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Canzoni e televisione: una


relazione complessa

1.1 Il mercato musicale e i media


L’ecosistema della musica è cambiato negli ultimi 2 decenni a seguito
dell’affermazione del digitale. Fino ad allora, i mezzi per promuovere i propri
progetti erano focalizzati sulla radio e televisione.

Anni 2000 → moltiplicazione di spazi e supporti che permettono la fruizione di


musica ( Spotify e YouTube + social media che consentono stimoli musicali
continui).

In questo panorama, le serie rappresentano uno spazio privilegiato di visione e


ascolto. La relazione tra canzone e serie è biunivoca: la canzone potenzia la
dimensione narrativa e simbolica della serie, mentre il corretto inserimento di una
canzone in una serie si traduce in uno strumento di marketing e promozione.

Il meccanismo è valido per canzoni scritte appositamente per la serie e per


canzoni più o meno recenti e più o meno conosciute → “riscoperta” di un brano

L’utilizzo di una canzone in una serie tv, oltre a portare numeri importanti sulle
piattaforme musicali, è legato anche alla pratica della “sincronizzazione”, ovvero la
concessione in licenza dei diritti (licensing).
La transazione dall’analogico al digitale, non solo ha cambiato i metodi di fruizione
ma anche il modello di business dell’industria musicale:

1. ridimensionamento del mercato della musica registrata, compensato in parte


dalla crescita della musica dal vivo → l’industria ha perso il 40% delle entrate a
causa della pirateria e del peer-to-peer

2. nel 2015 ha ripreso a crescere grazie alle piattaforme di streaming

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1.1.1 il sistema mediale della musica pop
Fin dalle sue origini, l’industria musicale ha sfruttato i mass media come vetrina
per vendere i propri prodotti.
Nell’era del pre-digitale, i parametri del successo venivano misurati dalla vendita
di biglietti e supporti ma anche l’esposizione mediatica (numero passaggi in radio)
veniva considerata un successo.
Benchè i luoghi e le modalità di utilizzo dei media tradizionali siano numerosi, dagli
anni 50 agli anni 90, il processo che determinava la popolarità era lineare, centrato
sulla realizzazione di un disco, la commercializzazione di esso e l’esposizione sui
media, da cui derivavano popolarità e visibilità (economicamente numerabili).
Queste dinamiche vengono messe in crisi dal digitale: inizialmente ci si riferiva
solamente ai file audio come Mp3, sistemi di pirateria e peer-to-peer ma in realtà è
stato in grado di ridimensionare tutti gli spazi della comunicazione musicale.
Questa transazione venne definita “rivoluzione digitale”: questo termine tuttavia
non risulta propriamente corretto, in quanto si tratta piuttosto di un processo di
ibridazione tra “vecchio” e “nuovo”; perciò è più corretto parlare di un’evoluzione
digitale.
Nei primi anni del nuovo millennio, la digitalizzazione rende la musica disponibile
in ogni momento e ovunque: la musica diventa un bene immateriale, reperibile
anche evitando la mediazione dell’industria attraverso la rete e il file sharing.
Vi è una frammentazione del consumo:

1. svolta grazie a Napster, primo software di file sharing → milioni di utenti si


scambiano musica tramite un sistema decentralizzato (ignorando l’industria)

2. 2003 arriva iTunes → primo negozio digitale sostenuto dalle major

3. 2005 arriva YouTube e 2009 Spotify

Il mercato musicale crea un nuovo modello di consumo basato sull’accesso ad un


catalogo tramite abbonamento ( prima l’acquisto permetteva un solo brano o
album → si basava sul possesso).
Questa frammentazione porta con sé:

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ridefinizione dell’industria

tutela del diritto d’autore

accesso continuo e obliquo

information overload

1.2 La canzone in televisione


Per comprendere le dinamiche produttive dietro l’uso della canzone in televisione
è necessario capire il rapporto tra le due industrie, musicale e televisiva.
La musica utilizza il mezzo televisivo come vetrina per i propri artisti, mentre la
televisione la utilizza secondo due modalità: come punteggiatura tra programmi
attraverso jingle, themes songs e sigle oppure proponendo la presenza diretta di
artisti che diventano contenuti d’intrattenimento.
Inizialmente, questo rapporto si concretizza attraverso la presenza degli artisti in
programmi d’intrattenimento o più concentrati sulla musica permettendo
all’industria musicale di raggiungere un maggior numero di pubblico rispetto a
quello della radio.

Nel tempo nascono spazi “più musicali” dove vengono riprodotti videoclip o
videomusica come MTV o i veri e propri talent fino ad arrivare alle serie.
Questo rapporto è sempre sbilanciato in favore della televisione in quanto la tv
rimane fedele al proprio linguaggio costringendo l’industria musicale ad adattarsi
al suo modello.

1. esempio: la prima apparizione di Elvis all’Ed Sullivan Show, il 9 settembre del


1956→ venne considerato come il momento in cui il rock divenne mainstream,
ciononostante per l’America puritana degli anni 50 il modo di Elvis esplicito e
sensuale di muoversi risultò sconveniente.

2. esempio: apparizione dei Beatles al programma nel 1964 → lo stesso Paul


McCartney affermò che “più ancora della musica, furono le nostre pettinature
a portarci al successo”.

In entrambi i casi fu la dimensione visiva della performance a prevalere su quella


musicale, ciononostante il successo ricavato portò l’industria musicale a cambiare

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le sue regole: l’idea di lanciare un artista attraverso un’apparizione televisiva
divenne un modello seguito nei decenni successivi.
Per quanto riguarda la questione della retribuzione è un argomento ancora aperto
in quanto nella maggior parte dei casi le case discografiche devono pagare per i
passaggi in tv, considerati eventi promozionali → dimostrazione della forza che ha
la tv su la musica.
Simon Frith → il rapporto tra le due è faticoso in quanto la tv non può essere
considerata un medium musicale a causa della cattiva qualità audio e
dell’esperienza limitata che propone degli artisti facendo concentrare lo spettatore
su dettagli extra-musicali. La tv ha esercitato una grande influenza in numerose
occasioni ma la concentrazione ricadeva più sull’evento in se che sull’aspetto
musicale: “i momenti musicali che ricordiamo sono quelli che fanno notizia”.
La televisione mette in scena la musica attraverso un linguaggio che ne accentua
l’aspetto dell’intrattenimento, rimanendo fedele a se stessa e al suo tipo di
pubblico.
Le modalità con cui la musica diventa visibile in tv sono riconducibili a 3 modelli:

performance in programmi d’intrattenimento

videoclip

talent show

1.2.1 I programmi di intrattenimento


Primo modello: performance → artista interviene in qualità di ospite in un
programma preesistente. Si manifesta in due modalità distinte: in un programma
d’intrattenimento o in un programma dal contenuto musicale. In entrambi i casi la
musica si adegua alle regole del medium e viene estetizzata attraverso
scenografie, light design ed effetti scenici che in molti casi non ci sarebbero in una
performance live. In altri casi viene semplificata per motivi produttivi e l’artista si
ritrova a dover cantare e suonare in playback, eliminando l’effetto di autenticità.
Per molti cantanti infatti, l’apparizione in tv è necessaria ma svilente per la musica.
Questi modelli sono rimasti standard anche dopo la nascita della televisione
musicale tra la fine degli anni 70 e l’inizio degli 80.

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1.2.2 I media event: Super Bowl, Eurovision Song Contest, Festival
di Sanremo
Rilevante è il ruolo che svolgono le performance musicali nei media event.
SUPER BOWL → media event non musicale, la cui rilevanza musicale è molto
recente, in quanto fino al 1990, l’halftime show era un semplice intermezzo con
marching bands universitarie. Dal 1991, venne trasformato in mini-concerto con la
prima esibizione da parte dei “New Kids on the Block”; il punto di svolta fu nel
1993, grazie all’esibizione di Michael Jackson che ancora oggi rimane uno dei più
visti ( il secondo quello con Lady Gaga nel 2017). L’Halftime show di MJ ha creato
un nuovo format produttivo e narrativo: l’esibizione diventa una sorta di concerto
di 12-13 minuti, dove il modello del live viene ampliato con effetti speciali,
scenografie e coreografie. L’HS è il prodotto televisivo in cui i modelli narrativi di
live e tv si fondono a livelli massimi. La partecipazione all’evento da parte di
un’artista è una certificazione del suo status di superstar e un’occasione di
promozione per nuovi progetti.
Altri media event musicali (Grammy Awards) e non (Oscar, Olimpiadi e Mondiali)
hanno performance pensate come evento dentro l’evento: devono essere talmente
uniche da generare discorsi sociali, visibilità e dibattito sui media.
EUROVISION SONG CONTEST → tra i più visti a livello europeo e mondiale, fu
fondato nel 1956 e prodotto dalla EBU. Da manifestazione si è trasformato in uno
show musicale dove la messa in scena, considerata spesso camp, kitsch e trash,
diventa più importante delle canzoni stesse. Proprio questa iper-
spettacolarizzazione rende l’Eurovision uno spazio unico, in grado di catturare un
bacino transnazionale di spettatori. Al contrario del Super Bowl, gli artisti sono
conosciuti solamente a livello nazionale e attraverso il programma riescono ad
ottenere una fama internazionale temporanea ed effimera. Alcune rare eccezioni
sono gli ABBA nel 1974 e i Maneskin nel 2021.
FESTIVAL DI SANREMO → ispirò la nascita dell’Eurovision; ideato tra 1950 e 1951,
nacque come promozione del territorio ligure e del suo Casinò. Alla sua
fondazione parteciparono la RAI e le case editrici musicali milanesi. Inizialmente
venne trasmesso via radio per poi arrivare in tv nel 1955. Dal 1963 al 1980 vi fu un
calo di popolarità e la Rai trasmetteva solo la serata finale. Dalla seconda metà dei

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90 il Festival occupa un’intera settimana del palinsesto di Rai1→ si consolida come
non-format in quanto diventa una sorta di iper-varietà senza una struttura
predeterminata e riperibile. La mancanza di regole è confermata dalla modifica
annuale del regolamento scelto dal direttore artistico e conduttore (anch’essi ruoli
variabili). Viene considerato media event in quanto le cinque serate rappresentano
solo una punto dell’effettiva importanza del programma, il quale viene discusso
durante la settimana, e anche successivamente, da programmi televisivi,
radiofonici ed ampiamente commentato sui social. Sanremo rappresenta il perfetto
esempio di mediazione/scontro tra le logiche televisive e quelle promozionali della
musica.
esempio: rapporto tra live e playback
→ 1964, Bobby Solo venne squalificato per la sua esibizione in playback a causa di
una faringite
→ 1983 il playback fu ammesso e l’anno successivo divenne obbligatorio: in
questo modo sul palco venivano presentate le canzoni nelle versioni registrate che
venivano poi comprate dal pubblico
→ 1986 i cantanti tornarono a cantare dal vivo con l’half-playback, solo la base
musicale registrata
→ negli anni successivi si tornò al live completo facendo diventare più importante
l’aspetto visivo della performance piuttosto che quello musicale. L’artista viene
giudicato anche in base alle sue capacità di presenza sul palco e di far discutere il
pubblico e i media (esempio Elio e le storie tese)
Nel 2018 e 2019, il regista Forzano ha introdotto l’uso del “cue pilot” → un
software che permette di “scrivere” in anticipo il montaggio dell’esibizione,
effettuando stacchi di camera veloci in diretta, in modo da trasformare la ripresa in
un videoclip in diretta → logica che troviamo anche nei talent show

1.2.3 Il videoclip e la televisione musicale


Il videoclip è stato lo strumento con cui l’industria discografica è entrata in ambito
televisivo, con l’obiettivo di provare a controllare il modo in cui la musica veniva
rappresentata sul piccolo schermo. A causa dei limiti che la tv imponeva alla
musica, molti artisti iniziarono a fare filmati promozionali in modo da non dover

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apparire in televisione (tra i primi i Beatles). Inoltre in questo modo possono
ingaggiare una troupe e controllare a pieno il risultato finale. L’idea di questi filmati
apre la strada al videoclip, la cui nascita è molto dibattuta, ma sostanzialmente
viene identificata da diversi studiosi con Bohemian Rhapsody dei Queen, insieme
a Video Killed The Radio Star dei Buggles, primo video musicale di MTV, il 1
agosto 1981. Quello dei Queen non fu il primo filmato promozionale ma spinse
l’industria verso quella strada: la band invitata ad un programma televisivo che
pretendeva si esibissero in playback, gira il video di Bohemian Rhapsody come
filmato promozionale.
Nel videoclip, la performance rimane centrale ma viene riscritta per immagini in
maniera concettuale e narrativa. L’elemento chiave è il ritmo che porta ad una
nuova forma di montaggio; inoltre permette una visione ripetuta e promuove la
versione “commerciale” della canzone.

I primi esperimenti di tv musicale sono contenitori di videoclip come Pop Clips, per
poi arrivare ad MTV negli anni 80, che esplicita il riferimento al passato con un
claim “First it was Elvis, then it was the Beatles, now it’s MTV”. Con MTV si passa
dal modello dei Queen - un mix di live e sperimentazione visiva- al modello dei
Buggles, dove la band suona in uno studio con dietro una scenografia, per poi
arrivare a Thriller, modello iper-spettacolarizzato.
Negli anni 90 si cristallizza e diventa stereotipato in quanto assomiglia sempre più
ad uno spot. Alla fine degli anni 2000 ritornerà in auge grazie all’arrivo di Youtube
e altre piattaforme.

1.2.4 Il talent show


L’idea alla base del talent show è semplice: portare sullo schermo il percorso che
porta alla formazione dell’artista. I cantanti si devono esibire live dimostrando di
saper replicare le esibizioni di artisti famosi, quindi con le “cover”. I concorrenti
realizzano quella che Frith definisce “performance secondaria”: più riesce a
riprodurre la versione “primaria”, più viene considerato bravo e credibile. Lo show
è un misto tra live e videoclip: la dimensione visiva prevale in quanto, essendo
l’artista sconosciuto”, non può sostenere il palco o trattenere lo spettatore.
Ordine cronologico:

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1) Popstars, programma neozelandese

2) Pop Idol, la versione britannica che lancia effettivamente il genere

3) American Idol
esempio: X FACTOR → I finalisti si esibiscono dal vivo ma la performance viene
raccontata anche dagli strumenti del linguaggio televisivo: si crea così un
paradosso in quanto una parte di audience gode del racconto visivo, l’altra
dell’entusiasmo ed emotività della visione live.

1.3 Le canzoni nelle serie tv: il music supervisor


La presenza della musica nella quotidianità pervade i palinsesti in molte altre
forme indirette, come la muzak, il sottofondo funzionale che accompagna i
programmi, il jingle, le sigle, gli spot, fino alle serie tv. Tutte le forme in cui la
presenza della musica è indiretta sono il territorio delle cosiddette
“sincronizzazioni” ovvero il meccanismo attraverso il quale si sceglie e si
inserisce una canzone, una musica o l’opera di un autore all’interno di un prodotto
audiovisivo con fini commerciali.
Con i recenti processi di frammentazione del pubblico e l’ecosistema mediale, gli
strumenti di marketing sono cambiati: le aziende musicali sono più interessate alla
vendita delle licenze, in quanto tale concessione può portare ad una grande
visibilità. Tale processo era riservato solo ai film e agli spot, ora anche ai
videogiochi e alle serie tv.

Le origini del music supervisor sono riconducibili al consulente musicale:

si occupa della qualità del suono e della scelta o proposta delle musiche da
inserire nei programmi come supporto

le origini di questa figura risalgono alla radio ma si afferma con la serie


radiofoniche in ambito televisivo: è necessaria una figura che si occupi delle
licenze, pratiche e costi

supporto alla regia; anche a livello cinematografico dove si occupa della


colonna sonora. In particolare è presente a livello pubblicitario, dove nuovi
artisti possono ottenere una notevole visibilità

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In passato molti artisti si sono mostrati contrari ad un uso commerciale della loro
arte ma nel 1985, Eric Clapton, permise che una sua canzone venisse utilizzata
per uno spot, causando numerose polemiche. Da quell’episodio in poi divenne più
comune e accettabile.

La figura chiave nel processo di sincronizzazione e selezione delle canzoni nelle


serie tv è il music supervisor. A differenza del consulente musicale, il music
supervisor entra direttamente nel processo produttivo e creativo, poiché la musica
di cui si occupa agisce profondamente sulla costruzione dell’identità della serie.
Oltre a ciò, il suo compito riguarda anche il cosiddetto licensing, ovvero le
dinamiche di contrattazione attraverso cui si ottengono le licenze d’uso.
Soprattutto nel campo delle serie tv questa professione si è trasformata in modo
deciso.

L'apripista è stata Alexandra Patsavas, music supervisor di titoli chiave della


serialità degli anni Duemila (The O.C. , Gossip Girl o Grey's Anatomy e di tutte le
serie ideate e prodotte da Shonda Rhimes). Patsavas ha esordito nel 1990
occupandosi di Beverly Hills 90210 dove inserì band alternative, anticipando il
lavoro che avrebbe fatto con The O.C.
Nel 2010 è nata la
Guild of Music Supervisors con l’obiettivo di ottenere il riconoscimento della
categoria.

1.3.1 la selezione delle canzoni e la relazione con lo showrunner


Il cuore del lavoro del music supervisor è la cosiddetta song clearance, ovvero
l’ottenimento delle licenze e dei diritti per l’uso commerciale di un brano (una
questione fondamentale riguarda poi i termini della licenza: durata ed esclusività).
Questo meccanismi è il motivo per cui spesso vengono utilizzate cover di canzoni
famose: ottenere i diritti è troppo costoso.

Quando devono scegliere musica di sottofondo il lavoro risulta più semplice in


quanto hanno la possibilità di cercare in una library di brani musicali a seconda
delle esigenze.
In qualità di manager dei dipartimenti di musica per la Tv, i music supervisor
svolgono tre attività interdipendenti (quello che viene definito selection labour):

Collaborano con showrunner, scrittori, registi e altro personale di produzione

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Scelgono e presentano brani appropriati da includere nel programma

Negoziano con i titolari di licenza musicale per il diritto di includere canzoni


nello show

Come collaboratori, i music supervisor si coordinano con autori e showrunner per


determinare le esigenze musicali di ogni episodio. Spesso però i music supervisor
svolgono un ruolo di scelta e proposta che non riguarda solo una singola canzone,
ma si spinge fino al cosiddetto sonic branding della serie, ovvero una scelta
musicale omogenea e coerente per tutti gli episodi, con l’obiettivo di creare
un’identità sonora precisa.

In conclusione, le due industrie sono in equilibrio: le canzoni servono per il sound


branding, allo stesso tempo la sincronizzazione serve come fonte di profitto e
strumento promozionale.

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