati i fenomeni conseguenti alla miscelazione del materiale base e
d'apporto, il meccanismo con cui procede la solidificazione della zona fusa, nonché gli inconve-
nienti che ne possono derivare.
10
Una saldatura eseguita senza la partecipazione - cioè senza fusione - di materiale base, prende il nome di "saldatura
eterogenea" o "brasatura". Per realizzare questa condizione è necessario un materiale d'apporto che abbia tempera-
tura di fusione inferiore a quella del materiale base. Se detta temperatura è inferiore a 400°C si ha la "brasatura dol-
ce", detta anche "saldatura dolce" (in inglese "soldering"), altrimenti si ha la "brasatura forte" (in inglese "brazing").
53
Metallurgia generale e della saldatura
La proporzione con cui materiale base e d'apporto si miscelano per costituire la zona fusa varia in
relazione alle caratteristiche tecnologiche del processo di saldatura impiegato ed ai parametri e-
secutivi impostati, che possono intervenire a mutarla an-
che significativamente.
Si definisce rapporto di diluizione il rapporto Rd(%) tra il
volume di materiale base portato a fusione (tra le due linee
tratteggiate) ed il volume totale zona fusa, espresso in per-
centuale (Figura 4.1).
A seconda del tipo di processo e delle modalità con cui
viene effettuata la saldatura, il rapporto di diluizione può
assumere i seguenti valori orientativi:
Rd(%) = 0, nella brasatura;
Rd(%) = 30, nella prima passata del procedimento ad arco Figura 4.1 - Determinazione del rap-
manuale con elettrodi rivestiti; porto di diluizione
Rd(%) = 10, nelle passate di riempimento ad arco manuale con elettrodi rivestiti;
Rd(%) = 20 ÷ 40, nella saldatura TIG;
Rd(%) = 10 ÷ 40, nella saldatura MIG/MAG, prime passate, con le diverse tecniche;
Rd(%) = 5 ÷ 20, nella saldatura MIG/MAG (passate di riempimento);
Rd(%) = 65, nella saldatura ad arco sommerso a forte penetrazione;
Rd(%) = 30 ÷ 40 nelle prime passate di saldatura ad arco sommerso multipass;
Rd(%) = 10 ÷ 15 nelle passate di riempimento della saldatura ad arco sommerso multipass;
Rd(%) = 15 ÷ 30 nella saldatura ad elettroscoria;
Rd(%) = 100, nella saldatura a resistenza e nelle saldature senza metallo d'apporto eseguite con
procedimenti TIG, al plasma, laser e fascio elettronico.
La composizione chimica della zona fusa è funzione di quelle del materiale base e del materiale
d'apporto, nonché del rapporto di diluizione.
Il fenomeno del dendritismo appare predominante nella solidificazione della zona fusa in quanto,
in saldatura, esistono direzioni preferenziali di evacuazione del calore, il che comporta l'accresci-
mento delle strutture di solidificazione lungo tali direzioni, in verso opposto a quello di smaltimento
del flusso termico.
La solidificazione del bagno avviene, in proporzioni ridotte, come quella di una fusione in un cro-
giolo le cui pareti sono costituite dall'interfaccia solido - liquido. Queste pareti costituiscono le più
importanti vie di trasmissione del flusso termico, che si disperde per conduzione entro la massa
del materiale più freddo, essendo normalmente trascurabile la parte di calore trasmessa per con-
vezione e irraggiamento dalla superficie della zona fusa.
54
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
55
Metallurgia generale e della saldatura
56
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
Il fenomeno della criccabilità nella zona fusa è, in genere, estremamente pericoloso, in relazione
ai possibili effetti sul comportamento del componente saldato in esercizio.
Per quanto possa risultare molto difficile generalizzare le cause che portano allo sviluppo di tale
imperfezioni, esse possono essere legate a:
− fenomeni di criccabilità a caldo, con sviluppo di cricche generalmente longitudinali (si veda al
paragrafo successivo)
− fenomeni legati alla presenza di idrogeno diffusibile in saldatura (si veda al paragrafo 4.3),
con sviluppo di cricche generalmente trasversali, come nel caso di figura 4.3, o di micro fes-
surazioni;
− fenomeni legati alle condizioni di esercizio (corrosione, fatica, rottura fragile), e quindi soltan-
to indirettamente legati alle operazioni di saldatura.
57
Metallurgia generale e della saldatura
Quando la zona fusa si trova ancora completamente allo stato liquido, gli sforzi di ritiro non hanno
modo di manifestarsi, mancando la continuità fisica e meccanica fra gli elementi collegati. Vice-
versa, al termine della solidificazione, gli sforzi di ritiro agiscono sulla sezione completa del giunto,
che rappresenta la totalità della sezione resistente.
In una fase intermedia, durante la solidificazione, gli sforzi di ritiro iniziano a manifestarsi ed a
sollecitare una sezione resistente, molto meno estesa
di quella finale, data dalla somma delle aree dei primi
collegamenti fra grano e grano (o meglio fra le dendriti)
stabilitisi durante l'avanzamento della solidificazione. E'
proprio attraverso tali collegamenti che si possono tra-
smettere inizialmente gli sforzi di ritiro (figura 4.4).
Inoltre, poiché le eventuali impurezze presenti nel ba-
gno di fusione (ad esempio: composti di zolfo e fosforo
negli acciai) presentano, di solito, una temperatura di
fusione inferiore a quella del metallo, attorno alle den-
Figura 4.4 - Rappresentazione delle driti rimangono fasi liquide che non trasmettono sforzi e
tensioni di ritiro
contribuiscono a ridurre la sezione resistente.
Queste piccole sezioni, nelle quali si sono già stabilite le forze di legame intergranulare, sono per-
ciò molto sollecitate ed il materiale deve rispondere con deformazioni plastiche, all'interno dei cri-
stalli già formatisi, per impedire la rottura di questi collegamenti. Quando ciò non accade si inne-
sca e propaga una rottura di tipo interdendritico denominata cricca a caldo.
Da questa considerazione emerge che materiali fragili a caldo, come ad esempio gli acciai a più
elevato tenore di carbonio, presenteranno scarsa resistenza all'innesco di tali rotture.
Durante il raffreddamento, il numero e l'estensione dei collegamenti intergranulari aumentano,
con conseguente riduzione della sollecitazione media e minor rischio di criccabilità. Pertanto, la
permanenza per tempi brevi in tale intervallo critico limita i rischi di criccabilità a caldo. Risulta
quindi importante che la composizione chimica della zona fusa sia tale da presentare un ΔT di
solidificazione limitato e che esso venga attraversato rapidamente.
E' importante notare l'influenza negativa esercitata dalle elevate dimensioni dei grani in zona fusa:
tanto più grossi sono i grani, a parità di altre condizioni, tanto minore sarà il numero e l'estensione
delle zone di collegamento intergranulare e quindi tanto maggiore sarà la suscettibilità alle cricche
a caldo.
In conclusione si può dire che le cricche a caldo sono dovute alla presenza contemporanea di
diversi fattori, i più importanti tra i quali sono:
− elevate tensioni di ritiro;
− ampi ΔT di solidificazione;
58
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
− fragilità a caldo;
− elevate dimensioni del grano in zona fusa;
− impurezze.
Poiché le cricche a caldo sono legate ai processi di solidificazione della zona fusa (vengono an-
che chiamate cricche di solidificazione)
esse possono generarsi - di principio -
nella saldatura di tutti i materiali.
Le cricche a caldo sono sempre rotture di
tipo intergranulare (fig. 4.5), almeno nella
regione di innesco; la loro giacitura rispet-
to all'asse longitudinale del cordone di
saldatura può essere longitudinale o incli-
nata (figura 4.6).
Esse possono sfociare all'esterno e mani-
festarsi sotto forma di fenditure più o me-
no sottili, oppure, più raramente, rimanere Figura 4.5 - Andamento intergranulare di una cricca a
caldo
circoscritte internamente al cordone.
Le cricche a caldo rappresentano in saldatura un inconveniente estremamente grave; imperfezio-
ni di questo tipo costituiscono sempre un intaglio severo e sono perciò generalmente considerati
come non accettabili durante il controllo dei giunti.
Nel fenomeno della criccabilità a caldo rivestono un ruolo fondamentale i parametri di tipo operati-
vo elencati di seguito.
Figura 4. 6 - Tipico andamento di cricche a caldo per giunti testa a testa o d'angolo
59
Metallurgia generale e della saldatura
a caldo. Appare pertanto evidente la necessità di ridurre per quanto possibile l'apporto termico
specifico.
Tale riduzione deve essere effettuata agendo esclusivamente sui parametri elettrici, in quanto,
come di seguito evidenziato, l'aumento della velocità di saldatura - pur avendo l'effetto di ridurre
l'apporto termico specifico - favorisce la formazione di cricche a caldo longitudinali.
60
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
61
Metallurgia generale e della saldatura
Riveste particolare importanza anche il tipo di processo utilizzato: é infatti preferibile impiegare
processi che permettono una azione depurante del bagno di fusione: ad esempio, nella saldatura
ad arco manuale e ad arco sommerso quando si teme la formazione di cricche a caldo può esse-
re utile ricorrere all'impiego di elettrodi a rivestimento basico ed a flussi basici che consentono
una azione desolforante e defosforante, grazie ai carbonati in essi contenuti. Usando altri proces-
si vanno analogamente scelti materiali d'apporto (fili, bacchette, ecc.) della migliore qualità, con
opportuni tenori di Mn (elemento che svolge parzialmente anche azione depurante).
Nel caso degli acciai inossidabili austenitici o delle leghe di nichel il problema appare analogo,
anche se, trattandosi di leghe pregiate, il contenuto di elementi indesiderati nel materiale base è
in genere molto basso. D'altra parte, poiché sono acciai a struttura austenitica, i grani dendritici
che si formano sono piuttosto grandi e le impurezze hanno minore superficie intergranulare su cui
distribuirsi. Nella saldatura di questi materiali, pertanto, le condizioni di pulizia dei lembi e delle
zone circostanti diventano non più una regola di buona pratica ma un fondamentale parametro di
saldabilità del materiale.
Vi possono, tuttavia, essere elementi aggiunti volutamente (ad esempio il niobio, aggiunto come
stabilizzante in certi acciai al cromo - nichel) che in modo analogo alle impurezze contribuiscono
alla formazione di composti a basso punto di fusione; in tale caso è necessario bilanciare il peri-
colo di formazione di cricche a caldo con l'adozione delle altre precauzioni indicate precedente-
mente.
Sempre a titolo di esempio, per quanto riguarda alcune leghe di alluminio, il rame o alcune leghe
di rame, è il materiale base stesso ad avere un ΔT di solidificazione elevato. In tal caso si agisce,
solitamente, sulla scelta adeguata della composizione chimica del materiale d'apporto, utilizzando
in taluni casi una lega eutettica11 in modo tale - in funzione del rapporto di diluizione - da avere
una zona fusa che presenti un ΔT di solidificazione meno critico12.
I problemi legati alla formazione delle cricche a caldo per le diverse leghe e i relativi rimedi ver-
ranno discussi e approfonditi nei capitoli riguardanti la saldabilità.
Vi sono delle prove, dette appunto di criccabilità a caldo, finalizzate a verificare la tendenza del
materiale d'apporto a dare luogo a questo fenomeno.
Nel caso di elettrodi rivestiti per la saldatura di acciaio al carbonio un valido riferimento può esse-
re la prova prevista dalla norma UNI 5132 al punto 913. Detta prova consiste nella realizzazione di
un giunto a T, saldato con due cordoni d'angolo, il primo dei quali agisce, con il suo ritiro angola-
re, sulla solidificazione del cordone di prova successivamente depositato. La tendenza alla cricca-
bilità del materiale è incrementata, convenzionalmente, accrescendo la diluizione (con uso di cor-
rente elevata) su un materiale base con tenore di impurezze (zolfo) particolarmente elevato.
Prove di tipo analogo si usano per procedimenti semiautomatici o automatici.
11
ΔT di solidificazione nullo per definizione.
12
E' il caso di materiali d'apporto della serie 4000 (leghe alluminio - silicio), per i quali va comunque ricordato che le
caratteristiche meccaniche della zona fusa (tensili, in particolare) possono risultare inferiori al materiale base.
13
Tale norma, peraltro, è stata da tempo sostituita dalla UNI EN 499: 1996.
62
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
Per elettrodi rivestiti con deposito di acciaio inossidabile austenitico o leghe di nichel si può usare
invece la prova indicata nella norma UNI 8098 al punto 814. Essa è basata sulla tendenza della
prima passata a criccare in condizioni di severo vincolo e con distanza fra i lembi prestabilita:
questa prova, pertanto, fa leva su due dei parametri descritti al punto precedente.
La severità della prova aumenta al crescere della distanza fra i lembi, riferita al diametro dell'elet-
trodo da provare.
Per motivi di studio o messa a punto di procedimenti di saldatura particolari su materiali speciali
può essere usata la prova Varestraint sviluppata negli USA. In detta prova, un deposito - od una
linea di fusione TIG - sono sottoposti, durante la solidificazione, ad una deformazione predetermi-
nata mediante piegamento longitudinale eseguita con una macchina apposita (figura 4.11).
Spesso l'esecuzione di una saldatura comporta l'effettuazione di più passate sovrapposte. In que-
sto caso, l'effetto che ciascuna passata esercita su quella sottostante può essere schematizzato
come segue (figura 4.12):
− la parte superiore viene rifusa e va a costituire in parte la zona fusa della passata sovrastan-
te, seguendo le sue vicissitudini nella solidifi-
cazione che porterà alla struttura a grani al-
lungati;
− la parte posta sotto alla linea di fusione subi-
sce una sorta di trattamento termico il cui
risultato finale dipende sostanzialmente dal Figura 4.12 - Sequenza di passate nella
tipo di materiale. saldatura di un giunto testa a testa
14
Anche in questo caso la norma è stata sostituita dalla EN 1599: 1996.
63
Metallurgia generale e della saldatura
Durante l'esecuzione di un giunto saldato una zona di materiale, adiacente alla zona fusa, rag-
giunge temperature elevate e risulta, a raffreddamento ultimato, metallurgicamente alterata dal
ciclo termico di saldatura a paragone del materiale base adiacente. Le trasformazioni che si verifi-
cano nella zona termicamente alterata sono trattate ampiamente nei capitoli relativi alla saldabilità
dei diversi materiali; tuttavia, si possono distinguere, in linea generale, due casi diversi a seconda
che il materiale base, in fase solida, presenti o meno una trasformazione allotropica.
Sono materiali, come ad esempio gli acciai inossidabili austenitici o ferritici, l'alluminio e le sue
leghe, il rame e le sue leghe, per i quali l'effetto termico provoca alcuni fenomeni quali: coalescen-
za (e quindi ingrossamento dei grani non reversibile), precipitazione di fasi secondarie, annulla-
15
Data l'estrema diffusione di letteratura tecnica in lingua inglese, può essere utile ricordare che la traduzione in quella
lingua è Heat Affected Zone, spesso abbreviata con HAZ.
64
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
mento o modificazione di stati preesistenti (ad esempio: incrudimento, invecchiamento). Per essi
la severità o meno del ciclo termico risulta importante solo in quanto determina la permanenza ad
una certa temperatura di ciascun punto della zona termicamente alterata.
E', pertanto, il binomio temperatura - tempo di permanenza che determina l'entità dei fenomeni
precedentemente indicati. L'unico modo di ridurre l'entità di questi fenomeni è la riduzione della
permanenza a temperatura, limitando l'apporto termico specifico.
In questi materiali (ad esempio gli acciai ferritico - perlitici, gli acciai inossidabili martensitici), fino
ad una certa distanza dalla linea di fusione, corrispondente all'isoterma del campo termico relativa
alla temperatura di trasformazione, possono verificarsi fenomeni simili a quelli indicati nel punto
precedente; oltre questa isoterma si ha la trasformazione allotropica. Con riferimento a questa
trasformazione è importante, pertanto, l'ingrossamento raggiunto dal grano, e soprattutto la velo-
cità di raffreddamento del ciclo termico.
In particolare, per gli acciai al carbonio e basso-legati, detta velocità di raffreddamento può essere
rappresentata dal parametro ΔT8/5.
Durante l'esecuzione della saldatura, in prossimità della zona fusa possono fondere inclusioni non
metalliche (ad esempio ossidi o fasi eventualmente presenti nel materiale base e con temperatura
di fusione inferiore a quella del materiale base stesso): il fenomeno di formazione di isolate fasi
liquide nella matrice solida prende il nome di liquazione.
Durante il raffreddamento e la contrazione
relativa, dette zone liquide possono dare
luogo a microcricche che, con l'instaurarsi
degli sforzi di ritiro trasversale, possono unir-
si tra loro formando cricche in zona termica-
mente alterata dette appunto cricche di li-
quazione (figura 4.14). Questo fenomeno
presenta analogie con quello delle cricche a
caldo in zona fusa precedentemente trattato:
infatti le cricche da liquazione sono anche
denominate cricche a caldo in zona termica-
Figura 4.14 - Cricca da liquazione (acciaio AISI 347)
mente alterata.
Da quanto detto, il ciclo termico dovuto alla saldatura può provocare modificazioni nelle caratteri-
stiche chimico - fisiche della zona termicamente alterata, rispetto a quelle del materiale base inal-
terato. Queste variazioni consistono, di solito, nella precipitazione, trasformazione e dissoluzione
65
Metallurgia generale e della saldatura
di fasi e possono, in certi casi, avere particolare importanza nella resistenza alla corrosione.
Nello studio della saldabilità degli acciai inossidabili austenitici si vedrà come il riscaldamento
del materiale base, in un intervallo tra 500° e 900°C circa, possa provocare una modificazione
della microstruttura, su scala locale, detta sensibilizzazione dell'acciaio, con il conseguente ri-
schio di corrosione intergranulare in esercizio.
Ancora, per temperature comprese tra 550° e 650°C, si possono evidenziare negli acciai microle-
gati, fenomeni di precipitazione e coalescenza di nitruri e carburi.
A temperature più elevate, le fasi - particolarmente i carburi precipitati - entrano in soluzione; per
gli acciai ciò avviene a partire dall'isoterma 1200°C fino al bordo della zona fusa. Durante il raf-
freddamento relativamente rapido dei cicli di saldatura, la riformazione dei carburi può avvenire
solo parzialmente. In particolare questo fenomeno può dare luogo, negli acciai al cromo - molib-
deno, destinati all'esercizio ad elevata temperatura in impianti petrolchimici, ad una suscettibilità
all'attacco da idrogeno. Questo elemento proveniente dai fluidi di processo reagisce infatti con il
carbonio, non più stabilmente legato al cromo in quanto carburi di cromo sono stati disciolti.
Negli acciai inossidabili austenitici stabilizzati (come, ad esempio, i tipi AISI 321, 347 e 348),
nella parte della zona termicamente alterata portata a temperatura più elevata (> 1300°C) può
formarsi un precipitato eutettiforme fra carburi di cromo e stabilizzanti (tipicamente, titanio, niobio
o tantalio) che costituisce una stretta fascia sensibilizzata - compresa tra l'isoterma 1250°C e
quella della zona fusa - suscettibile a caldo, in ambiente corrosivo nitrico, ad un attacco corrosivo
intergranulare detto a lama di coltello.
Infine, nel caso di saldature eterogenee fra acciai inossidabili austenitici ed acciai al cromo - mo-
libdeno operanti ad elevata temperatura, la fascia della zona termicamente alterata prossima alla
linea di fusione dove i carburi siano stati disciolti e non riformati, può divenire luogo di una migra-
zione del carbonio verso la zona fusa stessa con decarburazione e con variazioni della composi-
zione chimica e delle proprietà meccaniche.
Per gli esami delle variazioni strutturali, l'esame macroscopico è generalmente insufficiente per
cui si ricorre ad esami di microscopia ottica ed elettronica con l'ausilio di microsonde.
L'effetto termico e le variazioni chimico - fisiche strutturali inducono, di regola, importanti variazio-
ni delle proprietà meccaniche della zona termicamente alterata rispetto a quelle del materiale ba-
se inalterato.
Invecchiamento (aging)
Nelle leghe ferrose a struttura cubica a corpo centrato una deformazione plastica può dar luogo,
per effetto di un successivo riscaldamento a temperature fino a 350°C, ad un fenomeno di invec-
chiamento con successiva diminuzione della tenacità del materiale, cioè spostamento della curva
di transizione della resilienza verso temperature più elevate.
Il riscaldamento dovuto al ciclo termico di saldatura nella zona del materiale base compresa fra le
66
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
isoterme relative ad 80°C ed a 350°C, piuttosto estesa ai due lati del giunto, è tale da indurre un
grado di invecchiamento tanto maggiore quanto più il materiale risulti incrudito.
Ciò spiega perché, in molte specifiche di costruzione (particolarmente nel casi di strutture di car-
penteria e caldereria), sia vietato eseguire saldature in prossimità di lembi cesoiati o di fori punzo-
nati, in presenza di deformazione plastica dovuta alla tranciatura o punzonatura, così come anche
in prossimità di parti deformate a freddo, senza aver prima rimosso l'incrudimento delle parti con
trattamenti termici o lavorazioni meccaniche.
L'utilizzo di acciai antinvecchianti, caratterizzati da una curva di transizione della tenacità spostata
verso bassi valori di temperatura, non elimina il fenomeno dell'invecchiamento ma lo rende meno
pericoloso, in quanto il materiale mantiene, di regola, una sufficiente tenacità alle temperature di
esercizio.
Tipico degli acciai a struttura ferritico - perlitica è poi il cosiddetto invecchiamento per deformazio-
ne (strain - ageing): le tensioni interne di saldatura provocano microdeformazioni plastiche del
materiale che favoriscono il successivo invecchiamento per l'effetto termico delle passate succes-
sive. Questo fenomeno si verifica soprattutto negli incroci di saldature, dove il calore della secon-
da saldatura agisce sulla zona termicamente alterata della saldatura precedente; esso interessa
una zona di materiale più ampia se l'incrocio non avviene ad angolo retto ma acuto oppure se una
saldatura eseguita in prossimità e parallelamente ad altra saldatura precedente.
In molti regolamenti, le zone di incrocio - a T o a croce - e la distanza fra saldature parallele sono
considerate con particolare attenzione; per esse si richiedono, talvolta, trattamenti termici interme-
di, per eliminare le tensioni interne dovute alla prima saldatura, o finali per rigenerare le zone in-
vecchiate.
Oltre che negli incroci, il fenomeno dell'invecchiamento si verifica anche nella saldatura a passate
multiple di spessori elevati (> 50 ÷ 80 mm). La parte centrale del giunto, soggetta a compressione
per gli sforzi di ritiro trasversali ed a cicli termici invecchianti in corrispondenza di ognuna delle
passate successive, può subire un notevole infragilimento: esso avviene sia nella zona termica-
mente alterata del materiale base sia nella zona fusa delle passate precedenti, la quale si com-
porta come una zona termicamente alterata per le passate successive.
Pertanto, nella saldatura di tali spessori sono previsti, talvolta, trattamenti termici di distensione
intermedi e, comunque, l'uso di materiali antinvecchianti, con controlli del tenore di azoto del ma-
teriale base e di ossigeno del materiale d'apporto.
Addolcimento (softnening)
In materiali forniti allo stato incrudito ma non invecchianti (ad esempio, alcune leghe di alluminio e
rame, acciai inossidabili austenitici) l'effetto termico della saldatura provoca una diminuzione o
addirittura la scomparsa dell'incrudimento con rigenerazione (recupero) del reticolo cristallino, per
effetto dell'eliminazione degli addensamenti di dislocazioni o, a temperature più elevate, la ricri-
stallizzazione in zone vicine alla zona fusa.
Questi riassestamenti provocano una sorta di addolcimento della microstruttura, con aumento
67
Metallurgia generale e della saldatura
16
È’ il caso delle leghe alluminio-magnesio, secondo la norma UNI 8634.
68
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
se localizzato in una zona ristretta vicino al giunto non ha importanza determinante sulla capacità
complessiva di carico del giunto saldato: le parti prossime, cioè la zona fusa e il materiale base, a
resistenza superiore, limitando la strizione, aumentano la resistenza della zona addolcita.
Esiste un concreto pericolo solamente quando, in relazione allo spessore, la zona addolcita ha
una larghezza consistente.
Negli acciai a struttura cubica a corpo centrato si può osservare, in relazione alle strutture forma-
tesi, una variazione di tenacità nella zona termicamente alterata rispetto al materiale base.
Nel caso degli acciai al carbonio, nella zona posta ad una distanza dalla linea di fusione maggiore
dell'isoterma di trasformazione, dove si può verificare la coalescenza della cementite, la perdita di
tenacità è limitata o nulla. Nella zona compresa tra la zona fusa e l'isoterma di trasformazione, nel
caso di acciai a tenore di carbonio elevato, nel campo compreso tra le isoterme delle temperature
AR1 e AR3, si può rilevare una fragilizzazione in quanto in questo campo si trasforma solamente la
perlite e si ottiene austenite ad elevato tenore di carbonio che, nel raffreddamento, può temprare
con formazione di strutture fragili e dure.
Per questo motivo nella saldatura di acciai ad elevato carbonio è importante ridurre la velocità di
raffreddamento (ΔT8/5) con opportuni preriscaldi.
Per valori di temperatura superiori ad AC3, tutto il materiale base è trasformato in austenite ed il
tipo di struttura finale risulta correlata con la velocità di raffreddamento.
Per gli acciai al carbonio e microlegati, di medio e piccolo spessore, in normali condizioni di salda-
tura la struttura è quella di un acciaio che abbia subito un trattamento di normalizzazione: grano
fine e buona tenacità, spesso superiore a quella del materiale base. La tenacità può risultare infe-
riore solo per gli acciai termomeccanici e bonificati in cui si possono verificare, come detto, rile-
vanti fenomeni di addolcimento.
La velocità di raffreddamento, negli acciai a maggiore spessore o più legati, comporta la formazio-
ne parziale o totale di strutture di tempra, per le quali opportuno effettuare un successivo tratta-
mento termico di rinvenimento - distensione al fine di riportare i valori di tenacità a valori accetta-
bili17. Per tutti i casi indicati precedentemente, la verifica della qualità del giunto è svolta prelimi-
narmente con l'effettuazione di prove meccaniche e, quando necessario, con prove di rottura fra-
gile nella zona termicamente alterata.
Il fenomeno della criccabilità nella zona termicamente alterata dei giunti saldati è, in genere, molto
pericoloso, sia per la possibile estensione dei difetti, sia per le possibilità di innesco di rottura fra-
gile.
Morfologicamente, si possono distinguere due tipi di cricche: longitudinali e trasversali.
17
Lo studio di queste trasformazioni può essere svolto sulla base delle curve TRC dell'acciaio.
69
Metallurgia generale e della saldatura
Cricche longitudinali
Questo tipo di cricca si forma nella zona termicamente alterata che ha subito tempra; pertanto,
vicino alla linea di fusione, negli acciai ferritico - perlitici (se il ciclo termico stato abbastanza seve-
ro) e negli acciai martensitici.
Le cricche seguono il bordo del cordone, sia per saldature testa a testa che in quelle d'angolo, e
sono chiamate, pertanto, cricche sotto cordone.
Dal momento che si formano a trasformazione ultimata (fino a circa 48 ore dall'esecuzione della
saldatura) prendono anche il nome di cricche a freddo.
Le condizioni che determinano il verificarsi delle cricche a freddo sono estesamente trattate al
punto 4.3..
Un caso particolare di cricche longitudinali nella zona termicamente alterata é quello degli strappi
lamellari, la cui formazione è fortemente legata alle caratteristiche del materiale base. Gli strappi
lamellari sono estesamente trattati al punto 4.4.
Cricche trasversali
Le cricche trasversali sono dovute generalmente all'azione degli sforzi di ritiro longitudinali di sal-
datura su zone infragilite.
Esse possono essere originate da difetti di preparazione dei lembi: ad esempio, l'azione dell'ossi-
taglio su acciai tempranti, che può aver prodotto piccole cricche di tempra normali al lembo. Que-
ste cricche, se non rifuse durante l'esecuzione del giunto possono progredire sotto l'effetto degli
sforzi di ritiro anche nel materiale base arrestandosi fuori della zona termicamente alterata.
In maniera analoga, lembi di acciai dolci fortemente incruditi da azioni di cesoiatura ed invecchiati
per effetto termico possono favorire la formazione di questi difetti.
In acciai ad elevata resistenza, con tensioni di ritiro longitudinali particolarmente pronunciate, le
cricche a freddo, originatesi in zona fusa con carattere trasversale, possono progredire in zona
termicamente alterata. Questi difetti sono pure trattati al punto 4.3.
Cricche trasversali si possono sviluppare in zona termicamente alterata anche per effetto:
− di agenti corrosivi, sotto l'effetto degli sforzi di ritiro longitudinali; ad esempio: cricche da at-
tacco caustico in caldaie ad acqua non correttamente trattata;
− della fatica unita agli sforzi di ritiro; in questo caso, le cricche si originano da piccoli inneschi,
come irregolarità di maglia, microcricche, cricche di liquazione, ecc., presenti nella zona ter-
micamente alterata in prossimità della zona fusa. Varie tecniche operative (quali ad esempio
la rifusione dei margini del cordone con processo TIG o la loro aggiustatura con opportune
frese) tendono ad eliminare questi piccoli difetti, spesso inevitabili in molti procedimenti di
saldatura, per accrescere la resistenza a fatica delle strutture saldate.
70
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
4.3.1. Generalità
L'idrogeno è un gas la cui molecola composta da due atomi; in forma ionizzata H+ possiede il nu-
cleo atomico di minori dimensioni per cui diffonde molto facilmente.
L'idrogeno è un gas contenuto in piccole quantità nell'aria; in saldatura si forma per dissociazione,
nell'arco elettrico, dell'acqua e di alcuni composti organici.
Pertanto, le principali fonti di questo elemento in saldatura possono essere:
− l'umidità presente sui lembi da saldare o contaminazioni di sporcizia, vernici o sostanze orga-
niche (grassi ed oli);
− l'acqua di cristallizzazione del legante usato nel rivestimento degli elettrodi o dei flussi o da
vapore dovuto alla presenza di sostanze organiche in essi contenute;
− l'inefficace protezione del bagno di fusione da parte del gas protettivo in procedimenti a filo
continuo o la presenza di umidità in questi gas; si prescrive infatti, che il gas abbia una tem-
peratura di rugiada inferiore ad un dato valore18 ma anche con gas ben secchi si possono
verificare eventuali perdite del circuito di acqua di raffreddamento.
L'idrogeno presente nell'atmosfera d'arco può sciogliersi localmente nel bagno fuso.
La figura 4.16a rappresenta il diagramma di Sievert relativo alla solubilità dell'idrogeno nell'ac-
ciaio: la solubilità massima è nel liquido e diminuisce a solidificazione avvenuta. Nella struttura del
ferro gamma la solubilità dell'idrogeno è superiore in quanto la struttura cubica a facce centrate
favorisce soluzioni interstiziali; essa risulta invece molto inferiore nel ferro alfa, che presenta reti-
colo cubico a corpo centrato, dove gli spazi nella cella sono limitati. D'altra parte, la mobilità (o
18
E' noto, infatti, che la temperatura di rugiada è in stretta relazione con il contenuto di vapore d'acqua di un gas o di una
miscela.
71
Metallurgia generale e della saldatura
diffusività) dell'idrogeno è invece maggiore nel ferro alfa dove gli spazi sono meglio distribuiti che
nel ferro gamma (figura 4.16b).
La mobilità dell'idrogeno risulta accresciuta nelle zone soggette a deformazioni plastiche, in quan-
to, date le piccole dimensioni, il suo spostamento è favorito dal movimento delle dislocazioni.
In fase di solidificazione, gli ioni H+, riassociandosi come molecola, formano piccole bolle che, in
caso di elevata velocità di saldatura, rimangono intrappolate nel materiale solidificato dando luogo
a microporosità. Un caso tipico è la formazione di microporosità nelle leghe di alluminio particolar-
mente col procedimento MIG.
L'idrogeno, a raffreddamento avvenuto, data la velocità di raffreddamento della saldatura, rimane
intrappolato in soluzione sovrassatura nel metallo solidificato: tale sovrassaturazione è maggiore
nel ferro alfa che in quello gamma.
L'effetto dannoso dell'idrogeno è legato alle sue spiccate capacità fragilizzanti dovute al fatto che,
allo stato atomico, esso è in grado di entrare molto facilmente in soluzione interstiziale e di diffon-
dere all'interno dei reticoli cristallini.
Strutture che godono di ampi margini di deformabilità plastica, come ad esempio le strutture cubi-
che a facce centrate, sono molto meno sensibili alla fragilizzazione da idrogeno. Viceversa, strut-
ture che per loro natura hanno ridotti margini di deformabilità plastica, come ad esempio le struttu-
re tetragonali della martensite negli acciai al carbonio, risultano sensibili alla fragilizzazione anche
con apporti di idrogeno in saldatura molto ridotti.
La figura 4.17 fornisce l'indicazione qualitativa dell'idrogeno presente, a fine saldatura con diversi
procedimenti nel ferro alfa solidificato. Il tenore di questo elemento (espresso in cm3 per 100 g di
metallo depositato) è determinato con prove convenzionali, come ad esempio quelle previste nel-
la norma UNI 9937-1991 "Metodo per la determinazione dell'idrogeno diffusibile nel metallo depo-
sitato con saldatura ad arco".
L'idrogeno presente in forma ioniz-
zata nel metallo, in soluzione so-
vrassatura, tende a diffondere verso
le superfici del pezzo e verso zone
ove la sovrassaturazione è minore:
durante tale migrazione, se incontra
dei vuoti (come ad esempio- inclu-
sioni, spazi lasciati liberi nel ritiro di
fasi aventi coefficienti di dilatazione
termica maggiori dell'acciaio) esso
vi si concentra e si ricombina come
idrogeno molecolare (H2).
L'idrogeno continua a fluire in questi
Figura 4.17 - Idrogeno diffusibile(in ml/100 g) associato a vuoti fino a che la pressione del gas
varie tipologie di consumabile e processo
appare in equilibrio con quella par-
72
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
ziale degli ioni in soluzione. Tale pressione è tanto maggiore quanto più gas è presente nella so-
luzione sovrassatura e quanti meno vuoti sono presenti nel metallo; inoltre essa è maggiore se è
presente una deformazione plastica che, con il movimento delle dislocazioni, accelera la migra-
zione dell'idrogeno.
L'idrogeno giunto in superficie evolve nell'atmosfera e la concentrazione del gas in soluzione so-
vrassatura nel metallo - detto idrogeno diffusibile - diminuisce; anche la sua pressione parziale
diminuisce e così la pressione del gas ricombinato, in equilibrio con essa, nelle cavità.
Dopo un tempo sufficientemente lungo non esiste più idrogeno diffusibile ma solamente quello
disciolto nell'acciaio o stabilmente presente, a bassa pressione, nelle cavità: esso, definito idroge-
no residuo, generalmente è innocuo e può essere estratto dal metallo ad alta temperatura sotto
vuoto.
Il tempo di evoluzione completa dell'idrogeno diffusibile è molto lungo e dipende essenzialmente
dalla temperatura e dallo spessore del pezzo.
Preriscaldi e postriscaldi ne facilitano l'eliminazione, così come le passate successive riducono la
presenza di idrogeno nelle passate precedenti.
Nel campo degli acciai ferritici un trattamento termico postsaldatura di rinvenimento/distensione
elimina tutto l'idrogeno diffusibile mentre il trattamento di normalizzazione, portando il materiale in
campo austenitico (che presenta buona solubilità nei confronti dell'idrogeno), determina condizio-
ni di limitata diffusibilità dello stesso che quindi rimane intrappolato in soluzione sovrassatura du-
rante il successivo raffreddamento.
A parte il caso di spessori molto piccoli, l'evoluzione completa dell'idrogeno diffusibile, a tempera-
tura ambiente, richiede da alcune settimane ad alcuni mesi.
Nella zona fusa, quando è presente una struttura ferritico - perlitica e non sono presenti elevati
livelli di tensioni e forte triassialità, gli effetti nocivi dell'idrogeno diffusibile sono abbastanza limita-
ti.
Un primo effetto è la tendenza all'infragilimento delle zone prossime alle cavità dove si è fissato lo
ione idrogeno; all'interno di esse si crea una pressione che provoca uno stato triassiale di tensioni
nelle zone circostanti la cavità.
L'idrogeno presente, inoltre, in soluzione sovrassatura, determina distorsioni reticolari con limita-
zione dei piani di scorrimento e riduzione della tenacità.
Se il materiale è sottoposto a deformazioni plastiche importanti, queste trasportano ancora più
idrogeno per cui si possono determinare rotture, per lo più di piccola estensione, in corrisponden-
za delle aree circostanti le zone di maggior triassialità e concentrazione di ioni idrogeno.
Questa è l'origine dei cosiddetti fiocchi, nelle provette di trazione longitudinale, ricavate nella zona
fusa; essi si formano con il superamento del limite elastico e l'inizio del processo di strizione; que-
sti fiocchi diminuiscono le capacità di deformazione del materiale falsando i risultati della prova
73
Metallurgia generale e della saldatura
(figura 4.18).
I fiocchi sono tanto più temibili quanto prima si
esegue, dopo saldatura, la prova di trazione e,
paradossalmente, sono più frequenti nel deposito
di elettrodi a rivestimento basico che in quello di
elettrodi acidi o rutili. Ciò è dovuto al fatto che, pur
essendo il tenore di idrogeno assai minore nel
deposito degli elettrodi basici, esso appare più
compatto, quindi, con minor numero di microporo-
sità nelle quali si instaura quindi una maggiore
pressione parziale del gas.
Per evitare la formazione di questi difetti, che ren-
74
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
tata mediante prove di trazione o di piegamento trasversali alla saldatura; invece, nelle prove di
trazione o di piegamento longitudinali le microcricche da idrogeno, si uniscono fra loro formando
rotture macroscopiche.
Nella pratica, risulta opportuno prendere precauzioni (ad esempio, preriscaldi e postriscaldi) tutte
le volte che si usino procedimenti suscettibili di apportare più di 10÷15 cm3 di idrogeno diffusibile
in 100 g di deposito, se si saldano acciai, anche a basso carbonio, di spessore superiore a 15÷20
mm.
Inoltre, prima di eseguire deformazioni plastiche a freddo su parti saldate (anche con procedimen-
ti ad idrogeno diffusibile relativamente basso) occorre lasciare il tempo di attuarsi all'evoluzione
dell'idrogeno o occorre procedere a trattamenti di deidrogenazione o rinvenimento/distensione.
Infine, quando la zona fusa presenta anche parzialmente strutture di tempra fragili, data anche la
presenza di tensioni residue di elevato livello e di triassialità, l'idrogeno può provocare le cricche a
freddo in zona fusa trattate successivamente.
Particolare importanza assume l'effetto dell'idrogeno nella saldatura di acciai che, durante la sal-
datura stessa, presentino fenomeni di tempra. In conseguenza del ciclo termico di saldatura, una
parte della zona termicamente alterata è portata in campo austenitico, durante la fase di riscalda-
mento, e quindi, nel raffreddamento, si trasforma in funzione dell'effetto combinato dell'apporto
termico, degli spessori saldati e della temperatura iniziale dei pezzi.
Questa trasformazione avviene in vari stadi: per una data posizione dell'arco elettrico (figura
4.19), si considerano le cinque zone indicate con 1, 2, 3, 4, 5:
− zona 1: nel materiale base, costituita da austenite non ancora trasformata;
− zona 2: situata dietro l'isoterma TB corrispondente alla temperatura di trasformazione: la tra-
sformazione del materiale base è gi avvenuta o in corso;
− zona 3: la zona fusa vera e propria;
− zona 4: il materiale depositato si trova in fase austenitica;
− zona 5: posta dietro l'isoterma TF, il materiale depositato si è trasformato.
E' importante notare che TF e TB possono non
coincidere e si dovrà ritornare su questo partico-
lare per spiegare il passaggio dell'idrogeno dal
metallo fuso verso il metallo base.
I fenomeni di criccabilità a freddo sono influenza-
ti dal tipo di acciaio e precisamente dalle caratte-
ristiche del diagramma dei diagrammi CCT della
zona fusa e del metallo base (e quindi della
ZTA) e dalla sensibilità della martensite all'infra-
gilimento da idrogeno. Figura 4.19 - Sezione longitudinale di un giunto
e regioni di trasformazione
Il tenore di carbonio dell'acciaio ha una netta
75
Metallurgia generale e della saldatura
76
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
ne al raffreddamento della zona termicamente alterata cominci dalla periferia e prosegua verso la
zona fusa. Il movimento di questo fronte di trasformazione avviene in senso opposto a quello del
fronte di diffusione dell'idrogeno per cui l'austenite che tempra in prossimità della linea di fusione
più ricca in idrogeno.
Quando una struttura austenitica, satura o sovrassatura di idrogeno, si trasforma in martensite,
dal momento che il reticolo di quest'ultima è di tipo tetragonale distorto ed i piani di scorrimento
sono in numero minore rispetto a quelli del reticolo cubico a corpo centrato, l'infragilimento causa-
to dall'ulteriore distorsione formata dalla presenza degli ioni H+ in soluzione diventa massimo.
Se il tenore di idrogeno presente all'atto della trasformazione è elevato, la formazione delle cric-
che diviene immediata, appena raggiunta al raffreddamento una temperatura sufficientemente
bassa (100÷150°C): per tale motivo questo tipo di cricca è denominato cricca a freddo: infatti le
tensioni prodotte dalla saldatura e dalle trasformazioni sono sensibili, anche senza vincoli esterni,
e del tutto sufficienti a innescare le cricche sfruttando l'effetto di intaglio dovuto alle microdifettosi-
tà presenti.
Se invece il tenore di idrogeno, presente all'atto della trasformazione, non è elevato, la formazio-
ne delle cricche non è più immediata in quanto è richiesto l'addensamento degli ioni H+ in corri-
spondenza delle zone a maggiore concentrazione di tensioni. Poiché la migrazione degli ioni ri-
chiede un certo tempo, può accadere che la formazione delle cricche avvenga con sensibile ritar-
do (fino a 48 ore) rispetto al termine della saldatura: per questo motivo queste cricche a freddo
sono chiamate, in particolare, cricche ritardate (delayed cracking).
Un simile ritardo può essere molto pericoloso in quanto le cricche si possono formare dopo l'ese-
cuzione dei controlli non distruttivi eseguiti dopo la saldatura. Pertanto, quando si pensa possa
sussistere il pericolo della formazione di cricche a
freddo, l'esperienza consiglia di prevedere l'effet-
tuazione di controlli con un sufficiente ritardo ri-
spetto all'esecuzione della saldatura program-
mando opportunamente le fasi costruttive.
Un caso tipico di formazione di cricche a freddo Figura 4.21a - Influenza degli effetti di inta-
glio sulla criccabilità a freddo
riguarda la saldatura di acciai tempranti eseguita
da un solo lato con una prima passata senza ri-
presa; la prima passata crea al vertice un intaglio
verso cui l'idrogeno, se presente, migra provo-
cando cricche che si dipartono da questo intaglio
(figura 4.21a).
Analoghe sono le cricche che si formano al mar-
gine di cordoni d'angolo (figura 4.21b), estenden-
dosi sotto il cordone stesso; queste cricche sono
dette: cricche marginali (toe cracks).
Figura 4.21b - Esempio di cricca a freddo nel-
Quando tutta la zona termicamente alterata ap- la saldatura di giunti a cordoni d'angolo
77
Metallurgia generale e della saldatura
pare temprata ed infragilita, la formazione delle prime cricche, aumentando l'effetto d'intaglio e
sotto l'effetto delle tensioni di ritiro, può provocare cricche di notevoli dimensioni, talvolta con un
vero e proprio distacco di tutta la saldatura.
Le tensioni di ritiro che provocano le estese cricche longitudinali sono quelle trasversali; pertanto
la formazione di cricche a freddo diventa particolarmente temibile nelle saldature di pezzi vincola-
ti, nella saldatura di chiusura di giunti complessi nei quali le precedenti saldature costituiscono
vincolo, nelle passate dal secondo lato di giunti a T o a croce (vincolate e sottoposte al ritiro delle
passate eseguite sul primo lato). Si deve notare, infine, che uno dei massimi vincoli si realizza
nelle riparazioni di saldature già eseguite.
Quando, nella saldatura degli acciai, la composizione della zona fusa ed il ciclo termico di salda-
tura sono tali da dare luogo a strutture di tempra in zona fusa, l'idrogeno presente in zona fusa
induce la formazione di cricche a freddo con il medesimo meccanismo delle cricche della zona
termicamente alterata19. In questo caso, dal momento che, a causa della formazione di strutture
di tempra, la zona fusa permane in fase austenitica fino a temperature relativamente basse, la
migrazione degli ioni idrogeno verso la zona termicamente alterata risulta modesta.
Nella zona fusa le tensioni di ritiro predominanti sono quelle longitudinali (di autovincolo) e pertan-
to le cricche che si formano sono trasversali e possono raggiungere il bordo della zona termica-
mente alterata o interessarne le zone più prossime alla zona fusa.
La formazione di questo tipo di cricche determina un rilassamento su scala locale, a fenomeno
avvenuto, delle tensioni di ritiro
nella zona circostante, per cui, di
solito, le cricche sono distanziate
fra loro di alcuni centimetri. Anche
queste cricche possono formarsi
con un certo ritardo rispetto alla
operazione di saldatura, per cui si
possono verificare gli inconvenien-
ti descritti al punto precedente.
Le cricche a freddo in zona fusa,
essendo trasversali, non sono mai
molto estese ma possono essere
numerose. Se alla temperatura di
esercizio le condizioni di tenacità
del materiale sono critiche - in
Figura 4.22 - Schema della prova CTS
genere, un materiale temprabile o
19
E’ tipicamente il caso degli acciai basso-legati bonificati, che sono saldati con metalli d’apporto aventi caratteristiche di
temprabilità equivalente al metallo base.
78
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
temprato è in tali condizioni - sotto l'effetto degli sforzi di ritiro queste cricche trasversali possono
innescare rotture fragili anche con basse tensioni di servizio.
Per lo studio della criccabilità a freddo e la verifica della possibilità che questi difetti si presentino
per un dato procedimento su un particolare tipo di acciaio, sono state messe a punto alcune pro-
ve a carattere tecnologico: tra le più utilizzate vi sono la prova CTS, messa a punto in Inghilterra e
la prova Tekken, messa a punto in Giappone.
La prove CTS (Controlled Thermal Severity), schematizzata in figura 4.22, studia il comportamen-
to di cordoni d'angolo soggetti a diversi cicli di raffreddamento: bitermici, (cordone C1) ovvero con
due vie di smaltimento del calore, e tritermici (cordone C2) ovvero con tre vie di smaltimento del
calore. Per tale motivo essa è
denominata "a severità termica
controllata". Lo spessore della
lamiera è, spesso, pari a mezzo
pollice (12,5 cm) ed il vincolo
realizzato mediante un bullone
centrale e due cordoni di anco-
raggio.
La prova Tekken, schematizza-
ta in figura 4.23 utilizza un sag-
Figura 4.23 - Schema della prova Tekken
gio testa a testa, di spessore
pari ad un pollice, preparazione a Y e distacco tra i lembi. Su questo saggio, fortemente vincolato
nei confronti del ritiro trasversale, viene depositata una prima passata al fondo del cianfrino, la cui
forma dà luogo ad un notevole effetto di intaglio.
In entrambe le prove, 48 ore dopo la saldatura, si verifica, con un esame macrografico, l'assenza
di cricche a freddo. Per lo studio e la messa a punto di procedimenti di saldatura - studio di cicli
termici, tenori limite di idrogeno, grado di vincolo o tensioni compatibili con l'assenza di cricche -
si utilizza, invece, una prova di laboratorio denominata Implant (figura 4.24). Questa prova, ogget-
79
Metallurgia generale e della saldatura
to della norma UNI 10149-1994 “Giunti saldati. Metodo di prova Implant”, fa uso di un cilindretto di
acciaio chiamato Implant20 prelevato mediante lavorazione meccanica da un saggio dell'acciaio al
quale si deve applicare il processo per il quale si vuole determinare la sensibilità alla criccabilità a
freddo; su questo cilindro è praticato un intaglio il cui vertice interessa le zone critiche della zona
termicamente alterata; il cilindro viene poi inserito in un foro calibrato praticato in una piastra di
supporto, in modo tale che l'estremità, in prossimità della quale viene praticato l'intaglio, affiori
sulla superficie della piastra.
Su quest'ultima è depositato, in condizioni accuratamente controllate, un cordone di saldatura; la
penetrazione del cordone di saldatura deve essere tale che l'intaglio venga ad interessare la fa-
scia a grano ingrossato della zona termicamente alterata.
Al termine della saldatura e prima del raffreddamento completo del cordone, l'inserto (implant) è
sottoposto ad una sollecitazione costante di trazione che rappresenta l'insieme delle tensioni di
ritiro e dei carichi esterni. Se al termine del tempo di mantenimento del carico prefissato non è
avvenuta una rottura, la provetta viene scaricata ed esaminata al microscopio metallografico, do-
po opportune sezionature e preparazione delle superfici, per accertare l'eventuale presenza di
cricche a freddo.
Per determinate condizioni di ciclo termico e di tenore di idrogeno esiste un valore critico della
tensione di trazione (σCR) (al di sopra del quale si ha la formazione di cricche a freddo. I diagram-
mi dei valori di (σCR) in funzione della velocità di raffreddamento e del tenore di idrogeno permet-
tono di determinare le condizioni di saldatura tali da garantire la piena sicurezza.
Da quanto illustrato nei punti precedenti, si deduce che le cricche a freddo richiedono, per la loro
formazione, tre fattori concomitanti:
− tensioni di autovincolo (ritiro) o di vincolo;
− presenza di idrogeno;
− struttura di tempra.
Per evitare il pericolo della loro formazione è dunque necessario ridurre o eliminare almeno uno di
questi tre fattori:
− le tensioni di ritiro non sono mai completamente eliminabili; possono tuttavia essere ridotte
con l'adozione di opportune sequenze di saldatura o di montaggio, rendendo in tal modo me-
no critica l'azione degli altri due fattori;
− l'effetto nocivo dell'idrogeno è dato da due parametri: la quantità dell'idrogeno potenziale e la
sua possibilità di evoluzione nel giunto.
Il primo parametro è legato ai tipi di consumabile (ad esempio il rivestimento degli elettrodi
rivestiti o il flusso per arco sommerso) usati ed alle relative condizioni di conservazione (allo
scopo, e necessario adottare adeguate procedure che prevedono l'effettuazione di trattamen-
ti di essiccazione ed il rispetto di corrette condizioni di mantenimento).
20
Cioè inserto, in lingua francese.
80
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
81
Metallurgia generale e della saldatura
4.4.1. Generalità
Gli strappi lamellari sono un tipo di cricca, caratteristico della saldatura di prodotti laminati, che si
genera quando il materiale viene sollecitato a trazione in direzione parallela allo spessore
(direzione del traverso corto).
Gli strappi lamellari sono localizzati nella zona termicamente alterata o nel vicino materiale base.
La caratteristica disposizione a gradini (terrazze) più o meno paralleli alla superficie di laminazio-
ne (figura 4.26a), distingue questo difetto dalle cricche a freddo sotto cordone e dalle cricche da
trattamento termico. Le superfici di frattura presentano un tipico aspetto legnoso e fibroso, conse-
guente alla particolare rottura a bassa duttilità.
I fattori che principalmente favoriscono il manifestarsi di questo difetto sono:
− geometria del giunto, tale che il contorno della zona fusa sia praticamente parallelo alla su-
perficie del laminato, in modo che le tensioni di ritiro agiscano nella direzione del traverso
corto;
− materiale con forte anisotropia delle caratteristiche di deformabilità: in tal caso il materiale
può presentare una duttilità, nella direzione dello spessore, insufficiente a sopportare con-
centrazioni di tensioni e deformazioni;
− tensioni e deformazioni localizzate e di notevole entità, sviluppate da giunti saldati fortemen-
te vincolati, a seguito dei ritiri durante il raffreddamento; esse sono tanto più importanti quan-
to più il particolare costruttivo ha rigidezza elevata ed il volume della zona fusa ampio.
La formazione degli strappi lamellari (figura 4.26b) può essere considerata un processo a due
fasi. Dapprima una sollecitazione in direzione dello spessore, in corrispondenza di inclusioni o
gruppi di inclusioni, produce microcavità, originate sia da decoesioni all'interfaccia matrice/
inclusioni, sia da rotture delle inclusioni stesse; in genere, le inclusioni più suscettibili sono i silicati
di manganese ed alluminio, derivati dal processo di disossidazione dell'acciaio ed allungati duran-
te la successiva laminazione. Molto meno pericolosi, in questa fase, sono i solfuri di manganese,
che agiscono come nuclei primari di criccatura solo in presenza di altri inneschi.
82
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
Figura 4.26a - Schema di uno strappo lamella- Figura 4.26b - Esempio di strappo lamellare
re
In certi casi nei quali gli strappi lamellari si innescano nella zona termicamente alterata, una cau-
sa concomitante può essere l'effetto fragilizzante dello ione idrogeno migrato nella ZTA e/o la for-
mazione di cricche a freddo.
Successivamente bande di deformazione plastica si concentrano entro le regioni sollecitate trias-
sialmente all'apice di ciascuna microcavità, producendo una coalescenza delle prime rotture me-
diante cricche sostanzialmente perpendicolari alle inclusioni (azione di taglio).
Pertanto, la resistenza agli strappi lamellari di un materiale può essere intesa sia come resistenza
alla formazione di cavità sia come resistenza alla criccatura vera e propria.
La prima e probabilmente più efficace misura preventiva contro gli strappi lamellari consiste nel
ridisegnare la geometria dei particolari costruttivi critici in modo da ridurre il grado di vincolo e
quindi limitare la deformazione plastica in prossimità delle saldature più vincolate, in particolare
nella direzione perpendicolare al piano di laminazione (figura 4.27).
I tipi di giunto maggiormente interessati al fenomeno (figura 4.28) sono, in ordine decrescente di
criticità:
− giunti a T a piena penetrazione con preparazione a ½V o a K, nonché i giunti a croce, che
possono essere considerati una versione ancor più critica dei giunti a T;
− giunti a L a piena penetrazione;
− giunti a T e a croce con cordoni d'angolo.
Figura 4.27 - Modifica nella preparazione dei Figura 4.28 - Tipologie di giunto con varia
lembi per limitare il rischio di strappi lamellari criticità
83
Metallurgia generale e della saldatura
Figura 4.29 - Uso di specifici semilavorati Figura 4.30 - Impiego di giunti simmetrici
Oltre ai criteri generali indicati al paragrafo precedente, sulla formazione degli strappi lamellari
deve essere sottolineata l'influenza anche del procedimento di saldatura e del materiale d'appor-
to, nonché dei parametri, della tecnica e delle sequenze di saldatura. Si può, infatti, ricordare a
tale proposito quanto segue:
− il rischio di strappi lamellari è minore, generalmente, per i procedimenti di saldatura ad eleva-
to apporto termico specifico e per quelli che utilizzano elettrodi e flussi a basso idrogeno a
causa dell'influenza dello stesso sulla criccabilità a freddo, che può innescare strappi lamel-
lari, e sulla duttilità del materiale;
− è conveniente ricorrere a materiali d'apporto aventi duttilità superiore a quella del materiale
base e snervamento inferiore; in tal modo è infatti possibile localizzare maggiormente le de-
formazioni nella zona fusa, riducendo di conseguenza le sollecitazioni sul materiale base;
− risulta molto utile l'imburratura (figura 4.31a) che consiste nel depositare sulla superficie del
pezzo, prima della saldatura vera e propria, uno strato di materiale d'apporto a basso snerva-
mento e alta duttilità, di altezza 5÷10 mm (previa eventuale asportazione di uno strato di me-
tallo base); in questo modo le tensioni di ritiro dei singoli cordoni di saldatura non agiscono
84
Metallurgia della saldatura e dei giunti saldati
La scelta del materiale è determinante soprattutto con l'aumentare dello spessore e delle caratte-
ristiche tensili. Le moderne tecniche di elaborazione degli acciai permettono di ridurre o modifica-
re lo stato inclusionale: sia mediante la globulizzazione dei solfuri con l'aggiunta di calcio sia, più
drasticamente, con una riduzione totale del contenuto di inclusioni. L'acciaio ottenuto può essere,
perciò, molto pulito: lo zolfo può avere tenori inferiori a 0,005% anche se, negli acciai tempranti,
non si desidera ridurre troppo il contenuto di zolfo in quanto le sue inclusioni possono diventare
trappole per l'idrogeno diffusibile nella zona termicamente alterata, riducendo in tale modo il peri-
colo della criccabilità a freddo.
Per valutare le caratteristiche di resistenza dell'acciaio alla formazione degli strappi lamellari si
eseguono, per lamiere aventi spessore superiore a 15 mm, prove di trazione sul traverso corto
(nella figura 4.32 sono riportate le tre tipologie di prova, rispettivamente con la saldatura di due
prolunghe - per spessori t compresi tra 15 e 100 mm, senza prolunghe - per spessori compresi tra
20 e 100 mm e tra 100 e 250 mm).
Al proposito, la norma di riferimento la UNI EN 10164: 2005 "Acciai con caratteristiche di defor-
mazione migliorate nella direzione perpendicolare alla superficie del prodotto - Condizioni tecni-
che di fornitura"; a seconda che sia interessante o meno l'esame della lamiera in prossimità della
85
Metallurgia generale e della saldatura
Figura 4.32 - Provette per la verifica della duttilità nella direzione dello spessore secondo UNI
EN 10164
superficie - come nel caso di piattabande di giunti a T - si riportano con saldatura le teste della
provetta onde lasciare, nella lunghezza utile, quasi tutto lo spessore.
In queste prove il parametro significativo è la strizione: secondo le attuali normative esso deve
essere, per una sufficiente sicurezza nei confronti degli strappi lamellari, superiore al 30%; attual-
mente, molti acciai hanno nel traverso corto strizioni del 60% o più.
La norma suddetta prescrive tre classi di lamiere, denominate Z15, Z25 e Z35 in funzione dei mi-
nimi valori di strizione garantiti nella direzione dello spessore.
Un secondo, utile riferimento è infine quello della norma UNI EN 10160: 2001 "Controllo ad ultra-
suoni delle lamiere di acciaio di spessore maggiore o uguale a 6 mm (metodo per riflessione)",
che definisce le modalità per l'esecuzione di controlli ultrasonori a campione delle lamiere secon-
do varie classi di controllo; tale norma può rappresentare quindi uno strumento in sede di defini-
zione di specifiche di fornitura di prodotti laminati, così come la precedente UNI EN 10164, ad
integrazione dei requisiti minimi previsti dalle singole normative (quali, ad esempio, la norma UNI
EN 10025 nel caso degli acciai per impieghi strutturali).
86
Imperfezioni di saldatura
5. IMPERFEZIONI DI SALDATURA
5.1. Generalità
La definizione delle imperfezioni di saldatura riveste un ruolo determinante nella gestione della
fabbricazione di un prodotto saldato.
In termini generale, è opportuno sottolineare che, come emerso anche dai capitoli precedenti, le
imperfezioni di saldatura possono essere di due tipi:
− disomogeneità metallurgiche: si tratta di caratteristiche metallurgiche (resistenza, tenacità,
comportamento alla corrosione, ecc.) differenti rispetto a quelle desiderate o attese per un
determinata applicazione o, frequentemente, di una disomogeneità di comportamento tra
diverse zone del giunto (es. ZF e ZTA);
− discontinuità di materiale (metalliche): si tratta di mancanza di continuità del materiale, che
possono essere causate anche dalla presenza di materiale differente dal metallo saldato
(es. inclusioni)21.
Va quindi considerato che le tecniche di controllo non distruttivo possono permettere una opportu-
na individuazione delle sole discontinuità di materiale, mentre le disomogeneità metallurgiche si
individuano di solo con prove di tipo distruttivo, e pertanto richiedono in genere l’esecuzione di
prove preliminari di saldatura (controllo indiretto).
21
Queste imperfezioni di saldatura devono essere confrontate con opportuni criteri di accettabilità, stabiliti dal progettista
e/o dal codice di costruzione per il manufatto; qualora un’imperfezione ecceda il criterio di accettabilità allora si può
parlare di difetto di saldatura.
87
Metallurgia generale e della saldatura
88
Imperfezioni di saldatura
89
Metallurgia generale e della saldatura
Figura 5.4 - 1012: cricche longitudinali in zona termicamente alterata (da liquazione)
90
Imperfezioni di saldatura
Figura 5.5 - 1013 + 1012: cricche longitudinali in materiale base e zona termicamente alterata
(strappi lamellari: macrografia e micrografia)
al materiale base (es. acciai bonificati) e sono causate dalla formazione di strutture di tempra in
saldatura associate alla presenza di elevati tenori di idrogeno diffusibile e alle tensioni di ritiro
(figura 5.6).
− Cricche trasversali in zona termicamente alterata (1023): si tratta generalmente di imperfe-
zioni legate alle condizioni di esercizio o trattamento termico in congiunzione con lo stato
metallurgico e di sollecitazione della ZTA. In alternativa, si può trattare del prolungamento di
cricche a freddo trasversali in zona termicamente alterata dovute alla fragilità della zona ter-
micamente alterata (figura 5.7)
− Cricche trasversali in materiale base (1024): si tratta generalmente di imperfezioni legate alle
condizioni di esercizio o trattamento termico in congiunzione con lo stato metallurgico e di
sollecitazione causato dalla vicinanza della saldatura. In alternativa, si può trattare del pro-
lungamento di cricche a freddo trasversali in materiale base dovute alla fragilità della zona
termicamente alterata (figura 5.7)
Figura 5.6 - 1021: cricca trasversale in zona Figura 5.7 - 1021 + 1023 + 1024: cricca trasver-
fusa ( a freddo, controllo MT) sale in ZF, ZTA e m.b. ( a freddo)
91
Metallurgia generale e della saldatura
Figura 5.8 - 1047 + 1011: cricca longitudinale originata da una cricca di cra-
tere a stella
Si tratta di imperfezioni legate alla particolare condizione metallurgica che si verifica in prossimità
della fine di una passata o di un tratto di saldatura. In particolare, il ritiro del metallo durante il raf-
freddamento determina la formazione di un cratere dovuto al risucchio del materiale ancora liqui-
do da parte delle zone circostanti. Inoltre, per effetto di fenomeni di segregazione, il cratere risulta
spesso caratterizzato dalla presenza di sostanze a bassa temperatura di fusione. L’insieme di
queste condizioni metallurgiche, associato alle tensioni di ritiro, può dare luogo alla formazione di
cricche di cratere longitudinali (1045), trasversali (1046) o a stella (1047). Tale imperfezione viene
spesso ascritta a cause operative, essendo buona pratica la rimozione della stessa per rifusione o
per asportazione di mola. La figura 5.8 rappresenta una cricca longitudinale originatasi in seguito
alla propagazione di una cricca di cratere.
92
Imperfezioni di saldatura
93
Metallurgia generale e della saldatura
− pori allineati (2014): pori distribuiti lungo una linea parallela all’asse di saldatura (figura
5.12);
Figura 5.12 - 2014 + 1011: pori allineati che hanno originato una cricca longi-
tudinale
− Tarli (2016): soffiature tubolari nel metallo fuso, provocate dai gas in evoluzione, la cui for-
ma e posizione sono determinate dal modo di solidificazione e dall’origine dei gas; possono
essere raggruppate in nidi e distribuite a spina di pesce ed eventualmente possono affiora-
re alla superficie della saldatura (figura 5.13).
Si tratta di cavità dovute al ritiro del metallo durante la solidificazione; casi tipici sono le cavità di
cratere (2024), localizzate all’estremità di una passata di saldatura e non eliminate prima o duran-
te l’esecuzione della passata successiva (figura 5.14), o la cavità di ritiro terminale (2025), localiz-
zata all’estremità di una saldatura, che riduce localmente la sezione trasversale della saldatura
stessa.
E’ necessario notare che questa imperfezione, tipica anche della saldatura a filo continuo, può
essere eliminata utilizzando opportuni dispositivi detti “crater filler”, tipici dei generatori a controllo
elettronico, che depositano, al termine della passata, una goccia di materiale d’apporto in corri-
spondenza del cratere.
94
Imperfezioni di saldatura
95
Metallurgia generale e della saldatura
Altre cause possono essere il maneggio non corretto dell'elettrodo rivestito (figura 5.16) o un non
esatto posizionamento della testa saldante o come anche errati parametri della preparazione (per
esempio, angolo di apertura del cianfrino troppo stretto).
Si tratta di un’imperfezione potenzialmente grave, essendo di forma assai irregolare, frastagliata e
talvolta accompagnata da piccole cricche.
24
Le inclusioni appaiono come macchie bianche in quanto, avendo il tungsteno maggiore densità atomica, assorbe mag-
giormente le radiazioni ionizzanti rispetto all’alluminio di cui è costituto il pezzo.
96
Imperfezioni di saldatura
Figura 5.17 - 2014 + 3041: porosità allineate ed inclusioni di tungsteno (indicate dalle frecce)
97
Metallurgia generale e della saldatura
Si tratta di una differenza tra penetrazione richiesta dal progettista (nominale) e quella effettiva.
La causa principale è da ricercarsi nella cattiva preparazione dei lembi (angolo di apertura del
cianfrino troppo piccolo, spalla eccessiva, distanza tra i lembi insufficiente, livellamento) o nella
scarsa abilità del saldatore, nel caso di procedimenti di saldatura non automatici.
Generalmente il difetto è localizzato al vertice della saldatura (4021-mancanza di penetrazione al
vertice), sia in saldature testa a tesata, sia a T, sia a cordoni d’angolo (figura 5.19).
Nel caso di giunti che si possono riprendere al rovescio (lamiere), questo difetto, se è nella prima
passata, può essere eliminato con un'accurata solcatura al rovescio (rimozione di una parte del
rovescio e della prima passata per eliminare eventuali imperfezioni) prima dell'esecuzione della
passata di ripresa. Pertanto, la presenza di questo difetto nella prima passata può significare non
solo che la preparazione dei lembi non era corretta o eventualmente che il saldatore non era suffi-
cientemente abile, ma anche che la solcatura e la ripresa al rovescio non sono state eseguite con
sufficiente cura (figura 5.20).
98
Imperfezioni di saldatura
Figura 5.21 - 403: Spiking (sezione trasversale e nello spessore) nella salatura a fascio elettronico
Penetrazione estremamente irregolare, che si presenta nella saldatura a fascio elettronico e nella
saldatura laser, avente forma a denti di sega. Essa può includere cavità, cricche, cavità di ritiro,
ecc.
La causa è da ricercarsi nel moto turbolento del bagno causato dall’elevata concentrazione di
energia tipica di questi processi associata ad elevate velocità di saldatura (figura 5.21).
99
Metallurgia generale e della saldatura
100
Imperfezioni di saldatura
Si tratta di deviazioni dalle dimensioni prescritte della saldatura, cioè di mancata corrispondenza
tra le dimensioni del cordone saldato e le indicazioni della specifica, provenienti da codici di co-
struzione o da calcoli strutturali del progettista.
Secondo i parametri scorretti, si può avere:
− eccessivo spessore della saldatura (5211);
− larghezza eccessiva della saldatura (5212);
− altezza di gola insufficiente (5213);
− altezza di gola eccessiva (5214).
101
Metallurgia generale e della saldatura
Sono globuli di metallo fuso o di metallo d’apporto proiettato durante la saldatura, che aderisce
alla superficie del metallo base o al metallo di saldatura già solidificato, generalmente al lato del
cordone.
L’imperfezione si può verificare frequentemente nella saldatura manuale ad elettrodi rivestiti, a
causa di una lunghezza dell’arco eccessiva e di tecniche operatorie scadenti in genere, oppure
nella saldatura a filo continuo con gas attivo (MAG), con maggiore frequenza al crescere della
percentuale di gas ossidanti (in particolare CO2) nella miscela.
Possono comportare fenomeni di tempra, con la nascita di piccole cricche localizzate o di corro-
sione per i componenti che lavorano in certi ambienti, in quanto sono punti di possibile ristagno di
agenti corrosivi e comunque caratterizzati da alterazioni metallurgiche (si veda la corrosione elet-
trogalvanica).
102
Imperfezioni di saldatura
questo caso l'effetto di intaglio (aumento di tensione locale) cui dà luogo l’imperfezione limita no-
tevolmente la resistenza del giunto. Considerando infine il caso di costruzioni saldate che lavora-
no a bassa temperatura, appare un terzo aspetto dannoso delle imperfezioni, quello di essere
esercite in condizioni di facile innesco e propagazione delle fratture, che possono portare ad una
rottura fragile.
Da quanto sopra illustrato risulta evidente che i criteri di accettabilità dei difetti devono essere più
severi quando la costruzione saldata deve sopportare condizioni di servizio onerose, eventual-
mente aggravate dalla presenza di sollecitazioni ripetute e/o rischio di rottura fragile.
I codici e le norme più correntemente utilizzate, stabiliscono, infatti, i criteri di accettabilità dei di-
fetti sulla base dell'esperienza della non pericolosità dei difetti stessi ed hanno pertanto carattere
arbitrario e convenzionale. In questo caso, un utile riferimento per il progettista nello stabilire i
criteri di accettabilità può essere la norma UNI EN ISO 5817 “Saldatura - Giunti saldati per fusio-
ne in acciaio, nichel, titanio e loro leghe (escluso il fascio elettronico) - Livelli di qualità per le im-
perfezioni”, che fissa tre livelli di qualità per le imperfezioni:
− B: Livello di qualità elevato
− C: Livello di qualità medio
− D: Livello di qualità moderato.
Tali livelli sono riferiti alla classificazione EN ISO 6520, precedentemente trattata, e riportano, per
ogni tipologia di imperfezione, una dimensione massima accettabile.
Un approccio maggiormente rigoroso è invece fornito dall’applicazione della “meccanica della
frattura”, scienza che ha per obbiettivo l’introduzione della relazione tra dimensione e forma delle
imperfezioni presenti (condizioni di esercizio) e i parametri che caratterizzano il comportamento
del materiale nei confronti degli specifici fenomeni di rottura cui può essere soggetto.
Fra gli scopi degli studi condotti vi è quello, della determinazione del "difetto massimo ammissibi-
le", cioè delle dimensioni massime dell'imperfezione che, in funzione della sua localizzazione,
delle condizioni locali di tensione, delle caratteristiche del materiale e del servizio della struttura
considerata, risulta ancora stabile (in quanto non ha dimensioni sufficienti ad innescare una rottu-
ra catastrofica, né tende a successiva propagazione) ed è quindi accettabile. Sulla base di queste
valutazioni, il progettista risulta pertanto in grado di individuare criteri di accettabilità basati non
sull’esperienza pregressa ma su opportuni calcoli che tengono conto di tutti i parametri già citati.
Un’altra applicazione della teoria della meccanica della frattura è quella dell’”idoneità al servi-
zio” (fitness for service), che permette di valutare l’accettabilità di imperfezioni di elementi già in
servizio, valutandone caso per caso la pericolosità ed eventualmente consentendo la continuazio-
ne del servizio del componente, evitando conseguentemente le sempre onerose attività di ripara-
zione.
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Metallurgia generale e della saldatura
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