Lo “sharphending” in generale rientra negli studi di strategia. La caratteristica della STRATEGIA (rispetto alla POLITICA),
è che è:
- una scelta di lungo termine;
- una scelta che coinvolge tutta l’impresa, cioè gli effetti coinvolgeranno l’impresa nel suo complesso;
- il soggetto decisore è il soggetto economico (l’imprenditore), ossia colui che ha il potere decisionale (per esempio se
abbiamo una quotata, il soggetto decisionale è colui che ha la maggioranza dei voti nell’assemblea). Questo soggetto
ha 3 caratteristiche:
a) la volontà di governare;
b) il potere di governare;
c) le capacità/competenze tecniche.
DIFFERENZA TRA SOGGETTO ECONOMICO ED ESECUTIVO: il soggetto esecutivo è colui che ha il mandato di governare
(secondo un mandato) ed ha le capacità tecniche.
In sostanza la fase decisionale si divide tra:
- il soggetto economico proprietario, cioè il proprietario (colui che ha il capitale economico);
- il soggetto che mette in pratica, il management (TMT, Top Management Team, che in Italia è il Cda ossia il gruppo dei
decisori che viene messo insieme ai dirigenti. Quindi manager e dirigenti).
Il soggetto economico ha inoltre il potere di togliere il mandato al soggetto decisore (parte dell’esecutivo).
La grossa differenza tra strategia e politica è che: la strategia ha un’azione di lungo periodo; la politica invece è
fondata su piani d’azione in genere di breve periodo.
Il nostro obiettivo è capire quali sono le strategie e come si traducono in politiche, per uscire dalla situazione di crisi.
L’obiettivo è di valutare il concetto di turnaround (cioè quando la crisi è piuttosto vicina, imminente). L’idea generale è
che l’imprenditore, qualunque sia la visione diversa d’impresa, dovrebbe valutare politiche di “sharphending”
continuamente (deve inventarsi la crisi, anche se tutto va bene deve sempre cercare di migliorare. Deve sempre
domandarsi dove si può continuamente migliorare).
Come si fa la strategia di turnaround? In altre parole, il giorno in cui il manager dice che l’impresa è in crisi, deve
verificare come operare. Ci sono varie fasi:
1) mappatura delle risorse, distinta in 3 momenti:
a) suddivisione dell’impresa in S.B.U.: la prima scelta che va fatta è individuare cosa genera problemi per
l’azienda. La prima cosa che fa, è stratificare la situazione di crisi, cioè individuare per ciascun settore l’eventuale
situazione di deficit o successo. SBU (Strategic Business Unit, area strategica d’affari) è la circostanza che quell’area
d’affari/settore, produce cassa (quindi un settore, dato che è in grado di operare autonomamente perché produce
cassa, è un’area strategica d’affari). Ovviamente ogni impresa ha un’area strategica d’affari (quindi ciò che lo è per
un’impresa, NON lo è per un’altra);
b) per ciascuna S.B.U. si misurano delle caratteristiche di sostenibilità del business (redditività, flusso
monetario, grado di indebitamento). In particolare:
- la redditività è fondamentale perché mi garantisce le entrate da ricavi, quindi se sono redditizio
posso camminare da solo;
- il flusso monetario, cioè guardo le entrate e le uscite di denaro (cioè la cassa);
- il grado di indebitamento, cioè quanto è indebitato quel settore rispetto agli altri. Significa
prendere il bilancio dell’impresa e fare un’astrazione, cioè decidere che alcune fonti finanziano degli
impieghi. Bisogna fare una correlazione tra attivo e passivo, cioè bisogna vedere quale area
dell’attivo assorbe risorse e quali sono le voci del passivo che finanziano quelle risorse.
c) valutazione della ipotesi di dismissione della S.B.U. (a seguito di misurazione degli asset tangibili ed
intangibili che formerebbero l’ipotetico market value della S.B.U.): in un’impresa in crisi in stato avanzato, il problema
principale è avere disponibilità di cassa per “tamponare” le situazioni di distruzione di valore ed attivare circuiti
virtuosi di creazione di valore. Il modo più semplice per fare cassa è vendere S.B.U. Ma quali S.B.U. dismettere? Alcune
potrebbero essere il motore della rinascita aziendale e quindi non è opportuno disfarsene.
Ma cosa è più pericoloso per l’impresa, gli asset tangibili o gli intangibili? Intangibile perché NON lo posso vendere da
SOLO (molto spesso l’intangibile lo posso mettere vicino al tangibile e valuto nella S.B.U., entrambi i valori). Molto
spesso l’intangibile NON è iscritto a bilancio, l’abbiamo acquisito a titolo gratuito (in questo caso la valutazione
dell’impresa NON va fatta a valori contabili, ma a valori di mercato (a valori rivisitati). Quindi in una prima fase bisogna
valutare i valori intangibili (che NON provengono dal bilancio).
b) diversa è la situazione in cui il compratore al pari del venditore, ritenga di basso valore la valutazione
della S.B.U. In questo caso dismetterò e lo farò al più presto, perché più tempo ho in mano il settore e più
perdo (più ho costi). Ciò perché il settore nelle mie mani pesa soltanto, NON so farlo valere, ho valutato che
nel futuro NON avrà un grande riscontro sul mercato, quindi il primo che mi offre un prezzo vincerà quel
ramo secco che NON ha opportunità. Quindi anche ad un prezzo inferiore al valore che ho stimato, accetterò
la contrattazione perché quel settore è un settore difficile da dismettere.
2) se l’imprenditore ritiene elevato il valore di una S.B.U. (perché questa area si ritiene che dia garanzia di
sopravvivenza per il futuro), tale area dovrà esser mantenuta. Sia che il mercato ritenga di alto o baso valore quella
S.B.U., devo far attenzione a mantenerla. Ci saranno 2 casi:
a) se l’impresa ritiene quella S.B.U. importante ed il mercato pure alla stessa maniera, si individua una
strategia di collaborazione mediante accordi (generalmente finanziari, tipo io mantengo la produzione,
individuo un soggetto venditore che finanzierà il canale di vendita) o collaborare vuol dire trovare soggetti
che vogliono entrare nell’impresa (ad esempio ingresso di nuovi azionisti, ad esempio con un IPO metto parte
delle mie azioni sul mercato. Mettendo parte delle azioni sul mercato, NO la maggioranza, sto cercando
finanziatori esterni quindi liquidità per finanziare questa S.B.U. e quindi salvare l’impresa dalla crisi);
b) se il mercato NON gradisca il valore delle mie azioni (S.B.U.) ma io sia convinto che questa S.B.U. NON
vada dismessa (è l’azione più difficile da effettuare, soprattutto se siamo in prossimità della crisi), in questo
caso dovrei richiedere la ricapitalizzazione agli azionisti (in questo caso deve essere bravo il manager a
convincere gli azionisti dell’opportunità di quell’investimento). La capitalizzazione implica l’inserimento di
nuove risorse dall’esterno (ma finanziare un’impresa che sta per fallire vuol dire rischiare il capitale molto di
più rispetto a quanto si era rischiato in passato), facendo in modo che gli azionisti ridiano fiducia all’impresa.
Una volta scelto se dismettere o rifinanziare una S.B.U., è necessario individuare le azioni da intraprendere per uscire
dal declino ed “invertire la rotta” (puntando al successo). Ci sono 2 tipologie di turnaround:
- turnaround strategico: ridefinizione del business e del mercato di riferimento. Cioè cambio completamente settore,
clienti, nicchie di mercato;
- turnaround operativo: modifica delle condizioni di operatività dell’impresa che NON comporta ripensamenti
strategici. Cioè continuo ad operare nello stesso settore, ma cambia SOLO qualcosa. Ciò che farà il manager è di
evitare un intervento strategico forte, e cercherà di tamponare con interventi di tipo operativo. Ciò però NON sempre
è possibile: più siamo vicino al turnaround (e quindi più lontani dallo sharphending) e più è necessaria una scelta di
tipo strategico (cioè quando il problema è grave, in genere è necessario ripensare il mercato ed il business).
Esempi di problema operativo sono:
a) colli di bottiglia nella produzione. semplicemente ci sono fasi del ciclo produttivo che mi determinano mancanza di
efficienza (troppi costi, il prodotto finito staziona troppo nel magazzino, ecc..);
b) conflitti tra dipendenti: conflitti anche facili da risolvere che hanno portato ad una carenza dell’efficienza
produttiva.
Ci sono 2 casi:
A) Se l’impresa è vicina al breakeven, le soluzioni che potrà operare sono più strategie di turnaround operativo, con
taglio drastico dei costi operativi, può avere successo. Cioè è facile che, modificando la funzione di produzione (ad
esempio facendo un taglio sugli impianti, modificando gli impianti, aggiungendo dipendenti) riesca ad uscire dalla
funzione di crisi. Ciò che cambia è che riduce i costi (ad esempio riduce i costi fissi ed aumenta i costi variabili), per cui
riesce a spostare il punto di breakeven. In questo modo, senza troppe modifiche (con operazioni SOLO di tipo
operativo) l’imprenditore riesce ad uscire dalla situazione di crisi ed a garantirsi redditività;
B) Se l’impresa è lontana dal breakeven, saranno opportune strategie di turnaround più ambiziose, di tipo strategico,
che prevedano l’aumento dei ricavi, il riposizionamento sul mercato e la dismissione di asset. In questo caso, quando
l’impresa è lontana dal punto di breakeven (lontana vuol dire che le perdite sono ingenti), deve ripensare tutto e
quindi dovrà modificare i ricavi e quindi completamente il business.
La sostanza è che una scelta strategica richiede mosse un po’ più pesanti, che sono valide nel lungo periodo (esempio
se devo cambiare gli impianti, ci vuole un lungo periodo perché occorre fare delle ricerche di mercato, quale prezzo
preferire, qual’è l’intervallo di rilevanza della funzione di produzione cioè valutare se cambio asset, ecc..).
Come possiamo classificare le strategie di turnaround? Un altro modo per classificare le scelte di turnaround distingue
tra:
- mosse isolate: cioè i manager tamponano via via le situazione (esempio sono in difficoltà finanziaria, risolvo la
situazione vendendo qualcosa. Sorge un altro problema? Cerco di tamponare quest’altro). Dunque piuttosto che
mediante una strategia (ossia un complesso di piani d’azione che abbia un rigore logico ed una visione di lungo
termine), alcuni manager operano per mosse isolate cioè tamponano via via le situazioni di difficoltà. Questa
situazione in genere è poco conveniente, perché spesso (soprattutto nell’azione di recuperare cassa) si effettuano
scelte che poi NON sono rimediabili nel futuro (quindi adoperare mosse isolate che comportano la dismissione di
asset, se NON si fa una valutazione attenta degli asset, c’è il rischio che si vendano proprio quegli asset che darebbero
all’impresa di sfruttare tutte le proprie capacità di generare reddito in futuro. Ma sono vendute perché sono le più
appetibili per il mercato e quindi sono le più redditizie). Questa per il manager è la scelta più miope, meno attenta al
futuro, più attenta a recuperare la situazione di difficoltà nel breve periodo;
- strategie: da operare nel lungo termine, qualcosa di più meditato/studiato nel lungo periodo. Il problema della
strategia è spesso quello di risolvere problemi di breve periodo (cioè io imposto una strategia di lungo periodo ma nel
breve periodo come faccio a risolvere il problema di cassa? Devo avere un azionariato fiducioso che mi capitalizza,
oppure devo trovare un soggetto terzo, per esempio le banche, che credono nel mio progetto. In questo caso devo
trovare risorse altrove senza dismettere).
Se volessimo considerare in maniera congiunta gli aspetti strategici e quelli operativi del turnaround, potremmo
affermare che le strategie adoperate sono in genere associate ad un determinato grado di utilizzazione degli impianti
(in sostanza ogni volta scelgo una strategia e decido quanto adoperare degli impianti e come dimensionare gli
impianti):
Queste 3 soluzioni, sono 3 strategie adottate a seconda di quanto utilizziamo gli impianti:
1) asset/cost surgery: decido di tagliare i costi degli impianti. Si adotta quando la capacità produttiva è sovra-stimata
rispetto all’effettiva produzione stimata (es. se io ho degli asset con una capacità di 1000 scarpe al giorno ma ne
produco 300, allora taglio gli asset);
2) selective product/market pruning: cioè taglio una parte del mercato, del prodotto o alcune caratteristiche del
prodotto, in modo che razionalizzo il portafoglio prodotto/mercato (es. VAIO ha eliminato la divisione PC, perché
SONY ha deciso che la divisione PC NON è competitiva perché dovrebbe o ridurre il prezzo o mettersi in linea con
l’Apple in modo da creare un software per entrare nel mercato come ha fatto l’Apple. Ha notato di NON riuscirci, ed
ha deciso di tagliare tale divisione);
3) piecemeal strategy: è la soluzione che si adotta quando si è in grado di controllare una quota di mercato rilevante.
Se io sono grande, comando sul mercato e decido di volta in volta cosa fare (perché tutti gli altri stanno dietro). Prima
o poi il leader si rende conto che c’è colui che possa mettere in dubbio la sua posizione. (tipico caso di leader di
mercato che si contengono la situazione di potere è il caso Play-Station ed Xbox).
La seguente matrice permette di distinguere le politiche di risanamento (in sostanza le politiche di Turnaround), a
seconda di 2 elementi:
- da un lato c’è il coinvolgimento degli stakeholder, cioè chi è coinvolto nel processo di risanamento. Il processo di
risanamento può avvenire:
a) in maniera “silente” cioè senza coinvolgere tutti coloro che ci sono intorno;
b) in maniera “eclatante” cioè coinvolgendo tutti gli stakeholder, compreso il compratore.
In alcuni casi (esempio quando chiude un locale, quando riapre con scritto nuova gestione. Se c’è scritto nuova
gestione, vuol dire che colui che ha aperto vuole coinvolgere colui che compra, per provare quel qualcosa di nuovo
che offre. L’idea è che il coinvolgimento dello stakeholder, più è ampio e più porta a scelte strategiche importanti,
perché se sto dicendo a tutti che sto cambiando, poi devo cambiare davvero);
- dall’altro lato c’è la logica dell’innovazione rispetto alla logica della conservazione. Il cambiamento può avvenire, in
altre parole, mantenendo qualcosa di vecchio o stravolgendo tutto. Ovviamente più si mantengono le caratteristiche
del vecchio business (quindi meno strategie e più politica), invece più si vuole innovare e più ci vuole strategia e quindi
cambieranno anche le politiche.
Ci sono 4 casi:
1) in altro a destra, c’è la possibilità di turnaround: cioè la strategia che si mette in atto quando si coinvolgono tutti gli
stakeholder. Più facciamo conoscere ai terzi che stiamo cambiando e meglio è. Agiamo nella logica dell’innovazione,
cioè voglio stravolgere totalmente il mio business. È la politica che faccio quando sono vicino alla crisi. Siccome c’è
poco da migliorare, più cambio e meglio è. In generale una prima cosa che si fa è cambiare l’amministratore delegato
(colui che ha sbagliato) e metto un amministratore nuovo. L’idea è che più cambio e meglio è, perché esco dalla causa
che mi sta portando verso la crisi;
2) al lato opposto, c’è la ristrutturazione: ossia un coinvolgimento ristretto degli stakeholder in una logica della
conservazione. Cioè riorganizzo la funzione di produzione, commercializzazione, cercando di nascondere il
cambiamento. Quando posso accettare una situazione di questo genere? In genere quando posso cambiare in
maniera silente pezzo per pezzo (sono lontano dalla crisi quindi NON devo comunicare nulla, perché nessuno sa che
sono in crisi), quindi possono ristrutturare l’azienda senza troppi danni dal punto di vista dell’immagine dell’impresa.
Quindi in genere agisco dal punto di vista operativo;
Nel mezzo si trovano altre 2 situazioni:
3) trasformazione: coinvolge tanti, ma dal punto di vista operativo cambia poco. Cioè cerca di conservare il più
possibile, condividendo quell’idea che si sta cambiando (cioè si cambia poco ma si da l’impressione di cambiamento a
terzi);
4) riconversione: attività di riorganizzazione produttiva e commerciale, finalizzata a cambiare radicalmente il mercato
ed il prodotto. Se cambio il prodotto e cambio la distribuzione commerciale, NON è detto che io debba coinvolgere
tutti, ma coinvolgo di volta in volta gli interlocutori interessati. Quindi ristretto coinvolgimento degli stakeholder, però
cambio le funzioni che sono al di sotto.