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delle ghise
Pubblicato nel 2013
IIS Progress s.r.l., Gruppo Istituto Italiano della Saldatura
Lungobisagno Istria, 15 16141 Genova (Italia)
Telefono (010)83411
Fax (010)8367780
www.iisprogress.it
Con il termine “ghise” si indica una famiglia di leghe ferrose caratterizzate da una notevole
varietà nella composizione chimica, nelle caratteristiche meccaniche e nei campi
d’applicazione.
Le ghise, dal punto di vista storico, sono state utilizzate in forme simili a quella attuali già nei
secoli quindicesimo e sedicesimo, evolvendosi via via con l’affinamento delle tecnologie di
fonderia; date le loro caratteristiche metallurgiche, di seguito descritte, esse si prestano in
particolare alla fabbricazione di getti, piuttosto che di altre tipologie di semilavorato.
I processi di saldatura sono dunque applicati in fase di riparazione di difetti di fabbricazione
oppure in manutenzione, come nel caso di riparazione di cricche.
Solo nel 1700 furono introdotte le prime ghise malleabili, per aumentare mediante
trattamento termico, la loro duttilità e, un secolo dopo, le ghise malleabili a cuore nero.
La seconda guerra mondiale diede, più tardi, ulteriore impulso allo sviluppo delle ghise con
l’introduzione, negli anni ’40, delle ghise sferoidali, caratterizzate dalla presenza di piccole
percentuali di magnesio, terre rare o entrambi, per ottenere la sferoidizzazione della grafite
presente.
Più recentemente sono state sviluppate ulteriori famiglie di ghise, come le ghise a grafite
compatta, con caratteristiche metallurgiche intermedie tra le ghise grigie e quelle sferoidali.
In termini generali, le ghise sono leghe ferro - carbonio, con tenori di Carbonio compresi tra il
2 ed il 6%. Gli elementi di lega possono essere Si, Mn, P; in alcuni casi Ni, Mo, Cr ed altri
elementi, con funzioni specifiche. Come si nota dall’analisi del diagramma di stato (in figura
1), si tratta delle leghe ferrose con le minori T di fusione, dato l’eutettico al 4,3% (in
corrispondenza della ledeburite).
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Istituto Italiano della Saldatura
Tale caratteristica risulta di grande importanza per la fabbricazione di getti; può invece
risultare difficoltosa, in funzione della tipologia di ghisa e dello stato di fornitura, la loro
lavorazione meccanica e, più in generale, la lavorabilità per deformazione plastica, sia a
caldo che a freddo. Tale problematica ha, di fatto, conseguenze anche nella saldatura
essendo modesta la possibilità di deformazione del materiale per effetto delle tensioni di
ritiro, nella zona immediatamente adiacente al giunto, con tendenza alla criccabilità, in
funzione della tipologia di ghisa, e conseguente necessità di preriscaldi anche molto elevati.
Come nel caso degli acciai, le caratteristiche metallurgiche e la microstrutture dipendono,
soprattutto, dalla composizione chimica e dalla velocità di raffreddamento.
In particolare, il carbonio è l’elemento di lega fondamentale, che può trovarsi in varie forme:
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La saldatura ed il controllo delle ghise
è possibile utilizzare il diagramma di Maurer, in figura 2, che risulta valido per velocità di
raffreddamento tipiche di medi spessori (da 20 a 40 mm).
Nel caso delle ghise bianche, il carbonio è presente in forma di cementite, mentre la grafite
è quasi assente; esse si ottengono in presenza di alte velocità di raffreddamento, come si
verifica nel caso di una tempra in acqua o olio o, talvolta, nella zona termicamente alterata di
un giunto saldato.
Il carbonio, dunque, resta in forma metastabile, la cementite appunto, conferendo alla
microstruttura una notevole fragilità; in termini applicativi, queste ghise risultano per contro
molto resistenti all’usura, per quanto siano ritenute praticamente non saldabili.
Considerando le composizioni chimiche medie, indipendentemente dalle normative o dalle
specifiche di riferimento applicabili, il carbonio varia dal 2,5 al 3,8%, il silicio dallo 0,2 al
2,8%; nel caso di severe condizioni di usura, la composizione chimica viene completata con
nickel (fino al 5,5%), cromo (fin anche al 30%), molibdeno (fino al 6,5%) e manganese
(anche il 30%, in funzione degli altri elementi di lega).
Ne risultano caratteristiche resistenziali estremamente variabili, con carichi di rottura tra 160
e 620 MPa
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Istituto Italiano della Saldatura
Il silicio è quindi relativamente basso; elementi quali Cr, Mo, V svolgono anche il ruolo di
stabilizzanti dei carburi presenti.
La microstruttura si presenta martensitica o perlitica, con carburi distribuiti (in particolare,
cementite).
Sono ghise resistenti all’usura, ma estremamente fragili, con aspetto alla frattura bianco e
cristallino, da cui il nome caratteristico.
Come già accennato, hanno difficile lavorabilità e saldabilità critica; applicazioni tipiche sono
i riporti eseguiti con saldatura a filo continuo su cilindri di frantoi.
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La saldatura ed il controllo delle ghise
Le ghise sferoidali sono ottenute con aggiunte di magnesio, terre rare o loro combinazioni,
con lo scopo di favorire la precipitazione di grafite in forma di sferoidi (vedere la
microstruttura in figura 5).
Grazie al controllo della microstruttura, tali ghise presentano i valori più interessanti di
resistenza meccanica (il carico di rottura varia tra 410 ed 830 MPa), abbinata ad una buona
duttilità (fino a quasi li 15% di allungamento).
In particolare, il carbonio varia in media dal 3 al 4%, il silicio dall’1,8 al 2,8%, con piccole
aggiunte di manganese (fino allo 0,7%).
Come anche nel caso delle ghise grigie, altri elementi di lega possono essere aggiunti per
aumentarne la resistenza alla corrosione e alla temperatura, come ad esempio lo stesso
silicio (che può raggiungere il 6%), il nickel (dal 18 al 36%), il cromo (fino al 5,5%).
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Istituto Italiano della Saldatura
Le ghise malleabili sono ottenute da ghise bianche, grezze di fusione, tramite trattamenti
termici che ne incrementano la plasticità.
Tali ghise si suddividono, a loro volta, in:
Nel primo caso (white heart cast iron) la ghisa viene trattata a lungo (60 ÷ 100 h), a circa
1000°C, in atmosfera decarburante), con la decomposizione della cementite in grafite ed
austenite: il carbonio diffonde verso la superficie, dove reagisce con l’atmosfera, formando
monossido e biossido di carbonio: ne risulta un forte gradiente nella distribuzione del
carbonio, molto concentrato al centro rispetto alla periferia del getto.
Sono ghise con buona saldabilità.
Nel caso delle ghise a cuore nero, invece, la ghisa di partenza è meno carburata e più ricca
di silicio.
Si opera un trattamento in due fasi, con atmosfera neutra o leggermente riducente:
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La saldatura ed il controllo delle ghise
Le caratteristiche meccaniche sono notevoli, con carichi di rottura tra 310 e 620 MPa;
interessanti anche duttilità (fino al 20%) e tenacità.
In generale, le ghise malleabili contengono dal 2 al 2,8% di carbonio, dall’1 all’1,7 di silicio.
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Istituto Italiano della Saldatura
E’ noto, in generale, che la saldabilità degli acciai basso-legati può essere valutata con l’uso
di opportuni parametri, come il carbonio equivalente; la particolare metallurgia delle ghise
rende però inutilizzabile la nota formula del Ceq, che non fornirebbe sulle ghise indicazioni
significative.
E’ stato messo a punto, con prove sperimentali, un diverso tipo di formula, con la quale è
possibile determinare una temperatura di preriscaldo minima, che viene talvolta denominata
no crack temperature.
La formulazione completa del Ceq per le ghise è:
Attraverso specifiche prove di saldabilità sono stati ottenuti utili diagrammi, in cui il Ceq viene
messo in relazione con la no crack temperature, per determinati tipi di ghisa. E’ evidente che
tali diagrammi (figura 8) analizzano solo alcune delle variabili che influenzano la saldabilità
delle ghise, e forniscono quindi informazioni di carattere del tutto indicativo.
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La saldatura ed il controllo delle ghise
In generale, il preriscaldo svolge di fatto una serie di funzioni, che possono essere così
riassunte:
Per quanto il Ceq sia un utile strumento, occorre considerare che non sempre è nota la
composizione chimica di un getto e, talvolta, neppure la tipologia di ghisa.
Come criteri generali, si consideri che:
- T ambiente: molto rara; occorre comunque evitare che, in funzione dell’umidità relativa e
della differenza di temperatura rispetto all’atmosfera, si formi condensa sulle superfici di
materiali base o d’apporto;
- 80°÷100°C: garantiscono superfici asciutte ed assenza di idrogeno atmosferico; quasi
nullo l’effetto metallurgico;
- 200°÷250°C: per ghise sufficientemente duttili è la scelta ideale, in quanto evita la
precipitazione di cementite possibile con temperature maggiori, e limita i disagi per i
saldatori;
- Fino a 500°C: spesso per preriscaldi compensativi (indiretti), eseguiti per alimentare il
ritiro metallico in fase di raffreddamento;
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- 500°÷600°C: per ghisa grigia, per la massima riduzione delle durezze in zona
termicamente alterata.
In termini puramente metallurgici, si consideri inoltre che le ghise (si veda il diagramma di
stato in figura 1) sono caratterizzate dalla presenza di ampi intervalli di solidificazione,
che possono essere la premessa per fenomeni di criccabilità riconducibili, in qualche modo,
al fenomeno della criccabilità a caldo; al proposito, le forti condizioni di vincolo caratteristiche
delle attività di riparazione rappresentano un ulteriore problema. L’esecuzione di preriscaldi
locali in zone distanti da quelle saldate, per alimentare il ritiro del giunto durante il
raffreddamento, è una prassi utile, quando geometricamente possibile sul getto considerato.
Rispetto al caso degli acciai, data anche la diversa consistenza del bagno di fusione, le
ghise richiedono preparazioni geometriche dei lembi ad hoc, in considerazione anche
dell’esecuzione di riparazioni, piuttosto che di giunti strutturali veri e propri.
In particolare, gli angoli dei cianfrini devono essere più aperti (anche 80°÷90°); ogni spigolo
vivo deve essere smussato, per ridurre le concentrazioni locali di calore.
Per aumentare le superfici di trasmissione del calore è preferibile la preparazione a calice,
ottenibile per sgorbiatura (che agevola, pure, la rimozione del materiale base eventualmente
impregnato di olio).
In presenza di cavità, soffiature o inclusioni gassose (riparazione di difetti di fabbricazione),
occorre aprire il difetto e garantirne la completa pulizia (si veda il paragrafo relativo).
Analogamente, le cricche devono essere completamente aperte, lasciando comunque 2÷3
mm di luce alla radice. Come si vedrà, esistono tecniche specifiche nel caso di tali difetti per
arrestarne la propagazione durante la preparazione del getto.
Un’interessante guida alla scelta di specifiche tipologie di giunto, con la specificazione dei
relativi parametri geometrici, è fornita dalla Guide for welding cast irons – ANSI/AWS D11.2,
di cui si riporta un estratto nella figura 9 successiva.
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La saldatura ed il controllo delle ghise
Per le ghise la pulizia delle superfici risulta una fase di grande rilevanza, che deve essere
curata con scrupolo analogo a quello adottato, ad esempio, nel caso degli acciai inossidabili
o delle leghe leggere. Di conseguenza, specie con l’uso di consumabili di Nickel o ad alto
Nickel, è fondamentale la rimozione di ogni traccia di vernice, incrostazioni o altri inquinanti
che possano confluire nel bagno, favorire lo sviluppo di criccabilità in zona fusa e la
presenza, a raffreddamento ultimato, di inclusioni gassose.
Un’ulteriore aspetto da considerare, con particolare riferimento a getti eserciti e rimasti a
contatto con oli di lubrificazione, è proprio la possibilità di impregnamento di olio sottopelle,
sino ad una certa profondità (la grafite tende ad assorbirlo, così come i micropori presenti):
per risolvere il problema, sarebbe ottimale un trattamento preliminare a circa 500°C, da 4
ad 8 ore. Se tale trattamento risultasse incompatibile con le caratteristiche metallurgiche e
tecnologiche del getto, è possibile effettuare una lavorazione dei lembi mediante tecniche
quali la sgorbiatura, che asportino, di fatto, gli strati superficiali ed appena sotto pelle.
Malgrado questi accorgimenti, o non potendo effettuare tali trattamenti, si eliminano spesso
per molatura i cordoni o i tratti porosi, risaldando successivamente, per sfruttare la
diminuzione della diluizione del bagno nelle passate successive alla prima.
Come accennato, il problema principale è la criccabilità dovuta alle tensioni di ritiro (in zona
fusa, ZTA, materiale base)
Nel caso di giunti omogenei si adottano preriscaldi elevati in forno su tutto il componente
(450°÷650°C) per:
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Istituto Italiano della Saldatura
- la duttilità;
- un forte effetto grafitizzante.
In alternativa, sono utilizzati fili animati (FCAW), ma comunque con tecnica “a freddo”:
Figura 10 – Microstruttura di un giunto saldato (macro 50X) di una ghisa grigia ASTM A48,
Grado 35
Per i necessari approfondimenti sui singoli processi di saldatura e la scelta dei materiali
d’apporto si veda il capitolo dedicato alla tecnologia della saldatura.
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La saldatura ed il controllo delle ghise
Nel caso delle ghise a cuore nero, la saldatura comporta l’annullamento del trattamento di
fornitura.
Il basso tenore di silicio e le alte velocità di raffreddamento favoriscono precipitazione di
ghisa bianca.
Si ricorre, quindi, a specifici trattamenti dopo saldatura di tutto il componente oppure alla
saldobrasatura (con temperatura massima in materiale base di 850°C).
Per le ghise a cuore bianco, si hanno superfici decarburate assimilabili ad un acciaio dolce,
con buoni risultati nell’applicazione di elettrodi basici e fiamma ossiacetilenica (usando acciai
dolci o leghe di Nickel come consumabili).
La microstruttura in prossimità del giunto è descritta dalla figura 11 successiva.
Figura 11 – Microstruttura di un giunto saldato (macro 50X) su ghisa malleabile ASTM A220
Grado 50005
In queste ghise, oltre al problema della formazione di cementite nella matrice, occorre
conservare, per quanto possibile, la forma nodulare della grafite.
Sono adottati, come nel caso precedente, elettrodi rivestiti o fili animati, ad alto nickel, per
ottenere una zona fusa austenitica.
In ZTA si riesce a mantenere la struttura sferoidale, ma con possibilità di aumenti anche
notevoli delle durezze.
La microstruttura in prossimità del giunto è descritta dalla figura seguente.
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Istituto Italiano della Saldatura
- fiamma ossiacetilenica;
- elettrodo rivestito;
- filo continuo in protezione gassosa, pieno o animato (MIG/MAG, FCAW);
- elettrodo infusibile (TIG).
Più raro l’impiego dell’arco sommerso (SAW), cui si farà cenno al termine del capitolo.
E’ utilizzata per riparazione di difetti di minore entità in ghise grigie e, più raramente,
sferoidali
Si ottengono ZTA estese, ma con modesti aumenti di durezza dato il blando ciclo termico di
raffreddamento.
I materiali d’apporto per ghise grigie sono analoghi al materiale base, ma con elevati tenori
di C e Si per compensarne la perdita in saldatura.
Il risultato è una struttura lavorabile di macchina, con colorazioni non dissimili rispetto al
materiale base. Di norma, si usano consumabili RCI per ghise dal grado 20 al grado 35; di
tipo RCI-A più legati al Ni ed al Mo, per gradi dal 35 al 45.
La presenza di fosforo (fluidificante del bagno) può comportare un aumento della criccabilità
a caldo, data la tendenza alla formazione di eutettici bassofondenti; analogamente tende a
fare il rame, se se ne supera il limite di solubilità.
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La saldatura ed il controllo delle ghise
Nel caso invece delle ghise sferoidali, occorre impiegare il tipo RCI-B (legato al Mg - Ce)
per controllare il processo di sferoidizzazione della grafite.
In particolare, il cerio riduce la tendenza del bagno alle inclusioni gassose.
Malgrado le caratteristiche dei materiali d’apporto, occorre considerare che la duttilità della
zona fusa resta il problema fondamentale, con valori di allungamento che possono essere
inferiori anche al 3%, rispetto al 19÷20% caratteristico del materiale base, anche dopo uno
specifico trattamento termico di ricottura.
Fondamentale anche l’azione dei flussanti (acido borico, carbonato di sodio, con aggiunta di
polveri di ossido di ferro), con azione decapante e depurante, funzioni che non possono
essere svolte dal consumabile.
Per ghise malleabili, il processo è sconsigliabile, data la tendenza alla formazione di ghisa
bianca in ZTA.
La scelta dei materiali d’apporto è fatta spesso con riferimento alle classificazioni proposte
dalla statunitense AWS A5.15, riportate per comodità nella tabella 1 successiva.
C Mn Si P S Fe Ni Mo Mg Ce
RCI 3,2-3,5 0,60-0,75 2,7-3,0 0,50-0,75 0,10 Resto Tracce Tracce - -
RCI-A 3,2-3,5 0,50-0,70 2,0-2,5 0,20-0,40 0,10 Resto 1,2-1,6 0,25-0,45 - -0,20
RCI-B 3,2-4 0,10-0,40 3,2-3,8 0,05 0,015 Resto 0,50 - 0,04-0,10
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Istituto Italiano della Saldatura
Come già anticipato, gli angoli di apertura dei cianfrini possono essere ben superiori a quelli
utilizzati per gli acciai, con valori fino a 120°.
Relativamente ai preriscaldi, ferme restando le considerazioni di carattere generale, si
adottano temperature tra 550° e 650°C, per rallentare il raffreddamento e prevenire la
formazione di fasi fragili.
La saldatura deve iniziare immediatamente dopo il raggiungimento della temperatura di
preriscaldo prefissata, per impedire che il getto si raffreddi eccessivamente (possibilmente,
entro 5 minuti).
E’ necessario evitare, per contro, che la temperatura superi i 680°C, con la possibilità di
trasformazioni allo stato solido accompagnate da variazioni di volume (e relativi stati
tensionali).
Fondamentale, chiaramente, l’impiego di idonee matite termocolore per il monitoraggio delle
temperature.
A riparazione eseguita, specie per getti di forma complessa, può essere rilevante un
trattamento di distensione eseguito tra 540°÷650°C, con mantenimento di circa un’ora per
pollice di spessore (25,4 mm), seguito da un raffreddamento lento. Tale trattamento risulta
importante anche per stabilizzare dimensionalmente un getto, in funzione di successive
lavorazioni di macchina.
4.2 Saldobrasatura
Come noto, questo processo (rappresentato nella figura seguente) impiega leghe brasanti
con temperatura di fusione inferiore a 450°C, senza però sfruttare, a differenza della
brasatura, il principio fisico della risalita capillare tipica.
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La saldatura ed il controllo delle ghise
Deve essere garantita la bagnatura della lega brasante sul materiale base (portato alla T
necessaria con fiamma), con una accurata preparazione “chimica” delle superfici, favorita
indubbiamente dall’uso di flussi, con scopi analoghi a quelli visti per la fiamma.
I flussi sono sviluppati per specifiche combinazioni tra materiale base e materiale d’apporto;
in generale, per la saldobrasatura sono utilizzati i seguenti tipi di flusso:
I flussi possono essere applicati in vari modi, come ad esempio l’immersione delle bacchette
nel flusso, dopo riscaldamento, la spazzolatura del flusso sui lembi, il rivestimento delle
bacchette con una camicia di flusso, l’introduzione del flusso stesso nella fiamma.
Il legame metallico alla base del processo prevede, come noto, il riscaldamento delle
superfici alla temperatura ottimale per garantirne la bagnabilità da parte del materiale
d’apporto, ragione per cui risulta inaccettabile la presenza di sporcizia, grasso, oli che
possano ridurre la bagnatura. In certe condizioni di temperatura, al limite della liquazione, il
materiale d’apporto può penetrare in forma intergranulare, nei primi strati al di sotto della
superficie dei lembi, con possibili conseguenze nei confronti della duttilità e della resistenza
alla corrosione del giunto.
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Istituto Italiano della Saldatura
Il fissaggio delle parti è fondamentale per mantenere il necessario allineamento dei pezzi, a
meno che non si tratti della riparazione di difetti o cricche (anche in questo caso, peraltro, il
fissaggio risulterà fondamentale se le due parti risultano separate).
I giunti hanno preparazioni analoghe a quelle impiegate per la saldatura con fiamma. Si
consideri che le tolleranza degli accoppiamenti non sono così critiche come avviene per la
brasatura, dove la capillarità rappresenta il principio fondamentale del processo. Gli angoli di
apertura dei cianfrini variano, in generale, tra 90° e 120°, con vantaggi non solo operativi (si
aumenta la superficie di contatto tra materiale base e materiale d’apporto). Giunti a lembi
retti sono utilizzati per spessori minori o uguali a 2 mm. Oltre alla pulizia chimica tramite
flussi, va ricordato anche che la lavorazione di macchina dei lembi può determinare la
presenza di grafite libera, che riduce fortemente la bagnabilità delle superfici: un possibile
rimedio è portare le superfici appena sotto il calor rosso, con fiamma leggermente ossidante,
spazzolandole dopo il raffreddamento. Da questo punto di vista, ci sono sensibili differenze
tra ghise di diverso tipo: le tracce di grafite sono facilmente rimovibili per la ghisa malleabile,
con limitati tenori di carbonio; la ghisa sferoidale presenta tenori di carbonio maggiori, con
difficoltà crescenti così come la ghisa grigia, in cui può essere utile, in alternativa al
trattamento con fiamme decarburanti, un trattamento con soda caustica. In quei casi dove la
saldobrasatura sia un processo di frequente applicazione, è possibile l’adozione di bagni di
sali elettrolitici per la rimozione delle tracce di grafite.
Come già anticipato, uno specifico trattamento attorno a 500°C può essere necessario per
getti rimasti a lungo in bagno d’olio, seguito da spazzolatura per rimuovere i residui formatisi.
Per quanto la temperatura di preriscaldo, come descritto, vada messa in relazione con vari
parametri, con questo processo si adottano valori compresi tra 425° e 480° in funzione delle
geometrie e del tipo di ghisa, avendo cura, a saldatura terminata, di controllare la velocità di
il raffreddamento del giunto, coibentandolo con appositi prodotti.
Relativamente ai materiali d’apporto, è molto diffusa la scelta di ottoni contenenti 60%
rame, 40% zinco, con piccole aggiunte di elementi adatti ad aumentare la fluidità del bagno,
limitare la volatilizzazione dello zinco, favorire il decappaggio delle superfici; per quanto la
resistenza meccanica di queste leghe vari, in genere, tra 280 e 480 MPa , va considerato
che sono applicabili sino a temperature non superiori a 260°C.
Anche per la saldobrasatura è largamente utilizzata per i consumabili la classificazione
proposta dall’AWS A5.27, sinteticamente riportata nella tabella 2 successiva.
Cu Zn Sn Fe Ni Mn Al Si Pb P Altri
RBCuZn-A 57,0-61,0 Resto 0,25-1,00 - - - 0,01 0,04-0,15 0,05 - 0,50
RBCuZn-B 56,0-60,0 Resto 0,80-1,10 0,25-1,2 0,20-0,80 0,01-0,50 0,01 0,04-0,15 0,05 - 0,50
RBCuZn-C 56,0-60,0 Resto 0,80-1,10 0,25-1,2 - 0,01 0,04-0,15 0,05 - 0,50
RBCuZn-D 46,0-50,0 Resto - - 9,0-11,0 - 0,01 0,04-0,25 0,05 0,25 0,50
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La saldatura ed il controllo delle ghise
- Ghise (classificazione AWS A5.15, in tabella 3), con identificativo ECI; sono prodotti per
bagnatura delle bacchette, con costi limitati, colore del giunto analogo al materiale base,
buone caratteristiche meccaniche.
C Mn Si P S Fe Ni Cu Al Altri
Elettrodi base nickel
ENi-CI 2,0 1,0 4,0 - 0,03 8,0 85 min 2,5 1,0 1,0
ENi-CI-A 2,0 1,0 4,0 - 0,03 8,0 85 min 2,5 1,0-3,0 1,0
ENiFe-CI 2,0 1,0 4,0 - 0,03 Resto 45-60 2,5 1,0 1,0
EniFe-CI-A 2,0 1,0 4,0 - 0,03 Resto 45-60 2,5 1,0-3,0 1,0
ENiCu-A 0,35-0,55 2,3 0,75 - 0,025 3,0-6,0 50-60 35-45 - 1,0
ENiCu-B 0,35-0,55 2,3 0,75 - 0,025 3,0-6,0 60-70 25-35 - 1,0
Elettrodi in acciaio al carbonio
ESt 0,15 0,30-0,60 0,03 0,04 0,04 Resto - - - -
- Acciaio al carbonio (con identificativo Est, classificazione AWS A5.1). Con questi
elettrodi è possibile operare in tutte le posizioni di saldatura; la formulazione del
rivestimento garantisce una diminuzione del punto di fusione rispetto agli acciai al
carbonio classificati AWS A5.1. Si tratta di elettrodi usati per riparazioni localizzate, di
piccole aree, dove non sia richiesta una lavorazione di macchina successiva (quasi
impossibile). Sono usati in CCPI o CA, riducendo al massimo l’intensità di corrente (da
60 a 90 A per elettrodi da 2.4 sino a 110÷140 A per elettrodi da 4 mm). Data l’elevata
durezza e scarsa duttilità del deposito occorre considerare l’ulteriore problema legato ai
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Istituto Italiano della Saldatura
coefficienti di dilatazione della ghisa, differenti rispetto all’acciaio, cosa che aumenta i
rischi di criccabilità in fase di raffreddamento. Le preparazioni in uso sono analoghe a
quelle descritte in precedenza; la criccabilità e la tendenza alla formazione di depositi
duri e fragili rende opportuna l’adozione di prigionieri, specie per la ricarica o il ripristino
di organi meccanici, più che per giunti di tipo strutturale. L’impiego di preriscaldi è
spesso riferito ad altre parti del fuso, per limitare le tensioni in fase di raffreddamento
(preriscaldi compensativi); la durezza finale dipende dalla diluizione: piccoli cordoni
singoli possono superare facilmente 500 HB di durezza, valore ridotto nel caso di
saldatura a passate multiple. Sono utilizzati talvolta comuni elettrodi a basso idrogeno
(tipo i noti E 7015, E 7016, E 7018 o E 7028) per piccole riparazioni “estetiche”, con la
necessità però di elevati preriscaldi; si hanno, comunque, elevata tendenza alla
criccabilità ed alti valori delle durezze finali. Questa scelta, oltre ad una buona facilità
operativa, consente di ottenere una colorazione del giunto molto simile al materiale
base, con tenori di carbonio in zona fusa variabili tra 0,8 ed 1,5%. Si ottengono, però,
microstrutture martensitiche, anche controllando il raffreddamento (fondamentale è
pertanto l’impiego di trattamenti di postriscaldo).
- Leghe di nickel: presentano una certa varietà. A differenza del ferro, come noto, il
nickel non forma carburi stabili con una scarsa solubilità allo stato solido, come del resto
lo stesso carbonio. In seguito al raffreddamento, il carbonio che eccede il limite di
solubilità grafitizza, con un processo che determina un certo aumento di volume del
cordone, a compensazione almeno parziale del naturale ritiro metallico. La classificaione
più diffusa, ancora una volta, è la statunitense AWS A5.15. Gli elettrodi classificati ENi-
CI sono caratterizzati da un deposito ad alto nickel, con una notevole lavorabilità di
macchina anche nel caso di diluizioni notevoli, con utilizzi interessanti per operazioni di
surfacing (disponibili anche con tenori variabili di Al, nella classificazione EniCI-A). Gli
elettrodi ENiFe-CI (figura 16) depositano invece quantità simili di Nickel e Ferro, con
alcune notevoli differenze rispetto al caso degli elettrodi ENi-CI: la resistenza meccanica
e la duttilità risultano maggiori rispetto al nickel puro (ghise grigie, sferoidali); gli elettrodi
sono utilizzabili anche per giunti eterogenei: ghise con acciai, acciai inox con imburratura
lato inox (con elettrodi tipo ENi-1, per prevenire la formazione di carburi di cromo), leghe
di Nickel. Il fosforo tende a favorire la criccabilità di depositi ad alto nickel: in questo
senso, la presenza di alti tenori di ferro riduce la sensibilità del deposito stesso alla
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La saldatura ed il controllo delle ghise
- Leghe base rame: sono elettrodi usati per lo più per surfacing su cuscinetti, parti
soggette a corrosione o usura, oppure per giunti eterogenei; in ogni caso deve essere
curata al massimo la pulizia nella preparazione. Quattro sono le tipologie utilizzabili
secondo la classificazione AWS A5.6 (riportata in tabella 4):
- elettrodi ECuSn-A e ECuSn-C (bronzi allo stagno): sono chiamati anche bronzi al
fosforo, data la presenza di fosforo con scopi disossidanti. Si usano con preriscaldo
(almeno 200°C, altrettanto per l’interpass) nel caso di spessori elevati. Il tipo C
presenta tenori maggiori di stagno, caratteristica che determina una maggiore
resistenza meccanica finale (con durezza tra 85 e 100 HB) e maggiore duttilità.
- elettrodi ECuAl-A2 (bronzi d’alluminio): consentono un miglioramento delle
caratteristiche meccaniche, con valori superiori a 400 MPa, e durezza comprese tra
130 e 150 HB, rispetto agli elettrodi ECuSn. Come già nel caso degli elettrodi
precedenti, richiedono una pulizia estremamente accurata, con l’eliminazione di ogni
traccia di umidità o ossidi, per limitare la formazione di porosità o di depositi con
resistenza insufficiente.
- con elettrodi ECuMnNiAl (bronzi d’alluminio - nickel - manganese): sono i
consumabili con la migliore resistenza meccanica finale; il tenore di alluminio è
basso, la resistenza meccanica del deposito supera i 500 MPa, con durezze
comprese tra 160 e 200 HB. La duttilità, però, risulta inferiore ad i tre precedenti tipi
di elettrodo.
Cu (+Ag) Zn Sn Mn Fe Si Ni P Al Pb Ti Altri
ECuSn-A Resto C 4,0-6,0 C 0,25 C C 0,05-0,35 0,01 0,02 - 0,50
ECuSn-C Resto C 7,0-9,0 C 0,25 C C 0,05-0,35 0,01 0,02 - 0,50
ECuAl-A2 Resto C C C 0,5-5,0 1,0 C - 7,0-9,0 0,02 - 0,60
ECuMnNiAl Resto C C 11,0-13,0 2,0-6,0 1,5 1,0-2,5 - 5,5-7,5 0,02 - 0,60
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Istituto Italiano della Saldatura
E’ utilizzato sia con fili pieni che con fili animati, con generatori a tensione costante
(caratteristica piana), utilizzando corrente continua, polarità inversa (CCPI).
E’ possibile una notevole varietà di consumabili, che possono essere:
- fili pieni in acciaio (tipo E70S-3, E70S-6 AWS A5.18). Alcuni dei fili normalmente usati
per gli acciai al carbonio possono essere impiegati anche per le ghise, in particolare per
componenti non strutturali, superfici da non riprendere di macchina; per quanto riguarda
il colore, non appena la superficie del giunto inizia ad ossidarsi, diventa praticamente
indistinguibile dal materiale base. Data la diluizione del materiale base, la durezza del
deposito tende ad aumentare, occorre un controllo della velocità di raffreddamento e la
massima riduzione possibile della diluizione stessa. Tra le soluzioni più diffuse, tecnica
short-arc, fili di piccolo diametro e miscele 75 Ar 25CO2 con fili contenenti quantità
significative di disossidanti;
- fili pieni base nickel: sono usati con ottimi risultati, con considerazioni metallurgiche di
carattere generale analoghe a quelle valide nel caso degli elettrodi rivestiti. Tra le scelte
più diffuse, elettrodi in nickel puro, oltre il 95%, soprattutto nickel praticamente puro (ad
esempio, con classificazione ERNi-1 AWS A5.14), con ottima lavorabilità di macchina; la
durezza del deposito non supera 70÷80 HRB. I fili contengono fino al 4% di titanio, con
funzioni disossidanti e carburigene, nel caso la diluizione del carbonio in zona fusa risulti
sensibile: in questo caso, le durezza possono aumentare sino a quasi 100 HRB. I
parametri, in termini assolutamente indicativi, sono riportati in tabella 5, di seguito
riportata.
Sono utilizzati talvolta anche fili al nickel ferro, in proporzioni pressoché uguali; la loro
tendenza a notevoli indurimenti del deposito e la sensibilità alla criccabilità ne hanno
fortemente limitato la diffusione. Più resistenti alla criccabilità sono i fili in lega nickel
ferro manganese, grazie proprio a quest’ultimo elemento che migliora, tra l’altro, la
resistenza meccanica e propone impieghi interessanti per alcuni gradi di ghisa
sferoidale. La fusione del materiale base e del filo risulta buona, le durezze del deposito
sono dell’ordine di 80-95 HRB; la composizione chimica prevede, all’incirca, 12% Mn,
44% Ni, il resto ferro.
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La saldatura ed il controllo delle ghise
Tabella 5 – Parametri indicativi per la saldatura con processo GMAW e fili base nickel (in
corsivo i valori relativi a modalità spray –arc)
- fili pieni base rame, con classificazioni ERCuSn-A, ERCuAl-A2,ERCuMnNiAl AWS A5.7;
per la loro applicazione valgono, in sostanza, le considerazioni svolte per il processo con
elettrodo rivestito. Le composizioni chimiche sono indicate nella tabella 6, di seguito
riportata.
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Istituto Italiano della Saldatura
Un’interessante alternativa al processo in protezione gassosa, con fili pieni, è l’uso di fili
animati; come noto, questo processo consente un’azione diretta nei confronti del bagno di
fusione grazie alla presenza, nel filo, di scorificanti, depuranti, disossidanti. Per quanto
esistano anche fili adatti all’impiego senza protezione gassosa, sono più diffusi quelli
abbinati ad una specifica protezione; inoltre, in funzione delle tipologie, vi sono consumabili
adatti alla saldatura in posizione, altri invece limitati nell’uso alla saldatura in piano o in
frontale.
- acciai al carbonio (per componenti non strutturali), con classificazioni EXY-T1 o EXY-
T2 AWS A5.20, di norma di tipo rutilico. Si tratta di fili interessanti per i costi limitati, la
cui diluizione però con carbonio e silicio provenienti dal materiale base rendono duro il
deposito e difficili le lavorazioni di macchina. Fili classificati T5 sono talvolta preferibili ai
T1 o T2 per la migliore resistenza alla criccabilità. Alcuni fili sono abbinati ad una
protezione gassosa di tipo attivo (CO2), altri possono essere adoperati in assenza di
protezione, come i tipi T4, T7 e T8. In generale, con questa scelta risultano sempre
elevati i rischi di criccabilità del deposito.
- leghe base nickel: si tratta di fili con 70% Fe 30% Ni, spesso impiegati per getti di
notevoli dimensioni, come ad esempio per lingottiere, getti pesanti utilizzati in acciaierie
e fonderie; per queste applicazioni, è richiesta in primo luogo la perfetta fusione con il
materiale base per la riparazione di cavità, il ripristino di bordi o contorni usurati, per cui
le elevate durezze possono non rappresentare un problema.
- leghe nickel ferro manganese (Ni 40 Fe 5 Mn 1 C): si tratta di prodotti che forniscono
un deposito simile agli elettrodi ENiFe-CI, con aggiunte di manganese per aumentarne la
resistenza alla criccabilità, con ottima resistenza meccanica e ridotta criccabilità a caldo.
Oltre ai consueti impieghi in fase di riparazione di difetti di fabbricazione e di
manutenzione, sono significative anche le applicazioni per giunti eterogenei.
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La saldatura ed il controllo delle ghise
Diametro Corrente
[mm] [A]
0,3 5-15
0,5 5-20
1,0 15-80
1,6 70-150
2,4 150-250
3,2 250-400
4,0 400-500
4,8 500-750
6,4 750-1000
Si tratta di un processo di impiego raro, nel caso delle ghise, limitato ad alcune specifiche
applicazioni.
Il generatore è di tipo a caratteristica orizzontale, a tensione costante, simile a quello da
utilizzare per il processo a filo continuo.
Per quanto concerne i materiali d’apporto, i fili sono del tutto analoghi a quelli descritti per il
processo con filo continuo, limitatamente a quelli base nickel. In particolare, lo stesso filo in
nickel puro può essere utilizzato, specie nel caso dei riporti, quando sia richiesta la
lavorabilità di macchina di depositi in singola passata.
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Istituto Italiano della Saldatura
Fili pieni o animanti del tipo nickel ferro manganese sono pure utilizzati, con migliore
resistenza alla criccabilità, sia per giunti veri e propri che per riporti superficiali.
Di particolare importanza la scelta del flusso, per cui è opportuno valutare le indicazioni del
produttore per ottenere la combinazione filo – flusso ottimale.
In principio, è preferibile l’impiego di fili di piccolo diametro, ad esempio da 1,6 mm (filo che
può essere utilizzato, indicativamente, con correnti di 250 A e tensioni variabili tra 32 e 34
V).
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La saldatura ed il controllo delle ghise
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Istituto Italiano della Saldatura
5.2 Saldatura
E’ preferibile evitare le tecniche con pendolazione, che aumentano l’apporto termico e gli
stati tensionali, ed adottare tratti rettilinei.
Quando possibile, è consigliabile operare in verticale discendente, per una ulteriore
riduzione delle tensioni e limitazione nelle dimensioni del deposito.
Disponendo di operatori esperti, anche la martellatura (hammering) dopo saldatura può
risultare benefica nei confronti degli stati tensionali, a condizione di disporre di operatori
esperti nella sua esecuzione e di utensili opportunamente arrotondati, con esecuzione
appena dopo la fine della saldatura stessa, con utensile mai perpendicolare alla superficie,
dalla fine verso l’inizio del tratto.
Si è discusso a lungo della scelta dei materiali d’apporto: è utile ricordare, specie con
l’impiego di materiali d’apporto non austenitici, l’importanza dell’impiego di correnti ridotte,
per minimizzare la diluizione del carbonio in zona fusa e limitare le durezze del deposito,
con particolare riferimento a giunti a passata singola.
E’ uno dei casi più comuni, in cui si distingue tra pezzi poco sollecitati e molto sollecitati.
Nel primo caso è importante conoscere la lunghezza del difetto per asportarlo
completamente, praticando magari due forellini (da circa 3 mm) alle estremità per evitarne la
propagazione durante la riparazione.
Nel caso la cricca non arrivi all’estremità del pezzo, è talvolta preferibile tagliarlo fino al
bordo, per limitare le condizioni di vincolo; nel caso un bordo sia già raggiunto dalla cricca, è
consigliabile iniziare dal centro verso l’esterno.
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La saldatura ed il controllo delle ghise
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Istituto Italiano della Saldatura
Si riportano, a titolo di esempio, alcuni esempi di riparazione per saldatura effettuata su getti
di diversa natura, con alcuni dati tecnici.
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La saldatura ed il controllo delle ghise
Indipendentemente dal tipo di getto e dalla procedura di saldatura utilizzata, è possibile fare
riferimento anche per questo metodo al Codice ASME Boiler and Pressure Vessels, sezione
V, art. 7, oppure alla norma europea UNI EN 1289.
Una utile, per quanto non recentissima normativa, è la UNI EN 1369, dedicata proprio
all’esame con particella magnetiche di getti.
Il controllo radiografico è fondamentale per ottenere una “mappatura” del getto prima della
riparazione, per localizzare le zone difettose e valutare, per quanto possibile, l’entità dei
difetti stessi.
Dal punto di vista metodologico non sussistono differenze particolari rispetto all’esame
radiografico svolto su altri materiali ferrosi; l’assorbimento radiografico delle ghise, ad
esempio, è analogo a quello di un acciaio basso-legato, fatto che consente l’uso di indicatori
qualità di immagine della serie “FE”.
Per contro, data la presenza di getti con forme anche complesse, risulta talvolta non banale
la scelta della tecnica di esposizione, a causa della presenza di spessori diversi: spesso
occorre ricorrere alla tecnica a film multiplo, con film di analoga velocità o a diversa velocità,
avendo però cura di valutare i risultati ottenuti sia in termini di densità che per quanto
concerne la qualità radiografica.
Normalmente, la qualità radiografica necessaria può essere del 2% con indicatori qualità di
immagine a fili tipo EN 462-1 o del tipo 2-2T con penetrametri ASTM.
Per l’esame radiografico risulta utile il riferimento al Codice ASME Boiler and Pressure
Vessels, sezione V, art. 2 per quanto concerne i giunti saldati oppure alla vigente norma
europea UNI EN 1435.
Nel caso invece di esame riferito al getto, è possibile adottare i contenuti metodologici della
UNI EN 444.
7 L’ESAME ULTRASONORO
La controllabilità dei getti in ghisa è condizionata dalla struttura metallurgica che può essere
costituita o da grafite in lamelle più o meno sottili, anche in funzione della velocità di
raffreddamento, o da grafite che tende ad avere forma globulare.
Nel primo caso il materiale risulta meno trasparente alla propagazione del fascio ultrasonoro
e questo comporta una scelta delle frequenze da 1 a 2 MHz, nel secondo caso potrà anche
essere utilizzata una frequenza maggiore dell’ordine dei 4 Mhz.
Un altro fattore condizionante il buon esito del controllo è certamente lo spessore, infatti
mentre per getti di piccolo spessore la maggiore velocità di raffreddamento tende ad
affinare le lamelle consentendo una discreta trasparenza anche con utilizzo di lunghezze
d’onda minori ( frequenze più elevate ) , in presenza di grossi spessori la struttura potrebbe
risultare poco trasparente sino ad ostacolare il propagarsi anche di onde molto più lunghe
( frequenze minori ) e quindi rendendo impossibile un controllo corretto.
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Istituto Italiano della Saldatura
Un caso particolare sono le ghise sferoidali dove la grafite ha forma di sferoidi risultando la
struttura generalmente più compatta e meglio attraversabile dal fascio ultrasonoro.
Il fenomeno della precipitazione della grafite sotto forma sferoidale o lamellare si
traduce,inoltre, in una variazione del modulo elastico della matrice che , nel caso della ghisa
sferoidale, è molto simile a quello dell’acciaio mentre si riduce a circa il 75-85 % nella ghisa
grigia.
Come è noto la velocità acustica degli ultrasuoni in un materiale è funzione del modulo
elastico dello stesso, pertanto l’applicazione degli ultrasuoni può costituire un mezzo utile
per la valutazione del modulo elastico attraverso la valutazione della velocità.
Per quanto riguarda le tecniche di controllo dei getti in ghisa, fatta salva la scelta delle
frequenze per i motivi esposti, ci si rifà alle tecniche utilizzate per i getti in acciaio tenendo in
considerazione la geometria e lo stato superficiale del manufatto .
In primo luogo sarà opportuno procedere ad una verifica della trasparenza tramite l’uso di
sonde piane ad onde longitudinali con valutazione in campo lontano , in modo da avere la
percezione delle possibiltà di propagazione del fascio. In alcuni casi potrà essere opportuna
la scelta di sonde o sistemi elettronici che consentano la generazione di segnali più
smorzati e quindi più adatti a superare ostacoli strutturali.
In secondo luogo si procederà con l’utilizzo di sonde piane scegliendo oltre che una
opportuna frequenza anche un fascio di caratteristiche adatte alla geometria ( slargamento
del fascio ).
L’utilizzo di sonde angolate ad onde trasversali non è certamente da escludersi a priori
anche se la diversa velocità di tali onde, a parità di frequenza, condiziona le dimensioni
dell’onda e quindi la possibilità di propagazione della stessa.
Per la valutazione dell’entità delle discontinuità ci si potrà ricondurre a tarature di sensibilità
eseguite su blocchi campione dello stesso materiale o all’uso di strumenti appositi quali i
diagrammi AVG ( concetto del difetto equivalente ).
Certamente il controllo non potrà avere lo stesso grado di “precisione” proprio del controllo
su strutture acciaiose senza contare la possibile presenza di disturbi ( echi di disturbo )
dovuti al solito problema della struttura. In tal caso potrà essere utile una sorta di filtratura
ottenibile elettronicamente con apparecchi predisposti
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