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Patota, Giuseppe - Sorrisi e Canzoni. Aspetti Della Lingua Poetica Di Francesco Petrarca
Patota, Giuseppe - Sorrisi e Canzoni. Aspetti Della Lingua Poetica Di Francesco Petrarca
it/tdtc/petrarca/)
GIUSEPPE PATOTA
Universit di Siena
SORRISI E CANZONI:
ASPETTI DELLA LINGUA POETICA DI FRANCESCO PETRARCA
A differenza di Dante, che aveva riposto grande fiducia nel volgare e nella sua diffusione, Francesco Petrarca (1304-1374) scrisse la maggior parte delle sue opere in latino.
Come mai egli fece questa scelta, visto che le rime dei Siciliani prima, e la Commedia e la
Vita Nuova di Dante poi, scritte in volgare, avevano avuto un grande successo tra i contemporanei? Perch Petrarca aveva maggiore familiarit con il latino che con il fiorentino
del Trecento, che pure era la sua lingua materna (il padre era un notaio di Firenze esule in
Francia per ragioni politiche): scriveva abitualmente in latino, imitava gli scrittori latini
che erano alla base della sua cultura (Virgilio, Cicerone, Seneca, S. Agostino) e non pensava affatto, a differenza di Dante, che il volgare fosse il sole nuovo, la lingua che avrebbe
diffuso il sapere fra i ceti emergenti della societ comunale. Egli, al contrario, era convinto
che la gloria gli sarebbe arrivata grazie alle opere scritte in latino, e in questa lingua scrisse, infatti, di tutto: dalle lettere - con le quali comunicava normalmente con gli intellettuali
dItalia e dEuropa - agli appunti personali, dai testi di argomento filosofico a quelli di tipo
narrativo. Fece uneccezione, per, quando decise di scrivere quello che considerato il
primo libro di versi della nostra poesia: un Canzoniere, cio una raccolta di componimenti lirici legati da un unico filo conduttore (a cui, comunque, diede un titolo latino: Rerum
vulgarium fragmenta, cio Frammenti di cose volgari). Francesco scelse il volgare fiorentino soltanto perch voleva mettersi alla prova: voleva sperimentare le possibilit della
nuova lingua nel genere pi alto e raffinato, la poesia. Egli defin questo suo passatempo
poetico ancora una volta con una parola latina: nugae, nugellae (= inezie, bazzecole, cose
prive dimportanza). Eppure, a questo passatempo di poco conto Petrarca dedic tutta la
vita, scrivendo ben 366 componimenti poetici in volgare, raccolti in un prezioso manoscritto autografo oggi custodito nella Biblioteca Vaticana, il codice Vaticano Latino 3195 (detto
latino non perch sia stato scritto in lingua latina, ma perch fu scritto usando lalfabeto
latino, cio il nostro alfabeto). Oltre a questo manoscritto, la Biblioteca Vaticana ne conserva un altro, prezioso quanto il primo: il codice Vaticano Latino 3196, detto codice degli
abbozzi perch una specie di brutta copia dellaltro. Il confronto fra i due manoscritti
dei poeti che lo avevano preceduto (i siciliani e gli stilnovisti in particolare), dallaltra il
fiorentino del suo tempo. Entrambe queste componenti furono sottoposte a un minuzioso
processo di setacciatura: Petrarca cre una sorta di lingua franca da adoperare esclusivamente in poesia, eliminando, dai modelli a sua disposizione, qualsiasi elemento in eccesso.
Tali gli apparivano sia un uso esagerato di latinismi, sicilianismi e provenzalismi sia il ricorso a forme del dialetto fiorentino: una lingua eccessivamente orientata in senso municipale avrebbe rappresentato una caduta verso la quotidianit che mal si conciliava con
latmosfera rarefatta delle sue poesie. Lespressione atmosfera rarefatta rende efficacemente il carattere della poesia petrarchesca. In essa non hanno diritto di cittadinanza gli
oggetti e i dati che rinviano al mondo di tutti i giorni; conseguentemente, nella lingua che
la esprime non c posto per le parole che indicano quegli oggetti e quei dati. Molte delle
altre vi arrivano trasformate. Si creano, insomma, due canali di comunicazione, uno per la
prosa, uno per la poesia; e la lingua poetica petrarchesca rester, per pi di cinque secoli,
un modello imitato continuamente. Fino agli inizi del Novecento, con poche eccezioni, le
parole scelte dai poeti italiani per i loro versi continueranno a essere, come quelle dei versi
di Petrarca, vaghe, astratte, lontane dalla realt concreta e quotidiana.
Bibliografia essenziale
G. CONTINI, Preliminari sulla lingua del Petrarca, introduzione a F.P., Canzoniere, Testo critico
e introduzione di Gianfranco Contini. Annotazioni di Daniele Ponchiroli, Torino, Einaudi,
19643, pp. VII-XXXVIII
E. SOLETTI, [La letteratura in versi] Dal Petrarca al Seicento, in Storia della lingua italiana, a cura
di Luca Serianni e Pietro Trifone, I. I luoghi della codificazione, Torino, Einaudi, 1993, pp.
611-678
M. VITALE, La lingua del Canzoniere (Rerum vulgarium fragmenta) di Francesco Petrarca, Padova, Antenore, 1996