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Il canto gregoriano

L’affermazione del Cristianesimo


Con l’Editto di Milano del 313 i Cristiani vengono riconosciuti e tollerati, così da permettere l’espansione
sempre maggiore dei rituali religiosi, che vennero ad assumere la forma di cerimonia pubblica.
Ovunque sorsero basiliche in cui i fedeli potessero riunirsi a pregare (ad esempio la Basilica di San Pietro a
Roma, sorta nel 349).
La supremazia del papato e di Roma si fece sentire da subito anche in luoghi molto lontani, finendo per avere
conseguenze sulle tradizioni liturgiche locali: anche se ogni regione dell’Occidente cristiano mirò a
conservare ed arricchire la struttura dei propri riti liturgici, le forme devozionali della Chiesa di Roma si
formarono in modo sempre più preciso a partire soprattutto dal V-VI secolo. La costituzione di un repertorio
stabile e ufficiale di preghiere, letture e canti rientrava nel progetto di centralizzazione del mondo cristiano
rispetto a Roma. Dalla fine del IV secolo in poi il latino fu consacrato come lingua liturgica al posto del greco.
Un’altra conseguenza dell’Editto di Milano fu il sorgere del monachesimo, diffusosi in Occidente verso il IV
secolo con lo scopo di condurre una vita solitaria o in piccoli gruppi entro comunità povere ed autosufficienti.
Nel corso del V secolo il monachesimo si era tanto diffuso in Europa che le virtù cristiane venivano
identificate con le virtù monastiche.
In Italia, dominata in gran parte dai Longobardi, fu fondamentale l’apporto dei monasteri come luoghi di
cultura, tanto che l’istruzione fu dei soli chierici e dei monaci fin verso il VII secolo. Ogni monastero aveva
una scuola, una biblioteca ed uno scriptorium in cui venivano copiati i codici dai monaci amanuensi.
San Benedetto nel 529 fondò il monastero
di Montecassino, per il quale compose la
Regula benedettina “Ora et labora”: i monaci
dovevano dedicarsi allo studio e al lavoro
e la preghiera doveva essere cantata per
rendere più efficace il significato delle
parole.
Gregorio Magno (papa dal 540) e i
sovrani carolingi promossero la
formazione di numerose abbazie
benedettine in tutta Europa. Altri
monasteri furono fondati dagli stessi
Longobardi, come quello di Nonantola
(752), dove venne steso un repertorio proprio di canti (Cantatorium). I monasteri svolsero quindi un ruolo
fondamentale sia nella conservazione dei canti preesistenti, sia nella stesura di un nuovo repertorio.

Il canto gregoriano
Il canto gregoriano nasce da quell’insieme di canti religiosi che si svilupparono nelle chiese di Roma a partire
dai primi secoli del cristianesimo.
Dopo un periodo di coesistenza con altri riti (mozarabico, gallicano, ambrosiano), quello romano ebbe il
sopravvento, provocando la scomparsa degli altri (ad eccezione di quello ambrosiano) e assumendo il nome
di gregoriano; secondo la tradizione, la molteplicità delle espressioni musicali religiose fiorite in tale ambito
portò papa Gregorio Magno (540-604) a sistemare e raccogliere i vari canti in un Antiphonarium per poi
inviarli in tutti i conventi dell’Europa cristiana con l’obiettivo di unificare i riti del culto cattolico; fondò
anche a Roma una Schola Cantorum. Tuttavia, non è possibile documentare negli scritti e nelle fonti dell'epoca
di Gregorio un suo interessamento alla musica, non esistendo ai suoi tempi libri
con notazione musicale. Monaco benedettino, Gregorio divenne papa nel 590.
La leggenda voleva che lo Spirito Santo, apparsogli sotto forma di colomba, gli
avesse dettato il nuovo repertorio di canti. L'attribuzione a Gregorio dell'opera di
sistemazione riflette la grande autorevolezza che possedeva nel Medioevo la sua
figura e poteva essere strumento per rendere indiscutibile un repertorio ufficiale.
Pipino il Breve (715-768) e soprattutto Carlo Magno (742-814) imposero l’uso
dei libri liturgici romani in tutto l’impero Carolingio, in modo da unificare
ancora di più il Sacro Romano Impero. Carlo Magno affidò al monaco Alcuino la
riorganizzazione della Schola palatina e stabilì i punti fondamentali
dell’insegnamento musicale all’interno dell’Impero.
La liturgia
La Liturgia delle Ore o Ufficio è costituita da letture di testi sacri, preghiere e canti raggruppati in ore del
giorno e della notte. I testi e i canti sono distribuiti per giorni dell’anno liturgico: Salmi, Cantici, Inni,
Letture, Litanie, Orazioni.
La Messa si divide in liturgia della Parola e liturgia eucaristica. Il repertorio di preghiere e di canti si divide
invece in Proprium ed Ordinarium (Kyrie, Gloria, Credo, Sanctus, Agnus Dei).
Il repertorio dei canti gregoriani si presenta oggi come un insieme di canti monodici, su testi latini tratti dalla
Sacra Scrittura, dell'Ufficio delle Ore e della messa (solo gli inni, i tropi e le sequenze risalgono a poeti
medievali). Musicalmente esso riflette un'originaria influenza di componenti soprattutto orientali ed ebraiche,
ma devono essere approfonditi i rapporti di affinità e influenza con gli altri riti gemelli (gallicano, ambrosiano
e mozarabico) e con la Chiesa bizantina.

Melodie gregoriane

Le melodie gregoriane
esistono solo in funzione
del loro elemento
primario, il testo, al punto
da identificarsi con esso e
assumerne le qualità.
Pertanto, la qualità ritmica
del neuma si attinge dal
testo e non dalle qualità
fisiche del suono. La
perfetta simbiosi fra testo e
melodia costituisce nel
gregoriano il dato
fondamentale per la
soluzione del problema del
valore delle note.
Il Canto gregoriano non conosce mensuralismo e la sua interpretazione è basata essenzialmente sul valore
sillabico di ciascuna nota, caratterizzato da una indefinibile elasticità di aumento e diminuzione.
L'anima del linguaggio parlato e musicale è costituita dal ritmo. Il ritmo, nel linguaggio parlato, consiste in un
succedersi coordinato di sillabe in una o più parole. È quindi un fenomeno di relazione, che viene espresso
dall'accento e dalla finale di una parola. La sillaba tonica rappresenta il punto di partenza e di slancio del
movimento, il polo di attrazione delle sillabe che precedono l'accento e il polo di animazione delle sillabe che
vanno verso la cadenza.
Nel canto gregoriano la melodia è legata essenzialmente al testo, perché nasce e si sviluppa su un determinato
testo, dal quale prende le qualità ritmiche ed espressive. Il testo quindi costituisce l'elemento prioritario e
anteriore della composizione gregoriana. Gli elementi che concorrono a formare un qualsiasi testo sono le
sillabe, le parole e le frasi. La sillaba non forma un'entità autonoma assoluta, ma è in funzione di un'entità
maggiore, la parola, e ogni parola ha un accento proprio che viene mantenuto nel contesto della frase
rendendo possibile lo sviluppo di un ritmo del verso.
La stessa cosa avviene nella melodia. Il neuma (di uno o più suoni sopra ad una sillaba) non è autonomo ma
in funzione di un inciso melodico-verbale, che corrisponde ad una o più parole, a seconda del genere
compositivo.
Le melodie gregoriane, inserite all’interno della liturgia, sono in forma monodica (ad una sola voce o cantate
all’unisono da un coro), in latino, senza alcun tipo di accompagnamento e, ovviamente, senza alcuna
rielaborazione armonica.
Possono essere:
- sillabiche, quando ad ogni sillaba del testo corrisponde l’intonazione di una sola nota;
- neumatiche, quando comprendono due o tre note per sillaba; ogni sillaba comporta più suoni, di solito un
inciso melodico-verbale è ben caratterizzato da una sola parola
- melismatiche, quando presentano numerose fioriture melodiche sopra una sillaba; la parola viene esaltata
al punto da lasciare il posto alla melodia.
La sillaba del testo latino rappresenta il valore sillabico della nota cioè l'entità stessa del neuma ed è da notare
che la struttura del verso latino è determinata dalla rigida distinzione che il latino classico opera fra sillabe
lunghe e sillabe brevi.
I neumi
Ciò che in musica moderna si chiama nota musicale in gregoriano è detto neuma (dal greco "segno") con la
differenza che un neuma può significare una nota singola o un gruppo di note.
Nella trascrizione moderna del repertorio gregoriano si utilizzano note di forma quadrata (contrariamente
alla notazione di tutta l'altra musica) dette notazione quadrata; esse sono la naturale evoluzione della scrittura
presente negli antichi manoscritti. Bisogna infatti considerare il fatto che la trasmissione del canto gregoriano
è nata oralmente, poi i notatori hanno cominciato a scrivere sui testi da
cantare dei segni che richiamassero gli accenti delle parole (notazione
adiastematica cioè senza rigo); l'evoluzione di questi segni ha prodotto la
notazione gregoriana che conosciamo oggi (notazione diastematica cioè sul
rigo). La grafia fondamentale del gregoriano è data dal punctum e dalla virga;
dalla sua combinazione con altri neumi scaturiranno tutti gli altri segni nelle
loro infinite combinazioni (ad. es il pes, neuma di due note ascendenti, la
clivis neuma di due note discendenti, il torculus e il porrectus neuma di tre note
ascendenti e discendenti, il climacus neuma di tre o più note discendenti…).
Modi gregoriani
Il canto gregoriano segue, come le altre espressioni musicali, precise regole di armonia per comporre le sue
melodie.
Per quanto riguarda l'ambito dell'intero repertorio gregoriano ricordiamo che non si parla mai di tonalità
come la intendiamo noi in senso moderno ma di modalità. Lo scopo della scienza modale è la ricerca della
struttura compositiva di ciascun brano fino ad individuarne la forma originale dalla quale deriva. Ciascuna
composizione di gregoriano è il frutto di un substrato continuo di evoluzioni che si sono protratte in secoli di
storia liturgico-musicale.
Il gregoriano sviluppò nel tempo otto modi, che poi durante Rinascimento evolveranno nelle attuali scale
maggiori e minori della notazione musicale classica. Ogni melodia è legata ad un modo, che solitamente viene
indicato all'inizio dello spartito.
Ogni modo presenta una propria nota dominante (la nota sulla quale maggiormente insisterà la melodia,
Repercussa), una propria estensione (quale intervallo di note potrà sfruttare la melodia) e una propria finale
(la nota sulla quale terminerà il brano, Finalis).
I modi vengono ulteriormente divisi in quattro categorie, ciascuna delle quali presenta un modo autentico ed
uno plagale (più grave di quattro note rispetto al proprio modo autentico), accomunati dalla stessa estensione
e nota finale. Le categorie sono: Protus, Deuterus, Tritus, Tetrardus. I singoli modi vengono riconosciuti grazie ad
un numero romano (pari per i plagali e dispari per gli autentici).

Secondo molti esperti, ad ogni modo si possono associare dei sentimenti: nonostante le più varie
interpretazioni, generalmente si concorda sullo schema proposto da Guido d'Arezzo:
« Il primo è grave[8], il secondo triste, il terzo mistico, il quarto armonioso, il quinto allegro, il sesto devoto, il
settimo angelico e l'ottavo perfetto. »
(Guido d'Arezzo)

Nuove forme del canto liturgico: tropi, sequenze, "historiae"


Nel IX secolo si diffuse una tendenza, iniziata alla fine del
secolo precedente, volta a integrare i testi tradizionali
all'interno delle comunità, che li arricchirono della propria
specifica cultura spirituale e della propria sensibilità
poetica.
Nascono così i tropi, ampliamenti di un brano liturgico già
dato. La loro tipologia è triplice:
1) tropi puramente musicali, cioè vocalizzi che vanno ad aggiungersi, in alcuni punti, alle melodie
tradizionali;
2) tropi costituiti da nuovi testi, che si inseriscono in un brano utilizzando in un percorso sillabico un
melisma già presente nel medesimo pezzo (si pone una nota di un vocalizzo precedentemente cantato su
ciascuna sillaba di un nuovo testo);
3) tropi che inseriscono nel brano originale un nuovo testo con una nuova musica. Quanto alla loro
collocazione, si distinguono: tropi d'introduzione, cantati quale premessa ai brani liturgici; tropi
intercalari, segmenti che si inseriscono tra gli incisi o le strofe del canto liturgico tradizionale; tropi di
conclusione, che costituiscono un nuovo finale.
Le sequenze rappresentano la seconda novità formale che si afferma nella liturgia a partire dall'età carolingia,
grazie soprattutto ai monasteri, che nel X secolo ne
costituirono i centri di diffusione più attivi. Al contrario dei
tropi, la sequenza è originariamente congiunta a un unico
tipo di canto: l'alleluia della messa. Essa ne prolunga lo
jubilus, il lungo vocalizzo che conclude la parola alleluia e
che quasi sempre è ripetuto alla fine del versetto alleluiatico.
L'altra forma liturgica che si diffonde in quest'epoca è
l'historia: una raccolta omogenea di testi relativamente brevi
che riproducono per tratti essenziali una "storia" della
salvezza, trascorrendo dalle epopee dei patriarchi biblici ai
santi cristiani in onore dei quali celebrano le ufficiature.

Pedagogia e riforme musicali: Guido d'Arezzo


Fra i primi documenti in cui si dia risposta a una preoccupazione di tipo pedagogico, con ogni probabilità ben
più antica, sono da annoverare i trattati di pedagogia grammaticale dell'Ars minor e dell'Ars maior di Donato (IV
secolo). Anche in questo caso, è però nel IX e X secolo che si assistette a una produzione inconsueta.
Una collocazione eminente spetta in questo quadro assai ricco a Guido d'Arezzo (morto nel 1050). Dopo
essere stato monaco nell'abbazia di Pomposa e avervi studiato musica, verso il 1023 si stabilì ad Arezzo,
insegnando canto nella cattedrale. Ebbe ai suoi tempi larghissima fama e fu stimato da papa Giovanni XIX.
Fra i molti trattati teorici a lui attribuiti, sono risultati finora autentici soltanto Regulae rhytmicae e Micrologus
disciplinae artis musicae, quest'ultimo diffusissimo fino al XV secolo. Gli si deve l'invenzione di un sistema
mnemonico ("mano guidoniana") per intonare correttamente la scala, basato sulle prime sillabe dei versi
dell'inno a San Giovanni Battista. Tale tecnica sta alla base della solmisazione, cioè dell'antica pratica di
identificazione dei gradi di una scala musicale per mezzo di lettere (il nome deriva dalle note sol, mi).
Guido ricorse alla solmisazione quando ricavò le sillabe dell'esacordo, cioè la serie dei sei suoni consecutivi
della scala diatonica (ut, re, mi, fa, sol, la). I nomi delle note dell'esacordo furono tratti dalle sillabe dei primi
6 emistichi di un inno dedicato a san Giovanni (Ut queant laxis / Resonare fibris / Mira gestorum / Famuli
tuorum / Solve polluti / Labii reatum), la cui intonazione corrispondeva alla successione tono-tono-
semitono-tono-tono; essi non indicavano l'altezza assoluta dei suoni, bensì soltanto la posizione relativa
all'interno dell'esacordo: mi-fa designano sempre il semitono e ut la nota iniziale. Partendo dall'estensione di
due ottave e mezza già considerata da
Oddone da Cluny, l'esacordo più grave ebbe
come base il sol (hexachordum durum), per
cui il semitono mi-fa corrispondeva in realtà
al nostro si-do; seguiva un esacordo la cui
nota di partenza era realmente il do
(hexachordum naturalis) e ancora un altro
che partiva dal fa (hexachordum molle), il
cui semitono mi-fa coincideva con l'odierno
la-si bemolle. La sequenza degli esacordi
proseguiva fino a ricoprire l'intera
estensione, per un totale di 7 gruppi di 6
note parzialmente sovrapposti l'uno
all'altro. Il sistema costituiva un utile
espediente didattico in grado di offrire ai
cantori punti di riferimento, in particolare
per l'intonazione del semitono.

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