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ANALISI DELLE FORME COMPOSITIVE E PERFORMATIVE, PRIMO CORSO

Concetti generali
Il Jazz è una musica composta di sintesi, creata dall’incontro e, a volte anche dallo scontro, di varie
culture musicali che si sono combinate in un determinato luogo e tempo, ma è in grado di
accogliere novità senza perdere la sua natura. Parliamo quindi di un genere sempre in espansione.
È inoltre un continuo esercizio di “problem solving”, ovvero di risoluzione dei problemi: per sua
natura fa trovare il musicista in una situazione dalla quale deve trovare la maniera migliore e più
veloce per uscire. Infatti il musicista è differente da quello classico che affronta una partitura,
perché il Jazzista deve affrontare degli imprevisti.
Attraverso l’analisi di questo genere musicale possiamo evitare di commettere un errore molto
comune, ovvero considerare la musica in settori; considerare l’individuo al centro della musica ed
avere la percezione che sia unico e così anche la sua espressione musicale; il modo più appropriato
per apprenderlo.
La valenza dello spartito
Consideriamo un brano di musica classica, la sonata n.3 di Isaac Albèniz. Si tratta di un brano che
rientra nei canoni post romantici dell’800, influenzato fortemente dal folclore spagnolo: Albèniz si
ritrova a riportare sul pianoforte le tipiche sonorità e tecniche pianistiche popolari.
L’interprete suona il brano grazie allo spartito che a quel tempo non era solo una traccia ma tutto
ciò che l’autore poteva tramandare, il suo pensiero codificato nella notazione. Nel Jazz lo spartito
invece è solo una traccia, un canovaccio che ci fornisce un minimo di informazioni che poi
verranno variate, mentre la partitura classica è molto dettagliata.
I canoni oggettivi che la partitura può rispettare sono l’altezza (dimensione verticale) e la durata
delle note (dimensione orizzontale). Le indicazioni agogiche invece sono soggettive, perché
appartengono ad epoche diverse e hanno necessità espressive diverse: dipendono quindi dalla
scuola filologica alla quale ci si ispira.
Quando non esisteva la registrazione, i musicisti avevano come unico modo per trasferire la
musica lo spartito e ovviamente, molte peculiarità venivano perse. Inoltre gli strumenti erano
accordati in modo diverso e il diapason era calante, infatti l’impatto del temperamento equabile
rivoluziona tutto questo eliminando determinati elementi come ad esempio le intonazioni, che
non appartenevano a quel tipo di divisione in semitoni uguali.
Anche dal punto di vista ritmico, i valori musicali, non erano organizzati secondo i canoni
matematici come oggi. Il ritmo era basato sui passi di danza, la musica aveva una funzione di
accompagnamento e solo successivamente acquista uno scopo ricreativo e di intrattenimento.
In conclusione, nello spartito abbiamo dei dati oggettivi che vanno suonati in un determinato
modo e dei dati soggettivi, nei quali intervengono l’interpretazione dell’esecutore e il contesto
temporale. Abbiamo infine dei dati non completamente oggettivi, quelli che secondo alcuni studi e
pensieri della scuola, vanno interpretati in un certo modo.
Prendiamo in esempio uno dei primi blues rurali e prime registrazioni: Bottom Blues, di Texas
Alexander. Non c’era nulla di scritto e non era inoltre trascrivibile, il cantante si sente talmente
libero che risulta difficile trovare una coordinazione con gli altri musicisti. Il blues poi diventa
anche espressione urbana, infatti c’è una grossolana divisione tra blues rurale e urbano: le
differenze principali sono che nel blues rurale gli esecutori sono cantanti e musicisti allo stesso
tempo, prevalentemente uomini, mentre il blues urbano è una dimensione di gruppo e le
interpreti sono femminili, a partire da Bessie Smith.
I musicisti quindi avevano bisogno di coordinarsi, ma molti non conoscevano nulla della musica,
quindi si mettevano d’accordo sui giri armonici calcolandone la durata a orecchio.
Il blues, come la musica Europea nel 500 che era funzionale alla danza, non obbedisce a regole a sé
stanti, ma al testo. La musica di Albèniz era basata sula partitura, mentre il blues no.
Se dovessimo ascrivere questo blues ad una categoria apparterrebbe alla musica orale, essendo
una prima documentazione degli anni ‘20 di una musica sviluppatasi nel sud degli Stati Uniti alla
fine della schiavitù.
La pulsazione
Esempio: Bach, primo movimento del concerto brandeburghese (1600, pieno barocco).
In questo periodo abbiamo il temperamento equabile, inoltre emerge una chiara stabilità del
tempo.
Esempio: Led Zeppelin, Whole lotta love

Ciò che bisogna notare in queste musiche è il beat. Infatti la differenza è che nella prima abbiamo
un beat introdotto dalla partitura, dunque una mente creatrice diversa da quella dell’interprete.
La seconda invece, trova una coincidenza nel corpo, nella mente creatrice, come se il beat fosse
realmente il battito cardiaco all’interno della musica.
Nella musica classica, che ci giunge attraverso le partiture, non può essere stravolto il processo
naturale di uno studio minuzioso della partitura. Per le musiche odierne come il Jazz, il Rock, la
Popular Music ecc. abbiamo delle registrazioni di qualcuno che ha suonato un brano in un
determinato modo e non ha senso suonarlo pedissequamente, piuttosto ha più senso cercare di
reinterpretare.
Esempio: Debussy, Pagodes (1903)
Ci sono dei leggerissimi accenni del beat, infatti proprio in questo periodo, la musica si allontana
totalmente dalla radice del 500/600 e cambia il modo di comporre che si basava sulla pulsazione.
Quindi, nella seconda metà dell’800 e prima del 900, la musica non ha pulsazione.
Bisogna precisare che il metronomo non ha a che fare con la pulsazione, perché è un dato
estraneo. L’esecuzione metronomica è una misurazione puramente matematica e indicativa della
velocità di esecuzione.

Esempio: Debussy, La soiree dans granade


Debussy sceglie appositamente di fare in modo che la pulsazione si avverta per richiamare delle
atmosfere andaluse, rifacendosi ad una ritmica di danza, infatti nei palos di flamenco l’habanera è
molto influente.
Debussy compone anche “La puerta del vino”, dedicata ad una porta di Granada, ma non aveva
mai visto la Spagna: molto probabilmente era venuto a conoscenza di fatti spagnoli tramite altri
artisti.
La continuous pulse, riguarda sempre la musica tradizionale o popolare come la balera, il tango
ecc. infatti il balletto non ha bisogno di pulsazione continua.
Esempio: Miles Davis, Hand Jive (Nefertiti)
Un esempio di pulsazione continua.
In questo brano in cui la pulsazione ha un flusso continuo ed è neutra, si chiarisce ancora di più
come essa sia diversa dal metro. Le battute infatti hanno un inizio e una fine, il beat può essere sia
esplicito che implicito.

La pulsazione nel Jazz


Distinguiamo a questo punto la musica in due categorie: la prima in cui abbiamo la notazione, ma
la pulsazione viene via via espulsa e l’altra in cui la pulsazione esiste, ma non è dettata da rapporti
matematici, piuttosto nasce da atteggiamenti psicomotori dell’individuo pervadendo molte
musiche del 900. Nel secondo caso non è quindi trasmissibile attraverso una partitura.
Il Jazz, continua a vivere di pulsazione continua, esplicita o implicita, ma acquisisce anche dei modi
di fare estranei, ovvero fenomeni musicali che fanno a meno della pulsazione, anche se in qualche
modo riemerge.
La pulsazione ha in qualche modo resistito anche alla notazione nell’800: una testimonianza è il
valzer viennese che non divide i movimenti esattamente in tre uguali, incorporando un ritardo non
quantificabile matematicamente.
Come si sviluppa nel Jazz?
Pur essendo sempre neutra, trova esplicitazione a seconda delle varie epoche, stili e musicisti del
Jazz.
Esempio: Dizzy Gillespie Big band ft Chano Pozo, Manteca (1948) uno dei primi esempi di latin jazz
Fino ad un certo punto il pezzo si sviluppa con una figurazione di jazz latino, successivamente si
passa a una scansione swing. La pulsazione non cambia, ma cambia il modo di relazionarsi con
essa.
Il brano è quindi un esempio del fatto che si possono contemplare due pronunce diverse, in
questo caso latina e swing e che abbiamo molti modi diversi di interpretare la pulsazione.
Qui possiamo fare una suddivisione in swing struttura e swing idioletto, il primo che sta alla base
ed è il cuore che batte, mentre il secondo è la maniera in cui viene esplicitato, la lingua utilizzata,
in questo caso il latin, ma può essere latina, jazz, funk, rock ecc.

Esempio: Sam Morgan Band, Bogalusa Strut


Il brano anticipa un po’ la pronuncia swing, anche se è ancora saltellato e non fluido.
Cos’è il break?
È una sospensione momentanea della pulsazione con un solo strumento che porta avanti il
discorso musicale. Qui però avviene più correttamente uno “stop time break” ovvero la
sospensione degli strumenti che però accentuano il primo e il quarto movimento della battuta e
poi si fermano.
I bassisti di quest’epoca non avevano ancora il concetto di collegare tra loro gli accordi dei brani
attraverso un’unica linea melodica, per cui si muovevano di accordo in accordo suonando le note
di esso. Questo si riflette in parte anche nell’improvvisazione che aveva un respiro breve nella
frase, ma è dovuto anche alle peculiarità dello stile New Orleans.

Esempio: Steve Coleman & Co, Black Phonemics (1996)


La pulsazione in battute non c’è, è lasciata alle spalle.

Esempio: Archie Sheep, Tuareg


La pulsazione viene completamente distrutta. È Free Jazz.
Nonostante nella finalità e libertà siano estremi opposti, possiamo notare una somiglianza con la
musica dodecafonica e serialità, perché con il Free Jazz, hanno in comune il concetto di distruggere
le idee preesistenti. La musica seriale infatti si basa su un ordine matematico che contraddice tutto
ciò che era venuto prima, e il risultato è lo stesso del Free, che però segue l’emotività del musicista
senza alcuna regola.
Lo Swing: propulsione e depulsione
Esempi di varie versioni di Body and Soul (brano degli anni ’30): Coleman Hawkins; Duke Ellington
and Jimmy Blanton; Lester Young (antagonista di Hawkins che interpretava il sassofono in maniera
opposta); Billie Holiday (anni 40).

Queste versioni fanno tutte parte di un medesimo modo di esprimersi.


La ballad non è suonata come si suonerebbe oggi, ma ad una velocità superiore. Questo dipende
dal supporto sul quale si registrava, infatti il Jazz è sempre stato legato agli sviluppi tecnologici
della registrazione: l’unico supporto all’epoca era il 78 giri, con una durata di circa tre minuti e
mezzo.
I musicisti quindi non si potevano sforare e in realtà, non essendo nelle loro possibilità,
concepivano i brani direttamente in questo modo. Di conseguenza, pulsazione e tempo del brano
erano condizionati.
Il brano di Lester Young dura oltre cinque minuti, per cui le ipotesi potevano essere due: si tratta o
di un brano degli anni ’50 registrato su 33 giri, oppure di una registrazione in trasmissione radio
effettuata su dei supporti messi a disposizione solo per le radio.
Tutto questo condiziona, oltre che lo svolgimento ritmico, anche quello del pezzo: sia Hawkins che
Blanton dopo aver suonato la prima A abbandonano il tema. Anche Young è obbligato a fare la
stessa scelta, mentre Billie Holiday è l’unica che lo canta tutto perché non può fare diversamente.
Soprattutto per questi ultimi due artisti, notiamo un elemento comune che è la diminuzione del
tempo che ha a che fare con la pulsazione ritmica e non metronomica. Questo dipende proprio
dallo swing del solista che costringe tutti gli altri ad adeguarsi, raggiungendo un equilibrio tra
continuous pulse e il modo del musicista di stare sul tempo. Young è uno di quei musicisti che
infatti “suona indietro” ovvero ha uno “swing depulsivo” che tende a tirare indietro condizionando
la ritmica.
Nel Jazz la ritmica è umana e gli esseri umani reagiscono ed interagiscono tra di loro, per questo
nessuna macchina può riprodurre lo swing senza l’intervento dell’uomo.
Inoltre, anche per questi motivi, durante un esibizione ed entro certi limiti, l’aumentare o
diminuire della continuous pulse è un fatto umano: come quando si fa uno sforzo e il cuore batte
più veloce.
Anche Holiday si relaziona in questo modo e dilata le frasi: tutto questo non può essere scritto e
codificato attraverso la notazione. Lo swing non è un elemento uniformante, ovvero non ne esiste
solo un tipo, ma è diverso per ciascuno di noi. Ogni epoca del Jazz ha avuto la sua modalità di
espressione dello swing.
Nella musica classica invece sono le indicazioni che fanno rallentare o accelerare l’interprete,
mentre nel Jazz, dipende dal performer. Questa è un'altra grossa differenza tra le due musiche:
nella musica classica l’interprete deve sottostare alla partitura e si mette in risalto il compositore,
mentre nel Jazz e anche nelle altre musiche in cui le partiture sono indicative il performer diventa
coautore del brano. Nel Jazz non esiste infatti la versione originale di un pezzo. Ci sono poi
versioni diventate più famose e prese come modello.
La situazione si è potuta evolvere anche grazie al fenomeno della registrazione, col quale non c’era
più il bisogno dell’interprete di dare al brano una veridicità univoca, perché la versione originale
era delegata al supporto.

Un esempio di swing propulsivo può essere invece la versione del medesimo brano di John
Coltrane (fine anni ’50, inizio ’60). Cambia l’epoca e il modo di fare Jazz.
Coltrane instaura volontariamente un andamento medium non costretto dal supporto e riscrive
totalmente il brano diventando coautore. Soprattutto nella parte degli assoli lo swing è propulsivo:
tende a tirare avanti.
Un esempio in cui non c’è pulsazione è la versione di Thelonious Monk
Un altro esempio di swing propulsivo è la versione di Bill Evans che ci mostra anche l’influenza di
elementi esterni sulla pulsazione: in generale Evans tendeva a tirare avanti soprattutto nelle fasi
finali della sua carriera in cui era più condizionato dall’uso di cocaina. Questo si nota soprattutto
dal vivo, ad esempio in Paris Concert (26 novembre 1979) e infatti, poco meno di un anno dopo, il
15 settembre 1980, l’artista muore a causa di problemi causatigli dall’assunzione di stupefacenti.
Questi elementi estranei alla musica, in un contesto di analisi vanno sempre considerati, anche
perché Evans non era affatto un’eccezione.
Composizione, improvvisazione ed estemporizzazione
Suddividiamo la musica in composta ed improvvisata.
Butch Morris, fu l’iniziatore del “conduction”, ovvero la direzioni improvvisata. Aveva studiato un
lessico gestuale assegnando ad ogni gesto un significato e così indicava all’organico una nota lunga
o una corta, poi l’altezza veniva scelta dal musicista. Si trattava di un incrocio tra direzione e
improvvisazione.
In realtà la distinzione tra composizione ed improvvisazione discende dalla nostra cultura europea
in cui la composizione è un’opera musicale che viene pensata, pianificata, sviluppata e lascia il
tempo di poter avere dei ripensamenti. È quindi il risultato di un lungo lavoro.
I compositori fino a buona parte del 900 componevano utilizzando la notazione, successivamente
subentra la registrazione che in determinate musiche, incluso il Jazz, occupa il suo posto.
L’improvvisazione è invece ciò che non si può prevedere e che ci si trova a dover affrontare in
maniera estemporanea, senza preparazione. La prima forma di improvvisazione è la conversazione
verbale.
In tutta la musica che si attiene alla notazione il compositore rappresenta il pensiero e sta al di
sopra di colui che lo esprime. L’improvvisazione invece è ciò che non può essere conosciuto a
priori, che viene creata in quel momento, ma è diversa dalla composizione rapida perché
quest’ultima prevede possibilità che l’improvvisazione non ha. La musica seriale ad esempio è un
meccanismo esplicitamente compositivo.
L’improvvisazione parte dall’energia psicomotoria del performer e diventa un esercizio di
risoluzione dei problemi: per crearla bisogna sviluppare determinate abilità delle quali altri non
hanno bisogno.
Molti brani Jazz sono famosi non perché siano in origine composizioni geniali, ma perché ne sono
state fatte diverse versioni che li hanno resi celebri.
Da Europei non riusciamo a considerare un ulteriore distinzione tra queste due, ma il modo in cui
si può eseguire un brano può essere frutto di un altro processo che si chiama estemporizzazione.
Si tratta di un tema di riferimento realizzato di volta in volta in maniera sempre diversa e può
essere scritto, non con indicazioni dettagliate come nella partitura classica, oppure presente nel
pensiero del musicista.

Esempio di estemporizzazione senza assoli: Bill Evans Trio, Young and Foolish
Non c’è una nota di assolo, c’è solo estemporizzazione arricchita della personalità del musicista ed
è uno dei primi esempi del nuovo modo di suonare il pianoforte introdotto proprio da Bill Evans.
Anche il walking bass è una forma di estemporizzazione, anzi uno degli esempi più classici.
La differenza con l’improvvisazione è che in quest’ultima non concretizziamo un modello figurale
che già esiste, piuttosto aggiungiamo materiale nuovo che prima non esisteva.
Si estemporizza molto più spesso di quanto pensiamo, anche nello scegliere un voicing: quanto
ampio deve essere? Devono esserci estensioni? Lo suonerò piano o forte? Sono tutte decisioni
espressive estemporanee.
Per chi approccia da poco al Jazz è infatti consigliabile non improvvisare subito, ma concentrarsi
sul tema e provare ad estemporizzare, aggiungendo di volta in volta qualcosa di nuovo.
È importante ricordare che più informazioni si hanno in partenza e meno libertà si ha di
estemporizzare.
Facciamo in fine un ulteriore distinzione tra un’improvvisazione di tipo A che si sviluppa sopra di
un modello precostituito e un’altra di tipo B, più radicale, che parte da una cellula minima
generatrice per andare verso l’ignoto.
Esempio di tipo B: Albert Ayler, Love Cry
Ayler appartiene al mondo del Free Jazz. Il tema iniziale e finale è una cellula basata su una quarta.
L’improvvisazione comunque, non è una prassi tipica del Jazz, infatti anche i musicisti dei secoli
scorsi improvvisavano. Ogni tipo di improvvisazione però è relativa e immersa nel suo contesto
storico: è chiaro che quella di Schumann, Listz o altri era cosa diversa, più creazione
estemporanea. Inoltre non è qualcosa che definisce lo stile musicale, piuttosto la capacità di fare
musica generandola da un’idea extramusicale (spesso non tonale) precedentemente inesistente.
L’estemporizzazione può avvenire nel momento in cui c’è la condizione che la rende possibile,
ovvero un modello indicativo e non prescrittivo che permette al performer di eseguire il brano
senza essere legato al pensiero dell’autore.
Lo “svantaggio” del modello indicativo nel Jazz, per chi non comprende questa musica, è che ne
tralascia la sostanza. Infatti alcuni autori europei dell’inizio del 900, hanno affermato che nella
trentaduesima e ultima sonata per pianoforte di Beethoven, vi sia stato un anticipo di Jazz. È una
visione estremamente superficiale di alcuni compositori che erano sicuramente rimasti affascinati
dal genere, ma non erano in grado di comprenderlo anche a causa dei limiti della partitura e
diffusione musicale dell’epoca.
Questo concetto è valido per tutti gli altri musicisti che hanno tentato di inserire degli elementi di
Jazz all’interno delle loro composizioni.

Parliamo di un tentativo di produrre una composizione basata su stili di ragtime, da parte di


Debussy.
Non sappiamo quali canali avesse per accedere a questi brani e bisogna considerare che per lui la
scrittura era il risultato del pensiero dell’autore, non il riassunto e il ragtime, pur essendo scritto,
doveva avere un’intenzione esecutiva che la partitura non poteva a tutti gli effetti restituire. In “Le
Petit Negre” gli elementi di ragtime infatti sono comunque superficiali.
Nella musica classica, tutti gli elementi al di fuori da quelli che poteva trasferire la notazione
venivano espulsi, poiché essa riesce a trasferire solo ciò che ha una valenza matematica. Questi
autori quindi riuscivano a prendere dal Jazz solo ciò che comprendevano, anche perché il nostro
sistema musicale consente di fare relativamente poco: le particolarità del Jazz dipendono molto da
intonazione, andamento non matematico ecc.

Un altro esempio di vaga riconduzione al blues è il primo movimento del concerto per pianoforte e
orchestra di Maurice Ravel, un altro musicista che ebbe a che fare col Jazz, ma dimostrò di non
averlo compreso a pieno.
Un altro ancora, sebben appartenente ad un epoca successiva, fu Stravinskij (morto nel 1971), che
affermava che il Jazz a rigore di logica non avesse ritmo. Tuttavia si avvicina al genere scrivendo
“Ebony Concert” per l’orchestra di Woody Herman, band leader degli anni ’30 e ’40. Di Jazz
comunque non c’è nulla, a parte alcune sonorità delle trombe con sordina che rievocano una
sezione di orchestra swing, ma nella ritmica c’è tutt’altro.
Altre differenze tra Jazz e musica europea e concetto di Groove
Dividiamo la musica in ulteriori due categorie: quella derivante da un testo mediato da partitura e
l’altra scritta, legata alla partitura.
Esempi: Debussy, Forgotten Songs; Josè Carreras, Parlami d’amore Mariù; Josè Carreras, Nessun
dorma.
A prescindere dalle differenze tutti questi brani tendono ad un certo tipo di ideale: sono
belcantistiche, hanno delle similitudini dovute alla mediazione della scrittura e alla tradizione che
si è instaurata. Nonostante le differenze tendono verso un medesimo ideale.

Esempio nel Jazz: Louis Armstrong, Burbon Street Parade


Questo brano rappresenta il succo della questione, ovvero l’atteggiamento diverso all’interno di
uno stesso brano di due cantanti.
Mentre prima avevano un solo modello ideale, qui avviene esattamente il contrario. Non c’è un
modello, ma una timbrica personale del singolo che emerge e si mette al centro.
Da questo desumiamo che il Jazz esalta le peculiarità dell’individuo, anche quelle che sembrano
“strane” secondo determinati canoni e le rende arte. Se calassimo la voce di Armstrong in un
contesto europeo infatti, non risulterebbe nemmeno un cantante ma sembrerebbe un primitivo.
Il modello in questo genere, non è la scuola o la tendenza, ma il musicista stesso. Possiamo avere
infatti un’attrazione rispetto al modo di suonare di Bill Evans, oppure di Monk, mentre nella
musica scritta europea il modello non è personalmente il musicista, piuttosto la sua maniera di
interpretare un determinato compositore o modo di fare musica.
Nel Jazz, l’interprete ha una capacità decisionale di intervenire sul brano che è impensabile nella
musica scritta.
Un musicista che invece utilizza brillantemente il bagaglio classico nel Jazz è Bill Evans, che resta
sempre sottile, prendendo gli elementi essenziali. L’antitesi è Monk.
Se facessimo un paragone, al tocco raffinato di Evans troviamo quello primordiale e brutale di
Monk che suonava con le dita dritte. Di quest’ultimo personaggio si dice che non si sapeva da dove
venisse e che aveva come riferimento sé stesso, inoltre non ha avuto padri né figli per quanto
riguarda l’aspetto timbrico, ritmico e compositivo. Non c’è nulla di Thelonious Monk che si
potrebbe prendere ed inserire nel proprio stile senza che risulti estraneo: il modello non è astratto
e non sta al di fuori di lui.
Il concetto dell’energia che si attiva nel singolo e non fa riferimento ad un modello matematico,
attiva anche una serie di caratteristiche che vanno a definire il Jazz. Infatti, finché la nota non è
scritta si potrebbe dire che non esiste, ma in realtà esiste dentro di noi: i suoni che vengono
eseguiti, possono essere ascritti più che al concetto di nota a quello di “groovema”, cioè la più
piccola sommatoria che poi crea quel groove, quell’impulso energetico. Secondo il groovema la
durata conta fino ad un certo punto, perché è l’attacco del suono che ci dà l’impronta energetica e
che ci fa capire, ad esempio, come una persona sta swingando.
Un’altra dimostrazione dell’esistenza del groovema sono le “ghost note” o note fantasma, che
percepiamo ma non riusciamo a definirne l’altezza, né la durata. Questo concetto sfugge
totalmente al mondo classico.
Anche per queste ragioni, studiare gli assolo sulle trascrizioni altrui non è sempre una buona idea.
Il principio audiotattile
Se la musica improvvisata e quella estemporizzata può essere non scritta, cosa fa in modo che
esista? C’è un altro medium che agisce in queste musiche ed è il principio audiotattile.
Se dovessimo dare una definizione enciclopedica, anche se è sbagliato ridurlo ad un dogma, è un
medium psicomotorio individuale che sta alla base dell’esecuzione e della creazione di quelle
musiche non scritte. Questo principio fa in modo che l’umano tiri fuori quella data musica ed è
audiotattile perché ha a che vedere con una capacità energetica che fa nascere un suono.
Bisogna specificare che il corpo non è un tramite, ma un generatore di musica, che ci consente
quindi di creare con le nostre caratteristiche identificative la musica.
L’elemento energetico però, è quello audiotattile che non si sovrappone al linguaggio, ma ne sta
alla base, mentre il linguaggio prende una sua strada.
Il principio non è attuale, ma è sempre esistito e aveva delle forti relazioni con le musiche per
danza e altre non scritte, infatti meno informazioni vengono date e meno il principio audiotattile
ha spazio per agire.
Comunque c’è una differenza tra il principio audiotattile e le musiche audiotattili, ma prima di
spiegarlo dobbiamo affrontare un’altra categoria che è quella della musica orale.
La musica orale è una musica nella quale la trasmissione del messaggio avviene da maestro ad
allievo ed è tipica di alcune culture, anche se ormai minoritaria. Il messaggio però viene trasmesso
senza consapevolezza artistica e quindi c’è una tradizione che si affida all’allievo perché passi ai
posteri. Deve quindi essere il più possibile integro e senza cambiamenti, anche se inevitabilmente,
come nel gioco del telefono, spesso il messaggio si può alterare nel tempo.
Come volevasi dimostrare, il fatto che il messaggio sia tramandato in maniera orale implica la
presenza del principio audiotattile, ma non rende la musica orale audiotattile. Infatti, c’è bisogno
di un’altra condizione per definire tale una musica: la possibilità di registrare tutto il portato
dell’audiotattilità.
Con la registrazione, affermava Walter Benjamin, come nella fotografia si perde l’hic et nunc,
ovvero la possibilità di fruire di qualcosa in un dato momento e in un dato tempo. Vincenzo
Caporaletti conia il termine di “codifica neo-auratica”, perché è vero che si perde questa
possibilità ma si acquista una nuova aura, quella dell’audiotattilità, dettata proprio dalla
registrazione e quindi dall’audiotattilità del singolo.
Per esempio, i dischi di blues rurale erano prime registrazioni, non ancora audiotattili, ma
documentazioni di musica orale. Con la crescita della registrazione anche quella musica si
trasforma in audiotattile, perché rappresenta la capacità di generare nuove idee musicali. Per
questo il Jazz si è evoluto in maniera così veloce: la memoria è delegata al supporto tecnologico
che la contiene.
Tornando alle categorie quindi, il concetto di musica audiotattile è presente anche nelle prime
due, ma con alcune differenze: il pianista classico o qualsiasi altro strumentista è subordinato alla
scrittura e il suo corpo viene sussunto da essa; il musicista Jazz non è attivato da un medium che
non è la partitura, ma la sua capacità di creare e produrre indipendentemente da essa e piega ai
propri fini la scrittura. Il suo corpo è generatore, mentre il corpo del musicista classico è un
tramite.
Nella musica scritta la fonte generatrice è la partitura, in quella orale è la trasmissione della
tradizione e in quella audiotattile è il musicista stesso.
Un esempio è Django Reinhardt che in un incendio perse due dita e riuscì comunque a diventare
famoso, addirittura dopo l’incidente, reimpostando il suo modo di porsi nei confronti dello
strumento. Un altro ancora Stanley Jordan che suonava con entrambe le mani sulla tastiera della
chitarra. Il principio audiotattile nella musica europea, si è affievolito sempre di più, man mano
che la notazione prendeva i suoi spazi.
Tutto questo è basato non su osservazioni, ma su fatti scientifici. L’equipe del dott. Rizzolatti nel
2000 conduceva degli esperimenti su una scimmia con degli elettrodi per osservare le reazioni
delle aree cerebrali. Volevano effettuare esperimenti diversi, ma durante una pausa dimenticano
di staccare gli elettrodi e uno dei ricercatori si accorge che mentre porta del cibo alla bocca la
scimmia attiva un’area cerebrale atta a compiere quel movimento, cioè immagina di imitare il
ricercatore senza compiere il gesto. I ricercatori si concentrano su questo fenomeno e si
accorgono col tempo che la scimmia, come l’essere umano, solo guardando il gesto può
ricostruirlo cerebralmente. Il test è stato effettuato anche su altri sensi: passando all’udito, un
ricercatore si è posizionato dietro un paravento per schiacciare delle noccioline e la scimmia ha
attivato aree cerebrali atte a compiere quel gesto e a mangiarla. Si è desunto che ci sono dei
neuroni nel nostro cervello deputati all’imitazione e che la loro area cerebrale è la stessa che
controlla il movimento. Quindi, l’energia musicale che percepiamo, da un lato ci fa comprendere
solo ascoltando quale movimento ha compiuto il musicista per ottenere quel suono (ovviamente
avendo un’idea dello strumento), dall’altro, stimola il movimento motorio dal battere del piede
alla danza.
Elementi classici nel Jazz
Alcuni compositori classici avevano tentato di inserire nelle loro composizioni elementi jazz, ma
una musica strutturata come quella classica, difficilmente può accogliere elementi esterni
all’interno del suo sistema musicale, perché è come una monade, un sistema chiuso che si è
andato perfezionando nel tempo e che ha dovuto escludere man mano elementi che nella
notazione non erano presenti. Per ricostruire ciò che è stato perso ci si affida alla filologia.
Alcuni elementi però, per il Jazz sono fondamentali ed è per questo che alcuni musicisti potevano
percepire di questo genere solo una minima parte.
Un esempio opposto, è quello di Enrico Pieranunzi, che fa l’operazione inversa nel disco
“Pieranunzi plays Domenico Scarlatti” del 2008.
Scarlatti era un compositore del 700 di origini napoletane che sviluppò la sua carriera soprattutto
all’estero, in particolare alla corte portoghese e poi anche in Spagna. Pieranunzi prende alcune sue
sonate per clavicembalo e le realizza così come sono, come fosse un pianista classico, ma
terminata la sonata vera e propria comincia ad improvvisare lavorando in modo materico.
Un altro musicista e pietra miliare del Jazz che lavora in questo modo è Ahmad Jamal, per esempio
sul brano Poinciana del quale esegue la prima versione negli anni ’50 e l’ultima nel 2000, con una
serie di versioni sempre diverse e sempre originali. Il suo lavoro infatti è a metà strada tra
l’improvvisazione e l’estemporizzazione che spesso è anche difficile distinguere.
Nell’improvvisazione spesso non usa delle frasi, ma dei frammenti, creando una specie di
accompagnamento: la cosa interessante del suo processo creativo è proprio che spesso lavora non
per accumulo di materiale, ma per sottrazione. Anche questi elementi non sono scritti e non
trovano corrispondenza in una partitura.

ANALISI DELLE FORME COMPOSITIVE E PERFORMATIVE, SECONDO CORSO

Improvvisazione ed estemporizzazione di altre musiche ed elementi in comune col Jazz


Esempio: Bill Evans, Scott Lafaro, Paul Motian – Solar
Questo brano rappresenta la punta di evoluzione più avanzata di quel periodo che poi fungerà da
apripista per molti trii e sezioni ritmiche che verranno, dove il confine tra estemporizzazione ed
improvvisazione diventerà sempre più flebile.
Esempio: brano con la Kalimba
Un brano in cui è difficile fare un rapporto tra estemporizzazione ed improvvisazione
Esempio: Manuel Torre & Hijo De Salvador, Siguiryas
Il flamenco, come il Jazz, ha molte strutture diverse: esistono circa 50 palos di flamenco.
Questa musica è completamente orale ed è diventata solo in seguito, proprio come il jazz,
audiotattile.
La Spagna, sotto la dittatura di Francisco Franco fu chiusa al mondo fino al 1975, per cui il
flamenco si è preservato come arte tramandata oralmente per moltissimo tempo.
Successivamente a questo periodo si crearono le condizioni per cui la Spagna poté entrare a far
parte a pieno titolo del mondo moderno e con lei anche il flamenco, che si contaminò con altre
musiche e allo stesso tempo le contaminava. Sappiamo che negli anni ’70 Chick Corea faceva
esperimenti con il flamenco riportandone alcuni elementi nel Jazz.
Esempio: Paco De Lucìa, Soniquete
Una bulerìa di un artista rivoluzionario del flamenco, come Piazzolla lo è stato per il tango. Qui
però siamo nel momento in cui comincia una transizione nel periodo audiotattile e
successivamente ci sarà anche un impatto con il Jazz che trasformerà questa musica in audiotattile
in maniera graduale cambiando anche lo stile nelle timbriche e inserendo novità.
In alcuni brani dello stesso artista, come “Zyryab”, si nota come viene instaurata l’improvvisazione
come la conosciamo dal punto di vista jazzistico. De Lucìa infatti inserisce questi assoli che non
erano compresi nel flamenco classico e questo passo si deve soprattutto all’apertura della Spagna,
ma anche all’utilizzo della registrazione: lo stesso tipo di evoluzione avvenuto nel Jazz.

L’influenza della registrazione sull’evoluzione del Jazz


Il Jazz è una musica basata su due pilastri: la creatività dei musicisti e i concetti annessi, come il
principio audiotattile, e la registrazione, che ha consentito l’evoluzione del genere in maniera così
rapida da avere un percorso straordinario in un solo secolo, diventando completamente diverso da
ciò che era all’inizio.
Ogni epoca del Jazz, ma delle musiche in genere, oltre ai tratti stilistici è caratterizzata da un suono
ben preciso.

Esempio di suoni elettrici: Miles Davis, Directions


Possiamo notare inoltre la compenetrazione tra improvvisazione ed estemporizzazione, delle quali
perdiamo il confine.
Nel ’75, un gruppo che scaturisce anche dall’esperienza di Davis, i Weather Report, pubblicano
Lusitanos, un brano in cui notiamo l’apparizione dei primi Synth (sintetizzatori).
La registrazione tradisce il suono degli anni ’70, ma rispetto al suono odierno innanzitutto è
digitale e non analogica, poi, la compressione è meno evidente. Comunque possiamo dire di
essere in pieni anni ’70.
Un’altra caratteristica del periodo è l’assemblaggio.
Nel 1956 viene creato a tavolino un brano utilizzando l’editing audio: Brilliant Corners, di
Thelonious Monk. Questo pezzo non è mai stato eseguito come nel disco, infatti i musicisti
tentarono un’intera notte di suonarlo e il produttore disperato prese i pezzi migliori delle varie
takes e li assemblò. È un classico esempio di editing compensativo.

Per quanto riguarda invece gli anni ’60, la loro sonorità tipica si riversa soprattutto sul pianoforte:
spesso le registrazioni di questa epoca sono peggiori di quelle anni ’50 e non se ne capisce il
motivo. Questo suono comunque si è portato avanti per parecchio tempo.

Esempio: McCoy Tiner Trio, Have you meet Miss Jones?


L’influenza della registrazione sullo strumento riguarda un po’ tutti, ma sul pianoforte è evidente:
ci sono solo frequenze medie.

All’inizio del decennio successivo invece, Tiner registra “Horizon”, in cui sono presenti anche i
bassi, ma la registrazione va ad impattare sullo strumento perché ne altera completamente il
suono. Questo dimostra che essa non è neutra e non restituisce il suono perfettamente, ma mette
un suo marchio su ciò che l’artista propone.
Tutto sommato comunque le differenze non sono grandissime, addirittura negli anni ’50 si resta
più fedeli al suono rispetto agli anni successivi. Comunque le registrazioni avevano in comune il
fatto di essere registrate su un supporto come il 33 giri, mentre se ci spostiamo indietro il
condizionamento è maggiore perché abbiamo il 78 giri con una durata limitata di 3 minuti e
mezzo. Tutto questo si riflette sui brani e, nella ballad ad esempio, il tema spesso non viene
suonato.

Esempio di brano costretto in uno spazio limitato: Charlie Parker, Loverman


Ci restituisce un suono tipico degli anni ’40.
Chiaramente la registrazione, col suo interporsi tra musicista e ascoltatore, crea le condizioni per
le quali possiamo attribuire un determinato suono ad un determinato periodo, quindi, già il fatto
che il brano sia limitato a tre minuti/tre minuti e mezzo dovrebbe farci venire il sospetto che
potrebbe essere un brano precedente al 1952, anno in cui si cominciò ad utilizzare il 33 giri.

Esempio swing anni ’30: Jimmie Lunceford and His Orchestra, Jazznocracy
La stessa orchestra ascoltata su un 33 giri aveva già un suono diverso. Poi abbiamo altri elementi
tipici come la scrittura per sezioni orchestrale, tipica degli anni ’30.
La registrazione quindi è un elemento fondante e non neutro, sia per l’intervento dell’uomo (come
nel caso di Davis su Direction), sia per le caratteristiche tecniche.
Si interpone tra il musicista e l’ascoltatore come la partitura classica, infatti potremmo dire che
questi brani non sono quelli originali.
La caratterizzazione del suono: registrazione meccanica, analogica e digitale
La registrazione aveva molti limiti.
Nel 1952 comincia ad apparire il 33 giri o LP, che poteva contenere fino a 24-25 minuti di musica
su una sola facciata: una rivoluzione anche se colta lentamente. Comunque nelle case non c’erano
ancora supporti in grado di leggere il disco.
La registrazione condiziona tutti gli strumenti, ma il pianoforte in maniera determinante: è uno
strumento che si estende su un registro molto ampio di frequenze, infatti copre da solo
un’estensione maggiore dell’orchestra come altezze, per cui bisognava individuare i giusti
microfoni per i vari registri.
La registrazione comunque crea un suono legato ad ogni epoca e offre anche la possibilità del
montaggio.
Per lungo tempo quindi abbiamo avuto il 78 giri, che però era a cavallo tra due fasi tecnologiche
diverse, ovvero la registrazione meccanica e quella elettrica, la quale differenziazione avviene
attorno al 1926.
Il risultato tra le due è diversissimo, infatti nella prima il tutto avveniva attraverso l’utilizzo di un
cono che convogliava il suono verso una membrana vibratile che lo trasferiva a sua volta ad uno
stilo, che incideva su una specie di ceralacca creando una matrice. Non c’era mixaggio e l’unico
possibile era la distanza tra il cono e lo strumento, inoltre c’era il limite delle frequenze che il cono
poteva catturare, ovvero solo quelle medie.

Esempio di registrazione meccanica: Nick La Rocca and Original Dizieland Jazz Band
Gli strumenti bassi non c’erano e lo stesso discorso vale per le percussioni che rischiavano di far
saltare lo stilo.
La nascita della registrazione vera e propria è attribuita ad Edison, colui che inventa il fonografo e
che non aveva mai pensato potesse essere sfruttato per la musica. In realtà prima di lui, verso gli
inizi del 900, Loen Scott de Martinville aveva tentato di registrare dei suoni e ci era riuscito, ma
non era stato in grado di riascoltarli poiché non era stato in grado di inventare uno strumento di
lettura. Lo scienziato utilizzo dei fogli sporchi di carbone sui quali erano state effettuate delle
tracce, ma il tutto venne riprodotto solo nel 2009 da due scienziati californiani.
La prima registrazione risale all’aprile del 1860 e riproduce una voce umana, probabilmente della
figlia, mentre Edison registra nel 1877.
Esempio di primi documenti con registrazione elettrica (78 giri): Sam Morgan’s Orchestra
Dei musicisti che rimasero a New Orleans dopo la caduta di storyville. Il risultato, comparato al
brano precedente è strabiliante. I bassi si sentono benissimo.
L’Original Dixieland Jazz band fu la prima a registrare un disco Jazz, ma la stessa proposta fu fatta
anche a Freddie Keppard, che però intuì che fissare il modo di suonare su un supporto sarebbe
stato un rischio per le sue idee. In effetti aveva ragione, perché le registrazioni diventarono un
modello per ispirare il futuro.
Passiamo invece alla registrazione digitale, che è la conversione di segnali elettrici in codici
numerici che poi decodificati ci danno un suono di partenza.
Il digitale ha dato anche la possibilità di aggiungere un’altra fase che è quella dell’editing audio,
creando un altro processo creativo che è quello della post-produzione, con l’inserimento di effetti.
Un esempio di registrazione digitale sono gli Esbjörn Svensson Trio, unico gruppo europeo ad aver
avuto la copertina di Downbeat. Purtroppo il trio non esiste più dato che il pianista è morto molto
giovane nel 2008. Comunque sono uno degli esempi lampanti di registrazione elettronica, infatti
hanno registrato diversi dischi in cui si può notare l’editing audio, come l’ultimo, Leucocyte, uscito
poco dopo la morte del pianista.
Possiamo avere però anche una registrazione digitale usata in maniera naturale, ovvero sol solo
scopo di riprendere il suono del pianoforte, ad esempio I love you Porgy di Keith Jarrett.
Ci sono anche registrazioni fatte dal vivo che durano di più, fatte con il registratore a bobina e
sono brani relativi al periodo bebop, tra il ’40 e il ’41, registrati alla Minton’s Playhouse o al
Monroe’s Uptown. Ad esempio Topsy di Charlie Christian.
Potremmo chiederci come mai non siano stati utilizzati nastri magnetici inventati già degli anni
’40, ma il problema è che anche se li avessero utilizzati non c’erano i dispositivi per poterli
riprodurre. Inoltre abbiamo, sempre di questo periodo, alcune testimonianze eccezionali per
quanto riguarda Parker, perché Dean Benedetti si votò talmente al musicista che lo seguì ovunque
con un registratore a bobine.

La dimensione ritmica nei vari stili Jazz


Partiamo dal ragtime, fenomeno sostanzialmente pianistico che si sviluppa tra la fine dell’800 e gli
inizi del 900 e del quale l’autore più illustre era Scott Joplin.
Non si può definire uno stile jazzistico, piuttosto è proto-jazzistico perché nasce prima del Jazz ed è
scritto, quindi trova statuizione nella notazione musicale.
Le sue particolarità sono una scansione ritmica regolare della sinistra che alterna un basso del
pianoforte sul primo movimento della battuta e un accordo in centro tastiera sul secondo
movimento, con una pulsazione fornita in maniera sincopata. Su questo andamento ritmico vanno
ad innescarsi figurazioni della mano destra.
Nonostante fossero brani composti, hanno avuto comunque influenza sul Jazz, infatti tra gli anni
’10 e ’20, i brani Jazz riproducevano l’andamento ritmico del ragtime.
D’altra parte lo stesso movimento del ragtime della mano sinistra sta alla base non solo dei gruppi
del primo Jazz, ma viene poi preso anche da gran parte dei pianisti di Jazz e trascinato fino agli
anni ’30, inizio ’40 prendendo il nome di stride piano. Successivamente la sinistra si svincola da
questo modo di suonare.
Un esempio è Felicity Rag di Joplin che però viene inciso sui rulli di pianola, infatti è un incisione
molto meccanica con questo primo strumento attraverso il quale la musica si diffondeva e che
costava molto, inoltre poteva riprodurre solo musica per pianoforte.
I rulli di pianola erano uno stratagemma per far suonare il pianoforte da solo e consistevano in un
rullo (nastro) messo in un pianoforte adeguatamente preparato, dove un pianista eseguiva un
brano. Nel momento in cui abbassava i tasti il meccanismo bucava il nastro in determinati punti
creando dei vuoti e dei pieni, successivamente si inseriva il rullo in un pianoforte altrettanto
preparato e lasciando scorrere il nastro i martelletti venivano sollecitati, creando l’effetto di un
pianista fantasma. Chiaramente c’erano delle limitazioni, come ad esempio l’impossibilità di
questo meccanismo di riprodurre le dinamiche e togliendo quindi al pianoforte una delle sue
caratteristiche che è la capacità di dare colore. Questo meccanismo era incomparabile alla
registrazione.

Comunque il ragtime prendeva degli elementi classici dal punto di vista formale, ma dal punto di
vista ritmico era qualcosa di originale. Spostandosi un po’ più avanti, un altro esempio è Jelly Roll
Morton che in alcuni brani rievoca molto da vicino la scansione ritmica del ragtime.
Morton, pianista e arrangiatore, fu uno dei più importanti musicisti ed esponenti del New Orleans,
ma già non appartiene più al ragtime, infatti siamo a cavallo tra le due epoche.
Con lui comincia la melodia si articola in modo diverso e comincia ad apparire lo swing, stile con
un energia attinente al principio audiotattile. Non si sentono più le sincopi matematiche, ma dei
piccoli spostamenti e maggiore libertà. C’è anche la polifonia tipica del New Orleans.
Alla fine degli anni ’20, i musicisti faranno un cambiamento graduale: dalla scansione ritmica in
due passeranno a quella in quattro e in pochi anni ci si trova ad assistere ad una dimensione
ritmica completamente diversa, cioè quella tipica dello swing.
Un esempio è l’Orchestra di Jimmie Lunceford con la quale il battere del ragtime è un lontano
ricordo, mentre il levare è sempre molto presente.
A partire da questo brano il Jazz quindi assume l’andamento swing che poi, a seconda degli stili che
si svilupperanno successivamente, avrà delle sfumature particolari.

Successivamente si crea ancora qualcosa di diverso, ad esempio in “Moose The Mooche” di Charlie
Parker, dove la scansione ritmica era sempre quella, ma più veloce perché la musica non era più di
funzione, ma una musica d’arte, fine a sé stessa.
Accanto alla scansione e alla pronuncia che erano le stesse, si accosta un’altra caratteristica: il
batterista è sempre più presente e interagisce con i solisti, infatti c’è un ulteriore estensione del
principio audiotattile che riguarda anche questo strumento portando all’instaurazione di quello
che oggi chiamiamo interplay.
L’unico strumento che per il momento rimane ancora sullo sfondo è il basso, perché doveva
concentrarsi sul volume e sulla robustezza piuttosto che sull’agilità, dato che era uno strumento
non amplificato.
Negli anni ’50 abbiamo il Cool Jazz che nasce dal Bebop, con degli elementi di differenza, tra cui la
timbrica come principale.
Un esempio di ritmica del Cool può essere quello di Lennie Tristano su If I Had You, con delle
timbriche molto morbide e meno spigolose del Bebop. Questo ovviamente condiziona il ritmo,
perché attaccando una frase in maniera più lunga questa avrà uno sviluppo differente.
Nel brano I Get A Kick Out f You di Max Roach, rivisitato secondo gli stilemi dell’Hard-Bop,
possiamo invece notare ancora un’altra ritmica, infatti l’attacco è molto più serrato, preciso ed
esplosivo. Il suono dei fiati è netto. La pronuncia swing è la stessa.
Quindi nella parte della costa est i musicisti suonavano in maniera più roboante, mentre nella west
coast erano più moderati.
In pochi anni però cambia anche la pronuncia, un esempio può essere lo spettacolo di Coltrane dal
vivo a Newport, nel 1963.
La pulsazione continua ad esistere, ma viene molto frammentata e in certi casi esplicitata, ma
molto spesso lasciata implicita. Alla batteria c’era Haynes che spesso fa sentire la pulsazione, poi la
interrompe, ma senza perderla mai. Non c’è più però quel flusso continuo e a questa situazione
Coltrane abbina il suo lirismo. Porzioni o frammenti di walking bass si sentono raramente.
Un esempio in cui c’è solo la pulsazione come riferimento invece, è Madness del Miles Davis
Quintet (1968). Non ci sono riferimenti armonici né melodici, solo pulsazione. Inoltre è la
cosiddetta “forma formante”, ovvero il brano che si crea durante la sua esecuzione perché a priori
non esiste.

Boogie-Woogie
È un fenomeno pianistico degli anni ’20 che fa parte della storia del Jazz, in particolare
un’espressione del blues che si caratterizza in una figurazione ostinata alla sinistra con uno swing
molto propulsivo, in questa situazione si vanno ad incastrare delle frasi ritmiche.
Un esempio è The minor drag di Pinetop Smith, pianista esponente di questa corrente.
Questa musica era funzionale al ballo, quindi la pulsazione veniva espressa in maniera chiara, ma
viene espressa a volte con swing e altre un po’ meno, quasi in battere.
Il re dei pianisti di boogie-woogie è Meade Lux Lewis che ad esempio in Lux’ boogie ripropone una
stessa frase spostandola, anticipandola e creando una poliritmia, ma anche in questo caso
l’andamento è misto tra swing e even 8ths. Questi brani imprimono una forza motrice forse
proprio grazie alla loro ripetitività.
Un altro è esempio è invece Romeo Nelson con il quale c’è una chiara percezione dell’ottavo
dritto.
Altre musiche audiotattili
Il principio audiotattile può essere attivo anche nelle musiche arrangiate, quindi scritte
dettagliatamente, ma sono sempre musiche legate alla danza.
Esempio di musica non arrangiata: Mercedes Sosa y Leòn Gieco, Solo Le Pido a Dios

C’è una pulsazione continua e quello che si sente è molto “semplice” da realizzare, senza
particolari arrangiamenti: è evidente come si sviluppi il principio audiotattile.

Esempio di brano arrangiato: Horacio Salgàn, Don Augustin Bardi


Anche se è tutto arrangiato non basta conoscere la musica, perché c’è bisogno di quell’intenzione
di danza e conoscenza dei suoi elementi, infatti questa musica richiede un’interpretazione
particolare perché le figurazioni ritmiche sono assoggettate alla riproduzione di movimenti fisici.
Lo stridio iniziale è un violino suonato con l’archetto in un punto ben preciso, dove non emette
suono ed è definito “cicala”, è tipico del tango e non può essere segnato su carta perché non ha
un’altezza definita. In realtà molti suoni come questi vengono scritti, come ad esempio la batteria,
ma si parla di “sussunzione mediologica”, ovvero l’utilizzo della notazione per un motivo per cui
non era stata pensata: la notazione viene piegata alle esigenze di chi annota.
Un altro brano puramente audiotattile e non scritto è Flor De Nieve di Amina Alaoui. Non si
capisce quale stile di flamenco sia e la cantante utilizza tutti i melismi tipici della musica araba.
Un altro ancora è Malagueña, di un grande chitarrista che è Sabicas. Il flamenco è rimasto una
musica orale per molto tempo e solo con la caduta della dittatura di Franco la Spagna si apre al
mondo e avviene l’evoluzione del flamenco da musica orale ad audiotattile, trasformazione
sicuramente più ritardata rispetto al Jazz.
Generalmente la bulerìa si sviluppa sul modo frigio, ma Sabicas ad un certo punto fa un giro
armonico e delle modulazioni non previste per la bulerìa, ma per la malagueña, mischiando
l’andamento armonico di quest’ultima alla suddivisione ritmica della prima.
Ripasso
La partitura
Inizialmente la partitura era l’unico medium attraverso il quale i musicisti potevano trasferire il pensiero e quindi la
notazione creava un codice attraverso il quale la musica poteva essere trasferita. Con il raffinarsi della notazione che
faceva leva sul temperamento equabile la partitura diventa codice generatore: i musicisti compongono basandosi solo
su ciò che essa metteva a loro disposizione. Questa modalità resta unica fino all’inizio del novecento.
In maniera graduale si assiste alla nascita della tecnologia per la registrazione che ebbe un effetto importantissimo
diventando il mezzo principe per il trasferimento del pensiero.
Questo enorme impatto mise in maggior risalto la figura dell’interprete e fu fondamentale per la nascita di alcune
musiche, proprio come il Jazz.

Il principio audiotattile
Se riduciamo il principio audiotattile alla musica può essere definito come medium psicomotorio individuale che sta
alla base dell’esecuzione e della creazione di musiche come il Jazz, il rock, world music e tutte quelle musiche che non
trovano il proprio statuto nella notazione scritta.
Non attiviamo questo principio attraverso un codice esterno, ma a partire dalla fonte generatrice che siamo noi stessi,
inoltre il principio è individuale perché ognuno reagisce in maniera diversa.
Il medium quindi mette al centro della musica il performer, che nel Jazz diventa più importante del compositore.
La registrazione fissa qualsiasi cosa, anche l’interplay dei musicisti che nella musica classica avviene attraverso la
partitura ed è dettato da essa, mentre nel Jazz è il risultato di uno scambio energetico tra i musicisti stessi.

La registrazione
Esempio di condizionamento della registrazione: Flamenco Sketches (Kind of Blue), take principale e alternative take
Nel primo ascolto sembra che ci sia un tema, ma ascoltando l’altra take ci accorgiamo che il brano non ha nessun
tema, ma la melodia è così coerente con lo sviluppo che ci condiziona.

L’estemporizzazione
La teoria della musica occidentale ci mostra un dualismo tra musica composta e improvvisata, ma dal punto di vista
jazzistico questo concetto subisce un’altra suddivisione: l’estemporizzazione, un processo creativo che rende possibile
la concretizzazione di un modello figurale che può esistere su carta o nella mente del performer. La pagina di real
book è l’elemento che si presta a questo processo creativo dandoci una struttura, ma non il dettaglio del brano.
L’accompagnamento, come il walking bass, è l’esempio più concreto di estemporizzazione.
Questo processo si differenzia dall’interpretazione perla minore prescrizione di regole e inoltre perché è un atto
creativo del performer che sta concretizzando un modello preesistente. Ci sono anche arrangiamenti scritti per big
band, ma in quel caso subentra il concetto di sussunzione mediologica. La categoria dell’estemporizzazione è presente
in moltissime musiche non scritte.

La continuous pulse
La musica audiotattile si sviluppa attorno alla continuous pulse, percepibile o meno, ma sempre sottostante ad essa.
Spesso viene confusa con la pulsazione metronomica, ma è più paragonabile al beat, cioè un impulso energetico.
Potremmo compararla al battito cardiaco e viene spesso esplicitata dal piatto della batteria o dal walking bass, ma
anche da altri strumenti e su di essa si innescano quei fenomeni che possiamo chiamare swing, groove, replace,
batida, balance ecc. Ovvero i modi in cui si relaziona un particolare atteggiamento motorio, e quindi anche ritmico,
del musicista rispetto alla pulsazione di base.
Attraverso la comparazione tra pulsazione e modo di stare su di essa (del musicista) possiamo ricavare la caratteristica
di quel dato musicista.

Il groovema
Si tratta dell’elemento più piccolo per la produzione del suono. È la differenza tra la nota scritta sul pentagramma e la
modulazione energetica che ci fa produrre il suono corrispondente: la nota è un concetto matematico, mentre il
groovema è una modulazione energetica, ovvero non sono io che creo la nota ma la suono con le mie caratteristiche.
Nella musica classica è molto importante la durata della nota, mentre nel Jazz è più importante l’attacco.

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