Sei sulla pagina 1di 736

TECNOLOGIA

FARMACEUTICA
Prof.ssa Rita Muzzalupo
TECNOLOGIA FARMACEUTICA _
INTRODUZIONE
Raramente si somministrano principi attivi (API-Active Pharmaceutical
Ingredient) da soli, come tali.

sinonimi: farmaco, attivo, molecola attiva [sostanza che che possiede attività
terapeutica, diagnostica o preventiva]

Praticamente si ricorre sempre all’impiego di forme di dosaggio


[Dosage Forms]
sinonimi: forma farmaceutica, forma dose, formulazioni, preparazioni …

Le forme di dosaggio possono essere sistemi molto semplici [es. soluzioni acquose del
p.a.] oppure molto sofisticati [es. pompe osmotiche].
TECNOLOGIA FARMACEUTICA _ INTRODUZIONE

DRUG

DOSAGE FORM PACKAGING

Sono allestite avvalendosi di eccipienti [sostanze ausiliarie di formulazione] e


materiali di confezionamento che non devono possedere attivita’ farmacologica ma
specifiche caratteristiche funzionali che favoriscano a] le operazioni di
preparazione e b] la performance terapeutica del principio attivo
Il prodotto farmaceutico ideale dovrebbe:

a] essere in grado di produrre un desiderato specifico effetto


b] essere somministrato attraverso la via piu’ accettata alle minime dose e frequenza possibili

c] dar luogo ad insorgenza e durata ottimali dell’effetto


DRUG
d] minimizzare eventuali effetti collaterali

e] essere facile da produrre ed economico [bassi costi di fabbrcazione]

f] essere elegante dal punto di vista farmaceutico DOSAGE FORM PACKAGING

g] garantire stabilita’ chimica, fisica, microbiologica e di prestazione


biofarmaceutica per l’intero periodo di validita’
L’obiettivo principale nel “design” delle forme di dosaggio e’ quello di
raggiungere una prevedibile risposta terapeutica al p.a. contenuto in una
particolare formulazione, quest’ultima deve poter essere prodotta
industrialmente ed essere caratterizzata da una qualita’ riproducibile da
lotto a lotto.

Per assicurare qualita’ al prodotto farmaceutico sono richieste:


- stabilita’ chimica, fisica e microbiologica
- uniformita’ di dose DRUG

- adeguato confezionamento [packaging]


- adeguate istruzioni [labelling]

DOSAGE FORM PACKAGING

Idealmente la forma di dosaggio dovrebbe anche essere in grado di


portare a risposte terapeutiche indipendenti dalla variabilita’
biologica [intra- ed inter-soggetto], in pratica difficile da ottenere
Forme di dosaggio classificabili in base :

Forma fisica

Via di somministrazione

Modalita’ di liberazione

es. compresse?

… quale il destino del farmaco dopo la somministrazione della forma di


dosaggio?
PROCESSI L.A.D.M.E.
PROCESSI L.A.D.M.E.
Liberazione: Passaggio del farmaco dalla forma farmaceutica ai fluidi biologici
nel sito di somministrazione.
Assorbimento: Passaggio del farmaco dal sito di somministrazione al sito di
campionamento (compartimento centrale- es. sangue).
Disposizione: Somma di distribuzione ed eliminazione.
Distribuzione: Trasferimento reversibile del farmaco dal sangue ai vari distretti.
Metabolizzazione: Perdita irreversibile del farmaco tramite modificazione chimica.
Escrezione: Perdita irreversibile del farmaco inalterato.
Eliminazione: Perdita irreversibile del farmaco dall’organismo.
Disposizione

Distribuzione Eliminazione

L.A.D.M.E. Liberazione
Assorbimento
sangue
Escrezione
+
Metabolizzazione
• La tecnologia farmaceutica riguarda gli aspetti scientifici e tecnologici della
progettazione e della produzione di forme farmaceutiche.

• Riguarda la comprensione:

• Fisica farmaceutica (chimica fisica di base necessaria per la progettazione efficace di


forme farmaceutiche)

• Biofarmaceutica ( fisiologia dei principali distretti corporei e di come i farmaci vi giungano


dopo la somministrazione)
• La progettazione di forme farmaceutiche
La produzione di questi medicinali su piccola scala (galenica)
Su scala intermedia (pilota)
Su larga scala (tecnologia farmaceutica, produzione)

• Microbiologia farmaceutica, sterilizzazione


(mezzi per contrastare ed eliminare la contaminazione da parte di microrganismi
nei medicinali)
• Valutazione delle proprietà del prodotto

• Prove di dissoluzione

• Rilascio del farmaco

• Test di stabilità
DRUG DELIVERY

• I medicinali sono sistemi che operano la veicolazione e il rilascio del farmaco

Sono un mezzo per somministrare i farmaci all’organismo in modo:

Sicuro

Efficiente

Accurato

Riproducibile

Conveniente
• I medicinali o forme farmaceutiche sono costituiti:
Farmaco o principio attivo
Additivi o eccipienti
Progettazione di forme farmaceutiche dipende:

1-Proprietà chimico-fisiche del farmaco

2-Gli aspetti biofarmaceutici

3- Gli aspetti terapeutici relativi allo stato patologico


e al paziente da trattare
FORME FARMACEUTICHE

• Principale via di somministrazione è ORALE


forma solida : compresse, capsule

Fase principale: la dissoluzione di particelle solide per formare una soluzione nel tratto gastrointestinale

Il formulatore deve conoscere le materie prime, sia solide che liquide e


tutte le proprietà legate ai due stati. In particolare, le proprietà del
farmaco in soluzione, quali dissociazione e velocità di diffusione delle
molecole di farmaco
Acquisita la comprensione delle basi della farmaceutiche il tecnologo dovrà:
• Progettazione
• Produzione
delle forme farmaceutiche più adatte per il principio attivo in esame
• Una buona formulazione può aumentare l’efficacia terapeutica e/o limitare
gli effetti avversi.

Capsula di nifedipina a rilascio immediato somministrata 3 volte al


giorno, la capsula a rilascio modificato una volta al giorno.

Una formulazione di un filtro solare in crema applicata sulla pelle limita la presenza del
componente attivo alla superficie della cute
Mentre una formulazione di estradiolo in gel, applicata sempre sulla cute, è formulata in modo
tale da assicurare un’efficace penetrazione del farmaco attraverso la cute nella circolazione
sistemica.
Il preparato farmaceutico dotato di confezionamento, etichetta e foglietto
illustrativo nella normativa italiana prende la denominazione di medicinale.

… il medicinale è una sostanza o composizione presentata come avente proprietà curative


o profilattiche delle malattie …
… anche somministrata per stabilire una diagnosi medica o per ristabilire,
correggere o modificare funzioni fisiologiche …

I medicinali possono essere fabbricati industrialmente o allestiti in farmacia. In


entrambi i casi deve esserne garantita la preparazione nel rispetto delle normative vigenti.
Vie di somministrazione … e le vie buccale, sublinguale, inalatoria, rettale … ?

Oral Gastro-intestinal Drug


Administration Tract

FORME DI DOSAGGIO ORALI

Eliminatio
solide compresse, confetti Circulatory
Drug
polveri, granuli, pellets, capsule, pastiglie Systems
gomme bustine

n
liquide soluzioni, emulsioni
sospensioni
Drug
Metabolic
semisolide gel, paste Tissues Sites Metabolites

altro? prodotti borderline


discoidi, film, granuli da porre sulla lingua o sublinguali, aerosol, …
Come si arriva ad ottenere l’AIC [Autorizzazione Immissione in
Commercio] di un Medicinale? MA [Marketing Authorization]

Sintesi organiche
Ricerca NCE [Nuove Entita’ Chimiche]
Isolamento da piante
Modificazioni molecolari

Studi preclinici Proprieta’ chimiche e fisiche


Proprieta’ farmacologiche, farmacocinetiche e tossicologiche
Preformulazione [prime forme di somministazione per animali, compatibilita’, stabilita’ del p.a.]

Studi clinici Fasi I, II e III I.– Sicurezza / volontari sani


II.– Sicurezza ed efficacia / pazienti volontari, numero limitato
… e contemporaneamente III.- Sicurezza ed efficacia / pazienti volontari, larga scala

Sviluppo farmaceutico Studi di formulazione,fabbricazione e test di controllo


Packaging, label design
… presentazione richiesta AIC… …. approvazione …

Post Marketing Fase IV farmacovigilanza, reazioni avverse, ulteriori indicazioni


Product extension line
• Il successo di un trattamento farmacologico non
dipende soltanto dalla scelta del principio
attivo e dalla dose somministrata ma anche da una
sua corretta formulazione dal punto di vista tecnico
e biofarmaceutico.
Biofarmaceutica
La Biofarmaceutica studia l’influenza:

•Caratteristiche dei materiali (attivi, eccipienti, materiali di confezionamento),

•Processo di fabbricazione della forma di dosaggio;

•Modalità e tipologia di somministrazione;

sulla liberazione del P.A. e sulle relazioni tra liberazione e assorbimento.


La biofarmaceutica si occupa delle relazioni tra il medicinale e la sua biodisponibilità.

Biodisponibilità
Frazione di farmaco somministrato che
raggiunge la circolazione sistemica senza
subire alcuna modificazione chimica e che
può quindi svolgere l’azione terapeutica
richiesta.
Sistema LADME
L’insieme dei processi che avvengono a carico del farmaco una volta introdotto
nell’organismo è riassunto dal cosiddetto sistema LADME:

•Liberazione
Passaggio del farmaco dalla forma farmaceutica ai fluidi biologici nel sito di somministrazione.

•Assorbimento
Passaggio del farmaco dai fluidi biologici nel sito di somministrazione al circolo ematico.

•Distribuzione
Trasferimento del farmaco dal sangue ai vari distretti dell’organismo.

•Metabolizzazione
Trasformazione chimica irreversibile del farmaco

•Escrezione
Eliminazione del farmaco e dei sui metaboliti tramite gli organi preposti.
I processi LADME dipendono:

•Liberazione • •caratteristiche chimico-fisiche del P.A.


•caratteristiche della forma farmaceutica.

•caratteristiche chimiche del P.A,


•Assorbimento •fattori legati al paziente (stati patologici),
•presenza di promotori di assorbimento

•caratteristiche chimiche del P.A, eventuali,


•Distribuzione •fattori legati al paziente (stati patologici).

• Metabolizzazione
• Escrezione

Ne consegue che il successo di un eventuale trattamento farmacologico


non dipende solamente dalla scelta del principio attivo e della dose
somministrata, ma anche da una sua corretta formulazione dal punto di
vista tecnologico e biofarmaceutico.
Il termine di biodisponibilità indica frazione di farmaco somministrato
che raggiunge la circolazione sistemica senza subire alcuna
modificazione chimica e che può quindi svolgere l’azione
terapeutica richiesta
Ad esempio, se la biodisponibilità orale di un farmaco è del 60% significa che 60
mg di una dose di 100 mg raggiungeranno il circolo sistemico, mentre i rimanenti 40
mg subiranno destini diversi, quali degradazione nello stomaco, metabolizzazione
epatica, ecc.

La biodisponibilità dipende:
• dai processi LADME
• dalla via di somministrazione (in relazione ai processi LADME)
Via endovenosa Biodisponibilità del 100%

Via sottocutanea e
Biodisponibilità leggermente
intramuscolare
inferiore al 100%

Via orale Biodisponibilità tra lo 0 ed il 100%


(in media del 20%)
La biodisponibilità si determina mediante la costruzione delle curve della
concentrazione plasmatica dell’attivo (farmacocinetica)

Parametri Farmacocinetici
Cmax Massima concentrazione plasmatica
Tmax Tempo a cui è raggiunta la massima concentrazione plasmatica
AUC (area under the curve) Quantità di farmaco inalterato che ritroviamo nell’intervallo di tempo
considerato
Fase di assorbimento: velocità di
assorbimento maggiore della velocità
di allontanamento del farmaco.

Cmax velocità di comparsa del


farmaco nel plasma è uguale alla
velocità di allontanamento.

Fase discendente: velocità di


allontanamento maggiore della
velocità d’assorbimento del farmaco.

Fase di eliminazione governata solo


dalla velocità di eliminazione del
farmaco dal plasma
Concentrazione minima efficace dipende dal
tipo di farmaco ma anche dal paziente e dallo
stato patologico

Massima concentrazione sicura al di sopra


della quale si possono manifestare effetti
collaterali

Intervallo o finestra terapeutica intervallo di AUC quantità totale di


concentrazione all’interno del quale si verifica una farmaco assorbito dopo
risposta terapeutica somministrazione di una
singola dose
Tempo di insorgenza tempo richiesto per
raggiungere la concentrazione plasmatica minima
efficace

Durata d’azione intervallo in cui la concentrazione


plasmatica è al disopra della C. minima efficace
Grafico concentrazione plasmatica-tempo di tre differenti formulazione con la
stessa dose di farmaco
Biodisponibilità assoluta (F)

• Frazione di farmaco attivo nella circolazione sistemica in seguito ad una


somministrazione di tipo "non-endovenoso".
Consiste nelle comparazione della biodisponibilità di un farmaco nella circolazione
sistemica in seguito ad una somministrazione non endovenosa (AUCpo) con la
biodisponibilità dello stesso farmaco in seguito a somministrazione endovenosa
(AUCiv) (che si considera con biodisponibilità 100%), corretti per i rispettivi dosaggi.

𝐴𝑈𝐶𝑃𝑂 𝐷𝑖𝑣
𝐹 % = × × 100
𝐴𝑈𝐶𝑖𝑣 𝐷𝑃𝑂
Biodisponibilità relativa (Frel)

Frazione di farmaco attivo nella circolazione sistemica di una data


formulazione (A) in relazione a quella di un’altra formulazione (B) usata
come forma di dosaggio di riferimento

𝐴𝑈𝐶𝐴 𝐷𝐵
𝐹 % = × × 100
𝐴𝑈𝐶𝐵 𝐷𝐴
• Forme di dosaggio

convenzionali

Non convenzionali
Forme di dosaggio convenzionali
• Progettate per determinare una pronta e totale liberazione
dell’attivo, cioè per renderlo immediatamente disponibile
all’assorbimento.
• La velocità di comparsa dell’attivo nel torrente circolatorio
dipende esclusivamente dalle sue proprietà chimico-fisiche e dalle
caratteristiche della membrana che deve attraversare.
• Le caratteristiche complessive di design della forma di dosaggio,
per definizione, non devono rappresentare lo step limitante la
velocità di assorbimento.
Forme di dosaggio non convenzionali
• Progettate per rilasciare l’attivo e renderlo disponibile all’assorbimento
secondo tempi e velocità tali da permettere il raggiungimento di determinati
obiettivi terapeutici non ottenibili con forme convenzionali destinate alla
stessa via di somministrazione.
• La velocità di comparsa dell’attivo nel torrente circolatorio, per definizione,
deve dipendere dal pattern di rilascio.
• La velocità di rilascio rappresenta lo step limitante della velocità di
assorbimento.
FORME DI DOSAGGIO ORALI A RILASCIO MODIFICATO

Controllo del rilascio


velocità - aumento della velocità di rilascio/dissoluzione
- riduzione della velocità di rilascio
(forme a rilascio prolungato)
tempo - rilascio ritardato, ripetuto e pulsante
sito - diminuzione della velocità di transito G.I.
(es. sistemi bioadesivi)
- rilascio in specifiche regioni del tratto G.I.
(es. sistemi per il rilascio al colon)
BIOEQUIVALENZA
Il termine bioequivalenza indica due o più equivalenti farmaceutici
che mostrano la stessa biodisponibilità relativa.
Se due equivalenti farmaceutici possiedono biodisponibilità simili
allora è altamente improbabile che producano differenze rilevanti
negli effetti di efficacia e sicurezza.
Conseguentemente si presume in base ad una bioequivalenza che
due medicinali hanno le medesima equivalenza terapeutica
Il termine equivalente farmaceutico indica qui medicinali che
contengono:
• lo stesso attivo nello stesso dosaggio
• hanno la medesima forma farmaceutica (gli eccipienti possono variare)
• Presentano la stessa via di somministrazione
• Dovrebbero anche presentare lo stesso standard di purezza, titolo,
omogeneità di contenuto, tempo di disgregazione, velocità di
dissoluzione

L’intervallo di accertabilità per definire due prodotti bioequivalenti è del 20%. Tale
parametro deriva dalla variabilità normalmente osservata quando un prodotto si
somministra a soggetti diversi o in diversi momenti.
• Il valore ± 20% è stato scelto perché i fenomeni biologici sono
variabili, infatti due unità posologiche dello stesso farmaco,
somministrate a due differenti soggetti o in diversi momenti, danno
curve di biodisponibilità differenti entro un range del ± 20%.
• Il concetto di bioequivalenza si applica :
• Equivalenti farmaceutici: prodotti che contengono le stesse quantità
di un p.a. nella stessa forma chimica e in forma farmaceutica
identica

• Alternativi farmaceutici: prodotti che contengono la stessa porzione


terapeuticamente attiva di un farmaco non necessariamente nella
stessa forma farmaceutica o nella stessa quantità
Punti chiave
1- La biofarmaceutica è lo studio del modo in cui:
le proprietà chimico fisiche del farmaco

la forma di dosaggio
la via di somministrazione

influenzano la velocità e l’entità dell’assorbimento del farmaco.

2- Esiste un equilibrio dinamico tra la concentrazione del farmaco nel


plasma e quella al sito d’azione
3- La farmacocinetica comporta lo studio e la caratterizzazione di
assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione (ADME)
del farmaco nel tempo ed è determinata dalla misura del profilo
plasmatico.

4- La farmacodinamica è lo studio degli effetti biochimici e fisiologici


del farmaco nell’organismo

5- La biodisponibilità è la percentuale della dose somministrata di un


farmaco che raggiunge immodificata la circolazione sistemica

6- La finestra terapeutica è l’intervallo di concentrazione plasmatica


del farmaco che va dalla concentrazione minima efficacie alla
concentrazione massima sicura
• Tutti i trasferimenti che coinvolgono il farmaco prevedono il
superamento di barriere biologiche costituite da strati cellulari che
separano compartimenti chiusi

Le membrane cellulari si possono schematizzare


come costituite da uno strato bimolecolare di
materiale lipidico penetrato da proteine, presenta
anche pori acquosi di dimensione 4-10 A
Meccanismo di trasporto

• Trasporto passivo o per diffusione Driving force gradiente di concentrazione

• Trasporto mediante carrier Driving force energia cellulare e avviene contro


gradiente di concentrazione

• Trasporto convettivo Passaggio di piccole molecole tramite canale e pori


acquosi o spazi intercellulari

Inglobamento di materiale extracellulare entro


• Trasporto per endocitosi invaginazione della membrana cellulare
• La maggior parte dei farmaci utilizza il trasporto passivo nei
processi di assorbimento, distribuzione ed eliminazione.

La velocità di trasporto è espressa dalla prima legge di FICK applicabile in


condizioni di raggiunto stato stazionario
K1 coefficiente di ripartizione del
farmaco tra membrana e fluido
biologico del compartimento
Coefficiente di donatore (sito di assorbimento)
diffusione
K2 coefficiente di ripartizione del
farmaco tra membrana e fluido
biologico del compartimento
ricevente (sangue)

C concentrazione nei due


compartimenti

𝑑𝑀 𝐷 × 𝐴 × 𝐾1 𝐶1 − 𝐾2 𝐶2
=
𝑑𝑡 ℎ
Quantità di farmaco
assorbito nell’unità di
tempo Spessore dello strato
di diffusione
Area della
membrana
interessata
alla
diffusione
• In condizioni sink cioè C1>>C2 si applica l’equazione semplificata

𝑑𝑀 𝐷 × 𝐴 × 𝐾1 𝐶1
= = 𝑃 × 𝐴 × 𝐶1
𝑑𝑡 ℎ

𝐷𝐾1
𝑃=

Equazione per una cinetica del primo ordine e indica che la velocità
dell’assorbimento passivo è proporzionale alla conc del farmaco
Sviluppo farmaceutico:
Preformulazione
Preformulazione
È lo studio che precede l’allestimento (formulazione) della forma farmaceutica finale.
Durante questo studio vengono determinate le principali proprietà chimico-fisiche dei potenziali farmaci.

Proprietà chimico-fisiche:
•Intrinseche (sono caratteristiche della molecola e quindi possono essere modificate solo in seguito
a cambiamenti di tipo chimico)

•Derivate (sono la risultante di interazioni intermolecolari e quindi possono essere influenzate dal tipo
di forma assunta nello stato solido, dalla forma fisica e dalle condizioni ambientali, oltre che da altri
fattori)
Principali parametri
Stabilità chimica
Solubilità e velocità di
dissoluzione
Costante di dissociazione
Coefficiente di ripartizione
Proprietà intrinseche
Cristallinità e polimorfismo
Solvatazione e dimensioni
particellari
Compatibilità farmaco-
eccipiente
Studi preliminari in vivo
La solubilità di una molecola di un farmaco in acqua condiziona largamente le vie di somministrazione.

In acqua ai
differenti pH 1-7,5
La solubilità è la quantità di sostanza per unità di volume che
passa in soluzione ad una data temperatura costante in una
soluzione satura (equilibrio tra solido disciolto e corpo di
fondo).

Preformulazione:
•Acqua
•0.1 M HCl
•0.1 M NaOH
La solubilità di una sostanza in un’altra può essere spiegata
sulla base di due fattori:

1. Una naturale tendenza al disordine (fattore


entropico). E’ praticamente l’unico fattore ad agire
nel caso dei gas (ideali) che sono miscibili in tutte le
proporzioni.

2. Forze intermolecolari di attrazione tra le molecole


delle due sostanze (fattore energetico).
Chiamando A le molecole di una
sostanze e B quelle dell’altra, se la
media delle attrazioni A-A e
B-B è superiore all’attrazione A-B le
due sostanze non tendono a mescolarsi.

La solubilità di un soluto in un solvente dipende da un


bilancio fra questi due fattori.
Soluzioni molecolari

In questi casi il soluto (solido o liquido) è costituito da


molecole tenute assieme da forze intermolecolari deboli.
Nel caso di liquidi essi sono solubili se sono tenuti assieme
da forze intermolecolari simili. (Il simile scioglie il simile).
Cloroformio-acetone

C7H16 – C8H18
Forze di London

Legami
idrogeno
Dipende dalla natura chimica del farmaco

ACIDA BASICA

𝐾1 𝐻+
𝑆 = 𝑆0 1+ + ANFOTERA 𝑆 = 𝑆0 1+
𝐻 𝐾2

S= solubilità ad un dato pH
S0 = solubilità della forma neutra
K= costante di dissociazione
∆𝐻
ln 𝑆 = − +𝐶
𝑅𝑇
Entalpia di soluzione

Per il processo di soluzione di un solido in un liquido è possibile


definire un calore o entalpia di soluzione, Hsol che è
sostanzialmente uguale all’energia di solvatazione (negativa) più
l’energia reticolare (positiva):
Hsol = energia di solvatazione + energia reticolare
Se prevale l’energia di solvatazione il processo di soluzione è
esotermico Hsol<0 mentre se prevale l’energia reticolare il processo
è endoternico, Hsol>0.
Solidi con Hsol<0 sono molto solubili ma anche solidi con Hsol>0
sono spesso solubili (purché il Hsol non sia troppo grande) per
effetto della tendenza al disordine
Di fatto, la maggior parte dei solidi ionici solubili ha Hsol piccolo e
positivo.
Dissoluzione
definizione: rappresenta il processo di trasferimento delle molecole o degli
ioni dallo stato solidi alla soluzione.

Solubilità
definizione: è la quantità di una sostanza che passa in soluzione quando si stabilisce un
equilibrio tra il soluto in soluzione e l’eccesso di sostanza non disciolta La soluzione che si
ottiene in queste condizioni è detta satura.
La velocità con cui passa in soluzione una sostanza (velocità di
dissoluzione) e la quantità che può essere disciolta (solubilità) non sono
la stessa cosa e non sono necessariamente correlate tra loro.

In generale:
Un’elevata solubilità di un farmaco è associata a un’elevata velocità
di dissoluzione
La velocità di dissoluzione dipende da:
 Area superficiale
 Solubilità della sostanza nel mezzo di dissoluzione
 Caratteristiche dell’interfaccia solido/liquido

La teoria della formazione delle cavità nel processo di Rappresentazione schematica della sostituzione
dissoluzione di molecole di cristallo con molecole di solvente
durante il processo di dissoluzione
 Matematicamente viene descritto dall’equazione:

𝑑𝑀
= 𝑘𝐴 𝐶𝑠 − 𝐶
𝑑𝑡
M=massa disciolta
A= area superficiale
Cs= solubilità della sostanza nel mezzo di
dissoluzione
C= conc. della sostanza al tempo t
In condizioni sink C<<Cs la velocità di
K=costante cinetica di dissoluzione
dissoluzione è proporzionale alla
solubilità del soluto nel mezzo

𝑑𝑀
= 𝑘𝐴𝐶𝑠
𝑑𝑡
Schema dello strato diffusionale e della variazione di
concentrazione intorno a una particella che si sta Applicando la legge di Fick il flusso J
sciogliendo.
definito come la quantità di
sostanza trasportata per unità di
tempo e di area sarà

𝑑𝐶
𝐽 = −𝐷
𝑑𝑥
Se il gradiente di concentrazione è lineare e C=Cs alla superficie (x=0) e C=Cb
all’interfaccia tra la soluzione e film allora:
𝑑𝐶 𝐶𝑏 − 𝐶𝑠
=
𝑑𝑥 ℎ

1 𝑑𝑀 −𝐷 𝐶𝑏 − 𝐶𝑠
= = 𝑘 𝐶𝑠 − 𝐶
𝐴 𝑑𝑡 ℎ

Nota come equazione di Noyes-Whitney


La velocità di dissoluzione aumenta all’aumentare
• della cinetica di dissoluzione k
• dell’area superficiale
• della solubilità
Dall’applicazione della legge di Fick deriva che la costante cinetica k è una
funzione del coefficiente di diffusione del farmaco

𝐷
𝑘= 𝑐𝑚 ∙ 𝑠 −1

ma anche dal parametro sperimentale h spessore dello strato di diffusione

k ricavata sperimentalmente
rappresenta la capacità del
farmaco di passare in soluzione
Se l’area superficiale è costante si può integrare l’eq.:
𝑑𝑀
= 𝑘𝐴 𝐶𝑠 − 𝐶
𝑑𝑡

Esprimendo la velocità di dissoluzione in funzione della concentrazione,

infatti la massa disciolta M sarà funzione del volume V del mezzo di dissoluzione e della
concentrazione C
M=VC
𝜕𝐶
𝑉 = 𝑘𝐴 𝐶𝑠 − 𝐶
𝜕𝑡
In condizioni sink 𝐶𝑠 − 𝐶 ≈ 𝐶𝑠

𝑘𝐴𝐶𝑠
𝐶= ×𝑡 Equazione di una retta che
𝑉 permette di ricavare k
 Se non valgono le condizioni sink allora

𝑑𝐶 𝑘𝐴
= 𝑑𝑡 = −𝑑𝑙𝑛 𝐶𝑠 − 𝐶
𝐶𝑠 − 𝐶 𝑉

𝑘𝐴
−𝑙𝑛 𝐶𝑠 − 𝐶 = 𝑡 + 𝑐𝑜𝑠𝑡
𝑉

A t=0 C=0 allora −𝑙𝑛 𝐶𝑠 − 0 =0+cost cioè −𝑙𝑛𝐶𝑠 = 𝑐𝑜𝑠𝑡

𝑘𝐴 𝑘𝐴
𝑙𝑛 𝐶𝑠 − 𝐶 − 𝑙𝑛𝐶𝑠 = − 𝑡 𝐶 = 𝐶𝑠 1 − 𝑒 −𝛼𝑡 𝛼=
𝑉 𝑉
Fattori che influenzano solubilità

 •Temperatura
 •Struttura molecolare del soluto
 •Natura del solvente
 •Caratteristiche del cristallo (polimorfi e idrati)
 •Dimensioni del cristallo
 •pH
 •Effetto ione a comune
 •Formazione di complessi
 •Agenti solubilizzanti
COEFFICIENTE DI SOLUBILITÀ: variazione di solubilità di un
solido al variare unitario della temperatura:

 •POSITIVO (la solubilità aumenta con la


T)Processo endotermico
 •NEGATIVO(la solubilità diminuisce con
l’aumentare della T) Processo
esotermico
 •NULLO(la solubilità non varia con la
T)Processo atermico
Struttura molecolare del soluto

Benzene
Fenolo
Solubilità in acqua 1,4 g/l
Solubilità in acqua 84g/l
Cosolventi uso orale
• Acqua deionizzata
•Alcool etilico
•Glicerina
•Glicol propilenico
•Ecc.
Fattori che influenzano solubilità
•Temperatura
•Struttura molecolare del soluto
•Natura del solvente
•Caratteristiche del cristallo (polimorfi e idrati)
•Dimensioni del cristallo
•pH
•Effetto ione a comune
•Formazione di complessi
•Agenti solubilizzanti
Cs: solubilità totale (somma delle concentrazioni delle due specie, ionizzata e non ionizzata, nella soluzione satura)
CSi: solubilità della forma non ionizzata (ossia solubilità intrinseca)
• Acidi
𝐻 + 𝐴−
HA H+ +A- 𝐾𝑎 =
𝐻𝐴
BASI
𝐶𝑠 = 𝐶𝑖 1 + 10𝑝𝐻−𝑝𝐾𝑎

Nello stomaco pH=1

𝐶𝑠 = 𝐶𝑖 1 + 10𝑝𝐻−𝑝𝐾𝑎 = 𝐶𝑖 1 + 101−3 = 𝐶𝑖 1 + 101−3 = 𝐶𝑖 1 + 10−2 = 1.01𝐶𝑖 ≅ 𝐶𝑖


Acido acetil salicilico pKa = 3
Nell’intestino pH=5,5

𝐶𝑠 = 𝐶𝑖 1 + 10𝑝𝐻−𝑝𝐾𝑎 = 𝐶𝑖 1 + 105.5−3 == 𝐶𝑖 1 + 102.5 = 317.22𝐶𝑖

Nel Plasma pH=7,4

𝐶𝑠 = 𝐶𝑖 1 + 10𝑝𝐻−𝑝𝐾𝑎 = 𝐶𝑖 1 + 107.4−3 == 𝐶𝑖 1 + 104.4 = 25.119,86𝐶𝑖


Costante di dissociazione

 La maggior parte dei farmaci è di natura acida o basica.


 Importante la concentrazione della forma molecolare indissociata per
assicurare i processi di assorbimento
 Si applica l’equazione di Henderson-Hasselbalch

𝐴− 𝐵
𝑝𝐻 = 𝑝𝐾𝑎 + log 𝑝𝐻 = 𝑝𝐾𝑎 + log
𝐻𝐴 𝐵𝐻 +
𝐴−
𝑝𝐻 − 𝑝𝐾𝑎 = log
𝐻𝐴

Nello stomaco pH=1


𝐴−
log = 1 − 3 = −2
𝐻𝐴

𝐴− 1
= 10−2 = 0.01 = Acido acetil salicilico pKa = 3
𝐻𝐴 100

Nell’intestino pH=5,5

𝐴−
= 102.5 = 316
𝐻𝐴

Nel plasma pH=7,4

𝐴−
= 104.4 = 27000
𝐻𝐴
 Salificazione
 •Acido debole (base debole) + base Forte (Acido forte) Sale
 •Acido debole (Base debole) + Base debole (Acido debole) Sale
 •Elettroliti forti:
 •Cloridrati (per basi deboli) 43%
 •Sali sodici (per acidi deboli) 62%
 •Solfati (basi deboli)

 La salificazione di una base debole o di un acido forte determina un


aumento della solubilità e quindi della velocità di dissoluzione. La
solubilità del sale è indipendente dal pH
 Salificazione-aumento solubilità e velocità di diss.
La salificazione di una base debole o di un acido forte determina un aumento della solubilità
e quindi della velocità di dissoluzione. La solubilità del sale è indipendente dal pH……..

Velocità di dissoluzione
(mg/mincm2)
pH pH1,5
soluzione (HCL 0,1 N)
satura
Acido pH6,8 1,7 27
salicilico (tampone
fosfato)
Salicilato di 8,78 1870 2500
sodio

 Perché?
Sono oligomeri ciclici costituiti da 6, 7 o 8
unità di glucosio, legate da legami glucosidici
 (14)
Caratteristiche strutturali
In virtù della conformazione a sedia assunta nello spazio dalle unità di D(+) glucosio, la
conformazione molecolare più stabile di questi macrocicli è quella di un tronco di cono.
L’estremità più larga è costituita dai gruppi ossidrilici secondari, la più piccola da quelli
primari.
La superficie esterna delle ciclodestrine, per la presenza dei gruppi
ossidrilici, possiede caratteristiche idrofile, mentre quella interna,
poiché è foderata dai protoni H-3 e H-5 e dagli O-4 dei legami
glucosidici, possiede caratteristiche idrofobe

Interno idrofobico Faccia primaria

Faccia secondaria
 Per composti relativamente insolubili la velocità di dissoluzione è
spesso lo stadio che determina la velocità del processo globale di
assorbimento.
 Per i composti solubili la velocità di permeazione attraverso le
membrane biologiche rappresenta lo stadio limitante la velocità del
processo.

La membrana che assorbe si comporta come


una barriera lipofila al passaggio dei principi
attivi, che dipende dalla natura lipofila della
molecola del farmaco.
Coefficiente di
ripartizione

Il coefficiente di ripartizione, per esempio tra olio e acqua, è una misura del carattere lipofilo
delle molecole.
Se una sostanza, che è solubile in entrambi i componenti di una miscela di liquidi immiscibili, viene
sciolta in tale miscela, quando viene raggiunto l’equilibrio a temperatura costante, si avrà che il soluto
si sarà distribuito tra i due liquidi in modo tale che il rapporto tra le attività della sostanza nei due
liquidi sia costante.
Ciò è noto come legge di distribuzione di Nernst che per soluzioni ideali

𝐶𝑜𝑙𝑖𝑜
𝑃=
𝐶𝑎𝑐𝑞𝑢𝑎

Coefficiente di ripartizione olio/acqua determinato in miscele ottanolo/acqua


o cloroformio/acqua è un indice della lipofilicità del farmaco è definito come:
 Utilità Coefficiente di ripartizione
Esistono delle Correlazioni tra il coefficiente di ripartizione e :
 •Assorbimento (biodisponibilità)
 •Attività
 •Distribuzione
 •Metabolismo nel fegato
 •Eliminazione nelle urine

Utilizzo tecnologico

 Studio della ripartizione di conservanti, edulcoranti, antiossidanti coloranti ecc.


 Studio per incrementare il rilascio del farmaco da fase non acquosa (creme, unguenti,
emulsioni supposte ecc.)
 Miglioramento caratteristiche organolettiche formulazioni
 ecc
Proprietà fisiche delle sostanze
farmaceutiche solide
 Cristallinità

 Polimorfismo

 Dimensioni particellari

 Igroscopicità

 Proprietà di scorrimento

 Morfologia
Metodi di indagine dello stato solido

 Microscopia ottica
 Analisi termica (DSC)
 Spettroscopia IR
 Diffrattometria raggi X
 Risonanza magnetica nucleare
 Stato solido caratterizzato da disposizione ordinata e periodica dei
costituenti

Proprietà fisiche: durezza, rigidità, comprimibilità, punto di fusione


Habitus cristallino
 Cristalli della stessa sostanza variano nelle dimensioni , nello sviluppo relativo
di alcune facce.
 Uno stesso cristallo con struttura esagonale può presentarsi con un habitus
tabulare, prismatico o aciculare.

L’acido acetilsalicilico

In acqua in Cristalli prismatici In diossano in


lamelle allungati ricristallizza aghi

Diversa velocità
di dissoluzione
Biodisponibilità
Compattazione
 L’abito cristallino definisce l’apparenza esterna, la forma del cristallo nel suo complesso in termini
generali (aspetto macroscopico). Per uno stesso tipo di abito possono esistere diverse combinazioni
delle forme cristallografiche.
Acidulare (aghiforme)
Prismatico
Piramidale
Laminare
Equidimensionale
Colonnare
Lamellare
A piastra Stessa forma cristallografica (esagonale) ma diverso abito

Stesso abito ma diversa forma cristallografica


POLIMORFISMO

Un solido cristallino può organizzarsi in un reticolo cristallino in modo diverso, dando


luogo a forme cristalline dette polimorfe. Circa i 2/3 delle sostanze organiche
presentano il fenomeno del polimorfismo.

Le varie forme cristalline differiscono per l'attività termodinamica e sono


considerate polimorfe le forme che hanno elevata attività termodinamica. I
polimorfi presentano proprietà diverse: assorbimento, fusione, solubilità.
 I polimorfi di un farmaco sono cristalli di farmaco con celle
elementari diverse (diversa geometria del cristallo) ed un contenuto
di energia libera diversa.
 I polimorfi hanno proprietà fisiche e chimiche differenti (esempio
stabilità, Punto di fusione,solubilità, densità, tensione superficiale,
tensione di vapore, calore di fusione, proprietà ottiche ed
elettriche)
Livelli serici di Cloramfenicolo palmitato dopo
somministrazione orale di una dose di 1.5 g sotto forma di
diversi polimorfi
Polimorfi:
Forma stabile (forma a più bassa energia /un’attività termodinamica minore)
Instabile (se la trasformazione da forma instabile a forma stabile è lenta, il solido polimorfo
instabile è detto metastabile).

Quando un composto non possiede una propria struttura interna, cioè quando non è
presente una cella elementare che si ripete nelle tre direzioni, il composto è definito
amorfo
Per studiare il polimorfismo di una sostanza, è necessario esaminare:
 numero di forme cristalline possibili ed intervallo di temperatura in cui
sono stabili;
 esistenza di uno stato non cristallino (amorfo) e sua possibile utilizzazione
in una forma farmaceutica;
 esistenza di forme metastabili e possibilità di stabilizzarle;
 solubilità di ciascuna forma e studio della possibilità di ottenere cristalli
puri di ciascuna forma;
 qualora la forma più solubile sia metastabile, occorre valutare se
questa si mantiene tale anche dopo particolari processi di
fabbricazione (micronizzazione, compressione, ecc.);
 studio della reattività con gli altri componenti della forma
farmaceutica.
 Alto punto di fusione = reticolo cristallino forte
=difficile rimuovere una molecola
=bassa velocità di dissoluzione

 Basso punto di fusione =reticolo cristallino debole


=facile rimuovereuna molecola
= alta velocità di dissoluzione
Le strutture polimorfe vengono studiate
 diffrazione da raggi X;
 microscopia ottica (con luce polarizzata e possibilità di
riscaldamento a varie temperature) ed elettronica;
 spettroscopia I.R.;
 analisi termica differenziale o calorimetria differenziale;
 dilatometria (sfrutta le differenze di densità fra le varie forme
cristalline).
Pseudopolimorfismo
 Cristalli anidri
 Cristalli idrati

L'Ampicillina si può trovare in due forme: anidra e idrata; la prima, presenta una solubilità
maggiore del 20% rispetto alla forma anidra, ed ha una maggior velocità di dissoluzione.
 Sono cristalli che contengono solvente di cristallizzazione (solvati) ed in particolare
acqua (idrati)
 Solvati polimorfi (il solvente partecipa alla formazione del reticolo cristallino
(sono molto stabili, il solvente è difficilmente eliminabile e la sua eliminazione determina la
distruzione del cristallo di partenza ed una nuova cristallizzazione del farmaco)

 Solvati pseudopolimorfi (il solvente occupa semplicemente degli spazi vuoti del
reticolo ma non contribuisce alla sua formazione
(sono meno stabili, l’eliminazione del solvente è più semplice e non determina distruzione del
cristallo di partenza)
Livelli serici ottenuti dopo somministrazione orale di una
sospensione contenente 250 mg di ampicillina
Amorfismo
 Stato amorfo non cristallino con maggiore attività termodinamica
 Maggiore solubilità
 Tendenza a convertirsi nello stato cristallino
Area superficiale

Particelle più
piccole Maggiore solubilità

Vi sono diversi metodi per determinare le


dimensioni e la distribuzione delle dimensioni
delle particelle
Setacciatura
Microscopia
Sedimentazione
Dispersione della luce
Equazione di Kelvin

2𝛾𝑀
𝑆 = 𝑆0 𝑒𝑥𝑝
𝑟𝜌𝑅𝑇

S e So solubilità delle microparticelle e della polvere di


dimensione normale
 tensione interfacciale solido,
M peso molecolare del farmaco
r raggio particelle
 densità della particella
Dimensioni estremamente ridotte
causano una diminuzione della
solubilità
Studi di compatibilità

Gli studi di compatibilità riguardano le interazioni farmaco-eccipiente ma anche le


interazioni farmaco-farmaco.

Vengono studiate tramite:


Analisi termica DSC
Spettroscopia di rifrattanza diffusa UV/visibile

Indagini biofarmaceutiche

Servono per determinare la disponibilità in vitro ed in vivo del p.a. Si determina:


Solubilità e velocità di dissoluzione
Coefficiente di ripartizione tra le barriere lipidiche e mezzi fisiologici acquosi
Stabilità e/o velocità di degradazione nei fluidi fisiologici
Suscettibilità all’inattivazione metabolica
Meccanismo di trasporto attraverso le membrane biologiche
Stabilità dei medicinali

 Per stabilità di un prodotto farmaceutico si intende la capacità di


una particolare formulazione, in uno specifico contenitore, di
conservare inalterate entro limiti definiti e nell’ambito del suo
periodo di conservazione ed utilizzo (shelf life) le proprie peculiari
proprietà fisiche, chimiche, microbiologiche, terapeutiche e
tossicologiche:
Validità
 Intervallo di tempo durante il quale un prodotto mantiene, entro
limiti definiti e fino alla sua data di scadenza, le medesime proprietà
e caratteristiche che esso possiede al momento della produzione
criterio generalmente riconosciuto …..

 questo intervallo di tempo corrisponde al periodo in cui il titolare


dell’autorizzazione al commercio garantisce una presenza minima
del principio attivo del 90% rispetto a quanto dichiarato in etichetta,
cioè garantisce la stabilità e la potenza terapeutica del prodotto
con una variazione massima negativa del 10%.
Stabilità dei medicinali
 Per stabilità di un prodotto farmaceutico si intende la capacità di una
particolare formulazione, in uno specifico contenitore, di conservare
inalterate entro limiti definiti e nell’ambito del suo periodo di
conservazione ed utilizzo (shelf life) le proprie peculiari proprietà fisiche,
chimiche, microbiologiche, terapeutiche e tossicologiche:

QUALITA’ EFFICACIA

SICUREZZA
Validità
Intervallo di tempo durante il quale un prodotto mantiene, entro limiti definiti e
fino alla sua data di scadenza, le medesime proprietà e caratteristiche che esso
possiede al momento della produzione

criterio generalmente riconosciuto …..


questo intervallo di tempo corrisponde al periodo in cui il titolare
dell’autorizzazione al commercio garantisce una presenza minima del principio
attivo del 90% rispetto a quanto dichiarato in etichetta, cioè garantisce la
stabilità e la potenza terapeutica del prodotto con una variazione massima
negativa del 10%.
Tipi di stabilità
Caratteristiche e/o proprietà da valutare

In generale: mantenimento delle proprietà fisiche quali: aspetto,


proprietà organolettiche (odore, sapore, colore).
Per le compresse e capsule: caratteristiche di disgregazione,
FISICA dissoluzione. Friabilità e durezza (per le compresse)
Per granulati o polveri: aggregazione
Per le forme liquide (soluzioni): precipitazione

CHIMICA mantenimento dell’integrità chimica dell’attivo


Tipi di stabilità
Caratteristiche e/o proprietà da valutare

Capacità del preparato di limitare


la proliferazione microbica
Microbiologica
(mantenimento dell’efficacia
degli antimicrobici)

Terapeutica mantenimento dell’effetto


terapeutico

Tossicologica
nessun incremento di tossicità
L’instabilità può determinare:

•Ridotta attività del farmaco

•Formazione di prodotti tossici di decomposizione

•Alterazione della forma farmaceutica

Alterazione Principio Attivo

Alterazione Formulazione Farmaceutica


Criteri per livelli accettabili di stabilità

Chimica Ciascun principio attivo mantiene la sua integrità


chimica e l'attività dichiarata in etichetta , entro limiti definiti.

Fisica Il preparato mantiene le proprietà fisiche


originarie , compreso l'aspetto, il sapore , l'odore, l'uniformità
e la dissoluzione.

Microbiologica La sterilità o la resistenza allo


sviluppo microbico sono mantenute in accordo
a specifiche esigenze. Gli agenti antimicrobici
eventualmente aggiunti alla formulazione mantengono
la loro efficacia entro limiti di tempo definiti.

Terapeutica L'effetto terapeutico rimane immodificato

Tossicologica Non si registra alcun aumento


significativo di tossicità.
VALIDITÀ

La stabilità conduce al concetto di VALIDITÀ


che può essere definita come l’intervallo di
tempo durante il quale un prodotto mantiene le
medesime proprietà e caratteristiche che esso
possiede al momento della produzione.
È responsabilità del produttore garantire che
il medicinale nel suo contenitore originale,
conservato alle condizioni specificate,
mantenga le proprie caratteristiche fino
alla data di scadenza.
Secondo una disposizione del Ministero
della Salute, deve essere prevista una
data limite di validità che non può essere
superiore a cinque anni di quella di
fabbricazione per tutte le specialità
medicinali.
E il farmacista?
Anche il farmacista ha precise responsabilità nel garantire
che i requisiti di stabilità vengano verificati.

Il farmacista si deve attenere ai seguenti principi :


-dispensare prima le scorte più vecchie ed attenersi alla
data di scadenza
-conservare i prodotti nelle condizioni ambientali stabilite
-manipolare ed etichettare convenientemente i prodotti
eventualmente ri-confezionati
-accertare e segnalare eventuali fenomeni di instabilità
fisica o chimica
-informare ed educare il paziente riguardo alla corretta
conservazione ed uso dei prodotti.
I pericoli cui un prodotto farmaceutico
può essere esposto:
1) Interazioni fisiche con il contenitore:
- migrazioni contenitore-contenuto
- adsorbimenti (es. di principi attivi o conservanti da parte di elementi del contenitore,
vedi proteine)
- estrazione (es. di collanti o particelle da parte del contenuto).

2) Interazioni con l'ambiente:


- gas atmosferici (es. ossidazioni ad opera dell'ossigeno atmosferico)
- luce (es. fotolisi e/o polimerizzazioni)
- umidità (es. idrolisi per azione dell'umidità dell'aria)
- differenze di pressione (es. perdita di componenti volatili)
- Temperatura

3) Interazioni fisico-meccaniche:
- shock da impatto
- compressione

4) Interazioni biologiche:
- contaminazioni microbiologiche
- contaminazioni da animali (insetti, ecc.)
- contaminazioni da parte dell'uomo.
DEGRADAZIONE FISICA DI UN
PRODOTTO FARMACEUTICO

• Perdita di costituenti volatili


• Perdita di acqua
• Assorbimento di acqua (igroscopicità)
• Crescita cristallina
• Polimorfismo
• Modifica dello stato fisico
• Fenomeni di migrazione o di estrazione
Le principali conseguenze dell'instabilità
FISICA consistono in:
a) modifiche organolettiche del preparato;

Puah!

Varia l’aspetto, il gusto, l’odore


(anche a causa della perdita di componenti volatili)
b) modifiche nella SOLUBILITA’ e
biodisponibilità del farmaco (polimorfismo,
cristallizzazione)
c) inadeguatezza della forma farmaceutica a
garantire uniformità di dosaggio o
adeguata presentazione (supposte,
sospensioni, emulsioni, etc.).

Perdita di acqua
Varia lo stato di
aggregazione

Gli umettanti sono sostanze igroscopiche e


idrosolubili che vengono inserite nella formulazione
con lo scopo di mantenere un giusto grado di
umidità, prevenendo l'evaporazione, quindi
l'essiccamento della superficie del prodotto.
d) Adsorbimento alla
superficie del contenitore
(anche chiusure)
Adsorbimento ai contenitori

lipofilia
Cosa influisce sulla stabilità dei preparati?

PRODUZIONE PRINCIPIO ATTIVO ECCIPIENTI

DISTRIBUZIONE STOCCAGGIO

CONSERVAZIONE CONSERVAZIONE IN CASA


IN FARMACIA
Studi di stabilità

Scopo:
•Ricercare le cause che determinano il deterioramento dei farmaci
•Studiare la velocità con cui avviene tale deterioramento
•Studiare misure adatte a ridurre l’entità e la velocità del deterioramento
Sollecitazioni esterne:

Chimiche:
Fisiche:
Azione dell’acqua o
di solventi diversi Temperatura
Azione dell’ossigeno Pressione
Acidi Umidità
Basi Radiazioni
Eccipienti Ecc.
Incompatibilità

Microbiologiche
Principali cause di alterazione

Interazioni biologiche
Interazioni fisiche con il contenitore
Contaminazioni microbiologiche
Adsorbimenti
Contaminazioni animali (insetti, ecc.)
Estrazione
Contaminazioni da parte dell’uomo

Interazioni con l’ambiente


Interazioni fisico-meccaniche
Gas atmosferici
Luce Shock da impatto
Umidità Compressione
Differenze di pressione Abrasione
Temperatura
Proprieta’fisiche

Proprietà del principio attivo e della


forma farmaceutica che si possono
fisicamente vedere o determinare.

Principali conseguenze:
•modifiche organolettiche
del preparato
•modifiche della
biodisponibilità del preparato
•non uniformità di dosaggio
SOLIDO LIQUIDO
sostanze igroscopiche/deliquescenti miscele eutettiche

LIQUIDO SOLIDO
precipitazione di un componente
(es. per cambiamento di temperatura, o per formazione di una specie meno solubile)

•POLIMORFISMO
•ADSORBIMENTO DI ACQUA
•PERDITA DI ACQUA/COSTITUENTI VOLATILI
•FENOMENI DI ESTRAZIONE
Stabilità microbiologica

L’inquinamento microbico della forma farmaceutica:

•Materie prime (p.a. ed eccipienti)


•Materiali di confezionamento primari
•Personale
•Processo di preparazione
•Attrezzature
•Ambienti di preparazione e di conservazione
•L’utilizzo

La crescita microbica é favorita in ambiente acquoso (pH 3-9)


•soluzioni, emulsioni e sospensioni
•preparazioni semisolide (creme, geli)
•preparazioni solide (capsule, ...)
Spettro di attività di alcuni conservanti
Tipi di instabilità chimica (degradazione)

•Disidratazione
•Solvolisi (idrolisi)
•Sensibilità all’umidità
•Idratazione
•Incompatibilità tra farmaci
•Ossidazione
Decarbossilazione
•Fotolisi (degradazione fotochimica)
•Pirolisi
•Racemizzazione
•Polimorfismo
•Isomerizzazione •Evaporazione

Principali conseguenze:
•diminuzione del contenuto di principio attivo
•alterazione della biodisponibilità
•eventuale comparsa di tossicità e immunogenicità
Degradazione chimica

idrolisi

ossidazione

isomerizzazione/racemizzazione

degradazione fotochimica

polimerizzazione
Ionica (sali)

IDROLISI

Molecolare (esteri, ammidi, nitrili, lattami, ecc.)


IDROLISI

 presenza di acqua
 pH
 sostanze che catalizzano la reazione
 temperatura
 concentrazione
È una reazione che avviene tra il solvente (alcol etilico, glicolpropilenico, glicerina,
glicolpolietilenico ecc.) ed il principio attivo o un componente della formulazione.

Esteri
Lattoni
Ammidi
Ossime
Immidi
Metodi di protezione contro l’idrolisi
•Prevenire il contatto con H2O!!! (confezionamento-sistemi monodose-preparazioni
estemporanee)
•Controllo del pH (nelle forme liquide)
•Scelta di un solvente diverso
•Presenza di tensioattivi

In fase di sviluppo
•Produzione di molecole insolubili (es. esteri)
•Modifiche della struttura chimica della molecola idrolizzabile (effetto sterico, polare ecc.)
Idratazione
Addizione di H20 ad un doppio legame.
Stesso meccanismo di azione dell’idrolisi.

Acido fumarico Acido malico


Disidratazione
Diversa da disidratazione fisica di idrati (perdita di H2O di cristallizzazione).
Eliminazione di una più molecole di H2O con formazioni di doppi legami.
Prostaglandine
Tetracicline
Metodi di protezione
F. di dosaggio liquide:
 regolazione del pH (Tra gli agenti tamponanti che possono essere impiegati
ricordiamo: fosfato monosodico/fosfato bisodico pH 5-8, oppure sodio
acetato/acido acetico pH 3,8-5,6, tampone istidina).

 sostituzione di tutto o parte del solvente acquoso (glicole propilenico,


etanolo)[vedi fig.]
 insolubilizzazione del farmaco (idrolisi in sospensione più lenta)
 complessazione del farmaco, modifiche chimiche (i. sterico gruppi vicini al centro di
reazione)
 uso di tensioattivi
 SE NON BASTA: prep. estemporanee… solido
F. di dosaggio solide:
 protezione dall’umidità (durante la preparazione : evito la granulazione a umido o rimpiazzo
acqua con altri solventi, essiccanti nel sottotappo, confezionamento apposito)
 Scelta degli eccipienti
OSSIDAZIONE
Sono soggetti a processi ossidativi certi principi attivi e gli
oli vegetali

Per esempio: p.a. che presentano nella loro molecola uno


o più gruppi funzionali quali:
alcoli,
fenoli,
ammine (dopamina e adrenalina)
steroidi, antibiotici, vitamine,
Sistemi insaturi
23
Reazioni di ossidazione:

• Causate dalla presenza di ossigeno


• o in soluzione (influenzati da vari fattori)

Si ossida o no?
Eo potenziale standard di ossidazione/riduzione

Se E è grande e positivo (E di Ox) allora il composto è facilmente ossidabile

L’ossidazione avviene per la rimozione


di un atomo elettropositivo
di un elettrone
di un radicale

oppure l’addizione
di un radicale
o di un atomo elettronegativo.

(frequente la reazione radicalica a catena nei composti farmaceutici)


OSSIDAZIONE
Alcoli
Ammine
Fenoli
Sistemi insaturi

Perdita di elettroni da parte di una molecola o uno ione.

Forma Ossidata + ne- Forma Ridotta


Potenziale standard di ossidazione o riduzione

Forma Ridotta Forma Ossidata + ne-

 Sostanze con alto valore di E0 (potenziale standard) sono ossidanti (si riducono
facilmente e si ossidano difficilmente)
 Sostanze con basso valore di E0 sono riducenti (si riducono difficilmente e si
ossidano facilmente)
Cause e fattori che possono influenzare i processi
ossidativi:

◊ ossigeno atmosferico
◊ pH
◊ presenza di sostanze e/o ioni che fungono da
◊ catalizzatori (Cu2+ ,Mn2+ ,Ni2+ ,Fe2+ e Co2+ ).
esposizione a radiazioni elettromagnetiche
◊ calore
Autossidazione di oli e grassi
Iniziatore:
•Calore
•Luce visibile
•Luce ultravioletta
•Tracce di ioni metallici (Fe+3, Mn+3, Co+3, Ni+2, Cu+2)
Metodi di protezione contro l’ossidazione

Rimozione dell’ossigeno atmosferico (Contenitori ben chiusi, Dosi singole, Uso di gas
inerti (azoto, CO2)

Agenti Chelanti (EDTA, acido citrico, acido tartarico, acido fosforico, amminoacidi)

Controllo del pH della soluzione

Aggiunta antiossidanti

Agenti capaci di neutralizzare i radicali liberi


Controllo del pH della soluzione

Forma Ossidata + ne- Forma Ridotta + H+


Metodi di protezione (1)
 Rimozione dell’ossigeno atmosferico:

 La degradazione ossidativa conseguente all'azione dell'ossigeno può


essere diminuita limitando il contatto fra il farmaco ossidabile e l'atmosfera.

 Ciò può essere ottenuto conservando i farmaci in contenitori ben riempiti e chiusi
e, nel caso dei preparati iniettabili in dosi singole, l'ossigeno è rimosso sostituendo
l'aria a contatto con la soluzione con un gas inerte (azoto, anidride carbonica) e
chiudendo immediatamente il contenitore.

 L'anidride carbonica ha il vantaggio di essere più pesante dell'aria e quindi non


esce così facilmente, dal contenitore come l'azoto. Però a causa della sua solubilità in
acqua può determinare un abbassamento del pH della soluzione.

 Controllo del pH: quando l’ossidazione di un substrato determina la perdita sia di


elettroni che di idrogenioni, secondo il seguente schema di reazione:
 Substrato (red) ⥧ substrato (ox) + e- + H+
 ilpotenziale ossidoriduttivo è funzione anche della concentrazione di ioni H+, per
cui abbassando i valori di pH si può prevenire l’ossidazione di molti farmaci.
FORMA RIDOTTA = FORMA OSSIDATA + e- + H+

Esempio:

L’adrenalina a pH 4 è circa due


volte più stabile che a pH 6
Metodi di protezione (2)

Aggiunta di agenti chelanti: i metalli pesanti eventualmente presenti nella


formulazione possono essere sequestrati mediante l’aggiunta di agenti chelanti come
L’EDTA, l’acido citrico, l’acido tartarico,… la scelta dell’agente chelante deve essere
oculata in quanto il complesso che si forma deve essere abbastanza stabile e non
deve comportarsi esso stesso come substrato per l’inizializzazione dei processi
radicalici con nel caso di EDTA-Fe.

Protezione dalla luce: se il processo ossidativo è indotto dalla luce, i prodotti


farmaceutici dovrebbero essere conservati in contenitori di vetro ambrato che sono
in grado di bloccare in parte le radiazioni elettromagnetiche nel campo UV-visibile.

Mantenere in frigo

Impiego di agenti antiossidanti (+ chelanti e sinergizzanti)


Aggiunta antiossidanti

Per sistemi acquosi


• acido ascorbico (0,05-3%)
• potassio/sodio metabisolfito
• sodio tiosolfato (0,05%)
• monotioglicerolo
Agenti capaci di neutralizzare i radicali

• Cisteina
• Tioglicerolo
• Acido tioglicolico
• Tiosorbitolo
antiossidanti possibili MeccanisMi d’azione

 Sostanze che si ossidano facilmente (acido ascorbico, solfiti)


 Sostanze facilmente convertibili in radicali liberi che fungono da
terminatori di catena (vit. E, ascorbil palmitato, monotioglicerolo)
 Sostanze riducenti, ripristinano l’attivo eventualmente ossidato (acido
ascorbico, monotioglicerolo)
Antiossidanti idrosolubili

•Sono adatti a soluzioni acquose, sono caratterizzati da potenziali di riduzione più bassi
rispetto alla sostanza da proteggere per cui realizzano una protezione sacrificale.
•Vengono spesso associati ad agenti chelanti che hanno la funzione di chelare i metalli
pesanti.

Largamente impiegato in preparazioni per uso


orale, si tratta di una sostanza facilmente
ossidabile per cui viene spesso associata ad
agenti chelanti.
L’agente chelante maggiormente impiegato è
l’EDTA in forma di sale sodico, la cui
concentrazione deve essere al massimo dello
0.075% al fine di interferire con l’omeostasi
cellulare.
Acido ascorbico/adrenalina

L’aggiunta di acido ascorbico, che ha


un basso valore di E0 permette di
prevenire l’ossidazione dell’adrenalina
(che ha un valore più alto di E0)
•Tra gli antiossidanti idrosolubili troviamo solfiti, bisolfiti e metabisolfiti di
sodio e potassio.

Si tratta di derivati dell’acido solforoso ed il loro uso


in campo farmaceutico è ammesso ma presenta un
inconveniente in quanto essi hanno una certa
tossicità, sono irritanti per la mucosa gastrica e se
assunti in dosi relativamente elevate producono un
effetto di tipo “cerchio alla testa”. Essi sono
ammessi nella realizzazione di forme farmaceutiche
topiche, preparazioni orali purché in piccole dosi,
come le gocce, o preparazioni iniettabili.
Antiossidanti liposolubili a catena
Reazioni

Essi bloccano le reazioni di ossidazione radicaliche in fase di propagazione.


Funzionano cedendo un idrogeno alla molecola lipidica e acquisendo su di sé la
funzione radicalica. Si forma una specie radicalica, però avendo l’antiossidante una
struttura aromatica, la funzione radicalica risulta delocalizzata su tutto l’anello e
quindi diventa meno reattiva e instabile.

R· + AntiOX-H → R-H + AntiOX· Purchè aggiunti prima


AntiOX· + AntiOX· → AntiOX-AntiOX che indice perossidi
AntiOX·+ R· → AntiOX-R sia a valori elevati!

Vengono spesso associati a sinergisti (o sinergizzanti), ovvero sostanze a carattere


acido quali l’acido citrico, il fosforico il tartarico,… che rendono più attivo
antiossidante con un meccanismo d’azione non noto, si suppone che agiscano sia
aiutando a ripristinare l’idrogeno dell’antiossidante sia come agenti sequestranti
dei metalli presenti in tracce. Essi vengono impiegati in concentrazioni comprese
tra 0.005-0.02%.
Esempi di antiossidanti
A) Per medicamenti idrofili:
• acido ascorbico 0,01-0,05 per cento;
• sodio idrosolfito 0,10-0,15 per cento;
• sodio bisolfito 0,1-0,15 per cento.

B) Per medicamenti lipofili:


• esteri dell'acido ascorbico 0,01-0,015 per cento;
• butilidrossianisolo 0,005-0,02 per cento;
• esteri dell'acido gallico 0,05-0,10 per cento;
• tocoferoli 0,05-0,075 per cento.
La luce può agire sulla formulazione apportando energia
sufficiente (10-200Kcal/mole) a causare una reazione di
degradazione del principio attivo (legame chimico 10-
100kcal/mole).
Esempi di farmaci che si degradano per fotolisi sono:
i calcioantagonisti, la clorpromazina, i corticosteroidi,
le cobalamine, le vitamine A e D, il
prednisolone, la riboflavina e l'adrenalina.
La velocità di reazione è funzione:
- dell'energia della luce incidente (più dannose 300-
400nm),
- della presenza e della concentrazione di catalizzatori.

N.B: I meccanismi di fotodecomposizione sono molto


complessi.
Fotolisi
n=frequenza h=costante di Plank (6,62 10-34 Joules) n =c/λ
E=hn

Energia visibile/ultravioletta assorbita 10-200 Kcal/mole (legame


chimico 10-100 Kcal/mole)
Degradazione dovuta all’assorbimento quantico di energia che innesca una reazione chimica.
Avviene attraverso meccanismi spesso complessi
• es.vitamine A e D, fenotiazina, clorpromazina, Vitamina A, prednisolone, riboflavina,
adrenalina

Clordiazepossido Ossiaziridina

Sistemi di protezione:
- contenitori di vetro ambrato (esclude
la luce con λ < 470 nm)
- rivestimento protettivo
Lunghezza d’onda e energia

Tipo di LUNGHEZZA ENERGIA


radiazione D’ONDA (kcal mol-1)
UV 50-400 nm 287-72
VISIBILE 400-750 nm 72-36
IR 750-10000 nm 36-1
METODI DI STABILIZZAZIONE
1) introducendo un componente stabilizzante specifico
rispetto alla reazione attivata dall'energia della luce
incidente (antiossidanti, tamponanti, ecc.).

2) conservazione al buio e sul confezionamento:

- Contenitori in VETRO AMBRATO di spessore sufficiente ad


assorbire le radiazioni a lunghezza d'onda dannosa per la
stabilità della sostanza (escludono la luce con lunghezza
d’onda inferiore a 470 nm)
- Contenitore secondario: cartone o alluminio.
- per una forma farmaceutica solida si adottano
confezionamenti protettivi come un BLISTER OPACO.
- Oppure sulla F.F: FILMATURA DI COMPRESSE (per es.
film di PVAc contenente ossibenzone che assorbe
nell’ultravioletto ed è efficace nel minimizzare lo
scoloramento e la decomposizione idrolitica della
sulfosodimina)
Molte sostanze impiegate nella pratica farmaceutica sono otticamente attive e
possono esistere in due forme stereochimiche.
L'attività terapeutica di un enantiomero è differente da quella dell'altro (in
genere la forma L- è la più attiva): quando avviene la racemizzazione si
ottiene l'interconversione di una forma otticamente attiva nella miscela
50:50 delle due forme senza modifica strutturale della molecola. Il farmaco
presenta ancora una attività farmacologica perché il 50% della forma attiva
è presente.
Pertanto la racemizzazione influenza profondamente l'attività del farmaco.
Tra le sostanze che più facilmente vanno incontro a fenomeni di
racemizzazione:
adrenalina, alcaloidi della segale cornuta,
atropina
pilocarpina,

tetracicline…(epimerizzazione: si forma miscela di tetraciclina e


l’epimero, in ambiente acido)
Racemizzazione
Cambiamento dell’attività ottica (levo, destro)
In genere la forma levo di un farmaco ha attività maggiore
È catalizzata da:
•Luce
•Calore
•Ioni H+e/o OH-

 Pilocarpina
 Tetracicline
 Epinefrina (l-epinefrina)
 Adrenalina
La velocità di racemizzazione
dipende:

 da parametri conformazionali della molecola (e


in particolare dalla natura dei sostituenti
dell'atomo di carbonio asimmetrico),
 dalla temperatura,
 dal pH
 dalla presenza della luce
(-) Adrenalina
• La racemizzazione della (-) adrenalina è
catalizzata dalla presenza di ioni idrogeno.
• A valori di pH 1-3 la racemizzazione
diventa un fattore importante nella
decomposizione del p.a.
Isomerizzazione
Isomeri di struttura o stereoisomeri (Diasteroisomeri cis-trans, enantiomeri)
•Luce
•Calore
•pH

Prostaglandina A2 Prostaglandina B2
Acido Cinnamico

 se i vari isomeri di un farmaco presentano attività diversa,


la trasformazione può portare a perdita di attività (es.
racemizzazione dell’adrenalina)
 le reazioni di isomerizzazione sono spesso catalizzate da
luce, calore, ioni H+ e OH-
Vitamina A
• Esempio di cis-trans isomerizzazione:
L’isomerizzazione della vitA porta isomeri
cis in posizione 2 e 6: attività minore della
molecola tutta trans.
POLIMERIZZAZIONE

Processo mediante il quale due o più molecole si combinano tra loro per
formare molecole più complesse

 es: ampicillina sodica (dimerizzazione in soluzioni concentrate)


• Es. Il legame lattamico molto reattivo della molecola di ampicillina si scinde per
reazione con la catena laterale di un’altra molecola di ampicillina. Si origina un
dimero.

Durante lo
stoccaggio!

Tendenza legata alla


basicità del gruppo
nella catena laterale

• Il processo può continuare e dare origine a polimeri ad alto peso molecolare. Tali
sostanze polimeriche posseggono proprietà antigeniche e vengono considerate come
responsabili delle reazioni allergiche dell’ampicillina nell’uomo.
Altre sostanze che polimerizzano:
 la formaldeide,
 alcuni eccipienti (es. acrilati)
• l’insulina (proteina->POLIMERO)
Decarbossilazione
Reazioni chimiche con altri componenti
(incompatibilità chimiche)

•Parabeni con dolcificanti o alcool


(metil-paraidrossibenzoato e sorbitolo)
• Aminofillina con basi di suppositori (in
supposte): formazione legami amidici tra
etilendiammina e -COOH degli acidi grassi
• Aspirina e PEG (in supposte): gruppo acetile si
trasferisce dall’aspirina al PEG
• reaz. Maillard: zuccheri riducenti e ammina
(lattosio, glucosio, fruttosio): imbrunimento

NB Compounding!
FORME di DOSAGGIO SOLIDE ORALI – SCHEMA di PREPARAZIONE

caratterizzazione - polveri grossolane MACINAZIONE


- polveri fini
VAGLIATURA
- polveri calibrate
MESCOLAZIONE
polveri mescolate
GRANULAZIONE SECCO / U UMIDO
granulato ESSICCAMENTO
PELLETTIZZAZIONE
pellets/beads
ripartizione

IMBUSTINAMENTO INCAPSULAZIONE COMPRESSIONE

bustine capsule compresse


CONFETTATURA

Capsule rivestite Compresse rivestite Confetti FILMATURA

prodotto finito confezionato CONFEZIONAMENTO


POLVERI

 Sistema eterogeneo composto da particelle


individuali casualmente interdisperse con spazi
d’aria.
 Sistema complesso virtualmente impossibile da
caratterizzare in termini di proprietà
fondamentali.
 Possibilità di disporre di misure semi-quantitative
di alcuni fattori importanti per il tecnologo.
UTILIZZO DELLE POLVERI IN CAMPO FARMACEUTICO

Forma farmaceutica a se
stante
Bustine monodose o capsule
riempite di polveri. Il materiale di partenza per la
Le polveri non costituiscono preparazione di altre forme
solamente una forma farmaceutiche o intermedi di
farmaceutica nella categoria produzione
dei solidi orali, ma possono Granulato si ottiene dalle
essere utilizzate anche per polveri, tramite un processo di
via inalatoria (polveri agglomerazione delle polveri.
inalatorie, DPI) o cutanea. La maggior parte delle altre
Base per preparazione forme farmaceutiche che non
estemporanee di soluzioni ad rientrano nella categoria dei
uso parenterale. solidi orali, sono comunque
preparate a partire da qualche
componente in polvere.
Classificazione delle polveri in base alle dimensioni

• Polveri micronizzate 0.5-10 μm


• Polveri fini 10-150 μm
• Polveri grossolane 150-1000 μm
• Aggregati > 1000 μm

N. B. In campo farmaceutico non esiste


un campione di polveri costituito da
particelle tutte di taglia uguale (polveri
monodisperse), ma in ogni campione
troveremo particelle di taglie differenti
(polveri polidisperse). Nella maggior parte
dei casi è il grado di polidispersione che
determina la qualità del prodotto finale.
Proprietà delle polveri

particelle considerate particelle considerate nel


individualmente loro insieme (bulk properties)

Proprietà della singola particella


- forma, dimensione, porosità,
area superficiale

Proprietà della polvere nel suo insieme


- scorrevolezza
- area superficiale specifica (ASS)
- densità apparente
PROPRIETA’ DELLE POLVERI

Le proprietà possono essere anche distinte in

fondamentali derivate

•Scorrevolezza;
•Forma; •Densità apparente;
•Dimensione •Assestamento;
(taglia); •Porosità;
•Area superficiale; • Flusso
•Igroscopicità;
•Cristallinità e
polimorfismo;
•Adesività.
PROPRIETA’ DELLE POLVERI: CRISTALLINITÀ E POLIMORFISMO
PROPRIETA’ DELLE POLVERI:

•Velocità di dissoluzione e solubilità apparente;


•Stabilità (tendenza a ricristallizzazione in forme più stabili);
•Proprietà termodinamiche (punto di fusione, punto di sublimazione, capacità
termica, entalpia, ecc.);
•Proprietà meccaniche;
•Proprietà superficiali;
•Densità;
•Igroscopicità.

In campo farmaceutico, il passaggio da una forma polimorfica all’altra


potrebbe avvenire in seguito ad una serie di processi tecnologici quali:

•Macinazione
•Compressione
•Granulazione
•Atomizzazione
•Liofilizzazione
•Essiccamento
Proprietà delle singole particelle

Dimensione e forma

Dalle dimensione delle particelle dipendono l’assestamento, la porosità, la densità


e lo scorrimento delle polveri

Le particelle che costituiscono le polveri sono eterogenee


forma e superficie irregolari
non hanno una dimensione omogenea
Intervallo dimensionale (particle size distribution)

Granulometria (Micromeritics)
Proprietà delle polveri : dimensione

L’analisi granulometrica consente di determinare le dimensioni delle particelle che


compongono una polvere e la loro distribuzione fra varie classi dimensionali.

•Setacci;
•Velocità di
sedimentazione;
Le dimensioni •Velocità di dissoluzione;
•Microscopio
hanno •Scorrevolezza;
ottico;
influenza: •Penetrazione nelle vie
•Contatore di
aeree
particelle (Coulter
•Cinetica di rilascio
Counter);
•Diffrazione laser.

Le dimensioni sono espresse per mezzo di una unità lineare indicata


come “diametro”
L’analisi dimensionale può avvenire con:

Metodi indiretti:
Metodi diretti:
Sedimentazione
Stacci
Permeabilità
Microscopio
Coulter counter

Consente di determinare l’omogeneità del sistema


La setacciatura è il metodo più semplice. In campo farmaceutico è impiegato per
materiali grossolani, diciamo con diametro medio maggiore di 200-250mm (polveri
grossolane, granulati, pellets).

Polveri troppo fini non possono essere analizzate


efficacemente poiché tendono ad aderire al setaccio.

Nell’analisi con i setacci una ben determinata


quantità di campione viene posta su di una
colonna di setacci a taglia via via decrescente.
La colonna viene fatta vibrare per un tempo
determinato. Si determina poi la quantità di
campione che rimane in ogni setaccio.
ANALISI CON IL MICROSCOPIO

Microscopio ottico ordinario


l’intervallo di misura delle particelle
va da 0,5 a 100mm. La misura
rilevata può essere riferita a più di un
diametro equivalente.

Il microscopio a scansione di
elettroni e quello a trasmissione di
elettroni portano i limiti inferiori di analisi
a valori molto più bassi di quelli permessi dal
microscopio ottico.
Diametro equivalente

Le polveri farmaceutiche sono differenti per forma, superficie e


dimensione. Le particelle, di norma, hanno forma irregolare ma
vengono assimilate a sfere. Si definisce quindi il diametro sferico
equivalente

Il diametro sferico equivalente di un oggetto di forma irregolare è


il diametro di una ipotetica sfera che rappresenta, per quanto
riguarda una certa proprietà, l'equivalente dell'oggetto considerato.
Diametro Sferico Equivalente
E’ il diametro della sfera che ha una dimensione (volume, superficie,
proiezione) equivalente alla dimensione (volume, superficie,
proiezione) della particella in esame

Simbolo Nome definizione


dv Diametro volume Diametro di una sfera con lo steso volume
della particella
ds Diametro superficie Diametro di una sfera con la stessa
superficie della particella
da Diametro area Diametro di un cerchio con area uguale
proiettata all’area proiettata della particella
dt Diametro di Diametro di una sfera che ha la stessa
sedimentazione densità e la stessa velocità di
sedimentazione della particella in un fluido
con la stesa viscosità e densità
dA Diametro setaccio Ampiezza della minima apertura attraverso
cui passa la particella
Ipoteticamente

Se la particella Dimensione: diametro (d)


fosse una sfera

Superficie s= d2
Volume v=  d3/6
Densità =p/v

Non può essere definita in


Nel caso di una particella irregolare, modo univoco da una sola
non sferica grandezza

Diametro Sferico Equivalente


superficie proiettata da una particella di forma
irregolare e superficie ideale equivalente alla
proiezione di diametro da (le due superfici sono
equivalenti).

Il diametro di Feret (dF) è


definito come la distanza tra
le due parallele tangenti al
perimetro dell'area proiettata
dalla particella.

Diametro di Martin. La
superficie A e la superficie
B sono equivalenti.
Particella avente lo
stesso diametro sferico
equivalente della maglia
del setaccio utilizzato.
Analisi al microscopio ottico
 Range: 0,2- 100 
 Campione disperso (sospensione) su di un vetrino.
 Obiettivi muniti di scala micrometrica
 Possibilità di proiettare su uno schermo.
 Possibilità di prendere fotografie.
 Sistemi a lettura automatica e computerizzata (costosi).

 Generalmente si indica il range entro il quale è


compresa la particella.
 Si contano almeno 625 particelle (British
Standard)
 Si utilizzano più obiettivi per poter valutare
dimensioni anche molto diverse fra loro.
 Esecuzione semplice ma lunga e noiosa
 Valutazione di due sole dimensioni: Lunghezza e
Larghezza, nessuna informazione sullo spessore
 - Distribuzione in numero

analisi al microscopio generalmente eseguita in via preliminare, es. per la verifica della presenza di
aggregati di particelle, ed anche per guidare la scelta del metodo piu’ adatto all’analisi e/o dei
parametri operativi dell’analisi stessa.
MICROSCOPIO OTTICO

gazza
MICROSCOPIO OTTICO

gazza
MICROSCOPIO OTTICO

! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! !
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 12
MICROSCOPIO OTTICO

gazza
MICROSCOPIO OTTICO
MICROSCOPIO OTTICO

! ! ! ! ! ! ! ! ! ! ! !
0 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 12
MICROSCOPIO OTTICO
MICROSCOPIO OTTICO

7 6 5 4 3 2 1

7 6 5 4 3 2 1
MICROSCOPIO OTTICO

1 .s
• ••• •' •' •
l

() o e'
o
o

Q, O· o. o. o. o . o,

Clo-.u Cguf>ted : 7- 6 BB
6- 5

- 41

gazza
Classe Media della Numero % in numero
granulometrica Classe particelle
granulometrica contate
4-8 6 5 1,92
8-12 10 15 5,75
12-16 14 46 17,62
16-20 18 68 26,05
20-24 22 58 22,22
24-28 26 32 12,26
28-32 30 22 8,43
32-36 34 10 3,83
36-40 38 2 0,77
40-44 42 2 0,77
44-48 46 0 0,00
48-52 50 1 0,38
261 100
Pipetta di Andreasen

Per determinare h e t, si utilizza la pipetta di


Andreasen, costituita da un cilindro da 550 cc
graduato (da 0 a 20 cm) in vetro, con collo
conico a smerigliatura normalizzata, tappo
speciale, rubinetto a due vie e capillare adatto
al passaggio di sedimenti con diametro
inferiore a 60 mm. La pipetta aspira
esattamente in corrispondenza dello 0, e
comunica con un rubinetto a due vie che
permette di versare il suo contenuto in
un'ampolla da 10 ml da cui verrà prelevata la
sospensione per determinare la quantità di
solido in essa contenuta.
1) La pipetta viene agitata in modo da essere certi che la sospensione sia
omogenea.

2) Dopo un determinato intervallo di tempo si preleva un campione di


sospensione volume noto: con una pompetta applicata ad A, si aspira la
sospensione; poi si apre il rubinetto B e si fa uscire la sospensione da C. Il
campione così prelevato conterrà particelle che non hanno ancora superato
la linea dello zero

3) L’operazione viene ripetuta ad intervalli di tempo stabiliti, avendo


l’attenzione di leggere la diminuzione di volume (e quindi di h) determinata
da ogni prelievo.

4) Ogni frazione raccolta contiene una quantità particelle con diametro


aventi diametro medio inferiore alla frazione precedente, il cui valore può
essere determinato dalla legge di Stokes

5) Il numero di particelle contenuto in ogni frazione si potrà calcolare per


pesata dopo aver eliminato il liquido
Coulter counter
Strumento per la misura -indiretta- delle dimensioni delle particelle di
una polvere.

Lo strumento è costituito da un elettrodo riempito con una sospensione molto


diluita della polvere da analizzare: un foro nella parete dell’elettrodo mette in
contatto la sospensione con una soluzione salina esterna.
Ogni volta che una particella passa attraverso il foro si
registra un elevato incremento della resistenza elettrica
(la particella trasmette la corrente peggio della soluzione
salina). Poiché solo le particelle con dimensioni inferiori a
quelle del foro potranno passare, il numero di incrementi
della resistenza nell’unità di tempo saranno funzione del
numero di particelle inferiori ad un certo diametro
presenti nella sospensione
Porosità
La particelle di polvere sono costituite da materiale solido intervallato
a vuoti-detti pori.
La porosità dipende dallo stato cristallino della polvere e dal modo in
cui è stata ottenuta: tipo di estratto, tecnica di essiccatura, tipo di
molino utilizzato per la polverizzazione
Porosità

Vv Vv volume totale degli spazi vuoti


 (% )   100
Vb Vb volume in bulk
Vt volume vero

Vv = Vb - Vt


Vb Vt  Vt 
 (%)  100  1   100
Vb  Vb 
Relazioni Massa-Volume

Massa facilmente determinabile


Volume più difficilmente determinabile

 VUOTI INTERPARTICELLARI
 VUOTI INTRAPARTICELLARI (open/closed)

Quanti volumi può avere una polvere?


Almeno tre diverse interpretazioni del volume di una polvere
 True volume (Vt)

 Granular volume (Vg)

 Bulk volume (Vb)


Vt volume totale delle particelle di solido che esclude
gli spazi più grandi delle dimensioni molecolari

 valore caratteristico per ogni materiale

Vg volume cumulativo totale occupato dalle particelle


che include i vuoti intraparticellari (non quelli
interparticellari)
 dipende dal metodo usato per la sua
determinazione

Vb volume occupato dall’intera massa di polvere


sottoposta a particolari condizioni di
impaccamento
 procedure standard di packing
 dipende dal metodo usato
La porosità di una polvere ne determina la densità (d=m/v).
Possiamo definire 3 diverse densità per una polvere:
1) Densità vera (ρp): si misura grazie al picnometro a mercurio o ad
elio e tiene conto solo degli spazi pieni (esclusi pori e spazio
interparticellare)
2) Densità granulare (ρg): si misura utilizzando un picnometro a
liquido e considera la particella nel suo insieme senza escludere i
pori

3) Densità apparente (ρb): si misura con la camera di Scott è


affetta dai pori e dallo spazio interstiziale
DENSITA’ VERA E
DENSITA’ APPARENTE
• La densità vera ρv è il rapporto fra la massa m ed il volume vero V del
solo materiale solido con esclusione dei pori intra e inter-particellari,
presenti nelle singole particelle e degli spazi fra le particelle.
Il volume vero può essere misurato con un picnometro a elio perché l’elio è
in grado di penetrare in pori piccolissimi.

• ρ v = m/v [g/cm3]

La densità apparente è data dal rapporto fra la massa m ed il suo


volume apparente Va che comprende anche i pori e gli spazi nelle
particelle con un diametro inferiore a 15 μm.
Impaccamento polvere
Il volume apparente di una polvere
rappresenta lo spazio occupato da una
determinata quantità di polvere, che ha
riempito per caduta un recipiente di forma
e volume prestabiliti (camera di SCOTT).Si
esprime in cm³ / 100 g di polvere.

Il recipiente viene poi sottoposto a 10, 500 e 1250 colpi e il


volume occupato dalla polvere dopo ogni serie viene misurato
e indicato come V10, V500 e V1250 rispettivamente.
La differenza V10-V500 indica la capacità di impaccamento
della polvere
m
Densità 
V
t  m densità vera
Vt
m
g  densità granulare
Vg
m
b  densità in bulk
Vb

 densita’ del campione in specifiche


Densità relativa r  condizioni sperimentali

t densita’ vera
In funzione della forma e della dimensione delle particelle, cambia la
capacità della polvere di scorrere:
1) Particelle di grandi dimensioni e di forma sferica avranno minore tendenza
ad aderire tra di loro e maggiore tendenza a scorrere sotto l’effetto della
forza di gravità
2) Le forme irregolari determinano minore scorrevolezza e le piccole
dimensioni portano ad un impaccamento compatto e stabile

Anche in questo caso è preferibile un campione fortemente omogeneo; una


grande eterogeneità in forma e dimensione delle particelle si rifletta in un
comportamento irregolare e poco riproducibile della polvere allo scorrimento
Interfaccia solido-aria

Atomi o ioni localizzati alla superficie delle particelle esposti ad una


differente distribuzione delle forze di legame intra/intermolecolari
rispetto a quelli dentro le particelle

Energia libera superficiale

“non soddisfatta” forza di attrazione molecolare, che


tende ad estendersi per piccole distanze verso l’esterno
può essere associata ad atomi e ioni che stanno in
superficie

le particelle sufficientemente vicine si attraggono e


tendono a stare attaccate le une alle altre

 coesione
 adesione
Coesione attrazione fra particelle dello stesso tipo

Adesione attrazione fra particelle di tipo diverso


• Entrambe hanno influenza delle proprietà della polvere

•  resistenza al movimento delle particelle che la


costituiscono

 scorrimento (dispositivi di alimentazione


INFLUENZA -
 riempimento)
DIRETTA
miscelazione
 compressione
Resistenza al movimento differenziale delle
particelle influenzato anche da

 presenza di forze elettrostatiche (frizioni interne)

 strato di umidità assorbita

 dissipazione delle cariche elettrostatiche

 formazione di “ponti” liquidi fra una


particelle e l’altra (tensione superficiale - capillarità)
Caratteristiche di scorrimento delle polveri
influenzate da…….
 proprietà delle polveri
 apparecchiature impiegate

Equilibrio tra le forze che favoriscono lo


scorrimento (Fs) e le forze che lo contrastano (Fc)

 Fs =  Fc
Fs  forza di gravità
 densità vera delle particelle
 inclinazione del piano

Fc  forze di coesione ed adesione


Questi contributi non possono essere valutati
distintamente, ma esistono tecniche sperimentali per
“quantizzare” la resistenza delle particelle al movimento.

Metodi sperimentali per valutare la resistenza


delle particelle al movimento o la loro scorrevolezza

1. metodi statici o indiretti


 misurano un determinato parametro
quando la polvere ha raggiunto una
posizione di stasi

2. metodi dinamici o diretti


 misurano un determinato parametro
quando la polvere e’ in movimento
Metodi indiretti
Angolo di riposo
2h
tan  
D
25 <  < 40

è funzione delle proprietà coesive e frizionali di un


letto di polvere sottoposto a piccoli carichi esterni
(riempimento capsule, mixing, ………)

 polveri coesive hanno elevato angolo di riposo


 metodo attendibile solo per polveri di facile scorrimento

 metodo non particolarmente riproducibile a causa degli


urti tra le particelle che influiscono sulla forma del cono
Flusso di una polvere
La velocità di scorrimento viene espressa in
secondi o decimi di secondo, riferita a 100 g di
campione.
• Dinamico- Flusso attraverso un orifizio (F.U)
La misura si basa sul passaggio della polvere
attraverso un foro circolare di diametro noto.
Si possono distinguere 3 varianti della misura:
• Misura del tempo totale di passaggio
attraverso il foro circolare
• Misura della velocità di
passaggio/scorrimento (Q) attraverso il foro
circolare (F.U. XI)
• Determinazione del diametro minimo del foro
che permette il passaggio
In tutti i casi abbiamo un cono che dispone nella
parte bassa di un foro circolare.
METODO DELL’ANGOLO DI RIPOSO
ll campione viene caricato all'interno di un
imbuto e fatto defluire, con opportuni
accorgimenti, su una superficie piana.
Si calcola successivamente l'angolo del cono
rispetto alla superficie piana.
La determinazione si basa sulla
considerazione che, in seguito alla formazione
di un cono con il materiale analizzato, questo
presenterà un
angolo alla base tanto maggiore quanto
minore è la sua fluidità.

POLVERI COESIVE ALTO ANGOLO DI RIPOSO


Misura della scorrevolezza

La misura della scorrevolezza di una polvere viene effettuata in modo


piuttosto semplice:
Attraverso un imbuto, si versa della polvere all’interno di una superficie
circolare di diametro stabilito. Una volta versata la quantità sufficiente a
coprire l’area circolare si misura l’altezza del cono di polvere generata.

Maggiore la scorrevolezza, minore l’altezza del cono

Polveri fini e di forma non sferica tenderanno a restare impilate


formando alte colonne di base stretta.
IGROSCOPICITA’ DELLE POLVERI
• Per umidità di un ambiente si indica sempre l’acqua presente
allo stato gassoso.
L’umidità relativa è legata alla temperatura ed esprime il
rapporto esistente fra il percento di vapor d’acqua presente
e quello che ci sarebbe alla saturazione alla stessa temperatura.

L’umidità assoluta dà la quantità di vapor d’acqua presente


nell’aria espressa in g per m3 d’aria o come pressione parziale
del vapor d’acqua espressa in Torr.
Quando un materiale assorbe vapor d’acqua dall’atmosfera e
passa da una forma più idratata ma sempre solida, si dice che
il materiale è igroscopico.
Se invece la forma più idratata comporta la formazione di una
fase liquida allora il materiale è detto deliquescente.
Indice di compressibilità

indica la facilità con cui un materiale può essere indotto a


scorrere
 V 
I  1    100
 Vo 

V volume del campione sottoposto a


“tapping” standard
Vo volume del campione prima del
“tapping”
I < 15% buone caratteristiche di flusso
I > 25% cattive caratteristiche di flusso
Velocità di flusso (Q)

La resistenza al movimento delle particelle


(specialmente per polveri con bassa coesione) puo’
essere determinata misurando la velocità di flusso
(Q) attraverso un orifizio circolare

 Q influenzata dalle dimensioni delle particelle

Per miscele costituite da diverse frazioni


granulometriche esiste spesso un rapporto ottimale che
conduce alla massima velocità di flusso
MESCOLAMENTO DI POLVERI
Scopo del mescolamento è di ottenere una distribuzione omogenea
di due o più polveri senza che esse subiscano mutamenti fisici o
chimici.
Da un punto di vista teorico, e nel caso di due polveri, la
distribuzione è omogenea quando ogni particella di una polvere è
circondata solo da particelle dell’altra
polvere.

FATTORI IMPORTANTI PER LA FORMAZIONE DI MISCELE


OMOGENEE SONO:
1. Dimensione e forma delle particelle
2. Densità
3. Uguale rapporto in peso fra i componenti
La MACINAZIONE è un meccanismo di riduzione dimensionale delle
particelle di un oggetto solido, usata non solo in farmacia, e si ottiene
mediante dei processi meccanici. La macinazione consente, oltre
ovviamente la riduzione particellare, di aumentare l'area superficiale ed
il numero di particelle per unità di massa di un farmaco
Abbiamo 3 processi meccanici divisi in base alla grandezza delle
particelle che vogliamo ottenere:

FRANTUMAZIONE Riduzione del materiale in frammenti


grossolani operazione poco utilizzata nell’’industria
farmaceutica

POLVERIZZAZIONE Riduzione del materiale fino a 100 μm,


Forte sviluppo di calore, Molini,

MICRONIZZAZIONE: si ha la riduzione delle particelle in dimensioni di


alcuni micron
Tecniche di polverizzazione
Al fine di ridurre le dimensioni di materiale solido, vengono sfruttate differenti
tecniche di polverizzazione e differenti tipologie di molini che sfruttano forze
differenti per sminuzzare il materiale di partenza.

Operativamente, i mulini possono lavorare a ciclo aperto o chiuso, a seconda che la


riduzione delle particelle sia eseguita con o senza interruzioni.

•forze di impatto: agiscono perpendicolarmente alla superficie del solido in modo


impulsivo;

•forze di attrito: agiscono tangenzialmente alla superficie del solido;

•forze di taglio: quando un solido è veicolato da un liquido i cui strati si muovono in una
stessa direzione con velocità diverse, si trova sottoposto a più forze di taglio che lo
sollecitano frantumandolo (su questo principio si basa il mulino colloidale)

•forze di pressione: sono forze simili a quelle di impatto, la cui durata è però prolungata
nel tempo;
Molino a sfere: attrito+impatto

E’ costituito da un recipiente cilindrico riempito per il 30% del suo


volume da elementi macinanti = sfere libere di muoversi; ambedue
possono essere in metallo o porcellana.
presenta una
VELOCITA’ CRITICA DI MACINAZIONE

quando la forza centrifuga degli elementi di macinazione diventa più


elevata della forza di gravità

La velocità di rotazione ottimale è 60-80% della velocità critica, il carico utile è 60% del
volume totale

LA VELOCITA’ CRITICA W espressa in radianti al minuto può essere


calcolata mediante la seguente equazione:

Fg (forza gravitazionale) = Fc (Forza centrifuga)

R =raggio cilindro
r=raggio particelle

𝑔
Ω= ൗ 𝑅−𝑟
MOLINO A ENERGIA FLUIDA
Molino a letto fluido: attrito+impatto

Quando una particella di polvere ne colpisce


un'altra con elevata velocità, quest'ultima
subisce una deformazione plastica. Quando la
particella urtante rimbalza, alla deformazione
si accompagnano fratture laterali, e la
particella colpita è scheggiata. In una
situazione pratica, centinaia di migliaia di
particelle sono accelerate da un getto d'aria ad
alta pressione e proiettate una contro l'altra
alla velocità di 700 km/h.

Le macchine ad impatto, oltre che piuttosto ingombranti,


richiedono un'enorme quantità di aria compressa, però sono molto
efficienti e non provocano riscaldamento delle polveri; per questa
ragione sono molto diffuse nelle industrie farmaceutiche.
Nel mulino a energia fluida, le particelle da
polverizzare vengono trascinate da una violenta
corrente d'aria in una camera progettata in modo
che subiscano un gran numero di urti reciproci.
Via via che le dimensioni delle particelle si riducono,
quelle di minore dimensione ruotano più vicine alla
parete interna della camera

La forza centripeta esercitata permette di


determinare le dimensioni della polvere che si
ottiene

F = m · v2/R R = m · v2/F
Altri tipi di molini

Molino a cilindri
mulino a lame Due cilindri o rulli a distanza regolabile

mulino a martello
Le caratteristiche specifiche dei vari mulini possono essere riassunte nella tabella
seguente.

DIMENSIONI
MULINO AZIONE ADATTO INADATTO
POLVERI

droghe vegetali
coltello o lame taglio 850-200 e animali, materiali friabili
grezze e fibrose

attrito e materiale
sfere 850-75 solidi soffici
impatto abrasivo
martelli impatto 40-20 quasi tutte solidi soffici
materiale materiale
cilindri pressione 850-75
soffice abrasivo
materiale
attrito e materiale poco
energia fluida 30-1 morbido e
impatto friabile
abrasivo
materiale
colloidale taglio e vortici 100-1 disperso in un materiali secchi
fluido
MACINAZIONE

Processo che sviluppa energia


potrebbe determinare

Interconversione tra polimorfi


Degradazioni
Formazione di cariche elettrostatiche superficiali
Peggioramento bagnabilità
Formazione di particelle troppo fini
Rischio di esplosione per composti facilmente ossidabili per reazione
con ossigeno atmosferico
Operazione farmaceutica che porta all’ottenimento di un granulato

Trasformazione di particelle di polveri in aggregati solidi (granuli) dotati di


proprie caratteristiche di resistenza e porosità

stadio intermedio per la preparazione di compresse


ripartito tal quale in bustine
ripartito tal quale in capsule
preparazione estemporanea di soluzioni, sospensioni
 Migliorare le proprietà di flusso e di comprimibilità
 Aumentare la densità
 Migliorare l’uniformità di contenuto
 Controllare la velocità di dissoluzione dell’attivo
 Facilitare le operazioni di pesata o di misurazione in volume
 Diminuire la produzione di poveri sottili (ambiente e personale)
 Migliorare l’aspetto delle compresse
RAZIONALI
– Riduzione volume apparente
-Migliore conservazione della omogeneità della miscela
-Migliore attitudine alla compressione/compattazione
-Miglioramento bagnabilità (leganti idrofili, tensioattivi, … velocità di
dissoluzione)

• Granulazione per compattazione a secco (compression


granulation)
• Granulazione ad umido
• Granulazione per fusione
GRANULAZIONE PER COMPATTAZIONE

FASI:
- Pesata
- Miscelazione
- Compattazione precompressione
Uno dei componenti deve
avere proprietà coesive

-Frantumazione (sgranatura)
… queste due
Granulazione operazioni possono
vera e propria avvenire nella stessa
macchina
- Calibrazione [setacci]

- Ripartizione del granulato in compresse, capsule e bustine


Compattazione:
mediante l’uso di una comprimitrice

Punzone superiore

scarpa

matrice

Punzone inferiore

Punzoni piatti di grande diametro formelle o “slugs”


Normali comprimitrici eventualmente dotate di caricamento forzato. Punzoni piatti di grande
diametro

FASI:
-Miscelazione attivo ed eccipienti
-Eventuale uso di lubrificante
-Compattazione
-Frantumazione dei compatti e passaggio forzato attraverso una rete/setaccio
[sgranatura]
-Ottenimento granuli

Se l’obiettivo è l’ottenimento di
compresse si procede ad una
eventuale ulteriore miscelazione con
lubrificante seguita dalle operazioni di
tabletting
Tradizionalmente usata soprattutto nel processo di
preparazione delle compresse
– si può arrivare ad ottenere granuli con requisiti fisici in
genere ottimali per il successivo processo di compressione

- Pesata
- Miscelazione Leganti
- Bagnatura (solvente o soluzione legante) - Amido, gelatina, PVP,
- Impasto zuccheri, gomme, derivati
- Granulazione (damp screening) cellulosa …
- Essiccamento … solventi tal quali – molto
- Setacciatura, classificazione (dry raramente solventi organici
screening)
1- Aggiunta di solvente formazione di ponti liquidi PENDULAR STATE

2- Maggior quantità di solvente aumento della resistenza dei granuli FUNICOLAR STATE

3- Proseguendo nell’impasto gli spazi vuoti sono completamente eliminati CAPILLARY


STATE

4- Ulteriore aggiunta di solvente gocce- struttura più debole DROPLET STATE


da evitare
CAPILLARY STATE

Coincide con la massima resistenza dei granuli e


costituisce necessariamente lo stadio attraverso cui
passare per rendere ottimale un processo di
granulazione.
La coesione é determinata da forze interfacciali e da
pressione capillare negativa.
Durante l’essiccamento possono formarsi ponti solidi per la
presenza di sostanze leganti disciolte nel solvente o
componenti solubili che vanno in soluzione nel solvente

I ponti solidi determinano la resistenza meccanica dei


granuli (durezza)

Basse quantità di umidità residua talvolta ottimizzano la


resistenza dei granuli inoltre possono contribuire a
determinare il potenziale lubrificante del granulato.
… generalmente il processo di granulazione, soprattutto quello a
umido, porta ad un migliore attitudine alla compattazione

….le sostanze leganti localizzate alla superficie del


granulo tendono a conferire proprietà di coesione

… la possibile migrazione di componenti solubili alla superficie durante


l’essiccamento può portare alla formazione di una zona esterna atipica rispetto
al resto del granulo.

… questo può essere ridotto aumentando la viscosità del liquido bagnante o


applicando essiccamenti rapidi

… miglioramento o peggioramento delle caratteristiche di consolidamento.


resistenza impasto o
sforzo di torsione

end point

volume liquido legante aggiunto


Granulazione per fusione

L’attività legante e’ affidata a sostanze basso–fondenti [es polimeri (PEG), cere …]


aggiunte allo stato liquido o portate alla fusione “in situ” dopo miscelazione con gli
altri componenti
 Scorrevolezza (Flow) bulk
 Assestamento (Packing)

Porosità (Porosity)
Resistenza-Friabilità (Strength) Proprietà dei granuli

 Densità
 Area superficiale (raramente misurata)
 Forma e distribuzione granulometrica

… i granuli devono poter essere sottoposti alle normali operazioni


(miscelazione- trasporto) senza produrre grandi quantità di polveri
ABRASION STRENGTH (friabilità)

Il test prevede
che i granuli siano sottoposti ad una serie di stress
meccanici standardizzati e si va a valutare la quantità
di polvere fine prodotta, cambiamenti nel particle size.

friabilometro Roche
Caratteristiche di granuli

Dipendono da:
➢ componenti della formulazione e della loro concentrazione
➢ tipo di procedimento di granulazione impiegato

Resistenza dei granuli tipo e quantità di leganti

Influenza la disgregazione del granuli e di conseguenza la velocità di dissoluzione


dell’attivo
STRENGTH GRANULES

RESISTENZA DEI GRANULI

I granuli devono poter essere sottoposti alle normali


operazioni (miscelazione-trasporto) senza produrre
grandi quantità di polveri per rottura

Sotto un certo valore di resistenza meccanica: buon


consolidamento dei granuli per compressione ma
possibilità di danneggiamento…

Sopra un certo valore di resistenza: buon handling ma


possibilità di ottenere compresse deboli (poco
consolidate), granuli troppo duri mantengono la loro
“identità” anche dopo essere stati compattati.
COMPRESSE
FORME FARMACEUTICHE ORALI
COMPRESSE
(F.U. XI):
 compresse non rivestite

 compresse rivestite
 compresse effervescenti
 compresse solubili
 compresse dispersibili
 compresse orodispersibili
 compresse a rilascio modificato
 compresse gastroresistenti
 compresse da utilizzare nella cavità buccale
Attività formulativa

Primi Obiettivi

 scorrevolezza della miscela di polveri


 omogeneità di distribuzione del principio attivo
 proprietà di compattazione della miscela di polveri

composizione quali-quantitativa
PRINCIPIO ATTIVO ECCIPIENTI Diluenti
Leganti
Glidanti
Lubrificanti
Antiaderenti
Disgreganti
Tensioattivi
DILUENTI
… comunemente usati: …… amido,
Potrebbe essere indispensabile utilizzare:
•Lattosio, Calcio Fosfato
Bibasico, Cellulosa
un particolare range Microcristallina,
dimensionale (area superficiale specifica) Saccarosio, Mannitolo ...

una particolare forma fisica buone caratteristiche di


(polimorfismo, habitus, forma particelle) scorrevolezza e di compattazione

implicazioni biofarmaceutiche
(biodisponibilità) implicazioni biofarmaceutiche
(la solubilita’ dei singoli diluenti
tecnologiche puo’ influire sulla velocita’ di
(scorrevolezza, compattazione) dissoluzione dell’attivo)
Plasma level (mcg/ml)

30
Ibuprofen (Dvs= 5 mm) 300 mg
conventional tablets

20 Ibuprofen (Dvs= 11.5 mm) 300 mg


conventional tablets

10

0
0 5 10 15
time (h)

Livelli plasmatici di ibuprofene in seguito alla somministrazione di


compresse contenenti principio attivo a diversa granulometria.
ECCIPIENTI
• GLI ECCIPIENTI VENGONO USATI PER DARE FUNZIONALITÀ ALLA FORMULAZIONE.

classificazione degli eccipienti

- Costituzione : per avere una massa di principio attivo appropriata nella preparazione del prodotto
finito;
- Produzione: per facilitare i processi tecnologici di fabbricazione del prodotto finito;
- Liberazione (biofarmaceutica): per modulare il rilascio del principio attivo dalla preparazione
farmaceutica;
- Conservazione: per preservare le caratteristiche chimiche, fisiche, microbiologiche, tossicologiche e
terapeutiche del prodotto finito, in riferimento al sistema contenitore-chiusura (stabilità della
preparazione farmaceutica);
- Presentazione: per favorire il gradimento da parte del paziente.
• GLI ECCIPIENTI CHE SVOLGONO UN RUOLO COSTITUTIVO SONO:
• - DILUENTI: SOSTANZE CAPACI DI CONFERIRE UNA MASSA ADEGUATA PER LA PREPARAZIONE E
LA SOMMINISTRAZIONE DELLA FORMULAZIONE FARMACEUTICA;
• - ASSORBENTI: SOSTANZE CHE ASSORBONO L’UMIDITÀ E FAVORISCONO LA CONSERVAZIONE
DEL MEDICINALE;
• - ADSORBENTI: POLVERI FINEMENTE SUDDIVISE CAPACI DI ADSORBIRE GAS, TOSSINE E BATTERI.
• GLI ECCIPIENTI CHE SVOLGONO UN RUOLO PRODUTTIVO SONO:

• - LUBRIFICANTI: SOSTANZE IN GRADO DI PREVENIRE L’ADESIONE DELLE POLVERI DA COMPRIMERE ALLA SUPERFICIE
DELLA MATRICE E DEI PUNZONI, RIDUCENDO LE FRIZIONI E FACILITANDO L’ESPULSIONE DELLE COMPRESSE DALLA
MATRICE. I LUBRIFICANTI POSSONO ESSERE DISTINTI IN ANTIADERENTI (LIMITANO L’ADESIONE DEL MATERIALE ALLE
PARTI METALLICHE) O ANTIFRIZIONE (RIDUCONO LE FRIZIONI TRA METALLO E MATERIALE);

• - LEGANTI: SOSTANZE NECESSARIE ALLA FORMAZIONE DEI GRANULI E DELLE COMPRESSE, CHE IMPARTISCONO
QUINDI COESIONE ALLE POLVERI;

• - GLIDANTI: O AGENTI DI SCORREVOLEZZA. SOSTANZE CHE MIGLIORANO LE CARATTERISTICHE DI FLUSSO DI MISCELE


DI POLVERI MEDIANTE LA RIDUZIONE DELLE FRIZIONI TRA PARTICELLE;

• - PLASTICIZZANTI: SOSTANZE UTILIZZATE NELLA PREPARAZIONE DELLE CAPSULE, O DEI FILM, CAPACI DI CONFERIRE
CARATTERISTICHE DI ELASTICITÀ E PLASTICITÀ;

• - TENSIOATTIVI: SOSTANZE IN GRADO DI ABBASSARE LA TENSIONE SUPERFICIALE DEI LIQUIDI, IMPIEGATE


SOPRATTUTTO COME STABILIZZANTI DELLE FORME FARMACEUTICHE LIQUIDE E SEMISOLIDE;

• - UMETTANTI: SOSTANZE UTILIZZATE PER RIDURRE L’EVAPORAZIONE DELL’ACQUA O FAVORIRE IL MANTENIMENTO DI


UN LIVELLO COSTANTE DI UMIDITÀ;

• - VISCOSIZZANTI: SOSTANZE UTILIZZATE IN PREPARAZIONI FARMACEUTICHE LIQUIDE (EMULSIONI E SOSPENSIONI) PER


AUMENTARNE LA VISCOSITÀ E, CONSEGUENTEMENTE, LA STABILITÀ ALLA SEDIMENTAZIONE.
• GLI ECCIPIENTI CHE SVOLGONO UN RUOLO DI LIBERAZIONE SONO:
• - DISGREGANTI: SOSTANZE O MISCELE DI SOSTANZE AGGIUNTE AI COMPONENTI DELLE
COMPRESSE PER FACILITARNE LA DISAGGREGAZIONE DELLA FORMA FARMACEUTICA IN SEGUITO AL
CONTATTO CON UN LIQUIDO ACQUOSO;
• - POLIMERI PER IL RILASCIO: SOSTANZE MACROMOLECOLARI UTILIZZATE PER FABBRICARE FILM DI
RIVESTIMENTO O COME FORMATORI DI MATRICI PER OTTENERE UN RILASCIO DEL PRINCIPIO ATTIVO
MODIFICATO NEL TEMPO;
• - BAGNANTI: TENSIOATTIVI UTILIZZATI AL FINE DI FAVORIRE LA BAGNABILITÀ DELLE SUPERFICI DELLE
PARTICELLE SOLIDE DI PRINCIPIO ATTIVO. VENGONO IN GENERALE IMPIEGATI PER CONTRASTARE
GLI EFFETTI DEI LUBRIFICANTI O IN PRESENZA DI PRINCIPI ATTIVI FORTEMENTE LIOFILI
• GLI ECCIPIENTI CHE SVOLGONO UN RUOLO DI CONSERVAZIONE SONO:
• - ANTIMICROBICI: SOSTANZE CAPACI DI IMPEDIRE LA CRESCITA DI MICRORGANISMI NELLA
PREPARAZIONE FARMACEUTICA;
• - CHELANTI: SOSTANZE IN GRADO DI COMPLESSATE I METALLI PER RALLENTARE LE REAZIONI DI
DEGRADAZIONE DI PRINCIPI ATTIVI CATALIZZATE DA METALLI PESANTI;
• - ANTIOSSIDANTI: SOSTANZE CAPACI DI LIMITARE LA DEGRADAZIONE OSSIDATIVA DEI PRINCIPI
ATTIVI.
• GLI ECCIPIENTI CHE SVOLGONO UN RUOLO DI PRESENTAZIONE SONO:
• - AROMATIZZANTI ED EDULCORANTI: SOSTANZE UTILIZZATE PER MIGLIORARE LA PALATIBILITÀ
DEL PREPARATO FARMACEUTICO, MASCHERANDONE CARATTERISTICHE ORGANOLETTICHE
SFAVOREVOLI;
• - COLORANTI: COMPOSTI IMPIEGATI PER IMPARTIRE COLORAZIONE AI PREPARATI
FARMACEUTICI, PER UN IMPATTO PSICOLOGICO POSITIVO NEL PAZIENTE O PERMETTERE
L’IDENTIFICAZIONE DEL PREPARATO.
TIPICI ECCIPIENTI CHE SVOLGONO PIÙ RUOLI
• L’AMIDO È USATO PRINCIPALMENTE IN FORMULAZIONI SOLIDE A USO ORALE COME LEGANTE, DILUENTE E DISGREGANTE.
• LUBRIFICANTI: MIGLIORANO LA LAVORABILITÀ DELLE POLVERI, EVITANDO CHE SI ATTACCHINO AI MACCHINARI E RIDUCENDO LA
FRIZIONE TRA LE PARTICELLE E LO STAMPO; INFATTI, DURANTE LA COMPRESSIONE MECCANICA, L'ATTRITO PUÒ ESSERE COSÌ ELEVATO
DA FAR RAGGIUNGERE ALLE POLVERI TEMPERATURE PROSSIME A 70 ºC. SI IMPIEGANO STEARATI DI CA, MG, AL, ALCOL STEARILICO,
ALCOL STEARICO, ALCOL CETILICO, ACIDO PALMITICO, ALCOL, AMIDO, PEG, TALCO.
• GLIDANTI: QUESTI AGENTI SI INTERPONGONO FRA LE PARTICELLE DELLA POLVERE O GRANULATO AL QUALE SONO ADDIZIONATE IN
MODO DA RIEMPIRE LE CAVITÀ IRREGOLARI PRESENTI SULLA LORO SUPERFICIE; IN QUESTO MODO, LA FORMA DELLE POLVERI O
GRANULATI DIVIENE PIÙ REGOLARE E SI RIDUCE L'ATTRITO. E' OVVIO CHE I GLIDANTI DEVONO ESSERE FINEMENTE SUDDIVISI ED ESSERE
AGGIUNTI PRIMA DELLA COMPRESSIONE. LA LORO EFFICACIA È QUANTIFICABILE MEDIANTE LA DETERMINAZIONE DELL'ANGOLO DI
SCORRIMENTO O DI RIPOSO. LE SOSTANZE UTILIZZATE SONO GENERALMENTE QUELLE CITATE A PROPOSITO DEI LUBRIFICANTI.
• ANTIADESIVI: RIDUCONO L'ADESIONE TRA COMPRESSE E STAMPO (O PUNZONE), PERMETTENDONE UNA FACILE ESTRAZIONE. SI
IMPIEGANO TALCO, OLIO DI VASELINA, ACIDO STEARICO, STEARATI DI CA, MG, ECC.
• DISAGGREGANTI: DIMINUISCONO IL TEMPO DI DISAGGREGAZIONE DELLE COMPRESSE. SI IMPIEGANO DERIVATI DELL'AMIDO,
ALGINATI, SILICE, MISCELE EFFERVESCENTI, SALI MOLTO SOLUBILI. PER ESEMPIO, L'AMIDO A CONTATTO CON L'ACQUA SI RIGONFIA E
DISAGGREGA LE COMPRESSA; LA SILICE AUMENTA LA CAPILLARITÀ PERMETTENDO ALL'ACQUA DI PENETRARE PIÙ FACILMENTE NELLA
COMPRESSA.
GLIDANTI
agenti di scorrimento

Uniformità di massa (peso)

… di scelta SiO2 (Areosil®, Syloid®) 0,1 - 0,2 %

Altre sostanze con piccolo particle size possono presentano


proprietà glidanti (es. amido, talco, magnesio stearato)
riduzione degli attriti
sostanze caratterizzate da bassa forza di taglio

FL FA

coefficiente di
lubrificazione R=
FA FD FD

FD resistenza dovuta alla


FL
frizione compatto/pareti della
matrice

magnesio, sodio e calcio stearato, acido stearico


PEG, gliceril beenato (Compritol®)

Pessime proprietà di compattazione (compresse tenere)

Natura idrofobica (es. Mg stearato-max 2%) può diminuire la velocità di


disgregazione e dissoluzione.

Tempi di mescolazione critici


Amount Dissolved (%)
100
0,5 %
80

1%
60

40 5,0 %

20

0
0 10 20 30 40 50

Time (minutes)

Effetto della percentuale di magnesio stearato sulla velocità di


dissoluzione in vitro del principio attivo.
PLASMA DRUG LEVEL ( G/ML)
100
90
80
0.5 %
70
60
1.0 %
50
40
30
5.0 %
20
10
0
0 2 4 6 8 10 12 14

Time (hours)

Effetto della percentuale di magnesio stearato sull’assorbimento


del principio attivo.
DISGREGANTI

generalmente sostanze idrofile, assorbono fluidi acquosi e sviluppano


forza

comunemente usati:

amido (5-10%)

superdisgreganti (1-2%)

sodio amidoglicolato (Primojel®, Explotab®)


crosspovidone (Polyplasdone®)
sodio carbossimetilcellulosa reticolata (Acdisol®)
……….
In vivo: livelli plasmatici di cloramfenicolo in seguito a somministrazione di
capsule provenienti da 4 produttori diversi

PLASMA LEVELS - g ml -1
10
A
8

6 C

4 B

2
D
0
0 2 4 6 8 10 12 14 1618 2022 24
TIME AFTER DOSING - HOURS

In vitro: il tempo di disgregazione diminuisce nell’ordine: D > C ~ B > A


ANTIADERENTI

riduzione dei fenomeni di sticking


talco
… cattive caratteristiche di compattazione - max 10%

TENSIOATTIVI

favoriscono la bagnabilità
comunemente usati: Sodiolaurilsolfato, sodio docusato (solidi) 0,1 - 0,5 %

- Cremophor®, Tween ® 80 (liquidi, addizionabili in fase di bagnatura per impasti)


TENSIOATTIVI

10

Mean plasma phenacatin concentration,


Fine, <75 m + 0,1% Tween 80
8 Fine, <75 m

2
Time (hours)

0
g/ml

0 1 2 3 4 5 6 7 8

L’aggiunta di un tensioattivo (Tween 80) puo’ influire positivamente sulla


biodisponibilità del principio attivo.
Compresse effervescenti
Compresse effervescenti
Acido acetilsalicilico 0,4 g
Acido ascorbico 0.24 g
Citrato monosodico 1,21 g
Sodio carbonato 0,2 g
Sodio bicarbonato 0,91 g
Acido citrico anidro 0,24 g

Compresse da utilizzare nella


cavita’ buccale Compresse masticabili
Magnesio trisilicato mg 500
Alluminio idrossido anidro mg 250
Mannitolo mg 300
Saccarina sodica mg 2
Salda d’amido 5% q.b.
Essenza di menta mg 1
Magnesio stearato mg 10
Funzionamento di una macchina comprimitrice a punzone singolo.
In realtà, vengono utilizzate comprimitrici con punzoni multipli, in grado di
produrre 250-600 mila compresse/h. Ovviamente, per ottenere questi risultati, la
velocità di funzionamento della macchina deve essere molto elevata, sicché le
caratteristiche di scorrevolezza, granulazione, densità, ecc., delle polveri
assumono particolare importanza. In alcuni casi, per raggiungere elevate velocità
di lavorazione, gli stampi vengono riempiti sotto pressione.

Comprimitrice rotante
• LE COMPRESSE POSSONO ESSERE OPPORTUNAMENTE RIVESTITE ALLO SCOPO DI
MASCHERARE EVENTUALI ODORI E SAPORI SGRADEVOLI, PER PROTEGGERLE DALL'UMIDITÀ O
DALL'OSSIDAZIONE, PER CONTROLLARE IL RILASCIO DELLA SOSTANZA ATTIVA, OPPURE PER
OTTENERE UN RIVESTIMENTO GASTRORESISTENTE. LA CONFETTATURA, A VOLTE, PUÒ AVERE IL
SOLO SCOPO DI MIGLIORARE L'ASPETTO ESTETICO.

Il rivestimento può essere realizzato con tecniche


diverse. L'attrezzatura base per la confettatura è
costituita dalla cosiddetta bassina: un contenitore (in
rame o acciao inox) bombato, con un'apertura per
l'introduzione del prodotto da rivestire.
Sono sistemi eterogenei bifasici nei quali una fase, definita fase dispersa,
discontinua o interna, è distribuita in forma di particelle o gocce in una seconda fase
definita fase continua, disperdente o esterna.

Nella tabella seguente, sono riportati alcuni esempi noti di sistemi dispersi.

Fase disperdente Fase dispersa Nome Esempi


gas solido aerosol solido fumo, polvere
gas liquido aerosol liquido nebbia
liquido solido sospensione pitture, gelatine
liquido liquido emulsione latte, maionese
liquido gas schiuma schiuma del sapone
solido solido sospensione solida alcune alghe e minerali
solido liquido emulsione solida gelatine, burro
solido gas schiuma solida pomice
DISPERSIONI MOLECOLARI (soluzioni vere)
range dimensionale <1 nm
(inosservabili perfino al microscopio elettronico)

DISPERSIONI COLLOIDALI (pseudosoluzioni)


range dimensionale da 1 nm a 0.5 mm
(distinguibili all'ultramicroscopio )

DISPERSIONI GROSSOLANE
range dimensionale > 0.5 mm
(visibili al microscopio)

Alle dispersioni grossolane appartengono la maggior parte delle emulsioni e sospensioni per
uso farmaceutico e cosmetico
Le principali caratteristiche dei sistemi colloidali possono essere
attribuite all'esistenza di un'interfaccia tra fase dispersa e mezzo
disperdente.
Le particelle colloidali presentano un’area superficiale enorme rispetto
ad un uguale volume di particelle di dimensioni maggiori.

GENERAZIONE DI SUPERFICI:
Suddividendo un cubo di 1 cm di lato in sferette con
raggio di 0,01 micron (=10-6cm) l’area sviluppata è
pari a 600 m2.

CUBO DI 1 cm3 VOLUME TOTALE SFERETTE 1 cm3


AREA 6 cm2 AREA TOTALE SFERETTE 600 m2
Le dispersioni colloidali appaiono omogenee all'osservazione diretta,

ma si comportano in modo diverso dalle soluzioni vere.

Le particelle della fase dispersa sono aggregati di molecole (micelle) o

macromolecole, tanto piccoli da essere visibili solo

all’ultramicroscopio.
• SISTEMI COLLOIDALI

• LE MACROMOLECOLE FORMANO PER LORO NATURA SISTEMI COLLOIDALI,


DETTI MOLECOLARI, MENTRE PER LE MICELLE CIÒ AVVIENE SOLO IN
RAPPORTO AL MEZZO DISPERDENTE IN CUI SI TROVANO.

• IL CLORURO SODICO IN ACQUA SI IONIZZA PRODUCENDO UNA VERA


SOLUZIONE, MENTRE IN ALCOL FORMA COMPLESSI AGGREGATI
MOLECOLARI A CARATTERE COLLOIDALE.

• VICEVERSA, IL SAPONE PURO SCIOLTO IN ALCOL DÀ UNA VERA


SOLUZIONE, IN QUANTO VI SI TRASFORMA IN MOLECOLE SINGOLE,
MENTRE IN ACQUA PRODUCE MICELLE COMPORTANDOSI DA COLLOIDE.
1- La carica elettrica
deriva spesso dal carattere anfotero
della sostanza dispersa
in dipendenza del pH.

2- La sua solvatazione
ciascuna di esse, data l’affinità per le molecole del solvente,
viene avvolta da uno o più strati di queste molecole
(adsorbimento); il velo solvente agisce da protettore, quindi
impedisce l’aggregarsi delle molecole per contatto.
I sistemi colloidali sono classificati in tre gruppi:

COLLOIDI LIOFILI (Idrofili se il mezzo disperdente è


l’acqua)
Le particelle disperse presentano affinità con il solvente
Sono sistemi stabili.
Questi sistemi presentano caratteristiche simili a quelle delle
vere soluzioni. ad es., il comportamento della gelatina in
acqua, della gomma in benzene, del polivinilacetato in acetone.
Sono sistemi che contengono particelle colloidali che
interagiscono in modo apprezzabile con il mezzo disperdente
formando dispersioni colloidali o soli con relativa facilità.
L’attrazione tra la fase dispersa e la fase disperdente è favorita dalla
solvatazione, capacità delle particele di circondarsi di uno strato di
molecole di solvente che le rende facilmente disperdibili.
Posseggono gruppi a carattere idrofilo (OH, COOH, NH2) capaci di
formare legami a idrogeno con l’acqua. Si ottengono sia da prodotti
naturali (gomme vegetali, gelatina, amido), che semisintetici
(metilcellulosa, carbossimetilcellulosa), che sintetici
(polivinilpirrolidone).
Caratteristica dei sistemi liofili è la tendenza a solidificare in masse
soffici e leggermente elastiche note come gel quando le molecole della
fase dispersa formano un reticolo nelle cui maglie restano racchiuse le
molecole di acqua. L’evaporazione dell’acqua produce uno “xerogel” che
ritorna gel per semplice aggiunta di acqua, e questo a sua volta può
nuovamente essere trasformati in dispersione colloidali per ulteriore
addizione del mezzo disperdente, sono pertanto detti colloidi
reversibili
COLLOIDI LIOFOBI (o idrofobi se il mezzo
disperdente è l'acqua):

Sono quelli le cui particelle disperse non presentano


affinità con il solvente e sono sistemi instabili. Sono
sistemi eterogenei, perché esiste una superficie di
separazione netta tra le particelle e il mezzo
disperdente.
Costituiti da sospensioni di micelle di sostanze inorganiche, quali:
metalli, zolfo, ossidi, solfuri ed altri sali.
Sono stabili per un fattore di natura elettrica.
Ogni particella ha una carica elettrica dovuta all’adsorbimento sulla
loro superficie di ioni positivi o negativi che si trovano nel mezzo
disperdente
Gli ioni isolati presenti nel mezzo disperdente, con carica opposta a
quella della particella colloidale, si addensano intorno neutralizzando
la carica.
Sono relativamente instabili o metastabili e possono dare luogo a
coagulazione per addizione di piccole quantità di elettroliti o leggeri
aumenti di temperatura.
Possono essere precipitati in forma di gel dalla rispettive dispersioni
colloidali ma non ritornano a dispersione colloidale per semplice
addizione del solvente: sono pertanto detti colloidi irreversibili.
Quando un raggio di luce attraversa un liquido puro o una soluzione il suo
percorso non è visibile lateralmente perché le particelle in soluzione sono
troppo piccole per diffondere la luce.
Nei sistemi colloidali invece le dimensioni delle particelle sono in grado di
diffonderla per cui il suo percorso è visibile lateralmente.

quando un raggio Laser investe una soluzione, la quando un raggio luminoso investe una
attraversa direttamente dispersione, la luce viene diffusa in tutte le
direzioni
ACQUA E ARGILLA ACQUA E SOLFATO DI RAME
ACQUA E LATTE
Adsorbimento

Coagulazione
Dialisi
Le particelle disperse si muovono continuamente a causa alle continue
collisioni con le molecole circostanti del mezzo disperdente e con le
pareti del contenitore.
Il moto browniano è più rapido quanto più piccole sono le particelle,
aumenta con la temperatura (in quanto aumenta l'energia cinetica del
sistema) e diminuisce con la viscosità del mezzo.

Il moto browniano concorre alla


stabilità delle dispersioni colloidali in
quanto contrasta l'azione della
gravità che tende a far sedimentare
le particelle disperse.
Dove:
Q1 , Q2 = cariche elettrostatiche superficiali;
b = costante;
r = distanza tra due particelle cariche;
n = numero intero
(legato al tipo di forza: varia tra 3 e 7)
Potenziale di Nerst
Potenziale zeta
La superficie carica positivamente attira gli
anioni presenti in soluzione formando un
primo strato elettrico che va da aa’ a bb’
(strato di Stern)
Il piano individuato da bb’ rappresenta il
piano di scorrimento (Shear Plane).

Accanto al primo strato si forma un secondo strato di cariche di entrambi i segni ma


con prevalenza di ioni di segno opposto a quelli adsorbiti sulla superficie che va da
bb’ a cc’ (strato diffuso)
Oltre cc’ cioè dopo il doppio strato elettrico, le concentrazioni di anioni e cationi
divengono uguali e si ha la neutralità elettrica.
Il potenziale sulla superficie aa’ è definito “potenziale elettrodinamico
o di Nerst”
Rappresenta la differenza di potenziale tra la superficie della
particella e la regione elettricamente neutra della soluzione.

La differenza di potenziale tra la


superficie bb’ e la regione
elettricamente neutra della soluzione è
detta
“Potenziale zeta  o elettrocinetico”
Potenziale zeta elevato = nel sistema prevalgono le forze repulsive, le particelle di
segno uguale si respingono.

Potenziale zeta basso = nel sistema prevalgono le forze attrattive, le particelle si


attraggono e formano degli aggregati detti flocculi.

Un alto potenziale zeta impedisce l'agglomerazione delle particelle e mantiene la


dispersione uniforme e libera di scorrere.

Di conseguenza, l'obiettivo nella maggior parte delle formulazioni è massimizzare il


potenziale zeta.
E' possibile modificare il potenziale ζ aggiungendo
elettroliti.
Si può anche ricorrere all'aggiunta di tensioattivi, che
funzionano da agenti bagnanti per le particelle
liofobe. In particolare:

 i tensioattivi anionici aumentano il pζ negativo intrinseco delle particelle in


quanto queste adsorbiranno cariche negative;

 i tensioattivi cationici diminuiscono il pζ fino ad invertirne addirittura il segno;

 i tensioattivi non ionici, vengono adsorbiti creando una barriera


all'avvicinamento delle particelle.
Quando due particelle sono così vicine che i loro doppi strati si sovrappongono,
si respingono reciprocamente con una forza elettrostatica la cui intensità
dipende dal potenziale zeta: se è troppo basso (tipicamente inferiore a ±25
mV), la forza repulsiva non sarà abbastanza forte da superare l'attrazione di Van
der Waals fra le particelle, e queste inizieranno ad agglomerarsi. Quando
questo accade il sistema è instabile
misura elettroacustica
I colloidi di associazione in soluzione alla CMC formano micelle capaci di esaltare
la solubilità dei materiali.

Un soluto ionico viene adsorbito dalla superficie


della micella in prossimità delle teste polari.
Un soluto non polare si localizza nel nucleo tra
le code apolari.

In campo farmaceutico la solubilizzazione viene sfruttata per portare in soluzione


numerosi PA insolubili: oli volatili, sulfamidici, vitamine, ormoni.
Tensioattivo
SO4 (Sodio) DodecilSolfato (SDS)

TENSIOATTIVO

coda idrofobica testa polare

C < cmc C > cmc


Gli effetti legati allo stato unimerico varieranno fortemente con la
concentrazione del tensioattivo al di sotto della CMC (come la
tensione superficiale), mentre quelli legati allo stato micellare
varieranno fortemente con la concentrazione del tensioattivo al di
sopra della CMC (come l’effetto solubilizzante).
Aggregati di tensioattivi: micelle

Le micelle hanno un
diametro tra 5 e 20 nm ed
un numero di
aggregazione medio pari a
50-100.

All’aumentare della
Micella cilindrica concentrazione sono
Micella sferica
possibili morfologie diverse.

struttura tubolare ad struttura tubolare


impaccamento esagonale ramificata
Altre morfologie

L’impaccamento sferico
richiede che il tensioattivo
occupi un volume conico

Se la forma è diversa, possono


formarsi altre tipologie di aggregati
Classificazione dei tensioattivi

• I saponi alcalini (di Na o K), alcalini terrosi (di Ca) o di ammine.


R-COO─ (K+, Na+, Ca++, NH4+)

•Esteri solforici
Tensioattivi cationici
I tensioattivi anionici sono molecole la cui testa polare è carica
positivamente, sono costituiti quasi esclusivamente da composti
di ammonio quaternari. Il loro impiego principale è come
battericidi o batteriostatici (benzalconio cloruro o cetrimide).
Sono molecole che presentano sia gruppi carichi positivamente che gruppi
carichi negativamente.

Lecitina
Sono molecole non presentano gruppi carichi, la parte idrofila si compone
di molecole neutre solubili in acqua

Span 60
Glicidil monostereato

Esteri del PEG

Tween 60
Bilancio idrofilico-lipofilico (HLB)

• L’HLB è un parametro che definisce il grado di idrofilicità o di


lipofilicità di in un tensioattivo.

Scala di Griffin 0<HLB<20

𝑃𝑀𝑝𝑜𝑟𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒 𝑖𝑑𝑟𝑜𝑓𝑖𝑙𝑎
𝐻𝐿𝐵 = 20
𝑃𝑀𝑡𝑜𝑡𝑎𝑙𝑒

HLB=0 molecola totalmente idrofobica


•HLB<10 tensioattivo prevalentemente lipofilo
•HLB>10 tensioattivo prevalentemente idrofilo
•HLB=20 molecola totalmente idrofila
Questo calcolo del valore di HLB è stato sviluppato per
i tensioattivi non ionici.
Il classificazione HLB permette di definire l’utilizzo dei tensioattivi:
•HLB tra 4-8 : Agenti anti-schiuma
•HLB tra 7-11 : Emulsionanti W/O
•HLB tra 11-14 : Agenti bagnanti
•HLB tra 12-16 : Emulsionanti O/W
•HLB tra 12-15 : Detergenti
•HLB > di 16 : Agenti solubilizzanti
Vescicole e doppi strati

Vescicola/liposoma

Se il tensioattivo possiede due code idrofobiche,


queste rendono la sua struttura più cilindrica,
favorendo un impaccamento a doppio strato
Doppio strato
Tensioattivi bicoda

N Br
Nanosistemi

Liposomi
T

Il passaggio di un tensioattivo da una


parte del doppio strato alla parte opposta
è sempre molo lento. Il movimento dalla
stessa parte dello strato è rapido.

A bassa T le catene idrocarburiche sono completamente estese ed impaccate


(fase gel), ad alta T le catene diventano più mobili (fase fluida). La transizione
avviene ad una determinata T detta di transizione di fase.
La distribuzione delle cariche sulla superficie delle particelle è responsabile della
stabilità dei sistemi dispersi.
Le cariche elettrostatiche superficiali determinano repulsione tra le particelle con
cariche dello stesso segno, opponendosi così alle forze di attrazione di London e Van
der Waals.

L’energia repulsiva è una funzione esponenziale della


distanza e dipende dallo spessore del doppio strato.
L’energia di attrazione è una funzione che varia con
l’inverso della distanza tra le particelle.
VT = VA + VR
Le forze attrattive e repulsive diminuiscono
con andamento esponenziale diverso, e Massimi di energia libera: repulsioni
Minimi di energia libera: attrazioni
l'andamento dell'energia associata ad un
sistema di particelle è dovuta alla forza
risultante fra attrazioni e repulsioni.

Minimo secondario (S)


Quando due particelle si avvicinano prevalgono le
forze di attrazione su quelle di repulsione causate
dal doppio strato.
A queste distanze si verifica il fenomeno della
flocculazione.
Massimo primario (B)
Si raggiunge al diminuire della distanza.

Se il valore di energia nel punto B è maggiore


dell’energia delle particelle che si avvicinano esse
si allontaneranno l'una dell'altra, rendendo la
dispersione stabile.

Se invece le energie cinetiche superano la barriera di energia potenziale, B, le


particelle continueranno ad avvicinarsi fino a far prevalere le forze di Van der Waals
sulla repulsione elettrostatica. Di conseguenza, l'energia potenziale d'interazione
tende a zero e quando diventa negativa, fa sì che le particelle si riuniscano
strettamente insieme Minimo primario (C).
1. DIFFUSIONE
Le particelle soggette a movimento, passano dalle zone a maggiore
concentrazione verso le zone a minor concentrazione seguendo la Legge di Fick:
𝑑𝑚 𝑑𝐶
= −𝐷𝐴 dm = quantità di soluto che diffonde
dt = tempo
𝑑𝑡 𝑑𝑥 D = coefficiente di diffusione
A = superficie
dc/dx = gradiente di concentrazione

D è collegato al coefficiente di frizione delle particelle dalla legge della diffusione di Einstein:

K = R/N
𝐷𝑓 = 𝐾𝑇 dove f=6πηα

K = costant di Boltzmann
R = costante dei gas
quindi: N = numero di Avogadro
η = viscosità
𝐾𝑇 𝑅𝑇 α = raggio delle particelle
D= =
6pha 6phaN
2. Centrifugazione

La velocità di sedimentazione è data dalla legge di Stokes che per le


particelle colloidali, non soggette alla gravità a causa dei moti
browniani, diventa:

d2 ( ρ – ρ o ) ω 2 x d = diametro medio delle particelle


V= η = viscosità
18 η ρ = densità delle particelle
ρo = densità del mezzo disperdente
ω = velocità angolare
x = distanza delle particelle
Colloidi di associazione

1-Si può ritenere che la CMC rappresenti la concentrazione delle molecole libere alla
saturazione e le micelle sono considerate come una fase distinta alla CMC.
2- Le molecole libere sono considerate in equilibrio dinamico con le micelle; a questo sistema
in equilibrio può essere applicata la legge dell’azione di massa:

[M] M = micelle
Km = D = tensioattivo
[D]n

MICELLE IONICHE: a concentrazioni non lontane dalla CMC, le micelle ioniche assumono forma
molto vicina a quella sferica. In soluzioni concentrate la forma delle micelle cambia
assumendo struttura cilindrica o laminare.

MICELLE NON IONICHE: formano micelle di dimensioni maggiori e di forma asimmetrica.


PVP (stato Sol)= Plasma artificiale
AgCl colloidale e Argento Proteinato = antibatterico

Come eccipiente trovano numerosi impieghi per preparare


Sospensioni
Emulsioni
Gel
Rivestimenti per compresse
Solubilizzante o Stabilizzante

Sistemi colloidali come Liposomi, Nanosfere e Microemulsioni sono allo studio


come DDS per il rilascio mirato (drug targeting).
Sono sistemi eterogenei bifasici nei quali una fase, definita fase
dispersa, è distribuita in forma di particelle in una seconda fase
definita fase detta continua.
La fase interna è costituita da particelle solide insolubili con range
dimensionale (0.5-1 mm fino a 100 mm) tale da poter rimanere in
sospensione nel mezzo continuo anche per azione di uno o più agenti
sospendenti.

La fase esterna (o mezzo sospendente) è generalmente acquoso ma


in alcuni casi (non per uso orale) può essere un liquido oleoso
organico.
Differenze tra Soluzioni e Sospensioni

Soluzione=
(soluto) + (acqua)

Sospensione=
(solido)+ (acqua)
Presentano tutti i vantaggi delle formulazioni orali.
 Somministrazione di PA insolubili

 Facilità di somministrazione

 Correzione delle proprietà organolettiche

 Possono modificare il rilascio di un PA (depot).


La possibilità di somministrare medicamenti insolubili per via parenterale
(no i.t., no i.v.), per controllare la velocità d’assorbimento del farmaco
per avere un'azione prolungata, specie nelle iniezioni.

 Migliorano la stabilità, riducendo la frazione di farmaco in soluzione.


Inoltre il principio attivo può venir trasformato in un derivato insolubile
per evitare fenomeni idrolitici che possono essere ulteriormente
minimizzati preparando la sospensione al momento dell'uso;

 Sono più stabili delle soluzioni rispetto a PA che in ambiente acquoso si


degradano (si preparano al momento dell’uso)

 Flessibilità di dosaggio
Le sospensioni trovano impiego:
• - per uso orale,
• - per via parenterale
(escluse le vie endovenosa e intratecale).
• - per uso oftalmico (Neomycin Sulfate and Hydrocortisone
Acetate Ophthalmic Suspension)
• - per via auricolare o nasale (ciproflossacina auricolare)
• - per inalazione
• - per uso esterno
(sospensione di zolfo, Le sospensioni iniettabili devono
desametasone e neomicina solfato) essere sterili e richiedono un
accurato controllo della viscosità e
delle dimensioni delle particelle, sia
per ragioni di biodisponibilità sia
perché il prodotto possa fluire
liberamente dall'ago della siringa.
 Dispersione uniforme delle particelle

 Assenza di sedimento o se presente facilmente


risospendibile per semplice agitazione

 Dimensioni delle particelle inalterate nel tempo

 Adeguata viscosità, per permettere lo scorrimento della


formulazione

 Stabilità chimica dei componenti

 Adeguate Proprietà organolettiche (odore e sapore)


la preparazione di formulazioni in
sospensione richiede che le particelle che
costituiscono la fase dispersa siano
completamente bagnate dal liquido per
poter garantire l’omogeneità.

Sistemi scarsamente affini al mezzo disperdente (liofobi)


non si bagnano efficacemente ma si circondano di bollicine
d’aria; tale fenomeno è chiamato FLOTTAZIONE.
Per trattare il fenomeno consideriamo una goccia di liquido depositata su
una superficie solida.
La bagnabilità si esprime in funzione dell’angolo di contatto () tra il piano
della superficie solida e la tangente all’interfaccia liquido/aria nel punto
di contatto con la superficie solida.

Per  = 0° il liquido bagna perfettamente la superficie solida


Per  < 90° il liquido bagna la superficie solida (es. H20 su vetro)
Per  > 90° il liquido non bagna la superficie solida (es. Hg su vetro)
L’angolo di contatto () varia da 0° (cos= 1) e 180° (cos  = -1) passando
da 90° (cos =0). La relazione tra il coseno e la tensione superficiale g
delle interfacce coinvolte è riportata nell’equazione di Young:
All’equilibrio, la somma delle tensioni superficiali tra le fasi (solida-liquida-gassosa) dovrà
essere nulla:

gs- gls- gl cos  = 0

gs = Tensione superficiale solido-aria


gls = Tensione interfacciale liq-sol
gl = Tensione superficiale liquido
Per valori di  compresi tra 0 e 90° si osserva una buona bagnabilità
la bagnabilità di un solido viene migliorata dagli agenti BAGNANTI,

particolari tensioattivi che abbassano la tensione interfacciale liquido-

solido.

I bagnanti data la loro natura anfifilica si dispongono all’interfaccia con

la testa polare verso la fase idrofila e la coda apolare verso la fase

lipofila.

Vengono impiegati nella [ ] tra 0.01 e 0,5 %.

Non devono alterare la formulazione

Es.: carbossimetilcellulosa e gomme naturali.


L’energia libera di superficie o il lavoro necessario per disperdere un solido in un
mezzo liquido è direttamente proporzionale alla variazione di superficie e alla
tensione interfacciale

DE= gls DA

Affinché la sospensione sia stabile si deve fare in modo che il sistema non aumenti
il suo contenuto energetico.

Occorre agire sui parametri da cui dipende DE

Il Parametro su cui si può agire è gls

Tutte le sostanze capaci di abbassare la tensione superficiale tra le due fasi


diminuiscono anche DE
La preparazione di formulazioni in sospensione richiede che le particelle
di solido rimangano sospese nel mezzo disperdente. Quando le particelle
si depositano sul fondo si verifica il fenomeno della SEDIMENTAZIONE.
La velocità con cui le particelle sedimentano viene espressa dalla legge di
STOKES.
V = velocità di sedimentazione [cm/sec]
D = diametro delle particelle dispersi [cm]
d2 (ρ s- ρ o ) g g = accelerazione di gravità [cm/sec2]
V=
18h D = densità della fase dispersa [g/cm3]
f = densità della fase disperdente [g/cm3]
h = viscosità del mezzo continuo [g/cm sec]

La legge di Stokes vale solo per il movimento di particelle sferiche, rigide e di


dimensioni uniformi e non influenzato dal movimento delle altre (cioè per sospensioni
diluite).
Una sferetta di raggio R che si sposta con velocità v attraverso un
fluido di viscosità η viene frenata da una forza resistente, fr pari a:

𝑓𝑟 = 6𝜋𝜂𝑅𝑣

La stessa sferetta, immersa in un fluido,


si muove verso il basso spinta dalla
forza, fp, prodotta dal proprio peso:

4
𝑓𝑝 = − 𝜋𝑅3 𝜌𝑔
3

Infine, il moto della sferetta sarà anche contrastato dalla spinta di Archimede:

4 3
𝑓𝐴 = 𝜋𝑅 𝜌0 𝑔
3
In queste condizioni deve essere necessariamente nulla la risultante delle
forze agenti su di essa come vuole il principio d'inerzia.

𝑓𝑟 + 𝑓𝑝 + 𝑓𝐴 =0

Risolvendo l’equazione rispetto a v e sostituendo il raggio con il


diametro delle particelle si ottiene

d2 (ρ s- ρ o ) g
V=
18h
Tale legge mette in evidenza i fenomeni principali che influenzano la
velocità di sedimentazione.
Il processo di sedimentazione può essere rallentato o annullato mediante:

 la riduzione della taglia delle particelle sospese. Particelle con


diametro compreso tra 2 e 5 µm sedimentano molto lentamente grazie
ai movimenti Browniani, che mantengono il materiale in movimento
casuale.

 la preparazione di sospensioni con piccole differenze di densità tra


fase dispersa e disperdente (se la differenza fosse zero la velocità di
sedimentazione sarebbe nulla.

 l’uso di agenti che aumentano la viscosità della fase disperdente.


+ VISCOSIZZANTI

tempo
Fenomeni di Sedimentazione
Fenomeno della Flocculazione: Quando prevalgono le forze attrattive
le particelle si aggregano formando degli aggregati risospendibili
detti flocculi.

Fenomeno della Deflocculazione: Le particelle si aggregano in un


sedimento consistente e compatto difficilmente risospendibile.
Parametri legati ai fenomeni di Sedimentazione
Sono considerati due importanti parametri:

• Grado di Sedimentazione (F)


Rapporto tra il volume del sedimento (Vu) e il volume originale della
sospensione:

F = V u / VO Vu = volume del sedimento

VO = volume originale della sospensione

Per sistemi deflocculati V∞ = volume finale del sedimento

F∞ = V ∞ / VO (per sistemi deflocculati V∞ è un valore piccolo)

Per F elevato (prossimo a 1) il sistema è flocculato 0<F<1


• Grado di flocculazione (β)
Definito come il rapporto tra F e F∞
Rapporto tra il volume del sedimento flocculato (Vu) e il volume
deflocculato V∞.

Serve per quantificare il fenomeno della flocculazione mettendo in


relazione il volume di un sedimento flocculato con quello di un sistema
deflocculato.

Vu = volume finale del sedimento flocculato


V∞ = volume finale del sedimento deflocculato
Meglio un sistema deflocculato o flocculato?

• il formulatore potrà anche scegliere un sistema deflocculato, che


non presenta o presenta minima sedimentazione purchè riesca a
stabilizzare le particelle discrete in sospensione (aggiustando
densità, dimensioni e viscosità). Però:
La sospensione viscosa sarà prelevabile dal contenitore?
quanto sarà probabile la coagulazione per aumento di temperatura e
superamento del massimo primario?

Se sceglie sistema flocculato (Strategia più frequente):


formulare è più facile ma bisogna AGITARE PRIMA
DELL’USO!!!!
Proprietà di particelle
flocculate e deflocculate

le particelle sospese sono flocculi porosi Le particelle sospese sono singole particelle
la sedimentazione avviene rapidamente Sedimentazione lenta
sedimento è voluminoso Sedimento compatto non risospendibile
CAKE
Per favorire la formazione di sospensioni flocculate maggiormente
stabili si aggiungono delle sostanze dette:

Agenti Flocculanti
Diminuiscono il potenziale zeta delle particelle cariche sospese causandone
l’aggregazione in flocculi.

• Esempi di agenti flocculanti:


• Elettroliti Neutri come KCl, NaCl
• Surfattanti
• Agenti Polimerici flocculanti
• Sali Solfati, citrati, fosfati
Gli elettroliti si aggiungono in piccola quantità in modo da SCHERMARE la carica di
superficie, e le forze repulsive: ridurre il potenziale zeta e permettere alle forze di Van
der Waals di agire ad una distanza corrispondente al minimo secondario

I tensioattivi ionici si comportano da elettroliti si adsorbono sulla superficie, ne


neutralizzano la carica e per ulteriore aggiunta ne cambiano il segno
Altri agenti promuovono invece una STABILIZZAZIONE STERICA ma senza agire sul
pot. Zeta: evitano che le particelle si coagulino arrivando a piccole distanze tra loro.
Tensioattivi non ionici sono adsorbiti sulla superficie
aumentano il diametro delle particelle
Colloidi idrofili: la cui catena si adsorbe alla superficie si comportano da colloidi
protettori e quindi impediscono il cake e promuovono flocculazione formando
ponti tra le particelle (BRIDGING)
Gomma arabica, gomma adragante, bentonite e Veegum, e derivati solubili
della cellulosa, carbossivinilpolimero
Il Potenziale zeta rappresenta la differenza di potenziale
tra lo slipping plane e il solvente in bulk:
è un indice di stabilità dei sistemi dispersi

POTENZIALE ZETA POTENZIALE ZETA


basso alto

PREVALGONO
PREVALGONO FORZE
FORZE REPULSIVE
ATTRATTIVE

LE PARTICELLE SI
RESPINGONO
LE PARTICELLE
SI AGGREGANO IN FLOCCULI

IL SISTEMAAPPARENTEMENTE E’
RAPIDA FORMAZIONE DEL +STABILE, MA POI SI FORMA UN
SEDIMENTO FLOCCULATO SEDIMENTO NON RISOSPENDIBILE
Classificazione delle Sospensioni

Sospensioni Orali
Generale Sospensioni per uso esterno
Sospensioni Parenterali

In base alla % di Particelle di fase Solida Sospensioni Diluite (fino al 10% w/v)
Sospensioni Concentrate (50%w/v )
In base alla Natura Elettrocinetica Sospensioni Flocculate
delle Particelle di fase Solida
Sospensioni Deflocculate

Sospensioni Colloidali (< 1 micron)


In base alle dimensioni
delle Particelle di fase Solida Sospensioni grossolane (>1 micron)
Nano- Sospensioni (10 nm)
 Le Sospensioni possono migliorare la stabilità chimica di numerosi PA.

Es. Procaina; penicillina G

 Il farmaco in sospensione esibisce una maggiore bidisponibilità rispetto ad


altre forme di dosaggio.

La biodisponibilità segue il seguente ordine:


Soluzione > Sospensione > Capsule > Compresse > Compresse rivestite

 La velocità di rilascio può essere rallentata per consentire adeguati livelli di


farmaco nel CE per oltre 24 ore.

Es. Penicillina, Insulina


• Instabilità fisica:Sedimentazione; Deflocculazione
• Lavorazione, trasporto e stoccaggio.
• Difficile da formulare
• Scarsa accuratezza di dosaggio per le formulazioni
multidose

312 PHT 81
✐Granulometria
✐Sedimentazione e Risospendibilità
✐Viscosità
✐Densità
✐Test di invecchiamento accelerato ad elevate T
✐Contenuto di PA

312 PHT 82
Le emulsioni sono sistemi dispersi, eterogenei e termodinamicamente instabili,
formate da almeno due fasi liquide immiscibili tra loro.

Una fase liquida è dispersa nell’altra sotto forma di goccioline.

 Il liquido disperso costituisce la “FASE INTERNA” o “FASE DISCONTINUA” (Ø tra 0.5


e 100 mm)

 La fase disperdente costituisce la “FASE ESTERNA” o “FASE CONTINUA”


Da una fase acquosa e una oleosa si ottengono emulsioni

O/A o O/W (Oil/Water)

A/O o W/O (Water/Oil)

Le emulsioni farmaceutiche per uso orale sono del tipo O/A .


ASPETTO DELLE EMULSIONI
L’aspetto di una emulsione dipende dalle dimensioni delle particelle disperse

Dimensione Aspetto
Microglobuli Si distinguono le 2 fasi
Ø > 1 mm Emulsione lattea
Ø da 1 a 0.1 mm Emulsione bianca-azzurra
Ø da 0.1 a 0.05 mm Gel traslucido semitrasparente
Ø < 0.05 Gel o fluido trasparente

immagine al microscopio elettronico di una


immagine al microscopio elettronico di una
emulsione O/A :
emulsione O/A con maggior contenuto di olio:
1) fase acquosa esterna;
1)fase acquosa esterna;
2) 2) fase oleosa interna
2)fase oleosa interna
(tratta dal sito: www.eucerin.co.uk)
(tratta dal sito: www.eucerin.co.uk)
TEORIA FASE-VOLUME
In base a considerazioni stechiometriche è stato proposto che se una
fase è presente in concentrazioni:

Inferiori al 25.98% essa può esistere solo come fase dispersa;

Dal 25.98% al 74.02% può esistere sia come fase dispersa che come
fase continua;

Al di sopra del 74.02% può esistere solo come fase continua.

È una teoria con una certa validità ma non sempre è applicabile,


esistono infatti molte eccezioni.
Per stabilire il tipo di emulsione in esame, si può ricorrere a vari metodi:

Diluizione:
Se una data emulsione è diluibile in acqua (ad es., latte, maionese) è di tipo O/A;
nel caso contrario è di tipo A/O (ad es., burro, margarina);

Uso di coloranti:
un'emulsione addizionata con un colorante idrosolubile (ad es., blu di metilene),
risulterà uniformemente colorata se è di tipo O/A.
Se il colorante aggiunto all'emulsione è liposolubile (ad es., sudan - non per uso
alimentare), si avrà colorazione uniforme se l'emulsione è di tipo A/O;

Conducibilità elettrica:
poiché l'olio, al contrario dell'acqua conduce la corrente elettrica in misura
estremamente ridotta, è ovvio che solo le emulsioni di tipo O/A permetteranno il
passaggio di corrente fra due elettrodi;

Fluorescenza:
la maggior parte degli oli, e quindi le emulsioni A/O, emettono fluorescenza se
eccitati con radiazioni elettromagnetiche di opportuna lunghezza d'onda.
STABILITÀ DELLE EMULSIONI

La stabilità di una emulsione viene correlata alla velocità di


separazione delle fasi che la costituiscono definita dalla
legge di Stokes

V = D2 g(D - f) /18 h Legge di Stokes

La legge di Stokes vale solo se il movimento di una


particella non è influenzato dal movimento delle altre (cioè
per sistemi diluiti).
L’instabilità fisica di una emulsione si può manifestare attraverso i
seguenti fenomeni:

Creaming e sedimentazione:
Si ha sedimentazione quando le goccioline di fase dispersa si depositano
sul fondo dell’emulsione mentre nell’affioramento i globuli si muovono
verso la superficie
(Sono entrambi fenomeni reversibili, ma è preferibili che non si
verifichino);

.
Aggregazione (flocculazione):
Quando le gocce di fase dispersa si riuniscono formano aggregati tenuti
insieme da deboli interazioni. In questo caso il film di emulsionante che
circonda i globuli è intatto e la ridispersione per agitazione è ancora
possibile. La flocculazione dipende dal potenziale zeta

Coalescenza e Separazione di Fase:


La coalescenza è la fusione degli agglomerati in goccioline più grandi. E’
un fenomeno irreversibile. Si distrugge il film interfacciale protettivo
dei globuli;

le goccioline della fase discontinua si


riuniscono per formare gocce di
dimensioni sempre maggiori
(fenomeno della coalescenza
irreversibile);

Il progredire della coalescenza porta alla separazione delle fasi


l'emulsione si "rompe« definitivamente ed irreversibilmente;
Inversione di fase:
Si ha inversione dell’emulsione quando si passa da un’emulsione O/A ad
una A/O o viceversa.

Può verificarsi o quando il


volume della fase discontinua
è troppo elevato o per azione
di un tensioattivo. È un fenomeno irreversibile.

Separazione delle fasi:


Si verifica la separazione delle fasi
che costituiscono l’emulsione.

L'emulsione si "rompe" definitivamente ed irreversibilmente.


CAUSE DI INSTABILITÀ

 Emulsionante sbagliato
Rapporti sbagliati tra le fasi
 Incompatibilità chimica fra i componenti
 Differenza di densità
 Errato metodo di lavorazione
 Presenza di particelle grossolane
 Eccessivo riscaldamento o raffreddamento
 Eccessivo incorporamento d’aria
 Viscosità insufficiente
 Decomposizione degli agenti emulsionanti
 Presenza di elettroliti
SAGGI ACCELERATI DI STABILITÀ

 Cicli termici alternati

Si sottopongono le emulsioni a forti sbalzi di temperatura per es.: -10°C per 24


ore e poi a 25°C per altre 24 (per 5 volte)
Le emulsioni O/A risentono delle basse temperature mentre quelle A/O sono
sensibili alle alte temperature.

 Elevate temperature

Si valuta la stabilità a 40°C per tre mesi

 Forza centrifuga

Si accelera la sedimentazione e l’affioramento imprimendo una forza centrifuga.


Serve a stabilire il comportamento dell’emulsione nel tempo.
• Aspetto Fisico (no creaming o sedimentazione)

• Dimensioni dei globuli di fase dispersa (Coulter Counter)

• pH dell’emulsione

• Stabilità chimica dei componenti


Per disperdere un liquido in un altro dobbiamo compiere un lavoro dato da:

L= gO/A DA
Affinché l’emulsione si formi facilmente e il sistema non aumenti il suo contenuto
energetico si deve fare in modo che questo lavoro meccanico sia più basso
possibile.

Occorre agire sui parametri da cui dipende L

Il Parametro su cui si può agire è gO/A

Tutte le sostanze capaci di abbassare la tensione superficiale tra le due fasi


diminuiscono anche L
Tali sostanze prendono il nome di EMULSIONANTI
Per impedire la coalescenza, o

almeno ridurla in maniera

significativa, è necessario

introdurre nel sistema un agente

stabilizzante, detto

EMULSIONANTE

che formi un film sottile attorno alle

goccioline disperse
Scelta del tensioattivo
Per scegliere un tensioattivo efficace per formare
un'emulsione stabile si deve considerare l’HLB richiesto.

L’ HLB richiesto deve essere determinato sperimentalmente, preparando diverse emulsioni


con le stesse fasi ma tensioattivi con diverso HLB, assegnando l'etichetta HLBr all'emulsione
più stabile.
La fase oleosa avrà l’HLB richiesto uguale al valore HLB del tensioattivo contenuto
nell’emulsione più stabile.
Il valore dell'HLBr sarà ovviamente diverso a seconda che l'olio costituisca la fase continua
o la fase discontinua.

Noto il valore di HLBr, si può scegliere il tensioattivo più adatto, non solo come indice di
HLB, ma anche in base a compatibilità chimiche e norme legislative.
I valori di HLB richiesto delle varie fasi lipofile sono tabulati (sono diversi a
seconda se l’olio è la fase interne o esterna) e possono quindi essere utilizzati
per determinare il valore HLB richiesto di qualsiasi emulsione.

Cosi se vogliamo preparare una emulsione di


alcool cetilico in acqua (O/A) dovremmo utilizzare un tensioattivo con HLB pari a 13.
Acido oleico in acqua (O/A) dovremmo utilizzare un tensioattivo con HLB pari a 17.
Generalmente è conveniente miscelare due tensioattivi, calcolando la loro
presenza percentuale in miscela graficamente o analiticamente.
Nella miscelazione di due tensioattivi, l'ottenimento di un particolare
valore di HLB comporta che le concentrazioni dei due singoli tensioattivi
siano diverse ed è possibile valutarle sia analiticamente che
graficamente.
L'indice HLB è una grandezza estensiva (i suoi valori possono essere
sommati algebricamente) e quindi è possibile prevedere gli effetti della
combinazione risultante dall'associazione di due tensioattivi
semplicemente calcolando la media aritmetica dei corrispondenti indici.

Ad es., mescolando in parti uguali uno Span con HLB = 3 ed un Tween


con HLB = 15, avremo una miscela con

HLB = (3 + 15)/2 = 9

Questo fatto è molto utile in quanto per preparare certe emulsioni,


sono richiesti dei particolari valori di HLBr che sono più facilmente
ottenibili miscelando due tensioattivi.
Supponiamo, per es., di voler determinare le percentuali, x ed y, di due
tensioattivi caratterizzati rispettivamente dai valori HLBx ed HLBy, necessarie
per ottenere una miscela con indice HLBr.
Posto x + y = 1 (somma delle % secondo cui vengono miscelati i due tensioattivi),

risulta: Y = (1- x)
quindi HLBr = (x) (HLBx) + (y) (HLBy)
e sostituendo si ha:

HLBr = (x) (HLBx) + (1 - x) (HLBy) = (x) (HLBx) + HLBy – (x) (HLBy)=


HLBr = (x) (HLBx - HLBy) + HLBy

risolvendo rispetto ad x, ed esprimendo il risultato come percentuale, si ottiene:


Supponiamo, per es., di voler determinare le percentuali, x ed y, sapendo
che HLBx= 8 ed HLBy= 19
per ottenere una miscela con indice HLBr=15.
Posto x + y = 1
Y = (1- x) quindi HLBr = (x) (8) + (1-x) (19) e sostituendo si ha:
15 = (x) (8) + 19 –(x) (19)= 19-(x)(-11)= 19+11x

risolvendo rispetto ad x si ottiene:


Il procedimento analitico può essere efficacemente sostituito utilizzando grafici
già predisposti basati sulla dipendenza della combinazione lineare dell'HLB dalle
concentrazione.
Supponiamo, ad es., di voler realizzare una miscela di tensioattivi per preparare
un'emulsione il cui HLBr = 15, avendo a disposizione uno Span (HLB = 8) ed un
Tween (HLBr = 19).

La miscelazione produce, in corrispondenza delle


loro relative concentrazioni, una serie di valori
HLB, riportati su una retta da 8 a 19,
la composizione percentuale della miscela avente
HLBr si ottiene dall'intersezione di questa retta
con la retta parallela all'asse delle ascisse e
passante per il valore HLBr = 15
Analogamente
Supponiamo, ad es., di voler realizzare una miscela di tensioattivi per
preparare un'emulsione il cui HLBr = 9.8, avendo a disposizione uno
Span (HLB = 6.7) ed un Tween (HLB = 16.7).

L'intersezione della retta che va da 6.7


a 16,7 con la retta parallela all'asse
delle ascisse e passante per il valore
HLBr = 9.8 ci fornisce la composizione
di tensioattivi .

X (Span)= 69% ; y (tween)= 31%


Il calcolo numerico può essere impiegato per la determinazione dell'HLB di
un tensioattivo.
Si procede in questo modo: si preparano alcune miscele, in varie proporzioni,
di un tensioattivo avente HLBn (n = noto) con il tensioattivo di cui non si
conosce l'HLBi (i = incognito).
Poi, con queste miscele, si prepara una emulsione di cui si conosca l'HLBr.
Alla miscela di tensioattivi che dà l'emulsione più stabile, si assegna il
valore di HLBr e quindi si calcola l'HLBi con questo procedimento:
posto x + y = 1 (ossia la somma delle percentuali secondo cui vengono
miscelati i due tensioattivi), risulta:

(x) HLBi + (1 - x) HLBn = HLBr

essendo noti HLBn ed HLBr, risolvendo questa equazione, si ricava HLBi


Si consideri, per es., la preparazione O/A che essendo costituita da più componenti,
richiede un calcolo a parte per l'HLBr:
Le singole percentuali dei componenti (escluso
olio di vaselina 33 parti
l'emulsionante), sono:
lanolina 2 parti
alcol cetilico 1 parte olio di vaselina = (33/36) · 100 = 91.7%
emulsionante 5 parti
acqua q.b. a 100
lanolina = (2/36) · 100 = 5.5%

alcol cetilico = (1/36) · 100 = 2.8%

poiché i rispettivi HLB (O/A) riferiti alle sostanze singole sono: 10,5,
15, 13 il valore di HLBr richiesto per preparare l'emulsione più stabile
con la loro associazione, sarà:
HLBr = (10.5 · 91.7 + 15 · 5.5 + 13 · 2.8 )/100 = 10.78
• Le microemulsioni sono un particolare esempio di sistemi
dispersi, costituiti da due fasi liquide immiscibili tra loro, che si
differenziano dalle emulsioni essendo caratterizzate da un
valore molto basso delle dimensioni delle particelle disperse
comprese tra 20 e 200nm.
La capacità di rilascio di una microemulsione è legata alla mobilità del principio
attivo nel veicolo.

La dispersione di un principio attivo in goccioline di dimensioni nanometriche


aumenta la velocità di dissoluzione nella fase continua, e in vivo generalmente
porta ad un aumento della biodisponibilità del principio attivo
Nelle misure DLS il campione viene illuminato da un raggio laser, e
le variazioni d'intensità della luce diffusa vengono misurate in
funzione del tempo. Le variazioni d'intensità misurate dal detector
sono generate dal movimento browniano delle particelle all'origine
dello scattering. A parità di temperatura e di viscosità le particelle
‘piccole’ si muovono rapidamente – creando delle variazioni rapide
dell’intensità di scattering – mentre le particelle ‘grosse’ si muovono
più lentamente – creando delle variazioni d’intensità lente.
Grazie ad un auto correlatore, la velocità delle variazioni d’intensità viene
misurata, e il coefficiente di diffusione delle particelle calcolato dalla
funzione di correlazione.
L’equazione di Stokes Einstein consente poi di convertire il coefficiente di
diffusione in diametro idrodinamico.
La misura del potenziale zeta serve per predire la stabilità delle dispersioni o
le interazioni elettrostatiche, e per la misura del punto isoelettrico di proteine
L’efficiente di incapsulazione (E%) definita come :

Tra le tecniche utilizzate per determinare la concentrazione del farmaco


all’interno dei sistemi colloidale e nelle emulsioni si usa la spettrofotometria
UV-Vis o HPLC
Per eseguire analisi quantitative si fa uso di raggi
monocromatici o fasci quasi monocromatici. Le determinazioni
quantitative sono basate sul fatto che, quando una radiazione
attraversa una soluzione, viene assorbita più o meno
intensamente a seconda della concentrazione; in altre parole
l'assorbimento dipende dalla concentrazione.
Disponendo quindi di strumenti in grado di misurare
l'assorbimento si risale facilmente alla concentrazione della
soluzione. Infatti, se si fa passare attraverso una soluzione a
concentrazione incognita una radiazione monocromatica (cioè
di una determinata λ) e di intensità I0, al di là della soluzione
si troverà una radiazione di intensità I, che sarà minore di I0
se una parte della radiazione è stata assorbita dalla soluzione
stessa, o uguale ad I0 se no si è verificato alcun
assorbimento. Appositi dispositivi (i rivelatori) sono in grado
di misurare l'intensità del flusso luminoso; in particolare
vengono misurate:
• I0 : intensità del flusso luminoso all'ingresso della cella con
il campione
• I : intensità del flusso luminoso all'uscita della cella con il
campione
La frazione di luce trasmessa, rispetto a quella incidente, si definisce
TRASMITTANZA T,

Questa grandezza esprime quale frazione della luce incidente ha attraversato il


campione senza essere assorbita, e può assumere valori compresi tra 0 e 1, e
tale rapporto è tanto più piccolo quanto maggiore è stato l’assorbimento.

L’entità della radiazione assorbita è detta più comunemente assorbenza (A), ed è


pari al logaritmo del reciproco della trasmittanza:
FORME FARMACEUTICHE
PRESSURIZZATE
PER FORMA FARMACEUTICA PRESSURIZZATA O AEROSOL
FARMACEUTICO O SPRAY SI INTENDE IN GENERE UN SISTEMA IN CUI
L’ESPULSIONE DELLA FORMA FARMACEUTICA DAL CONTENITORE
DIPENDE DALLA FORZA ESERCITATA DA UN GAS COMPRESSO O
LIQUEFATTO, PRESENTE NEL CONTENITORE STESSO.
LA TECNOLOGIA DEGLI AEROSOL E’ STATA SVILUPPATA NEGLI ANNI ’40
NEGLI USA NEL CAMPO DEGLI INSETTICIDI ED E’ STATA ESTESA AL
CAMPO FARMACEUTICO NEGLI ANNI ’50.
INIZIALMENTE QUESTI PRODOTTI ERANO DESTINATI SOPRATTUTTO
ALL’USO TOPICO, AD ESEMPIO PER IL TRATTAMENTO DI PICCOLE
USTIONI O FERITE, INFEZIONI E VARIE AFFEZIONI DERMATOLOGICHE.
INTORNO AL 1955 SONO APPARSE LE PRIME FORME FARMACEUTICHE
DESTINATE AD ESERCITARE UN’ AZIONE SULL’APPARATO
RESPIRATORIO.
SPRAY (AEROSOLI SPRAY)
LE “BOMBOLE AD AEROSOL” PERMETTONO LA FORMAZIONE E
SOMMINISTRAZIONE DI AEROSOL IN NUMEROSI CAMPI
FARMACEUTICI E PARAFARMACEUTICI SENZA RICORRERE AD
ALTRE APPARECCHIATURE.

LE BOMBOLE AD AEROSOL IN REALTA’ SONO DEI SISTEMI


PRESSURIZZATI ERMETICAMENTE CHIUSI CHE PERMETTONO
L’EROGAZIONE NON SOLO DI AEROSOL PROPRIAMENTE DETTI
MA ANCHE DI SCHIUME, PASTE, POLVERI; L’ENERGIA DI
PROPULSIONE E’ FORNITA O DA UN GAS LIQUEFATTO O DA UN
GAS SOTTO PRESSIONE.
APPLICAZIONI FARMACEUTICHE
DELLE BOMBOLE SPRAY

APPLICAZIONI TOPICHE
• ANESTETICI LOCALI
• DETERSIONE FERITE
• RUBEFACENTI
• ANTIBATTERICI
• ANTIFUNGINI
• ANTI-INFIAMMATORI STEROIDEI
• CEROTTI SPRAY

HANNO I SEGUENTI VANTAGGI: SONO CONVENIENTI, NON C’E’ BISOGNO


DI TOCCARE DIRETTAMENTE LA PELLE CON LE MANI, ED IL FARMACO
NON UTILIZZATO NON E’ SUSCETTIBILE DI CONTAMINAZIONE.
APPLICAZIONI FARMACEUTICHE
DELLE BOMBOLE SPRAY

•APPLICAZIONI ORALI
E SUBLINGUALI
• ANESTETICI LOCALI APPLICAZIONI NASALI
• ANTISETTICI • DECONGESTIONANTI
•ANTI-INFIAMMATORI
• ANTIANGINOSI
STEROIDEI

• APPLICAZIONI VAGINALI • ANTIALLERGICI


•SOLUZIONI PER UMIDIFICARE
•SCHIUME CONTRACCETTIVE LE MUCOSE
(ES., A BASE DI NONOXYNOL-9)
•FARMACI PER USO
SISTEMICO (NICOTINA,
• APPLICAZIONI RETTALI
VASOPRESSINA)
• ANESTETICI LOCALI

• ANTI-INFIAMMATORI STEROIDEI
APPLICAZIONI FARMACEUTICHE
DELLE BOMBOLE SPRAY

APPLICAZIONI A LIVELLO
DELL’APPARATO RESPIRATORIO
• BRONCODILATATORI
• ANTI-INFIAMMATORI STEROIDEI
• ANTIALLERGICI
• ANTIVIRALI
•FARMACI PER USO SISTEMICO (ES.,
NICOTINA, ERGOTAMINA TARTRATO)
VANTAGGI DELLE BOMBOLE
SPRAY
LE PREPARAZIONI PRESSURIZZATE, CARATTERIZZATE DA UN COSTO SUPERIORE
RISPETTO A QUELLE CONVENZIONALI, PRESENTANO NUMEROSI VANTAGGI:

•RAPIDITA’ E FACILITA’ DI •IL PREPARATO PUO’ ESSERE EROGATO


APPLICAZIONE COME POLVERE FINE, COME SPRAY, COME
SCHIUMA
•SONO SISTEMI FACILI DA PORTARE
CON SE’ •LA MEDICAZIONE VIENE APPLICATA
• EFFICIENZA DELLA DISPERSIONE SENZA TOCCARE LA PELLE LESA O
USTIONATA
• ASSENZA DI CONTAMINAZIONE
•SE IL PREPARATO E’ STERILE, LA
•ASSENZA DI ARIA (O2) NEL STERILITA’ SI MANTIENE NEL TEMPO
CONTENITORE
•I PRINCIPI ATTIVI SENSIBILI ALL’ACQUA
• DOSAGGIO PRECISO GRAZIE POSSONO ESSERE MANTENUTI ALLO
ALL’IMPIEGO DI VALVOLE PARTICOLARI STATO ANIDRO
•POSSIBILITA’ DI APPLICARE •LA VAPORIZZAZIONE DEI PROPELLENTI
LOCALMENTE ALTI DOSAGGI DI LIQUIDI PROVOCA UN EFFETTO
FARMACO RINFRESCANTE LOCALE
SVANTAGGI DELLE BOMBOLE
SPRAY
GLI SVANTAGGI DEI SISTEMI PRESSURIZZATI SONO I SEGUENTI:
• SONO COSTOSI
•LE PRESTAZIONI POSSONO PEGGIORARE DURANTE LA VITA
COMMERCIALE DEL PRODOTTO
• POSSONO PRESTARSI AD UN USO NON CORRETTO
•POSSONO COMPORTARE UN PERICOLO LEGATO ALLA
EVENTUALE PRESENZA DI PROPELLENTI INFIAMMABILI
COMPONENTI DELLE FORME
FARMACEUTICHE PRESSURIZZATE
I COMPONENTI ESSENZIALI DELLE FORME
FARMACEUTICHE PRESSURIZZATE SONO:
• PROPELLENTE
• CONTENITORE
• VALVOLA E TASTO DI EROGAZIONE
• PRINCIPIO ATTIVO ED ECCIPIENTI
PROPELLENTI
I PROPELLENTI SONO UN COMPONENTE FONDAMENTALE DELLE
BOMBOLE PRESSURIZZATE ED HANNO UNA DUPLICE FUNZIONE:
• FANNO PARTE DELLA FORMULAZIONE COME INGREDIENTI
•SVILUPPANO LA PRESSIONE RICHIESTA PER L’EROGAZIONE DEL
CONTENUTO
I PROPELLENTI UTILIZZATI NELLA PRODUZIONE DEGLI SPRAY
POSSONO ESSERE:
• GAS COMPRESSI NON LIQUEFATTI
• GAS COMPRESSI LIQUEFATTI
ESEMPI DI GAS COMPRESSI NON LIQUEFATTI SONO L’AZOTO, IL
PROTOSSIDO D’AZOTO E L’ANIDRIDE CARBONICA; ESEMPI DI GAS
COMPRESSI LIQUEFATTI SONO GLI IDROCARBURI NON ALOGENATI
(PROPANI, BUTANI, PENTANI, ESANI) E QUELLI ALOGENATI
(CLOROFLUOROCARBURI, IDROFLUOROALCANI)
PROPELLENTI

UN PROPELLENTE IDEALE DOVREBBE POSSEDERE LE SEGUENTI


CARATTERISTICHE:
• TOSSICITA’ NULLA O TRASCURABILE
• TENSIONE DI VAPORE DELL’ORDINE DI 1-7 kg/cm2 A 20°C
• NOTEVOLE INERZIA CHIMICA E RESISTENZA ALL’IDROLISI
• ASSENZA DI PERICOLO DI INCENDIO O DI ESPLOSIONE
• ASSENZA DI ODORE E COLORE
• BUON POTERE SOLVENTE
• ASSENZA DI PROPRIETA’ IRRITANTI
• PREZZO ACCETTABILE
GAS COMPRESSI NON
LIQUEFATTI
ATTUALMENTE I PROPELLENTI PREFERITI SONO I GAS COMPRESSI LIQUEFATTI,
SOPRATTUTTO NEGLI SPRAY PER USO INALATORIO. I GAS COMPRESSI NON
LIQUEFATTI SONO ANCORA ABBASTANZA USATI IN APPLICAZIONI IN CUI LE
CARATTERISTICHE DELLO SPRAY NON SONO CRITICHE.

VANTAGGI SVANTAGGI
•BASSA TOSSICITA’ PER •LO SVANTAGGIO PRINCIPALE E’ CHE LA
INALAZIONE PRESSIONE DIMINUISCE DURANTE L’USO
DEL PREPARATO. CIO’ E’ DOVUTO AL
• ALTA PUREZZA
FATTO CHE PROGRESSIVAMENTE IL
• ELEVATA STABILITA’ CHIMICA VOLUME (SPAZIO DI TESTA) AUMENTA E
PERCIO’ LA PRESSIONE DIMINUISCE IN
• BASSO COSTO
BASE ALL’EQUAZIONE DEI GAS IDEALI:
•POSSIBILITA’ DI ESSERE
PV = nRT
STERILIZZATI
CIO’ SI RIFLETTE SULL’AUMENTO
• NON COMPORTANO DANNI
PROGRESSIVO DELLE PARTICELLE
AMBIENTALI (NON DANNEGGIANO
EROGATE
LA FASCIA DELL’OZONO)
GAS COMPRESSI NON
LIQUEFATTI
LA TABELLA RIPORTA LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE FISICHE DEI
GAS COMPRESSI NON LIQUEFATTI:
GAS COMPRESSI LIQUEFATTI:
IDROCARBURI NON ALOGENATI
TRA I GAS COMPRESSI LIQUEFATTI POSSIAMO RICORDARE
INNANZITUTTO GLI IDROCARBURI NON ALOGENATI, GENERALMENTE
NON USATI DA SOLI A CAUSA DELL’ALTA INFIAMMABILITA’.

VANTAGGI SVANTAGGI
• COSTO CONTENUTO • ALTAMENTE INFIAMMABILI
•SCARSI DANNI ALLA FASCIA • ODORE PARTICOLARE
DELL’OZONO
•TOSSICITA’ PER INALAZIONE NON
•SCARSO CONTRIBUTO BEN CONOSCIUTA
ALL’EFFETTO SERRA
•BASSA DENSITA’ ALLO STATO
• OTTIME PROPRIETA’ SOLVENTI LIQUIDO
GAS COMPRESSI LIQUEFATTI:
IDROCARBURI NON ALOGENATI
LA TABELLA RIPORTA LE PRINCIPALI CARATTERISTICHE FISICHE DEI
GAS COMPRESSI NON LIQUEFATTI:
GAS COMPRESSI LIQUEFATTI:
IDROCARBURI ALOGENATI

GLI IDROCARBURI ALOGENATI SONO IDENTIFICATI CON UN SISTEMA DI


SIGLE CODIFICATO NEL 1957 DALLA AMERICAN SOCIETY OF
REFRIGERATING ENGINEERS. QUESTO CODICE RIPORTA IN SEQUENZA
(DA SINISTRA A DESTRA) IL NUMERO DI ATOMI DI CARBONIO, IDROGENO
E FLUORO NELLA MOLECOLA COME (C-1), (H+1) E (F). IL NUMERO DEGLI
ATOMI DI CLORO VIENE DEDOTTO IN BASE ALLE VALENZE LIBERE, E IL
CARBONIO E’ OMESSO QUANDO C-1=0. LA SIGLA CFC INDICA IN
GENERALE I CLOROFLUOROCARBURI, MENTRE LA SIGLA HFA INDICA
GLI IDROFLUOROALCANI, CHE NON HANNO CLORO NELLA MOLECOLA.
CFC-11 → CCl3F
CFC-115 → CClF2CF3
HFA-125 → CF3CHF2
HFA-227 → CF3CHFCF3
GAS COMPRESSI LIQUEFATTI:
CLOROFLUOROCARBURI
I COMPOSTI DI QUESTO GRUPPO PIU’ USATI COME PROPELLENTI IN SPRAY
(SOPRATTUTTO PER USO INALATORIO) SONO STATI PER LUNGO TEMPO I CFC 11 E
12 (DERIVATI DAL METANO) E IL CFC-114, DERIVATO DALL’ETANO. SPESSO SONO
USATI IN MISCELA.
VANTAGGI SVANTAGGI
• PRESSIONE DI EROGAZIONE COSTANTE • CONTRIBUISCONO
SIGNIFICATIVAMENTE ALLA
• BASSA TOSSICITA’ PER INALAZIONE DISTRUZIONE DELLA FASCIA
• ELEVATA STABILITA’ CHIMICA DELL’OZONO

• ALTA PUREZZA •CONTRIBUISCONO ALL’EFFETTO


SERRA
• SAPORE ED ODORE ACCETTABILI
•LA PRESSIONE NEL CONTENITORE
•COMPATIBILITA’ CON GLI INGREDIENTI CRESCE RAPIDAMENTE
DELLE FORMULAZIONI ED I CONTENITORI ALL’AUMENTARE DELLA
• NON INFIAMMABILI TEMPERATURA
•BUONE PROPRIETA’ SOLVENTI DEL •SONO IMMISCIBILI CON LIQUIDI
CFC-11 POLARI (NECESSARI COSOLVENTI)
GAS COMPRESSI LIQUEFATTI:
CLOROFLUOROCARBURI
GAS COMPRESSI LIQUEFATTI:
CLOROFLUOROCARBURI
I CLOROFLUOROCARBURI SONO SPESSO USATI IN MISCELA
(ES., CFC-11 + CFC-12, OPPURE CFC-12 + CFC-114); VARIANDO
LE PERCENTUALI DEI SINGOLI COMPONENTI SI PUO’
OTTENERE IL VALORE DI TENSIONE DI VAPORE DESIDERATO,
CHE PUO’ ESSERE CALCOLATO SECONDO LA LEGGE DI
RAOULT DALLE FRAZIONI MOLARI DEI SINGOLI PROPELLENTI
E DAI VALORI DI TENSIONE DI VAPORE DEI PROPELLENTI
ALLO STATO PURO.
BISOGNA TENERE PRESENTE CHE L’AGGIUNTA DI SOLVENTI
POLARI, COME GLI ALCOOLI, PUO’ FAR VARIARE
CONSIDEREVOLMENTE LA TENSIONE DI VAPORE TEORICA DI
UNA MISCELA DI PROPELLENTI.
GAS COMPRESSI LIQUEFATTI:
IDROFLUOROALCANI
DAL 1978 SI E’ INIZIATO A LIMITARE L’USO DEI CFC IN TUTTO IL
MONDO A CAUSA DEL LORO IMPATTO AMBIENTALE; NEGLI USA I
CFC 11, 12 E 114 POSSONO ANCORA ESSERE USATI NEI
CONTENITORI PRESSURIZZATI PER USO INALATORIO, PERCHE’
ESSI RAPPRESENTANO SOLO LO 0.4% DEI CFC USATI NEL MONDO.
LE CRESCENTI LIMITAZIONI ALL’USO DEI CFC HA PORTATO ALLO
STUDIO DI PROPELLENTI CON BASSO ODP (OZONE DEPLETION
POTENTIAL). MOLTO PROMETTENTI SEMBRANO GLI
IDROFLUOROALCANI O IDROFLUOROCARBURI O HFA,
IDROCARBURI ALOGENATI CHE NON CONTENGONO ATOMI DI
CLORO. GLI HFA HANNO ODP UGUALE A ZERO.
GAS COMPRESSI LIQUEFATTI:
IDROFLUOROALCANI
VANTAGGI SVANTAGGI
•BASSA TOSSICITA’ PER • COSTI ELEVATI
INALAZIONE
•CONTRIBUISCONO ALL’EFFETTO
• ELEVATA STABILITA’ CHIMICA SERRA
• ELEVATA PUREZZA • SCARSE CAPACITA’ SOLVENTI
• NESSUN EFFETTO DI
DEPLEZIONE DELLA FASCIA DI
OZONO
GAS COMPRESSI LIQUEFATTI:
IDROFLUOROALCANI
I PREPARATI SPRAY A BASE DI HFA CONTENGONO CIRCA IL 30% IN MENO
DI PROPELLENTE RISPETTO A QUELLI CONTENENTI I TRADIZIONALI CFC;
QUESTO SIGNIFICA ANCHE CHE LE PERDITE DI HFA NELL’ATMOSFERA
DURANTE IL CONFEZIONAMENTO (1-2%) SONO PIU’ CONTENUTE RISPETTO
A QUELLE DI CFC.
ATTUALMENTE SONO IN COMMERCIO ALCUNE SPECIALITA’ CONTENENTI
HFA-134a (ALBUTEROLO, BECLOMETASONE E FLUTICASONE) E HFA-227
(CROMOLYN).
IL PASSAGGIO GRADUALE PREVISTO NEL TEMPO DAI CFC AGLI HFA
IMPONE AI PRODUTTORI DI RIFORMULARE LE SPECIALITA’ TRADIZIONALI
E DI STUDIARE NUOVI TIPI DI VALVOLE E DI TECNICHE DI RIEMPIMENTO
DEI CONTENITORI; IL PROCESSO DI COMPLETA SOSTITUZIONE POTREBBE
RICHIEDERE 8-12 ANNI.
GAS COMPRESSI LIQUEFATTI:
IDROFLUOROALCANI
GAS COMPRESSI LIQUEFATTI:
IDROFLUOROALCANI

CONFRONTO TRA LE DIMENSIONI DELLE GOCCIOLINE PRODOTTE


DALLO DISPOSITIVO INALATORIO PRESSURIZZATO CON DIVERSI
PROPELLENTI
CONTENITORI

I RECIPIENTI DESTINATI ALLE FORMULAZIONI PRESSURIZZATE POSSONO


ESSERE REALIZZATI CON ACCIAIO, ALLUMINIO, VETRO ROBUSTO
RIVESTITO DI PELLICOLA PLASTICA, O MATERIALE PLASTICO, A SECONDA
DEGLI USI DELLA FORMULAZIONE.
I RECIPIENTI DI ALLUMINIO SONO I PIU’ UTILIZZATI, ESSENDO LEGGERI,
ROBUSTI, RESISTENTI ALLA ROTTURA E SUFFICIENTEMENTE INERTI.
L’INERZIA CHIMICA PUO’ ESSERE AUMENTATA RIVESTENDO LA SUPERFICIE
INTERNA CON UNA SOTTILE PELLICOLA DI RESINA EPOSSIDICA.
I CONTENITORI DI ALLUMINIO POSSONO ESSERE RECIPIENTI MONOBLOCCO
(CIOE’ RICAVATI DA UN UNICO PEZZO METALLICO, SENZA GIUNZIONI O
SALDATURE, RESISTENTI AD UNA PRESSIONE FINO A 30 kg/cm2) OPPURE
CON FONDELLO SALDATO (PRESSIONE MASSIMA 12 kg/cm2).
ALTRI VANTAGGI DELL’ALLUMINIO SONO IL FATTO CHE E’ OPACO, E’
FACILE DA ETICHETTARE E LE OPERAZIONI DI RIEMPIMENTO SONO
SEMPLICI.
VALVOLE

LE VALVOLE PER SPRAY POSSONO ESSERE DI DUE TIPI DIVERSI:


• VALVOLE CONTINUE
• VALVOLE DOSATRICI

LE VALVOLE DOSATRICI,
LE VALVOLE
QUANDO VIENE
CONTINUE
PREMUTO IL TASTO DI
EROGANO
EROGAZIONE, FANNO
PRODOTTO
USCIRE SOLO UN
FINCHE’ VIENE
VOLUME PRESTABILITO
TENUTO
DI PRODOTTO (25-125 µL
PREMUTO IL
PER FARMACI DA
TASTO DI
INALARE, FINO A 5 ML
EROGAZIONE
PER SPRAY TOPICI)
SPRAY TRIFASICI

IN QUESTI SPRAY IL PROPELLENTE NON E’


MISCIBILE CON LA FORMULAZIONE, PER CUI
LE DUE FASI LIQUIDE SI STRATIFICANO.
SE IL PROPELLENTE SCELTO E’ UN CFC,
CON UN’ ELEVATA DENSITA’, ESSO VA SUL
FONDO DEL RECIPIENTE; IN QUESTO CASO
LA CANNUCCIA DEVE ESSERE CORTA PER
EVITARE DI PESCARE DENTRO IL
PROPELLENTE.
PER EVITARE QUESTO INCONVENIENTE SI
PREFERISCE RICORRERE, IN QUESTI CASI, A
MISCELE PROPANO-BUTANO CHE, AVENDO
BASSA DENSITA’, GALLEGGIA SUL
PRODOTTO.
NEGLI SPRAY TRIFASICI IL PROPELLENTE
HA LA SOLA FUNZIONE DI FAR USCIRE IL
PRODOTTO, MA NON PARTECIPA ALLA SUA
T
POLVERIZZAZIONE.
SPRAY BIFASICI

NEGLI SPRAY BIFASICI IL PRINCIPIO ATTIVO E’


EMULSIONATO O SCIOLTO, EVENTUALMENTE
CON L’AUSILIO DI CO-SOLVENTI, NEL
PROPELLENTE, COL QUALE FORMA UNA UNICA
FASE LIQUIDA.
AL DI SOPRA DI QUESTA C’E’ LA FASE GASSOSA
DEL PROPELLENTE, CHE ESERCITA SULLE
PARETI DEL CONTENITORE E SUL LIQUIDO UNA
PRESSIONE UNIFORME, IL CUI VALORE DIPENDE
DAL TIPO DI PROPELLENTE, DAL RAPPORTO TRA
QUANTITA’ DI PRINCIPIO ATTIVO E QUANTITA’ DI
PROPELLENTE, E DALLA TEMPERATURA.

TRATTO DA CASADIO
FUNZIONAMENTO DEGLI SPRAY

•UNA PARTE DEL PROPELLENTE RIMANE


IL FUNZIONAMENTO DEGLI SPRAY PUO’ LIQUIDA, UN’ALTRA SI TRASFORMA IN GAS
ESSERE SCHEMATIZZATO NEL MODO E VA AD OCCUPARE LA PARTE SUPERIORE
SEGUENTE: IL PRINCIPIO ATTIVO E’ SCIOLTO DEL CONTENITORE, DOVE SVILUPPA UNA
EMULSIONATO O SOSPESO, INSIEME AD ALTRE PRESSIONE COMPRESA TRA 2.5 E 5
SOSTANZE, NEL PROPELLENTE LIQUIDO. ATMOSFERE.

•QUANDO LA VALVOLA EROGATRICE


TASTO EROGATORE AEROSOL VIENE APERTA, LA PRESSIONE PROVOCA
LA FUORIUSCITA DI UNA CERTA
CANALE DELLA QUANTITA’ DI PRODOTTO ATTRAVERSO IL
VALVOLA VALVOLA TUBO PESCANTE; NELL’ATMOSFERA IL
GAS COMPRESSO PROPELLENTE SI DILATA
O PROPELLENTE TRASFORMANDOSI IN GAS E DISPERDE IL
GASSOSO PRODOTTO IN PARTICELLE PIU’ O MENO
FINI.
TUBO PROPELLENTE
PESCANTE LIQUEFATTO O •LA PRESSIONE DENTRO IL RECIPIENTE
SOLVENTE DIMINUISCE TEMPORANEAMENTE, MA
VIENE RIPRISTINATA AL VALORE INIZIALE
PER EVAPORAZIONE DI UNA PARTE DEL
PROPELLENTE.
FORMULAZIONI

IL PRINCIPIO ATTIVO PUO’ ESSERE INSERITO NEGLI SPRAY


SOTTO FORMA DI PARTICELLE SOLIDE IN SOSPENSIONE
OPPURE IN SOLUZIONE O IN EMULSIONE.
FORMULAZIONI: SOSPENSIONI

EVAPORAZIONE PROPELLENTE

PARTICELLE DI
PARTICELLE SOLIDE DI FARMACO
FARMACO SOSPESE IN AGGREGATE
UNA GOCCIA DI
PROPELLENTE

LA FORMULAZIONE E’ COSTITUITA DA UNA SOSPENSIONE DI PRINCIPIO ATTIVO


QUANDO QUESTO NON E’ SOLUBILE NEL PROPELLENTE.
LE DIMENSIONI DELLE PARTICELLE SOSPESE DEVONO ESSERE REGOLATE IN BASE
ALL’USO A CUI LO SPRAY E’ DESTINATO: PER GLI USI INALATORI SOLITAMENTE IL
DIAMETRO MEDIO E’ INFERIORE A 5 µm (POLVERI MICRONIZZATE), MENTRE PER GLI
USI TOPICI DI SOLITO E’ COMPRESO TRA 10 E 40
µm (OLTRE 50 µm LE PARTICELLE POSSONO ESSERE IRRITANTI PER LA CUTE).
FORMULAZIONI: SOSPENSIONI

LE SOSPENSIONI PERMETTONO DI SOMMINISTRARE ALTI DOSAGGI DI


FARMACO.
L’INSTABILITA’ FISICA DELLE SOSPENSIONI PUO’ COSTITUIRE UN PROBLEMA:
LE PARTICELLE SOSPESE POSSONO AGGREGARSI IN MODO TALE DA NON
POTER ESSERE RIDISPERSE PER SEMPLICE AGITAZIONE, CON CONSEGUENTE
VARIABILITA’ DI DOSAGGIO. IN CASI ESTREMI SI PUO’ AVERE IL CAKING.
PER L’OTTENIMENTO DI SOSPENSIONI STABILI LA SOLUBILITA’ DEL FARMACO
NELLA FASE LIQUIDA DEVE ESSERE PRATICAMENTE NULLA; IN CASO
CONTRARIO SI PUO’ AVERE LA CRESCITA DI GROSSI CRISTALLI NEL
CONTENITORE A SPESE DELLE PARTICELLE PIU’ PICCOLE.
LA PRESENZA DI TRACCE D’ACQUA NELLE SOSPENSIONI PUO’ ESSERE MOLTO
DANNOSA PER LA LORO STABILITA’, PERCHE’ PUO’ INDURRE LA CRESCITA DI
CRISTALLI. L’ACQUA PUO’ ESSERE INTRODOTTA NELLE SOSPENSIONI COME
UMIDITA’ ATMOSFERICA NELLA FASE DI RIEMPIMENTO OPPURE PENETRARE
ATTRAVERSO GLI ELEMENTI DI GOMMA DELLE VALVOLE.
FORMULAZIONI: SOSPENSIONI

LE SOSPENSIONI CONTENGONO, OLTRE AL PRINCIPIO ATTIVO E ALLA


MISCELA DI PROPELLENTI, UN TENSIOATTIVO, CHE HA VARIE
FUNZIONI, PRINCIPALMENTE MANTENERE DISPERSE NEL LIQUIDO LE
PARTICELLE SOLIDE E LUBRIFICARE LA VALVOLA.
I TENSIOATTIVI PIU’ USATI SONO: ACIDO OLEICO, SORBITAN
TRIOLEATO, CLORURO DI CETILPIRIDINIO, FOSFATIDILCOLINA.
EPINEFRINA BITARTRATO 0.50%
SORBITAN TRIOLEATO 0.50%
CFC-11 49.50
%
CFC-12 49.50
ISOPROTERENOLO SOLFATO 33.3mg %

ALCOOL OLEICO 33.3mg


ALCOOL MIRISTICO 33.3mg
CFC-12 7.0g
CFC-11 7.0g
FORMULAZIONI: SOLUZIONI

EVAPORAZIONE PROPELLENTE

PARTICELLA DI
FARMACO
MOLECOLE DI PRECIPITATA
FARMACO DISPERSE
IN UNA GOCCIA DI
PROPELLENTE

QUANDO IL FARMACO E’ ABBASTANZA SOLUBILE NEL


PROPELLENTE ESSO VIENE FORMULATO COME SOLUZIONE. PER
MIGLIORARE LA SOLUBILITA’ PUO’ ESSERE NECESSARIO
RICORRERE AD UN CO-SOLVENTE.
FORMULAZIONI: SOLUZIONI

TRA I CO-SOLVENTI SI POSSONO RICORDARE: IL GLICOLE


PROPILENICO, LA GLICERINA, POLIETILENGLICOLI E GLI ALCOOLI, IN
MODO PARTICOLARE L’ALCOOL ETILICO.
L’ETANOLO E’ MOLTO USATO PER LA SUA SCARSA TOSSICITA’;
TUTTAVIA, ALLE ELEVATE CONCENTRAZIONI (30-50% IN PESO) CHE
SONO A VOLTE RICHIESTE PER SOLUBILIZZARE IL FARMACO, PUO’
COMPORTARE I SEGUENTI SVANTAGGI:
• RITARDA L’EVAPORAZIONE ISTANTANEA DEL PROPELLENTE, E NEL
CASO DI PRODOTTI PER INALAZIONE AUMENTA LA QUANTITA’ DI
FARMACO CHE SI DEPOSITA NELL’OROFARINGE, RIDUCENDO LA
QUANTITA’ DI FARMACO INALABILE;
•FACILITA LA DEGRADAZIONE DEL PROPELLENTE CFC CON
CONSEGUENTE CORROSIONE DEL CONTENITORE
• PUO’ ALTERARE LE PARTI IN GOMMA DELLE VALVOLE
FORMULAZIONI: EMULSIONI

LA FORMULAZIONE PUO’ CONTENERE UNA CERTA QUANTITA’ DI


ACQUA; POICHE’ QUESTA E’ IMMISCIBILE CON I PROPELLENTI DEVE
ESSERE PRESENTE UN EMULSIONANTE. DOPO VAPORIZZAZIONE, A
SECONDA DELLA FORMULAZIONE SI OTTERRA’ UNA SCHIUMA.
IL PROPELLENTE RIVESTE UN RUOLO IMPORTANTE NEL
DETERMINARE IL TIPO DI SCHIUMA RISULTANTE. CON LE
EMULSIONI DEL TIPO O/A, IN CUI IL PROPELLENTE E’ LA FASE
DISPERSA, LA SCHIUMA RISULTANTE E’ PERSISTENTE E
VOLUMINOSA. E’ ANCHE POSSIBILE REALIZZARE EMULSIONI O/A A
BASE NON ACQUOSA (L’ACQUA E’ SOSTITUITA DAI GLICOLI).
SE INVECE L’EMULSIONE E’ DEL TIPO A/O, COL PROPELLENTE
COME FASE ESTERNA, SI OTTENGONO SCHIUME CHE COLLASSANO
RAPIDAMENTE LASCIANDO UN FILM LIQUIDO (QUICK-BREAKING
FOAMS).
TIPI DI AEROSOLI
FARMACEUTICI

LE PREPARAZIONI PRESSURIZZATE SI POSSONO CLASSIFICARE A


SECONDA DEL TIPO DI MATERIALE EROGATO:
•AEROSOLI A SPRAY FINE E SECCO: SONO PREPARAZIONI DEL TIPO
BIFASICO CARATTERIZZATE DA UNA ELEVATA % DI PROPELLENTE, 80-
99%; GENERALMENTE SI USANO MISCELE CON UNA ALTA
PERCENTUALE DI COMPONENTE A BASSO PUNTO DI EBOLLIZIONE.
QUESTI AEROSOLI PRODUCONO PARTICELLE MOLTO FINI E SONO
GENERALMENTE DESTINATI ALL’INALAZIONE.
• AEROSOLI A SPRAY GROSSO E UMIDO: CONTENGONO UNA
PERCENTUALE DI PROPELLENTE CHE VA DAL 25 AL 75% ED
EROGANO PARTICELLE ABBASTANZA GROSSE (SUPERIORI A 100
µm), CHE RISULTANO BAGNANTI. SONO DEL TIPO BIFASICO O
TRIFASICO E SONO DESTINATI ALL’APPLICAZIONE DI FARMACI
SULLA PELLE (ANTISETTICI, ANTIALLERGICI, FILM PROTETTIVI).
TIPI DI AEROSOLI
FARMACEUTICI
• AEROSOLI LIQUIDI: HANNO POCHISSIMO PROPELLENTE, LA CUI
FUNIONE E’ QUELLA DI FARE USCIRE IL LIQUIDO A FILO O A GOCCE;
LA PRESSIONE INTERNA DI CONSEGUENZA, E’ MOLTO BASSA.
• AEROSOLI A SCHIUMA: SI E’ VISTO PRIMA CHE SI TRATTA DI
EMULSIONI PRESSURIZZATE, DEL TIPO O/A (SCHIUME PERSISTENTI)
OPPURE A/O (SCHIUME A RAPIDA ROTTURA)
• AEROSOLI SEMISOLIDI: SI TRATTA DI CONFEZIONI
PRESSURIZZATE GENERALMENTE CON AZOTO COMPRESSO,
CONTENENTI PASTE E CREME; SPESSO L’EROGAZIONE E’
INCOMPLETA POICHE’ PARTE DEL PRODOTTO RIMANE SULLE
PARETI.
•AEROSOLI IN POLVERE: SOPRATTUTTO DESTINATI ALL’USO
DERMATOLOGICO O CHIRURGICO, COSTITUITI DA POLVERE
MICRONIZZATA SOSPESA NEL PROPELLENTE.
CONTROLLI DELLE CONFEZIONI
PRESSURIZATE

UNA VOLTA RIEMPITI, I CONTENITORI VENGONO TRAPORTATI AD UNA


VASCA CONTENENTE ACQUA ALLA TEMPERATURA DI 40-45°C PER IL
CONTROLLO DELLA TENUTA DELLA VALVOLA; SE L’AGGRAFFATURA
NON E’ PERFETTA O SE LA VALVOLA E’ DIFETTOSA IL PROPELLENTE
FUORIESCE SOTTO FORMA DI BOLLICINE VISIBILI, E CIO’ PERMETTE
DI SCARTARE LE UNITA’ DIFETTOSE.
DOPO ASCIUGATURA DELLE BOMBOLE ED INSERIMENTO DEL TASTO
EROGATORE, VIENE VERIFICATO IL CORRETTO FUNZIONAMENTO
DELLE VALVOLE PREMENDO IL TASTO E VERIFICANDOLA
REGOLARITA’ DEL GETTO.
INFINE I CONTENITORI SONO AVVIATI AL CONFEZIONAMENTO FINALE.
STABILITA DELLE FORME DI DOSAGGIO

Capacità di una formulazione, in uno


specifico contenitore, di mantenere
inalterate le sue proprietà entro limiti
definiti durante il periodo di conservazione
ed utilizzo
Stabilità

Validità
Intervallo di tempo durante il quale un
prodotto mantiene, entro limiti definiti e
fino alla sua data di scadenza, le
medesime proprietà e caratteristiche
che esso possiede al momento della
produzione
… criterio generalmente riconosciuto …

definire la stabilità di ciascun preparato come il


tempo che intercorre tra la data di fabbricazione
e il momento in cui la concentrazione sia ridotta
del 10%
Cosa influisce sulla stabilità dei preparati?

PRODUZIONE PRINCIPIO ATTIVO ECCIPIENTI

DISTRIBUZIONE STOCCAGGIO

CONSERVAZIONE CONSERVAZIONE IN CASA


IN FARMACIA
Tipi di stabilità
Caratteristiche e/o proprietà da valutare

In generale: mantenimento delle proprietà fisiche quali: aspetto,


proprietà organolettiche (odore, sapore, colore).
Per le compresse e capsule: caratteristiche di disgregazione,
FISICA dissoluzione. Friabilità e durezza (per le compresse)
Per granulati o polveri: aggregazione
Per le forme liquide (soluzioni): precipitazione

CHIMICA mantenimento dell’integrità chimica dell’attivo

Capacità del preparato di limitare


la proliferazione microbica
MICROBIOLOGICA
(mantenimento dell’efficacia
degli antimicrobici)
TERAPEUTICA L’effetto terapeutico rimane immutato

TOSSICOLOGICA Non si registra alcun aumento significativo di tossiticità


Studi di stabilità sui principi attivi

Scopo:

• Ricercare le cause che determinano la


degradazione chimica della sostanza

• Studiare la velocità con cui avviene tale


degradazione

• Studiare misure adatte a ridurre l entità e la velocità


della degradazione
Validità dei medicinali

La data di scadenza di un medicinale indica la validità del


prodotto, il lasso di tempo entro il quale è possibile utilizzare quel
medicinale (purché correttamente conservato fino a tale data).
Questa data corrisponde al periodo in cui il titolare
dell’autorizzazione al commercio garantisce una presenza minima
del principio attivo del 90% rispetto a quanto dichiarato in etichetta,
cioè garantisce la stabilità e la potenza terapeutica del prodotto
con una variazione massima negativa del 10%.
.
La degradazione del principio attivo potrebbe in teoria dar luogo
a formazione di composti tossici, tuttavia questo rischio deve
essere considerato del tutto ipotetico (ad oggi l'unico caso
segnalato di tossicità per degradazione nell'uomo riguarda la
tetraciclina).
La data di scadenza viene stabilita dalla ditta produttrice in
base a studi di stabilità reale o simulata (cosiddetta "vita di
scaffale"), anche estrapolando i risultati ottenuti da studi di
degradazione accelerata
Scadenza e modalità di conservazione

Il concetto di data di scadenza è strettamente legato alle condizioni di


conservazione, in quanto la temperatura di conservazione rappresenta
una forma di energia che influisce sulla stabilità del prodotto.
Per ogni formulazione, in base ai risultati degli studi di stabilità, la ditta
produttrice fissa le condizioni di conservazione e la data di scadenza, con
un certo margine di precauzione che la metta al riparo da problemi legali
e di responsabilità civile.
La data di scadenza in ogni caso non può essere superiore ai cinque
anni, anche quando la formulazione fosse sicuramente stabile oltre quella
data
La velocità di una reazione è definita in base alla variazione
della concentrazione molare di una specie (reagente o
prodotto) in funzione del tempo.

In termini generali

Vreaz =-dC/dt

Col segno negativo rispetto alla scomparsa di reagente o col segno


positivo rispetto alla comparsa di prodotti usando quantità infinitesime.
Calcolo velocità di reazione

k è la costante di velocità o costante cinetica


m ed n sono coefficienti che possono essere pari a zero, numeri interi
o frazionari, il cui valore può essere determinato solo
sperimentalmente.
Ogni coefficiente determina l'ordine di reazione, rispetto al proprio
componente
la somma m+n determina l'ordine globale della reazione
CINETICHE DI DEGRADAZIONE

ordine zero 𝑑𝐶
− = 𝐾0
𝑑𝑡
la perdita di farmaco è
indipendente dalla
concentrazione dei reagenti, è
quindi costante nel tempo..
Reazioni di ordine 0

v=k
-d[A]/dt = k
[A] = [A]0 – kt Equazione di una retta con
t1/2 = [A]0/(2k) pendenza –k e intercetta
[A]0
𝑪 = −𝑲𝟎 𝒕 + 𝑪𝟎

Concentrazione p.a.

Tempo
CINETICHE DI DEGRADAZIONE ordine primo

La perdita di farmaco è direttamente


proporzionale alla concentrazione
rimanente

𝑑𝐶 ln 𝐶 = −𝐾𝑡 + 𝑙𝑛𝐶0
= 𝐾𝐶
𝑑𝑡
Reazioni di ordine 1

v = k [A]

-d[A]/dt = k [A]

[A] = [A]0 e– kt Equazione di una retta


con pendenza –k e
ln[A] = ln[A]0 – kt intercetta ln[A]0

t1/2 = ln2/k
Cinetiche di secondo ordine 2 casi

A + A PRODOTTO

V = k [A]2

A + B PRODOTTO

V = k [A] [B]
Reazioni di ordine 2

v = k [A]2

-d[A]/dt = k [A] 2
Equazione di una retta
1/[A] = 1/[A]0 + kt con pendenza +k e
intercetta 1/[A]0
60

50

40

V 30

20

10

0
0 5 10 15 20 25

[A]

Considerando la [A] contro il


tempo t, la funzione linearizzata è
1/[A] = 1/[A]0 + Kt
Calcolando l’inverso delle concentrazioni
misurate a tempi definiti e riportando in
diagramma le coppie di valori.
Se i punti stanno su una retta, allora la
reazione è del 2° ordine.
PROBLEMA

Una sospensione di un farmaco (125 mg/ml)


degrada secondo una cinetica apparente di ordine
zero con una costante di reazione pari a
0.5 mg/ml h-1. Qual’é la concentrazione di farmaco
nella sospensione dopo 3 giorni (72 ore)?
Legge cinetica da applicare ordine zero
𝑪 = −𝑲𝟎 𝒕 + 𝑪𝟎

C = - (0.5 mg/ml h-1)(72 h) +125 mg/ml


C = 89 mg/ml
Problema
Una soluzione oftalmica, con una concentrazione iniziale di
attivo pari a 5 mg/ml degrada secondo una cinetica di primo
ordine con una costante di velocità di reazione di 0.0005 giorni-1.
Quanto farmaco intatto rimarrà dopo 120 giorni?

ln 𝐶 = −𝐾𝑡 + 𝑙𝑛 𝐶0

lnC = - ( 0.0005 giorni-1 )(120) + ln(5


mg/ml)
lnC = - 0.06 +1.609
lnC = 1.549
C = 4.71 mg/ml
Quanto tempo sarà necessario perché il farmaco degradi fino a
raggiungere il 90% della sua concentrazione?

90% di 5 mg/ml = 4.5 mg/ml

ln 4.5 mg/ml = - ( 0.0005 giorni-1 )t + ln(5 mg/ml)

t = (ln 4.5 mg/ml - ln 5 mg/ml) / - 0.0005 giorni-1

t = 210 giorni
Obiettivi:
Individuare le condizioni di conservazione
adatte per il “prodotto farmaceutico”
Farmaco, forma di dosaggio, packaging

Definire il periodo di validità alle condizioni di


conservazione previste
Studi stress su p.a.

Studi di stabilità accelerata

Studi di stabilità lungo termine

Studi di stabilità per verificare il periodo di validità


del preparato alle condizioni di conservazione
previste

Studi condotti in camere climatiche (stufe, frigoriferi, ecc…)


a temperatura e umidità controllate
Si valuta l’effetto di:
 Temperatura
 Luce
 O2
 pH
 eccipienti previsti nella formulazione (prove di
compatibilità
risultati preliminari sul comportamento
dell’attivo
studio progettato per aumentare la velocità di
degradazione chimica o fisica del farmaco o della
forma farmaceutica per mezzo di condizioni di
conservazione “estreme” allo scopo di determinare i
fondamentali parametri cinetici
Equazione di Arrhenius
(indipendente dall’ordine di reazione)

𝐸𝑎
−𝑅𝑇
𝐾= 𝐴𝑒

K costante specifica
A fattore di Arrhenius o fattore frequenza
R costante dei gas 1.987 cal/K mole
PROBLEMA
La costante di decomposizione dell’idrossimetilfurfurale a 120°C è 1,173 hr-1
e quella a 140°C è 4,860 hr-1 . Calcolare, in questo range di temperatura,
l’energia di attivazione in Kcal/mole e il fattore A in sec-1 .

𝐸𝑎 = 23 𝐾𝑐𝑎𝑙/𝑚𝑜𝑙𝑒

23000 𝑐𝑎𝑙
log 3,258𝑥10−4 𝑠𝑒𝑐 −1 = 𝑙𝑜𝑔𝐴 −
2,303𝑥1,987𝑥393

𝐴 = 2𝑥109 𝑠𝑒𝑐 −1
Medicinali allestiti in farmacia

I medicinali allestiti in farmacia devono rispettare le norme di buona preparazione


previste dalla Farmacopea Ufficiale.

Il farmacista nell'assegnare la data limite per l'utilizzazione delle preparazioni da lui


effettuate, oltre ai fattori connessi con la natura della preparazione e con la
procedura della stessa, deve consultare ed applicare la pertinente documentazione e
letteratura di carattere generale ed in particolare, se disponibile, quella concernente
la singola e specifica preparazione, tenendo anche presente:
• la natura delle sostanze,
• la compatibilità con gli eccipienti ed i processi che possono indurre degradazione
(fotosensibilità, termolabilità ecc.);
• la natura del contenitore e le sue possibili interazioni;
• le previste condizioni di conservazione;
• infine la durata della terapia.
In assenza di informazioni specifiche sulla stabilità, per i preparati non sterili in
formulazioni solide, liquide non acquose o con un contenuto alcoolico non
inferiore al 25%, si deve applicare un limite di utilizzazione non superiore al 25 per
cento del più breve periodo di validità dei componenti utilizzati, e comunque
non superiore a 6 mesi.

Questa categoria di preparati comprende anche diverse formulazioni


fitoterapiche, siano esse capsule di estratti secchi o polveri, droghe in taglio
oppure tinture con una percentuale alcolica superiore al 25%.
Per tutte le formulazioni diverse da quelle di cui sopra, cioè
formulazioni sterili e/o acquose, la cui stabilità presenta degli
aspetti critici, la validità sarà di 30 giorni dalla data di preparazione.

Questo limite deve essere ridotto o può essere superato solo sulla
base di specifiche conoscenze ed accorgimenti connessi con la
contaminazione microbica del preparato e con le caratteristiche
chimico-fisiche dei suoi componenti.
SOLUZIONI
Una soluzione è una miscela omogenea (=la sua
composizione e le sue proprietà sono uniformi in ogni
parte del campione) di due o più sostanze formate da
ioni o molecole.
Differenza con i colloidi che differiscono in quanto le
particelle sono più grandi delle molecole normali ma
non ancora visibili al microscopio (10-2000 Å).

Le soluzioni possono esistere in ognuno dei tre stati


della materia: gas, liquido o solido.

Il solvente è il componente presente in quantità


maggiore o che determina lo stato della materia in cui
la soluzione esiste.

Il soluto è un componente presente in quantità minore.


Il caso più comune è quello di soluzioni liquide
(soluzioni di gas, solidi o liquidi sciolti in un liquido).
Si possono però avere:

Soluzioni gassose: in genere i gas possono mescolarsi


in tutte le proporzioni per dare soluzioni gassose.

Soluzioni liquide: sono le più comuni e sono ottenute


nella maggior parte dei casi sciogliendo un gas o un
solido in un liquido. Sono comuni anche le soluzioni
liquido-liquido (possono non essere miscibili in tutte le
proporzioni).

Soluzioni solide: sono principalmente leghe di due o più


metalli. Le leghe di mercurio (l’unico metallo liquido)
con altri metalli sono chiamate amalgame e possono
essere sia liquide che solide).
Solubilità

In generale solo una quantità finita di un solido si scioglie


in un dato volume di solvente dando luogo ad una soluzione
satura, cioè una soluzione in equilibrio con un eventuale
solido in eccesso.

Equilibrio
dinamico

La concentrazione del soluto nella soluzione satura è


detta solubilità. Ad esempio la solubilità di NaCl in acqua
è di 36 g per 100 ml di acqua a 20°C.
Solubilità in funzione della pressione

La pressione ha poco effetto sulla solubilità di solidi e di liquidi.


E’ invece importante per la solubilità dei gas.

SOLUBILITA’ DI GAS
Processo diverso da quello dei soluti solidi.
La solubilità di un gas in un liquido comporta il passaggio da uno
stato di deboli interazioni tra le particelle (gas) a uno stato di
interazioni più forti (liquido). Il processo è esotermico.
LA SOLUBILITA’ DI UN GAS IN UN LIQUIDO
DIPENDE DALLA T E DALLA P.

Aumenta all’aumentare
della pressione

Diminuisce all’aumentare della temperatura


Solubilità dei gas

La solubilità di un gas in un liquido dipende dalla pressione


parziale del gas secondo la legge di Henry.
La solubilità di un gas è direttamente proporzionale alla
pressione parziale del gas, P, sopra la soluzione:

s=kHP

La solubilità s è generalmente espressa in grammi di soluto per


litro di soluzione e kH è una costante.
legge di Henry.

La solubilità di un gas, a
temperatura costante, è
direttamente proporzionale
alla pressione parziale del
gas, P, sopra la soluzione:

s=kHP
Pertanto un grafico della solubilità in funzione della
pressione parziale del gas corrisponde ad una retta
Interpretazione molecolare: maggiore è la pressione parziale
del gas e maggiore è il numero di molecole di gas che urtano la
superficie e passano in soluzione
Esempio: 27 g di acetilene si sciolgono in un litro di acetone ad
1 atm. Quanti grammi si sciolgono a 12 atm?

P1= 1 atm s1= kH P1


P2= 12 atm s2= kH P2
Dividendo la seconda equazione per la prima:
s 2 k H P2 s 2 P2
 
s1 k H P1 s1 P1
A P1= 1 atm si ha s1= 27 g/ 1 litro = 27 g/l.
Dalla relazione sopra si ha:
s2 12 atm
  s 2  12  27 g/l  324 g/l
27g/l 1 atm
Quindi a 12 atm 1 litro di acetone scioglie 324 g di acetilene
CONCENTRAZIONE DELLE SOLUZIONI

In generale la concentrazione di una soluzione è una


misura della quantità di soluto presente in una data
quantità di solvente (o di soluzione).
La quantità di soluto o di solvente possono essere
espresse in numero di moli, massa o volume per cui vi
sono diversi modi di esprimere la concentrazione di una
soluzione:
•Molarità
•Percentuale in massa (peso)
•Molalità
•Frazione molare
Molarità

E’ il numero di moli di soluto presenti in un litro di soluzione:


moli di soluto
M olarità 
litri di soluzione
Le unità sono mol/litro ma sono generalmente indicate con M.

Ad esempio una soluzione ottenuta sciogliendo 0,20 moli di


NaCl in acqua sino ad un volume di 2,0 l ha molarità:

0,20 moli
 0,10 mol/l  0,10 M
2,0 litri
Preparazione in laboratorio di una soluzione 0,01M di di K2MnO4
0,0025 moli (0,395 g) in 250 ml di acqua
Percentuale in massa di soluto

E’ definita come:

massa di soluto
% massa di soluto   100
massa della soluzione

Ad esempio per una soluzione ottenuta mescolando 3,5 g di


NaCl e 96,5 g di acqua si ha:

3,5 g
% massa NaCl   100  3,5 %
3,5 g  96,5 g

Tale soluzione contiene 3,5 g di NaCl per 100 g di soluzione


Molalità

E’ il numero di moli di soluto per chilo di solvente:


moli di soluto
molalità 
Kg di solvente
Le unità sono mol/Kg ma sono generalmente indicate con m.

Ad esempio una soluzione ottenuta sciogliendo 0,20 moli di


NaCl in 2000 g di acqua ha molalità:

0,20 moli
 0,10 mol/Kg  0,10 m
2,0 Kg
Esempio: Calcolare la molalità di una soluzione ottenuta
sciogliendo 5,67 g di glucosio (C6H12O6) in 25,2 g di acqua

5,67 g
n glucosio   0,0315 mol glucosio
180,2 g/mol

0,0315 mol
molalità   1,25 m
25,2  10 Kg
-3
Frazione molare

Per una soluzione fra due componenti A e B la frazione


molare di A è definita:

moli di A moli di A
xA  
moli totali soluzione moli di A  moli di B

Ad esempio in una soluzione ottenuta sciogliendo 0,0315 moli


di glucosio in 25,2 g di acqua la frazione molare del glucosio
è:
25,2 g 0,0315
n H 2O   1,40 mol H 2 O x glucosio   0,022
18,0 g/mol 0,0315  1,40

1,40
x H 2O   0,978 x H 2 O  x g luco sio  1
0,0315  1,40
Conversione fra unità di concentrazione

Conviene far riferimento ad una certa quantità di solvente o


di soluzione, determinare le quantità di soluto e di solvente
corrispondenti e riutilizzarle per il calcolo della nuova
concentrazione.

Le quantità di riferimento per le concentrazioni da


convertire sono:

Molalità 1 Kg di solvente
Molarità 1 litro di soluzione
Frazione molare 1 mole di soluzione
% massa 100 g di soluzione

Quando è implicata la molarità è necessario conoscere la


densità della soluzione (mette in relazione massa e volume).
Molalità Frazione molare

Una soluzione di glucosio è 0,120 m. Calcolare le frazioni molari di


glucosio e acqua.
Tale soluzione contiene 0,120 moli di glucosio per 1 Kg di solvente
(acqua). Si ha quindi:
moli glucosio  0,120
1000 g
moli H 2O   55,6 mol
18 g/mol
0,120
x glucosio   0,00215
0,120  55,6
55,6
x H 2O   0,998
0,120  55,6
Molalità % massa

Calcolare la % in massa di una soluzione di glucosio 0,120 m.

Tale soluzione contiene 0,120 moli di glucosio per 1 Kg di solvente


(acqua). Si ha quindi:

massa glucosio  0,120 mol  180,2 g/mol  21,6 g


massa H 2O  1000 g

21,6
% massa glucosio   100  2,11 %
1000  21,6
Frazione molare Molalità

Calcolare la molalità di una soluzione acquosa di glucosio la cui


frazione molare è 0,150.
1 mole di tale soluzione contiene 0,150 moli di glucosio e
(1 - 0,150) = 0,850 moli di acqua. Si ha quindi:

mas s a H 2 O  0,850 mol  18 g/mol  15,3 g

0,150 mol
molalità glucosio   9,8 m
15,3  10 Kg
-3
Frazione molare % massa

Calcolare la % in massa di una soluzione acquosa di glucosio la cui


frazione molare è 0,150.
1 mole di tale soluzione contiene 0,150 moli di glucosio e
(1 - 0,150) = 0,850 moli di acqua. Si ha quindi:

massa glucosio  0,150 mol  180,2 g/mol  27,0 g


massa H 2O  0,850 mol  18 g/mol  15,3 g

27,0 g
% massa glucosio   100  63,8 %
27,0 g  15,3 g
Molalità Molarità
Calcolare la molarità di una soluzione 0,273 m di KCl in acqua,
avente densità 1,011103 g/l.
Per 1 Kg di solvente vi sono 0,273 moli di KCl e quindi:
massa KCl  0,273 mol  74,6 g/mol  20,4 g
La massa totale di soluzione è:
massa to t  massa H 2 O  massa K Cl  1000 g  20,4 g mol  1020 g  1,02  10 3 g
Nell’espressione per il calcolo della molarità c’è però il volume in
litri della soluzione, calcolabile tramite la densità:
massa
d
volume
massa 1,02  10 3 g Si noti che per
volume    1,009 l
d 1,011  10 3 g/l soluzioni diluite
0,273 mol molarità  molalità
molarità   0,271 M
1,009 l
Molarità Molalità
Calcolare la molalità di una soluzione 0,907 M di Pb(NO3)2 in acqua,
avente densità 1,252 g/ml.
Per 1 litro di soluzione vi sono 0,907 moli di Pb(NO3)2. La massa di
un litro di soluzione è:
mas s a s o luzio ne  volume  d  1,000  10 3 ml  1,252 g/ml  1252 g
La massa di Pb(NO3)2 è:
mas s a Pb(N O 3 ) 2  0,907 mol  331,2 g/mol  300 g
La massa di acqua è:
mas s a H 2 O  1252 g - 300 g  952 g

La molalità è quindi:
0,907 mol
molalità   0,953 m
0,952 Kg
Soluzioni per uso orale
§ Sono dispersioni monomolecolari di un soluto in un mezzo
dissolvente liquido
§ Il solvente conferisce le proprietà al sistema disperso

SOLUBILITA’ DEL SOLUTO

solubile in mezzo acquoso solubile in alcol solubile in mezzo lipofilo


o non solubile

Gocce Elisir
Sciroppi Alcolaturi
Tisane SISTEMI GROSSOLANI
Tinture
Infusi (EMULSIONI o
SOSPENSIONI PER USO
Decotti
ORALE)
Pozioni
Sciroppi

§ Sono adatti in particolare per medicamenti di sapore amaro (lassativi


antrachinonici) salino o comunque sgradevole (fluidificanti, bechici).

§ Gli sciroppi vengono considerati la forma farmaceutica


di somministrazione elettiva per bambini , anziani e tutti coloro che
hanno difficoltà a deglutire.

§ Nella tradizione galenica per uno sciroppo è


essenziale una elevata
concentrazione di zucchero per conferire al preparato:

i. caratteristico sapore dolce in grado di coprire il sapore amaro di molti


farmaci

ii. buona conservabilità a seguito della provata capacità di


ostacolare ammuffimenti e fermentazioni a differenza di altri
preparati in veicolo acquoso a bassa concentrazione di saccarosio.
Sciroppi
La definizione di sciroppo si è poi modificata nel
tempo e la definizione riportata in
Farmacopea Europea 6° edizione riporta:

“Gli sciroppi sono


preparazioni acquose
caratterizzate da gusto dolce e
viscosità elevata.
Possono contenere
saccarosio ad una
concentrazione di almeno il
45% m/m.
Il gusto dolce puòessere
ottenuto usando altri polioli o
dolcificanti. Generalmente gli
sciroppi contengono sostanze
aromatiche o aromatizzanti.”
Definizione ripresa anche nella FUI XII edizione.
Classificazione degli sciroppi
In base alla composizione vengono distinti vari tipi di
sciroppi:

1.SCIROPPO SEMPLICE
2.SCIROPPI PER LA CORREZIONE DEL GUSTO
3.SCIROPPI MEDICATI
4.SCIROPPI A BASE DI ZUCCHERI DIVERSI DAL
SACCAROSIO

5.SCIROPPI SENZA ZUCCHERO A BASE DI


MUCILLAGINI
Sciroppo semplice
Secondo FUI XII ed.: È costituito da una soluzione di saccarosio formata da due
parti in peso di zucchero e una parte di acqua (66.5 % m/m).

La loro preparazione può avvenire:

i. per agitazione a temperatura ambiente


ii. per agitazione a caldo

Vantaggi del metodo a caldo:


1. maggior rapidità di dissoluzione
2. Inattivazione di microorganismi
3. Filtrazione più rapida

Svantaggi del metodo a caldo:


1. parziale idrolisi del saccarosio
2. tendenza alla caramellizzazione e di conseguenza ad un colore ambrato
dello sciroppo.
Sciroppo semplice:
•La concentrazione canonica dello 66,5% (p/p) è riconosciuta garantire
la permanenza in soluzione del saccarosio senza che cristallizzi in
condizioni ambientali ordinarie.

•Non appena la concentrazione di saccarosio si abbassa le condizioni osmotiche


diventano meno rigide consentendo una ripresa della vita vegetativa e quindi
della fermentazione → Aggiunta di un conservante

•Le medesime condizioni si verificano se il saccarosio cristallizza, di qui


il consiglio della FUI di introdurre opportune modeste quantità di polioli
(5- 10% sorbitolo, glicerina) per inibire la cristallizzazione.

•Il rischio di cristallizzazione del saccarosio si ha anche quando si verifica una


eccessiva evaporazione dell’acqua durante la preparazione ed il volume di
questa non venga ripristinato.
VARIAZIONI TERMICHE l
CONSERVAZIONE

Vapore
Condensa
del vapore

lnnalzamento della temperatura Abbassamento della temperatura


Sciroppi aromatizzati

• Gli sciroppi aromatizzati si ottengo generalmente miscelando il 95% in


peso di sciroppo e il 5% in peso di estratto fluido idroalcolico per
sciroppo. L’aromatizzazione può essere ottenuta anche mediante aggiunta di
olio essenziali (0.01-0.03%). In tal caso le essenze vengono sciolte in
una piccola quantità di alcool etilico e quindi unite allo sciroppo.

Sapore Aromi
Amaro Cacao, lampone, ciliegia, liquirizia, menta
Salato Cacao, anice liquirizia, menta, lampone, arancia, ciliegia e
mandarino
Acido Limone, arancia, mandarino, lampone, fragola, frutti di bosco
Metallico Ciliegia, amarena, lampone
Oleoso Agrumi miscelati con menta
Sciroppi medicati
A A freddo B A caldo

Dissoluzione del farmaco in un Dissoluzione in acqua del


veicolo sciropposo già farmaco e successiva
predisposto dissoluzione dello zucchero

1. Per dissoluzione 2. Per dissoluzione del


diretta nel farmaco in una idonea
veicolo sciropposo*: quantità di solvente e Come fate a
successiva diluizione decidere quale
•Sciroppo semplice di con veicolo sciropposo metodo utilizzare?
saccarosio
•Sciroppo di sorbitolo
*Per piccole quantità di farmaco molto solubile in acqua
Proprietà colligative

Le proprietà colligative delle soluzioni sono proprietà che


dipendono dalla concentrazione delle molecole di soluto o
degli ioni in soluzione, ma non dalla loro natura.

Abbassamento della tensione di vapore

Alla fine dell’800 fu sperimentalmente osservato che la


tensione di vapore del solvente veniva abbassata
dall’aggiunta di un soluto non volatile. In particolare nel
1886 Raoult osservò che l’entità di questo abbassamento
non dipendeva dal tipo di soluto ma solo dalla sua frazione
molare.
Tensione di vapore
Il fenomeno dell’evaporazione consiste nel passaggio dallo stato liquido a
quello di vapore e si manifesta con abbandono da parte di alcune molecole
dal liquido

Il processo avviene solo in superficie e non all’interno ed è dipendente


dalla temperatura

Le molecole evaporate danno luogo ad una pressione parziale detta


tensione di vapore
Abbassamento della tensione di vapore

Consideriamo la soluzione di un solvente volatile A e un


soluto non elettrolita B (volatile o non volatile).

La legge di Raoult stabilisce che: la tensione di vapore


parziale del solvente, PA, sopra la soluzione è uguale
alla tensione di vapore del solvente puro, PA°,
moltiplicata per la frazione molare del solvente, xA
PA = xA PA°

Se il soluto è non volatile PA è la pressione di vapore


totale della soluzione.

Poiché xA è minore di 1 si ha un abbassamento della


tensione di vapore rispetto al solvente puro.
Questo abbassamento sarà dato da:

P= PA° - PA

In base alla legge di Raoult

P= PA° - PA° xA= PA°(1- xA)= PA°xB


xB

L’abbassamento della tensione di vapore dipende dalla


concentrazione del soluto xB ma non dalla sua natura ed
è quindi una proprietà colligativa.
Quando vale la legge di PA
Raoult?
Vale in genere per soluzioni
diluite (con xA vicino ad 1).
Quando essa vale per qualsiasi
frazione molare (ciò accade PA
0

quando A e B sono simili, es.


Soluzione ideale
benzene e toluene) la Raoult
soluzione è detta ideale. In
Soluzione
PA
altre parole, una soluzione non ideale
ideale si ha quando sia A che B
seguono la legge di Raoult per 1 0
ogni valore della frazione XA
molare (oppure quando si
mescolano senza sviluppo o 0 1
assorbimento di calore). XB
SOLUZIONE IDEALE
Deviazione positiva della legge di Raoult : la formazione della
soluzione è accompagnata da assorbimento di calore
Deviazione negativa della legge di Raoult : la formazione della
soluzione è accompagnata da sviluppo di calore
Esempio: Calcolare P dell’acqua a 25°C quando 5,67 g di
glucosio (C6H12O6) sono sciolti in 25,2 g di acqua. A tale
temperatura la tensione di vapore dell’acqua pura è 23,8 mmHg
5,67 g
n glucosio   0,0315 mol glucosio
180,2 g/mol
25,2 g
n H 2O   1,40 mol H 2 O
18,0 g/mol
0,0315
x glucosio   0,022
0,0315  1,40
Dalla legge di Raoult:

P= PA°xglucosio = 23,8 mmHg 0,0220 = 0,524 mmHg

PA= PA°xH2O = 23,8 mmHg (1-0,0220) = 23,3 mmHg


Abbassamento della tensione di vapore
Innalzamento ebullioscopico ed Abbassamento crioscopico
Abbiamo visto che l’aggiunta di un soluto non volatile
abbassa la tensione di vapore della soluzione.
Un grafico della tensione di vapore contro T mostra che
occorre una temperatura maggiore affinchè la tensione di
vapore raggiunga una atmosfera e si abbia ebollizione
Temperatura di
congelamento della
soluzione
pressione

LIQUIDO
soluzione
1,00 atm

Temperatura di
ebollizione della
SOLIDO GAS soluzione

0°C 100°C

temperatura
Un diagramma di fase completo mostra che per una
soluzione si ha un innalzamento del punto di ebollizione e
un abbassamento del punto di fusione rispetto al solvente
Per soluzioni diluite si può dimostrare che

Tb= Tb(soluzione) - Tb(solvente) = Kb m

Tf= Tf(solvente) - Tf(soluzione) = Kf m

Kb, nota come costante ebullioscopica, e Kf, nota come


costante crioscopica, sono costanti caratteristiche solo
del solvente.

Esse hanno unità °C/m.


Problema: Sapendo che per l’acqua Kb= 0,512 °C/m e
Kf=1,86 °C/m calcolare il punto di ebollizione e di fusione
di una soluzione acquosa di glucosio 0,0222 m.

Tb= Kb m = 0,512 °C/m  0,0222 m = 0,0114 °C

Tb= 100,00 + 0,0114 = 100,011°C

Tf= Kf m = 1,86 °C/m  0,0222 m = 0,0413 °C

Tf= 0,000 + 0,0413 = - 0,041°C


Le proprietà colligative possono essere usate per determinare
il peso molecolare di sostanze non note.
Problema: La canfora è un solido che fonde a 179,5°C ed ha Kf=
40°C/m. Se 1,07 mg di un composto sono sciolti in 78,1 mg di
canfora fusa la soluzione congela a 176,0 °C. Determinare il peso
molecolare del composto.
L’abbassamento del punto di congelamento è:
Tf= 179,5 –176,0 = 3,5 °C
Da cui si ricava la molalità della soluzione:
 Tf 13,5 C
m   0,088 m
Kf 40 C/m
Dalla definizione di molalità si può ottenere il numero di moli del
composto:

moli soluto
m moli= m  Kg solvente
Kg solvente
Quindi:
Moli = m  Kg solvente = 0,088 mol/Kg  78,110-3 Kg
= 6,9 10-6 mol

La massa molare del composto è data da:

massa
moli 
Mm
massa 1,07  10 - 3 g
Mm    1,6  10 2
g/mol
moli 6,9  10 mol
-6
Osmosi
Anche il fenomeno dell’osmosi (pressione osmotica) è associato
all’abbassamento della tensione di vapore. Esso riveste una
grande importanza in relazione a sistemi biologici.
Coinvolge membrane semipermeabili, cioè strati sottili e con
fori abbastanza larghi da far passare le molecole di solvente,
ma non di soluto, specie di elevato peso molecolare.
Osmosi: flusso di molecole di solvente dal solvente puro
alla soluzione (in generale dalla soluzione meno
concentrata a quella più concentrata)
Pressione osmotica: pressione che occorre esercitare
sulla soluzione, A, per bloccare il flusso osmotico

Membrana semipermeabile

soluzione
A B solvente
puro

flusso di solvente (osmosi)


La pressione osmotica è indicata con . Un esempio è anche la
pressione esercitata dalla colonna di solvente in questo
esperimento:


La pressione osmotica è una proprietà colligativa ed è
proporzionale alla concentrazione molare del soluto M:

= M R T

In cui R è la costante dei gas e T è la temperatura assoluta.


Si noti l’analogia tra questa equazione e quella per i gas reali, più
evidente se si tiene conto che M=n/V e quindi:

PV=nRT P=(n/V) RT P=MRT

Esempio: Calcolare la pressione osmotica di una soluzione


0,02 M di glucosio a 25°C?

= MRT = 0,02 mol/l0,0821 latm/(K mol)298 K=


= 0,5 atm
La pressione osmotica viene utilizzata per calcolare il peso
molecolare di sostanze polimeriche o macromolecole.
Problema: 50 ml di una soluzione acquosa contengono 1,08 g di una
proteina e presentano una pressione osmotica di 5,85 mmHg a 298 K.
Quale è il peso molecolare di tale proteina?
5,85 mmHg
La pressione in atmosfere è: P  7,70  10 - 3
7 60 mmHg/atm

La concentrazione molare della proteina è:


π 7,70  10 -3 atm
π  M RT   3,15  mol / L
RT 0,0821 L  atm/(K mol)  298K
Il numero di moli della proteina è:
moli
M moli  M  V  3,15  10 - 4 mol/L  50  10 - 3 L  1,58  10  5 mol
V
La massa molare della proteina è:
massa 1,08 g
Mm    6,84  10 4
g/mol
moli 1,58  10 mol
-5
Soluzioni di Elettroliti
Un elettrolita è una sostanza che si scioglie in acqua producendo
ioni e formando una soluzione che conduce l’elettricità.
Un non-elettrolita è una sostanza che si scioglie in acqua senza
produrre ioni e forma una soluzione che non conduce
l’elettricità.
Un elettrolita può essere un composto ionico o molecolare:
H2 O
NaCl (s)  Na+ (aq) + Cl (aq) Dissociazione
HCl (g) + H2O(l)  H3O+ (aq) + Cl (aq) Ionizzazione
Un non-elettrolita è un composto molecolare che non ionizza
Un elettrolita può essere debole o forte
Un elettrolita forte è presente in soluzione completamente
sotto forma di ioni

HCl (g) + H2O(l)  H3O+ (aq) + Cl (aq) Elettrolita forte


Un elettrolita debole è solo parzialmente ionizzato in soluzione
 NH + (aq) + OH (aq)
NH3 (g) + H2O(l)  Elettrolita debole
4
Proprietà colligative di soluzioni di elettroliti

Per spiegare le proprietà colligative di soluzioni di elettroliti si


deve tener conto della concentrazione totale di tutti gli ioni
piuttosto che della concentrazione dell’elettrolita.

Ad esempio l’abbassamento del punto di congelamento di una


soluzione di NaCl 0,1 m è (circa) il doppio di quello di una
soluzione di glucosio 0,1 m.

Ciò perché ogni unità formula NaCl si dissocia in ioni Na+ e Cl-,
cioè in due particelle che contribuiscono entrambe a tale
proprietà colligativa.
In generale per le principali proprietà colligative si può scrivere:

Tb= i Kb m
Tf= i Kf m
 = i M R T

in cui i è il numero di ioni provenienti da ogni unità formula.

NaCl Na+ + Cl- i=2

K2SO4 2K+ + SO42- i=3

Fe2(SO4)3 2Fe3+ + 3SO42- i=5

Questo è rigorosamente vero solo per soluzioni molto diluite.


Per gli elettroliti parzialmente dissociati

i = 1 + α (ν – 1)

dove α è il grado di dissociazione e ν è il numero di particelle


soluzione tampone  soluzione acquosa in grado
di mantenere pressoché inalterato il proprio pH, in
seguito all'aggiunta di moderate quantità di acidi o
basi forti, o rispetto alla diluizione della soluzione
stessa.

Hanno potere tampone le soluzioni contenenti:


a) un acido debole e il suo sale con una base
forte;
b) una base debole e il suo sale con un acido
forte.

le soluzioni tampone sono costituite da una


coppia acido-base coniugata debole
Il potere tampone di una soluzione dipende:
a) dalla sua concentrazione;
b) dal rapporto tra le concentrazioni della coppia
acido-base coniugata

a) maggiore è la concentrazione della coppia acido-


base coniugata, maggiore è la quantità di acido o
base forte che può essere aggiunta senza
provocare "importanti" variazioni del pH.

b) il potere tampone di una soluzione è massimo


quando la [acido debole] = [base coniugata].
Il pH dei fluidi del'organismo, in particolare del sangue, è regolato
attraverso un complesso meccanismo omeostatico. Dal punto di vista
chimico, ad esso concorrono principalmente tre sistemi tampone:

diidrogenofosfato - idrogenofosfato
H2PO4- + H2O = H3O+ + HPO42-
2. acido carbonico - idrogenocarbonato
CO2 + H2O = H2CO3 = H+ + HCO-3
3. proteine - anioni proteinato
proteina = H+ + ione proteinato-

Il pH del sangue deve essere mantenuto entro limiti abbastanza rigidi. Il


valore normale nel sangue arterioso è 7.41: già a valori inferiori a 7.38
e superori a 7.45, i patologi parlano rispettivamente di acidosi e
alcalosi.
Valori di pH inferiori a 7 e superiori a 7.8 sono incompatibili con la
vita.
Soluzioni tampone
Una soluzione tampone è una soluzione acquosa
dove un acido debole e la sua base coniugata
sono contemporaneamente presenti in soluzione
in quantità comparabili e in assoluto non piccole
(ossia maggiori di Ka e Kb).

Essa serve a NON FAR VARIARE IL pH PER


EFFETTO DELLA DILUIZIONE O FAR VARIARE
POCO IL pH DI UNA SOLUZIONE PER PICCOLE
(rispetto a quelle delle specie che costituiscono la
soluzione tampone) AGGIUNTE DI ACIDO O DI
BASE FORTE
Soluzioni Tampone:
come funziona
Consideriamo una soluzione contenente CH3COOH

CH3COOH +H2O CH3COO- + H3O+

[ CH3COO- ] [H3O+]
Ka =
[ CH3COOH ]

[ CH3COOH ]
[H3O+] = Ka
[ CH3COO- ]
Soluzioni Tampone:
come funziona
Consideriamo una soluzione contenente CH3COO-

CH3COO- +H2O CH3COOH + OH- [ CH3COOH ][OH-]


Kb =
[ CH3COO- ]

[ CH3COO - ]
[OH-] = Kb
[ CH3COOH ]
Soluzioni Tampone:
come funziona
Se preparo una soluzione dell’acido debole con la sua
base coniugata a concentrazioni circa uguali i due
equilibri saranno operativi insieme

CH3COOH +H2O CH3COO- + H3O+ Ka = ca. 10-5

CH3COO- +H2O CH3COOH + OH- Kb = ca. 10-10

[ CH3COOH ] [OH-]
[ CH3 COO- ] [H3 O+]
Kb =
Ka = [ CH3COO- ]
[ CH3COOH ]
Soluzioni Tampone:
come funziona
CH3COOH +H2O CH3COO- + H3O+

Trascurabili per effetto di


CH3 COO- + H2O CH3COOH + OH- ione a comune, se Ca e
Cs maggiori di Ka e Kb.
Per le conc. dei tamponi
che di solito sono
[ CH3COOH ] = Ca + [ CH3COOH ]eq dell’ordine di 10-2-10-1 è
sempre lecito trascurare
[ CH3COO- ] = Cs + [ CH3COO- ]eq quando Ka è compresa
tra 10-4 e 10-10
[ CH3COOH ]
[H3 O+] = Ka
[ CH3COO- ]
Soluzioni Tampone:
come funziona
La reazione di dissociazione acida di un acido debole in
presenza della sua base coniugata sarà ancora piu’
spostata a sinistra, perché siamo in presenza di un
prodotto

Di fatto si puo’ considerare che la reazione è


completamente spostata a sinistra e che la
concentrazione di CH3COOH all’equilibrio è
interamente data dalla concentrazione stechiometrica
dell’acido di partenza (Ca)
Soluzioni Tampone:
come funziona
Anche la reazione basica della base debole coniugata è
completamente spostata a sinistra, perché siamo in
presenza di un prodotto, ovvero dell’acido coniugato

Quindi la concentrazione di CH3COO- all’equilibrio è


interamente data dalla concentrazione stechiometrica
del sale di partenza (Cs)
Soluzioni Tampone
[ CH3COOH ]
[H3O+] = Ka
[ CH3COO- ]

[ CH3COO- ] =Cs [ CH3COOH ]= Ca

Ca
[H3 O+] = Ka
Cs

Facciamo un esempio…
Soluzione 0,321 M di acido acetico e 0,281 M di
acetato di sodio
[ CH3COOH ] 0,321
[H3 O+] = Ka = 1,8 x 10-5
[ CH3COO- ] 0,281

[H3O+] = 2,06 x 10-5 pH = 4,69

La soluzione è acida perche’ Ka > Kb e quindi ho un


tampone acido
Soluzione 0,551 M di HCN e 0,431 M di KCN
[ HCN ] 0,551
[H3 O+] = Ka = 4 x 10-10 = 5,1 x 10-10
[ CN- ] 0,431

La soluzione è basica perche’ Kb > Ka e


pH = 9,29
quindi ho un tampone basico
Soluzioni Tampone
Ca
[H3 O+] = Ka
Cs

Effetto della diluizione


Soluzioni Tampone
Ca
[H3 O+] = Ka
Cs

C’a=Ca/10
C’s=Cs/10

C’a Ca/10 Ca
[H3O+] = Ka = =
C’s Cs/10 Cs
Soluzioni Tampone
Ca
[H3 O+] = Ka
Cs

Se la soluzione tampone viene diluita o concentrata, il


rapporto Ca/Cs non cambia e quindi il pH rimane
costante.
Soluzioni Tampone
Ca
[H3 O+] = Ka
Cs

Effetto della aggiunta di acido o base forte


in piccole* quantità

Piccole=minore di Ca o Cs
Soluzioni Tampone
Aggiungo Acido forte C0HCl
a soluzione tampone CH3COOH/CH3COONa
CH3COOH +H2O CH3COO- + H3O+
HCl H+ + Cl-
[ CH3COOH ]= Ca+ C0HCl
CH3COO- + H+ CH3COOH + H2O
[ CH3COO- ]= Cs- C0HCl
[ CH3COOH ]
[H3O+] = Ka
[ CH3COO- ]

Ca + C0HCl
[H3O+] = Ka
Cs- C0HCl
Soluzioni Tampone
Aggiungo Base forte C0NaOH
CH3COOH +H2O CH3COO- + H3O+
NaOH Na+ + OH-
[ CH COOH ]= Ca- C NaOH
CH3COOH + OH- CH3 COO- + H2O 3 0

[ CH3COO- ]= Cs+ C0NaOH


[ CH3COOH ]
[H3O+] = Ka
[ CH3COO- ]

Ca - C0NaOH
[H3O+] = Ka
Cs+ C0NaOH
Soluzioni Tampone
Aggiungo Acido forte C0HCl
HCl H+ + Cl-

Ca + C0HCl
[H3O+] = Ka
Cs- C0HCl

Aggiungo Base forte C0NaOH


NaOH Na+ + OH-

Ca - C0NaOH
[H3O+] = Ka
Cs+ C0NaOH
Tanto maggiore è la conc. dell’acido e della sua base coniugata
tanto maggiore sarà l’efficacia del tampone, cioè la quantità di
acido e di base che puo’ essere neutralizzata senza variazioni
apprezzabili di pH
CAPACITA’ TAMPONANTE e
INTERVALLO DI TAMPONAMENTO
Capacità tamponante indica la quantità di acido o di base che il
tampone è in grado di neutralizzare senza che il suo pH vari
apprezzabilmente. E’ massima quando Ca e Cs sono alte e
uguali tra di loro.
L’intervallo di tamponamento è l’intervallo di pH in cui un
tampone neutralizza efficacemente gli acidi e le basi aggiunte
mantenendo il pH praticamente costante.
Ca Ca
[H3O+] = Ka -log [H3O+] = -log Ka -log
Cs Cs
Cs Cs
pH = pKa + log = 1 pH = pKa
Ca Ca
Cs
pH = pKa + log pH = pKa
Ca
Quando:
Cs
= 0.1
Ca
Il pH diminuisce di una unità di pH rispetto al valore di
pKa in quanto –log 0.1 = -1
Quando:
Cs
= 10
Ca
Il pH aumenta di una unità di pH rispetto al valore di pKa
in quanto –log 10 = 1 Intervallo di tamponamento
Ossia l’intervallo massimo a cui
pH = pKa  1 la soluzione tampone “resiste”
ad aggiunte di acido o base
forte
Quindi tampone acido acetico-
acetato di sodio tamponerà
nell’intervallo di pH 3.7-5.7 avendo
pKa = 4.7

Tampone ammoniaca-cloruro di
ammonio tamponerà nell’intervallo di
pH 8.3-10.3 avendo pKa = 9.3

Etc….
Come preparo un tampone?

1. Mescolando due soluzioni contenenti l’acido debole e la sua


base coniugata a concentrazioni stechiometriche note.
2. Mescolando due sali per esempio NaHSO4/Na2SO4 oppure
Na2HPO4/NaH2PO4 oppure Na3PO4/Na2HPO4 oppure
NaHCO3/Na2CO3 etc.
3. Mescolando un acido con un sale contenente la sua base
coniugata (e viceversa).
4. Aggiungendo NaOH ad un acido debole
5. Aggiungendo HCl ad una base debole
Cs
pH = pKa + log
Ca
Soluzioni Tampone: Sommario
Proprietà
Una soluzione tampone permette di stabilizzare il pH ad valore intorno
al valore della pKa

Se desidero avere un determinato pH in soluzione, devo trovare la


coppia acido-base coniugata che dispone della Ka adatta

Il pH é relativamente INSENSIBILE agli effetti di piccole aggiunte di un


acido o base forte nell’intervallo di tamponamento

Il pH é insensibile agli effetti della diluizione

Quando uno dei due componenti della coppia Acido-Base si


esaurisce, la soluzione tampone cessa di essere tale, quindi maggiore
conc. dell’acido e base coniugata tanto maggiore è l’efficacia del
tampone

Un acido debole e la sua base coniugata tamponano nell’intervallo di


pH = pKa ± 1 cioè nell’intervallo [HA]/[A-] compreso fra 0.1 e 1.
Formula non approssimata

Se CA=CB
ISOTONIA
CALORIMETRIA A SCANSIONE
DIFFERENZIALE

DIFFERENTIAL SCANNING
CALORIMETRY
DSC
CALORIMETRIA A SCANSIONE DIFFERENZIALE

• CALORIMETRIA: misura la quantità di calore assorbita o ceduta da un campione in fase di


riscaldamento o di raffreddamento.

• SCANSIONE: fornisce informazioni sia qualitative che quantitative su processi endotermici (es.
fusione) ed esotermici (es. cristallizzazione) scansionando su un intervallo di temperature.

• DIFFERENZIALE: le misure sono condotte confrontando il flusso di calore assorbito dal campione
rispetto a quello assorbiti da un riferimento.
Il DSC fa parte di un gruppo di tecniche, dette ANALISI TERMICHE, nelle quali una proprietà fisica di una
sostanza viene misurata in funzione della temperatura o del tempo mentre la sostanza è sottoposta ad un
trattamento a temperatura programmata.
La DSC misura le variazioni di entalpia nei campioni, dovute alle alterazioni delle loro proprietà fisiche e chimiche
in funzione della temperatura.

Nell’industria farmaceutica l'analisi termica è utilizzata per stimare:

ü PUREZZA DI UN MATERIALE
ü PASSAGGI DI STATO (es: solido-liquido, liquido-vapore)
ü MODIFICHE STRUTTURALI (polimorfismo)
ü STABILITA’ TERMICA
ü DECOMPOSIZIONE TERMICA
ü REATTIVITA’ CHIMICA
ü ANALISI QUALITATIVA
ü ANALISI QUANTITATIVA
Informazioni tipiche che si possono ottenere da misure DSC:

ü Temperature caratteristiche (fusioni, cristallizzazioni, transizioni polimorfiche, reazioni, transizioni vetrose)


ü Entalpie di fusione, cristallizzazione, trasformazione e reazione
ü Calore specifico (cp)
ü Grado di cristallinità
ü Grado di reticolazione
ü Purezza degli eutettici
ü Compatibilità tra componenti
ü Influenza dell‘invecchiamento
ü Distribuzione dei pesi molecolari (forma del picco per i polimeri)
ü Influenza degli additivi, plastificanti (nei materiali polimerici)
Può essere applicato per studiare un’ampia tipologia di materiali:

q Solidi compatti (granulati, component stampate, ecc.) come termoplastici, gomme, resine, materiali
organici, ceramiche, vetri, metallici e materiali edili.

q Polveri, come composti farmaceutici e minerali

q Fibre e materiali tessili

q Campioni viscosi, come paste, creme e gel

q Liquidi
DEFINIZIONI UTILI

CALORE: forma di energia interna a un corpo dovuta al moto disordinato e rapidissimo delle molecole che lo
compongono. Si misura in Joule (1J=m2 kg s-2) o 1 cal = 4,184 J.
CAPACITA’ TERMICA (Cp): il rapporto fra il calore scambiato tra il corpo e l’ambiente e la variazione di
temperatura che ne consegue. È una proprietà di ogni sostanza.
CALORE SPECIFICO (Cp): quantità di calore espressa in J che bisogna fornire ad 1 kg di sostanza per far innalzare
la sua temperatura di 1 K. È espresso in J/kg K ed è una caratteristica intrinseca della sostanza.
CALORE LATENTE (λ): calore rilasciato o assorbito quando un materiale fonde o gela, bolle o si condensa. Si
misura in J/g ed è caratteristico per ogni sostanza pura.

Ad esempio: riscaldando il ghiaccio, una volta raggiunta la temperatura di 0°C


(temperatura di fusione), fonde. Continuando a somministrare calore il ghiaccio
continua a fondere ma la temperatura rimane fissata a 0°C fino a quando l’ultimo
cristallo di ghiaccio non si è sciolto. Il ghiaccio assorbe calore per sciogliersi, ma
anche se assorbe calore la sua temperatura rimane la stessa. Il calore che non
produce variazione di temperatura è detto calore latente (in questo caso calore
latente di fusione).
Il flusso di calore equivale al rapporto tra la quantità di calore (Q) ed il tempo (t) e si misura in Watt (J/s).

FLUSSO DI CALORE = dQ / dt

VELOCITA’ DI RISCALDAMENTO= dT / dt

Ora dividiamo il flusso calorico per la velocità di riscaldamento ed otteniamo il calore specifico:

quantità di calore espressa in J che bisogna fornire ad


1 kg di sostanza per far innalzare la sua temperatura
di 1 K.

CALORE SPECIFICO =

Ricordiamo: quando viene fornita una certa quantità di calore a qualche materiale, la sua temperatura aumenterà di un certo
livello e la quantità di calore che richiede per ottenere un determinato aumento di temperatura viene detta calore specifico, Cp.
Otteniamo il calore specifico dividendo il calore fornito per l'aumento di temperatura ottenuto.
DEFINIZIONI UTILI

TRANSIZIONI DI FASE TRANSIZIONE DI FASE DELL’ACQUA


Per transizione di fase di un sistema fisico s’intende
il passaggio da una fase ad un’altra fase del sistema
(es. gasàsolido, liquidoàgas).
Una transizione di fase richiede che il sistema
termodinamico sia in grado di scambiare energia
con un altro sistema, al fine di aumentare o
abbassare la propria temperatura.
Ciò comporta una variazione delle proprietà fisiche
come ad esempio la densità, la conducibilità
elettrica, la magnetizzazione, la struttura cristallina
e così via.
Il calore fornito al sistema per innalzarne la
temperatura fino al valore Tc caratteristico della
transizione è definito calore latente di transizione:
la variazione di energia interna del sistema fa
cambiare lo stato di aggregazione molecolare.
DEFINIZIONI UTILI

Una trasformazione endotermica avviene con assorbimento di calore H


Una trasformazioni esotermica avviene con cessione di calore H
Ad esempio: tutte le
reazioni di combustione
sono esotermiche e sono Variazioni endotermiche o esotermiche portano a variazioni di entalpia.
accompagnate da una
riduzione dell’entalpia del
sistema.
L’ entalpia (H) è una funzione di stato e fa riferimento al contenuto di calore di un campione.

L’ entalpia di trasformazione (di fusione, di vaporizzazione, di cristallizzazione, ecc.) è la


quantità di calore per unità di massa necessario per trasformare una sostanza da solido a
liquido, da liquido a vapore, da liquido a solido, ecc. tramite una trasformazione condotta a
pressione costante:
𝑄
ΔH =
𝑚
Dove: ΔH = entalpia, Q = calore fornito al sistema, m = massa del sistema
LE TRANSIZIONI OSSERVATE TRAMITE ANALISI DSC POSSONO ESSERE DI TIPO:

Solido-liquido: FUSIONE, evento endotermico


Liquido-solido: CRISTALLIZZAZIONE, evento esotermico

Solido-gas: SUBLIMAZIONE, evento endotermico

Liquido-gas: EVAPORAZIONE, evento endotermico

Solido-solido: TRANSIZIONE TRA DUE POLIMORFI, evento sia endotermico che esotermico

DISIDRATAZIONE, evento endotermico

Cristallizzazione dell’amorfo, evento esotermico

TRANSIZIONE VETROSA, cambiamento della linea di base

Inoltre in DSC si possono misurare i CALORI DI REAZIONE, oppure si può stabilire il DIAGRAMMA DI FASE DI UNA
MISCELA, punto importante durante la preformulazione e l’ottimizzazione dei processi di liofilizzazione.
TRANSIZIONE DI FASE

Transizione di primo ordine: Transizione di secondo ordine:

transizioni termiche nelle quali si ha un rilascio oppure un transizioni termiche nelle quali NON si ha rilascio od
assorbimento di CALORE LATENTE nel punto di transizione. Durante assorbimento di CALORE LATENTE, ma solo un
tali transizioni, un sistema termodinamico assorbe o rilascia una cambiamento di CALORE SPECIFICO. In corrispondenza del
quantità di energia fissa, e generalmente grande. Poiché l'energia punto di transizione non si ha una variazione di entropia fra
non può essere istantaneamente trasferita dal sistema all'ambiente le due fasi.
circostante, le transizioni del primo ordine sono associate a "regimi La transizione vetrosa (Tg) è una transizione di secondo
di fase mista" in cui alcune parti del sistema hanno completato la ordine.
transizione, mentre altre ancora no.
FENOMENI OSSERVABILI IN DSC

Il DSC consente di studiare il comportamento di una sostanza all’aumentare (o al diminuire) di temperatura.


Possono essere studiate tutte le trasformazioni fisiche o chimiche che comportano variazioni di entalpia.
STRUMENTO
Entriamo nel laboratorio di chimica fisica applicata…

Fornace

Riferimento

Campione
Crogioli (pans)

Interno della fornace


Esistono due tipologie base di DSC:

DSC a compensazione di potenza DSC a flusso di calore


• La cella per il campione e quella di riferimento sono
• La cella per il campione e quella di riferimento sono riscaldate
riscaldate nella stessa fornace.
da 2 fornaci indipendenti inserite in un blocco a temperatura
• Il calore fluisce nel campione e nel riferimento
controllata.
attraverso una piattaforma termoelettrica riscaldata
• Portacampioni in cui sono inseriti i termometri a resistenza di
elettricamente.
platino.
• La differenza tra i flussi di calore del campione e del
• Tramite un circuito di controllo viene regolata la potenza di
riferimento viene misurata dalle termocoppie poste
alimentazione dei due forni in modo da eguagliare le loro
sotto i campioni.
temperature.
• Il parametro misurato direttamente non è il flusso di
• Viene misurato direttamente il flusso di calore ceduto o
calore ma la ΔT tra campione e riferimento.
assorbito dal campione.
• La ΔT tra campione e riferimento viene
automaticamente convertita in flusso di calore dal
riferimento al campione.
Forniscono le stesse informazioni Velocità di flusso di calore (dQ/dt) in funzione della T
PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO

• Campione e riferimento (crogiolo vuoto) sono sottoposti ad una rampa lineare di temperatura (10°C/min), con un
tasso di riscaldamento fisso e impostato dall’operatore. Durante l’esperimento, campione e riferimento sono
mantenuti alla stessa temperatura.

• Se ad una certa temperatura il campione intraprende dei fenomeni endotermici o esotermici, la quantità di calore
necessaria a mantenerlo in isotermia col riferimento sarà rispettivamente maggiore o minore a causa
dell’assorbimento o cessione di calore da parte del campione.

• La misura differenziale del sistema è estremamente importante sia dal lato teorico che dal lato pratico, perché il
segnale risultante è così pulito da tutti quegli effetti termici esterni al sistema che si ripercuotono in modo eguale sui
due campioni, permettendo di ricevere in uscita il comportamento proprio del materiale.
Durante il riscaldamento della cella DSC, il riferimento si scalda più rapidamente del campione, a causa della capacità termica
(Cp) del campione stesso.
la temperatura del riferimento (TR, in verde nella
figura) aumenta più velocemente di quella del
campione (TP, in rosso).
Le due curve crescono parallelamente durante il
riscaldamento a velocità costante, fino a quando
nel campione non avviene una reazione.
Se il campione comincia a fondere al tempo t1.
Durante la fusione, la temperatura del campione
non varia, mentre quella del riferimento continua
a crescere linearmente.
Quando il processo di fusione è completo, tempo
t2, anche la temperatura del campione torna a
crescere linearmente.
- Il segnale differenziale (ΔT) calcolato per le due
curve di temperatura, riportato nella parte bassa
della figura, è caratterizzato al centro da un picco
(in blu), che rappresenta il processo endotermico
di fusione del campione. L’area del picco è
correlata al calore latente della transizione
(entalpia di fusione, in J/g).
PREPARAZIONE DEL CAMPIONE
Uno dei due crogioli rimarrà vuoto Il crogiolo viene ermeticamente
in quanto servirà come riferimento sigillato con il suo coperchio con
Si pesano circa 10 mg del per la misura differenziale. l’ausilio di una pressa di sigillatura e
materiale da analizzare. il materiale si dispone all’interno del viene perforato per consentire il
crogiolo in modo tale da ricoprirne contatto del campione con
totalmente il fondo per garantire l’atmosfera interna alla cella.
una buona trasmissione del calore;

Si imposta quindi il software di


controllo dello strumento con Il crogiolo di riferimento e
l’opportuno programma termico che quello contenente il campione
si vuole eseguire e si inseriscono i vengono pesati prima della
dati relativi alla prova da eseguire. misura.

I crogioli vengono scelti in modo da resistere alle temperature di prova senza interagire
con il campione in esame.
Le analisi termiche vengono effettuate generalmente in un range di T compreso tra 25 e
300 °C, in atmosfera di azoto, e un tasso di riscaldamento di 10 °C/min.
Una volta iniziata la prova, il calore ceduto dalla
Si chiude ermeticamente la fornace in modo da isolare
fornace riscalda sia il campione che il provino di
l'ambiente di prova dall'esterno.
riferimento in egual modo.
Una volta impostato il programma termico all'interno della
Un sistema di termocoppie:
fornace viene creata un'atmosfera inerte con un flusso
- controlla che le differenze di temperatura tra i due
continuo ed uniforme di Azoto che distribuisce il calore
crogioli sia costante per tutto il tempo
uniformemente tra il campione in esame e quello di
- raccoglie i dati di temperatura e li invia ad un
riferimento.
elaboratore che mediante un apposito software li
elabora per generare l'output per l'utente.

La differenza nel flusso di calore fornita al Ogni variazione di temperatura tra i due è dovuta a
sistema di riscaldamento viene registrata e fenomeni che insorgono nel materiale da analizzare:
una reazione esotermica innalzerà la temperatura del
mostrata su un TERMOGRAMMA in funzione
campione mentre una endotermica farà l'opposto.
della temperatura.
TERMOGRAMMA

Il grafico riporta sulle ascisse la temperatura (°C) e sulle ordinate la velocità differenziale di riscaldamento o flusso di
calore (mW = mJ/s)).

NOTA
La convenzione europea vuole
che il flusso di calore rispetto al
riferimento sia positivo nel caso di
una variazione di temperatura di
trasformazioni esotermiche (picco
verso l’alto), viceversa una
deflessione negativa per
trasformazioni endotermiche
(picco verso il basso).
Al contrario la convenzione UK.
Nel descrivere un esperimento di DSC è importante inoltre riportare le condizioni sperimentali, quali
la velocità di riscaldamento e il tipo di portacampione utilizzato: aperto, chiuso, forato.
Il picco che si osserva viene caratterizzato da una temperatura di «onset» (che corrisponde alla
temperatura dell’evento), dalla temperatura del massimo picco e dall’area del picco (che corrisponde
all’entalpia della transizione).

Curva DSC dell’Indio misurata in portacampione ermetico alla velocità di 5°/min, Tonset =156.6 °C,
Tpeak = 157.2 °C e ΔH = 28.3J/g.
Una misura di DSC richiede una calibrazione dello strumento con un materiale (uno standard) di cui sia noto il calore
di fusione.

Per lo standard si deve registrare un termogramma nelle stesse condizioni sperimentali usate per la misura con il
campione, in particolare usando la stessa rampa termica e una quantità di sostanza tale da ottenere entalpie di
transizioni simili per campione e standard.
Possiamo ottenere molto più di un semplice calore specifico con una analisi DSC!

TRANSIZIONE VETROSA

La temperatura di transizione vetrosa (Tg) rappresenta il valore di temperatura al di sotto della quale un
materiale amorfo si comporta da solido vetroso. Tg è una transizione del secondo ordine caratterizzata da un
cambiamento endotermico della capacità termica del materiale prima e dopo la transizione (non accompagnata
da assorbimento o sviluppo di calore). Si presenta come un flesso di debole intensità (direzione endotermica)

La temperatura di transizione
vetrosa è quella a cui si osserva
l’inizio della variazione di Cp
(temperatura di onset).
Ma c'è di più…molto di più!

CRISTALLIZZAZIONE

Per la cristallizzazione (fenomeno esotermico), osserveremo un


picco rivolto verso l’alto.
La temperatura nel punto più alto della deflessione viene
considerata normalmente come la temperatura di
cristallizzazione, Tc. Possiamo inoltre misurare l'area della
deflessione e questo ci fornirà l'energia latente della
cristallizzazione. Un materiale amorfa non presenterà questo
picco!
FUSIONE

Il calore può far in modo che si formino cristalli all'interno del polimero
ma un'eccessiva quantità di calore può disfarli. Se continuiamo a scaldare
il polimero oltre la sua Tc otterremo un'altra transizione termica, chiamata
fusione (fenomeno endotermico).
Quando viene raggiunta la temperatura di fusione del polimero o Tm
l’agitazione molecolare è tale da vincere le forze di coesione nei cristalli i
quali fondono assorbendo calore.
Sul termogramma osserveremo un picco rivolto verso il basso.

L’area sottesa al picco (ΔH) corrisponde alla quantità di calore assorbita o


ceduta dal campione nell’intervallo considerato.
Rivediamo le varie fasi…

Riunendo tutti queste fasi un grafico completo si presenterà così:

• Nella prima fase il polimero viene riscaldato


oltre la sua temperatura di transizione vetrosa.

• Successivamente si osserva una forte deflessione


quando il polimero raggiunge la sua temperatura di
cristallizzazione.
• Infine, un picco elevato quando il polimero raggiunge
la sua temperatura di fusione.

RICORDA: Per la transizione vetrosa non c'è flessione e non c'è picco, in quanto non viene rilasciato, o assorbito, calore latente da parte del
polimero durante la transizione vetrosa. L'unica cosa che si vede in effetti alla temperatura di transizione vetrosa è un cambiamento del calore
specifico.
La transizione vetrosa determina un cambiamento nel calore specifico, ma non viene coinvolto il calore latente, è quindi una transizione del
secondo ordine. Transizioni come fusione e cristallizzazione, dove in effetti vi è calore latente sono transizioni del primo ordine.
SOLIDO AMORFO vs SOLIDO CRISTALLINO
solido con elevato disordine nella disposizione delle solido con molecole che assumono posizioni regolari
molecole (struttura irregolare); ed ordinate.
non presenta un definito punto di fusione; Ha un punto di fusione netto
è caratterizzato da una specifica Tg. È caratterizzato da una specifica Tc.
non è stabile e per questo definito METASTABILE.

Infatti, per riscaldamento, le


sostanze amorfe a una certa T
rammolliscono ma non fondono.

Le sostanze in forma amorfa rispetto alle corrispondenti forme cristalline presentano caratteristiche peculiari legate al
loro “disordine” interno: Come risultato della maggiore
- maggiore solubilità/velocità di dissoluzione energia interna, lo stato amorfo
- tendenza alla cristallizzazione presenta una maggiore attività
- maggiore reattività allo stato solido termodinamica che si riflette in
- maggiore igroscopicità una maggiore solubilità.
Proprietà fisiche dei solidi come durezza, rigidità, comprimibilità, punto di fusione a un ben determinato valore di T
dipendono da questa organizzazione interna.

Tali proprietà mancano nei liquidi, nei gas e nella sostanze amorfe che, pur avendo un volume proprio e una scarsa
comprimibilità, non possiedono una struttura interna ordinata e regolare.
Una sostanza può cristallizzare in forme o modificazioni diverse, caratterizzate cioè da una diversa disposizione delle
molecole all’interno del cristallo, questo fenomeno è definito POLIMORFISMO. Le proprietà delle diverse modificazioni
possono essere molto diverse, ad es. il carbonio cristallizza in diamante o grafite. Il diamante è incolore, durissimo
trasparente e prezioso. La grafite è tenera, nera, opaca.

La struttura interna di un farmaco può influenzare le sue proprietà fisico-meccaniche e fisico-chimiche, in particolare
§ la stabilità chimica,
§ le caratteristiche tecnologiche (come ad esempio le proprietà di scorrimento e di compattazione di una polvere),
§ la solubilità,
§ la velocità di dissoluzione,
§ la biodisponibilità.
Molti farmaci possono cristallizzare in due o più strutture cristalline denominate polimorfi.
Es. il fenomeno del polimorfismo è particolarmente diffuso tra i sulfamidici, i barbiturici e gli steroidi.

In una famiglia di polimorfi esiste unna sola modificazione stabile, mentre tutte le altre sono metastabili e caratterizzate da
una maggiore attività termodinamica (es. solubilità) e dalla tendenza a trasformarsi nella forma stabile. La relazione di
stabilità tra due polimorfi in funzione della T viene determinata dallo studio del comportamento termico con l’analisi DSC.
Un fenomeno correlato al polimorfismo è chiamato PSEUDOPOLIMORFISMO: capacità di alcune sostanze di
incorporare molecole di solvente nel reticolo cristallino per dare nuove entità solide con composizione chimica
differente, formando i cosiddetti “solvati”; in particolare, nel caso in cui sia l’acqua il solvente di cristallizzazione si
parla di “idrati”.

Le forme solvatate di un farmaco possono avere punti di fusione e solubilità talmente diversi da influenzare il loro
comportamento farmaceutico in termini di solubilità, velocità di dissoluzione, biodisponibilità, stabilità chimica.
Perché studiare il polimorfismo di un farmaco?

Il polimorfismo e lo pseudo-polimorfismo sono importanti campi di studio per gli utilizzatori


di sistemi di analisi termica.

La conoscenza del polimorfismo dei principi attivi permette di ottimizzare la produzione e le


condizioni di stoccaggio in modo da ottenere la sola forma desiderata. Queste tecniche sono
molto utilizzate in fase di screening, ottimizzazione della cristallizzazione e conservazione.
Le misure forniscono informazioni di grande importanza per i processi di sviluppo dei nuovi
composti.
Negli studi di preformulazione di una forma farmaceutica è fondamentale identificare la fase stabile a T ambiente e
verificare se sono possibili transizioni solido-solido nel campo di T impiegato negli studi di stabilità e durante i vari studi
di produzione (essiccamento, mescolamento, macinazione, granulazione, compressione, ecc.).

I processi farmaceutici possono indurre transizione di fase:

Esempio:
Effetto della macinazione sulla conversione di fase dell’indometacina.
Le forme polimorfe dell’indometacina tendono a convertire per effetto della macinazione. Il tipo
e il grado di conversione dipende dalla temperatura alla quale il processo è condotto.
Se le forme α e γ vengono macinate a 4°C si produce una forma amorfa (stabile a 4°C), invece, se
la macinazione è condotta a 30°C, si osserva la conversione di fase da γ ad α.
Il meccanismo proposto per questa osservazione è che la forma γ sottoposta a macinazione
diventa amorfa, ma l’amorfo a questa temperatura tende a cristallizzare nella forma α.
TRANSIZIONI POLIMORFICHE

Mediante DSC è possibile studiare i processi di


conversione polimorfica:

Le trasformazioni polimorfiche sono in genere


accompagnate da uno stato iniziale di fusione
(picco endotermico), seguito da un picco legato
al processo di ricristallizzazione nella nuova
forma.
Un buon esempio è l’analisi di un
campione di SULFAPIRIDINA dopo
un istantaneo raffreddamento del
prodotto fuso. Le transizioni che
avvengono durante il successivo
riscaldamento possono essere
osservate mediante termo-
microscopia in luce polarizzata.
Il materiale originale amorfo,
derivante dal raffreddamento
veloce, cristallizzando durante il
riscaldamento produce sferuliti.
Questa forma metastabile fonde e
cristallizza immediatamente nella
modificazione romboide stabile
che, a sua volta, fonde a 190° C. La
corrispondente curva di
riscaldamento DSC mostra la
fusione e la ricristallizzazione
delle diverse forme. Le immagini al
microscopio sono state rilevate a
110 °C e 180 °C, permettendo
l’interpretazione
visiva dei risultati.
È importante tenere conto delle condizioni sperimentali, ad esempio in presenza di miscele di polimorfi aventi
temperature di fusione vicine, riscaldamenti troppo veloci possono mascherare la presenza di una fase presente in
quantità minore.

Curve di DSC di una miscela di polimorfi misurata a 15°/min ed a 5°/min.


CONTROLLO QUALITA’

Mediante confronto fra il profilo termico di un


campione con quello di un riferimento è possibile
determinare ad esempio:

• La purezza
• Il grado di cristallinità
• Una stima del peso molecolare (polimeri)

La fusione nei metalli avviene nell’intorno della T


di fusione nominale ma nei polimeri semicristallini
dipende dal PM del campione.
DETERMINAZIONE DELLA PUREZZA

La determinazione del punto di fusione permette di avere in modo semplice e rapido informazioni:
• sul tipo di composto (identificazione possibile per confronto con dati tabulati in letteratura)
• sul grado di purezza del composto
In teoria la fusione di una sostanza cristallina pura (a pressione costante) è caratterizzata da una entalpia di fusione ΔHf
(o calore latente di fusione) in un intervallo infinitesimo di grado corrispondente alla temperatura di fusione Tf.
L’allargamento dell’intervallo di fusione, accompagnato da un abbassamento della temperatura di fusione, è indice
della presenza di impurezze nella sostanza.

Il grafico mostra l’effetto di impurezze sulla forma del


picco di fusione in un termogramma DSC. I campioni
della stessa sostanza ma di diverso grado di purezza
danno luogo a diagrammi termici chiaramente diversi.
PUNTO DI FUSIONE di MISCELE DI SOSTANZE

Le sostanze pure presentano una temperatura di fusione fissa e caratteristica individuabile grazie al fenomeno della
sosta termica, il periodo di tempo in cui, pur continuando a somministrare calore, la temperatura del sistema resta
costante perché l’energia fornita viene utilizzata per disgregare il reticolo cristallino.
La presenza di, anche piccole, quantità di impurezze in una sostanza causa:
un abbassamento della temperatura a cui inizia la fusione perché le impurità producono un indebolimento del
reticolo cristallino e, quindi, è necessaria meno energia per vincere le forze di coesione presenti;
un ampliamento dell’intervallo di temperatura in cui avviene la fusione (non esiste più la sosta termica)
PUNTO DI FUSIONE di MISCELE DI SOSTANZE

Una miscela di due sostanze pure fonde all’interno di un


intervallo di temperature a partire da una temperatura più
bassa di quella di entrambe le sostanze pure.

L’inizio della fusione dipende dalla composizione percentuale


della miscela.

Un EUTETTICO è una miscela di sostanze, caratterizzata da un ben determinato rapporto in massa tra i suoi
costituenti, la cui temperatura di fusione, più bassa di quella delle singole sostanze che la compongono
assume un fisso e ben preciso valore. Quando le due sostanze sono miscelate nell’esatta percentuale che
corrisponde alla formazione dell’eutettico, il sistema si comporta come se fosse una sostanza pura e quindi si
osserva la presenza di un picco a una ben determinata temperatura, detta temperatura eutettica
Stabilità al calore

Un intervallo di fusione, oltre che della presenza di impurezze, può essere indice del fatto che la sostanza si

decompone durante il riscaldamento. Molte sostanze organiche, anche a temperature non particolarmente

elevate, se confrontate con quelle dei composti inorganici, si modificano, decomponendosi o decolorandosi.

La tecnica della determinazione della temperatura di fusione può essere utilizzata per stabilire fino a quale

temperatura è possibile riscaldare una sostanza senza che subisca alterazioni. Questo valore fornisce

indicazioni relative alla stabilità termica del composto e si può utilizzare per avere informazioni sulla possibile

temperatura di essicamento.
Sostanza pura
• Curva di fusione lineare
• Melting point definito da Tonset

Sostanza non pura


• Curva di fusione concava
• Fusione caratterizzata picchi
massimi
• Impurezze eutettiche possono
produrre un secondo picco

Fusione con decomposizione

• Esotermica

• Endotermica
CRISTALLINITA’

Inoltre, dai valori dell’entalpie di cristallizzazione a freddo (ΔHc ) e di fusione (Δ Hm ) è possibile determinare la
cristallinità di un materiale ( Xc ) sulla base della seguente equazione:

l picco ottenuto verrà integrato per determinare l’entalpia associata alla fusione.

Dato che soltanto le zone cristalline partecipano alla transizione di fase della fusione, l’entalpia di fusione del
materiale è un indice di quanto è cristallino il campione. Dividendo l’entalpia misurata per quella teoricamente
valutata del materiale cristallino al 100% si otterrà il grado di cristallinità misurato via DSC.
Esercitiamoci

È buona norma caratterizzare un composto allo stato solido con un ciclo di riscaldamento fino alla fusione,
raffreddamento e secondo riscaldamento, per verificare se per ricristallizzazione del fuso si ottiene sempre
la stessa fase.

Prendiamo in esempio il termogramma del Paracetamolo, in cui


- la forma I (a) ha punto di fusione a 168.6°C;
- durante il raffreddamento della fase si ha la ricristallizzazione (b)
- il secondo riscaldamento mostra invece che la fusione avviene a
156.4°C come previsto per la forma II.

Curva di DSC del paracetamolo (velocità 10°/min, portacampione ermetico):


a) fusione a 168.6 °C della forma I,
b) cristallizzazione del fuso;
c) fusione a 156.4°C della fase ottenuta dalla cristallizzazione del fuso che
risulta essere la forma II.
INTERAZIONE ECCIPIENTE- PRINCIPIO ATTIVO
Trimetoprim (TMP): principio attivo (antibiotico)
Polivinilpirrolidone (PVP) : eccipiente

a. Trimetoprim puro

b. PVP puro

c. Miscela fisica contenente il 25% in peso di TMP

d. Miscela macinata contenente il 10% in peso di TMP

e. Miscela macinata contenente il 25% in peso di TMP

f. Miscela macinata contenente il 50% in peso di TMP

La modificazione dell’endoterma di fusione del farmaco è un indice


della sua interazione con l’eccipiente indotta dalla macinazione.
LIGHT SCATTERING
Tramite il fenomeno dello scattering è possibile derivare i parametri
delle particelle dissolte

Dimensioni particellari Peso molecolare Dimensioni molecolari

Carica superficiale Proprietà reologiche


Il light scattering è un’importante tecnica sperimentale per la
caratterizzazione di soluzioni polimeriche e particelle in sospensione.

PRINCIPIO DEL LIGHT SCATTERING


Quando una particella viene colpita da un fascio di luce incidente, gli orbitali
delle molecole presenti vengono perturbati inducendo un moto oscillatorio
della nuvola elettronica e la generazione di un momento di dipolo. Il
momento di dipolo indotto è responsabile della ri-emissione di energia (luce)
in tutte le direzioni (scattering o diffusione) alla stessa lunghezza d’onda
della radiazione incidente (scattering elastico).
La luce interagisce con la materia principalmente in diversi modi:

Assorbimento
La luce può essere riemessa a diverse λ
(fluorescenza o fosforescenza)

Diffusione o Scattering
Riflessione/rifrazione/diffrazione
(particelle ordinate)
Anelastico Elastico Quasi-elastico
(diversa λ) (stessa λ) (quasi stessa λ)
es. Raman SLS DLS o QELS
particelle libere di
muoversi in
soluzione
Cambio della polarizzazione
Curiosità… Lo scattering della luce spiega perché il cielo è blu?

La luce visibile di color bianco proveniente dal Sole è


composta dalla sovrapposizione di onde elettromagnetiche
di diverse lunghezza d’onda.
Una volta raggiunta la Terra, un raggio solare interagisce con
l’atmosfera, (78% da N2 e per il 21 % da O2). Sono anche
presenti argon, acqua (in forma di vapore, goccioline e
cristalli di ghiaccio) e particelle solide (polveri, ceneri dai
vulcani e sale dal mare).
Nell’attraversare l’atmosfera, la maggior parte della
radiazione di maggior lunghezza d’onda prosegue la sua
traiettoria rettilinea. La luce rossa, arancione e gialla viene
influenzata solo in minima parte dalla presenza dell’aria. Al
contrario, la luce blu, che ha una lunghezza d’onda
inferiore, è diffusa in tutte le direzioni. In qualunque
direzione si osservi, parte di questa luce giunge ai nostri
occhi.
Il cielo, pertanto appare blu.
Le nuvole e la nebbia ci appaiono bianche perché consistono di
particelle più grandi delle lunghezze d’onda della radiazione
visibile, e diffondono tutti i colori allo stesso modo.
Solo acqua distillata 5 gocce di latte

10 gocce di latte 20 gocce di latte


Sia l’assorbimento che lo scattering comportano l’attenuazione del
fascio di luce quando questo passa attraverso una soluzione.

L'intensità del fascio luminoso è indebolita dall'assorbimento o dalla


dispersione (o da entrambi). In entrambi i casi l'intensità trasmessa
diminuisce in modo esponenziale con lo spessore x dello strato di
materiale attraverso il quale la luce deve passare.

Assorbimento

Scattering
SCATTERING DI RAYLEIGH
Quando le dimensione della particella sono
più piccole della λ della radiazione incidente. SCATTERING DI MIE
L’intensità della luce scatterata è simmetrica Particelle perfettamente sferiche di dimensioni
in avanti e all’indietro rispetto al fascio dello stesso ordine di grandezza o maggiori
incidente ed è indipendente dall’angolo dello della lunghezza l’onda della radiazione
scattering (scattering isotropico). incidente.

SCATTERING GEOMETRICO
quando le particelle hanno un diametro molto
maggiore rispetto alla λ della radiazione
incidente lo scattering può essere calcolato sulla
base dell’ottica geometrica di riflessione,
rifrazione e diffrazione. Lo scattering è
fortemente dipendente dalla forma e
dall’orientazione della particella
I parametri principali che governano lo scattering e l’assorbimento della luce da parte
di una particella sono:
• La λ della radiazione incidente
• Il diametro della particella (Dp)
• Le sue proprietà ottiche (indice di rifrazione)

Solitamente i primi 2 parametri vengono espressi come grandezza adimensionale α:

A seconda del valore di α, il fenomeno dello scattering può essere suddiviso in 3 domini:
• α<<1 Rayleigh scattering
• α≈1 Mie scattering
• α>>1 scattering geometrico
DIPENDENZA ANGOLARE
La luce viene diffusa dalla particella con un angolo inversamente
proporzionale alla dimensione della stessa. L’energia associata alla diffusione
diminuisce all’aumentare dell’angolo.

Perché?
Con l’aumentare della dimensione delle molecole, la quantità di luce scatterata
dipenderà dall’angolo di misura. Questo fenomeno è chiamato ‘dipendenza
angolare dello scattering’ proviene dal fatto che con l’aumentare della
dimensione molecolare i fotoni non sono più diffusi in modo indipendente ma
interferiscono tra loro.
Scattering isotropico è generato da
piccole molecole (Rg < 15nm) che
presentano una dipendenza angolare
nulla o trascurabile, lo scattering è
identico in tutte le direzioni.
Scattering anisotropo è generato da
molecole grandi (Rg > 15nm) per le
quali l’intensità diffusa varia con
l’angolo di misura θ, la luce è
scatterata in diverse direzioni con varie
intensità.
SLS – DLS
Gli esperimenti che si basano sul principio della diffusione della luce possono
essere divisi in due grandi categorie che differiscono per il modo in cui la
radiazione diffusiva viene raccolta ed analizzata.
Le due tecniche sono complementari nel senso che sfruttano due diverse
caratteristiche completamente indipendenti della luce diffusa

Diffusione statica della luce Diffusione dinamica della luce


STATIC LIGHT SCATTERING - SLS DYNAMIC LIGHT SCATTERING – DLS
misura l’intensità media della luce misura le fluttuazioni temporali della luce
scatterata a diversi angoli di scattering diffusa per derivare gli spettri dei tempi di
per arrivare ad informazioni su fluttuazione tipici che a loro volta
Peso molecolare producono informazioni su
(Mw) Forma della particella Coefficiente di diffusione (D)
Interazioni tra
Particle size Raggio idrodinamico (RH)
particelle
La luce diffusa in una soluzione di macromolecole ha un’intensità principale I che riflette il
peso molecolare delle particelle.
Mentre le fluttuazioni nell’intensità hanno un caratteristico tempo di fluttuazione τ che
riflette il coefficiente di diffusione delle particelle.

SLS à Intensità à peso molecolare


DLS à Fluttuazioni à coefficiente di diffusione
Equazione di Reyleigh
La relazione tra intensità della luce scatterata e peso molecolare è descritta dalla teoria di
Rayleigh che stabilisce che il peso molecolare di una molecola è proporzionale al rapporto
di Rayleigh della luce scatterata, cioè il rapporto dell’intensità della luce scatterata e
l’intensità della luce incidente.

K= costante ottica
M= peso molecolare
Rθ= Rapporto di Reyleigh (rapporto tra intensità della luce scatterata e intensità della luce incidente) all’angolo di misura θ
A2= 2° coefficiente del viriale
C= concentrazione del campione
Θ= angolo di misura
P(θ)= fattore di forma

In termini semplici, l’equazione di Rayleigh ci dice che l’intensità della luce scatterata a un determinato angolo
dipende da molti fattori tra cui
- peso molecolare
- dimensione molecolare.
Equazione di Reyleigh

L’intensità della luce scatterata da una macromolecola è proporzionale al peso molecolare


medio ed alla concentrazione della macromolecola.

Le molecole con peso molecolare e dimensione maggiore generano maggiore scattering.

L’incremento dell’intensità dello scattering è lineare con il peso molecolare, non lo è


invece rispetto alla dimensione.

Conoscendo tutti gli altri fattori nell’equazione di Rayleigh, possiamo misurare


l’intensità dello scattering (corredato di RƟ) e calcolare il peso molecolare del
campione.
Dall’analisi SLS si ottiene il Debye Plot, un grafico che riporta KC/RθP (1/kDa) e l’intensità
dello scattering (kcpcs) in funzione della concentrazione (g/ml).
Che informazioni possiamo ricavare da questo grafico?

L’inverso dell’intercetta = PESO MOLECOLARE (kDa)


La pendenza = 2° COEFFICIENTE DEL VIRIALE, B22

B22 :
Proprietà termodinamica che
descrive l’interazione tra molecola e
solvente.
A2 >0 la molecola tende a stare in
soluzione
A2 <0 le molecole tendono a
cristallizzare o aggregare.
DLS :caratterizzazione di nanoparticelle, dei colloidi e delle biomolecole

• La DLS consente di misurare il raggio idrodinamico di molecole o particelle dispersi o


solubilizzati in un liquido:

Biomolecole (es.
Emulsioni Liposomi
proteine)

Polimeri
Microemulsioni

Nanoparticelle

• Con la DLS si ottiene una distribuzione dimensionale (nel caso fossero presente diverse
popolazioni),

• la DLS è la tecnica d’elezione per rivelare la presenza di aggregati anche in proporzioni


infinitesimali.
Di che dimensioni stiamo parlando?
PARTICLE SIZE
La più importante proprietà fisica di un campione particellare.
Ha una diretta influenza su:
Ø Reattività e velocità di dissoluzione (es. Compresse)
Ø Stabilità delle sospensioni
Ø Efficacia di rilascio (inalatore per asma)
Ø Struttura e consistenza (ingredienti alimentari)
Ø Apparenze (rivestimenti in polvere e inchiostri)
Ø Viscosità (spray nasali)
Ø Fluidità e lavorabilità (granulati)
Entriamo nel laboratorio di chimica fisica applicata…

DLS-SLS
DLS

Brookhaven 90 Plus/Particle Size Analyzer

Malvern ZETA sizer


TIPI DI RILEVATORE
• Un rivelatore RALS raccoglie la luce scatterata a 90°. Il
detector RALS è lo strumento light scattering più
semplice. Misura l’intensità della luce scatterata a 90°
rispetto alla luce incidente. Si assume che lo scattering del
campione sia isotropico (uguale a tutti gli angoli).

• Un rivelatore LALS raccoglie lo scattering ad un angolo


più vicino possibile a 0°, i più comuni a 7°. Può misurare
il peso molecolare di tutte le molecole ma ha un basso
rapporto segnale/rumore;
• Combinando RALS e LALS in un sistema ibrido, sfrutta
quindi i punti di forza di ambedue RALS e LALS. La luce
del laser entra nella cella e viene rilevata a 90° ed
attraverso la stessa finestra ad angolo basso, 7°.

• Un rivelatore MALS raccoglie lo scattering a vari angoli.


Consente la misura sia nel caso di scattering isotropico
che anisotropo. La luce del laser entra nella cella e la luce
scatterata esce a diversi angoli. Viene rilevata dai diversi
detectors.
Moto Browniano
Nel 1827, il botanico Robert Brown osservò con un microscopio che un granello di polline
sospeso nell’acqua si muove velocemente a zig-zag, con un moto incessante e irregolare. Dal
suo nome questo fenomeno è detto moto browniano.

Istantanea del moto dei granelli di La diffusione di una


polline dispersi in acqua osservati al goccia di inchiostro in
microscopio. acqua, le particelle di
Le oscillazioni compiute da queste dimensione colloidale
particelle derivano dall'agitazione tendono ad occupare tutto
molecolare: esse subiscono gli urti il volume disponibile.
delle molecole che grazie al energia
cinetica dovuta alla temperatura, si
muovono incessantemente.

A parità di temperatura e di viscosità le particelle ‘piccole’ si muovono rapidamente –


creando delle variazioni rapide dell’intensità di scattering – mentre le particelle ‘grosse’ si
muovono più lentamente – creando delle variazioni d’intensità lente.

Fenomeno alla base della tecnica Dynamic Light Scattering.


DLS e Molecular size: la dimensione fisica di una molecola
Tramite una misura di DLS è possibile determinare il COEFFICIENTE DI DIFFUSIONE (D),
misura di quanto velocemente si muovono le particelle nella soluzione. L’unità di misura
di D è m2/s.
Dal coefficiente di diffusione è possible risalire alle dimensioni delle particelle (Molecular
size) se si conoscono la temperature e la viscosità del solvente.
Come?
Tramite la relazione di Stoke-Einstein si calcola il RAGGIO IDRODINAMICO (RH), ossia il
raggio di una sfera equivalente che diffonde alla stessa velocità della molecola che stiamo
studiando: 𝑘𝑇
𝑅" =
dove 6𝜋𝜂𝐷
RH raggio idrodinamico
k = 1.38 × 10-23 (J K-1) è la costante di Boltzmann,
T è la temperature (K),
D è il coefficiente di diffusione (m2/s),
ƞ è la viscosità del solvente (kg/ms)
Principio di misura del Dynamic Light Scattering

1. Il campione viene irraggiato da un


raggio laser.

2. Le fluttuazioni d’intensità della luce


diffusa misurate dal detector sono
generate dal movimento browniano delle
particelle all’origine dello scattering.

3. le variazioni d’intensità della luce diffusa


dal campione vengono misurate in
funzione del tempo.
4. Grazie ad un auto correlatore, la
velocità delle variazioni d’intensità viene
misurata, e il coefficiente di diffusione
delle particelle calcolato dalla funzione di
correlazione.

5. L’ equazione di Stokes-Einstein
consente poi di convertire il coefficiente
di diffusione in raggio idrodinamico.
Raggio idrodinamico
raggio di una sfera equivalente che diffonde alla stessa velocità della molecola che stiamo
studiando
Le particelle sono oggetti tridimensionali e molto spesso non sono delle sfere perfette quindi
non possono essere descritte da un singolo parametro come il raggio o il diametro.

Per semplificare la misurazione si definisce la dimensione di una particella tramite il concetto


di sfere equivalenti .
ogni tecnica di misurazione usa un diverso modello di sfera equivalente.
Una bassa concentrazione ionica determina la formazione di un esteso
doppio strato di ioni attorno alla particella e ne risulta un diametro
idrodinamico apparente più grande.

Un’alta concentrazione ionica (≥ 10 mM) comprime il doppio strato elettrico


e riduce il diametro idrodinamico apparente.

Per particelle non sferiche, DLS darà un diametro di una sfera che ha lo stesso
coefficiente di diffusione medio delle particella analizzata.
Più piccole sono le particelleà più veloce sarà il moto browniano
Più grandi sono le particelleà più lento sarà il moto browniano

Le variazioni di intensità della luce diffusa sono analizzate dall’autocorrelatore che genera
una funzione di correlazione g2(τ). La curva risultante verrà analizzata per ottenere la
DIMENSIONE DELLA PARTICELLA e la DISTRIBUZIONE DIMENSIONALE.
DLS : funzione di correlazione

Grazie ad opportuni modelli di fitting dalla curva di


autocorrelazione è possibile ricavare, oltre alle
informazioni sulle dimensioni della particella, anche

DIMENSIONE MEDIA COMPLESSIVA


Particle Size
INDICE DI POLIDISPERSIONE Z-average diametro medio distribution (PSD)
(PdI) indice che fornisce delle particelle presenti in fornisce informazioni
informazioni sul grado di una popolazione. Parametro sul numero e la relativa
polidispersione della influenzato dalla presenza di composizione delle
sospensione. aggregati. popolazioni presenti nel
campione
• L’aggregazione à rapido aumento di z-average ed aumento di PdI.

• Fenomeni di dissoluzione-disaggregazione à lenta riduzione di z-


average con una riduzione di PdI.
Il punto in cui la correlazione del segnale
inizia a scendere fornisce informazioni sul il
diametro medio

La linea di base da
L’angolo di informazioni sulla presenza di
decadimento grandi particelle/aggregati
fornisce
informazioni
sulla
polidispersità
della
dispersione
INDICE DI POLIDISPERSIONE

0 < PdI < 1


• quanto più è vicino a 0 tanto più la sospensione è monodispersa
• PdI= 1 le sospensioni totalmente polidisperse.

Una sospensione può considerarsi


• monodispersa per valori di PDI ≤ 0,2,
• mediamente polidispersa per 0.2 ≤ PDI ≤ 0.5
• polidispersa per valori superiori a 0.6
SIZE DISTRIBUTION
La distribuzione delle dimensioni delle particelle può essere rappresentata sotto
forma di una curva di distribuzione di frequenza, o una curva di distribuzione
cumulativa (sottodimensionata)
1 2

3
• Particelle molto piccole
• PdI medio
• Assenza di grandi particelle/aggregati
(linea di base piatta)

1
• Particelle grandi
• PdI medio
• Presenza di grandi particelle/aggregati
(linea di base rumorosa)

2
• Particelle molto grandi
• PdI alta
• Presenza di grandi particelle/aggregati
(linea di base rumorosa)

3
Monodisperso: Polidisperso:
tutte le particelle hanno la stessa campione costituito da particelle di
dimensione. diverse dimensioni.
POTENZIALE ZETA: misura della forza repulsiva tra le particelle ed un indice della
stabilità dei colloidi Una particella dispersa in un liquido generalmente
presenta delle cariche elettrostatiche superficiali (per es.
prodotte durante la polverizzazione) che determinano un
campo elettrico responsabile della ridistribuzione degli
ioni presenti nello spazio che circonda la particella.
Questa distribuzione comporta un aumento della
concentrazione di controioni in prossimità della
superficie.
In particolare, lo strato di liquido con gli ioni che
circonda la particella è composto da due strati che
costituiscono un doppio strato elettrico intorno a
ciascuna particella:
POTENZIALE ZETA: misura della forza repulsiva tra le particelle ed un indice della
stabilità dei colloidi uno interno (strato stazionario, o di Stern)
molto ricco di ioni di segno opposto fortemente
legati alla particella carica
uno esterno (strato diffuso), costituito da ioni di
entrambi i segni, ma con una predominanza
degli ioni che costituiscono anche lo strato di
Stern dove le interazioni sono più deboli.
Lo strato diffuso può essere diviso in due parti, lo
strato più interno (strato fisso, ricco delle cariche
dello strato di Stern) che rimane sempre legato allo
strato di Stern e lo strato più esterno che invece non
è legato al colloide (strato mobile).
Il punto si separazione è chiamato piano di
scivolamento (shear plane), poiché se si applica
una forza tangenziale solo lo strato interno si
muoverà con il colloide.
All'interno dello strato diffuso gli ioni formano strutture
metastabili:
quando la particella si muove nel liquido, gli ioni si
muovono con essa; in particolare, quelli oltre il piano di
taglio (shear plane) sostituiscono e sono continuamente
sostituiti dagli ioni liberi presenti nel liquido in modo che
le dimensioni del doppio strato, determinate dal potenziale
zeta rimangano costanti.
Poiché alla fine dello strato diffuso si ritorna alla
elettroneutralità, si genera una differenza di potenziale tra i
vari strati e la soluzione:
Il grafico mostra, per una generica particella carica, la
variazione del potenziale elettrico in funzione della distanza
dalla sua superficie: si può vedere come questo diminuisca
rapidamente all'interno dello strato stazionario, più
lentamente all'interno dello strato diffuso e poi ancora più
lentamente fino ad annullarsi, per definizione, all'infinito.
In particolare, poiché la carica intrinseca sulla
superficie della particella è schermata dalle cariche
dello strato stazionario, le interazioni fra particelle
saranno ovviamente regolate proprio dal potenziale
presente alla superficie di questo strato.

Immaginiamo di allontanarci dalla superficie delle


particella, per raggiungere, lungo la curva di potenziale
in figura, il piano di taglio: il potenziale presente in
questo punto prende il nome di potenziale zeta (p ζ) e
definisce il comportamento dei sistemi dispersi.

Potenziale zeta = Differenza di


potenziale tra la lo shear plane dello
strato diffuso ed il solvente in bulk.
Quando due particelle sono così vicine che i loro doppi strati si sovrappongono, si respingono
reciprocamente con una forza elettrostatica la cui intensità dipende dal potenziale zeta:
Basso potenziale zeta (<±25 mV), le Un alto potenziale zeta impedisce
particelle inizieranno ad aggregarsi poiché l'agglomerazione delle particelle e mantiene la
cominciano a prevalere le forze attrattive che dispersione uniforme e libera di scorrere. Di
entrano in azione quando due particelle, nel conseguenza, per la preparazione della
loro movimento Browniano, vengono a maggior parte delle formulazioni, l'obiettivo
trovarsi sufficientemente vicine. Quando è massimizzare il potenziale zeta.
questo accade la sospensione è instabile.
Il potenziale ζ dipende da:.
densità della carica La densità della carica superficiale dipende dalla
superficiale e dallo concentrazione del potenziale prodotto dagli ioni nei
spessore del doppio strato solventi ionici che hanno un'affinità particolare per la
superficie.
In molti sistemi, lo ione H+ determina il
potenziale e così il potenziale ζ dipende dal pH.
Il potenziale ζ è positivo per bassi valori di pH e
negativo per valori alti.
Il pH per cui il potenziale ζ è nullo definisce il
punto isoelettrico (IEP = IsoElectric Point) del
sistema disperso.
Il punto isoelettrico è una proprietà della
superficie della particella ed è il valore intorno
al quale si ha scarsa stabilità in quanto sono più
evidenti le forze di van der Waals.
potenziale ζ vs pH. La stabilità a pH < 8
E' possibile modificare il potenziale ζ aggiungendo elettroliti, in modo che i loro ioni
vengano adsorbiti sulla superficie delle particelle.

Si può anche ricorrere all'aggiunta di tensioattivi, che funzionano da


agenti bagnanti per le particelle liofobe. In particolare:

i tensioattivi anionici aumentano il pζ negativo intrinseco delle particelle in quanto queste


adsorbiranno cariche negative;

i tensioattivi cationici diminuiscono il pζ fino ad invertirne addirittura il segno;

i tensioattivi non ionici, vengono adsorbiti creando una barriera all'avvicinamento delle
particelle.
Il potenziale zeta può essere calcolato misurando sperimentalmente la mobilità
elettroforetica
L’Electrophoretic Light Scattering ci consente di misurare la mobilità
elettroforetica di particelle sospese in un liquido, la quale è direttamente
proporzionale al loro potenziale Zeta come descritto dall’equazione di Henry.

dove z[mV] rappresenta il Potenziale Zeta, ε[Fm-1] la costante dielettrica


dell'acqua, η[mPa·s] la viscosità del mezzo e f (ka) la funzione di Henry (funzione
dipendente dal valore assunto dalla lunghezza di Debye, che è la distanza spaziale
oltre la quale gli ioni in soluzione schermano il campo elettrico, cioè la distanza per
cui si ha la separazione di carica).
Per misurare la mobilità elettroforetica delle particelle, si applica un campo elettrico tra gli
elettrodi della cella di misura con il campione ed illuminata da un raggio laser.
Le particelle cariche si spostano verso l’elettrodo di segno opposto, creando una variazione
di frequenza della luce diffusa dal campione direttamente proporzionale alla mobilità
elettroforetica. La mobilità elettroforetica è misurata
tramite uno shift di frequenza(∆ν),
della luce diffusa dalle particelle:

dove θ è l'angolo di scattering e λ la


lunghezza d'onda della luce
incidente.
Ciò produce un segnale di intensità,
il cui tasso di fluttuazione è
proporzionale alla velocità delle
particelle.
Esempio di un grafico di Potenziale Zeta
SPETTROSCOPIA
UV – VISIBILE
Metodi spettroscopici
Si basano sullo studio e la valutazione (misura) delle variazioni di energia che si hanno
in seguito ad interazione tra una radiazione elettromagnetica e la materia (nuclei,
atomi o molecole).
I metodi spettroscopici vengono classificati in base alla regione dello spettro
elettromagnetico coinvolta.
DEFINIZIONI UTILI
La radiazione elettromagnetica
• La luce è una forma di radiazione elettromagnetica costituita da un campo elettrico e un
campo magnetico oscillanti (variabili nel tempo).
• Le onde elettromagnetiche procedono nel vuoto alla velocità di 3.00 × 108 m · s–1 (oltre
1072 milioni di km/h). Tale velocità si indica con c e si definisce «velocità della luce».
• La luce visibile è una forma di radiazione elettromagnetica, come le onde radio, le
microonde e i raggi X.
• Queste forme di radiazione hanno il compito di trasferire energia da una regione all’altra
dello spazio.
• Il campo elettrico e magnetico sono perpendicolari tra loro ed alla direzione di
propagazione dell’onda.
Caratteristiche di un’onda elettromagnetica
• Lunghezza d’onda (l): distanza spaziale tra due
massimi dell’onda.
• Ampiezza: distanza verticale tra un massimo e l’asse
delle ascisse
• Frequenza (n): il numero di onde in un secondo (Hz =
1 ciclo/s)
• l e n sono INVERSAMENTE PROPORZIONALI:
#
𝜆=
$
dove c è la velocità della luce ~ 3×108 m/s.
…un po’ di matematica

Energia della radiazione elettromagnetica


Esiste una relazione tra la frequenza di una radiazione elettromagnetica e la sua
energia:
c
E = hu = h
l
h = costante di Planck = 6.626 · 10-34 J · s

üMaggiore è la lunghezza d’onda (l) di una radiazione elettromagnetica e minore è


la sua energia.
Quindi l’energia e la lunghezza d’onda sono inversamente proporzionali

üMaggiore è la frequenza (n) di una radiazione elettromagnetica e maggiore è la


sua energia.
Quindi l’energia e la frequenza sono direttamente proporzionali
Le onde elettromagnetiche, a seconda della frequenza e relativa lunghezza d'onda,
vengono suddivise secondo il cosiddetto spettro elettromagnetico:

SPETTRO ELETTROMAGNETICO
La spettrofotometria di assorbimento è interessata ai fenomeni di assorbimento delle
radiazioni luminose della regione dello spettro elettromagnetico appartenenti al
campo del visibile (350–750 nm) e del vicino ultravioletto (200–350 nm).

Viene interessato anche l’UV lontano (10 – 200 nm), anche se in questo caso si opera
sotto vuoto o in atmosfera di gas inerte, perché l’ossigeno atmosferico copre i segnali
delle altre sostanze.

L’assorbimento di questi tipi di radiazioni da parte delle molecole è in grado di


produrre delle transizioni energetiche degli elettroni esterni della molecole.
Qualunque sostanza, sollecitata da radiazioni elettromagnetiche, quali le radiazioni
luminose, assorbe in quantità variabile l'energia che ne proviene e la utilizza per un
incremento dell'energia molecolare, passando da uno stato energetico "fondamentale"
ad uno stato "eccitato".
Le molecole interagiscono con una radiazione elettromagnetica assorbendo o cedendo
energia, passando da stati ad energia minore a stati ad energia maggiore (assorbimento)
o da stati ad energia maggiore a stati ad energia minore (emissione).

Energia
Stato eccitato

hν> ΔE hν= ΔE
Radiazione NON assorbita Radiazione assorbita

hν< ΔE
Radiazione NON assorbita
Stato fondamentale
La branca dell'analitica che studia il comportamento della materia in questo campo va
sotto il nome di "spettrofotometria di assorbimento"
Una radiazione può essere assorbita dalla materia solo se la sua energia è pari alla
differenza di energia tra lo stato fondamentale e quello eccitato della molecola.
Lo spettrofotometro utilizza proprio questa capacità della luce di essere assorbita, a
diverse frequenze, dalle sostanze chimiche o biologiche.
SPETTRO ELETTROMAGNETICO
Raggi g Raggi X UV VIS IR RADIO

La luce visibile occupa solo una piccola porzione della zona centrale dello
spettro.
I nostri occhi percepiscono la radiazione elettromagnetica di lunghezza d’onda
compresa tra 700 nm (luce rossa) e 400 nm (luce violetta).
Alle diverse radiazioni visibili che differiscono per la loro lunghezza d’onda (quindi per la
loro diversa frequenza ed energia) corrispondono i diversi colori.
La luce bianca proveniente dal sole è policromatica perché contiene non solo frequenze
del visibile ma anche altre, per esempio UV e raggi infrarossi.
Al contrario, una radiazione di un solo colore caratterizzata da una ben precisa lunghezza
d'onda e frequenza, viene detta fascio di luce monocromatica.

Quando la luce colpisce un oggetto, lo possiamo vedere di un certo colore: questo è


dovuto al fatto che le componenti di quell'oggetto, o i pigmenti che lo ricoprono, sono in
grado di assorbire determinate frequenze, mentre altre vengono respinte (riflesse) e
giungono ai nostri occhi. Un oggetto rosso assorbirà quindi le frequenze del blu/viola e
rifletterà quelle del giallo/rosso, un oggetto nero è in grado di assorbire tutte le radiazioni
dello spettro visibile mentre uno bianco le riflette tutte.

Per sapere se un fascio di luce è monocromatico o policromatico è sufficiente farlo


passare attraverso un prisma: se il raggio rimane unico si può dire che è monocromatico;
se invece è policromatico, viene scomposto in diversi raggi.
La caratteristica
colorazione blu del Blu di
metilene deriva dal fatto
che esso assorbe la luce di
lunghezza d’onda di 663
nm (rosso) e i nostri occhi
osservano il colore che
non è stato assorbit0 (blu)
Quando un fascio di luce (mono- o policromatica) di intensità I0 attraversa uno strato di
spessore l di un mezzo, una parte di esso viene assorbita dal mezzo stesso e una parte ne
viene trasmessa con intensità residua I.

Misurando:
I0 : intensità del flusso luminoso
all'ingresso della cella con il
campione
I : intensità del flusso luminoso
all'uscita della cella con il
campione
la frazione di luce trasmessa, rispetto a quella incidente, si definisce TRASMITTANZA T, data
da:
0<T<1
Questa grandezza esprime quale frazione della luce incidente ha attraversato il campione
senza essere assorbita, può assumere valori compresi tra 0 e 1, e tale rapporto è tanto più
piccolo quanto maggiore è stato l’assorbimento.

L’entità della radiazione assorbita è detta più comunemente ASSORBANZA (A) pari al
logaritmo dell’inverso della trasmittanza: l

I0
I

Soluzione di
concentrazione c
Poiché l’assorbimento della luce è funzione della concentrazione delle molecole
assorbenti, esiste una legge quantitativa che lega l’assorbanza (collegata alla trasmittanza)
in funzione della concentrazione. L’espressione è detta legge di Lembert-Beer:
l
𝑨 = 𝜺𝒄𝒍
dove
- ε coefficiente di estinzione molare [M-1 cm-1]
I0 I
- c concentrazione molare del soluto [cm]
- l cammino ottico (lunghezza della cuvetta) [M]
Soluzione di
concentrazione c

ε è detto coefficiente di estinzione è una costante caratteristica della sostanza ad un 𝜆 ,


determinato sperimentalmente.

ε indica il valore di assorbanza del composto in esame quando l = 1cm e C = 1 M, e il suo


valore dipende:
• dalla lunghezza d’onda della radiazione assorbita
• dalla natura del solvente
• dal pH
• dalla specie chimica che assorbe
L’assorbanza di una soluzione è direttamente proporzionale alla concentrazione
della specie assorbente.
l’espressione A = ε ⋅ c ⋅ l è l’equazione che descrive una retta passante per l’origine,
dove, per un cammino ottico unitario (1 cm), il coefficiente angolare corrisponde
proprio al coefficiente di estinzione molare ε!

Quindi…
Se si conosce la costante ε, caratteristica della specie assorbente in esame, è possibile
determinarne la concentrazione, misurando A (per una opportuna λ)

Al contrario, conoscendo la concentrazione della soluzione, è possibile costruire una


retta di taratura per determinare il valore dell’ ε della sostanza in esame.
Il valore dell’ ε servirà per calcolare la concentrazione di soluzioni incognite.
Abs

c ppm
APPLICAZIONI DELLA SPETTROSCOPIA UV NELL’ANALISI FARMACEUTICA

ü Determinazione del pKa di un farmaco


ü Determinazione della solubilità di un farmaco e del coefficiente di ripartizione
ü Determinazione della velocità di rilascio di un farmaco da una formulazione
ü Monitoraggio della cinetica di degradazione di un farmaco
ü Analisi qualitativa
ü Analisi quantitativa Metodo di identificazione riconosciuto dalla
Farmacopea Ufficiale.

VANTAGGI LIMITI

metodo facile, attendibile ed economico per non applicabile all’analisi di miscele


l’analisi quantitativa

metodo di routine usato per la determinazione


delle proprietà chimico – fisiche dei farmaci
ANALISI QUALITATIVA ANALISI QUANTITATIVA
Ogni sostanza ha il suo spettro di Tramite la misura dell'assorbimento
assorbimento e l'esame di tali spettri si risale facilmente alla
permette di identificare una sostanza (per concentrazione di una soluzione.
confronto diretto con campioni noti o
tramite banche dati di spettri) o di
controllarne il grado di purezza.

caffeina
RETTA DI TARATURA
La prima cosa da fare, qualora per la sostanza in esame non si conosca già il coefficiente di
estinzione molare che spesso si trova tabulato, è costruire una retta di taratura.
Si prepara una serie di concentrazioni note della sostanza in analisi pura e disciolta in un
solvente (acqua, alcool, solventi organici...), si misura il bianco (azzeramento
dell'assorbanza) con la cuvetta piena del solo solvente e quindi leggere le assorbanze delle
varie concentrazioni note ponendo le rispettive cuvette nello strumento una dopo l'altra.
La retta risultante tra Assorbanza sulle ordinate e Concentrazione (espressa per es. in
mg/ml) in ascisse sarà di questo tipo:

C (mg/ml)
A questo punto per determinare la concentrazione incognita del campione in analisi
basterà prepararne una diluizione nello stesso solvente, determinare il valore di
Assorbanza e, grazie alla retta creata con gli standard noti, ricavare il relativo valore di
concentrazione (considerando eventuali fattori di diluizione usati).
Retta di taratura di una soluzione di anticorpo monoclonale antiCD-20 (λ 280 nm).
• Si riporta su un grafico Excel l’Abs in funzione della concentrazione e si traccia una retta.

• Si ricava un’equazione che passa per l’origine (intercetta trascurabile sull’asse


dell’assorbanza).

• Il coefficiente angolare della retta è il coefficiente di estinzione molare


La retta è costruita col metodo dei minimi quadrati che ricava la migliore curva che approssima
l’andamento dei dati.

Sul grafico viene tracciata automaticamente la


miglior retta passante per i dati
y = 1.67x
R2=0.9983
E’ possibile visualizzare l’equazione della retta

Come dato statistico si ha solo a disposizione il


coefficiente di correlazione R2
Molte volte, le Farmacopee forniscono il valore di A (1%, 1 cm), assorbanza
specifica della sostanza ad una definita λ, che esprime l’assorbanza di una
soluzione all’1% (p/v) (1g/100 ml) in una cella da 1 cm;

disponendo di questo dato si può calcolare direttamente la concentrazione Cx


della sostanza in una soluzione campione avente un’assorbanza Ax. Si applica una
semplice proporzione:

A (1%, 1cm) : 1% (p/v) = Ax: Cx


Da cui

𝐴0
𝐶𝑥 % 𝑝⁄𝑣 =
𝐴 1%, 1𝑐𝑚
LA LEGGE DI LAMBERT – BEER È UN’ASTRAZIONE, ESSENDO VALIDA SOLO PER
SOLUZIONI MOLTO DILUITE

Se la concentrazione del campione è bassa, infatti, esiste proporzionalità fra A e c.

Se invece la concentrazione è troppo elevata la legge subisce una deviazione e la


proporzionalità viene a mancare à Al crescere della concentrazione del soluto si
verificano deviazioni notevoli con conseguente scarsa attendibilità del dato analitico.
Al crescere della concentrazione del soluto si verificano deviazioni notevoli con
conseguente scarsa attendibilità del dato analitico.

Circa le cause che provocano queste deviazioni, l'ipotesi più corretta è quella che
all'aumentare della concentrazione aumenta il numero di particelle in soluzione ed
aumenta anche il numero di urti fra queste; le forze interioniche e/o intermolecolari
aumentano e possono formarsi molecole o aggregati di particelle più complesse, diverse
per struttura da quelle in esame, per cui si potrà avere uno spostamento del massimo di
assorbimento.

Per questo motivo, le condizioni di lavoro usuali prevedono che le soluzioni siano sempre
diluite al massimo, compatibilmente con la sensibilità dello strumento, per avere di valori
accettabili di assorbanza.
1) L’ibuprofene mostra il massimo di assorbanza a 265 nm. Sapendo che ε265 = 8400
mol-1 cm-1 e lo spessore della soluzione attraversato dalla radiazione è di 1 cm calcolare l
concentrazione di una soluzione di tale sostanza se A265 = 0.70

Applichiamo la legge di Lambert-Beer:


A = εbc
e sostituendo i valori si ha:
0.70 = 8400 M-1 cm-1 x 1 cm x c
Da cui c = 8.33 x 10-5 M
2) In una soluzione sono presenti 4 g/L di una amoxicillina (λ=272.8).
Sapendo che lo spessore della soluzione attraversato dalla radiazione è di 2 cm
e che solo il 50% di radiazione incidente viene trasmessa calcolare il
coefficiente di estinzione molare. Calcolare inoltre la luce trasmessa se la
concentrazione è di 8 g/L.

Sappiamo che A = log Io/I quindi sostituendo si ha:


A = log 1.0/0.5 = 0.30
Applichiamo la legge di Lambert-Beer:
A = εbc
e sostituendo i valori si ha:
0.30 = ε x 2 x 4 = 8ε
Da cui ε = 0.0376
Se la concentrazione è di 8 g/L si ha:
A = 0.0376 x 2 x 8 = 0.60
A = 0.60 = log Io/I = log 1 – log I = 0 – log I
Quindi log I = – 0.60 e quindi I = 10-0.60 = 0.25 quindi la luce trasmessa è il 25%
rispetto a quella incidente
Esercizio 1
Il coefficiente di estinzione molare di una soluzione è pari a 0.20 L mol-1 cm-
1 a 450 nm. Calcolare la concentrazione della soluzione se la luce trasmessa è

il 40% e lo spessore della soluzione attraversato dalla radiazione è di 2 cm.

Esercizio 2
La citosina ha un coefficiente di estinzione molare di 6 x 103 L mol-1 cm-1 a 270 nm ad
un valore di pH uguale a 7. Calcolare l’assorbanza e la percentuale di luce trasmessa
quando la concentrazione della soluzione è 1 x 10-4 M e quando la concentrazione
della soluzione è 1 x 10-3 M e lo spessore della soluzione attraversato dalla radiazione
è di 0.1 cm
Entriamo in laboratorio…
SPETTROFOTOMETRO UV-VIS
Lo strumento è costituito da diverse parti schematizzabili nella seguente figura:

Una sorgente di luce, generalmente nell'UV/visibile, genera la luce che viene filtrata da
un monocromatore in grado di lasciar passare una singola lunghezza d'onda.
Nello strumento l'impostazione della lunghezza d'onda di utilizzo viene effettuata
generalmente in via digitale tramite in pannello elettronico dello strumento.
Questa radiazione passa attraverso l'alloggiamento dello strumento in cui viene posto
il campione, all'interno di una provetta particolare chiamata cuvetta.
COMPONENTI DI UNO SPETTROFOTOMETRO

1. Sorgente 2. Monocromatore 3. Cella o cuvetta 4. Rivelatore

I0 I1

Monocromatore Rivelatore
seleziona una stretta converte la radiazione
banda di lunghezze d’onda elettromagnetica
dallo spettro della trasmessa in energia
sorgente elettrica

Sorgente Cella
in cui viene inserito il
fornisce una radiazione
campione da analizzare
continua sulle lunghezze
d’onda di interesse
1. SORGENTE di LUCE POLICROMATICA
Parte dell’apparecchio da cui prende origine la radiazione policromatica (contenenti cioè tutte le
lunghezze d'onda del campo richiesto) che viene diretta sul campione.

Negli strumenti che misurano la luce ultravioletta e visibile sono presenti due diverse lampade:

per la regione del visibile si utilizzano lampade a incandescenza


a filamento di tungsteno, lampade quarzo-iodio o lampade tungsteno-alogeno)
(350-2200 nm)

per la regione UV si usano lampade a scarica in un gas (deuterio


o a idrogeno) costituite da un'ampolla di quarzo contenente il gas
rarefatto nella quale viene attivata, tra due elettrodi, una scarica
elettrica con la conseguente emissione di radiazioni con spettro continuo.
(160-380 nm)

Le due lampade sono presenti entrambe nello spettrofotometro e vengono opportunamente


intercambiate dal meccanismo interno (valore di “cambio – lampada” in genere intorno a 350 nm),
oppure può essere presente una lampada a xenon che copre UV-Vis (190-1100 nm).

Dopo la sorgente è posta inoltre la 'fenditura di ingresso' che serve (associata anche a lenti e/o
specchi) a rendere paralleli i raggi ed evitare luce diffusa nello strumento.
2. MONOCROMATORE
Il monocromatore è il sistema ottico usato per disperdere la luce policromatica in bande
monocromatiche, che vengono inviate in successione sul campione.
il monocromatore, tramite una serie di specchi e lenti mobili, può isolare una sola componente cromatica
(ovvero lunghezza d'onda) per poi utilizzarla
Esistono due tipi di monocromatori:
• basati su FILTRI (ottici o interferenziali), che bloccano una parte della luce e lasciano passare
solo la parte desiderata
• basati su un ELEMENTO DISPERDENTE (prisma o reticolo), che separano le varie componenti
della radiazione e ne permettono la successiva selezione della banda desiderata
3.

Attenzione: nell’UV assorbono il


vetro e la plastica quindi si
utilizzano cuvette in quarzo!
L’ibuprofene assorbe la luce ad una lunghezza d’onda di 265 nm.
Che cuvetta utilizziamo per un’analisi UV?
Quarzo
4. RIVELATORE
Sono dispositivi capaci di produrre un segnale elettrico che dipende dall'energia delle radiazioni che lo
investono.

Tale segnale elettrico (proporzionale all'intensità luminosa) viene poi trasferito a un indicatore
analogico o elaborato per via elettronica in modo più o meno complesso.

Costituisce la parte dello strumento che esegue la misura vera e propria, molto importante, per quanto
riguarda sia la sensibilità sia l'accuratezza dello spettrofotometro.
In UV-Vis si possono utilizzare:

Ø Celle fotovoltaiche e celle fotoconduttive;

Ø Fototubi e fotiomoltiplicatori;

Ø Fotodiodi.
Infine…
SISTEMA DI ELABORAZIONE E PRESENTAZIONE DEI DATI
Il segnale proveniente dal rivelatore viene opportunamente amplificato e un amperometro ne rileva
l’intensità.
Il lettore converte il segnale elettrico in un valore numerico proporzionale all’intensità del segnale, e
questo valore va da 0 a 100.
Ponendo pari a 100 il valore del segnale in assenza del campione, otteniamo la trasmittanza e da
questa l’assorbanza.

Cos’è uno spettro?

Uno spettro di assorbimento è un grafico in cui si riporta l’intensità della radiazione


assorbita dal campione in funzione della lunghezza d’onda della radiazione stessa

NOTA: prima di ogni misura lo strumento


vuole registrare lo spettro del BIANCO
(solvente della soluzione in assenza della
sostanza da analizzare) che verrà sottratto
allo spettro del campione.

Spettro di assorbimento del permanganato nell’intervallo 450 – 650 nm (visibile)


TIPI DI SPETTROFOTOMETRO
Esistono diversi tipi di spettrofotometro, a seconda di come sono organizzate le
varie componenti:
-SPETTROFOTOMETRI MONORAGGIO
- SPETTROFOTOMETRI A DOPPIO RAGGIO

Gli SPETTROFOTOMETRI MONORAGGIO, sono usati prevalentemente in analisi


quantitativa e non sono comodi per ottenere spettri di assorbimento.
La difficoltà sta nel fatto che per ogni misura, per ogni λ, si deve ripetere
l'azzeramento contro il bianco, oppure registrare prima lo spettro del bianco,
poi lo spettro del campione ed infine sottrarre al secondo il primo (procedura
che può risultare macchinosa).
Negli SPETTROFOTOMETRI A DOPPIO RAGGIO si ha invece un sistema che invia due
raggi, identici per frequenza e intensità, uno attraverso il campione e l'altro attraverso il
bianco, per cui si ha un confronto continuo tra l'assorbanza del campione e quella del
bianco.
Lo strumento presenta due alloggiamenti, uno per la cuvetta del campione e uno per la
cuvetta del bianco che viene sottratto in automatico al campione
Grazie a queste caratteristiche è possibile effettuare misure direttamente a qualsiasi λ
senza ripetere azzeramenti, e soprattutto registrare continuativamente lo spettro di
assorbimento (fondamentale ai fini qualitativi).
Per questo motivo il doppio raggio è preferito per le applicazioni qualitative.

Potrebbero piacerti anche