TERMODINAMICA CHIMICA
Oggetto di queste dispense è lo studio della “Termodinamica di Equilibrio” o classica. Essa pone relazioni fra le
grandezze macroscopiche che caratterizzano lo stato dei sistemi fisici, quali pressione, volume, temperatura ecc., ma
non permette di calcolare il valore di tali grandezze a partire da informazioni microscopiche. La previsione delle
proprietà termodinamiche può essere effettuata utilizzando i metodi della “Termodinamica Statistica” che lega
grandezze microscopiche a grandezze macroscopiche e rappresenta il legame fra la Termodinamica Classica e la “Fisica
Molecolare” che descrive il comportamento microscopico della materia con l’ausilio di adeguati Modelli Molecolari.
Inoltre, la trattazione svolta in questa sede si limita a considerare le condizioni di equilibrio dei sistemi fisici
senza affrontare gli aspetti che caratterizzano l’evoluzione di un sistema fuori dalle condizioni di equilibrio.
Lo sviluppo degli argomenti trattati presuppone che siano acquisiti, dai corsi di Chimica e di Fisica, i principi
fondamentali della Termodinamica, anche se i concetti essenziali vengono richiamati per una più approfondita
comprensione degli argomenti trattati.
Nella prima parte del testo vengono forniti alcuni strumenti indispensabili per impostare e risolvere molti dei
problemi che interessano l’ingegneria chimica. Vengono, quindi, presentate e discusse le grandezze e le equazioni
fondamentali della termodinamica. Una sezione apposita è dedicata allo studio delle proprietà volumetriche dei fluidi ed
alle equazioni di stato per descrivere il comportamento PVT dei gas. Al comportamento dei componenti puri segue la
trattazione delle proprietà termodinamiche delle miscele che consente di affrontare lo studio degli equilibri di fase. In
particolare viene analizzato l’equilibrio fra una fase liquida ed una fase vapore o gassosa (equilibrio L-V ed equilibrio
G-L) che sono alla base delle operazioni unitarie di distillazione e di assorbimento, rispettivamente; l’equilibrio fra due
fasi liquide (equilibrio L-L) su cui è basata l’operazione di estrazione con solvente e l’equilibrio nei sistemi reagenti
(equilibrio chimico) indispensabile per analizzare la composizione di equilibrio nei sistemi in cui avvengono reazioni
chimiche.
Il criterio seguito nella trattazione degli argomenti è conforme agli obiettivi formativi dei corsi di studio in
ingegneria chimica che devono fornire, al contempo, le competenze per un rapido inserimento nell’attività professionale
e la base scientifica per la specializzazione caratteristica della laurea magistrale. Pertanto, se da un lato i temi affrontati
sono trattati con il dovuto rigore, si è dato ampio spazio ai problemi pratici che si possono incontrare in ambito
professionale. L’assimilazione dei contenuti risulta più agevole attraverso i numerosi esempi ed esercizi proposti.
Questa impostazione è la ragione principale che giustifica la pubblicazione di un nuovo testo di termodinamica in un
panorama editoriale che vede la presenza di libri ormai classici di ben più elevata qualità ed ai quali, comunque, si
rinvia per approfondimenti.
CAPITOLO I
Considerazioni introduttive
1.1 Generalità
Il primo aspetto si può affrontare attraverso i metodi della termodinamica degli equilibri
di fase; il secondo aspetto viene comunemente analizzato con i metodi della cinetica fisica
(fenomeni di trasporto).
Anche per ciò che riguarda le reazioni chimiche ed il funzionamento dei reattori
esistono problemi analoghi: qual è la massima trasformazione di un reagente che si può
realizzare a temperatura e pressione assegnate? Qual è la conversione che si può ottenere
in un determinato tempo di reazione? Anche in questo caso la termodinamica dell’equilibrio
chimico fornisce una risposta al primo quesito mentre la cinetica chimica consente di
valutare la velocità di reazione, i tempi di contatto fra i reagenti ed, in definitiva, consente
di dimensionare il reattore o di descriverne il funzionamento. Naturalmente l’analisi di un
reattore può risultare oltremodo complessa se, alla cinetica chimica, occorre sovrapporre
considerazioni di cinetica fisica come accade quando i reagenti sono in fasi diverse o in
presenza di catalizzatori solidi.
Le basi teoriche per esprimere le condizioni di equilibrio in assenza o in presenza di
reazioni chimiche sono costituite dal 1° e dal 2° principio della termodinamica.
Per il funzionamento ottimale dell’impianto, cioè nelle condizioni più convenienti
dal punto di vista economico, di sicurezza e di salvaguardia dell’ambiente, è necessario
che le varie parti del complesso produttivo funzionino in condizioni operative
adeguatamente valutate e che gli eventuali sistemi automatici di controllo del processo
garantiscano il rapido conseguimento delle condizioni operative ottimali anche quando,
per cause accidentali, si dovessero verificare variazioni delle variabili di ingresso
nell’apparecchiatura o nel sottoimpianto.
Lo studio delle condizioni ottimali di funzionamento non riguarda solo la fase di
progettazione dell’impianto ma, inevitabilmente, coinvolge anche la conduzione del
processo produttivo. A causa della complessità del sistema, infatti, difficilmente la risposta
dell’impianto in esercizio corrisponderà esattamente a quanto previsto in fase di
progettazione. Gli ingegneri preposti alla produzione ed al servizio tecnico dell’impianto
dovranno, pertanto, continuamente verificare che la qualità e la quantità oraria del
prodotto siano quelle desiderate, dovranno proporre soluzioni per la riduzione dei
consumi di energia e l’aumento dell’efficienza energetica del processo, dovranno
programmare le fermate dell’impianto per gli interventi di manutenzione ricorrendo alle
moderne tecniche di manutenzione produttiva allo scopo di ridurre le perdite per mancata
produzione ecc. Si tratta di attività molto impegnative che, spesso, non sono basate solo
sulla preparazione scientifica dei tecnici preposti a tale scopo ma sono fortemente
condizionate dall’esperienza pratica di queste figure professionali.
Le potenzialità applicative della termodinamica di equilibrio non sono limitate
all’industria dei processi chimici ma si estendono anche a molti aspetti della
bioingegneria.
Le condizioni di equilibrio gas-liquido, ad esempio, consentono di ricavare la
solubilità nel sangue dell’ossigeno o di altri gas, a diverse pressioni o temperature.
L’utilizzo del concetto di umidità (associato all’impiego dei fenomeni simultanei di
trasporto di materia e di calore) permette di formulare modelli matematici utili al
dimensionamento ed alla scelta delle condizioni operative dei sistemi di umidificazione
utilizzati nei ventilatori polmonari.
Analogamente, le basi termodinamiche sono una componente essenziale per la
formulazione dei così detti modelli farmacocinetici che consentono di descrivere la
distribuzione di un farmaco nei vari compartimenti nei quali può essere suddiviso il corpo
umano e di rappresentare l’evoluzione nel tempo della distribuzione in relazione alle
modalità di somministrazione del farmaco.
Si dice sistema termodinamico una porzione di spazio, che in genere contiene della
materia e che è delimitata da una superficie chiusa reale o virtuale. Il sistema è separato
idealmente da tutto ciò che lo circonda ovvero dal così detto “ambiente”.
La scelta del sistema non è univoca ma dipende dal particolare problema che occorre
studiare. Si possono distinguere:
Viene detto stato (termodinamico) di un sistema l’insieme dei valori che si assegnano
ad alcune grandezze per caratterizzare le condizioni del sistema in relazione ai fenomeni
che si vogliono analizzare. Il numero ed il tipo di variabili da assegnare dipendono dal
particolare problema studiato. Dalle variabili assegnate, dette primitive, se ne possono
calcolare altre che vengono dette variabili derivate. Le relazioni che intercorrono fra
grandezze primitive e derivate che non derivano dalle leggi della termodinamica ma
dipendono dalla natura del sistema che si considera sono dette equazioni costitutive.
Quando lo stato del sistema può essere definito mediante grandezze primitive che si
riferiscono solo all’istante in cui si considera il sistema, indipendentemente dai valori
assunti da tali grandezze negli istanti precedenti, il sistema viene detto elastico. Se invece lo
stato non può essere correttamente rappresentato senza utilizzare il valore delle variabili
in intervalli più o meno lunghi precedenti l’istante di tempo considerato (storia del sistema)
il sistema è detto non elastico. Da questo punto di vista, la presenza di una derivata rispetto
al tempo fra le grandezze primitive esclude la possibilità che il sistema possa essere
considerato elastico1. A seconda dell’intervallo della lunghezza della storia necessaria a
rappresentare correttamente lo stato termodinamico, i sistemi possono essere denominati a
memoria corta o a memoria lunga. Evidentemente, un sistema elastico è un sistema a
memoria zero.
Le grandezze fisiche (primitive e derivate) si possono classificare in due gruppi2 :
Grandezze estensive: sono quelle il cui valore dipende dalla quantità
di materia contenuta nel sistema (a parità di condizioni): un esempio tipico di
grandezza estensiva è il volume totale di un sistema il cui valore, a parità di
pressione e temperatura, è tanto maggiore quanto più grande è la massa
contenuta nel sistema;
Grandezze intensive: sono quelle il cui valore non dipende dalla
quantità di materia contenuta nel sistema: esempi tipici di grandezze intensive
sono la pressione, la temperatura, la densità ed, in generale, tutte le altre
grandezze specifiche (volume specifico ecc.)
Si intende per trasformazione la variazione nel tempo dello stato del sistema. Essa è
detta reversibile quando la funzione che la rappresenta è invertibile rispetto al segno della
variabile temporale cioè, in altre parole, quando si può invertire il verso dell’evoluzione
mediante una variazione infinitesima delle condizioni esterne. In caso contrario la
trasformazione è detta irreversibile. Una trasformazione reversibile si può considerare come
una successione di stati di quasi-equilibrio.
Pur essendo del tutto arbitrario il percorso che si può seguire in una generica
trasformazione, alcune trasformazioni assumono particolare interesse nella
termodinamica. In particolare, si possono avere trasformazioni:
Isoterme, che avvengono a temperatura costante;
Isobare, ovvero a pressione costante;
Isocore, nelle quali si tiene costante il volume del sistema;
Adiabatiche, ovvero senza scambi di calore con l’ambiente
Si dice fase di un sistema una parte di esso meccanicamente separabile dal resto. Gas,
vapore, liquidi e solidi sono esempi di fasi fisiche. Due fasi diverse si distinguono,
generalmente, per una discontinuità in almeno una delle proprietà del sistema (densità,
indice di rifrazione ecc.) nel passaggio da una fase all’altra. Un sistema costituito da più
fasi si dice eterogeneo mentre un sistema monofasico è detto omogeneo.
1
Un esempio tipico di sistemi non elastici sono i fluidi non-newtoniani.
2
Le definizioni che seguono hanno carattere qualitativo; definizioni più rigorose saranno date più avanti.
1.3 La condizione termodinamica di equilibrio fra fasi3
Se un sistema eterogeneo, cioè costituito da più fasi fisiche (solido, liquido, vapore), si
trova in condizioni di equilibrio, alla temperatura T ed alla pressione P, che relazione c’è
fra le composizioni di ciascuna fase?
Fase β
x1 , x2 ...xn
P
T
Fase α
x1 , x2 ...xn
3
Le considerazioni di questa sezione si riferiscono al caso che il sistema non sia sede di reazioni chimiche. L’equilibrio
chimico sarà presentato più avanti.
a) E’ nota T (o P) e la composizione di una delle fasi e si vuole determinare P
(o T) e la composizione dell’altra fase;
b) E’ nota la temperatura e la pressione di una fase e la composizione globale
del sistema, cioè la quantità di ciascun componente presente complessivamente
nel sistema (e distribuita fra le due fasi) e si vuole calcolare P e T dell’altra fase e
la composizione di ciascuna fase.
Come si vedrà più avanti, al primo tipo di problemi si può dare una risposta
unicamente sulla base delle relazioni termodinamiche di equilibrio, mentre il problema del
calcolo della distribuzione fra le fasi della massa di ciascun componente richiede l’uso dei
bilanci di materia oltre che delle condizioni termodinamiche di equilibrio.
La soluzione di questi problemi consente:
Questo tipo di problemi interessano l’analisi dei reattori chimici e saranno affrontati
alla fine del testo.
Osservazioni
4
R.C.Reid, J.M.Prausnitz, B.E.Poling – The properties of gases&liquids – McGraw-Hill – Fourth Edition (1988)
La compressione isoterma di un fluido ad una temperatura al di sotto della
temperatura critica (per es. T1) ed alla pressione iniziale inferiore alla tensione di vapore
Ps(T1) alla temperatura T1 è caratterizzata dalla comparsa di una fase liquida in equilibrio
con il vapore una volta raggiunto un valore di P pari a Ps(T1). La zona del diagramma a
destra della campana ed a temperature inferiori a TC è la zona del vapore.
Analogamente, se si espande in condizioni isoterme un fluido a temperatura inferiore
a TC partendo da una pressione superiore alla tensione di vapore alla temperatura
prescelta, una volta raggiunto il valore di P pari alla tensione di vapore si manifesta la
comparsa del vapore in equilibrio con il liquido. La zona del diagramma a sinistra della
campana ed a temperature inferiori a TC è la zona del liquido.
E’ interessante osservare che la pendenza media delle isoterme nella zona del liquido
è notevolmente più alta di quella che caratterizza la zona del vapore in accordo con il fatto
che il liquido è molto meno compressibile del vapore; in altre parole occorre una
variazione molto grande della pressione per ottenere una modesta variazione del volume
specifico, mentre risulta molto più efficace l’effetto della pressione sulla densità dei vapori.
In entrambi i casi di compressione isoterma del vapore o di espansione isoterma del
liquido, la comparsa dell’altra fase è contrassegnata da una discontinuità nella densità
della fase che si forma in corrispondenza alla tensione di vapore. Questa differenza, come
si è detto, si attenua se si opera a temperature prossime a quella critica finché, alla
temperatura TC, non si evidenzia più alcuna discontinuità e la densità del fluido aumenta
in modo continuo nella compressione o diminuisce con le stesse caratteristiche
nell’espansione. In tali condizioni non è più possibile distinguere la fase liquida da quella
vapore ed, evidentemente, non ha più senso parlare di tensione di vapore che rappresenta
la pressione alla quale sono in equilibrio liquido e vapore.
Al di sopra della temperatura critica, la variazione continua della densità con la
pressione si manifesta in modo ancora più evidente ed il fluido prende il nome di gas.
In conclusione:
L’equilibrio fra fase liquida e fase vapore esiste solo al di sotto della
temperatura critica;
La tensione di vapore ha significato solo a temperature inferiori a TC
A temperature subcritiche, la zona a destra della campana è la zona
del vapore; quella a sinistra è la zona del liquido. Il vapore in equilibrio con il
liquido si dice saturo.
La zona a temperature superiori a quella critica è la zona del gas.
In particolare:
Le molecole con energia cinetica alta sono, infatti, in grado di vincere l’attrazione
delle restanti molecole presenti nella massa liquida e passare nella fase vapore.
Si può dimostrare che la dipendenza della tensione di vapore dalla temperatura può
essere espressa mediante la seguente relazione (equazione di Clapeyron5):
dPs ev (T )
(1.2)
dT T vV vL
dove:
T: temperatura espressa in K
ev (T ) : calore latente di evaporazione alla temperatura T, ovvero
calore che bisogna fornire alla temperatura T per evaporare 1 mole della
sostanza; esso è, in generale, funzione della temperatura.
vV : volume molare del vapore
vL : volume molare del liquido in equilibrio.
5
L’eq.(1.2) è la forma dell’equazione di Clapeyron applicata all’equilibrio L-V. In generale, però, relazioni come la
(1.2) possono essere scritte per il L-S (fusione) e per il L-V (sublimazione). In questi casi Ps è la pressione di equilibrio
alla temperatura T mentre al denominatore del 2° membro appaiono le differenze fra i volumi specifici delle fasi in
equilibrio (vL-vS o vV-vS , rispettivamente).
Per poter ricavare dalla (1.2) la tensione di vapore in funzione di T occorre integrare
la suddetta equazione. Questa operazione risulta particolarmente semplice se si possono
fare le seguenti due ipotesi:
Con queste due ipotesi la relazione (1.2) assume la forma seguente (equazione di
Clausius-Clapeyron):
dPs (T )
Ps ev 2
dT R T
(1.3)
d ln Ps ev (T )
dT R T 2
ev (T )
Ps T
d ln Ps
Ps 0
R T
T
2
(1.4)
Se l’intervallo di temperature T°-T non è molto grande si può assumere ancora che il
calore latente sia pressoché costante ed il risultato della (1.4) diventa:
ev 1
1
ln Ps (T ) ln Ps (T ) (1.5)
R T T
B
ln Ps (T ) A
T
ev
A ln Ps (T ) (1.6)
R T
ev
B
R
In conclusione, nel campo di validità delle ipotesi fatte, dati sperimentali di tensione
di vapore a varie temperature devono disporsi lungo una linea retta in un grafico in sui si
riporti in ascisse 1/T ed in ordinate lnPs.
Nella Fig.1.6 sono riportati dati di tensione di vapore dell’acqua nell’intervallo 10-100
°C, mentre nella Fig.1.7 gi stessi dati sono riportati nelle variabili indicate dalla (1.6).
150
100
Ps, kPa
50
0
0 50 100
Temperatura, °C
4
Ln(Ps)
0
0.0026 0.0028 0.003 0.0032 0.0034 0.0036
1/T (1/K)
Dalla correlazione dei dati mediante un metodo di regressione lineare (per es. minimi
quadrati) si ricava che la pendenza della retta è pari a m=-5198. Da questo valore, in base
alla definizione di B della (1.6) si può ricavare il seguente valore del calore latente di
vaporizzazione:
cal
ev m R 5198 1.987 10330
mole
(1.7)
10330 4.18 J
2399
18 g
cal
dove 1.987 è il valore di R in , 18 è il peso molecolare dell’acqua e 4.18 è il fattore
mole K
di conversione da calorie a Joule.
Il valore sperimentale di λev a 100°C riportato in lettera è pari a 2260 J/g, molto vicino
al valore determinato dalla tensione di vapore se si tiene conto delle ipotesi fatte e
dell’osservazione che il valore trovato è un valore medio nel range di T fra 10 e 100°C.
Il valore positivo del calore latente, cioè dell’energia che occorre fornire al sistema
liquido per ottenere il passaggio delle molecole in fase vapore, dipende dalla così detta
convenzione antiegoistica che viene qui adottata e per la quale si considerano positive le
quantità di calore che passano dall’ambiente al sistema.
Evidentemente, il calore di condensazione, cioè il calore che viene ceduto nel passaggio
dell’unità di massa di fluido dalla fase vapore a quella liquida, è uguale e di segno
contrario a λev.
La dipendenza di Ps da T, oltre che dall’equazione di Clapeyron, può essere espressa
mediante equazioni empiriche o semi-empiriche nelle quali compaiono costanti
caratteristiche di ogni composto e che vengono determinate dalla correlazione dei valori
sperimentali. Evidentemente, maggiore è il numero delle costanti empiriche che
compaiono nella relazione, maggiore è la “flessibilità” della curva, cioè la capacità di
adattarsi ai punti sperimentali. Tuttavia, l’uso di un numero eccessivo di costanti può
essere fuorviante nel senso che conduce a curve che, passando attraverso la gran parte dei
punti sperimentali, attribuiscono agli errori di misura un valore fisico improprio.
Fra le varie relazioni che legano Ps a T vanno segnalate, in particolare, le seguenti
equazioni:
ln Ps A
B
(1.8)
T 43
Equazione a tre costanti: Antoine
ln Ps A
B
Equazione di Antoine (1.9)
T C
B
ln Ps A C ln T D T 6 (1.10)
T
Equazione a quattro costanti: Harlecher-Braun
B P
ln Ps A C ln T D s2 (1.11)
T T
Nella Tabella 1.2 sono riportati i parametri dell’eq.(1.9) per alcuni fluidi insieme al
campo di validità ed alla temperatura normale (ad 1atm) di ebollizione Tb.
Composto Formula P T A B C Range di T
M b °C
g °
/mole C
Acqua H 1 1 1 3 2 0-200
2O 8 00 6.3872 885.7 30.17
Ammoniaca N 1 - 1 2 2 −83 ∸ 60
H3 7.03 33.5 5.3671 308.83 47.885
Acetone C 5 5 1 2 2 −26 ∸ 77
3H6O 8.08 6.2 4.3145 756.22 28.060
Acido acetico C 6 1 1 3 2 24 ∸ 142
2H4O2 0.052 17.9 5.0717 580.80 24.650
n-Butano C 5 − 1 2 2 −73 ∸ 19
4H10 8.124 0.5 3.6608 154.70 38.789
Iso-Butano C 5 − 1 2 2 −83 ∸ 7
4H10 8.124 11.9 3.8254 181.79 48.870
Benzene C 7 8 1 2 2 6 ∸ 104
6H6 8.114 0.0 3.7819 726.81 17.572
1-Butanolo C 7 1 1 3 1 37 ∸ 138
4H10O 4.123 17.6 5.3144 212.43 82.739
Tetracloruro di Carbonio C 1 7 1 2 2 −14∸ 101
Cl4 53.823 6.6 4.0572 914.23 32.148
n-Esano C 8 6 1 2 2 −19∸ 92
6H14 6.178 8.7 3.8193 696.04 24.317
n-Eptano C 1 9 1 2 2 4 ∸ 123
7H16 00.205 8.4 3.8622 910.26 16.432
n-Pentano C 7 3 1 2 2 −45 ∸ 58
5H12 2.151 6.0 3.7667 451.88 32.014
Metanolo C 3 6 1 3 2 −11 ∸ 83
H4O 2.042 4.7 6.5785 638.27 39.500
Etanolo C 4 7 1 3 2 3 ∸ 96
2H6O 6.069 8.2 6.8958 795.17 30.918
Tab.1.2 – Costanti di Antoine
mi (t dt ) mi (t ) dmitrasf (2.1)
dove il primo termine indica la massa del componente i presente nel sistema al tempo
(t+dt), mi(t) è la massa al tempo t e dmitrasf è la quantità di i trasformata nell’intervallo di
tempo dt.
Quest’ultimo termine è presente solo nel caso che il sistema sia sede di reazioni
chimiche nelle quali il composto i è un reagente o un prodotto. In particolare, se i per
l’effetto complessivo di tutte le reazioni chimiche presenti si forma (prodotto) il termine
dmitrasf è positivo; viceversa risulta minore di zero se i è un reagente. Infine, se i è un inerte,
cioè se non partecipa alla reazione l’ultimo termine è zero.
Di equazioni come la (2.1) se ne possono scrivere tante quanti sono i componenti del
sistema.
L’eq.(2.1) può essere integrata fra il tempo t=0 ed il tempo generico t con il seguente
risultato:
1
Da questa affermazioni sono escluse le trasformazioni di natura nucleare nelle quali la materia si può
trasformare in energia.
Se si effettua la somma di tutti i bilanci parziali (2.2) dei componenti presenti nel
sistema si ottiene il seguente bilancio di materia globale:
c c c c
m (t ) m m
i 1
i
i 1
i
i 1
trasf
i mi
i 1 (2.3)
M (t ) M
ni (t dt ) ni (t ) dnitrasf (2.4)
o anche:
In questo caso, però, la somma (2.3) fornisce un risultato diverso dal momento che la
somma totale delle moli, generalmente, non si conserva nel corso della reazione:
c c c
ni (t ) ni nitrasf
i 1 i 1 i 1 (2.6)
n(t ) n n
A1 A2 A3
n 1.5 2 0.5
(massa entrante nel tempo dt) = (massa uscente nel tempo dt) + (variazione della massa contenuta nel sistema nel tempo dt)
Poiché la quantità di materia che entra nel sistema o ne esce nel tempo dt è la portata
massica (massa/t) o molare (moli/t), il bilancio precedente in termini matematici assume
la forma seguente:
dM
Fe Fu (2.7)
dt
dove M indica la massa (o il numero di moli) contenuta nel sistema al tempo t. Il termine
di variazione dM/dt può assumere valori positivi o negativi o può essere zero nelle
condizioni così dette stazionarie.
L’eq.(2.7) include, come caso particolare, i sistemi chiusi in cui le portate entranti e
uscenti sono zero. In queste condizioni di ottiene dM/dt=0 che coincide con la (2.3) ed
esprime la conservazione della massa.
In un sistema aperto la portata globale entrante può essere la somma dell’immissione
di varie correnti, ciascuna delle quali ha una portata Fi e . Analogamente possono essere
presenti varie correnti Fi u in uscita (v.Fig.2.1).
e
F1u
F 1
F2e
e
F2u
F 3
Se ne è il numero delle correnti entranti (nella figura ne=3) ed nu quello delle correnti
uscenti (nella figura nu=2), la relazione (2.7) si può porre nella forma:
nie niu
dM
F
i 1
i
e
Fi u
i 1 dt
(2.8)
Le correnti che entrano o che escono dal sistema e la massa contenuta nel sistema
possono essere miscele costituite da vari componenti. E’ possibile formulare, quindi, il
bilancio parziale per ciascun componente. Si tratta di scrivere la stessa condizione
utilizzata per il bilancio globale dal momento che, in assenza di reazioni chimiche, la legge
di conservazione si può applicare anche a ciascuna specie chimica.
Un modo per esprimere la portata e la massa del componente k è quello di far uso
della frazione molare2 del componente presente nella corrente considerata o nella massa
del sistema. Analogamente, se le portate sono espresse in unità di massa, si può far uso
delle frazioni ponderali.
Per esprimere la portata del componente k che entra con la generica corrente
Fi occorre moltiplicare la relativa frazione molare (o ponderale) di k per Fi e . Se le frazioni
e
molari (o ponderali) vengono indicate con il simbolo zk, la portata totale di k entrante è
n ie
pari a z F F
i 1
k i
e
i
e
è la frazione molare di k nella corrente F
, dove z k Fi
e
i
e
. Analogamente,
z F F
niu
la portata di k uscente dal sistema è data da k i
u
i
u
.
i 1
z F F dM k
k i
e
i
e
zk Fi u Fi u (2.9)
i 1 i 1 dt
dove Mj è la massa (moli o kg) della fase j contenuta nel sistema ed xkj M j è la frazione
molare (o ponderale) del componente k nella fase j.
2
Si ricorda che la frazione molare è il rapporto fra il numero di moli del componente considerato ed il numero di moli
totali o, nel caso di correnti, è il rapporto fra la portata molare del componente e la portata molare totale.
2.3 Bilanci di materia in presenza di reazioni chimiche.
Ba + Cl2 → BaCl2
il numero totale di moli presenti diminuisce poiché si passa da 2 moli iniziali ad una mole
finale.
Il bilancio di materia globale in un sistema aperto assume pertanto la forma seguente
in termini di unità molari:
dn
Fe Fu R (2.10)
dt
dove R indica la velocità di variazione del numero totale di moli, considerata positiva se si
tratta di generazione, negativa nel caso di consumo.
In maniera del tutto analoga si può formulare il bilancio di materia parziale del
componente i:
dni
Fi e Fi u Ri (2.11)
dt
H2 +Cl2 2HCl
nc
A 0
i 1
i i (2.13)
2 3
n2 n1 n3 n1 n4 4 n1 (2.14)
1 1 1
Dalle condizioni (2.14) si deduce facilmente che il rapporto fra il ni del generico
componente i ed il relativo coefficiente stechiometrico è un invariante rispetto ad i. Con
riferimento a variazioni infinitesime si può, quindi, porre:
n1 n1 n2 n 2 n3 n3 n4 n 4
(2.16)
1 2 3 4
n1 (t ) n1 1 (t )
n2 (t ) n2 2 t
(2.17)
n3 (t ) n3 3 t
n4 (t ) n4 4 t
c c c
n(t ) ni t ni t i (2.18)
i 1 i 1 i 1
Questa relazione mostra che il numero totale di moli aumenta o diminuisce nel tempo
c
a seconda del segno della
i 1
i ; resta costante nel corso della reazione solo nel caso che la
suddetta somma dei coefficienti stechiometrici sia pari a zero (reazioni che avvengono
senza variazione del numero di moli).
Per reazioni in sistemi aperti, le condizioni iniziali alle quali si attribuisce il valore =
0 sono generalmente le condizioni dell’alimentazione. In questo caso rappresenta una
misura dell’evoluzione della reazione lungo il reattore. Evidentemente, per sistemi aperti,
la condizione espressa dall’eq.(2.16) deve essere modificata formalmente sostituendo al
numero di moli n le portate molari F dei componenti:
F1 F 1 F2 F 2 F3 F 3 F4 F 4
(2.19)
1 2 13 14
Anche in questo caso, come nel caso dei sistemi chiusi, si possono formulare i bilanci
di materia parziali in termini dell’unica variabile ξ:
F1 F 1 1
F2 F 2 2
(2.20)
F3 F 3 3
F4 F 4 4
c c c
F Fi F i i (2.21)
i 1 i 1 i 1
Queste relazioni forniscono le portate molari uscenti dal sistema in funzione delle
portate entranti e del grado di avanzamento raggiunto.
Le equazioni (2.17)-(2.18) e (2.20)-(2.21) consentono, inoltre, di esprimere la
composizione del sistema reagente in termini dell’unica variabile , una volta assegnata la
composizione di partenza.
Dividendo, infatti, il numero di moli (o la portata molare) di ciascun componente, per
il numero di moli totali (o la portata molare totale) si possono esprimere le frazioni molari
yi dei vari componenti. Ad esempio, per un sistema chiuso, la frazione molare del
componente 2 al tempo t sarà:
n2 (t ) n2 2 (t )
y2 t c
(2.22)
n t i
n(t )
i 1
2 A1 A2 2 A3 3 A4
A1 2 A5 A3
2 A2 A4 A1
Ciascuna delle reazioni è caratterizzata da un proprio grado avanzamento (ξ1, ξ2, ξ3).
La variazione infinitesima di moli del componente A1, nell’intervallo di tempo dt, è
data dal contributo di ciascuna delle reazioni:
n A1 t n A1 2 1 2 3
nA2 t n A2 1 2 3
nA3 t n A3 2 1 2
nA4 t n A4 3 1 3
nA5 t n A5 2 2
Il numero totale di moli al tempo t, n(t), si ottiene dalla somma delle moli dei vari
componenti:
n(t ) n 4 1 2 2 3 3
Dividendo, infine, ciascuna delle nAi per n, si possono esprimere le frazioni molari dei
vari componenti nel tempo.
Sebbene l’uso del grado di avanzamento sia molto comodo per descrivere
l’evoluzione di sistemi in presenza di reazioni, nell’ingegneria delle reazioni chimiche è
tradizionalmente più frequente l’impiego di un’altra grandezza chiamata conversione.
Mentre il grado di avanzamento è una variabile della reazione e non fa riferimento ad
alcun componente particolare, la conversione si definisce in termini di uno specifico ma
arbitrario reagente chiave del sistema, indipendentemente dalla o dalle reazioni che
avvengono nel reattore.
La conversione X1 del reagente A1 rappresenta la frazione di A1 trasformata rispetto al
contenuto dello stesso componente presente in una miscela arbitrariamente scelta come
riferimento. Una definizione formalmente più esauriente si può dare distinguendo il caso
dei sistemi chiusi dal caso dei sistemi aperti.
Per i sistemi chiusi viene assunto generalmente come sistema di riferimento la
miscela caricata inizialmente nel reattore. Pertanto, la conversione del reagente 1 può
essere definita nel modo seguente:
n1 n1
X1 (2.23)
n1
i
ni ni n1 X 1 (2.25)
1
o anche:
i
ni n1 ( i
X1) (2.26)
1
dove si è indicato con °i il rapporto n°i/n°1 3.
Nei reattori chiusi, nei quali si può generalmente considerare costante nel tempo il
volume della miscela reagente, la definizione (2.23) porta immediatamente all’analoga
relazione in termini di concentrazioni molari:
C 1 C1
X1 (2.27)
C 1
dove si è indicato con C1 = n1/V il numero di moli di A1 contenuto nell’unità di volume.
Nel caso di sistemi aperti (reattori a funzionamento continuo), la definizione di
conversione fa riferimento, generalmente, alla corrente entrante nel sistema. Pertanto si
può porre:
F 1 F1
X1 (2.28)
F 1
3
L’uso della conversione per caratterizzare l’evoluzione di un sistema reagente può creare qualche difficoltà
se nel sistema avvengono più reazioni simultanee. In questi casi, talvolta, si introducono conversioni parziali
di A1 come contributo delle singole reazioni alla conversione totale.
CAPITOLO III
Conservazione dell’energia
Se si indica con M la massa del sistema, la sua energia cinetica si può scrivere nella
forma seguente:
v2
Ecin M (3.2)
2
dove v è la velocità del centro di massa rispetto ad un sistema di riferimento esterno.
Analogamente, l’energia potenziale è data da M dove ψ è l’energia potenziale
specifica (per unità di massa). Nel caso che l’unico campo di forze presenti sia quello delle
forze di gravità, risulta:
E pot M g h (3.3)
dove g indica l’accelerazione di gravità ed h è l’altezza del centro di massa del sistema
rispetto ad un livello di riferimento.
I due contributi (3.2) e (3.3) si riferiscono al moto ed alla posizione del sistema rispetto
a riferimenti esterni.
Nel sistema, se questo non è isolato, può inoltre entrare ed uscire energia sotto varie
forme.
Il principio di conservazione dell’energia afferma che la variazione di E è pari alla
somma algebrica delle varie forme di energia che sono scambiate fra sistema ed ambiente.
In termini di velocità di variazione di E, si può quindi scrivere:
dE
Win Wout (3.4)
dt
dove Win e Wout sono, rispettivamente, la quantità di energia che entra o che esce dal
sistema nell’unità di tempo, ovvero sono le potenze entranti ed uscenti.
1
U tiene conto del contenuto energetico interno del sistema, ovvero sostanzialmente dell’energia cinetica e
potenziale delle singole molecole
Nella presente trattazione, le forme di energia scambiate fra sistema ed ambiente sono
limitate a:
calore
lavoro meccanico.
energia cinetica e potenziale delle correnti che attraversano la
superficie di definizione del sistema.
lavoro associato all’immissione ed all’estrazione delle correnti che
attraversano il contorno del sistema
Convenzionalmente vengono assunte come positive le potenze fornite dall’ambiente
al sistema e negative quelle uscenti dal sistema.
Calore
Può essere scambiato sotto forma di conduzione termica o di irraggiamento. Dello
scambio convettivo si tiene conto nel contributo delle energie associate alle correnti di
materia scambiate con l’esterno.
Lavoro meccanico
E’ sostanzialmente costituito da due forme possibili: una parte è associata con la
deformazione della superficie di contorno del sistema (lavoro di deformazione) ed una
parte può essere presente nei sistemi indeformabili (sistemi rigidi).
Esempi di questo secondo contributo sono il lavoro introdotto nel sistema da un
dispositivo di agitazione del fluido o il lavoro raccolto sull’asse di una turbina.
Il lavoro di deformazione è associato allo spostamento di una porzione di superficie
di contorno contro una forza esterna.
Se F è la forza e dL lo spostamento nella direzione della forza, la potenza associata al
lavoro di deformazione è:
dL
Wdef F (3.5)
dt
Moltiplicando e dividendo il secondo membro per l’area S della superficie di
contorno2 e ricordando che la pressione è forza/superficie, si ottiene:
F S dL dV
Wdef P (3.6)
S dt dt
2
Si assume che la forza F sia uniforme su tutta la superficie di contorno. Se così non fosse occorrerebbe sommare
(integrare) su tutta la superficie.
dove dV è la variazione di volume del sistema. Il segno meno deriva dall’osservazione che
in un’espansione (dV>0) è il sistema che fornisce potenza all’ambiente e quindi, in base
alla convenzione fatta, deve essere Wdef<0.
K
v2
F
k u (3.7)
k 1 2 k
P2 P1
V2 V1
dove v2 è il volume specifico del fluido nelle condizioni 2 ed F2 è la portata di fluido che
entra nel sistema. Il segno meno è giustificato dal fatto che il lavoro di compressione viene
fatto sul sistema ed è quindi da considerare positivo mentre la derivata del volume è
negativa.
Analogamente, nella sezione di uscita viene effettuato lavoro sul fluido esterno dal
movimento del fluido che esce. La potenza associata è quindi:
Wusc P1 v1 F1 (3.9)
Wmoto P2 v2 F2 P1 v1 F1 (3.10)
K
Wmoto Fk P v k (3.11)
k 1
d v2 K v2
U M Fk u Q
dt 2 k 1 2 (3.11)
K
Fk P v k
dV
Ws P
dt k 1
dove con Ws si è indicata la potenza meccanica associata a modalità diverse dalla
deformazione del sistema.
Combinando le due sommatorie al secondo membro si ottiene:
d v2 K v2
U M Fk u P v
dt 2 k 1 2 (3.12)
dV
Q Ws P
dt
Il termine (u+P v) che appare nella sommatoria, essendo la somma di due funzioni di
stato, è a sua volta una funzione di stato che viene chiamata entalpia ed indicata con la
lettera h:
h u Pv (3.13)
Si tratta di una grandezza estensiva dal momento che sia l’energia interna U sia il
volume V lo sono. Nella forma riportata nella (3.13) si fa riferimento all’entalpia specifica
(per unità di massa o per mole). Le dimensioni dell’entalpia H sono quelle di un’energia (o
di un’energia specifica nel caso di h).
Utilizzando l’entalpia, la relazione (3.12) assume la forma seguente:
d v2 K v2
U M Fk h
dt 2 k 1 2 (3.14)
dV
Q Ws P
dt
Sistemi aperti
K
Fk hk Q P
dU dV
(3.16)
dt k 1 dt
che è analoga all (3.16 a) con l’aggiunta delle portate entalpiche accociate alle correnti
entranti ed uscenti.
dU dV
Un’osservazione importante riguarda i termini transitori , dell’eq.(3.16) ed il
dt dt
dH
termine dell’eq.(3.18). U, V ed H sono grandezze estensive, cioè dipendono dalla
dt
massa contenuta nel sistema, e possono quindi essere scritte come segue:
U M u
V M v
H M h
dove u, v, h sono le corrispondenti grandezze specifiche. La variazione nel tempo di
U, V, H può essere dovuta a due cause: la variazione nel tempo della massa contenuta nel
sistema o la variazione delle grandezze di stato da cui dipendono u, v, h.
Pertanto:
dU d ( M u ) du dM
M u
dt dt dt dt
dV d ( M v) dv dM
M v
dt dt dt dt
dH d ( M h) dh dM
M h
dt dt dt dt
Nel caso che il sistema si trovi in condizioni stazionarie, sono pari a zero le derivate
rispetto al tempo. Pertanto le eqs.(3.16 a) e (3.18) diventano:
Funzionamento stazionario
K
F
k 1
k hk Q Ws 0 (3.19)
K
F
k 1
k hk Q Ws 0 (3.20)
Espansione in valvola
Un’utile applicazione delle relazioni precedenti si ha nell’analisi di un fluido che
attraversa una valvola in modo che la sua pressione passa dal valore P2 al valore P1<P2.
P2 P1
In questo caso, non essendoci alcun dispositivo in grado di svolgere lavoro meccanico
è Ws 0 . Inoltre, poiché il fluido attraversa velocemente la valvola, si può assumere che
sia pari a zero anche il calore scambiato. Pertanto, la relazione (3.20) diventa:
K
F
k 1
k hk 0
F1 h1 F2 h2 0
Se si tiene conto, inoltre, che è F1 F2 , si ricava:
F1 h1 h2 0
h1 h2
ovvero, l’espansione in valvola è isoentalpica.
Poiché l’entalpia è una funzione di stato e dipende quindi in generale da P e da T, il
cambiamento di pressione nell’espansione comporta un cambiamento di temperatura (il
gas in genere si raffredda nell’espansione). Solo nel caso dei gas perfetti3, per i quali
l’entalpia dipende solo da T, la variazione di pressione non comporta alcun effetto
termico.
Sistemi chiusi
L’eq.(3.15) diventa:
V2
U U 2 U1 Q P dV (3.20)
V1
3
V. più avanti
Poiché U è una funzione di stato, la variazione ΔU dipende solo dalle caratteristiche
dello stato 1 e dello stato 2. Viceversa Q non è una funzione di stato e quindi il valore del
calore scambiato fra sistema ed ambiente dipende dal percorso scelto per andare dallo
stato 1 allo stato 2. Analogamente, anche il valore del lavoro di deformazione
V2
P dV dipende dal cammino che porta dallo stato 1 allo stato 2. Se, ad esempio, si
V1
effettua la trasformazione di un gas a pressione P costante, il lavoro è pari a P V1 V2 . Se
invece il cammino è isotermo e la pressione varia con il volume4 in accordo, ad esempio,
con la legge dei gas perfetti, il lavoro scambiato è:
V2 V2 n R T V
P dV dV n R T ln 1
V1 V1 V V2
Si tratta, evidentemente, di valori diversi che comportano, come conseguenza, valori
diversi del calore scambiato, tali comunque da fornire la stessa variazione ΔU, se lo stato
iniziale e quello finale sono identici.
Per una trasformazione infinitesima, la (3.20) diventa:
dU Q P dV Q Ld (3.21)
dove si è indicato con Ld il lavoro discontinuo, ovvero effettuato in un sistema chiuso. Il
segno di differenziale è posto solo in riferimento all’energia interna U che è una funzione
di stato (differenziale esatto), mentre il simbolo usato per il calore e per il lavoro indica
solo che si tratta di quantità infinitesime.
Sistemi aperti
Integrando rispetto al tempo la (3.16 a):
K
U U 2 U1 Fk hk t Q L (3.22)
k 1
4
Si assume che la pressione esterna che svolge il lavoro meccanico sia praticamente uguale alla pressione del gas.
Queste condizioni caratterizzano le così dette trasformazioni reversibili.
K
dH Fk hk dt Q V dP (3.23 a)
k 1
Sia l’energia interna che l’entalpia sono funzioni di stato. Pertanto il loro valore è
determinato una volta che sono assegnate le variabili necessarie a caratterizzare lo stato
del sistema. Per i fluidi elastici a composizione costante sono sufficienti due variabili
intensive per assegnare lo stato. Per ragioni di convenienza le variabili utilizzate per
definire l’energia interna sono generalmente il volume specifico v e la temperatura, mentre
per l’entalpia è preferibile scegliere la pressione P e la temperatura.
Comunque è lecito fissare anche altre coppie di variabili.
Pertanto:
U U (v, T )
H H ( P, T )
Poiché U ed H sono funzioni di stato, le variazioni infinitesime dU e dH sono
differenziali esatti5.
Pertanto:
U U
dU dv dT
v T T v
(3.24)
H H
dH dP dT
P T T P
In base alla (3.21) si sa che, in un sistema chiuso, a volume costante è QV dU . Ne
U Q
consegue che cv , dove cv è il calore specifico a volume costante del fluido,
T v T v
ovvero la quantità di calore necessaria a variare di un dT l’unità di massa del fluido a
volume costante6.
Analogamente, dalla (3.15 b) si trova:
5
Non tutte le forme differenziali del tipo: f M ( x, y ) dx N ( x, y ) dy sono il differenziale totale di una
funzione f(x,y). Un’espressione differenziale si dice differenziale esatto di una funzione f(x,y) quando essa è proprio il
differenziale totale di una funzione. Affinché una forma differenziale sia il differenziale esatto di una funzione deve
f ( x, y ) f ( x, y )
essere: M ( x, y ) e N ( X , y) , e quindi, derivando la prima rispetto ad y e la seconda
x y
rispetto ad x, si trova la seguente condizione necessaria affinché la forma differenziale sia un differenziale esatto:
M ( x, y ) N ( x, y )
y x
6
L’uguaglianza del calore messo in gioco con il calore specifico a volume costante del fluido è valida in assenza di
cambiamenti di fase.
H
cP
T P
dove cP è il calore specifico a pressione costante del fluido.
In base a queste considerazioni, le (3.24) si possono porre nella forma seguente:
U
dU dv cv dT
v T
(3.25)
H
dH dP cP dT
P T
U H
Più avanti si ricaveranno utili espressioni per e per . Per i gas perfetti si
v T P T
trova che l’energia interna e l’entalpia dipendono solo dalla temperatura, ovvero:
U
*
0
v T
(3.26)
H
*
0
P T
Pertanto, per i gas perfetti, risulta:
dU * c *v dT
(3.27)
dH * c *P dT
Da queste osservazioni consegue che, per i gas perfetti, cP non dipende dalla
pressione P e cv non dipende da v.
Si considerino, infatti, le trasformazioni indicate nella figura che segue:
D(P1,T2) C(P2,T2)
A(P1,T1) B(P2,T1)
dT dP
T 1
T P 2 P1
P T 1
T2
C *P 2 dT 0
T1
dP dT
P1
P T 2 T 1
T P1
T2
0 C *P1 dT
T1
Uguagliando le due espressioni del ΔH si ricava c*P1=c*P2, valido per qualsiasi coppia
di valori P1 e P2.
Procedendo in maniera analoga si può ricavare c*v1=c*v2.
CAPITOLO IV
Bilanci di entalpia
La trasformazione che porta dallo stato iniziale a quello finale si può considerare
composta dagli step illustrati nello schema seguente:
V V
P° P1
T1 T1
L V
P° P°
T° T°
Come si può osservare il primo stadio consiste dalla vaporizzazione del liquido a
pressione P° e temperatura T°. Segue la variazione di temperatura isobara del vapore ed
infine si ha, alla temperatura costante T1, la variazione di pressione del vapore da P° a
P1.
La variazione di entalpia (h1-h°) del sistema è data dalla somma delle variazioni di
entalpia nei singoli stadi:
h
P1 V
Nella (4.1), λ è il calore latente molare di vaporizzazione, cVP è il calore specifico del
vapore a pressione costante P°, assunto indipendente dalla temperatura.
La stessa trasformazione può essere realizzata mediante un percorso diverso, per
esempio quello mostrato nello schema seguente:
V V
Ps P1
T T
L
P°
T° V
L L P1
P° Ps T1
T T
h
Ps L
h1 h c T T dP T
L
P
P
P T
(4.2)
h
P1 V
dP cVP1 (T1 T )
Ps
P T
Evidentemente, il valore di (h1-h°) nei due casi deve essere identico poiché le
variazioni di una funzione di stato come l’entalpia dipendono solo dallo stato iniziale e da
quello finale del sistema e non dal percorso fatto.
Inoltre, se si assume come stato di riferimento quello iniziale e si attribuisce ad h° il
valore zero, le relazioni (4.1) o (4.2) assegnano un valore ad h1.
Infine, in base ai dati disponibili, si può scegliere il primo o il secondo percorso per
effettuare il calcolo di h1.
e si assume come stato di riferimento (al quale corrisponde h=0) quello degli elementi
puri a T°=25°C e P°=1 atm, si ha:
h fA (T , P) h A (T , P)
h fB T , P h B (T , P)
(4.6)
h fR (T , P) h R (T , P)
h fS (T , P) hS (T , P)
ovvero, nelle condizioni standard, le entalpie dei composti puri sono pari ai
corrispondenti Δh di formazione1.
Pertanto, a 25°C ed 1 atm, si può valutare il Δh della generica reazione dai Δh di
formazione:
hr P, T h fR h fS h fA h fB (4.6)
dove xi indica la frazione molare del componente i, cioè le moli del componente i
presenti in una mole di miscela.
Solo nel caso di sistemi per i quali il hmix è nullo (v. per es. più avanti le miscele
ideali), l’entalpia molare della miscela è rigorosamente la media pesata delle entalpie dei
componenti puri. Per molti sistemi, inoltre, pur essendo diversa da zero l’entalpia di
mescolamento, il suo valore è relativamente piccolo e può essere trascurato nella
valutazione dell’entalpia della miscela.
T
hT hT cP dT hT cP T T (4.9)
T
dove si è posto:
cP cPR cPS cPA cPB (4.11)
La seconda delle equazioni (4.10), detta equazione di Kirchoff, è valida nell’ipotesi che,
nell’intervallo T-T° si possano assumere i calori specifici a pressione costante indipendenti
da T.
4.2 Esempi di bilanci di entalpia in assenza di reazioni chimiche
Bilancio entalpico di una colonna di distillazione in condizioni stazionarie
D
F
F hF QR D hD R hR QC (4.12)
Per esplicitare le entalpie occorre scegliere uno stato di riferimento. Si assuma il
seguente stato:
stato fisico: liquido
composti puri
temperatura T°
pressione P°
L’entalpia della corrente liquida di distillato D è allora:
Come si può intuire, altre trasformazioni sono possibili dallo stato di riferimento
allo stato nel quale si deve calcolare l’entalpia. La scelta dipende spesso dalla
disponibilità delle proprietà fisiche necessarie.
Fe
x Ae , xBe
Fu
x uA , xBu , xRu , xSu
Con xie si è indicata la frazione molare del componente i nella corrente entrante,
mentre xiu indica la frazione molare del componente i nella corrente uscente.
Evidentemente, il prodotto Fe xie è la portata molare di i nella corrente entrante mentre
Fu xiu è la portata molare del componente nella corrente uscente.
Analogamente, con hie ed hiu si sono indicate le entalpie molari del componente puro
nelle condizioni (T, P, stato fisico) della corrente entrante e di quella uscente,
rispettivamente.
Poiché, come si è detto sopra, l’entalpia di una miscela non è in generale la somma
delle entalpie dei componenti puri, nel bilancio appaiono anche i Δhmix alle condizioni
della corrente (entrante o uscente) alla quale si riferiscono.
Le sommatorie vanno estese a tutti i componente presenti nella miscela, reagenti,
prodotti ed eventuali inerti.
Un’osservazione importante, nel caso di bilanci in presenza di reazioni chimiche,
riguarda il legame che esiste fra la composizione dell’alimentazione e quella della corrente
uscente dal reattore. La stechiometria della reazione impone, infatti, un vincolo fra le
quantità dei prodotti che si formano e quelle dei reagenti consumati. Pertanto, le frazioni
molari nella corrente uscente sono legate a quelle nella corrente entrante dalle relazioni
stechiometriche e dal grado di avanzamento della reazione (o dalla conversione del
reagente di riferimento). Dettagli su questo aspetto saranno forniti più avanti.
CAPITOLO V
Il secondo principio della termodinamica e le condizioni di equilibrio
5.1 L’entropia
Il secondo principio della termodinamica si può formulare in termini di una
grandezza S detta entropia.
Questa grandezza gode delle seguenti proprietà:
L’entropia è una grandezza estensiva e dunque additiva;
2
L’entropia è una funzione di stato, vale a dire che dS S
1
2 S1 ,
qualunque sia il cammino percorso per passare dallo stato 1 allo stato 2;
Una variazione elementare dS può essere espressa come somma di
due termini
dS de S di S (5.1)
dove:
Q
de S (5.2)
T
dipende dal calore Q scambiato fra sistema ed ambiente e diS è la variazione di
entropia (generazione di entropia) dovuta a fenomeni interni al sistema e legata alla
irreversibilità della trasformazione.
Il secondo principio della termodinamica afferma che è sempre:
di S 0 (5.3)
dove il segno di uguaglianza vale se le trasformazioni interne al sistema sono
reversibili, mentre per trasformazioni irreversibili la generazione di entropia è sempre
positiva.
Osservazioni
a) Se il sistema è isolato, e dunque Q 0 , si ha dS di S 0 . Solo in un
sistema isolato, la variazione infinitesima di entropia del sistema aumenta se il
sistema è sede di trasformazioni irreversibili mentre è uguale a zero (massimo
dell’entropia) se le trasformazioni che avvengono nel sistema sono reversibili. Se
il sistema non è isolato, l’entropia totale del sistema può diminuire, anche in
presenza di trasformazioni irreversibili, se gli scambi di calore con l’ambiente
sono tali da compensare la produzione di entropia diS (dQ<0 : calore ceduto dal
sistema all’ambiente). Analogamente, per un sistema non isolato, la condizione
dS=0 non corrisponde necessariamente ad assenza di fenomeni irreversibili ma
si verifica se gli scambi di calore sono tali da compensare la produzione di
entropia1.
b) Per una trasformazione finita, la variazione interna di entropia
i S può essere valutata dalla differenza
Q
i S S e S S (5.4)
T
dove S è la variazione che subisce la funzione di stato S nella trasformazione
considerata. Essa può essere calcolata attraverso un arbitrario percorso (per
esempio attraverso una serie di trasformazioni reversibili) che portino dallo
stato iniziale considerato a quello finale della trasformazione reale.
Q
Viceversa, T si riferisce al calore scambiato fra sistema ed ambiente nella
trasformazione reale.
c) Se il ΔS viene calcolato attraverso un percorso reversibile, si ha:
Q dU P
dS dV (5.5)
T T T
dove Q è il calore scambiato nella trasformazione reversibile utilizzata (non il
calore scambiato nella trasformazione reale). Essendo l’entropia una grandezza
di stato, il calcolo fornisce il valore effettivo del ΔS.
Dalla (5.5) si ha:
dU T dS P dV (5.6)
Questa relazione è del tutto generale, per un sistema chiuso,
indipendentemente dal fatto che sia stata ricavata per una trasformazione
reversibile. Infatti, essa contiene solo variazioni di grandezze di stato.
iQ
d) Il termine diS può essere posto pari a dove iQ rappresenta la
T
quantità di calore generato dai fenomeni irreversibili interni al sistema e che si
scambiano le parti interne del sistema2.
1
L’unico sistema veramente isolato è l’intero universo; pertanto si può affermare che l’entropia S dell’universo non può
diminuire.
2
Come si vedrà più avanti la presenza di trasformazioni irreversibili caratterizza lo stato di non-equilibrio. In queste
condizioni, pressione e temperatura non sono uniformemente distribuite all’interno del sistema.
qP dh
q dh (5.7)
ds di s
T T
h h
dh dT dP cP dT (5.8)
T P P T
Pertanto:
dT
ds cP
T
T2 (5.9)
dT
s cP
T1
T
Nell’ipotesi che, nell’intervallo T1-T2, si possa assumere il calore specifico a
pressione costante indipendente da T, si ha:
T
s cP ln 2 (5.10)
T1
P
s R ln 1 (5.17)
P2
D. Variazione di entropia di un gas perfetto dallo stato (P1,T1) allo stato (P2,T2)
Poiché, per un gas perfetto, l’energia interna dipende solo da T, dalla (5.5) si ha:
dT P dT dv
ds cV dv cV R (5.18)
T T T v
Dall’integrazione di questa relazione fra (T1,v1) e (T2,v2) si ottiene:
T2
cV v
s T
T1
dT R ln 2
v1
(5.19)
cP R
T2
T2 P1
s T 1 T dT R ln
T1 P2
T2
c T T P
P dT R ln 2 R ln 2 R ln 2 (5.20)
T1
T T1 T1 P1
T2
cP P
T
T1
dT R ln 2
P1
E. Compressione o espansione reversibile ed adiabatica di un gas perfetto
q
Per una trasformazione reversibile ds . Se la trasformazione è anche
T
adiabatica, si ha ds=0, cioè la trasformazione è isentropica. Posto, quindi ds=0 nella
(5.18), si ottiene:
c c dv
1
dT R dv dv
P V
T cV v cV v v
(5.21)
c
P
cV
Dall’integrazione della (5.21), con γ=cost, si ricava:
1
T v
ln 2 ln 1
T1 v2
1
T2 v1
(5.22)
T1 v2
T v 1 const
In termini di pressione:
1
T2 T1 P2
T1 T2 P1
1
T2 P2
(5.23)
T1 P1
1
T2 P2
T1 P1
Commento
In generale, per trasformazioni reversibili (diS=0), le variazioni dei potenziali
termodinamici si possono valutare attraverso le relazioni seguenti:
dU T dS P dV
dH T dS V dP
(5.40)
dA S dT P dV
dG S dT V dP
E’ importante osservare che, essendo i suddetti potenziali, funzioni di stato, è sempre
possibile utilizzare le (5.40) scegliendo opportune trasformazioni che siano reversibili.
CAPITOLO VI
Proprietà delle funzioni di stato
g
s
T P
(6.8)
g
v
P T
T P
v s s v
T v
P s s P
Equazioni di Maxwell (6.10)
s P
v T T v
s v
P T T P
Fig.6.1 – James Clerk Maxwell
Dalle eqs. (6.2), (6.4), (6.6) e (6.8) è possibile ricavare anche le seguenti relazioni:
u h
T
s v s P
u a
P
v s v T
(6.11)
h g
v
P s P T
a g
s
T v T P
Altre relazioni fra le grandezze termodinamiche possono essere ricavate dalle
seguenti proprietà matematiche:
F ( x, y ) 1
(6.12)
x y x
F y
y
F ( x, y ) x F
(6.13)
x y y
F x
Esempio
s
Calcolo di per un gas che segue l’equazione di stato di Van der Waals.
P T
s v
Dalla quarta equazione di Maxwell si ha: .
P T T P
Poiché l’equazione di Van der Waals è cubica rispetto al volume molare, non è
possibile esplicitare v per effettuarne la derivata rispetto a T a pressione costante.
Ricorrendo alla (6.13) si può però scrivere:
P
v T v
T P P
v T
nella quale il secondo membro è facilmente calcolabile.
Esempio
Calcolo del Δh relativo alla trasformazione che va dallo stato caratterizzato da P=10
atm; T=50°C a quello con P=1 atm e T=0°C; si assuma cP indipendente da T.
h
P2
h cP T dP
P1
P T
1
v
cP 0 50 v T dP
10 T P
6.5 Dipendenza di g dalla temperatura: equazione di Gibbs-Helmholtz
La dipendenza dalla temperatura dell’energia libera di Gibbs riveste particolare
importanza nei calcoli della termodinamica. Si tratta di ricavare la derivata di g da T
ovvero, seguendo la procedura di Gibbs-Helmholtz, di esplicitare la derivata, rispetto a T,
del rapporto g/T.
g g
T T g
T P
(6.23)
T T2
P
g
Tenendo conto che è s , la (6.23) diventa:
T P
g
T T s g
(6.24)
T T2
P
g
T
2
h
(6.25)
T T
P
s s
ds dP dT (6.34)
P T T P
Dividendo per dT, a volume costante, primo e secondo membro della (6.34) e
moltiplicando per T i due membri della suddetta relazione si ottiene:
s s P s
T T T
T v P T T v T P
(6.35)
s P
cv T cP
P T T v
Poiché da una delle relazioni di Maxwell si ha:
s v
P T T P
l’eq.(6.35) diventa:
P v
cv cP T (6.36)
T v T P
Il legame (6.36) può essere esplicitato utilizzando un’adeguata equazione di stato per
valutare le derivate. In particolare, per un gas perfetto, si ha:
R R
cv cP T cP R (6.37)
v P
6.7 Dipendenza di cv da v e di cP da P.
Si tratta di valutare le derivate, a temperatura costante, di cv rispetto a v e di cP
rispetto a P.
Nel primo caso, tenendo conto della (6.30), si ha:
cv s
T (6.38)
v T v T v T
Invertendo l’ordine di derivazione ed utilizzando una delle equazioni di Maxwell:
cv s
T
v T T v T v
(6.39)
P 2P
T T 2
T T v v T v
Per un gas perfetto:
cv 2P R
T 2 T 0 (6.40)
v T T v T v v
Pertanto, il calore specifico a volume costante di un gas perfetto non dipende dal
volume.
Procedendo in modo analogo per quanto riguarda la dipendenza da P del calore
specifico a pressione costante si ha:
cP s
T
P T P T P T
s v
T T (6.41)
T P T P T T P P
2v
T 2
T P
Si può dimostrare facilmente che, per un gas perfetto, il calore specifico a pressione
costante non dipende dalla pressione.
A2 T2 B2
A A’ T3 B’ B
A1 T1 B1
hAA1 L dP vL T1 dP
P T 1 Ps (T3 ) T P
(6.45)
v
Ps (T )
h
3
hB2 B V dP vV T2 dP
P T 2 Ps (T2 ) T P
Uguagliando le espressioni (6.43) e (6.45) si può ricavare csat.
Evidentemente, possono essere individuate altre trasformazioni per esprimere il
calore specifico a saturazione del vapore.
Il segno meno deriva dal fatto che un aumento di pressione determina una
diminuzione del volume specifico e, quindi, la derivata è negativa.
P2, T2, v2
v *
ln T 1 P2 P1 (6.50)
v1
Per la trasformazione isobara si ha:
d ln v P 2 dT
v (6.51)
ln 2 P 2 T2 T1
v*
7.1 Introduzione
Dato un sistema elastico costituito da un componente
puro o da una miscela a composizione costante, per
equazione di stato (EOS) si intende un legame funzionale
F(P,v,T)=0 dove P, v T sono le variabili necessarie ad
individuare lo stato del sistema.
L’EOS descrive il comportamento volumetrico del
sistema, cioè consente di determinare il volume specifico del
sistema dalla conoscenza della pressione e della temperatura.
Questo capitolo è dedicato alla presentazione delle EOS
dei fluidi mentre non verranno trattate le EOS dei solidi che
non rivestono particolare interesse per la termodinamica
degli equilibri di fase.
Quando si costruisce un’EOS si devono in generale
perseguire i seguenti obiettivi:
Precisione, ovvero l’EOS deve consentire di fornire
valori il più possibile prossimi ai dati sperimentali;
Semplicità dell’espressione analitica;
Validità in un ampio campo di valori delle grandezze
di stato;
Applicabilità ad ampie categorie di sistemi.
Si è ben lontani dal conseguimento di tutti questi
obiettivi così che, nella scelta dell’equazione di stato da
utilizzare per la soluzione di particolari problemi, è
importante considerare la natura e la precisione dei risultati
che sono richiesti. Inoltre, poiché molte delle EOS oggi
disponibili contengono parametri empirici che vanno
determinati dai dati sperimentali, è essenziale tener conto
della quantità e dell’affidabilità dei dati disponibili.
Si possono distinguere quattro categorie di EOS:
1. Equazioni di stato empiriche;
2. Equazioni di stato semi-empiriche;
3. Equazioni basate sul principio degli stati
corrispondenti;
4. Equazioni basate sul teorema viriale (EOS viriale).
La prima categoria non presenta interesse concettuale:
riguarda equazioni polinomiali ottenute correlando un certo
numero di dati sperimentali. Inoltre esse presentano
generalmente notevoli complicazioni nelle elaborazioni
dell’espressione analitica e non sono facilmente estendibili al
caso di miscele.
P v R T (7.1)
dove v è il volume molare.
Un secondo modello consiste nell’assimilare le molecole a
sfere rigide e nell’assumere nullo il potenziale di interazione
ovunque tranne che al contatto fra le sfere dove diventa
infinito (sfere impenetrabili). Il potenziale intermolecolare
Γ(r) è, in questo caso, del tipo mostrato nella Fig.7.1 dove r è
la distanza fra il centro di due molecole e σ=2R è il diametro
molecolare corrispondente alla minima distanza (2R) fra il
centro di due molecole di raggio R.
L’equazione che si ricava con questo modello è:
P v b R T (7.2)
r
σ
P v 1 2 3
R T 1 3 (7.2.a)
b
4v
Equazione di Van der Waals
Questa equazione, pur tenendo conto del volume occupato
dalle molecole, considera però solo le interazioni repulsive
che si manifestano al contatto fra le molecole. In realtà è noto
che le molecole si scambiano anche forze attrattive che
divengono preponderanti a “lunga distanza”. Per poter
ottenere risultati più precisi bisogna innanzi tutto cercare
un’espressione del potenziale intermolecolare Φ(r) che
approssimi meglio il comportamento intermolecolare reale.
Una forma del potenziale intermolecolare diffusamente
impiegato è quella proposta da Lennard-Jones. Esso tiene
conto delle forze attrattive a lungo raggio e assume le
molecole come sfere “soffici”, cioè tali che le forze di
repulsione al contatto di due molecole aumentino
considerevolmente senza diventare infinite. Il potenziale di
Lennard-Jones è riportato nella Fig.7.2 ed ha la forma
seguente:
12 6
(r ) 4 (7.3)
r r
dove ε è il minimo del potenziale e σ è il diametro molecolare
in corrispondenza al quale il potenziale si annulla ed r è la
distanza fra i centri delle molecole.
Ricordando che la forza scambiata fra due molecole è la
derivata cambiata di segno del potenziale rispetto alla
distanza r, si osserva che per distanze (r1-r2) grandi la forza è
attrattiva (pendenza positiva della curva del potenziale,
mentre per distanze corte si hanno forze repulsive.
R T a
P (7.4)
v b v2
In termini di volume totale la (7.4) assume, evidentemente, la
forma equivalente:
1
Per questa equazione Van der Waals ottenne il premio Nobel nel
1910.
n R T
2
n
P a (7.4 a)
V nb V
Il primo termine al secondo membro della (7.4) rappresenta
l’azione repulsiva che si scambiano le molecole a coro raggio
ed è detto appunto “termine repulsivo”.
Il secondo termine rende conto delle azioni attrattive a lungo
raggio ed è detto “termine attrattivo”.
P v b v 2 R T v 2 a v b
v 2 v b (7.5)
P v b R T v a v b 0
3 2
La rappresentazione dell’eq. di VdW nel piano P-v (piano di
Clapeyron) dà luogo ad isoterme che hanno l’andamento
rappresentato nella Fig.7.4.
Come si può osservare, a temperature relativamente alte
(maggiori della temperatura critica), alle quali è presente la
sola fase gassosa, l’andamento delle isoterme è soddisfacente
mentre nella zona bifasica liquido-vapore la forma
dell’isoterma non ha significato fisico. E’ noto infatti che in
presenza di due fasi all’equilibrio ad una determinata
temperatura T, la pressione (tensione di vapore) è uguale per
le due fasi.
g L gV (7.7)
aL Ps vL aV Ps vV
(7.9)
aL aV Ps vV vL
nella quale vV e vL sono rispettivamente il volume molare del vapore
e del liquido all’equilibrio.
da s dT P dv (7.10)
che, a T=cost, diventa:
da P dv (7.11)
Integrando la (7.11) fra le condizioni della fase liquida e quella del
vapore in equilibrio si ha:
2
Si consiglia di rivedere la dimostrazione dopo aver studiato le
condizioni di equilibrio esposte nei capitoli seguenti.
aV vV
da a
aL
V aL P dv
vL
(7.12)
vV
aL aV P dv
vL
Ps
S1
v
vL vV
P dv P v
vL
s V vL (7.13)
S2
vL vV
vV
Fig.7.6 – L’area S2 è P dv a
vL
V aL
3
Per esempio T3 della Fig.1.1
P
s2
s1
vL vV
P
0
v Tc
(7.14)
2P
2 0
v Tc
Effettuando le derivate della (7.4) ed imponendo le
condizioni del punto critico si hanno due equazioni dalle
quali è possibile ricavare i due parametri in termini di
grandezze critiche. I risultati ai quali si perviene sono i
seguenti:
27 R 2 Tc2 9 vc Tc
a a
64 Pc 8
oppure (7.15)
R Tc v
b b c
8 Pc 3
Evidentemente, qualora fossero noti i parametri a e b, si
potrebbe determinare il valore delle grandezze critiche. In
particolare si ha:
vc 3 b
8a
Tc (7.16)
27 R b
a
Pc
27 b 2
He 0.0341 0.0237
Ne 0.211 0.0171
Ar 1.34 0.0322
Kr 2.32 0.0398
Xe 4.19 0.0510
H2 0.244 0.0266
N2 1.39 0.0391
O2 1.36 0.0318
Cl2 6.49 0.0562
H2O 5.46 0.0305
CH4 2.25 0.0428
CO2 3.59 0.0427
CCl4 20.4 0.1383
Equazione di Redlich-Kwong
Una variante dell’equazione di VdW è l’equazione di
Redlich-Kwong (RK):
R T a
P 0.5 (7.17)
v b T v v b
Anche RK è un’equazione cubica nel volume con isoterme
qualitativamente simili a quelle di VdW. L’isoterma critica ha
un flesso a tangente orizzontale in corrispondenza al punto
critico e questa condizione può essere determinata per
determinare i parametri di RK dalle grandezze critiche,
analogamente a quanto fatto per l’equazione di VdW
(eq.7.15). Nel caso di Redlich-Kwong si ottiene:
0.4278 R 2 Tc2.5
a
Pc
(7.18)
0.0867 R Tc
b
Pc
7.3 Principio degli stati corrispondenti
Per un fluido qualsiasi si può introdurre il seguente rapporto
detto il fattore di compressibilità:
Pv
z (7.19)
R T
Esso vale 1 per i gas perfetti (per i quali è P v R T ;
assume valori diversi dall’unità per i fluidi reali.
Il fattore di compressibilità può essere calcolato dalle
equazioni di stato. Ad esempio, sostituendo a P nella (7.19)
l’espressione ricavata dall’equazione di VdW, si ha:
v R T a v a
z 2
R T v b v v b R T v
(7.20)
1/ a 1 a
1/ b R T 1 b R T
Sperimentalmente, il fattore di compressibilità può essere
determinato misurando P, v, T.
Se si riportano in un grafico i valori di z di un gas si
ottengono curve come quelle rappresentate qualitativamente
nella Fig.7.8 ove si è assunta la temperatura come parametro.
Ovviamente, le curve sono tangenti alla retta z=1 nel punto
ρ=0 (cioè P=0) perché in condizioni di pressione molto bassa
ogni fluido reale si comporta come un gas perfetto.
T4>T3 T3>T2
z
T2>T1
T1
1
P
Pr
Pc
T
Tr (7.21)
Tc
v
vr
vc
si osserva che per tutte le sostanze z assume lo stesso valore a
parità di grandezze di stato ridotte (Fig.7.9). In altri termini si
ha un unico grafico z vs. Pr (a parametro Tr) per tutte le
sostanze o anche:
Il fattore di compressibilità è una funzione universale
delle variabili ridotte
8 Tr 3
Pr 2 (7.22)
3 vr 1 vr
nella quale non appaiono più i parametri empirici a e b,
caratteristici delle varie sostanze.
Il principio degli stati corrispondenti ha un fondamento
rigoroso nella fisica molecolare e può essere dimostrato
(Teorema degli Stati Corrispondenti: TSC) sulla base di
alcune ipotesi sulla struttura molecolare dei fluidi. La natura
di queste ipotesi e l’evidenza sperimentale mostrano che non
tutti i fluidi seguono rigorosamente il TSC 4. Per esempio, la
dimostrazione del TSC richiede, fra le varie ipotesi, la
simmetria sferica del campo di forse intermolecolari. I fluidi
di molecole caratterizzate da simmetria non sferica mostrano
deviazioni dal comportamento degli stati corrispondenti.
Si può tentare una classificazione dei fluidi in base alle
deviazioni che essi presentano rispetto al TSC:
Tipo N: fluidi per i quali è applicabile il TSC
eventualmente modificato con l’introduzione di opportuni
parametri. Questo tipo di fluidi comprende due categorie. I
così detti fluidi normali, per i quali il TSC è estendibile con
l’introduzione di un terzo parametro che caratterizzi la
struttura molecolare, e i fluidi che necessitano
dell’introduzione di un quarto parametro per tener conto di
asimmetrie di struttura notevolmente accentuate o
dell’effetto di modesta polarità delle molecole.
Tipo P: fluidi per i quali si hanno notevoli deviazioni dal
TSC per effetto di elevata polarità delle molecole (H 2O, alcoli
ecc.).
Tipo Q: fluidi per i quali le molecole presentano effetti
quantici (H2, He, Ne, D2 ecc).
4
I fluidi per i quali vale rigorosamente il TSC sono detti semplici
Il terzo parametro più frequentemente usato è il fattore
acentrico ω definito come segue:
Pc vc
zc (7.27)
R Tc
z zT , (7.28)
z 1 2 z 1 3
z 1 2 2 3 3 ...
0 2 0 3! 0
(7.29)
Questa espressione può essere scritta nella forma compatta
seguente:
z 1 B C 2 D 3 ... (7.30)
avendo posto:
z
B
0
1 2z
C
2 2 0
(7.31)
1 3 z
D 3
3! 0
La relazione (7.30) è l’equazione di stato viriale ed i
coefficienti B, C…si chiamano, rispettivamente, “secondo,
terzo…coefficiente viriale”.
Il valore dei coefficienti viriali dipende unicamente dalla
temperatura in quanto essi sono definiti per un valore
assegnato di ρ (ρ=0).
E’ opportuno precisare che la serie (7.30) non converge per i
liquidi, ma solo per i gas ed i vapori.
La (7.30) può anche essere posta nella forma:
B C
z 1 ... (7.32)
v v2
1
dal momento che è .
v
Lo sviluppo in serie di z può essere eseguito anche rispetto
alla pressione intorno al punto P=0 poiché si può porre anche
z=z(T,P). Si ottiene:
z
B'
P P 0
(7.34)
1 2 z
C ' 2
2 P P 0
D' R T R T B R T C 3 R T ...
2 3
B R T 2 B'R T 2
2
Da questa si ricava:
B
B'
R T
Termini in ρ3:
da cui si ricava:
C B2
C'
RT 2
Termini in ρ4:
D 3 B C 3 B2
D' (7.36)
R T 3
che sono esatte nel caso di serie infinita.
L’equazione di stato viriale (7.33), troncata al secondo
termine, si può, quindi, porre nella forma seguente:
BP
z 1 (7.37)
R T
Evidentemente, quanto più alta è la pressione, ossia quanto
più il comportamento del gas reale si allontana da quello del
gas perfetto, tanto maggiore saranno i termini dello sviluppo
in serie da introdurre. Per contro l’uso del terzo (e del quarto)
coefficiente viriale C è limitato dal fatto che se ne conoscono i
valori (notevolmente imprecisi) solo per pochi fluidi.
I coefficienti viriali sono teoricamente legati al potenziaale
intermolecolare. In particolare il secondo coefficiente viriale
tiene conto del potenziale relativo alle interazioni binarie; il
terzo coefficiente viriale è legato alle interazioni fra tre
molecole e così via. Assunta una forma del potenziale
intermolecolare è possibile determinare per via teorica i
coefficienti viriali; ad esempio da un potenziale binario Φ(r)
indipendente dall’orientazione delle molecole si può
calcolare B:
( r ) 2
B 2 N A 1 exp r dr
0 k T
dove NA è il numero di Avogadro e k la costante di
Boltzmann.
Viceversa, dati sperimentali dei coefficienti viriali possono
fornire utili indicazioni sulla forma del potenziale
intermolecolare e sui parametri di interazione.
I dati sperimentali dei coefficienti viriali (in particolare di B e
di C) si possono ottenere da misure isoterme delle proprietà
volumetriche del fluido.
Si fissa, ad esempio, T e si misura il volume molare v per
diversi valori della pressione P. Da questi dati, per ogni
coppia di valori P,v, si calcola il fattore di comprimibilità
Pv
z .
R T
Se l’equazione viriale (7.30) viene troncata al terzo termine 5,
si ha:
5
Pressioni non particolarmente elevate.
z 1 B C 2
z 1 (7.38)
BC
1
La (7.38) rappresenta una retta su un piano che abbia
v
z 1
in ascisse e in ordinate. L’intercetta con l’asse delle
ordinate dà il valore di B, mentre la pendenza è pari a C.
12
10
(z-1)/ro
4
0 0.5 1 1.5 2
Densità ro, moli/cc
6
Per esempio, mediante il Metodo dei Minimi Quadrati.
semiempirica utilizzata di rappresentare il comportamento
del fluido.
Con l’equazione di VdW si ha, ad esempio:
v a
z
v b R T v
(7.39)
1 a
z
1 b R T
Derivando rispetto a ρ e ponendo ρ=0, dalla definizione di B,
si ottiene:
z b a
1 b R T
2
(7.40)
z a
B b
0 R T
1 2 z 1 2 1 b 2
C 2 b b2 (7.41)
2 0 2 1 b 4 0
Come si può osservare dalla (7.41), il terzo coefficiente viriale
ricavato dall’equazione di VdW risulta indipendente da T, in
contrasto con l’evidenza sperimentale. Se ne deduce che
l’equazione di VdW fornisce risultati accettabili per B mentre
risulta inadeguata per C.
La (7.40) mostra come sia possibile ricavare i parametri di
VdW a e b dalla conoscenza della dipendenza sperimentale
B(T). L’eq.(7.40) infatti rappresenta l’equazione di una retta
nelle variabili B vs. 1/T. Intercetta e pendenza della retta che
correla i dati sperimentali B(T) ed 1/T forniscono, quindi,
a
rispettivamente b e .
R
La determinazione di B viene effettuata spesso attraverso
correlazioni semiempiriche sulla base della temperatura e di
informazioni relative alle caratteristiche del composto.
Una correlazione molto usata è quella di Pitzer-Curl che
deriva dal TSC3 ed è quindi valida per i fluidi che seguono il
TSC37. La correlazione di Pitzer-Curl ha la forma seguente:
B Pc
B0 Tr B1 Tr (7.41)
R Tc
Le funzioni B0(Tr) e B1(Tr) possono essere stimate dalle
seguenti equazioni:
B0 Tr 0.083
0.422
Tr1.6
B1 Tr 0.139
0.172
Tr4.2
Per i fluidi polari, ai quali non è applicabile strettamente il
TSC3, si può utilizzare la correlazione di Tsonopoulos:
B Pc
f Tr f ' Tr f " Tr (7.42)
R Tc
7
Non è valida, per esempio, per fluidi polari
f Tr 0.1445
0.33 0.1385 0.0121 0.000607
Tr Tr2 Tr3 Tr8
f " Tr
a b
6
8
Tr Tr
Tr
TBr
T
JT (7.43)
P h
Esso fornisce indicazioni sull’effetto termico che si ha in
fluido in corrispondenza a variazioni della pressione, ad
entalpia costante. In particolare, se è JT 0 , il gas si
raffredda al diminuire di P (espansione); viceversa si ha
riscaldamento nell’espansione se è JT 0 . Il coefficiente di
Joule-Thomson trova applicazione specialmente nell’analisi
dell’espansione di un fluido in valvola che, come si è visto al
Cap.III, è una trasformazione isoentalpica.
Il coefficiente di J-T dipende da P e T e può essere posto
nella forma seguente:
h
T P T 1 h
JT (7.44)
P h h c p P T
T P
Per esplicitare la derivata di h rispetto a P della (7.44) si può
far uso delle considerazioni seguenti:
dh T ds v dP
h s
T v (7.45)
P T P T
s v
P T T P
dove si è fatto uso della quarta equazione di Maxwell.
Pertanto si ha:
h s v
T v T v (7.46)
P T P T T P
Sostituendo questo risultato nella (7.44) si ottiene:
1 v
JT T v (7.47)
cP T P
La (7.47) mostra che se si ha:
v
T v
T P
ovvero
v v
T P T
il coefficiente di J-T risulta maggiore di zero e, quindi, il gas
espandendosi si raffredda. Viceversa, se è:
v
T v
T P
ovvero
v v
T P T
all’espansione corrisponde il riscaldamento del gas.
Se nel piano T,v si rappresenta un’isobara (Fig.7.12), si può
osservare quanto segue.
Tracciate le due rette passanti per l’origine degli assi e
tangenti alla curva isobara, nei punti di tangenza (v. ad
esempio il punto I), la pendenza della retta v/T e la
v
pendenza dell’isobara coincidono:
T P
v v
I (7.48)
T P I TI
v
I
[P]
vI
T
TI
P2 P1
h2 h1 q (7.49)
h
P1
h1 cP1 T1 T2 dP (7.50)
P 2
P T 2
8
L’isoentalpicità dell’espansione è valida, naturalmente, solo se è
q=0. L’eq.(7.49) è di validità più generale e si applica, ad esempio,
nel caso di valvole riscaldate.
T1
P1
T2 T2
P2 P1
Fig.7.13 – Calcolo di h1
Nella (7.50) si è assunto cP indipendente da T.
h
Per valutare ora si può utilizzare la relazione:
P T 1
h v
v T (7.51)
P T T P
Pertanto, in base alle (7.50) e (7.51), la (7.49) diventa:
P1
v
q cP 2 T1 T2 v T dP (7.52)
P 2 T P T 2
Nel caso di un gas perfetto ed in assenza di scambi termici si
ottiene:
cP1 T1 T2 0
(7.53)
T1 T2
dal momento che, per un gas perfetto, l’entalpia non dipende
da P e quindi è9:
P1
v
P2
v T T dP 0
P T 2
(7.54)
9
Si può facilmente verificare usando l’equazione di stato dei gas
perfetti.
Equazione di Van der Waals
La derivata che compare sotto segno di integrale nella (7.52)
si può scrivere nella forma seguente (v. eq.6.13):
P
v T v
(7.55)
T P P
v T
Dall’eq. di VdW si ricava:
R
v vb
T P R T 2a
3
v b v
2
P R T 2a
dP dv 3 dv (7.56)
v T v b
2
v
v R
dP dv
T P vb
Cambiando la variabile di integrazione da P a v in base alla
seconda delle (7.56), l’integrale (7.52) diventa, quindi:
P1
v
v T T
P2
dP
P T 2
(7.57)
R T2
v1
2 a
v1
R T2
v
3
dv dv
v2 v b 2
v v2
v b
Eseguite le integrazioni si ha un’espressione in termini di v 1 e
v2 che può essere ritrasformata in termini di P1 e P2 mediante
l’equazione di VdW.
Sostituendo il risultato nella (7.52) si può calcolare T1 noti T2,
P1 e P2
Teorema degli stati corrispondenti
Se si può utilizzare il TSC , tenendo conto che è:
z R T
v
P
(7.58)
v R R T z
z
T P P P T P
l’integrale della (7.53) diventa:
P1
v
v T T
P2
dP
P
P1
z R T R R T 2 z
z T dP (7.59)
P 2
P P P T P T
2
P1
1 z
R T 2
P T P T
dP
P 2 2
z z Tr 2 z Tr1
(7.60)
T P1 Pr 1 Tr 2 Tr1
Il calcolo deve essere ripetuto per diversi valori della
pressione. Riportando in un grafico (Fig.7.15) i valori che si
ricavano, si ottiene il valore dell’integrale come area sotto la
1 z
curva vs.P.
P T P
Tr4 Tr3
z
Tr2
Tr1
1
Pr
Pr1 Pr2
1 z
P T P
1 z
P1
P T
P2 P
dP
P
BP
z 1 (7.61)
R T
si ha:
z BP P dB
(7.62)
T P R T R T dT
2
1 z
P1
R T 2 P T
P2 P
dP
1 dB
P1
B
R T
2
dP (7.63)
P 2
R T 2
R T dT T 2
dB
P1
B T dP
P 2
dT T 2
Poiché i coefficienti viriali non dipendono da P, il calcolo
dell’integrale è immediato e dalla (7.51) si ottiene:
h dB
B T (7.64)
P T dT
e quindi:
h dB
P1
T dP B T P1 P2 (7.65)
P2 P dT
Sostituendo questa relazione nella (7.50) ed il risultato nella
relazione (7.52), nell’ipotesi che sia q=0, si ottiene:
dB
cP 2 T1 T2 B(T2 ) T2 P1 P2 0 (7.66)
dT T 2
dalla quale si può calcolare la temperatura T1 di fine
espansione, ammesso di conoscere la dipendenza da T del
secondo coefficiente viriale.
Dalla definizione del coefficiente di Joule-Thomson si ricava:
1 h 1 dB
JT B T (7.67)
cP P T cP dT
In base a questa espressione, la temperatura di inversione10 si
ha per:
B dB
(7.68)
T dT
T
M (7.69)
v u
Esso da indicazioni sulla variazione della temperatura con il
volume ad energia interna costante.
Con semplici trasformazioni si ottiene:
u
T v P
M T
1
P T (7.70)
v u u cV T v
T v
7.7 Grandezze residue
Il valore residuo di una grandezza termodinamica è la
differenza fra il valore che la grandezza assume in un fluido
10
Si ricava un unico valore della temperatura di inversione perché
si è utilizzata l’EOS viriale troncata al secondo termine e quindi
valida solo a pressioni relativamente basse.
reale, per determinate condizioni di temperatura e di
pressione, ed il valore che la grandezza avrebbe nelle stesse
condizioni in un gas perfetto.
Il volume molare residuo è, ad esempio:
R T
v' v(T , P) v * (T , P) v(T , P) (7.71)
P
L’entalpia residua è:
h' h(T , P) h * (T , P) (7.72)
Volume residuo
Nel caso di un gas reale, utilizzando il fattore di
compressibilità z, la (7.71) diventa:
R T R T R T
v' z z 1 (7.73)
P P P
Il fattore z può essere espresso tramite il TSC o una
qualunque altra equazione di stato. Se, ad esempio, si utilizza
l’EOS viriale troncata al secondo termine (bassa pressione), si
ottiene:
BP
z 1
R T
BP
z 1 (7.74)
R T
B P R T
v' B
R T P
Il secondo coefficiente viriale rappresenta quindi il volume
residuo a pressioni non particolarmente elevate.
Entalpia residua
Per valutare questa grandezza residua, conviene partire dalla
seguente espressione che fornisce la dipendenza dalla
pressione dell’entalpia residua:
h h * h h *
P P P (7.75)
T T T
h h * h v
P P 0 v T (7.76)
T T T P
Se ora si integra la (7.76) fra P=0 e P e si tiene conto che a P=0
il gas si comporta da gas perfetto, si ricava il valore residuo
cercato:
h h* P
d h h * h h*
h h* P 0
(7.77)
P
v
P
1 z
v T dP R T 2
dP
0 T P 0
P T P
L’ultimo passaggio è evidente in base alla (7.60).
Per eseguire il calcolo indicato nella relazione (7.77) occorre
conoscere la dipendenza di z da T e P, cioè occorre disporre
di un’equazione di stato.
Se ad esempio si utilizza il TSC a due parametri, dalla (7.77)
si ottiene una relazione che fornisce h h * in funzione di
Pr e Tr. In molti manuali questa dipendenza è riportata in
forma grafica mediante diagrammi che mostrano
l’andamento delle curve h h * vs. Pr, a parametro Tr. Se si
utilizza il TSC3, l’andamento dell’entalpia residua è
generalmente presentato sotto forma di tabelle relative a
valori assegnati del fattore acentrico.
Se la pressione alla quale calcolare l’entalpia residua non è
particolarmente elevata si può ricorrere all’equazione di stato
viriale troncata al secondo termine. Si ottiene allora:
P
v dB
h h* v T dP B T P (7.78)
0 T P dT
Entropia residua
Utilizzando la relazione di Maxwell:
s v
(7.79)
P T T P
si ha:
s s * s s * v * v
P P P T T
(7.80)
T T T P P
Risulta inoltre:
R T
v*
P
(7.81)
v * R
T P P
e
R T
v z
P
(7.82)
z R R T z
z
T P P P T P
Sostituendo queste relazioni nella (7.80) si ottiene:
s s * R R R T z
P z
T P P P T P
(7.83)
z 1 T z
R
P P T P
Integrando la (7.83) fra P=0 e P si ricava:
P
z 1 T z
s s* R P P T dP
P 0 P
(7.84)
dB B
s s* P (7.85)
dT T
Le altre grandezze possono essere ricavate dai risultati
precedenti.
Per esempio, l’energia interna residua può essere espressa
come segue:
u u* (h h*) ( P v P v*)
(7.86)
h h * R T z 1
dove per l’entalpia residua si può utilizzare una delle
espressioni date più sopra.
Analogamente si può procedere per le grandezze derivate. Il
valore residuo del calore specifico a pressione costante si
può, ad esempio, valutare facilmente dalla definizione:
h h *
cP c *P (7.87)
T P
P2
T2
P1 P1
T1 T2
Fig.7.16 – Trasformazione a)
h
P2
h1, 2 cP1 T2 T1 dP (7.88)
P1
P T 2
Seguendo, invece, il percorso b) si ha:
P1
T2
P2
P1 g.p
T2
T1 g.p.
g.p
.
Fig.7.17 –Trasformazione b)
lim f P (7.93)
P 0
11
L’importanza della fugacità risulterà evidente nello studio degli
equilibri di fase nei quali la condizione di equilibrio è data
dall’uguaglianza dei valori delle fugacità di ciascun componente
nelle varie fasi. Ad esempio, per l’equilibrio liquido-vapore si ha:
f i ,V (T , P) f i , L (T , P)
12
E’ evidente che, se è noto il valore della fugacità f° ad una
pressione qualunque P°, il calcolo di f alla pressione P può essere
effettuato con la stessa relazione (7.94)
R T
A tale scopo si può porre v z e conviene sommare e
P
R T
sottrarre sotto segno di integrale:
P
R T R T
P
f 1
ln v dP
f R T P P P
(7.95)
z 1
P P
1 1
R T P R T P dP R T R T d ln P
P
z 1
P
ln f ln f dP ln P ln P
P
P
(7.96)
f z 1
P
ln f ln dP ln P
P P P
f
Per P°→0, risulta ln 0 . Pertanto, la (7.96) si riduce a:
P
z 1
P
f
ln dP (7.97)
P P P
E’ evidente che, anche in questa forma, l’integrale può essere
valutato solo se si dispone di un’equazione di stato.
Per le fasi gassose si definisce anche un coefficiente di
fugacità come rapporto fra la fugacità e la pressione:
f
(7.98)
P
Ovviamente, per un gas perfetto, risulta Φ=1 in quanto è f=P.
Per un fluido reale, dalla (7.93) si ottiene:
lim 1 (7.99)
P0
Il calcolo del coefficiente di fugacità può essere effettuato
utilizzando la (7.97) che fornisce appunto l’espressione di Φ.
Se si utilizza come EOS13 il TSC o il TSC3, si ottiene il ln(Φ) in
termini di grandezze ridotte Tr e Pr ed, eventualmente, del
fattore acentrico. I risultati sono generalmente riportati sotto
forma di grafici o di tabelle.
Se, invece, il comportamento volumetrico del gas può essere
descritto tramite l’EOS viriale troncata al secondo termine
(pressioni relativamente basse), la funzione da integrare nella
B
(7.97) risulta pari a ed il coefficiente di fugacità si
R T
calcola immediatamente come segue:
BP
P
ln
B
dP (7.100)
0
R T R T
Per le fasi condensate (liquidi e solidi) è più comodo calcolare
la fugacità f piuttosto che il coefficiente di fugacità Φ.
Per un liquido, ad esempio, si può utilizzare la relazione
(7.94) che, nell’intervallo P-P*, assume la forma seguente:
ln f L P ln f L P * P P *
vL
(7.101)
R T
L’eq.(101) deriva dall’ipotesi che, nell’intervallo di pressioni
considerato, il volume molare del liquido si possa
considerare costante.
Il calcolo di fL alla pressione P richiede, tuttavia, che sia noto
il valore di fL alla pressione P*. Se come valore di P* si assume
la tensione di vapore Ps(T) alla temperatura T, cioè la
pressione di equilibrio fra fase vapore e fase liquida, la
fugacità del liquido risulta pari a quella del vapore 14 e
quest’ultima si può porre pari al valore della pressione P s per
13
Il confronto di Φ previsto da un’EOS con i valori sperimentali
rappresenta un test molto severo per valutare la validità dell’EOS.
14
Questa affermazione, già accennata alla nota 28, sarà dimostrata
più avanti.
il relativo coefficiente di fugacità valutato alla temperatura T
ed alla pressione Ps. Si ha, quindi:
f L ( Ps ) fV ( Ps ) s (T , Ps ) Ps (T ) (7.102)
ln f L P ln s T , Ps Ps (T ) P Ps (T )
vL
R T
v
f L ( P) s T , Ps Ps (T ) exp L P Ps (T ) (7.103)
R T
f L ( P) s T , Ps Ps (T ) L
v
L exp L P Ps T (7.104)
R T
n n
Bm Bij yi y j (8.1)
i 1 j 1
Per una miscela a due componenti la relazione (8.1) assume la forma esplicita:
Bm B11 y12 B22 y22 B12 y1 y2 (8.3)
Il termine misto B12 tiene conto dell’interazione fra molecole di componenti diversi.
Al crescere della pressione non è più possibile troncare l’equazione di stato viriale al
secondo termine. Ne consegue la necessità di considerare il terzo coefficiente viriale della
miscela definito come segue:
n n n
Cm Cijk yi y j yk (8.4)
i 1 j 1 k 1
Risulta, inoltre:
Cijk Cikj C jik C jki Ckij Ckji (8.5)
vm zm 1 Bm
Cm
(8.8)
vm
1
Dalla conoscenza di σ12 e di ε12
zc1 zc 2
zc12
2
3 (8.10)
v1 / 3 vc12/ 3
vc12 c1
2
Come si può notare, il termine misto della temperatura critica è la media geometrica
delle temperature critiche dei due componenti, i termini misti del fattore acentrico e del
fattore di compressibilità sono dati dalle medie aritmetiche. Il volume critico è una
grandezza legata al covolume e, quindi, al diametro delle molecole. Il termine misto è dato
dalla così detta media di Lorentz cioè dalla media aritmetica dei diametri molecolari
elevata al cubo.
P
P 'r
P'c
P'c y12 Pc1 y22 Pc 2 2 y1 y2 Pc12 (8.12)
Pc12 Pc1 Pc 2
Con questi valori delle grandezze ridotte si ottiene un valore di zm molto vicino a
quello sperimentale, se tutti i componenti della miscela obbediscono al TSC.
dove Pi è la pressione parziale secondo Dalton del componente i, cioè la pressione che
eserciterebbe il componente i se si trovasse alla temperatura della miscela ed
occupasse, da solo, il volume occupato dalla miscela. Se si tratta di una miscela di gas
perfetti si può applicare l’EOS sia per la miscela che per il componente puro:
R T
P n
V
R T
Pi ni
V
Dividendo membro a membro si ottiene:
Pi P yi (8.14)
dalla quale discende banalmente la (8.13).
Legge di Amagat
n
vm yi vi (8.15)
i 1
Nella (8.15) v°i è il volume che una mole del componente i puro occuperebbe alle stesse
condizioni di P e di T della miscela. La (8.15) afferma sostanzialmente che una miscela
di gas perfetti occupa un volume molare che è la somma pesata dei volumi dei
componenti puri ed esclude la presenza di effetti di mescolamento (dilatazioni o
contrazioni di volume).
Legge di Bartlett
Essa è basata sulla definizione di pressione parziale secondo Bartlett, cioè sulla
pressione che eserciterebbe un componente puro in quantità pari a quella della miscela
alla temperatura T ed alla pressione P.
Detta P̂i la pressione parziale secondo Bartlett, la pressione totale esercitata dalla
miscela alla temperatura T è data da:
n
P Pˆi yi (8.16)
i 1
bm b1 y1 b2 y2 (8.20)
U U S ,V , n1 , n2 ...nc
H H S , P, n1 , n2 ...nc
(9.1)
A AT ,V , n1 , n2 ...nc
G G T , P, n1 , n2 ...nc
U U c
U
dU dS dV dni
S v , n j V S , n j i 1 ni S ,V , n
j i
(9.2)
U
c
dU T dS P dV dni
i 1 ni S ,V , n
j i
U U
Nelle derivate e con il pedice nj si intende
S V , n j V S , n j
che le derivate vanno calcolate tenendo costante il numero di
U
moli di tutti i componenti, mentre nelle derivate il
ni S ,V , n j i
pedice n j i indica che va considerato costante il numero di moli
di tutti i componenti ad eccezione, ovviamente, di ni rispetto al
quale si effettua la derivata.
Procedendo in maniera analoga a quanto fatto per l’energia
interna, dagli altri potenziali termodinamici si ottiene:
c
H
dH T dS V dP dni
i 1 ni S , P , n
j i
c
A
dA S dT P dV dni (9.3)
i 1 ni T ,V , n
j i
c
G
dG S dT V dP dni
i 1 ni T , P , n
j i
Ricordando che è:
H U P V
(9.4)
dH dU P dV V dP
P dV V dP (9.5)
c
U
T dS V dP dni
i 1 ni S ,V , n
j i
H U
(9.6)
i S , P , n j i i S ,V , n j i
n n
U H A G
i (9.7)
i S ,V , n j i i S , P, n j i i T ,V , n j i ni T , P , n j i
n n n
G
i (9.8)
ni T , P , n j i
m
m k m 1 k m dP k dT
P T , n j T P , ni
c
(9.12)
k m dni
i 1 ni P ,T , n
j i
c
k
k dP k dT d kni
P T , kni T P , kni i 1 ( kni ) P ,T , kn
j i
P, T , n1...nc
(9.13)
k P, T , kn1...knc
33
Le grandezze intensive sono, invece, funzioni omogenee di grado 0
nelle variabili n1…nc
Osservando ora che:
k m k m
P k P dP T k T dT
c
k
k km dni (9.15)
i 1 kni ni
c k
ni m k m 1 dk 0
i 1 kni
Questa relazione è valida per qualunque variazione infinitesima
delle variabili indipendenti P,T,n1…nc. Perché questa condizione
sia soddisfatta è necessario che siano nulli tutti i coefficienti dei
differenziali dP, dT, dni. Pertanto deve essere:
k
km
P P
(9.16)
k
km
T T
k
k m 1
kn1 n1
k
k m 1
kn2 n2 (9.17)
.............................
k
k m 1
knc nc
nc
k
n
j 1
j
kn j
m k m 1 (9.18)
nc
n
j 1
j
n j
m (9.19)
V
vi (9.20)
ni P ,T , n j i
si ha, per il volume totale della miscela:
nc
V ni vi (9.21)
i 1
34
Il volume parziale molare, come tutte le grandezze parziali molari, è
una grandezza intensiva rappresentata da un numero reale che può
essere positivo o negativo. Esso rappresenta la variazione del volume
totale della miscela per l’aggiunta di dni moli del componente i
9.3 Alcune proprietà delle grandezze parziali molari
nc
2
j 1 ni n j
nj
ni ni
(9.23)
nc
2
j 1 ni n j
nj 0
n
i (9.24)
ni P ,T , n j i ni P ,T , n j i
n n
i n (9.25)
n i P ,T , n j i
i P ,T , n j i
n
i P ,T , n j i
n
n
Il valore della derivata si può ricavare tenendo
ni P ,T , n j i
conto che, per una mole di miscela, è n1 n2 ....ni ...nc 1 .
Pertanto:
n n n
1 2
ni P ,T , n j i ni P ,T , n j i ni P ,T , n j i (9.26)
n n
... i ... c 0 0 ...1 ...0 1
ni P ,T , n j i ni P ,T , n j i
i n (9.27)
i P ,T , n j i
n
d dxk (9.29)
k i xk P ,T , x j k
Dividendo primo e secondo membro della (9.29) per dni si ricava:
35
Si ricorda che la somma delle frazioni molari è uguale ad 1; pertanto
sono sufficienti c-1 frazioni molari per assegnare la composizione del
sistema.
x
k (9.30)
ni P,T , n j i k i xk P ,T , x j k ni P ,T , n j i
xk
Per eseguire la derivata si tenga conto che, per
ni P ,T , n j i
definizione di frazione molare, è:
nk n
xk k (9.31)
n1 n2 ...nc n
Di conseguenza, la derivata in questione è:
nk n
n nk
xk ni ni n
k2 (9.32)
ni
2
P ,T , n j i n n
nk
dove le derivate sono tutte uguali a zero per k i (v.
ni
n
sommatoria nella (9.30), mentre la derivata è uguale ad 1 per
ni
il termine ni.
In base alla (9.32), l’eq.(9.30) diventa:
n x
k2 k
ni P,T , n j i k i xk P ,T , x j k n k i xk P ,T , x j k n
i xk (9.33)
k i xk P ,T , x j i k
che è la relazione cercata fra grandezza parziale molare,
grandezza specifica della miscela e composizione in termini di
frazioni molari.
Per un sistema a due componenti la relazione (9.33) si riduce a:
1 x2
x2 P ,T
(9.34)
2 x1
x1 P ,T
o anche, ricordando che è x1 x2 1 e che dx1 dx2 :
1 1 x1
x1 P ,T
(9.35)
2 x1
1 P ,T
x
Della (9.35) si può dare la seguente interpretazione geometrica.
φ D
C
E
M
L
B
A
x1
H G F
DL CL tg 1 x1
x1
Pertanto:
DF FL DL 1 x1 1
x1
ML
c
d dP dT dni
P T , n j T P , n j i 1 ni P ,T , n
j i (9.37)
c
dP dT i dni
P T , n j T P , n j i 1
c c
d ni di i dni (9.39)
i 1 i 1
c
n d
i 1
i i dP
P T , n j
dT
T P , n j
(9.40)
c
ni
i 1 n
d i n dP n dT
P T
(9.41)
T , n j P,n j
c
x d
i 1
i i dP
P T , n j
dT
T P , n j
La seconda di queste relazioni è l’equazione di Gibbs-Duhem.
A pressione e temperatura costanti, la (9.41) diventa:
x d
i 1
i i 0 (9.42)
1 2
x1 x2 0
x1 x1
o anche:
2 x
1 1 (9.44)
x1 x2 x1
1
2 1
2 1 2
x1 x1 x1
di vi dP (9.46)
G
i
(9.47)
ni P ,T , n j i
il suo differenziale è:
G dG
di d (9.48)
ni P,T , n j i ni P,T , n j i
Ma a T=cost si ha, per la miscela, dG V dP . Quindi:
dG V dP
di vi dP (9.49)
ni P,T , n j i ni P,T , n j i
che è il risultato cercato.
Dalle (9.45) e (9.46) si ha, allora:
v
d ln fˆi i dP
R T (9.50)
T cos t
L’eq.(9.50) può essere integrata per ricavare il valore della
fugacità ad una pressione assegnata noto il valore ad una
pressione diversa. Si ottiene:
P
1
ln fˆi ( P) ln fˆi ( P*)
R T P*
vi dP (9.51)
R T
Aggiungendo e sottraendo al secondo membro della (9.51)
P
si ha:
ln fˆi ( P) ln fˆi ( P*)
1
P
R T 1
P
R T (9.52)
vi
R T P* P
dP
R T P* P dP
Posto37:
P vi
zi (9.53)
R T
e quindi:
R T
vi zi (9.54)
P
la (9.52) diventa:
37
Si osservi che z i non è la grandezza parziale molare di z che non è una
grandezza estensiva.
ln fˆi ( P) ln fˆi ( P*)
P
zi 1 (9.55)
dP ln P ln P *
1
R T R T
P*
P
z 1
P
ln fˆi ( P) ln fˆi ( P*) ln P* i dP ln P
P *
P
ˆ
ln f i ( P) ln
fˆi ( P*) P zi 1
dP ln P (9.56)
P * P* P
Se la pressione P* è molto bassa, al limite P* 0 , tenendo conto
definizione (9.45) (seconda relazione) l’eq.(9.56) diventa:
z 1
P
ln fˆi ( P) i dP ln P ln xi (9.57)
0
P
Se ora si pone:
zi 1
P
ln(ˆi ) dP (9.58)
0
P
la (9.57) assume una delle forme seguenti:
ln fˆi ( P) ln ˆi ln P ln xi
(9.59)
fˆ ( P) ˆ P x
i i i
zi 1
P
lim
P 0
0
P
dP 0 .
Il valore di ˆi , e quindi della fugacità, si può calcolare se si
dispone di un’equazione di stato per miscele. Il calcolo richiede
che dall’equazione di stato si valuti il volume parziale molare vi
nell’intervallo di pressioni fra 0 e P allo scopo di poter effettuare
l’integrale che appare nell’eq.(9.58).
Negli sviluppi seguenti si ricaverà la relazione che esiste fra la
fugacità del componente i in soluzione e fugacità della miscela
definita come segue:
vm
d ln f m dP [T] (9.60)
R T
Moltiplicando ambo i membri della (9.60) per il numero totale di
moli n della miscela:
Vm
n d ln f m dP (9.61)
R T
ed integrando si ha:
f m P
P
V
n ln m dP (9.62)
f m P * P* R T
D’altra parte, in base alla (9.51) ed alla definizione di volume
parziale molare risulta:
fˆ ( P) 1
P
1
P
V
ln i
f i P * R T
ˆ vi dP m
R T P* ni P ,T ,n
dP
P* j i (9.63)
Vm
P
R T dP
ni P* P ,T ,n j i
fˆ ( P) f P f P
ln i ln m n ln m (9.65)
f i P *
ˆ f m P * ni f m P * P ,T , n j i
fˆ ( P) f m P f P
ln i ln n ln m (9.66)
xi P * P * ni P * P ,T , n j i
fˆ ( P)
ln i ln f m P n ln f m P (9.67)
xi ni P ,T , n j i
Anche questa relazione ha la forma della (9.27). Pertanto
fˆ ( P)
ln i si può considerare la grandezza parziale molare
xi
associata a n ln f m P .
Applicando ora la proprietà (9.33) delle grandezze parziali
molari, si ottiene:
fˆ ( P) ln f m P
ln i ln f m P xi (9.68)
xi k i xk P ,T , x j i k
fˆ ( P) ln f m P
ln 1 ln f m P 1 x1
x1 x1 P ,T , x j i k
(9.69)
fˆ ( P) ln f m P
ln 2 ln f m P x1
x2 x1 P ,T , x j i k
fˆi P ˆi P xi
(9.70)
f m P P m
in base alla (9.68) si ha:
ln m P
ln ˆi P ln m P xi (9.71)
k i xk P ,T , x j i k
Semplificando la P e tenendo conto che il ln(P) non dipende dalla
composizione a P=cost, si perviene al risultato cercato:
ln m
ln ˆi ln m xi (9.72)
k i xk P ,T , x j ik
Per una miscela binaria si ha:
ln m
ln ˆ1 ln m 1 x1
x1 P ,T , x j i k
(9.73)
ln m
ln ˆ2 ln m x1
x1 P ,T , x j i k
a) Approssimazione di Lewis-Randall
Si assume il coefficiente di fugacità indipendente dalla
composizione e pari al valore del componente puro:
P vi
1
zi 1
P P
ln ˆi dP R T dP
0
P 0
P
(9.75)
P vi
1
z 1
P P
ln i i dP R T dP
0
P 0
P
I limiti dell’approssimazione di Lewis-Randall sono evidenziati
nelle figure seguenti.
vm
v1
v°1
x1
vi
v°1
x1
38
E’ il caso, per esempio, che sia valida la legge di Amagat per la quale
è: vm x j v j
coefficiente di fugacità del componente nella miscela si ricava
quindi dalla (9.72).
ln m ln m ln 'm
m xi i
39
Esistono tabelle e grafici specifici che riportano le funzioni suddette.
zm 1
P
ln m dP (9.76)
0
P
ed esplicitare zm mediante una delle equazioni di stato
semiempiriche. Usando, ad esempio, l’equazione di Van
der Waals si ha:
vm am
zm
vm bm R T vm
c c
am xi xk aij (9.77)
i 1 j 1
c c
bm xi xk bij
i 1 j 1
zm 1 B P B P
P P
ln m dP m dP m (9.78)
0
P 0
P R T R T
nella quale è:
c c
Bm xi xk Bij (9.79)
i 1 j 1
v
v1 vm 1 x1 m
x1 P ,T
v
v2 vm x1 m
x1 P ,T
Evidentemente occorre un’EOS per miscele per esprimere la
dipendenza di vm dalla composizione.
ln f v
(9.81)
P T R T
f ( P)
g ( P) g * ( P) R T ln
P (9.84)
f ( P) g ( P) g * ( P)
ln
P R T
Utilizzando l’equazione di Gibbs-Helmholtz per descrivere la
dipendenza di g dalla temperatura si perviene al seguente
risultato:
ln f ( P) g ( P) g * ( P) h( P ) h * ( P ) (9.85)
T
P
T R T R T 2
di R T d ln fˆi
fˆ ( P) i ( P) *i ( P)
ln i [T] (9.86)
P xi R T
fˆ ( P) g i ( P) g *i ( P )
ln i
P xi R T
Applicando l’equazione di Gibbs-Helmholtz si ottiene:
ln fˆi ( P) h ( P) h *i ( P)
i (9.87)
T P , xi R T 2
fˆi
i i R T ln (10.2)
fˆi
dove il simbolo indica lo stato di riferimento.
Si ricorda che lo stato di un sistema termodinamico è definito
quando sono assegnate le seguenti informazioni:
Stato fisico
Pressione
Temperatura
Composizione
Poiché la (10.2) è basata sull’identità della temperatura nello
stato del sistema ed in quello di riferimento, quest’ultimo può
40
purché alla stessa temperatura del sistema
203
essere scelto fissando lo stato fisico, la pressione e la
composizione in modo del tutto arbitrario.
fˆi
Al rapporto si da il nome di attività del componente i in
fˆi
soluzione:
fˆi
ai (10.3)
fˆi
ai
i (10.4)
xi
41
Si può anche utilizzare, come misura della composizione, la concentrazione molare
Ci o la molalità invece della frazione molare. Evidentemente i coefficienti di attività
assumono valori diversi in relazione al tipo di definizione.
204
A differenza dell’attività e del coefficiente di attività, il
potenziale chimico dipende unicamente dallo stato del sistema e
risulta indipendente dallo stato di riferimento prescelto.
Una miscela si dice ideale se, per essa, vale la seguente relazione:
205
Gli stati di riferimento più frequentemente adottati sono quello
di Raoult e quello di Henry.
fˆi
aiR
f i
(10.8)
fˆ
iR i
f i xi
In accordo con le (10.6) e (10.7), una soluzione ideale secondo
Raoult è una miscela per la quale risulta, in tutto il campo di
concentrazioni (v.Fig.10.1)
fˆi f i xi
(10.9)
i i R T ln xi
206
fˆi
f°i
xi
fˆi f x
aiR i i xi
f i f i
(10.10)
fˆi f x
iR i i 1
f i xi f i xi
207
alla retta che rappresenta la legge di Raoult (comportamento
ideale).
fˆi
fˆi
Caso a) Caso b)
xi xi
lim iR 1
xi 1
(10.11)
208
10.2.2 Riferimento di Henry.
In questo riferimento risulta:
fˆi H xi
fˆ (10.12)
H lim i
xi 0 x
i
fˆi H12
xi
209
La retta indica l’andamento della fugacità in un sistema “ideale
secondo Henry”. Questo andamento è approssimato dalla
fugacità del sistema reale a basse concentrazioni del componente
i. In altri termini, H rappresenta la fugacità del composto puro in
una ipotetica miscela ideale secondo Henry.
L’attività secondo Henry, in analogia a quanto detto a proposito
del riferimento di Raoult è definita come segue:
fˆi
aiH (10.13)
H
Se la miscela è ideale secondo Henry in tutto il campo di
concentrazioni si può scrivere, evidentemente:
fˆi H xi (10.14)
Pertanto, l’attività in una miscela ideale secondo Henry risulta:
H xi
aiH xi (10.15)
H
In sintesi, nelle miscele ideali secondo Raoult o secondo Henry,
l’attività coincide con la frazione molare.
Le deviazioni dall’idealità sono, come al solito, descritte dal
coefficiente di attività che, nel caso di riferimento di Henry, è
definito come segue:
fˆi
iH (10.16)
H xi
210
Riassumendo si hanno le seguenti due condizioni:
lim iR 1
xi 1
(10.17)
lim 1
i
H
xi 0
ln fˆi
. Questa derivata è stata già calcolata al Cap.9
T P, x
(eq.9.87). Il risultato è riportato nella relazione seguente:
ln fˆi
hi hi *
(9.87)
T P , x R T 2
211
dove hi è l’entalpia parziale molare del componente i in
soluzione e con l’asterisco si è indicato lo stato di gas perfetto.
Sostituendo la (9.87) nella (10.19) si ottiene:
ln H hi hi * hi hi *
xlim 2
(10.20)
T P , x i 0 R T P , x R T 2
fˆi
ln
ln H xi
lim (10.22)
P T , x xi 0 P
T ,x
212
CAPITOLO XI
11.1 Definizioni
Nei processi di mescolamento nei quali, a partire da composti
puri, si ottiene una miscela, la generica grandezza
termodinamica estensiva subisce, generalmente, una variazione.
Con riferimento alla generica grandezza specifica φ si ha:
c
mix m i xi (11.1)
i 1
c
vmix vm vi xi
i 1
c
hmix hm hi xi (11.2)
i 1
c
g mix g m g i xi
i 1
213
Ricordando la definizione di grandezza parziale molare e
l’eq.(9.22), le suddette relazioni assumono la forma equivalente:
c
vmix xi vi vi
i 1
214
g
mix
g R T
ln a1R mix 1 x1
R T x1
(11.6)
g
mix
g R T
ln a2R mix x1
R T x1
i xi
c c c
R T xi ln aiR ln xi R T xi ln R T xi ln i
i 1 i 1 xi i 1
In conclusione:
215
c
g mix
E
R T xi ln i (11.8)
i 1
Gmix E
ln
R T
ln i (11.9)
ni
P ,T , n j i
216
11.3 Proprietà delle soluzioni ideali.
In una miscela ideale, la fugacità di ciascun componente è una
funzione lineare della frazione molare (eq.10.9):
fˆi f i xi (11.11)
dove f°i è la fugacità nello stato di riferimento. Se questo è quello
di Raoult, f°i è la fugacità del componente puro alla temperatura
T ed alla pressione P. In tal caso la miscela si dice ideale secondo
Raoult. Analoga definizione si può dare per le miscele ideali
secondo Henry.
D’altra parte sono state ricavate in precedenza (eqs. 9.82 e 9.85)
le derivate della fugacità fˆi rispetto a P e rispetto a T:
ln fˆi vi
P R T
T , x
(11.12)
ln fˆi
hi h2i
*
T R T
P, x
217
Dal confronto della (11.12) e della (11.13) si deduce che, per
miscele ideali, si ha:
vi vi
(11.14)
hi hi
218
g mix
id c
smix
id
R xi ln xi (11.18)
T i 1
219
smix
E
0
(11.21)
vmix
E
0
Evidentemente, essendo g mix
E
hmix
E
Tsmix
E
, per le soluzioni
regolari si ha: g mix
E
hmix
E
hmix , dove l’ultima uguaglianza
deriva dalla (11.20).
gE
g g id x i i i x ln x
i i
mix
mix mix i 1
i 1
(11.22)
R T R T R T R T R T
c xi i i x ln x i i
xi ln i
i 1
i 1
R T
i 1
R T
(11.24)
220
c
xi i i
i 1
c R T c
xi ln xi xi ln xi
i 1
1 i 1
P P R T P
T , x T , x
T , x
i
L’ultima derivata è uguale a zero, mentre vi . Pertanto:
P
c
ln i c
x v v
1
i 1
xi
P T , x R T i 1
i i i (11.25)
ln i v vi
i (11.26)
P T , x R T
221
c g mixE
i
x ln
i
hmix
E
i 1 R T
(11.27)
T T R T 2
P, x P, x
Osservando, inoltre, che è:
i
x ln
i
h E
i 1 mix
i 1
(11.29)
T R T 2 R T 2
P, x
La relazione (11.29) deve essere valida per qualunque
composizione. Pertanto devono essere uguali i singoli
coefficienti delle frazioni molari nelle sommatorie:
ln i h hi
i (11.30)
T P , x R T 2
hi hi 1 1
ln i T ln i T (11.31)
R T T
222
Due casi particolari
Soluzioni atermiche
In questo caso si ha hmix 0 e, quindi hi hi . Pertanto, dalla
relazione (11.30) o dalla (11.31) si ottiene:
ln i T ln i T (11.32)
Per le soluzioni atermiche i coefficienti di attività non dipendono
dalla temperatura.
Soluzioni regolari
In questo caso, per definizione, si ha smix
E
0 . Pertanto:
g mix
E
hmix
E
hmix
g mix
E
h (11.33)
mix
R T R T
Ricordando la (11.23), dalla (11.33) si ricava:
hmix c
xi ln i (11.34)
R T i 1
Sostituendo ora nella (11.27) il risultato (11.34) si ha:
c c
xi ln i xi ln i
hmix i1
E
i1 (11.35)
T R T 2 T
P,x
Tenendo presente che questo risultato deve essere valido per
ogni valore delle xi , dal confronto del primo e dell’ultimo
termine della (11.35) si ottiene:
223
ln i ln i
T P , x T
Separando le variabili:
d ln i dT
[P,x]
ln i T
ed integrando si ricava:
T ln i T T ln i T (11.36)
224
CAPITOLO XII
42
Per esempio il volume molare in fase liquida o il covolume di Van der Waals
g mix
E
g mix
E
R T
ln 1
R
1 x1
R T x1
(11.10)
g mix
E
g mix
E
R T
ln 2
R
x1
R T x1
si ottengono le seguenti espressioni dei coefficienti di attività per
un sistema binario:
q
ln 1 z22 A12 2 z1 A21 1 A12
q2
(12.5)
q
ln 2 z12 A21 2 z2 A12 2 A21
q1
(12.7)
q2 x2 x2
z2
q1 x1 q2 x2 v1 x x
v 2
1 2
C. Ipotesi di Margules
q1
1 (12.10)
q2
Con questa ipotesi si ottengono le equazioni di Margules:
ln 1 A x22
Sistema simmetrico (12.13)
ln 2 A x12
ln i h hi
i (12.14)
T P , x R T 2
h1 h1 1 1
A12 T A12 T
R T T
(12.16)
h h 2 1 1
A21 T A21 T 2
R T T
Queste relazioni indicano una dipendenza lineare delle
costanti di attività dall’inverso della temperatura assoluta.
Per una soluzione regolare, in analogia a quanto ricavato per i
coefficienti di attività (v. Cap.XI – eq.11.36), si trova la
seguente relazione:
T A12 T T A12 T
(12.17)
T A21 T T A21 T
Esempio 12.1
Nella tabella seguente sono riportati, a varie composizioni, i valori
sperimentali dei coefficienti di attività per un sistema binario:
x1 0.1 0.2 0.3 0.4 0.5 0.6 0.7 0.8 0.9
γ1 1.317 1.275 1.229 1.180 1.133 1.090 1.054 1.025 1.007
γ2 1.001 1.007 1.020 1.042 1.078 1.130 1.205 1.308 1.452
1.6
1.4
1
2
1.2
1
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
x1
0.8
0.6
F1
0.4
F2
0.2
0
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
x1
0.4
F2
F 2 x1
0.2
0.6
F1
0
F 1 x1
0
x
0.4
0.2
0 0.5 1
x1 x1
0.6
0.4
F2
F 2 x1
0.2
0
0 0.5 1
x1 x1
0.5
Se le costanti
1
di attività vengono ricavate dal fitting della F2
x1 x1 (eqs.12.19), si ottengono i seguenti valori:
A12=0.295 A21=0.510
Con un coefficiente di correlazione ancora pari a 0.996.
I parametri trovati dalla correlazione dei coefficienti di attività dei
due componenti sono praticamente identici a conferma
dell’accettabilità dell’equazione di Margules.
1
Queste relazioni mostrano una dipendenza lineare di
ln 1
x1 1 x
da e di da 2 . Dal fitting dei dati in queste variabili
x2 ln 2 x1
si possono determinare le costanti di Van Laar.
Esempio 12.2
Si correlano gli stessi dati dell’esempio 12.1 mediante l’eq. di Van
Laar.
1
Nella Fig.12.5 sono riportati i dati f 1 in funzione di
ln 1
x1 x
xx1 1 .
x2 1 x1
15
10
f1
ff1 xx1
5
0
0 5 10
xx1 xx1
FC x1
FD x1
0
0.2
0 0.5 1
x1
ln 1 a x22 b x23
(12.25)
ln 2 a x12 b x13
g mix
E
La grandezza Q viene sviluppata da G.M.Wilson43
R T
nella forma seguente:
g mix
E c c
Q xi ln ij x j (12.26)
R T i 1 j 1
dove i parametri Λij sono definiti come segue:
vj ii
ij exp ij (12.27)
vi R T
e tengono conto delle interazioni fra molecole dissimili (λij) e
fra molecole simili (λii). Nella (12.27) vi e vj sono i volumi
molari del componente i e del componente j, rispettivamente,
in fase liquida.
I coefficienti di attività che si ricavano dalla (12.26) per un
sistema binario sono dati dalle seguenti espressioni:
12 21
ln 1 ln x1 12 x2 x2
1
x x
12 2 x
21 1 x2
(12.28)
12 21
ln 2 ln x2 21x1 x1
x1 12 x2 21x1 x2
43
G.M.Wilson “Vapor-liquid Equilibrium. XI – A new expression for the excess free
Energy of mixing” Journal of the American Chemical Society, 86, 127-130 (1964)
essere determinati dalla correlazione di dati sperimentali. Le
relazioni (12.27) mostrano che l’equazione di Wilson fornisce
una stima della dipendenza dei coefficienti di attività da T,
oltre che la dipendenza dalla composizione.
E’ bene sottolineare fin d’ora che, tuttavia, l’equazione di
Wilson non è adatta a descrivere il comportamento di sistemi
che presentano smescolamento in fase liquida. Inoltre, essa non
è strettamente applicabile a sistemi nei quali la funzione
ln vs.x presenta massimi o minimi.
44
H.Renon, J.M.Prausnitz “Local compositions in thermodynamic excess functions
for liquid mistures” AIChE J. 14(1), 135-144 (1968)
g mix
E
La grandezza Q nel modello NRTL ha la forma
R T
seguente per un sistema binario:
g mix
E
G G
Q x1 x2 21 21 12 12 (12.29)
R T x1 x2 G21 x2 x1 G12
Da questa espressione si deducono le seguenti relazioni per i
coefficienti di attività:
G
2
12G12
ln 1 x 21
2 21
x1 x2G21 x2 x1G12
2 2
(12.30)
G
2
21G21
ln 2 x1 12
2 12
x2 x1G12 x1 x2G21
2
McGraw-Hill (1988)
12.6 Consistenza termodinamica
Tutte le espressioni dei coefficienti di attività riportate sopra
soddisfano l’equazione di Gibbs-Duhem dal momento che
g E
sono state dedotte da espressioni di Q mix applicando la
R T
definizione di grandezza parziale molare.
Per quanto riguarda i dati sperimentali, invece, è opportuno
fare sempre una verifica di consistenza per individuare
eventuali errori sistematici.
Un test semplice che si può effettuare è il così detto test
integrale di consistenza.
Per un sistema binario si ha:
Q
ln 1 Q 1 x1
x1
[P,T] (12.35)
Q
ln 2 Q x1
x1
Sottraendo dalla prima la seconda delle eqs.(12.35) si ricava:
1 Q
ln [P,T] (12.36)
2 x1
Questa equazione può essere integrata per separazione di
variabili nell’intervallo 0 x1 1 :
x11 Q ( x11)
ln 1 dx1 dQ Q( x1 1) Q( x1 0) (12.37)
x1 0
2 Q ( x1 0 )
1
ln
2
A1 x1
A2
U U c
U
dU dS dV dni (13.3)
S V , ni V S , ni i 1 ni S ,V , n
j i
c
dU T dS P dV i dni (13.4)
i 1
dn
i 1
i i 0 [S,V] (13.5)
i 1
i i 0 (13.9)
c
A i i (13.10)
i 1
i 1
i, j Ai 0
(13.11)
j 1...N
dove:
c
A j i i , j (13.16)
i 1
Pertanto:
f f f f
c
dU dU j T j dS j Pj dV j i j dnij (13.18)
j 1 j 1 j 1 j 1 i 1
dove i j ed ni j sono, rispettivamente, il potenziale chimico ed
il numero di moli del componente i nella fase j.
La condizione di equilibrio richiede che sia dU=0 ad entropia
totale e volume totale costanti. Inoltre, in assenza di reazioni
chimiche risulta costante anche il numero di moli complessivo.
Pertanto deve essere:
e, inoltre:
dni dni1 dni2 ...dnij ...dnif
(13.20)
i 1,2...c
c
i1 dni2 ... dnif i2 dni2 ... i f dnif
i 1
(13.22)
dS 2 T2 T1 ... dS f T f T1
dV2 P2 P1 .... dV f Pf P1
c
dni2 i2 i1 ...dnif i f i1
i 1
T1 T2 .... T f
(13.23)
P1 P2 .... Pf
v 2 f f c 1 2 f 1 c f 1 r
(13.26)
c2 f r
Esempi
a) Componente puro allo stato parzialmente vaporizzato ed
in assenza di reazioni chimiche.
v=1+2-2= 1
Il sistema è monovariante. Ovvero, fissata ad esempio la
T, le altre variabili all’equilibrio sono automaticamente
determinate. In particolare, la pressione di equilibrio o
tensione di vapore, è ben determinata ad ogni
temperatura.
b) Sistema binario parzialmente vaporizzato, in assenza di
reazioni chimiche
v=2+2-2= 2
Il sistema è bi-variante. Occorre, quindi, assegnare ad
esempio P e T per conoscere la composizione di ciascuna
delle fasi liquido e vapore.
c) Sistema binario monobasico sede di una reazione chimica
v=2+2-1-1=2
In questo caso occorre fissare due variabili (per es.P,T) per
determinare la composizione di equilibrio.
CAPITOLO XIV
Equilibrio Liquido-Liquido
42
Evidentemente si può riportare in ascisse indifferentemente la frazione in peso o la
frazione molare del componente B.
Alla composizione globale del sistema pari a C0, G della
miscela (Gm) ha il valore che si legge sulla curva. Ma se il sistema
dà luogo a due fasi all’equilibrio di composizione C1 e C2,
l’energia libera del sistema risulta pari al valore indicato dal
punto che si trova sulla retta bi-tangente alla curva nella zona
dove la curva ha la concavità rivolta verso il basso.
Questa affermazione si può facilmente
verificare mediante il bilancio di materia del
componente B e l’additività di Gm.
Dal bilancio di materia si ha, infatti:
L C0 L1 C1 L2 C2 (14.2)
dove L, L1, L2 sono le quantità (in peso) della
miscela totale e delle fasi 1 e 2
rispettivamente.
Poiché risulta anche L0 L1 L2 , dalla (14.2) si
ottiene:
L1 C1 C0 L2 C0 C2
L1 C0 C2 (14.3)
L2 C1 C0
D’altronde, per l’additività di G, si ha:
Gm g m L1 L2 L1 g m1 L2 g m 2
L1 g m g m1 L2 g m 2 g m (14.4)
g m 2 g m L1
g m g m1 L2
In questa relazione, gm , gm1 , gm2 indicano le
energie libere specifiche (per unità di massa)
della miscela totale, della miscela a
concentrazione C1 e di quella a concentrazione
C2, rispettivamente.
Tenendo conto della (14.3), l’ultima relazione
(14.4) diventa:
g m 2 g m C0 C 2
(14.5)
g m g m1 C1 C0
Questa relazione è la condizione di allineamento
dei tre punti di coordinate, rispettivamente:
(C1; gm1) (C0; gm) (C2; gm2)
Se, quindi, l’ordinata del diagramma della
Fig.(14.5) riporta le energie libere specifiche,
viene dimostrata l’affermazione fatta sopra.
Da quanto detto si deduce che il sistema smescolato in due
fasi liquide ha un’energia libera più bassa di quella che avrebbe
se fosse omogeneo. Pertanto, all’equilibrio, sono presenti due
fasi.
Questa possibilità si verifica solo se la curva di gm vs. C ha
una zona con la concavità rivolta verso il basso.
Dalla Fig.14.6 appare evidente che, in assenza di concavità, la
fase omogenea ha sempre un’energia libera inferiore a quella di
possibili sistemi bifasici. Pertanto, sistemi caratterizzati alla
temperatura T dalla curva della Fig.14.6 non danno luogo a
smescolamento.
C
gm
43
Scritte in termini di frazioni molari.
1
1.2
gm(x1)/RT 1.4
1.6
1.8
0 0.5 1
Fraz.molare del componente 1
0
Dgmix/(RT)
0.05
0.1
0.15
0 0.5 1
x1
c (14.12)
g E g mix R T xi ln xi
i 1
ln 1 A x22
(14.15)
ln 2 A x12
1.5
Ln dei coefficienti di attività
0.5
0
0 0.5 1
Frazione molare del componente 1
Derivata prima:
x 1 x1
R T A 2 A x1 R T ln x1 1 ln 1 x1
x1 1 x1
R T A 2 A x1 R T ln x1 ln 1 x1
(14.18)
Derivata seconda
1 1
2 A R T R T
x1 1 x1
(14.19)
1
R T 2 A
x1 x2
La condizione perché siano presenti due fasi liquide è che la
derivata seconda sia minore di zero. Pertanto:
1
2 A (14.20)
x1 x2
Evidentemente, il valore del secondo membro dipende dalla
composizione (oltre che da T). Il valore minimo del secondo
membro si ha quando il denominatore è massimo, cioè per
x1=0.5 come si può facilmente verificare imponendo la
condizione di massimo (derivata uguale a zero) sulla funzione
x1 1 x1 .
In conclusione, la condizione di smescolamento per sistemi
simmetrici si traduce nella condizione seguente:
1 4
A 2
2 0.25 2
(14.21)
g mix
Nella figura seguente è riportato il per tre diversi valori di
R T
A.
0
Dg mix/RT
0.2
0.4
0 0.5 1
Fraz. molare componente 1
g mix
Fig.14.10 - vs. x1 per sistemi simmetrici
R T
A=1.5 Curva continua; A=2 Curva a punti; A=2.5 Curva a tratti
2
A(T)
1.99
1.98
200 300 400 500
Temperatura
4
A(T)
0
200 300 400 500
Temperatura
4
A(T)
0
Temperatura
4
A(T)
0
Temperatura
x1
Fig.14.15 – Andamento del ln(a1) (curva a tratti) e del ln(a2) (curva continua)
in funzione della frazione molare del componente 1 per sistemi omogenei
Il ln(a1) è 0 per x1=1 mentre il ln(a2) è 0 per x2=1, cioè per x1=0.
g mix
Nel caso di sistemi per i quali la curva del presenta una
R T
zona di composizioni caratterizzata da concavità rivolta verso il
basso, l’andamento dei ln(ai) è quello rappresentato nella
Fig.14.16.
0.2
ln(a1) e ln(a2)
0.2
0.4
0.6
0.8
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
x1
Fig.14.16 – Andamento del ln(a1) (curva continua) e del ln(a2) (curva a punti)
in funzione della frazione molare del componente 1 per sistemi eterogenei
1.5
0 0.2 0.4 0.6 0.8 1
x1
Fig.14.17 – Andamento del ln(a1) (curva continua) e del ln(a2) (curva a punti)
in funzione della frazione molare del componente 1 alla temperatura critica di
solubilità
ln a1
0
x1
(14.22)
2 ln a1
0
x12
fˆi P,T , xi ...xc1 fˆi P,T , xi ...xc1 (14.27)
fˆi ai f i
(14.28)
fˆi ai f i
x2
O’ P’
O”
P”
3 1
K x1
I vertici del triangolo rappresentano evidentemente i composti
puri, mentre i punti sui lati individuano le miscele binarie.
Le rette del tipo (2-K) sono caratterizzate dal rapporto costante
x1
come si può facilmente verificare dalla similitudine dei
x3
triangoli:
Lα
•
M
Lβ
2 1
42
x1
Nelle miscele somma è infatti costante il rapporto
x2
2
M
L°
Lβ
Lα
1 3
Miscela β in
equilibrio con α
Miscela α
3
1
43
Si ricorda che la somma delle frazioni molari è pari ad 1.
Se ora si tiene conto che, al secondo membro della (15.8) deve
essere x1 x2 x3 1 e che, inoltre, il punto rappresentativo
deve trovarsi sulla lacuna, cioè la composizione deve essere tale
da soddisfare il legame imposto dalla lacuna, l’equazione (15.8) e
le suddette ulteriori due condizioni rappresentano un sistema di
tre equazioni nelle incognite x1 x2 x3 .
Il metodo può risultare più chiaro se si osserva la costruzione
grafica illustrata nella Fig.15.6.
1 3
x3α
Nel caso di lacune che non si intersecano sono presenti due punti
binodali. Nel caso di overlapping delle lacune non può esistere,
evidentemente alcun punto binodale. In entrambi casi, però, è
teoricamente possibile l’inversione della pendenza delle linee
coniugate (sistemi solutropici: v.Fig.15.4).
x3E
15.5.1 Diagrammi
x3R
x3E
Fig.15.10 – Rappresentazione
x3R
x3E
Infine, nella Fig.15.12, è mostrata la rappresentazione per un
x3R
sistema con doppia lacuna binaria ed overlapping.
Questo tipo di rappresentazione non ha particolare importanza e
diffusione nella rappresentazione degli equilibri L-L ternari, ma
può avere interesse applicativo per l’interpolazione delle linee
coniugate.
x3E
Fig.15.12 – Rappresentazione di un sistema con doppia lacuna binaria
x3R
Equilibrio Liquido-Vapore
v i , L
ln f iL P, T ln s , i Ps , i P Ps ,i
R T
v
f iL P, T s , i Ps , i exp i , L P Ps , i (16.8)
R T
f iL P, T s , i Ps , i L , i
dove si è posto:
vi , L
L ,i exp P Ps,i (16.9)
R T
Questo termine è detto fattore di Poynting. Poiché il volume
molare dei liquidi è relativamente piccolo, il fattore di Poynting
risulta apprezzabile (diverso da 1) solo se è P>>Ps,i.
Sostituendo questi risultati e la (16.3) nella (16.2) si ottiene la
seguente espressione della condizione di equilibrio L-V:
ˆiV yi P iL xi s ,i Ps ,i L,i
(16.10)
i 1,2...c
yi P iL xi Ps ,i (16.11)
che è quella più frequentemente adottata a pressioni non
particolarmente elevate.1
yi P xi Ps ,i (16.12)
y1 P P1 x1 Ps ,1
(16.13)
y2 P P2 x2 Ps , 2
P x1 Ps ,1 Ps , 2 Ps , 2 (16.14)
1
Questa relazione, o quella più generale (16.10), può essere utilizzata per determinare
sperimentalmente i coefficienti di attività dalla misura, a T fissata, delle composizioni
del liquido e del vapore in equilibrio al variare della pressione oppure, in alternativa,
misurando le composizioni del liquido e del vapore in equilibrio, a P fissata, al variare
della temperatura. Poiché le proprietà dei liquidi, come i coefficienti di attività,
dipendono poco dalla pressione, è più utile effettuare misure isoterme.
P [T]
Ps1
P1
Ps2
P2
x1
Ps ,1
y1 x1 (16.15)
P
P [T]
L Ps1
A
P°
B
Ps2
V
x1,y1
yi
ki (16.16)
xi
In base alla (16.10), tale rapporto assume la forma generale
seguente:
yi i Ps ,i s , i L ,i
L
ki (16.17)
xi ˆiV P
Ps ,i (T )
ij (16.20)
Ps , j (T )
d ln ij i T j T
(16.21)
dT R T 2
Questa equazione mostra che la volatilità relativa di i rispetto a j
cresce con T se è i j e viceversa diminuisce se è i j .
2
Non è però un risultato generale.
Questo effetto, anche se poco evidente, nel diagramma si traduce
in una maggiore ampiezza della zona lenticolare a pressioni via
via crescenti alle quali corrispondono temperature via via
maggiori.
Nel caso di sistemi binari, dalla definizione (16.19) si può
ricavare una relazione fra la frazione molare del componente 1 in
fase vapore e la frazione molare di 1 in fase liquida:
12 x1
y1 (16.25)
1 12 1 x1
yi P i x , T xi Ps ,i T
(16.26)
i 1,...c
y1 P 1 x1 , T x1 Ps ,1 T
(16.27)
y2 P 2 x1 , T x2 Ps , 2 T
che, sommate membro a membro, danno:
P 1 x1 , T x1 Ps ,1 T 2 x1 , T x2 Ps , 2 T (16.28)
3
Le temperature di inizio ebollizione e temperature di inizio condensazione
non sono riportate direttamente
[P]
T
x1, y1
[P]
T
Lα M Lβ V
T3
x1, y1
1 x1 1 x1
Equilibrio L-L (16.34)
2 x2 2 x2
y1 P 1 x1 Ps ,1 T
Equilibrio L-V (16.35)
y2 P 2 x2 Ps , 2 T
x1 x2 1
x1 x2 1 Eqs. di congruenza (16.36)
y1 y2 1
[P]
T
Lα Lβ
V
x1, y1
y1 P 1 x1 Ps ,1 T
y2 P 2 x2 Ps , 2 T
(16.37)
y1 P a1 Ps ,1 T
y2 P a2 Ps , 2 T
y1 P Ps ,1 T
(16.38)
y2 P Ps , 2 T
Sommando membro a membro si ottiene:
P Ps ,1 T Ps , 2 T (16.39)
Da questa relazione, fissata la pressione, è possibile ricavare
facilmente la temperatura azeotropica.
La soluzione del problema può essere agevolata ricorrendo al
metodo grafico illustrato nella Fig.16.17.
Equilibrio Liquido-Vapore
ˆi yi , T , P yi P i xi , T xi s ,i T Ps ,i T Li T , P
i 1...c (17.1)
c
y i 1
i 1
1
Per il liquido, l’equazione di congruenza è ovviamente verificata dalle x i
2
Oltre che nelle espressioni dei coefficienti di attività, dei coefficienti di fugacità e
del fattore di Poynting.
coefficienti di attività. Si pone, in prima approssimazione,
ˆi i e si calcolano, a T ' , i vari i . Con questi valori di primo
tentativo è possibile calcolare le yi di primo tentativo dalle
relazioni di equilibrio e, quindi, effettuare un calcolo più
accurato, delle ˆi ˆi yi , T . Si calcolano, così, le frazioni molari
y"i di secondo tentativo e si verifica l’uguaglianza nei limiti di
una tolleranza prefissata, y'i y"i . Se questa uguaglianza non è
soddisfatta si ripete il calcolo dei coefficienti di fugacità
ˆi ˆi yi , T con le y"i e si passa alla valutazione di yi di terzo
tentativo. Si procede in tal modo fino a convergenza. Si verifica,
a tal punto, l’equazione di congruenza. Se questa è soddisfatta,
entro i limiti di una tolleranza prefissata, si è trovata la soluzione
e T’ è la temperatura di inizio ebollizione mentre le yi danno la
composizione della prima bolla di vapore in equilibrio con il
liquido di composizione assegnata. In caso contrario si modifica
la temperatura, secondo opportuni criteri, e si ripete tutto il
procedimento con una temperatura T” di secondo tentativo.
Nel diagramma a blocchi della Fig.17.1 è schematizzato il
procedimento illustrato.
Il calcolo risulta notevolmente più semplice nel caso di sistemi
ideali in fase vapore (ed in fase liquida).
In questo caso le equazioni (17.1) assumono la forma seguente:
Ps ,1 T
yi xi
P
i 1,2...c (17.2)
c
y
i 1
i 1
T'
i xi Psi T si Li
y 'i
si P
ˆi i yi , T
i xi Psi T si Li
y"i
si P
No
y"i y 'i ?
Si
Si No
T, yi
y i 1
ˆi yi P
x 'i
si Ps ,i T ' Li
i i xi ,T '
ˆi yi P
x"i
i xi , T ' si Psi T ' Li
No
x"i x'i ?
Si
Si No
T, xi
x i 1
[P]
T
Lα Lβ
V
x1, y1
Q
T,P
F, zi L, xi
i=1…c T,P°
T°, P°
F zi L xi V yi Bilanci
yi K i xi Equilibrio
c
x i 1
i 1 Congruenza (17.5)
c
y i 1
i 1 Congruenza
F hF Q V hV L hL Entalpico
L V
zi xi yi
F F (17.6)
1 xi yi
3
In alternativa può essere assegnata Q ed occorre calcolare la T di equilibrio.
V
dove si è chiamato la frazione di alimentazione
F
vaporizzata.
Introducendo nella (17.6) la condizione di equilibrio si ricava:
zi 1 xi K i xi
zi (17.7)
xi
1 K i 1
E sempre in base alla condizione di equilibrio si ha:
K i zi
yi (17.8)
1 K i 1
Utilizzando le equazioni di congruenza si ricavano le seguenti
due condizioni:
c c
K i zi
yi
i 1 i 1 1 K i 1
1
c c
(17.9)
zi
i 1
xi
i 1 1 K i 1
1
Equilibrio gas-liquido
18.1 Introduzione.
L’equilibrio gas-liquido (GL) riguarda il caso in cui la fase aeriforme
contiene uno o più gas, cioè componenti al di sopra della propria
temperatura critica.
L’analisi dell’equilibrio GL consente di affrontare due problemi:
Solubilità di un componente supercritico (gas) nella fase
liquida;
Solubilità del liquido nella fase gassosa (umidificazione).
p2 K2 x2 (18.1)
fˆ2G fˆ2L
(18.2)
ˆ2 y2 P a2 f 2 2 x2 f 2
Nella (18.2) f 2 è la fugacità nello stato di riferimento e 2 è il
nel riferimento di Henry.
Assumendo come fugacità nello stato di riferimento f 2 la
costante di Henry H2,1, la condizione di equilibrio (18.2) assume la
forma seguente:
fˆ L
H 2,1 lim 2 (18.4)
x2 0 x
2
fˆ2L H2,1
x2
Evidentemente la costante di Henry termodinamica (come anche
quella empirica) ha le dimensioni di una pressione.
Si osserva che la costante di Henry dipende sia dalla natura del
gas che da quella del solvente, a differenza di quanto avviene nel
caso dell’equilibrio LV in cui la tensione di vapore dipende,
evidentemente, solo dalla natura del componente di cui si
considera l’equilibrio.
In base alla definizione (18.4), a basse concentrazioni la fugacità
del componente 2 liquida approssima quella di una miscela ideale
secondo Henry e, quindi, il coefficiente di attività 2H tende ad 1
(v.eq.10.16).
In condizioni di bassa P e di basse concentrazioni del gas in fase
liquida si possono fare le seguenti semplificazioni:
ˆ2 1
(18.5)
2H 1
e l’eq.(18.4) diventa:
y2 P H 2,1 x2 (18.6)
che mostra la coincidenza di H2,1 con la costante di Henry
empirica.
Questa relazione, o l’eq.(18.3), mostrano che sistemi caratterizzati
da elevati valori della costante di Henry presentano una bassa
solubilità (x2) del gas nel solvente a pressioni parziali assegnate.
ln H 2,1 v v
lim 2 2 (18.7)
P T x2 0 R T T R T
Questa relazione può essere integrata per ricavare il valore della
costante di Henry ad una generica pressione P se è noto il valore
alla pressione P°:
Rv T dP
P
ln H 2P,1 ln H 2P,1 2
(18.8)
P
v2
ln H 2P,1 ln H 2P,1
R T
P P (18.9)
La (18.9) mostra una dipendenza lineare del ln(H 2,1) da P che può
essere utilizzata per ricavare il volume parziale molare del
componente 2 a diluizione infinita se sono noti valori di H 2,1 a
varie pressioni.
La dipendenza di H2,1 dalla temperatura è data dalla seguente
relazione (eq.10.20):
ln H 2,1 h h2 *
2 (18.10)
T P R T 2
dove h2 h2 * rappresenta il calore scambiato nel passaggio
dallo stato di gas perfetto allo stato di componente disciolto nel
liquido a diluizione infinita. Esso può essere assimilato, in prima
approssimazione, al Δh di assorbimento a diluizione infinita,
anche se in realtà il gas non si trova nelle condizioni di gas
perfetto.
In generale il termine h2 h2 * è negativo. Pertanto, la (18.10)
indica un aumento della costante di Henry con T, ovvero
generalmente la solubilità di un gas in un liquido diminuisce al
crescere della temperatura.
Se l’eq.(18.10) viene integrata assumendo ( h2 h2 * )
indipendente da T, si ottiene la seguente dipendenza lineare della
costante di Henry da 1/T:
h2 h2 * 1 1
ln H 2T,1 ln H 2T,1 (18.11)
R T T
La pendenza della retta (generalmente negativa) consente di
ricavare il calore di assorbimento a diluizione infinita.
L’andamento lineare può essere utilizzato, fra l’altro, per ricavare
la costante di Henry a temperature alle quali non sono disponibili
dati sperimentali.
si ricava:
d ln fˆ2G d ln fˆ2L
ln fˆ2L ˆL
dT ln f 2 d ln x2
(18.13)
ln x
T P , x 2 P ,T
ln fˆ2G ˆL ˆL
ln f 2 ln f 2 ln x2 (18.14)
T
P , x T P , x ln x2 P ,T T P
Nel caso di sistemi ideali in fase liquida è:
e, quindi:
ln fˆ2L
ln x 1 (18.16)
2 P ,T
ln fˆ2G ˆL
ln f 2 ln x2 (18.17)
T
P , x T P , x T P
Da questa relazione, nell’ipotesi che in fase gassosa sia presente
un solo componente, si ottiene:
ln x2 ln f 2G ln fˆ2L
T P T P , x T P , x (18.18)
h h h h
G L
h h
L G
2
2 2 2
2 2
R T 2
R T
2
R T2
Sommando e sottraendo h2L all’ultimo termine, la (18.18) assume
la forma seguente:
Il segno di ( h2
L
h2L ) è generalmente positivo1.
Pertanto l’effetto di T sulla solubilità dipende dalla prevalenza
del primo addendo sul secondo o viceversa.
Nel caso di sistemi non ideali in fase liquida, la (18.15) va
modificata nella forma seguente:
ln m
ln ˆ2 ln m 1 y1 (18.21)
y1
Inoltre, a bassa pressione, si può utilizzare la seguente
espressione:
Bm P
ln m (18.22)
R T
1
Salvo che per sistemi con interazioni specifiche fra soluto e solvente
dove Bm è il secondo coefficiente viriale della miscela gassosa. Per
un sistema binario esso è dato dalla seguente espressione in
termini di composizione:
ˆ1 y1 P 1R x1 ps1
(18.26)
ˆ2 y2 P 2H x2 H 2,1
Umidità
Oltre che mediante le frazioni molari, la composizione della fase
gassosa può essere espressa mediante l’umidità.
L’umidità assoluta è definita dal seguente rapporto:
molivapore n1
U (18.27)
moligas. sec co n2
A volte le quantità di vapore e di gas secco sono espresse come
masse, anziché come numero di moli:
kgvapore n1 PM 1
U (18.28)
kggas.sec co n2 PM 2
A basse pressioni si può utilizzare l’EOS dei gas perfetti, così che
la (18.27) assume la forma seguente:
n1 p1 p1
U (18.29)
n2 p2 P p1
In condizioni di saturazione, ovvero di equilibrio del vapore con
il suo liquido, si ha il massimo valore dell’umidità (umidità a
saturazione):
U Us (18.30)
p1 P y1 ps1 (18.31)
Quindi:
ps1
Us (18.32)
P ps1
Si definisce umidità percentuale la seguente grandezza:
U
U% 100 (18.33)
Us
Per il sistema acqua-aria, in condizioni ambientali, l’umidità
percentuale ha normalmente valori intorno al 70-80%.
L’umidità relativa è invece definita dal seguente rapporto:
p1
Ur (18.34)
ps1
E’ ovviamente valida la seguente relazione:
ps1
U U % U s U % (18.35)
P ps1
Per il sistema aria-acqua, a P=1 atm, i dati di umidità sono
rappresentati graficamente sul diagramma psicrometrico che riporta
la temperatura T in ascisse e l’umidità assoluta in ordinate.
Nel diagramma (Fig.18.1) sono rappresentate inoltre le seguenti
curve:
2
Nell’eq.(18.26), tenendo conto che il solvente è praticamente puro, il
coefficiente di attività di Raoult è unitario e la frazione molare è circa 1.
U%=cost.
Queste curve hanno la seguente equazione nel
diagramma U-T:
ps1 T
U cos t U s cos t
P ps1 T
Evidentemente, per T=100°C, si ha P=ps1 e quindi U=∞.
Ur=cost
p1 U r ps1 T
U
P p1 P U r ps1 T
Riferimento:
h 1 cP,aria T T Tacqua
,acqua T T U hmix
cPvap
Trascurando il Δhmix, la relazione precedente assume la
forma seguente:
h cP,aria U cPvap,acqua T T U acquaT
GU
La portata di aria secca si ricava infatti dalle seguenti
U 1
considerazioni.
GU Gariasec ca Gvapore
Gariasec ca U Gariasec ca
Gariasec ca 1 U
GU
Gariasec ca
1U
L U 3 Gariasecca U s ,5 Gariasecca
(18.37)
Gariasecca U 3 U s ,5