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Nozioni Metrica Cardillo
Nozioni Metrica Cardillo
La bibliografia sullargomento molto vasta e, per i testi pi complessi, accessibile a specialisti; mi limito
a segnalare: Raffaello Spongano, Nozioni ed esempi di metrica italiana, Patron, Bologna 1966; Mario Fubini,
Metrica e poesia. Lezioni sulle forme metriche italiane. Dal Duecento al Petrarca. Vol. I, Feltrinelli, Milano
19753; Costanzo Di Girolamo, Teoria e prassi della versificazione, Il Mulino, Bologna 1976; Ladislao Galdi,
Introduzione alla stilistica italiana, Patron, Bologna 1984; W.Theodor Elwert, Versificazione italiana dalle
origini ai giorni nostri, Le Monnier, Firenze 19917; Aldo Menichetti, Metrica italiana, Antenore, Padova 1993;
Sandro Orlando, Manuale di metrica italiana, Bompiani, Milano 1994; Mario Pazzaglia, Manuale di metrica
italiana, Sansoni, Milano 1994; Francesco De Rosa-Giuseppe Sangirardi, Introduzione alla metrica italiana,
Sansoni, Milano 1996; Gabriella Sica, Scrivere in versi. Metrica e poesia, Pratiche Editrice, Parma 1996;
Giorgio Bertone, Breve dizionario di metrica italiana, Einaudi, Torino 1999; Antonio Pinchera, La metrica,
Bruno Mondadori, Milano 1999; Pier Vincenzo Mengaldo, Prima lezione di stilistica, Laterza, Bari 2001;
Pietro G. Beltrami, La metrica italiana, Il Mulino, Bologna 20024 (1a ed. Bologna 1991); Giuseppe Sangirardi,
Francesco De Rosa, Breve guida alla metrica italiana, Sansoni, Milano 2002.
1
Il termine verso (versus, da vertere, <<volgere, voltare, ritornare indietro>>) sta ad indicare un segmento di
scrittura che, obbedendo a determinate regole, si presenta visivamente sul foglio come uno o pi righi
spezzettati e frammentati, di varia lunghezza; al contrario della prosa (prosam [orationem], aggettivo
femminile di prosus, variante di prorsus, <<che va in linea retta>>) in cui i righi di scrittura sono continui e la
loro lunghezza determinata non dalle intenzioni dellautore ma dallo spazio della superficie scrittoria usata.
2
Le norme che regolano la versificazione non sono n tassative, come quelle grammaticali, n universali;
sono indicative di un modo di intendere da parte dei poeti la versificazione, modo che talvolta si discosta
dalla norma rientrando nella assoluta individualit del linguaggio poetico. Fubini scrive: <<Quello che importa
sempre tener presente che altro il metro dei trattatisti di metrica, altro il verso nella sua concretezza, la
cui vita data appunto dalla variet che il poeta porta nel suo discorso, variet che contrasta con lo schema
costante>> (Metrica e poesia cit., p. 29).
3
Metriche [techne] : la radice di tale termine metron, misura; il verso classico era costituito da pi
misure e da rapporti di misure studiati dalla metrica con il concorso della prosodia (prosodia, <<modulazione
della voce>>) che stabilisce la lunghezza delle sillabe, la loro quantit nel corpo delle parole. Nella metrica
moderna il termine prosodia si riferisce alle regole del verso legate alla fonetica, come accento, sillabismo,
rima ecc.
4
Nellaccostarsi alla metrica classica si tengano presenti i seguenti testi: Carlo Del Grande, La metrica
greca, SEI, Torino 1960; Armando Salvatore, Guida allo studio della civilt romana antica, diretta da
Vincenzo Ussani e Francesco Arnaldi, II edizione, vol. II, Istituto Editoriale del Mezzogiorno, Napoli 1961,
pp.247-271; M.Lenchantin De Gubernatis, Manuale di prosodia e metrica latina, Principato, Milano-Messina
1965; Carlo Del Grande, Elementi di metrica latina e cenni di ritmica e metrica greca, V edizione, Loffredo,
Napoli 1972; Bruno Snell, Metrica greca, La Nuova Italia, Scandicci 1997 rist.; Sandro Boldrini, La metrica
dei romani, Carocci, Roma 2000.
A. Cardillo
della lunghezza o della brevit delle sillabe da cui erano formate, anche nel rispetto di
esigenze musicali.
Si distingueva tra sillaba breve e sillaba lunga: convenzionalmente due tempi brevi
corrispondevano ad uno lungo. Sillabe brevi e/o lunghe, da sole o insieme, formavano una
unit metrica, il piede, costituito da due a quattro sillabe, con una parte accentata detta
tesi ed una parte debole detta arsi;5 il verso era formato da pi piedi nei quali lalternanza
di sillabe lunghe e sillabe brevi, opportunamente disposte, determinava una speciale
cadenza o modulazione detta ritmo.
Laccento ritmico, dunque, diversamente dallaccento tonico o grammaticale, segna
la maggiore intensit, ovvero il particolare rilievo che la voce conferisce ad una sillaba
rispetto alle altre. Esso non interessa la parola in quanto tale ma la cadenza che le sillabe
acquistano nel verso a seconda della loro lunghezza e posizione; laccento tonico o
grammaticale invece indica la caduta della voce allinterno di una parola su una
determinata sillaba.
La lettura piana dellesametro
Arma virumque cano, Troiae qui primus ab oris
(Eneide, I, 1)
segnata dalla cadenza della voce secondo laccento grammaticale di ogni parola; la
lettura metrica, cio secondo la caduta e il ritmo degli accenti metrici, evidenzia un
andamento ritmico a cadenza costante determinato da accenti non sempre coincidenti con
quelli tonici:
rma vi | rmque ca | n, || Troi | a qui | prmus ab | ris.
Questa diversit di accentazione delle parole di un verso a seconda della posizione
(o quantit) delle sillabe che le compongono spiega il significato di una versificazione
classica su base quantitativa, cio fondata sulla quantit delle sillabe e sul ritmo scandito
dallalternanza di sillabe lunghe e brevi.
La versificazione italiana ha seguito, come nelle altre lingue neolatine, levoluzione
del volgare, acquisendo una peculiarit fondamentalmente diversa da quella classica:
nella nostra poesia, infatti, definita accentuativa, gli accenti grammaticali e ritmici
normalmente coincidono; ci vuol dire che il verso consta di parole formate da un numero
di sillabe obbligato disposte in modo che laccento tonico determini il ritmo del verso.
Questi termini si possono incontrare riferiti ad una funzione inversa rispetto a tali indicazioni, per cui arsi sta
per tempo forte e tesi per tempo debole.
A. Cardillo
sono ottonari (i primi tre piani, il quarto tronco) formati di otto sillabe con accenti fissi di 3a
e 7a; gli accenti metrici in 3a e 7a coincidono con gli accenti tonici nelle parole garzne e
fglio, famsi ed eri, fiorr e tui, srte e verr; da notare, inoltre, la rima eroi : tuoi nei
versi centrali.
*
Salvatore Battaglia, Formazione e destino della lirica, Liguori, Napoli 1967: <<[]appare oggi pi storica e
reale la spiegazione evolutiva: cio, in seguito al processo generale della struttura linguistica, che da
quantitativa passa a fortemente tonica e intensiva, anche la metrica classica si va tramutando in ritmica e
sillabica. Vale a dire: non si ha pi la nozione della quantit, e perci le sillabe che sono chiamate a
costruire il verso non possono pi fondarsi su una differenza che non era pi sentita: e sono tutte uguali, e
luna vale laltra. E, perci, mentre i latini potevano costruire i loro piedi prosodici valendosi di questa
alternativa di lunga e breve, lo scrittore medievale non dispose che dun solo tipo di sillabe (onde la nascita
del principio sillabico della versificazione). Inoltre: i latini avevano una particolare sensibilit dellaccento
tonico, che era fondamentalmente musicale, sicch laccento prosodico poteva e non coincidere con quello
tonico, in quanto tutte le sillabe di una parola erano avvertite dalla coscienza del poeta latino sullo stesso
piano di accentuazione. Ma allorch la sillaba tonica, nellevoluzione del latino, acquist un predominio nel
corpo della parola, non era pi possibile trattare le parole nel verso con un duplice accento: quello tonico e
quello prosodico. E, quindi, poco per volta, laccento prosodico dovette coincidere con quello tonico, se non
si voleva far violenza alla naturale condizione della lingua. E da qui, il principio della versificazione ritmica>>
(ivi).
A. Cardillo
abbandono
della
versificazione
su
base
quantitativa
la
definitiva
caratterizzazione del verso per il numero costante delle sillabe e per la rima.10
*
sdrucciolo o proparossitono se termina con una parola il cui accento tonico cade
sulla terzultima sillaba:
Sparsa le trecce mrbide
(A.Manzoni, Adelchi, atto IV, Coro, 1);
Antonio Rostagni (Storia della letteratura latina, III edizione a cura di Italo Lana, vol. III, LImpero, UTET,
Torino s. d., p. 374) sottolinea a proposito di Commodiano il termine poeta ritenendo gli altri semplici
versificatori. Cfr. anche Michael Von Albrecht, Storia della letteratura latina. Da Livio Andronico a Boezio,
vol.III, Einaudi, Torino 1996, pp. 1322, 1335n.
8
Manlio Simonetti, La letteratura cristiana antica greca e latina, Sansoni-Accademia, Firenze 1969, p. 368.
9
Luigi Alfonsi, La letteratura latina medievale, Sansoni-Accademia, Firenze 1972, p. 164.
10
In taberna, parte dei Canti goliardici, presenta strofe di ottonari rimati: <<In taverna quando sumus, / non
curamus quid sit humus, / sed ad ludum properamus / cui sempre insudamus []>>, vv. 1-4; il Dies irae
presenta un ritmo dandamento trocaico reso con ottonari monorimi: <<Dies irae, dies illa / solvet saeclum in
favilla: / teste Davide cum Sybilla. // Quantus tremor est futurus / quando judex est venturus / cuncta striate
discussurus>> (vv. 1-6); nel Canto delle scolte modenesi il ritmo dato da un quinario piano pi un senario
piano o sdrucciolo: <<O tu qui servis armis ista moenia / noli dormire, moneo, sed vigila []>>, vv. 1-2.
A. Cardillo
presenta tredici sillabe grammaticali che diventano undici secondo le regole metriche.
Infatti tra -se e -il interviene una figura detta sinalefe (nellesempio proposto ricorre due
volte: tra -se e e tra e -il) per la quale le tre sillabe si fondono in una sola: -s il); quindi
Can1 to2 lar3 mi4 pie5 to6 se^e^il (= sil)7 ca8 pi9 ta10 no11.
I casi in cui il computo metrico delle sillabe diverso da quello grammaticale sono
la dieresi che divide in due un dittongo, indicata in genere con il segno grafico (..) posto
sulla prima delle due vocali, e la sineresi che si ha quando due vocali che si incontrano in
iato allinterno di una o tra due parole costituiscono una sillaba sola.
Esempi di dieresi conclamata:
Dolce color dorental zaffiro
(Purgatorio, I, 13);
In mancanza del segno grafico il lettore deve riconoscere i casi di dieresi guidato
dalle regole che disciplinano tale figura e dalla propria esperienza.
Lincontro di due o pi vocali allinterno di una parola o alla fine e allinizio di due
parole di seguito possono dar luogo a pi soluzioni dal punto di vista metrico.
Incontro di vocale tonica con vocale atona.
All'interno del verso tale nesso (mai, mia, mie, lei, voi, io, rea, reo, suo, sua, sue, fui,
ecc.) normalmente vale una sillaba; due alla fine di parola. Si registrano, tuttavia, specie
nella poesia dantesca e petrarchesca, casi particolari nei quali il nesso nel corpo del verso
considerato due sillabe; si tratta di dieresi d'eccezione.
Incontro di a, e, o con vocale tonica.
11
Le parole sono bisdrucciole quando laccento cade sulla quartultima sillaba (consderano), trisducciole se
laccento cade sulla quintultima (comnicamelo), quadrisdrucciole se laccento cade sulla sestultima
(fbbricamicelo); difficilmente, per, questi casi si incontrano nei componimenti in versi.
A. Cardillo
Di norma tale incontro d luogo ad un bisillabo: paese, paura, maestro, beato, leale,
leone. Lo stesso avviene quando due vocali sono separate da i consonantica: gioia, noia,
ecc.
A. Cardillo
ricorrono due sinalefi: la prima tra -to^a e la seconda tra -ra^; in questo caso la fusione
delle vocali determina il conteggio delle sillabe (-to^a e -ra^ valgono rispettivamente una
sola sillaba) .
La dialefe linverso della figura precedente; si ha quando la vocale o le vocali
finali di una parola non si fondono (cio non si integrano foneticamente e metricamente)
con la vocale o le vocali iniziali della parola seguente:
Lacqua era buia_assai pi che persa
(Inferno, VII, 103).
L'elisione si ha quando una parola che termina per vocale si incontra con una che
inizia con vocale e la vocale della parola che precede si elimina:12
Parev_a me che nube ne coprisse
(Paradiso, II, 31);
se delle due vocali accentata quella che precede, non pu esserci elisione:
E tu che se cost, anima viva
(Inferno, III, 88).
La paragoge (o epitesi) si ha quando aggiunta una sillaba alla fine della parola:
Vuolsi cos col dove si puote
(Inferno, III,95).
12
Secondo Elwert: <<Occorre distinguere nettamente lelisione dalla sinalefe, che fonologicamente
tuttaltra cosa: infatti in caso di sinalefe le vocali vengono pronunciate tutte e due, ben distinte nel loro suono,
e perfino vocali omofone non si fondono insieme. [] Nel verso italiano lelisione non serve ad eliminare
sillabe metricamente eccedenti; ci avviene normalmente con la sinalefe. Lelisione pu servire a sopprimere
un incontro di vocali, ma ci deve avvenire solo nei casi in uso nella lingua parlata (io tho visto); poich due
vocali vicine appartenenti a due parole diverse non offendono la sensibilit del lettore, - infatti anche nel
A. Cardillo
La sincope consiste nella caduta di una vocale nel corpo di una parola:
Mentre che luno spirto questo disse
(Inferno, V,139).
La tmesi nella versificazione italiana si ha quando una parola di fine verso divisa
in due parti, di cui una incipitaria del verso successivo:
cos quelle carole differente
mente danzando, della sua ricchezza
(Paradiso, XXIV, 16-17).
Lantitesi fonetica si ha quando il poeta, per esigenza di rima o per altro cambia
una vocale o una consonante (ferute per ferite, savere per sapere, lome per lume):
Qual savesse qual era la pastura
(Paradiso, XXI, 19).
Anche nella versificazione italiana compare la cesura, figura metrica tipica della
poesia latina, che rappresenta la pausa secondaria allinterno del verso (la primaria alla
fine). A differenza di quanto avviene nella metrica classica la cesura nella poesia italiana
non pu spezzare una parola; cesura vera e propria presente nei cosiddetti versi doppi
che si dividono in due emistichi (non necessariamente uguali).
*
I versi italiani prendono il nome dal numero delle sillabe metriche che li
costituiscono. Il numero dato dalle sillabe contate fino allultima tonica alle quali va
aggiunta una unit (indipendentemente dal numero delle sillabe che seguono o non
seguono lultima tonica). La posizione della sillaba tonica nella parola alluscita del verso
specifica la tipologia del verso.
In
Chie1 sa2 del3 Dio4 vi5 vn6 te7;
vivente parola piana; lultima tonica la 6a, (6+1=7), quindi il verso sar un settenario
piano;
in
Spar1 sa2 le3 trec4 ce5 mr6 bi7 de8
A. Cardillo
lultima tonica la 6a seguita da due sillabe; il verso un settenario (6+1=7) come il precedente,
ma sdrucciolo perch mrbide parola sdrucciola (le due sillabe dopo lultima tonica non
interferiscono nel conteggio complessivo);
in
dal1 lu2 no^al3 lal4 tro5 mar6
(A.Manzoni, La Pentecoste, 8)
lultima tonica la 6a (6+1=7), che non seguita da altra sillaba perch mar parola tronca. Il
verso ugualmente un settenario, ma tronco.
*
A seconda del numero delle sillabe i versi possono essere pari (parisillabi) o dispari
(imparisillabi).
I parisillabi sono:
- quaternari o quadrisillabi
- senari
- quinari
- ottonari
- settenari
- decasillabi
- novenari
- endecasillabi.
A questi vanno aggiunti i versi doppi risultanti dallunione di due di alcuni dei versi sopra
elencati: si avr, quindi, il doppio quinario, il doppio senario, il doppio settenario (detto anche verso
alessandrino o martelliano), il doppio ottonario.14
*
*
15
in combinazione con altri versi (Pascoli lo abbina al senario o al novenario) o in alternanza con
essi.
Si tace,
non getta
pi nulla.
Si tace,
non sode
romore
di sorta,
che forse
che forse
sia morta?
Orrore!
(A.Palazzeschi, La fontana malata, 26-33).
14
Il bisillabo un verso molto raro; nella poesia antica era alternato con il ternario. Questo che segue un
esempio moderno di soli bisillabi:
Dietro
qualche
qualche
qualche
qualche
viso
riso
gesto
vetro,
bianco
stanco,
lesto, []
(G.A. Cesareo, La locomotiva).
15
Nella definizione di un verso per sillaba da intendersi sillaba metrica.
A. Cardillo
E' un quinario un verso in cui l'ultima sillaba tonica la 4a; pu avere accenti di 1a o
2a, eccezionalmente di 3a; le prime due sillabe prendono il nome di base.
E fosco laere,
il cielo muto
ed io sul tacito
veron seduto,
in solitaria
malinconia
ti guardo e lagrimo,
Venezia mia!
(A.Fusinato, A Venezia, 1-8).
E' un settenario un verso in cui l'ultima sillaba tonica la 6a; un altro accento cade
in posizione libera:
Sogno dun d destate.
Quanto scampanellare
tremulo di cicale!
Stridule per filare
moveva il maestrale
le foglie accartocciate
(G.Pascoli, Patria, 1-6).
E' un endecasillabo un verso in cui lultima tonica la 10a. E' il verso pi usato
nella nostra poesia ed quello che conta pi varianti.16
L'endecasillabo canonico o a minore in presenza di accento di 4a e/o di 8a; in tal
caso inizia con un quinario. E' a maiore quando ha anche accento di 6a ed inizia con un
settenario.
Lo schema ideale considerato il seguente:
Amor2 e 'l cor4 gentil6 sono^u8na co10sa
(Dante, Vita Nova, 11).
Qualche variante:
16
Dante nel De Vulgari Eloquentia (II,V,3-4) afferma:Quorum omnium endecasillabum videtur esse
superbius, tam temporis occupatione, quam capacitate sententie, constructionis et vocabulorum; quorum
omnium specimen magis [multiplicatur] in illo, ut manifeste apparet; nam ubicunque ponderosa multiplicatur
et pondus.[Trad.] Dei quali tutti lendecasillabo appare il pi superbo, sia per durata ritmica, sia per capacit
di pensiero, di costrutti e di vocaboli; ed il decoro di ciascuna di queste cose si moltiplica in esso, come
A. Cardillo
E' un quaternario un verso in cui l'ultima sillaba tonica la 3a. E' poco usato da
solo nella poesia italiana; si accompagna spesso con l'ottonario:
Il poeta, o vulgo sciocco,
un pitocco
non gi, che a l' altrui mensa
via con lazzi turpi e matti
porta i piatti
ed il pan ruba in dispensa.
E n meno un perdigiorno
che va intorno
dando il capo ne' cantoni,
e co 'l naso sempre a l'aria
gli occhi svaria
dietro gli angeli e i rondoni.
(G.Carducci, Congedo. 1-12)
E' un ottonario un verso in cui l'ultima sillaba tonica la 7a; nella forma moderna
ha accento secondario di 3; anticamente si adoperava nelle varianti di accento di 1, 3,
5.
Solitario bosco ombroso,
a te viene afflitto cor,
per trovar qualche riposo
fra i silenzi in quest'orror.
(P.Rolli, Ode d'argenti amorevoli, Solitario bosco ombroso,1-4).
appare manifestamente; ch dovunque si moltiplicano le cose che han peso, anche il peso si moltiplica
(Testo e traduzione secondo ledizione Marigo).
A. Cardillo
E' un decasillabo (da distinguere dal quinario doppio) un verso in cui l'ultima sillaba
tonica la 9a; pu avere accenti secondari di 3 e 6:
Soffermati sull'arida sponda,
volti i guardi al varcato Ticino,
tutti assorti nel novo destino,
certi in cor dell'antica virt,
han giurato:non fia che quest'onda
scorra pi tra due rive straniere:
(A.Manzoni, Marzo 1821, 1-8).
L'ipermetro un verso che supera di una sillaba la misura degli altri di una stessa
strofa; in alcuni casi la sillaba finale si fonde, per sinafia, con quella iniziale del verso
successivo:
E' l'alba: si chiudono i peta-li
un poco gualciti; si cova,
dentro l'urna molle e segreta,
non so che felicit nuova.
A
B
A
B
dove il verso 21 ipermetro; la sillaba in pi -li di petali si fonde con la prima del verso
seguente, un, consentendo anche la rima tra il primo e il terzo verso.
Versi doppi o accoppiati
Due quinari, due senari, due settenari e pi di rado due ottonari, accoppiati,
costituiscono un verso composto o doppio o accoppiato. La cesura divide il verso in due
emistichi uguali.17
Il quinario doppio, diversamente dal decasillabo, diviso in due emistichi uguali
entrambi con accento di 4:
Dal mio cantu4ccio, || donde non sen4to
se non le re4ste || brusir del gra4no,
il suon dell' ore || viene col vento
dal non veduto || borgo montano:
suono che uguale, || che blando cade,
come una voce || che persuade.
(G.Pascoli, L'ora di Barga,1-6).
17
Per questi abbinamenti valgono alcune norme: tra il primo e il secondo verso semplice non pu esserci
elisione e pertanto il secondo verso deve iniziare sempre per consonante; il primo verso non pu essere
A. Cardillo
Il Contrasto di Cielo d'Alcamo presenta una particolare struttura dei due settenari:
sdrucciolo il primo, piano il secondo:
- Rosa fresca aulentis[s]ima
ch 'apari inver' la state,
le donne ti disiano,
pulzell' e maritate:
(Cielo d'Alcamo, Rosa fresca aulentissima , 1-2).
A
B
A
(Paradiso, I, 1-3);
pu esserci rima tra l'ultima parola di un verso e quella centrale del verso successivo; in tal
caso si parla di rimalmezzo:
onde, siccome suole,
ornare ella si appresta
tronco; tra i due versi talvolta c una linea di divisione, ma capita spesso di non trovare alcun segno. Negli
esempi sopra riportati il segno di cesura mio.
18
I versi 2 e 4 sono irregolari perch mancanti di una sillaba nel secondo emistichio; non cos gli altri.
A. Cardillo
La rima vera e propria va distinta dalle cosiddette rime imperfette che sono l'assonanza e
la consonanza; la prima si ha quando due parole hanno uguali soltanto le vocali dalla
tonica in poi (bllo e snno, decro e stulo); la seconda invece, detta pure assonanza
atona, si ha tra due parole che hanno uguali consonanti ma vocali diverse dall'accento
tonico in poi (temto e lascito, stlla e stlla) .
La rima caratterizza in modo determinante una composizione poetica a seconda del
modo in cui viene articolata e concorre, assieme ad altri elementi, ad evidenziarne suoni
ed immagini.
Le rime possono essere:
a) baciate, caratteristiche del distico, se si succedono l'una dopo l'altra secondo lo schema
AA BB ...
de' miei mali ti toglie
la favella, e discioglie
in lagrime furtive il tuo dolore.
Ma datti pace, e il core
A
A
B
B
A
B
A
B
A
B
B
A
A
B
B
A
d) incatenate quando in un gruppo di terzine il secondo verso, chiuso tra due che rimano
fra loro, rima col primo e il terzo della terzina successiva e il secondo di questa con il
primo e il terzo della terzina ancora successiva; schema ABA BCB CDC.
Nel mezzo del cammin di nostra vita
A. Cardillo
B
A
B
C
B
A
B
C
Lassa linsieme di versi senza uno schema fisso, in numero variabile, rimati o assonanzati. In
tempi relativamente vicini lhanno riproposta Carducci, Pascoli e dAnnunzio.
Esempio di lassa del XII secolo:
Salva lo vescovo senato,
[che da l] ora fue sagrato,
n Fisolaco n Cato
e l pap hall[ -ato]
A. Cardillo
tale struttura pu ripetersi pi volte nel testo. Una strofa si compone di un vario numero di
versi rimati o non.
Nella versificazione italiana ricorrono varie tipologie di strofe.
Il distico composto di due versi (di varia misura metrica, dal settenario
all'endecasillabo, all'otto-novenario, all'endecasillabo) per lo pi con rima baciata:
"O cavallina, cavallina storna
che portavi colui che non ritorna;
A
A
La terzina (detta anche terza rima ) costituita da tre versi (esempio classico sono
le terzine della Commedia), comunemente con rime incatenate.
La quartina presenta quattro versi, con rima alternata o chiusa (ABAB oppure
ABBA):
S' rifatta la calma
nell'aria: tra gli scogli parlotta la maretta.
Sulla costa quietata, nei broli, qualche palma
a pena svetta .
A
B
A
B
oppure
Il gigantesco rovere abbattuto
l'intero inverno giacque sulla zolla ,
mostrando, in cerchi, nelle sue midolla
i centonovant'anni che ha vissuto .
A
B
B
A
A
B
A
B
C
A
B
A
B
C
(G.Pascoli, La poesia, 73-82).
La sestina o sesta rima (da non confondere con la sestina lirica) composta di sei
versi; i primi quattro hanno rima alternata e gli altri due rima baciata (ABABCC):
Part l'ultimo lo sposo,
sopraffatto dal pasticcio
A. Cardillo
A
B
e dall'obbligo schifoso
di legarsi a quel rosticcio.
Con quest'osso per la gola
si ficc tra le lenzuola .
A
B
C
C
(G.Giusti, La scritta, Parte seconda,1-6).
A
B
B
A
A
B
A
B
A
B
A
B
(Idem, 7-12).
A
B
A
B
A
B
C
C
A
B
A
B
A
B
A
B
Quando dopo l'ottavo verso vi un nono che rima col sesto (e quindi col quarto e
col secondo) si ha la nona rima, strofa molto rara nella nostra poesia (ABABABCCB):
Come colui che naviga a seconda
A. Cardillo
B
A
B
A
B
C
C
B
19
La struttura della canzone e della ballata ampiamente analizzata e descritta da Pietro G. Beltrami, La
metrica italiana, cit., pp. 211-236 e 248-258.
20
Per la derivazione trobadorica di canzone e ballata si veda il Dizionario di linguistica diretto da Gian Luigi
Beccaria, cit., ad vocem.
A. Cardillo
fronte
2o piede
10
11
12
13
21
chiave
1a volta
sirma
a
2 volta
congedo
A
b
C
a
b
C
c
d
e
e
D
f
F
X
y
Y
Molte sono le varianti della canzone classica; la struttura stata modificata pi volte
nel corso dei secoli da numerosi autori che ne hanno adattato lo schema ai loro gusti ed
alle mode dei loro tempi.
La canzone costituita da pi strofe, stanze, formate di endecasillabi e versi alternati
in vario metro; si distingue in:
a) canzone petrarchesca;
A. Cardillo
b) canzone leopardiana;
c) sestina lirica;
d) canzone pindarica.
La canzone leopardiana dapprima conserva la struttura tradizionale ma con alcune
varianti (All'Italia); poi diventa un componimento libero per quel che riguarda la struttura
delle stanze, il loro numero e le rime.
Silvia, rimembri ancora
quel tempo della tua vita mortale,
quando belt splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi,
e tu, lieta e pensosa, il limitare
di giovent salivi?
Sonavan le quiete
stanze, e le vie d'intorno,
al tuo perpetuo canto,
allor che all'opre femminili intenta
sedevi, assai contenta
di quel vago avvenir che in mente avevi.
Era il maggio odoroso: e tu solevi
cos menare il giorno.
Io gli studi leggiadri
talor lasciando e le sudate carte,
ove il tempo mio primo
e di me si spendea la miglior parte,
d'in su i veroni del paterno ostello
porgea gli orecchi al suon della tua voce,
ed alla man veloce
che percorrea la faticosa tela.
Mirava il ciel sereno,
le vie dorate e gli orti,
e quinci il mar da lungi, e quindi il monte.
Lingua mortal non dice
quel ch'io sentiva in seno.
10
15
20
25
(G.Leopardi, A Silvia, 1-27).
La sestina lirica, detta pure sestina provenzale, obbedisce a regole molto artificiose.
Presenta sei strofe di sei endecasillabi con un congedo di tre. In ogni sestina al posto della
rima la ripetizione delle sei parole-rima finali della prima strofa. Nel congedo le parolerima si ripetono, tre al centro dei versi, tre alla fine:
Al poco giorno e al gran cerchio d'ombra
son giunto, lasso!, ed al bianchir de' colli,
quando si perde lo color ne l'erba;
e 'l mio disio per non cangia il verde,
s barbato ne la dura petra
21
A
B
C
D
E
I tre punti indicano che la strofa pu essere ampliata con un ulteriore variabile numero di versi. Lo stesso
schema metrico e rimico ripetuto per quante sono le strofe; chiude il componimento un congedo. Le lettere
minuscole indicano i versi di misura metrica minore; le maiuscole quelli di misura metrica maggiore.
A. Cardillo
F
A
E
B
D
C
A
B
C
D
E
F
F
A
E
B
D
C
A. Cardillo
(Strofe)
Se torrente spumoso,
per erta via, figlio di giogo alpino,
facesse unqua a ritroso,
qual meglio consigliato, il suo cammino;
meraviglia profonda
ingombreria del montanar la fronte
in rimirar che l'onda,
quasi pentita, ritornasse al monte.
A
B
A
A
C
D
C
D
(Antstrofe)
O tanto in Ciel gradita
F
E
F
G
H
G
H
(Epdo)
Che fu ci? come avvenne? Alta mercede
talor comparte il gran Monarca eterno;
perch l'uomo, ver' lui rivolto il piede,
mai non si prenda la mercede a scherno.
Sovra l'alme ostinate egli s'adira,
ed caro di lui chi ben sospira.
I
L
I
L
M
M
ritornello
1a mutazione
A. Cardillo
stanza
2a mutazione
ritornello
10
11
12
1a mutazione
stanza
2a mutazione
10
11
12
e cos di seguito23.
Esempio di ballata maggiore:
ripresa
1 mutazione
2mutazione
volta
22
X
Y
Y
X
A
b
C
A
b
C
C
D
D
10
Per gli aspetti musicali della ballata si veda la voce curata da Raffaello Monterosso in Enciclopedia
dantesca cit.
23
Le lettere minuscole indicano i versi di misura metrica minore; le maiuscole viceversa. Si soliti indicare i
versi del ritornello con le ultime lettere dellalfabeto.
A. Cardillo
X
(Dante, Ballata, i' vo' che tu ritrovi Amore).
X
A
B
A
B
B
X
ripresa
o
ritornello
1 mutazione
2 mutazione
volta
X
y
y
w
w
z
A
B
A
B
B
c
c
d
d
z
10
15
20
25
30
35
40
45
A
B
B
A
1 mutaz.
C
D
E
2 mutaz.
C
D
E
E
F
F
A
ripresa
volta
A. Cardillo
La struttura del madrigale (poesia per musica) risale al XIV secolo: una, due o tre
terzine seguite da uno o pi distici. Nel corso del '500 la sua composizione fu affrancata
da rigide regole. In base alla lunghezza i madrigali prendono il nome di madrigaloni,
madrigalesse, madrigalini.
Un esempio di madrigale classico:
Pallidetto mio sole,
ai tuoi dolci pallori
perde l'alba vermiglia i suoi colori.
Pallidetta mia morte,
a le tue dolci e pallide vole
la porpora amorosa
perde, vinta, la rosa.
Oh piaccia a la mia sorte
che dolce teco impallidisca anch'io,
pallidetto amor mio!
A
B
B
C
D
E
E
C
F
F
10
A
B
A
B
A
B
A
B
A
B
A
B
A
B
C
C
Lo stornello una strofa di tre versi, di cui il primo di solito un quinario e gli altri
due sono endecasillabi uniti da consonanza atona. Il secondo endecasillabo rima col
quinario e il verso intermedio in assonanza atona rima con gli altri due secondo lo schema
ABA:
Fior tricolore,
Tramontano le stelle in mezzo al mare
E si spengono i canti entro il mio cuore.
24
A. Cardillo
Il polimetro un insieme di versi pari e/o dispari che si avvicendano senza una
regola precisa e con rime costituite di volta in volta in vario modo .
I tentativi di riprodurre nei versi italiani il ritmo di quelli classici iniziarono a partire
dal Quattrocento ma trovarono qualche realizzazione nel corso del Rinascimento. Si
trattava, comunque, di forzature in forte contrasto con una poesia di tipo accentuativo.
Carducci, Pascoli e d'Annunzio hanno realizzato compiutamente quellidea facendo
rivivere forme di versificazione opportunamente adattate tratte dal repertorio classico.
Con metrica barbara comunemente s'intende il complesso dei versi ad imitazione
quanto a struttura e a dinamica del ritmo dei metri greci e latini.
L'esametro, il verso latino per eccellenza, in italiano reso con un
settenario pi novenario;
settenario pi ottonario;
senario pi novenario;
quinario pi novenario;
quinario pi decasillabo;
ottonario pi novenario.
Ri1 cor2 do3. Ful4 vo^il5 so6 le7 || tra^i1 ros2 si3 va4 po5 ri^e6 le7 nu8 bi9
calde al mare scendeva, come un grande clipeo di rame
che in barbariche pugne corrusca ondeggiando, poi cade.
[settenario pi novenario]
(G. Carducci, Una sera di San Pietro, 1-3).
Tra1 le2 bat3 ta4 glie^,O5 me6 ro7, || nel1 car2 me3 tuo4 sem5 pre6 so7 nan8 ti9
la calda ora mi vinse: chinommisi il capo tra 'l sonno
in riva di Scamandro, ma il cor mi fugg su 'l Tirreno.
[settenario pi novenario]
(G.Carducci, Sogno d'estate, 1-3).
oppure
Il treno andava. Gli occhi a me la brezza
pungea tra quella ignota ombra lontana;
e m'invadea le vene la dolcezza
antelucana:
(G.Pascoli, L'isola dei poeti, 1-4).
La strofa alcaica formata da quattro versi di cui due quinari doppi (un quinario piano
ed uno sdrucciolo); un novenario piano; un decasillabo (accento secondario di 6 o 7);
oppure due quinari piani.
Gelido il vento pe' lunghi e candidi
Intercolonnii feria, su tumuli
Di garzonetti e spose
Rabbrividian le rose
Sotto la pioggia, che, lenta, assidua,
Sottil, da un grigio cielo di maggio
Battea con faticoso
Metro il piano fangoso;
(G.Carducci, Primavere Elleniche, III Alessandrina, 1-8);
La strofa asclepiadea italiana di tre tipi, mentre quella oraziana era di cinque tipi;
la seconda, la terza e la quarta latina hanno le corrispettive in italiano.
L'asclepiadea del secondo sistema (asclepiadea II) resa con tre endecasillabi
sdruccioli o tre coppie di quinari sdruccioli e un settenario sdrucciolo:
A. Cardillo
L'asclepiadea III ha due coppie di quinari sdruccioli, che si alternano con due
settenari sdruccioli:
Sull'et giovane, ch'avida suggere
suol d'amor tossico, simile al nettare,
quando il piangere dolce,
e dolcissimo l'ardere
celeste grazia sovra i miei meriti
a me mostravi, vergine nobile.
Oh che agevole giogo!
Che piacevole carcere!
(G.Chiabrera, Le vendemmie di Parnaso, XLII, 1-8).