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di un capo; inoltre non era compatto, perch in essi vi era un gruppo
a parte, detto dei zelanti , che secondo lo spirito d'Innocenzo vo-
leva eleggere al soldo papale il pi degno, senza tenere alcun riguar-
do ad interessi politici o ad influenze di sovrani.
Essi erano i cardinali: Ottoboni, Carafa, Casanato, Colloredo,
Barbarigo, il giovane Nerli, Ciceri e Pignatelli.
I cardinali appartenenti alle famiglie pi antiche e autorevoli di
Roma: Chigi e Altieri, si riunirono con Panfili, Astalli e Medici, che,
come rappresentanti dell'Imperatore e Re di Spagna, si tirarono ap-
presso Kollonitsch e Agnine. Il D'Estres, che era plenipotenziario del
re di Francia, era seguito d Maidalchini, Boudillon, Bursi e
stenberg.
A causa della guerra, che allora travagliava mezza Europa, la
posizione che avrebbe assunto il nuovo Papa, era d'importanza no-
tevole, e perci le grandi potenze si dettero molto da fare per influire
sulla sua elezione. Oltre ai cardinali che parteggiavano per i propri
Re, c'erano gli ambasciatori accreditati presso il Vaticano, e dei messi
speciali inviati dai potenti d'Europa come ministri straordinari per
tramare a favore dei propri sovrani.
Quindi il 'conclave si presentava lungo e laborioso, e non si pre-
vedeva quale dei candidati dovesse trionfare.
Noi in questo saggio non vogliamo occuparci delle peripezie del
conclave, dal quale, dopo varii scrutini ed accomodamenti usc eletto
il cardinale Pietro Ottoboni, che prese il nome di Alessandro VIII,
sibbene intendiamo far conoscere attraverso la poesia popolare quale
opinione i singoli cardinali godessero nell'estimazione pubblica.
Le satire e le pasquinate in Roma non erano un fenomeno nuo-
vo, perch da vari secoli, come abbiamo dimostrato in un apposito
volume, Pasquino e Marforio, che si consideravano i genuini rappre-
sentanti del 'pensiero dei 'Romani, avevano punzecchiato Papi e por-
porati, dame influenti in Vaticano e famiglie ,principesche, che spa-
droneggiavano nell'Urbe.
.Si pu dire che nessun fatto importante della vita cittadina,
nessun episodio accaduto nella corte pontificia, nessun personaggio
di una certa levatura fosse esente da frizzi pi o meno mordaci di
poeti anonimi, i quali scoprivano certi altarini, rivelavano situazioni
segrete, gettavano lo scredito o il ridicolo su istituzioni mondane,
si beffavano di ruffiani e di manutengoli, che vivevano all'ombra della
Curia Pontificia.
Ma del periodo agitato, che rappresent il conclave di cui ci oc-
cupiamo, abbiamo una copiosa messe poetica, che forse non si ebbe
in nessun'altra epoca della storia della Chiesa, e che lumeggia uomi-
ni e cose meglio di altri documenti. Nella Biblioteca Nazionale di
Roma, fra i manoscritti appartenenti al fondo Vittorio Emanuele II;
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v' un piccolo codice, legato in pelle, che porta il numero 302;
scritto in doppia colonna, tranne nei brani in prosa, e pare sia do-
vuto ad un dottore, il quale bazzicava in Vaticano, e conosceva per-
sonaggi e pettegolezzi ignoti ai pi.
Difatti, se leva inni alla Santit di Innocenzo XI, non risparmia
le sue frecciate contro quasi tutti i cardinali, di cui pare che cono-
scesse vita e miracoli; di ciascuno rivela i pochi pregi ed i molti di-
fetti, e di questo freccia l'avarizia, di quello la cupidigia, di uno
colpisce gli intrighi, di un altro la malignit, di un terzo il nepotismo,
di un quarto la vanit e via di seguito. Egli scaglia i suoi strali
senza ambagi, e accenna a fatti specifici, ad episodi di cui era ben
informato, a ruffianamenti di dame che bazzicavano nella corte, ad
immoralit di gabellieri, che se la intendevano con porporati, a truffe
che si perpetravano a danno dell'erario.
Nella sua satira mordace non risparmiava nessuno, anche se
apparteneva alle famiglie pi potenti, e vuol atteggiarsi a vindice del
popolo, che vedeva trascurate le cose di Dio, calpestata la giustizia,
dimenticata la fede, oppressi i buoni e ispogliati da mille vampiri.
Il poeta chiama spesso le sue poesie calascionate , ma alcune si
elevano per tono solenne e qualche volta apocalittico. Qui assume
l'aria di Catone e sferza i pravi costumi dei cardinali pi ambiziosi
ed avari, l vitupera l'ingordigia insaziabile di altri, che erano intenti
solo ad innalzare le proprie famiglie o ad accumulare ricchezze. Ora
rileva intrighi di cortigiani e sperperi di amministratori, ora fa cono-
scere manovre politiche e scandali indegni. La maggior parte dei
componimenti sono sonetti, di cui parecchi sono caudati, ma non
mancano le canzoni, le filastrocche, i canti dialogati tra Pasquino e
Marforio, le ottave e i madrigali.
L'autore ha vena poetica fluida e vivace; i suoi versi non rivelano
alcuno 'sforzo, ma scorrono facili e spontanei. Sono quasi tutti ende-
casillabi, distribuiti in quartine, raramente in ottave; poche volte
adoperato il settenario o l'ottonario. Egli doveva essere abbastanza
colto, perch oltre a parafrasare versi di grandi autori, specialmente
del Petrarca, e a saperli adattare alle qualit dei singoli iporporati
che prese a frizzare, scrisse in latino epitafi satirici, motti dialogati
con reminescenze bibliche o classiche.
La scrittura del codice minutissima, spesso spropositata ed il-
leggibile, e vi sono dei punti che non siamo riusciti a decifrare. Tut-
tavia il codice importante perch getta un fascio di luce sugli avve-
nimenti di Roma, specie del Vaticano, per oltre mezzo secolo.
Non possiamo affermare che quanto dica l'autore sia vero, e
non esagerato, se egli fu mosso da 'passione politica o da risenti-
menti personali; non dimeno dobbiamo ammettere che qualche cosa
rispondeva alla realt, e che il suo spirito bizzarro gli abbia suggerito
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spunti sarcastici per frecciare la corte pontificia, la. cui condotta non
era sempre irreprensibile.
In un lavoro del genere non possiamo trattare ampiamente del-
l'argomento, ma metteremo in luce quanto necessario per cono-
scere l'uomo e l'ambiente da lui preso di mira.
In un sonetto, che come l'epitaffio messo sul sepolcro d'Inno-
cenzo die:
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avvilita la Chiesa. Afferma di non meritare biasimi e punizioni, per-
ch conosce virt e vizi ,di Papi e di 'porporati.
In un sonetto intitolato per il Conclave esprime il desiderio di
tutti i savi di avere un Papa onesto, imparziale e indipendente da
influenze straniere, e dice:
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Come si vede, per il nostro poeta nessuno dei candidati che pas-
savano per la maggiore, meritava d'assurgere al trono pontificio. Lo
stesso conferma in tono scherzoso nel seguente sonetto :
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Nella seguente calascionata l'autore ne dice di cotte e di crude ai
porporati pi in vista; ogni strofa termina col ritornello : Dunque que-
sto si dia pace:
D'Ottobono il venetiano,
Ch' un estratto di politica,
Dice certa gente critica
Non andr nel Vaticano,
Poich Pietro da lontano
Lasciar vuole quel briccone
Per un huomo pi verace,
Dunque
Anche Altieri il poverino
Hoggi entrato in gestatione,
E pretende quel nasone
Di tornare su nel quirino,
E perci savio (?) Mallino
Fu mandato Nunzio in Spagna,
Ma scoperta la magagna
Del francese pi sagace,
Dunque
Conti, s'io v'ho dire il vero,
Egli un buon senza eccetione,
E venendo al paragone,
Egli giusto e veritiero,
Ma la turba de' parenti
E' stimata dalle genti
Una turba assai vorace.
Dunque
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Acciaioli il fiorentino
Lo von Papa pur i ragazzi
,Che il fratello coi pupazzi
Sa ben fare il truffaldino,
Sol s'esclude un tal Bernino
Perch Pippi gli ha orbati
Li vestiti con l'Olgiati
Nel teatro della pace
Dunque
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strofa segue un versetto del Pater noster ben appropriato al concetto
in essa espresso :
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Gi sai quello che foro gli Ottoboni
Or vedi quel che fanno i Presidenti,
Ch'osan rosicar coi loro denti
Panem nostrum
Se il Papa non si fa tra pochi giorni,
Chi d'Annona e di Grascia tien l'affitto,
Proseguir del ratto l'esercitio
Quotidianum.
Ordunque, Onnipotente Facitore,
Per liberarci da s gran male
Un Pontefice giusto e liberale
Da nobis hodie.
E perch li peccati acerbi e gravi
Ti chiaman a castigar il nostro errore,
Ora ti supplichi= con tutto il core,
Dimitte nobis.
Tantali tutti siamo diventati
Poich si vede, e non si puoi toccare
E si pena e si stenta e convien fare
Debita nostra.
Signor, fa che costor tant'impinguati,
Che ci fanno penar per far dell'oro
Habbin parte de' guai ancor loro
Sicut et nos.
Non so quando sar quel giornO lieto
Che a' nostri creditor sentirem dire
E con voci di pace proferire
Dimittimus.
Anzi se vaca pi la Santa Sede,
E non tramandi a noi gratie e favori,
Ogni d diverran sempre maggiori
Debitoribus nostris.
Deh sospendi per noi s gran castigo,
Bench sia premio degno al gran peccatore
E in mani avvezze a sempre mai rubare
Et ne nos inducas.
Non giunga gi a regnar echi mal governa,
Poich dopo il patir a mille i guai,
Mormorando si giunge sempre mai,
In tentatione.
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