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ITALIANO, LETTERATURA

GIOVANNI VERGA
Giovanni Verga nasce a Catania nel 1840, proviene da una famiglia di proprietari terrieri: è un autore
siciliano che in gran parte delle sue opere (quelle riconducibili all’epoca Verista) descrivono la società e
le dinamiche siciliane.
Verga si è trasferito per motivi di studio, culturali, si è trasferito prima a Firenze (1865) e poi nel 1872 a
Milano; nella prima parte della sua vita si avvicina alla cultura europea, a Milano in particolare entra in
contatto con letterari che rappresentano il movimento della scapigliatura. Questa corrente si avvicina
moltissimo al Naturalismo Francese, il quale movimento si focalizza sull’ambientazione cittadina,
descrive la società e all’interno di questa anche le figure più disagiate ed emarginate. La scapigliatura
porta con sè queste caratteristiche con il tentativo di uno sguardo più oggettivo.
Verga si avvicina alla scapigliatura ma non abbraccia mai completamente questo movimento letterario,
viene però influenzato da alcune caratteristiche che riproporrà nel Verismo. Il Verismo porta in Italia
alcuni elementi del Naturalismo Francese, che però Verga (massimo esponente del Verismo italiano)
re-interpreta in maniera originale fino ad arrivare ad un prodotto diverso. Le sue opere infatti sono
diverse da quelle proposte dal Naturalismo ma vi sono comunque dei punti focali in comune.

→ COLLEGAMENTO: dopo la metà dell’800, l’italia dal punto di vista dell’industrializzazione è divisa in due
parti, al Nord grazie a questa i borghesi si sono arricchiti, le industrie sono aumentate e persino le reti
tranviare; per quanto riguarda il Sud invece, questo diviene sempre più arretrato e povero. La condizione
del meridione, e specialmente delle campagne viene sottolineata dall’inchiesta Jacini (1877); lo
scardinamento del regime del libero scambio e la scelta di applicare una politica di protezionismo, ha
aumentato il divario, facendo divenire il commercio Nord-Sud, un mercato coloniale.

LA TENTAZIONE
"Tentazione" è una novella che non possiamo ricondurre al periodo verista di Verga, questa ha
un’ambientazione e descrive personaggi diversi da quelli che invece analizzerà nel Verismo.
È la cronaca di uno stupro, riportata con crudezza e senza alcun intento morale dalla penna di Giovanni
Verga, il maestro del Verismo. Pubblicato nella gazzetta il 2 settembre 1883, il racconto si discosta dalla
classica produzione verghiana cerca di mantenere lo stile impersonale tipico dell'autore, privo di
sfumature morali e sentimentali, ma in realtà viene abbastanza fuori la sua personalità e il suo pensiero.
Questa novella è scomoda, incentrata su un episodio di efferata violenza sessuale. La vicenda, assai
cruda, è trattata fuori da ogni orizzonte di condanna morale, in cui i carnefici possono apparire
irresponsabili quanto la loro vittima.

IL CLIMA
Il clima iniziale è scherzoso, in un clima di festa, viene richiamato anche dall’ultima frase della novella
“cominciando dallo scherzare”; ci sono però ciò nonostante dei segnali che ci permettono di capire che il
clima nasconde qualcosa di meno divertente.
Il comportamento che traspare sin dall’inizio, nel momento in cui il Pigna importuna la ragazza del tavolo
affianco, è percepito come qualcosa di “normale”, anche da parte dei ragazzi che hanno tutti e 3 la loro
ragazza. Importunare la ragazza è visto come la normalità, nonostante già si parli della possibilità di
superare il limite ed arrivare ad una lite. Ai ragazzi non importa se si sfocia in qualcos’altro, se si arriva a
litigare, perché è una cosa che si fa, che accade.

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I PERSONAGGI
Si tratta di una delle novelle più scioccanti dell’intero repertorio verghiano, i protagonisti dello stupro
(Ambrogio, Carlo e il Pigna) sono dei bravi ragazzi, normalissimi: lavorano, sono benestanti, sono buoni,
ed è proprio grazie a questo che il testo evidenzia il fatto che la violenza si rivela una possibilità sempre in
agguato anche nelle menti meno predisposte al crimine. Lo stesso Ambrogio definisce il gruppo come
“buoni figliuoli”, Verga sottolinea quindi la possibilità di tali catastrofi anche in situazioni insospettabili; ciò
ci deve offrire e quasi obbligare ad una riflessione, questi eventi possono accadere a chiunque.

IL BRANCO
Le Bon esplicita come l’individuo all’interno delle masse venga sempre di più a svanire, quelli che sono i
comportamenti soliti di una persona, se inserita in un gruppo tossico vengono a mancare.
Allo stesso modo in questa novella emerge come, in un gruppo, persino l’uomo migliore come Ambrogio,
si confrorma al gruppo e alla violenza iniziata. Ogni singolo protagonista di questa vicenda, non sarebbe
stato in grado, probabilmente, se preso singolarmente, di compiere tale atto.
È la logica del branco, la singola persona da sola si comporta in modi che non sono quelli adottati nel
gruppo; è molto importante, specialmente in età adolescenziale il riconoscimento da parte del gruppo,
poichè forma la nostra identità.

Bisogna cercare di intervenire: i ragazzi nella novella non agiscono, nessuno di loro fa notare agli altri che
è sbagliato quello che sta accadendo, perché si ha paura di essere esclusi, ma per arrivare ad un
cambiamento è importante partire da questo.

LA RAGAZZA
Quindi, la ragazza ha un atteggiamento che cambia del testo: nonostante già dall’inizio lei faccia capire il
suo dissenso in diversi modi, parte in modo più leggero per poi arrivare a modalità più eclatanti:

● All’inizio è un po’ scontrosa e distaccata, perchè vedendo avvicinarsi tre ragazzi, ha paura, quindi
reagisce in modo freddo;

● In un secondo momento la sua reazione però si ammorbidisce, perchè inizia a fidarsi quando
Ambrogio le dice “non abbia paura, non vogliamo farti male, siamo dei bravi figliuoli" (si
presentano tramite l’atteggiamento e le parole come buoni), quindi accetta in parte i loro
complimenti, ed entra un po’ anche lei in questo clima scherzoso;

● Quando però le avance dei ragazzi diventano più pesanti, arrivando a delle richieste fisiche, la
ragazza reagisce in modo molto chiaro, inizialmente in modo verbale, dicendo “lasciatemi stare”,
“andate via”, ma questo non basta quindi inizia anche a livello fisico, sgomitando e respingendo,
ma non bastando ancora inizia a scappare.
Tenta poi la fuga, questi, mantenendo il tono giocoso con cui hanno iniziato, vedono il suo gesto
come un gioco; il Pigna infatti commenta “lo vuoi per forza”, travisando il suo comportamento
perchè loro la considerano come un oggetto. Ciò emerge dall’atteggiamento descritto da
Ambrogio, egli infatti si vanta con gli amici di ciò che fa con la propria ragazza, oggettificandola.

IL LIMITE
È fondamentale capire il limite, capire il momento in cui dire “stop”; questo però non è del tutto facile:
fermarsi davanti ad un “no” non è banale, molto spesso viene a mancare il rispetto per l’altra persona, e
non c’è abbastanza maturità per riflettere, ricercare e capire l’altro e fermarsi.
Davanti ad un rifiuto nasce una frustrazione nell’uomo, che è difficile da gestire, anche per la concezione
che si ha della donna, che non può disobbedire, quindi l’uomo si sente autorizzato ad andare avanti.

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Non bisogna essere superficiali pensando che queste cose nel contesto quotidiano non possano
accadere, perché purtroppo, possono succedere a tutti; la novella si costruisce proprio intorno a questo
concetto.
Quindi Verga riesce a rendere molto l’idea del “non rendersi conto” da parte degli uomini, soprattutto
con la frase finale emblematica “come si fa ad arrivare ad avere il sangue nelle mani, cominciando dallo
scherzare”.

IMPERSONALITÀ E “REGRESSIONE”
È una lettera a Salvatore Farina, un suo amico con il quale aveva stabilito un rapporto epistolare; le
lettere inviate sono riflessioni sulla scrittura di Verga. In questa Verga mette per iscritto il concetto per cui
l’autore deve sparire dietro l’opera, vi è un riferimento molto forte al Naturalismo Francese (con Flaubert).
L’idea di Verga che emerge è per l’appunto “L’arteficio di regressione”, l’autore vuole che sembri che
l’opera si sia “fatta da sè”, che non vi sia dietro l’autore ma che sia nata spontaneamente dalle voci del
popolo, dai pregiudizi, da quello che questo dice. L’autore non vi è, similmente ad uno scienziato ch
edurante l’esperimento osserva il fenomeno che si svolge da solo, il compito dell’autore di un’opera è il
medesimo.

VITA DEI CAMPI


Dopo la conversione al verismo di Verga, che avviene negli anni 70, vengono raccolte nel 1880 diverse
novelle scritte in questo periodo all’interno di “Vita dei campi”, una raccolta in cui confluiscono alcune
novelle che sono accomunate dalla stessa ambientazIone siciliana e dalla progressiva adesione
all’arteficio di regressione. In vita dei campi ritroviamo: Nedda, Rosso Malpelo, La lupa e Fantasticheria.

1. NEDDA
A MIlano Verga scrive i suoi primi testi, che non sono particolarmente significativi, fino a quando nel 1874
con una novella chiamata “Nedda”, comincia in un certo senso la sua conversione al Verismo.
Dalle prime esperienze letterarie, più influenzate dal Naturalismo Francese e dalla scapigliatura, con
“Nedda” Verga comincia a rendersi protagonista di una produzione letteraria più originale; con tale
novella non possiamo però parlare di una totale conversione al Verismo, comincia però ad averne
qualche caratteristica. Ad esempio tale novella è la prima in cui l’autore si concentra su
un’ambientazione siciliana, definita infatti dai critici come un “bozzetto siciliano”; i protagonisti sono
siciliani e ciò delinea una novità nella sua produzione, fino ad ora non aveva mai descritto questo
ambiente.
Verga a differenza della corrente del Naturalismo, da “Nedda”, si concentrerà non sull’ambiente cittadino
ma sulla condizione delle campagne, le dinamiche sociali dei luoghi ristretti (piccoli paesini contento di
mare..).

LA STORIA
Nedda è una giovane raccoglitrice di olive, è una ragazza che vive in un contesto molto povero, quello di
una Sicilia che si barcamena a livello economico con le attività agricole; la novella si apre con un
momento di raccolta tra le varie operaie che stanno conversando, Nedda in questa situazione si isola.
In questa situazione iniziale, la protagonista fa emergere da subito il suo carattere: timida, riservata,
chiusa; Nedda ha questi comportamenti poichè vive in una situazione difficile. Ella vive da sola con la
madre, la quale è gravemente malata per cui Nedda deve sostenere entrambe economicamente e

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garantire le cure di cui ha bisogno la madre. È quindi sempre cupa, riservata poichè è del tutto
concentrata sulla sua situazione; le altre persone non capiscono però questa dinamica, all’interno della
novella, la maggior parte delle persone (come in Rosso Malpelo), non è in grado di aiutare gli altri.
Vivendo in un contesto così difficile, ognuno pensa a sè per un motivo di sopravvivenza, non c’è motivo
di mostrare una solidarietà e un aiuto reciproco (a differenza invece di come pensava Leopardi con la
social catena). Nella novella sono pochissime infatti le figure più umane: un amico di famiglia, Zio
Giovanni (non hanno un vero legame di parentela), cerca per quel che può di aiutare Nedda e la madre.

Le colleghe di lavoro di Nedda la prendono in giro, si rendono conto del fatto che ella è più disagiata di
loro ed emerge quasi un desiderio di schiacciare maggiormente un’altra anima sofferente per
dimostrare che non si è gli ultimi, ma c’è qualcuno che vive in una situazione ancora peggiore.
Nedda soffre tale isolamento, che si aggrava quando nel corso della novella la madre viene a mancare;
in questa condizione conosce un altro bracciante agricolo, Janu (Ianu) e sono entrambi molto poveri. Si
incontrano nello svolgimento delle loro attività che li porta a girare da un padrone all’altro quindi anche a
seconda della stagionalità, dovevano impegnarsi diversamente, dove c’è bisogno.
I due si innamorano e decidono di sposarsi, per farlo hanno bisogno di soldi e Janu accetta dei lavori in
più rispetto a quelli abituali; egli fa degli sforzi eccessivi, a tal punto che il suo corpo non riesce più a
sostenerli e si ammala. Nonostante ciò, non poteva rimanere a casa per cui decise di andare a lavorare
comunque con una febbre molto elevata; sale su una scala per raccogliere dei frutti, ma da quest’ultima
cade e dopo essere rimasto agonizzante per quale giorno, muore.
Nedda rimane dunque nuovamente da sola, ella però in verità è consolata dalla figlia che porta in
grembo; da una parte le da la consolazione di una nuova vita che la farà sentire meno sola, dall’altra
parte, tutto ciò la porta ad essere condannata a livello sociale, la gravidanza viene portata avanti senza
essere coperta da un matrimonio (che non fanno appunto in tempo a celebrare lei e Janu).
Nedda porta avanti la gravidanza in condizioni pessime, al termine nasce una bambina molto gracile
che nel giro di poco tempo viene a mancare; alla fine della novella quindi la protagonista rimane
completamente sola e fa una riflessione sul tema della morte.

IL NARRATORE
Questa novella pur avendo l’ambientazione siciliana delle novelle Veriste, non presenta la voce narrante
che invece sarà tipica del Verismo (che invece vi sarà in Rosso Malpelo) . Il narratore che troviamo è
esterno, non è un personaggio della storia ed infatti usa la terza persona, è però onniscente, conosce
quindi i personaggi, i loro pensieri ed è in alcuni momenti palese. Non interviene in maniera diretta come
Manzoni, ma esprime pareri e giudizi su un mondo che conosce molto bene; il narratore è più
tradizionale.
→ Il Verismo non avrà questo tipo di voce narrante, ne avrà una più originale, innovativo che sarà proprio
Verga a forgiare.

RIFLESSIONE FINALE
La morte viene descritta come la liberazione dai tormenti e dal dolore, la vita è talmente dura ed intrisa
di sofferenze che la morte arriva come una liberazione da tale angoscia (Foscolo e Leopardi); Nedda
nella disperazione totale, rimasta da sola, fa un ringraziamento alla Vergine Santa poichè ha sottratto
sua figlia alla sofferenza della vita. L’ambientazione della novella ha una fortissima matrice patriarcale,
Nedda sa che quella vita è stata vissuta da sua madre, da lei e toccherebbe anche alla figlia.

“E dei suoi fratelli in Eva bastava che le rimanesse quel tanto che occorreva per comprenderne gli ordini,
e per prestar loro i più umili, i più duri servigi.” Verga sottolinea come i rapporti che la figlia avrebbe avuto
con gli uomini sarebbero stati solamente di schiavitù, un continuo obbedire agli ordini. Questo è infatti il

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rapporto che si delinea tra l’uomo e la donna specialmente in Sicilia, Janu per questo è un’eccezione; il
loro rapporto è di amore sincero e profondo, Janu ha un atteggiamento di protezione nei confronti di
Nedda.

2. ROSSO MALPELO
Rosso Malpelo è una novella scritta nel 1878, delinea il passaggio di Verga al Verismo, consiste in un
mantenimento della stessa ambientazione, quella Siciliana; in questa novella infatti si parla di lavoratori
in una cava di rena, di sabbia rossa. Nonostante l’ambiente non sia più campagnolo e i personaggi non
siano più braccianti agricoli, Verga sottolinea le loro condizioni povere.

LA TRAMA
La novella tratta della storia di un ragazzo, Malpelo, chiamato in tale modo da tutti per i suoi capelli rossi
e il suo carattere malizioso e cattivo. La famiglia non si interessava di lui tranne il padre a cui era molto
affezionato ma che un giorno morì a causa di un incidente in miniera, dove lavoravano entrambi. La sua
unica amicizia era quella con Ranocchio, un altro ragazzo escluso dalla comunità. Entrambi si capivano
ed erano solidali l'un l'altro ma, purtroppo, anche lui lasciò il protagonista. La vita di Malpelo è segnata da
eventi che lo rendono vendicativo e sgradevole, emarginato dalla società; vagherà eternamente nella
cava, in solitudine.

NARRATORE
Cambia la voce narrante, l’autore vuole portare avanti una narrazione oggettiva, presentata dagli autori
naturalisti e ripreso dagli scapigliati; il narratore quindi sparisce completamente.
La voce narrante diventa la voce del popolo, Verga attua quello che viene chiamato “L’arteficio di
regressione” che consiste nel retrocedere per lasciare la parola al popolo, alla gente; difatti è
quest’ultimo a descrivere i personaggi, a chiaccherare, a raccontare le vicenze. L’autore riporta
semplicemente le loro voci come se fossero pettegolezzi del paese; quest’elemento lo ritroviamo da tale
novella in avanti e persino nei romanzi (Malavoglia e Mastro Don Gesualdo).

Rosso Malpelo viene descritto dal popolo come un lavoratore che aveva i capelli rossi poichè era
malvagio, questa è una diceria, un pregiudizio popolare; di lui non si fidano le persone che lavorano con
lui, le persone del paese e nemmeno la madre e la sorella (uniche figure della famiglia che sono rimaste
in vita).

TEMI E CONNESSIONI PRINCIPALI


In questa novella emergono diversi temi tra cui la visione della morte, intesa come liberatrice dalle
sofferenze e quindi avvicinandosi al pensiero di Foscolo, pensiero espresso da Verga anche all’interno
della novella “Nedda”.
Viene delineato in particolare il ruolo del lavoro, svolto per sopravvivenza e anche da minori
(contestato da Giolitti e scardinato tramite riforme sociali). In questa, come nella maggior parte delle
novelle scritte da Verga, vengono evidenziati i pregiudizi sociali che il popolo ha nei confronti dei
personaggi e anche il tema della violenza. Il personaggio di Rosso Malpelo nonostante la vita dolorosa e
faticosa, passa completamente inosservato, nessuno si occupa di lui.

Per quanto riguarda il rapporto tra Malpelo e Ranocchio, i due sono molto legati, nonostante ciò Malpelo
lo “istruisce” alla vita difficile, lo tratta come un asino (altro personaggio nella novella). La presenza
dell’asilo è la rappresentazione della morte come liberazione; Ranocchio viene picchiato da Malpelo
poichè quest’ultimo ha difficoltà ad esprimersi e non potendolo educare in altro modo lo fa attraverso la

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violenza.
Si vede come i rapporti umani in un contesto così difficile, non possano che essere molto aridi, duri,
Malpelo ha un unico modo di dimostrare il proprio affetto a Ranocchio, l’unico che ha conosciuto e
vissuto, che passa attraverso la violenza fisica. Essendo la realtà così dura, Malpelo vuole insegnare a
Ranocchio come poter sopravvivere in questa; il tema delle relazioni umane, dell’affetto genitoriale
delineato dal rapporto che Malpelo ha con il padre è molto duro, freddo.
Il tema che poi verrà successivamente ripreso da Pirandello è quello del ruolo, qualcosa che l’individuo
può accettare o meno, ma in ogni caso, non riuscirà mai a liberarsene; l’inquadramento è talmente forte
che l’individuo lo subisce sempre. Secondo Pirandello però è qualcosa di cui l’individuo può liberarsi,
alcuni ci proveranno in maniera più significativa mentre in altri meno. In Verga qualsiasi tipo di ribellione
da parte del personaggio non serve a nulla poichè ormai la società gli ha attribuito quel ruolo, tanto vale
molto spesso assecondare quei pregiudizi.

! COLLEGAMENTI:
- sulla base anche del “Mito del buon selvaggio” di Rousseau, è la società che influisce sulla
personalità dell’indivisuo; come si può osservare in Frankenstein, il mostri viene reso vendicativo a
seguito della sua entrata a far parte della società che lo circonda.
- Malpelo vive solamente all’interno del lavoro, nelle dinamiche sociali e relazionali non è nessuno;
in questo rivediamo la visione di Marx sull’alienazione dell’uomo nel lavoro, la quale porta alla
schiavitù dell'operaio

PERSONAGGI
● Rosso Malpelo: capelli rossi, malizioso, cattivo, lavoratore, violento, vendicatore, buon cuore con chi
lo capisce;
● Ranocchio: unico amico di Malpelo, cagionevole, legato alla madre;
● Asino: inutile per altri lavori, picchiato sempre, simbolo della morte per eliminazione delle
sofferenze.

3. LA LUPA
LA TRAMA
"La Lupa" di Giovanni Verga è una novella pubblicata nel 1880, che si svolge in un piccolo paese siciliano
e segue la storia di Gnà Pina, soprannominata "la Lupa" per il suo comportamento provocante e il suo
aspetto sensuale. Le altre donne del paese osservano la lupa con un misto di invidia e paura, la
definiscono “mangiauomini” e temono sia per i propri mariti che figli. La trama si focalizza sulle
dinamiche complesse all'interno della famiglia di Gnà Pina e sulla sua relazione con Nanni, un giovane
bracciante. Un giorno La Lupa si imbattè in un giovane appena tornato dal servizio militare, Nanni. Il
ragazzo lavorava come bracciante nei campi vicino alla sua abitazione e, in realtà, è innamorato della
figlia della Lupa, Maricchia. La figlia, al contrario della madre, ha un carattere dolce e sensibile e soffre di
solitudine poiché, a causa del comportamento della madre, è anche lei un'esclusa. Gnà Pina,
follemente innamorata del giovane, decide di dargli in sposa la figlia, contro il volere di quest’ultima, a
condizione che i due, dopo il matrimonio, si sarebbero dovuti trasferire a vivere a casa della Lupa. Una
volta attuato il piano, Gnà Pina proverà in tutti i modi a sedurre il marito della figlia, Nanni. Maricchia
denuncia la madre alle forze dell'ordine che chiamano Nanni per interrogarlo: egli confessa l'adulterio e
si giustifica dicendo che la donna era per lui come una tentazione dell'inferno. Le forze dell'ordine
chiedono alla Lupa di lasciare la casa, questa all’inizio si oppone fortemente, ma dopo che Nanni fu ferito
gravemente sul lavoro da un mulo e il prete si rifiutò di dargli l’estrema unzione a causa della presenza
della donna; questa finalmente si decise ad allontanarsi. Si allontanò solamente per un breve periodo
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ma, al suo ritorno a casa, continuò a provare a sedurre Nanni che, disperato, minaccia la Lupa di
ucciderla. La novella termina in maniera aperta con la frase balbettata da Nanni “Ah! malanno all’anima
vostra”, non esponendo in maniera certa l’uccisione, anche se vista la disperazione, si può intuire il gesto
estremo.

I TEMI
I temi principali che vengono trattati sono sicuramente quelli della gelosia ed invidia, provata sia dalle
compaesane e in un secondo momento anche dalla figlia tantè che denuncia la relazione amorosa
segreta al brigadiere. La famiglia di Gnà Pina, in particolare la figlia Maricchia, subisce l'emarginazione
sociale a causa del comportamento controverso della madre. Questo tema riflette la rigidità delle
norme sociali dell'epoca e il pregiudizio da parte del popolo che si rivede in altre novelle di Verga.
La novella si concentra sulle dinamiche complesse all'interno della famiglia di Gnà Pina, evidenziando il
conflitto tra madre e figlia e la manipolazione di quest'ultima nei confronti del marito Nanni. La forza
delle emozioni e il loro impatto sul comportamento umano è un tema molto forte all’interno della
novella, tantè da andare oltre le dinamiche relazionali tra madre-figlia.
La novella culmina con un momento di disperazione quando Nanni, minacciato e tormentato dalla Lupa,
sembra essere spinto verso un gesto estremo di violenza, che rimane aperto alla fine della storia. Nanni a
differenza della Lupa si pente e oltre a confessare tutto al brigadiere, volle ripulirsi l’anima confessandosi
in Chiesa.

I PERSONAGGI
● La Lupa: il vero nome è Gnà Pina, la quale viene definita però “Lupa” a causa dei suoi
comportamenti, ella è: sensuale, magra, alta, con labbra rosse e occhi grandi ma pallida. Viene
descritta come mangiauomini, “cagnaccia”. Ella nonostante non fosse più giovane, riusciva a
sedurre sia i mariti che i figli e persino Padre Angiolino di Santa Maria di Gesù, un sacerdote. Il
personaggio della Lupa è molto importante poichè ci fa comprendere come l’essere umano
all’interno di un contesto così difficile, si riduca ad essere quasi a livello di una bestia, perde la
propria razionalità e il controllo delle sue emozioni e si lasci completamente trasportare dalle sue
emozioni.

● Maricchia: la dolce figlia della Lupa, è l’opposto della madre: timida e remissiva, a causa della
madre passa una vita da esclusa finché non incontra Nanni.

● Nanni: giovane bracciante innamorato di Maricchia ma amato dalla Lupa; venne tentato dalla
protagonista come da un diavolo (“È la tentazione dell’Inferno”) tantè da volersi persino uccidere
piuttosto che continuare a vivere con lei.

CONNESSIONI
1. La Locandiera di Carlo Goldoni: Mirandolina emerge come una figura di donna forte, autonoma e
consapevole del proprio potere. La sua indipendenza economica e la sua abilità nel manovrare gli
uomini sfidano gli stereotipi di genere dell'epoca. Allo stesso modo Gnà Pina è consapevole della
propia bellezza e seduce tutti gli uomini del paese. Inoltre ugualmente entrambe le donne sono
figure più sfumate: non sono solamente eroine ma anche figure malvagie, con comportamenti
discutibili. In quest’opera, maggiormente rispetto a quella di Goldoni, i comportamenti della Lupa
vengono visti in maniera negativa piuttosto che come segno di indipendenza
2. La Femme Fatale: La Lupa puó essere paragonata ad una Femme Fatale, tema ricorrente
soprattutto in arte tra l’800 e il 900 in Francia. La Femme Fatale viene chiamata anche

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mangiatrice di uomini, è una donna misteriosa, attraente e seducente il cui fascino abbindola i
suoi amanti, conducendoli spesso in trappole mortali e compromettenti.
3. Nedda: entrambe le donne sono libere e indipendenti e mal viste dalle compaesane; si staccano
dai canoni prestabiliti. Entrambe vengono emarginate dalla società per motivi personali e
sessuali.

! È impossibile prescindere dal giudizio sociale, dal ruolo assegnato poichè o sull’individuo stesso o sui
suoi familiari, sulle persone vicine, va a ricadere ed è pesantissimo il giudizio espresso.

4. FANTASTICHERIA
Fantasticheria è il primo testo della raccolta Vita dei campi, e svolge un’importante funzione
nell’introdurre il pensiero di Verga, in quanto teorizza esplicitamente alcuni capisaldi della poetica verista
degli anni a venire, oltre ad introdurre per rapidi accenni quelli che saranno i personaggi principali del
romanzo I Malavoglia.
“Fantasticheria”, novella che viene pubblicata nel 1880, ha un ruolo fondamentale poichè fa da ponte per
l’impresa successiva di Verga, ovvero un ciclo di 5 romanzi che l’autore inaugura nel 1881, il “Ciclo dei
vinti”.

LA TRAMA
La forma che Verga sceglie di conferirgli è quella di una sorta di lettera, scritta da un protagonista
maschile, dietro cui pare intravedersi l’autore reale, ad una figura femminile non meglio identificata,
dalla provenienza settentrionale e dalla estrazione sociale alto-borghese. I due, probabilmente legati da
un rapporto sentimentale (come pare di intuire dal testo), trascorrono un breve periodo ad Aci Trezza
(dov’è ambientato il romanzo dei Malavoglia). Subito si percepisce la distanza tra la ricca e benestante
protagonista e l’ambiente che la circonda; la donna viene a contatto con il rurale e arcaico ambiente
siciliano molto differente dal suo. La donna però si innamora di questo luogo, decide di trattenersi per
addirittura un mese. In realtà ben presto, affievolitisi lo stupore e l'ammirazione per la bellezza del
paesaggio, ella termina le attività da poter svolgere e si scopre stanca di quel luogo che tanto aveva
amato. Decide perciò di tornare a casa propria e, una volta pronta per la partenza, si chiede come possa
la gente del luogo trascorrervi una vita intera.
A questo punto il narratore, utilizzando una serie di flashback e intrecci temporali, inizia a raccontare le
storie del popolo di Aci Trezza, costituito prevalentemente da pescatori. Costoro conducevano una vita
fatta di stenti, miseria e molte sventure. Nonostante tutto il loro desiderio più grande era proprio quello di
morire laddove erano nati.

!! Questo loro principio di vita è definito "l'ideale dell'ostrica", poiché i Trezzani, così si chiamano gli
abitanti di Aci Trezza, proprio come le ostriche, non volevano staccarsi dal proprio scoglio per nessuna
ragione. Quando tuttavia decidevano di farlo, allora venivano inghiottiti dal mare, che se li portava via.
Questo concetto è importantissimo poichè si collega alla “fiumana del progesso”: secondo Verga,
cercare di distaccarsi dal proprio ambiente è fatale perchè porta gli individui ad essere travolti da tale
fiumana che poi li lascia disperati a seguito del suo passaggio.

Gli individui come le ostriche devono sempre rimanere aggrappati al proprio scoglio, questo può essere:
un contesto desolato, povero, molto limitato; ma se questo è il destino che è stato stabilito per
quell’individuo, egli lo deve accettare. In Verga vi è un fortissimo FATALISMO; a qualsiasi livello si manifesti
lo scontento dell’individuo, che lo porta a volersi distaccare e a migliorare la propria condizione, lì si
nasconde la catastrofe

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I TEMI
Verga ci mostra un contesto povero e disagiato come un luogo in cui l’individuo cresce e vive come
povero, con uno scarsissimo controllo delle proprie emozioni; l’invito di Verga è appunto quello di uscire
dalla superficialità del ruolo, personificato dalla dama. Nel momento in cui ella osserva quel paesino, a
lei sembra paradisiaco, vivendoci però per poco tempo, senza uscire dai suoi schemi mentali, non si
ritrova per niente in quel contesto. Il narratore spiega che bisogna calarsi in quel ruolo, spogliarsi delle
proprie abitudini ed entrare in quel tipo di realtà che da fuori non è compreso; si capisce il contesto
solamente nel momento in cui lo si vive, non si osserva superficialmente.
Dunque il tema che emerge è la superbia della borghesia che si scontra con la realtà rurale, senza
quindi abbandonare gli schemi mentali rigidi già predisposti. L'attenzione cade quindi sugli abitanti che
vivono isolati dall'industrializzazione e su coloro legati al loro paese e che di conseguenza non vogliono
abbandonarlo.

Il singolo individuo se pensa solo a sè stesso va a stravolgere l’equilibrio sociale della città, emerge
sempre la visione fatalista di Verga; dunque l’individuo deve anche assumersi le proprie responsabilità
non perdendo di vista il fatto che sia parte di un gruppo di persone, non sia solamente il singolo ma una
comunità. La responsabilità civile è un tema che Verga sottolinea molto spesso, le comunità che descrive
funzionano solo perchè vi è un equilibrio all’interno del gruppo che non si può in alcun modo stravolgere.

COLLEGAMENTI
- Dunque ritorna la visione della "social catena" di Leopardi, attraverso cui i popolani sopravvivono
collaborando e unendo le forze.
- Durante il corso dell’800 si vede la fase dei moti risorgimentali quindi l’idea della comunità che
vuole recuperare la propria libertà, l’idea di un gruppo che combatte per difendere dei valori
comuni è molto sentita, forte.

CICLO DEI VINTI


Nel 1881 Verga comincia il ciclo intitolato “Il ciclo dei vinti”, questo avrebbe dovuto comprendere 5
romanzi: I Malavoglia (1881), Mastro Don Gesualdo (1889), gli altri 3 romanzi rimangono solo un progetto
a cui si fa riferimento nella prefazione ma non verranno mai effettivamente scritti.
Gli altri 3 sarebbero: Duchessa di Leyra, che inizia a scrivere ma rimane in sospeso, Onorevole Scipioni
Uomo di lusso.
Quando Verga comincia il ciclo, ha già in mente i personaggi e che cosa questi dovrebbero
rappresentare, il progetto però non riesce a metterlo in atto.

LA PREFAZIONE
Questa prefazione in realtà appartiene ai Malavoglia, ma funge anche da prefazione per tutto il ciclo, si fa
riferimento infatti a tutti e 5 i romanzi.
Verga spiega qual è il suo progetto, questo consisteva nel rappresentare tutti i ceti sociali, partendo dai
pescatori (Malavoglia) ai borghesi (Mastro Don Gesualdo, egli si arricchì sin da subito ma il suo desiderio
di ricchezza aumentava sempre più) passando poi per gli aristocratici (Duchessa di Leyra, nonché figlia
di Don Gesualdo, donna aristocratica che vorrebbe ottenere di più) per arrivare ai politici (Onorevole
Scipioni che ambisce ad un riconoscimento sociale) ed infine all’uomo di lusso, dove si sommano tutti
questi desideri dei personaggi precedenti.

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ITALIANO, LETTERATURA

L’idea che Verga vuole esprimere è quella per cui l’uomo in qualsiasi condizione si trovi, che sia bassa
oppure più alta, non si sentirà mai appagato e desidererà sempre altro. Desidera più soldi, un
riconoscimento sociale, allontanandosi dalla dimensione da cui proviene ed arrivando alla distruzione.
L’individuo così viene travolto dalla fiumana del progresso che è qualcosa di negativo.

Verga evidenzia come (idea sottolineata in particolare all’interno di “Fantasticheria”) allontanarsi dalla
propria dimensione sia pericoloso poichè l’individuo viene travolto dalla fiumana del progresso che è
qualcosa di negativo. L’autore ha infatti ha una visione anti positivista del progresso, perché travolge le
persone che hanno tentato quest’avventura e le lascia come tanti vinti, naufraghi, sulle sponde del fiume.
Gli uomini quindi non hanno possibilità di redenzione, non possono né staccarsi dalla loro condizione, che
è qualcosa che Verga condanna, né salvarsi una volta che da quella condizione si sono staccati.
→ Si parla di darwinismo sociale, una chiave di lettura dell’opera che esprime il pensiero per cui, per
sopravvivere, bisogna rimanere nella propria dimensione originaria, se ci si stacca si va incontro alla
catastrofe. Quest’idea non opera solo nella condizione più bassa dei Malavoglia ma a tutti i livelli fino ad
arrivare a quella più elevata.

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