Documenti di Didattica
Documenti di Professioni
Documenti di Cultura
Concetti generali
Il Jazz è una musica composta di sintesi, creata dall’incontro e, a volte anche dallo scontro, di varie
culture musicali che si sono combinate in un determinato luogo e tempo, ma è in grado di
accogliere novità senza perdere la sua natura. Parliamo quindi di un genere sempre in espansione.
È inoltre un continuo esercizio di “problem solving”, ovvero di risoluzione dei problemi: per sua
natura fa trovare il musicista in una situazione dalla quale deve trovare la maniera migliore e più
veloce per uscire. Infatti il musicista è differente da quello classico che affronta una partitura,
perché il Jazzista deve affrontare degli imprevisti.
Attraverso l’analisi di questo genere musicale possiamo evitare di commettere un errore molto
comune, ovvero considerare la musica in settori; considerare l’individuo al centro della musica ed
avere la percezione che sia unico e così anche la sua espressione musicale; il modo più appropriato
per apprenderlo.
La valenza dello spartito
Consideriamo un brano di musica classica, la sonata n.3 di Isaac Albèniz. Si tratta di un brano che
rientra nei canoni post romantici dell’800, influenzato fortemente dal folclore spagnolo: Albèniz si
ritrova a riportare sul pianoforte le tipiche sonorità e tecniche pianistiche popolari.
L’interprete suona il brano grazie allo spartito che a quel tempo non era solo una traccia ma tutto
ciò che l’autore poteva tramandare, il suo pensiero codificato nella notazione. Nel Jazz lo spartito
invece è solo una traccia, un canovaccio che ci fornisce un minimo di informazioni che poi
verranno variate, mentre la partitura classica è molto dettagliata.
I canoni oggettivi che la partitura può rispettare sono l’altezza (dimensione verticale) e la durata
delle note (dimensione orizzontale). Le indicazioni agogiche invece sono soggettive, perché
appartengono ad epoche diverse e hanno necessità espressive diverse: dipendono quindi dalla
scuola filologica alla quale ci si ispira.
Quando non esisteva la registrazione, i musicisti avevano come unico modo per trasferire la
musica lo spartito e ovviamente, molte peculiarità venivano perse. Inoltre gli strumenti erano
accordati in modo diverso e il diapason era calante, infatti l’impatto del temperamento equabile
rivoluziona tutto questo eliminando determinati elementi come ad esempio le intonazioni, che
non appartenevano a quel tipo di divisione in semitoni uguali.
Anche dal punto di vista ritmico, i valori musicali, non erano organizzati secondo i canoni
matematici come oggi. Il ritmo era basato sui passi di danza, la musica aveva una funzione di
accompagnamento e solo successivamente acquista uno scopo ricreativo e di intrattenimento.
In conclusione, nello spartito abbiamo dei dati oggettivi che vanno suonati in un determinato
modo e dei dati soggettivi, nei quali intervengono l’interpretazione dell’esecutore e il contesto
temporale. Abbiamo infine dei dati non completamente oggettivi, quelli che secondo alcuni studi e
pensieri della scuola, vanno interpretati in un certo modo.
Prendiamo in esempio uno dei primi blues rurali e prime registrazioni: Bottom Blues, di Texas
Alexander. Non c’era nulla di scritto e non era inoltre trascrivibile, il cantante si sente talmente
libero che risulta difficile trovare una coordinazione con gli altri musicisti. Il blues poi diventa
anche espressione urbana, infatti c’è una grossolana divisione tra blues rurale e urbano: le
differenze principali sono che nel blues rurale gli esecutori sono cantanti e musicisti allo stesso
tempo, prevalentemente uomini, mentre il blues urbano è una dimensione di gruppo e le
interpreti sono femminili, a partire da Bessie Smith.
I musicisti quindi avevano bisogno di coordinarsi, ma molti non conoscevano nulla della musica,
quindi si mettevano d’accordo sui giri armonici calcolandone la durata a orecchio.
Il blues, come la musica Europea nel 500 che era funzionale alla danza, non obbedisce a regole a sé
stanti, ma al testo. La musica di Albèniz era basata sula partitura, mentre il blues no.
Se dovessimo ascrivere questo blues ad una categoria apparterrebbe alla musica orale, essendo
una prima documentazione degli anni ‘20 di una musica sviluppatasi nel sud degli Stati Uniti alla
fine della schiavitù.
La pulsazione
Esempio: Bach, primo movimento del concerto brandeburghese (1600, pieno barocco).
In questo periodo abbiamo il temperamento equabile, inoltre emerge una chiara stabilità del
tempo.
Esempio: Led Zeppelin, Whole lotta love
Ciò che bisogna notare in queste musiche è il beat. Infatti la differenza è che nella prima abbiamo
un beat introdotto dalla partitura, dunque una mente creatrice diversa da quella dell’interprete.
La seconda invece, trova una coincidenza nel corpo, nella mente creatrice, come se il beat fosse
realmente il battito cardiaco all’interno della musica.
Nella musica classica, che ci giunge attraverso le partiture, non può essere stravolto il processo
naturale di uno studio minuzioso della partitura. Per le musiche odierne come il Jazz, il Rock, la
Popular Music ecc. abbiamo delle registrazioni di qualcuno che ha suonato un brano in un
determinato modo e non ha senso suonarlo pedissequamente, piuttosto ha più senso cercare di
reinterpretare.
Esempio: Debussy, Pagodes (1903)
Ci sono dei leggerissimi accenni del beat, infatti proprio in questo periodo, la musica si allontana
totalmente dalla radice del 500/600 e cambia il modo di comporre che si basava sulla pulsazione.
Quindi, nella seconda metà dell’800 e prima del 900, la musica non ha pulsazione.
Bisogna precisare che il metronomo non ha a che fare con la pulsazione, perché è un dato
estraneo. L’esecuzione metronomica è una misurazione puramente matematica e indicativa della
velocità di esecuzione.
Un esempio di swing propulsivo può essere invece la versione del medesimo brano di John
Coltrane (fine anni ’50, inizio ’60). Cambia l’epoca e il modo di fare Jazz.
Coltrane instaura volontariamente un andamento medium non costretto dal supporto e riscrive
totalmente il brano diventando coautore. Soprattutto nella parte degli assoli lo swing è propulsivo:
tende a tirare avanti.
Un esempio in cui non c’è pulsazione è la versione di Thelonious Monk
Un altro esempio di swing propulsivo è la versione di Bill Evans che ci mostra anche l’influenza di
elementi esterni sulla pulsazione: in generale Evans tendeva a tirare avanti soprattutto nelle fasi
finali della sua carriera in cui era più condizionato dall’uso di cocaina. Questo si nota soprattutto
dal vivo, ad esempio in Paris Concert (26 novembre 1979) e infatti, poco meno di un anno dopo, il
15 settembre 1980, l’artista muore a causa di problemi causatigli dall’assunzione di stupefacenti.
Questi elementi estranei alla musica, in un contesto di analisi vanno sempre considerati, anche
perché Evans non era affatto un’eccezione.
Composizione, improvvisazione ed estemporizzazione
Suddividiamo la musica in composta ed improvvisata.
Butch Morris, fu l’iniziatore del “conduction”, ovvero la direzioni improvvisata. Aveva studiato un
lessico gestuale assegnando ad ogni gesto un significato e così indicava all’organico una nota lunga
o una corta, poi l’altezza veniva scelta dal musicista. Si trattava di un incrocio tra direzione e
improvvisazione.
In realtà la distinzione tra composizione ed improvvisazione discende dalla nostra cultura europea
in cui la composizione è un’opera musicale che viene pensata, pianificata, sviluppata e lascia il
tempo di poter avere dei ripensamenti. È quindi il risultato di un lungo lavoro.
I compositori fino a buona parte del 900 componevano utilizzando la notazione, successivamente
subentra la registrazione che in determinate musiche, incluso il Jazz, occupa il suo posto.
L’improvvisazione è invece ciò che non si può prevedere e che ci si trova a dover affrontare in
maniera estemporanea, senza preparazione. La prima forma di improvvisazione è la conversazione
verbale.
In tutta la musica che si attiene alla notazione il compositore rappresenta il pensiero e sta al di
sopra di colui che lo esprime. L’improvvisazione invece è ciò che non può essere conosciuto a
priori, che viene creata in quel momento, ma è diversa dalla composizione rapida perché
quest’ultima prevede possibilità che l’improvvisazione non ha. La musica seriale ad esempio è un
meccanismo esplicitamente compositivo.
L’improvvisazione parte dall’energia psicomotoria del performer e diventa un esercizio di
risoluzione dei problemi: per crearla bisogna sviluppare determinate abilità delle quali altri non
hanno bisogno.
Molti brani Jazz sono famosi non perché siano in origine composizioni geniali, ma perché ne sono
state fatte diverse versioni che li hanno resi celebri.
Da Europei non riusciamo a considerare un ulteriore distinzione tra queste due, ma il modo in cui
si può eseguire un brano può essere frutto di un altro processo che si chiama estemporizzazione.
Si tratta di un tema di riferimento realizzato di volta in volta in maniera sempre diversa e può
essere scritto, non con indicazioni dettagliate come nella partitura classica, oppure presente nel
pensiero del musicista.
Esempio di estemporizzazione senza assoli: Bill Evans Trio, Young and Foolish
Non c’è una nota di assolo, c’è solo estemporizzazione arricchita della personalità del musicista ed
è uno dei primi esempi del nuovo modo di suonare il pianoforte introdotto proprio da Bill Evans.
Anche il walking bass è una forma di estemporizzazione, anzi uno degli esempi più classici.
La differenza con l’improvvisazione è che in quest’ultima non concretizziamo un modello figurale
che già esiste, piuttosto aggiungiamo materiale nuovo che prima non esisteva.
Si estemporizza molto più spesso di quanto pensiamo, anche nello scegliere un voicing: quanto
ampio deve essere? Devono esserci estensioni? Lo suonerò piano o forte? Sono tutte decisioni
espressive estemporanee.
Per chi approccia da poco al Jazz è infatti consigliabile non improvvisare subito, ma concentrarsi
sul tema e provare ad estemporizzare, aggiungendo di volta in volta qualcosa di nuovo.
È importante ricordare che più informazioni si hanno in partenza e meno libertà si ha di
estemporizzare.
Facciamo in fine un ulteriore distinzione tra un’improvvisazione di tipo A che si sviluppa sopra di
un modello precostituito e un’altra di tipo B, più radicale, che parte da una cellula minima
generatrice per andare verso l’ignoto.
Esempio di tipo B: Albert Ayler, Love Cry
Ayler appartiene al mondo del Free Jazz. Il tema iniziale e finale è una cellula basata su una quarta.
L’improvvisazione comunque, non è una prassi tipica del Jazz, infatti anche i musicisti dei secoli
scorsi improvvisavano. Ogni tipo di improvvisazione però è relativa e immersa nel suo contesto
storico: è chiaro che quella di Schumann, Listz o altri era cosa diversa, più creazione
estemporanea. Inoltre non è qualcosa che definisce lo stile musicale, piuttosto la capacità di fare
musica generandola da un’idea extramusicale (spesso non tonale) precedentemente inesistente.
L’estemporizzazione può avvenire nel momento in cui c’è la condizione che la rende possibile,
ovvero un modello indicativo e non prescrittivo che permette al performer di eseguire il brano
senza essere legato al pensiero dell’autore.
Lo “svantaggio” del modello indicativo nel Jazz, per chi non comprende questa musica, è che ne
tralascia la sostanza. Infatti alcuni autori europei dell’inizio del 900, hanno affermato che nella
trentaduesima e ultima sonata per pianoforte di Beethoven, vi sia stato un anticipo di Jazz. È una
visione estremamente superficiale di alcuni compositori che erano sicuramente rimasti affascinati
dal genere, ma non erano in grado di comprenderlo anche a causa dei limiti della partitura e
diffusione musicale dell’epoca.
Questo concetto è valido per tutti gli altri musicisti che hanno tentato di inserire degli elementi di
Jazz all’interno delle loro composizioni.
Un altro esempio di vaga riconduzione al blues è il primo movimento del concerto per pianoforte e
orchestra di Maurice Ravel, un altro musicista che ebbe a che fare col Jazz, ma dimostrò di non
averlo compreso a pieno.
Un altro ancora, sebben appartenente ad un epoca successiva, fu Stravinskij (morto nel 1971), che
affermava che il Jazz a rigore di logica non avesse ritmo. Tuttavia si avvicina al genere scrivendo
“Ebony Concert” per l’orchestra di Woody Herman, band leader degli anni ’30 e ’40. Di Jazz
comunque non c’è nulla, a parte alcune sonorità delle trombe con sordina che rievocano una
sezione di orchestra swing, ma nella ritmica c’è tutt’altro.
Altre differenze tra Jazz e musica europea e concetto di Groove
Dividiamo la musica in ulteriori due categorie: quella derivante da un testo mediato da partitura e
l’altra scritta, legata alla partitura.
Esempi: Debussy, Forgotten Songs; Josè Carreras, Parlami d’amore Mariù; Josè Carreras, Nessun
dorma.
A prescindere dalle differenze tutti questi brani tendono ad un certo tipo di ideale: sono
belcantistiche, hanno delle similitudini dovute alla mediazione della scrittura e alla tradizione che
si è instaurata. Nonostante le differenze tendono verso un medesimo ideale.
Per quanto riguarda invece gli anni ’60, la loro sonorità tipica si riversa soprattutto sul pianoforte:
spesso le registrazioni di questa epoca sono peggiori di quelle anni ’50 e non se ne capisce il
motivo. Questo suono comunque si è portato avanti per parecchio tempo.
All’inizio del decennio successivo invece, Tiner registra “Horizon”, in cui sono presenti anche i
bassi, ma la registrazione va ad impattare sullo strumento perché ne altera completamente il
suono. Questo dimostra che essa non è neutra e non restituisce il suono perfettamente, ma mette
un suo marchio su ciò che l’artista propone.
Tutto sommato comunque le differenze non sono grandissime, addirittura negli anni ’50 si resta
più fedeli al suono rispetto agli anni successivi. Comunque le registrazioni avevano in comune il
fatto di essere registrate su un supporto come il 33 giri, mentre se ci spostiamo indietro il
condizionamento è maggiore perché abbiamo il 78 giri con una durata limitata di 3 minuti e
mezzo. Tutto questo si riflette sui brani e, nella ballad ad esempio, il tema spesso non viene
suonato.
Esempio swing anni ’30: Jimmie Lunceford and His Orchestra, Jazznocracy
La stessa orchestra ascoltata su un 33 giri aveva già un suono diverso. Poi abbiamo altri elementi
tipici come la scrittura per sezioni orchestrale, tipica degli anni ’30.
La registrazione quindi è un elemento fondante e non neutro, sia per l’intervento dell’uomo (come
nel caso di Davis su Direction), sia per le caratteristiche tecniche.
Si interpone tra il musicista e l’ascoltatore come la partitura classica, infatti potremmo dire che
questi brani non sono quelli originali.
La caratterizzazione del suono: registrazione meccanica, analogica e digitale
La registrazione aveva molti limiti.
Nel 1952 comincia ad apparire il 33 giri o LP, che poteva contenere fino a 24-25 minuti di musica
su una sola facciata: una rivoluzione anche se colta lentamente. Comunque nelle case non c’erano
ancora supporti in grado di leggere il disco.
La registrazione condiziona tutti gli strumenti, ma il pianoforte in maniera determinante: è uno
strumento che si estende su un registro molto ampio di frequenze, infatti copre da solo
un’estensione maggiore dell’orchestra come altezze, per cui bisognava individuare i giusti
microfoni per i vari registri.
La registrazione comunque crea un suono legato ad ogni epoca e offre anche la possibilità del
montaggio.
Per lungo tempo quindi abbiamo avuto il 78 giri, che però era a cavallo tra due fasi tecnologiche
diverse, ovvero la registrazione meccanica e quella elettrica, la quale differenziazione avviene
attorno al 1926.
Il risultato tra le due è diversissimo, infatti nella prima il tutto avveniva attraverso l’utilizzo di un
cono che convogliava il suono verso una membrana vibratile che lo trasferiva a sua volta ad uno
stilo, che incideva su una specie di ceralacca creando una matrice. Non c’era mixaggio e l’unico
possibile era la distanza tra il cono e lo strumento, inoltre c’era il limite delle frequenze che il cono
poteva catturare, ovvero solo quelle medie.
Esempio di registrazione meccanica: Nick La Rocca and Original Dizieland Jazz Band
Gli strumenti bassi non c’erano e lo stesso discorso vale per le percussioni che rischiavano di far
saltare lo stilo.
La nascita della registrazione vera e propria è attribuita ad Edison, colui che inventa il fonografo e
che non aveva mai pensato potesse essere sfruttato per la musica. In realtà prima di lui, verso gli
inizi del 900, Loen Scott de Martinville aveva tentato di registrare dei suoni e ci era riuscito, ma
non era stato in grado di riascoltarli poiché non era stato in grado di inventare uno strumento di
lettura. Lo scienziato utilizzo dei fogli sporchi di carbone sui quali erano state effettuate delle
tracce, ma il tutto venne riprodotto solo nel 2009 da due scienziati californiani.
La prima registrazione risale all’aprile del 1860 e riproduce una voce umana, probabilmente della
figlia, mentre Edison registra nel 1877.
Esempio di primi documenti con registrazione elettrica (78 giri): Sam Morgan’s Orchestra
Dei musicisti che rimasero a New Orleans dopo la caduta di storyville. Il risultato, comparato al
brano precedente è strabiliante. I bassi si sentono benissimo.
L’Original Dixieland Jazz band fu la prima a registrare un disco Jazz, ma la stessa proposta fu fatta
anche a Freddie Keppard, che però intuì che fissare il modo di suonare su un supporto sarebbe
stato un rischio per le sue idee. In effetti aveva ragione, perché le registrazioni diventarono un
modello per ispirare il futuro.
Passiamo invece alla registrazione digitale, che è la conversione di segnali elettrici in codici
numerici che poi decodificati ci danno un suono di partenza.
Il digitale ha dato anche la possibilità di aggiungere un’altra fase che è quella dell’editing audio,
creando un altro processo creativo che è quello della post-produzione, con l’inserimento di effetti.
Un esempio di registrazione digitale sono gli Esbjörn Svensson Trio, unico gruppo europeo ad aver
avuto la copertina di Downbeat. Purtroppo il trio non esiste più dato che il pianista è morto molto
giovane nel 2008. Comunque sono uno degli esempi lampanti di registrazione elettronica, infatti
hanno registrato diversi dischi in cui si può notare l’editing audio, come l’ultimo, Leucocyte, uscito
poco dopo la morte del pianista.
Possiamo avere però anche una registrazione digitale usata in maniera naturale, ovvero sol solo
scopo di riprendere il suono del pianoforte, ad esempio I love you Porgy di Keith Jarrett.
Ci sono anche registrazioni fatte dal vivo che durano di più, fatte con il registratore a bobina e
sono brani relativi al periodo bebop, tra il ’40 e il ’41, registrati alla Minton’s Playhouse o al
Monroe’s Uptown. Ad esempio Topsy di Charlie Christian.
Potremmo chiederci come mai non siano stati utilizzati nastri magnetici inventati già degli anni
’40, ma il problema è che anche se li avessero utilizzati non c’erano i dispositivi per poterli
riprodurre. Inoltre abbiamo, sempre di questo periodo, alcune testimonianze eccezionali per
quanto riguarda Parker, perché Dean Benedetti si votò talmente al musicista che lo seguì ovunque
con un registratore a bobine.
Comunque il ragtime prendeva degli elementi classici dal punto di vista formale, ma dal punto di
vista ritmico era qualcosa di originale. Spostandosi un po’ più avanti, un altro esempio è Jelly Roll
Morton che in alcuni brani rievoca molto da vicino la scansione ritmica del ragtime.
Morton, pianista e arrangiatore, fu uno dei più importanti musicisti ed esponenti del New Orleans,
ma già non appartiene più al ragtime, infatti siamo a cavallo tra le due epoche.
Con lui comincia la melodia si articola in modo diverso e comincia ad apparire lo swing, stile con
un energia attinente al principio audiotattile. Non si sentono più le sincopi matematiche, ma dei
piccoli spostamenti e maggiore libertà. C’è anche la polifonia tipica del New Orleans.
Alla fine degli anni ’20, i musicisti faranno un cambiamento graduale: dalla scansione ritmica in
due passeranno a quella in quattro e in pochi anni ci si trova ad assistere ad una dimensione
ritmica completamente diversa, cioè quella tipica dello swing.
Un esempio è l’Orchestra di Jimmie Lunceford con la quale il battere del ragtime è un lontano
ricordo, mentre il levare è sempre molto presente.
A partire da questo brano il Jazz quindi assume l’andamento swing che poi, a seconda degli stili che
si svilupperanno successivamente, avrà delle sfumature particolari.
Successivamente si crea ancora qualcosa di diverso, ad esempio in “Moose The Mooche” di Charlie
Parker, dove la scansione ritmica era sempre quella, ma più veloce perché la musica non era più di
funzione, ma una musica d’arte, fine a sé stessa.
Accanto alla scansione e alla pronuncia che erano le stesse, si accosta un’altra caratteristica: il
batterista è sempre più presente e interagisce con i solisti, infatti c’è un ulteriore estensione del
principio audiotattile che riguarda anche questo strumento portando all’instaurazione di quello
che oggi chiamiamo interplay.
L’unico strumento che per il momento rimane ancora sullo sfondo è il basso, perché doveva
concentrarsi sul volume e sulla robustezza piuttosto che sull’agilità, dato che era uno strumento
non amplificato.
Negli anni ’50 abbiamo il Cool Jazz che nasce dal Bebop, con degli elementi di differenza, tra cui la
timbrica come principale.
Un esempio di ritmica del Cool può essere quello di Lennie Tristano su If I Had You, con delle
timbriche molto morbide e meno spigolose del Bebop. Questo ovviamente condiziona il ritmo,
perché attaccando una frase in maniera più lunga questa avrà uno sviluppo differente.
Nel brano I Get A Kick Out f You di Max Roach, rivisitato secondo gli stilemi dell’Hard-Bop,
possiamo invece notare ancora un’altra ritmica, infatti l’attacco è molto più serrato, preciso ed
esplosivo. Il suono dei fiati è netto. La pronuncia swing è la stessa.
Quindi nella parte della costa est i musicisti suonavano in maniera più roboante, mentre nella west
coast erano più moderati.
In pochi anni però cambia anche la pronuncia, un esempio può essere lo spettacolo di Coltrane dal
vivo a Newport, nel 1963.
La pulsazione continua ad esistere, ma viene molto frammentata e in certi casi esplicitata, ma
molto spesso lasciata implicita. Alla batteria c’era Haynes che spesso fa sentire la pulsazione, poi la
interrompe, ma senza perderla mai. Non c’è più però quel flusso continuo e a questa situazione
Coltrane abbina il suo lirismo. Porzioni o frammenti di walking bass si sentono raramente.
Un esempio in cui c’è solo la pulsazione come riferimento invece, è Madness del Miles Davis
Quintet (1968). Non ci sono riferimenti armonici né melodici, solo pulsazione. Inoltre è la
cosiddetta “forma formante”, ovvero il brano che si crea durante la sua esecuzione perché a priori
non esiste.
Boogie-Woogie
È un fenomeno pianistico degli anni ’20 che fa parte della storia del Jazz, in particolare
un’espressione del blues che si caratterizza in una figurazione ostinata alla sinistra con uno swing
molto propulsivo, in questa situazione si vanno ad incastrare delle frasi ritmiche.
Un esempio è The minor drag di Pinetop Smith, pianista esponente di questa corrente.
Questa musica era funzionale al ballo, quindi la pulsazione veniva espressa in maniera chiara, ma
viene espressa a volte con swing e altre un po’ meno, quasi in battere.
Il re dei pianisti di boogie-woogie è Meade Lux Lewis che ad esempio in Lux’ boogie ripropone una
stessa frase spostandola, anticipandola e creando una poliritmia, ma anche in questo caso
l’andamento è misto tra swing e even 8ths. Questi brani imprimono una forza motrice forse
proprio grazie alla loro ripetitività.
Un altro è esempio è invece Romeo Nelson con il quale c’è una chiara percezione dell’ottavo
dritto.
Altre musiche audiotattili
Il principio audiotattile può essere attivo anche nelle musiche arrangiate, quindi scritte
dettagliatamente, ma sono sempre musiche legate alla danza.
Esempio di musica non arrangiata: Mercedes Sosa y Leòn Gieco, Solo Le Pido a Dios
C’è una pulsazione continua e quello che si sente è molto “semplice” da realizzare, senza
particolari arrangiamenti: è evidente come si sviluppi il principio audiotattile.
Il principio audiotattile
Se riduciamo il principio audiotattile alla musica può essere definito come medium psicomotorio individuale che sta
alla base dell’esecuzione e della creazione di musiche come il Jazz, il rock, world music e tutte quelle musiche che non
trovano il proprio statuto nella notazione scritta.
Non attiviamo questo principio attraverso un codice esterno, ma a partire dalla fonte generatrice che siamo noi stessi,
inoltre il principio è individuale perché ognuno reagisce in maniera diversa.
Il medium quindi mette al centro della musica il performer, che nel Jazz diventa più importante del compositore.
La registrazione fissa qualsiasi cosa, anche l’interplay dei musicisti che nella musica classica avviene attraverso la
partitura ed è dettato da essa, mentre nel Jazz è il risultato di uno scambio energetico tra i musicisti stessi.
La registrazione
Esempio di condizionamento della registrazione: Flamenco Sketches (Kind of Blue), take principale e alternative take
Nel primo ascolto sembra che ci sia un tema, ma ascoltando l’altra take ci accorgiamo che il brano non ha nessun
tema, ma la melodia è così coerente con lo sviluppo che ci condiziona.
L’estemporizzazione
La teoria della musica occidentale ci mostra un dualismo tra musica composta e improvvisata, ma dal punto di vista
jazzistico questo concetto subisce un’altra suddivisione: l’estemporizzazione, un processo creativo che rende possibile
la concretizzazione di un modello figurale che può esistere su carta o nella mente del performer. La pagina di real
book è l’elemento che si presta a questo processo creativo dandoci una struttura, ma non il dettaglio del brano.
L’accompagnamento, come il walking bass, è l’esempio più concreto di estemporizzazione.
Questo processo si differenzia dall’interpretazione perla minore prescrizione di regole e inoltre perché è un atto
creativo del performer che sta concretizzando un modello preesistente. Ci sono anche arrangiamenti scritti per big
band, ma in quel caso subentra il concetto di sussunzione mediologica. La categoria dell’estemporizzazione è presente
in moltissime musiche non scritte.
La continuous pulse
La musica audiotattile si sviluppa attorno alla continuous pulse, percepibile o meno, ma sempre sottostante ad essa.
Spesso viene confusa con la pulsazione metronomica, ma è più paragonabile al beat, cioè un impulso energetico.
Potremmo compararla al battito cardiaco e viene spesso esplicitata dal piatto della batteria o dal walking bass, ma
anche da altri strumenti e su di essa si innescano quei fenomeni che possiamo chiamare swing, groove, replace,
batida, balance ecc. Ovvero i modi in cui si relaziona un particolare atteggiamento motorio, e quindi anche ritmico,
del musicista rispetto alla pulsazione di base.
Attraverso la comparazione tra pulsazione e modo di stare su di essa (del musicista) possiamo ricavare la caratteristica
di quel dato musicista.
Il groovema
Si tratta dell’elemento più piccolo per la produzione del suono. È la differenza tra la nota scritta sul pentagramma e la
modulazione energetica che ci fa produrre il suono corrispondente: la nota è un concetto matematico, mentre il
groovema è una modulazione energetica, ovvero non sono io che creo la nota ma la suono con le mie caratteristiche.
Nella musica classica è molto importante la durata della nota, mentre nel Jazz è più importante l’attacco.