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CHIMICA DEI MATERIALI

Scopo della scienza dei materiali: attraverso gli strumenti di conoscenza che la chimica e la fisica mettono a
disposizione, delle correlazioni tra proprietà e aspetti strutturali, morfologici e compositivi. Includere in
questo ruolo non trascurabile della presenza di difetti, differenze tessiturali, impurezze in tracce, interazioni
intermolecolari deboli.

Un materiale è un sistema dotato di particolari proprietà. È perciò legato allo scopo finale. Possiamo perciò
chiamarlo sistema.

Sistema: insieme di tomi, ioni o molecole caratterizzate da specifici aspetti compositivi, strutturali,
morfologici in grado di portare in modo sinergico all’ottenimento di una proprietà finale.

Proprietà finale: capacità di svolgere una funzione, semplice o complessa, da solo o in sistemi a più
componenti ( ad esempio dispositivi).

Conoscere i materiali significa: conoscere le sue proprietà, i processi di trasformazione e le applicazioni.

Proprietà dei materiali: caratteristica che rende un materiale utile a fine applicativo. Le dividiamo in due
gruppi.

- Funzionali: aspetti che fanno uso delle peculiari caratteristiche chimiche e chimico-fisiche di un
materiale o dei suoi componenti. Perciò i materiali funzionali sono volti a svolgere un compito o
funzione collegate a caratteristiche intrinseche del sistema stesso.
Ad esempio ottiche, magnetiche, elettroniche, chimiche, termiche …
- Strutturali: aspetti che fanno riferimento alle proprietà fisico-meccaniche del materiale ovvero del
sistema. Esempio di proprietà strutturali:
1. Meccaniche: resistenza alla trazione, compressione, flessione, allungamento, impatto, fatica,
abrasione, elasticità.
2. Dinamico-meccaniche: proprietà reologiche, dissipazione energia meccanica.

Vari aspetti di un materiale. possiamo descrivere un materiale passando per la definizione di vari concetti:
composizione, distribuzione compositiva, struttura, distribuzione strutturale, morfologia, distribuzione
dimensionale…

- Composizione: ad esempio SiO2. Ci sono materiali diversi che hanno la stessa composizione ma
diverse proprietà. In questo caso possiamo avere vetro e quarzo. Dunque la composizione non
descrive le proprietà del materiale. il quarzo risulta cristallino mentre il vetro amorfo.
Abbiamo anche la silice mesoporosa. Questi materiali hanno stessa densità assoluta determinata
dalla composizione ma diversa densità apparente infatti i pori della silice modificano la sua densità.
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- Struttura: grafite stessa struttura di BN. Oppure anche calcite e aragonite hanno diversa struttura
ma stessa composizione.
- Morfologia: possiamo avere materiali diversi con stessa morfologia o stesso materiale con diversa
morfologia.

Ricapitolando:

1. Struttura è la disposizione dei suoi componenti interni:


o Macroscopico: aggregazione del materiale
o Microscopico: aggregazione particelle
o Atomico: struttura cristallina, amorfa
o Subatomico: struttura elettronica
2. Proprietà: chimiche, meccaniche, elettriche …

Importanti alla fine sono anche il processo di fabbricazione e le prestazioni. Tutti questi aspetti sono
correlati tra di loro perché da uno ne discende l’altro.

I materiali si suddividono in classi:

1- Metallici
a. Leghe ferrose
b. Leghe non ferrose
2- Polimerici
3- Ceramici
4- Compositi
5- Avanzati

Questi materiali presentano proprietà che messe a confronto sono diverse.ad esempio densità, rigidezza,
resistenza, tenacità, conduttività elettrica…

Questi sono gli aspetti da valutare quando si sceglie un certo materiale per un dato scopo.

I MATERIALI E IL LORO IMPATTO AMBIENTALE:

LCA: analisi del ciclo di vita.

Il Life Cycle Assessment (LCA) è una metodologia strutturata e standardizzata a livello internazionale per
quantificare le emissioni, le risorse consumate e gli impatti sull’ambiente e sulla salute che sono associati
a beni e servizi: prodotti, in una parola.
Questo strumento di analisi tiene conto della vita completa del prodotto: dalla progettazione
all’estrazione delle risorse, alla produzione, all’uso e al riciclaggio, fino allo smaltimento dei rifiuti residui.

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Le norme di riferimento in ambito internazionale in materia di LCA sono la UNI EN ISO
14040:2006 “Gestione Ambientale – Valutazione del ciclo di vita – Principi e quadro di riferimento” e
la UNI EN ISO 14044:2018 “Gestione ambientale – Valutazione del ciclo di vita – Requisiti e linee guida”.

La definizione data dalla ISO 14040, esprime la LCA (life cycle assessment) come: un procedimento
oggettivo di valutazione dei carichi energetici e ambientali relativi a un processo o un’attività attraverso
l’identificazione dell’energia, dei materiali usati e dei rifiuti rilasciato nell’ambiente.

La valutazione include l’intero ciclo di vita del processo o attività, comprendendo l’estrazione e il
trattamento delle materie prime, la fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo
smaltimento finale.

La struttura moderna della LCA è


sintetizzata in 4 fasi principali:

1. Definizione degli scopi e degli


obbiettivi
2. Analisi di inventario: capire
cosa mi serve
3. Analisi degli impatti: tutto ciò
che uso ha un impatto
4. Interpretazione e
miglioramento

Importante per l’impatto ambientale è


soprattutto quanto dura un bene. Esempio bicchiere di plastica del caffè. Grosso impatto ambientale.

Per produrre un oggetto mi servono diversi materiali. La scelta di questi si fa basandosi anche sull’impatto
dunque tramite LCA. Ad esempio si valuta l’estrazione di materiali diversi. L’estrazione impoverisce le
risorse del pianeta. Si osserva un parametro che identifica l’estrazione migliore da attuare. Poi si valuta
anche l’energia richiesta per il processo di estrazione e le conseguenti emissioni che ne discendono che
sono più o meno nocive. Si fa una classifica per le emissioni sul potenziale di global warming (GWP); si
valuta anche l’ODP (ozone depletion potential e il POCS ( photochemical ozone creation potential). Poi si
vedono anche gli impatti di tossicità sull’ambiente, sull’uomo …. Si fa perciò una classificazione per
l’estrazione delle materie prime.

C’è poi da considerare il trasporto di esse e il suo impatto perciò ambientale in base al tipo di veicolo, km
percorsi …. Stesso discorso poi per la fabbrica di produzione che usa energia e crea delle emissioni.

Si parla perciò di POLITICA AMBIENTALE nella produzione. Importante è la durata dell’oggetto finale. Alla
fine dell’uso l’oggetto può finire ad esempio in discarica (
grave, ampio inquinamento), nell’ambiente,
scomposizione nei suoi componenti iniziali (
“smontare”).

Idea intelligente: PROGETTAZIONE PER RIUTILIZZO!!!

Perciò la produzione ha un gande impatto


sull’ambiente.

INNOVAZIONE NELL’AGRICOLTURA

- Risparmio acqua
- Aumento produzione
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- Studio tecnologie colturali
- Recupero e riutilizzo

LEGAME NEI MATERIALI

Il legame può determinare alcune caratteristiche.

Consideriamo come già detto poi anche la struttura: definiamo cioè l’ordine e le regole con cui gli atomi si
dispongono. Abbiamo materiali cristallini e amorfi. Nel mezzo ci sono situazioni intermedie come molti
polimeri che contengono una fase cristalline in matrice amorfa. La struttura dipende dalla velocità di
raffreddamento. Un raffreddamento veloce ad esempio di un metallo mi da’ un vetro metallico. Se
raffreddo lentamente invece diventa cristallino. Il vetro è amorfo ma mantiene un ordine a breve raggio.

Cella elementare cristallina: arrangiamento regolare di piccole unità identiche ( molecole, atomi o ioni).
Essa se ripetuta in modo periodico e uguale in 3D forma il cristallo come ci appare. La cella elementare è la
più piccola unità che conserva composizione e simmetria del cristallo.

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La cella è definita da parametri. Lunghezza dei lati e gli angoli tra i lati.

In base ai parametri ho dei reticoli differenti.

I reticoli di Bravais sono 14 in base alle posizioni occupate nei vari reticoli. Le proprietà legate alla struttura
dipendono cioè anche dall’ordine della struttura. Questo può essere ad esempio a corto o a lungo raggio.

Ci sono aspetti legati alla cristallinità del materiale:

- Conduzione termica ( materiali cristallini conducono il calore più facilmente di materiali amorfi)
- Densità
- Proprietà meccaniche
- Proprietà ottiche ( esempio materiali amorfi  trasparenti)
- Caratteristiche di trasformazione

La Conducibilità termica di un materiale avviene per due meccanismi che sono:

1- Conduzione fononica dovuta alle vibrazioni del reticolo ( energia vibrazionale) analizzando lo
spettro EM, l’uomo sperimenta su di sé la luce visibile e IR che trasferisce energia in forma termica.
L’IR reagisce con la materia innescando modi vibrazionali ovvero trasferisce energia sottoforma di
calore.
2- Conduzione elettronica ( dovuta al movimento degli elettroni liberi). Infatti le migliori conduzioni di
calore sono date dalle specie metalliche.

I metalli conducono bene il calore per l’elevato numero di elettroni liberi presenti nella struttura ( le
impurezze riducono la conducibilità).

Nei materiali ceramici la conducibilità termica è bassa per assenza di elettroni liberi. Nei sistemi amorfi la
conducibilità è ulteriormente ridotta e lo stesso vale per i materiali porosi.

I polimeri hanno conducibilità ancora inferiore perché vi sono molti gradi di libertà delle catene polimeriche
che distribuiscono l’energia vibrazionale. La conducibilità aumenta con il grado di cristallinità e diminuisce
con la porosità.

MATERIALI METALLICI

Caratterizzati dalle caratteristiche tipiche del legame metallico. Il legame metallico è un caso particolare
di legame delocalizzato e consiste in un'attrazione elettrostatica che si instaura tra gli elettroni di valenza e
gli ioni positivi metallici.

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I metalli vengono scelti per determinate applicazioni a causa delle caratteristiche dei loro legami. Si tratta di
legami forti, non direzionali e gli elettroni sono delocalizzati.

I metalli si trovano in natura sottoforma di minerali, carbonati …. Importante è la loro estrazione. Pochi si
trovano come metalli puri in natura.

Quando un metallo allo stato puro 0 valente viene lasciato riarrangiare, tipicamente si ottengono strutture
ad alto grado di impaccamento. Queste strutture vedono lo spazio a disposizione ottimizzato al meglio cioè
riempito al meglio. Si ottengono delle strutture cristalline tipiche che sono 3 :

- Impaccamento CFC: struttura cubica


facce centrate. Tipica di molti
materiali metallici ( rame, argento,
oro) è caratterizzata da una cella
unitaria cubica, con tutti i lati uguali,
e angoli retti e con 4 atomi per cella.
FCA è il fattore di compattazione atomica, mi dice quant’è il
volume degli atomi cioè del contenuto rispetto al contenitore cioè la cella. In questa cella si usa il
74% di spazio a disposizione. Vi è il 26% di spazio vuoto potenzialmente occupabile da altro. Gli
atomi ai vertici valgono 1/4 quello centrale vale 1/2 perché sono condivisi con altre celle.
- Impaccamento CCC cubico corpo
centrato. Tipica di molti metalli è
caratterizzata da una cella
unitaria cubica, tutti lati uguali e
angoli retti, e 2 atomi per cella.
Gli atomi sono disposti ai vertici e al centro della cella. Lo spazio è
meno ottimizzato 68%.
- Impaccamento EC: cella unitaria esagonale con 6 atomi per cella. Gli atomi sono disposti sui vertici
e al centro. 3 atomi poi sono su un piano intermedio. La
cella unitaria può essere
rappresentata anche da un
parallelepipedo.

Possiamo dividere in base alla


densità i materiali in:

- Densi/compatti
- Porosi
- Microporosi
- Mesoporosi
- Macroporosi

Densità apparente: è la densità misutìrata rapportando tra loro la massa che il materiale ha e il volume che
occupa.

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Densità assoluta: densità di un materiale misurata rapportando tra loro la massa che il materiale ha e il
volume che ha la materia che lo compone.

PROPRIETA’ MECCANICHE

Lo scorrimento degli atomi non avviene con la stessa facilità in tutte le direzioni. Ci sono piani preferenziali
detti di scorrimento e identificano la direzione di scorrimento. L’insieme dei 2 aspetti si identifica come
sistema di scorrimento. Questo dipende dalla struttura cristallina ed è tale da minimizzare la distorsione
della struttura a livello atomico.

PROPRIETA’ FUNZIONALI

- Conduzione elettrica: caratterizzata dai valori di


resistività e dal suo inverso, conducibilità che indicano
rispettivamente la resistenza di un materiale al
passaggio della corrente e la facilità con cui un
materiale conduce corrente elettrica. Si misurano in
Ohm e Ohm alla -1. Questa proprietà varia di molto in
base al tipo di materale. La differenza tra isolanti,
semiconduttori e conduttori sta nella separazione tra banda di valenza e banda di conduzione.
All’aumento della lacuna diminuisce la capacità di condurre.

Definiamo energia di fermi Ef, il livello energetico più alto riempito alla T di 0K.

CONDUZIONE ELETTRICA

Nei metalli la promozione degli elettroni al di sopra di Ef permette di ottenere la conduzione. Il reticolo
degli atomi provoca un certo attrito al flusso degli elettroni, principalmente attuato dalle interazioni di
scattering anelastico provocate da:

- Oscillazioni termiche degli atomi

& Problemi di composizione che modificano il campo elettrico sentito dagli elettroni.

- Impurezze
- Vacanze
- Atomi interstiziali

Il cammino degli elettroni viene perciò deviato da queste interazioni possibili (scattering del percorso).

Resistività elettrica: la conducibilità elettrica è


influenzata da temperatura ( moto termico che porta a

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scattering che riduce la conducibilità), composizione e difetti. Vediamo al formula complessiva di resistività
di un materiale metallico.

nel grafico lo stesso metallo con % diverse in lega presenta resistività che aumenta mano a mano. La stessa
composizione con incrudimento ha una resistività maggiore.

INFLUENZA DELLA TEMPERATURA

Ro 0 e a sono parametri del singolo metallo e sono legati alla mobilità termica dei nuclei.

INFLUENZA DELLA COMPOSIZIONE

Ecco perché nelle leghe la resistività aumenta.

FERRO

Il Ferro è relativamente abbondante nell’Universo, perché il suo nucleo è estremamente


stabile: lo si considera il principale costituente del nucleo della Terra, assieme al Ni, a
costituire la cosiddetta zona NiFe.

E’ peraltro il componente delle sideriti, meteoriti che ne contengono in modo significativo.


Nella crosta terrestre, è il quarto elemento in termini di abbondanza, dopo ossigeno, silicio e
alluminio, essendo presente al 6,2% in peso, ed è il secondo metallo dopo l’alluminio stesso.

Il ferro non è un materiale che troviamo in forma nativa. Di solito lo troviamo come minerale ( con ossigeno
sottoforma di ossidi di ferro perciò ad esempio Fe3+ Fe2+ oppure abbiamo il ferro in carbonati e solfuri).

Spesso i minerali sono associati con altri composti ( impurezze), e questo prende il nome di ganga. Sono
utilizzabili solo i giacimenti con % di ferro rilevante per il processo. Si parla del 25% di ferro in peso.

PRODUZIONE
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La produzione a livello industriale passa attraverso la riduzione di ossidi o carbonati di ferro. Da questi
minerali, si ottiene un primo materiale, formalmente una ghisa, attraverso il trattamento di riduzione in
altoforno, con un processo sviluppato nel 1773 da Abraham Darby. In questo, l’effetto di riduzione è
operato dal CO prodotto dalla parziale combustione di carbone (coke). Dunque si cerca di separare il ferro
nel minerale e poi dobbiamo ridurlo.

Quando i minerali sono associati con altri composti si parla di ganga minerale. Dobbiamo quindi separare il
più possibile Fe come elemento da tutto il resto e portare il metallo in forma ridotta. Nei minerali infatti il
ferro è sottoforma cationica e deve essere trasformato in zero valente. Per fare questo si usa un processo di
riduzione in altoforno.

Nell’altoforno vengono alimentati i minerali insieme a una frazione che permette di separare i componenti
non desiderati assieme a del carbone. Il carbone viene parzialmente ossidato per combustione parziale.
Nell’atmosfera all’interno dell’altoforno si ha quindi del monossido di carbonio (uno stato parzialmente
ossidato del carbonio), il quale avrà un’azione riducente. Il monossido di carbonio è quindi il motore della
riduzione del ferro. Le altre cose che vengono messe dentro l’altoforno hanno lo scopo di far avvenire
questa reazione in modo ottimale e anche di favorire la scorificazione, cioè eliminare le frazioni che non
sono ferro presenti nella ganga. Si hanno quindi dei passaggi preliminari in cui la ganga viene triturata e
macinata in modo da avere un’omogeneizzazione compositiva. Si ha poi una classificazione sulla base della
concentrazione e della dimensione.

Successivamente si effettua un lavaggio e la flottazione, quest’ultimo usa dei tensioattivi che a seconda
delle caratteristiche di carica superficiale delle particelle, sono in grado di favorire la concentrazione delle
componenti, in modo da eliminare le frazioni ad esempio silicee. Si ha poi un’ultima fase di consolidamento
del materiale attraverso una sinterizzazione o pellettizzazione.

Si va poi nell’altoforno, dove si usa una specie ridotta che si ossida e promuove la riduzione del ferro.
Dall’altra parte però c’è bisogno di separare le fasi minerali, ci deve essere quindi una fusione. Si usa una
fase ridotta del carbonio, il carboncoke, da una parte per sviluppare calore, portando a una combustione
parziale, ma anche per avere un potere riducente. Dobbiamo poi promuovere la fusione della ganga che
viene caricata in cima in modo che scenda. A questo processore collabora il calcare (carbonato di calcio), si
ha quindi un passaggio di calcinazione, in cui il carbonato di calcio diventa ossido di calcio. Questa
trasformazione porta ad avere una fonte di calcio, utile per la rimozione delle componenti non ferrose, ma
anche per favorire la fusione. L’altoforno deve però anche riuscire a separare la componente ferrosa da
quella non ferrosa.

Riassumendo:

nell’altoforno avviene: 1- riduzione del Fe, 2- agente riducente è C sottoforma di CO gassoso e per
fluidificare la ganga uso calcare. Avviene la scorificazione di specie estranee al ferro.

Schema Altoforno

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Si tratta di un processo produttivo a ciclo continuo (diverso dal processo discontinuo che produce lotti
precisi di materiale) , si avranno quindi dei sistemi di caricamento continuo a nastri. Il cuore dell’impianto è
l’altoforno con una parte cilindrica centrale e un crogiolo di raccolta sul fondo. Ci sono in questo caso due
principali punti di stillamento, questo perché sul fondo dell’altoforno si dovrebbe avere da una parte la fase
ferrosa, ma dall’altra anche la scoria. Tutta questa struttura deve avere delle caratteristiche particolari
come la non reattività, resistenza meccanica e termica. Alla fine nella parte più inferiore si ha una
separazione per densità, la fase ferrosa più densa verrà raccolta più in basso rispetto alle scorie (loppa). In
questo processo non si ottiene però il prodotto finale ma un intermedio che occorre un trattamento. Si
hanno poi delle stufe che raccolgono l’aria inviata all’altoforno. I gas vengono raffreddati per poi essere
espulsi dalla ciminiera. Vengono usati due recuperatori in modo che mentre uno viene usato, l’altro scarica
il calore dentro il cuore dell’altoforno. Questo impianto quindi “mangia minerali” e produce una lega
ferrosa, cioè una miscela in cui le componenti principali sono il ferro e il carbonio. Nella bocca di carico si
inserisce: la ganga ferrosa, carbonato di calcio e carbone (carbon coke). Che cosa succede dal punto di vista
chimico? Principalmente si ha una produzione di CO2 dalla combustione del carbone e della
decarbonatazione del calcare (ovvero formazione di CaO + CO2). Ci sono due fonti di CO2 da questo
processo ed entrambe hanno un pesante effetto clima alterante (Effetto serra). Il carbone e il calcare
costituiscono il grosso impatto ambientale legato all’altoforno.

Non tutta la CO2 che produce l’uomo fa questo effetto. Una parte serve alle piante per l’ossigeno
(mitigazione impatti ambientali nei processi)  carbon neutrality.

In generale si ha produzione giornaliera di migliaia di tonnellate


di lega al giorno. Sono impianti che lavorano in modo continuo,
per poter raggiungere le condizioni ottimali infatti ci vogliono
giorni o settimane. Dentro l’altoforno si ha una temperatura
intorno ai 2000 °C alla sommità è di circa 200°C, deve avvenire la
conversione del carbone in componente riducente CO in modo
che avvenga la reazione del monossido di carbonio con il ferro
contenuto nei minerali. Deve poi avvenire una fusione tra tutte
queste cose.

Si carica quindi l’altoforno dall’alto utilizzando principalmente il


calcare per apportare calcio ma non solo, ha infatti un doppio
ruolo: quello di legare le scorie in specie in forma calcica, ma
anche di apportare la frazione fondente, cioè la frazione che
facilita la fusione delle specie minerali. Bisogna infatti saper
dosare opportunamente le frazioni in modo da avere un
controllo ottimale. Il coke usato è una tipologia di carbone che si ottiene per distillazione secca del
litantrace e fa sia da combustibile che da riducente. La distillazione produce una frazione combustibile che
viene utilizzata per gli usi energetici dell’impianto stesso.

L’altoforno non recupera il ferro a fine vita. Questo avviene in un passaggio successivo. Cosa succede
dentro l’altoforno?

Considerando di essere una particella dentro l’altoforno, il tempo trascorso dentro può essere tra le sei e le
dodici ore in base alle dimensioni dell’impianto, si ha una serie di passaggi lenti che vedono una
trasformazione graduale dei reagenti. Si ha una struttura a tronco di cono proprio per facilitare lo
svuotamento del materiale caricato. Il materiale incontra i gas nelle varie fasi come N2, CO e CO2. In basso,
vicino al fascio tubiero succede che si forma in condizioni controllate di ossigeno apportato la specie
riducente attraverso una reazione esotermica. Questa reazione deve essere controllata in modo che si

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formi il monossido di carbonio che avrà il ruolo di riducente nel processo (conversione da carbone a CO2: C
+ O2  CO2 , C+CO2 2CO).

Nella zona più alta i materiali incontrano i fumi caldi che escono e via a via scendendo incontrano
temperature più alte iniziando a trasformarsi. È la zone di preriscaldamento ed essicamento delle polveri,
quando la temperatura arriva a 800°C avviene la reazione che segue. La prima reazione è quella che
coinvolge la specie più ossidata del ferro:

𝐹𝑒2𝑂3 + 𝐶𝑂  2𝐹𝑒3𝑂4 + 𝐶𝑂2

Per parziale riduzione del ferro si passa dall’emetite alla magnetite, cioè un ossido misto di Fe2+ e Fe3+.
Nella zona intermedia del forno la magnetite passa allo stato di ossido di Fe2+

𝐹𝑒3𝑂4 + 𝐶𝑂 → 3𝐹𝑒𝑂 + 𝐶𝑂2

A partire da 800°C avviene una reazione fortemente endotermica: la decarbonatazione dei carbonati, tutte
le specie aggiunte si convertono a ossidi.

𝑀𝑒𝐶𝑂3 → 𝑀𝑒𝑂 + 𝐶𝑂2

Cambia quindi la composizione di tutto quello che c’è dentro il forno. Andando più in basso la temperatura
sale ulteriormente e avviene la seguente reazione:

𝐹𝑒𝑂 + 𝐶𝑂 → 𝐹𝑒 + CO2

In cui l’ossido di ferro 2+ viene ridotto a ferro metallico. Si ha un elevato tenore di fasi contenente carbonio,
questo processo avviene contemporaneamente insieme ad un altro fenomeno: la carburazione del ferro, si
ha cioè una distribuzione del carbonio all’interno del ferro. Alla fine di questo processo non si ottiene il
ferro ma si ottiene una miscela omogenea di ferro e carbonio. In realtà si ottiene una situazione ancora più
particolare in cui si forma una fase chiamata cementite Fe3C con una sua stechiometria. Si tratta di una
particolare fase identificata da un rapporto ben preciso tra ferro e carbonio. La cementite va a costituire
una fase eutettica, cioè una situazione in cui due componenti a temperatura di fusione diverse ( ferro e
cementite), a una data composizione fondono a temperatura più bassa, circa 1145 °C. Il ferro infatti
fonderebbe a una temperatura circa 1538 °C. Inizia quindi a colare come parte fusa e viene raccolta nel
crogiolo. Cosa raccogliamo? Ferro ridotto in miscela con del carbonio. Nel frattempo, avviene anche
l’eliminazione della silice grazie al calcare, viene infatti eliminata come silicato di calcio. Avviene anche la
riduzione di altri elementi come Mn, Si e P, nel metallo fuso troverò quindi altre componenti oltre al ferro.

Nel crogiolo avrò sotto la parte più densa (ghisa fusa), mentre sopra la parte di scoria. Nella loppa ci sono
principalmente silicati e alluminati di calcio e altri elementi. Si tratta a tutti gli effetti di una frazione
indesiderata, essa diventa però un materiale prezioso e facilmente riutilizzabile. Se viene fatta raffreddata
velocemente la loppa vetrifica, se macinata diventa una componente molto utile e facilmente impiegabile
nei cementi. Avviene anche una reazione di desolforazione. Lo zolfo infatti è una componente che
infragilisce le componenti ferrose. Nelle leghe ferrose
infatti il tenore di zolfo deve essere particolarmente
basso. Questa reazione è attuata sia dal manganese
presente che dall’ossido di calcio (CaO + FeS  CaS +
FeO).

La lega raccolta nel crogiolo alla fine viene chiamata


ghisa d’altoforno ed è un intermedio di produzione. Le
leghe ferrose infatti sono divise in due principali

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famiglie: gli acciai e le ghise a seconda del tenore di carbonio all’interno. Il tenore di carbonio decide anche
applicazione.

Dunque la ghisa d’altoforno deve essere lavorata per modificare il tenore di C in base alla sua applicazione.
Possiamo ottenere ghisa o acciaio. La ghisa avendo più carbonio abbassa la T eutettica perciò è adatta alla
fusione. L’acciaio ha meno C che da’ fragilità perciò possiamo usarlo per applicazioni meccaniche. La ghisa
d’altoforno è un intermedio che va quindi trasformato.

Le frazioni che hanno minor tenore di carbonio sono gli acciai, utilizzati per la lavorazione meccanica e
plastica. Le ghise invece vengono usati per la fusione e hanno un maggior tenore di carbonio. La ghisa
d’altoforno non solo ha un tenore di carbonio elevato, ma contiene anche altre impurezze come Si, Mn, P e
S. Devo quindi trattare il materiale in modo da affinarlo per l’uso. Per fare le ghise da getto devo
decarburare, cioè togliere il C. Questo processo viene fatto in un forno alimentato con la ghisa ma anche
dei rottami d’acciaio a basso tenore di carbonio. L’obiettivo è quello di portare il tenore di carbonio tra il 2.4
e il 3.6 %.

Per convertire le ghise d’altoforno in acciai bisogna ridurre la percentuale molto di più fin sotto il 2.06 %. Si
deve attuare un’ossidazione selettiva in modo da eliminare non solo il carbonio ma anche le impurezze
(Mn, Si, P e C ), devo poi trovare anche altri processi di disossidazione perché l’ossigeno infragilirebbe la
lega.

Si usano delle leghe del ferro con Si o Mn, Al che


fungono da riducenti e che possono poi essere
scorificati facilmente. Si usa un impianto discontinuo:
il convertitore basico ad ossigeno. Si hanno una serie
di reazione di ossidazione che dipendono l’una
dall’altra, a cascata piano piano si rimuovono tutte le
impurezze. In generale il processo è breve con una
durata di circa 30 minuti. Si chiama basico perché il
refrattario è composto da magnesite e dolomite.
Questo macchinario è in grado di ruotare su sé stesso
in modo da essere svuotato. Si ha una lancia ad
ossigeno che insuffla ossigeno dentro alla massa fusa. L’eliminazione di P è la più problematica, necessita
infatti di un’elevata quantità di ossigeno disciolto, ciò
avviene quando c’è poco carbonio. Per questa
scorificazione viene in aiuto la componente basica
della struttura dell’altoforno. Il fosforo si trasforma in
fosfato di calcio, più facilmente scorificabile. Si
aggiungono eventualmente agenti disossidanti per
infine colare l’acciaio. L’ossidazione del C contenuto
nella ghisa liquida innanzitutto avviene solo dopo
l’ossidazione del silicio, che scorifica come silicato. Il
manganese si ossida mano a mano che il tenore di C diminuisce e aumenta la quantità di ossigeno presente.
Scorifica come silicato manganoso. Ecco perché abbiamo detto che sono processi che dipendono uno
dall’altro.

Perciò eliminazione di P ed S
sono gli ultimi passaggi. Una

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volta eliminate le componenti non desiderate si aggiungono elementi disossidanti e poi si cola l’acciaio in
siviera.

RAME

Insieme ad Ag e Au fa parte dei “metalli da conio” a causa del suo valore commerciale. Lo troviamo
sottoforma di minerale tra cui ossido (cuprite Cu2O e atacamite Cu2Cl(OH)3), idrossido e solfuro (Cu2S
calcosina, calcopiriti Cu2Fe2S4 e piriti cuprifere). Ha però tantissimi altri utilizzi non relazionati alle sue
proprietà funzionali, come nel caso dell’ottone e del bronzo.
Viene usato soprattutto per
le sue proprietà elettriche,
ha infatti una conducibilità
di 59.6*106 . Per produrre
rame ad alta conducibilità ci
si deve concentrare nella
sua composizione e
rimuovere le impurezze. I
principali minerali in cui si
possono trovare sono ossidi,
idrossidi e solfuri, tra cui la
coprite in cui è presente a
circa l’89% e l’atacamite al
60%. Può anche essere trovare allo stato nativo. Le leghe di rame conducono meno bene calore ed
elettricità, ma guadagnano in resistenza meccanica. Sono in uso oltre 400 leghe di rame. All’aria umida si
ricopre di carbonato basico che assicura protezione da ulteriore corrosione e conferisce un caratteristico
colore verde. È facilmente attaccato da acidi ossidanti.
Per la preparazione del rame si usano di solito tecniche come la flottazione e la complessazione.
Quest’ultimo processo avviene circondando con più di un legame le specie metalliche, modificandone la
loro disponibilità in soluzione, favorendo la precipitazione e solubilizzandoli in modo significativo.

Ci sono poi alcuni processi


destinati alla rimozione dello
zolfo attraverso un
trattamento chiamato
arrostimento. Questo
trattamento porta alla
decomposizione delle specie
contenenti zolfo, che hanno
una maggiore affinità verso
l’ossigeno. Si ottiene però un
ossido acido SO2, una delle
maggiori cause delle piogge
acide.
Il passaggio successivo
prevede di eliminare le
impurezze in modo da
ottenere un grado di purezza compositiva. Dato che la conducibilità elettrica è fortemente legata alla
composizione del metallo. Tutto ciò avviene attraverso la scorificazione. Questo processo avviene aggiunge
Si, C (per un contributo riducente) e O. Dopo una serie di reazione si consumano anche le ultime specie che

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contengono lo zolfo, esse vengono trasformate in scoria. Questo lavorato viene chiamato rame nero, ha un
tenore di rame elevato ma non sufficiente, si ha circa un 4% di impurezze. Per usi funzionali è necessario
fare una successiva purificazione in modo da ottenere il rame deossigenato ad elevata conducibilità. Questo
secondo passaggio è un processo elettrolitico: viene effettuata l’elettrolisi del rame impuro all’interno di un
bagno di rame solfato e acido solforico. La via elettrolitica è utile anche per il recupero del rottame di Cu.
Attuando questo processo di dissoluzione elimino tutte le specie non soggette al processo ossidativo. Lo
svantaggio è dato dal consumo di corrente. Si ottiene quindi il rame deossigenato ad elevata conducibilità
(OFC= Oxygen free copper).
Il 50% del rame prodotto è utilizzato per fabbricazione di leghe.
Altri settori di uso sono:
- Elettrotecnica
- Scambiatori di calore
- Edilizia
- Tubazione per acqua
- Tubi raggi catocidi
- Sculture e monete
Buona parte del
rame quindi entra
nel processo di
alligazione, è infatti
alla base di due
leghe molto
importanti gli ottoni
(lega Cu-Zn) e i
bronzi (lega Cu-Sn).
Il rame è un metallo
difficile da recuperare, i metalli in generale sono molto più facilmente riciclabili di altri materiali, bisogna
però valutare il tempo di vita e utilizzo dei materiali. Il rame utilizzato nell’edilizia ha un tempo di vita medio
molto lungo. Tanti materiali hanno prestazioni durevoli, per cui il tempo di vita operativo è molto elevato.
Questo rende a volte non conveniente attuare un riciclaggio.
Il rottame può essere di 2 tipi:
- Da recupero, dalla demolizione di manufatti al termine vita
- Di produzione, dagli sfridi e dai ritagli della produzione di manufatti e semilavorati.
il rame è riciclabile più volte, e apporta un risparmio di circa l’85% rispetto al rame primario. Il riciclaggio
può avvenire molte volte.
ZINCO
Si tratta di un elemento con un punto di fusione abbastanza basso, intorno ai 420°C. è un materiale fragile e
polverizzabile a T ordinaria e sopra i 250°C, lavorabile (lamiere e fili) fra i 100 e 150°C.
Grazie alla formazione di un carbonato basico riesce a proteggersi dall’ambiente esterno. È presente in
natura sottoforma di carbonato,
solfuro, silicato e ossido.
La riduzione si ottiene per
arrostimento del solfuro ad ossido
e poi successivamente al carbone.
2ZnS + 3 O2  2 ZnO + 2 SO2 :
ZnO + C  Zn + CO
La temperatura del forno è attorno
ai 1100°C per cui lo zinco è fuso,

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distilla e reagisce in parte con il refrattario ( forma così alluminati). Per successiva distillazione a 750°C in
una colonna di carburo di silicio si separano zinco e piombo fusi e le impurezze di cadmio.
Lo zinco ottenuto è puro al 98% e contiene ancora impurezze come piombo soprattutto, cadmio e arsenico.
Si può purificare per ulteriore distillazione metodo vecchio, sostituito da un sistema continuo in forno
elettrico ad arco.
È molto complicato separare le ultime impurezze, si arriva infatti a una purezza del 97/98%. In gran parte lo
zinco viene usato nella galvanizzazione di ferro (Lo zinco è infatti una specie facilmente ossidabile che
quindi protegge il ferro). Gli usi più comuni sono nelle pile tradizionali, negli anodi sacrificabili e per la
cianurazione dell’oro.
La maggior parte dello zinco si ottiene per via elettrolitica partendo da minerali ossidati, poveri e privi di Pb.
LEGHE METALLICHE
Le soluzioni solide tra due materiali metallici sono le leghe (soluzioni solide: miscibilità di norma parziale di
una frazione di una specie detta soluto nel solvente, se l’intervallo di concentrazione non comprende una
specie pura, si dicono soluzioni solide secondarie o fasi intermedia).
Sono a tutte gli effetti delle soluzioni omogenee, con tutto un mondo di classificazioni del comportamento e
delle caratteristiche che queste miscele hanno. La miscibilità può anche non essere totale, si ha sempre una
concentrazione di saturazione. Si parla di soluzione solida primaria se si ha una specie pura, nel solvente la
presenza del soluto avviene in modo omogeneo. Nel campo delle leghe metalliche ci sono anche altri tipi di
soluzioni che possono identificare condizioni omogenee anche in regioni di composizione che non
comprendono la specie pura: si parla di soluzioni solide secondarie o fasi intermedie. A certe concentrazioni
possono verificarsi situazioni diverse che hanno però sempre un comportamento di soluzione. La differenza
fondamentale è nella struttura cristallina, sciogliendo un metallo in un altro, facendo solidificare il sistema
si possono avere più situazioni: 1) ottenere una fase sola molto simile a quella del solvente (Soluzione solida
primaria) 2) se invece la struttura è diversa da quella del metallo di partenza in concentrazione
maggioritaria si parla di soluzione solida secondaria o fasi intermedie.
Le leghe possono essere: leghe interstiziali o leghe sostituzionali.
Nelle leghe interstiziali si occupano i siti interstiziali. Possono avere in questo modo coordinazione
ottaedrica o tetraedrica nella struttura del solvente. La dimensione dei siti permette di ospitare atomi con
raggi atomici di qualche decimo di quello del solvente, come H, N, O, B o C.
La distorsione della struttura fa
preferire siti ottaedrici a quelli
tetraedrici. Quando questo avviene in
modo sistematico si ottengono
composti con caratteristiche molto
particolari con una loro
stechiometrica come il composto
intermetallico chiamato cementite. La
loro composizione è dettata dallo
spazio disponibile o da regole elettroniche. Si ottengono materiali molto diversi dai metalli, molto duri ma
anche fragili con alti punti di fusione. Ho modificato infatti le caratteristiche della struttura, impedendo i
processi di scorrimento alla base della lavorazione dei metalli.

Nelle leghe sostituzionali ci possono essere fasi intermedie, soluzioni solide primarie, ecc. Le regole di
Hume Rothery permettono di razionalizzare l’arrangiamento di una lega sotto forma di soluzione solida
intersitiziale, sostituzionale o fase intermedia e dunque capire quali sono le regole che permettono di
capire quali elementi possono dare origine a cosa. Andiamo ad accogliere dentro la struttura del metallo
una componente che perturba lo spazio occupato.
REGOLE DI HR

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Dimensioni atomiche: La differenza delle dimensioni degli atomi è rilevante, maggiore è la differenza di
dimensioni, tanto minore è la solubilità reciproca allo stato solido. Se la differenza tra i diametri atomici
supera il 14% la solubilità (soluzione solida sostituzionale) è significativamente ridotta. Questa regola
attuata da atomi di soluto sul reticolo metallico del solvente.
Comportamento elettrochimico:
Un altro aspetto importante è il comportamento elettrochimico, tanto più elettronegativo è uno dei due
elementi rispetto all’altro, tanto maggiore è la tendenza a dare sistemi stechiometrici ( fasi intermedie,
composti intermetallici). Elementi molto simili si sciolgono in modo continuo e con grande facilita infatti i
metalli di transizione si comportano in modo simile tra loro e perciò hanno ampie solubilità. andando a
differenziare le caratteristiche elettrochimica si crea una differente capacità di interscambiare gli elettroni
in modo libero.
Valenza relativa:
C’è anche un effetto legato alla valenza relativa. È più probabile che un elemento a valenza inferiore sciolga
anche tenori elevati di un elemento a valenza superiore, dove per valenza si intende il numero di elettroni
messi a disposizione così come la capacità di avere un comportamento chimico simile. Quindi Al in Cu è più
facilmente solubile rispetto a Cu in Al. Le fasi intermetalliche di HM sono delle situazioni in cui si trova una
particolare combinazione di numero di elettroni di valenza, numero di atomi partecipanti e tipo di struttura.
Le strutture che si ottengono sono molto complesse e hanno una composizione ben specifica.
Concentrazione elettronica:
il limite di solubilità è spesso individuato da un valore critico della concentrazione elettronica, cioè dal
rapporto tra il numero di elettroni di valenza e numero di atomi partecipanti. Questa caratteristica genera
le cosiddette fasi intermetalliche di HR, identificate a particolari rapporti tra elettroni di valenza e numero
di atomi presenti. Le strutture che si ottengono talvolta presentano il nome di “complesso”, che è dato
dall’impilaggio di diverse celle elementari CCC della struttura. Da notare che ai sensi del computo degli
elettroni, fanno numero solo quelli di valenza, cioè in orbitali s e p.

Come si fa una lega? Si parte


mescolando il fuso per poi
osservare il materiale durante
la solidificazione. Molto spesso
nel mondo dei processi di
trasformazione da fuso a stato
solido il tempo gioca un ruolo
importante, a tutti gli effetti si
tratta di una quantità di
energia messa a disposizione
della struttura per andare a
ottimizzare le posizioni.
Togliendo energia interna al
sistema, e cioè raffreddando,
vincoliamo il sistema a certe posizioni. Il prodotto finale rappresenterà il tempo dato a disposizione per
raggiungere un minimo energetico. Dal fuso quindi si ha una segregazione in una delle seguenti forme:
1. I metalli ricristallizzano separatamente, si ha quindi una completa segregazione
2. Posso avere una sola fase con una struttura che può essere data da quella del metallo a
composizione maggiore, ma anche una struttura intermedia
3. Posso avere una frazione che mi dà la fase di A+B e una soluzione che contiene sempre A e B ma in
composizione diversa. Si ottengono quindi due tipi di soluzioni solide compartecipante.
Tutto ciò si vede nei diagrammi di fase.

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I diagrammi di fase
Un diagramma di fase è un particolare diagramma cartesiano riferito ad una sostanza pura o ad una
miscela, che rappresenta lo stato del sistema termodinamico in esame al variare di due o più coordinate
termodinamiche. La conoscenza di fase per le leghe è estremamente importante perché c’è una forte
correlazione tra miscrostruttura e proprietà meccaniche e lo sviluppo della microstruttura di una lega
dipende dalle caratteristiche dei diagrammi di fase. Inoltre, i diagrammi di fase forniscono preziose
informazioni sulla fusione, sulla
solidificazione, sulla
cristallizzazione e su altri
fenomeni.

Considerando l’ottone (lega Cu-


Zn), si ha una regione in cima cioè
quella del liquido, dove si ha una
miscibilità completa delle specie.
Nelle regioni monofasiche del
diagramma di fase si ha una sola
fase in cui una specie è disciolta in
un’altra. Si ha una linea del solido
che varia a causa del
cambiamento di composizione del
metallo, infatti se ne aggiunge uno
che fonde a temperature molto
più basse. Ci sono poi zone di
immiscibilità o situazioni bifasiche
in cui la composizione del
sistema è costituito da due fasi
la cui composizione è data dalla
regola della leva -> 𝑛𝑙 = 𝑛 ′ 𝑙′,
che ci dice come cambia la
composizione in base alla
frazione delle specie presenti. In
queste regioni si è davanti a
situazioni con due fasi. Ci sono
poi regioni di miscibilità. Quindi,
mescolando il rame con lo zinco
fino al 35% si ottiene una sola
fase solida α, fatta dal rame che
ospita Zn al suo interno. A
concentrazioni più alte si inizia a
vedere apparire la fase β.
Cambiando la composizione al variare della concentrazione cambieranno anche le proprietà e le
caratteristiche. Devo quindi valutare le diverse proprietà nelle diverse fasi. Le leghe principali del rame sono
ottone (Zn 30-45%) e bronzo (Sn fino al 30%). Le caratteristiche che questi due sistemi hanno sono più o
meno simili. In entrambi i casi si hanno soluzioni solide terminali e fasi intermedie ad ampia solubilità,
anche nella fase intermedie c’è la possibilità di avere un certo regime composizionale. Gli ottoni sono

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facilmente utilizzabili per deformazione plastica. I bronzi vengono spesso utilizzati per colata, visto
l’abbassamento della temperatura di fusione. Principalmente la formazione di leghe migliora le proprietà
meccaniche modificando anche il comportamento alla corrosione. Queste due leghe cristallizzano in due
sistemi diversi, prevale la struttura della specie ospitante.
Ottoni

Rame e zinco cristallizzano in due strutture diverse. Nella regione primaria prevale la struttura della specie
ospitante, le posizioni reticolari nelle soluzioni solide di tipo sostituzionali possono quindi essere vicarianti
in modo casuale. La disposizione può anche essere ordinata. Nel caso della fase α si ha una prevalenza di
Cu, la struttura quindi sarà quella del metallo ospitante cioè CFC tipica del rame. La struttura α degli ottoni
è molto plastica con notevole deformabilità a freddo. Posso quindi far scorrere i piani l’uno sull’altro. Fino
alla composizione a circa il 35% riusciamo ad avere una fase α. Salendo di composizione iniziamo 10 a
vedere comparire una fase diversa, la fase β. Si ha una regione di immiscibilità in cui si ha la compresenza di
α e β. La fase β ha una struttura cubica a corpo centrato. Presentano un comportamento differente al
variare della temperatura. Al diminuire della temperatura infatti si ha una transizione ordine-disordine che
vede il passaggio da β a β’, si ha cioè una ridistribuzione delle specie all’interno. La fase più ordinata
assomiglia di più a un materiale con proprietà cristalline, è quindi dura e poco deformabile plasticamente, è
quindi molto più rigida e fragile rispetto ad α. A basse temperature si hanno le fasi in cui il solido evolve
modificando la propria microstruttura. A seconda della composizione delle fasi e cristallografiche si avranno
caratteristiche diverse.
Gli ottoni binari si dividono in quattro principali gruppi:
1. Ottoni con tenori di Zn al 33%, cioè quelli con una sola fase α allo stato solido
2. Tra il 33-38% di Zn hanno una composizione che presenta due fasi ad alta T, a basse T solo fase α
3. Ottoni che solidificano con struttura β e nei quali si separa la fase α durante il raffreddamento. Alla
fine, ho quindi una miscela di α+β. Sono di solito impiegati con Zn al 38-42%
4. Ottoni con struttura completamente β in cui si ha Zn > 47%. Questi ottoni non hanno un interesse
industriali perché sono fragili e inadatti alla produzione di semilavorati o getti

Gli ottoni α sono quelli facilmente lavorabili per deformazione plastica anche a freddo. Gli ottoni bifasici si
prestano alla deformazione plastica solo a caldo. La fase β infatti induce una minore lavorabilità e ha
bisogno che questi materiali vengano lavorati fornendo alla struttura la possibilità di riarrangiarsi e di
transire da α a β.

Alligazione: serve eliminare le impurezza ad esempio quando si vuole migliorare la conducibilità. Invece si
usano alliganti nel caso di necessità di particolari proprietà strutturali.
In generale, alcune proprietà delle leghe migliorano rispetto al Cu nativo: come la durezza (capacità di
sopportare un carico localizzato senza deformarsi), la quale aumenta tipicamente all’aumentare del tenore
dell’elemento in lega. A seconda della situazione, migliora anche la resistenza a frattura la quale raggiunge
un massimo e poi decresce per la formazione di fasi fragili. Si ha inoltre un allungamento (si riduce per gli
ottoni e sempre per i bronzi) e una migliore resistenza alla corrosione rispetto al rame ( proprietà
chimiche). Di fatto però bisogna tener sempre conto di altri effetti dovuti alla specie che aggiungo, devo
quindi ad esempio nel caso di Zn tener conto della dissoluzione reattiva dello zinco ( dezincificazione).
Esistono quindi diversi motivi prestazionali, compositivi e anche economici che portano a sottoporre un
metallo all’alligazione.

Gli ottoni ordinari si dividono in diversi ambiti in base al diagramma di fase: ci possono essere miscele che
hanno caratteristiche finali e applicative specifiche, di solito sono quelle caratterizzate da un’unica fase
cristallina. Questa fase è presente fino al 33% in peso di Zn, si tratta di una fase α a CFC. Diluendo il solvente

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(Cu) con frazioni crescenti di Zn, cambiano alcune caratteristiche come il colore. Infatti, dal 5-20% si parla di
ottoni rossi, mentre 20-32% ottoni gialli. Si tratta di materiali molto duttibili e malleabili, idonei a processi
come l’imbutitura (con cui si fanno oggetti di forma cava a un piatto, si applicano sforzi notevoli) e lo
stampaggio.

Aumentando la percentuale di zinco fino dal 32-39% si hanno gli ottoni bifasici (fase alfa+beta, CCC+CFC),
molto più duri e resistenti. Questo ottone è usato per la lavorazione meccanica ordinaria, cioè quelle
lavorazioni che rimuovono parte del materiale sfruttando il fatto che il materiale non risponde in modo
fragile. Posso quindi asportare una frazione del materiale senza romperlo.
Una lega famosa è la lega Muntz (ottone malleabile) con 40% di Zn che presenta un’alta resistenza
meccanica e alla corrosione; può essere lavorato a caldo, laminato ed estruso.. All’aumentare della
percentuale di Zn si riducono le applicazioni tecnologiche, queste leghe si prestano soltanto per la
saldatura(45 a 55% di Zn).

Gli ottoni vengono usati nelle monete, nel cosiddetto oro nordico. Vengono da sempre usati nei rubinetti. Ci
sono poi ottoni speciali che contengono piccole percentuali (fino al 10%) di altri elementi finalizzati a
modificare ulteriormente le caratteristiche in modo da adattare al meglio la lega all’utilizzo. Ad esempio, Al
favorisce la riduzione dell’attrito superficiale, la resistenza meccanica all’usura, ecc. In una parte di
componentistica elettrica dove la conducibilità non è necessaria vengono usati gli ottoni, in questo modo si
combinano le proprietà meccaniche con quelle conduttive. Anche nel settore dei trasporti, nel settore
marino (per la resistenza alle condizioni ambientali), nella industria meccanica e negli strumenti musicali.

Ottoni al piombo: sono leghe di alto consumo, stampabili a caldo o lavorabili con macchine utensili. Il
piombo, formando piccoli globuli, favorisce la lavorazione soprattutto al tornio, favorendo la rottura dei
trucioli. Si usano per viteria, rubinetteria…

Ottoni speciali: oltre al rame e allo zinco contengono anche fino al 10% altri elementi ( Sn, Al, Ni, Fe…) che
migliorano caratteristiche per specifici usi.

- Con alluminio ho i cuproallumini: resistenza meccanica all’usura, antifrizione


- Con stagno: riduce dezincificazione
- Con manganese: disossidante, resistenza meccanica
- Con ferro: come sopra
- Con nichel: resistenza meccanica e a corrosione

BRONZI

Sono leghe rame stagno con tenore di stagno fino al 25, 30%. Si hanno poi tracce di zinco e piombo. Il
comportamento delle leghe Cu-Sn è diverso. Questa lega trova applicazioni con un tenore di Sn fino al 25-
30%. Dopo questo tenore ci troviamo in una situazione in cui i materiali perdono parecchie proprietà utili.
La percentuale di Sn, e quindi la colorazione che assume la lega al cambiare della percentuale, classifica i
diversi tipi di bronzi:
1. Rosso rame con Sn < 5%
2. Giallo-oro con Sn dal 5 al 10%
3. Giallo-chiaro Sn 10-25%
4. Bianco con Sn > 25%

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All’aumentare della percentuale cambiano
significativamente le proprietà meccaniche modificando la
durezza e la resistenza meccanica. Si hanno materiali
molto meno deformabili. Sn fonde a temperature
relativamente basse, poco sopra i 200°C. Mescolando
questi due sistemi si ottiene che il campo di esistenza della
miscela allo stato liquido si estende a temperature più
basse.
Ci sono diverse zone che rappresentano singole fasi.
Ci sono un sacco di righe che identificano fasi
intermetalliche. Anche con bassi tenori di Sn si riesce a
portare a fusione la lega a temperature molto più basse
rispetto al rame puro. Il mondo del bronzo in gran parte è
un mondo che vive di fusione. Il bronzo ha la particolare
caratteristica di avere una lieve espansione prima della
solidificazione in modo da ridurre i difetti di solidificazione.
I bronzi ordinari sono quelli fatti dalle miscele Cu e Sn. Possono essere
- 4-10% di Sn, si ha solo fase α in cui i materiali sono facilmente malleabili, si possono anche lavorare
a freddo per medaglie ad esempio.
- 10-12% di Sn aumenta la resistenza meccanica e la durezza del materiale. Si ha un bronzo che
presenta una maggiore caratteristica legata alla presenza dello stagno e si adatta all’utilizzo per
ingranaggi. Ho solo fase alfa.
- 15-20% di Sn si ha una regione bifasica dove la lavorabilità è vantaggiosa ad alte temperature non a
freddo. Questo materiale viene ad esempio usato per fare i cuscinetti. Fase alfa e beta.
- 20-30% di Sn si ottengono delle fasi intermetalliche difficili da lavorare e fragili. Si usano attraverso
la fusione per lavori artistici. Fase alfa, beta, gamma e epsilon.
Ci sono poi i cosiddetti bronzi speciali, che
prevedono l’aggiunta di un’altra specie in
modo da modificarne le proprietà. Si ha un
mondo molto variegato che va dalla gioielleria
ai tubi. Ad esempio, i bronzi all’alluminio (5-
12%), quest’ultimo ha infatti la caratteristica di
proteggersi dall’ossidazione attraverso uno
strato compatto e denso, questa caratteristica
viene conferita dal materiale alla lega. I
cuproallumini con % maggiore dell’11% hanno
applicazioni antiusura.
Questi bronzi sono particolarmente
interessanti. I bronzi al manganese hanno una
resistenza particolare all’usura perfetti per i
fenomeni della cavitazione. La cavitazione è un fenomeno che avviene nei fluidi quando sono sottoposti a
onde di compressione e rarefazione. Questo fenomeno spiega quello che può avvenire quanto trasferiamo
energia meccanica all’interno di un mezzo. Si tratta di un fenomeno fisico legato all’abbassamento locale di
pressione ad un valore inferiore della tensione di vapore del liquido, quando esso è sottoposto a un’azione
meccanica. Consiste nella formazione di zone di vapore, gas o vuoto all’interno del fluido il cui processo
finale è l’implosione. I danni dovuti alla cavitazione sono significativi e vanno a erodere la superficie di un
materiale. Queste bolle energetiche implodono localmente a contatto con altre superficie. Questo
fenomeno nasce dalla propagazione di un’onda acustica (nel caso delle navi l’acqua, nel caso di un mezzo il

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solvente) all’interno di un mezzo fluido. Queste onde possono favorire la nucleazione e poi la crescita di
bolle dovute a gas disciolto o al solvente stesso che in fase di dilatazione supera la fase di vapore. Si ha una
crescita fino a dimensione critiche e poi l’implosione. Si immagazzina l’energia dentro questa bolla che poi
danneggia il materiale. I 12 punti in cui localmente queste bolle collassano, hanno delle caratteristiche
particolari:
1. la velocità di trasferimento dell’energia,
2. la quantità di energia trasferita nell’intervallo di tempo. Queste bolle hanno una quantità di energia
interna paragonabile a temperature che raggiungono i 5000 °C e pressioni dell’ordine di 1000 atm,
sono comunque condizioni energetiche locali. Queste condizioni si trasferiscono durante
l’implosione al substrato o alla miscela di reazione. Le bolle possono implodere in modo differente
a seconda di dove si trovano.
Abbiamo poi i cupronichel: presentano alta resistenza alla corrosione e resistenza meccanica. Con il 20 % di
nichel hanno colore grigio-metalli o e sono usate per monetazione. Piccole aggiunte di ferro, manganese e
niobio migliorano ancora la meccanica e saldabilità.

I bronzi al berillio hanno il 23 % di berillio. Leghe pregiate con meccanica superiore a tutte le altre leghe di
rame e competono con molti acciai. Infatti li sostituiscono per molte applicazioni.

Alpacche o leghe bianche: hanno rame al 70-50%, nichel 10-18% e il resto in zinco. Usate per posateria e
vasellame. Meno pregiate in industrie elettromeccaniche e telefonia.
ALLUMINIO
Si tratta del terzo elemento per abbonda nella terra. Ha una doppia natura: può essere considerato sia
come un metallo che un non metallo, formando specie cationiche ma anche anioniche. Ha una bassa
densità, è inoltre facile da trasformare e un buon conduttore sia di calore che di elettricità.
L’alluminio metallico può essere facilmente combinato con l’ossigeno. Se in polvere brucia all’aria, se solido
si copre di una pellicola aderente di ossido che lo protegge dall’atmosfera.
Si protegge dall’ossidazione formando quindi uno strato di ossido. Ha un punto di fusione non troppo
basso, circa a 660 °C, può essere trasformato quindi attraverso diversi metodi. Possiede inoltre un’elevata
riflessibilità di lunghezze d’onda che vanno dall’IR al visibile. L’alluminio ha un comportamento anfotero
particolarmente interessante che permette di ottenere soluzioni in ambiente basico, in questo modo viene
separato da altri tipo di contaminati.
Processo produttivo:
- estrazione, purificazione e disidratazione della bauxite (processo Bayer) (trattamento dei minerali)
- elettrolisi di Al2O3 disciolta in criolite fusa Na3AlF6 (riduzione alluminio)

La produzione primaria non è proprio


eco-friendly. Si necessita di minerali
provenienti da aree specifiche come
l’Asia e l’Africa che devono essere poi di
purificazione e disidratazione della
bauxite (minerale che contiene Al).

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Durante la purificazione si ha la
separazione delle impurezze, i
cosiddetti fanghi rossi la cui
colorazione è dovuta a Fe e altri
metalli. In questa fase si ottiene
l’allumina allo stato solido, si ha
poi un abbassamento della T di
fusione con la criolite (=sale
complesso di alluminio, fluoro e
sodio ). Si ha poi un processo di
elettrolisi. L’ossido di alluminio è
un materiale molto stabile che non
reagisce neanche ad elevate
temperature, si deve usare un processo elettrochimico. L’energia necessaria ha un impatto molto rilevante
specialmente se il processo usa fonti fossili.
Si sviluppano inoltre componenti gassose come HF e CO2 con un’elevata aggressività e corrosività. Il
processo di ossidazione prevede lo sviluppo di CO2 a causa della combinazione dell’ossigeno prodotto con
l’anodo. Se l’anodo fosse inerte di fatto si avrebbe solo O2. Da circa 4 tonnellate di bauxite si ottengono due
di allumina e una di alluminio. La
bassa temperatura di fusione
dell’alluminio rispetto alla
bauxite fa sì che il riciclaggio sia
molto più conveniente, dato che
non si ha neanche bisogno di un
processo elettrolitico. È un
materiale che non sempre è
coinvolto in applicazioni durevoli
(es lattine). Si hanno quindi scarti
significativi. L’alluminio vive
molto di cicli di rottamaggio con

un vantaggio energetico-ambientale enorme.

Importati prospettive derivano dallo sviluppo di anodi inerti che non si combinano con ossigeno e lo
liberano in atmosfera.

L’alluminio è un materiale molto versatile che presenta:


1. Tenacità
2. Resistenza meccanica
3. Bassa temperatura di fusione, si presta quindi sia a lavorazioni meccaniche che a lavorazioni da fuso
4. Buon comportamento a fatica
5. Resistenza agli agenti atmosferici

L’alluminio vive molto di alligazione infatti, Le leghe dell’alluminio alterano molto le caratteristiche di
questo materiale. alterano a esempio la resistenza meccanica. Essa può essere modificata anche tramite
incrudimento. Entrambi i processi però riducono la resistenza a corrosione. Spesso hanno temperature di
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fusione inferiori a quelle del metallo puro, conducibilità elettrica alta, ma comunque inferiore a quella del
metallo puro. I principali leganti sono Cu, Si, Mg e Zn. I due principali motivi per l’uso dell’alluminio e le sue
leghe sono: 1) formazione di pezzi leggeri 2) pezzi resistenti ad ambienti molto aggressivi. Le leghe sono
lavorabili a freddo e caldo mediante le solite lavorazioni (laminazione, estrusione, formatura e forgiatura)
ma anche da getto con elevati tenori di Si che usano processi di fusione per la formatura. L’alluminio è un
materiale a lunga vita nei cicli. Il suo riciclo fa risparmiare un sacco di energia, circa il 95% in meno.
le leghe bifasiche possono essere indurite per precipitazione formando composti intermetallici. Quelle
monofasiche non possono invece essere incrudite perché formano soluzioni solide.

MAGNESIO
Il magnesio, n° atomico 12, peso atomico 24.3 è l’ottavo per ordine di abbondanza nella crosta terrestre
(2.1% in massa). E’ il 3° ione –per abbondanza- disciolto in mari ed oceani, che rappresentano una fonte
praticamente inesauribile. E’ bianco argenteo; all’aria si copre di uno strato di ossido aderente (e
protettivo). Reagisce lentamente con acqua fredda sviluppando idrogeno. Ad alta temperatura brucia
formando l’ossido MgO; se acceso continua a bruciare anche in atmosfera di vapor d’acqua o di CO2 .
Perciò un incendio di magnesio non può essere spento con acqua o estintori a CO2 , si usano estintori a
polvere o sabbia. E’ leggero (densità 1.74 contro 2.70 per Al) e duttile. Si commercia in polvere, lingotti, fili
o nastri. Fonde a 650°C.

I minerali di magnesio, carbonati, silicati, cloruri e solfati, sono molto numerosi. I principali carbonati sono
la magnesite MgCO3 e la dolomite MgCa(CO3 )2 . I principali silicati contenenti magnesio sono: talco,
serpentino ed amianti. Il cloruro si trova idrato o come sale doppio con MgCl2 .KCl.6H2O (carnallite) in
depositi salini tipo salgemma. Il cloruro è anche abbondante nell’acqua di mare, così come il solfato, che si
trova anche in alcune acque minerali.

Minerali utili per l’estrazione sono i carbonati, la carnallite ed il cloruro nell’acqua di mare. Per calcinazione
si ottiene l’ossido di magnesio.
Il magnesio metallico si ottiene industrialmente tramite vari processi:
- Elettrolisi carnallite o elettrolisi di MgO .
- Riduzione ossido con carbone: reazione MgO + C  Mg + CO è reversibile e richiede un rapido
raffreddamento a 200 gradi sotto gas inerte per mantenere equilibrio a destra.
- Riduzione con ferro-silicio a 1200 gradi.
La dolomite minerale viene macinata e riscaldata per dare una miscela si ossido di calcio e magnesio-
MgCO3CaCO3 (s)  MgOCaO(s) + 2CO2(g)
Successivamente si attua la riduzione dell’ossido di magnesio. Il riducente è una lega di ferro e silicio
all’80%.
Gli ossidi e la lega ferrosilicio macinata sono presenti insieme caricati in un reattore ad allumina. Si scalda a
1300-1500 sottovuoto. Il magnesio vaporizza e condensa a 800 gradi viene poi raccolto e colato in
lingottiere.
2MgO (s) + Si(s)  SiO2 (s) + 2Mg( g)
La rxn è endotermica verso dx e spostata come eq verso MgO, ma rimuovendo i vapori di magnesio si porta
la rxn a completamento.
CaO(s) + SiO2 (s)  CaSiO3 (l)
Si ricava Mg con 99% purezza.

Abbiamo poi il processo Dow dall’acqua di mare che contiene cloruro e solfato di magnesio. Il processo si
basa sul fatto che lo ione Mg2+ può essere precipitato da una soluzione acquosa per aggiunta di una base.

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Questa è l’idrossido di calcio, che si ottiene aggiungendo all’acqua di mare, CaO, che si ottiene per
decomposizione termica del carbonato, CaCO3 nei classici forni da calce.
Le reazioni di precipitazione dell’idrossido di magnesio sono:
CaO (s) + H2O (l)  Ca2+ (aq) + 2OH- (aq)
Mg2+ (aq) + 2OH-  Mg(OH)2 (s)
L’idrossido di magnesio viene filtrato e fatto reagire con HCl per formare il cloruro MgCl2 che viene fuso ed
elettrolizzato a 700°C e colato in lingotti o sbarre. Il cloro, sottoprodotto del processo, può essere bruciato
in presenza di metano ed aria per formare una miscela di CO e HCl. Quest’ultimo viene riciclato nel
processo.
Un’alternativa è la conversione dell’idrossido ad ossido per riscaldamento, poi il trattamento con Cl2 in
presenza di C e in temperatura per ottenere MgCl2. Lo stadio successivo è quello di elettrolizzare MgCl2
fuso.

Uso magnesio:
- 70% leghe leggere mondiali
- 10% produzione titanio
- 10% desolforazione acciaio
- Altri usi

I principali usi industriali del magnesio possono essere condensati in:


i. leghe con alluminio,
ii. metallo strutturale,
iii. metallurgia del ferro e dell’acciaio,
iv. usi elettrochimici ed altri.
Il magnesio in polvere viene (veniva) utilizzato per il cosiddetto “lampo al magnesio” in fotografia, e per
bombe incendiarie, ed è usato per fuochi artificiali. Il suo impiego è pericoloso a causa della già accennata,
facile infiammabilità. Un altro uso importante è quello di “anodo sacrificale” per proteggere condutture (in
particolare di ferro). E’ largamente utilizzato come desolforante nella metallurgia del ferro. Ha un costo
elevato ma è il più efficiente disponibile, non è inquinante, riduce i tempi di trattamento, favorisce il
controllo del processo e rilascia poco ferro nelle scorie. E’ anche largamente utilizzato quale riducente nella
metallurgia del titanio (processo Kroll), e anche nella metallurgia dello zirconio. L’uso di gran lunga più
importante è quello in leghe leggere

Riprendendo la sua estrazione in vario modo: Si tratta di un processo che avviene ad alte temperature e
richiede una gran quantità di energia. Lo si può lavorare per fusione ma anche per lavorazione plastica.
Quest’ultima però causa degli scorrimenti che possono non essere ben accolti dal materiale diventando
difficile da lavorare o immagazzinare l’energia in situazioni non termodinamicamente stabili.
Queste situazioni sono di tensione, stress che possono perturbare le proprietà o essere punti di frattura,
infragilimento o corrosione. Per quanto riguarda la temperatura di accensione si devono considerare diversi
parametri come: la fonte di calore, la velocità di riscaldamento, la portata d’aria, la dimensione e la
geometria del campione. Si deve inoltre fare una distinzione tra accensione (temperatura) e
l’infiammabilità (tempo). Un materiale al contatto con la fiamma può infatti essere: ignifugo, resistente al
fuoco o flash resistente. Questi effetti si studiano attraverso test di laboratorio di solito si usano camere a
flusso o calorimetri a cono in cui vengono misurati perdite di massa, ecc.

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Il metallo puro è interessante per la bassa densità, la più bassa di tutti i metalli strutturali. E’ relativamente
duttile, ma a temperatura ambiente è poco lavorabile. Di norma la lavorazione è per getto o lavorazione a
caldo tra 200 e 350°C. Leghe del magnesio: Le leghe sono spesso suscettibili alla corrosione, specie in
ambienti marini, più dovuta alla segregazione di impurezze che alla lega stessa. La resistenza in condizioni
atmosferiche è invece buona. Come metallo strutturale, il magnesio può contenere numerosi elementi
leganti, fra cui:
- alluminio che, unito a Zn e Si aumenta la resistenza della lega, soprattutto a caldo.
- Rame: sostituisce il berillio (tossico) per aumentare la fluidità allo stato fuso.
- Manganese: segrega le impurezze di ferro responsabili di forte corrosione anodica a contatto con
acqua salata.
- Terre rare: questi metalli -cerio e ittrio in particolare- aumentano fortemente la resistenza delle
leghe ad alte temperature. Lo scandio aumenta il punto di fusione delle leghe.
- Litio: riduce le caratteristiche meccaniche, ma rende le leghe più leggere (densità 1.3 kg/dm3 ).
Anche il calcio diminuisce la densità.

Lavorazioni
- leghe fonderia
- Da lavorazione plastica, che possono anche essere trattate termicamente (incrudite, ricotte)

Le leghe di magnesio stanno sostituendo in alcuni casi le materie plastiche. Infatti, a pari densità, i materiali
a base di Mg risultano più rigidi, più facilmente riciclabili e meno costosi.

Per applicazioni di ingegneria strutturale, per generare la sufficiente resistenza e altre proprietà
meccaniche, il magnesio è legato con altri metalli quali Al, Zn, Mn, Si, Cd, Ag, Zr, Ca, Sr e terre rare. Le leghe
di magnesio contengono impurità difficili da eliminare, principalmente Fe,Ni e Cu. Il numero di elementi che
possono essere aggiunti durante alligazione sono piuttosto bassi a causa della loro limitata solubilità in
magnesio (fino a 11% in peso) Le più frequenti temperature di accensione segnalate per il Mg puro
rientrano nel campo di 630-640 °C. La temperatura di auto-accensione è tipicamente indicata come 473°C .
Gli elementi di lega alterano la temperatura di accensione (450 - 800 °C).

Le terre rare aumentano la temperatura di accensione delle leghe di magnesio. In base allo stato solido e
alla solubilità in magnesio, tutte le terre rare sono divise in due gruppi:
- Elementi leggeri
- Elementi pesanti
Leghe Al-Mg:
Più della metà del magnesio prodotto è destinato a quest’uso. Piccole quantità di magnesio aumentano la
resistenza meccanica ed alla corrosione delle leghe di alluminio. Fra le molte leghe di alluminio contenenti
magnesio, le più importanti sono:
1. Serie 5000 dette anche leghe marine a causa dell’elevata resistenza alla corrosione: possono
contenere anche più del 5.5% di magnesio.
2. Serie 7000 note anche come leghe ad uso aerospaziale contengono fino ad oltre il 3.5% di
magnesio.
3. Serie 3004 largamente utilizzata per la produzione di lattine per bevande. Il corpo centrale contiene
l’1.1% di magnesio, la copertura (Serie 5182) contiene il 4.5% di magnesio. Oltre il 60% delle lattine
vendute nel mondo viene riciclata. Nel riciclo il magnesio rimane con l’alluminio.

TITANIO

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Il titanio è particolarmente interessante soprattutto per 3 aspetti che sono: la sua temperatura di fusione
(1700 °C), la sua densità e le caratteristiche di resistenza chimica, riesce infatti a passivarsi all’aria
ricoprendosi di uno strato aderente di TiO2.
È quindi un materiale con bassa densità, elevata resistenza meccanica e alla corrosione, biocompatibile e
non magnetico. È inoltre il quarto metallo per abbondanza. È un materiale dalla struttura esagonale
compatta che transisce a un’altra fase a una determinata temperatura (ovvero stabile in alfa fino a 882
gradi poi diventa beta con struttura CCC).
I minerali da cui si ottiene sono tipicamente gli ossidi. L’estrazione e l’ottenimento in forma ridotta non
sono processi banali, sono processi molto problematici. Da una parte è l’unico elemento che oltre a
bruciare in ossigeno brucia anche in azoto, si combina con l’azoto formando dei nitruri per cui La sua
lavorazione avviene in un’atmosfera inerte in Argon.

METALLURGIA DEL TITANIO:


è complessa e costosa appunto perché avviene sotto argon.
Partendo dall’ossido si effettua una clorurazione in letto fluido a 600 gradi. La clorurazione dell’ossido di
titanio avviene con aggiunta di carbone e cloro o di gas clorurati. Si ha una conversione del 95% rispetto al
cloro usato:
TiO2 + 2C + 2 Cl2  2 CO + TiCl4
Si sottopone il prodotto a un processo di riduzione con metalli riducenti. Il processo Hunter più antico usa il
sodio, il processo kroll il magnesio. La rxn è esotermica.
Si potrebbe anche usare calcio ma la rxn è molto costosa.
PROCRESSO HUNTER ( due stadi di rxn):

PROCESSO KROLL oggi più usato:


TiCl4 (g) + 2Mg (l)  Ti(s) + 2 MgCl2 (l) deltaG= - 72 Kcal/mol (900°C)

Essendo rxn esotermiche si tratta di processi spontanei. Il processo avviene in un reattore con piani rivestiti
in titanio. Questo viene riempito di argon e caricato con blocchi di magnesio puro. a 700 gradi si invia il
vapore di tetracloruro di titanio e si deposita infine la spugna di titanio sul cloruro di magnesio fuso che si è
formato.
Si ottiene in questo modo Ti allo stato solido sottoforma di spugna, cioè un aggregato in cui all’interfaccia è
avvenuta la redox.
La reazione è esotermica quindi ci deve essere un sistema di raffreddamento e condizioni tali da riuscire a
controllarla. Questa redox avviene in tempi lunghi di circa 95 ore. Infatti, l’immissione di vapori di TiCl4
deve avvenire lentamente e in modo controllato per mantenere il controllo della temperatura di rxn.
La spugna di titanio deve poi essere sottoposta a una distillazione, anch’essa molto lunga (85 ore), in modo
da ottenere il metallo puro.

Uno dei problemi è la sua conservazione, la spugna infatti si ossida facilmente, la sua conservazione a lungo
termine è quindi molto onerosa. Per questo si tende a distillare velocemente.
I vantaggi nell’utilizzo sono:
1. Leggerezza, a causa della minore densità e maggiore resistenza meccanica, 40 % più leggero
dell’acciaio
2. Resistenza meccanica, a erosione, cavitazione, abrasione e corrosione
3. Basso coefficiente di dilatazione termica, si dilata molto meno dell’acciaio
4. Biocompatibilità, ha un impiego biomedico in forte aumento e non tossico

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5. Superidrofillicità, hanno una grande affinità con l’acqua (alla base dei materiali easy to clean:
interazione con acqua maggiore di altre interazioni)
6. Resistenza a biocorrosione marina
Il titanio commerciale si presenta in quattro gradi da 1 a 4 a seconda delle quantità di impurezze in ordine
crescente, in particolare ossigeno e ferro.
La duttilità diminuisce ma aumenta la resistenza meccanica:
- Grado 1: stampaggio a freddo
- Grado 2 usi vari: compromesso tra proprietà tecnologiche
- Grado 3 recipienti ad alta pressione
- Grado 4 aeronautica, auto F1
LAVORABILITA’:
il problema principale è la reattività con altri materiali e specie a caldo, che obbliga a tecnologie di
lavorazione non convenzionali.
1. Formatura a freddo: si ha indurimento/ incrudimento e diminuzione della duttilità. Si ha un
notevole ritorno elastico dopo deformazione. Ricordiamo, infatti che molte leghe a memoria di
forma sono a base di titanio.
2. Formatura a caldo, ricottura, incrudimento; influenzano poco le proprietà iniziali
3. Sopportano bene tutte le tecniche di saldatura
4. Buona fusibilità

A causa della sua reattività vengono usate tecniche di lavorazione non convenzionali. Nella lavorazione a
freddo si ha un incrudimento e una
diminuzione della lavorabilità. È
interessante il notevole ritorno
elastico dopo la deformazione.
Esistono leghe con fase α e β
all’interno. La resistenza meccanica
cambi a seconda della presenza di
una delle due fasi. Alcuni alliganti
sono Al, Ni, Sn, V, ecc. Le leghe
vengono impiegate nell’industria
chimica, nella geotermica e nella
metallurgia. Il suo riciclo non è
tanto difficile e avviene attraverso
processi VAR. Viene riciclato con
fusione rottame/spugna soprattutto
per usi militari. Si tratta comunque di un metallo molto promettente con caratteristiche interessanti e
possibilità di uso anche in ambiente estremi. Si tratta di un mondo diverso dalla metallurgia classica.
MATERIALI CERAMICI

Sono in generale costituiti da elementi metallici e non. Cioè composizione diversa.


Il nome identifica il processo di ottenimento, si parla infatti di materiali cotti (keramikos= materiale cotto).
Vengono definiti in negativo ovvero sono materiali non metallici ed inorganici, caratterizzati da frattura
fragile, poca elasticità e deformabilità ( ed ottenuti per formatura e successivo trattamento termico, cosa
che non succede mai per i metalli).
Questa definizione comprende pertanto:
- I ceramici tradizionali ( materiali derivanti da argille come porcellane, mattoni e piastrelle, cementi
e vetri)

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- Ossidi
- Nitruri
- Carburi
- boruri

caratteristica legata agli aspetti compositivi di tali materiali è il fatto che, laddove si ha la copartecipazione
di elementi che giocano ruoli diversi nella tavola periodica in termini di proprietà varie come affinità
elettronica e elettronegatività, allora ci si trova in un contesto variabile di rilevanza dei vari modelli di
legame che conosciamo. Infatti in queste strutture sono presenti diverse tipologie di legame soppesando
tra loro i principali ambiti di interazione tra gli atomo ovvero : legame covalente, ionico e in parte quello
metallico. Il risultato finale è che in questi materiali troviamo strutture che vedono in cui i legami giocano
un ruolo importante nell’ordinamento della struttura stessa. Dunque sono sistemi in cui non si identificano
delle molecole discrete.

Per riassumere il concetto una definizione di materiali ceramici è: sistemi associati ad un LEGAME MISTO,
ionico, covalente e talvolta metallico, che da’ luogo a strutture di atomi interconnessi prive di molecole
discrete.

Altra definizione: sistemi non metallici, non plastici e non derivati da piante o animali (inorganici)  poco
corretta questa definizione.

In generale cosa connota questi materiali?


Sono materiali: fragili ( caratteristica di un legame ibrido) con scarsa conducibilità elettrica e termica
(tranne nel caso dei superconduttori) ma una buona resistenza meccanica e di compressione, con una
scarsa resistenza meccanica a trazione e in regime elastica. Hanno però un’elevata inerzia chimica. Sono
inoltre materiali spesso trasparenti.

SISTEMI CRISTALLINI E AMORFI


Strutturalmente i materiali ceramici possono essere sia cristallini che amorfi.
- La caratteristica amorfa non è dovuta al disordine totale ma a una struttura ordinata solo per poche
distanze atomiche, cioè prive di disposizioni ordinate a lungo raggio, come nel caso dei vetri.
- Essendo costituiti da 2 o più elementi, Le strutture cristalline dei ceramici sono molto più
complicate dei materiali metallici, proprio a causa della combinazione dei legami covalente e
ionico.
Andiamo poi a classificare i materiali ceramici in base all’applicazione:

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I vetri sono materiali termoplastici che possono essere sottoposti anche a una lavorazione sequenziale.
Attraverso la variazione di temperatura infatti ne modifico la plasticità e lavorabilità riuscendo a portare il
materiale a tenori di viscosità tali da poter essere soffiati o colati, riesco in questo modo a modificarne
localmente la forma. I vetro-ceramici sono materiali particolarmente adatti a gestire gli aspetti di utilizzo in
condizioni di stress termico.

I prodotti argillosi possono essere distinti in ceramici tradizionali e porcellane. Sono quei materiali che
vedono la parte tecnologica basata su processi di tipo isoplastico. Si ha quindi la possibilità di dare una
forma all’oggetto a temperatura ambiente, formandolo attraverso la preparazione di una massa plastica. Le
argille hanno un ruolo chiave per avere queste condizioni di formabilità. Si ha poi un trattamento termico
che li fa mantenere una forma. Le porcellane hanno elevate proprietà meccaniche, elevata densità e buona
inerzia chimica.

I refrattari sono classificati in modo diverso. Sono quei materiali che hanno processi tecnologici specifici.
Questi materiali hanno due proprietà principali: buone proprietà meccaniche (resistenza all’abrasione,
all’urto) e anche l’inerzia chimica. Servono quindi dove avvengono reazioni chimiche particolarmente
aggressive, quindi come contenitori. Sono materiali che presentano stabilità meccanica e chimica ad alte
temperature.

I cementi sono materiali ceramici a sé che hanno la caratteristica di essere in grado di dare una massa
plastica che può essere modellata per un certo tempo di lavorabilità. Presentano poi una presa, cioè una
perdita della plasticità e un induramento che riesce a sviluppare nel materiale prestazioni meccaniche
rilevanti senza bisogno di un processo termico. Questo può avvenire attraverso l’interazione con l’aria
(leganti aerei) o con l’acqua (leganti idraulici).

I ceramici avanzati comprendono tantissimi tipi di materiali, dai semiconduttori ai materiali di tipo
catalitico o con particolari proprietà ottiche, ecc.

Sono materiali che presentano una natura plastica al variare della temperatura e possono essere sottoposti
a pressatura, soffiatura, trafilatura e formatura di fibre. La formatura dei ceramici può anche passare
attraverso la formatura del particolato, cioè pressatura delle polveri o formatura idroplastica (cioè con
l’aiuto di una piccola quantità d’acqua in modo da rendere il materiale lavorabile), colaggio, ecc. In questi
processi ci deve essere una rimozione dell’acqua d’impasto, se necessario, e successivamente un processo
di cottura. Il mondo dei cementi è a sé e richiede un processo di fabbricazione autoconsistente che non ha
bisogno di processi termici in fase di realizzazione.

STRUTTURE CRISTALLINE
Nel caso delle strutture cristalline la struttura in sé viene determinata principalmente da 2 aspetti che sono:
la carica elettrica degli ioni e il rapporto tra il raggio cationico e quello anionico rc/ra.
Il primo aspetto, quello delle cariche è quello che decide la stechiometria del composto per raggiungere
neutralità
Il secondo permette di definire quali sono i rapporti di arrangiamento/ coordinazione delle specie con
carica opposta, per massimizzare gli effetti attrattivi e le posizioni occupabili e ottimali per le specie di
stessa carica in modo da minimizzare gli effetti repulsivi. ( ovvero si mira al massimo contatto
catione/anione).
Dal punto di vista tecnologico, i sistemi ceramici sono i primi materiali “sintetici-tecnologici” preparati
dall’uomo. Hanno caratteristiche che li differenziano molto dal mondo dei metalli sia dal punto di vista
tecnologico che applicativo, non si ha inoltre un processo di fusione dunque la deformazione plastica si

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ottiene in maniera diversa. I ceramici una volta formati presentano poi un’alta temperatura di fusione e
un’elevata fragilità. I passaggi tecnologici per l’ottenimento sono la formatura a freddo, essicazione,
trattamento termico finale.
Si ha rammollimento e raffreddamento con irrigidimento per aumento della viscosità ( nel caso dei vetri).

DIFETTI E LORO DIMENSIONALITA’


I difetti sono
estremamente
importanti nel mondo
dei ceramici perché
impartiscono
determinate
proprietà.

Un difetto è di fatto una situazione anomala rispetto alla regolarità del materiale modificandone localmente
le proprietà. Possiamo avere difetti ad esempio compositivi che generano una perturbazione in un punto
specifico e vengono detti difetti di dimensione zero.
Posso avere difetti lineari nel materiale cioè perturbano una regione che mantiene anomalia lungo una
linea 1D. Abbiamo poi difetti 2D cioè di superficie ( ogni materiale ha un’interfaccia in cui l’anomalia è data
dalla mancata continuità della struttura come lo è internamente). Infine difetti 3D che sono quelli di volume
( esempio la porosità, mancanza di porzione volumica di materiale).

I materiali che più evidenziano il ruolo della difettività sono quelli cristallini proprio a causa della ordinata
disposizione nello spazio.
I materiali cristallini non sono perfettamente ordinati, ma contengono un gran numero di difetti. Le
deviazioni dalla cristallinità sono alla base di significative proprietà, non sempre dannose.
Definizione di difetto cristallino: irregolarità dal reticolo che ha le dimensioni di un diametro atomico.
Questi difetti sono intrinsecamente legati all’aumento di entropia che generano. Sono difetti che non
avendo un’azione destabilizzante forte sono compatibili energeticamente, l’aumento entropico infatti
scompensa lo svantaggio entalpico. All’aumentare della temperatura aumentano la frequenza dei difetti.
Difetti come il self-interstiziale sono caratterizzati da un accumulo di energia e possono essere zone in cui si
verificano processi reattivi e trasformativi.

Nei ceramici, al contrario dei metalli, le strutture coinvolte risentono degli effetti di carica. La componente
della parte ionica del legame è quella chiave nella difettività. Nei ceramici è significativa la concentrazione
delle impurezze. Le superfici e le interfacce sono di maggiore importanza in questi sistemi, a causa delle
caratteristiche che risentono fortemente delle relazioni reciproche tra le specie coinvolte. Difetti come la
porosità e i vuoti sono di grande importanza nei ceramici.

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In questo caso, dato che le strutture devono bilanciare i difetti carichi, si avranno quindi accoppiamento di
difetti in modo da non sbilanciare la carica.
I difetti Frenkel sono formati da una coppia catione vacanza e catione-interstiziale. I difetti Schottky sono
difetti di coppia vacanza cationica-vacanza anionica. L’aumento di difetti all’equilibrio con la temperatura è
dovuto alla maggiore agitazione termica della struttura.

Un difetto di vacanza o vacanza reticolare è un difetto puntuale dei cristalli, dovuto all'assenza dal reticolo


cristallino di uno o più atomi; tale assenza può essersi determinata durante la solidificazione a causa di
disturbi locali o può essere stata creata da deformazioni plastiche o da un rapido raffreddamento.
Nei cristalli ionici (ad esempio il cloruro di sodio, NaCl) si distinguono in difetti di Schottky, e difetti di
Frenkel. 

Vacanza di Schottky: Nel difetto di Schottky sia il catione (ione positivo) che l'anione (ione negativo)
risultano assenti dal reticolo. L'assenza di uno solo degli ioni causerebbe uno squilibrio nelle cariche
elettriche, che si realizza difficilmente, dato che la stechiometria di un materiale varia difficilmente.
Nell'esempio del cloruro di sodio, l'assenza dello ione negativo (Cl-) è compensata elettronicamente
dall'assenza del catione o ione positivo (Na+).

Vacanza di Frenkel (difetto autointerstiziale): uno ione (in genere un catione)si sposta da una posizione
regolare ad una interstiziale; questi difetti hanno minore probabilità di formarsi in quanto hanno una
maggiore energia di formazione rispetto agli altri.
Anche questa tipologia di difetti assicura la neutralità di carica ad un reticolo ionico, ma a differenza del
precedente, non associa due vacanze, bensì una vacanza ad un difetto interstiziale, quindi vi è
semplicemente uno spostamento di un atomo dalla sua posizione ideale.

Atomi sostituzionali e interstiziale:


la sostituzione di un atomo con uno diverso è guidata da:
- Dimensione atomica
- Struttura cristallina simile
- Elettronegatività
- Valenza
DIFETTI IN METALLI E CERAMICI
Nei ceramici:
- Le imperfezioni possono essere posizionali, sostituzionali o interstiziali.
- Poiché gli atomi di una struttura sono ioni, la struttura deve mantenere elettroneutralità ( difetti
Frenkel e Schottky). Il numero dei difetti F e S all’equilibrio dipende dalla Temperatura. L’aumento
dei difetti all’equilibrio è dovuto alla maggiore agitazione termica (aumento secondo distribuzione
di Boltzman)

Gli atomi di impurezze possono dare soluzioni solide nei ceramici molto più che nei metalli. Le soluzioni
possono essere interstiziali o sostituzionali.

DISLOCAZIONI (1D)

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Sono difetti di linea. Mentre i difetti puntuali sono termodinamicamente presenti, quelli di linea richiedono
più energia perciò sono frutto di deformazione o crescita cristallina, in condizioni di non equilibrio. Esempio
un semipiano che si interrompe in un cristallo ( dislocazione a spigolo). Altro esempio la dislocazione a vite
cioè spostamento di un passo di una porzione del cristallo. Possiamo avere anche dislocazioni miste.
Le dislocazioni migliorano la plasticità cioè la deformabilità del materiale. se blocchiamo il loro moto
andiamo a migliorare le proprietà meccaniche del materiale ad esempio atomi di impurezze causano ciò
bloccando il moto delle dislocazioni.

LEGANTI
Leganti o cementanti: sostanze che impastate con acqua danno massa plastica che con il tempo subisce un
progressivo processo di irrigidimento fino a raggiungere elevata resistenza meccanica.
I leganti sono presenti dove c’è bisogno di legare più materiali, si parla di adesione tenace. In generale,
sono materiali che possono combinarsi con l’acqua e dare una massa plastica che con il tempo subisce un
progressivo processo di irrigidimento fino a raggiungere elevata resistenza meccanica.

I processi di irrigidimento sono:


1. Presa (setting), cioè il passaggio da una massa plastica ad una massa in grado di conservare la forma
data. Si perde quindi la plasticità del materiale, ma si guadagna in termini di proprietà meccaniche
2. Indurimento, cioè il continuo aumento della resistenza meccanica
I leganti possono essere divisi in due categorie:
1. Aerei, sono quei materiali che in presenza di aria subiscono il processo di irrigidimento. Sono calci
aeree, gesso e cemento Sorel
2. Idraulici, in cui presa ed indurimento avvengono anche immersi in acqua. L’acqua converte questi
materiali in specie più dure. Sono calci idrauliche e cementi. Il cemento è quindi uno specifico
legante idraulico.
CEMENTO
La normativa EN 197-1 definisce il cemento in termini di ruolo e definizione in tutta l’Europa. Il cemento è
infatti un legante idraulico, cioè un materiale inorganico finemente macinato che, quando mescolato con
acqua, forma una pasta che fa presa e indurisce a seguito di reazioni e processi di idratazione. Una volta
indurita, mantiene la sua resistenza e la sua stabilità anche sott’acqua. L’indurimento del cemento è quindi
causato dalla reazione tra il cemento e l’acqua. Il cemento conforme alla EN 197-1 è chiamato CEM.
Insieme ad altri materiali può dare origine alle malte e al calcestruzzo, questi due hanno la proprietà di
conservare la forma plastica per più tempo. La differenza tra un cemento e una malta cementizia è che nel
caso del secondo materiale le sue caratteristiche non lo permettono a livello di normativa di essere definito
cemento.

La legge infatti definisce il cemento anche a livello di prestazioni come:


“Quei leganti idraulici che, provati su malta plastica, raggiungono a 28 giorno di stagionatura sott’acqua la
resistenza a compressione di almeno 325 Kg/cmq (32.5 Mpa)”

Di che cosa è fatto il cemento? Il cemento è un prodotto finale la cui componente attiva è il clinker. Si tratta
di una polvere finissima che deriva dal processo di cottura di materiali rinvenuti a livello naturale. Il clinker
contiene calce, silice, allumina e ossidi di Mg ed Fe. Una miscela di queste sostanze non porta ad avere un
legante idraulico, il clinker ha questa composizione elementare, tuttavia le sue proprietà idrauliche sono
dovute ad alcune caratteristiche specifiche della fase cristalline e dei rapporti stechiometrici.

Il clinker tipicamente può essere naturale, se costituiti da una miscela di rocce chiamate marne di cava.
Normalmente però il clinker viene ottenuto attraverso un processo artificiale di cottura di miscele di diverse

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frazioni minerali come calcari, argille, marne e scisto. Si ha poi un processo di produzione che conferirà le
proprietà al materiale. Tutti questi minerali sono molto presenti sulla crosta terreste.

La fabbricazione del clinker prevede 2 fasi


- Estrazione delle materie prime e preparazione della miscela cruda
- Cottura della miscela cruda ad alta temperatura
I minerali di cava vanno miscelati in modo omogeneo frammentando i componenti:
- Per via umida: in caso di difficile miscelazione si prepara una sospensione di acqua formando una
melma
- Per via secca: macinazione fine dei componenti

Questi processi d’escavazione devono avere luogo il più possibile vicino alla cementeria in modo da
ottimizzare il processo. Questo processo ha comunque un costo energetico considerevole. Dalla cava il
materiale procede e si arriva alla fase di frantumazione. Bisogna poi riuscire ad alimentare il processo di
cottura ( progressivo riscaldamento) in continuo in modo da ottimizzare (Un processo discontinuo identifica
un lotto di produzione con un inizio, una fine e una ripartenza). L’alimentazione deve essere fatta in modo
quindi da garantire un’omogeneità compositiva. La macinazione favorisce il contatto tra le componenti.
Questa prima frantumazione porta ad ottenere cumuli di materiali. Il passaggio non è per niente banale,
permette infatti di mescolare tra loro le frazioni che compongo il cemento. Ci sono tecniche di
rinvenimento che giocano un ruolo fondamentale. Posso staccare in appositi contenitori di stoccaggio le
materie prime in modo da riuscire poi produrre a cemento. La farina di cemento è una miscela di materie
prime crude che sono minerali dosati nelle opportune quantità. Dobbiamo conoscere questi dosaggi per
sapere se bisogna apportare dei correttivi. Bisogna macinare queste componenti ed essere in grado di
introdurle senza che vengano disperse. Non si lavora in modo diretto ma si ha uno stoccaggio intermedio
che ne permette un ulteriore omogeneizzazione.

Si ha un processo di cottura con un comparto antecedente che permette di introdurre la farina e il recupero
dei fumi di combustione. Si hanno degli oggetti chiamati “cicloni” che hanno lo scopo di promuovere il
contatto fra i gas di scarico e la polvere introdotta. Si sfrutta un flusso di fumi che crea un andamento
vorticoso, grazie all’effetto centrifugo le polveri si depositavo sulle pareti del cono. Le polveri entrano in
contatto con i fumi che passano nei vari cicloni dopo aver percorso il forno, la farina prendere assorbe il
calore e raffredda i fumi del processo. Si ha quindi un innalzamento della temperatura delle polveri,
recuperando energia altrimenti persa, arrivando a temperatura che permettono già processi come la
decarbonatazione. Si effettua poi un percorso di riscaldamento graduale attraversi un forno tubolare
leggermente inclinato che ruota intorno al suo asse. Dentro il forno la temperatura sale andando verso la
fiamma. Si 18 trasforma quindi la miscela di componenti in una fase con proprietà idrauliche. Il
raffreddamento avviene molto rapidamente per stabilizzare questa fase cristallina, soprattutto di una
componente in particolare. Questo avviene principalmente con flussi d’aria o direttamente con getti
d’acqua. In questo modo si ottiene il materiale idraulico che da questo passaggio in poi non deve entrare in
contatto con l’acqua.

Il processo vede la formazione di aggregati di alcuni centimetri. Il passaggio successivo è quello di


sottoporre il materiale a un ulteriore macinazione. Il clinker è un materiale piuttosto duro, inoltre si deve
raggiungere un grado di finezza piuttosto elevata. Questo processo richiede una significativa quantità di
energia. Durante questa fase viene aggiunto il gesso, molto importante per le caratteristiche che il cemento
deve avere. Il gesso infatti modifica uno dei passaggi chiave: la presa. Dopo questo passaggio si ottiene il
prodotto finito. Il gesso fa sì che si abbia un intervallo di lavorabilità maggiore. Il viaggio del cemento è di
solito abbastanza in breve in modo da evitare inutili sprechi di energia.

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Nel mondo dei cementi si usa la cosiddetta notazione dei cementieri:

Si identifica con una sola lettera un componente presente nel cemento sottoforma di ossido. Si usano
anche combinazioni di queste lettere per connotare una fase anche con i rispettivi rapporti stechiometrici.
Le specie principali presenti nel clinker:

Le argille, per le loro caratteristiche strutturali e compositive, apportano Si, Al e altre specie come Mg e Fe.
Nel clinker l’apporto di Ca avviene attraverso l’aggiunta di calcare. Il clinker di Portland è fatto dal punto di
vista compositivo da:

Questi elementi sono presenti sottoforma di fasi mineralogiche e cristalline e dati da una determinata
composizione. La componente maggioritaria è infatti il 𝐶3𝑆 (chiamata anche ALITE) intorno al 60%, si ha poi
il 𝛽𝐶2𝑆 (o BELITE) attorno al 30%. Ciascuna di queste componenti reagisce con l’acqua trasformandosi e
originando dei processi che danno luogo a presa e indurimento. Altre fasi presenti sono la 𝐶3𝐴 𝑒 𝐶4𝐴𝐹,
cosiddette fasi ferriche, presenti in frazioni differenti. Il ruolo del ferro è quello di essere un elemento dalle
caratteristiche fondenti tali da favorire l’ottenimento di una frazione all’interno del forno al 25% in forma
fusa. Gli ossidi in forma libera, come MgO e CaO, sono componenti
indesiderate che non devono essere presente in percentuali rilevanti.
Attraverso la microscopia ottica possiamo vedere anche le diverse fasi.

Cosa succede dentro il forno? Quando si alimenta il forno partendo dal


mescolamento di calcare, attorno al 70%, e argilla. Il primo passaggio è quello che porta alla
decarbonatazione, cioè alla disidratazione delle fasi argillose, alla conversione del carbonato di calcio a
ossido, ecc. Della frazione di calcare si ha una significativa conversione in CO2. Nel forno avviene una
seconda fase di processi di cottura che vedono il consumo di CaO e la reazione con le fasi silicato e
alluminato.

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Facendo uno studio delle reazioni che avvengono e dosando le varie componenti si può fare in modo di
ridurre gli impatti energetici. Di tutte le reazioni di clinkerizzazione quella con un peso maggiore è quella di
decarbonatazione. L’emissione di CO2 collegata è inoltre molto grande. Le reazioni successive sono
promosse energeticamente.

Dentro al forno si ha una variazione ponderale della fase contenuta e una ridistribuzione delle componenti
in funzione della temperatura. Al variare della temperatura le specie presenti si convertono
compositivamente per arrivare alla composizione finale che viene poi estratta dal forno.

Le varie fasi del clinker vengono descritte attraverso tre caratteristiche importanti: 1) la reazione con
l’acqua 2) lo sviluppo di proprietà meccaniche 3) calore d’idratazione. Le reazioni di idratazione delle fasi
mineralogiche del clinker sono infatti reazioni esotermiche. La velocità di rilascio del calore è estremamente
importante soprattutto in fase applicativa. Il clinker è quindi quella parte idraulica che reagisce con l’acqua
e costituisce i leganti cementizi.

Il legante è quindi composto da fasi calciche di Si e Al. Ogni fase mineralogica ha le sue proprietà:

Clinker non è commercializzabile come cemento, se non aggiungendo almeno 5% di gesso. Il cemento più
semplice che può essere definito CEM e venduto come cemento regolamentato è quindi l’ettringite,
chiamata CEM1 formata da 95% clinker e 5% gesso.

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L’acqua è un reagente, innesca un processo irreversibile di trasformazioni delle fasi in un altro prodotto
responsabile della presa e dell’indurimento del materiale. L’acqua inizia ad interagire con le particelle di
cemento, adsorbendosi sui minerali e sviluppando calore, in questo modo avviene la dissoluzione delle
principali fasi inorganiche presenti nel sistema.
Velocità processo idratazione:

Quelli che subiscono un’idratazione più veloci presentano più scarse proprietà meccaniche. I prodotti, o
meglio, il segno del fatto che nel cemento sta avvenendo l’idratazione, sono i solfo-alluminati di calcio idrati
e poi i prodotti di idratazione delle fasi silicato. Il clinker si trasforma seguendo questa reattività, ci sono
degli aspetti che la spontaneità della reazione. Il controllo della cinetica di reazione avviene attraverso
alcuni aspetti chimici e l’ottimale contatto tra le fasi e l’acqua di impasto.

I parametri che regolano la cinetica di idratazione sono:


1. Contenuto e reattività del C3A, responsabile anche della presa
2. Contenuto in Sali solubili, favorisce gli effetti di regolazione della presa, vengono modificati
dall’aggiunta del gesso
3. Contenuto e reattività delle fasi silicato C3S, C2S, responsabili dei processi di idratazione a più lungo
termine e sviluppo delle proprietà meccaniche
4. Granulometria del cemento
Le prime ore di idratazione possono essere ricondotte a due tipi di reazioni: quelle dei silicati e quelle degli
alluminati e solfati.
L’idratazione della fase C3A è cosi rapida da rendere difficilmente lavorabile un impasto fatto da solo clinker
e acqua.

Vediamo dalla tabella le rxn delle varie fasi costituenti, con acqua. La fase silicato forma con acqua il silicato
di calcio idrato CSH e poi l’idrossido di calcio.

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Nel cemento ci sono anche aspetti legati a rxn più rapide. Si tratta principalmente della fase C3A. talmente
rapida che la rx con acqua è tal e da rendere difficilmente lavorabile un impasto fatto solo da clinker e
acqua. Le fasi ferriche hanno invece
una rapidità di idratazione
moderata e perciò una cinetica con
influenza minore.
Significativo è il comportamento
che si ha quando nella miscela si
aggiunge una quantità del 5% di
gesso.
Aggiungendo il gesso promuoviamo
un processo parallelo e che
compete con quello di idratazione
degli alluminati. Si tratta di un
passaggio immediato che forma
l’ettringite, cioè un solfo-alluminato
di calcio idrato che converte
lentamente nel tempo a
monosolfoalluminato.
Questo processo permette di regolare la lavorabilità del materiale, rallentando significativamente la
reazione di C3A (=si idrata molto meno esotermicamente). La chimica del cemento è molto complessa,
ogni passaggio descrive in modo estremamente delicato le successive caratteristiche del materiale e quindi
le applicazioni.
Vediamo graficamente il processo di idratazione:
i. pre-induzione: rxn molto rapida
ii. Induzione: rallentamento
iii. Accelerazione: crescita e nucleazione dei
prodotti di idratazione
iv. Diffusione controllata: rallentamento
dovuto all’aumento dei prodotti solidi in

soluzione
Vediamo poi che le fasi hanno resistenza meccanica
diversa. Le fase alluminato solidificano più veloci ma

hanno resistenza inferiore.


Il silicato di calcio idrato ha una struttura lamellare, che si
sviluppa principalmente sul piano. La formazione di
idrossido di calcio è un po’ come l’impronta della
conversione delle fasi. Queste reazioni sviluppano quindi
calore di idratazione, si tratto di un aspetto molto

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significativo soprattutto per quanta riguarda la velocità. I processi più esotermici sono quelli di
conversione da alluminato a ettringite, seguiti dai processi di idratazione degli alluminati. Un cemento con
un basso tenore di alluminio avrà quindi una reattività più lenta ma più graduale svolgimento di calore.

Il calore di idratazione permette di differenziare i processi di presa e di indurimento. Nel primo caso si ha un
rilascio di calore inziale legato alla presenza di fase alluminato. Mentre reagiscono queste fasi, le stesse
inibiscono l’idratazione regolare e continua delle fasi silicato. Iniziano poi le reazioni di indurimento che
vedono un secondo svolgimento di calore a tempi più lunghi dovuto proprio alla reazione delle fasi C2S e
C3S. La quantità e la velocità di svolgimento di calore ci dice quanto velocemente il materiale passa da una
fase plastica a una non plastica. Regolare il tempo di presa vuol dire trovare un equilibrio tra l’alluminato
presente e la velocità con cui questo si idrata.

Per capire il tempo di


presa, cioè l’inizio e la
fine, si usa
l’apparecchio di Vicat.
Si ha un ago normato
posto sopra una
pasta di cemento e
acqua, effettuando la
prova di penetrazione
all’interno del materiale si identifica la penetrazione sulla base della
profondità. Ci aspettiamo che i granuli di clinker via via si allarghino e
creino una struttura gel che consuma l’acqua d’impasto e si lega con
altre particelle. L’acqua ha quindi il ruolo di reagente, insieme al
clinker, ma anche quello di far scorrere le particelle in fase di
idratazione in modo da rendere lavorabile l’impasto. Queste due cose
non vanno d’accordo, l’acqua non deve essere stechiometricamente
bilanciata, si parla del rapporto acqua-cemento, cioè del rapporto ponderale necessario ottimale che di
solito va da 0.3 a 0.5 (cioè 300 g di H2O su 1 kg di cemento). Al variare della quantità di acqua messa
nell’impasto variano le proprietà meccaniche per capillarità, mancata coesione delle particelle,
segregazione, ecc..
RIASSUNTO BREVE:
Con la formazione dell’impasto i granuli sono inizialmente circondati e separati da un sottile velo d’acqua.
Tale velo reagisce rapidamente con le varie componenti del cemento. Lo spessore dello strato superficiale
aumenta via via fino ad occupare tutto lo spazio disponibile ( massa gelatinosa).
Per eliminazione di parte dell’acqua e cristallizzazione si ha l’indurimento. In base alla % di acqua variano
anche le prestazioni
meccaniche cioè in base al
rapporto acqua/cemento. Se
aumenta il rapporto
diminuisce la meccanica.

Se le applicazioni richiedono
una prestazione meccanica
differente in cui la percentuale di clinker, cioè la parte più onerosa energeticamente, può essere ridotta,

38
possono essere aggiunte altre componenti che facciano da diluente alla fase idraulica. I cementi vengono
classificati attraverso degli aspetti compositivi e prestazionali.
La normativa EN 197-1 definisce anche le possibili miscele ammesse come formulazioni alternative. Una
caratteristica è quella di considerare la resistenza meccanica che questi materiali sviluppano, essa è una
misura della qualità del legante. Si misura infatti la resistenza meccanica a compressione dopo 28 gg. Per
fare ciò si devono rendere standard tutte le parti che possono influenzare il risultato, attraverso materiali
standard che sono gli stessi per ogni misura. Anche la miscelazione è standard. Si tratta di una prova fatta
su malta (cioè una miscela fatta da legante, acqua ed un inerte che principalmente è sabbia). Il minimo per
essere considerato cemento è 32.5 MPa, al di sotto di questo valore il materiale non viene considerato
cemento. La classe più alta è quella dei cementi 52.5 MPa. Il cemento viene quindi studiato e qualificato
grazie alla sua resistenza meccanica. Alcuni tipi sono:

1. Cemento di tipo portland su base alluminato e silicato.


2. Pozzolanico, deriva da frazioni naturali principalmente di rocce
vulcaniche che presentano un’idraulicità latente, cioè la loro
reattività viene attivata in presenza di Ca(OH)2.
3. Loppa (cemento d’altoforno)

La normativa EN 197-1 identifica cementi diversi da quello di portland CEM-1. Il clinker è infatti solo un
intermedio di produzione. Abbiamo poi i CEM-2 che mescolano altre fasi che possono essere diluenti,
calcare, pozzolana, loppe d’altoforno, ceneri volanti, ecc. Questi diversi cementi possono anche sviluppare
le stesse proprietà meccaniche, riducendo la parte idraulica onerosa.
La pozzolana non solo riduce il clinker ma modifica considerevolmente le proprietà meccaniche. Al cemento
si aggiunge anche la loppa d’altoforno, cioè la frazione scorificata che esce dall’altoforno. Il clinker è molto
costoso e ha un impatto ambientale forte, la loppa è uno scarto. Riuscendo a sostituire il clinker con la
loppa valorizzo un rifiuto.
La stessa cosa succede per le ceneri volanti, cioè il particolato che si raccoglie durante la combustione del
carbone nelle centrali termoelettriche. All’aumentare del tenore di Al si ha una velocità di reazione più
veloce.
CEMENTO POZZOLANICO
Per modificare le caratteristiche posso fare quindi delle miscele, aggiungendo ad esempio la pozzolana
(accumulo e cementazione di particelle, cenere e lapilli di origine vulcanica). Faccio miscelazione portland
(55-70% con pozzolana 30-45%). La presenza di essa permette di consumare il prodotto d’idratazione del
portland, cioè l’idrossido di calcio. Si tratta di una fase reattività molto lenta, ha quindi una resistenza a
breve inferiore rispetto al portland. La pozzolana ha ben o male la stessa composizione del clinker. Si tratta
di un’attivazione basica, le pozzolane sono quindi più propense a reagire influenzate dal pH.

CEMENTO D’ALTOFORNO
Il clinker di Portland può anche essere miscelato con loppa d’altoforno. Questi cementi sono
particolarmente impiegati per lo svolgimento di calore graduale.
La scoria è il sottoprodotto di fabbricazione della ghisa ed è costituito da ganga del minerale ferro, ceneri
del coke, calcare.
I cementi alla loppa son molto usati per lo svolgimento graduale di calore per cioè getti di grande mole.

Le proprietà meccaniche dei cementi di miscela possono essere svantaggiate nei tempi brevi ma
vantaggiose nei tempi lunghi. Un altro aspetto importante è la porosità del cemento. Un cemento meno
poroso è più durevole, meno incline all’accumulo dell’acqua e al contatto con specie aggressive.

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Un aspetto particolarmente critico è quello della durabilità, cioè il tempo di vita operativo in cui manterrà le
sue proprietà e quali sono i processi che più significativamente degradano il materiale.
Il cemento si degrada per tre principali aspetti:
1. degrado chimico causati da agenti come solfati, anidride carbonica, cloruri e acqua troppo pura e
dolci. I solfati infatti reagiscono con lo ione solfato, promuovendo la formazione di gesso (espanso)
dentro il materiale, genera quindi una tensione locale
2. degrado fisico, cioè legato agli aspetti ambientali come il gelo-disgelo, ritiro da essiccamento
(dovuto alla
disidratazione),
incendio e il calore di
idratazione
3. degrado meccanico
dovuto a urto,
erosione o abrasione,
sisma e/o vibrazioni.
Attacco da parte dei solfati:
Ca(OH)2 data dall’idrolisi del
cemento reagisce con SO4 2-
per dare gesso (espansivo).
Il gesso reagisce con C3A per dare ettringite (espansiva). Gesso, Ca(OH)2 , CSH e CO2 danno thaumasite
(espansiva e fragile – avviene a bassa T e alta umidità).

Attacco da parte di cloruri:


Ca(OH)2 data dall’idrolisi del cemento reagisce con Cl- per dare 3CaO CaCl2 15H2O.
Disintegrazione e delaminazione del cemento
Attività corrosiva sulle armature.
Veicolanti principali di Cl- :
- Disgelanti
- Acqua di mare
Inoltre (acqua di mare) può avvenire la sostituzione Ca2+  Mg2+ (protezione).
Attacco da CO2:
CO2 solubile in acqua carbonatazione Ca(OH)2
Tale reazione abbassa pH da 13 a 11
CaCO3 +CO2 +H2O  Ca(HCO3)2
Con CO2 aggressiva, formazione, con H2O, di bicarbonato Ca(HCO3 )2 più solubile
rende l’armatura più vulnerabile all’attacco dell’ossigeno/umidità
Fenomeni di arrugginimento
- diminuzione di sezione dei ferri
- distacco dei copriferri
Leganti e Inerti
Chiamiamo
- Pasta: miscela plastica
fatta da legante + acqua
- Malta: legante + acqua +
inerte che di solito è
sabbia ( è lo scheletro
portante della malta ne
costituisce il 60, 70%)

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Calcestruzzo
Nel calcestruzzo è una malta dove il cemento è il legante che lega le parti inerti o aggregati, cioè sabbia,
ghiaia e pietrisco. In questo modo si riduce la quantità di cemento necessaria per il materiale. Ci sono alcuni
aspetti importanti da considerare come la dimensione degli aggregati che devono essere naturali. Una
massa totale di 2400 kg di calcestruzzo richiede solo 300 kg di cemento. Nella formazione del calcestruzzo
tutte le componenti sono dosate accuratamente in modo da garantire al meglio l’ottimale riempimento
degli spazi vuoti. Ciascuna delle componenti che si aggiunge riesce a trovare spazio negli interstizi nelle fasi
già presenti, di fatto quindi aumenta la massa ma non il volume. Nel calcestruzzo di solito si mettono dei
rinforzi metallici che hanno la caratteristica di avere buon comportamento a flessione. Si ha una buona
affinità tra il calcestruzzo e l’acciaio dolce a basso tenore di carbonio normalmente usato, i due coefficienti
di dilatazione sono infatti molto simili.

Il mondo dei cementi ha inoltre bisogno di additivi che ne modificano la chimica, può infatti essere
necessario accelerare la pressa o l’indurimento. Aggiungendo Sali inorganici aumenta la velocità di
idratazione e lo svolgimento di calore, il che può essere utili in condizioni estreme a temperature molto
basse. Questi additivi però possono avere degli effetti secondari. Si può anche voler ritardare questi
processi, questo avviene attraverso sostanze organiche come gli zuccheri, la cellulosa, ecc. In questo modo
si piò dosare al meglio lo sviluppo del calore di idratazione. Attraverso l’azione dei fluidificanti si può ridurre
la viscosità dell’impasto fresco, in modo da aumentare la lavorabilità 22 riducendo il rapporto acqua-
cemento. Questo avviene modificando le interazioni interfacciali tra cemento e aggregato attraverso
tensioattivi. Ci possono essere poi altri additivi come plastificanti, aeranti o disaeranti, ecc.

Che cosa succede quando produco una


tonnellata di cemento? Emetto 750 kg di CO2
per emissione diretta più 50 kg per emissione
indiretta dovuto all’uso di energia elettrica. In
gran parte dovuta alla decarbonatazione del
calcare. Si cerca mi mitigare questo impatto
durante il processo, ad esempio recuperando il
calore dei fumi, ecc. La cosa migliore sarebbe di
ridurre la quantità di clinker all’interno della
formulazione. Possiamo anche utilizzare
combustibili alternativi. Nel mondo del cemento
si parla di 5C (clinker, cement, concrete,
construction e carbonation). Un’altra soluzione
potrebbe essere quella di produrre il clinker a
temperature più basse in modo da avere una riduzione del 30% delle emissioni.

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VETRI
Il vetro è uno dei più vecchi materiali sintetici usati dall’uomo. Si tratta di un materiale termoplastico
lavorabile per trasformazione a caldo. Si tratta di un materiale inorganico (ceramico) che solidifica senza far
avvenire un processo di cristallizzazione e che irrigidisce per aumento della viscosità.
Abbassando i moti all’interno della struttura, gli atomi si bloccano in posizioni fisse aumentando la viscosità.
Ha quindi una struttura amorfa priva di ordine e periodicità a lungo raggio. La distanza di legame rimane
però la stessa nella struttura vetrosa. Ci possono essere processi di irrigidimento anche non termici, ma
attraverso tecniche di polimerizzazione sol-gel o di deposizione da vapori chimici.
Il vetro in generale ha diverse definizioni, dettate anche dal contesto, in generale però è: un materiale
amorfo (solido non cristallino), inorganico e termoplastico.

Più della metà del mercato mondiale dei ceramici riguarda il vetro a causa delle caratteristiche uniche che
ha, tra cui quella di essere modellati facilmente in oggetti cavi dotati di inerzia chimica (bottiglie, bicchieri,
lampadine, contenitori), trasparenza, possibilità di entrare in contatto con sostanze alimentari.
Un’altra quota rilevante è quella del vetro piano, possiamo usare questi materiali per ottenere lastre. Un
altro mondo importante è quello delle fibre di vetro (rinforzo) nel campo dei polimeri e anche quelli ad alta
purezza compositiva nelle fibre ottiche per trasmissione di segnali.

Perché il vetro è importante? Le proprietà che rendono il vetro particolarmente utile sono principalmente:
inerzia chimica, il vetro non ha forti interazioni con sostanze con cui entra in contatto; l' omogeneità
compositiva; rimodellabilità (che gli altri ceramici non hanno); basso coefficiente di dilatazione termica cioè
l'effetto della variazione di volume, tanto più il materiale assomiglia liquido e quindi riesce a sistemare la
posizione degli atomi l'uno rispetto all'altro, tanto più basso sarà il coefficiente di dilatazione; trasparenza;
economicità e resistività elettrica adatta per isolanti.

I materiali vetrosi sono materiali che nascono per sottoraffreddamento di liquidi. Non c'è un ordine a lungo
raggio, cioè circa sopra i 5 legami (1nm), chimici ma c'è un ordine a corto raggio.

Le regole di Zachariasen si basano su materiali che


sono strutturati su motivi poliedrici, cioè su unità
ripetitive di struttura poliedrica. Sono state teorizzate
passando attraverso lo studio di aspetti sperimentali
che si verificano quando un sistema è vetroso.
Si guardano le analogie di legame tra materiali vetrosi
e cristallini basandosi sulle proprietà meccaniche e su
aspetti di analogia strutturale senza periodicità
traslazionale. Si analizzano i dati sperimentali ottenuti
attraverso l’analisi RDF o funzione di distribuzione
radiale. Si tratta di un modo di analizzare il grado di
ordine all’interno di una struttura.
In un difrattogramma ottenuto attraverso i raggi X osserviamo
lo spettro tipico di un materiale amorfo, si ha quindi un picco
allungato attorno. Facendo un’analisi della distribuzione delle
coppie presenti attorno a un atomo di riferimento, non si ha
però una distribuzione casuale. Presenta una distribuzione
ordinata fino a pochi Amstrong di distanza. Le strutture hanno
unità silicato condensate tra di loro. Per distanze interatomiche

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più lunghe la curva si appiattisce lungo la distribuzione statisticamente casuale. Si parla di ordine a corto
raggio e disordine a lungo raggio.

Le regole di Zachariasen identificano gli aspetti chimico-compositivi e determinano che:


- Uno ione ossigeno coordina solo due o meno di due atomi di un elemento formatore di vetri
(poliedri che condividono spigoli o facce sono alla base di sistemi cristallini)
- I numeri di coordinazione degli elementi formatori di vetri sono piccoli (di norma 4)
- I poliedri con ossigeni ai vertici condividono solo dei vertici
- I poliedri formano un network 3D
- La valenza del catione è 3 o maggiore
- Al diminuire della dimensione del catione si riduce la capacità di formare vetri
- L’elettronegatività del catione è tra 1,5 e 2,5
Vi possono essere cationi (al centro delle strutture poliedriche) con ruolo di:
- formatori di vetri (formano network di poliedri vetrosi secondo le regole di Z.) , si legano con
l’ossigeno
- Modificatori, che non partecipano direttamente alla struttura vetrosa perché non formano un
ossido vetroso ma interagiscono con il network di una specie formatrice di vetro
- Ioni intermedi che possono giocare entrambi i ruoli
Nella struttura possiamo avere la presenza di cationi/ specie cationiche e che ne modificano le proprietà,
queste specie vengono chiamate cationi modificatori. Da una parte questi cationi smagliano la rete
generata dalla struttura vetrosa, dall’altra sappiamo che dove c’è un anione c’è un catione, si ha quindi
un’interazione elettrostatica che genera un legame non localizzato. Questo vuol dire che si avrà una
presenza di unità terminali (non bridging oxigens o modificatori) con una carica negativa che genera un
legame ionico. Questi cationi non partecipano direttamente alla struttura vetrosa ma danno origine a
modifiche locali. Attorno a queste zone la struttura può riorganizzarsi senza però cambiare la distanza.
All’interno della struttura vetrosa la parte covalente può vedere il coinvolgimento di specie cationiche che
vanno a modificare il network covalente.

Gli elementi che formano vetri sono tipicamente elementi


con una dimensione non troppo piccola del catione, con
elettronegatività media tipica degli elementi come B, Si, P e
Ge. Questi legami hanno caratteristiche di legame
parzialmente ioniche e parzialmente covalenti. Gli elementi
attorno riescono a dare ossidi solo in particolari condizioni
(come un rapido raffreddamento oppure ossidi che danno
vetro solo in miscela con altre specie).
Gli elementi che formano vetri inoltre presentano, come
ossidi, viscosità da fuso elevate.
Tipi di vetro:
- Il vetro più comune è il vetro silicato sodio-calcico, la cui struttura viene modificata da ioni Na+ e
Ca2+. Si tratta di un vetro economico molto usato che può anche essere reso più durevole e meglio
isolante se in forma di alluminosilicati. Questo avviene nei bulbi delle lampade alogene.
- Un altro vetro abbastanza comune è il cosiddetto vetro al piombo che anziché Ca ha Pb (detto
cristallo; termine sbagliato perché non è cristallino). Sono vetri altrimenti trasparenti con elevato
indice di rifrazione, hanno la capacità di riflettere molto la luce. La capacità di ospitare catione
rende il vetro molto interessante dal punto di vista della rifrazione, al cambiare della rifrazione
cambia l’indice di rifrazione proporzionalmente alla densità. Questa proprietà viene usata
soprattutto negli occhiali da vista.

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- Un altro tipo è il vetro borato che ha Si, B e Al. Questo vetro è usato nella vetreria di laboratorio o
nella vetreria durevole come il Pyrex. Ha sia una resistenza chimica che termica, anche allo shock
termico.
- Il vetro di quarzo è invece fatto di solo Si e O con un coefficiente di dilatazione quasi nullo
- I vetri fosfatici sono vetri usati come semiconduttori
- Calcogenuri (As, Se, Te): sono vetri trasparenti all’IR formati da semiconduttori non ossidici.

Questa capacità di trattenere cationi in modo stabile all’interno e di essere matrici inerti fa sì che i vetri
siano utilizzati per inglobare e trattenere cationi derivanti da scorie di tipo radioattivo.

La produzione del vetro avviene attraverso materiali naturali come il calcare ma anche derivati da processi
chimici. Di solito si tratta termicamente il calcare in modo da rilasciare la CO2. Si deve dosare le componenti
in modo da ottenere un materiale con le proprietà desiderate.
I principati vetri prodotti sono vetri sodio-calcici.

La colorazione del vetro avviene aggiungendo droganti (metalli di solito di transizione) come difetti puntuali
nella struttura. La colorazione dipende dal drogante e dal suo stato di ossidazione. È però molto più facile
colorarli che togliere il colorante, quasi impossibile.

Questo materiale non presenta una temperatura di fusione, ciò che succede è che si ha un passaggio tra
una situazione plastica e una situazione rigida alla temperatura di transizione vetrosa. Al di sotto di questa
temperatura il materiale viene considerato vetroso e al di sopra della quale è prima un liquido
sottoraffreddato, poi un liquido (Alla Tg il moto termico cooperativo è in grado di inibire completamente i
moti molecolari responsabili di una viscosità residua). Il materiale sopra e sotto la Tg distribuisce l’energia
termica in modo diverso. Si ha una variazione strutturale, man mano che si toglie energia il materiale si
riarrangia modificando alcune
caratteristiche fisiche tra cui il
volume specifico (=l’inverso della
densità). Cambia cioè il modo in cui
viene distribuita l’energia all’interno
dei materiali. Una struttura che
presenta caratteristiche vetrose
quando arriva alla temperatura alla
quale, l’omologo materiale in
condizioni di poter cristallizzare
presenta fenomeni di
cristallizzazione, presenta proprietà
strutturali compositivi tali da dare un
vetro, presenta un andamento
lineare di volume specifico, cioè le caratteristiche di un liquido sottoraffreddato. Il materiale cambia quindi
il volume specifico fino a un punto sotto al quale il materiale presenta una variazione dell’andamento fino
ad assimilarsi a quella del solido cristallino. Un materiale vetroso presenta quindi questa regione di
sottoraffreddamento in cui segue l’andamento tipico del liquido, fino al punto di transizione vetrosa in cui si
verifica questo cambiamento di pendenza. La velocità di raffreddamento decide inoltre il grado di ordine e
di compattazione della struttura. Il vetro va trasformato in condizioni termoplastiche, tuttavia le proprietà
di una struttura vetrosa dal punto di vista compositivo influenzano significativamente le caratteristiche
termoplastiche.

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La curva presenta andamenti diversi per composizioni di vetro differenti, ma alcuni punti sono
univocamente definiti da valori di viscosità.

Si identificano dei valori di viscosità che permettono la trasformazione plastica del vetro. Muovendoci nella
regione liquida si ha un cambiamento del grado di mobilità e quindi della viscosità. Le caratteristiche che
tipicamente vengono identificate per la trasformazione del vetro e che sono influenzate nella loro
temperatura di ottenimento dalla composizione, sono principalmente associate a tipiche viscosità della
massa vetrosa. Il punto di fusione è la temperatura alla quale il vetro presenta una viscosità di 10 Pa*s. Si
definisce poi una grandezza che indica la soglia di lavorabilità, cioè una viscosità limite che indica che a quel
punto il vetro è deformabile. Man mano che riduco aumenta la viscosità diminuendo la temperatura, il
vetro inizia a essere lavorabile diventando una massa plastica. Il punto di lavorabilità è quello al di sotto del
quale il materiale può essere trasformato mantenendo la forma. Si ha poi un punto di rammollimento, cioè
la temperatura minima alla quale l’oggetto può essere maneggiato senza subire notevoli deformazioni
dimensionali. Ogni volta che si modifica la struttura si possono indurre fenomeni di tensione dovuti al
riarrangiamento della struttura, ecc. Il punto di ricottura è caratterizzato da una viscosità molto elevata,
simil-solido, con gradi di libertà tali
da permette ancora un
riarrangiamento alla struttura in
modo da eliminare le tensioni
interne. Il punto di tensione è
anch’esso identificato da una
viscosità molto alta ed indica la
soglia al di sotto della quale avviene
la frattura prima della deformazione
plastica, siamo quindi sotto la Tg in
cui abbiamo un solido fragile.
Queste temperature dipendono
dalla composizione del vetro, e cioè
agli ioni modificatori.
La formatura del vetro si conduce
tra T di lavorazione e T di
rammollimento.
Formatura del vetro
Volendo fare il vetro sodio-calcico, dobbiamo portare a fusione le materie prime che, a seconda delle
proprietà finali che si vogliono ottenere, possono essere più o meno nobili. Tipicamente si parte dalle
materie prime: SiO2 (sabbia quarzifera), precursori di CaO e Na2O che sono tipicamente CaCO3 e Na2CO3.
Deve poi essere effettuato un processo di formatura attraverso la reazione che porta all’ottenimento della
struttura e poi alla trasformazione nel oggetto finale. Il vetro deve essere omogeneo, privo di porosità e del
colore giusto (applicazioni ottiche).
La colorazione indesiderata è un problema difficile da risolvere, si può effettuare un mascheramento o si
usano processi ossidoriduttivi ( rimozione tramite sostanze decoloranti in entrambe le tecnichea)

La lavorazione del vetro è un processo molto lungo a causa dei forni a bacino di dimensioni significative,
secondi solo agli altoforni, che possono contenere diverse migliaia di tonnellate di vetro fuso. A questi
impianti deve essere garantita una continuità di energia in modo da mantenere sempre a temperatura il
cuore del processo. Si hanno principalmente tre zone: 1) caricamento del materiale dove avvengono le
prime reazioni di trasformazione a 900-1000°C 2) fusione a 1300 – 1600 °C 3) lavorazione del fuso che ha
come obiettivo quello di avere una formazione, omogeneizzazione e l’affinaggio del vetro.

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Aspetti critici:
Omogeneizzare un fluido caldo e viscoso a quelle temperature significa dover effettuare processi a una
massa con caratteristiche semi liquide. Generalmente si usano i moti convettivi, cioè viene scaldato una
regione del forno e vengono attivati processi di circolazione del fuso all’interno del forno molto lenti.
Vengono usati anche agitatori o insufflazioni di gas.
Un altro passo molto importante è l’eliminazione di bolle di gas (CO2 derivante dalla decomposizione dei
carbonati e di SO2 dai solfati) che sviluppatesi nel fuso hanno una migrazione molto lento che deve essere
fatta in modo da rendere il materiale omogeneo. Si hanno tempi di processo molto lunghi.

Alla fine del processo il vetro deve essere lavorato molto attentamente in modo che sia trasparente.
Durante l’affinaggio infatti devono essere rimosse le frazioni indesiderate, principalmente quelle gassose
come la CO2. Questa molecola ha infatti un volume grande rispetto al vetro prodotto. A causa della sua
viscosità il materiale fa enorme fatica a rimuoverle. Di solito si promuove l’aggregazione e la crescita di
questo bolle aumentando la velocità di migrazione attraverso agenti chimici come il solfato di sodio e
l’ossido di arsenico insieme a nitrati. Le bolle vengono trattenute nel fuso creando infatti disomogeneità di
superficie.
Nel riciclaggio del vetro bisogna stare attenti alla selezione. Agenti contaminanti come il ferro o la ceramica
non riescono a raggiungere temperature necessarie per la fusione, si avrebbero quindi grosse impurezze
incompatibili con la struttura vetrosa

Il vetro può essere lavorato per: stampaggio attraverso stampi in ghisa, in questo modo si riesce a dare
una forma predefinita; soffiatura, permette di ottenere materiali con una buona producibilità a forma cava
con pareti sottili, si parte da una goccia di vetro, spesso si fa un processo di preformatura (preforma =
parison) e solo successivamente di soffiatura; trafilatura, facendolo passare attraverso dei rulli che
permettono di ottenere uno spessore costante; filatura.

Per ottenere lastre piane vi è anche il metodo di tiratura da fuso: una lastra metallica viene immersa nel
fuso e tirata lentamente, con delle unità di raffreddamento che irrigidiscono il materiale evitando
l’arrotolamento. I vetri prodotti richiedono lucidatura per arrivare alla trasparenza perfetta.
Un processo molto comune è anche il processo float glass che produce il 90% del vetro piano al mondo. La
caratteristica saliente è quella di trovare un passaggio di post-lavorazione tale da permettere
un’omogeneità planare grazie a un bagno in Sn fuso a 1000 °C. Ci sono poi grossi vantaggi se consideriamo
la modifica funzionale che possiamo apportare ai materiali vetrosi mediante trattamenti superficiale.
Un processo è quello del rivestimento (coating) in cui si ripone sulla superficie vetrosa delle frazioni di ossidi
metallici che permettono di modificare significativamente le prestazioni ottiche e anche le caratteristiche di
tipo energetico. Può essere on-line o off-line, nel primo caso l’emissività ridotta fino al 15%, nel secondo
caso fino al 1% (considerando il 90% classico). In questo modo si ottengono vetri anche funzionali in grado
non solo di assorbire il calore ma anche mantenere basse temperature.

Per i coating on-line, il processo di pirolisi viene realizzato ad elevata temperatura, durante la formatura del
vetro float, ed introduce legami forti tra deposito e vetro. La resistenza superficiale del rivestimento è
quindi molto elevata, pari a quella del vetro. Questi coating resistono anche a trattamenti termici
successivi, quali tempra, curvatura, ... Si possono creare superfici con emissività fino al 13% (contro il 90%
del normale vetro float).

I coating off-line si producono applicando molti più strati di ossidi metallici, ma possono essere soggetti a
deteriorabilità. Pertanto molte tipologie possono essere utilizzate esclusivamente se montate in
vetrocamera. Si possono anche applicare strati metallici la cui ossidazione si completa in successivi

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trattamenti termici (tempra), dando luogo a coating temprabili. Si creano superfici che riflettono e
trasmettono la radiazione solare su specifiche lunghezze d’onda, con un'emissività estremamente ridotta
(fino all'1%, contro il 90% del normale vetro float).

RICOTTURA
Il raffreddamento da un’elevata temperatura può provare tensioni interne, a causa della diversa velocità di
raffreddamento e conduzione termica fra la superficie e le regioni interne. Ci può essere uno shock termico
o dare luogo a infragilimenti locali. Il materiale viene quindi riportato a una temperatura di ricottura da
poter rilasciare lo 26 stress ed essere successivamente raffreddato lentamente. In questo modo posso
rilasciare lo stress interno.
TEMPRA D EL VETRO
La resistenza del vetro può essere aumentata introducendo tensioni di compressione sulla superficie, a
causa del diverso volume specifico, questo possiamo ottenerlo con una differente velocità di
raffreddamento dell’interno rispetto alla superficie. Questo può avvenire anche attraverso ad esempio un
processo di scambio ionico. Durante questo processo si prende il vetro tagliato e lo si inserisce in un bagno
caldo di sale fuso, a questa temperatura la struttura si muove e in particolare si ha una mobilità tra gli ioni
Na presenti nella struttura e i cationi che compongono il sale (di solito di K). Si ha questa migrazione di ioni
più grandi che induce uno stress per compressione all’interno della matrice.

Vetro ceramici
Vengono chiamati vetro ceramici quei materiali che presentano caratteristiche composite. Un ceramico
presenta una struttura di tipo ordinata. Un materiale vetro ceramico è un composito che contiene una
componente cristallina e una componente vetrosa. I processi di preparazione dei ceramici sono proprio una
nicchia a parte. Questi materiali vengono ottenuti con una serie di passaggi, principalmente due: il primo
vede la formatura dell’oggetto con le proprietà tipiche del vetro, dopodiché la composizione permette
l’ottenimento di una struttura cristallina che nasce all’interno del sistema attraverso una cristallizzazione
indotta favorendo la nucleazione e la crescita di particelle cristalline. Di fatto all’interno della formulazione
si mettono particelle di componenti che rimangono inalterate, come l’ossido di titanio e l’ossido di zirconio.
Questi ossidi fungono da centro di nucleazione, cioè centri in cui viene promossa la cristallizzazione,
all’interno del sistema vengono messe altre componenti che danno origine a fasi cristalline diffuse
all’interno della matrice. La composizione, la presenza di centri di nucleazione e il processo di trattamento
termico determinano la cristallinità.

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Si ha una matrice dalle caratteristiche chimiche e termiche particolarmente rilevanti. La caratteristica più
rilevante di questi materiale è dovuta alle proprietà termo-meccaniche, questi sistemi cristallizzati
presentano una notevole capacità di sopportare cambi di temperatura molto rapidi all’interno di un range
molto ampio. Sono particolarmente efficaci nella resistenza allo shock termico. Un’altra cosa interessante è
legata al comportamento del coefficiente di dilatazione termica. La matrice vetrosa ad alto tenore di quarzo
che si crea e la presenza delle strutture cristalline all’interno hanno coefficienti di dilatazione termico
negativo, il riarrangiamento quindi non fa dilatare il materiale. In questo modo possiamo ottenere un
materiale con coefficiente di dilatazione nullo che non preveda una variazione dimensionale dell’oggetto.
Un applicazione è quella nei piani a induzione. Questi materiali di solito sono trasparenti e grazie alle sue
proprietà si prestano anche ad uso odontoiatrico.

Un altro materiale interessante sono i vetri


fotocromici. Sono matrici vetrose che vengono
modificate dal punto di vista funzionale per
rispondere alle sollecitazioni derivanti dalla
radiazione luminosa. Si parla di nanocristalli, i
materiali infatti devono essere nanocristallini in
modo da essere perfettamente trasparenti e non
diffondere la luce che lo attraverso, la dimensione
dei domini deve essere quindi inferiore alla λ della
luce.

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Ceramici avanzati

Questi materiali devono sottostare a delle norme, cioè a documenti che contengono definizione e
caratteristiche di un materiale con i massimi e minimi di tolleranza e una precisa indicazione dei metodi di
prova. Queste norme non solo sanciscono le proprietà dei materiali ma anche i metodi e gli strumenti che
devono essere usati per le prove.

Materiali Ceramici
I materiali ceramici argillosi sono i prodotti ottenuti per cottura ad elevata temperatura di masse plastiche
minerali costituite fondamentalmente da impasti di argilla e di acqua (argilla+H2O idroplastica).

Questi materiali sono duri, rigidi ma di norma molto fragili e le loro caratteristiche sono legate al fatto che
all’interno di questi materiali c’è una struttura che ha un mix di legami covalenti e ionici; questi materiali
possono presentare una struttura che si forma dopo la cottura che può essere:

-a pasta porosa ovvero con delle cavità più o meno grandi e identificano due categorie di materiali ceramici
argillosi, cioè i laterizi e le terrecotte (non vetrinati) e maioliche e terraglie (vetrinati)

-a pasta compatta ovvero matrici molto più dense, con caratteristiche più prestanti dal punto di vista
meccanico poiché sono materiali più resistenti all’utilizzo e meno propensi ad essere aggrediti dal contatto
di sostanze aggressive, essi sono ad esempio grès e porcellane.

UTILIZZI
I materiali ceramici sono molto utilizzati nell’EDILIZIA come materiali per costruzioni, per piastrelle per
pavimenti o per rivestimenti, tubi per fognature, sanitari e vasellame.

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Un altro uso di questi materiali è l’elettrotecnica poiché proprio per i loro legami non conducono corrente
elettrica e quindi sono usati come isolanti ma anche come materiali dielettrici e magnetici; inoltre ci sono
anche ceramiche tecniche utilizzate per la meccanica e per l’industria nucleare proprio perché i materiali
ceramici sono estremamente stabili e non soggetti a processi degradativi dovuti a sostanze che possano
causare emissioni radioattive. Un altro uso è anche quello in campo medicale.

DISTINZIONI
Di norma i materiali ceramici sono differenziati per tipo e dimensione della matrice di partenza. Ovvero
delle polveri, oppure dal tipo di trattamento termico ovvero il range di temperature che sono in grado di
innescare delle trasformazioni irreversibili nelle matrici.
I ceramici si distinguono in:
- ceramici tradizionali materiali poveri ottenuti con tecnologie e processi semplici
- ceramici avanzati materiali funzionali ad alto valore aggiunto.

Materiali argillosi
Sono materiali ottenuti con processi semplici tra cui ci sono due passaggi chiave:
- l’impasto con acqua che dà origine a una massa idroplastica in cui la presenza dell’acqua, all’interno
della matrice, modifica le proprietà reologiche, cioè la capacità di fluire e il comportamento viscoso,
del minerale rendendo possibile una lavorazione di tipo plastico
- la cottura che porta ad ottenere materiali rigidi senza fusione del materiale argilloso.
ARGILLA è un minerale sedimentario lamellare costituito da silicati idrati di alluminio, rappresenta una
classe di materiali di cui i più comuni sono caolinite, montmorillonite e halloisite, beidellite.

Le caratteristiche idroplastiche delle argille, ovvero le loro caratteristiche di interazione con una matrice
acquosa, sono quelle che sono dovute alla possibilità di interagire a livello intermolecolare con l’acqua e
questa interazione è quella che è in grado di sospendere queste frazioni minerali e favorirne poi una
sedimentazione.

Questi minerali hanno uno sviluppo lamellare, infatti hanno uno spessore di una frazione di nanometro e si
sviluppano invece nelle altre dimensioni, per cui sono una sorta di fogli in 2D composti da diversi motivi
geometrici come ad esempio strutture tetraedriche che confinano la struttura lamellare e anche strutture
ottaedriche al centro tra due strati tetraedrici.

Questa struttura delle argille è chiamata T-O-T proprio per


l’alternanza degli strati tetraedrici e ottaedrici, in cui nei
tetraedri abbiamo silicio che a volte può essere sostituito da
alluminio (vicarianza Si-Al) provocando però uno scompenso di
carica, invece negli ottaedri abbiamo dei cationi che possono
essere o bivalenti (Mg) o trivalenti (Al, Fe) e in questo strato
centrale saranno legati con dei gruppi ossidrili.

Quando si verifica uno scompenso di carica, come ad esempio nella sostituzione Si-Al, all’interno della
struttura ci saranno dei siti con carica negativa che verranno compensati con cationi (Na, Mg, K…) o
monovalenti o bivalenti che saranno collocati tra uno strato di argilla e l’altro, però questi cationi sono
circondati da molecole d’acqua e quindi questo interstrato sarà poco compatto e questo aspetto spiega la
capacità delle argille di intercalare molecole d’acqua, ovvero di prendere acqua attraverso questi
meccanismi e dare plasticità alla massa idrata.

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Un altro tipo di minerali argillosi sono quelli come la caolinite che
è diversa dai TOT e quindi non sarà 1:2 (uno strato ott e due
tetraedrici) ma sarà 1:1 di tipo TO perché la lamella che si sviluppa
nello spazio è fatta solamente da uno strato T e da uno strato O e
quindi non ci sono particolari situazioni che determinino la
presenza di cariche negative sulla lamella.

Poi nell’impasto di un materiale ceramico sono presenti materiali


inerti come la silice (della sabbia), altri silicati non di tipo lamellare
o idroplastico, carbonarti di calcio e magnesio e pirite. Inoltre i
materiali argillosi possono essere grassi se prevale l’argilla, oppure
magri se sono presenti sostanze che non hanno caratteristiche
idroplastiche come ad esempio la silice o il carbonato di calcio.

IMPASTO E FABBRICAZIONE -> nell’impasto di questi materiali abbiamo il 50% di argillia, il 25% di silice
(ovvero quarzo usato come riempitivo) e 25% di fondente ovvero una sostanza che promuove la
formazione di una fase vetrosa a temperature relativamente basse durante la cottura, spesso i feldspati
vengono usati come fondente.

Dalle componenti e dal processo di cottura dipenderanno poi le proprietà finali dei pezzi. Successivamente
questi pezzi vengono trattati con tecniche di fabbricazione e questo pretrattamento dei materiali consiste
nel frantumare e macinare il minerale per poi impastare con acqua fino ad ottenere proprietà reologiche e
plastiche adatte alla formatura; tipicamente poi la formatura può avvenire in diversi modi:
- formatura idroplastica in cui si usa l’acqua per tenere fluida la matrice, questa lavorazione è
possibile visto che le paste argillose sono plasmabili e stampabili senza presentare fessurazioni e il
processo di formatura di questo tipo più comune è l’estrusione quindi l’utilizzo di un sistema che
lavora l’impasto in un modo continuo scaldando e amalgamando il materiale per poi favorirne
l’essicazione nello stampo.
- colaggio ovvero una sospensione liquida di argilla e altri materiali non plastici (barbottina=soluzione
molto liquida), si utilizza uno stampo in gesso poroso in cui si versa la sospensione ovvero la
barbottina e poi lo stampo essicca consolidando il materiale e l’essicazione provoca un ritiro e
permette il distacco dallo stampo, si possono produrre sia oggetti pieni che cavi. La barbottina deve
essere fatta della matrice che compone il materiale e quindi deve avere caratteristiche specifiche:
deve essere fluida e facile da versare, avere un rapporto adeguato solido-liquido, i coformulanti
devono essere tali da favorire la rimozione delle bolle e deve avere un basso ritiro di essicazione e
una resistenza alta.
Gli stampi più usati sono quelli fatti con gesso di
Parigi che ha caratteristiche di porosità e affinità
all’acqua tali da favorire la rimozione dell’acqua
dallo stampo anche tramite l’assorbimento in modo
da favorire l’essicazione dell’argilla e la sua
rimozione dallo stampo.
Il colaggio è molto interessante e molto usato
poiché lo stampo è economico e facile da utilizzare,
inoltre si possono realizzare anche forme molto
complesse; la porosità dello stampo è controllata in
modo da ottenere una differente velocità di colata.

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Gli utilizzi principali del colaggio in uno stampo sono principalmente articoli sanitari da bagno, oggetti
artistici e tubi ceramici.

(Esiste anche un altro modo per fare il colaggio ovvero il colaggio a nastro, cioè su una bobina.)

Dopo aver colato il materiale nello stampo si passa all’essicamento e alla cottura, quindi dopo la formatura
il pezzo sarà troppo poroso e poco prestante meccanicamente (avrà un colore verde) perciò si passa alla
cottura in cui c’è un consolidamento dimensionale, una riduzione della porosità e un aumento della
densità. Durante l’essicamento il pezzo, per evaporazione dell’acqua, subisce ritiro dovuto al cambio di
arrangiamento intermolecolare, questo ritiro è un processo controllato e paste molto diluite presentano un
maggior ritiro percentuale, il ritiro aumenta anche al diminuire della dimensione delle particelle.

Per quanto riguarda la cottura invece essa si effettua tra i 900°/1400°C in base alle caratteristiche che si
vogliono ottenere.
Avvengono anche reazioni di vetrificazione e quindi si forma gradualmente vetro liquido che fluisce e
riempie parzialmente i pori della struttura, questa fase fusa che riempie le capillarità della struttura ne
provoca il ritiro e i feldspati possono abbassare il punto di fusione della fase vetrosa, mentre il quarzo
rimane inglobato nella matrice.

Si può dire quindi che nella cottura di questi materiali avviene un processo termico e quindi una serie di
reazioni differenti, poiché si parte dalla rimozione dell’acqua adsorbita (200°c) e dalla combustione di
eventuali sostanze organiche leganti per poi arrivare a reazioni irreversibili come la distruzione del reticolo
cristallino delle argille intorno 30 a 600-800°C in cui avviene la deidrossidazione (dei gruppi OH nella
struttura); poi a temperature maggiori di 1000°C si ha la formazione di silicoalluminati densi e fasi vetrose.

Laterizi
FABBRICAZIONE -> impasto l’argilla solitamente magra con sabbia o polveri di altri mattoni, poi i pezzi
vengono preparati con trafilatura e taglio per poi passare a un essicamento graduale per evitare che i pezzi
si deformino e infine viene effettuata la cottura o tramite forni a fuoco mobile e materiale fisso (Hoffman) o
forni a fuoco fisso e materiale mobile (canale). I passaggi della fabbricazione dei laterizi sono più o meno gli
stessi che abbiamo visto nelle ceramiche per cui avremmo: essicazione, perdita d’acqua adsorbita e perdita
d’acqua strutturale, trasformazione in mullite a circa 900°C ovvero trasformazioni in fasi ceramiche dense
che hanno una struttura cristallina di sviluppo aghiforme con una composizione chimica che vede un
rapporto 3:2 tra ossido di alluminio e ossido di silicio; ciò che non va a formare la mullite andrà a formare la
fase vetrosa che include ad esempio sabbia, altre componenti ceramiche aggiunte come la polvere di altri
mattoni. La colorazione dei mattoni è dovuta all’ossidazione del ferro che dà un colore rosso.

Il processo di essicazione dei laterizi è molto lento poiché inizialmente la velocità di essicazione è costante,
poi decresce linearmente poiché c’è sempre meno acqua disponibile all’evaporazione, mentre verso la fine
la velocità ha un andamento asintotico e decresce in modo variabile e si ha un ritiro.

CLASSIFICAZIONE E PROVE SUI LATERIZI (UNI)

le normative nei laterizi sono molto importanti in particolare nella forma e nelle proprietà dei materiali, in
particolare perché sono materiali usati in edilizia. Si classificano per:
- FORMA mattoni (V< 5500 cm3), blocchi (V> 5500 cm3), speciali
- FORATURA mattoni pieni (56%)
- PRODUZIONE estrusione, pressatura, formatura a mano

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Inoltre, si hanno delle prove principali di controllo ed accettazione dei laterizi, ovvero delle analisi normate
riguardanti proprietà meccaniche, tendenze all’efflorescenza e rischio di gelività:
- -meccaniche, carico unitario di rottura per compressione, ovvero qual è la forza peso che posso
applicare a un pezzo prima che esso arrivi alla rottura, in questo caso risulta importante anche la
velocità di sollecitazione. Questa norma prevede che vengano provati 6 provini e si utilizzano
formule statistiche che portino alla media della resistenza caratteristica (per il 95%)
- efflorescenza, nella miscela di preparazione del laterizio possono essere presenti Sali e sostanze
igroscopiche solubili che possono portarsi in superficie trasudando come macchie; in questo caso si
fa il confronto su 4 provini immersi in H2O per 4 giorni per poi essiccarli in stufa a 60°C, poi si attua
un’analisi visiva di confronto con un campione non immerso utilizzando una luce apposita.
- glevità, è un parametro da valutare per definire il campo di applicazione del manufatto, si definisce
gelivo un materiale che subisce un notevole decadimento delle proprietà meccaniche in seguito ad
alternanza di gelo e disgelo. In questo caso il materiale viene messo in stufa e successivamente in
acqua per 24h e viene asciugato e pesato per capire la % di acqua assorbita, successivamente si
mette in acqua bollente per 5h e viene poi pesato nuovamente e viene determinato il coefficiente
di saturazione. Il saggio diretto di glevità consiste 31 invece nel porre il materiale per 3h in acqua a
35°C e poi 3h a -10°C in frigorifero, questa operazione è ripetuta 20 volte ed è una prova di
resistenza a compressione e se il valore di resistenza non è inferiore all’80% del dato di origine il
materiale non è gelivo.
Esistono anche prove specifiche come ad esempio quelle per gli elementi di laterizio per solai in cui si
attua una prova di resistenza a trazione per flessione su listello, oppure per materiali di copertura si fa
una prova di resistenza alla flessione, all’urto e un saggio di permeabilità.

Grès
Prodotti ceramici in cui la cottura è stata spinta fino ad avere la formazione nel forno (T = 1250-1300°C)
di una fase liquida (greificazione), che salda i granelli e dà luogo a un materiale impermeabile e
meccanicamente resistente. I grès possono essere naturali se preparati con argille contenenti fondenti
che quindi abbassano la temperatura di fusione, oppure possono essere fini o porcellanati in cui i
fondenti come il feldspato potassico vengono aggiunti artificialmente ad argille molto pure.

La composizione (% ossidi di Fe) e le condizioni di cottura (ossidante o riducente) portano nei grès
naturali a diversi colori (giallo, rosso, nero).

Esistono dei modi per aumentare la permeabilità:


- SALATURA: avviene nei grès naturali e consiste nell’aggiunta di un sale comune nel forno di cottura
che vaporizza e si deposita sugli oggetti in cottura facilitando la solubilità dei silicati e creando così
una pellicola vetrosa superficiale.
- VETRINATURA: avviene invece nei grès fini e consiste nell’aggiunta di vetrine piombifere o stannose
mediante un macinato detto fritta applicato dopo una prima cottura a 1250-1350°C, poi
successivamente all’applicazione della fritta avviene una seconda cottura a 1100°C. (vetrinatura
opaca Sn- trasparente Pb)
UTILIZZI:
Grès naturali recipienti/tubature per acidi/acque di scarto, oppure piastrelle per pavimentazioni
esterne;
Grès fini vasche, lavabi, apparecchi igienici, piastrelle.

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Porcellana
È un prodotto ceramico a pasta compatta ottenuta miscelando caolinite (50/60%), quarzo (20/25%) e
feldspato potassico (20/25%). Combinando le percentuali possono cambiare le proprietà come la
resistenza meccanica e elettrica, ma anche la refrattarietà.

PROCESSO avviene un primo riscaldamento a 1000°C per poi applicare una fritta di feldspato e quarzo,
successivamente viene cotto idefinitivamente a 1400-1500°C e si otterrà una massa vetrosa con cristalli
dispersi di mullite e cristobalite.

UTILIZZI gli utilizzi variano in base alle proprietà: crogioli e capsule per lab (resistenza ad agenti chimici
e refrattarietà), mortai e pestelli (resistenza meccanica), isolatori (resist. Elettrica).

PIASTRELLE IN CERAMICA
Nelle piastrelle per l’edilizia in pasta colorata i materiali meno prestanti meccanicamente sono le
maioliche che hanno anche una porosità che le rende gelive e vengono usate come rivestimenti per
pareti interne; invece il cottoforte e grès rosso smaltato è usato per pavimentazione interne, inoltre
anche il grès rosso non smaltato può essere usato per le pavimentazione industriali o da esterno,
presenta una modestissima porosità e non gelevità.

Questi materiali vengono differenziati anche in base al processo di cottura, vediamo alcune produzioni:
- Bicottura, si usa per piastrelle a pasta bianca per rivestimenti parietali. Il manufatto crudo viene
cotto per dare un pezzo a pasta porosa, viene applicata la fritta in polvere e si ricuoce a 1000-
1050°C.
- Monocottura, si usa per piastrelle vetrinate e mosaici e a pasta bianca. I manufatti si foggiano per
pressatura, si rivestono di vetrina o smalto in polvere, si pressano nuovamente e si passano in forno
a 1200°C.
- Piastrelle a pasta bianca monocotte e vetrificate Miscela di partenza di caolino, quarzo e feldspato
con aggiunta di argille bianche ad elevata plasticità Assenza di carbonati e altre componenti
termolabili che diano porosità, alte perdite al fuoco e notevoli ritiri in fase di cottura Elevata
resistenza meccanica, bassa porosità, stabilità dimensionale
- Grès da pavimentazione e rivestimento foggiatura pressando a secco polveri fini (bassa porosità e
ritiro). Cottura a 1200-1250°C. Colore ottenuto aggiungendo all’impasto pigmenti (ossidi di Fe, Co,
Mn, Cr, Zn) che danno strutture a spinello dopo cottura.

(nei materiali ceramici si passa dal verde


al cotto e c’è sempre un ritiro ed è
importante tenerlo sotto controllo)

Anche le piastrelle in ceramica sono


classificate e devono avere dei requisiti
di accettazione per l’edilizia, in
particolare viene valutato il grado di
assorbimento d’acqua; inoltre la
normativa vigente prevede appropriati saggi di controllo per le principali proprietà come: resistenza a
flessione, durezza superficiale, resistenza all’abrasione, al gelo e all’attacco di prodotti chimici e di uso
domestico. (norme UNI).
Quindi vengono fatte anche prove di controllo delle caratteristiche dimensionali e di aspetto, come
lunghezza, larghezza, spessore e planarità delle piastrelle. Ad esempio può essere controllata la qualità

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della superficie e il risultato viene espresso come percentuale di piastrelle senza difetti riscontrabili a un
metro di distanza di un minimo di 25 piastrelle. Invece l’assorbimento d’acqua è misurato tramite
l’aumento di massa dopo l’immersione in acqua. Altre cose che vengono valutate sono: dilatazione
termica lineare, resistenza al cavillo, resistenza chimica, dilatazione all’umidità mediante acqua
bollente, cessione di piombo e cadmio, costanza del colore.
Refrattari
Materiali che presentano resistenza chimica a T>1400°C, sono usati in processi produttivi e soprattutto
come rivestimento degli impianti di cottura.

Le proprietà di inerzia chimica ad elevate temperature richiede uno studio del legame chimico, equilibri di
fase, cinetica e tensione superficiali; i refrattari sono materiali policristallini ovvero che contengono una o
più fasi cristalline e anche fasi vetrose talvolta liquide. Le proprietà dei refrattari dipendono da:

- forma e dimensione dei cristalli


- natura del legame tra cristalli
- distribuzione di un’eventuale fase liquida
Inoltre, queste caratteristiche sono anche le responsabili della texture del materiale.

COMPORTAMENTO TERMICO il riscaldamento di un materiale policristallino porta all’aumento della


dimensione media dei cristalli, quindi grani o cristalli piccoli spariscono a scapito dell’ingrandimento di
quelli più grandi. Questo fenomeno è dovuto alla tendenza alla riduzione dell’area superficiale, ed è un
processo importante per ridurre la porosità del pezzo, e favorirne la sua tenacità.

SINTERIZZAZIONE
Il processo genericamente identifica una metodologia di
densificazione di un materiale policristallino, che avvenga con o senza
la presenza di una fase liquida che faciliti il trasporto di materia. Il
processo avviene su materiali in forma di polveri fini, e la fase
preliminare di questo passaggio è la compattazione. Il trattamento
termico avviene al di sotto o in prossimità della linea del solidus (i.e. la
linea di confine solidoliquido). Talvolta si opera al di sopra di questa,
portando il materiale a parziale fusione.

Nella fase di sinterizzazione nelle regioni subsolidus, si verifica un


aumento delle aree di contatto tra particelle con il tempo. Si formano
dei collegamenti tra grani che si ispessiscono e promuovono la
densificazione del pezzo. Aumentando la temperatura, il ritiro del
pezzo continua, portando alla riduzione delle porosità e all’eliminazione delle porosità interconnesse. La
riduzione totale delle porosità può avvenire sia mediante crescita dei cristalli sia mediante migrazione sulla
superficie.

La presenza di liquido accelera il processo di sinterizzazione, ma:


- un eccesso di fase liquida fa perdere la forma e le proprietà meccaniche
- bisogna evitare che la quantità di liquido aumenti troppo rapidamente, quando la temperatura
viene portata sopra alla linea solidus
- la regione di vetrificazione ( intervallo tra la temperatura in cui avviene la densificazione per via
liquida e la perdita di froma) deve essere più ampia possibile ( aspetti compositivi crusicali).
- Il caso peggiore è la presenza di miscele eutetiche.

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PROPRIETA’ DI SUPERFICIE
- Le proprietà di tensione superficiale sono importanti sia durante la produzione sia nella reattività
con la scoria
- La cinetica di crescita dei cristalli e la tessitura finale del materiale dipendono dall’angolo diedro
(angolo della fase liquida tra due grani cristallini)
- Bassi angoli diedri sono correlati con un ridotto contatto tra grani, che permette un’ elevata
penetrazione di liquido tra i grani
- L’angolo diedro è anche importante nel determinare la resistenza a caldo del materiale e il grado di
attacco da parte della scoria.
- Un grande angolo diedro implica forti contatti solido-solido, ed evita l’incunearsi della scoria tra i
grani.
CINETICA DI CRESCITA
A Piccoli angoli diedri portano ad una crescita dei grani più rapida e una dimensione finale dei grani
maggiore. Questo fenomeno è facilitato dalla dimensione iniziale dei grani (più fini sono, più la reazione è
veloce). La crescita dei cristalli ha questa cinetica: dD/dt = k/D (dove D=diametro grani)
Quindi quando si ottiene un materiale prestante meccanicamente, poco penetrabile da parte di una
frazione fusa ad alta temperatura, poco poroso e molto compatto c’è un ultimo aspetto che va considerato
ovvero l’attacco chimico da parte della scoria (frazione che si sta sviluppando in un processo ad altoforno o
altro in cui c’è comunque una scoria liquida). La capacità di reagire col refrattario avviene se c’è una forte
interazione tra le superfici, la scoria prima si reagire con il refrattario deve bagnarlo. Un liquido bagna un
solido quando la tensione superficiale del liquido (liquido-aria) è minore di quella tra il liquido e il
refrattario.
(angolo di contatto e bagnabilità grandi angoli di contatto=scarsa bagnabilità—figura 2)
Questo avviene spesso per scorie fuse, ma è meno probabile per i metalli fusi.
Effetti della scoria:
- effetto fondente
- reattività delle fasi a determinate composizioni
L’attacco da parte della scoria può essere differente per diverse fasi refrattarie, ad esempio Al2O3 abbassa
la Tfus di SiO2 da 1720 a 1595°C con solo 4% mol, CaO porta allo stesso effetto al 30% mol; gli alcali (Na2O,
K2O) sono ancora più drastici (Tfus scende a 800°C).

I refrattari per altoforno devono resistere agli ossidi di ferro fusi. Va però considerato il fatto che
l’atmosfera del forno è
riducente, e la buona
resistenza agli ossidi
Fe3O4 e Fe2O3 della
silice, risulta invece
minore per FeO, che
provoca la formazione
di fayalite (Fe2 SiO4 )
con fusione a circa
1200°C.

I refrattari non devono


contaminare il prodotto
( vengono usati ad
esempio per gli stampi).

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PROPRIETÀ MECCANICHE DEI REFRATTARI:
I refrattari sono di solito fragili a temperatura ambiente, hanno scarsa resistenza meccanica a trazione e
presentano deformazione plastica ad alta temperatura. Di norma questi materiali sono difficili da
frantumare a freddo e la loro resistenza in generale aumenta al diminuire della dimensione dei grani e al
diminuire della porosità.
Vista l’escursione termica dell’impiego, fonti di stress meccanico derivano dalla dilazione e contrazione
termica, che possono essere iso- o aniso-trope. Un altro problema rilevante è la presenza di fasi in grado di
dare fenomeni di polimorfismo.
Facendo qualche considerazione chimica si possono selezionare quali sono i “candidati” migliori per essere
materiali refrattari: devono avere un elevato punto di fusione e quindi forti energie di legame, per cui il
legame sarà o ionico o covalente. Le specie ideali per essere refrattarie sono quelle che presentano
un’elevata carica ionica formale (come ossido di alluminio, di cromo o di zirconio), mentre per quanto
riguarda i composti covalenti, i refrattari ideali sono specie multivalenti con elettronegatività simile e
numero di coordinazione basso in grado di formare strutture reticolate.
I refrattari più comuni sono i quarzosi ovvero SiO2 , Cr2O3 /MgO, Al2O3 e argille refrattarie, mentre per
applicazioni più specifiche sono impiegati Si3N4 e SiC.
- I mattoni in silice sono fabbricati con quarzite e 2-3% di CaO in assenza di alcali, possono però
disintegrarsi a 573°C per la transizione da quarzo α a quarzo β ma sopra questa temperatura sono
stabili fino a 1700°C.
- Le argille refrattarie invece derivano dalla calcinazione di alcune argille che una volta scaldate si
trasformano in mullite.
- Refrattari all’allumina contengono l’85% in peso di Al2O3 e SiO2 come impurezza principale , a
T<1840°C sono composte da mullite e coridone e sopra questa temperatura si produce Al2O3 +
liquido. Questi materiali si preparano per colata dopo fusione in forni elettrici o per sinterizzazione
dell’allumina.
- Refrattari di MgO e Cr2O3 usati nelle fornaci per l’estrazione dei metalli poiché sono molto
resistenti alla scoria fusa, il loro processo di formazione si basa sulla calcinazione in cui si forma la
magnesia attiva che è molto incline a formare idrossido per reazione con l’umidità, invece il
trattamento termico porta a cristalli di dimensioni maggiori e assenza di porosità. La presenza di
impurezze aumenta il grado di sinterizzazione.
- Refrattari non ossidici, non utilizzabili per scarsa resistenza all’ossidazione o per costi elevati.

I refrattari comunemente usati sono SiO2 , Cr2O3 /MgO, Al2O3 e argille refrattarie. Per applicazioni
specialistiche impiegati anche Si3N4 e SiC.

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