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EDITORIA APPLICATA

Le prime grafiche
La storia della grafica contemporanea inizia alla fine del secolo XVIII a Parigi grazie ad una rivoluzione
culturale, la distanza tra il produttore e il consumatore non è più diretta, in una città cosi grande diventa difficile
venire a conoscenza dei vari prodotti a causa della distanza, questa situazione viene risolta tramite la pubblicità.
Esplode l’uso del muro come modo di comunicazione, inizialmente tramite manifesti individuali fatti a mano e
poi, in seguito agli esiti della rivoluzione industriale, grazie ai macchinari da essa introdotti. Ci sono quindi due
fasi: una fase sperimentale lenta ed artigianale ed una fase più matura ed evoluta.
I primi a sperimentare questa nuova tecnica furono i pittori.

Le chats, Eduard Manet 1868.


Esempio ancora immaturo poiché testo e immagine sembrano essere due parti
completamente distinte, non vanno a formare un insieme organico.
Gli strumenti e le tecnologie a disposizione vincolano e limitano quello che si può fare.
In quegli anni vi è una nuova tecnica a disposizione: la litografia. Per capire le tecniche
di stampa bisogna osservare la matrice di stampa.
La tipografia è una stampa rilievografica, essenzialmente è un timbro, molto simile è la
xilografia che è sempre rilievografica però viene utilizzata una matrice di legno. Offre
un set predefinito di elementi che si possono utilizzare: le lettere.
Nel caso di questa immagine siccome si tratta di un manifesto e le lettere sono molto
grandi esse vennero realizzate in legno per la stampa (più facilmente trasportabili)
l’impaginazione è quella tipica del libro.

La litografia è una tecnica di stampa planografica, la stampa non è più meccanica, essa
avviene per base chimica. Consiste nel disegnare figure con una particolare matita grassa su una matrice di
pietra. Dopo aver trattato la superficie della lastra litografica con una soluzione acida, si procede inumidendo la
matrice dopo di che si inchiostra, utilizzando un rullo in pelle o in caucciù. L'inchiostro, a base oleosa, ipofilo e
idrorepellente, aderisce solo sui tratti disegnati con la matita grassa, mentre viene respinto dalla superficie
umida della pietra. Nella successiva fase di stampa solo l'inchiostro che ha aderito al disegno viene impresso sul
foglio di carta. Questa tecnica non è più modulare come le tecniche precedenti (ogni volta che bisognava
cambiare la forma di stampa per crearne una nuova bisognava fonderla e crearne una ad hoc per ogni stampa).
L’evoluzione contemporanea di questa tecnica si chiama stampa offset: la differenza è il fatto che oggi viene
utilizzata una lastra di metallo incurvata e messa su un cilindro che entra a contatto con il caucciù sul quale
finisce l’inchiostro pulito.
Folies Bergere, Jules Cheret 1879.
Ambientato nella Belle Epoque, è a colori, le immagini sono integrate con il testo.
Si tratta di cromolitografia, fu sviluppata in Inghilterra a seguito della rivoluzione
industriale. Utilizza gli stessi principi della litografia, per ogni differente colore è
necessaria una differente matrice. Grazie alla cromolitografia è quindi possibile
utilizzare tanti colori, più velocemente, con maggiori sfumature e toni molto più
brillanti.

Manifesto di un locale di intrattenimento, le folies bergere.


Jules Cheret sommava più lastre insieme per poter utilizzare svariati colori e
disegnava direttamente lui le lastre. Viene mostrato una spettacolo di danza di
ballerini acrobati, l’immaturità è data dalla composizione: la scena non è naturale, è
tutto gestito nel singolo dettaglio dall’autore e la scena nel suo insieme risulta molto
controllata. Lo sfondo non è realistico: è lasciato in sospeso creando un
clima di irrealtà, questa è la parte di tradizione che Cheret si porta dietro. Le
immagini ricordano dei fumetti, questo gusto stilistico ha origine in Giappone e
viene definito anche Japonisme.
Un tratto tipico del fumetto presente nel manifesto è la mancanza di modellazione, i volumi vengono suggeriti
solo da alcuni tratti, non si può parlare di tridimensionalità perché mancano alcuni elementi fondamentali come
i giochi delle ombre.
La Revanche 1880.
Questo è un esempio di Art pompier, quell'arte francese di derivazione Accademica
apparsa a metà del'800 molto attenta alla tecnica ma vuota di ideali o falsa e ridicola. Il
nome ricorda in modo derisorio gli elmi e le armature degli eroi antichi spesso raffigurati
nelle tele e paragonati a quelli dei contemporanei pompieri. Spesso di ispirazione storico-
sociale, quest'arte illustra con enfasi gli ideali della ricca borghesia durante il Secondo
Impero, rispolverando episodi di storia patria, all'insegna di un compiaciuto nazionalismo.

Il 1880 rappresenta un momento di tensione fra la Francia e la Prussia che sfocerà nella
guerra Franco-Prussiana. È raffigurato un elmo prussiano a terra: metafora della morte del
nemico senza però mostrare violenza. Di fianco un soldato francese vittorioso.
I graphic designer creano opere che dialogano immediatamente con il pubblico perciò
bisogna guardare alle loro opere per interpretare lo spirito del loro tempo più che a quelle
degli artisti che lavorano ad un livello più complesso da interpretare

Grandi magazzini 1880.


Si tratta di una pubblicità dei grandi magazzini, le pubblicità ci offrono
l’opportunità di vedere cosa accade in un determinato momento storico, in
questo specifico caso si sviluppano i grandi magazzini. La bambina e la
mamma sono vestite uguali, la bambina indica il centro commerciale, l’idea
morale è che sia giusto portare i bambini in questi posti ed introdurli nella
società dei consumi.

Siege of Troy 1883.


La tecnica di stampa è quella della tipografia, con la xilografia del cavallo al centro. Le
scritte sono di grandezza e stile diverso, è una produzione naif con un livello di
professionalità basso perché ancora non era richiesto, la diversità delle scritte
probabilmente è dovuta dalla fretta di comporre il manifesto e quindi dall’impossibilità di
creare nuove forme, quindi ha usato quelle che aveva già.

Papier a cigarettes, Jules Cheret 1889.


È una cromolitografia, si tratta di una composizione simmetrica dove niente è lasciato
al caso, lo stile è japonisme: i colori sono piatti, non ci sono campiture o profondità.
La composizione è classica, la ragazza no. Dà le spalle e ha un’aria maliziosa in una
posa anti-borghese. Si tratta di una sfida culturale e sociale: una donna che vuole
emanciparsi lo fa fumando e essendo provocante. Queste donne andranno a
rappresentare un canone di bellezza con i loro capelli rossi, verranno denominate
Cherette.
Il messaggio riguarda la carta da sigarette, che è un contenitore, un supporto al
tabacco, l’approccio è lo Show, don't tell è un'espressione di tecnica narrativa di
derivazione anglosassone. Viene utilizzata come raccomandazione per gli scrittori che
fanno un uso eccessivo di spiegazioni e commenti a discapito dell'azione e dei
dialoghi. Se lo scrittore usa azione e dialoghi per rivelare un personaggio, la trama
dovrebbe risultare più interessante al lettore. Quest'ultimo dovrebbe sentire di vedere
la scena schiudersi di fronte a sé e, in conseguenza di ciò, giungere a una propria interpretazione senza
interferenze da parte dell'autore. In questo caso invece di dire che la carta da sigaretta non cambia il sapore di
quello che si sta fumando viene mostrato, si vede dal fatto che lascia trasparire quello che c’è sotto.

Quando attraverso gli elementi para-testuali si riesce a far capire quali siano i valori di un determinato oggetto,
l’immagine diventata più potente perché l’immagine arriva in maniera più emotiva allo spettatore, riuscire a
trasmettere questo meccanismo dello show, don’t tell significa raggiungere il miglior livello di comunicazione
possibile. Quando la distanza tra significante e significato diminuisce si ha un prodotto culturale facilmente
fruibile, di puro intrattenimento, quando aumenta quello che succede non è il vero messaggio. Il livello di
lettura di queste opere è più profondo, si ha l’opportunità di creare grandi copertine con maggiori spazi di
manovra, questo significa che il meccanismo di show don’t tell non può essere applicato a qualsiasi situazione.

Japonisme 1889.
Il giapponismo in francese japonisme è l'influenza che l'arte giapponese ha avuto
sull’Occidente, in particolare sugli artisti francesi. Il termine Japonisme stava ad
indicare l'attrazione e l'interesse dei pittori francesi verso l'arte del Sol Levante. In
quegli anni si stava sviluppando l’impero del Giappone che iniziò ad aprirsi al mondo
esterno, le stampe Giapponesi sono le cosiddette stampe del mondo fluttuante, il
termine si riferisce al luogo in cui venivano sviluppate: nelle periferie delle città dove si
svolgevano attività illecite.
Questa passione per l'arte giapponese non avrebbe avuto luogo se le stampe giapponesi
non fossero sopraggiunte in Olanda tramite la Compagnia delle Indie, e poi diffuse in
tutta Europa. Queste stampe ritraevano scene di vita quotidiana ed erano impostate sulla
rappresentazione bidimensionale, e quindi sul colore piatto e l'assenza di chiaroscuri,
ma dinamica; la linea curva, semplice e sinuosa suggeriva l'idea del movimento. Altre
caratteristiche sono il taglio fotografico e la prospettiva essenziale. Interessante è
l'attenzione dedicata all'elemento dell'acqua e allo studio della figura femminile.

La goulue, Henri de Toulouse Lautrec 1891.


Lautrec prende le mosse da quello che aveva fatto Cheret portando un altro grado di
innovazione. I tratti del manifesto sono quelli del japonisme, La diversità rispetto alle
opere di Cheret si vede nella composizione: ci sono infatti immagini tagliate e
l’insieme non risulta più altamente controllato, ci sono tre livelli di profondità e le assi
del pavimento tendono a descrivere l’ambiente a differenza delle opere di Cheret nelle
quali l’ambiente non veniva mai descritto.

La presenza delle lampade è dovuta a una motivazione storica: nel 1891 era da poco
arrivata la corrente elettrica e il Moulin Rouge fu uno dei primi locali ad essere
elettrificato e quindi si stavano facendo pubblicità, il locale aveva una valore aggiunto.
La figura scura e picchiettata in primo piano è il ballerino Valentin-le-Désossé
(conosciuto come il disossato) personaggio della scena notturna parigina dell’epoca
che sembra introdurre la figura chiara al centro, la ballerina Goulue che probabilmente
sta ballando il can-can.

Nella composizione del manifesto Lautrec aveva in mente una fotografia, l’intento era
quello di riprodurre un momento esatto proprio come se fosse una scatto fotografico. La fotografia era già stata
inventata ma era ancora una tecnica da definire e richiedeva che le persone stessero ferme per qualche istante
per poter effettuare lo scatto. L’intento di Lautrec era proprio quello di riprodurre esattamente una fotografia,
infatti il manifesto venne realizzato con uno sguardo fotografico, grazie a ciò dall’idea iniziale di show, don’t
tell dei manifesti di Cheret qui si permette allo spettatore di dare un’occhiata di quello che accade dentro al
locale, è come se anche chi guardasse il fosse all’interno del locale. Quello di Cheret e quello di Lautrec sono
due messaggi completamenti diversi pur adottando tecnicamente lo stesso stile.
Divan Japonais, Henri de Toulouse Lautrec 1893.
Divan Japonais è un poster litografico dell'artista francese Henri de Toulouse-
Lautrec, è stato creato per pubblicizzare un caffè-chantant che all'epoca era noto
come Divan Japonais. Il poster raffigura tre persone del periodo di Montmartre di
Tolosa-Lautrec. La ballerina Jane Avril è tra il pubblico.

L’elemento più eclatante è che proprio il fatto che a colei che dovrebbe essere la
protagonista del manifesto (la cantante che dovrebbe essere sul palcoscenico) viene
tagliata la testa per mettere in primo piano Jane Avrill che era la musa di riferimento
di Lautrec. Lautrec invitata le persone a venire in quel locale solo per il fatto che tra
gli spettatori ci fosse Jane Avrill.
Lautrec riesce a parlare ad un livello più profondo e permette alle persone di
immedesimarsi di più nelle sue opere.

Palais de Glace, Jules Cheret 1893.


La donna presente nel manifesto è una tipica Cherette, è presente una forte contrapposizione
di colori caldi e freddi che fa si che la donna sembri quasi staccarsi dallo sfondo. Mentre
Lautrec viveva molto più nel suo tempo, Cheret rappresentava l’erede di una tradizione
pittorica francese, infatti i colori utilizzati si riferiscono ad un periodo storico di un secolo
precedente nel quale era molto diffuso lo stile Rococò. Era un movimento di total design
ovvero rappresentava l’impatto di uno stile su tutti i possibili risvolti.

Negli stessi anni si stava svolgendo la guerra Franco-Prussiana che rappresentò uno smacco
per i francesi poiché persero la guerra. Vi era un forte sentimento nazionalistico francese che
spinse a scavare nuovamente nelle proprie radici culturali ed ecco perché cento anni dopo, in
seguito a questa sconfitta, decisero di ispirarsi nuovamente al movimento artistico che più
rappresentò la Francia, il Rococò. La sconfitta venne imputata al fatto che i giovani francesi
non praticassero sport, quindi venne riproposta l’idea delle olimpiadi, le olimpiadi moderne
nacquero sulla scorta del dibattito culturale che si svolse in Francia alla fine dell’800 proprio
per la confitta subita contro la Prussia.

Ride a bike, Edward Penfield 1896.


Si tratta di una pubblicità di una bicicletta, la ragazza è ricorda molto una Cherette anche
se è sicuramente molto più compassata, è completamente vestita infatti non traspare un
minimo di pelle scoperta, presenta una gusto americano.
La composizione rimane quella di Cheret con lo stile japonisme, l’assenza di
modellazione e l’ambientazione astratta ovvero il fatto che il personaggio sia
completamente staccato dal luogo in cui potrebbe guidare la bicicletta e sia portata sul
piano della finzione pubblicitaria.
Viene rappresentata la donna che guiderà la bicicletta.

Bike, Alphone Mucha 1898.


Anche in questo manifesto si sta pubblicizzando una bicicletta, in entrambi i
manifesti il soggetto però non è la bicicletta ma la figura femminile. Qui la
donna viene rappresentata in maniera provocante, nella scena sono presenti
anche un’incudine, un martello e un mazzo di alloro. Tutti questi elementi sono
dei simboli: l’alloro richiama la vittoria mentre gli dei erano i personaggi che
utilizzavano incudine e martello, la donna rappresentata qui è una dea, è colei
che ha dato dei tratti di solidità alla bicicletta e la rende vittoriosa.
La pubblicità francese tendeva sempre ad essere più simbolica.
Job, Alphonse Mucha 1898.
Questo è uno dei manifesti più famosi di Mucha, si tratta sempre della pubblicità della carta
da sigarette Job di cui aveva fatto un manifesto anche Cheret. La ragazza rappresentata è
una Cherette, la maggiore differenza è che se Cheret riusciva ad essere trasparente nelle
forme che adottava rispetto al soggetto e al contenuto, Mucha invece imponeva il suo stile
che era quello dell’Art Nouveau.

L’Art Nouveau è un movimento artistico-filosofico che nasce in Francia tra la fine


dell’Ottocento e le prime decadi del Novecento e si diffonde in tutta Europa con nomi
diversi nelle diverse nazioni: in Italia, ad esempio, è conosciuta come Stile Liberty. Il
periodo storico dell’Art Nouveau coincide con quella che viene ricordata come la Belle Epoque.
L’horror vacui (paura del vuoto) è una delle principali caratteristiche di questo movimento, nell'arte definisce
l'atto di riempire completamente l'intera superficie di un'opera con dei particolari finemente dettagliati.
L’Art Nouveau recupera anche l’arte bizantina come si può notare dai numerosi mosaici geometrici che fanno
di cornice al soggetto principale, lo stile veniva fatto risaltare ad ogni costo, era l’elemento più importante.
La resa dei capelli in stile geometrici trasmette un’idea di controllo sulla natura, quindi l’Art Nouveau
trasmette un’idea positivista della capacità dell’uomo di controllare la natura e di irretirla in qualche modo, di
rappresentarla in forme controllabili.
Da un punto di vista visivo, le opere dell’Art Nouveau (dipinti, statue, architetture) sono caratterizzate da
un’accentuata eleganza decorativa e da linee dolci e sinuose che si incontrano e si intrecciano armoniosamente.

La Masque Anarchiste, Henri Privat Livemont 1897.


Nel manifesto si vede un personaggio vestito da lavoratore che ha ucciso in
modo violento una Cherette, in alto vedo che il 21 novembre ci sarà un
evento: la Masque Anarchiste. Vi è un chiarissimo riferimento all’anarchia,
ovvero l’abolizione dell’autorità, qui si sta cercando di far passare
l’anarchia come qualcosa di violento e di malvagio per evitare che la massa
possa simpatizzare verso questo movimento. L’anarchia uccide
violentemente e senza scrupoli, anche le belle Cherette a cui tutti sono
affezionati, l’omicida è un operaio immigrante che fa parte di una delle più
basse classi sociali ed esteticamente ricorda molto Super Mario.
Sulla base di cliché visivi viene rappresentata una forma di propaganda
contro l’anarchia.

Chocolat Klaus, Leonetto Cappiello 1904.


Nel manifesto Cappiello utilizza dei colori timbrici ovvero colori espressi alla massima
intensità, lo stile è japonisme.
Il manifesto rappresenta la pubblicità di una cioccolata ma non si vede il cioccolato, qui
Cappiello ha utilizzato l’eredità di Cheret e l’ha fatta sua rielaborandola. Il grande scarto
è concentrato nella relazione tra testo e immagini, tra visivo e verbale che in questo caso
sono differenti e dovrebbero espandersi nel rapporto reciproco stabilitosi, ovvero
dovrebbero espandere il significato e creare quel meccanismo che è tipico della
contemporaneità e viene definito branding. Il branding consiste nel prendere un marchio
e associargli dei valori simbolici che non devono avere per forza una relazione con
l’oggetto che pubblicizzato, l’importante è adottare una narrativa per espandere i valori
che sono collegati al mio oggetto.
Questa tecnica viene adottata per coinvolgere maggiormente lo spettatore.

Priester, Lucian Bernhard 1905.


Lucian Bernhard partecipò ad una gara dove venivano raccolte delle idee di manifesto e il
migliore sarebbe stato pagato. Nel progetto iniziale Bernhard aveva realizzato un manifesto
in stile Art Nouveau con un posacenere, un sigaro e un pacchetto di fiammiferi, dal sigaro si
alza una voluta di fumo dal quale emerge la silhouette di una figura femminile. Chiedendo ad
un amico cosa ne pensasse egli rispose che gli sembrava una pubblicità di sigari e Bernhard
ebbe l’intuizione di dover aggiungere significato togliendo, ovvero aggiungere significato per sottrazione (less
is more). Tolse così praticamente tutti gli oggetti tranne i fiammiferi e vinse il concorso.

La tecnica di Bernhard è famosa più per il suo approccio minimalista che per la capacità comunicativa perché
Priester era il nome della marca che faceva fiammiferi, non era un collegamento particolare.
Questo genere di manifesti si chiama manifesti oggetto, ovvero manifesti in cui era rappresentato unicamente
l’oggetto di cui si parla.

La comunicazione durante la grande guerra


Con lo scoppio della prima guerra mondiale serviva adottare una comunicazione davvero efficace e riuscire a
dialogare con la popolazione. A livello di comunicazione ci furono vari problemi da risolvere, per esempio
l’impero britannico non aveva la leva obbligatoria perciò il problema principale in Gran Bretagna fu convincere
la popolazione ad arruolarsi. In Germania il problema era raggiungere un’unità nel fronte interno, era
necessario che le forze politiche fossero unite.
La propaganda era mirata ad esaltare le minime vittorie e nascondere i principali problemi o le sconfitte,
venivano utilizzati manifesti, giornali, opuscoli, volantini e la censura. Queste esigenze che presero il
sopravvento sulla quotidianità interruppero lo sviluppo artistico che era in atto: la comunicazione di
propaganda doveva essere semplice perché doveva parlare a tutti e il messaggio doveva essere di facile
comprensione (non si poteva adottare il linguaggio sofisticato delle avanguardie).

Inghilterra
Lord Kitchener, Alfred Leete 1914.
Kitchener era il ministro della guerra, qui il messaggio è semplice e diretto: si tratta di un
invito ad unirsi all’esercito della nazione, dialoga anche con la parte analfabeta della
popolazione. Composizione simmetrica, centrata e classica, non segue dal punto di vista
stilistico le convenzioni che si stavano sviluppando (avanguardie, ecc), ma torna indietro.
C’è una grande commistione di elementi diversi come i caratteri e i tratti incerti, lo sfondo
non è gestito è abbandonato a se stesso. Il manifesto fu commissionato dal ministero,
l’obbiettivo era fare una cosa molto semplice con un obbiettivo razionale, il gesto del dito
puntato deriva dalla statuaria romana (momento in cui si costruisce l’immagine di un
imperatore divino, superiore alle vicende umane) infatti è un gesto tipico dell’imperatore e
viene definito ad locutio. Fa parte delle Talking hand (mani parlanti)
I guerrieri romani avevano un’armatura che faceva risaltare i muscoli proprio per incutere
timore agli avversari, questa idea verrà ripresa dai creatori dei supereroi.

Women of Britain say go! Edward Kaeley 1915.


In Inghilterra convincono gli uomini ad arruolarsi tramite un processo di evirazione,
vengono creati dei manifesti con delle figure femminili che invitano gli uomini ad
arruolarsi. Il messaggio è che se sei uomo devi arruolarti mentre le donne e i bambini
dovevano rimanere a casa.

What did you do in the great War? Saville Lumley 1915.


Rappresenta una continuazione dell’ideologia del manifesto precedente, la bimba chiede al
padre che cos’ha fatto nella guerra mentre lui in realtà non ci è andato e non sa cosa
rispondere. Il bimbo mette in discussione la virilità del padre giocando alla guerra, se non
fosse bimbo ci sarebbe andato anche lui.
Piuttosto che rispondere a questa domanda è meglio arruolarsi e andare in guerra così da
poter preservare il proprio onore.
Stati Uniti
Enlist, Frederick Spear 1915.
Questo manifesto è molto più sintetico, non sono presenti tutti gli elementi dei
manifesti precedenti. La madre che afferra il bambino è un fatto di cronaca: in quegli
anni venne silurata e affondata una nave, la Lusitania, da un sommergibile tedesco e si
narra che trovarono nel fondo del mare il corpo di una madre che abbracciava il figlio,
tutto ciò è accompagnato da una sola parola: arruolati. Il manifesto mira a coinvolgere
emotivamente il pubblico e il messaggio sofisticato incita ad arruolarsi affinché cose
così atroci non
succedano più. Negli Stati Uniti si stavano affermando i Graphic Designer come
professionisti quindi vennero sviluppate delle tecniche più avanzate.

Tell that to the marines! James M Flagg 1916.


Nel manifesto viene mostrato Clark Kent che si toglie la giacca per andare a
combattere, il cambiare d’abito rappresenta un gesto di trasformazione. La giacca è
un abito formale che non permette di seguire un comportamento di violenza,
cambiando d’abito cambia l’aspetto e quindi cambiano le cose che si possono fare
perché cambia il ruolo della persona che se è nei panni del soldato può commettere
certe azioni.
L’uomo ha appena letto sul giornale che i tedeschi (denominati unni) uccidono
donne e bambini, lo butta a terra ed è pronto ad arruolarsi nei marines.

L’immagine utilizza il diagramma di Gutermberg, quest’ultimo prende in


considerazione come un lettore di cultura occidentale esamina una pagina. Il
diagramma divide una pagina in quattro quadranti. Secondo questa teoria, di solito
s’inizia a leggere in alto a sinistra (Principale Focus Ottico), poi ci si sposta
orizzontalmente verso destra (Forte Area Inattiva), subito dopo si ritorna a sinistra,
muovendosi rapidamente verso il basso (Debole Area Inattiva) ed infine, si
prosegue orizzontalmente verso destra (Area Finale).
Lo sguardo tende a seguire un naturale movimento dalla Primary Area alla
Teminal Area: questo percorso è chiamato Reading Gravity (tendenza di
gravitazione delle lettura). L’area 2 e l’area 3 cadono al di fuori della Reading
Gravity e, di conseguenza, ricevono un’attenzione ridotta, a meno che non siano
enfatizzate visivamente.

Anche in questo manifesto la gravità di lettura si sposta da in alto a destra a in


basso a sinistra, questa immagine è costruita con grande potenza, è molto potente.
Lo sfondo è gestito perché è colorato di bianco anche se dal punto di vista
stilistico adotta una stilizzazione ottocentesca mentre la composizione è moderna
e molto pubblicitaria, nel complesso è un manifesto di grande impatto.

I want you for U.S. army! James M. Flagg 1917.


Viene rappresentato lo zio Sam che veniva utilizzato come una personificazione
nazionale degli Stati Uniti d'America. Flagg ha copiato il manifesto di Lord
Kitchener rendendo il messaggio molto più forte cambiando il pronome nella scritta:
da He a I.
Germania
U boote, Hans Rudi 1917.
Si tratta di un manifesto raffinato con più livelli di lettura. Gli U boote sono i sommergibili.
Primo livello: la u rappresenta parte del testo, leggo il testo;
Secondo livello: la u è anche lo scafo del sottomarino;
Terzo livello di lettura: la u è anche un periscopio che utilizza il soldato per controllare la
nave nemica che è stata abbattuta.
La popolazione media non riesce ad afferrare tutti questi significati.

Kriegsanleihe, Julius Klinger 1917.


Kriegsanleihe significa debito di guerra, il serpente è trafitto da otto lance, numero
presente grande e rosso al centro del manifesto e rappresenta un cappio intorno al collo
del serpente. Questa è l’ottava raccolta fondi, le precedenti hanno ferito gravemente il
nemico, è perciò necessario un ultimo sforzo per sconfiggerlo definitivamente. Il
messaggio è: sostenete un ultimo sforzo per sconfiggere il nemico e terminare quello
che abbiamo iniziato.
Grafica molto valida ma di difficile comprensione.

Francia
Liberation, Lucien Jonas 1918.
Il manifesto sembra un quadretto quattrocentesco, la Marianna ha una cornucopia piena di
soldi grazie ai quali riesce a finanziare e a guidare l’esercito che viene nuovamente animato.

Italia
Prestito nazionale, Mario Borgoni 1918.
Viene rappresentato il primo finanziamento per la ricostruzione, è di stampo ottocentesco con
un eco futurista che mette il bimbo in una posizione di ascensione, possiamo personificarci nel
bambino perché rappresenta il nostro punto di vista.

Il De Stijl
Il De Stijl rappresenta un punto di svolta fondamentale per tutta la grafica modernista, qui
nacque il modernismo.
Il Neoplasticismo, conosciuto anche come De Stijl (che in olandese significa Lo stile) è un movimento artistico
nato in Olanda nel 1917, legato intimamente alla spirito calvinista olandese. Il termine neoplasticismo compare
per la prima volta nell'ottobre del 1917 con la pubblicazione del primo numero della rivista "De Stijl" fondata
da Theo Van Doesburg.
Questo termine viene utilizzato da Piet Mondrian e Theo van Doesburg nella redazione del Manifesto De Stijl
per descrivere la nuova forma d'arte: astratta, essenziale e geometrica. L'astrazione Geometrica esclude la
rappresentazione figurativa e le linee curve come sovrastrutture decorative, accetta solo linee e segmenti retti.
Per i neoplasticisti la Pittura deve contenersi nell'ambito dell'astrattismo geometrico realizzando la liberazione
della forma naturale dalle sovrastrutture espressive, basando tutto sugli elementi base della linea, del piano e dei
colori primari attraverso rettangoli ritmici e blocchi cromatici.

Riassumendo secondo il De Stijl tutta l’esperienza visiva deve essere ridotta a colori e linee verticali e
orizzontali. Si parte dall’oggetto reale per poi semplificarlo attraverso regole fisse e precise.
Si tratta di un allontanamento del fenomeno e di un avvicinamento del noumeno grazie al quale si riesce a
cogliere l’essenza delle cose, il fenomeno è la cosa come appare a noi mentre il noumeno è appunto la cosa in
sé. Il principale limite di questo movimento è che quello che può essere prodotto ha valenza come avanguardia
artistica, ma non riesce ad essere applicata ad altri campi perché ha regole troppo ferree.
Mucca, Theo van Doesburg 1917.
Theo van Doesburg adottò una serie di regole per passare da una grafica mimetica ad una grafica sintetica. Per
fare ciò partì dal disegno di una mucca e semplificandola in vari passaggi creò un nuovo soggetto, questo
perché secondo il De Stijl tutta l’esperienza visiva deve essere ridotta a colori primari e linee orizzontali e
verticali.

De Stijl, Theo van Doesburg 1921.


La lezione di Mondrian sulla grafica del 900 e l’eredità da cui nascerà il
modernismo è l’adozione dei colori della comunicazione: il nero su sfondo
bianco e il rosso, che hanno un effetto di massima leggibilità e di massimo
impatto.
Lo spazio bianco non è vuoto, è uno spazio che ha una sua dignità e viene
utilzizato con una tecnica particolare denominata uso positivo dello spazio
negativo: se si guarda l’impaginazione la si può ridurre a vari rettangoli. Il
bianco ha la funzione di dare respiro. Questo ragionamento è alla base di
tutta l’impaginazione grafica del 900 di stampo modernista, qui nasce il
modernismo.

Piccola parentesi sulla tipografia.


La tipografia è scrivere usando forme prefabbricate. Per carattere si può intendere la singola lettera, sia lo stile
che può avere quella lettera e sopratutto una famiglia di caratteri, ovvero l’insieme di tutti i segni che hanno
una stessa coerenza visiva. Solitamente una famiglia ha un roman o regular, una versione corsiva (italic), una
versione in grassetto (neretto o bold) e un corsivo grassetto (bold italic). Talvolta, ma non sempre, c’è il
maiuscoletto. Spesso di un carattere esistono versione condensate che occupano molto meno spazio e versioni
estese che ne occupano di più.

Per quanto riguarda l’anatomia del carattere esistono le grazie e i raccordi, le grazie sono degli appendici che
collegano una lettera con l’altra e derivano dalla scrittura calligrafica, danno un effetto di continuità alle lettere
presenti nella stessa parola e consentono una lettura più agevole. I raccordi indicano esattamente i punti di
unione tra una lettera e l’altra.

Tra le principali famiglie di caratteri ci sono: i caratteri graziati umanistici che rappresentano il primo
passaggio di transizione dalla scrittura calligrafica a quella tipografica e quindi sono molto vicini alla scrittura
manuale. Un’altra famiglia è quella dei caratteri graziati romani antichi che tendono ad una maggiore
organizzazione e un ordine generale, qui comincia l’allontanamento progressivo dalla calligrafia. Si passa poi ai
caratteri graziati romani moderni che continuano a presentare le grazie ma non hanno più nessun riferimento
alla calligrafia. I caratteri graziati egiziani non hanno un contrasto con le aste e i raccordi sono squadrati.
I caratteri lineari grotteschi e neogrotteschi sono caratterizzati dall’assenza delle grazie, gli ultimi presentano
un respiro maggiore.
Esistono famiglie di caratteri corsivi che imitano il pennino a china e i caratteri corsivi formali che imitano in
tutto e per tutto la calligrafia. Esistono poi anche i caratteri monospace nei quali la larghezza dei caratteri è
uguale in ogni singolo carattere, anche forzandoli.

Batti i bianchi con il cuneo rosso, El Lissitsky 1919.


Il 1919 è il periodo della rivoluzione russa, il passaggio dall’impero
all’Unione Sovietica. Si tratta di un manifesto di propaganda della
rivoluzione russa, l’autore utilizza delle forme geometriche
semplificando tantissimo la comunicazione e fa immediatamente capire
che ci si trova di fronte a due fazioni: quella rossa a sinistra e quella
bianca a destra. La fazione che vince è quella della rivoluzione
bolscevica, sono i rossi che penetrano nel sistema, l’effetto viene
ottenuto dividendo il campo a metà: una parte bianca e una nera che
creano un momento di tensione tra le due metà che risultano inclinate,
togliendo così l’equilibrio alla figura e conferendo movimento alla
scena.
La parte bianca è rappresentata da un cerchio che rappresenta la staticità
dell’impero russo appoggiato sulle sue idee da secoli, mentre i rossi
sono rappresentati da un triangolo in movimento che sta entrando nel cuneo e lo sta distruggendo. Questo è un
manifesto di grafica sintetica russa dove le forze spaziali creano significato.

Questo movimento si chiama costruttivismo, ovvero il designer è al servizio della rivoluzione. Il costruttivista è
un operaio della grafica, è qualcuno che mette insieme i vari elementi ma rimane dietro alle quinte. Il De Stijl e
il costruttivismo sono due input fondamentali per il modernismo.
Nel manifesto vengono utilizzati i colori della comunicazione.

Jan Tschichold 1925.


Le idee portate avanti dal De Stijl attecchirono e diedero origine a duna nuova
generazione, alla prima generazione di graphic designer. Tra questi distacca Jan
Tschichold che applicò i principi di Mondrian e del De Stijl alla tipografia e creò un
trattato di tipografia elementare che definisce l’impaginazione e la grafica. I tratti
del De Stijl presenti nella tipografia elementare di Tschichold sono l’uso positivo
dello spazio negativo, le righe rosse e nere sovradimensionate che servono ad
orientare lo spazio e derivano dalle tavole di Mondrian.
Il carattere è quello della modernità: il lineare grottesco. L’idea era quella di eliminare
gli elementi inutili come determinati colori, le linee oblique e le maiuscole.
Le idee di Tschichold attecchirono in una scuola tedesca chiamata Bauhaus, era
formata da un crogiolo di artisti proveniente da tutta Europa che diventarono
insegnanti; è la prima scuola di design e lì vennero gettate le basi di tutto il pensiero
della grafica modernista di li a venire traendolo dalle avanguardie prima citate.

Normandie, Cassandre 1935.


Manifesto francese del transatlantico Normandie in pieno stile art déco, essa rappresenta
il positivismo tecnologico applicato agli oggetti e alla grafica, fa parte di quello stesso
stimolo che creò le astronavi di Star Trek. Il mare è un elemento a sé stante (una linea
colorata) sui cui poggia la nave come se fosse un basamento di una statua, non c’è
modellazione, c’è un’assenza della natura e le forme hanno raggiunto la massima
espressione.
Nel positivismo industriale il concetto ideale di bellezza risiede nell’assenza di segni da
parte dell’essere umano e di esaltazione delle macchine. Il modernismo mira alla
perfezione, all’assenza di legami con qualsiasi attività umana e ad essere per questo
internazionale. Il modernismo esplose, infatti, nel secondo dopo guerra, dopo due guerre
mondiali causate dalla necessità di mettere in primo piano le identità nazionali e proprio
per questo mirava al superamento delle differenze locali. Venne anche considerato
fascista perché tendeva ad applicare un’unica verità.
Radio, Lester Beall 1937.
La grafica sintetica venne applicata anche alla comunicazione pubblicitaria semplificata,
si tratta di una pubblicità effettuata nelle aree rurali degli Stati Uniti che mirava invogliare
le persone a comprare la radio per poter connettersi con il mondo. Si tratta di grafica
sintetica perché vengono eliminati tutti gli elementi naturali e viene semplificato il
messaggio.

Rosie the Riveter, Howard Miller 1943.


Si tratta di un’iconografia molto famosa negli Stati Uniti, la figura è Rosie the Riveter
un’impersonificazione della donna operaia. Nel periodo della seconda guerra mondiale
infatti le donne sostituirono gli uomini nelle fabbriche visto che erano in guerra e il
messaggio era che rimboccandosi le maniche potevano farcela e far andare avanti la
nazione al loro posto.
Era un manifesto destinato ad una ambientazione molto bassa, girava infatti negli
ambienti operai.

Rosie the Riveter, Norman Rockwell 1943.


La stessa iconografia viene utilizzata in modo molto diverso da Norman Rockwell sulle
pagine del Saturday Evening Post. L’ispirazione è del tutto diversa, infatti Rosie è
impegnata in una posa elegante, sembra quasi una statua, l’idea è rinascimentale si tratta
di una citazione della composizione della Cappella Sistina di Michelangelo.
nell’immagine sono presenti sacro e profano, Rosie la rivettatrice è nella posa del profeta
Isaia che si trova nella Cappella Sistina, si tratta della stessa commistione che adopererà
Pasolini, denominata sineciosi.

Marylin Monroe 1950.


In questo periodo le Cherette che verranno sostituite dalla moda delle bionde con
tutto il retroterra di cliché che le accompagna, la differenza si trova nell’idea di una
rappresentazione di dive super-umane, separate dal mondo normale. Questa tendenza
verrà ampliata dal cinema e dalle riviste, la fotografia prenderà sempre maggiormente
il sopravvento rispetto all’illustrazione.

Josef Muller Brockmann 1952.


Il modernismo degli anni 50 è il linguaggio della neutralità, nel dopoguerra
rappresentava l’aria fresca di qui tutti avevano bisogno. È uno stile così neutrale
che si può applicare ad ogni ambito completandolo con le informazioni del caso
specifico.
Questa installazione di Brockmann è composta da un totem che segnala le
persone che sono morte in un incidente stradale, un dato così crudo viene
rappresentato con questa neutralità dal modernismo; si tratta quasi di un
sottrarsi da alcune responsabilità emotive, quindi il modernismo divenne un
linguaggio impassibile. Si tratta di una tensione verso la perfezione, verso il
divino, qualcosa di lontano dalle vicende umane.
Josef Muller Brockmann 1955.
Durante il modernismo veniva applicata in particolar modo la regola dei terzi in
fotografia. La regola dei terzi è una linea guida di composizione delle immagini che
prevede di dividere il campo fotografico attraverso:
- 2 linee verticali, che individuano tre segmenti uguali orizzontalmente
- 2 linee orizzontali che individuano tre segmenti uguali verticalmente
L’intersezione di queste linee crea 9 spazi di identica dimensione, come nello schema
qui sotto. I 4 punti rossi evidenziati li puoi trovare di volta di volta indicati come
fuochi o punti di interesse.
Quello che importa però è che
- I punti individuano per lo sguardo dello spettatore delle aree di maggiore interesse
rispetto al centro o alla periferia;
- Le linee creano dei percorsi di esplorazione per l’occhio.

Quando il soggetto è collocato semplicemente al centro, la fotografia tende ad


essere più statica ed armonica. Purtroppo però, esattamente come nella vita reale,
è più difficile trovare interesse nell’armonia che nel contrasto.
Quando invece decentri il soggetto principale su uno dei punti focali, lasciando
allo stesso tempo uno spazio più vuoto su un lato, sbilanci l’immagine creando
un contrasto visivo che l’occhio cercherà di risolvere senza riuscire a farlo.
Infatti, quando guarda un’immagine composta con la regola dei terzi, lo
spettatore può individuare immediatamente e con chiarezza il soggetto
principale (esattamente come nelle foto con soggetto al centro), ma per vedere il resto dell’immagine è
costretto continuamente a togliere gli occhi dal soggetto per esplorare cioè che gli sta a lato (cosa che invece
non succede quando il soggetto è posto centralmente).
La regola dei terzi quindi, decentrando i soggetti, evita all’occhio di fermarsi, e in qualche maniera lo provoca
ad esplorare l’intera immagine.

Adrian Frutiger 1957.


Un altro fenomeno tipico del modernismo è l’approccio positivista. Adrian Frutiger
creò una matrice di caratteri denominati Univers dividendoli a seconda del loro
formato: extendend, regular, condensed e extra-condensed e diversificandoli con
colori diversi. Si tratta di un approccio modernista, ovvero di organizzazione delle
informazioni.

Giselle, Armin Hofman 1959.


Una volta provate tutte le soluzioni bisogna cominciare un po’ a rompere i limiti
per trovare uno spazio creativo e quindi si comincia ad erodere i confini del
modernismo e ad esplorare qualcosa che vada un po più in là.

Giselle è un manifesto che comincia ad oltrepassare i confini del modernismo, la


ballerina sta ancora ballando, non si vede il volto e questo aiuta
l’immedesimazione e l’immaginazione.
Testo e immagini si sovrappongono leggermente e la parola Giselle è scritta in
verticale, questo significa che oltre al valore verbale attribuisco alla parola un
altro valore, quasi come se fosse un’immagine.
Drowning girl, Roy Lichtenstein 1963.
Questo quadro morfologicamente è un fumetto ma manca la sintassi tipica del fumetto.
Anche se la sintassi non è presente la storia c’è ed è resa più potente dal fatto che ci
viene fornita solo una parte della storia e ognuno di noi può immaginare un prima e un
dopo. Lichtenstein prese la grammatica del fumetto e ne utilizzo solo una parte,
togliendone un’altra, si tratta di un togliere per raggiungere un
significato.

La Pop Art prevedeva di prendere delle cose già esistenti e


riutilizzarle, infatti in questo caso Lichtenstein attinse da un fumetto. Tagliando
l’immagine e ponendo al centro solo la donna dimostra la forza che questa immagine può
avere da sola.

Il risultato ottenuto è quello del conversational piece, un genere di pittura originario dei
Paesi Bassi nel quale i dipinti rappresentano gruppi di persone in conversazione o in
atteggiamenti di vita familiare.

Psichedelia (post-modernismo)
Negli anni 60 si diffuse la Psichedelia, si tratta di un movimento
artistico che prevedeva l’uso di sostanze stupefacenti da parte sia
dell’artista che realizza le opere sia da parte del fruitore. Il patto
implicito che tutti e due debbano essere sotto l’uso di sostanze
stupefacenti creava il cosiddetto effetto lisergico: quel tipo di
esplorazione del mondo ottenuto solo attraverso sostanze stupefacenti.
Psichedelia significa rivelazione dell’anima, è un tentativo di scoprire
qualcosa che vada oltre le cose materiali, infatti il tentativo del
movimento era quell odi utilizzare una grafica e una musica che
portassero lo spettatore ad un altro livello, il livello lisergico.

Graficamente gli artisti della Psichedelia attingevano dalla secessione viennese che aveva
scoperto che l’arte classica aveva vissuto diversi momenti (classico, ellenistico, …) e non
poteva più essere percepita come un unicum, con un unico canone e ideale di bellezza.
L’idea alla base della secessione era che ogni tempo avesse la sua arte e non esistesse un
arte eterna che andasse bene per tutti, i secessionisti erano un gruppo di giovani artisti che
si ribellarono al canone consolidato.

I grafici della pischedelia erano grafici che si fregiavano di essere autodidatti e di non aver
frequentato delle accademie, questa rappresenta una prima picconata violenta al
modernismo, all’idea di seguire delle regole. Questi artisti facevano tutto l’opposto di
quello che veniva insegnato nelle accademia, infrangendo tutti i canoni. I temi della
psichedelia sono quelli legati al divertimento. Graficamente veniva simulata l’esperienza
che si viveva con l’utilizzo delle droghe.

La Psichedelia rappresentava l’esatto contrario del modernismo,


sostenevano che ad ogni tempo appartenesse la propria arte e proprio per questo vi è una
forte vicinanza fra gli artisti della psichedelia e quelli della secessione, hanno la stessa
idea di un contrasto contro il potere costituito.

Muhammed Ali, George Lois 1968.


Questa immagine rappresenta un’unione tra sacro e profano. Il pugile Muhammed Ali
viene rappresentato trafitto da delle frecce come San Sebastiano, il livello di complessità
e di provocazione è molto alto: un afroamericano e musulmano rappresentato come un
santo cristiano.
Valentine Olivetti, Milton Glaser 1968.
Questo manifesto venne realizzato per la biennale di Venezia, il tema da rappresentare era
l’unione tra l’antico e il moderno. La Valentine Olivetti era una macchina da scrivere
leggere e portatile, adatta ai giornalisti. La metafora visiva è rappresentata dal cane che è il
migliore amico dell’uomo, la macchina vine paragonata al cane, entrambi sono affidabili e
si portano da soli.

Nel manifesto viene citato un quadro tardo-medievale italiano, la morte di Procri. Questo
cane non è un cane qualsiasi è l’Elapo, un cane donato a Procri da Zeus che aveva una
caratteristica particolare: era un cane da caccia che non mancava mai la preda. Questa
diventa un’iperbole dell’affidabilità della macchina, la macchina da scrivere è affidabile
come il migliore fra i cani da caccia e le viene fornito un valore divino.

Brochure, Massimo Vignelli 1980.


Massimo Vignelli disegnò una brochure per l’ente parchi nazionali americani ed in
seguitò pubblico anche un libro nel quale spiegava il canone da lui utilizzato. Egli
utilizzava il canone rigoroso del metodo modernista e divenne un simbolo del
modernismo internazionale, produsse molti loghi aziendali stranieri principalmente
utilizzando l’Elvetica seguendo un approccio molto rigoroso, ordinato e una
griglia.

In seguito subentrerà una nuova generazione più ribelle che si staglierà contro i
principi del modernismo, ovvero la generazione post modernista. Beatrice Warde
durante una convention di stampatori americani spiegò la differenza tra posto
moderno e post moderno tramite la metafora del calice di vino: se un modernista
deve servire del buon vino prende un bel bicchiere di cristallo (che rappresenta la
tipografia editoriale) perché il contenitore deve essere trasparente rispetto al
contenuto, è il contenuto che deve essere privilegiato; i post modernisti invece
affermano che un ottimo vino vada accompagnato da un calice altrettanto bello e
prezioso, un calice d’oro proprio perché bisogna valorizzare il contenuto.

Nella brochure Vignelli utilizza una griglia modulare per dare forma alla brochure, si tratta di una divisione
della pagina in piccoli moduli tramite linee orizzontali e verticali, il testo o le immagini vanno collocate nei
moduli. Questo metodo ha vari vantaggi: permette di definire un formato all’inizio del progetto, questo
permette di poter comprare fin dall’inizio tutta la carta che mi serve e mi permette di ammortizzare i costi,
l’altro grande vantaggio è la velocità produttiva, c’è un insieme finito di regole e di possibilità quindi si applica
la soluzione che si ritiene più interessante e questo permette di velocizzare le procedure perché non c’è bisogno
di pensare a come creare un volantini perché conosco già le regole. Questo secondo vantaggio ha altri due
vantaggi: il primo è nei confronti dell’utente che visitando vari parchi trova delle brochure sempre fatte nello
stesso modo e riesce ad orientarsi meglio per trovare le varie informazioni; il secondo vantaggio è nei confronti
del progettista, non c’è la necessità di uno specifico progettista perché una volta che Vignalli ha effettuato il
lavoro del layout (ha definito le regole) poi chiunque sappia utilizzare gli strumenti della grafica potrà
realizzare questo lavoro.
Queste tecniche di lavoro (sopratutto la griglia) sono perfette per la stampa periodica che ha bisogno di
utilizzare uno stile simile nei vari numeri delle testate giornalistiche ma anche di una produzione veloce.

Essendo il modernismo il linguaggio della neutralità che aspira all’universalità non si mischia mai con le
vicende terrene e ciò lo rende super partes, ma dall’altro lato non lo rende mai coinvolto con le vicende umane.
Wolfgang Weingart 1984.
Wolfgang Weingart adottò a pieno la semplicità del modernismo
cercando di evolverla un po’ dal suo punto di vista, era un
designer che controllava praticamente tutto il ciclo produttivo
dei loro prodotti e questo portava alla realizzazione di prodotti di
maggiore qualità.
In questo esempio utilizza i caratteri tipici del modernismo ma
cominciando a ridurne la leggibilità con sovrapposizioni anche
se continua a mantenere l’impianto modernista.

Nel secondo manifesto dall’atmosfera surreale è presente un


carattere eroso, c’è un accenno alla decostruzione. Comincia a
mettere in discussione alcuni principi del modernismo.

April Greiman 1987.


April Greiman inserì nelle sue opere un‘idea di gusto personale, prima grande differenza
con il modernismo. Le sue opere erano caratterizzata da fotomontaggi, ripetizioni, effetti
costruttivisti e scritte che esplodono, c’è ancora una minima leggibilità del testo ma si
trova ai limiti.

La Greiman sperimentò molto con l’uso del computer, l’immagine a sinistra ne è un


esempio, la chiamò doppio spirituale: è presenta la sua foto e una commistione di vari
elementi aggiunti tramite l’utilizzo del computer. Nella foto è nuda, si tratta di una
metafora che sta ad indicare che nel lavoro ha messo tutta sé stessa, impiega anima e
corpo nelle sue opere.

Stampò l’opera a bassa risoluzione perché voleva mostrare di aver creato l’opera con
l’utilizzo del computer, voleva far vedere quello che si trovava dietro alla quinte della
lavorazione grafica, ovvero com’è stata creata l’opera; offuscando così i limiti tra lo stadio
di creazione dell’opera e lo stadio finale. Questo fenomeno verrà denominato
decostruzione, si tratta di un processo tipicamente post modernista, è l’idea di non
utilizzare più l’oggetto finito e perfetto ma di smantellarlo e mostrarlo nella sua
incompletezza poiché non è fermo e immutabile ma in divenire, qualcosa di organico.
Cambiò molto lo scenario estetico di riferimento nel quale centro era tornata la
rappresentazione della persona.

Stile internazionale.
Da un certo periodo in avanti tutte le nazioni hanno cominciato a realizzare palazzi
rettangolari, costruiti con gettate di cemento, vetro e acciaio; si tratta dello stile
internazionale: una moda globalizzante dove si trovano sempre gli stessi tipi di abitazioni
che sono orientate al funzionalismo puro, ma che in realtà sono le meno funzionali e
falliscono così nel loro obbiettivo primario. Ad esempio queste abitazioni consumano un
sacco di energia e sono costruite con materiali che non sono quelli tipici del luogo, non
adattandosi alle condizioni del luogo. Questo è un classico esempio dello stile
internazionale, un concetto che si applica indifferentemente dalle necessità e dalla reale
funzionalità. Questo è lo stile classico del modernismo.

Evan Sagmeister 1985-1996.


Sagmeister nacque negli anni 60, la sua generazione è l’ultima che imparò a fare tipografia e
grafica completamente in modo analogico, quello che cambia è che sapendo utilizzare
solamente il computer per fare grafica si può fare solo quello che il computer permette di
fare, l’uso esclusivo del computer porta ad un approccio per tentativi e questo non è un
metodo progettuale. Il progettista analogico usa il computer come uno degli strumenti a sua
disposizione e non come se fosse l’unico, parte già con un pensiero progettuale e non per
tentativi. Questo livello di creatività diverso della generazione degli anni 60 è dovuto al fatto
di saper fare grafica in modo analogico.
Un cliente che produceva carne di pollo in scatola gli affidò l’incarico di creare per lui un
nuovo biglietto da visita che spiccasse e fosse diverso dal solito. Sagmesiter creò un
biglietto del tutto particolare con degli elastici che permettevano di ruotarlo creando
l’effetto visivo di un pollo che entra dentro la scatola, era sopratutto una cosa divertente
che valorizzava il contenuto.

Realizzò anche il manifesto per l’album di una famosa band, il manifesto risulta
volutamente come se fosse strappato questo perché Sagmeister voleva ricreare il
trattamento che i manifesti ricevevano nelle metropoli, sono infatti presenti anche delle
scritte con l’idea che non fosse stato lui come designer a farlo ma che qualcuno abbia
scritto sul manifesto e che qualcun altro l’abbia strappato. L’obbiettivo era di cambiare il
livello di comunicazione e di mettersi alla stesso piano del pubblico, voleva che il
manifesto si immergesse nel tessuto urbano.

Il fine non è il testo dal punto di vista del contenuto ma la forma con cui è espresso, la parte formale è
significativa: prende un significato a sé stante. Questo equilibrio è a base di tutta la grafica. Scegliere un
carattere non significa solo scorrere un elenco di font dal computer, è capire anche con quale tecnica andrà
realizzato (a mano o con la tipografia), scegliere la strategia per il carattere è il cuore di un problema di grafica
e di comunicazione visiva.

David Carson, 1990.


Questo personaggio portò così avanti il ragionamento di Sagmeister e dei post
modernisti da arrivare all’estremo, portando la destrutturazione (idea di vedere
il cantiere dell’opera in modo che lo spettatore non si accorga se l’opera sia
ancora da finire o se sia già finita e in fase di smantellamento perché queste due
fasi possono essere simili) così all’estremo fino ad arrivare ad un punto di
illeggibilità. Carson adottò infatti questa massima: don’t mistake legibility for
communication (non è necessario essere leggibili per comunicare), questa
massima rappresenta il cuore della distanza tra modernismo e post
modernismo, tra calice di cristallo e calice d’oro.

David Carson era un surfista, si laureò in sociologia e si candidò per il ruolo di hard
director della rivista ray gun, una rivista della cultura da spiaggia. Come molte riviste
si tratta di un luogo di sperimentazione culturale e visiva. Carson impose alla rivista la
sua idea di grafica editoriale, un’idea dove non si deve confondere la leggibilità con la
comunicazione, questa è una pagina del sommario del numero di giugno. Il sommario
non è ordinato perché aveva pensato in riferimento al suo pubblico, come facevano gli
artisti della psichedelia, anche se ci sono una serie di regole, di consuetudini e una
tradizione che dice che le cose debbano essere fatte in un certo modo non conta niente.
Viene completamente ignorata l’esistenza delle regole per realizzare un prodotto che
sia frutto del suo gusto personale.

Questa generazione appartenente alla cultura da spiaggia utilizzava molto mezzi come
Mtv che per prima rese visibile la musica tramite la trasmissione di video musicali. Si tratta di una sinestesia,
un’unione di stimoli diversi e la generazione di quegli anni fu la prima a sperimentarla. Carson adattò la sua
rivista alla generazione per cui era pensata.

Il primo passo è sapere qual’è il mio pubblico ed il secondo è sapere come ragiona: non era possibile proporre a
queste persone una rivista da leggere integralmente, quella adatta era una rivista bella da sfogliare che deve
trasmettermi qualcosa ma non deve essere didascalica

Carson procede non impaginando la singola pagina, ma mettendo tutte le


pagine stampate sa una parete e guardando al ritmo complessivo.
Nell’editoria periodica, come in questo caso, spesso vengono impaginate le
pagine doppie, nella loro stesura completa e non singole. Qui la parte di
testo leggibile è molto poca, quello che emerge è un trattamento del testo,
la parte verbale e quella non verbale sono coordinate ed espressive.
Carson si trovò a dover impaginare un articolo noioso sul cantante Bryan
Ferry, nello scorrere alla ricerca del giusto carattere che potesse rappresentare
una cosa noiosa che non valesse la pena leggere e scelse un carattere con dei
glifi, totalmente illeggibile. Trasformandolo in qualcosa di molto soggettivo ed
espressivo, raccontato dal punto di vista del grafico.

Questa pubblicità è un ottimo esempio di destrutturazione perché ci


permette di vedere il lavoro in corso tramite la fotografia e leggendo il
testo. La fotografia è una classica fotografia realizzata dal fotografo a cui
viene tolto il contorno in modo che sia visibile la scarpa sul fondo bianco,
in questo caso però la foto intera comprende anche zone sporche che non
sono state pulite, infatti Carson finge di ignorare che ci sia questa
consuetudine nella grafica pubblicitaria (quella di scontornare la foto), si
tratta di una provocazione.

Per quanto riguarda il testo viene detto che è la scarpa più stabile che nike abbia mai fatto e incita a rilassarsi, il
cantiere che viene svelato è che uno può immaginarsi com’è stata creata questa pagina: con l’hard director che
chiama Carson ed insiste sul fatto che la scarpa sia stabile e che è questo il messaggio fondamentale. Viene
trasmesso il cantiere, l’idea della pressione avuta dal committente nel dover realizzare una pubblicità fatta in un
certo modo. Vi è un crescendo nel testo (aumenta la dimensione, il tono, la psicosi) fino a scendere con una
decompressione finale con cui ci si rilassa davvero perché la scarpa è effettivamente stabile. Persino il carattere
è destrutturato, rappresenta un’estetica specifica, ovvero lo stile di Carson. Si tratta di uno stile di grafica
musicale degli anni 90 che si chiama grunge, rappresenta una nuova generazione, con una musica e un’idea
visiva nuova. La musica grunge raccoglie gruppi musicali che non si basano sulla competenza tecnica musicale
ma usano pochi accordi che vengono distorti, è un’idea di sporcizia e semplicità musicale che viene
rappresentata anche visivamente. Questo sarà anche il limite di Carson che adotterà questo stile prevalente e si
bloccherà su quello.

Sagmeister è più metodo che stile al contrario di Carson.

Desktop publishing revolution.


Questa rivoluzione significa sostanzialmente l’accesso a due tecnologie: i computer apple (sistema what you
see is what you get) e la stampante a getto di inchiostro, grazie a questi due strumenti chiunque, in linea teorica,
poteva fare editoria e produrre grafica. Si tratta di democrazia dalla comunicazione visiva perché permette di
amplificare il numero di utenze. Il lato negativo è che sia crea l’illusione che un computer e una stampante
possano risolvere le competenze necessarie per poter fare grafica.
Da un lato il digitale ha creato sistemi aperti, dove nessun contenuto è criptato: Facebook, Google, Instagram,
TikTok. Questi sistemi guadagnano con i contenuti altrui. Dall’altro ha creato sistemi chiusi: Kindle, Netflix,
iTunes, Spotify, Steam... Per tutelare i diritti e assicurarsi gli abbonamenti.

La granularità è un concetto legato al digitale: i limiti fisici della stampa sono molto stringenti, il digitale
permette il download del singolo capitolo/articolo, i contenuti vengono spezzati a livello granulare (brani
musicali, giornalismo, fumetto, episodio). La granularità permette di spezzare un’opera intera nelle singole parti
che la compongono.

Il ruolo della distribuzione nell’evoluzione


delle copertine dei libri.
In area europea vi è una visione del libro come
un oggetto sacro, si tratta di una visione più
tradizionalista, pubblicare è una cosa di valore
altissimo e quindi il libro deve essere più
possibile rispettoso del contenuto ed è
rispettoso nella misura in cui rifugge da ogni
stimolo commerciale.
I principali luoghi di distribuzione dei libri sono:
-librerie
-edicole
-grande distribuzione
-ecommerce

Le copertine non sono sempre state presenti nell’editoria libraria, nascono nell’ottocento Prima venivano
comprate solo le segnature (le singole pagine composte da fogli più grandi che venivano piegati) e poi si ricava
da un rilegatore che applicava una copertina a seconda del gusto del proprietario, questo era un approccio molto
artigianale. Agli inizi dell’ottocento si iniziò a mettere delle sovraccoperte che proteggessero le segnature dalla
polvere e dalla fuliggine.
Pian piano si cominciò ad aggiungere delle informazioni sulle copertine per poter dare un minimo di
informazione, si cominciò quindi a scrivere almeno il titolo. Nel 1876 Lewis Carroll scrive al suo editore,
Alexander Macmillan, chiedendogli di stampare il titolo del suo nuovo romanzo anche sul dorso.

Alla fine dell’ottocento aumenta il consumo di libri e cominciano a trasmettere e rispecchiare il gusto del
momento. A metà degli anni trenta si verifica il primo grande cambiamento: cambia il luogo di distribuzione e
inizia la vendita in edicola. Le edicole nascono sulle reti di spostamento delle masse di popolazione urbana. I
libri venduti nelle edicole si rivolgevano ad un pubblico molto ampio che avrebbe letto volentieri dei libri ma
non sarebbe mai andato in una libraria a comprarli, per questo motivo venivano proposti in un formato molto
economico. Ogni genere aveva un codice cromatico differente (per identificare i vari generi d’impatto), le
copertine erano semplici, fresche, destinate a diventare iconiche. L’obbiettivo era la fidelizzazione del cliente.

Un altro esperimento simile a quello di Penguin è quello della casa editrice The Albatros, si tratta di una collana
di edizioni continentali in lingua inglese che prendeva un segmento molto specifico di pubblico: gli inglesi che
facevano il grandtour in Europa oppure stranieri che leggevano in lingua originale per evitare di acquistare le
edizioni originali che erano molto più costose, era infatti un’edizione che tagliava i costi. Queste edizioni non
potevano essere esportate nell’impero britannico, erano limitate all’Europa continentale. Si tratta dello stesso
modello di business di Penguin, l’unica differenza era che quest’ultima si trovava anche in edicola. Il formato
riprede quello delle edizioni Aldine.

Questi modelli si diffusero sempre di più fino ad arrivare ad una saturazione del mercato negli anni 60, i
modelli economici si basavano sul presupposto di una vendita veloce e molto elevata così da poter mantenere il
prezzo basso. A causa della saturazione gli editori abbassarono le tirature ma non riuscirono a mantenere i
prezzi competitivi e furono costretti ad aumentare il prezzo di copertina, aumentando i tempi di vendita.

Nel frattempo stava cambiando anche la distribuzione, si tratta di un’esperienza che parte dai paesi più
industrializzati (Stati Uniti). È la grande distribuzione organizzata (gdo) ovvero il canale moderno di
distribuzione, si tratta dell’organizzazione della logistica che ha una serie di intermediari, tra il produttore e il
suo acquirenti c’è già almeno un intermediario. Mentre prima le librerie indipendenti erano il grosso del
mercato, dagli anni 60-70 il fenomeno si sposta all’interno dei negozi di catena. Queste modalità di
distribuzione influenzarono profondamente il modo in cui il libro veniva strutturato: nelle librerie indipendenti
vi era un cura maggiore del prodotto con un personale informato che sa anche consigliare ed indirizzare i
lettori, in edicola si passa ad un acquisto più veloce di prodotti ad un costo basso, con un’idea di serialità e
l’obbiettivo della fidelizzazione, nella grande distribuzione il libro è contraddistinto dal fatto che la copertina
diventa packaging (un involucro che contiene il libro) che è anche un venditore silenzioso, deve vendersi da
solo. Questo percorso di modifica della vendita del libro e la presa di consapevolezza degli editori della
differenza di approccio di vendita fa sì che nasca la cosiddetta hardcover revolution: fenomeno che esplode
negli anni 90 dove ci sono queste bellissime prime edizioni (spesso cartonate) con copertine bellissime che
avevano la funzione di attirare l’attenzione. Questo divenne possibile perché si trattava di un pubblico che si
muoveva tra gli scaffali e si prestava facilmente a far catturare le sua attenzione dalle copertine, non cercava un
libro specifico. La grande distribuzione opera su un concetto di alta locazione: dato che avere un titolo costa
deve vendere tante copie, maggiore copie vende e più è performante e rientra nel processo industriale (opera
sulla base del maggior numero di copie dello stesso libro), proprio per questo gli spazi dei punti vendita
venivano organizzati in modo da performare queste vendite e i libri erano modificati in modo da rispettare le
regole di questi grandi punti vendita (hardcover revolution). La gdo ha modificato la filiera risalendo la corrente
fino alla produzione: l’editore che pubblica un libro deve sapere dove andrà il suo libro e lo produce in
relazione al canale di vendita. L’hardcover revolutiuon rappresenta proprio la presa di coscienza della
consapevolezza che i libri sono oggetti da sfruttare.
Gli editori cominciarono così ad assumere risorse che si occupassero della grafica dei libri e nasce la figura
specialista del bookcover designer, la casa editrice che più si distingue in questo processo è la Knopf che
costruì un reparto grafico forte all’interno dell’azienda e si basava sugli steady seller, cercava una qualità degli
autori ma anche delle copertine. Fu la prima casa editrice ad essere acquistata. Le copertine create con questa
nuova sensibilità mirano a una maggiore trasparenza, tendono a privilegiare la particolarità di ogni romanzo.
Un esempio è il romanzo 1Q84: la copertina è fatta con una sovraccoperta in carta pergamena e una coperta
cartonata, si intravede qualcosa sotto, ma si può confermare solo una volta tolta la sovraccoperta in cui si vede
il volto della protagonista (scelta rara perché si va a limitare l’immaginazione del lettore). Si è voluto creare un
effetto che riporti all’idea dei due mondi paralleli presenti nel libro. Chip Kidd e la Knopf hanno sfruttatto il
mezzo libro per costruire questa copertina, hanno sfruttato la materialità del libro. Vi è un relazione tra il libro e
il gioco grafico della copertina. Il punto chiave della costruzione di queste copertine è la lettura del libro. La
base per la realizzazione di queste copertine è una grande competenza tecnica e un committente che abbia la
capacità culturale di lasciare spazio creativo al designer, che sappia contenere ed indirizzare l’idea del designer
senza distruggerla (condizioni tipiche dell’editoria newyorkese). Un altro aspetto che rientra nella gdo è quello
della collezione, il fine è anche quello di creare oggetti che siano anche un piacere estetico.

Il quarto punto di vendita dei libri è l’ecommerce, il ruolo della copertina nell’ecommerce non è ancora stato
sviluppato prima di tutto perché la copertina è la stessa che avrà il libro una volta che arriva anche se far
funzionare una copertina vista online è una cosa diversa. Una potenzialità di questo mezzo potrebbe essere la
creazione di copertine animate. Presentano però un limite: sono possibili solo online e non sul libro cartaceo.
Le copertine in queste senso devono poter funzionare su due strumenti diversi: sia nel cartaceo che nell’online.

Prima edizione.
La prima edizione è quella che si sforza maggiormente di descrivere il libro che ospita, quasi sempre gli esempi
migliori sono sulla prima edizione. L’imprenditore della prima edizione è il primo che crede in quel libro e
lavora su qualcosa a cui non ha lavorato nessuno ancora. Si crea una dicotomia fra la prima edizione e tutte le
altre, si tratta di un lavoro diverso.

La curva di Moore identifica le fasi di vita di un prodotto tecnologico nel


suo inserimento sul mercato, più è alta la curva e maggiori sono le copie
vendute, più la curva va verso destra e maggior tempo è passato. All’inizio
della vita di un prodotto (a sinistra) il segmento è molto basso come numeri,
si tratta dell’area di innovazione, quando sul mercato arriva un nuovo libro i
primi a leggerlo sono gli innovatori, si tratta di un pubblico ridotto e di
nicchia. Tutti gli elementi che compongono il prodotto nella sua fase iniziale
si collocano su una fascia alta.
Una nicchia un po più alta è composta dagli adottatori precoci, non sono
innovatori a tutti gli effetti ma sono sulla loro scia, non si tratta ancora del mercato vero e proprio. Se queste
due categorie riescono ad innescare una sopravvivenza di questo prodotto parlandone e facendo modo che
anche altri vengano a conoscenza del prodotto, innescando così un certo numero di vendite, si supera il baratro
(ostacolo che un prodotto deve superare per poter sopravvivere). Il picco è composto dalla maggioranza precoce
e quella ritardataria, nel caso del libro a questo punto di vita del prodotto si cominciano a produrre altre edizioni
oltre alla prime e si allargano i canali di distribuzione, comincia a diffondersi un prodotto più economico come
per esempio le edizione paperback rispetto alle prime che erano hardcover, la copertina va incontro ad un
processo di semplificazione.
Verso la fine della vita del prodotto si situano i ritardatari, sono quelli che leggono il libri quando per esempio si
trova sugli scaffali del supermercato o è uscito il film, in questa fase la comunicazione si semplifica ancora di
più. Ad ogni fase del ciclo vitale del prodotto corrisponde un prodotto diverso: prima edizione (hardcover
edition), edizione di massa (quality paperback edition) ed edizione per i ritardatari (mass market paperback
edition).

Il modello forte delle copertine è quello dove l’idea della layout prevarica sul testo indipendentemente dal suo
contenuto, in sostanza la copertina è sempre uguale. Il modello debole cambia in relazione al contenuto,
denoata la volontà di fare emergere l’opera e non il designer. Solitamente nelle seconde edizioni il titolo
dell’opera è molto più grande perché ormai è già famosa ed è pertanto il titolo che deve essere privilegiato a
dispetto degli elementi grafici e visivi.

Ulysses, 1934.
Si tratta della copertina di una delle prime edizioni americane dell’Ulysses di James
Joyce, si tratta di una copertina aniconica (senza immagine) composta solo dalla
tipografia. I caratteri rappresentano un circuito tortuoso, un labirinto in cui è facile
perdersi, i colori (bianco, nero e rosso) utilizzati sono quelli della comunicazione
aziendale. Il punto di arrivo del percorso tortuoso è la zona rossa collocata in basso a
destra, punto nel quale termina lo sguardo del lettore (diagramma di Gutemberg). È
una copertina che offre varie indicazioni sull’opera che il lettore si accinge a leggere:
un’opera tortuosa, nella quale si riuscirà a giungere alla fine ma sarà un percorso
difficile.

In questo caso visivo e verbale si espandono a vicenda creando una sinergia, grazie
alla loro interpolazione si riesce a capire qualcosa di più: si legge il nome Ulisse e
guardando la copertine si possono cogliere molti suggerimenti di quello che vi è
all’interno del libro. La copertina del libro è una soglia (si apre una porta e si entra
all’interno del libro), è un luogo di partenza, un punto che serve introduce il lettore al
libro.

Le successive copertine mantengono queste caratteristiche, puntando però maggiormente all’impatto visivo e su
un gioco grafico caratterizzato da una relazione minore tra testo e paratesto. Andando avanti con le copertine si
andrà a perdere del tutto questo gioco, ci saranno copertine del tutto diverse.

All’inizio i primi designer americani oltre alla creazione delle copertine si occupavano anche della
realizzazione dell’intero libro, inserendo ad esempio al suo interno delle xilografie per illustrarlo. Questo
approccio si chiama total design e diventerà una tradizione editoriale anche se della progettazione interna non si
occuperanno più i designer ma altri personaggi.

Salter, anni quaranta.


George Salter era un designer, lui firmava le sue opere superando quel momento di
impasse in cui si voleva scomparire dietro l’opera. La firma conferisce un’idea molto
autoriale, si tratta di una copertina d’autore. Il titolo del libro è The Scarf, la copertina è
caratterizzata dalla parte di testo e da quella di illustrazione, la scritta evoca la forma
della sciarpa, non è presente il marchio della casa editrice perché la copertina era intesa
come lo spazio dedicato all’opera nella sua trasposizione grafica. Per quanto riguarda gli
elementi visivi è una copertina surrealista: sembra infatti che la sciarpa vada a creare un
occhio minaccioso caratterizzato da toni tetri, l’occhio è presente perché il libro parla di
un assassino che uccide con la sciarpa. La copertina fornisce solamente degli indizi
riguardo il libro senza andare oltre, questa è la caratteristica delle copertine di qualità. Il
significato qua può essere aperto ed ampliato, si possono creare ipotesi sul contenuto del
libro, c’è un maggior rispetto per il lettore che viene coinvolto in un processo creativo.
Questa copertina è una grande espressione di intelligenza grafica.

Le seguenti edizioni sono caratterizzate dal blurb: è un breve testo elogiativo, generalmente
firmato da una persona nota, che compare sulla copertina di un libro o di un disco. La direzione è
diversa, si va a puntare su elementi che non centrano con l’opera in sé, lo spazio è dedicato
maggiormente alla parte editoriale rispetto a quella grafica. Viene mostrata una donna in procinto
di essere uccisa con una sciarpa da un uomo, viene svelato tutto il contenuto, è troppo palese
l’illustrazione, vi è una notevole semplificazione del messaggio. Nelle seguenti edizioni si perderà
tutta la sobrietà, l’eleganza e l’evocazione della prima copertina. Si passa dalle lettura tra le righe
(prima edizione) all’idea di forzare un’immagine per attirare l’attenzione come una cosa fine a sé
stessa. Un designer competente come Salter cambia stile in base all’opera, non impone il proprio
stile continuamente.
Hawkins, anni trenta.
Hawkins è un designer che si caratterizza per una sintesi grafica molto forte, crea quindi
copertine caratterizzate da un forte impatto visivo. Questo porta alla rinuncia forzata di altri
elementi, in questo caso rinuncia a una distanza tra visivo e verbale. Considerando lo
scaffale virtuale delle copertine degli anni trenta americano caratterizzato da illustrazioni a
temi semplificati e roboanti e pieno di scritte le copertine di Hawkins offre una
comunicazione assolutamente moderna, vi è una forte semplicità d’impatto caratterizzata da
una grande opposizione tra vuoti e pieni e dai colori della comunicazione.
Lustig, anni quaranta.
Un approccio simile a quello di Salter viene adottato da Lustig, ovvero di
distillare il senso del significato profondo del libro senza riferirsi a nessuno degli episodi al suo
interno, ma di scavare per cercare di restituire qualcosa che è nascosto tra le righe. Questo
viene fatto da Lustig cambiando genere stilistico, questa copertina è fatta a moduli, il testo è
piccolo e secondario, appare una freccia che conduce il lettore all’interno come invitandolo ad
entrare.
L’idea è quella di utilizzare delle forme industriali ripetute e da li poi creare qualcosa di
diverso, si tratta di uno stile del tempo. Lustig cercò infatti di farsi interprete dello stile
dell’epoca.
Questo altro lavoro di Lustig è formato da un collage delle avanguardie,
non è un collage ipotattico dove tutti gli elementi sono messi insieme, ma è paratattico:
tutte le parti sono separate, viene lasciato al collage l’idea di singoli elementi che
possono essere visti insieme. Le scritte sono organiche perché sono parte integrante
dell’immagine e hanno un valore verbale e non verbale contemporaneamente, il modo in
cui sono scritte è significativo. È presente un chiasmo: la luna e la croce, il foglio
stropicciato e la marea, si tratta di immagine opposte perché si oppongono i colori nero e
bianco, sono messe in opposizione. Questo tipo di suddivisione della pagina crea una
serie di elementi separati tra di loro che ricordano molto il fumetto, la figura retorica che
sta sotto la grammatica del fumetto è la closure: non è la vignetta in sé ma la distanza tra
le singole immagini, la chiave di interpretazione si trova nella relazioni fra queste
immagini che sono separate, viene raccontata una storia. Il pezzo di carta strappato
ricorda molto un fumetto che utilizza il metodo di divisione delle immagini perché la somma delle parti è
maggiore della loro totalità. Molti designer ricorreranno alla tecnica delle closure per le copertine perché
consente di rendere l’immagine più interessante.
Lustig è un designer maturo che ha un percorso evolutivo, che si mette in discussione e che sa cambiare stile
adattandosi al contenuto del libro e contemporaneamente allo stile del suo tempo. Lustig adottò quindi il
modello debole delle copertine facendo così emergere le singole opere piuttosto che il designer.
La grammatica del fumetto.
Rand, anni cinquanta.
Un altro designer molto famoso degli anni 50 è Paul Rand, noto sopratutto per i loghi
aziendali. Il suo lavoro migliore è la copertina del libro The Fervent Years, la storia di un
gruppo teatrale, la genialità dell’opera consiste nel fatto che fornisce tre livelli di lettura:
il primo livello è quello testuale (titolo del libro e nome dell’autore, pure informazione
editoriale), il secondo livello di lettura riguarda il contenuto non verbale ed è dato dal
fatto che si tratta di un testo organico perché comunica una funzione non verbale, si tratta
infatti di un biglietto del teatro, è anche un elemento diegetico perché è parte della storia,
come se fosse un oggetto di scena. Il terzo livello di lettura consiste nel fatto che il
biglietto è strappato perché coinvolge il pubblico come spettatore a strappare il biglietto e
ad entrare nel teatro dove c’è uno sfondo nero (come nella copertina)e sta per iniziare una
rappresentazione teatrale, il terzo livello è dato dal coinvolgimento e
dall’immedesimazione. Un altro elemento particolarmente rilevante è la semplicità della
copertina, le soluzione di design più forti sono proprio quelle più
semplici perché il messaggio passa più facilmente.
Un altro ottimo lavoro di Rand è la copertina del libro Leave cancelled, si tratta di una
prima edizione di un romanzo di periodo bellico. C’è uno sfondo rosa, un angioletto (un
amorino) con le frecce e le ali e dei punti neri, questi punti sono dodici fori applicati alla
sovraccoperta. I fori sono dodici perché sono dodici le ore narrate in questa storia, la
storia di due amanti che si stanno per lasciare e vivono l’ultima giornata insieme prima
che lui parta per la guerra. Anche qui si tratta di una bella copertina che
permette di vedere connessioni con il contenuto, lascia degli indizi di
quello che può essere il contenuto senza rivelarlo.
L’edizione dello stesso romanzo in paperback dell’anno successivo
cambia totalmente registro, tutto il non detto che c’era precedentemente
crolla e viene espresso in modo esplicito senza lasciare nessuno spazio
all’immaginazione. In questa copertina cambia anche il pubblico, è
infatti chiaramente rivolta ad un pubblico di massa.
Rand adotterà in seguito delle regole per le copertine, comincerà ad adottare dei quadrati alla
Mondrian, per poi evolversi con delle linee più ritagliate e meno precise fino a dare vita ai
ritagli stessi.
Anni sessanta.
Negli anni sessanta nascono le riviste con le foto in copertina, le pubblicità non sono più illustrate ma utilizzano
le foto, è l’era della fotografia. Entra in gioco un nuovo mezzo di comunicazione che è la televisione, si alza
l’asticella della comunicazione anche in relazione al luogo in cui vengono distribuiti i libri. In questi anni parte
quell’idea che porterà all’hardcover revolution che è quella di avere un impatto grafico e visivo che rimandi alla
tridimensionalità del libro, il libro comincerà ad essere gestito come se fosse un packaging trasformandolo in
oggetto diverso. Questa idea nasce per cercare nuovi meccanismi per contrastare l’ingerenza di altri media. Per
fare questo vengono utilizzate anche delle illusione ottiche.
Alcuni esempi: un libro che parla di sigari con una copertina che lo fa assomigliare ad una scatola di sigari,
oppure siccome il libro che assomiglia ad un giornale piegato creare una copertina che sembri una pagina di
giornale, oppure utilizzando la tipografia espressiva quindi dando forma al testo.

L’uso della fotografia sulle copertine dei libri iniziò negli anni novanta, il limite maggiore di questo approccio è
il fatto che la fotografia è qualcosa di realistico che non si adatta bene a qualcosa di fantastico come la
narrativa. In questi anni si comincia a sperimentare con più libertà fino ad arrivare ad una destrutturazione
completa.
Chip Kidd, anni ottanta.
Chip Kidd fa parte dell’ultima generazione che imparò tutta la grafica a mano e non con l’utilizzo del computer,
da lui coma da Sagmeister non emerge uno stile ma emerge un metodo, entrambi cercheranno di trovare
soluzioni uniche: Sagmeister lo farà maggiormente con i caratteri e Chip Kidd con le immagini.
Metodo della gazza ladra: Chipp Kidd è sempre molto attento a quello che lo circonda, come una gazza ladra
quando vede qualcosa che luccica (che attiri la sua attenzione) lo prende e lo porta a casa. Questo significa
essere continuamente attivo e stimolato visivamente, se per qualsiasi motivo determinate immagini gli
stimolavano qualcosa lui lo prendeva per poi forse trarne spunto per dare vita alle sue opere. Questo lavoro da
gazza ladra unito al suo istinto da collezionista gli permetterà di creare un bacino di immagini elevatissimo da
cui poter attingere.
Per esempio leggeva un romanzo e si accorgeva che una determinata immagine presente nel suo archivio era
adatta per la copertina di quel romanzo, prima quindi c’era l’immagine e poi l’opera. Lui prima cercava
l’immagine e poi leggeva il libro, faceva l’opposto di quello che tanti altri facevano e che per quel motivo era
banale. Se si parte dalla lettura del romanzo e poi si va a cercare l’immagine si sta arrivando ad un’immagine a
cui chiunque potrebbe arrivare facendo una semplice ricerca simile, da vero designer di professione adotta una
tecnica decidendo di partire dall’immagine per poi arrivare al testo. Si tratta di una tecnica molto più potente:
• perché la relazione è tra le righe, se quel romanzo mi ricorda quella determinata immagine evidentemente in
qualche modo ci vedo una relazione che anche se non è evidente è comunque più forte;
• quell’immagine probabilmente ce l’ho solo io e non si trova in un archivio, è un’immagine unica di cui non
esistono altre copie;
Con Chip Kidd non c’è uno stile, ci sono alcuni stilemi ovvero alcuni elementi visivi che sono ricorrenti. Con
lui abbiamo un metodo che viene costruito con la tecnica della gazza ladra e con l’approccio del dissuasore di
velocità: per fare rallentare le macchine su una strada per essere sicuri che le macchine rallentino l’unica
soluzione è obbligarle a rallentare utilizzando dei dossi, si tratta di un oggetto la cui forma segue la funzione,
ovvero grazie alla forma intendo facilmente a cosa serve quell’oggetto. Grazie quindi ad un’idea semplice
ottengo il risultato migliore senza bisogno di perdersi in spiegazioni, si riesce così a veicolare un messaggio
potente, sintetico ed immediato proprio perché arriva dritto al punto.
In seguito all’hard cover revolution le case editrici capirono che era strategico puntare non solo sui dei bei libri
ma anche su belle copertine.
Grey is the color of hope (1988) è una raccolta di poesie la cui particolarità era il
modo in cui era stato scritto, l’attrice era stata imprigionata dal regime sovietico a
causa della sua posizione politica e una volta uscita si portò dietro le poesie che aveva
scritto duranti gli anni di prigionia. Queste poesie erano state scritte su pezzettini di
carta in una piccola calligrafia e poi erano stati nascosti alle guardie.
In copertina c’è la foto dell’autrice e gli elementi che hanno permesse a questa raccolta
di poesie di esistere, ovvero i foglietti che sembrano creare delle sbarre che la
soffocano e la intrappolano. Tramite la copertina Chip Kidd sceglie di raccontare il
percorso di nascita di queste poesie. Il logo della casa editrice Knopf presente sulla
copertina è stato adattato allo stile di quest’ultima proprio perché è parte integrante del
libro e quindi deve adattarsi alla copertina, mentre all’interno il logo è rappresentato
nella sua versione originale.
In quest’altra copertina cambia del tutto la prospettiva, non vi è alcun elemento che possa
collegarla alla mano dello stesso autore poiché in copertina deve andarci l’opera, non la
casa editrice, il design o l’autore. Sembra una rivista di gossip, vengono utilizzati colori
leggeri perché si tratta di una lettura leggera e anche il tono riflette questa caratteristica.

Altro esempio è quello della copertina del


libro Geek Love, si tratta del romanzo di
debutto della scrittrice Katherine Dunn che
parla di un circo itinerante in crisi, i cui
prorpietari modificano fisicamente i figli
tramite delle sostanze radioattive per attirare i
visitatori, si tratta di un romanzo molto sopra
le righe ma questo non si capisce dalla
copertina. Dalla copertina emergono due aspetti: i colori arancione
e blu che risaltano molto all’occhio, che rappresentano la sostanza
radioattiva e sono colori complementari, la seconda caratteristica è l’assenza dell’immagine che da vita ad una
copertina aniconica e completamente tipografica. Sceglie di disegnare a mano il titolo e di non utilizzare un
font, ogni lettera è diversa dall’altra e hanno le loro particolarità come se rappresentassero i personaggi
all’interno del libro, le lettere fisicamente non sono normali, sono mutate, sono fenomeni da baraccone come i
protagonisti.
Viene fornito un indizio di quello che succede all’interno del libro che può essere colto solo da un pubblico
sensibile perché c’è una maggiore distanza tra significante e significato. Si tratta del perfetto esempio di
copertina che innesca la curiosità del pubblico. Anche il levriero borzoi simbolo della Knopf presente in
copertina è mutato come i personaggi e ha una gamba in più.
Il processo aziendale che avviene in Knopf è interessante per la quasi totalità delle volte: il fatto che ci sia un
direttore editoriale che ha estrema fiducia nel suo reparto creativo permette a quest’ultimo di essere meno
filtrato e di poter realizzare le proprie idee iniziali senza che vengano soffocate o semplificate ai fini della
comprensione. Servono tre condizioni per raggiungere l’apice delle copertine:
• un designer competente, bravo e creativo con le giuste intuizioni, che sappia creare copertine che
comunicano;
• un direttore editoriale che sappia lasciare il giusto spazio creativo al designer;
• un’opera di qualità, quest’ultima può essere bypassata da una grande intuizione del
designer.
La copertina del libro di Jurassik park venne realizzata da Chip Kidd con un dinosauro in
primo piano, proprio quel dinosauro che diventerà poi il manifesto del film. Il dinosauro
è anche un elemento diegetico (elemento che fa parte della storia e non dell’apparato
grafico), diventerà uno dei marchi più famosi degli anni novanta.
La copertina è brutta da alcuni punti di vista, è un po’ naif a causa del maiuscoletto utilizzato e dell’ombra delle
lettere molto da grafico alle prime armi, Chip Kidd non è mai a suo agio quando lavora con la parte tipografica.
In questo caso la copertina del libro diventò anche la locandina del film. Anche se gli elementi tipografici non
sono molto buoni l’idea dello scheletro del dinosauro lo è perché nel romanzo l’autore cerca di creare una
fantascienza che sia scientificamente giustificabile (il dna dei dinosauri è stato ritrovato in una zanzare
contenuta nell’ambra) però si voleva creare una copertina che dicesse qualcosa senza però svelare l’intero
contenuto del libro, si voleva quindi evitare di mettere un dinosauro in copertina, sopratutto perché all’epoca
nessuno sapeva cosa fosse un Jurassik Park.
Chip Kidd allora decise di fare un po’ di ricerca e si recò nel museo di scienze naturali di New York e trovò
un’illustrazione di uno scheletro di dinosauro e capì che lo scheletro avrebbe potuto essere il giusto elemento di
congiunzione, in questo caso si riesce perfettamente a trasmettere l’idea di fossile che si risveglia, l’idea di
qualcosa ancorato al passato e di realistico che prende vita. Chip Kidd è riuscito a trovare il giusto
compromesso, anche se dal punto di vista grafico non è una bella copertina comunque a adottato una bella
soluzione perché evoca lo stesso spirito del libro in un giusto equilibro tra dire e non dire.
Anche Chip Kidd come Sagmeister utilizzò lo stratagemma di realizzare copertine che
rappresentassero l’oggetto di cui si parlava nel libro, in questo caso si tratta di un libro che
parla di arte quindi realizzò una copertina che sembrasse il retro di un quadro, questo effetto
invitava anche i lettori ad aprire il libro e a scoprire cosa si trovasse sella parte anteriore del
quadro. Si vuole creare l’illusione ottica che porta il libro ad assomigliare ad un altro oggetto,
si erano resi conto che il libro aveva delle potenzialità come oggetto e si stavano sfruttando.
La copertina di Silent Witness proietta il lettore all’interno della scena
utilizzando un elemento diegetico: il titolo è scritto su uno striscia di nastro
adesivo che viene utilizzato per delimitare una scena del crimine. Queste
escamotage permettono al lettore di entrare già nella storia pur non avendo
ancora letto il libro, la connessione si cela nella soluzione ideata dal designer.
Nelle uniform edition le qualità dello specifico libro passano in secondo piano, il modello è
quello destinato ad emergere, a essere forte. Questo significa dare un’identità visiva ad un
determinato autore. Nelle collane prevale un modello forte dove c’è meno fiducia nei confronti
della singola opera e quindi si investe meno su di essa, è una strategia che non ha mai visto la
competizione sulle copertine dove si lotta per lo spazio facendo emergere l’autore, qui si adotta
una tecnica che punta a far emergere l’editore. Questa strategia di fidelizzazione ad un certo punto si interrompe
perché non ci sono più stimoli.
La copertina del libro Darling è stata realizzata da Chip Kidd con uno stile
animalier che ricorda il manto di una mucca il cui nome è Darling, al
centro c’è il quadro di due bambini vestiti elegantemente che stanno
sorridendo forzatamente, quel quadro era stato comprato precedentemente
da Chip Kidd. Nella copertina ci sono poi degli spazi bianchi che vengono
che sono compilati con una scrittura rossa (rievoca il sangue, la
violenza)quasi infantile, spezzata e nervosa. Nel retro viene ripetuto più e
più volte il nome Darling in modo quasi compulsivo, come se i
personaggi stessero facendo le prove per scrivere al meglio il nome della
mucca.
Si tratta di una copertina che offre una lettura psicologica che fornisce tracce di quello che ci si può aspettare
dalla lettura del libro: il libro narra di due fratelli piccolini che vivono in un’area rurale degli Stati Uniti e si
contendono l’amore carnale di una mucca, da grandi si ritrovano ma continuano a covare del rancore. I ragazzi
hanno maturato un trauma infantile che continua ad avere delle eco nella vita adulta. I ragazzi ripercorreranno
la loro vita per salire alle origini della loro rivalità: la mucca. Questo è un tipico esempio di copertina che
anticipa i contenuti del libro senza utilizzare delle banali scenette.
La copertina del libro The New Testament è uno dei lavori migliori di Chip Kidd, il progetto dell’editore era di
fare una versione un po’ più moderna del testamento quasi come se si trattasse di un romanzo e quindi la
copertina doveva ricordare quella di un romanzo. Questo permette di collocare il libro nell’ambito della
narrativa proprio come da intenzione dell’editore. In questa copertina Chip Kidd riesce a restituire in un istante
l’idea di sofferenza fisica, nella foto è rappresentato un volto ravvicinato di cui vediamo un occhio, lo zigomo e
del sangue e nient’altro, la scelta è stata quella di aggiungere significato sottraendo elementi per poter così
concentrarsi sull’occhio.
Non c’è bisogno di rappresentare la scena per intero perché l’opera è
conosciuta già da chiunque, ogni spettatore è infatti in grado di ricreare dentro
di sé la scena completa diventando così spettatori attivi, co-autori
dell’immagine che partecipano attivamente alla creazione di significato, alla
lettura dell’opera che perfeziona il suo significato proprio grazie all’intervento
di chi la guarda. In poche parole si aggiunge significato ricostruendo la
situazione.
Il vantaggio dell’occhio è il fatto che sia rappresentato a dimensione umana,
grazie anche alla pesantezza del libro si instaura quindi una metafora nel
tenere in mano l’oggetto libro che va a rappresentare la testa di Cristo, come
se il lettore nel tenere in mano il libro stesse vivendo in prima persona i fatti,
si sta immedesimando. Il close up permette il coinvolgimento dell’autore. Si
scarta la rappresentazione del sovrumano per concentrarsi sulla parte umana
proprio per consentire una maggiore immedesimazione.
Il problema della foto è la scelta dell’immagine: la foto era stata fatta da
Andres Serrano in un obitorio, quindi quello rappresentato è un cadavere.
Questo aggiunge un realismo più forte e naturale all’immagine. La foto però
viene considerata blasfema perché Andres Serrano qualche prima aveva creato
un’opera intitolata Piss Christ raccontando di aver immerso la foto di cristo sulla croce nell’urina. Per questo
motivo molti distributori si rifiutarono di collocare il libro sugli scaffali delle librerie, questo decretò
l’impossibilità di vendita.
La copertina del libro Naked ha al centro un paio di boxer bianchi
con sfondo blu (i colori trasmettono la leggerezza del tema del libro),
la stranezza però è che la scritta del titolo appare quasi tagliata
perché di fatto i boxer sono una sovra-coperta parziale quasi come se
si trattasse di una fascetta molto alta. Questa scelta permette di poter
giocare con il libro e di potergli togliere i boxer, una volta tolti posso
vedere cosa c’è sotto i boxer: la radiografia di un bacino. Chip Kidd
sapeva che la copertina era un packaging e cercava di sfruttarla al
massimo per andare in contro al romanzo che la copertina ospita.
La storia di Naked è una storia autobiografica in cui l’autore racconta
di non essere a suo agio con il proprio corpo, decide così di andare in
una spiaggia per nudisti in modo da affrontare questo problema. Si
accorgerà che il suo non è un problema di superficie ma è qualcosa che va più a fondo, che ha radici interiori,
nello stesso modo la copertina va a fondo mostrando quelle che c’è sotto i boxer ma non nella parte più esteriori
ma in quella interiore. Il significato è che grazie alla copertina si può fare lo stesso esercizio che farà l’autore
durante il racconto, ovvero togliendo i boxer si capisce che il problema è interiore. Dal punto di vista della
tecnica e dell’ingaggio che la copertina crea con lo spettatore vi è l’invito a togliere i
boxer, a giocare con la copertina. Chip Kidd allude a una serie di questioni all’interno
del libro presentandole con un tono consono a questa lettura. Questa è la capacità di
sfruttare il mezzo della copertina nella sua interezza.
Chipp Kidd realizzò anche la copertina del libro The Abomination. La copertina
nasce in un modo un po' particolare: l’immagine che fa da sfondo era arrivata a Chip
Kidd tramite una cartolina promozionale. La foto era stata fatta da un fotografo che
inviava tramite cartoline le sue foto per promuoversi e che Chip Kidd aveva
conservato. Si tratta del metodo della gazza ladra: sceglie di tenere l’immagine per
poi andare a ripescarla quando gli serve.
Il libro parla di omosessualità e di prostituzione, il protagonista ricostruisce la sua
vita e capisce che ciò che lo ha portato a condurre una vita così sono stati gli abusi
che ha subito da bambino, in un qualche modo torna quindi alla sua infanzia. Il coniglietto permette di
ricondurre il lettore al mondo dell’infanzia, mentre la scelta di rovesciare il coniglietto rappresenta qualcosa che
è come non dovrebbe essere ovvero dell’infanzia del protagonista che fu dolorosa a causa degli abusi. La
posizione rovesciata del coniglietto richiama anche la figura dell’appeso presente nei tarocchi, questa figura
trae origine dall’immaginario culturale che si era sedimentato nell’Italia rinascimentale. All’epoca le persone
che commettevano crimini minori venivano appese per punizione. La metafora visiva si trasferisce nel
protagonista, la storia è una storia di abominazione che nasce da un’infanzia rovesciata.
Razionalizzare la comprensione delle cose avendo già l’opera in mente è molto più difficile e si rischia di
cadere negli stereotipi, è molto più facile non razionalizzarle e seguirle in modo istintivo, conservando
immagine che per un motivo o per un altro trasmettono qualcosa e poi utilizzarle per determinate storie.
Chip Kidd decise di scrivere un libro per il quale curò anche la copertina, si tratta di
un’opera autobiografica ambientata negli anni cinquanta perché era appassionato di
quel periodo. Per la scrittura utilizzò un software di impaginazione perché in quel
modo era capace di vedere immediatamente il posizionamento dei paragrafi per poter
equilibrare la pagina nel modo giusto. Il romanzo è diviso in due semestri, ovvero in
due capitoli, per sottolineare la crescita e la maggiore consapevolezza, proprio per
questo cambiamento decise di utilizzare due font diversi, da qui si capisce il livello di
complessità grafica che voleva adottare. Verso la fine del libro per
dare l’idea che il romanzo stesse finendo inserisce delle linee grige.
Chip Kidd decide di far coincidere l’ultima pagine del libro con
l’ultima pagina della sua storia (questo montaggio solitamente non
si utilizza ma vengono lasciate delle pagine bianche perché è molto
costoso), decise di adottare questa soluzione per trasmettere al lettore la sensazione che ebbe
nel momento in cui finì il suo percorso universitario e venne buttato fuori nel mondo reale
senza nessuna ulteriore mediazione, così il lettore viene catapultato fuori dal libro.
La copertina è composta da una fascetta verticale nella quale è scritto il titolo del libro,
togliendola si trova un rebus (la versione illustrata del titolo). Decise di inserire i
ringraziamenti sullo spessore dell’hard-cover inferiore. Il libro è pieno di artifici grafici,
anche se da un lato esagerare con la grafica sembra quasi sottolineare il fatto che il contenuto
non sia così meritevole.
La copertina del titolo Dry è interessante. Dry significa sobrio però il titolo è realizzato
con un effetto che lo fa sembrare bagnato perché nel libro viene narrata l’autobiografia di
un direttore creativo di una grande agenzia pubblicitaria che faceva uso di sostanza
stupefacenti e di alcol e non riusciva a disintossicarsi così faceva finta di essere sobrio.
Questa contraddizione è rappresentata con un’estrema semplicità utilizzando un
approccio chiamato typography in denial: la rappresentazione di un elemento tipografico
in negazione, viene rappresentata tramite il titolo la menzogna dietro cui vive il
protagonista. Nella typography 101 invece forma e contenuto vanno di pari passo: ad
esempio si scrive legno utilizzando dei bastoncini di legno.
Per realizzare l’effetto del titolo Chip Kidd ha semplicemente stampato il foglio con una
stampante e poi con uno spruzzino è andato a bagnarlo in modo che l’inchiostro colasse e
poi ha fotografato il risultato. In modo molto semplice è riuscito a realizzarlo senza
utilizzare dei software, questo proprio perché ha iniziato ad utilizzare il computer
solamente in una fase matura dei proprio lavoro essendo la sua l’ultima generazione che
ha imparato a fare grafica completamente a mano.
Il libro 1Q84 racconta la storia di una ragazzo e un ragazzo che
capiscono che stanno vivendo in due mondi paralleli, il romanzo è
ambientato su due piani di esistenza diversi. La copertina è fatta con
una sovraccoperta in carta pergamena e una coperta cartonata, si
intravede qualcosa sotto, ma si può confermare solo una volta tolta la
sovraccoperta in cui si vede il volto della protagonista (scelta rara
perché si va a limitare l’immaginazione del lettore). Nella sovra-coperta
ci sono i numeri con dentro la ragazza e nella coperta la ragazza con dentro i numeri, per sottrazione ci sono
questi due elementi che si compongono solo quando sono insieme. Si è voluto creare un effetto che riporti
all’idea dei due mondi paralleli presenti nel libro, vi è un relazione tra il libro e il gioco grafico della copertina.
Questa copertina sfrutta appieno il libro come oggetto, questa è una soluzione tecnicamente complicata però
non fine a sé stessa perché ha un senso legato alla storie che contiene e permette al lettore di intravedere quello
che succederà nel racconto permettendogli di sperimentare quello che vivranno i protagonisti dentro alla storia.

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