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Boccaccio 1313-2013
a cura di
Francesco Ciabattoni, Elsa Filosa, Kristina Olson
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ISBN 978-88-8063-827-8
© Copyright 2015 A. Longo Editore snc
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Printed in Italy
Boccaccio 1313-2013
a cura di
FRANCESCO CIABATTONI, ELSA FILOSA, KRISTINA OLSON
Più di una novella del Decameron serba cospicue tracce di altre opere boccac-
ciane, in particolare di quelle giovanili in volgare. In ben due novelle della decima
giornata (4 e 5), ad esempio, già illustri critici, nel primo decennio del Novecento1,
riconobbero il marchio inconfondibile del Boccaccio napoletano, che nel Filocolo
aveva sperimentato alcuni schemi narrativi perfezionati in seguito. È del resto l’in-
tera cornice del Decameron, con i giovani raccolti insieme in «lieta brigata», ad
avere nelle Questioni d’amore del Filocolo il suo antecedente più forte2.
L’acume critico di Vittore Branca ha esteso l’indagine anche a quelle novelle
nelle quali il legame con altri testi di Boccaccio è meno evidente; interessato a de-
finire le reciproche relazioni tra opere giovanili e capolavoro decameroniano per
delimitare la cronologia di quest’ultimo, Branca ha potuto così mettere in luce un
ulteriore esempio: è la novella V 6, con protagonista Gian di Procida3. La sua trama
– due giovani nobili innamorati, lei rapita e poi ceduta come concubina dell’harem
di un sovrano, lui che ne va in cerca e si introduce nella sua prigione dorata, il pa-
ventato rogo dei due, il riconoscimento finale e la salvezza di entrambi – ricalca,
pur con le debite distinzioni, una situazione narrativa già presente nel Filocolo (IV
80-169). Si tratta di un passo appartenente non ad un racconto accessorio, bensì alla
trama stessa del romanzo (in un momento nel quale è stato individuato il punto di
snodo dal ‘coperto parlare’ a una schiettezza priva di reticenze4), per quanto lì si
articoli in un episodio dieci volte più lungo5, arricchito di monologhi, dialoghi,
1 Si tratta, in ordine di pubblicazione, di: P. RAJNA, L’episodio delle questioni d’amore nel Filo-
colo del Boccaccio, «Romania», XXXI, 1902, pp. 40-47 e 57-68; C. TRABALZA, Il Decameron e il Fi-
locolo. Le novelle della cavalleria, in ID., Studi sul Boccaccio, Città di Castello, Casa
tipografico-editrice S. Lapi, 1906, pp. 189-218; R. FORNACIARI, Dal Filocolo al Decameron, «Mi-
scellanea storica della Valdelsa», XXI, 1913, pp. 196-201.
2 Lo ha per primo dimostrato P. RAJNA, op. cit., pp. 34-35.
3 V. BRANCA, Per il testo del Decameron. La prima diffusione del Decameron, «Studi di filolo-
IV 126, 2 vide lei con Filocolo dormire abbrac- V 6, 21 lei insieme con Gianni ignudi e ab-
ciati insieme: di che rimaso tutto stor- bracciati vide dormire.
dito, quasi di dolore non morio.
IV 126, 6 trasse fuori la tagliente spada e alzò V 6, 22Di che egli di subito si turbò fiera-
il braccio per ferirli; mente e in tanta ira montò, senza
dire alcuna cosa, che a poco si tenne
che quivi con un coltello che allato
avea amenduni non gli uccise.
IV 126, 7 E il pensiero subito si mutò all’ami- V 6, 23 Poi, estimando vilissima cosa essere
raglio, parendogli vil cosa due che a qualunque uom si fosse, non che
dormissero uccidere a un re, due ignudi uccidere dor-
mendo, si ritenne e pensò di volergli
in publico e di fuoco far morire;
6 Lo ha dimostrato G. GETTO, Immagini del Decameron nella Gerusalemme liberata, in ID., Vita di
forme e forme di vita nel Decameron, Torino, Petrini, 1958, pp. 283-313.
7 Lo stesso è stato notato a proposito della quinta novella della decima giornata, anch’essa ‘esportata’
dal Filocolo al Decameron: cfr. F. GUARDIANI, Boccaccio dal Filocolo al Decameron: variazioni di poe-
tica e di retorica dall’esame di due racconti, «Carte italiane», VII, 1986, pp. 32-34; N. MARASCHIO, Pa-
role e forme del Decameron: elementi di continuità e di frattura dal fiorentino del Trecento all’italiano
contemporaneo, Firenze, Offset, 1992, p. 159.
8 Sulla dimensione ‘storica’ della novella hanno posto l’accento, fra gli altri: B. BARILLARI, La novella
di Ruggiero di Lauria, «Brutium» XXVIII, 1949, p. 3; Vittore Branca nella sua introduzione a G. BOC-
CACCIO, Decameron, a cura di V. Branca, Torino, Einaudi, 1980, p. 649n; M. COTTINO-JONES, Order from
chaos: social and aesthetic harmonies in Boccaccio’ s Decameron, Washington, DC, University Press of
America, 1982, pp. 92-93; S. GROSSVOGEL, op. cit., pp. 202-203; da ultimo si veda la recente edizione di G.
BOCCACCIO, Decameron, a cura di A. Quondam, M. Fiorilla e G. Alfano, Milano, Bur, 2013, pp. 819-820.
Da Filocolo a Gian di Procida (Dec. V 6) 131
IV 127, 9 i due amanti sono messi in V 6, 25 comandò che i due amanti, così ignudi
terra, e ignudi con sospinti come erano, fosser presi e legati
passi sono tirati all’ardenti
fiamme.
IV 132, 1 Fu adunque Filocolo insieme V 6, 27 [furono] legati a un palo nella piazza, e da-
con Biancifiore legato ad un vanti agli occhi loro fu la stipa e ’l fuoco
palo e intorniato di legne apparecchiata per dovergli ardere all’ora
comandata dal re.
IV 132, 1 “…qualora io ti riguardo V 6, 28 Quivi subitamente tutti i palermitani, e uo-
ignudo con meco insieme tra mini e donne, concorsero a vedere i due
tanto popolo disposti a mo- amanti
rire”.
Torino, Bollati Boringhieri, 1995, pp. 192-221; P. MANNI, Il Trecento toscano, Bologna, il Mulino, 2003.
132 Johnny L. Bertolio
La scoperta dei due amanti, scena che ha il suo archetipo mitologico nel trian-
golo Afrodite-Ares-Efesto11, avviene nel Filocolo ad opera dell’«amiraglio», cui
spetterebbe di diritto godere della fanciulla Biancifiore; questa però è stata final-
mente raggiunta dal suo Filocolo, che le si addormenta accanto. Quando dunque
l’ammiraglio, entrato nella stanza, scorge i due abbracciati insieme nel sonno,
sconvolto dall’ira, vorrebbe ucciderli entrambi colpendoli con una spada; Venus,
tuttavia, interponendosi tra essa e i corpi dei due innamorati, glielo impedisce, e
così l’ammiraglio cambia idea: «E il pensiero subito si mutò all’amiraglio, paren-
dogli vil cosa due che dormissero uccidere, e la sua spada fedare di sì vile sangue:
per che egli tiratala indietro, la ripose, e sanza destarli si partì della camera, in-
fiammato contra loro, e in tutto deliberando nell’acceso animo di tal fallo farli pu-
nire» (Fil. IV 126, 7). Analoga situazione nella novella del Decameron: qui è il re,
accompagnato da un servitore, a scoprire insieme Restituta e Gianni: «Poi, esti-
mando vilissima cosa essere a qualunque uom si fosse, non che a un re, due ignudi
uccidere dormendo, si ritenne e pensò di volergli in publico e di fuoco far morire;
[…]. Partissi adunque il re turbato della camera e comandò che i due amanti, così
ignudi come erano, fosser presi e legati e, come giorno chiaro fosse, fossero me-
nati a Palermo e in su la piazza legati a un palo con le reni l’uno all’altro volte e
infino a ora di terza tenuti, acciò che da tutti potessero esser veduti: in appresso fos-
sero arsi sì come avea meritato» (Dec. V 6, 23-25).
Partiamo anzitutto da un confronto tra «parendogli vil cosa due che dormissero
uccidere» e «estimando vilissima cosa essere a qualunque uom si fosse, non che a
un re, due ignudi uccidere dormendo»: a prescindere dall’aggiunta di «a qualun-
que uom si fosse, non che a un re», resa appropriata dal fatto che nella novella il
tradito è nientemeno che Federico II, è la sintassi a subire la variazione maggiore.
Se infatti nel Filocolo Boccaccio impiega una relativa ponendo poi in fondo il
verbo («uccidere») della soggettiva, alla latina, nel Decameron la posizione finale
è occupata dal «gerundio participiale»12 «dormendo». La tendenza a porre il verbo
della dipendente in fondo si riscontra nella medesima novella anche in questa frase
subordinata, nella quale si accumulano i gerundi: «essendo la giovane un giorno
di state tutta soletta alla marina di scoglio in iscoglio andando marine conche con
un coltellino dalle pietre spiccando» (Dec. V 6, 6): alla consueta costruzione del
gerundio assoluto, sul modello dell’ablativo assoluto latino13, qui con valore tem-
porale («essendo»), si sovrappone poi l’aspetto durativo del movimento («an-
dando»), espresso con una perifrasi che richiede un terzo gerundio («spiccando»).
Analogamente, troviamo il verbo in posizione finale nella frase «in tutto deli-
berando nell’acceso animo di tal fallo farli punire»; qui è interessato dal fenomeno
il causativo «farli punire». Nell’espressione corrispondente della novella, «pensò
di volergli in publico e di fuoco far morire», notiamo poi l’uso deliberativo del
11 Come sottolinea A.E. Quaglio nella sua edizione: G. BOCCACCIO, Filocolo, a cura di A.E. Quaglio,
un esempio anche in Dante: «com’occhio segue suo falcon volando», cioè ‘volante’ (Par. XVIII 45).
13 P. MANNI, op. cit., pp. 310-11.
Da Filocolo a Gian di Procida (Dec. V 6) 133
and Fiammetta: the narrator as lover, Urbana-Chicago, University of Illinois Press, 1986, p. 185.
18 V. Branca in G. BOCCACCIO, Decameron, cit., p. 650n.
19 Citato anche in Fil. IV 83, 3 (e cfr. A.E. Quaglio in G. BOCCACCIO, Filocolo, cit., pp. 838-839).
134 Johnny L. Bertolio
nascimentale, di matrice platonica, ma memore anche dei «casi» del Decameron: nel dialogo Della
infinità d’amore (1547) di Tullia d’Aragona, ad esempio, l’amore che gli uomini condividono con gli
animali, se non è «sfrenato e troppo strabocchevole», cioè «lascivo o disonesto», viene lodato anzi che
no (in M. ANTES, Die Kurtisane Tullia d’Aragona. Mit dem italienischen Originaltext Della infinità
d’amore, Würzburg, Verlag Königshausen & Neumann GmbH, 2006, pp. 143-45); e cfr. P. BEMBO,
Gli Asolani, a cura di G. Dilemmi, Firenze, presso l’Accademia della Crusca, 1991: «trabocchevoli
et disordinati pericoli» (§ I 21), cioè, come propriamente in Boccaccio, implicanti gravi rischi, e «ap-
petiti così trabocchevoli» (§ II 17), dunque «esagerati».
Da Filocolo a Gian di Procida (Dec. V 6) 135
tità dei due giovani, «il re, udendo questo e rendendosi certo che Ruggieri il vero
dicesse, non solamente che egli a peggio dovere operar procedesse ma di ciò che
fatto avea gl’increbbe: per che incontanente mandò che i due giovani fossero dal
palo sciolti e menati davanti da lui; e così fu fatto» (Dec. V 6, 41). Nel Filocolo il
racconto è complicato da un nuovo intervento divino, che disperde il fumo del-
l’incipiente rogo, e dall’arrivo degli amici del protagonista, i quali mettono in fuga
gli scagnozzi dell’ammiraglio. Anche lì, quando costui si arrende, e ancora prima
di scoprire di intrattenere un forte legame di parentela con il giovane, egli, «che
sanza modo del miracolo degl’iddii si maravigliava, vedendo il fummo e udendo
parlare coloro cui morti credea, chiamò a sé molti de’ suoi, a’ quali disarmati fu li-
cito di potere a lui venire, a’ quali egli comandò che ogni ingegno adoperassero che
il fummo rompessero e passassero in quello, e i giovani sciogliessero» (Fil. IV
149, 1).
Nel passo decameroniano, di nuovo campeggia l’uso peculiare del servile «do-
vere» a esprimere «azione futura possibile»27, o meglio a ribadirla28, visto che il
verbo «procedere», da cui «dovere» qui dipende, già implica un movimento tem-
porale verso un ipotetico futuro29. Branca glossa l’intera frase «non solamente che
egli a peggio dovere operar procedesse», citando la parafrasi di Fanfani: «non solo
non procedé a dover operar peggio»30; tuttavia, il congiuntivo «procedesse» pare
qui richiesto dal successivo «increbbe», che reggerebbe dunque due proposizioni,
cioè: «al re rincrebbe non soltanto che stesse per procedere a (dover) operar peg-
gio (facendo ardere i due giovani), ma anche quel che già aveva fatto». Il citato va-
lore di «dovere» rimarca la possibilità scongiurata di un’azione futura bloccata in
tempo contro quel che in effetti era già stato fatto31. Anche nel protoromanzo, velle
e debere erano utilizzati in perifrasi per esprimere il futuro32. Inoltre, «mandò» se-
guito da una completiva ricalca un’analoga costruzione latina oltre che il signifi-
cato di «comandare» del corrispondente mandare33.
Come già nel Decameron34, appare ridotto, per quanto non nullo, pure nel Fi-
locolo il ricorso a marcati tratti meridionali35, anche nei passi ambientati a Napoli
27 A. STUSSI, op. cit., p. 214. Cfr. anche Dec. V 6, 8: «vennero a concordia di doverla donare a Fe-
derigo».
28 Ivi, p. 215.
29 Cfr. anche Dec. V 6, 2: «comandò la reina a Pampinea che a doverne alcuna dire si dispo-
nesse».
30 V. Branca in G. BOCCACCIO, Decameron, cit., p. 658.
31 Identico valore nella frase: «comandò a coloro […] che senza altro comandamento del re non
dovessero più avanti fare che fatto fosse» (V 6, 36: V. Branca in G. BOCCACCIO, Decameron, cit., p.
656n).
32 Cfr. M. PALERMO, Le perifrasi imminenziali in italiano antico, in SintAnt: La sintassi dell’ita-
liano antico. Atti del Convegno internazionale di studi (Università “Roma Tre”, 18-21 settembre
2002), a cura di M. Dardano e G. Frenguelli, Roma, Aracne, 2004, p. 329.
33 V. Branca in G. BOCCACCIO, Decameron, cit., p. 658.
34 Cfr. N. MARASCHIO, La lingua del Decamerone tra Firenze e Napoli, in Il Decameron nella let-
teratura europea. Atti del convegno organizzato dall’Accademia delle Scienze di Torino e dal Di-
partimento di Scienze letterarie e filologiche dell’Università di Torino (Torino 17-18 Novembre 2005),
a cura di C. Allasia, Roma, Edizioni di storia e letteratura, 2006, pp. 115-128.
35 P. MANNI, op. cit., p. 255.
136 Johnny L. Bertolio
e lungo la costiera amalfitana. Del IV libro, se ne segnalano qui due: «lammia» (85,
3 e 4, e altrove36), nel significato di «copertura a volta […] tipica delle costruzioni
rustiche dell’Italia meridionale» (GDLI). Pur derivando – voce dotta – dal greco
λάμια (‘voragine’), il lemma si configura come un tratto napoletano sia per quanto
riguarda la veste linguistica (con la doppia, anziché con la scempia con cui pure i
vocabolari lo registrano37) sia per il significato, connesso con un elemento archi-
tettonico tipico di quell’area geografica, famigliare al giovane Boccaccio al tempo
della stesura del Filocolo. Sulla stessa linea, «basole» (85, 3), cioè «lastre», un re-
cupero dovuto alle edizioni moderne rispetto alla lezione dei manoscritti e delle
stampe antiche, che presentavano varianti faciliores, quale «base», e che perciò
impedirono la registrazione del lemma nei vocabolari; le indagini linguistiche
hanno confermato la Campania quale centro di irradiazione della voce e delle sue
varianti meridionali38. Questo color locale si coglie con una densità molto minore
nella novella decameroniana: nonostante l’ambientazione meridionale, Boccaccio
non si lascia mai andare a marcati napoletanismi; un’unica eccezione, anche se
più folklorica che linguistica, è data dalla scelta del nome della protagonista fem-
minile, Restituta, corrispondente a quello di una martire africana in effetti sepolta
e venerata a Ischia e con la quale la donna condividerebbe persino alcuni tratti bio-
grafici, in chiave parodica: il ‘conforto’ di un angelo in carcere, la condanna al
rogo non portata a termine, il riscatto finale39.
Un’attenzione particolare meritano, specialmente nel testo del Filocolo, i dan-
tismi, spesso espliciti: «Nulla femina è che sì lungamente in amare perseveri, se
l’occhio o il tatto spesso in lei non raccende amore» (IV 89, 8) → «Per lei assai di
lieve si comprende / quanto in femmina foco d’amor dura, / se l’occhio o ’l tatto
spesso non l’accende» (Purg. VIII 76-7840); «Oimè, ch’io sento i segnali dell’an-
tica fiamma!» (IV 114, 3) → Purg. XXX 4841. In questo secondo passo, la vera e
propria citazione dimostra quanto un verso della Commedia fosse divenuto quasi
proverbiale e, pertanto, in grado di fungere da appiglio argomentativo per i casi più
vari: in Boccaccio, oltre a questo passaggio, i versi sulla volubilità femminile ri-
tornano, variati, in Fil. III 39, 7 e, con riferimento a Didone, nelle Esposizioni
sopra la Comedia (Esp. all. I 98).
Anche il campo delle metafore e delle similitudini è particolarmente esposto a
calchi danteschi: è il caso delle indicazioni temporali, come «nell’ora che le guance
cominciano all’Aurora a divenire vermiglie» (IV 85, 13) → «sì che le bianche e
le vermiglie guance, / là dov’i’ era, della bella Aurora» (Purg. II 7-842); delle si-
militudini animalesche: «così come i furiosi tori, ricevuto il colpo del pesante ma-
glio, qua e là sanza ordine saltellano» (IV 137, 5) → Inf. XII 22-2443; «sì come il
porco poi che ha sentite l’agute sanne de’ caccianti cani, squamoso con furia si ri-
volge tra essi, magagnando qual prima con la sanna giunge» (IV 138, 5) → Inf.
XIII 112-11444; dei riferimenti classici: «di tristizia gli animi subitamente spo-
gliarono, di quella letizia rivestendogli, che Isifile nel dolore di Ligurgo si rivestì
co’ riconosciuti figliuoli» (IV 141, 1) → Purg. XXVI 94-9645; dei paragoni tratti
dalla vita quotidiana: «A ciascuno uomo così s’arricciavano i capelli in capo, come
suole fare al ricco mercatante nelle dubbiose selve, poi che i ladroni con l’occhio
ha scoperti» (IV 145, 3) → Conv. IV 13, 11 e Inf. XXIII 19-20, con possibile sug-
gestione autobiografica46. A tali paralleli se ne può aggiungere almeno un altro:
quando, riferendosi alla gioia ineffabile di Florio e Biancifiore finalmente ricon-
giuntisi e sposatisi, il narratore interroga i suoi lettori – «O allegrezza inestimabile,
o diletto non mai sentito, o amore incomparabile, con quanto effetto congiugneste
voi i novelli sposi! Pensinlo le dure menti, nelle quali amore non puote entrare, pen-
sinlo i crudi animi: e se questo pensando, non divengono molli, credasi che gra-
ziosa virtù in loro abitare non possa!» (IV 122, 1) – vengono alla mente le parole
con cui Ugolino si rivolge a un impassibile Dante pellegrino dopo avergli raccon-
tato la vicenda, nel suo caso di estremo dolore, occorsa a sé e ai figli: «Ben se’
crudel, se tu già non ti duoli / pensando ciò che ’l mio cor s’annunziava; / e se non
piangi, di che pianger suoli?» (Inf. XXXIII 40-42).
Nella novella, non c’è traccia di echi danteschi così palmari, se non in un’at-
mosfera vagamente infernale presente nel momento in cui l’ammiraglio riconosce
nel giovane condannato al rogo le fattezze di Gian di Procida, e gliene chiede ra-
gione. La risposta di Gianni – «io fui ben già colui di cui voi mi domandate» (V
6, 31) – con quell’uso litotico del passato remoto ricorda da vicino certi dannati del-
l’Inferno che in quella stessa maniera rispondono agli interrogativi di Dante circa
la loro identità. Persino la concisa risposta di Gianni alla domanda di Ruggiero sul
motivo di quel supplizio, ovvero «amore e l’ira del re» (V 6, 32), per quanto non
svolta nei lunghi dialoghi cari alla trama del Filocolo, sembra accennare alle stesse
pene dei dannati dei gironi infernali, in primo luogo agli amori lussuriosi di Paolo
e Francesca47.
Si nota dunque, nel passaggio dal Filocolo al Decameron, l’impiego di una tec-
nica narrativa maggiormente affinata, anche per via del nuovo genere letterario in
cui Boccaccio si cimentò. I paralleli sono piuttosto sotterranei che appariscenti ma
dimostrano il ricorso ciclico di alcuni schemi prediletti, tratti dal mito e dall’ama-
tissimo Dante; questi vengono rivisitati quando non del tutto occultati (dalla cita-
zione esplicita ad una più vaga allusione, come per la vicenda di Leandro) anche
43 Ivi, p. 907.
44 Ibidem.
45 Ivi, p. 908.
46 Ivi, p. 909.
47 Nell’acqua del mare percorso da Gianni a nuoto (novello Leandro) e nel fuoco del rogo sono
stati visti i simboli, rispettivamente, di Venere (dea nata dal mare), e dunque della concupiscenza, e
di Marte, ovvero dell’irascibilità (cfr. J. LEVARIE SMARR, op. cit., p. 185).
138 Johnny L. Bertolio
in relazione al diverso pubblico di lettori: colto e raffinato quello del Filocolo, ben
più vasto e con meno pretese erudite quello del Decameron48. Il Filocolo si con-
ferma quella ‘palestra’ scrittoria nella quale Boccaccio poté sperimentare la pro-
pria esuberante (anche in termini quantitativi) vena narrativa, che poi la matura
raccolta decameroniana avrebbe «asciugato» e reso più efficace, alla luce di una
nuova poetica.
Ringraziamenti / Acknowledgements p. 6
Introduzione / Introduction » 8
Abstracts » 11
AMICIZIA / FRIENDSHIP
Teodolinda Barolini
A Philosophy of Consolation: The Place of the Other in Life’s Transactions
(«se Dio m’avesse dato fratello o non me lo avesse dato») » 89
Renzo Bragantini
L’amicizia, la fama, il libro: sulla seconda epistola a Mainardo Cavalcanti » 107
Simona Lorenzini
The Two Versions of the Eclogue Faunus:
Boccaccio’s Different Approaches to the Bucolic Genre » 149
INTERTESTUALITÀ / INTERTEXTUALITY
Carlo Delcorno
Boccaccio and the Literature of Friars » 161
Maria Pia Ellero
Lisa e l’aegritudo amoris. Desiderio, virtù
e fortuna in Decameron, II 8 e X 7 » 187
Valerio Cappozzo
«Delle verità dimostrate da’ sogni»: Boccaccio
e l’oniromanzia medievale » 203
Olivia Holmes
Beyond Exemplarity: Women’s Wiles
from the Disciplina clericalis to the Decameron » 213
PERFORMATIVE BOCCACCIO
Laurie Shepard
Lauretta’s Lament: Incongruity in the Songs
that Conclude the Days of the Decameron » 299
Gianni Cicali
Boccaccio and Pietro Trinchera (Naples 1702?-1755) » 309