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“GAETANO DONIZETTI”
Giorgio Bani
Matr. 385
A.A. 2020/2021
Il primo incontro con la Sonata di Poulenc lo ebbi nel 2016 in occasione di un concerto serale nella
cornice del Falaut Campus 2016, un campus musicale flautistico in cui erano presenti dei grandi
maestri di fama internazionale. Il brano, eseguito da Davide Formisano, storico primo flauto del
Teatro alla Scala di Milano, catturò la mia attenzione e alterò il mio stato emotivo in un modo mai
percepito fino ad allora: era come se fossi in una bolla, trattenevo il respiro e il mio sguardo era
fisso sul palcoscenico, senza mai battere ciglio. Ero completamente stregato dalla scoperta che
stavo facendo, quella di udire un brano che mi riuscì a colpire nell’animo tanto da provocare in me
lacrime di gioia. Guardavo ogni movimento del flautista e del pianista, ammaliato dal prodotto
musicale che ci stavano offrendo: la loro intesa era unica, dialogavano attraverso i vari temi di cui la
sonata è composta con fare teatrale, con grande presenza scenica, ampliando il significato e le
intenzioni musicali. Ogni nota, ogni accordo mi trasportavano in una dimensione di felicità, un
momento in cui non pensavo a nient’altro che alla musica. Come Robert Francès riporta nel suo
libro La Perception de la musique (1972), nella classificazione di diversi atteggiamenti di ascolto,
identifico il mio come di tipo immaginativo-egocentrico con base edonistica, ossia che attraverso la
stimolazione musicale si verificavano delle eccitazioni sensoriali, fantasticando su dei temi
personali. Nella mia testa pensavo di volere suonare Poulenc come stava facendo Formisano,
cercavo di carpire ogni dettaglio per poi studiarlo successivamente per conto mio.
Dopo l’esecuzione non riuscii ad ascoltare in modo concentrato il resto dei brani della serata.
L’esecuzione della Sonata mi sconvolse così tanto provare un senso di contentezza, per aver trovato
un brano che mi facesse emozionare così tanto, ma anche di sfida, di irraggiungibilità, perché ero
consapevole che le difficoltà tecniche e musicali erano ben oltre il mio livello. Nel 2016
frequentavo il terzo anno di Liceo musicale. La Sonata di Poulenc era prevista per il quinto anno, ed
era un brano che nella mia classe di flauto era molto ambito, era quello con il quale la mia
professoressa aveva vinto la borsa di studio Lino Barbisotti, una tra le più importanti della città di
Bergamo, tuttavia fino all’estate di quell’anno non l’avevo mai ascoltato.
Ho scelto questo brano perché sono fermamente convinto che sia stato ciò che mi ha dato
motivazione per fare un gran salto di qualità e per approfondire emotivamente la mia esperienza
musicale, ottenendo così un cambio di prospettiva positivo per altri brani simili che prima di quel
momento faticavo a capire a fondo. L’evento che ho esperito al Campus di Salerno è stato come
premere consapevolmente sull’acceleratore del mio entusiasmo musicale, rinnovato e rivoluzionato
più che mai. Oggigiorno, giugno 2021, ricordo perfettamente le sensazioni di quell’estate e
nell’ascolto riconosco alcuni precisi elementi che identifico come cause profonde di quel radicale
cambiamento. Quegli elementi riescono a smuovere ciò che è di più metafisico nel mio corpo allo
stesso modo di 5 anni fa, e io li recepisco in maniera più consapevole. É innegabile che più
ascoltavo il brano più ne individuavo la completezza, che ovviamente non è mai raggiunta, in
quanto la musica come l’arte va talvolta oltre la comprensione integrale dell’uomo e scoprivo
elementi nuovi che davano al mio cervello nuovi stimoli emotivi che tenevano vivissimo il mio
interesse nei confronti del brano. Ogni ascolto è diverso e irripetibile.
Analisi: formale, musicale ed emotiva
Allegro malinconico:
Esso presenta una struttura tripartita A – B – A’. La sezione A (battute 1-73) è dominata dal tema
principale (in tonalità minore) dal carattere appunto “malinconico” sottolineato dal cromatismo
discendente della sua prima frase affidata al flauto, mentre il pianoforte sostiene un semplice
accompagnamento a quartine di semicrome nella mano destra, all’interno delle quali di cela
comunque sempre un’idea melodica secondaria, sviluppo armonico di un basso precedente per
valori lunghi e sempre avvolto dall’alone del pedale di risonanza (un invito di stampo chiaramente
impressionista da parte dell’autore alla ricerca di un colore diverso per quello che a prima vista
potrebbe sembrare un settecentesco disegno clavicembalistico) interrotto solamente alle battute 35-
41 nelle quali, lanciando il flauto verso l’acuto in un arpeggio ascendente di fa maggiore, sembra
essere preannunciato il carattere ironico (significativa l’indicazione lèger et mordant) del
movimento finale. Da battuta 35 viene cambiata completamente la “scena” su cui il brano si era fin
ora sviluppato, il carattere diventa improvvisamente giocoso, stemperando il climax che si stava
creando con uno stretto ritmico e bilanciando così l’equilibrio emotivo del brano. La prima volta
che lo sentii mi trasmise un fortissimo senso di leggerezza, di lieto fine ad un crescendo
significativo, che però sarebbe sfociato poco dopo nella ripresa dell’elemento malinconico. Le
prime quattro note che compongono il tema, una quartina di biscrome, elemento molto ricorrente,
sono chiaramente preparatorie alla discesa cromatica. Esse mi comunicano a livello musicale ed
emotivo la sensazione di preparazione, come se fosse una caduta su vari gradini che introduce ogni
volta il motivo discendente. Assume, con lo svilupparsi del primo tempo, un ruolo chiave che fa
germogliare ogni qualvolta lo incontriamo la discesa per semitoni. Finché la tonalità resta in mi
minore queste quartine di biscrome vengono ripetute tre volte progressivamente con un crescendo
di sonorità: si parte da un piano per arrivare ad un forte, come se Poulenc volesse sempre più
convintamente ribadire il tema “A”, facendolo iniziare con un’atmosfera molto soffusa, tipica della
corrente impressionistica, per poi arrivare alla conferma della realtà dei fatti alla terza ripetizione.
Secondo Legge di pregnanza, derivata e ripresa da Leonard Meyer dalle Leggi Gestaltiche, la quarta
quartina di biscrome dovrebbe ripetersi, come era accaduto per la seconda, rispondendo alla
proposta, invece non succede, sfociando in un’altra fase del movimento. Questo fatto inizialmente
lo regolarizziamo, per far assumere alla struttura un’apparente simmetria, mentre al nuovo ascolto
ci sembra più irregolare. Gli elementi in gioco sono in grado da soli di darsi un ordine, ovvero
autoregolarsi dinamicamente in modo tale da dare sempre luogo a un risultato il più stabile e
equilibrato possibile (Metzger, 1963).
La sezione B (74-99) introdotta dal pianoforte propone, attraverso un tempo Un peu plus vite, un
tema capriccioso in modo maggiore, straripante di movimenti ricchi di vitalità ed energia, conferito
dal ritmo puntato unito agli scatti delle coppie di biscrome. Poulenc utilizza saggiamente il registro
medio per creare un colore musicale ben preciso, che non sia né troppo brillante (registro acuto) né
troppo cupo (registro grave), ma che crei vitalità mantenendo quell’alone di incertezza presente da
inizio brano, mentre nelle ultime due battute i trilli preparano il ritorno alla sezione “A’” con la
riesposizione del tema principale la prima volta in la minore e successivamente in mi minore fino a
giungere a battuta 118 in cui una cellula melodica del pianoforte, sempre ricavata dalla parte interna
della quartina, introduce una reminiscenza alla sezione centrale. Il primo e l’ultimo “mi” acuto del
movimento intero hanno un ruolo ben diverso. Inseriti nella complessità degli avvenimenti il primo
ha una funzione introduttiva, apre la Sonata, da esso scaturisce il tema; l’ultimo ha, una dinamica
diversa (ppp), ed ha una funzione conclusiva, generatore di un effetto timbrico dal quale si origina
un colore davvero poco tangibile, distante. Questo procedimento Fred Lerdahl e Ray Jackendoff lo
riconoscono come “Struttura di riduzione del periodo”, concetto contenuto le loro volume Una
teoria generativa della musica tonale (1983), nella quale due o più altezze date di un brano hanno
importanza diverse in base alla loro collocazione all’interno della struttura.
L’incertezza modale nella successiva doppia scala in biscrome del flauto (batt. 130-131) e
nell’ultima quartina a battuta 135 (si – sol# - si – sol bequadro) si risolve definitivamente
sull’accordo del pianoforte: il sol diesis e bequadro, essendo inseriti a brevissima distanza non ci
permettono di definire con precisione la tonalità d’arrivo. Leonard Meyer categorizza questo tipo di
incompiutezza con una forma che è sostanzialmente completa, ma della quale conclusione non
siamo soddisfatti, lasciando l’ascoltatore con un’idea di tonalità molto vaga (Meyer, 1956). Il primo
ascolto confermò il mio amore verso il flauto traverso, essendo, per quanto mi riguarda, uno dei
primi tempi di sonata più flautistici del repertorio interno: vengono esaltate tutte le potenzialità
dello strumento, la versatilità, i colori che si adattano perfettamente alla corrente impressionistica di
stampo francese, l’abilità tecnica, lo stile ornitologico. Tutto è collocato nel posto giusto,
provocando un senso di attenzione continua, che non cala mai. Già in questi primi minuti di musica
mi immergo in un mondo di colori, in cui si avvicendano momenti di grande pathos e momenti
scherzosi, che prendono le difficoltà della vita con leggerezza, con accezione positiva. È la perfetta
testimonianza della scuola flautistica francese, la più importante di sempre e la più affascinante,
quella scuola su cui, quasi interamente, il flautismo del Falaut Campus poggiava le sue radici
didattiche. Avere la testimonianza davanti ai miei occhi quella sera, con uno degli interpreti che più
assecondava i miei gusti musicali, fu una rivoluzione. Mi sentivo completo, come se non mi
servisse altro, sarei potuto stare ad ascoltare quell’esecuzione per un tempo molto lungo, stando
sempre in uno stato di estasi emotiva.
Presto giocoso:
ff Très mordant è l’indicazione sonora che Poulenc indica al pianista nella frase d’apertura del
movimento richiedendo senza subbio un’energia maggiore rispetto al carattere “giocoso” indicato in
apertura di pagina: una sorta di effetto percussivo che ci distacca dalla dimensione onirica della
Cantilena e che immette nelle successive figurazioni questa volta “giocose” del flauto, mentre la
frenetica ossessività ritmica della tastiera viene continuamente esaltata anche dalla figurazione
sincopata (batt. 14 e segg.); il compositore, come la gran parte dei suoni predecessori in materia,
usavano concludere il brano con un tempo gioioso e pieno di energia positiva, come per
puntualizzare che l’esistenza ha, nel loro immaginario, un lieto fine. Già dalla prime battute viene
messa alla prova l’abilità tecnica di entrambi gli esecutori: il tempo ha un’indicazione di
metronomo folle e la scrittura richiede un massivo sforzo in un lasso di tempo molto breve. Il
carattere appena descritto è potenziato dalla tessitura in cui il flauto si muove, sempre in terza
ottava, toccando note molto acute come il “do” sovracuto. La ripetitività degli elementi ritmici
richiama volutamente un modo di vedere la realtà dagli occhi di una persona disinibita, semplice,
vera. Un elemento che troviamo in tutto questo movimento è l’intermittenza degli interventi
flautistici: si tratta sempre di piccole frasi/incisi che ora non dialogano con il pianoforte, ora
dialogano. Le masse accordali perdono poi forza per lasciare spazio ad un secondo tema cantabile
esposto dal flauto con inizio a battuta 39. Seguono alcuni “divertimenti”, introdotti dalla ormai ben
nota quartina in levare (batt. 70), chiaro riferimento al primo movimento, sul registro acuto del
flauto in funzione espressiva. A battura 119 un nuovo tema accordale, caratterizzato dal cromatismo
discendente della voce superiore, suggerito dal pianoforte fa da base per un roboante crescendo, che
a battuta 166, quando ormai la forza fisica degli strumenti non potrebbe permettere di più, è
improvvisamente interrotto da una pausa; e, in una sorta di rimembranza ciclica, caratteristica della
rinascita strumentale francese, a battuta 167 (subito più lento) il flauto ripropone il tema della
sezione “B” del primo movimento: fino a questo punto l’andamento ritmico è stato assai definito e
costante. Improvvisamente si assiste ad un calo di pulsazione repentino. Secondo la Legge di buona
continuazione (Meyer, 1956) un andamento ritmico costante e perpetuo genere in chi ascolta
un’aspettativa secondo cui il brano debba andare avanti sempre mantenendo quella velocità. La
rottura di questa aspettativa genera nel fruitore un’esperienza affettiva. Ma se allora l’indicazione
metronomica indicava 92 alla semiminima, proponendosi quale momento di antitesi al carattere
malinconico del tema principale, qui, al contrario, l’indicazione 66 alla semiminima è seguita
dall’aggettivo mélancolique, ultimo breve ricordo di un mondo sentimentale e ormai svanito e perso
per sempre. Un tempo più lento col fine di avere per l’ultima volta l’occasione di ricordare nel
lontano passato il tema del primo movimento. Sovvengo che in questo tratto di brano, nel 2016, il
tempo si fermò, come se il corpo (parte incalzante) si fermasse e la l’anima (ricordo del tema
vecchio) si staccasse dalla carne per ascendere a un qualcosa di più alto, di metafisico. Il tempo
diventa un parametro inesistente, si è immersi in una bolla che ci distacca per alcuni secondi dalla
realtà. Infatti, subito dopo (batt. 175) il pianoforte inizia a preparare il crescendo (interessante
notare come la citazione delle quartine di semicrome, ora accennate solo dal flauto, non avvenga
più con eleganza in levare, ma, con fare burlesco, in battere) verso il ff finale con la ripresa della
prima sezione. E tutti gli elementi del Presto giocoso si ripresentano nelle battute finali con la
raccomandazione surtout sans ralentir e la definitiva chiusura nella lucente tonalità di la maggiore
(fff) non offrono spazio a ulteriori ripensamenti sul passato, quello che doveva dirsi è stato detto e
senza indugi l’ascoltatore si trova alla conclusione del brano investito da quella carica energetica
presente al principio del terzo movimento: l’ironico e brillante Presto si chiude quale affermazione
del più razionale, ma anche nevrotico presente.
Insegnamento del brano: difficoltà tecniche ed interpretative
Lerdahl, F. e Jackendoff, R (1983). Una teoria generativa della musica tonale. Cambridge:
MIT Press.
Meyer, L. (1956). Emotions and Meaning in music. Chicago: University of Chicago Press.