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Corriere della Sera, 28 juillet 2001

 LEONE X Il Papa che perdonò in cambio di denaro


Andava in giro con una torma di musicanti, ciarlatani e poeti. Il suo atteggiamento
spinse Lutero alla ribellione

di Stella Gian Antonio

I GIALLI DELLA STORIA Nel 1517 Giovanni de' Medici scoprì un complotto di alcuni
cardinali per avvelenarlo. E colse anche questa occasione per far soldi LEONE X Il Papa
che perdonò in cambio di denaro di GIAN ANTONIO STELLA «E tengo certo e vero / ch
e se il viver ancor li era concesso / vendeva Roma, Cristo e poi se stesso». Non ci andò
leggero, l' anonimo autore di pasquinate che dedicò un feroce omaggio alla morte di Leone
X, il più avido e spendaccione di tutti i papi. Era il primo dicembre d el 1521, aveva solo 46
anni ed era così poco amato che mezza Roma fu pronta a giurare fosse morto avvelenato.
Tesi rafforzata dall' arresto del coppiere, certo Bernabò Malaspina, prima che lassù
decidessero di negare l' autopsia chiesta dal maestro d elle cerimonie di corte e di metterci
una pietra (sepolcrale) sopra. Il vero «giallo del veleno», quello che avrebbe intrigato per
secoli gli storici da Francesco Guicciardini a Ludwig Von Pastor e giù giù fino ai nostri
giorni, era stato un altro. E aveva in realtà sconvolto la Chiesa quattro anni prima, nel 1517,
quando i servizi segreti pontifici avevano intercettato una lettera della fitta corrispondenza
tra Alfonso Petrucci, un giovane e ambizioso cardinale non ancora trentenne, e il suo se
gretario e maggiordomo Marc' Antonio Nino nella quale... Ma partiamo dall' inizio.
Giovanni de' Medici, secondogenito di Lorenzo il Magnifico, fatto protonotaro apostolico a
sette anni e cardinale a tredici, viene eletto papa con il nome di Leone X, nel 1513. Ha
trentotto anni, non è mai stato prete (per incoronarlo saranno costretti a rinviare di un po' di
giorni la cerimonia per una frettolosa ordinazione sacerdotale), è immensamente grasso,
sudaticcio, malfermo di salute, mezzo cieco, forse u n po' sodomita e dotato dalla sorte di
mani piccolissime inversamente proporzionali alle manie spropositate di «grandeur». Dice
la storia dell' arte che in otto anni di regno lascerà un segno tale, grazie alle opere
commissionate a Raffaello e al Bra mante e all' ampliamento della biblioteca Vaticana e
alla protezione accordata ai letterati del tempo, da segnare forse l' apogeo del Rinascimento.
Dice la storia della Chiesa, per contro, che per questo mecenatismo fece pagare al mondo
cattolico che guidava un prezzo spaventoso. Sia sotto il profilo finanziario, sia soprattutto
sotto quello religioso. Amante della bella vita, racconta Claudio Rendina nel suo Pasquino
statua parlante, aveva debuttato nelle vesti di Babbo Santo così: «Godiamoci i l papato,
poiché Dio ce l' ha dato». La città, scriveva Gregorovius, «era tutta un grande teatro e il
papa sembrava il "tribunus voluptatum" dei romani, quando si mostrava in Vaticano
attorniato da una torma di musicanti, attori, ciarlatani, poeti, a rtisti, cortigiani e parassiti».
Andava a caccia col falco alla Magliana «traendosi dietro mute di cani e pesanti bagagli e
schiere di servi e il seguito di cardinali e degli oratori stranieri e l' allegro sciame dei poeti
di Roma». E dava feste, com e quella in cui Giulio Simone Siculo gli dedicò un balordo
carme latino di 400 esametri, con banchetti trimalcionici da 67 portate più gli antipasti e i
dolci. E incoronava per diletto il Baraballo, un poeta da strapazzo, «Archipoeta e
Archiarchitett o e Archimusico e Archiamatore e Archilirista e Archigeometra e
Architutto». E lo faceva sfilare trionfante sull' «Archibestia», un elefante indiano di nome
Annone, avuto in dono dal re del Portogallo e ironicamente cantato dal Machiavelli e assai
me no ironicamente destinato il giorno della morte da Leone, che lo adorava, a un funerale
grandioso manco fosse un cristiano. Così costosa era, la vita che conduceva tenendosi
accanto buffoni famelici come fra Mariano Fetti, «capace d' ingoiare in un s ol boccone un
piccione in umido, divorare venti capponi e trangugiare quattrocento uova», che quando
salì al Creatore, un libello citato da Paul Larivaille rinfacciò a Leone di aver «dilapidato tre
pontificati»: quello del predecessore Giulio II (che aveva lasciato nelle casse 700 mila
ducati), il proprio (nonostante le immense rendite di circa 400 mila ducati l' anno) e quello
del successore, Adriano VI, che si sarebbe ritrovato assediato dai creditori ereditando un
buco di 420 mila ducati. Il tutto nonostante il vorace Babbo Santo avesse incrementato le
entrate disciplinando il mercato delle indulgenze con l' oscena e celeberrima «Taxa
Camerae» che vendeva le licenze d' aprir bottega «sotto i portici delle chiese» o fissava l'
assoluzione agli assassini semplici per 15 libbre, 4 soldi, 3 denari e agli ecclesiastici che
avevan commesso «peccato contro natura» con una donna in 219 libbre e 3 soldi, con lo
sconto (131 libbre e 15 soldi) nel caso l' avessero fatto «con bambini o bestie e non con una
donna». Bastava perché qualcuno pensasse di liberarsi di un pontefice così inadeguato e
cieco da spingere Martin Lutero ad affiggere alla porta della chiesa di Wittenberg le sue 95
tesi? Eppure, proprio in quel 1517 della rivolta luteran a, un complotto tentò sì di uccidere
Leone, ma per motivi abissalmente diversi. Tutto nacque da una prepotenza del papa, che
aveva appoggiato la cacciata da Siena del fratello del cardinal Petrucci, Borghese.
«Consunto da un odio selvaggio», scrive V on Pastor, il bollente Alfonso avrebbe voluto
chiuderla secondo il Guicciardini con una bella coltellata, ma... Troppi rischi, troppo
scandalo. Ideò così un sistema più sottile e perfido. E prese a premere sul Babbo Santo
perché assumesse come medico un luminare dell' epoca, Battista da Vercelli. Il quale,
giunto al capezzale del malato, avrebbe dovuto spruzzare del veleno mortale nella dolorosa
fistola che, senza rispetto, aveva colpito il papa proprio lì, alle chiappe. Un piano così
macchinoso che andò talmente per le lunghe da spingere Leone a insospettirsi per tanta
insistenza. Finché Petrucci non ritenne più prudente allontanarsi da Roma per accasarsi in
una tenuta dei Colonna. Da dove continuò a tempestare il segretario e i complici c on una
corrispondenza così fitta che infine, galeotta, una lettera non fu intercettata. Furono arrestati
tutti: il cardinale vendicativo (attirato a Roma con un salvacondotto-trappola firmato di suo
pugno dal papa e subito stracciato: «Non c' è salva condotto che valga per gli
avvelenatori»), il suo segretario, un servo ebete chiamato «Pocointesta», il medico e tre
cardinali: Adriano Castellesi, cui un mago aveva predetto che sarebbe salito al soglio di
Pietro, il ricchissimo Pietro Riario e l' a mico di Petrucci, Bandinello Sauli. Il processo fu
affidato a Mario De Perusco, che l' anno dopo la morte del pontefice, guarda coincidenza,
sarebbe morto assassinato. Giudizio svelto e implacabile. Sulla carta. Leone X era infatti
troppo ingordo di soldi. E finì così: Alfonso Petrucci fu strangolato (pare) a Castel Sant'
Angelo, «Pocointesta» impiccato, il segretario e il medico appesi e squartati. Ma ai tre
cardinali che avevano tentato d' ucciderlo il papa concesse la grazia. Facendosela paga re
25 mila ducati a testa da Sauli e Castellesi (che morto il papa sarebbe stato poi
misteriosamente ammazzato mentre tornava a Roma per il conclave) e 150 mila (più altri
150 mila di cauzion

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