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Padovanews

La peste nera del XIV secolo


Inviato da Gaspare Armato
27-07-2009

di Gaspare Armato Oggigiorno si parla di malattie rare e curiose, incurabili, malattie che potrebbero decimare la
popolazione mondiale. Se il presente ci appare inquieto, il futuro ci viene disegnato con colori davvero neri e bui, ma la
capacità di sopravvivenza dell'essere umano è ben forte, la medicina oggi ha fatto passi da gigante, abbiamo più possibilità
di curarci di una volta. Se curiosiamo nella Storia, troviamo che la nostra umanità è stata, quasi periodicamente, colpita da
tali eventi, come quello del 1300. La "morte nera" che martellò Europa nel XIV secolo fu davvero impressionante, alcuni
calcoli dicono che la popolazione si ridusse di circa 50 milioni, mentre altri parlano di 25-30 milioni; la gente emigrò dalle
città alle campagne; i prezzi dei prodotti agricoli aumentarono a dismisura; la manodopera scarseggiò. Ma andiamo con
ordine e diamo un quadro generale.

Nell'estate del 1347, una nave proveniente dalla colonia genovese di Caffa (l'odierna Teodosia in Ucraina) seminò
l'infermità dapprima a Costantinopoli e poi a Messina, porti dove era approdata. Da qui si diffuse in Siria, Egitto, Italia,
Francia mietendo vittime in tutta Europa. L'epidemia sembra essere stata portata dai topi e trasmessa alle pulci e di
conseguenza agli uomini. La vera origine era stata l'Asia centrale, le steppe.

La pandemia si ripeté varie volte: una prima negli anni 1347-1350, poi seguì un ciclo che colpì dal 1360 al 1390, e per
finire un terzo dal 1397 al 1402, insomma, tutta la seconda metà del XIV sec. fu una triste epoca.

I medici del tempo, trovandosi di fronte un qualcosa di nuovo e non sapendo come agire, consigliavano stare in
campagna, all'aria aperta, in luoghi non colpiti dall'infermità, stare lontano dai malati. Raccomandavano lavarsi le mani, il
naso, il collo, la bocca con aceto e acqua rosata, tenere in bocca due chiodi di garofano. Non bisognava avvicinarsi
all'ammalato, in quanto il semplice contatto era mortale. Coloro i quali restavano in città dovevano aprire le finestre per
cambiare l'aria, lavare spesso i vestiti, utilizzare la massima igiene.

Bisogna pur ricordare che nelle città europee del 1300 la presenza di fogne e di immondezzai a cielo aperto era
consuetudine, e ciò favoriva la diffusione del contagio.

Si moriva quasi subito. Al malato si gonfiavano le ascelle, l'inguine, macchie nere si sviluppavano nel corpo, se si
superava il decimo giorno si poteva avere la fortuna di sopravvivere. Accadeva che il padre lasciasse i figli, il marito la
moglie, il fratello la sorella, ognuno scappava, si rifugiava lontano dai luoghi colpiti dal morbo. Lo stesso Petrarca, per
esempio, si ritirò in un luogo isolato. I ricchi erano seppelliti con cerimonie religiose, mentre i poveri spesso in buche
comuni, senza l'estrema unzione, riservata solo ai nobili e ai potenti.

Boccaccio scrisse nel suo famoso Decameron:

"E lasciamo stare che l'uno cittadino l'altro schifasse e quasi niuno vicino avesse dell'altro cura e i parenti insieme rade
volte o non mai si visitassero e di lontano: era con sì fatto spavento questa tribulazione entrata né petti degli uomini e
delle donne, che l'un fratello l'altro abbandonava e il zio il nipote e la sorella il fratello e spesse volte la donna il suo
marito; e (che maggior cosa è e quasi non credibile), li padri e le madri i figliuoli, quasi loro non fossero, di visitare e di
servire schifavano."

I governanti presero, o cercarono di prendere, provvedimenti per arginare la "morte nera". Pistoia vietò agli abitanti di
uscire dal paese per recarsi a Lucca o a Pisa, e per chi infrangeva la legge c'era una pena pecuniaria di cinquecento lire.
Si stabilì inoltre che i morti dovevano essere portati fuori le mura in casse inchiodate. Nel marzo 1348 a Venezia si
nominarono tre funzionari delegati di controllare la sanità. A Firenze, nell'aprile dello stesso anno, alcuni ufficiali furono
incaricati di sorvegliare i mercanti e i mercati, nonché la rivendita d'indumenti appartenenti ai morti di peste. A Ragusa si
decretò che le navi provenienti da Genova e Venezia stessero in quarantena. Medesima cosa a Venezia, dove fra l'altro si
crearono "lazzaretti" in zone isolate.

Eppure malgrado queste precauzioni, Firenze ebbe oltre 45.000 morti, Siena circa 37.000: la violenza dell'epidemia lasciò
sgomenti i testimoni dell'epoca.

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Il mercante e scrittore Giovanni Morelli così la descriveva:

"Negli anni di Cristo 1348 fu nella città di Firenze una grande mortalità di persone umane le quali morivano di male
pestilenziale (...) E venne la cosa a tanto, che molti ne morivano pella via e su pelle panche, come abbandonati, senza
aiuto o conforto di persona (...). Ora, come voi avete in parte veduto e potuto comprendere, la moria fu inistimabile, e
dicesi, e così fu di certo, che nella nostra città morirono i due terzi delle persone; ché era istimato che in Firenze avesse in
quel tempo 120 mila anime, che ne morirono, cioè de' corpi, ottantamila. Pensate se fu fracasso!".

Un fatto curioso avvenne in Germania - ma non solo lì - : gruppi di penitenti, giacché la peste fu vista come flagello
divino, come espiazione di colpe, vagarono fra il 1348 e il 1349 da una città all'altra e una volta raggiunta la loro meta si
autoflagellavano con fruste aventi punte metalliche. Dicevano che per trentatré giorni e mezzo dovevano eseguire
questa pratica, giorni che corrispondevano agli anni vissuti da Cristo. Il movimento dei "flagellanti" ebbe un grande
consenso popolare; i partecipanti erano uomini, essendo le donne severamente escluse. La Chiesa cattolica autorizzò
disperdere queste manifestazioni con la forza, accusandoli di eresia, convinta anche dal fatto che la "peste nera" era una
punizione divina, punizione che colpiva coloro i quali si concedevano alla lussuria, al peccato, all'immoralità. Nello stesso
tempo si diffuse una corrente contraria che riteneva che, siccome la malattia colpiva indiscriminatamente, era meglio
vivere sfrenatamente.

L'Europa, dunque, percossa e fustigata fu messa in ginocchio, solo nel 1400 cominciò a riprendersi, poco a poco, con
sacrifici, con forza, con volontà.

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