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PASQUINATE CONTRO I CARDINALI

RIUNITI IN CONCLAVE DOPO LA MORTE DI INNOCENZO XI

Il 12 agosto 1689 moriva fra il compianto universale del mondo


cattolico l'esimio Pontefice Innocenzo XI, che era stato uno dei pi
gloriosi Apostoli della Cristianit per le eccezionali virt e la pro-
fonda dottrina.
Cattolici e protestanti, principi della Chiesa e laici furono con-
cordi nel giudicarlo degno d'essere paragonato a Gregorio VII e a Inno-
cenzo III, a Gregorio Magno ed a Pio V, e chi ne esalt la parsimonia,
chi la vita costantemente ritirata, il senso della dignit e della giu-
stizia, chi lo lod per avere avuto il coraggio di abolire il nepotismo,
d'instaurare la disciplina nel clero, di aver saputo resistere con fie-
rezza alle illecite ingerenze del Re Sole, e d'aver cooperato efficace-
mente alla liberazione di Vienna assalita dai Turchi.
La Chiesa, che per merito suo aveva acquistato tanto prestigio,
alla sua morte si trov sconcertata nella scelta di un successore de-
gno di lui, ed il conclave fu abbastanza laborioso.
I cardinali presenti a Roma erano 52, cio : Cibo, O etoboni, Bar-
berini, Maidalchini, che erano stati eletti da Innocenzo X; Buillon,
Cerri e Acciaioli, che avevano avuto la porpora da Clemente IX. Da
Alessandro VII erano stati eletti Chigi, Bin, Franzoni, Altieri, Gre-
gorio Barbarigo, Conti, Giulio Spinola, Delfino; da Clemente X: Car-
pegna, D'Estres, Bonsi, Orsini, Colonna, Nerli, , Casanata, Marescotti,
Spada e Norfolh. Gli altri 27 erano stati elevati alla porpora dal Papa
defunto, ed erano : G. B. Spinola, Pignatelli, Buonvisi, Mellini, Vi-
sconti, Capizucchi, Brancati, De Angelis, Pallavicini, Antonio Barba-
rigo, , Ciceri, Kollonitsch, Sacchetti, Petrucci, Fiirstenberg, Dbnoff, Agni-
ne, ,Colloredo, , Carata, Ginetti, Panfili, Corsi, Negroni, Astalli, 'Cava-
lieri, Medici ed Este.
Ben 45 erano italiani, di cui 17 dello Stato Pontificio, 6 della Re-
pubblica di Genova, 7 della Toscana, 5 della Repubblica di Venezia.
Il partito pi forte era quello dei cardinali eletti da Innocenzo XI,
ma poich questi aveva governato senza il cardinale nipote, mancava

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di un capo; inoltre non era compatto, perch in essi vi era un gruppo
a parte, detto dei zelanti , che secondo lo spirito d'Innocenzo vo-
leva eleggere al soldo papale il pi degno, senza tenere alcun riguar-
do ad interessi politici o ad influenze di sovrani.
Essi erano i cardinali: Ottoboni, Carafa, Casanato, Colloredo,
Barbarigo, il giovane Nerli, Ciceri e Pignatelli.
I cardinali appartenenti alle famiglie pi antiche e autorevoli di
Roma: Chigi e Altieri, si riunirono con Panfili, Astalli e Medici, che,
come rappresentanti dell'Imperatore e Re di Spagna, si tirarono ap-
presso Kollonitsch e Agnine. Il D'Estres, che era plenipotenziario del
re di Francia, era seguito d Maidalchini, Boudillon, Bursi e
stenberg.
A causa della guerra, che allora travagliava mezza Europa, la
posizione che avrebbe assunto il nuovo Papa, era d'importanza no-
tevole, e perci le grandi potenze si dettero molto da fare per influire
sulla sua elezione. Oltre ai cardinali che parteggiavano per i propri
Re, c'erano gli ambasciatori accreditati presso il Vaticano, e dei messi
speciali inviati dai potenti d'Europa come ministri straordinari per
tramare a favore dei propri sovrani.
Quindi il 'conclave si presentava lungo e laborioso, e non si pre-
vedeva quale dei candidati dovesse trionfare.
Noi in questo saggio non vogliamo occuparci delle peripezie del
conclave, dal quale, dopo varii scrutini ed accomodamenti usc eletto
il cardinale Pietro Ottoboni, che prese il nome di Alessandro VIII,
sibbene intendiamo far conoscere attraverso la poesia popolare quale
opinione i singoli cardinali godessero nell'estimazione pubblica.
Le satire e le pasquinate in Roma non erano un fenomeno nuo-
vo, perch da vari secoli, come abbiamo dimostrato in un apposito
volume, Pasquino e Marforio, che si consideravano i genuini rappre-
sentanti del 'pensiero dei 'Romani, avevano punzecchiato Papi e por-
porati, dame influenti in Vaticano e famiglie ,principesche, che spa-
droneggiavano nell'Urbe.
.Si pu dire che nessun fatto importante della vita cittadina,
nessun episodio accaduto nella corte pontificia, nessun personaggio
di una certa levatura fosse esente da frizzi pi o meno mordaci di
poeti anonimi, i quali scoprivano certi altarini, rivelavano situazioni
segrete, gettavano lo scredito o il ridicolo su istituzioni mondane,
si beffavano di ruffiani e di manutengoli, che vivevano all'ombra della
Curia Pontificia.
Ma del periodo agitato, che rappresent il conclave di cui ci oc-
cupiamo, abbiamo una copiosa messe poetica, che forse non si ebbe
in nessun'altra epoca della storia della Chiesa, e che lumeggia uomi-
ni e cose meglio di altri documenti. Nella Biblioteca Nazionale di
Roma, fra i manoscritti appartenenti al fondo Vittorio Emanuele II;

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v' un piccolo codice, legato in pelle, che porta il numero 302;
scritto in doppia colonna, tranne nei brani in prosa, e pare sia do-
vuto ad un dottore, il quale bazzicava in Vaticano, e conosceva per-
sonaggi e pettegolezzi ignoti ai pi.
Difatti, se leva inni alla Santit di Innocenzo XI, non risparmia
le sue frecciate contro quasi tutti i cardinali, di cui pare che cono-
scesse vita e miracoli; di ciascuno rivela i pochi pregi ed i molti di-
fetti, e di questo freccia l'avarizia, di quello la cupidigia, di uno
colpisce gli intrighi, di un altro la malignit, di un terzo il nepotismo,
di un quarto la vanit e via di seguito. Egli scaglia i suoi strali
senza ambagi, e accenna a fatti specifici, ad episodi di cui era ben
informato, a ruffianamenti di dame che bazzicavano nella corte, ad
immoralit di gabellieri, che se la intendevano con porporati, a truffe
che si perpetravano a danno dell'erario.
Nella sua satira mordace non risparmiava nessuno, anche se
apparteneva alle famiglie pi potenti, e vuol atteggiarsi a vindice del
popolo, che vedeva trascurate le cose di Dio, calpestata la giustizia,
dimenticata la fede, oppressi i buoni e ispogliati da mille vampiri.
Il poeta chiama spesso le sue poesie calascionate , ma alcune si
elevano per tono solenne e qualche volta apocalittico. Qui assume
l'aria di Catone e sferza i pravi costumi dei cardinali pi ambiziosi
ed avari, l vitupera l'ingordigia insaziabile di altri, che erano intenti
solo ad innalzare le proprie famiglie o ad accumulare ricchezze. Ora
rileva intrighi di cortigiani e sperperi di amministratori, ora fa cono-
scere manovre politiche e scandali indegni. La maggior parte dei
componimenti sono sonetti, di cui parecchi sono caudati, ma non
mancano le canzoni, le filastrocche, i canti dialogati tra Pasquino e
Marforio, le ottave e i madrigali.
L'autore ha vena poetica fluida e vivace; i suoi versi non rivelano
alcuno 'sforzo, ma scorrono facili e spontanei. Sono quasi tutti ende-
casillabi, distribuiti in quartine, raramente in ottave; poche volte
adoperato il settenario o l'ottonario. Egli doveva essere abbastanza
colto, perch oltre a parafrasare versi di grandi autori, specialmente
del Petrarca, e a saperli adattare alle qualit dei singoli iporporati
che prese a frizzare, scrisse in latino epitafi satirici, motti dialogati
con reminescenze bibliche o classiche.
La scrittura del codice minutissima, spesso spropositata ed il-
leggibile, e vi sono dei punti che non siamo riusciti a decifrare. Tut-
tavia il codice importante perch getta un fascio di luce sugli avve-
nimenti di Roma, specie del Vaticano, per oltre mezzo secolo.
Non possiamo affermare che quanto dica l'autore sia vero, e
non esagerato, se egli fu mosso da 'passione politica o da risenti-
menti personali; non dimeno dobbiamo ammettere che qualche cosa
rispondeva alla realt, e che il suo spirito bizzarro gli abbia suggerito

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spunti sarcastici per frecciare la corte pontificia, la. cui condotta non
era sempre irreprensibile.
In un lavoro del genere non possiamo trattare ampiamente del-
l'argomento, ma metteremo in luce quanto necessario per cono-
scere l'uomo e l'ambiente da lui preso di mira.
In un sonetto, che come l'epitaffio messo sul sepolcro d'Inno-
cenzo die:

Qui chiusa l'innocenza, e cos resta


Del monarca latino orfano il soglio,
E nella luttuosa atra tempesta,
Quasi al legno di Pier quest'urna scoglio.
Spent' il nocchier che rintuzz l'orgoglio
Fiero dell'onda rapida e molesta,
E (port l'or qual militar convoglio
Contro l'Affrica (sic) avversa e l'Asia infesta.
Lagrima sulla tomba unito insieme
Tutto l'orbe credente hoggi, ch'ha visto
Sotto un sasso lugubre ogni sua .speme.
Correa il prode guerrier al grand'acquisto,
Ma quest'urna (fatal, ch'hora lo preme
Toglie al popol fedel l'urna di Christo.

Nel seguente sonetto il poeta mette in bocca al Santo Padre l'a-


zione da lui svolta:

Dal ciel eletto e dalla terra atteso


Gran Romano pastor giunsi alla greggia,
Purgai l'ovile, lo montenni illeso
E d'oro empiei l'impoverita reggia.
S'io presi a scior la preminenza reggia,
Pi forte fui quando fui conteso
Con la carne e col sangue amabil peso,
Mostrai ci ch'un re saggio oprar deggia.
L'Europa liberai premendo il trace
E dell'empio Macon tolsi gli artigli
Con il popol fedel la f verace.
Molto ancor contro gl'empi, e a pro' de' figli,
Oprato havrei, ma tentator di pace,
Angue letal m'insidi tra gigli.

In un sonetto, che pu considerarsi introduzione, l'autore si volge


al Cardinale Governatore per dire che un dottore e un galantuomo,
amante della giustizia e della verit, e se colpa riconosce in lui,
quella di non dire tutto quello che dovrebbe contro i birboni, da cui

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avvilita la Chiesa. Afferma di non meritare biasimi e punizioni, per-
ch conosce virt e vizi ,di Papi e di 'porporati.
In un sonetto intitolato per il Conclave esprime il desiderio di
tutti i savi di avere un Papa onesto, imparziale e indipendente da
influenze straniere, e dice:

S'havessi a fare il Papa a modo mio,


Qualcuno de signori cardinali,
Nel vedere che son qui tanti e tali
Io mi trovo intrigato a ife' di Dio.
Vorrei a. prima vista uno santo e pio,
Ma questi a governar non son stivali,
Vorrei un che a far gratie havesse l'ali,
Vorrei un che a far mal fosse restio.
Vorrei che della Chiesa sostenesse
Il decoro col zel, ma non capone,
Di perder tutto a rischio si mettesse.'
Vorrei che si muovesse alla ragione
Vorrei che di piet viscere havesse,
Voglio in sostanza che non sia 'birbone.

Era un'aspirazione santa e giusta, che doveva trovare il consenso


ed il plauso di tutti i buoni, i quali volevano affidato il trono pon-
tificio a persone ,degne, che ne elevassero il prestigio e la dignit.
Dopo un periodo cos prospero e felice della Chiesa il voto dei Ro-
mani era quello di avere un Papa il quale sapesse battere la via
tracciata da Innocenzo XI, ma pur troppo, secondo il nostro poeta,
nessuno dei porporati ispirava tale ,fiducia.
Lo afferma nel seguente sonetto :

Voglion Papa Visconti i Scarpinelli,


E Giannetti von quasi delle stampelle,
Voglion gli astrologhi Altier perch ha le stelle
e Becchi l'ospitai ,degl'Orfanelli.
I maccheron von Papa Pignatelli,
, Ciceri la busecca e le ciambelle
Angeli e Cicchi, Orsini e scudelle
E Maidalchin la broda de lardelli.
I buffoni Lauria, Colonna i pazzi,
Colloredo e Petrucci i bacchettoni,
Carpegna non lo von manco i ragazzi.
Vorria Papa Bologna il suo Negroni,
e i genovesi vogliono Durazzi,
Tutti Papi sarian dei miei c...

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Come si vede, per il nostro poeta nessuno dei candidati che pas-
savano per la maggiore, meritava d'assurgere al trono pontificio. Lo
stesso conferma in tono scherzoso nel seguente sonetto :

Non fate, amici, i Conti senza l'oste,


N Cibo senza fame mai prendete,
N uno Zoppo che ha in Fermo parente,
Che giunga al trono a salti o per le porte.
Ombre nocive e sterili risposte
Dal Cerro annoso e dal Carpineo havrete,
E tardi alfin d'un Lauro proverete
Di qual sugo le fronde sian composte.
Capo di Zucca no, n capo Altiero
Sieda lass, che nel . superno scanno.
Simulacri d'Acciaro unqua sedero.
Non d'Angeli ma 'd'homini si fanno
I Papi, e le gran chiavi di San Pietro
A Chi girarsele sa solo si danno.

Il poeta ha saputo trovare nel nome dei principali aspiranti alla


tiara un motivo per scherzare sul loro valore morale e serafico, e men-
tre in varie altre rime satireggia la condotta del cardinale Chigi,
in questa lo giudica l'unico meritevole di tale onore.
Nel seguente sonetto caudato sono espressi i desideri che hanno i
diversi ordini ecclesiastici e politici circa la scelta del nuovo Pontefice :

Vuole ogni uom che Papa il suo rieschi,


Propongon Ottobuono i dotti e i boni,
Spagna Conti, Carpegna i Romaneschi,
E i bolognesi acclamano Negroni.
Stanno con Cbo i Francesi, e stanno freschi,
E Ciceri l'eroe de' lumaconi,
Capizucchi vorrebbero i tedeschi,
I teologi Bichi, o pur Franzoni,
Stanno Ginnetti e De Angelis divisi,
San Sisto ha i voti, Medici, Ranucci
E vuol la Serenissima Buonvisi.
Lauria vonno i profeti et i cappucci,
Con Marescotti han genio i circoncisi,
Ma il voto di Grenoble per Petrucci.
Son per tutti ciucci,
Perch quello che vuol Domine Dio,
Non lo sanno alla fe' loro, n io.

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Nella seguente calascionata l'autore ne dice di cotte e di crude ai
porporati pi in vista; ogni strofa termina col ritornello : Dunque que-
sto si dia pace:

Quanti fan castelli in aria


Per creare il Papa nuovo,
Fra' papabili io ne trovo
Molti ch'han sorte contraria,
Quanti fan castelli in aria.

Cominciando dal decano


Che i segreti ha dello Stato,
Ognun dice : ha assassinato
Tutto il popolo romano,
E un politico non crede
Che posar vi possa il piede
Una man cos rapace,
Dunque questo si dia pace.

D'Ottobono il venetiano,
Ch' un estratto di politica,
Dice certa gente critica
Non andr nel Vaticano,
Poich Pietro da lontano
Lasciar vuole quel briccone
Per un huomo pi verace,
Dunque
Anche Altieri il poverino
Hoggi entrato in gestatione,
E pretende quel nasone
Di tornare su nel quirino,
E perci savio (?) Mallino
Fu mandato Nunzio in Spagna,
Ma scoperta la magagna
Del francese pi sagace,
Dunque
Conti, s'io v'ho dire il vero,
Egli un buon senza eccetione,
E venendo al paragone,
Egli giusto e veritiero,
Ma la turba de' parenti
E' stimata dalle genti
Una turba assai vorace.
Dunque

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Acciaioli il fiorentino
Lo von Papa pur i ragazzi
,Che il fratello coi pupazzi
Sa ben fare il truffaldino,
Sol s'esclude un tal Bernino
Perch Pippi gli ha orbati
Li vestiti con l'Olgiati
Nel teatro della pace
Dunque

Cerri poi che viene tacciato


Per quel che ciascun dice
D'una dama meretrice
Con la qual' fa mercato,
Non dev'esser annoverato
Dove il buon antecessore
Hebbe questo in grande dolore.
Attraendo ogni seguace
Dunque

Mariscotti ancor si crede


D'esser presto al papato,
Per haversi a lui mostrato
Saggio il mondo, e non s'avvede
che gli e
falsa tale fede,
Mentre a niuno lui caro,
E lo stimano un avaro
E di genio molto audace,
Dunque

Sol richiesto Maidalchino


Dalle vaghe donne e belle
Per parare le mammelle
Di coprire e il gomitino,
e portan lo scaffino
E il galone che s'usa in testa
E scortare ancor la testa,
Del che a lui nulla dispiace
Dunque

Il poeta mostra di conoscere la magagne dei diversi aspiranti al


papato, e spiega perch nessuno di essi merita l'alto onore.
Nelle seguenti terzine sono espresse le aspirazioni del popolo ro-
mano, che desidera un papa saggio, liberale e giusto, il quale faccia
cessare gli abusi e le prepotenze delle arpie che sgovernavano. Ad ogni

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strofa segue un versetto del Pater noster ben appropriato al concetto
in essa espresso :

Che si elegga un pastor di santo zelo,


Che retto sia con puro cor bramiamo,
Prostrati al suol con humilt preghiamo
Pater Noster,
Poich li porporati ogn'un vano
Con pretesti, promesse e con chimere
Se ne stanno tutto il d senza teme
Qui es in coelis.
Ciascun di lor con la corona in mano
Per esser vincitore di s gran gesta
Facendo il bacchetton sempre si mostra
Santificetur.
Si sente dir per tutto quanto il mondo
Che voglion chiusi star sin 'a vendemia,
E percio v' pi d'uno che bestemia
Nomen tuum.
Li poverelli ognor rivolti al cielo
Con ferventi preghiere annesse al canto
Van intonando al Paradiso Santo
Adveniat
S gran tardanza, o Dio, e par, vero
Mostra di poca f verace inditio
Et apporta non poco pregiuditio
Regnum tuum.
Gran Rettore del ciel, Rege supremo,
Che del mal governar scorgi l'asprezza
Un santo e buon pastor con gran prestezza
Fiat.
Se per punir, permetti, il nostro orgoglio
Ch'abbino li fornari a' assassinare
Questo creder non vu chi voglia fare
Voluntas tua.
S, languiscono di farne i poverelli
E son pel peggio fare, e ancor fanno
E venditor con i corsin che stanno
Sicut in coelo.
Perci, Gran Facitor dell'universo
Ti suplichiam con l'Anima prostrata
Che tramandi dall'etra qualche occhiata
Et in terra.

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Gi sai quello che foro gli Ottoboni
Or vedi quel che fanno i Presidenti,
Ch'osan rosicar coi loro denti
Panem nostrum
Se il Papa non si fa tra pochi giorni,
Chi d'Annona e di Grascia tien l'affitto,
Proseguir del ratto l'esercitio
Quotidianum.
Ordunque, Onnipotente Facitore,
Per liberarci da s gran male
Un Pontefice giusto e liberale
Da nobis hodie.
E perch li peccati acerbi e gravi
Ti chiaman a castigar il nostro errore,
Ora ti supplichi= con tutto il core,
Dimitte nobis.
Tantali tutti siamo diventati
Poich si vede, e non si puoi toccare
E si pena e si stenta e convien fare
Debita nostra.
Signor, fa che costor tant'impinguati,
Che ci fanno penar per far dell'oro
Habbin parte de' guai ancor loro
Sicut et nos.
Non so quando sar quel giornO lieto
Che a' nostri creditor sentirem dire
E con voci di pace proferire
Dimittimus.
Anzi se vaca pi la Santa Sede,
E non tramandi a noi gratie e favori,
Ogni d diverran sempre maggiori
Debitoribus nostris.
Deh sospendi per noi s gran castigo,
Bench sia premio degno al gran peccatore
E in mani avvezze a sempre mai rubare
Et ne nos inducas.
Non giunga gi a regnar echi mal governa,
Poich dopo il patir a mille i guai,
Mormorando si giunge sempre mai,
In tentatione.

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