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PAPYROLOGICA FLORENTINA

a cura di Rosario Pintaudi

Volume XLV

e sì d’amici pieno
Omaggio di studiosi italiani a
Guido Bastianini
per il suo settantesimo compleanno

a cura di
Angelo Casanova - Gabriella Messeri - Rosario Pintaudi

2 - Filologia greca e latina

EDIZIONI GONNELLI
Firenze 2016
Proprietà letteraria riservata.

ISBN 978-88-7468-046-7

Alla pubblicazione hanno contribuito il Dipartimento di Lettere e Filosofia e l’Istituto Papirologico


«G. Vitelli» dell’Università degli Studi di Firenze

MA.GI.CA Celere s.r.l.s. Messina - Finito di stampare nel luglio 2016


OMERO NELL’OLIMPICO DI DIONE

Premessa

I Discorsi di Dione di Prusa costituiscono notoriamente una delle testimonianze più note-
voli della fortuna di Omero nella cultura greca della prima età imperiale1, e numerosi studi sono
stati dedicati in passato, e anche di recente, alla presenza dei poemi omerici nell’opera superstite
del sofista-filosofo di Bitinia2. Una ricognizione completa delle vere e proprie citazioni, ma anche
degli adattamenti e delle parafrasi, nonché dei riferimenti più generici e delle semplici allusioni a
passi omerici che s’incontrano nella sua opera, fu compiuta molti anni fa da Jan Frederick Kinds-
trand3, e non direi che necessiti di aggiornamenti significativi4. Lo schema con cui lo studioso sve-
dese corredò la sua ricognizione5 è prezioso per ulteriori più approfondite indagini sulla natura e
la funzione di tali riferimenti nel contesto di singoli discorsi dionei: che è appunto quello che mi
accingo a fare per uno di quelli più promettenti per un’analisi di questo genere, l’Olimpico, o sul-

1
Sulla fortuna di Omero in età alto-imperiale vd. ultimamente F. Zeitlin, Visions and revisions of Homer, in S.
Goldhill (ed.), Being Greek under Rome. Cultural Identity, the Second Sophistic and the Development of Empire, Cam-
bridge 1901, 195-266, spec. 207 ss.; per il ruolo del poeta come punto di riferimento per l’ideologia imperiale, vd. A.
Gangloff, Le princeps et le bon roi selon Homère, in S. Bénoist, A. Daguet-Gagey, C. Hoët-van Cauwenberghe (eds.),
Figures d’empire, fragments de mémoire. Pouvoir et identités dans le monde romain impérial (IIe siècle av. n.è. – VI s.
de n.è.), Septentrion 2011, pp. 105-122 (per quanto riguarda Dione, specialmente 117-121). Più attento agli aspetti pro-
priamente letterari G. D’Ippolito, Omero al tempo di Plutarco, in P. Volpe Cacciatore - F. Ferrari (edd.), Plutarco e la
cultura della sua età. Atti del X Convegno plutarcheo, Fisciano-Paestum, 27-29 ottobre 2005, Napoli 2007, pp. 59-84;
vd. anche A.M. Milazzo, Dimensione retorica e realtà politica. Dione di Prusa nelle orazioni III, V, VII, VIII, Hildesheim-
Zürich-New York 2007, pp. 199 s.
2
Fra gli studi più antichi mi limito a ricordare M. Valgimigli, Contributi alla storia della critica letteraria in Gre-
cia. I. La critica letteraria di Dione Crisostomo, Bologna s.d. (ma 1912), che contiene un’Appendice (pp. 77-83) rela-
tiva specificamente all’Olimpico; la sezione omerica del saggio del Valgimigli si ritrova (in parte) in Id., La critica
omerica presso Dione Crisostomo, in Studi di storia e di critica dedicati a Pio Carlo Falletti dagli scolari celebrandosi
il 40. anno del suo insegnamento, Bologna 1915, pp. 1-45 (estratto). Fra gli studi più recenti segnalo in particolare S.
Fornaro, Un encomio di Omero in Dione Crisostomo (or. LIII), in Seminari romani di cultura greca 5.1 (2002), 83-104;
Ead., Immagini e letture omeriche in età imperiale, Gaia 7 (2003), pp. 439-446; L. Baldi, Citazioni omeriche in Dione
Crisostomo, in S.M. Medaglia (ed.), Miscellanea in ricordo di Angelo Raffaele Sodano, Napoli 2004, pp. 23-35; A. Bil-
lault, Rhétorique et herméneutique dans le Discours troyen (XI) de Dion Chrysostome, in L. Calboli Montefusco (ed.),
«Papers on Rhétoric» VII, Roma 2006, pp. 1-16. A. Gangloff (Dion Chrysostome et les mythes. Héllenisme, commu-
nication et philosophie politique, Paris 2006, pp. 31 s. e passim) ha evidenziato in particolare come Omero sia la
fonte della maggior parte dei miti a cui fa riferimento Dione.
3
Homer in der Zweiten Sophistik. Studien zu der Homerlektüre und dem Homerbild bei Dion von Prusa, Maxi-
mos von Tyros und Ailios Aristeides, Uppsala 1973, pp. 13-44 e 113-162; lo studioso riteneva (pp. 31 e 104), a mio pa-
rere giustamente (e vd. anche Gangloff, Dion Chrysostome cit., p. 41, n. 81) che Dione avesse una conoscenza diretta di
entrambi i poemi.
4
Per quanto riguarda l’Olimpico, oggetto del presente studio, ho rilevato solo la mancanza di riferimenti a Il.
2.858 al § 16 e a Il. 1.544, 4.68, 5.426, 8.49, etc. (la formula πατὴρ ἀνδρῶν τε θεῶν τε) al § 22.
5
Homer cit., pp. 19-26.
462 Paolo Desideri

la prima intuizione di dio6 – una conferenza tenuta ad Olimpia nel contesto di un’Olimpiade, a mio
parere quella del 105 d.C.7; esso si sviluppa infatti come una sorta di dialogo a distanza con Omero
su una serie di temi interconnessi di carattere filosofico, relativi alle origini e ai fondamenti della
religiosità, e ai modi in cui le varie forme di rappresentazione della divinità hanno contribuito nel
corso del tempo a rafforzarla8. Ma il dialogo con Omero è occasionato dalla statua crisoelefanti-
na di Zeus «presso la quale ora ci troviamo» (22), una delle opere più famose di Fidia; ed è pro-
prio a Fidia che Dione attribuisce (55-83) una lettura di questa statua, che di fatto si configura
come un’analisi del modo in cui l’artista si è posto, nel rappresentare la divinità, rispetto allo Zeus
che emerge dai poemi omerici. Fidia dichiara di avere inteso evidenziare, nella rappresentazione
della figura divina, i tratti attraverso i quali si può esprimere un’idea di universalismo pacifico e
filantropico: di averne cioè voluto suggerire un’idea che si pone decisamente in contrasto con
quella che si ricava specialmente dall’Iliade, dove Zeus appare come un dio legato prevalente-
mente alla guerra e alla violenza (anche se non vi mancano immagini di irenica serenità). Per Dio-
ne (Fidia) in questo caso Omero è dunque in linea di principio un termine di riferimento negativo,
analogamente a quanto si verifica nel Troiano, sul fatto che Ilio non è stata presa (XI)9, un discorso
peraltro assai più polemico: qui infatti il poeta è accusato di aver commesso un falso storico, cioè
di aver deliberatamente alterato, a fini ideologico-politici, il racconto della guerra di Troia, asse-
gnando la vittoria a chi in realtà aveva perduto10; nell’Olimpico invece l’accusa (implicita) è quella
di aver associato a Zeus un’idea di potere violento, che oltre ad essere servita per secoli a nobili-
tare la guerra, si può presumere sia usata al tempo stesso di Dione per magnificare quella che i Ro-
mani stanno ora combattendo nell’area danubiana11.

6
È il λόγοϲ XII dell’ordine tradizionale del corpus dioneo; per il testo seguo l’ed. LCL di J.W. Cohoon (1939),
ma ho comunque tenuto presenti le recenti edizioni commentate di D.A. Russell (Dio Chrysostom, Orations 7., 12., and
36., Cambridge 1992), C. Naddeo (Dione di Prusa, Olimpico (Or. XII), Salerno 1998), H.-J. Klauck (Dion von Prusa,
Olympische Rede oder Über die erste Erkenntnis Gottes, Darmstadt 2000), e soprattutto L. Torraca - A. Rotonno - R.
Scannapieco (Dione di Prusa, Olimpico, Napoli 2005), della cui ottima traduzione mi sono spesso avvalso. Tra gli studi
più recenti su questo discorso che mi sono apparsi più interessanti ricordo F. Jouan, Les Grecs devant la statue de Zeus
à Olympie, in J. Ries (ed.), Expérience religieuse et expérience esthétique. Rituel, art et sacré dans les religions. Actes
du Colloque de Liège et de Louvain-la-Neuve (21-22 mars 1990), Louvain-la-Neuve 1993, pp. 91-102; G.A. Cellini, La
fortuna dello Zeus di Fidia. Considerazioni intorno al λόγοϲ ὀλυμπικόϲ di Dione Crisostomo, in Miscellanea greca e
romana XIX, Roma 1995, pp. 101-132; F.A. Gangloff, Comment parler du divin? langage mythique et conception des
dieux chez Dion de Pruse, Rhetorica 28 (2010), pp. 245-260 (altra bibliografia nel mio Lo Zeus di Olimpia emblema
di pace secondo Dione di Prusa, Arys. Antigüedad: Religiones y sociedades 11 (2013), pp. 239-47).
7
La datazione di questo discorso è molto discussa (vd. ultimamente una ricognizione delle varie ipotesi nel com-
mento al § 16 del citato Torraca - Rotonno - Scannapieco), ma non vedo motivi stringenti per modificare la mia attribu-
zione originaria – che si rifaceva in realtà a Hans von Arnim (Leben und Werke des Dio von Prusa, Berlin 1898, pp. 405
ss.) – al 105 d.C. (vd. Dione di Prusa. Un intellettuale greco nell’impero romano, Messina-Firenze 1978, p. 267 e n. 49).
Ora G. Ventrella (Appendice. Sulla presunta presenza di Dione nel castrum di Viminacium alla morte di Domiziano, in
E. Amato, Traiani Praeceptor. Studi sulla biografia, cronologia e fortune di Dione Crisostomo, Presses universitaires
de Franche-Comté 2014, pp. 153-170), riprendendo un’ipotesi antica (1740) di Henricus Valesius, a mio parere inso-
stenibile, che il campo militare di cui si tratta ai §§ 16-20 (vd. infra) sia dei Geti e non dei Romani, porta nuovi argo-
menti a favore dell’Olimpiade del 97. Sulla natura epidittica di questo testo vd. Gangloff, Dion Chrysostome cit., p. 46.
8
Per un’analisi dell’Olimpico nel suo complesso vd. già il mio Dione di Prusa cit., pp. 120-122 (il proemio); 327-
332 (il messaggio centrale); 477-480 (D. e i poeti); per i miei interventi successivi vd. Lo Zeus di Olimpia cit., n. 1.
9
Per una possibile connessione fra i due discorsi vd. il mio Lo Zeus di Olimpia cit.
10
Per un’interpretazione ‘politico-ideologica’ del Troiano, con varie puntualizzazioni e distinguo, vd. Kindstrand,
Homer cit., pp. 141-162; Desideri, Dione di Prusa cit., pp. 496-501; Id., Dione di Prusa fra ellenismo e romanità, ANRW
II 33.5, pp. 3382-3902, 3886 s.; K. Blomqvist, Myth and Moral Message in Dio Chrysostom. A study in Dio’s moral
thought, with a particular focus on his attitudes towards women, Lund 1989, p. 119 s.; S. Fornaro, Omero cattivo stori-
co: l’orazione XI di Dione Crisostomo, in F. Montanari (ed.), Omero tremila anni dopo, Roma 2002, pp. 547-560; G.
Vagnone, Dione di Prusa, Troiano, Or. XI, ed. critica, trad. e commento, Roma 2003, pp. 12 s.; Billault, Rhétorique cit.,
pp. 13 s.; Gangloff, Dion Chrysostome cit., pp. 120 ss.; 305 ss.
11
Sulla visione bellicistica di Omero nell’antichità vd. Gangloff, Dion Chrysostome cit., p. 295; sull’importanza
Omero nell’Olimpico di Dione 463

Per definire quest’idea Fidia/Dione utilizza una quantità di passi omerici, che del dio deli-
neano il carattere nelle circostanze più varie. La ricognizione è operata sulla base della conside-
razione dell’assai maggiore flessibilità e versatilità dello strumento linguistico, con il quale si
esprime la poesia, in confronto con quello proprio delle arti figurative, i cui maestri non possono
che scegliere una volta per tutte una particolare immagine da realizzare, che resterà poi immodi-
ficabile. Ma passi omerici erano già stati richiamati da Dione, come vedremo, nella parte intro-
duttiva della sua conferenza, al fine di definire, anche se in modo incompleto e quasi per contra-
sto, il suo stesso profilo di intellettuale itinerante; e infine con una citazione omerica il discorso si
chiude, con un’ambigua espressione di sconforto per la situazione attuale della Grecia. Quello che
vorremmo mostrare è come il dialogo con Omero costituisca la vera e propria ossatura del discorso
di Dione, quasi la chiave del suo sviluppo espositivo. Dione parte infatti dal principio che le idee
che si ricavano tradizionalmente dai suoi poemi hanno generato e continuano a generare opinioni
che hanno acquisito ampia diffusione, e che è dunque con Omero stesso che bisogna confrontarsi
se si vuol cercare di far prevalere diversi orientamenti di pensiero: allo stesso modo in cui, come
si è visto in altra sede, la polemica con Euripide nella seconda parte dell’Euboico (VII, 98-101)
serve a Dione (che qui invece chiama Omero in aiuto) a mettere in discussione l’idea – molto co-
mune, ma per così dire formalizzata da Euripide – che i poveri non siano ospitali12. Naturalmente
il richiamo ad Omero serve anche ad istituire col pubblico che ascolta, supposto capace di cogliere
e apprezzare riferimenti espliciti e allusioni, una più intensa atmosfera comunicativa13. L’obietti-
vo principale di Dione sembra comunque essere quello di tentare, appoggiandosi alla potenza ar-
tistica della statua di Fidia, e grazie all’aria che si respira ad Olimpia in occasione dei giochi, di
sostituire un’idea della divinità come momento di unione fra tutti gli uomini, greci e barbari, a
quella corrente, ricavata appunto da Omero, che vede in essa, in quanto emblema di potenza e di
dominio, un momento di divisione e di guerra. Mi pare anche verosimile che alla base di questa
determinazione di Dione ci possa essere la passata esperienza della sua vita di esule14, quando
l’aiuto decisivo per resistere al potere tirannico di Domiziano era stato, oltre alla fede negli dei, il
sostegno complice delle popolazioni “barbare” dell’area danubiana presso le quali aveva dovuto
recarsi per sopravvivere15: proprio quelle contro le quali ora si rivolgeva la violenza “imperialisti-
ca” romana. Ma noi ci occuperemo ora solo di mettere a fuoco il ruolo che giocano i numerosi ri-
ferimenti omerici nel contesto dell’apparato argomentativo con il quale Dione ritiene di poter con-
seguire questo suo obiettivo.

della dimensione religiosa nella guerra dacica vd. ora J.R. Carbó García, Dii romani vs. Dii daci. La disolución de la re-
ligión dacia en la conquista romana, Arys. Antigüedad: Religiones y sociedades 11 (2013), pp. 227-238.
12
Vd. Desideri, Dione di Prusa cit., pp. 474-476; per una esauriente analisi degli aspetti non solo letterari del-
l’Euboico vd. ultimamente R. Scannapieco, L’Euboico di Dione di Prusa: coscienza della crisi ed etica della filantro-
pia, in AA.VV., Ricerche su Dione di Prusa, Napoli 2001, pp. 99-153; Id., Tecnica della narrazione e gioco combinatorio
nel racconto dell’Euboico (D. Chrys. or. VII, §§ 1-80), in Medaglia (ed.), Miscellanea cit., pp. 322-368 (per il passo che
ci interessa, 335 s.). Sul rapporto Dione-Euripide vd. in generale A. Gangloff, Dion Chrysostome et Euripide: de l’usage
pédagogique d’un auteur tragique, REA 106 (2004), pp. 103-122.
13
Un’ampia conoscenza diffusa di Omero è ipotizzabile già sulla base della presenza massiccia dei poemi nella
scuola (ellenistica e) romana: per i riferimenti essenziali vd. ultimamente G. Cavallo - L. Del Corso, 1960-2011: mezzo
secolo dopo gli Aperçus de Paléographie homérique di William Lameere, in G. Bastianini - A. Casanova (edd.), I pa-
piri omerici. Atti del convegno internazionale di studi Firenze, 9-10 giugno 2011, Firenze 2012, pp. 29-63, 47 n. 71.
14
Su questo esilio, la cui natura e circostanze sono state oggetto di molte discussioni da Filostrato ai giorni no-
stri, vd. ultimamente il mio Dio’s exile: politics, philosophy, literature, in I.F. Gaertner (ed.), Writing Exile: The Discour-
se of Displacement in Greco-Roman Antiquity and Beyond, Leiden-Boston 2007, pp. 193-207.
15
Per una valorizzazione in quest’ottica del mondo barbarico vd. il mio City and Country in Dio’s Thought, in S.
Swain (ed.), Dio Chrysostom. Politics, Letters, and Philosophy, Oxford 2000, pp. 93-107, in part. 102 s.
464 Paolo Desideri

Autopresentazione di Dione

L’Olimpico ha un lungo proemio16, la cui prima parte (1-15) serve a Dione a differenziarsi dai
“sofisti” che declamano in occasione dei Giochi nell’area del santuario, orgogliosi della loro sa-
pienza e del numero degli allievi che li seguono: Dione dichiara di non capire perché molti si affol-
lino intorno a lui, che «non sa e non dice di sapere» (5; cfr. 15), non ha allievi, e si fa notare solo
per l’aspetto trasandato e i capelli lunghi; e cerca di dissuaderli dall’ascoltarlo17. S’incontra qui la
prima citazione testuale di un verso omerico – «se invece questo (sc. il fatto di ascoltare me) vi
sembra più facile e bello»18 (Od. 1.376 = 2.141) – una semplice formula di passaggio che s’in-
contra all’interno di due diversi discorsi di Telemaco contro i proci. Adattato al contesto situa-
zionale del discorso di Dione, questo riferimento segna il trapasso alla seconda parte del proemio
(16-26), la vera e propria autopresentazione, che inizia con l’istituzione di un parallelismo fra il
suo stile oratorio «erratico» (πλανώμενοϲ ἐν τοῖϲ λόγοιϲ)19, e la vita trascorsa nei vagabondaggi
(ὥϲπερ ἀμέλει καὶ τὸν ἄλλον χρόνον ἔζηκα ἀλώμενοϲ) – probabile allusione al periodo dell’esi-
lio (16), ma forse anche più in generale alla passione dell’oratore per i viaggi, che è certamente un
dato autobiografico reale, fisiologicamente connesso peraltro con il tipo di attività intellettuale che
a Dione è propria, e non una pura finzione retorico-stilistica, insomma una costruzione letteraria20.
La successiva apertura sull’attualità del momento in cui si svolge la prestazione oratoria viene sot-
tolineata da un nuovo riferimento a Omero, che apre una lunga sezione relativa ai precedenti im-
mediati dell’arrivo dell’oratore a Olimpia (16): «Sono reduce da un lungo viaggio, direttamente
dall’Istro (il Danubio) e dalla terra dei Geti o Misi21, come dice Omero usando la moderna deno-
minazione di quel popolo»22. I Geti sono naturalmente i Daci, e la loro identificazione con i Misi
che compaiono nel Catalogo dei Troiani del secondo libro dell’Iliade (2.858; ma vd. anche 14.4-
5) è una spia molto interessante di un uso di Omero come autorità storico-geografica – in stile stra-
boniano – che deve essere stato fatto da Dione per la composizione dei suoi Getica23. Qui però
quello che interessa è che Dione, richiamandosi ad Omero, ritiene di rappresentare con maggiore
immediatezza la regione di partenza del viaggio che l’ha ultimamente portato a Olimpia: una re-

16
Su questo proemio, oltre al mio Dione di Prusa cit., pp. 120-122, vedi quanto ho scritto in Tipologia e varietà
di funzione comunicativa degli scritti dionei, ANRW II 33, 5 (1991), pp. 3903-3959, in part. 3931 s.
17
Il tema dell’“abito” del filosofo è ricorrente in Dione (vd. il mio Dione di Prusa cit., pp. 92; 116 ss.; 235 ss.),
e si conserva addirittura un discorso (o un frammento di discorso) ad esso dedicato (LXXII ); su tutta la tematica vd.
ora Dion von Prusa, Der Philosoph und sein Bild, hrsg. von H.-G. Nesselrath, Tübingen 2009.
18
Questa e le successive traduzioni dall’Odissea e dall’Iliade sono di R. Calzecchi Onesti (Torino 1963, con varie
ristampe), nella misura in cui le citazioni di Dione sono testuali; nel caso, come vedremo piuttosto frequente, in cui vi-
ceversa Dione adatta Omero al suo contesto, si traduce ovviamente l’adattamento dioneo.
19
Di questo modo di procedere vd. un’esemplificazione rilevata dallo stesso Dione, a conclusione (§ 38) del-
l’excursus polemico contro gli epicurei (§§ 36-37)
20
Su questo aspetto della personalità di Dione vd. F. Jouan, Les récits de voyage de Don Chrysostome: réalité
et fiction, in M.-F. Baslez - P. Hoffmann - L. Pernot (edd.), L’invention de l’autobiographie d’Hésiod à saint Augustin.
Actes du deuxième colloque de l’Équipe de recherche sur l’hellénisme post-classique (Paris, École normale supérieure,
14-16 jiun 1990), Paris 1993, pp. 189-198; Gangloff, Dion Chrysostome cit., pp. 93 ss.; Ead., Les voyages du sophiste
Dion de Pruse, in Y. Le Bohec (dir.), Les voyageurs dans l’Antiquité (publication électronique), Paris 2008, pp. 71-82
(citato dal pdf del testo originale dell’A., da lei stessa gentilmente fornitomi).
21
Non credo, contrariamente a quanto pensano Torraca - Rotonno - Scannapieco (vd. trad. e n. 75), che la presenza
di Dione in quest’area sia da inserire nel contesto di un suo più ampio viaggio attraverso la Dacia (quale quello che vi
aveva svolto in precedenza, durante l’esilio): a mio parere l’oratore allude semplicemente al lungo viaggio di ritorno dalla
regione ove si trovava l’accampamento romano del quale di seguito si parla.
22
L’unico modo di spiegare questa strana osservazione di Dione è che egli pensi all’etnico latino Moesi (vd. il
commento Torraca - Rotonno - Scannapieco al § 16).
23
Sui Getica sto scrivendo un saggio che comparirà sul prossimo numero (XXX) degli «Studi ellenistici» di B.
Virgilio; per ora vd. il mio Lo Zeus di Olimpia cit., pp. 242 s.
Omero nell’Olimpico di Dione 465

gione nella quale, come si vede subito dopo, ha sede un accampamento militare, evidentemente
romano, pronto ad una spedizione appunto contro quella popolazione24.
E Omero compare ancora subito dopo, quando Dione spiega le ragioni della sua presenza in
quell’accampamento (17-18): non ero andato lì, dice l’oratore, in qualità di commerciante al se-
guito della spedizione né di addetto ai bagagli e al bestiame né di diplomatico impegnato in una
qualche missione – di quelle che solo apparentemente mirano a trovare un’intesa fra le parti; ero
lì, precisa, «nudo, senz’elmo e senza scudo, e neppure l’asta avevo» (Il. 21.50). Sono le parole con
cui Omero descrive lo stato del troiano Licaone, al momento in cui sta per essere ucciso da un
Achille in preda ad un’eccitazione sanguinaria, e servono evidentemente a Dione a sottolineare
la condizione di indifesa vulnerabilità in cui egli si trovava nell’accampamento.
Il racconto prosegue con un’elencazione delle concitate attività che vi si svolgevano, a nes-
suna delle quali Dione intendeva o poteva prendere parte, per arrivare infine, con un uso questa
volta antifrastico di Omero, ad una definizione del ruolo che in realtà egli si era assunto andando
lì. «Io solo, in mezzo a tanto affaccendarsi, mi presentavo come del tutto ozioso, osservatore di
guerra assolutamente pacifico. Debole di corpo – prosegue – di età avanzata, non venivo lì, con
uno scettro d’oro e le sacre infule di un dio, spinto dalla necessità, per riscattare una figlia, ma per
il desiderio di vedere uomini che lottavano per il dominio e la potenza, contro altri uomini che si
battevano per la libertà e la patria» (19-20). Il riferimento all’episodio col quale si apre l’azione
dell’Iliade serve a definire con una conclusiva più forte negazione la ragione della presenza di
Dione presso l’esercito imperiale che sta per muovere contro i Daci: Dione non cercava nient’al-
tro che di rendersi conto con i propri occhi dei preparativi di una guerra che a lui appariva sem-
plicemente come una lotta fra le ragioni dell’impero e quelle della libertà. Il senso più profondo
del contrasto fra le due situazioni sta dunque nel fatto che Dione, a differenza di Crise che si trova-
va nell’accampamento acheo con un obiettivo preciso, era mosso solo dall’esigenza di capire come
si potesse mobilitare un esercito con l’unico obiettivo di distruggere un popolo25. Il confronto col
passo omerico ingigantisce l’idea dell’assurdità di questa guerra, che sarà poi il motivo di fondo
del rifiuto opposto da Dione ad una rappresentazione della divinità come garante della naturalezza
e inevitabilità della guerra; se non addirittura della sua legittimità.
Si passa così alla terza ed ultima parte del proemio (21-26), quella in cui Dione propone il
tema della sua conferenza: essa non sarà una descrizione del contesto geografico o ambientale da
cui l’oratore proviene – come forse qualcuno si sarebbe potuto aspettare – ma riguarderà il «più
importante e più grande racconto (ἱϲτορία), quello relativo al dio presso il quale ora ci troviamo»
(21). Il dio è naturalmente Zeus, definito, con una terminologia almeno in parte omerica, «re, si-
gnore, principe e padre comune degli uomini e degli dei»26, ma in particolare «dispensatore di pace
e di guerra» (22) – e qui Dione parafrasa un verso dell’Iliade, nel quale però si parla di Zeus solo
come del dio che dispensa la guerra: Ζεύϲ, ὅϲ τ᾽ ἀνθρώπων ταμίηϲ πολέμοιο τέτυκται (Il. 4. 84 e
19.224); una forzatura che dà la misura della libertà funzionale con cui Dione si confronta col testo
omerico. Segue un ampio elogio di Esiodo – con relativa citazione dei primi versi delle Opere e
i giorni, nei quali il poeta, nell’invitare le Muse a cantare la gloria di Zeus, nasconde per modestia
la sua identità – che si configura chiaramente come una presa di distanza da quello che appare un
atteggiamento, per così dire, di narcisismo militaristico di Omero, del quale viene criticato, per la
sua inutile e vacua pletoricità, il Catalogo delle navi: ovvero «l’enumerazione di quanti andarono
contro Ilio, e in sequenza dei banchi delle loro navi, anche se per la maggioranza erano degli sco-

24
Se è corretta la datazione al 105, si tratta della seconda guerra dacica di Traiano.
25
Sembra indubitabile che qui ci sia una critica al militarismo di Traiano: vd. H. Sidebottom, Philosophers’ atti-
tudes to warfare under the principate, in J. Rich - G. Shipley (eds.), War and Society in the Roman World, London 1993,
pp. 241-264, 260 (con qualche esitazione); e infra, pp. 460-461.
26
Il Cohoon (n. 1), nel rinviare ad Il. 1.544 per l’espressione πατὴρ ἀνδρῶν τε θεῶν τε, osserva che Omero in
realtà non definisce mai Zeus βαϲιλεύϲ.
466 Paolo Desideri

nosciuti» (23-24)27. A conclusione di questa ultima sezione del proemio (25-26) Dione si soffer-
ma sull’opportunità di celebrare la divinità non solo ammirando le opere d’arte contenute nel san-
tuario ma anche – come egli appunto si accinge a fare – pronunciando discorsi che invitino ad
una riflessione sull’origine del sentimento religioso e sulla natura dell’idea stessa del divino. In
questo snodo argomentativo – che in realtà serve a Dione a lanciare il tema centrale del rapporto
fra immagini di culto e sentimento religioso, e a porre in questa prospettiva il problema del signi-
ficato della statua fidiaca di Zeus – è chiamato di nuovo in causa Omero, e questa volta con una
citazione testuale che porta direttamente al cuore della questione. Sono i versi del primo libro del-
l’Iliade (1.528-530) in cui il poeta descrive il cenno divino che suggella la promessa fatta a The-
tys di favorire i Troiani nei prossimi sviluppi della guerra: «Disse, e con le nere sopracciglia il
Cronide accennò; le chiome ambrosie del sire si scompigliarono sul capo immortale: scosse tutto
l’Olimpo»; i versi ai quali, secondo una lunga tradizione esegetica, che Dione conferma, Fidia si
sarebbe ispirato nel dare forma al volto di Zeus28. È dal confronto fra lo Zeus di Fidia e la rappre-
sentazione omerica del dio che in effetti prende le mosse, come si è detto, la riflessione filosofica
(ἅτε ἐν φιλοϲόφου διατριβῇ) di cui si sostanzia l’Olimpico.

Religiosità naturale e rappresentazione del divino in forme umane

In questa sede non ci soffermeremo naturalmente sull’impianto complessivo di questa rifles-


sione, che abbiamo analizzato altrove29, ed è stato più volte ripercorso anche di recente30, se non
per ricordare che nel giudizio di Dione il senso del divino è innato nell’uomo – in tutti gli uomi-
ni, Greci e barbari – e in ogni essere razionale (27)31; e che è su questa intuizione originaria, risa-
lente alle condizioni di vita dei primi uomini sulla terra (27-36), e messa in dubbio solo dagli epi-
curei (36-37), che si sono poi sviluppate, grazie all’opera sostanzialmente convergente dei poeti,
dei legislatori, degli artisti e dei filosofi, le forme storiche della religiosità, e in particolare le rap-
presentazioni della divinità (39-48) sulle quali tale religiosità si appoggia. Dione si richiama ad
un sistema di idee di origine stoica, passato poi in ambiente romano (Varrone), che va comune-
mente sotto il nome di theologia tripartita32: un sistema nel quale Dione introduce delle varianti
importanti, come appunto l’idea della piena legittimità della raffigurazione della divinità in forme
umane, considerata necessaria ad assicurare la devozione religiosa dei ceti più bassi33. Qui ci in-
teressa il fatto che in questa parte dell’argomentazione si incontra un doppio richiamo ad Omero,
che serve a sottolineare con immagini particolarmente efficaci la violenta polemica di Dione con-
tro gli epicurei: quegli «uomini per così dire più sapienti di tutta la sapienza» (36) che disprezza-
no il divino, pretendendo di erigere al suo posto come unica divinità il piacere, e privando così di
senso tutto l’universo. Il primo è al passo dell’Odissea (12.47-49 + 173-177) nel quale si descrive
l’incontro di Odisseo con le Sirene, e in particolare l’espediente suggerito ad Odisseo da Circe di

27
Naturalmente questo è in contrasto con quanto Dione altrove (LIII 9-10) afferma, che Omero per modestia non
ha mai inserito il proprio nome nei poemi, a differenza ad esempio dagli storici (da Ecateo in poi).
28
Oltre a questo passo di Dione (πρὸϲ τὴν Ὁμηρικὴν ποίηϲιν, ὥϲ φαϲι, Φειδίου παραβαλλομένου) ci sono molte
altre testimonianza dell’ispirazione omerica di Fidia (vd. Jouan, Les Grecs cit., pp. 95 ss.), ma forse i paralleli più pre-
cisi sono Strab. 8.3.30 e Val. Max. 3.7, Ext. 4.
29
Vd. specialmente i miei Dione di Prusa cit., pp. 327 ss., e Religione e politica nell’ “Olimpico” di Dione, Qua-
derni Storici 15 (1980), pp. 141-161.
30
Vd. supra, n. 6.
31
Per quest’idea vd. anche i §§ 33-34.
32
Aug., Civ. VI.5 (su questa concezione vd. ultimamente I. Ramelli, Philosophen und Prediger: Dion und Pau-
lus – pagane und christliche weise Männer, in Dion von Prusa, Der Philosoph cit., pp. 183-210, 194 s.).
33
Su questo punto in particolare vd. §§ 46 (ἐξηγούμενοι (sc. γραφεῖϲ τε καὶ ἀνδριαντοποιοὶ καὶ λιθοξόοι) τὰ
θεῖα τοῖϲ πλείοϲι καὶ ἀπειροτέροιϲ θεαταῖϲ) e 60-61 (vd. il mio Tipologia cit., pp. 3941 s.).
Omero nell’Olimpico di Dione 467

riempire di cera le orecchie dei compagni, in modo che non ne sentano il canto ammaliatore. Dio-
ne intende qui rappresentare icasticamente l’ancora più granitica insensibilità degli epicurei, che
«hanno versato nelle loro orecchie una sostanza come il piombo, morbido e al tempo stesso impe-
netrabile alla voce umana, e davanti ai loro occhi densa nebbia e tenebra»: e con questa seconda
immagine si fa esplicito riferimento a un secondo passo omerico, questa volta dell’Iliade (14.343-
345), quello in cui Zeus assicura ad Era che una spessa nube proteggerà da qualsiasi sguardo il loro
amplesso sul monte Ida. La polemica anti-epicurea serve a Dione a mettere fuori gioco la posi-
zione più decisamente “negazionista” di ogni prospettiva teologica che l’antichità abbia conosciu-
to; resta però il problema di quale sia il modo più corretto di rappresentare la divinità, tra le varie
visioni che ne hanno dato appunto poeti, legislatori, artisti e filosofi. Dione dichiara di non poter-
lo qui affrontare in termini generali, e di limitarsi a prendere in considerazione il tema specifico
del modo in cui ha ritenuto di rappresentare Zeus l’artista Fidia, nella statua che ne ha creato ad
Olimpia. E lo fa, come si è anticipato, introducendo a spiegare le sue ragioni lo stesso Fidia, in-
vitato a difendersi quasi davanti a un tribunale nel quale sono tutti i Greci a costituire il collegio
giudicante (49-54).
In questa sorta di processo la stessa eccelsa qualità dell’opera costituisce un potenziale ca-
po d’accusa, in quanto suscettibile di suggestionare i devoti in modo particolarmente forte. È in
questo contesto che prende significato la citazione omerica che incontriamo al centro della requi-
sitoria iniziale contro Fidia (52). La bellezza dell’immagine realizzata dall’artista è tale che «anche
chi, per aver subito nella vita molte sventure e dolori, ha l’animo talmente oppresso da non poter
cogliere il dolce sonno, anche costui, stando di fronte a questa immagine, dimenticherebbe tutti gli
spaventi e gli affanni che si devono subire nel corso della vita umana». Essa ha dunque la stessa
funzione del magico filtro versato da Elena nelle coppe dei commensali riuniti intorno a Telema-
co in visita nella reggia di Menelao, turbati dal ricordo dei tanti eroi caduti a Troia: un filtro «ca-
pace di rimuovere il dolore e l’ira, e di far dimenticare tutti i mali» (Od. 4.221). Il verso omerico
si presta ad esprimere in modo emblematico l’azione di tipo terapeutico esercitata dall’immagine
di culto; ma non si può evitare di continuare a domandarsi se una figura umana, pur di ecceziona-
le bellezza, sia il modo giusto di rappresentare la divinità. Nella successiva autodifesa di Fidia (55-
83) il confronto di Dione con Omero si fa particolarmente serrato, ma non tanto sul punto in sé
della liceità di tale rappresentazione, quanto sui tratti da attribuire all’immagine che si crea. Fidia
afferma infatti che la sua ha avuto come punto di riferimento quelle che erano state create da scul-
tori e pittori a lui precedenti, e prima ancora da «altri che avevano costruito figure di divinità
(δημιουργοὺϲ ἄλλουϲ περὶ τὰ θεῖα), più antichi di noi, e che ritenevano di essere molto più saggi,
i poeti» (57): come sarà chiaro nel successivo sviluppo del suo discorso, l’allusione di Fidia è pri-
ma di tutto proprio ad Omero – al quale del resto l’artista dichiarava, come si è visto (25), di esser-
si ispirato. La rappresentazione degli dei in forme umane – argomenta Fidia – è la migliore, oltre
che l’unica, possibilità offerta a scultori e pittori per esprimere i valori intellettuali e morali di cui
gli dei stessi sono portatori: e sono proprio queste rappresentazioni che consentono anche alle per-
sone più umili di provare un sentimento religioso, e di manifestare la loro devozione (58-61). E in
realtà questo è ciò che già Omero ha fatto: Fidia non ha difficoltà ad elencare (62) una serie di passi
nei quali Omero ha rappresentato Zeus in forme umane, e più precisamente «come una figura as-
sai simile a questa mia statua, menzionando le chiome del dio, e subito all’inizio del poema il suo
mento, quando dice che Thetys lo scongiura di tutelare l’onore del figlio» – che è di nuovo un ri-
ferimento all’episodio chiave del primo libro dell’Iliade (vv. 529 e 501, rispettivamente); o «ha
attribuito agli dei conversazioni, consigli, discorsi, o ancora viaggi dall’Ida al cielo e all’Olimpo,
sonni, banchetti e rapporti amorosi» – dove si allude a tutta la vicenda già ricordata della trappo-
la amorosa tesa a Zeus da Era (Il. 14.153 ss.); o infine «ha osato rappresentare Agamennone con
i caratteri più distintivi del dio, definendolo come «negli occhi e nel capo simile a Zeus che lancia
la folgore» (Il. 2.278)». Rispetto a tale ardimento, Fidia può già difendersi con la considerazione
che se non altro la qualità della sua rappresentazione di Zeus è tale che nessuno potrebbe imma-
ginare di confonderla con la statua di un mortale (63)!
468 Paolo Desideri

Immaginario poetico e raffigurazione artistica

Ma con questo non si è detto tutto. Fidia/Dione si produce ora, con l’obiettivo di definire le
possibilità espressive e i limiti della propria arte – l’arte figurativa – in una descrizione delle ben
più ampie potenzialità dell’arte poetica, che attinge all’immenso e vario patrimonio della lingua
(64-69)34. Anche in questa esposizione il punto di riferimento, in quanto termine di confronto, è
costituito da Omero, poeta sommo, dalla cui opera Fidia attinge argomenti ed esemplificazioni. La
varietà e la ricchezza del patrimonio linguistico sono tali – dice Fidia – da rendere la poesia ca-
pace di «esprimere tutti i divisamenti dell’animo» (64): è lo stesso Omero a riconoscerlo, quando
afferma, con le parole che Enea rivolge ad Achille prima del combattimento, «sciolta è la lingua
degli uomini e ci sono molte parole, svariate, un ricco pascolo di nomi, tanto di qua che di là» (Il.
20.248-249). Fidia prosegue poi con considerazioni generali sulla lingua omerica, osservando che
il poeta «non scelse una sola varietà di eloquio, ma mescolò insieme tutti i dialetti greci che prima
di lui erano distinti, quelli dei Dori e degli Ioni, e anche quello degli Ateniesi, mischiandoli insie-
me più a fondo di quanto non facciano i tintori con i colori, e per di più non limitandosi alle lin-
gue del suo tempo, ma recuperando anche quanto restava di quelle del passato…; e inoltre usò
persino molti termini barbari, non volendo privarsi di nessuna parola che gli sembrasse possede-
re grazia e forza espressiva» (66-67). Infine (68) creò egli stesso delle parole, «ora semplicemente
assegnando nomi alle cose, ora aggiungendone altri a quelli che già esistevano, come se impri-
messe su un sigillo un nuovo sigillo, chiaro e più espressivo»; in modo tale da poter «imitare le voci
dei fiumi, del bosco, dei venti, del fuoco, del mare, ma anche del bronzo e della pietra, e in una pa-
rola di tutti gli esseri animati e di tutti gli strumenti, animali selvatici uccelli flauti e zampogne».
Questa serie di riferimenti a passi omerici35 apre la via alla conclusione che «grazie a questa arte
poetica Omero poté suscitare nell’animo qualunque emozione volesse» (69). Rispetto a siffatte po-
tenzialità espressive della poesia è chiaro che l’arte figurativa (τὸ χειρωνακτικὸν καὶ δημιουργικόν)
si trova in condizioni d’inferiorità per vari motivi, e prima di tutto perché, a differenza del poeta,
che può modificare e integrare la sua immagine di continuo, e farla parlare ed agire, all’artista «è
necessario elaborare per ciascuna statua un’unica forma, immobile e fissa, che sia capace di rac-
cogliere in sé tutta la natura e la potenza del dio»; inoltre quest’unica forma deve conservarla nel-
la mente per tutto il tempo necessario a realizzare l’opera, spesso per molti anni (69-71). L’argo-
mentazione si conclude con un’ennesima citazione omerica, il verso in cui si dice di Era che «al
cielo arriva col capo, cammina sopra la terra» (Il. 4.443): esso mostra bene come il poeta non abbia
alcuna difficoltà ad accrescere le dimensioni del dio, mentre l’artista deve contentarsi delle «mi-
sure fissate dagli Elei o dagli Ateniesi» (72).
Si arriva così all’ultima e più importante parte del discorso di Fidia (73-83), quella nella quale
l’artista spiega quale sia la forma – destinata a non mutare nel tempo – che egli ha alla fine deci-
so di attribuire al suo Zeus, e le ragioni di questa scelta. Omero – «il più sapiente dei poeti»36 – è
qui di nuovo chiamato in causa, a riconoscere di essere stato il primo a dare degli dei, e in parti-
colare di Zeus, «molte e belle immagini, alcune serene, ma altre paurose e terribili» (73). Di fronte
alla necessità di scegliere tra le une e le altre, Fidia ha optato per le prime: «Il mio Zeus è pacifi-
co e assolutamente mansueto, come si addice al custode di una Grecia priva di contese e concor-
de. Così l’ho costruito, con l’aiuto della mia arte e secondo le indicazioni della saggia e buona città
degli Elei, mite e maestoso nella sua serenità, dio che dona la vita e assicura la sussistenza e tutti

34
Vd. Zeitlin, Visions and revisions cit., pp. 221 s.
35
Kindstrand (Homer cit., pp. 19 ss.) ha riconosciuto qui echi di Il. 1.46 (bronzo); 10.13 (flauti e zampogne);
10.375 (denti?); 14.394-399 (bosco+vento, fuoco, mare); Od. 5.485 (?); sugli echi platonici di questo passo dioneo vd.
Gangloff, Dion Chrysostome cit., p. 74.
36
Sulla sapienza di Omero vd. Gangloff, Dion Chrysostome cit., pp. 81 ss. (con riferimento anche ad altri passi
dionei).
Omero nell’Olimpico di Dione 469

i beni, e che è padre, salvatore e custode comune di tutti gli uomini» (74). Come risulta dalla suc-
cessiva elencazione (75-76), la dimensione pacifica e benevola del dio è supportata dalla molte-
plicità di appellativi, coerenti con questa dimensione, che gli sono attribuiti in vari contesti re-
ligiosi, a cominciare da quello di «padre e re» che già in precedenza Dione ha definito omerico
(anche se in realtà, come si è visto, lo è solo in parte37); e secondo Fidia è questa natura del dio che
la sua statua splendidamente rappresenta (77). Egli ha invece deliberatamente escluso tutta l’al-
tra serie di connotati, assai più spesso presenti in Omero, che evidenziano la dimensione violenta
e bellicosa di un dio che: 1) continuamente scaglia fulmini, segno di guerra e distruzione di masse
di uomini, o terribili piogge, tempeste di grandine e neve (vd. Il. 10.5-8); 2) distende l’arcobale-
no blu scuro simbolo di guerra (vd. Il. 17.547-549); 3) suscita una stella che sprigiona una scia
di faville, prodigio terribile per marinai o soldati (vd. Il. 4.75-77); 4) invia sui Greci e sui bar-
bari tremenda discordia, tale da infondere in uomini stanchi ed esauriti un desiderio insaziabile
di guerra e di battaglia (vd. Il. 11.3-4 e 11-12); 5) e infine pone su una bilancia i destini di uomini
simili a dei (vd. Il. 22.209-212), o di interi eserciti (Il. 8.69-72), perché vengano decisi per sponta-
nea inclinazione. Tutti questi connotati – osserva Fidia – «non era possibile imitarli con la mia arte;
ma forse neppure l’avrei fatto se fosse stato possibile» (78). E riprendendo due altri passi omerici
sottolinea conclusivamente i limiti insuperabili della propria arte: «la terra scossa e l’Olimpo scon-
volto per un rapido cenno delle sopracciglia (vd. il già ricordato Il. 1.530), o una corona di nubi
intorno al capo (vd. Il. 15.153), era facile per Omero descriverli, e grande era la libertà di cui gode-
va per tutto ciò; ma per la nostra arte era assolutamente impossibile, perché essa consente all’os-
servatore di verificare con i propri occhi da vicino e con chiarezza (sc. i caratteri dell’immagine)»
(79). Il discorso di Fidia si chiude (80-83) con una riflessione sulla qualità dei materiali che ha
impiegato per la realizzazione della statua: per un uomo non era possibile fare di più, e lo stesso
Omero non permette neppure ad Efesto di lavorarne di migliori, quando parla della costruzione
delle armi di Achille: «bronzo inconsumabile gettò nel fuoco, e stagno, oro prezioso e argento» (Il.
18.474-475b1).

Riferimenti omerici come trama del discorso di Dione

Riprendendosi a questo punto la parola in prima persona per un riepilogo degli argomenti
trattati nel suo discorso, Dione precisa che tale trattazione è stata adeguata tanto ai filosofi quanto
alla gente comune – il tema dell’estensione comunicativa delle sue prestazioni oratorie, senza di-
scapito per l’intensità del pensiero, sta molto a cuore al nostro autore38 – e che in generale egli ri-
tiene di aver evitato il rischio dell’elogio fine a se stesso, tipico di un discorso d’occasione come
questo (84). Inquietante però è il finale (85), nel quale Dione dapprima introduce un indirizzo di
felicitazioni rivolto da Zeus all’Ellade, perché continua a celebrare gli antichi riti, e i Giochi tra-
dizionali; ma poi – lascia concludere a Zeus, che fa lui stesso riferimento ad Omero – «è con gran-
de preoccupazione che osservo che “tu (sc. Ellade) non sei ben curata, della vecchiaia hai la
bruttezza, hai vesti squallide e indecenti” (Od. 24.249-250)»39. Le parole con le quali alla fine del
poema Odisseo si rivolge al padre Laerte, che trova intento a penosi e umilianti lavori di campa-
gna, servono dunque a siglare, nella solenne allocuzione di Zeus, un quadro tanto pessimistico
quanto inaspettato della situazione dell’Ellade attuale. Si tratta di un riferimento enigmatico, del
quale è difficile interpretare il senso nello specifico contesto, al di là del fatto che esso può essere

37
Supra, p. 455, con n. 26.
38
Vd. su questo Desideri, Dione di Prusa cit., p. 470.
39
Per la verità non è chiaro se le ultime parole del discorso debbano essere attribuite a Zeus (come a me pare; ma
vd. anche Gangloff, Dion Chrysostome cit., p. 41) o a Dione stesso: vd. il commento ad l. di Torraca - Rotonno - Scan-
napieco (che preferiscono attribuirle a Dione).
470 Paolo Desideri

raffrontato con altre, assai più esplicite, dichiarazioni di Dione relative allo stato di decadenza del-
la Grecia del suo tempo40. Mi pare però che non ci si possa sottrarre all’impressione che in que-
sto modo Dione voglia ricollegarsi all’inizio del suo discorso, e alla sua rappresentazione di se
stesso come uomo carico di anni, e dall’aspetto non gradevole e trasandato, in qualche modo simi-
le al Laerte del finale dell’Odissea41. Se seguiamo questa traccia possiamo forse individuare una
sorta di sintassi dei riferimenti ad Omero nel discorso Olimpico. Si riconoscerà cioè che i passi
del poeta che abbiamo passato in rassegna, al di là della varietà di funzioni dimostrative che come
si è visto essi ricoprono nel contesto dell’argomentazione dionea42, vi si collocano in una posizio-
ne strategica, a cominciare appunto da quelli che servono, all’inizio ed ex hypothesi alla fine del
discorso, a definire la persona di Dione come oratore. Tramite i riferimenti a Omero si instaura in-
fatti un rapporto stretto fra la figura di Dione e il contenuto del suo messaggio a Olimpia. Se la ci-
tazione di un verso dell’Odissea apre la sezione di vera e propria autopresentazione del proemio,
particolarmente rilevante è la connessione che subito dopo Dione istituisce fra la sua presenza nel
campo romano – punto di partenza del suo viaggio per Olimpia – e quella di Crise nel campo acheo
all’inizio dell’Iliade; come sarà chiaro dal seguito del discorso, tale connessione, che attribuisce
un valore emblematico all’arrivo di Dione ad Olimpia – quasi un passaggio dalla guerra alla pa-
ce – serve a mettere in evidenza l’alternativa radicale fra i due stati, che sarà poi il punto-chiave
della lettura della statua di Zeus.
È dunque per sottolineare il significato della scelta di Fidia di rappresentare con Zeus il sim-
bolo stesso della pace che Dione, ponendo il problema del rapporto di questa immagine con quella
omerica prevalente di un dio ipostasi di violenza e di guerra, richiama come punto di partenza del-
la sua trattazione l’altro passo in cui Omero fissa la perentorietà della decisione divina di interve-
nire in guerra a favore dei Troiani: a questi versi Fidia si sarebbe in effetti ispirato, ma secondo
Dione rovesciandone il senso. In realtà, per porre nei giusti termini il problema del modo di rap-
presentare la divinità si doveva partire dal principio che l’idea stessa del divino, risalente ai diffi-
cili primordi della vita umana sulla terra, non era certo motivata dall’esigenza di ipostatizzare fi-
gure superiori che incutessero spavento – anche troppi motivi di terrore proponevano già gli in-
controllabili fenomeni della natura; quell’idea nasceva piuttosto dal bisogno, che fin da allora gli
uomini hanno provato, di immaginare forze benefiche sovrannaturali che siano di aiuto e di con-
forto nelle difficoltà dell’esistenza. Tenendo ben presente questo punto – sul quale peraltro anche
taluni passi omerici convergono – e considerando quelli che sono i limiti espressivi delle arti fi-
gurative, la scelta di Fidia di privilegiare l’immagine del dio pacifico e benefico rispetto a quella
per lo più bellicosa di Omero è ben comprensibile: non solo perché Olimpia – sede fisica del suo
Zeus – è istituzionalmente un luogo di pace o almeno di tregua fra i Greci, ma soprattutto perché
Zeus è padre di tutti gli uomini, dei barbari non meno che dei Greci, ed è in questa veste che può
porsi come divinità veramente universale. È dunque all’interno di questo schema di pensiero che
si collocano, e acquistano pregnanza, gli altri numerosi riferimenti ad Omero che come abbiamo
visto punteggiano il discorso di Dione. In questo contesto la concomitanza della celebrazione dei
giochi olimpici con l’apertura di una guerra di conquista imperiale da parte delle armate romane
è dunque una palese assurdità, resa più acuta dal fatto che Zeus/Iuppiter occupa un ruolo di asso-
luto rilievo nell’ideologia traianea43, e che lo stesso santuario di Olimpia è sede di culto imperia-

40
Per l’interpretazione di questo passo vd. soprattutto S. Swain, Hellenism and Empire. Language, Classicism, and
Power in the Greek World, AD 50-250, Oxford 1996, pp. 200-202.
41
Vd. già S. Fornaro, Stranieri nei propri templi: considerazioni sull’Olimpico di Dione Crisostomo, in A. Naso
(ed.), Stranieri e non cittadini nei santuari greci. Atti del Convegno internazionale, Firenze 2006, pp. 511-521, 520.
42
Un’analisi di questa varietà nel caso dell’Euboico in A.M. Milazzo, Variazione e tecnica allusiva nelle cita-
zioni omeriche di Dione Crisostomo, or. 7, Orpheus 1 (1980), pp. 459-475.
43
Vd. Cellini, La fortuna cit., pp. 128 ss.; e ora Fornaro, Stranieri cit., 518 s. (ma confesso di non riuscire a ve-
dere in questo discorso «una velata critica alla divinizzazione dell’imperatore»); Carbó, Dii romani cit., pp. 230 s.
Omero nell’Olimpico di Dione 471

le44; e Dione intende, mi pare, mettere in chiaro che essendosi già Fidia premurato di correggere in
senso pacifistico la rappresentazione omerica di Zeus, non ci si dovrebbe richiamare oggi a quel
modello per legittimare quella guerra: anzi, quella guerra non dovrebbe proprio essere combattuta.

Conclusione: storicizzare Omero

Come abbiamo osservato, il fatto che Dione sviluppi la sua argomentazione in forma di di-
scussione con Omero accomuna l’Olimpico con il Troiano, anche se in quest’ultimo caso la pole-
mica col poeta è assai più forte; certo è che in entrambi i discorsi Dione esprime in questo modo
la consapevolezza dell’importanza che i poemi omerici hanno avuto e hanno ancora al suo tempo
per la formazione intellettuale, morale e politica dei Greci, e della conseguente necessità di con-
frontarsi di continuo con essi: anche polemicamente, nel caso che si voglia tentare di sradicare
modi di pensare e orientamenti ideologici che si considerino errati o comunque superati45. Non è
da escludere che l’inopinato accenno finale alla decadenza della Grecia possa essere letto come
riconoscimento esplicito, reso più autorevole dall’essere attribuito a Zeus in persona, di un muta-
mento dei tempi che impone cambiamenti anche a livello di mentalità; ma naturalmente questa è
una pura ipotesi. Comunque è chiaro per Dione che il pur venerando testo omerico richiede di es-
sere contestato e in un certa misura anche decostruito, se si vuole che continui ad esercitare, al-
meno in una certa misura, la sua funzione di educatore della grecità. Come non c’è più bisogno
– ora che tanto la Grecia quanto l’Asia sono sotto il dominio dei Romani – di preservare il rac-
conto pseudo-storico della vittoria degli Achei sui Troiani, che a lungo è servito a tutelare l’identi-
tà greca nei confronti dell’Asia; così non c’è più bisogno di ricercare una garanzia identitaria in
una divinità che in queste condizioni diventa emblema di aggressività e di violenza: quale sempre
Omero l’aveva prevalentemente configurata. La divinità può ora riprendere quelle fattezze di en-
tità protettrice dell’umanità tutta, senza distinzione fra Greci e barbari, che già Fidia le aveva a suo
tempo attribuito con la sua arte insuperabile: sono infatti quelle che meglio corrispondono non solo
al modo in cui originariamente gli uomini l’hanno sentita, ma anche alla condizioni politiche at-
tuali, di un impero dal respiro ecumenico, che richiede un «ellenismo più universale»46. E la guerra,
almeno in quanto strumento di conquista, deve essere bandita dall’universo mentale degli uomini.
Per poter continuare a leggere Omero con profitto, in sintonia con i tempi, bisogna insomma saper
‘storicizzare’ aspetti anche importanti della sua poesia: sembra essere questo, in conclusione, il
messaggio sotterraneo che con l’Olimpico invia ai suoi ascoltatori Dione, nella sua veste di appas-
sionato lettore di Omero.

PAOLO DESIDERI

44
Gangloff, Comment parler cit., p. 259.
45
Vd. ultimamente Gangloff, Dion Chrysostome cit., pp. 305 ss.
46
Gangloff, Les voyages cit., p. 4; non sorprende dunque che ci sia una sovrapposizione pressoché integrale
degli appellativi cultuali di Zeus che si trovano in questo discorso (§§ 75-76) con le virtù imperiali che Dione propone
nel primo Sulla regalità (I, 39-41).
Direttore responsabile: Dott. Marco G. Manetti

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