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Rudyard Kipling – IL MARCHIO DELLA BESTIA E ALTRI RACCONTI DEL FANTASTICO

Introduzione, edizione critica e traduzione di Miriam Sette

La cultura italiana negli anni novanta si è interessata ai racconti sul fantastico di Kipling; in The
Mark of the Beast, ritenuto un racconto esotico (che giunge da paesi lontani con culture diverse da
quella occidentale), si pone il problema del rapporto tra colonizzatore e colonizzato. Invece le
varie traduzioni del novecento ponevano l’attenzione sulla scoperta del mondo indigeno di cui
Kipling parla nelle sue opere. Il mondi di Kipling rappresenta il contatto che l’Occidente britannico
ha avuto con il mondo coloniale, in particolare con l’India; quando Kipling scrive si avverte in lui
una duplice ed ambigua identità perché lui è nato a Bombay ma è d’accordo con l’ideologia
imperialistica. Questo senso di logoramento prende forma nel fantastico, il quale diventa
espressione di una sensibilità toccata nell’intimo, che esprime la sua lacerazione attraverso gli
aspetti dell’orrore, del contatto animale, dell’immaginazione stravolta da fantasmi che rompono
gli equilibri della razionalità. Nella scrittura, Kipling abbandona la capacità analitica e empirista
propria della cultura inglese nel momento in cui si confronta con l’esotico, si avverte sempre di più
la crisi interiore dell’autore, è come se non sappia più commisurare la ricchezza con la miseria, la
forza con la resa, la normalità con la diversità, il vincitore con il vinto: si ha un rovesciamento dei
poli, e l’autore lascia presagire un confronto mortale da cui soltanto uno uscirà sconfitto (lo
sconfitto sembrerebbe proprio l’occidentale).

I quattro racconti sono unificati da una fantasia deformante: “The phantom Rickshaw” scritto nel
1885 (il risciò fantasma) consente di esplorare il senso di colpa che prova il civilizzatore
anglosassone quando è trapiantato nell’ambiente coloniale. Nel racconto è presente la condanna
permanente, del disagio che incombe sul protagonista Theobald Jack Pansay per essere stato, in
terra coloniale, l’amante di un suo collega militare. L’incubo di Pansay, perseguitato dal risciò
fantasma, dipende dalla rottura delle regole, da una parte moralistiche e da una parte
trasgressive. La trasgressione più evidente è che il militare, che risponde all’ordine vittoriano,
diventa colui che tradisce la buona fede del compagno d’armi (il quale avrebbe bisogno di
sostegno e solidarietà). Jack ha infranto questa regola ed adesso è perseguitato dal fantasma di
una donna su un risciò che rappresenta il senso di colpa. L’adultera, Agnes Keith Wessington, è
l’espressione femminile del mondo indiano che è stato violentato. Agnes è si inglese, ma
rappresenta la femminilità, terra accogliente perché è colei che da il calore, desiderio, amore
passione. In “Children of the Zodiac” (1891) ci si misura con gli animali dello zodiaco, che
appartengono al mondo astrale, ma anche al mondo delle curiosità scientifiche. In “The Strange
Ride of Morrowbie Jukes” (1899) viene descritto l’incubo in terra coloniale: a causa
dell’abbaiamento di un cane indiano, che sembra un lamento, Morrowbie Jukes, a cavallo del suo
pony usato tante volte per esplorare terre nuove da dominare, si ritrova in un incubo orribile che è
l’essere precipitato in una sorta di trappola di formicaleone. Particolarmente preoccupante è
l’incontro di Morrowbie con i morti non morti, ovvero i lebbrosi. Il tema dell’infezione ci conduce
al racconto “The Mark of the Beast”, dove al protagonista Fleete viene impresso il marchio della
bestia da parte del sacerdote lebbroso come punizione per aver spento il sigaro sull’effigie del dio
Hanuman.
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The Phantom Rickshaw venne pubblicato nel 1885 sulla “Civil and Military Gazzette”, come regalo
natalizio. Theobald Jack Pansay, protagonista del racconto, è la proiezione di Kipling, del suo io: il
protagonista vive il tipico confronto con il suo doppio interiore. La sua stagione felice è stata
quando, innamorato di Agnes, ha vissuto una parentesi di adulterio e di amore ricambiato; poi la
sua passione si è via via spenta fino a consumarsi e a mostrarlo ad Agnes.
Agnes rimane stabilmente a dichiarare il suo amore per Jack, gli ripete sempre in modo paziente
ed amorevole che non è successo nulla, che si tratta soltanto di un malinteso e che torneranno
presto amici. Quando Agnes muore, Jack avverte tutto il senso di colpa della sua condotta,
attribuisce a se stesso sentimenti malvagi e comincia a sentire il bisogno sempre più forte di
Agnes. Questo bisogno diventa sempre più insistente tanto da portare Jack a vedere il fantasma di
Agnes nel suo risciò, ricordandola viva, ma anche in una death-in-life, perché il risciò trasportato
da quattro portantini indiani non è nient’altro che l’immagine della bara di Agnes, portata alla
tomba. Il rapporto di Jack con Agnes può essere paragonato alla grande metafora dantesca di
Paolo e Francesca. Il suo non è un senso di colpa per il contesto ambientale, ma per il rapporto di
un amore fondato sul tradimento di una donna che è moglie di un suo collega, è come se avesse
disonorato la divisa. Non può restare a Bombay, ma deve fuggire, e quando fugge, trova nel nuovo
ambiente il dottor Heatherlegh. Il dottore, che è l’unico vero britannico che Jack incontra, cerca di
spostare il problema su un fatto neurologico e non moralistico. Jack sa benissimo che il suo
problema non è corporeo, ma comunque vuole far sembrare che si tratti di epilessia perché
l’ambiente rude militare non potrebbe mai capire il suo logoramento interiore causato dal
fantasma. Lui di giorno è ossessionato dal fantasma di Agnes, che è lui stesso ad evocarla, mentre
la sua ossessione notturna è di avere indietro la quotidianità, una fidanzata normale, vita militare
ecc. Jack vedrà il suo spettro in eterno, perché nessuno può perdere il confronto con il suo
specchio.

In Children of the Zodiac, Kipling continua a narrare il rapporto tra l’uomo e l’animale. In The Mark
of the Beast si vede che l’aspetto sacrale della cultura indiana rappresenta agli occhi del
dominatore anglosassone una fonte di curiosità; quando Fleete viene contagiato portando con sé
il marchio della bestia, viene contagiato da una civiltà altra che da un lato lo respinge, dall’altro lo
assimila: è questo contagio del diverso che costituisce il tema centrale del rapporto uomo/bestia.
Kipling si misura in Children of the Zodiac con i miti cosmici, con culture sapienziali ed arcaiche,
come quella dello Zodiaco, in cui ogni elemento della mappa è rappresentato da un animale. Si
narra di sei figli dello Zodiaco, Ariete, Toro, Gemelli, Leone e Vergine che, pur essendo dei, temono
le sei case che appartengono allo Scorpione, Bilancia, Cancro, Pesci, Sagittario ed Acquario, perché
è in una di queste che si deciderà per ognuno di loro il momento della morte. Nella narrazione le
due divinità della Vergine e del Leone, scelgono di spogliarsi dello status di dei e di ibridarsi con la
condizione umana per poter assaporare le gioie dell’amore scoccato tra loro. E’ in ragione di ciò
che il Leone decide di confrontarsi con il Cancro, con lo scopo di chiarire a se stesso e agli uomini
le ragioni dell’inevitabilità della morte. Quando il Leone entra nella casa del Cancro, si scontra con
una dimensione altra, della cui esistenza non ha mai sospettato. Nella prospettiva descritta da
Kipling il personaggi zoomorfi non hanno alcuna via di fuga, ma sono costretti a fare gli eroi con gli
inevitabili rischi disastrosi: nulla si salva e tutto si distrugge nella realtà angloindiana di Kipling. Tra
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i segni di cui si parla all’interno del libro manca il segno del Capricorno, esso non è trattato, ma
brilla per la sua assenza: andando a verificare la data di nascita di Kipling risulta che il segno dello
Zodiaco mancante è il suo segno. Traendo una conclusione possiamo dire che Kipling non ha
inserito il suo segno nel racconto per paura di scoprire il destino che avrebbe potuto rivelarsi
favorevole o sfavorevole: se il suo destino è favorevole può sentirsi come privilegiato da Dio,
mentre se interrogando il suo destino dovesse scoprire che è sfavorevole perderebbe la stima che
ha di sé e si sentirebbe condannato da Dio, dalla natura e dalla società. Come tutti i tardovittoriani
Kipling ha una forte autostima e non vuole misurarsi con l’altra cultura e tantomeno con la natura.

In The strange Ride of Morrowbie Jukes Kipling elabora una serie di metafore che si rivela in un
plot che incuriosisce: possiamo prendere come esempio il cane che abbaia, il quale rappresenta
l’animalità allo stato puro. Quando il protagonista è infastidito oltre il dovuto e manifesta
l’intenzione di uccidere il cane, Kipling metaforizza un senso di incompatibilità tra lo stile del
conquistatore/civilizzatore e la rudezza animale che a differenza del Regno Unito, l’India ancora
non ha domato (nel Regno Unito i cani erano addomesticati, in India no). Quando il protagonista
decide di ucciderlo lo porta in un deserto perché il colonizzatore non può mostrare di essere più
bestia e più feroce della bestia stessa. Mentre Morrowbie sta per uccidere il cane, questo si
dissolve ed il protagonista si ritrova intrappolato nella sabbia; Kipling descrive di come Morrowbie
si senta in un precipizio che lo attira sempre più verso il fondo, proprio come le trappole che
architetta il formicaleone per catturare le sue prede. Tutto ciò accade perché Kipling è preso tra
due forze ovvero la metafora del cane che però il protagonista non uccide e la metafora del
formicaleone per cui colui che imprigiona, colui che riduce in schiavitù, colui che vuole
conquistare, rimane egli stesso vittima della sua trappola. Il terzo passaggio del racconto è quello
in cui la sensibilità di Kipling si misura direttamente con gli esseri umani colonizzati e non più con
la natura indomabile indiana. Nella narrazione il protagonista si incontra con Gunga Dass il quale
prima gli era un servile accompagnatore mentre ora sembra essersi trasformato in altro poiché
tratta Morrowbie come suo simile e addirittura come essere inferiore. Il fatto che Gunga Dass sia
stato colonizzato, ha fatto crescere in lui la voglia di essere libero e di far capire che la sua non è la
cultura inferiore, ma anzi, potrebbe essere anche superiore a quella britannica. Essendo stato
provocato dall’aggressività del colonizzatore finto civilizzatore, è autorizzato ad imporsi e a
minacciarlo per difendere la sua identità. Gli indù hanno ucciso il suo pony Pornic (di Morrowbie) e
le motivazioni di tale gesto sono fornite dallo stesso Gunga Dass: usando lo stesso principio
democratico della maggioranza usato nel Regno Unito, Gunga Dass afferma che se il maggior
numero di persone è d’accordo nell’uccidere e mangiare il cavallo, per la felicità di tutti è bene
farlo (l’aver immesso dei principi Occidentali in Oriente ha portato all’effetto boomerang).
Divorare il cavallo inglese è come divorare lo spirito del Regno Unito; quando Gunga Dass capisce
che l’inglese sta per scappare gli spara, ma lo ferisce soltanto. Accanto alla figura di Gunga Dass,
Kipling pone Dunnoo (figura opposta al primo) il quale salva Morrowbie da una morte certa.
In The Mark of the Beast incombe una visione disperata della natura umana sotto la volontà
oscura del divino; il racconto segna quel momento critico in cui il Positivismo, alla fine
dell’Ottocento, giunge alla massima proiezione del suo clima naturalistico e scientistico.

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