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TECNOLOGIA

FARMACEUTICA
2019-2020

E.B.
B.C.
A.D.R.
V.P.
1. PRINCIPI E OBIETTIVI DELLA FORMULAZIONE
FARMACEUTICA

INTRODUZIONE

La tecnologia farmaceutica è quella materia riguardante la formulazione e lo sviluppo di


una sostanza attiva. Riguarda inoltre il concetto fondamentale di drug delivery, definito
come trasporto del farmaco fino al sito d’azione.

Quello che chiamiamo prodotto farmaceutico è il prodotto finale, cioè il farmaco messo in
commercio e non il semplice principio attivo infatti le aziende che producono prodotti
farmaceutici sono aziende farmaceutiche, mentre quelle che riducono il principio attivo
sono aziende chimiche. Quelle farmaceutiche fanno il prodotto finale.

Quali sono gli obiettivi di un prodotto farmaceutico?


Prima di tutto non deve fare male e anzi fare del bene (argomento principale del
giuramento di Ippocrate) à Primum Non Nocere.

Cos’è un prodotto farmaceutico?


È un prodotto che cura/previene, esegue la diagnosi di una patologia e interviene nel
profilo fisiopatologico dell’organismo.
Secondo la FUI e EurPH un farmaco è ogni sostanza o miscela di sostanze per uso
umano o animale avente le seguenti caratteristiche:
• Proprietà curative e profilattiche, trattamento/sollievo dei sintomi di una malattia
• Capacità di stabilire una diagnosi
• Capacità di curare uno stato fisiopatologico alterato e correggere/ripristinare/modificare
le normali funzioni

A cosa è correlata l’efficacia di un prodotto farmaceutico?


L’efficacia di un farmaco dipende dalla presenza del principio attivo.
Ci sono molte molecole efficaci e attive sulle cellule dell’organismo che non vengono però
trasformate in prodotti farmaceutici poiché alcune di esse possono risultare tossiche o non
solubili. Dunque un principio attivo deve avere i requisiti minimi chimico-fisici affinché sia
trasformabile in un prodotto farmaceutico (assorbimento e farmacocinetica).
L’attività di un farmaco cambia con la su formulazione, ad esempio nell’acido
acetilsalicilico abbiamo 2 gruppi funzionali, una funzione carbossilica e un estere, che
conferiscono la capacità inibitoria verso COX-1 e COX-2. A seconda della sua
formulazione, quindi, avremo per esempio l’aspirina rapida e l’aspirina C. Nell’aspirina C è
aggiunta la vitamina C e ha attività principalmente in stati infiammatori, mentre la rapida ha
una formulazione che consente un’azione immediata à a seconda di come io formulo il
prodotto si avranno rese diverse.

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CLASSIFICAZIONE DEI PRODOTTI FARMACEUTICI
I prodotti farmaceutici si possono dividere in due grandi categorie:
• Medicinali con AIC
• Medicinali senza AIC
A.I.C.= AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISIONE IN COMMERCIO

FARMACI DIETRO AL BANCO (BTM)

Sono medicinali dispensati esclusivamente dal farmacista, non raggiungibili dal paziente.
Tra questi troviamo:

• Galenici
Sono senza l’autorizzazione in commercio AIC perché preparati in farmacia. La farmacia è
un’officina in cui è autorizzata la produzione di medicinali. Tra i galenici troviamo:

o Magistrali (o preparazione estemporanea): è un medicinale preparato dal farmacista


(magister) secondo le indicazioni di un medico in base alle sue conoscenze. Questi
medicinali devono essere preparati al momento, uno alla volta.

o Officinali: è un medicinale tradizionale preparato dal farmacista in farmacia secondo le


indicazioni della FUI e delle farmacopee degli altri paesi dell’UE. Questi medicinali
possono essere preparati in stock seguendo le norme di buona fabbricazione.

o Industriali: simili agli officinali, ma di largo consumo. Per esempio sodio gluconato,
tintura iodio o carbone vegetale. Non sono prodotti in farmacia ma da un’industria, da
un’officina farmaceutica. Questi farmaci hanno bisogno dell’autorizzazione per essere
messi in commercio.

Quando sono richiesti i galenici?


Sono richiesti in caso di esigenze particolai, ad esempio alcuni dosaggi che non sono in
commercio, intolleranze o allergie verso alcuni eccipienti, prodotti instabili, medicinali
orfani per patologie rare, medicinali in via di registrazione (quindi non ancora approvati ma
per motivi etici sono autorizzati a essere prodotti).

• POM (etici o deontologici)


Sono dispensati solo con ricetta medica, in genere hanno un nome di fantasia come
Aspirina e Tachipirina.

• SOP
Medicinali senza obbligo di prescrizione medica, ma non accessibili al pubblico e
dispensabili solo dal farmacista. Inoltre, non possono essere pubblicizzati (a differenza
degli OTC).

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FARMACI DA BANCO (OTC)

Sono prodotti che per composizione chimica e obiettivo farmaceutico possono essere
utilizzati in modo autonomo senza alcuna prescrizione medica o sorveglianza nel corso del
trattamento.
Sono disponibili anche nelle parafarmacie e possono essere pubblicizzati, per questo
motivo sono utilizzati per terapie brevi e patologie non rilevanti.
Gli esempi più comuni sono antinfiammatori, integratori, lassativi.

PRODOTTI INDUSTRIALI

Sono prodotti industrialmente. Tra questi troviamo:

• Galenici industriali (vedi sopra)

• Specialità medicinali (POM, vedi sopra)

• Farmaci generici
Sono medicinali di cui è scaduto il brevetto e possono essere prodotti anche da
un’azienda diversa rispetto al produttore originale (innovator). Il generico deve essere lo
stesso farmaco, deve avere la stessa quantità di principio attivo e la stessa forma
farmaceutica.
Possono essere classificati in:

o Unbrended: privi di marchio, commercializzati con denominazione comune


internazionale (DCI) seguita dal nome del titolare della casa produttrice che
rappresenta il marchio.

o Brended: copie di specialità farmaceutiche con marchio, commercializzate con un


nome inventato, ad esempio “Aspirina” (DCI= acido acetilsalicilico), “Tachipirina”
(paracetamolo), “Moment” (ibuprofene)
Spesso lo stesso brand produce sia il farmaco originale che il generico.

MEDICAL DEVICES

Sono prodotti che non hanno attività farmacologica vera e propria, cioè non intervengono
su un processo biologico in maniera diretta, quindi non sono un vero e proprio farmaco.
Tra questi rientrano creme che ricostituiscono la struttura dell’epidermide, colliri come le
lacrime artificiali, strumenti di diagnosi.

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FARMACI BIOLOGICI

Sono molecole proteiche complesse, prodotte in laboratorio all’interno di sistemi viventi.


Agiscono su uno specifico recettore in modo analogo alle proteine prodotte dal nostro
corpo.
Tra questi troviamo:
• Old drugs: sono farmaci datati, ad esempio la penicillina ottenuta da una muffa.

• Proteine ricombinanti: ormone della crescita, eritropoietina.

• Prodotti biologici: in genere peptidi e possono essere:

o Estratti da piante o animali

o Ottenuti per sintesi

Ad esempio, l’insulina ha 50 AA ed è una proteina abbastanza piccola (5000 PM) che si


può ottenere anche per sintesi chimica. Se l’insulina è sintetizzata in laboratorio non è un
farmaco biotecnologico, se invece è prodotta tramite ingegneria genetica è un farmaco
biotech. Di conseguenza, un farmaco biotecnologico non è tanto il farmaco in sé, quanto
più il processo attraverso cui lo si ottiene (i prodotti di estrazione non sono farmaci
biotecnologici).

• Anticorpi monoclonali: molto specifici.

• Oligonucleotidi

• Biotecnologici: sono prodotti che, a differenza dei biologici, sono ottenuti tramite i
seguenti processi:

o Modifiche del DNA

o Ingegneria genetica con DNA ricombinante (risolve il problema di farmaci tossici)

o Ibridoma e produzione di anticorpi monoclonali

o Processi enzimatici

Solo se la molecola è prodotta attraverso uno di questi metodi è biotecnologica.


La maggior parte di questi farmaci sono proteine di cui si comincia già ad avere i farmaci
generici. Oltre alla classificazione in base al metodo di produzione, I farmaci biotecnologici
si possono classificare anche in:

• Prima generazione: farmaci ottenuti con la tecnologia del DNA ricombinante. In


questo metodo è stata introdotta la glicosilazione che solubilizza e migliora la stabilità
della proteina.

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• Seconda generazione: farmaci ottenuti tramite una modifica puntiforme nella
sequenza proteica. In questo modo si può cambiare un singolo amminoacido e
ottenere diverse proteine. Un esempio è l’insulina Lys-Pro in cui è stata invertita la
sequenza terminale per migliorare le caratteristiche di biodisponibilità.

Questa tecnica si usa nella cura dell’acromegalia, in pratica si sintetizza una proteina
che si lega in modo selettivo al recettore dell’ormone della crescita e lo inibisce. La
modifica dell’AA può avvenire a livello del genoma o a livello post-trascrizionale sulla
proteina, legando ad essa dei polimeri.

• Terza generazione: sono proteine altamente modificate in vari punti con cui si
ottengono nuove entità terapeutiche particolarmente efficienti.

OFF LABEL

Farmaci utilizzati al di fuori di patologie per le quali erano stati autorizzati.


Ad esempio, se un farmaco antitumorale viene prescritto per la maculopatia, abbiamo un
suo utilizzo off. Questo lo si può fare sulla base di evidenze scientifiche dimostrate dalla
casa farmaceutica. Può succedere infatti che all’inizio l’azienda dimostri che un farmaco è
antitumorale ma poi proseguendo con la ricerca si nota che possiede altri effetti diversi e
che quindi è possibile inserirlo nella lista off-label.

Caso di Avastin (Roche) e Lucentis (Novartis), due farmaci di aziende svizzere accordate per ottenere un
profitto altissimo con lo stesso farmaco.
Avastin à Bavacizumab è un anticorpo Mab anti VEGF scoperto dall’azienda californiana Genetech nel
2004 come farmaco antitumorale. Se ne usa una quantità abbastanza alta, dai 5 ai 15 mg/Kg ogni 2-3 mesi
per un periodo prolungato, il costo è di 80 euro a dose. La Roche vide che il farmaco era adatto anche per il
trattamento della degenerazione maculare wet (AMD). Funzionava perché Avastin è un anticorpo anti VEGF
( fattore di crescita vascolare che permette la crescita dei vasi sanguigni tumorali) che impedisce l’eccessiva
crescita delle cellule tumorali à bloccando i vasi sanguigni nel tumore infatti, questo non cresce più.
L’AMD è la stessa patologia ma localizzata: avviene soprattutto a una certa età e comporta che non si abbia
più la visione completa ma si vedano solo i contorni a causa di una crescita a livello della macula dei vasi
sanguigni. Bloccando questi vasi si ripristina la situazione e si torna a vedere normalmente. Per curare tale
patologia si inietta il farmaco direttamente nell’occhio in dose molto piccola (1 µg) una volta al mese per 2-3
mesi. I prodotti sono molto simili perché Avastin è l’anticorpo Mab mentre il Lucentis è la porzione Fab,
ovvero la parte funzionale che interagisce con l’antigene. In questo caso VEGF e ne blocca la funzione di
stimolazione dell’angiogenesi tumorale.
Quindi questi due farmaci sono la stessa cosa ma il secondo è molto più caro, costa 900€. Le due aziende
si sono messe d’accordo per utilizzare Lucentis per l’AMD e non Avastin in modo da avere più guadagni e
comunicando che Avastin non era adatto per l’AMD perché aveva pesanti effetti collaterali. Era stato fatto
addirittura un accordo commerciale per la condivisione degli introiti. Si è effettuato poi uno studio sull’AMD
promosso dall’associazione di malati di AMD e il risultato è stato che i due prodotti erano perfettamente
identici e ce non c’era alcun effetto collaterale dall’assunzione di Avastin a livello locale.

LASA (look alike/sound like)

Sono dei farmaci che tra loro si confondono molto e possono creare problemi a livello
ospedaliero. Derivano da un problema di sviluppo di mercato e di confezionamento.

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BIOEQUIVALENZA

Si parla di bioequivalenza quando si ha a che fare con medicinali equivalenti/generici, cioè


medicinali con la stessa composizione qualitativa e quantitativa solo delle sostanze attive,
ma non degli eccipienti che invece possono essere diversi. La forma farmaceutica invece
deve essere anch’essa uguale (compressa, sciroppo, capsule).
I farmaci generici devono essere BIOEQUIVALENTI agli originali ma hanno un iter
semplificato rispetto a questi. Infatti quando immettiamo nel mercato un farmaco con una
molecola nuova al suo interno bisogna dimostrare in modo completo tutto il profilo
farmacologico e tossicologico con studi clinici molto costosi. Nel caso del generico, invece,
l’iter è molto semplificato perché si conosce già se il principio attivo fa bene o male visto
che il suo profilo tossicologico è già stato testato dal farmaco originale.
Nel caso dei generici, quindi, si va a verificare solo la solubilità del farmaco tramite un
profilo farmaco cinetico del prodotto, quindi uno studio di bioequivalenza (prove di
bioequivalenza) che comprendono l’assorbimento (quantità e velocità) e la
farmacocinetica del prodotto.
N.B. Due prodotti sono bioequivalenti quando hanno la stessa biodisponibilità, cioè
quando una certa quantità di farmaco entra in circolo con velocità e quantità costanti.

La bioequivalenza si misura in termini di probabilità statistica.

ESEMPIO: analisi farmacocinetica


Dal grafico si vedono le CURVE FARMACOCINETICHE di tre prodotti diversi contenenti
acido acetilsalicilico.

• L’area sotto la curva (AUC) di A indica quanto acido


acetilsalicilico è entrato in circolo
• La Cmax (picco) definisce la velocità con cui la
molecola è entrata in circolo.

Quindi i due prodotti li confronto in termini di Cmax e di


area sotto la curva (AUC).

Due farmaci sono bioequivalenti quando c’è una probabilità > 90% che i valori di
Cmax e tmax stiano all’interno del +/- 20% di differenza.

Per essere bioequivalenti, due farmaci devono avere:


- Stesso principio attivo
- Stessa dose
- Stessa forma farmaceutica
- Stessa via di somministrazione
- Stesse indicazioni terapeutiche
- Stessa biodisponibilità

Prove di bioequivalenza: per dimostrare la bioequivalenza di due farmaci si conduce uno


studio in vitro comparando le due velocità di dissoluzione. Per verificare poi che abbiano la
stessa cinetica si svolgono degli studi in vivo.
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PERIODO DI PROTEZIONE (BREVETTO) PATENT

Un farmaco generico può essere prodotto sia se il brevetto del farmaco branded è scaduto
sia se non è scaduto.
Nel primo caso il prodotto originale è libero, non è più protetto da brevetto e il generico
può essere formulato direttamente. Nel secondo caso, invece, bisogna andare dal
proprietario del brevetto e chiedere se è possibile riprodurre la formula. Lui ha due
possibilità, dire di no o dire di sì e fare un accordo commerciale.
Un’altra possibilità è che il generico venga prodotto dalla stessa casa farmaceutica che
detiene già il brevetto dell’originale, questo conviene quando il brevetto sta per scadere e
l’azienda anticipa rispetto agli altri la produzione del generico. I proprietari di un farmaco
hanno la tutela brevettuale per 20 anni che garantisce l’esclusiva del commercio
all’azienda, questo perché intercorrono 10-12 anni tra la presentazione della domanda di
brevetto e il rilascio dell’AIC e all’azienda rimangono solo 8-9 anni di commercio esclusivo.
Infatti spesso il costo del medicinale copre semplicemente i costi utilizzati per lo studio di
quel farmaco.
Esiste volendo un certificato che allunga la protezione del brevetto di 5 anni. La durata
finale, dal momento di presentazione al momento in cui scade è di 20-25 anni.

AUTORIZZAZIONE ALLA PRODUZIONE DI GENERICI

Come ottenere l’AIC per i generici:


• Deve esserci un medicinale di riferimento
• Bisogna dimostrare la bioequivalenza
• Dimostrare la produzione, controllo qualità
• Dimostrare che le materie prodotte sono specifiche per scopo farmaceutico
• Deve essere stabile
• Il contenitore deve essere adeguato
• Deve esserci integrità microbiologica à sterilità
• Dimostrare uguaglianza di materiali

NORMATIVA SUI PREZZI DEI GENERICI

I generici hanno avuto molto successo sul mercato perché hanno un costo nettamente
inferiore rispetto agli originali. I generici, per legge, sono identici all’originale ma in realtà
c’è sempre la variazione del ± 20%, anche se restano comunque bioequivalenti. Il prezzo
è inferiore perché nella normativa italiana il generico deve costare almeno il 20% in meno
dell’originale.

Studi richiesti per i generici: non è richiesto uno studio clinico, ma uno studio di
disponibilità e biodisponibilità.

Gli studi di bioequivalenza sono necessari per prodotti che richiedono un preciso dosaggio
perché una dose più alta porta facilmente a fenomeni di tossicità.
Si conduce dunque un profilo farmacocinetico testando in particolare farmaci molto
instabili o poco solubili, oppure che presentano una grande variabilità individuale. Questi
studi non sono necessari quando il farmaco è formulato in soluzione perché in questo
caso è già disponibile, quindi non c’è bisogno di uno studio di bioequivalenza e di
biodisponibilità.
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STORIA DEI PRODOTTI FARMACEUTICI

Lo sviluppo dei primi farmaci inizia nell’antica Grecia con Galeno (Macedonia).
Prosegue poi con altre personalità rilevanti come quella di Paracesius (1600, scienziato
svizzero).
Nel 1800 negli USA compare il primo compendio ufficiale.
Nel 1850 inizia l’era dei brevetti farmaceutici. Il brevetto è fondamentale perché lo sviluppo
farmaceutico si basa sulla possibilità di investire in risorse. Il brevetto in Italia è stato
introdotto molto più tardi e questo ha rallentato lo sviluppo dell’azienda farmaceutica
italiana. Durante la Seconda Guerra Mondiale ci fu un’età d’oro per l’ambito farmaceutico:
vennero prodotti farmaci che furono poi immessi nella vita comune come sulfamidici e
antibiotici. Si susseguirono poi degli atti formali in cui si introdussero regolamenti e metodi
di analisi, attività per garantire la qualità del prodotto e sicurezza del cittadino.
Negli anni 1980/2000 iniziò il periodo dei prodotti biotecnologici, come l’insulina umana,
l’ormone della crescita, l’interferone e gli anticorpi monoclonali.

SVILUPPO DELLA FORMA FARMACEUTICA

L’obiettivo iniziale della tecnologia farmaceutica era di trasformare un sostanza con attività
terapeutica non del tutto nota in una forma farmaceutica che fosse somministrabile e
assimilabile. Per esempio, se fosse stato un prodotto per via orale si sarebbe fatto un
liquido o una compressa, se fosse stato topico si sarebbe preferita una crema e così via.
Oggi la tecnologia farmaceutica è una scienza molto complicata, non si parla più di forma
di dosaggio ma si parla di sistema di drugs delivery e di sistemi intelligenti o smart,
cioè sistemi che rispondono a determinate situazioni dell’organismo. Pensiamo per
esempio alle compresse gastro-resistenti: sono una forma smart che arrivano nello
stomaco e rimangono intatte così da rilasciare il farmaco solo nell’intestino à in questo
modo si può stabilire esattamente dove voglio che il mio farmaco venga rilasciato.
Non è più una prova sbaglia-impara, lo sviluppo farmaceutico si basa su analisi e protocolli
precisi. Una volta si facevano poche operazioni, oggi si fanno operazioni molto complesse
e in modo sequenziale così da avere un controllo in real time della qualità del prodotto.
Per quanto riguarda la produzione industriale del farmaco stesso, si può operare in batch
cioè in continuo (il più utilizzato).

Ci sono 3 pilastri sulla base dei quali si sviluppa il prodotto farmaceutico il cui obiettivo è
quello di ottimizzare:
• EFFICACIA: l’efficacia è definita in modo indiretto dalla biodisponibilità, dalla
concentrazione nel sangue e nelle urine. Il riscontro ottenuto da tali parametri indica se
il farmaco è efficace o meno.

• SICUREZZA: quando si somministra una singola dose, si va a determinare la


sicurezza acuta mediante l’indice terapeutico, ovvero il rapporto tra la dose tossica al
50% e la dose efficace al 50%.
La dose tossica al 50% è quella dose in cui, prese 100 persone come campione, su 50
di esse è tossica. La dose efficace al 50% è quella dose che su 100 individui di
campionamento porta come risultato 50 soggetti con risposta positiva.
Per la sicurezza a lungo termine bisogna valutare gli effetti collaterali che possono
essere reversibili o irreversibili. Si valuta l’accumulo nell’organismo, la frequenza con

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cui gli effetti si manifestano, la presenza di reazioni non previste (intolleranze,
assuefazione), l’interazione con altri farmaci e la stabilità chimico fisica del farmaco.

• AFFIDABILITÀ: indicata anche come riproducibilità. Si va a verificare che il prodotto


che somministriamo abbia sempre lo stesso effetto nel tempo e che il risultato in
persone diverse sia lo stesso.
I fattori di affidabilità sono:
- Stabilità fisica, chimica e microbiologica
- Precisione della dose
- Convenienza del brevetto
- Biodisponibilità riproducibile
- Compliance: reazione psicofisica che il paziente manifesta alla terapia. Si deve
aiutare il paziente ad assumere un prodotto farmaceutico rendendolo più appetibile,
poiché non si tratta solo di un fattore economico ma anche di un risvolto sociale.
Bisogna curare la patologia con un sistema adeguato cercando di aumentare il suo
“appelling” (un farmaco per l’emicrania non può essere per endovena, uno sciroppo
per bambini non può essere troppo amaro).

OBIETTIVI DELLA DISTRIBUZIONE DEL FARMACO

Per “tradurre” il principio attivo in prodotto farmaceutico bisogna:


• Migliorare le proprietà chimico-fisiche sfavorevoli: bassa solubilità, facile degradazione,
bassa biodisponibilità, bassa permeabilità, eliminazione troppo veloce.
• Migliorare l’efficacia terapeutica
• Migliorare il profilo farmacocinetico del farmaco e individuare il sito target lavorando su
biodisponibilità, assorbimento, durata del trattamento, eliminazione. Per esempio, i
farmaci antitumorali sono molto tossici per le cellule, quindi l’obiettivo è quello di far
arrivare il farmaco solo nel tumore, bisogna ridurre al minimo i danni alle cellule sane.
• Ridurre i costi della terapia per renderla accessibile a tutti.
• Migliorare la compliance del paziente mantenendo il rispetto del protocollo terapeutico,
questo è possibile con un prodotto che fornisce un buon effetto adatto al paziente che
lo utilizza.

Per svolgere questi passaggi è necessario fornisce l’input (azione svolta dal tecnologo
farmaceutico) per ottenere l’output. Il mio obiettivo (output) finale sono efficacia, stabilità,
sicurezza, convenienza, affidabilità.

INPUT (compito del tecnologo farmaceutico), bisogna:


• Lavorare su uno studio completo di preformulazione
• Progettare una forma di dosaggio ragionevole, stabile ed affidabile
• Usare un progetto produttivo razionale e avere schema produttivo riproducibile
• Avere dei processi produttivi controllati da un sistema di controllo qualità sensibile
efficace e robusto, cioè affidabile in ogni condizione in cui mi trovo
• Avere del personale informato ed addestrato
• Avere una serie di servizi collaterali che mi aiutano ad avere il prodotto

Per sviluppare un nuovo prodotto si può ottenere un nuovo principio attivo che però è
estremamente costoso, solo 1 su 10000 ha una chance di diventare un prodotto
farmaceutico. Spesso infatti questi prodotti si fermano in fase clinica 2 o 3 che durano
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molto tempo e sono molto dispendiose. Ci vogliono anche un certo numero di anni per
trovare delle nuove molecole (10-15 anni).
È invece più semplice sviluppare un nuovo prodotto farmaceutico con una molecola che è
già sul mercato. Anche qui ci vogliono degli anni ma è meno dispendioso e la probabilità di
successo è molto più alta.

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2. PRINCIPI DI PREFORMULAZIONE E FORMULAZIONE
FARMCEUTICA

In questo capitolo tratteremo:


• L’efficacia terapeutica da un punto di vista farmaceutico
• Gli step di sviluppo di un prodotto farmaceutico
• Farmacopea
• Obiettivi di formulazione e preformulazione + vari esempi

Nel grafico sono riportate in ordinata l’intensità di efficacia in funzione della dose di
farmaco (variabile dipendente) e in ascissa la dose di farmaco (concentrazione), ovvero la
variabile indipendente.
Il grafico mostra un andamento sigmoidale. Se la sigmoidale è molto larga e poco ripida
vuol dire che il farmaco è poco potente, mentre se è stretta e ripida vuol dire che basta
una piccola dose per avere un’efficacia alta.
Si parla quindi di variabilità, uno dei maggiori problemi nello sviluppo farmaceutico; deve
essere ridotta il più possibile perché i farmaci industriali devono rispondere alle esigenze
di tutti. La variabilità dipende da stato fisiologico, patologico, ambiente, età, genere, fattori
genetici.

L’efficacia terapeutica dipende da 3 fattori:


• Fattore specifico del farmaco: il principio attivo deve essere attivo à su questo non
si può intervenire
• Paziente specifico: dipende da condizioni ambientali, genere, età, condizioni
fisiopatologiche à anche qui si può intervenire
• Forma di dosaggio: cioè il regime specifico: via di somministrazione, dose e
frequenza di dosaggio à su questo si può intervenire

Nella formulazione bisogna tenere presente dove si trova la patologia, la via di


somministrazione, il target, la biodisponibilità, la farmacocinetica, la stabilità.

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STEP DELLO SVILUPPO FARMACEUTICO

• Scoperta del composto biologicamente attivo


• Purificazione e caratterizzazione
• Pre-formulazione
• Formulazione
• Tossicità
• Studi di stabilità
• Trials clinici
• Set up dei processi produttivi

Alcuni passaggi fondamentali sono:


- Scale-up (sviluppo industriale su larga scala)
- Packaging (sia primario che secondario, importante per la stabilità)
- Chemical-physic quality control (QC) à velocità di disaggregazione, stabilità
- Friabilità della compressa à stabilità durante la manipolazione, analisi di
competenza analitica (es. cromatografia)
- Regulatory filing
- Competenza per assicurazione di qualità (quality assurance QA) à è l’aspetto che
sovrintende tutto il processo, si occupa di verificare che tutto avvenga secondo le
procedure approvate dagli enti regolatori.

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GANTT
È uno schema temporale delle varie fasi ragionevole per il mio progetto.

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FARMACOPEA UFFICIALE ITALIANA (FUI)

È un testo fondamentale per la produzione farmaceutica, ogni stato ha il.


La farmacopea europea (EurPh) è riconosciuta da tutti gli stati membri e da alcuni stati
associati come Norvegia, Finlandia, Liechtenstein, e altri stati esterni come Turchia,
Islanda, Israele.
La EurPh contiene tutte le direttive e le normative necessarie, mentre quella italiana
comprende degli aspetti non riportati da quella europea, in modo che si completano.
Quella italiana viene sempre aggiornata, è un testo obbligatorio in farmacia e deve essere
accessibile al pubblico.

La farmacopea è divisa in capitoli:


• Capitolo 1: prescrizioni generali della farmacopea europea e della farmacopea
italiana, metodi di analisi, apparecchiature, materiali dei contenitori, reattivi.

• Capitolo 2: monografie, forme farmaceutiche, preparazioni farmaceutiche


specifiche.

• Capitolo 3: tabelle di masse atomiche, elementi e sostanze medicinali obbligatorie


in farmacia come i salvavita, sostanze come veleni, stupefacenti, elenco dei POM,
apparecchi e utensili obbligatori.

• Capitolo 4: norme di buona preparazione dei medicinali in farmacia.

• Capitolo 5: norme di buona preparazione dei radiofarmaci per medicina nucleare.

Per la formulazione di un prodotto farmaceutico, la farmacopea deve indicare sia le


sostanze che compongono il prodotto sia quelle che sono state utilizzate per condurre la
sintesi. Per esempio, se per la preparazione farmaceutica è stato utilizzato alcol etilico
fatto evaporare, esso va comunque inserito nella lista degli eccipienti anche se poi non si
trova effettivamente all’interno del farmaco.
Le sostanze attive sono molecole con attività farmacologica (principio attivo) che hanno
attività di profilassi, cura, trattamento dei sintomi. Poi ci sono gli eccipienti che servono per
dare forma, volume e determinano le caratteristiche di rilascio del farmaco (sito target,
modalità, velocità).

OBIETTIVI DELLA PREFORMULAZIONE

• Preformulazione chimico-fisica: definire la pKa per determinare la solubilità in


funzione del pH; definire il logP per determinare la lipofilicità (come passa una
membrana); definire solubilità e dissoluzione, stato fisico, stabilità enzimatica, chimica
e fisica.

• Preformulazione farmacocinetica: determina quantitativamente e qualitativamente la


velocità e il sito di assorbimento di un farmaco, la permanenza in circolo e la velocità di
eliminazione.

• Preformulazione biofarmaceutica: meccanismo cinetico che determina con quale


modalità, velocità e quantità viene rilasciato il farmaco dalla forma farmaceutica (quindi

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la disponibilità). Si determina anche la biodisponibilità che, invece, è il passaggio del
farmaco attraverso le membrane, l’entrata in circolo e l’arrivo al sito.

OBIETTIVI DELLA FORMULAZIONE

• Sviluppare un prodotto stabile nel tempo (shelf time: tempo di scaffaleà scadenza)
• Preparare una formulazione ottimale
• Avere una buona compliance e convenienza
• Garantire un rilascio controllato
• Minimizzare gli effetti collaterali

La formulazione deve consentire:


• Una buona biodisponibilità
• Affidabilità
• Riproducibilità
• Convenienza
• Buona efficacia terapeutica
• Rilascio controllato a seconda della patologia
• Raggiungimento del corretto sito target

In questo grafico si va a vedere come varia


la concentrazione di farmaco nel corso del
tempo.
Possiamo individuare un livello minimo
efficace e un livello minimo tossico che
delimitano un range all’interno del quale il
farmaco deve rimanere.
La curva A rappresenta un rilascio del
farmaco immediato, mentre la curva B
rappresenta un rilascio di tipo pulsatile (caso
dell’insulina). Infine la curva C è tipica di un
farmaco a rilascio prolungato.

I prodotti farmaceutici si dividono in:

• Rilascio convenzionale (rilascio rapido): sono tutte le forme farmaceutiche in cui non
si è svolta alcuna azione mirata a modificare la disponibilità del farmaco. Quando il
farmaco esce dalla compressa si rende disponibile immediatamente. Parliamo quindi di
disponibilità che dipende da tanti fattori, ma principalmente dalle caratteristiche del
farmaco stesso (se è solubile o meno).
Il rilascio convenzionale è quando la forma farmaceutica non ha alcuna influenza, cioè
la disponibilità dipende esclusivamente dalle caratteristiche del farmaco. La compressa
non influenza in alcun modo la velocità di rilascio, poiché non è stato fatto alcun
progetto di modifica di rilascio.
Una disponibilità immediata si ha quando si scioglie l’85% del farmaco nei primi 30
minuti.

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• Rilascio controllato: si utilizza per avere un’azione più rapida in caso, per esempio, di
salvavita, oppure per avere un effetto più prolungato e costante, per esempio nel caso
di una patologia cronica come l’ipertensione. In quest’ultimo caso il farmaco deve avere
copertura terapeutica di 24h e deve essere assunto una volta al giorno. Per una
patologia come l’ipertensione è utile un rilascio controllato poiché altrimenti si dovrebbe
assumere il farmaco ogni 3 ore.
Un altro motivo per utilizzare questa formulazione può essere la volontà di far rilasciare
il prodotto non subito nello stomaco ma in altri distretti à si preparano forme
farmaceutiche resistenti all’ambiente gastrico e che rilasciano il principio attivo in un
altro sito dove questo deve agire (sito target).

Il rilascio può essere di tipo:

o Modificato: preparazioni in cui la velocità e il sito di rilascio del principio attivo sono
differenti da quella di una forma farmaceutica convenzionale (esempio Moment act).
Questa modifica viene fatta con un progetto formulativo, utilizzando particolari
eccipienti e modalità di preparazione. Poi si può variare anche la modalità di
preparazione, per esempio se si varia la pressione applicata per compattare la
compressa.
Il rilascio modificato può essere prolungato quando il farmaco è rilasciato più
lentamente per un’azione più duratura; ritardato quando il rilascio avviene in un
distretto lontano dalla somministrazione; ripetuto quando il farmaco viene rilasciato
in più dosi a tempi diversi.

o Direzionato

o Uso Locale

16
3. ANALISI FARMACOCINETICA
Farmacocinetica: è la variazione di concentrazione del farmaco nell’organismo in
funzione del tempo, ovvero lo studio dei meccanismi delle cinetiche di assorbimento,
distribuzione, metabolismo ed eliminazione. Quando assumiamo il farmaco esso viene
assorbito con una certa velocità, distribuito, metabolizzato e poi eliminato à l’insieme di
questo processi corrisponde alla cinetica del farmaco (si parla di ADME: assorbimento,
distribuzione, metabolismo ed eliminazione). Precisamente metabolismo ed eliminazione
fanno parte dello stesso gruppo perché quando un farmaco viene metabolizzato cambia
la sua forma originale che in parte viene quindi già eliminata, entrambi i meccanismi
concorrono alla scomparsa del farmaco.

Farmacodinamica: si riferisce all’attività del farmaco, al sito target (tessuto bersaglio) e il


suo risultato è detto attività farmacologica. Il farmaco viene somministrato, generalmente
(ma non sempre) entra in circolo e subisce una serie di eventi, viene distribuito e
metabolizzato raggiungendo poi il sito d'azione. La quantità di farmaco che arriva al sito
di azione è piccolissima, a volte meno dell’1% ma è sufficiente per la sua azione.
Fasi del processo: una volta che somministriamo un farmaco, prima di esplicare la sua
azione, esso deve sciogliersi e rendersi disponibile, dopodiché deve muoversi e
attraversare le membrane, ha quindi un primo passaggio di assorbimento e poi comincia
a entrare in circolo e a circolare nel sangue. Una volta nel sangue esso arriva ovunque, e
anche nel sito target dove deve agire.

Differenza tra farmacocinetica e farmacodinamica: la farmacocinetica rappresenta


l’azione che l’organismo fa al farmaco perché l’organismo lo assorbe, lo distribuisce, lo
metabolizza e lo elimina. Invece la farmacodinamica rappresenta l’azione che il farmaco
esercita sull’organismo, cioè la sua azione farmacologica (come esplica la sua funzione,
con quali recettori interagisce, quali processi biologici scatena e attiva).

VIE DI SOMMINISTRAZIONE:
• Orale (80% delle forme farmaceutiche)
• Aerosol (via polmonare, inalatoria)
• Parenterale (intravenoso, intramuscolo)
• Topica, o cutanea
• Transdermica (i cerotti transdermici fanno penetrare il farmaco negli strati più profondi
dell’epidermide)
• Rettale (complicata e poco accurata à non dà un risultato terapeutico chiaro)
• Oculare locale e quindi topico (creme, colliri) o anche intraoculare, in cui si inietta
direttamente all’interno dell’occhio un farmaco.

Secondo quali criteri si seleziona la via di somministrazione?

La via orale è quella più naturale perché sfrutta la stessa via di assorbimento dei vari
nutrienti.
Il tipo di somministrazione si decide in base alle proprietà chimico-fisiche e
biofarmaceutiche del farmaco; in genere si fa riferimento alla BCS, ovvero una
classificazione dei farmaci sulla base di due caratteristiche, solubilità e assorbimento.

17
Devo valutare inoltre:
• Le caratteristiche di disponibilità/biodisponibilità
• Le caratteristiche farmacologiche (attività ,tossicità, target)
• La classe terapeutica, conoscendo l’indice terapeutico (posologia)
• La velocità di azione (action rate)
• A che persona è indirizzato il farmaco (fascia di età, profilo del paziente)
• Dove viene svolto il trattamento (a casa, in ospedale o dal medico)

Perché svolgere uno studio farmacocinetico?

Lo studio farmacocinetico è utile per conoscere le modalità di assorbimento del farmaco,


con che velocità viene eliminato e dove si distribuisce per poterlo formulare al meglio.
Per esempio l’insulina e l’ormone delle crescita sono farmaci che non vengono assorbiti
per via orale perché, essendo proteine molto ingombranti, vengono degradate molto
facilmente da enzimi digestivi; sono poi molecole molto idrofiliche, quindi non passano
attraverso la membrana o, se passano, trovano subito un enzima che le taglia.
Quindi per formulare un farmaco bisogna conoscere la farmacocinetica, quanto farmaco
rimane in circolo per raggiungere il sito d’azione e dove si distribuisce (ci sono farmaci
che si distribuiscono ad esempio nei tessuti grassi perché sono molto lipofilici).
Per esempio, la diossina è tossica perché presenta un metabolismo ossidativo a causa
della sua lunga permanenza nell’organismo. È quindi importante individuare come viene
assorbito, distribuito ed eliminato un farmaco per ottenere una forma farmaceutica
adatta.

La farmacocinetica quindi:
• Determina quando inizia l’azione farmacologica (on set), la durata e l’intensità
farmacologica del farmaco
• Descrive e predice il comportamento del farmaco nell’organismo
• Predice il profilo farmacologico e gli effetti collaterali
• Determina la biodisponibilità
• Seleziona il dosaggio
• Consente di definire il regime di dosaggio (quante volte al giorno/al mese) e la via di
somministrazione

Analizziamo due grafici:

In questo grafico troviamo la


concentrazione del farmaco nel
sangue sulle ordinate e il tempo sulle
ascisse. Sono rappresentate 3 curve
con cui si identifica la minima
concentrazione tossica e la minima
concentrazione efficace; l’unica
curva accettabile è la B perché
raggiunge una concentrazione
efficace senza sforare nella zona di
tossicità.

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Questi 3 farmaci hanno la stessa AUC (area sotto la curva) quindi la stessa quantità
assorbita di farmaco nel tempo, ma diversa performance farmacologica.
La curva B è l’unica che ha un tempo di durata efficace, da 1 a 8 ore circa.

La potenza dell’efficacia si vede in questo secondo grafico.

Qui troviamo il lag time, cioè il periodo di


tempo che passa prima di vedere il
FARMACO NEL SANGUE, è il tempo
impiegato dal farmaco per sciogliersi ed
essere liberato prima di entrare nel circolo
sanguigno.
Il lag time dipende anche dalla sensibilità
del metodo di analisi utilizzato, se è molto
sensibile sarà infatti più breve.
Abbiamo poi l’on set time, cioè il tempo
che passa prima di vedere in atto
l’AZIONE FARMACOLOGICA del farmaco
e non dipende dal metodo di analisi
utilizzato.
Infine abbiamo la durata dell’azione
farmacologica, in cui la concentrazione
massima raggiungibile (Cmax) rimane
sempre al di sopra della soglia di
concentrazione minima efficace.

La potenza dell’effetto è data dalla DIFFERENZA DI CONCENTRAZIONE tra la minima


concentrazione efficace (all’on set time) e la Cmax al picco del grafico.

Guardando i prossimi due grafici abbiamo due forme farmaceutiche con DIVERSE VIE DI
SOMMINISTRAZIONE.

Somministrazione endovenosa

In questo grafico non c’è assorbimento,


il farmaco viene somministrato
direttamente nel sangue, quindi non
viene mai assorbito e il lag time è molto
ristretto.

19
Somministrazione orale

In questo secondo grafico invece si ha


una fase di assorbimento che si nota
con il picco della curva individuato da
Cmax che poi diminuisce man mano
che il farmaco viene eliminato.

La biodisponibilità è data dall’AUC (area sotto la curva).


Le due aree nei grafici sono diverse tra loro, infatti nel secondo grafico c’è una
concentrazione massima e un tempo massimo (tempo in cui raggiungo la concentrazione
massima) che non sono presenti nel primo grafico.

BIODISPONIBILITÀ

Def. La biodisponibilità è la capacità del farmaco di passare attraverso le membrane


cellulari ed è data dall’area sotto la curva (AUC).
Per esempio l’aspirina ha un grande assorbimento e quindi un’alta biodisponibilità (tra il
40 e l’80%) che può variare a seconda del soggetto. Invece la biodisponibilità
dell’alendronato (farmaco usato per l’osteoporosi) è circa dello 0.7%.
L’alendronato infatti ha due funzioni fosforiche con un gruppo amminico, quindi è una
molecola molto idrofilica che fa fatica a passare attraverso le membrane.

Conosciamo 3 tipi diversi di biodisponibilità:

• La biodisponibilità assoluta (F) si determina facendo il rapporto tra l’AUC di due


diverse curve, la prima ottenuta da una somministrazione EXTRAVENOSA (ad esempio
via orale) la seconda da una via parenterale ENDOVENOSA.

𝐴𝑈𝐶&'()*
𝐹=
𝐴𝑈𝐶&+,-

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• La biodisponibilità relativa (A) è data dal rapporto delle AUC di due FORME
FARMACEUTICHE DIVERSE di uno stesso farmaco, oppure dal confronto con lo stesso
non formulato.
𝐴𝑈𝐶*
𝐴=
𝐴𝑈𝐶.

𝐴𝑈𝐶(𝐴)
𝐷𝑂𝑆𝐸(𝐴)
𝐴= 6𝐴𝑈𝐶(𝐵)
𝐷𝑂𝑆𝐸(𝐵)

• La biodisponibilità comparativa (C) confronta l’AUC di un farmaco GENERICO


rispetto al BRAND originale.

𝐴𝑈𝐶7&+&)89-
𝐶=
𝐴𝑈𝐶.)*+,

Per esempio l’Oki task granulato che è diverso da una compressa (sempre di Oki) per
quanto riguarda la velocità di rilascio (a parità di principio attivo). Da un granulato infatti il
principio attivo viene rilasciato più velocemente rispetto che da una compressa.

Se parliamo in termini di disponibilità, ovvero il rilascio di farmaco che influenza la


biodisponibilità, la velocità di dissoluzione sarà maggiore se si considera un farmaco in
soluzione, sarà invece minore se si considera un granulato; infine se si considera una
compressa la velocità sarà ancora più bassa.
In conclusione, a seconda del tipo di formulazione con cui abbiamo a che fare, cambiano
la disponibilità e la biodisponibilità e con loro anche la velocità d’azione del farmaco e
l’efficacia terapeutica.

Influenza degli eccipienti sulla disponibilità

Quando viene formulato un farmaco spesso è


necessario aggiungere dei lubrificanti. Posso usare
per esempio il magnesio stearato (lubrificante molto
diffuso) che è un sale di magnesio dell’acido
stearico, formato da un legame ionico tra due acidi
grassi a catena lunga (carico negativamente) e un
atomo di magnesio centrale carico +2.
L’acido grasso, essendo lipofilo, rende tutto il
prodotto lipofilo e mantiene l’acqua lontana, per
questo maggiore è la quantità del lubrificante, più il
farmaco farà fatica a sciogliersi. Infatti all’aumentare
della concentrazione di magnesio stearato,il processo di assorbimento rallenta perché
diminuisce la biodisponibilità (AUC).

21
Altri eccipienti sono i disaggreganti che facilitano la
rottura della forma farmaceutica, quindi maggiore è
loro concentrazione, più velocemente il principio
attivo si renderà disponibile à cambia la
farmacocinetica (anche a seconda del tipo di
disaggregante).

Quindi a seconda della formulazione cambia


l’efficacia terapeutica e la farmacocinetica

MODELLI FARMACOCINETICI

Si possono costruire dei modelli farmacocinetici che rappresentano, a livello grafico,


l’andamento di un profilo farmacologico. I modelli farmacocinetici possono essere non
compartimentali o compartimentali.

NON COMPARTIMENTALI

I modelli non compartimentali sono grafici descrittivi e molto semplici in cui si riporta la
concentrazione del farmaco nel sangue in funzione del tempo.

Individuiamo 3 PARAMETRI: Cmax, tmax e AUC.


La Cmax è la concentrazione massima raggiungibile e corrisponde al picco del grafico.
La Cmax in una somministrazione intravenosa è circa dopo 2-3 minuti.
Il tmax è il tempo impiegato per raggiungere la Cmax.

22
Se tmax rimane costante,
all’aumentare della Cmax aumenta
l’AUC e quindi la biodisponibilità.

Se tmax varia, la Cmax rimane


costante e all’aumentare di tmax
aumenta la biodisponibilità.

Quindi Cmax e tmax sono correlati


alla biodisponibilità, cioè sono
importanti perché indicano quanto
velocemente un farmaco viene
assorbito tramite la rappresentazione
del rapporto tra Cmax e il tmax (=
velocità). L’ultimo parametro che
ricaviamo da questi studi è l’AUC che
otteniamo tramite l’integrale della
curva.

Questi modelli sono importanti perché, essendo molto semplici e chiari, sono difficili da
“truccare”. Per questo sono spesso richiesti dagli organi regolatori nella presentazione
dello studio farmacocinetico di un prodotto farmaceutico.

MODELLI COMPARTIMENTALI

Nei modelli compartimentali si esegue un’elaborazione matematica molto più


complessa e difficile da ottenere, per cui è necessario essere molto rigorosi nello
svolgimento poiché non è possibile manipolare i dati.
I modelli scientifici si basano sul concetto di compartimento nell’organismo. Verrebbe da
pensare che un compartimento sia un organo, un tessuto o comunque qualcosa di
omogeneo, invece si tratta di un insieme di organi e tessuti non necessariamente correlati
tra loro per funzione, struttura, o localizzazione. Gli organi che formano un compartimento
23
possono avere struttura istologica e funzioni diverse, ma hanno tutti una caratteristica
comune: il farmaco si distribuisce in questi tessuti in modo omogeneo,
indipendentemente dalla loro distanza. Questo non vuol dire che il farmaco arrivi con la
stessa concentrazione, ma con la stessa variazione di concentrazione nel tempo, ∆C.
Per esempio si può avere una concentrazione iniziale nel fegato pari a 100, dopo un'ora la
concentrazione cala a 50, quindi dopo una certa variazione di tempo il valore si dimezza.
Poniamo invece che nell’occhio lo stesso farmaco passi da una concentrazione 1 a 0.5 à
la concentrazione è diversa rispetto al fegato ma la variazione è sempre di 0.5, sia nel
fegato che nell’occhio. I due organi (fegato e occhio) possono essere considerati un
compartimento.

Compartimento: è un insieme di organi non correlati tra loro per struttura, funzione o
locazione in cui si registra la stessa variazione di concentrazione di farmaco.

L’organismo quindi si divide in compartimenti dipendenti dal farmaco à se il farmaco


arriva solo nel sangue il compartimento è 1, se arriva in sangue e fegato sono 2, se arriva
in sangue fegato e occhio ma fegato e occhio hanno la stessa variazione di
concentrazione i compartimenti sono sempre 2.

Possiamo avere vari tipi di modelli:

¨ Modello fisiologico
Il farmaco si trova nel circolo arterioso e da qui si distribuisce nei vari compartimenti per
poi passare al circolo venoso per essere eliminato. Questo modello non si usa spesso
perché risulta molto complicato.

¨ Modello a catena (poco utilizzato perché poco realistico)


Il farmaco va nel primo compartimento (sangue) e poi si distribuisce nel secondo, poi al
terzo e così via a catena. Non è molto realistico perché il farmaco si distribuisce sempre
dal sangue che è il primo compartimento.

24
¨ Modello mamillare
Il farmaco va nel primo compartimento centrale (sangue) e da qui si distribuisce ai vari
compartimenti. Il circolo sanguigno è il primo compartimento centrale.

Questo modello è quello preso in considerazione per le analisi farmacocinetiche.

Zenone da Elea: paradosso Achille/tartaruga


È utile per capire l’andamento di una cinetica di primo ordine. Zenone infatti aveva
descritto una cinetica in cui il valore di y (la concentrazione) non raggiunge mai lo zero,
per cui ho una cinetica di primo ordine.
I modelli che analizziamo possono essere senza assorbimento o con assorbimento.

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¨ SISTEMA MONOCOMPARTIMENTALE SENZA ASSORBIMENTO

Questo modello è descritto dalla seguente equazione:

𝐶𝑝 = 𝐶𝑜 ∗ 𝑒 >?(@A)∗B

Il primo grafico è in scala normale mentre il secondo grafico (la retta) è riportato in scala
semi logaritmica.
Essendo una cinetica del primo ordine essa non raggiunge mai lo zero perché
l’andamento è di tipo esponenziale (non esiste il logaritmo di zero).
Viene da pensare che in una cinetica di primo ordine il farmaco non venga mai eliminato
poiché i valori si dimezzano ma non si raggiunge mai lo 0 (curva asintotica), ovviamente
nella realtà viene comunque eliminato.

Analizzando il grafico a destra possiamo individuare:


¨ m (coefficiente angolare) della retta coincide con -K eliminazione
¨ Asse x: tempo (minuti), variabile indipendente
¨ Asse y: ln(Cp/C0) variabile dipendente della concentrazione espressa in scala
logaritmica per rappresentare i dati sperimentali con un profilo lineare.

26
La velocità è uguale alla variazione della concentrazione nel tempo.
Co corrisponde alla dose per il volume di sangue, quindi si esprime come DOSE/V e
rappresenta l’intercetta della retta.
Il tempo di dimezzamento (t/2 max) è il tempo necessario per dimezzare la
concentrazione plasmatica.

Calcolo di t/2max:
𝐶𝑝
ln = ln 𝐶𝑝 − 𝐾𝑒𝑙 ∗ 𝑡/2
2
𝐶𝑝 1
ln K ∗ M = −𝐾𝑒𝑙 ∗ 𝑡/2
2 𝐶𝑝
1
ln = 𝐾𝑒𝑙 ∗ 𝑡/2
2
0,693
𝑡 T2 =
𝐾𝑒𝑙
Nella cinetica di primo ordine la velocità dipende dalla concentrazione, infatti la relazione è
𝑣 = 𝑘 ∗ [𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒].
Nella cinetica di ordine zero invece la velocità non dipende da nessuna concentrazione,
ma solo dalla costante cinetica k à 𝑣 = 𝑘

27
¨ SISTEMA BICOMPARTIMENTALE SENZA FASE DI ASSORBIMENTO

L’equazione che rappresenta questo sistema è:

𝐶𝑝 = 𝐴𝑒 >aB + 𝐵𝑒 >aB
Abbiamo due compartimenti, presumibilmente il primo è il sangue (centrale) mentre il
secondo è di diverso tipo (Compartimento: insieme di organi/tessuti correlati non dalla
funzione, struttura, localizzazione o concentrazione di farmaco, ma dalla variazione
omogenea di concentrazione di farmaco nel tempo).
In questo modello farmacocinetico il farmaco viene somministrato direttamente nel circolo
sanguigno e poi si distribuisce nel compartimento periferico.
Sono presenti, quindi, 2 cinetiche, una di distribuzione e una di eliminazione.
Nel modello precedente l’unica cinetica rappresentata era quella di eliminazione descritta
da Kel, con cui si raggruppava sia il metabolismo che l’eliminazione del farmaco attraverso
l’urina.
In questo caso, invece, c’è sempre K eliminazione, cioè l’eliminazione dal compartimento
centrale (il farmaco scompare), ma poi ci sono altre costanti che descrivono la cinetica di
distribuzione, che sono K1,2 dal centrale al periferico e K2,1 dal periferico al centrale
(costanti diverse).

Quando somministriamo un farmaco non abbiamo mai solo uno degli eventi (distribuzione
o eliminazione), ma sono presenti entrambi nello stesso momento e non avvengono in
modo sequenziale.
Quando somministriamo un farmaco per via endovenosa esso inizia ad essere eliminato, a
distribuirsi e contemporaneamente a tornare indietro; gli eventi, quindi, non sono
sequenziali e consecutivi l’uno all’altro, ma avvengono tutti contemporaneamente con la
differenza che contribuiscono in modo diverso.
Questo accade perché il sistema è descritto da cinetiche di primo ordine che dipendono
dalla concentrazione del farmaco. Quest’ultima, cambiando continuamente nel
sangue/tessuto periferico, fa variare le velocità ADME in ogni istante.
Se appena somministrato un farmaco nel sangue abbiamo una concentrazione elevata, la
velocità con cui il farmaco scompare dal sangue sarà anch’essa elevata essendo
direttamente proporzionale alla concentrazione:
𝑣 = 𝑘 ∗ [𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒]

Man mano che diminuisce la concentrazione diminuisce anche la velocità con cui il
farmaco viene eliminato. Quindi le velocità di passaggio da un compartimento all’altro
cambia continuamente a seconda della concentrazione del farmaco in quel
compartimento.
Per questo motivo l’andamento non è lineare à gli eventi avvengono
contemporaneamente, quindi appena il farmaco entra nel sangue, subito comincia ad
essere eliminato, distribuito nel compartimento periferico e poi a tornare indietro.
Quindi all’inizio, con la somministrazione endovenosa, la concentrazione di farmaco nel
sangue è elevata, mentre nel periferico sarà più bassa.

28
Si può affermare allora che tanto più farmaco verrà eliminato e distribuito nel periferico,
tanto meno tornerà dal periferico al centrale. Invece, man mano che si abbassa la
concentrazione di farmaco nel centrale, diminuisce anche la velocità di eliminazione dal
centrale e aumenta la concentrazione nel periferico, di conseguenza il farmaco torna
indietro in maggior quantità.

Il sistema bicompartimentale senza assorbimento può essere descritto dal seguente


grafico:

Anche in questa curva vediamo una scala semilogaritmica sull’asse y da cui si deduce un
andamento secondo una cinetica di primo ordine.
Si vedono due parti a ripidità diversa:
- Parte di discesa rapida (fase a)
- Parte lineare terminale (fase β)

Quindi non abbiamo un andamento unico che va sempre nello stesso modo ma abbiamo
due zone ad andamento diverso che indicano che nella farmacocinetica stanno
avvenendo eventi diversi.
La prima parte del grafico è chiamata fase a, mentre la seconda parte del grafico è detta
fase β.
La fase a indica, anche se NON LO È, la fase di distribuzione, il passaggio dal centrale al
periferico. Essa non è la fase distribuzione ma la rappresenta perché comunque in
contemporanea avvengono anche gli altri eventi.
In questa fase la concentrazione di farmaco che passa dal compartimento centrale al
periferico è molto elevata, quindi la distribuzione è uno degli eventi principali. Infatti, la
concentrazione in questa parte di grafico cala molto velocemente perché sono presenti
due eventi molto importanti che contribuiscono a diminuire la concentrazione di farmaco
nel sangue, cioè il passaggio nel periferico e l’eliminazione.

La fase β è rappresentativa, anche se NON LO È, della fase di eliminazione (non lo è


perché anche in questo caso avviene contemporaneamente il passaggio dal periferico al
centrale e viceversa) perché si è raggiunto un equilibrio tra il passaggio tra i compartimenti
centrale e periferico.
Per elaborare questa curva si devono svolgere delle operazioni matematiche.
29
Devo calcolare i parametri A, a, B e β.
La concentrazione plasmatica è il dato sperimentale e il tempo è la variabile indipendente.
B e β sono facili da trovare nell’ultima parte LINEARE della curva perché B è
rappresentata dall’intercetta sulle ordinate (estrapolo i valori fino a toccare y) mentre β
è la pendenza del segmento della curva nella fase β (m della retta).
Per trovare A dobbiamo costruire un’altra retta partendo dai punti estrapolati nel
prolungamento della retta della fase β (cerchi) e dai punti sperimentali della fase a
(quadratini). Allora ad ogni numero sperimentale della fase a si sottraggono i punti
corrispondenti estrapolati per trovare il valore dell’intercetta B (sottrazione aritmetica) allo
stesso tempo t. In questo modo ottengo delle coordinate con cui costruisco una retta nel
grafico (retta A) che ha una intercetta sulle ordinate A e una pendenza a.

Una volta trovati questi 4 valori si riesce ad ottenere dei parametri farmacocinetici che
indicano come si comporta il farmaco, ovvero il profilo farmacocinetico.
¨ t/2 a: indica il tempo di dimezzamento della fase alfa, indicativo della velocità con cui si
distribuisce nel compartimento periferico. Più piccolo è il t/2 alfa più rapida è la
distribuzione => se t/2 alfa è molto lungo significa che il farmaco ci ha impiegato tanto
tempo a distribuirsi nel compartimento periferico.
¨ t/2 ß: indica quanto velocemente il farmaco viene eliminato dall’organismo.
¨ AUC: l’area sotto la curva.
¨ Co: concentrazione iniziale data da A+B.
¨ CL: clearance espressa come volume di sangue che viene purificato dal farmaco
nell’unità di tempo. CL = DOSE/AUC
• AUMC: area sotto la curva all’ultimo punto.
• Vc: volume compartimento centrale = DOSE/A+B
• MRT: tempo medio di permanenza di una molecola di farmaco del sangue.
• Volume di distribuzione: è il volume teorico necessario per avere la stessa
concentrazione di farmaco sia nel compartimento periferico che nel centrale. È un
parametro che indica quanto farmaco si distribuisce nel compartimento periferico.

30
Esempio:
Somministro 500 mg di prodotto. Se nel sangue ho una concentrazione di farmaco di
100 mg/L, il volume che mi serve per avere 100mg/L di 500mg è di 5 litri (volume
fisiologico di sangue) à in questo caso il volume di distribuzione coincide con quello
del sangue, quindi il farmaco è rimasto all’interno del compartimento centrale.
1) Pongo che 50mg siano andati nel periferico; nel sangue quindi rimangono 450 mg e
una concentrazione di 90 mg/L (450 mg/5L) à significa che per avere una
concentrazione di 90mg/l di tutta la dose somministrata dovremmo avere 5.55 L di
sangue. 450 : 5L = 500 : x = 5.55 L
2) Suppongo invece che si distribuisca al 50%, quindi abbiamo 250 mg nel sangue e
250 mg nel periferico. Avremo una concentrazione nel sangue di 50mg/L ma questa
volta per avere tutta la dose alla stessa concentrazione presente nel sangue
dovremmo avere 10 LITRI.
Ciò significa che più grande è la DOSE di farmaco che si è distribuita nel
compartimento periferico maggiore sarà il VOLUME DI DISTRIBUZIONE.

FENTANILE: antidolorifico molto potente à segue un modello bicompartimentale. Ha un


tempo di distribuzione di 4.5 minuti (t/2 alfa), un tempo di eliminazione (t/2 beta) di circa 45
minuti, un volume di distribuzione Vd di 5L/kg e un’alta clearance, di circa 177.9 mm/min.

31
Abbiamo visto due modelli (mono e bi- compartimentale) senza fase di assorbimento. La
maggior parte dei sistemi cheabbiamo però ha una fase di assorbimento fondamentale
nello sviluppo farmaceutico.

Le vie di somministrazione che hanno una fase di assorbimento sono in genere:


- Orale, sublinguale, buccale
- Locale, topica, transcutanea à dipende
- Inalatoria che comprende sia via nasale che polmonare e anche qui si può avere
assorbimento
- Oftalmica (topica)
- Rettale à non dà assorbimento omogeneo
- Intramuscolare
- Vaginale à in genere non ha un assorbimento
- Sottocutanea
- Oculare (iniezione)

32
¨ MODELLO MONOCOMPARTIMENTALE CON ASSORBIMENTO

In questo grafico semilogaritmico abbiamo una fase crescente che rappresenta


l’assorbimento e che parte dal punto zero.
Abbiamo poi il lag time, Cmax e tmax, mentre l’on set in questo caso non si vede.

Questo è un modello monocompartimentale con fase di assorbimento in cui si assorbe


tutto il farmaco che arriva nel sangue. Una volta raggiunto il compartimento centrale, il
farmaco viene direttamente eliminato senza distribuirsi nel periferico.
Anche qui ho tutte cinetiche di primo ordine, perciò tutto avviene contemporaneamente
E appena il farmaco è assorbito viene anche eliminato.

Perché la concentrazione ha questo andamento? Quali sono gli eventi cinetici che
avvengono?
Avvengono assorbimento ed eliminazione descritti da cinetica di assorbimento Ka e di
eliminazione Kelim con due valori diversi.

Perché prima aumenta la concentrazione, raggiunge un massimo e poi diminuisce? Il


farmaco non viene assorbito e poi eliminato, avviene tutto contemporaneamente, cioè man
mano che il farmaco viene assorbito viene anche eliminato. Le due cose avvengono però
con velocità diverse perché la velocità dipende dalla concentrazione, essendo cinetiche
del primo ordine. Quindi se abbiamo una concentrazione di farmaco molto alta
nell’intestino, all’inizio entrerà nel sangue molto velocemente e verrà eliminato lentamente.
Poi andando avanti il fenomeno di assorbimento nell’intestino diminuirà, mentre
aumenterà l’eliminazione dal compartimento centrale.
Durante tutto l’andamento la concentrazione di farmaco cambia in ogni istante. L’ultima
parte della curva è una retta à la pendenza di questa retta è la costante di eliminazione
(Kel) perché a quel punto presumiamo che tutto il farmaco sia passato nel sangue (non è
più presente nell’intestino) e quindi da esso può solo essere eliminato come un modello
monocompartimentale.
33
A questo punto devo calcolare la costante di assorbimento (ka) e posso usare due
metodi:
• Metodo dei residuals: si considera l’ultima parte della curva, una retta, e la si
prolunga estrapolando i punti fino a che non intercetta l’asse delle y. A questi punti
estrapolati si sottraggono i corrispondenti punti sperimentali della curva originale allo
stesso tempo e si ottengono dei valori che, inseriti nel grafico, formano una retta la cui
pendenza è proprio la costante di assorbimento.
Quindi abbiamo “ripulito” la prima parte della curva (in cui si trova sia assorbimento che
eliminazione) dalla parte dell’eliminazione e abbiamo mantenuto solo l’assorbimento in
modo da calcolare la Ka.
Questo metodo è applicabile solo se entrambe le cinetiche sono di primo ordine e se
?b
≈ 10.
?@A
• Metodo di Wagner-Nelson: si basa sulla determinazione della quantità di farmaco che
non viene assorbita. Tale misura è impossibile da ottenere a livello sperimentale, per
farlo bisogna calcolare la FRAZIONE di farmaco assorbita e per differenza calcolare
quella non assorbita.
La frazione non assorbita è 1-F dove F assorbita è F= Qt/Q∞ .

La quantità di farmaco assorbito è l’area sotto la curva.


Ft è la frazione di dose assorbita al tempo t, quindi basta fare 1-F per ricavare la quantità
di farmaco non assorbita.
Una volta calcolata la frazione non assorbita, si costruisce un grafico in cui si riportano i
valori di 1-F nelle ordinate e il tempo nelle ascisse e si ottiene una curva che nella prima
parte è una retta la cui pendenza è proprio la costante di assorbimento Ka.

A differenza del metodo precedente, il metodo di W-N è applicabile in qualunque


condizione.

Quindi, per riassumere, abbiamo una fase di assorbimento in cui avviene anche
l’eliminazione, abbiamo un picco massimo in cui la quantità di farmaco assorbita è uguale
a quella eliminata, successivamente prevale la fase di eliminazione sull’assorbimento.
34
Su una scala semilogaritmica quest’ultimo andamento è rappresentato da una retta la cui
pendenza è la costante di eliminazione.

Per calcolare la Ka di assorbimento si può utilizzare un metodo grafico o il metodo di WN


à in quest’ultimo mi baso sulla dose non assorbita in funzione del tempo. Calcolare la
dose non assorbita è impossibile direttamente, quindi la si calcola per differenza attraverso
la dose assorbita al tempo t (Ft). Facendo 1-Ft (appena ottenuto) si trova il valore di Ka.
Il primo metodo invece (metodo dei residuals) prevede l’estrapolazione di punti tramite il
prolungamento della parte retta della curva, dai punti estrapolati si sottraggono quelli
sperimentali e si ottiene un’altra retta la cui pendenza è pari alla costante di assorbimento
Ka.

Di quale concentrazione si deve tenere conto per calcolare la velocità di una cinetica di
primo ordine? Quella di partenza dell’intestino o quella del sangue?
In una cinetica di primo ordine la velocità dipende dalla concentrazione di farmaco
nell’intestino solo quando la concentrazione nel sangue è talmente bassa da considerarsi
praticamente 0.
In realtà la velocità dipenderebbe dalla differenza delle 2 concentrazioni, quella
dell’intestino e quella del sangue, perché si tratta di un processo diffusivo.

¨ MODELLO BICOMPARTIMENTALE CON FASE DI ASSORBIMENTO

Anche in questo modello le fasi di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed


eliminazione avvengono contemporaneamente e non in modo sequenziale. Le velocità
cambiano perché cambiano le concentrazioni, solo che all’inizio l’eliminazione e la
distribuzione al periferico sono ininfluenti, mentre proseguendo questi due processi
diventano sempre più rappresentati.

Fase 1: fase di assorbimento à l’assorbimento in questa fase è l’evento più importante,


anche se avvengono comunque simultaneamente eliminazione e distribuzione. La
concentrazione aumenta, fase crescente.

Fase 2: fase di equilibrio (steady state) à si raggiunge Cmax. Tanto farmaco entra nel
sangue quanto ne esce, questo perché la velocità di distribuzione dal centrale al periferico
è uguale a quella che trasferisce il farmaco dal periferico al centrale. Viene inoltre
raggiunto un equilibrio con gli eventi che comportano un’uscita di farmaco dal centrale
(eliminazione) attraverso l’urina o attraverso il suo metabolismo.
Distribuzione ed eliminazione bilanciano l’assorbimento.

Fase 3: fase di post- assorbimento à è una fase un po' più rapida perché non è ancora
avvenuta la saturazione del compartimento periferico, perciò continua a verificarsi la
distribuzione e nel mentre diminuisce la concentrazione di farmaco nel sangue.

35
Fase 4: fase di eliminazione. Fase di in cui non c’è più assorbimento, il compartimento
periferico ha raggiunto la saturazione ed è presente un equilibrio con il compartimento
centrale e la prevalenza dell’eliminazione da quest’ultimo. Tuttavia il farmaco eliminato
viene rimpiazzato con un passaggio dal periferico al centrale, quindi avviene ancora la
distribuzione nel senso opposto.

N.B. In questo caso non possiamo calcolare le costanti di distribuzione K1,2 e K2,1 e
nemmeno la costante di eliminazione Kelim, perché i due eventi si sovrappongono, quindi
non posso usare il sistema di Wagner-Nelson.
Dobbiamo determinare allora la costante di eliminazione mediante uno studio endovenoso
secondo un modello bicompartimentale senza assorbimento.
Una volta trovata Kel, la inserisco nell’equazione di Loo-Riegelman (variante di W-N):

Analogie con l’equazione di Wagner-


Nelson (a fianco).
Il valore Tt, che distingue le due
equazioni, indica la concentrazione
tessutale al tempo t à è l’unica variabile
diversa che inseriamo.

Possiamo calcolare ora la costante di assorbimento Ka, graficando 1-Ft contro il tempo.
otteniamo un grafico analogo a quello visto nel modello monocompartimentale con
assorbimento, in cui è presente una prima fase rettilinea la cui pendenza è proprio Ka.

36
4. ASSORBIMENTO DEI FARMACI

MEMBRANE BIOLOGICHE

In questo caso ci riferiamo alla membrana cellulare costituita da fosfolipidi, colesterolo,


proteine integrali o periferiche, glicoproteine, glicolipidi, lipoproteine. Essa presenta uno
spessore che va dai 70 ai 100 Å (100 Å =10 nm) e presenta inoltre dei pori di diametro dai
4 ai 10 Å.

Come un farmaco passa le membrane cellulari?


• Può diffondere passivamente à diffusione passiva
• Può essere trasportato con un trasportatore di membrana à trasporto attivo.

La diffusione può essere definita come:


Para-cellulare: passaggio del farmaco attraverso due cellule adiacenti.
Trans-cellulare: passaggio del farmaco attraverso la membrana cellulare.
Entrambi i passaggi possono essere attivi se prevedono il consumo di energia, o passivi.

A) Diffusione para-cellulare (passiva)


B) Diffusione para-cellulare (attiva) attraverso modulatori delle tight junctions. Il
passaggio può avvenire attraverso le fessure tra cellula e cellula con dei modulatori
delle tight junction che facilitano l’apertura dei canali.
C-E) Diffusione trans-cellulare (passiva)
Un’altra via è la trans-cellulare ed è molto complessa à un farmaco può passare in modo
passivo dentro la cellula, poi possono accadere due eventi:
• Viene degradato (C)
• Entra nella cellula ma trova un trasportatore che lo riporta fuori (E) come le pompe di
efflusso
D) Trasporto carrier mediato (attivo) à diffusione trans-cellulare attiva.
E) Trasporto vescicolare
F) Meccanismi di endocitosi o pinocitosi

37
In generale i trasportatori sono più sfruttati da parte di molecole idrofile o cariche, che
quindi non sono in grado di attraversare la membrana autonomamente come i composti
lipofili.

MECCANISMI DI BIOTRASPORTO

• Passivo: senza dispendio energetico, secondo gradiente di concentrazione.


• Attivo carrier-mediato: con consumo di energia, contro gradiente di concentrazione.
• Facilitato: trasporto passivo ma mediato da proteine, permeasi passive.
• Pinocitosi
• Ion pair: accoppiamento ionico (+)(-) con annullamento della carica che permette di
penetrare la membrana (es composti di ammonio quaternario).

Le due curve rappresentano due tipi di trasporto, che significato hanno?

DIFFUSIONE PASSIVA:
Rapporto lineare e crescente tra concentrazione e velocità di trasporto, non è saturabile
perché non viene coinvolta una proteina trasportatrice alla quale il farmaco si lega per
essere trasportato. È descritto dalla legge di Fick.

38
TRASPORTO ATTIVO:
È una cinetica enzimatica che segue il modello di Michaelis-Menten.
Man mano che la concentrazione aumenta, il la curva del trasporto arriva a una fase di
plateau in cui tutti i siti dei trasportatori hanno raggiunto la saturazione (Vmax).

È un processo che richiede energia e che quindi consuma ATP, può inoltre avere una
inibizione competitiva, in questo caso parliamo di trasporto modulabile.

La velocità di questo trasporto è regolata dall’equazione di Michaelis Menten.

Dove K è la costante di affinità.

39
Abbiamo diversi tipi di carrier nell’organismo a seconda dell’oggetto chimico da
trasportare.

POMPE DI EFFLUSSO (ABC) ATP-BINDING CASSETTE

Sono presenti anche dei trasportatori che promuovono la fuoriuscita di sostanze dalla
cellula detti “pompe di efflusso” e sono di diversi tipi:

• P-glicoprotein MDR1 (ABCB1)

• Multidrug Resistance Protein: MRP1 (ABCC1): sono i trasportatori implicati nella


resistenza al farmaco. Le cellule diventano resistenti all’assorbimento di un farmaco
perché sovra esprimono queste pompe di efflusso e quindi il farmaco viene
continuamente portato all’esterno. Si trovano su tutte le membrane delle cellule
dell’organismo perché queste risultano selettive nei confronti di ciò che la cellula
assorbe. Per esempio si trovano nel tratto gastro intestinale deputato alla funzione di
assorbimento dei nutrienti, si trovano a livello renale dove regolano il riassorbimento
nel tubulo prossimale, a livello degli epatociti, dei linfociti, degli organi sessuali (ovaie e
testicoli) e del SNC.

• Breast Cancer Resistance Protein: BCRP (ABCG2)


Queste pompe di efflusso possono essere down-regolate da inibitori specifici che
hanno attività farmacologica propria. Andandole ad inibire, si aumenta l’assorbimento
del farmaco, è però un processo molto difficile e che non sempre porta a buoni risultati.

40
Si possono utilizzare anche degli inibitori “inerti” senza attività farmacologica
(eccipienti) chehanno delle caratteristiche comuni: sono macromolecole anfifiliche a
lunga catena (porzione idrofilica + idrofobica) o polimeri.

Per esempio, il Brij è formato da una porzione idrofilica (PEG) e da una porzione
idrofobica (catena alifatica).
Un altro esempio è Pluronics formato da una catena idrofobica centrale e due idrofiliche
esterne (schema comune di questi composti).

Come funzionano?
La parte lipofila si inserisce all’interno delle membrane creando uno stato disordinato che
altera l’intorno in cui lavorano i trasportatori di efflusso.
La loro azione tuttavia deve essere reversibile e le condizioni iniziali devono poter essere
ripristinate.

Chitosano: polimero semisintetico derivante dalla chitina che viene idrolizzata.

41
TRASPORTO FACILITATO

Nel trasporto facilitato si ha un trasportatore che non utilizza energia e non può quindi
operare contro gradiente.

DIFFUSIONE PASSIVA

Processo che avviene per osmosi e per dialisi:


dialisi perché avviene il passaggio attraverso una membrana semipermeabile e osmosi
perché è un processo osmotico.

Si tratta di un processo cinetico di primo ordine di tipo diffusivo descritto dalla prima
legge di Fick dipendente dalla differenza di concentrazione tra il compartimento donatore
e ricevente. Tale processo dipende invece da una sola delle due quando nel ricevente la
concentrazione è pari a 0.

1° legge di Fick:

Dm = coefficiente di diffusione specifico del farmaco e della membrana ed è dipendente


dalla dimensione della molecola (r=raggio)
!"
Dm =
#$%&
Am = superficie direttamente proporzionale alla velocità di passaggio;
Ko/w = coefficiente di ripartizione olio-acqua, dà informazioni sul carattere lipofilo della
sostanza e si può calcolare sperimentalmente o con un software. Si miscelano insieme
ottanolo e acqua, si aggiunge il farmaco e si agita fino quando non si solubilizza in una
delle due fasi: la fase in cui il farmaco si scioglie sarà quella a cui è più affine. Si aggiunge
poi, altro farmaco fino a quando non si nota un corpo di fondo (saturazione). A questo
punto, per calcolare il coefficiente logP si mette in rapporto la quantità di farmaco disciolto
nella fase oleosa (ottanolo) con quella disciolta nella fase acquosa.

Maggiore sono il coefficiente di diffusione e la superficie, più veloce sarà la diffusione; più
lipofilo è il farmaco più facilmente verrà assorbito (tenendo in considerazione solo la
membrana).
Maggiore è la differenza di concentrazione (∆C) tra i 2 compartimenti (donatore di
partenza e ricevente di arrivo) più veloce sarà il passaggio attraverso la membrana.

42
Tra tutti i parametri dell’equazione, quello che più
determina l’assorbimento è la differenza di concentrazione.
Infatti se questa fosse uguale, ad esempio, nel sangue e
nell’intestino, la loro differenza sarebbe zero e non
riusciremmo ad assorbirlo.
Quindi all’inizio ΔC deve essere alta poi, man mano che
diminuisce, diminuisce anche l’assorbimento.
Considerando solo il trasporto passivo attraverso la
membrana quindi l’assorbimento aumenta se il farmaco è
più lipofilo.

Effetto del pH
Spesso i farmaci usati sono acidi o basi deboli, quindi hanno una loro pKa/pKb.
Vuol dire che a seconda del pH in cui si trovano saranno in forma ionizzata o non
ionizzata. Una molecola, quando è ionizzata, è idrofilica, mentre quando non è ionizzata è
idrofobica à al variare del grado di ionizzazione cambia lo stato di idrofilicità del farmaco,
e quindi il suo coefficiente di ripartizione olio-acqua.
Di conseguenza, poiché il pH influenza la ionizzazione della molecola, andrà a influire
anche sul coefficiente di ripartizione e quindi sulla capacità di passare la membrana.

Per esempio l’aspirina a pH = 5 è completamente ionizzata (pka ≈ 3.5), mentre altri


farmaci come quelli basici a pH acidi non sono ionizzati e man mano che il pH aumenta, a
seconda della loro pKa, si deprotonano.

Teoria di Brodie (1957)


È una teoria che descrive come si comportano i farmaci ionizzabili.

A seconda del pH in cui si trova il farmaco, esso può


assumere una forma ionizzata o non ionizzata. Per questo
motivo ci sono degli equilibri acido-base che regolano tali
processi.
L’aspirina, per esempio, ha una pKa bassa, quindi si torva
in forma non ionizzata nello stomaco che ha pH ≈ 2.
Questa forma è in equilibrio con quella presente nel
sangue, ovvero quella ionizzata (oltre 5 è ionizzata, cioè
deprotonata).

43
[1]
Acid drugs: pH − pKa = log [
3]
[1]
Basic drugs: pKa − pH = log [
3]

pH virtuale di membrana
In prossimità della membrana il pH è diverso da quello
centrale perché a questo livello sono presenti delle secrezioni
che alterano le condizioni di membrana. Ci sono anche gruppi
funzionali, superfici ionizzabili e un flusso di acqua differenti
rispetto alle condizioni tissutali.
Tale valore di pH di membrana è importante perché consente
il passaggio del farmaco stesso attraverso la membrana.

Ad esempio, nella massa tumorale c’è un’attività cellulare e


metabolica molto elevata con la produzione di una serie di
metaboliti che abbassano il pH di membrana.

Determinazione sperimentale e predizione del trasporto passivo (assorbimento)


Il passaggio di membrana si può misurare anche sperimentalmente.
Alcuni farmaci o sostanze, nonostante siano idrofiliche (come l’urea), riescono comunque
ad attraversare la membrana attraverso pori, canali, fessure (tight junctions) o proteine
trasportatrici.
Per questo si può andare a verificare la permeabilità del farmaco tramite la misurazione
della pressione osmotica attraverso una membrana semipermeabile artificiale o naturale
applicando la seguente formula.

𝜋 = 𝑐 · 𝑅 · 𝑇 · 𝑖

Si prende come riferimento una sostanza che non


permea e che quindi, rimanendo nel suo
compartimento, esercita una pressione osmotica
elevata. La si confronta con quella della sostanza
esaminata (sample) e si esegue il rapporto tra la 𝜋
del campione e quella del riferimento à si ottiene
un parametro detto indice di riflessione, che descrive il grado di permeabilità della
sostanza in esame.

πsample
σ (Reflection index) =
π riferimento

44
• se σ ≈ 0 (0 < σ < 1) allora la sostanza sarà permeabile.

• se invece σ ≈ 1 allora la sostanza sarà impermeabile, come il riferimento.

Dalla tabella prendiamo in esempio l’urea à σ=0,29.

I composti alchilizzati dell’urea


(metil, etil, propil) hanno un
aumento dell’indice di
riflessione σ. Ciò significa che
sono sempre meno permeabili
man mano che aumenta la
lunghezza e l’ingombro della
catena alchilica coniugata
(perché le dimensioni della
molecola aumentano e
diminuisce Dm in Fick).
Tuttavia, aumentando ancora le
dimensioni della molecola,
come nel caso della butilurea,
σ diminuisce. Ciò significa che,
aumentando il numero di alchili coniugati alla funzione amminica aumenta, anche la
lipofilicità; oltre ad una certa soglia, quindi, prevale il carattere lipofilo della molecola sulla
dimensione, in questo modo aumenta il coefficiente di ripartizione olio-acqua Ko/w, e
quindi la velocità di diffusione.
Di conseguenza, quando la molecola è di grandezza media è meno permeabile e meno
lipofila; se le sue dimensioni aumentano la lipofilicità prevale sulla dimensione e la
molecola diventa più permeabile.

Un altro esempio è dato dalla posizione dei gruppi idrofilici (dioli, glicoli=2 ossidrili, gruppi
carbossilici, ossidrilici).
Questi composti, pur avendo lo stesso PM, possono avere una permeabilità diversa a
seconda della posizione dei gruppi ossidrilici e carbossilici che possono formare ponti
idrogeno che aumentano/diminuiscono la lipofilicità della molecola. Con la formazione del
ponte idrogeno, infatti, il gruppo alcolico non è più disponibile ad interagire e a
coordinarsi con l’acqua diventando più “lipofilo”.

45
VIA ORALE

Vantaggi:

• È la via principale perché è semplice da utilizzare con limitazione solo per bambini e
persone anziane con problemi di deglutizione.
• È molto flessibile perché si possono avere diverse forme farmaceutiche anche in
termini di dosaggio, produzione e riproducibilità (capsule, compresse).
• Le forme farmaceutiche sono economiche e costa poco produrle.
• Ha una buona accettabilità da parte dei pazienti, perché è una facile via di assunzione
e i prodotti sono comodi da portare con sé (aumenta la compliance).
• Si possono modulare le dosi molto facilmente.

Quando non si può usare la via orale?

• Quando ci sono effetti collaterali a livello gastrico (acidità, ulcera).


• Per avere un’azione sito-specifica, per esempio le azioni locali di tipo topico (traumi,
gocce oculari).
• Per farmaci con bassa biodisponibilità, cioè quando hanno una costante di
assorbimento molto piccola. Ad esempio i farmaci di natura proteica vengono
difficilmente assorbiti per via orale (come l’insulina, l’ormone della crescita o
l’interferone che non esistono per via orale)
• Quando il farmaco non viene rilasciato bene nell’intestino, non si rende disponibile.
• Quando vogliamo un’azione ritardata per controllare il tempo di rilascio del farmaco:
per via orale non è possibile perché un farmaco deve essere rilasciato in un massimo
di 12 h. Per un’azione di una settimana o di un mese esistono delle preparazioni con
impianto (farmaci antitumorali).

Assorbimento gastro-intestinale
La maggior parte dei farmaci viene assorbita dall’intestino e arriva prevalentemente a
livello epatico dove viene degradata. A questo livello si ha l’effetto di primo passaggio
epatico (FPE), cioè l’effetto di degradazione del farmaco prima che raggiunga il circolo
sanguigno e il sito d’azione.

Nella via orale esistono principalmente 2 eventi di primo passaggio:


1) A livello intestinale à degradazione della forma farmaceutica da parte di enzimi
2) Fegato à metabolismo

Una volta in circolo il farmaco può passare nella bile, nel microcircolo epatico e poi a
livello renale, dove viene eliminato con le urine oppure con le feci.
L’assorbimento per via intestinale è complicato perché il farmaco trova una membrana
molto ben strutturata. Il farmaco infatti deve:
- Essere rilasciato dalla forma farmaceutica
- Passare lo strato della mucosa (il brush border)
- Attraversare le cellule apicali, i fluidi cellulari, la membrana cellulare, la lamina
propria, le membrane delle cellule endoteliali dei capillari, la membrana interna
dell’endotelio
- Arrivare al circolo
46
• Stomaco
Nello stomaco non avviene molto assorbimento poiché sono presenti una membrana
molto spessa, fasci muscolare spessi e uno strato di mucopolisaccaridi che serve per
proteggere la mucosa dello stomaco.
Inoltre l’elevato spessore della membrana Δh (legge di Fick) influisce anche sulla
velocità di assorbimento. Di conseguenza:

• Il tempo di permanenza nello stomaco non è molto elevato


• La superficie dello stomaco Am non è tanto grande
• Il pH poi è poco favorevole perché è molto acido
• Ci sono degli enzimi come la pepsina che possono degradare il farmaco

• Intestino

L’intestino si divide in:


Piccolo intestino: dove avviene l’assorbimento naturale delle sostanze ingerite.
Grande intestino: in particolare nel colon avviene il riassorbimento di acqua e la
produzione di feci.
L’assorbimento del farmaco avviene nel piccolo intestino a livello delle anse di Kerckring
dove sono presenti villi e microvilli, ovvero una sorta di ciglia sulla regione apicale delle
cellule endoteliali (formano l’orletto a spazzola).
I villi contengono ciascuno due vasi sanguigni (arteria e vena) e un vaso linfatico (10-40
villi per mm2 e 600 microvilli per mm2).
La membrana si comporta come se fosse composta da uno strato monocellulare, cioè
molto sottile, a differenza di quella dello stomaco.

L’area superficiale di assorbimento è molto estesa, grazie proprio alle numerose


estroflessioni della superficie create dai villi àparametro Am della Legge di Fick

47
In realtà nell’intestino sono presenti aree diverse con caratteristiche diverse come pH,
flusso sanguigno, tempo di transito, enzimi, secrezioni, area di assorbimento, spessore
diverso.
Nel fluido intestinale poi non sono presenti enzimi digestivi, a differenza dello stomaco
che contiene la pepsina secreta dalle cellule presenti nella parete ghiandolare. Ci sono
invece enzimi di superficie all’interno delle membrane che fungono da “sentinelle” e che,
quando si ha il passaggio di materiale, cominciano a degradarlo.
Nel colon invece non si trovano enzimi di membrana ma in compenso sono presenti la
flora intestinale e tutti i batteri del microbiota.

ESEMPIO 1:
Preso un farmaco acido con pKa= 5.4 ci aspettiamo che nello stomaco si trovi in forma
non ionizzata, invece nel sangue in forma ionizzata. Per calcolare la frazione assorbita si
utilizza la seguente formula, secondo la teoria di Brodie:

[K]
ACID DRUGS: pH − pKa = log [L]

ESEMPIO 2:
Nello stomaco l’acido acetilsalicilico ha una costante di assorbimento minore rispetto che
nell’intestino. Infatti, anche se nello stomaco a pH=3 si trova nella sua forma non
ionizzata, dunque assorbibile, l’ASA viene comunque maggiormente assorbito
nell’intestino (a pH=6). Questo perché, avendo l’intestino una superficie di
assorbimento più grande, anche se il farmaco è sfavorito perché si trova nella sua forma
ionizzata viene comunque assorbito di più rispetto che nello stomaco.
Per questo motivo quasi tutti i farmaci vengono assorbiti principalmente a livello
intestinale.
48
Le forme ionizzata e non ionizzata influenzano il parametro Ko/w detto coefficiente di
ripartizione olio acqua, quindi la lipofilicità.

Effetto del pasto


Alcuni farmaci vengono somministrati prima dei pasti, altri dopo.

Che influenza ha il pasto sull’assorbimento del farmaco?


• Il pH dello stomaco si abbassa e diventa più acido
• C’è liberazione di enzimi, quindi cambia la composizione
• Il farmaco ci mette più tempo a essere assorbito perché il tempo di transito si allunga
durante un pasto e lo svuotamento gastrico è rallentato

Le fasi della digestione sono:


Fase interdigestiva: Avviene a digiuno e ha 4 fasi con durata totale di circa 2 ore.
Fase 1: il canale alimentare è a riposo
Fase 2: inizio delle contrazioni
Fase 3: contrazioni regolari di grande ampiezza
Fase 4: diminuzione progressiva delle contrazioni

Fase digestiva: avviene a seguito dell’assunzione di un pasto in cui abbiamo delle


contrazioni frequenti e regolari con mescolamento e avanzamento del cibo.

Il grafico mostra la differenza di assorbimento del


farmaco a digiuno e a stomaco pieno;
nell’assorbimento a digiuno l’AUC (la
biodisponibilità) quasi raddoppia à bisogna
sempre considerare questo aspetto per valutare il
momento adatto per l’assunzione di un farmaco.

Ci sono poi altri fattori che vanno ad influenzare l’assorbimento del farmaco, tra cui:
• Attività fisica à velocizza l’assorbimento
• Posizione di assunzione à distesi o in piedi
• Un’alimentazione grassa à può rallentare lo svuotamento gastrico e può causare un
ritardo nell’assorbimento

49
• Il cibo grasso può aumentare la dissoluzione di alcuni farmaci lipofili e quindi
aumentarne l’assorbimento e la biodisponibilità
• Effetto dell’alcol à l’alcol ha un effetto importante sull’assorbimento dei farmaci
perché li scioglie più facilmente e li rende disponibili immediatamente (picco di
assorbimento molto rapido). Inoltre, altera la permeabilità delle membrane che
diventano molto più permeabili.

In presenza di un pasto posso avere:


• Un ridotto assorbimento
• Un assorbimento ritardato
• Aumento dell’assorbimento soprattutto per farmaci lipofili => prevale la dissoluzione sul
ritardo

ESEMPI dell’influenza del pasto:

TRIATEC: ACE INIBITORE


Utilizzato nel trattamento dell’ipertensione, si trova in compresse e viene assunto una
volta al giorno. Per questo farmaco la somministrazione prima o dopo un pasto non ha
alcuna influenza sull’assorbimento.
È un profarmaco, cioè è una molecola che viene attivata una volta nell’organismo tramite
un’idrolisi (de-esterificazione) da parte del fegato che lo trasforma in metabolita attivo.

EUTIROX: patologie della tiroide (ipo-ipertiroidismo)


Il principio attivo è la levotiroxina, isomero di t4 trasportatore dello iodio.
Nel caso di ipotiroidismo il farmaco viene eliminato più lentamente, nell’ipertiroidismo
invece viene eliminato più velocemente (half-life elimination 6-7 gg). Esso viene eliminato
nella forma glucuronata à la glucuronazione è un processo metabolico che serve a
eliminare una sostanza molto lipofila la quale, legandosi all’acido glucuronico, viene resa
più idrofilia e viene eliminata con le urine più facilmente.
È un farmaco da assumere lontano dai pasti, infatti viene preso circa un’ora prima della
colazione perché è un prodotto molto poco solubile, quindi se assunto a stomaco pieno
non riesce a liberarsi bene dalla compressa e fa fatica a sciogliersi e a rendersi
disponibile.

Un altro farmaco disponibile per la tiroide è Syntroxine e si tratta di una formulazione a


capsule molli di gelatina in cui il farmaco è già sciolto all’interno con glicerolo, quindi una
volta assunto è subito disponibile e lo si può prendere anche a stomaco pieno perché
non deve liberarsi (al massimo c’è qualche problema di precipitazione); in questo modo
facilito l’assunzione e la compliance del paziente.

è Colon

È in corso una linea di studio per favorire l’assorbimento dei farmaci a livello del colon.
Questo perché nell’intestino tenue abbiamo l’assorbimento degli alimenti, nel colon
invece si ha il riassorbimento di acqua e la produzione di feci mentre non si trovano
enzimi di membrana che cercano di degradare quello che passa attraverso di essa à gli
enzimi intestinali infatti rappresentano un ostacolo per i farmaci più deboli come peptidi,
proteine o ormoni.
50
Si cerca ad esempio di far assorbire l’insulina a livello del colon perché in questo modo
viene meno degradata. A questo livello infatti c’è un importante riassorbimento e quindi
un forte flusso di acqua che favorisce il passaggio delle sostanze attive.
Vedremo più avanti che si utilizzano dei sistemi cronotropici, ovvero farmaci a rilascio
ritardato per oltre le 12 h, oppure altri sistemi che a livello del colon trovano un pH
ottimale per il rilascio del farmaco.

51
5. PRINCIPI DI BIOFARMACEUTICA
Biofarmaceutica: è la scienza base della tecnologia farmaceutica e del drug delivery che
collega tutte le caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze con la disponibilità del
farmaco. La disponibilità riguarda la capacità del farmaco di fuoriuscire dalla forma
farmaceutica e rendersi disponibile à è collegata con la biodisponibilità AUC.

FARMACOCINETICA

Comprende le fasi di assorbimento, distribuzione, metabolismo ed eliminazione del


farmaco.
La farmacocinetica inizia nel momento in cui il farmaco arriva all’intestino ed è collegata
alla biofarmaceutica, in quanto questi due ambiti si influenzano tra loro.
Quando il farmaco viene assorbito, subito va nel compartimento centrale e da qui viene
eliminato e degradato. Dal compartimento centrale poi si distribuisce anche in vari organi,
tra cui il fegato in cui avviene il FPE tramite cui il farmaco viene inattivato, degradato o in
alcuni casi attivato (bioattivazione dei profarmaci).
I farmaci lipidici che si distribuiscono nel compartimento periferico possono accumularsi
a livello del tessuto adiposo, provocando un effetto positivo se vogliamo un rilascio lento,
negativo se il farmaco ha una componente tossica. Solo una piccola parte del farmaco
assunto arriva al tessuto target dove svolge la sua funzione e attiva il sistema biologico,
inducendo una risposta farmacologica (farmacodinamica).

Gli step del processo biofarmaceutico


sono:

• Disponibilità: il farmaco viene rilasciato


dalla forma farmaceutica.
• Biodisponibilità: fase di assorbimento.
• Raggiungimento target

Uno tra questi passaggi è il rate limiting step (RLS), cioè la fase che limita tutto il
processo. La velocità con cui l’RLS avviene influenza quella di tutto il processo di
disponibilità e biodisponibilità.

RATE LIMITING STEP

Il RLS può essere condizionato da due fattori:

1) Bulk (massa) à influenza il processo di dissoluzione


Dipende:
- Dalle caratteristiche dell’ambiente del sito di rilascio (pH, alimenti, alcol);
- Dalle proprietà chimico-fisiche della formulazione;

52
2) Membrana à influenza il processo di diffusione
Il farmaco è stato rilasciato, quindi è libero e si è reso biodisponibile, entra in circolo e
supera le membrane biologiche. Dipende:
• Dalle caratteristiche del farmaco
• Dalle caratteristiche del sito di rilascio
• Dalle caratteristiche delle membrane (spessore di membrana)

N.B. Non si può intervenire su questo ultimo punto, perché le membrane non sono
modificabili o lo sono in piccolissima parte (v. inibitori delle pompe di efflusso), perciò si
lavora principalmente sul bulk.

SISTEMA DI CLASSIFICAZIONE BIOFARMACEUTICA - BCS

È il sistema di classificazione biofarmaceutica, punto di riferimento per le aziende per lo


sviluppo di un nuovo farmaco.
Questo sistema di classificazione si basa su due parametri: solubilità e permeabilità, in
base ai quali si definiscono 4 classi:

Classe I = farmaco ideale con alta solubilità e


alta permeabilità.
Classe II = farmaci nuovi, poco solubili, ma
abbastanza permeabili. Sono molto attivi e
potenti e creano forti interazioni con i loro
recettori.
Classe III = farmaci molto solubili ma con
bassa permeabilità (ancora meno modificabile
rispetto alla solubilità).
Classe IV = farmaci non solubili e nemmeno permeabili, non hanno un potenziale di
sviluppo e non possono ancora essere dei veri farmaci, possono essere al massimo un
punto di partenza per lo sviluppo di altri appartenenti alla stessa categoria.

53
Solubilità

La solubilità è descritta dal numero di dose D0.


Un farmaco è considerato altamente solubile quando, se somministrato alla sua dose
massima, è solubile in 250 ml di acqua (soluzione acquosa fisiologica) ad un pH che va
da 1.2 a 6.8. Il volume standard a livello gastrico è circa 250 ml.

𝑪𝒔
𝑵𝒖𝒎𝒆𝒓𝒐 𝒅𝒐𝒔𝒆 𝑫𝒐 = 𝑫𝑶𝑺𝑬 ∗
𝑽𝒐

Vo = 250 ml volume gastrico in studio clinico


Cs = concentrazione di saturazione (solubilità massima)
DOSE = quantità di farmaco presa in considerazione

In base al valore ottenuto, se:


- D0 < 1 il farmaco ha un’alta solubilità
- D0 = 1 il farmaco ha una buona solubilità
- D0 > 1 il farmaco ha una bassa solubilità

ESEMPIO: in tabella possiamo confrontare il numero di dose della digoxina con la


griseofulvina al variare dei tre parametri.

Permeabilità

Una sostanza è considerata altamente permeabile se la dose di assorbimento a livello


intestinale è maggiore del 90%. La permeabilità si calcola come logP, ovvero il
coefficiente di ripartizione acqua/ottanolo, oppure come ClogP che
rappresenta il valore calcolato al computer basato sui gruppi
funzionali della molecola ma invece che non tiene conto, ad
esempio, dei potenziali legami idrogeno intramolecolari.
Il valore di riferimento è il LogP del metoprololo pari a 1,72, è
considerato altamente permeabile poiché viene assorbito per più del 95% dal tratto G.I.

Se LogP >> 1.72 il farmaco è molto permeabile


Se LogP << 1.72 il farmaco è poco permeabile.

54
Regola del 5 di Lipinski

Rappresenta una strada alternativa per determinare, attraverso caratteristiche chimico-


fisiche e strutturali, la permeabilità di un farmaco. Si basa su 5 regole secondo cui la
sostanza è permeabile se:

1) < 5 donatori di legami a H


2) < 10 accettori di legami H
3) ClogP < 5
4) < 5 legami con libertà rotazionale
5) PM < 500 Da

Eccezione Aciclovir: bassa solubilità e bassa permeabilità, non segue la regola di Lipinski
ma viene comunque utilizzato anche se presenta una biodisponibilità del 15-30%.

55
6. DISPONIBILITÀ DI FARMACI

Come si rende disponibile un farmaco?

MECCANISMI DI DRUG RELEASE

• Processo di dissoluzione
• Processo di diffusione a partire da formulazioni in cui è già disciolto (pomate, cerotti)
ad azione locale
• Degradazione della matrice (farmaci iniettati sottocutanei per rilascio prolungato)
• Farmaci osmotici
• Reazioni chimiche
• Reazioni enzimatiche
• Combinazioni dei vari meccanismi

RILASCIO DEL FARMACO DALLE COMPRESSE

1. Disintegrazione con formazione


di granuli che si disgregano e
formazione di particelle fini che si
sciolgono;
2. Disaggregazione dei granuli;
3. Dissoluzione delle particelle.

Tra i tre processi quello che prevale


sugli altri è la dissoluzione, comune
a tutti i farmaci.

Profarmaco: molecola che presenta generalmente una funzione esterea che inibisce
temporaneamente l’attività farmaceutica, ma ne migliora la solubilità e la permeabilità. È
possibile modulare la velocità di idrolisi di questo legame estereo e controllare così il
rilascio del farmaco.
A seconda della formulazione ho una velocità di rilascio e un’emivita del farmaco diverse.
In particolare, l’emivita si misura calcolando il tempo in cui metà dose del farmaco va in
soluzione (dissolution half life).

I farmaci che hanno un tempo di dissoluzione più lento


hanno AUC minore, Cmax minore e tmax maggiore
rispetto a quelli che hanno un rilascio immediato con
tempo di dissoluzione rapido (emivita breve), i quali
invece hanno biodisponibilità maggiore.

56
Solubilità: è la concentrazione di farmaco in condizioni di saturazione (Cs), cioè la
concentrazione massima che possiamo raggiungere prima che si formi un corpo di fondo.
È una proprietà chimico-fisica tipica di ogni sostanza.

Dissoluzione: è un processo con un profilo cinetico determinato tramite la velocità di


dissoluzione, registrabile sperimentalmente.
Si può avere una sostanza molto poco solubile che però si dissolve velocemente oppure
una sostanza che è molto solubile ma che si dissolve molto lentamente à le due cose
non sono sempre per forza collegate.

Dissoluzione intrinseca: processo di dissoluzione che avviene per geometria costante.


Per esempio un solido va in soluzione “disgregando” prima le molecole in superficie, via
via diminuiscono le sue dimensioni, il numero di molecole sulla superficie e la velocità di
dissoluzione à il processo di dissoluzione è influenzato dalla geometria del prodotto. Se
riesco a mantenere la geometria costante ottengo la dissoluzione intrinseca, indipendente
dal cambiamento geometrico che avviene durante il processo di dissoluzione.

Si può misurare la dissoluzione intrinseca tramite l’apparato di


Wood: è un cestello pieno di acqua in cui viene immerso il solido, lo si
ricopre di paraffina e il rilascio avviene solo dalla superficie di contatto
con l’acqua. La geometria rimane costante almeno per un certo periodo
di tempo.

Sink condition: condizioni in cui la concentrazione di saturazione è sempre al di sotto del


20-30% di saturazione. Una concentrazione dell’ambiente esterno molto bassa infatti non
influenza la velocità di dissoluzione e il rilascio perché ci sono poche molecole in
soluzione che rallentano il processo.
Lo studio di dissoluzione in vivo va sempre fatto in condizioni di sink perché nella realtà ci
troviamo in un sistema aperto in cui avvengono in contemporanea tutti gli eventi di
assorbimento, distribuzione, eliminazione e la concentrazione non arriverà mai a
saturazione.

Soluzione: è una miscela omogenea di due componenti, ciò vuol dire che in ogni punto la
miscela ha la stessa composizione quali-quantitativa. Una soluzione è costituita da due o
più componenti, uno dentro l’altro (soluto e solvente): il soluto è omogeneamente
distribuito, disperso e solvatato dal solvente con cui instaura interazioni intermolecolari
ottenendo un sistema termodinamicamente stabile.
La soluzione non è una dispersione molecolare ma dimensionale.
Una soluzione è considerata tale quando il soluto disperso ha una dimensione al di sotto
di 1 nm.
Tra 1 nm e 1µm ci sono i sistemi colloidali, invece sotto 1 µm abbiamo le dispersioni
vere e proprie (vedi parte 11).

57
1. Dissoluzione
Durante la dissoluzione si staccano delle molecole dal soluto solido che vanno in
soluzione, per fare ciò si devono rompere dei legami intermolecolari all’interno del soluto
solido, fornendo energia.
Il solvente ora deve formare una “tasca” per accogliere il soluto, quindi anche in questo
caso si devono rompere dei legami tra le molecole del solvente con un dispendio
energetico. Questa energia consumata è parzialmente compensata dal fatto che si
formano dei nuovi legami tra soluto e solvente.
La formazione di nuovi legami tra soluto e solvente influenza il tipo di controllo del
sistema (controllo cinetico o termodinamico). Se soluto e solvente sono affini, si
formeranno legami che tenderanno a stabilizzare la soluzione, altrimenti i legami non affini
tenderanno a rendere la soluzione più instabile.
Il processo di dissoluzione è favorito dalla variazione positiva di entropia ΔS > 0 ,
risulterebbe invece sfavorito dalla sola variazione energetica di entalpia ΔH.

La solubilità di una sostanza dipende dalle dimensioni del soluto, quindi più piccolo è il
soluto maggiore è la sua solubilità (proprietà intrinseca). È possibile determinare la
solubilità dalle caratteristiche calorimetriche come il punto di fusione o di ebollizione.
Quindi posso misurare la potenzialità di dissoluzione misurando il punto di ebollizione, più
sarà basso più facile sarà rompere i legami.

Il processo di dissoluzione è descritto dall’equazione di Noyes Withney.

DQ/Dt = velocità di dissoluzione

Abbiamo una particella di farmaco che si stacca dalla superficie del solido e va in
soluzione. Il farmaco attraversa uno strato di diffusione stazionario in cui passa da un
massimo di concentrazione Ch ad un minimo Cg, tramite un gradiente di concentrazione.
58
In questo modo mano a mano che ci si allontana dalla superficie la concentrazione del
soluto diminuisce.
S è l’area superficiale del solido, maggiore è S maggiore sarà il numero di molecole che
andranno in soluzione. dQ/dt dipende poi dal coefficiente di diffusione D nello strato
stazionario in cui si passa da una concentrazione massima ad una minima, e dallo
spessore dello strato stazionario h.

Che parametri dell’equazione dobbiamo modificare se vogliamo aumentare la velocità di


dissoluzione di una sostanza?

Posso agire aumentando l’area superficiale S totale (A) così da aumentare la velocità di
dissoluzione à si può polverizzare il prodotto, in modo da diminuire le dimensioni delle
singole particelle; così facendo ogni particella singola avrà una superficie maggiore à
aumenta l’area superficiale totale a parità di peso.

59
Le tecniche per aumentare l’area superficiale (S in
equazione N/W) sono:
• Micronizzazione à Jet milling, mulino a
energia fluida (vedi parte 8)

• Nanoizzazione à è un processo che


permette di rendere le particelle di dimensioni
nanometriche. Per fare ciò bisogna fornire
molta energia e si può fare tramite ultrasuoni.

Effetto nanoizzazione sulla biodisponibilità


à

• Spray dry (vedi parte 8): si nebulizza una sostanza in una camera di essiccamento, il
solvente evapora e ottengo delle particelle molto piccole dell’ordine dei micrometri.

• Utilizzare fluidi supercritici à il fluido ha delle caratteristiche particolari perché si


comporta allo stesso tempo sia da
liquido che da gas à in genere viene
usata la CO2 supercritica. Quando
abbiamo un fluido, esso presenta
caratteristiche di solvente o anti-
solvente a seconda che sia liquido o
gassoso, e possiamo sfruttare queste
caratteristiche per i nostri obiettivi, per
esempio per ottenere il caffè deca. In
più la CO2 può essere utilizzata per
sterilizzare alcuni alimenti perché
aumenta l’acidità del materiale
eliminando così i batteri.

• Co-precipitazione à soluzioni solide

In questo modo, diminuendo le dimensioni delle particelle, l’area superficiale cambia, ma


cambia anche la solubilità, e quindi la concentrazione di saturazione del farmaco.

60
Bagnabilità

È una proprietà che indica la capacità di un solido di coordinare molecole d’acqua sulla
sua superficie. Più un farmaco è bagnabile, più la sua velocità di dissoluzione aumenta.

FENACETINA: è un profarmaco del


paracetamolo; l’etere, che viene idrolizzato a
gruppo ossidrile formando il paracetamolo, è
inserito per mascherare l’acidità del gruppo
fenolico. All’aumentare delle dimensioni delle
particelle ci si aspetterebbe che la velocità di
dissoluzione diminuisca. Come si vede dal
grafico invece, all’aumentare delle dimensioni
delle particelle di fenacetina aumenta la
velocità di dissoluzione, quindi più grandi
sono le particelle, maggiore sarà la velocità di
dissoluzione. In effetti, la fenacetina è una
molecola abbastanza idrofobica perché non
ha gruppi funzionali idrofilici liberi e di
conseguenza coordina poco l’acqua à ridotta
bagnabilità. Il grado di bagnabilità diminuisce
al diminuire delle particelle, se le particelle
non sono bagnate non vanno in soluzione. In
questo caso si deve rendere la superficie più
idrofilica o usando un solvente che la bagna
meglio (come un detergente), oppure
rendendo la polvere più idrofilica mescolandola con del materiale più idrofilico à si
ottiene così una polvere più bagnabile.

La bagnabilità della polvere si misura con


l’angolo di contatto, che è un test in cui si
appoggia una goccia sulla superficie di cui
si vuole sapere la bagnabilità e si va a
vedere se rimane rotonda o si sparge sulla
superficie.
L’angolo di contatto si misura tramite
l’equazione di Young:

61
Durante il test, lo strumento scatta una foto della
goccia e misura l’angolo di contatto: più piccolo è
l’angolo, più bagnabile è il solido. L’angolo di
contatto è correlato alle tensioni superficiali
solido-solido, solido-liquido, liquido-aria, aria-
solido à equazione di Young.

Torniamo alla fenacetina:


sciogliendo la fenacetina insieme
al tween, componente
importante utilizzato nelle
sospensioni o nei prodotti di uso
topico come tensioattivo (è un
“detergente”, fa parte della
stessa famiglia), la velocita di
dissoluzione aumenta al
diminuire della grandezza delle particelle. Questo significa che è stato utilizzato un
solvente corretto, che bagna bene la polvere (la legge di Noyes- Whitney vale ancora).
Il grafico di destra raffigura l’andamento di una polvere costituita da fenacetina e amido,
un polisaccaride molto idrofilico. Come si nota dall’andamento della curva, è stato
ottenuto un solido molto bagnabile, in questo modo si diminuisce l’idrofobicità della
polvere à lavorando sulla superficie bagnabile e cambiando eccipienti è possibile
cambiare la solubilità del farmaco.

Il magnesio stearato è un
lubrificante ed è un sale bivalente
di magnesio con stearato.
Essendo un sale idrofobico,
utilizzato come eccipiente fa
diminuire la velocità di
dissoluzione perché aumenta
l’idrofobicità del farmaco.
Al contrario, il sodio lauril solfato
è un detergente idrofilico che
aumenta la velocità di dissoluzione.

62
Tutti questi eccipienti influenzano disponibilità, biodisponibilità ed efficacia del
prodotto.

Pressione di compressione à S

In che modo la pressione di compressione influenza la velocità di dissoluzione del farmaco


in una compressa?
Se aumenta la P di compressione diminuisce la velocità di dissoluzione, ma questo non
accade in tutti i casi. Infatti, nel grafico numero 3 all’aumentare della P di compressione
aumenta anche la velocità di dissoluzione perché se il materiale che compone la
compressa è molto fragile, invece che compattarsi e aumentare il numero di legami tra le
particelle, si rompe e aumenta l’area superficiale.
Può succedere poi, come nel caso 4, che la molecola si compatti e poi si rompa.

Effetto ione comune à Ch

Il contro ione è importante nella


dissoluzione e nella disponibilità del
farmaco. La biodisponibilità tra Na e K
dovrebbe essere uguale, ma non lo è.
Più piccolo è il contro ione, maggiore è
la velocità di dissoluzione. Il contro ione
è un parametro che non si può
modificare, quindi deve essere scelto
con accuratezza prima del processo.

pH di dissoluzione à Ch

Se il farmaco è ionizzato (dipende da pKa e pH) è più idrofilico di quando non è ionizzato.
Più idrofilico = più solubile, quindi la velocità di dissoluzione è più grande. Possiamo
estrapolare il pH che è mascherato all’interno del parametro di concentrazione Ch. Ch è
la concentrazione di AH + A-. In base a questa equazione possiamo eliminare A- e S.

63
Caso del farmaco con
pKa acida:

Caso del farmaco con pKa basica:

Farmaci acidi si dissolvono prima in pH basici e viceversa.

64
CASO DI SOLUBILITÀ ASA
Qual è il più solubile tra acido salicilico e ASA? È l’acido acetilsalicilico perché, anche se
AS possiede i gruppi fenolico e carbossilico scoperti, questi formano tra loro un ponte
idrogeno che abbassa la solubilità della molecola. Quindi, anche se ASA presenta una
funzione esterea, risulta comunque più solubile di AS. Inoltre la maggiore solubilità di ASA
potrebbe far sorgere qualche dubbio se consideriamo la “regola” secondo cui una
molecola a più basso peso molecolare dovrebbe essere più solubile di una a più alto PM.
Tra ASA e AS la molecola con il più basso PM è AS, questo però non basta a scavalcare
il grado di idrofobicità creato dalla presenza del ponte idrogeno.

Posso aumentare la solubilità in modo tecnologico?


Potrei pensare di formulare l’aspirina con un sale tamponante che alzi il pH, mettere un
antiacido e aumentare il pH, miglorando così la solubilità del farmaco. Nel mercato ci
sono tantissimi prodotti che funzionano in questo modo, non si tratta di un’idea nuova.
Come va in soluzione un farmaco quando lo somministriamo? Dipende se è in forma
neutra o ionizzata. Possiamo anche avere tutte e due le forme, dipende dall’ambiente in
cui il farmaco si trova (es l’aspirina nello stomaco è in forma neutra, nell’intestino va in
forma ionizzata). Questo influenza la velocità di dissoluzione.

Per esempio la tolutamide, essendo acida, va in soluzione in HCl in forma U


più velocemente della forma ionica (I). Questo è dovuto al fatto che il processo di
dissoluzione è sotto il controllo cinetico-termodinamico. Il passaggio IàU è dovuto a un
fattore tamponante e poiché un acido debole ha un effetto tamponante sullo strato di
dissoluzione, è in grado di favorire o sfavorire la dissoluzione del farmaco.
Nell’equazione non era stata calcolata l’influenza dell’effetto tamponante del farmaco.
Infatti non è presente solo l’effetto termodinamico, ma anche quello cinetico che è
determinato dall’azione tamponante del farmaco.

Effetto bulk à Ch
Ci si aspetta che un farmaco basico si disciolga bene nello stomaco, ma il problema si
genera quando il farmaco passa nell’intestino, dove il pH è più alto.

Possono accadere due eventi:


1. Il pH si alza e il farmaco riprecipita in particelle cosi sottili che si sciolgono di nuovo
molto rapidamente e vengono subito assorbite
2. Si formano dei nuclei di precipitazione che rallentano il processo di dissoluzione.

Non si può prevedere se accadrà uno o l’altro evento, ma ci possiamo aspettare un


determinato comportamento in base agli eccipienti che scegliamo.

65
Equazione di Ostwald – Freundlich
Tale equazione dimostra che, al diminuire delle dimensioni della particella che
consideriamo, aumenta la sua solubilità. Per rendere più solubile il farmaco è necessario
ridurre la dimensione delle particelle fino a raggiungere dimensioni molto piccole.

Il logCs è:
1 1
2𝑀𝛾 ( − )
𝑙𝑛𝐶𝑠%&'() = 𝑙𝑛𝐶𝑠%,'() + 𝐷𝑚𝑖𝑐𝑟𝑜 𝐷𝑚𝑎𝑐𝑟𝑜
𝑑𝑅𝑇

Le particelle troppo piccole sono molto difficili da gestire nel processo di produzione
farmaceutica in quanto hanno un’area superficiale molto vasta, motivo di instabilità.
L’ampiezza dell’area superficiale infatti determina un’elevata energia libera di superficie
che porterà le particelle ad aggregarsi al fine di ridurla.
Più piccole sono le particelle, più il sistema ha un livello energetico alto e maggiore è il
rapporto superficie/volume.

Le molecole del solvente portano in soluzione le molecole di farmaco: questo processo è


detto solvatazione. Il rapporto superficie/volume indica proprio se il solvente riesce a
portare in soluzione le molecole à il rapporto è maggiore se le particelle sono piccole.

66
Nella dissoluzione le particelle si devono staccare dal farmaco: più piccola è la particella,
e di conseguenza meno sono i legami, meno energia servirà per romperli. Questo vuol
dire che i processi di dissoluzione e solubilità sono favoriti quando le particelle sono
molto piccole. Essendo però la dissoluzione un processo dinamico e non statico, ci
possono essere alcune eccezioni.
Le particelle entrano in soluzione in equilibrio con tutte le
forme, anche quelle che non si sono solubilizzate. Una volta
in soluzione, dopo un tot di tempo raggiungo l’equilibrio
caratteristico di quel farmaco.
Il processo di dissoluzione è regolato prima dalla cinetica (le
particelle vanno in soluzione velocemente), poi invece
prevale il processo termodinamico.
L’aumento della solubilità quindi è un processo transitorio,
infatti le particelle tenderanno sempre più ad aggregare e la
solubilità diminuirà.
Posso comunque avere un vantaggio sulla disponibilità e
sulla biodisponibilità.

Equazione di Noyes-Whitney:

Dq S Dch − cg
=
dt h

Il tempo di dissoluzione aumenta per 2 ragioni:


1)Aumentano i legami da rompere
2)Aumenta la solubilità della sostanza

Conviene avere particelle piccole!


Ma fino ad un certo punto perché avere particelle piccole significa anche avere un’area
superficiale grande (più micronizziamo la nostra sostanza maggiore sarà la superficie
totale), portando ad avere un’energia interfacciale tra solido e ambiente esterno molto alta
à ciò implica un’energia libera grande che non aiuta la stabilità del sistema.

Il processo di dissoluzione è sotto controllo cinetico e termodinamico.


All’inizio prevale il controllo cinetico, le particelle vanno in soluzione rapidamente e
raggiungono alte concentrazioni; poi prevale il termodinamico in cui tutte queste particelle
iniziano ad avere molta energia libera e tendono a stabilizzarsi e quindi ad aggregare à la
concentrazione dunque diminuisce.
Come si possono ottenere queste particelle molto piccole?
• Soluzioni solide: si mescola la sostanza con un’altra polvere e si crea un solido con
solubilità maggiore
• Eutettici
• Soluzioni vetrose
• Sospensioni vetrose
• Amorfi
67
Soluzioni solide ed eutettiche à S

Il farmaco può essere disperso in vari modi in un solido.


• In forma di particelle grandi (> di 1nm) à dispersione
• In forma di particelle nanometriche à soluzioni solide

Metodi per ottenere soluzioni solide:

1) Metodo del solvente


• Spraydrying (v.): si crea una soluzione di farmaco ed eccipiente in grande quantità, si
spruzza all’interno della camera di essicamento, il solvente evapora e si formano
particelle solide di eccipiente con degli spot di farmaco al loro interno.
• Freeze drying (liofilizzazione): invece di riscaldare per togliere il solvente, questo si
elimina a basse temperature e pressione, ovvero si toglie per sublimazione.
• Co-precipitazione: abbiamo sempre una soluzione di farmaco e solvente in cui però
cambiano alcune condizioni, come temperatura o pH, e si arriva alla co-precipitazione
delle due sostanze.

2) Sistemi Meccanici
• Ball Milling: si unisce farmaco con eccipienti e si macina il tutto insieme.

3) Sistemi di fusione
• Termoplastic Liquid Filled: l’eccipiente si fonde ad una certa temperatura e incorpora il
farmaco à generalmente porta a sospensioni solide.
• Spray chilling
68
• Hot melt granulation
• Hot melt extrusion

CO-PRECIPITAZIONE

Questo grafico è una rappresentazione


di una situazione ideale, non reale.

È un sistema cartesiano dove in ascissa


troviamo la % di due componenti A e B
(uno il farmaco e l’altro l’eccipiente),
mentre in ordinata è riportata la
temperatura.

Poniamo di avere una soluzione in cui il 90% è costituito da B e il 10% da A.


Si sciolgono entrambi in un solvente in modo fino a raggiungere una dissoluzione
completa.
Quindi prima si alza la temperatura fino a raggiungere il valore al quale entrambe le
sostanze sono in soluzione; poi, man mano che si abbassa la temperatura, le
concentrazioni di A e B in soluzione calano fino a raggiungere un punto particolare, detto
punto eutettico in cui entrambe le sostanze precipitano insieme. Questo comporta che in
soluzione il rapporto tra le concentrazioni di A e B al punto eutettico resti sempre
costante.

Quindi ripetendo: alla diminuzione della temperatura, leggendo il grafico da sinistra a


destra, comincia a precipitare A mentre B rimane in soluzione. Quindi in soluzione
(costituita da A liquido e B liquido), la concentrazione di A diminuisce, di conseguenza
quella di B aumenta rispetto a prima perché A precipita. Questo andamento prosegue
fino al punto di contatto con la retta parallela del grafico in cui A e B precipitano in
rapporto stechiometrico in modo che la concentrazione di A e di B in soluzione rimanga
costante à questo punto è detto punto eutettico (E).

Il Punto azeotropo (es acqua e alcol etilico) invece è un punto in cui non è più possibile
separare per distillazione alcol e acqua (ad esempio), perché appena evapora l’alcol
comincia ad evaporare anche l’acqua.
Il punto eutettico è simile all’azeotropo, ma riguarda la precipitazione, ed è un punto in cui
non precipita più uno solo dei due composti ma questi precipitano insieme in modo
stechiometrico à ottengo una soluzione eutettica solida e liquida.

69
Il grafico che rappresenta le condizioni reali è
questo sulla sinistra, dove le rette sono state
sostituite da curve.
Infatti, quando abbasso la temperatura nella
realtà non precipita solo uno dei due elementi,
ma da subito A precipita assieme ad un po’ di B,
per questo il processo è detto co-
precipitazione.

È importante perché quando comincia a


precipitare l’eccipiente, esso si trascina anche
un po’ del farmaco come se fosse impurezza.
Alla fine, si ottiene una soluzione solida in cui il farmaco (B) viene inglobato all’interno del
cristallo di A e i due composti risultano molto più solubili tra loro.
Quindi all’inizio precipita molto eccipiente e poco farmaco, mentre alla fine otterremo un
solido fatto quasi tutto da eccipiente con piccole particelle di farmaco à abbiamo
ottenuto una vera e propria soluzione solida.
Le soluzioni solide si comportano come se fossero una sostanza pura.

Esempio: Curva di griseofulvina + acido


succinico (eccipiente)

Sull’asse y del nel grafico è riportata la


concentrazione di griseofulvina in soluzione,
sull’asse x invece abbiamo il tempo. La curva
che raggiunge la concentrazione più alta
rappresenta una soluzione solida di griseofulvina
e acido succinico; la curva al di sotto
rappresenta l’andamento della soluzione
eutettica.
Sono poi presenti delle curve che si trovano al di sotto della linea tratteggiata (indica
l’equilibrio di solubilità), che dimostrano che quando si mescola la griseofulvina con un
eccipiente che ne aumenta la bagnabilità, aumenterà anche la velocità di dissoluzione. Si
arriva alla concentrazione di saturazione in tempi più brevi, per poi raggiungere un
plateau.

Questi processi sono inizialmente governati da un controllo cinetico, in quanto in un


primo momento tutte le particelle del solido sono in soluzione; successivamente subentra
il controllo termodinamico perché le particelle “di troppo” andate in soluzione
riprecipitano e si sottraggono all’equilibrio, raggiungendo così una concentrazione di
saturazione.
N.B. Il processo è vantaggioso perché assumiamo che il farmaco appena si discioglie
venga anche assorbito, quindi il solido non ha il tempo di precipitare ma va subito nel
sangue (non avviene il controllo termodinamico).

70
Eutettici vs Soluzioni Solide
Le soluzioni solide sono sistemi mono-fasici omogenei formati da “cristalli” misti, termine
non propriamente corretto perché non sono cristalli, sono solidi di dimensioni diverse tra
di loro.

VANTAGGI DELLA SOLUZIONE SOLIDA:


• Aumento della solubilità perché le particelle sono più piccole (v. legge di Ostwald-
Freudlich).
• Aumenta il processo di dissoluzione grazie alla diminuzione della dimensione delle
particelle e quando l’eccipiente va in soluzione, porta con sé particelle di farmaco.
• Non si verificano agglomerazione o aggregazione delle particelle, ovvero i problem
principali delle particelle così piccole.
• Aumenta la bagnabilità perché l’eccipiente è idrofilico.
• Sono state ottenute delle forme amorfe, o sostanze con contenuto energetico
abbastanza alto à il farmaco è in una condizione energetica abbastanza alta e questa
energia gli servirà per andare in soluzione (v. Spiegazione del perché in seguito).

Per fare le soluzioni solide si usano alcuni eccipienti già visti:


(STRUTTURE DA CONOSCERE)

PEG: polietileneglicole
POLIOSSIETILENE, è un etilene
OSSILATO. Ottenuto per polimerizzazione
dell’ossido di ETILENE molecola molto

PVP: polivinilpiloridone
polimero di un
monomero che è un
VINILE (doppio legame
tra 2 C) a cui è legato un
PIRROLO.

HIGH ENERGY BALL MILLING

È un altro metodo per ottenere una soluzione solida. Si tratta di un mulino ad alta energia
per effettuare la nanonizzazione e ottenere delle soluzioni solide (v. capitolo 8).
Con questo metodo si ottiene una polvere di eccipiente e farmaco, la si fonde in modo
che le particelle di eccipiente inglobino quelle di farmaco e poi si fa evaporare
l’eccipiente.
71
Stato solido à S

CRISTALLO VS AMORFO
Forma amorfa: forma disordinata in cui tutte le molecole sono all’interno del solido in
maniera casuale e in cui non si ha regolarità di disposizione.
Forma cristallina: le molecole sono disposte in modo ordinato nello spazio secondo
coordinate spaziali riproducibili in ogni punto.
Polimorfo: forme solide cristalline diverse di una stessa sostanza con contenuto
energetico diverso. Un esempio sono la grafite e il diamante, che possiedono forme
cristalline diverse per la stessa sostanza. Le due forme hanno contenuto energetico
diverso, il diamante ha un contenuto energetico più basso perché rompere i legami in un
diamante è molto difficile, invece la grafite si rompe più facilmente e quindi vuol dire che
possiede già una certa energia al suo interno.

ANIDRO VS SOLVATATO
Entrambe le forme, amorfa e cristallina, possono essere solvatate, quindi possono
contenere un solvente che in genere è l’acqua.

VELOCITÀ DI DISSOLUZIONE
In genere, l’amorfo è più veloce da sciogliere rispetto al cristallo.

72
Chi si scioglie meglio tra forma idrata e o non idrata? Dipende dal tipo di farmaco.

Eritromicina: (primo grafico) si scioglie prima la forma idrata perché aumenta la velocità di
dissoluzione all’aumentare del grado di idratazione.
Teofillina: (secondo grafico) la forma anidra si scioglie prima della forma idrata. La
dissoluzione della teofillina monoidrata arriva ad un equilibrio di solubilità, la teofillina
anidra invece forma una soluzione supersatura con un picco oltre il doppio di quella
idrata. Successivamente, anche la monoidrata cristallizza e arriva ad un equilibrio di
solubilità.
Perché?
Perché il processo di dissoluzione è sotto controllo cinetico e termodinamico.
Nella forma idrata prevale il processo cinetico perché le particelle di farmaco sono già
idratate e non perdono tempo in questo processo à da un punto di vista cinetico è un
evento favorito perché è molto rapido.
Nella forma anidra invece prevale il controllo termodinamico poiché le particelle non sono
idratate e quando si forma un legame tra particelle e solvente si ha liberazione di energia,
quindi questo processo è favorito dal punto di vista termodinamico.

I cristalli, in genere, si formano lentamente perché le molecole impiegano del tempo per
capire la condizione migliore per abbassare il livello energetico del sistema. Le molecole
formano legami intermolecolari stabili perché si riarrangiano nel modo che consente
loro di avere meno energia libera.
L’amorfo, invece, si forma più casualmente e in modo diverso, con precipitazione rapida.
Il prodotto precipita in modo disordinato perché non ha avuto il tempo e le condizioni di
cristallizzare, perciò i legami casuali nel solido amorfo hanno un contenuto energetico
medio più alto perché i legami che si sono formati sono più deboli e quindi più instabili.

73
La disposizione del legami influenza il processo di dissoluzione, se i legami sono ordinati
ci vorrà molta energia per romperli e perciò più tempo per dissolverli, se invece sono più
disordinati e mediamente più deboli ci vorrà meno tempo à Nell’amorfo la velocità di
dissoluzione aumenta (più veloce)

Lo stato del mio farmaco influenza il profilo di dissoluzione e quindi la


BIODISPONIBILITÀ.

Caratteristiche dei cristalli


• Habitus: aspetto microscopico del
cristallo
• Combinazione delle forme
cristallografiche: come sono
disposti nello spazio i piani e le
coordinate, struttura
tridimensionale

Caratteristiche dei polimorfi


Si formano per la presenza di diverse forme di risonanza delle molecole, per le rotazioni
che avvengono attorno ai legami, per la presenza di diversi legami intermolecolari e per la
presenza del solvente.

I polimorfi possono essere:


• Monotropici se non cambiano la struttura al variare della temperatura (diamante e
grafite).
• Enantiotropici se cambiano la struttura con la temperatura.

ANALISI DEI POLIMORFI


Lo studio dei polimorfi avviene con:
• XRD rifrazione raggi X
• Analisi termiche
• Saggi di dissoluzione e solubilità
• Indice di rifrazione
• Microscopia ottica
• Spettroscopia allo stato solido IR e NMR

PUNTO DI FUSIONE e SOLUBILITÀ


La solubilità aumenta al diminuire del punto di fusione. Più basso è il punto di fusione più
deboli sono i legami.

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PROPRIETÀ DEI POLIMORFI
• Hanno diversa solubilità
• Diversa velocità di dissoluzione
Questi primi due punti implicano che la solubilità aumenti al diminuire del punto di fusione
perché i legami si rompono più facilmente.
• Hanno diversa reattività chimica allo stato solido
• Diverse PROPRIETÀ MECCANICHE
• Diverse PROPRIETÀ SPETTROSCOPICHE
• Diverse PROPRIETÀ di SUPERFICIE

EFFETTO DEL POLIMORFISMO IN AMBITO FARMACEUTICO

• Disponibilità à sulfametossidiazina
Nel grafico a lato sono riportate le solubilità dei 2
polimorfi.
Nel secondo polimorfo, all’aumentare del tempo la
concentrazione diventa sempre maggiore e il
farmaco va in soluzione molto rapidamente, oltre la
Cs. Poi la concentrazione diminuisce e ritorna
gradualmente a quella di saturazione.
La sulfametossidiazina è un polimorfo metastabile,
che ha molta energia in sé e per questo va in
soluzione più rapidamente, infatti avendo un livello
energetico già alto i legami si rompono facilmente
fino ad arrivare in sovrasturazione ma ad un certo
punto prevale il controllo termodinamico e arriva a
Cs.

• Biodisponibilità à cloramfenicolo
È un profilo farmacocinetico che descrive la
concentrazione di farmaco nel sangue in funzione del
tempo.
Esistono 2 forme per lo stesso farmaco, una stabile e
una instabile.

Il polimorfo M ha una biodisponibilità molto bassa, a


differenza del polimorfo L che ha una biodisponibilità
molto alta.
Il primo è un polimorfo stabile con un’energia libera
ridotta e che fa fatica ad andare in soluzione (quindi
ad essere assorbito). L invece è un polimorfo instabile
con contenuto energetico elevato che si scioglie più
rapidamente.
Quando si fa una miscela dei due polimorfi si modifica la biodisponibilità complessiva.

75
Quando si utilizzano dei prodotti metastabili, instabili o amorfi bisogna essere sicuri che il
prodotto mantenga la stessa composizione quali-quantitativa fino alla data di scadenza
del farmaco in quanto, se non fosse così, la velocità di dissoluzione del farmaco non
sarebbe la stessa con il passare del tempo. Questo accade perché il polimorfo meno
stabile può trasformarsi in un polimorfo più stabile.

Il passaggio da un polimorfo instabile a uno più stabile avviene comunque perché il


sistema evolve sempre verso un contenuto energetico più basso, con rilascio di energia.
Invece quando forniamo energia ai farmaci attraverso i vari processi tecnologici (vedi
micronizzazione, macinazione) stiamo trasformando il prodotto in qualcosa di meno
stabile che cambia il proprio profilo di dissoluzione.

Riprendendo l’equazione di Noyes-Whitney, analizziamo il coefficiente di diffusione:

In questo caso specifico lo vedremo nel passaggio dallo stato stazionario alla
dissoluzione, ma si tratta sempre dello stesso parametro visto anche per l’assorbimento e
il passaggio attraverso le membrane.

N.B. La diffusione è maggiore quando aumenta la temperatura, è inversamente


proporzionale al raggio della molecola che attraversa il liquido e alla viscosità del liquido
stesso.

Per quanto riguarda lo stato stazionario h al denominatore dell’equazione, esso è un


parametro su cui non si può intervenire molto dal punto di vista farmaceutico.
Possiamo formare sali, complessi, possiamo micronizzare e nanonizzare, tutti processi
che permettono l’aumento della velocità di dissoluzione del farmaco in modo transitorio.

76
Altri metodi per aumentare la velocità di dissoluzione

Posso inoltre sfruttare altri 3 processi tecnologici:


• Micelle
• Ciclodestrine
• Coniugati

MICELLE

Sono dei sistemi supramolecolari, formati da


macromolecole o co-polimeri.
Sono molecole anfifiliche perché hanno una PARTE
IDROFOBICA e una IDROFILICA. Quest’ultima è formata
spesso da polietilenglicole, per la parte idrofobica in genere
troviamo vitamina E (tocoferolo) o catene alifatiche.

77
Queste molecole, in acqua, si organizzano in strutture come micelle o liposomi e vengono
sfruttate anche come stabilizzanti delle emulsioni.

A livello strutturale presentano una porzione polare e una apolare.


Le micelle messe in acqua vanno inizialmente in soluzione, poi quando la concentrazione
aumenta e sono vicine alla concentrazione di saturazione quelle in eccesso si dispongono
sulla superficie ed espongono la parte idrofobica verso l’aria e la parte idrofilica verso
l’acqua in modo da ridurre la tensione superficiale.
Quando il numero di queste molecole è elevato, esse si organizzano internamente e
formano delle strutture organizzate che riducono l’energia libera poiché dispongono tutte
le catene idrofobiche vicine tra di loro. Se interagissero con l’acqua ci sarebbe tanta
energia libera di sistema, perché esse non formano legami intermolecolari stabilizzanti.
Quindi la parte idrofobica forma delle interazioni apolari e abbassa il livello energetico
(coalescenza).
Si formano delle micelle non perfettamente
sferiche ma al cui interno non c’è acqua,
quindi è un ambiente idrofobico. Si genera
così un gradiente di acqua tra interno ed
esterno: all’interno l’acqua non c’è o è molto
poca, mentre man mano che ci si sposta
verso l’esterno la sua concentrazione
aumenta. In questo modo è possibile inserire
un farmaco lipofilo che non riesce a stare in
acqua all’interno della micella e portarlo in
soluzione à riusciamo a solubilizzare
qualcosa che, di per sé, non sarebbe
solubile.

Quindi le micelle:
• Aumentano la solubilità e la stabilità del farmaco che potrebbe essere degradato in
acqua, aria o luce
• Riducono la tossicità del farmaco
• Permettono di ottenere un farmaco a rilascio prolungato e di aumentare la
permanenza del farmaco nel sangue
• Riescono ad avere un targeting passivo, cioè quando le micelle trasportano
passivamente il farmaco nel sito d’azione, e un targeting attivo, cioè quando le micelle
riconoscono specifici recettori cellulari di superficie e trasportano il farmaco
attivamente.

Nelle micelle i legami non sono covalenti, poiché sono vescicole in cui la membrana è un
doppio strato fosfolipidico, come nei liposomi. La differenze è che il liposoma ha un cuore
acquoso, le micelle invece all’interno sono idrofobiche e riescono a portare in soluzione
farmaci lipofili.

78
Sono sistemi instabili e quindi quando sono in circolo non sono più sotto forma di micelle
ma si degradano, interagendo con proteine e altre componenti presenti nel circolo.
La parte idrofobica forma dei legami molto deboli e instabili con il solvente acquoso, di
conseguenza l’energia libera del sistema è alta; la stessa parte idrofobica forma invece
legami a bassa energia quando si associa con altre porzioni idrofobiche à è necessario
fornire molta più energia per separarli.

Sostanze utilizzate:
Castor oil polietossilato: ottenuto tramite reazione di 35 etileni ossidi con i gruppi
ossidrilici del castor oil.
Cremophor: usato come eccipiente, è un derivato del castor oil (olio di ricino) unito ad
alcol etilico à avrebbe una grande capacità di formare micelle e portare in soluzione
farmaci molto particolari come gli antitumorali, in realtà, una volta nell’organismo, ha una
tossicità elevata e induce una reazione immunitaria.

Profarmaci
Si tratta di nuove entità chimiche in cui il farmaco viene legato covalentemente ad un’altra
sostanza (spesso esterea), per poi liberare il principio attivo in un secondo momento
grazie all’idrolisi del composto. Infatti si lega covalentemente il principio attivo con
un’altra molecola che dovrà migliorare alcune caratteristiche del principio attivo stesso,
come la biodisponibilità, la solubilità o aumentare la facilità di penetrazione delle
membrane. Il nuovo legame formato deve però essere idrolizzabile altrimenti il principio
attivo non può esplicare la sua funzione, per questo il tipo di legami interessati nella
formazione di questa categoria di prodotti saranno o esterei o acetilici.
Questi farmaci in cui il principio attivo è legato ad altre molecole sono detti profarmaci e
grazie ad essi si possono sia modificare odore, sapore e colore (CARATTERISTICHE
ORAGNOLETTICHE) del farmaco, sia è possibile andare a modulare il targeting, cioè il
direzionamento del farmaco.

Ad esempio, Ampicillina è un antibiotico con bassa permeabilità di membrana e bassa


biodisponibilità e che fatica ad entrare in circolo, per questo motivo è stato associato
all’acido bacarico o al pivalico in modo da ottenere un profarmaco che attraversa la
membrana molto più efficacemente. Una volta entrato in circolo il legame viene idrolizzato
e si libera l’acido corrispondente.
→ BACAMPICILLINA= AMPICILLINA + A. BACARICO

Con l’acido bacarico si ottiene un risultato migliore dal punto di vista della biodisponibilità
del farmaco perché si tratta un doppio estere dal quale poi si liberano 2 molecole di
etanolo e acido lattico.

79
Profarmaci polimerici (micelle polimeriche)
Le micelle si legano alle molecole di principio attivo grazie ai gruppi ossidrilici, in questo
modo si formerà un legame estereo. Si ottiene una macromolecola (o supramolecola) che
ha una parte idrofilica e una idrofobica a cui è legato il farmaco idrofobico non in grado di
solubilizzarsi nell’ambiente gastrico. Ogni legame che si forma si chiama unimero, gli
unimeri tra loro si associano e formano una micella, cioè una vescicola al cui interno si
lega il farmaco che risulta così protetto all’interno.
Le micelle sono strutture abbastanza stabili che possono circolare nel sangue per molto
tempo e, essendo molto
permeabili, riescono a localizzarsi
nei tessuti in modo passivo.
Arrivano al sito target infiammato
ma non raggiungono il tessuto
sano perché sono delle sostanze
colloidali (grandi dimensioni) che
riescono a penetrare solo nel
tessuto danneggiato dell’endotelio
vascolare più permeabile di quello
sano. Questa selettività è
vantaggiosa e permette di
raggiungere un target specifico.

80
CICLODESTRINE

Le ciclodestrine, come suggerisce la parola, sono delle strutture cicliche costituite da un


saccaride di destrano-destrosio. Nel complesso, sono oligosaccaridi ottenuti dalla
degradazione dell’amido (polisaccaride).
Le ciclodestrine possono essere formate da 6/7/8 molecole di glucosio legate tra loro con
legami 1-4 α a formare una struttura detta toro, ossia un tronco di cono cavo con un
interno vuoto. L’interno di del toro è idrofobico, mentre l’esterno è idrofilo in quanto nella
parte con la base maggiore ci sono due ossidrili in posizione 2’ e 3’ del glucosio, invece
nella base minore è presente l’ossidrile in posizione 6’ del glucosio à questa disposizione
conferisce idrofilicità alla struttura esterna.
Il farmaco entra nella cavità e sta in soluzione: si forma quello che inizialmente veniva
chiamato corpo di inclusione perché si pensava che una sola molecola di farmaco si
posizionasse all’interno della cavità. In realtà ci possono essere anche più molecole di
farmaco all’interno di una ciclodestrina o viceversa, una molecola di farmaco può legarsi
a più ciclodestrine, infatti oggi si parla di complesso di inclusione e non più corpo di
inclusione.

Esistono varie tipologie di ciclodestrine e ciò dipende dalla struttura e dalla grandezza
della cavità interna: le ciclodestrine naturali sono 3 (α,β,γ):
a→ 6 GLUCOSI (+ PICCOLA)
β→ 7 GLUCOSI
γ→ 8 GLUCOSI (+ GRANDE)

Le proprietà di queste ciclodestrine sono diverse tra loro e hanno un costo diverso che
dipende dalla difficoltà di ottenimento.
Le ciclodestrine a e γ sono molto solubili, mentre la β è la meno solubile.
• a è una ciclodestrina SOLUBILE perché presenta solo 6 unità di glucosio disposte a
formare un tronco di cono molto rigido a livello strutturale. In questo modo non si
possono formare legami a idrogeno intorno alla circonferenza, dunque gli OH sono
liberi e possono coordinare acqua, rendendo la molecola solubile.
• La γ è SOLUBILE perché avendo 8 unità di glucosio che la rendono particolarmente
ingombrante risulta molto flessibile. Questo impedisce la formazione di ponti H
intramolecolari e quindi anche qui i gruppi OH sono liberi per coordinare l’acqua.

81
• La ciclodestrina β, invece, ha una struttura intermedia a 7 glucosi che permette la
formazione di legami H intramolecolari, di conseguenza gli OH non sono più liberi e
l’interazione con l’acqua non può avvenire.

Le ciclodestrine di tipo β sono le più economiche rispetto agli altri tipi perché sono
ottenute tramite un processo di cristallizzazione: una volta in soluzione precipitano subito
e si possono semplicemente separare dalla miscela, a differenza dei tipi a e γ che invece
rimangono in soluzione.
Le β sono anche le più utilizzate perché la loro cavità è della dimensione adatta per
incorporare molti farmaci; nelle a, invece, la cavità è troppo piccola, mentre nelle γ la
cavità è troppo grande, per cui il farmaco entra ma non interagisce bene con le pareti
interne e non forma interazioni stabili (esce facilmente).
Le ciclodestrine sono molto usate anche in cosmetica o in prodotti per la casa come
deodoranti per ambienti che all’interno contengono essenze che vengono piano piano
liberate nell’aria.

Come si libera il farmaco dalla ciclodestrina?


• Per semplice diluizione: il complesso ciclodestrina-farmaco è non covalente, quindi
esiste un equilibrio tra forma dissociata e complessata e spostandolo tramite la
diluizione si favorisce la forma indissociata del farmaco.
• Per riscaldamento: fornendo energia si rompono i legami
• Per degradazione della ciclodestrina (lenta)
• Per il cambio di pH, infatti se i farmaci (acidi o basi deboli) si trovano nella forma
indissociata sono più idrofobici e stanno bene all’interno della cavità della
ciclodestrina, invece se sono nella forma ionizzata escono subito.

Problemi di tossicità per via sistemica


Il problema principale delle ciclodestrine è associato alla loro scarsa solubilità e al fatto
che precipitano facilmente.
1. Le ciclodestrine sono tossiche in quanto possono precipitare a livello renale e causare
un danno.
2. L’altro problema è legato al fatto che nell’interno idrofobico delle ciclodestrine si
accumula bene il colesterolo che prelevano dalle membrane delle cellule
destabilizzandole à si può avere un danno per emolisi dei globuli rossi
A causa di queste ragioni le ciclodestrine β non possono essere usate per via sistemica.
Si possono invece usare le a, che sono state approvate oppure alcuni derivati
semisintetici delle ciclodestrine in cui queste caratteristiche sono state diminuite.

Come si ottengono le ciclodestrine?


Le ciclodestrine si ottengono per fermentazione dell’amido ad opera di un batterio detto
Bacillus macerans che possiede l’enzima ciclodestrin-glucosil-tansferasi.
Il processo produttivo è abbastanza semplice, si parte facendo una dispersione acquosa
di amido in acqua e poi si aggiunge direttamente l’enzima.

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Si incuba la dispersione a 60°C per alcuni giorni in modo che si formino le ciclodestrine:
questi i batteri tagliano l’amido e lo ciclizzano ed eseguono poi lo stesso procedimento
sui i monomeri in eccesso.
Una volta formate le ciclodestrine, la temperatura si alza e in questo modo si inattiva
l’enzima. All’interno della soluzione rimane quindi dell’amido in eccesso, per eliminarlo si
aggiungono delle alfa-amilasi che rompono i legami tra i monomeri di zucchero
dell’amido; successivamente si induce la cristallizzazione delle ciclodestrine e si filtrano
per estrarle.

Farmaci con ciclodestrine


Ci sono vari modi per preparare i farmaci con ciclodestrine:
1. Macinazione: viene fornita energia, che è utilizzata per fare entrare il farmaco
all’interno della cavità della ciclodestrina
2. Co-precipitazione: meccanismo per formare soluzioni solide
3. Freezer drying: congelamento del solvente che viene eliminato per sublimazione o
per spray drying.

Ciclodestrine semisintetiche
Si ottengono tramite la funzionalizzazione dei gruppi OH in posizione 6 sporgenti dal
piano della molecola. Questa posizione è favorita perché risulta poco ingombrata
stericamente rispetto agli ossidrili secondari in 2’ e 3’ che invece presentano una reattività
minore.
Quando modifichiamo le ciclodestrine posso inserire:
• Gruppi fosfato e gruppi carbossilici che le rendono cariche e possono essere utili
per complessare farmaci basici.
• Gruppi alchilici come i metili: se attacchiamo pochi metili agli ossidrili andiamo a
mascherare alcuni gruppi OH e ad aumentare la solubilità del composto finale.
Essendo il gruppo metile idrofobico questo risulta contro intuitivo, in realtà inserendo
POCHI GRUPPI METILICI si rompe la sequenzialità di ponti H formati dai vari OH à
quelli rimasti quindi sono ora liberi di legarsi all’acqua, mentre prima erano tutti
coordinati tra di loro.
Se invece inseriamo tanti metili otteniamo una ciclodestrina molto idrofobica che non
lega l'acqua.
• Idrossialchilazione: con questo procedimento vengono mantenuti i gruppi ossidrilici
che però non sono più in grado di instaurare un ponte idrogeno tra loro essendo molto
mobili à si ottiene una ciclodestrina molto solubile utilizzabile anche per via
parenterale.

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Alcuni farmaci sul mercato a base di ciclodestrine :

Applicazioni ciclodestrine:

84
STUDI DI DISSOLUZIONE

Quando si effettua uno studio di dissoluzione?


• Durante la fase preformulativa in cui si vuole conoscere la velocità di dissoluzione
del farmaco (cristallo, amorfo, forma idrata/anidra) e gli eccipienti. È la fase
preparatoria.
• Durante la fase di formulazione in cui si formula il farmaco e si è scelta la forma
farmaceutica (es. compressa): si scelgono eccipienti, dose, processo produttivo e, di
ogni prototipo, si fa uno studio di dissoluzione per verificarle la velocità di dissoluzione
facendo delle correlazioni vitro/vivo.
• Durante il processo produttivo controllo qualità della forma farmaceutica finita: per
qualsiasi forma farmaceutica si deve analizzare la velocità con cui il farmaco si rende
disponibile.

Per effettuare dei corretti studi di dissoluzione abbiamo a disposizione diversi metodi
riportati nelle immagini sopra. Questi però risultano poco robusti perché forniscono
risultati diversi per ogni esperimento in quanto dipendono dalla strumentazione, dalla
temperatura e dalla pressione, tutti parametri su cui si ha poco controllo.

Allora si è cercato un metodo meno empirico indipendente da tutti i parametri sopra citati
identificato da protocolli specifici dettati dagli enti regolatori.
Una delle tecniche più diffuse prevede l’utilizzo di un apparecchio con volume, numero di
giri, pH, e temperatura controllati da strumenti definiti da farmacopea.
Posso usare anche altre condizioni ma devo specificare il motivo della mia scelta.

In pratica si sfrutta uno strumento detto dissolutore in cui è inserita una pala rotante che,
una volta immerso il farmaco in forma solida all’interno della soluzione acquosa, crea un
movimento vorticoso del liquido che aiuta la dissoluzione del farmaco. In questo modo,
utilizzando due dissolutori, è possibile andare a confrontare la velocità di dissoluzione di
due farmaci equivalenti e verificare che sia la stessa.

85
Questo sotto sarà lo strumento utilizzato in laboratorio:

Studio di dissoluzione in sink condition


In un classico studio di dissoluzione l’andamento del grafico tende a un valore di plateau
perché man mano che viene saturato il solvente, e che quindi si raggiunge la
concentrazione di saturazione, si ha una retrogradazione della velocità di dissoluzione
che diventa sempre più lenta a causa del processo di tipo processo diffusivo.
Quest’ultimo infatti prevederebbe il passaggio del farmaco da una zona ad alta
concentrazione a una a bassa concentrazione, tale passaggio risulta molto veloce nella
prima parte del processo, invece man mano che tra la differenza di concentrazione tra i
due compartimenti cala, la velocità di diffusione diminuisce (à ∆C legge di Noyes-
Whitney).
Per evitare questo problema ci si deve porre in condizioni sink, ovvero in condizioni in cui
la concentrazione dell’ambiente in cui il farmaco diffonde è mantenuta molto al di sotto
della Cs (sotto il 20-30%), in questo modo non ci si deve preoccupare dell’effetto
ritardante della velocità di dissoluzione poiché il farmaco continuerà a diffondere senza
che ∆C diminuisca in modo considerevole.
In condizioni così diluite però risulta difficile rilevare il valore di concnetrazione tramite
metodi spettroscopici, perciò si deve utilizzare un co-solvente e poi trasferire il risultato in
condizioni reali.

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Correlazioni vitro/vivo

Si svolgono in fase formulativa: una volta prodotta la compressa si deve andare a


verificare quanto farmaco si è in grado disciogliersi e di rendersi disponibile una volta
all’interno dell’organismo, anche se il risultato comunque non indica quanto velocemente
viene assorbito e quale sarà il profilo farmacocinetico.
Per effettuare questi controlli sono necessari test in vivo per vedere se la velocità di
dissoluzione ottenuta corrisponde al profilo farmacocinetico posto come obiettivo.
Questo test prevede quindi la somministrazione del farmaco alla cavia animale, si
prosegue poi con il prelievo di sangue della stessa e con la “graficazione” dei risultati
ottenuti.
Il costo di tali processi però è molto elevato, infatti di per sé lo studio in vivo per ogni
prototipo è sconveniente e inaccessibile a gran parte dei laboratori, per questo bisogna
correlare lo studio in vivo con quello svolto in vitro precedentemente in modo da limitare
l’uso di cavie e quindi anche le spese economiche.

Quindi per prima cosa si svolge uno studio in vitro di tutti i prototipi da analizzare (tutte le
varie compresse che stiamo studiando) e, tra questi, si selezionano quelli con i risultati

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che più si discostano tra di loro. Si esegue quindi uno studio in vivo solo delle
compresse selezionate in cui si prende come riferimento un parametro che descrive la
dissoluzione dei farmaci scelti, ad esempio il tempo per avere la dissoluzione del 50%, il
tempo che impiega la compressa a sciogliersi o quanto si è sciolta in 30 minuti; si
possono prendere in considerazione ovviamente anche AUC, Cmax e Tmax.
In questo modo, delle varie formulazioni a disposizione, si ottengono alcuni dati in vivo e
alcuni in vitro così da costruire un grafico di correlazione vitro/vivo rappresentato da una
curva.
Questo risulterà molto utile perché quando andremo a considerare una nuova
formulazione farmaceutica sarà possibile prevedere il suo andamento in vivo a partire dai
test in vitro, grazie al grafico di correlazione.
Una volta trovata la forma farmaceutica migliore, ovvero quella da cui abbiamo ottenuto il
profilo farmaceutico migliore, allora potremo eseuigre uno studio farmacocinetico
completo.

2. Diffusione
Il processo diffusivo è il secondo step più importante per quanto riguarda il rilascio del
farmaco e lo abbiamo già incontrato nell’ambito del passaggio e nella diffusione del
farmaco attraverso la membrana cellulare.

Il processo di diffusione fa parte dei processi Fickiani (vedi prossima pagina) in cui si
cerca di descrivere la diffusione del farmaco attraverso una membrana tramite degli
specifici parametri, tra cui:
1. D à coefficiente di diffusione espresso dall’equazione

𝑘𝑇
𝐷=
6𝜂𝑟𝜋
2. P à coefficiente di permeabilità

𝐷𝐾)/N
𝑃=
𝜕

3. Velocità di diffusione J

88
Prima di affrontarle in dettaglio, vediamo le premesse fondamentali delle 2 leggi di Fick:

• 1ª LEGGE: descrive la diffusione in un sistema detto sistema all’equilibrio o SISTEMA


RESERVOIR.
Perché si chiama all’equilibro? Perché il farmaco si trova in una condizione di
sovrasaturazione circondato da una membrana, da cui fuoriesce, che rimane sempre
dello stesso spessore per tutto il processo di diffusione.
possiamo quindi dire di essere in condizioni di equilibrio in quanto la differenza di
concentrazione tra interno ed esterno della matrice rimane costante per la gran parte
del processo.

• 2° LEGGE: descrive il rilascio da un SISTEMA MONOLITICO non all’equilibrio. In


questo caso non abbiamo una membrana intorno al farmaco, ma esso si trova
impregnato all’interno di una matrice omogenea e fissa.
Tale sistema non è all’equilibrio perché in ogni momento la concentrazione di farmaco
all’interno cambia insieme alla distanza che il farmaco deve percorrere per uscire
nell’ambiente esterno à infatti prima uscirà la quantità di farmaco più esterna (in
superficie), successivamente quello più all’interno.

89
1° LEGGE DI FICK = SISTEMA A RESERVOIR

Si suppone che il farmaco all’interno della membrana si trovi allo


stato solido, perciò per uscire deve prima sciogliersi dall’interno,
raggiungere la membrana e poi attraversarla.

In questo sistema abbiamo una certa quantità di farmaco che si


trova in sovrasaturazione all’interno della matrice, tale
concentrazione la chiamiamo C1.
Però, proprio perché il farmaco si trova in sovrasaturazione, la sua concenrazione si può
assumere costante in tutti i punti della matrice interna, e quindi anche nel punto più
interno della membrana a contatto con la matrice che chiamiamo Cm1 (possiamo quindi
scrivere C1=Cm1). Tale concentrazione invece diminuisce sempre di più man mano che
ci si sposta dal punto Cm1 al punto Cm2, più distante dalla matrice. All’esterno poi ci
troviamo in condizioni sink, per cui si può scrivere un’equazione del tipo Cm1=KdC1,
dove kd indica il coefficiente di ripartizione, e quindi di solubilità del farmaco, all’interno
della membrana.
La concentrazione C1=Cm1 interna rimane costante nel tempo perché man mano che il
farmaco diffonde dal punto Cm1 a Cm2 si ha un continuo rimpiazzo di altro farmaco
proveniente dall’interno che si ripartisce nel primo punto.

Questa è una condizione di equilibrio perché rimangono costanti sia lo spessore della
membrana (l è sempre lo stesso per tutto il rilascio del farmaco), sia la differenza di
concentrazione tra Cm2 e Cm1 finché la quantità di farmaco è sufficiente a saturare il

90
punto Cm1. Quando la concentrazione di farmaco interna non sarà più sufficiente a
saturare Cm1, le condizioni di equilibrio cambieranno (solo alla fine del processo).

Quindi nella prima legge di Fick troviamo i seguenti parametri:


- KD: coefficiente di diffusione
- ΔC: differenza di concentrazione tra Cm1 e Cm2
- l: larghezza della membrana

Ripetendo, si tratta di un sistema che definiamo all’equilibrio perché lo spessore della


membrana rimane costante e il farmaco deve attraversare sempre lo stesso spazio;
inoltre, la differenza di concentrazione tra Cm1 e Cm2 è costante per tutto il periodo di
rilascio del farmaco, ad eccezione della conclusione del processo, in cui avremo una
diminuzione della concentrazione.
Il flusso/velocità rimane costante finché è possibile saturare il punto Cm1, infatti ∆C
rimane costante poiché, man mano che il farmaco esce, viene rimpiazzato da dell’altro
che è all’interno.
Solo alla fine, quando il farmaco è quasi tutto uscito, non ci sarà più equilibrio.

91
Aspect ratio
A seconda della forma geometrica della matrice, la legge di Fick viene modificata
secondo le equazioni dell’immagine:

Per esprimere la velocità del flusso, bisogna tenere conto degli aspetti geometrici del
sistema che saranno diversi per un film sottile (cerotto transdermico in cui c’è una
membrana che controlla la velocità di rilascio del farmaco), per una sfera o per un cilindro
(di solito impiantati sotto la cute).
Di solito quando si fanno queste analisi si considerano sempre film sottili, sfere e cilindri
perché sono forme geometriche limite. Infatti comprimendo un cilindro si ottiene una
sfera, comprimendo ulteriormente si ottiene un film sottile.

Per indicare la forma considerata si parla di aspect ratio, un numero che indica se siamo
più vicino alla forma di una sfera, di un cilindro o di un film sottile.

Nel caso della prima legge di Fick si ha la soluzione dell’equazione in base ai parametri
geometrici che vengono inseriti, ovvero l’area superficiale (S) e l’altezza della membrana
se parliamo di un film; se invece abbiamo un cilindro dovremo inserire i raggi ro e ri:
ro = raggio out, arriva fino al secondo strato di membrana, quindi è il raggio esterno.
ri= raggio in, arriva fino al primo strato e tiene conto anche dello spessore della
membrana.
La differenza ro-ri indica lo spessore effettivo della membrana.
dMt/dt = velocità, quantità di farmaco che viene rilasciata nel tempo (velocità di rilascio
con M = massa di farmaco).
Anche per la sfera abbiamo ro e ri anche se in questo caso la struttura è diversa perché
manca l’altezza.

92
2ª LEGGE DI FICK = SISTEMA MONOLITICO

In questo caso il sistema non si trova all’equilibrio perché tutto il farmaco è impregnato in
una matrice polimerica, quindi non è presente una membrana attraverso cui il farmaco
deve diffondere che controlla la velocità di rilascio. Una premessa necessaria è che,
perché questa legge sia applicabile, il farmaco deve essere sciolto all’interno della
matrice polimerica, cioè deve essere molecolarmente disperso.
Questo vuol dire che il farmaco, per uscire, cambierà continuamente la sua condizione:
- Cambia lo spazio che deve percorrere per uscire perché le molecole che sono verso
l’esterno escono velocemente perché hanno poco spazio da percorrere; man mano
che questo accade, però, quelle interne si devono spostare verso il margine della
matrice compiendo un percorso sempre maggiore à cambia la distanza che le
molecole percorrono.
- Cambia la concentrazione perché man mano che il farmaco esce la concentrazione
nella matrice diminuisce.

Le condizioni cambiano continuamente, in questo modello quindi non si è all’equilibrio, né


per la distanza che il farmaco deve percorrere per uscire, né per la concentrazione
all’interno della matrice.

L’equazione completa della seconda legge di Fick è:

Le equazioni del cilindro e della sfera valgono per una quantità di farmaco rilasciata
massimo del 15% per il cilindro e del 20% per la sfera. Vuol dire che questa legge, risolta
tramite i parametri geometrici, è valida solo per il primo 15% di farmaco che viene
rilasciato, quindi solo all’inizio della diffusione, ma oltre il 15% non è più valida.
Proprio perché la % di errore è molto alta (85%), la seconda legge di Fick viene poco
utilizzata.

93
EQUAZIONE DI RITGET-KORSMEYER-PEPPAS

È stata quindi proposta un’altra equazione semiempirica, detta equazione di Ritget-


Korsmeyer-Peppas, in cui troviamo Mt che indica la concentrazione di farmaco rilasciata
al tempo t, e M∞ la concentrazione di farmaco rilasciata a tempo ∞. Questa equazione
indica che la frazione di farmaco che viene rilasciata al tempo t è uguale a ktn, dove k è
una costante che descrive le caratteristiche della matrice, mentre n descrive il
meccanismo con cui il farmaco viene rilasciato.

- Se n = 1 il rilascio è costante, la quantità di farmaco rilasciata nel tempo è sempre la


stessa (il rilascio è di ordine zero).
- Se 0.5 < n < 1 rilascio è di tipo anomalo, cioè intervengono vari meccanismi di rilascio.
Il farmaco può essere rilasciato parzialmente per diffusione, parzialmente per
degradazione o per dissoluzione, quindi è un rilascio difficile da ricondurre a una
cinetica vera e propria.
- Se n = 0.5 il rilascio è di tipo Fickiano, quindi si ha una diffusione in un modello
monolitico, tramite un processo di tipo diffusivo à in questo caso la cinetica è di
pseudo primo ordine.

I valori di n non valgono in ogni circostanza in quanto dipendono dal tipo di matrice, cioè
dalla forma geometrica considerata.
Anche in questo caso vale il discorso dell’aspect ratio e delle tre forme limite: film sottile,
cilindro e sfera.
- Film sottile: n assume il valore di 0,5 e di 1;
- Sfera: n assume rispettivamente i valori di 0,43 e 0,85;
- Cilindro: n assume rispettivamente i valori di 0,45 e 0,89.

Vuol dire che in un film sottile, n=0.5 indica un rilascio Fickiano, se n è compreso tra 0.5 e
1 è anomalo.
Con lo stesso ragionamento, in una sfera n=0.43 sarà un rilascio Fickiano, n compreso tra
0.43 e 0.85 sarà anomalo.
94
In un cilindro, infine, n= 0.45 corrisponde ad un rilascio Fickiano, n compreso tra 0.45 e
0.89 indica un rilascio anomalo.

L’aspect ratio è dato da 2a/l, dove 2a è il


diametro (a=raggio) e l è l’altezza. In base a
questi parametri si possono ricavare diversi
aspect ratio a seconda della forma geometrica.
Se il rapporto di 2a/l è intorno a 100 si avrà un
film sottile, se è circa 1 una sfera, se è circa
0.01 un cilindro.

EQUAZIONE DI HIGUCHI à per farmaci in sospensione

La seconda legge di Fick vale quando abbiamo un farmaco disciolto nella matrice, quindi
quando è molecolarmente disperso. Però possiamo anche avere il caso di un farmaco
non disciolto e quindi non molecolarmente disperso, ma che invece si trova in una
sospensione, cioè in granelli di polvere indisciolti in una fase acquosa.
In questo caso possiamo utilizzare un’altra legge, detta legge di Higuchi.
In questo modello il farmaco, per uscire, deve come prima cosa sciogliersi per diffondere
nella matrice monolitica. Si instaurerà quindi un equilibrio tra il farmaco sciolto e non
sciolto all’interno della matrice à si tratta di una condizione mista tra un sistema
all’equilibrio e un sistema non all’equilibro, perché è vero che la distanza percorsa dal
farmaco per uscire aumenta sempre di più nel tempo, ma è anche vero che la
concentrazione di farmaco in soluzione nella matrice rimane praticamente costante, infatti
man mano che il farmaco esce, quello che prima era indisciolto si scioglie e quindi si
mantiene sempre una certa concentrazione.
Quella di Higuchi quindi è una legge generale che può valere anche per sostituire la
seconda legge di Fick (quindi o uso quella di Peppas o quella di Higuchi).

Assunzioni per l’equazione:


- Il rilascio è sempre di pseudo-primo-ordine à è un rilascio di tipo diffusivo.
- Nella matrice polimerica abbiamo una concentrazione di farmaco maggiore della Cs
(perché abbiamo del farmaco indisicolto) e quindi manteniamo sempre una
concentrazione di saturazione.
- Siamo in condizione di rilascio sink.
- Le particelle del farmaco sono più piccole della distanza percorsa per diffusione.
- Il coefficiente di diffusione rimane sempre costante.
95
- Non ci sono interazioni tra matrice e farmaco che in realtà potrei avere se avessi un
farmaco carico + e una matrice, ad esmpio, di acido ialuronico carica -. In questo
caso il rilascio non sarebbe più diffusivo perché avrei un controllo da parte
dell’interazione di carica.

Procedimento e calcoli:

Supponiamo di avere un parallelepipedo in


cui il farmaco è in equilibrio all’interno tra la
sua componente disciolta e quella indisciolta.
Supponiamo che il rilascio del farmaco
avvenga solo dall’area grigia chiara più a
destra del blocchetto, che chiameremo
fronte di deplezione à il farmaco esce e per
un certo tempo, nell’area grigio scura a
sinistra, non avremo più farmaco indisciolto
perché si sarà tutto sciolto e sarà uscito.
Allora qual è la concertazione di farmaco che
avremo a questo livello? Sarà la metà della
Cs perché assumiamo che nel primo punto
del volume di deplezione (blocchetto grigio
chiaro) la concentrazione sia Cs, e assumo
che la concentrazione nell’ultimo punto del blocchetto grigio chiaro sia zero. Quindi se
svolgiamo la media di questi due valori otteniamo esattamente la metà della Cs.

Quindi guardando la prossima immagine, abbiamo che il volume di deplezione sarà


Vol = dh•a•b e che, al tempo zero, all’interno del blocchetto avremo una quantità di
farmaco pari a C0 • Vol. Il farmaco depletato invece sarà dato da tutto quello che
avevamo all’inizio meno quello che è rimasto dentro che sarà concentrato Cs/2.
Il farmaco depletato quindi è tutto quello che avevo meno quello che è rimasto dentro.
Questo ovviamente nel caso io consideri un flusso unitario in cui a e b hanno valore 1
(vedi prossima immagine).

96
C0 è la concertazione che abbiamo nella metrice all’inizio e comprende tutto il farmaco
che abbiamo, sciolto e non sciolto; la Cs invece è la concentrazione dil farmaco in
saturazione all’interno della matrice. Ora che abbiamo questi valori possiamo risolvere
tutta l’equazione e ottenere dQ che è la quantità di farmaco rilasciata.

Ora richiamiamo la prima legge di Fick, perché abbiamo detto che siamo in una
condizione mista, un po’ di equilibrio e un po’ di non equilibrio à ci riportiamo alla prima
legge di Fick perché la concentrazione di farmaco in soluzione rimane costante, mentre
cambia in continuazione la distanza.
Otteniamo che la quantità di farmaco rilasciata è uguale al coefficiente di diffusione per il
tempie per la concentrazione di farmaco totale che avevo inizialmente, tutto per la Cs
elevato alla 0.5.

97
Dall’equazione capiamo che il rilascio è di tipo Fickiano perché il coefficiente è 0.5,
questo vuol dire che abbiamo una cinetica di pseudo primo ordine, indice di un rilascio
diffusivo di tipo Fickiano.
98
Vediamo poi che è presente il coefficiente di diffusione all’interno che indica che è un
processo diffusivo.

In questa equazione appena vista non si tiene conto del fatto che la matrice potrebbe
essere porosa e tortuosa (non abbiamo parametri che me lo indicano), quindi in generale
parliamo di matrici compatta che non cambiano di dimensione durante il rilascio (come
succede nelle leggi di Fick).
Però potremmo comunque avere matrici che cambiano forma durante il tempo, per
esempio esistono dei gel/matrici che in acqua si gonfiano. Se quindi consideriamo una
matrice che presenta dei pori e dei canali, la presenza di questi va “segnalata” all’interno
dell’equazione tramite l’inserimento di due parametri e e t che indicano il grado di
porosità della matrice e la presenza o meno di canali al suo interno

Questa equazione si può applicare in realtà non solo quando il farmaco è in sospensione
ma anche nel caso di matrici polimeriche in cui il farmaco non è in sovrasaturazione, in
alternativa quindi alla seconda legge di Fick.

99
DIFFUSIONE e DISSOLUZIONE DA MATRICE RESERVOIR

Fino ad ora abbiamo guardato la distribuzione e la dissoluzione come eventi singoli, ma


nella realtà quando il farmaco si trova in prossimità di una memebrana deve diffondere e
poi disciogliere, quindi bisogna guardare i due processi nel loro insieme e per fare questo
è necessario prendere in considerazione sia l’evento della diffusione che della
dissoluzione. Infatti le leggi di Fick e di Higuchi hanno sì descritto il passaggio attraverso
una matrice tramite diffusione, ma non bisogna trascurare il fatto che il farmaco si deve
anche prima scioglie, quindi le due leggi quindi vanno combinate insieme.

Guardiamo il caso del rilascio di un farmaco da una matrice reservoir.


A livello schematico abbiamo questo

100
I parametri utili sono:
Cp = concentrazione di saturazione della matrice
Dm = coefficiente di diffusione della membrana
dM = spessore della membrana
Cs/Cp= K

In questo caso dobbiamo combinare la prima legge di Fick

dQ ΔC
= − Dm ∙ Kd ∙ S
dT dM

Con la legge di N-W

dQ CS − Cb
= SDs ∙
dT dD

Otteniamo la seguente equazione

Dove Q indica la quantità di farmaco rilasciata e t è il tempo à Q/t è una velocità

All’interno di questa equazione troviamo i seguenti parametri:


• Concentrazione del farmaco nella membrana
• Concentrazione del farmaco di saturazione in soluzione acquosa (Cs, che non
troviamo dentro l’equazione però abbiamo K=Cs/Cp)
• Ds è il coefficiente di diffusione in soluzione
• Dm è il coefficiente di diffusione su membrana
• δm è lo spessore della membrana
• δd è lo spessore della soluzione allo stato stazionario

Questa equazione vale per le matrici a reservoir. Essa però può essere semplificata e
ridotta valutando quale dei due processi (tra diffusione e dissoluzione) sia il rate limiting
step. Vediamo i due casi:

1. Il RLS è la diffusione à allora avremo un valore di dM molto grande (caso di una


membrana molto spessa!) e un valore di Dm invece molto piccolo. Scrivendo allora

K Dsd M > > D m d D


L’equazione diventa

Q C pD m
=
T dM
101
2. Il RLS è la dissoluzione à prevale l’effetto del bulk, avremo quindi il valore di
K=Cs/Cp piccolo e Ds piccolo, al contrario il valore di Dm sarà grande.
Scrivendo allora
K Dsd M < < D m d D
L’equazione diventa

Q KC pDs
=
T dD

DIFFUSIONE e DISSOLUZIONE DA MATRICE MONOLITICA

Lo stesso discorso lo possiamo fare per una matrice monolitica.

102
In questo caso, poiché consideriamo il rilascio del farmaco da una matrice monolitica,
dobbiamo far riferimento alla legge di Higuchi.
Andiamo quindi a combinare le due leggi e vediamo gli stessi due casi analizzati per la
matrice reservoir.

cs dQ SD(Cs − Cb)
Q= D t (C0 − )Cs =
2 dt dD

1. Il RLS è la diffusione à K avrà un valore grande insieme a dM. L’equazione


diventa:

Q= 2(Co − C p)C pD m t

Se Co >> Cp

Q= 2CoC pD m t

2. Il RLS è la dissoluzione à abbiamo K (=Cs/Cp) piccolo. L’equazione allora


diventa:

Q Ki DsCs Ki DsKC p
= =
t dD dD

MATRICI POLIMERICHE

1. Matrici rigonfiabili
All’interno della famiglia delle matrici polimeriche si trovano anche delle strutture che si
rigonfiano e cambiano di dimensioni (anche di molto). Queste sono dette matrici
rigonfiabili e presentano un particolare di rilasciare del farmaco a seconda che il
rigonfiamento avvienga rapidamente o lentamente.
Le matrici rigonfiabili sono generalmente matrici molto fragili che si disidratano e si
rigonfiano se vengono di nuovo immerse in acqua, un classico esempio sono le lenti a
contatto.

Parlando di matrici rigonfiabili è necessario far riferimento a parametro


fondamentale per la loro identificazione. Questo parametro è detto
Numero di Debora, ed è il rapporto tra due valori indicati con λ e θ.
- λ rappresenta il tempo caratteristico di rilassamento, indica cioè quanto velocemente
la matrice si rilassa, ovvero si rigonfia. Se λ è piccolo, la matrice si rigonfia molto
velocemente.
- Θ invece è il tempo caratteristico di diffusione. Se θ è piccolo il farmaco diffonde
rapidamente.
103
Il numero di Debora mette in relazione il rigonfiamento della matrice e la diffusione del
farmaco in base a tre casi diversi:
• Numero D piccolo: la matrice si è rilassata molto più velocemente di quanto il
farmaco abbia impiegato ad uscire. Supponiamo di avere una matrice come una
lente a contatto disidratata che contiene il farmaco: se messa in acqua impiega 30
secondi per rigonfiarsi mentre il farmaco impiega due giorni per fuoriuscire, vuol dire
che questo viene rilasciato da una matrice già rigonfiata e stabile. Il rilascio
avviene per diffusione semplice da una matrice rigonfiata che si trova ad uno
stato STABILE e mantiene le sue caratteristiche strutturali per tutto il tempo.
• Numero D grande: la matrice ha impiegato molto tempo per rigonfiarsi, allora vuol
dire che il farmaco viene rilasciato prima del rigonfiamento della membrana.
Anche qui siamo in una situazione STABILE, anche se il farmaco è uscito da una
matrice non rilassata; si tratta comunque di un processo diffusivo che dipende dal
tempo di transizione vetrosa (nel primo caso siamo in uno stato gommoso e nel
secondo siamo in uni stato vetroso).

N.B. In questi primi due casi il rilascio è governato dalla legge di Fick, la
matrice è sempre in condizioni stabili.

• Numero D intorno a 1: il tempo di rilassamento e il tempo di diffusione sono


uguali, IL FARMACO È RILASCIATO MAN MANO CHE LA MATRICE SI RIGONFIA,
in altre parole il rilascio del farmaco è governato dal rigonfiamento della matrice.
Questo specifico caso risulta particolarmente utile in quanto sarà possibile
controllare la velocità di rilascio controllando la velocità di rilassamento della
matrice.

2. Film sottili
Un altro caso è quello del rilascio attraverso film sottile in cui si considera la legge
di Peppas nel caso particolare in cui l’esponente n sia uguale a 1.

104
Possiamo quindi riscrivere l’equazione nel seguente modo.

4𝐾S ∗ 𝐴
𝑀𝑡 = 𝑡 ∗
𝑙

Dove Mt è la quantità di farmaco rilasciata al tempo t, A è l’area superficiale, l è lo


spessore dello strato e K0 è la costante del second case (4K0A/l rappresenta il valore di K
nell’equazione di Peppas).

3. Matrici degradabili

L’ultimo sottotipo di matrici polimeriche sono quelle degradabili o biodegradabili tra cui
poliesteri come l’acido polilattico o il polilattico glicolico à sappiamo infatti che i legami
esterei si degradano col tempo.

Questi sistemi risultano interessanti per quanto


riguarda l’aspetto di drug delivery, si possono
infatti impregnare i farmaci con queste matrici ed
eseguire una somministrazione sottocutanea. Una
volta inserite, queste matrici rilasciano il farmaco
per settimane o mesi e poi, una volta terminato il
tempo di somministrazione, si biodegradano.

Nel trattamento del tumore alla prostata vengono costruite delle microsfere con questi
materiali che vengono somministrati per mantenere una dose terapeutica del farmaco.
Per quanto riguarda i materiali, il polilattico glicolico e l’acido lattico sono i più utilizzati in
ambito farmaceutico e la quantità di questi esteri determina la composizione delle
strutture che si progettano. L’acido polilattico è molto cristallino, si degrada molto
lentamente ed è idrofobico; quello glicolico invece è più idrofilico e si degrada più
velocemente avendo una struttura meno ordinata e meno cristallina.
Quindi, a seconda del poliestere utilizzato, si può regolare la velocità di degradazione
della matrice.

Da una matrice degradabile il farmaco può essere rilasciato tramite due modi diversi:
• Diffusione
• Man mano che la matrice si degrada
Quest’ultimo caso si sfrutta in genere quando il farmaco non riesce a diffondere
facilmente a causa della sua natura idrofilica o idrofobica.

La degradazione può partire sia dal centro della matrice sia dalla superficie. In ogni caso
però il controllo del rilascio è molto complicato da gestire.
L’equazione che descrive la degradazione dalla superficie è:

𝑀U 𝐾)U
=
𝑀V 𝐶) 𝑎
105
7. FISICA FARMACEUTICA E MICROMETRICA

In questa sezione tratteremo le analisi farmaceutiche e micrometriche che vengono


generalmente svolte nella fase della preformulazione del farmaco, dopo aver testato la
sua disponibilità e biodisponibilità.
In particolare la fisica farmaceutica si occupa di tutti quei principi quantitativi e
qualitativi dello sviluppo farmaceutico e consente di ottenere un prodotto finale che
risponde a tutti i criteri richiesti.
La micrometrica invece è la scienza delle piccole particelle, si riferisce a:
• Morfologia delle particelle
• Dimensione delle particelle
• Densità e porosità
• Flusso
• Sedimentazione e aggregazione
• Proprietà superficiali
• Stato fisico
• Energia

Ad esempio, sulla base della densità delle polveri si può capire se due prodotti sono
mescolabili tra loro, oppure tramite l’analisi della porosità si può intuire la capacità di
assorbimento dei fluidi; oppure ancora è utile misurare lo scorrimento delle polveri per
garantire un efficiente funzionamento degli impianti di processo.

La preformulazione fisica si svolge a livello:


• Molecolare (analisi chimico-fisica, potenziometrica, chimica, spettrometrica)
• Bulk à massa del materiale
• Blends à mescolato
• Formulazione finale à si valuta la purezza e la fragilità della compressa

Prima di introdurre i primi aspetti della fisica farmaceutica è necessario distinguere tra
proprietà fisiche e proprietà meccaniche: le proprietà fisiche sono quelle osservabili e
tangibili dall’esterno, le proprietà meccaniche invece sono quelle che riguardano i
contenuti energetici e non sempre sono rilevabili con facilità (ad esempio elasticità del
materiale).
Gli aspetti fisico e meccanico invece non sono distinti tra loro, per esempio se
consideriamo l’interazione tra due particelle, essa sarà sì dipendente dall’aspetto
meccanico che riguarda le forze e l’energia in gioco, ma tale l’interazione dipende anche
dalla forma delle particelle che compongono il farmaco (se sono rotonde interagiscono
poco, se sono a scaglie interagiscono di più), e quindi dalle caratteristiche fisiche. È
chiaro quindi ce questi due aspetti sono strettamente correlati tra loro.

106
Fisica farmaceutica

ANALISI TERMICA

L’analisi termica comprende un gruppo di metodiche nelle quali si va a misurare la


variazione di una proprietà fisica di una sostanza in funzione della temperatura. Le
tecniche più comunemente utilizzate sono quelle che misurano i cambiamenti di energia o
di massa di una campione di sostanza. Queste analisi quindi permettono di determinare il
contenuto energetico di un materiale, per esempio è possibile identificare una forma
cristallina e distinguerla da una forma amorfa (abbiamo visto che il cristallo ha un
contenuto energetico più basso dell’amorfo) proprio andando ad analizzare le diverse
interazioni e la diversa forza di legame tra le particelle.
Tramite le analisi termiche quindi sarà possibile determinare alcuni processi molto
importanti dal punto di vista fisico come le transizioni di fase o il contenuto energetico di
un materiale.

Transizioni di fase:
per determinarle è necessario
monitorare::
- Temperatura
- Variazione della capacità termica
- Entalpia delle transizioni di fase
che avvengono in una sostanza
in funzione della temperatura.

Processi termici:
• Esotermici à il materiale rilascia calore
1. Cristallizzazione
• Endotermici à il materiale perde calore
1. Fusione
2. Ebollizione
3. Evaporazione
4. Sublimazione
5. Desolvatazione
6. Transizione solido-solido
7. Degradazione chimica

Goals dell’analisi termica:


• Purezza
• Stato solido
• Solvatazione
• Stabilità
• Compatibilità

107
Le analisi termiche si basano su tre principi fondamentali:
• Monitoraggio continuo del campione (come nel caso del punto di fusione)
• Cambio di energia (facendo l’esperimento di fusione viene continuamente fornita
energia sotto forma di calore al campione)
• Variazione dell’energia

PUNTO DI FUSIONE

Tramite dati tabulati è possibile riconoscere il tipo di sostanza con cui stiamo lavorando
svolgendo l’analisi del punto di fusione. Ogni sostanza infatti è caratterizzata da un punto
di fusione particolare che permette di determinarne la natura chimica e il grado di
impurezza.
Di conseguenza è possibile identificare il tipo di prodotto che stiamo studiando andando
a determinare la quantità di energia che può assorbire o rilasciare al variare delle
condizioni esterne in cui lo si pone.
L’analisi termica permette di conoscere lo stato fisico di una sostanza e quindi di
determinare:
- Il tipo di polimorfo
- Lo stato fisico del materiale
- La purezza: il punto di fusione sarà alterato se una sostanza è impura perché non si
formeranno più legami “puri” tra molecole identiche ma anche tra molecole diverse
- Il grado di solvatazione
- La stabilità à è più bassa quanto più basso è il punto di fusione
- La compatibilità tra i vari materiali
- Se il processo produttivo destabilizza o meno il prodotto: per esempio miscelando
due polveri si fornisce una certa quota di energia che provocherà una diminuzione
della stabilità del prodotto finale.

Queste analisi si svolgono attraverso un monitoraggio continuo del processo termico in


cui viene registrato qualsiasi minimo cambiamento che possa inficiare la stabilità
all’interno del materiale. Per eseguire il punto di fusione infatti bisogna fornire energia in
modo graduale, così da monitorare il passaggio di stato e la stabilità della polvere.

Diagramma di fase: regolato dall’equazione di


Clausius Clapeyron.
Tale diagramma risulta fondamentale nel
momento in cui vogliamo eseguire
volontariamente una transizione di fase. Bisogna
quindi capire come variare la pressione e la
temperatura una in funzione dell’altra per
controllare in modo accurato il processo.

108
Come si svolge l’analisi
La sostanza in esame viene posta all’interno di un capillare che a sua volta viene immerso
in un bagno di glicerina o di olio, o comunque di sostanze con capacità termiche elevate
(non acqua perché bolle a 100°C, se la sostanza ha un punto di fusione superiore ai
100°C non è possibile eseguire l’analisi). Questo bagno è termostatato e la temperatura
aumenta gradualmente con il passare del tempo.

Andando a vedere il comportamento della sostanza


all’interno del capillare e graficando i dati raccolti, si
costruisce un grafico con andamento lineare, come
quello in figura accanto.
Inizialmente si nota che la T aumenta in modo lineare
fino a raggiungere uno stadio in cui rimane costante
nonostante l’aumentare del tempo: questa regione del
grafico è detta sosta termica e indica una fase in cui il
calore fornito non va più ad innalzare la temperatura
del materiale ma viene impiegato per svolgere una
transizione di fase (solidoà liquido) in cui le particelle
aumentano la loro energia cinetica e i legami tra di
esse vengono rotti.
Una volta che tutti i legami sono rotti e che la sostanza solida si è fusa, la T torna ad
aumentare nuovamente in modo lineare e le particelle della sostanza cominciano a
immagazzinare calore con una capacità termica differente da quella della forma solida (la
pendenza della retta infatti è diversa!) fino a raggiungere una nuova sosta termica. Anche
in questo caso l’energia cinetica diventa talmente elevata che i legami si rompono e il
liquido passa allo stato di vapore.
Ogni sostanza richiede una differente energia per compiere il proprio passaggio di stato
che, per altro, è indipendente dalla quantità di materia che si sta analizzando; per questo
motivo questo tipo di analisi è qualitativa.

N.B. L’energia necessaria per compiere una transizione di fase dipende dalla natura della
sostanza stessa

Analisi termiche differenziali

• DTA (DIFFERENTIAL THERMAL ANALYSIS)

Si tratta di una tecnica di analisi calorimetrica basata su un confronto tra una sostanza di
riferimento e il campione da analizzare.
Il riferimento deve essere scelto ad hoc in quanto deve essere una sostanza che, per
quanto la temperatura aumenti, non cambia mai di stato ma semplicemente aumenta la
sua temperatura. Il campione invece, dopo un certo incremento di temperatura, andrà
incontro a un passaggio di stato.

109
Una volta registrati gli andamenti di campione e riferimento si va a calcolare la differenza
dei differenziali tramite la formula seguente.

∆H= Treference - Tsample

Nel tratto iniziale, essendo i differenziali dei due composti (Treference e Tsample) entrambi
costanti, anche la loro differenza ∆H sarà costante fino al punto di transizione di fase del
campione à il tratto iniziale della curva infatti è una retta.
Quando avviene il passaggio
di stato però il termogramma
cambia andamento: la retta
del riferimento prosegue in
modo costante, mentre la
retta del campione forma una
curva con deviazione dalla
linearità positiva o negativa in
funzione del tipo di
trasformazione.

A questo punto il campione analizzato può comportarsi in due modi diversi:


- Evento esotermico ΔH < 0: il campione, durante la trasformazione, libera calore
all’esterno e nel grafico registriamo un aumento della temperatura (derivata positiva).
- Evento endotermico ΔH > 0: il campione, durante la trasformazione, sequestra calore
dall’ambiente e nel grafico registriamo una diminuzione di temperatura (derivata
negativa).

Strumento e meccanismo
Si utilizza un fornetto unico in cui sono presenti due porta campioni, in uno viene inserito
il campione e nell’altro il riferimento.
Viene poi fornita la stessa quantità di calore a entrambe le sostanze e si va a registrare
la variazione di temperatura grazie a delle termocoppie. Il valore registrato dipende
comunque da vari fattori quali il tipo di strumento
utilizzato, la quantità di campione all’interno del porta
campioni, le condizioni esterne (spesso in assenza di
ossigeno), l’aumento di temperatura, la forma del porta
campione e del fornetto.

La DTA è una tecnica molto utile per determinare la


compatibilità tra farmaco ed eccipiente. Infatti se il
termogramma del farmaco da solo è diverso rispetto al
termogramma di farmaco + eccipiente significa che le

110
due sostanze non sono compatibili tra loro, cioè si saranno formati dei legami tra le due
sostanze che alterano dissoluzione e stabilità del principio attivo stesso.
Se il termogramma cambia, cambia anche l’energia necessaria per rompere i legami tra le
particelle di farmaco e questo si ripercuote poi sulla sua capacità di rendersi disponibile
una volta nell’organismo.

Esempio: Clorochina difosfato

Esistono due forme polimorfiche cristalline di


questo farmaco: la prima fonde a 216 °C (1),
mentre la seconda a 196 °C (2).
A 196 °C avviene la fusione del polimorfo
numero 2 (fusione è un processo
endotermico = picco negativo). Una volta
terminata la fusione si verifica una
cristallizzazione (processo esotermico =
picco positivo) con formazione della forma
polimorfica 1 a maggiore stabilità.
A 216 °C avviene la fusione anche del
polimorfo 1 (secondo picco negativo).

Si tratta di un polimorfo enantiotropo in quanto la presenza della forma polimorfica 1 o 2 è


correlata alla temperatura.

Esempio: Fenilbutazone
A seconda della temperatura con cui avviene il
processo di solidificazione/cristallizzazione si
ottengono dei polimorfi che hanno un
termogramma diverso tra di loro. Un picco largo
indica un polimorfo meno stabile, mentre il
picco stretto indica un polimorfo più stabile.

111
DSC: DIFFERENTIAL SCANNER CALORIMETRIC

In questa tecnica si va a calcolare la differenza di differenziali tra il campione e il


riferimento (spesso un metallo) non più
in funzione della temperatura, bensì in
funzione del calore fornito. Significa
che ad entrambe le sostanze viene
fornita una quantità di calore diversa
in modo che la temperatura tra di
esse rimanga costante.

Conosciamo due tipi di DSC:


- A flusso di calore: il calore viene
fornito a partire dalla stessa
sorgente a entrambe le sostanze le
quali lo scambieranno tra loro al
fine di mantenere la stessa T à in questo caso si va a registrare il flusso di calore tra
campione e riferimento.
- A compensazione di potenza: il calore viene fornito a partire da due differenti
elementi riscaldanti, uno per il campione e uno per il riferimento; qui poi c’è un
sistema di rivelazione della temperatura tramite termocoppia.

Da queste analisi si ottengono dei grafici come quello in figura in cui l’area del picco è
proporzionale al calore assorbito e all’entalpia del processo:
A = punto in cui inizia l’evento termico
Picco = fine dell’evento termico

Sull’asse y è riportata la differenza dei differenziali tra campione e riferimento calcolata


come flusso di calore, sull’asse x invece abbiamo la temperatura alla quale si verifica
l’evento termico (intervallo di temperatura di 1 °C)
La temperatura a cui avviene il fenomeno, cioè la temperatura al punto di flesso,
corrisponde al punto di intersezione (A) del prolungamento della linea di base con la
tangente al punto di maggiore pendenza della curva.
La fine del fenomeno termico è indicata dal picco della curva.

112
Determinazione della purezza
La misura dell’entalpia e della temperatura di fusione mediante l’analisi calorimetrica
differenziale permette di determinare il contenuto di impurezze di una sostanza a partire
da un singolo diagramma termico, utilizzando solo pochi
milligrammi di campione e senza bisogno di misure ripetute
di temperatura.
In teoria la fusione di una sostanza pura, completamente
cristallina, a pressione costante, è caratterizzata da un’
entalpia di fusione ΔHf in un intervallo infinitamente stretto
corrispondente alla temperatura di fusione T0. Un
allargamento di questo intervallo costituisce un sensibile
indicatore di impurezze. I campioni di una stessa sostanza,
i cui contenuti di impurezza differiscono di pochi decimi di
percentuale, danno diagrammi termici visibilmente distinti.
La determinazione della purezza molare
mediante DSC è basata sull’utilizzo di una
approssimazione matematica della forma
integrata dell’equazione di Van’t Hoff applicata
alle concentrazioni (e non alle attività) in un
sistema binario:
ln (1-x2)= - x2e T*T0=T02

L’equazione permette di determinare il 5% di


impurezze.

Con questa tecnica si determinano:


- Grado di purezza
- Processo utilizzato
- Compatibilità farmaco-eccipiente
- Stato fisico del campione

Esempio 1: Difusinal
Ha gruppi fenolici e carbossilici. Presenta due polimorfi, la forma 1 termostabile e la forma
2 metastabile che si converte poi nella forma 1.

113
Esempio 2: Famotidina
Il termogramma ci permette di valutare la compatibilità degli eccipienti con il principio
attivo. In particolare se si mescola Famotidina con talco magnesio stearato il
termogramma non cambia rispetto a quello del farmaco da solo. Invece se utilizziamo
emocompress si verifica uno spostamento del picco endotermico a temperature più alte,
ciò suggerisce che siano avvenute delle interazioni tra farmaco ed eccipiente che hanno
modificato la stabilità del principio attivo. Di conseguenza le due sostanze risultano
incompatibili.

Esempio 3: Piretamide
A seconda del tipo di solvente utilizzato si ottengono diversi polimorfi. Ad esempio
nell’ultimo termogramma abbiamo ottenuto una forma polimorfica molto stabile.

TGA: THERMOGRAVIMETRIC ANALYSIS


La termogravimetria è una tecnica che permette di
determinare la variazione di peso della sostanza in funzione
del calore fornito, utilizzando un programma di controllo della
temperatura.
È possibile determinare prodotti che evaporano facilmente,
come i solventi. Infatti, una diminuzione di peso della sostanza
indica la presenza di solvente che è evaporato. È possibile
anche determinare la modalità con cui il solvente si è legato al
cristallo.
Per esempio, l’acqua può essere presente nel cristallo in diversi modi:
- Acqua libera: è la prima ad evaporare perché ha un’elevata energia, è un’acqua
reattiva che dobbiamo cercare di ridurre
- Acqua legata: è legata al cristallo e per eliminarla dal solido si devono rompere i
legami intermolecolari
- Acqua di cristallizzazione: fa parte della struttura cristallina ed è presente
stechiometricamente. Quest’acqua è legata con legami molto forti alle molecole di
sostanza e non può essere eliminata perché ci vorrebbe un’elevata energia sotto
forma di calore che degraderebbe il prodotto stesso. Non è acqua reattiva.

Nei grafici è rappresentato il peso in funzione della


temperatura: nel primo grafico sono presenti due curve
differenti, significa che l’acqua persa è evaporata in due
tempi diversi à si può dedurre che è stata eliminata sia
l’acqua libera (prima curva), che quella legata (seconda
curva).

Nel secondo grafico invece è presente una sola curva,


significa che è stato eliminato una sola tipologia di acqua,
che sarà quella libera, che evapora per prima.

114
Micrometrica
ANALISI MORFOLOGICA E DIMENSIONALE
Si tratta di una serie di analisi che riguarda l’identificazione della forma e della dimensione
delle particelle.

La forma fisica influenza lo scorrimento della polvere, infatti le


particelle che hanno una morfologia sferica hanno una
scorrevolezza maggiore rispetto alle particelle a forma di scaglie.
Lo scorrimento di una polvere è importante per garantire al suo
interno un certo grado di omogeneità, parametro fondamentale per
una buona formulazione farmaceutica.
La forma fisica influenza anche la solubilità di una sostanza.
La morfologia determina quindi:
- Il processo tecnologico
- Le proprietà chimico-fisiche e meccaniche della polvere
- Le proprietà biofarmaceutiche e disponibilità della polvere

La forma delle particelle può essere indagata tramite strumentazioni ottiche:

Microscopio tradizionale
Consente di vedere particelle al di sotto del µm.
Vantaggi: costa molto poco, è necessario poco
analita che non viene distrutto durante il processo.
Svantaggi: limite di risoluzione molto alto, cioè non
è possibile vedere le particelle molto piccole.

Potere di risoluzione: capacità di distinguere due


oggetti senza l’interferenza della diffrazione.
Ingrandimento: dimensione osservata/reale,
prodotto dell’oculare per l’obiettivo (max1000NA).
Profondità di campo: correlata all’apertura,
Diminuendo l’apertura aumenta la profondità
Una grande profondità di campo è necessaria per
misurare particelle ampiamente distribuite.
Apertura numerica(NA): apertura della lente
obiettivo.
Per una certa lunghezza d’onda λ la risoluzione R è
correlata all’apertura numerica (NA):

R= λ/2NA

NA deve essere di 1.4 e R è di 2 mm. Questo significa che le particelle separate da una
distanza minore di 2 mm non possono essere distinte.

115
Scansione elettronica (SEM)
Il materiale viene messo all’interno di una
camera e viene ricoperto da una sottile
lamina d’oro, viene sottoposto a un fascio
di elettroni, i quali restituiscono un segnale
che contiene informazioni sulla forma della
particella. L’energia fornita dal fascio di
elettroni è molto elevata per cui, se il
nostro materiale è termolabile, il campione
può degradarsi e non ci permette di
conoscere la morfologia della particella.

Trasmissione elettronica (TEM)


Si riescono a vedere particelle molto piccole, fino
addirittura a riconoscere lo spessore di un polimero
avvolto su particelle di oro (immagine in basso a
destra). Si tratta di un’analisi a trasmissione di elettroni
che permette, una volta indagata la morfologia della
particella, di elaborare le immagini al computer e
metterle in proporzione. Questa tecnica permette di
vedere particelle molto piccole (fino a pochi nm) come
micelle o proteine.

Queste analisi ci permettono di studiare morfologia e dimensione delle particelle grazie ad


un’elaborazione matematica.

Anche se la morfologia è un aspetto visivo, in tecnologia farmaceutica si utilizzano due


modi per associare una numero a una determinata forma.

- Metodo della circolarità: è un tipo di analisi bidimensionale.


Calcolando i valori di area e perimetro della particella, questi vengono associati ad un
cerchio avente area corrispondente del quale poi andremo a misurare la
circonferenza.

cir con f er e n z a cer ch i o (2 A p)


C ir c u l a r it y = =
p er i m et r op a r t i cel l a Pp

Se il rapporto tra la circonferenza del cerchio e


il perimetro della particella è uguale, significa
che la forma della particella è assimilabile ad
una sfera. Se invece il calcolo restituisce un
valore diverso, la particella sarà assimilabile a
un’altra forma (vedi immagine a fianco).
Dalla formula si ottiene così un numero che
corrisponderà indicativamente ad una delle forme riportate.

116
- Metodo del frattale: metodo microscopico
bidimensionale. Si pone la particella sopra ad
una griglia che presenta un certo passo (lato del
quadratino della griglia) à si conta quindi il
numero di quadratini che la particella stessa
occupa. Si ripete il procedimento con diverse
griglie, con passo sempre più piccolo rispetto ai
precedenti. I valori raccolti vengono poi inseriti
all’interno di un grafico: nelle ascisse si inserisce
il passo della griglia, nelle ordinate il numero di
quadratini occupati. Da questo grafico si ricava una retta, la cui pendenza N
corrisponde al frattale. Il frattale è un numero che non determina la forma delle
particelle di una polvere, bensì è un parametro caratteristico di una determinata
polvere.

𝑙𝑛[𝑁] = −𝑛𝑙𝑛[𝑔] + 𝑞

DIMENSIONE DELLE POLVERI


La dimensione di una particella si misura tramite il diametro e non è unica perché ogni
particella all’interno di una polvere avrà dimensioni diverse (à sistema polidisperso).
Infatti quando indichiamo una certa dimensione della polvere, si fornisce in realtà un
valore mediato che può essere espresso come media, mediana o moda.
- Mediana: viene considerato il valore del diametro della particella intermedio tra gli
estremi (che non vengono contati).
- Moda: grandezza particellare più rappresentata all’interno della polvere.
- Media: è la sommatoria dei diametri diviso il numero delle particelle (comprende
anche i valori estremi).

Nel sistema ideale dovremmo ottenere una gaussiana perfetta in cui i valori di media,
moda e mediana coincidono. In un profilo reale però la distribuzione del diametro
particellare è diversa, motivo per cui la gaussiana risulterà asimmetrica (solitamente
spostata verso sinistra per il peso maggiore della moda).
Questi tre valori però non sono sufficienti a indicare la polidispersività della polvere che
invece si determina dall’ampiezza della gaussiana (deviazione standard): se la
gaussiana è larga allora il sistema è molto polidisperso, se è stretta è poco polidisperso.
Ad esempio se consideriamo una deviazione standard di 5±3 µm vorrà dire che la
maggior parte (68%) delle particelle avrà un diametro tra i 2 e gli 8 µm. se invece

117
calcoliamo il doppio della deviazione standard, quindi 5±6 µm, vorrà dire che il 95% delle
particelle sarà in quel range di diametro.

CALCOLO DI DV
È un indicatore del grado di polidispersività della polvere.
Se per esempio scrviamo DV0,1=5 μm significa che il 10% delle particelle presenti ha una
dimensione al di sotto dei 5 µm. Allo stesso modo DV0,5=80 µm significa che il 50% delle
particella ha un diametro inferiore agli 80 µm.

Diametri

Sono stati definiti diversi modi di calcolare il diametro sia attraverso analisi bidimensionali
che tridimensionali.
• Il diametro di Martin è lunghezza del
segmento che passa per il centro della
particella e che unisce orizzontalmente i
due punti opposti.
• Il diametro di Feret è la distanza tra i due
punti più estremi della particella, sempre
calcolato in orizzontale.

I due diametri non sono reali ma si calcolano in modo bidimensionale con sistemi ottici.

118
• Il diametro del perimetro proiettato è il diametro del
cerchio proiettato la cui circonferenza ha lo stesso valore
del perimetro della particella.
• Il diametro dell’area proiettata è il diametro del cerchio
proiettato avente la stessa area della particella.

Questi ultimi due metodi non sono molto utilizzati, ma


sono comunque bidimensionali.

• Diametro di superficie di sfere equivalenti: analisi 3D à è il


diametro di una sfera avente la stessa superficie della particella.
• Diametro di volumi di sfere equivalenti: altra possibilità è
calcolare il diametro della sfera di volume equivalente al volume
della particella.

Queste utile due sono le analisi che danno i risultati migliori e più
affidabili.

Il diametro, in base al parametro preso di riferimento, può essere:


- Peso pesato
- Volume pesato
- Numero pesato

Il grafico più a destra rappresenta la


distribuzione delle particelle di una
determinata polvere sulla base di due
parametri diversi: il peso (retta a
destra) e il numero (retta a sinistra).
Supponiamo che la polvere contenga 3
particelle di diametro di 1 μm, 3 con
diametro di 2 μm e 3 con diametro di 3
μm à significa che ogni diametro è
presente per il 33,33% sul totale delle
particelle.
Se consideriamo il diametro peso
pesato, allora le particelle della polvere
di diametro maggiore influiranno di più,
a parità di numero, sul calcolo del diametro medio che sarà quindi più grande rispetto al
diametro numero pesato. In questo caso infatti la dimensione media del diametro
diminuisce di valore perché si esegue una media pesata sui numeri delle particelle e non
sul loro peso.

Altro esempio: Supponiamo di avere questa polvere:


- 70/100 con diametro di 1 mm
- 20/100 con diametro di 3 mm
- 10/100 con diametro di 6 mm

119
Supponiamo di calcolare la somma totale dei diametri (1x70 + 3x20 + 1x60)/100= 1,9 che
sarà il diametro medio totale.

Se calcoliamo il diametro volume pesato, le 70 particelle più piccole contribuiranno per il


volume totale della polvere con 3,6 mm3; 20 particelle di 3 mm occuperanno 28,2 mm3; le
10 particelle di 6 mm occuperanno invece 113,0 mm3 per un totale di 145 mm3.

Il diametro per volume pesato (5.28 mm) è molto più


grande di quello ottenuto per numero pesato (1.9 mm).
Queste grandezze particellari si possono esprimere con
scala di frequenza in modo cumulativo, in modo relativo
o con delle tabelle.

Le particelle più piccole all’interno di una polvere ad alto grado di polidispersitivtà non
hanno rilevanza nel calcolo del diametro volume pesato anche sono in numero prevalente
all’interno della polvere.

120
Metodi per determinare i diametri particellari
Abbiamo metodi diversi utilizzabili a seconda dei diversi range dimensionali:
1. Microscopia
2. Setacci
3. Sedimentazione
4. Laser light scattering (metodi ottici)
5. Metodi elettrici

Metodi di microscopia (ottico, SEM, TEM): in questo caso vengono calcolati il diametro
di Martin, di Feret o il diametro equivalente alla superficie o al volume di una sfera. È un
sistema affidabile, forse quello più affidabile di tutti perché il risultato ottenuto dipende
dall’occhio dell’osservatore e non da una formula matematica à è un’analisi diretta.
Il tipo di diametro dipende dal metodo utilizzato. È un metodo semplice, non distruttivo e
necessita poche quantità di analita. È economico e non necessita di calibrazione; si
ottiene direttamente diametro e forma.
Il range di particelle determinabile è 0,25 – 100 μm.

Setacci: metodo dettato dalle farmacopee, consiste in un setaccio di materiale inerte


costituito da maglie in acciaio all’interno di forme quadrate.
Vengono posti uno sopra l’altro, si fa passare la polvere attraverso le maglie e si va a
vedere quanta polvere è presente in ogni setaccio. I setacci impilati hanno trama di
dimensioni diverse e sono di solito 5.

La farmacopea stabilisce la tolleranza di apertura massima, media e intermedia.

Sono strumenti molto costosi e devono essere certificati.


Possono essere applicati a sistemi ausiliari che facilitano il passaggio della polvere, tra
cui vibratori, ultrasuoni, air-jet e umidità.
All’inizio la polvere attraversa rapidamente le maglie, man mano che scende è sempre più
scorrevole perché le particelle si orientano.

121
Questo è l’andamento della cinetica del passaggio del materiale.
“End point” è il punto in cui ci si deve fermare con la setacciatura, altrimenti si rischia di
danneggiare le particelle. Nella regione 2 infatti si ha la setacciatura forzata anche delle
particelle con dimensioni diverse da quelle selezionate dal setaccio. Il limite di
setacciatura in genera è di 38 μm, mentre da 1 a 38 µm si verifica la sotto-setacciatura.
Questo metodo di analisi è semplice, ma ci vuole molto materiale per poterlo eseguire.
L’analisi è di tipo conservativo e approssimativo e permette di eliminare agglomerati.
La dimensione della polvere può essere espressa sulla base della quantità di polvere
setacciata.

122
Sedimentazione: è un metodo basato sulla legge di Stokes, la quale afferma che la
caduta di un corpo in un fluido dipende da densità e dimensione del corpo:
da questa equazione si può calcolare il diametro della particella, partendo dalla sua
velocità di caduta.
È un’analisi applicabile a particelle di dimensioni dai 2 ai 200 μm (range grande) e si può
eseguire in due modi:

• Fluido gassoso (aria): la polvere posta


all’interno di un dispenser del cilindro viene
lasciata cadere dall’altro. Viene determinata la
velocità di caduta delle particelle misurando il
tempo impegato. Una microbilancia funge da
sensore quando la particella cade su di essa.
Per sapere la velocità bisogna conoscere,
oltre al tempo, anche lo spazio: si utilizza la
metà dell’altezza del cilindro (h), che è il
valore medio percorso da tutte le particelle.

• Fluido liquido: abbiamo una pipetta in cui è inserito un liquido


con cui la polvere non deve essere miscibile (si crea una
dispersione e non una soluzione). In questo caso il sensore non
è la bilancia, ma un detector ottico posto alla fine del
misuratore e ogni volta che la particella passa il detector
fornisce un segnale. Lo strumento, che è automatico, calcola la
dimensione delle particelle utilizzando come valore di
riferimento la viscosità del fluido e la densità.

123
• Light Scattering: uno dei metodi
più utilizzati basati sulla
radiazione della luce: questi
fenomeni di light scattering
dipendono dalla lunghezza
d’onda del raggio incidente e
dalla dimensione della particella.
Una particella viene irradiata con
un raggio luminoso
monocromatico e polarizzato
(laser), la particella diventa un
puntino luminoso e genera i
seguenti fenomeni: diffrazione, rifrazione, riflessione e assorbimento. Il range
dimensionale delle particelle è 0.001-5μm.

• Light Scattering for Large Particles: se le particelle sono più grandi rispetto alla
radiazione incidente, si ha un processo di diffrazione. In base all’angolo di diffrazione
si va a calcolare la dimensione delle particelle tramite la legge di Fraunhofer in cui
l’intesità del raggio difratto è correlata al seno dell’angolo.

Legge di Fraunhofer:

𝑠𝑒𝑛0 𝛽
𝐼 ∝
𝛽0

• Static Light Scatteirng: nel caso di particelle più piccole, la diffusione della luce
avviene in modo statico. Anche questo è un metodo che dipende da una variante della
legge di Fourhofer e ci permette di determinare la grandezza di particelle più piccole.
infatti se la dimensione della particella è simile o più piccola della lunghezza d’onda
della luce incidente, la luce viene
riflessa o rifratta con ampi angoli
sia avanti che indietro. La teoria
di Mie descrive questo fenomeno
considerando le proprietà ottiche
(rifrazione e assorbimento) delle
particelle. Più piccole sono le
particelle più alto è il contributo
della rifrazione e
dell'assorbimento al modello di

124
dispersione della luce. Per la misurazione di tali distribuzioni di dimensioni delle
particelle, pertanto, il modello di dispersione deve essere rilevato sull'intero intervallo
di angolo. L'interpretazione dei modelli di dispersione della luce per mezzo della teoria
Mie si applica a tutte le particelle.
Solo quelle con diametro più grande daranno il segnale al detector.

• Dinamic Light Scattering: si basa sul fatto che le particelle all’interno della polvere
hanno dimensioni più piccole del raggio incidente. Le particelle all’interno di una
camera di diffusione vengono irradiate dalla luce, la quale viene assorbita e viene
trasformata in un’unità luminosa puntiforme trasmettendo la radiazione. Essendo le
particelle molto piccole, si muovono di continuo con moti Browniani (quelle grandi
diffondevano meno e non si possono muovere) à si va quindi a determinare quanto si
muovono queste unità luminose puntiformi tramite una misura indiretta.
Come si può misurare tale
velocità? Si valuta l’effetto
doppler, cioè la variazione della
frequenza che un corpo emette
in funzione della sua velocità.
Sulla base dell’effetto doppler
che misuriamo, si misurano le
dimensioni delle particelle.

Metodo elettrico (Coulter Counter): si usa molto


poco, in genere però è sfruttato nella conta delle
cellule in campo biologico. Lo strumento è
composto da una vaschetta, al cui interno è posta
un’ampolla contenente un tampone (soluzione
salina, di solito NaCl) e questi due volumi (ampolla
+ vaschetta) sono in contatto tra di loro tramite un
foro. All’interno della vaschetta contenente un
solvente viene posta la polvere, che non deve
essere solubile ma deve essere dispersa. Una volta
che la polvere è sparsa nel solvente, si aspira il
liquido dall’ampolla e le particelle disperse
passano all’interno di essa. Ad ogni passaggio
della particella dalla vaschetta all’ampolla si
registra un segnale determinato da un calo di
corrente elettrica à impulso elettrico. Questo
impulso sarà tanto più importante quanto più
grande è la particella, quindi tanto maggiore è il
volume che viene spiazzato quando la particella
passa attraverso il foro.
Alla fine si ha una serie di impulsi elettrici che
corrispondono alla dimensione delle particelle à si

125
ottiene una distribuzione dimensionale del diametro particellare.
L’intensità dell’impulso dipende dalle dimensioni delle particelle e dalle dimensioni
dell’orifizio. Se è troppo piccolo, si rischia di occludere il passaggio alle particelle; se
l’orifizio è troppo grande, la sensibilità dello strumento non è adeguata.

Tutti questi metodi portano a risultati diversi tra loro. È importante che si utilizzi sempre
un protocollo preciso e che si guardi in modo critico il risultato ottenuto.

AREA SUPERFICIALE

L’area superficiale determina la stabilità del prodotto e l’attività chimica: maggiore è


l’area superficiale, maggiore è la velocità di degradazione del composto e maggiore è la
velocità di reazione.
Dall’area superficiale dipende l’interazione fisica dei vari componenti, quindi la possibilità
di avere aggregati o agglomerati.
L’area superficiale rappresenta l’energia del sistema, infatti la parte più esterna della
particella è quella a maggiore energia rispetto alla parte centrale à avere una grande
superficie esterna vuol dire avere una grande energia libera, che però deve essere
minimizzata.

L’area superficiale determina:


• Attività chimica: maggiore è l’area superficiale, maggiore è la velocità di reazione o
degradazione della polvere
• Assorbimento: area superficiale grande favorisce l’assorbimento delle sostanze
• Dissoluzione e biodisponibilità (equazione N-Whitney)
• Flusso della polvere: lo scorrimento della polvere avviene maggiormente quando le
particelle hanno un’area superficiale piccola e sono di forma rotonda
• Comprimibilità dell’area superficiale
• Densità

Ci sono due modi per determinare l’area superficiale:


• Permeabilità dei gas
• Gas assorbimento

Permeabilità dei gas

Si basa sulla legge di Hagen-Poiselle: quando un fluido scorre all’interno di un tubo si


muove per flusso laminare à la parte più esterna scorre più lentamente, quella interna
scorre più velocemente.
A seconda della velocità con cui il gas attraversa la polvere all’interno del tubo, è
possibile determinare l’area superficiale interna del tubo stesso che corrisponde all’area
superficiale della polvere.
η = viscosità del fluido
l = lunghezza del tubo
r = raggio del tubo

126
Δp = differenza di pressione tra quella in entrata e quella in uscita
Q = portata
V = velocità

ripetendo, sulla base della velocità di flusso, si ottengono


dei parametri dimensionali, quali raggio e lunghezza del
tubo la cui area interna è assimilabile all’area superficiale
della polvere.
La velocità con cui il gas passa attraverso il tubo dipende
dalla viscosità, dal raggio e dalla lunghezza.

Gas adsorbimento

Il fenomeno di gas adsorbimento si basa sulla


teoria di Langmuir: un gas condensabile si
adsorbe in una superficie in modo elastico
attraverso uno scambio di calore. Infatti
determinando lo scambio di calore tramite
termocoppie, si ricava quanto gas si è adsorbito
sulla superficie in monostrato e, conoscendo le
dimensioni delle particelle di gas, si può calcolare
l’area superficiale.

V = volume di gas adsorbito


b = costante
Vm = volume del monostrato di gas

Il principale problema di questa teoria è che il gas nella


realtà non si adsorbe in monostrato e non si dispone in
modo omogeneo à l’adsorbimento omogeneo accade
solo nell’idealità.
È stata quindi elaborata una nuova equazione adattabile
ai gas reali.

127
Equazione di BET

Tramite l’equazione di B.E.T (elaborazione dell’equazione di Langmuir) si riesce a


risolvere il problema dell’idealità.
L’analisi viene eseguita con gas condensabili, in particolare si utilizza azoto per superfici
grandi, oppure kripton per superfici più piccole, avendo una tensione di vapore più bassa;
come riferimento si utilizza invece l’elio che è un gas non condensabile.
In questo procedimento viene calcolato il volume di gas adsorbito sia in monostrato che
in multistrato e viene determinato sempre tramite la misurazione dello scambio di calore
con la superficie.
Sulla base dei valori ottenuti si identificano delle isoterme la cui forma dipende dalle
condizioni operative, dai diametri dei pori e dal calore scambiato.
Tra tutte le isoterme, quella di tipo II è la più rappresentativa dell’adsorbimento del gas in
monostrato.

Nel grafico II viene riportata la quantità di gas adsorbito all’aumentare della pressione. In
ascissa è riportata la P/P0, nelle ordinate invece è riportato il peso del gas adsorbito
determinato dalle termocoppie che registrano lo scambio di calore.
La P è il parametro indipendente, il peso è dipendente.

128
Dall’elaborazione di questa isoterma di ottiene l’equazione di B.E.T. in cui si riporta il
volume (o peso) totale di gas adsorbito determinato dalle termocoppie.

P0 =pressione di saturazione del gas


P = pressione parziale del gas
C = costante di B.E.T.
Vm = volume del gas nel monostrato che è il valore ricercato.
Ottengo Vm che mi interessa, da cui ricavo l’area superficiale.

B.E.T. assume che l’energia di adsorbimento sia la stessa in ogni punto della superficie e
che il calore di adsorbimento del secondo strato e dei successivi corrisponda al calore di
liquefazione.

“Graficando” l’equazione otteniamo la seguente retta


La cui pendenza sarà

𝐶−1
(𝑉𝑚𝐶)

Mentre l’intercetta sarà

1
(𝑉𝑚𝐶)

Mettendo a sistema l’equazione della retta calcolata


su due punti del grafico sperimentale si ricava il valore
di Vm (C è la costante di BET).

129
La superficie dell’area proiettata (St) la si ricava con un’altra formula che deriva
dall’equazione di B.E.T. :

𝑉𝑚 𝑁𝑜 𝐴𝑐𝑠
𝑆𝑡 =
𝑉
No = numero di Avogadro
Acs = Cross Sectional Area of the
adsorbed gas
V = volume molare del gas adsorbito

Si può poi volendo calcolare l’area superficiale specifica facendo


St
S=
m
S = Specific surface area, area superficiale delle particelle di una data massa usualmente
espressa come m2/g o m2/mL.

POROSITÀ
La porosità di un materiale è collegata all’area superficiale.

Dalla porosità dipendono:


• Comprimibilità
• Disintegrazione/dissoluzione
• Assorbimento del fluido
• Processi diffusivi

I materiali si chiamano microporosi quando hanno pori di diametro minore di 15Å,


mesoporosi quando hanno un diametro tra i 15 e i 1000Å e macroporosi quando hanno
un diametro maggiore di 1000Å.

Valutando la porosità del materiale andiamo a determinare


• Diametro dei pori
• Distribuzione della grandezza dei pori
• Superficie dei pori (tortuosità)
• Superficie interna dei pori

I pori all’interno di una polvere non sono della stessa dimensione, ma può essere
calcolata una distribuzione dimensionale della loro grandezza che rappresenti la polvere
in toto.

130
Equazione di Walshburn:
r = raggio dei pori (mm)
γ = tensione superficiale del fluido
𝑐𝑜𝑠𝜃 = angolo di contatto del fluido
P = pressione
La porosità delle particelle si calcola tramite un macchinario detto porosimetro. Con
questo strumento si fa penetrare del mercurio esercitando una determinata pressione
all’interno dei pori della polvere e si calcola il volume occupato dal mercurio stesso, che
corrisponde al volume dei pori.
L’equazione di Walshburn correla la P di ingresso esercitata dal mercurio con il diametro
dei pori, la loro distribuzione dimensionale e il volume totale occupato.

Viene utilizzato il mercurio perché è un fluido non comprimibile, quindi se il suo volume
diminuisce man mano che viene versato nella polvere, significa che è entrato nei pori e ha
riempito gli spazi. Inoltre il mercurio ha angolo di contatto abbastanza grande e non
interagisce con la superficie essendo inerte.
Più piccoli sono i pori, maggiore deve essere la P esercitata.
Dalla diminuzione totale di volume che si verifica, si ottiene il volume totale occupato dai
pori.

Graficando poi volume occupato dal mercurio e pressione esercitata, si costruiscono


delle curve dette curve d’isteresi indicative del fatto che quando il mercurio esce dalle
particelle il sistema non ritorna al punto di partenza, ma un po’ di mercurio rimane
intrappolato e le particelle cambiano la loro forma.
Alla fine, si ottengono delle curve di intrusione ed estrusione in cui P è riportata in
funzione della variazione di volume. Man mano che aumento la P aumenta il volume che
entra nei pori.

La curva di questo grafico rappresenta un materiale avente pori tutti


della stessa dimensione perché il volume di mercurio è entrato tutto
ad una certa pressione, significa che i pori sono identici tra loro.

In questo caso esistono due popolazioni di pori, quelli più grandi in


cui il mercurio entra a bassa pressione e quelli più piccoli in cui il
mercurio entra a pressione maggiore.

In questo caso ho una distribuzione della grandezza dei pori


omogenea all’interno della polvere, ciò significa che pori piccoli
medi e grandi sono presenti nella stessa quantità.
All’aumentare della pressione aumenta anche il volume di mercurio
all’interno dei pori in modo lineare: indica che la polvere è
polidispersa e questo grafico è quello più rappresentativo di
quanto accade nella realtà.

131
Rappresentando a livello grafico l’intero
processo di ingresso e uscita del mercurio
dalla polvere, si ottiene una curva di
intrusione/estrusione che ci dà un’indicazione
della struttura interna della polvere. Questa è
un’isteresi, perché il processo non è
reversibile, ovvero il processo inverso non si
svolge allo stesso modo del processo iniziale.
Si esercita una certa pressione, entra il
mercurio e una volta saturati i pori più grandi,
il mercurio entra poi nei pori più piccoli grazie
ad un aumento di pressione. Queste curve indicano sia la dimensione del poro a partire
dalla pressione applicata sia la dimensione totale occupata dai pori che corrisponde al
volume di mercurio.
Nel processo inverso, diminuita la P, ci si aspetta che il mercurio esca del tutto ma non è
così: il mercurio fa più fatica ad uscire ed è per questo che si verifica un’isteresi.
L’isteresi è tanto più marcata quanto più tortuoso è il materiale, quindi ci fornisce
un’indicazione dell’andamento interno dei canali e della tortuosità del percorso interno.

DENSITÀ DELLE POLVERI

È il rapporto della massa sul volume. Quando parliamo di polveri, il volume è un concetto
diverso rispetto a un liquido perché la polvere è costituita da materiale solido e da uno
spazio vuoto tra le particelle.

Def. FUI: «La densità dei solidi corrisponde alla loro massa media per unità di volume e
tipicamente è espressa in grammi per centimetro cubo (g/cm3) anche se l'unità
internazionale è il chilogrammo per metro cubo (1 g/cm3 = 1000g/m3)».

La densità del materiale è data da:


• Atomi presenti
• Composizione spaziale degli atomi
• Composizione spaziale delle molecole

132
Esistono vari tipi di densità:
1. La densità vera (true density) della polvere è la densità calcolata considerando il
volume senza spazi vuoti. Polimorfi e amorfi hanno densità vere diverse.

2. La densità particellare (particle density)


prende in considerazione anche gli spazi
occupati dai pori e dalle tortuosità sulla
superficie della particella.

3. La densità al versamento (poured density)


è calcolata tenendo conto sia degli spazi
interni che esterni. È una densità minore
rispetto alla “tap density”.

4. La densità allo scuotimento (tap density) si


ha quando si scuote la polvere, le particelle vanno ad occupare gli spazi vuoti
occupati dall’aria e si riassestano diminuendo il volume e aumentando quindi la
densità.

LA MASSA È SEMPRE LA STESSA

Quando si prende in considerazione la polvere si fa riferimento alla tap density o alla


poured density.
Dalla densità delle polveri dipendono:
• Flusso
• Mescolamento
• Campionamento della dose
• Segregazione
• Proprietà finali della formulazione

Gli strumenti per determinare la densità sono i picnometri.

Densità vera

1. Si determina con un matraccio detto picnometro a liquido.


Per conoscere la densità vera si fanno varie pesate del matraccio a
contenuti diversi:
A: peso del matraccio
B: peso del matraccio con la polvere all’interno
C: peso del matraccio con la polvere all’interno e un liquido
disperdente
D: peso del matraccio completamente riempito di solo liquido
disperdente

133
Sottraendo B ad A si ottiene il peso della polvere, mentre sottraendo D-C si ottiene il
peso del liquido disperdente che occupa lo spazio della polvere (compreso degli spazi
intra e interparticellari). A questo punto ricaviamo il volume occupato dalla polvere perché
conosciamo la densità del liquido disperdente, una volta ottenuto il volume “vero”, poiché
conosciamo la massa della polvere (B-A), possiamo calcolare la densità vera.

[(B − A)ρ20dis]
ρ20 =
[(B − A) + (D − C)]

ρdis20 è la densità del liquido disperdente:

ρdis20 = [(D − A) 0.998203]/(E − A)

E: peso del matraccio riempito di acqua

2. Altro sistema è il picnometro a gas.


Questo strumento è formato da una camera di volume Vc in cui è inserita la polvere di
volume Vp posta a una pressione atmosferica Pa.
Applicando la legge dei gas perfetti otteniamo:

𝑃𝑎(𝑉𝑐 − 𝑉𝑝) = 𝑛𝑎𝑅𝑇𝑎


Pa = pressione ambientale
Vc = volume della camera
Vp = volume della polvere
Na = numero di molecole del gas
Ta = temperatura ambientale

Questa camera è collegata ad una di riferimento contenente un gas con un determinato


volume indicato con Vr e con una pressione P1.
Al tempo 0 le due camere sono separate da una valvola, aprendola le due camere sono
messe in comunicazione e il gas inizia a diffondere, distribuendosi in entrambe.
Nel processo di diffusione del gas, il sistema arriva a una nuova pressione P2 equilibrata
sul volume totale delle due camere escluso quello della
polvere, che ovviamente occupa un certo spazio nella
camera à quindi il volume totale dopo l’apertura della
valvola sarà (Vc – Vp + Vr).

𝑃𝑎 (𝑉𝑐 − 𝑉𝑝) + 𝑃1𝑉𝑟 = 𝑃2 (𝑉𝑐 + 𝑉𝑟 − 𝑉𝑝)

Elaborando questa equazione si ottiene il volume della


polvere.
134
PA è considerato 0, quindi si può eliminare perché è a T ambiente, mentre la massa la
conosciamo già.

𝑃1𝑉𝑟 = 𝑃2 (𝑉𝑐 − 𝑉𝑝 + 𝑉𝑟)


𝑃1𝑉𝑟 = 𝑃2 (𝑉𝑐 − 𝑉𝑝) + 𝑃2𝑉𝑟
𝑃1𝑉𝑟 − 𝑃2𝑉𝑟
𝑉𝑐 − 𝑉𝑝 =
2
(𝑃1 − 𝑃2)𝑉𝑟
𝑉𝑝 = 𝑉𝑐 −
𝑃2

Dal volume “vero” della polvere, conoscendo la sua massa, possiamo calcolare la densità
vera.

Ρtrue = W/Vp

W = massa della polvere

I due picnometri presentano caratteristiche diverse:

Tutti i picnometri si basano sulla determinazione del volume occupato dalla polvere per
DIFFERENZA (quello occupato dal liquido in totale e quello occupato dalla polvere con il
liquido o quello occupato dalla polvere rispetto al volume della camera totale) perché la
massa è nota.

Bulk density

È la densità della polvere in toto. Abbiamo due forme limite:

• Arrangiamento cubico à 48% spazi vuoti


• Arrangiamento romboedrico à 26% spazi vuoti

135
In realtà le particelle non si arrangiano in modo
così ordinato perché non sono tutte uguali ma
hanno dimensioni e forme diverse, inoltre in un
blend (mescolato) la densità non è sempre la
stessa. Se mescolassimo polvere di silica con
polvere di amido, la densità di entrambe le
sostanze cambia, così come la bulk density e la
disposizione delle particelle.
Le polveri sono sistemi polidispersi che
presentano spazi vuoti nei quali le particelle più
piccole possono posizionarsi e occupare questi spazi lasciati dalle particelle più grandi
riducendo quindi il volume totale occupato dalla polvere à più polidisperso è il materiale
maggiore è la densità del prodotto perché ci sono meno spazi vuoti.

Anche la Bulk density si misura mediante un picnometro. Il concetto di base sta nella
misurazione indiretta del volume occupato dalla polvere, cioè tramite il volume noto della
camera contenente la polvere e il volume occupato dal gas o dal liquido, per differenza si
calcola il volume occupato dalla polvere comprensivo anche degli spazi vuoti
intraparticellari.
Lo strumento che utilizziamo solitamente è il picnometro a mercurio. Si utilizza il mercurio
perché ha un basso potere penetrante essendo poco comprimibile.
Conoscendo la massa e la densità del mercurio, si ricava per primo il suo volume e per
differenza il volume della polvere comprensivo degli spazi vuoti. La massa della polvere la
conoscevamo già e da qui ricaviamo la bulk density.
Il picnometro a mercurio, a differenza del porosimetro, prende in considerazione anche gli
spazi vuoti nel calcolo della densità della polvere perché non va ad occupare tutti gli
spazi, in quanto non viene applicata una pressione tale da far entrare il mercurio nei pori
delle particelle.

136
Densità al versamento e allo scuotimento

La densità al versamento è calcolata versando la polvere stessa all’interno di un cilindro e


determinandone il volume (la massa è nota).
Per calcolare la densità allo scuotimento si deve far assestare la polvere all’interno del
cilindro facendolo scuotere su una superficie: gli spazi vuoti vengono occupati da altre
particelle più piccole e il volume misurato nel cilindro diminuisce. Ancora una volta, la
massa della polvere è nota, dunque si può
calcolare la densità con il volume appena ricavato.
La densità allo scuotimento sarà sempre maggiore
della densità al versamento.

In genere, si scuote tre volte da un’altezza di 2 cm


su una base di legno e si va a calcolare la densità.

Le polveri si definiscono light o heavy a seconda del volume che occupano e della
densità che hanno.
Attraverso la densità al versamento e allo scuotimento è possibile ottenere informazioni
sulla porosità, calcolandola attraverso il rapporto tra la densità vera e quella di bulk à si
ottiene il volume relativo senza utilizzare il porosimetro a mercurio. Gli spazi
interparticellari possono essere presi in considerazione o meno.

WXYZ[
Relative Volume (Vr): 𝑉𝑟 =
W\]Y^

W\]Y^ W`a]\bcZ^
Porosità (ε): 𝜀 = 1 − o 𝜀 = 1 −
WXYZ[ WXYZ[

dXYZ[
Porosità totale: 𝜀 = 1 −
d\]Y^

Porosità %: 𝑉efbg h`ac^ = 𝑉XYZ[ − 𝑉\]Y^

Wlmno pqrst (Wuvwx y Wz{vt )


𝐸% = 100 ∗ à 𝐸% = 100 ∗
Wuvwx Wuvwx

137
Indice di comprimibilità e indice di Hausner

Attraverso alcuni parametri importanti si possono calcolare l’indice di comprimibilità e


l’indice di Hausner che indicano quanta energia bisogna applicare per comprimere la
polvere. Con questi due indici si può determinare quanto e se la polvere è comprimibile.

W| yW}
Comprimility index (IC): 𝐼𝐶 = 100 ∗
W}
V0= poured volume
Vf= tap volume

𝜌\a` − 𝜌`fY]^g
𝐼𝐶 = 100 ∗
𝜌\a`
1
𝐵𝑢𝑙𝑘𝑛𝑒𝑠𝑠 =
𝜌XYZ[

dqmv{to
Hausner Index (IH): 𝐼𝐻 =
dzrq

FLUSSO DELLE POLVERI

Lo scorrimento delle polveri è importante per un processo efficiente e affidabile.


Esso è dato dalle interazioni deboli tra le particelle: se le particelle interagiscono molto
tra di loro, le particelle non scorrono bene all’interno della polvere.
Anche la forma influisce sul flusso delle polveri perché particelle a scaglie interagiscono
su una superficie più ampia, rispetto alle particelle di forma sferica e questo rende difficile
lo scorrimento.
La polvere deve avere uno scorrimento costante e per fare ciò si devono rompere i
legami tra le particelle; se ci sono i legami forti si formano agglomerati che si troveranno
anche nel prodotto finale.
Se la polvere non scorre bene bisogna fornire molta energia per rompere i legami e
ottenere uno scorrimento costante; ma fornire energia significa fornire calore, quindi si
presenta il rischio di degradazione del materiale stesso. Aumentando l’energia del
sistema si può provocare anche il cambiamento di stato della sostanza o il passaggio da
una forma polimorfa all’altra; il farmaco finale sarà cambiato rispetto a quello iniziale e
avrà caratteristiche chimico fisiche differenti.

Lo scorrimento della polvere ha un effetto su:


• Stabilità della polvere
• Uniformità del campione
• Mescolamento
• Segregazione
• Aumentano i costi di processo

138
Forze coinvolte nell’adesione e nella coesione:
• Forze frizionali
• Tensione superficiale
• Forze meccaniche (quando abbiamo delle superfici con delle scabrosità le particelle
tendono ad interagire con la superficie)
• Forze elettrostatiche
• Forze coesive e di Van der Waals

Fattori che determinano le forze di superficie:


• Forma della particella
• Dimensione e polidispersività
• Particelle ruvide o lisce
• Energia superficiale della polvere (tensione superficiale, adsorbimento di fluidi)
• Composizione chimica dei materiali
• Processo tecnologico

L’adsorbimento di un fluido può favorire lo scorrimento delle polveri perché può andare a
riempire le scabrosità e rendere la superficie più liscia; inoltre l’acqua disperde facilmente
le cariche superficiali e non si hanno problemi di carica che rallentano il flusso.

Più piccole sono le particelle, minore è lo


scorrimento delle polveri. Abbiamo
particelle da 200-250 µm à da 250 a 75
µm si iniziano ad avere un po’ di
problemi di scorrimento e sotto i 75 µm
la polvere presenta delle forti difficoltà
nello scorrimento.

139
L’intensità delle forze frizionali dipende dal tipo di materiale con cui si ha a che fare. Per
esempio le forze frizionali e quelle di Van der Waals hanno un valore importante su
superfici più scabrose e su particelle piccole, al di sotto dei 150 µm; inoltre l’umidità
favorisce la diminuzione della tensione superficiale.
Le forze elettrostatiche sono di maggiore importanza rispetto a quelle di Van der Waals.

Ci sono due modi per determinare lo scorrimento delle polveri: l’angolo di riposo e lo
scorrimento.

1) Angolo di riposo Φ

Il valore dell’angolo di riposo dipende dalle proprietà


superficiali delle particelle che determinano fluidità e
densità della polvere.
L’angolo di riposo si determina versando la polvere su
una superficie piana, così facendo essa assume una
forma conica, la cui altezza e larghezza dipendono
dalla scorrevolezza della polvere. Se la polvere è poco
scorrevole, il cono avrà una base stretta e un’altezza
alta. Se invece la polvere è molto scorrevole
(Ludipress), il cono di polvere avrà una base ampia e
un’altezza ridotta.

In alternativa si può riempire un contenitore con la polvere e vedere come scorre


inclinando il recipiente e andando a determinare Φ:

140

𝑇𝑎𝑛 𝛷 = :
]
- Φ< 30° materiale scorrevole
- Φ> 30° materiale poco scorrevole

ESEMPIO: effetto del talco sull’angolo di riposo


Il talco è un eccipiente lubrificante che, aggiunto ad una
polvere, diminuisce di molto l’angolo di riposo.
Nel grafico in ascissa è presenta la concentrazione di
talco, mentre in ordinata è riportato l’angolo di riposo.
Si nota che all’aumentare della concentrazione di talco
si raggiuge un valore minimo dell’angolo di riposo, che
poi ritorna ad aumentare se si eccede con l’utilizzo di
talco. Infatti quando viene aggiunto troppo talco,
l’angolo aumenta perché si formano delle interazioni
più forti tra le molecole di principio attivo e lubrificante.
In ogni processo c’è sempre un punto in cui la quantità di talco è ottimale (il minimo),
mentre aggiungendo più lubrificante poi la situazione
peggiora.

In questo grafico, all’aumentare della dimensione delle


particelle aumenta anche lo scorrimento, cioè l’angolo di
riposo (asse y) diminuisce. Infatti più grandi sono le
particelle, migliore è lo scorrimento.

Nel grafico è rappresentato l’angolo di riposo di una


miscela di talco con ossido di magnesio dopo 24h di
esposizione all’atmosfera a percentuali relative di umidità
crescenti.

141
2) Metodo dell’imbuto

Si tratta di un’altra tecnica per determinare il flusso delle polveri: si riempie l’imbuto con
una certa quantità a peso noto di polvere e la si fa scorrere lungo lo strumento,
prendendo nota del tempo impiegato dalla polvere per scendere dall’imbuto.

N.B. Non c’è nessuna correlazione tra il flusso misurato con l’imbuto e quello misurato
con l’angolo di riposo, sono due metodi diversi per misurare lo scorrimento della polvere.

Per esempio, nello scorrimento con l’imbuto, all’aumentare della grandezza delle
particelle migliora la scorrevolezza della polvere fino ad un certo punto limite in cui le
polveri diventano troppo grandi e rischiano di provocare una occlusione dell’imbuto,
quindi in questo caso lo scorrimento risulta peggiore.

All’aumentare della concentrazione di magnesio


stearato (lubrificante), la scorrevolezza aumenta
come si vede dal grafico.

Nel grafico si può notare l’influenza della grandezza


delle particelle sullo scorrimento della polvere. I punti
di massimo delle due curve più alte rappresentano
l’occlusione dell’imbuto che può avvenire quando le
particelle diventano troppo grandi. Dopo questi
massimi si registra una diminuzione dello
scorrimento.

142
PROPRIETÀ MECCANICHE

Sono proprietà che dipendono dall’energia del sistema; in realtà anche lo scorrimento
dipende dall’energia del sistema perché si formano e si rompono dei legami.

Le proprietà che dipendono dall’energia del sistema sono:

• Elasticità Processo farmaceutico


• Plasticità
• Viscoelasticità Proprietà chimico fisiche di formulazione
• Durezza
• Fragilità Stabilità di formulazione
• Debolezza
Disponibilità del farmaco
• Rigidità

Tutte queste caratteristiche descrivono il comportamento di un certo materiale ma, tra


tutte, solo la caratteristica che prevale che va a determinare il suo reale comportamento.

Le proprietà meccaniche si determinano sulla


base delle curve di stress/strain: sono dei
grafici in cui si evidenzia la variazione della
dimensione del materiale in funzione di una
forza applicata.
Il punto di resa determina la fine della fase
elastica, cioè quando la forza applicata cessa
e il prodotto ritorna alle condizioni iniziali
(deformazione temporanea). Dopo il punto di
resa si ha la fase plastica in cui il prodotto
rimane deformato anche dopo la cessazione
della forza applicata (deformazione
permanente).
Si hanno quindi una deformazione plastica e
una elastica. Dopo la deformazione plastica si
ha il punto di rottura.
Si possono costruire varie curve sulla base di
questi processi di deformazione à

143
Quando viene applicata una forza ad un materiale si ha una deformazione dimensionale.
Le deformazioni dimensionali, plastiche ed elastiche avvengono contemporaneamente,
quindi non si avrà mai la distinzione tra deformazione plastica ed elastica.

Il modulo di Young mette in correlazione lo stress (forza) e lo strein (stiramento) di un


materiale e indica quanto questo sia elastico. Più piccolo è il modulo di Young, maggiore
è l’elasticità del materiale essendo un rapporto tra forza applicata e deformazione.

Il modulo di Young si ricava dall’equazione di Hook:


𝜎 = 𝐸 ∗ 𝜀

𝝈
𝑬=
𝜺

σ: stress
ε: strain
E: modulo di Young

Elasticità

È la capacità del materiale di ritornare alla forma


originale dopo uno stress che ha provocato una sua
deformazione per un BREVE periodo di tempo.
Il grafico è un’isteresi perché le due curve non sono
perfettamente sovrapponibili; il ritorno elastico infatti
non è uguale in quanto nella deformazione dei materiali
c’è sempre un minimo di deformazione plastica.

Plasticità

È la capacità di un materiale di deformarsi in modo


PERMANENTE. Dipende dal tipo di materiale che
stiamo utilizzando e dalle impurezze presenti
all’interno, dipende poi dalla struttura solida del
materiale, dalle anomalie e dalla presenza di solventi.
A differenza della deformazione elastica che può
essere calcolata con il modulo di Young, la
deformazione plastica non può essere determinata.

144
Viscoelasticità

Caratteristica elastica tempo-dipendente dei materiali. Mentre l’elasticità è il ritorno


immediato alla forma originaria, nella deformazione viscoelastica il ritorno alla forma di
origine non avviene in modo simultaneo, ma avviene in funzione del TEMPO. Questo
accade perché oltre alla deformazione elastica, avviene sempre una deformazione
plastica.

Tutti questi parametri ci consentono di calcolare:


• Fragilità: il materiale si rompe in più parti
• Frattura duttile: ampia deformazione plastica

Indici di compressazione (tableting index)

Sono parametri che permettono di correlare le proprietà meccaniche di un solido con la


capacità di formare sistemi compatti con determinate caratteristiche chimico-fisiche e
meccaniche.

• Indice di legame

Durante la compressazione si formano dei legami tra le particelle, quindi si possono


calcolare degli indici di legame che vengono determinati dalle caratteristiche meccaniche
del materiale, quali la resistenza alla tensione e la durezza. Questi due parametri
vengono determinati da strumenti fisici che misurano la forza alla quale la compressa si
rompe se viene sollecitata ad una certa pressione.
L’indice di legame determina quanto forti e quanti sono i legami che intervengono nella
formazione del compatto. Dà informazioni anche riguardo la stabilità della compressa una
volta prodotta.

L’indice di legame serve per determinare la permanenza della solidità durante la


compressione ed è:

𝜎Œ
𝐵𝑜𝑖𝑛𝑑𝑖𝑛𝑔 𝐼𝑛𝑑𝑒𝑥 =
𝐻

σT = forza tensile (resistenza alla tensione) del compatto ad una data frazione
H = durezza (pressione di deformazione permanente) ad una data frazione

Alla massima compressione si ha il numero massimo di legami interparticellari perché


l’area vera di contatto è massima. Alla decompressione invece i legami diminuiscono
perché si ha un recupero elastico. Un alto BI indica che molti di questi legami
permangono dopo decompressione.
Il BI quindi descrive la tendenza della compressa a rimanere intatta à compresse
prodotte con materiali con buon BI tendono a rimanere compatte.

145
• Indice di frattura di fragilità

Misura la fragilità e la capacità del materiale di assorbire uno stress mediante


deformazione plastica.

• Indice di tensione

Misura la tensione (cambiamento della grandezza della compressa) in seguito a


decompressione o compressione.

ESEMPI di tableting index

1) Fenacetina: è meno fragile di ibuprofene e


saccarosio, ma ha anche un basso BI e quindi
tende a fratturarsi di più per decompressione
uniassiale.
2) Eritromicina: ha un alto indice di tensione e
quindi quando la compressa viene espulsa
dalla camera di compressione tende ad
espandersi molto e a fratturarsi, nonostante
l’alto indice di legame.

Effetto dell’indice di legame sulla disponibilità del


farmaco: la diversa velocità di dissoluzione è
dovuta al diverso BI dovuto all’utilizzo di
quell’eccipiente.

146
8. PROCESSI NELL’INDUSTRIA FARMACEUTICA
L’industria farmaceutica è basata sulla formulazione di materiali per ottenere un prodotto
finale.
Quando si realizza un farmaco si fa una trasformazione di una molecola, che è il
principio attivo, in qualcosa che viene reso somministrabile.
Nel processo di trasformazione si adottano delle modalità di produzione diverse per ogni
tipo di prodotto e tutti i procedimenti e le sostanze utilizzate devono essere approvati
dalla FUI.

Si utilizzano processi di tipo diverso a seconda della forma farmaceutica. Ognuna ha un


suo processo produttivo particolare, però ci sono alcuni procedimenti che sono comuni:
• Milling: riduzione delle dimensioni delle particelle per aumentarne la disponibilità e lo
scorrimento
• Mixing delle polveri con altre sostanze (eccipienti)
• Essicamento: eliminazione di alcuni solventi organici o del contenuto di acqua in
eccesso
• Granulazione
• Tabletting
• Design di formulazione

PROCESSO DI MILLING (MACINAZIONE)

Porta alla riduzione della grandezza delle particelle per poter rendere il preparato
UNIFORME. Per ottenere un preparato omogeneo si può agire o aumentando la
grandezza delle particelle o riducendola. Nel secondo caso, le particelle vengono
macinate e la loro dimensione diminuisce fino ad ottenere un sistema omogeneo a partire
da un blending polidisperso (milling); nel primo caso, invece, la grandezza delle particelle
aumenta fino a renderle uniformi e questo processo è chiamato granulazione.

Vantaggi del milling:


• Aumento della solubilità
• Aumento del mescolamento
• Essicazione più facile

Svantaggi del milling:


• Cambio dello stato solido (da polimorfo ad amorfo) che causa un’alterazione della
disponibilità e della biodisponibilità dovuta all’aumento dell’energia del sistema
• Degradazione del sistema, dovuta all’energia accumulata che viene o dispersa o
utilizzata per un aumento di temperatura
• Abbassamento della bulk density, le particelle sono più uniformi e gli spazi tra di esse
diminuiscono
• Aumento dell’energia libera
• Aumento dell’area superficiale (= si scioglie più rapidamente): maggiore superficie
esposta alla degradazione dalla luce.

147
Durante il processo di milling viene fornita molta
energia al sistema, ma solo dallo 0,05% al 2% viene
utilizzata per il milling. Il resto dell’energia è dispersa
sotto forma di calore (10-50%) che aumenta il
rischio di degradazione del prodotto, di
deformazione plastica in cui si rompono alcuni
legami intermolecolari e se ne formano degli altri, e
di frizione tra strumento e strumento, tra particelle
e strumento e tra le particelle stesse.

Il processo di macinazione avviene per:


• Taglio
• Compressione
• Impatto
• Attrito

La scelta del processo di macinazione è influenzata dal tipo di materiale utilizzato e dai
tipi di impianti diversi utilizzati a seconda della sostanza impiegata.

Blade mill (mulino a lame)

È un contenitore fisso con un sistema di lame


rotanti all’interno. Ha delle lame conficcate nel
corpo e lavora in continuo così da caricare
superiormente la polvere e poter prelevare il
macinato dalla parte inferiore. La polvere passa
attraverso una griglia di setacci che fa passare solo
la polvere della grandezza desiderata. È una griglia
costruita in acciaio adatta a materiali vegetali, fibrosi
e secchi.
Lo svantaggio di questo strumento è che la pulizia
che è molto complicata.
La macinazione avviene per taglio e spesso è
utilizzato per la macinazione di droghe vegetali.

148
Hammer mills

Non ci sono lame, ma un corpo rigido. In questo


strumento la macinazione avviene per impatto e in
parte per compressione e ha il vantaggio di lavorare
in continuo.
Di solito sono strumenti formati da materiali in acciaio,
all’interno sono presenti delle sbarre che fanno
impattare il materiale e dei setacci all’interno per
selezionare la polvere con le dimensioni volute.

Rolling mills

Possono essere mulini a varie forme, ci sono


sia cilindri lisci che scanalati.
Anche questi lavorano in continuo e sono
utilizzati per materiali fragili, come quelli
cristallini.
Hanno anch’essi un sistema di setacciatura.

Mulini a palle rotanti

Sono dei cilindri che all’interno contengono delle


palline, dei cilindri o dei cubi inerti di acciaio. Le sfere
devono ruotare ad una determinata velocità, altrimenti
se la velocità è eccessiva c’è il rischio che si rompa il
materiale, se ruotano troppo lentamente invece il
processo di macinazione non è efficiente.
Non è un sistema molto utilizzato perché lavora in
batch, ovvero ogni volta che il processo termina
bisogna scaricare il materiale dallo strumento e
lavarlo.

Mulino ad energia fluida (fluid energy mills)

149
È estremamente efficiente, consente di ottenere
particelle molto piccole controllando le condizioni di
lavoro. Funziona per impatto e compressione.
La polvere è introdotta all’interno di un loop che viene
sottoposto ad un flusso d’aria controllabile (un fluido a
temperatura controllata) che le particelle seguono in
modo più o meno efficiente a seconda della loro densità
aerodinamica.
A seconda della dimensione e della densità delle
particelle e del flusso d’aria impresso si avrà un impatto
della polvere sulle pareti del macchinario: le particelle
delle dimensioni adatte (quelle che abbiamo voluto
selezionare) seguono il flusso d’aria fino alla fine del
loop, quelle che hanno densità aerodinamiche grandi
vanno a sbattere contro le pareti o contro altre particelle e diventano più piccole, in modo
da poter arrivare anche loro alla fine del tubo.

Le particelle troppo piccole si muovono in modo casuale con moti browniani e non
seguono il flusso d’aria, perciò, per ragioni statistiche, vengono introdotte all’interno di un
classificatore all’interno del quale si riescono a separare da quelle di dimensione voluta.
In base al flusso d’aria quindi viene determinata la dimensione delle particelle.

MESCOLAMENTO (BLENDING)

Il mescolamento è importante perché il farmaco sarà sempre costituito da più sostanze


che devono risultare omogenee una volta assieme.
Per fare questo processo è fondamentale conoscere la cinetica del sistema perché nel
mescolamento viene fornita energia che va ad alterare la stabilità della polvere. Non
bisogna mai esagerare con il mescolamento perché:
• Elevato costo in termini di occupazione dell’impianto
• Elevata energia utilizzata a livello industriale
• Impiego degli operatori
Il continuo mescolamento delle polveri implica un aumento dell’energia interna con
conseguente degradazione del mescolato e possibile rottura delle particelle nel caso in
cui il mixing avvenga in maniera errata.

Il mescolamento può avvenire tramite vari meccanismi:


• Compressione e decompressione continua
• Diffusione per blocchi: ci sono dei blocchi di particelle che si
muovono su dei piani (movimento planare che permette il
mescolamento delle polveri)
• Diffusione delle singole particelle all’interno della polvere
(avviene anche senza mescolare)
• Diffusione di gruppi di particelle all’interno della polvere

La scelta del tipo di mescolamento che viene eseguito dipende dal


tipo di sostanze utilizzate.

150
Possiamo avere diversi tipi di mescolato:
• Mescolato perfetto: non si raggiunge mai à abbiamo due
componenti diversi e ogni particella di una sostanza è
perfettamente circondata dalla particella dell’altro componente.

• Mescolato ordinato: non è perfetto perché non c’è una


composizione strutturale ottimale, ma c’è un certo grado di
ordine. Questo tipo di mescolato si ottiene ad esempio quando facciamo adsorbire
delle particelle più piccole insieme a delle particelle più
grandi. Viene utilizzato per la preparazione di polveri per uso
polmonare in cui le particelle grandi sono composte da
lattosio e quelle piccole dal farmaco, in questo caso si fa
adsorbire sulla superficie del farmaco il lattosio (inerte).

Un altro modo è quello di formare dei granuli à si miscelano le particelle tra di loro e
si formano dei granuli che hanno composizione qualitativa e quantitativa omogenea.

• Mescolato casuale: mescolato in modo random. I due


materiali si mescolano tra di loro senza alcun ordine.

Rotating Shell blenders (mescolatori a corpo rotante)


Hanno diverse forme tutte diverse tra loro. Lavorano in modo
discontinuo, quindi c’è il problema della pulizia dell’impianto.
Questi impianti vanno bene per polveri secche e la loro
efficienza dipende dalla quantità di materiale: meno materiale
c’è più efficiente sarà lo strumento.
In questo caos possiamo scegliere due strade: o utilizziamo
più materiale e il processo risulta parecchio lungo, oppure
utilizziamo poco materiale modo che il funzionamento sia più
efficiente, ma bisogna pulire periodicamente lo strumento.

Rotating shell with mixer blenders


Sono simili a quelli di prima, contengono però un
agitatore e hanno un corpo rotante a cui sono
attaccate delle lame che girano e che rendono più
omogenea la polvere. Vanno bene per polveri
secche.

151
Fixed shell blenders
Hanno un corpo fisso all’esterno e un sistema di
agitazione all’interno.
Il più comune è il miscelatore planetario, detto così
perché richiama il movimento di rotazione e rivoluzione
della Terra (doppia rotazione).
È utilizzato principalmente per semisolidi, quindi gel,
pomate, creme o per dispersioni come emulsioni e
sospensioni.
Questi miscelatori sono abbastanza efficienti ma il setup
deve essere accurato perché lavorano con tanta energia e in modo discontinuo, bisogna
quindi stare attenti alla pulizia perché si lavora con
semisolidi che possono intasare la macchina.

High speed mixer blenders


Hanno un chopper (agitatore ad alta E) che si muove molto
velocemente ed è funzionale per la preparazione di
semisolidi durante la formulazione di pomate (infatti si
formano agglomerati). Lavorano sia in modo continuo che
discontinuo.

Fluid bed blenders


È un mescolatore a letto fluido, lavora in batch quindi
presenta il problema della pulizia.
È costituito da una camera in cui alla base viene posto un
filtro. La polvere viene posizionata sopra al filtro e un flusso
di aria calda proveniente dal basso la spinge verso
l’estremità superiore della camera, incontrando un
secondo filtro di carta o stoffa che serve per non fare
uscire la polvere. Questo strumento è chiamato Wurster
ed è utilizzato per mescolare, essiccare e ridurre la
polvere in granuli.

Continuous blenders
È un impianto con andamento a zig zag che, grazie alla
sua forma, favorisce il mescolamento della polvere.
Si inserisce il materiale all’interno del tubo a zig-zag che
porta al mescolamento della polvere.

152
ESSICCAMENTO

Questo processo serve per eliminare il solvente organico utilizzato per la sintesi del
farmaco ed eventuale acqua non necessaria. È un processo indicato dalla FUI, la quale
descrive così i metodi di essiccamento:

Umidità assoluta: massa di vapore acqueo per unità di massa di aria secca.
% umidità assoluta: rapporto tra umidità assoluta e umidità assoluta alla saturazione di
quella temperatura.
% umidità relativa: rapporto tra vapore e acqua nell’aria.

L’umidità è definita come perdita di peso, cioè è la misura del peso dell’acqua nel
campione rispetto al peso del campione secco.
Il Moisture Content (MC) invece è il peso dell’acqua del campione rispetto al campione
prima dell’essiccamento espresso in percentuale.

Meccanismi di essiccamento:
• Capillarità: l’acqua si muove all’interno del solido tramite dei canali in modo contrario
alla forza gravitazionale. Ci sono delle forze di superficie che vincono delle forze di
gravità e fanno salire l’acqua su questi piccoli tubicini.
• Diffusione del liquido: processo diffusivo che avviene al di fuori dell’equilibrio, è
necessario un gradiente di acqua perché questa sia eliminata.
• Vapore di diffusione: avviene con un gradiente di pressione, quando viene applicato
un vuoto (tipico dell’essiccatore).

153
Profili di essiccamento: i grafici rappresentano lo stesso processo, analizzato con
parametri diversi.

In questo caso viene riportato la variazione del contenuto di


umidità in funzione del tempo. Non si distinguono le varie
fasi, che sono quelle di riscaldamento e di equilibrio.
Ascisse: tempo
Ordinate: MC

In questo caso si rappresenta la velocità di essiccamento in


funzione del tempo. All’inizio la velocità aumenta
all’aumentare del tempo fino a quando non rimane costante.
Nell’ultima parte la curva va verso il basso perché
diminuisce la quantità di farmaco che va via nell’unità di
tempo.
Ascisse: MC
Ordinate: velocità di essiccamento

Questo grafico rappresenta la velocità di essiccamento in


funzione del contenuto di umidità. È il contrario del grafico
precedente. All’inizio si ha un contenuto elevato di umidità,
alla fine si arriva quasi allo zero.
Ascisse: tempo
Ordinate: velocità di essiccamento

Fase A-B: all’inizio c’è la fase di riscaldamento (warming up) e man mano che la
temperatura aumenta, aumenta la velocità di evaporazione.
Fase B-C: si raggiunge una temperatura in cui il numero di molecole che evaporano dalla
superficie della polvere è lo stesso di quelle che rimangono in superficie, perché quelle
che se ne vanno sono sostituite da quelle della superficie interna dello strumento. È una
fase di equilibrio.
Punto C: si è raggiunto il punto critico di umidità. A questo punto le molecole di acqua
all’interno della polvere non sono più in grado di rimpiazzare quelle presenti sulla
superficie perché ce ne sono troppo poche. È un punto di non equilibrio. Questa fase
dipende dal tipo di solvente e dal tipo di materiale che abbiamo.

154
Fase C-D: è la fase steady state, la velocità di essiccamento si riduce perché è stato
raggiunto il punto critico e la quantità di acqua che se ne va diminuisce nel tempo.
Bisogna capire quando fermarsi, il prodotto non deve essere completamente anidro:
l’acqua superficiale permette alla superficie del farmaco di essere più liscia. Quando viene
eliminata l’acqua di cristallizzazione si rende il prodotto più instabile e degradato poiché
vengono eliminati alcuni legami fornendo energia. Per questo motivo i prodotti
completamente essiccati hanno delle caratteristiche chimico-fisiche molto difficili da
manipolare.
Se si prosegue con l’essiccamento si ha l’indurimento, ovvero si forma una barriera sulla
parte esterna della polvere che impedisce all’acqua interna di essere eliminata, questo
succede generalmente se il processo non è efficiente à bisogna quindi fare scelte
adeguate per quanto riguarda la temperatura e il tempo.
L’acqua quindi deve essere eliminata lentamente e in modo diffusivo.
La grandezza delle particelle influenza la velocità di essiccamento: più piccole sono le
particelle, maggiore è la superficie, più velocemente viene essiccata la polvere.

Vessel dessicator (essiccatore a vassoio)


È costituito da molti vassoi posti su un piano, è
poco efficiente e lavora in batch.
Si riempiono questi vassoi con la polvere,
formando uno strato di un’altezza nota (più è
bassa più efficiente è il processo). Da un lato si fa
passare dell’aria secca che porta via l’acqua e
attraverso una ventola l’aria viene aspirata dalla
parte opposta, passa attraverso una resina di
silice che trattiene l’acqua, la quale viene così riciclata.

155
Against thought dessicator
Presenta sia un mescolatore che un macinatore
all’interno.

Fluid bed dessicator (Wurster)


È l’essiccatore a letto fluido già visto nei
mescolatori: la polvere viene posta nella camera
sopra un filtro, viene fatta passare dell’aria calda
a partire dal basso e si distribuisce su tutto lo
strumento fino a raggiungere il filtro posto sul
lato superiore.
È un sistema efficiente perché ogni particella è
libera nell’aria e viene essiccata subito, in questo
modo si può svolgere anche un mescolamento in
contemporanea.

Irradiation or dieletric heating (forno a microonde)


È il sistema più efficiente.
Mentre negli altri sistemi si doveva riscaldare con aria
secca e la maggior parte del calore veniva sprecato, in
questo caso il 70% dell’energia utilizzata è spesa
nell’essicamento.
Con questa tecnica il campione viene irradiato con
microonde o con radio frequenze. Questi sistemi si
basano sul fatto che materiali polari (con un dipolo)
quando vengono irradiati da una certa lunghezza
d’onda si muovono secondo la frequenza e si
orientano con il campo magnetico generato da queste
frequenze. Le particelle del composto si muovono
sempre più velocemente fino a che non raggiungono
un’energia cinetica che permette all’acqua di uscire.
Se il solvente è apolare, la radiofrequenza NON
funziona (infatti nel microonde si riescono a scaldare solo sostanze con un certo
contenuto di acqua).

156
La cosa importante è che il materiale si scalda dall’interno, le molecole entrano in
risonanza e si muovono a energia cinetica sempre maggiore.
GRANULAZIONE

Il granulato è già una forma farmaceutica.


Viene anche utilizzato come forma intermedia per formare compresse; infatti i granulati
presentano una forma ordinata e ogni granulo ha una stessa composizione quali e
quantitativa e non si ha il problema di segregazione dei vari componenti.

Obiettivi della granulazione:


• Aumentare lo scorrimento della polvere
• Aumentare bulk density
• Ottenere particelle di dimensioni omogenee à si possono setacciare i granuli della
stessa dimensione
• Facilitare il campionamento della polvere
• Migliorare il processo di compressione

Ci sono due metodi per preparare i granulati:


• Processo a umido
• Processo a secco
Viene comunque sempre preparato con un agente granulante che tiene unite le
particelle. Questi sono degli agenti che possono anche essere dei solventi o delle
soluzioni (soluzioni di zucchero, polimero).

Le forze che intervengono tra le particelle all’interno di un granulato sono forze di


superficie, tra cui:
• Forze intermolecolari: sono importanti quando le superfici sono lisce. Non hanno
molta importanza nella crescita del granulo, quanto nella compattazione del granulo
durante la granulazione a secco e nella formazione delle compresse;
• Forze elettrostatiche: si formano tramite frizione durante il processo durante il quale
si hanno tra 1000 e 1 milione di cariche per cm2. Tali forze sono importanti soprattutto
nella crescita del granulo e si registrano generalmente su superfici lisce; sono invece
meno importanti nella fase di compressione, quindi nell’interazione granulo con
granulo.
• Ponti liquidi e solidi: si formano in entrambi i tipi di granulazione (a secco e a umido).
Questi si possono formare:

157
- Con la granulazione a secco dove non si aggiunge un liquido, ma comunque la
polvere presenta acqua al suo interno e quando viene compressa si esercita una
certa pressione che comporta l’aumento della temperatura del sistema: l’acqua
utilizzata come solvente fa sciogliere gli
eccipienti (come il saccarosio) al suo
interno. Quando poi si decomprime il
sistema, esso si raffredda e si formano
dei ponti solidi tra le varie particelle;
- Quando il granulato è a umido e si
utilizza un solvente che scioglie
l’eccipiente, poi si essicca e il solvente
solidifica, in questo modo si formano i legami liquido-solido.
- Quando si aggiunge un granulante nella miscela. In questo caso esso sarà già in
soluzione, si mescola e si essicca. Alla fine si ottiene il ponte solido del granulante.

Granulazione a secco
Metodo diretto e semplice. Si utilizzano dei mulini e dei compattatori, per esempio delle
presse, da cui si ottengono dei granuli compatti che vengono poi macinati e setacciati.
I granulanti possono essere gli eccipienti che utilizziamo à ad esempio l’amido è un
granulante anche se è utilizzato come agente riempitivo.
Un’azione granulante è anche quella dell’acqua all’interno della polvere.

Granulazione a umido
È un processo più complesso. Si mescolano tutte le polveri, si aggiunge un solvente o
una soluzione e si mescola il tutto. Si ottiene un sistema semi-solido che viene essiccato
per eliminare il solvente (acqua) e alla fine si ottiene un compatto che viene macinato per
ottenere granuli della stessa dimensione.
Si parte quindi da particelle piccole per poi arrivare a delle particelle più grandi, che sono i
granuli ottenuti tramite mescolamento e macinamento.

Durante il processo di granulazione a umido si presentano varie fasi:

• Fase pendiculare: è la fase iniziale in cui l’agente granulante si dispone all’interno


delle particelle e si formano ponti liquidi. Dipende dalla forma delle particelle e dalle
proprietà di superficie;

158
• Fase funicolare: si ha in caso di un’elevata % di contenuto liquido (almeno 25%).
Avviene una copertura della parte interna delle particelle ma gli spazi vuoti non
vengono saturati;
• Fase capillare: riempimento di tutti gli spazi vuoti tra le particelle;
• Goccia: avviene quando anche la superficie esterna delle particelle viene coperta dal
liquido, non si deve arrivare a questa fase.

Quando si aggiunge l’agente granulante se ne


aggiunge poco alla volta sia perché costa sia
perché poi bisogna fare l’essicamento che
presenta una certa difficoltà operativa. Man
mano che si aggiunge l’agente granulante la
viscosità aumenta fino ad un picco, dopodiché
cala progressivamente perché prevale l’azione
dell’agente granulante liquido. Non bisogna mai
raggiungere la fase slurry, ovvero una pasta
molto fluida.

Binders: i leganti permettono di formare i granuli con una certa forza meccanica e danno
volume alle compresse con bassa attività.
Possono essere di tre tipi: ci sono solventi come etanolo e acqua; altri sono soluzioni
zuccherine; altri ancora sono dispersioni colloidali di polimeri non sintetici, semisintetici,
sintetici (gomma acacia, derivati della cellulosa, soluzioni di gelatina, soluzioni di amido,
gomma dragante). Vengono utilizzati in quantità elevate, dal 65 al 75%.

Una volta individuato il granulante a umido, si utilizza il miscelatore (planetario o a sigma


che vanno bene per materiali semisolidi) e il prodotto poi viene essiccato. La polvere
viene poi rotta e setacciata così da ottenere dei granuli omogenei.

159
Wurster:

Qui inseriamo la polvere.

La polvere viene portata in aria con un


soffio di aria calda filtrata che passa da
sotto alla temperatura stabilita dal
processo. Mentre viene portata in aria, la
miscela di polveri viene anche spruzzata
con una soluzione (acqua, alcol o
saccarosio) e si formano delle gocce. Le
particelle di farmaco ed eccipiente vanno all’interno della goccia e, siccome siamo in una
camera riscaldata, il solvente se ne va via subito e si forma il granulo.
Questo è il processo più efficiente dei precedenti.

I fattori da controllare per una buona granulazione sono:


• Concentrazione del legante
• Flusso di aggiunta del legante
• Temperatura di essiccamento
• Grandezza delle goccioline (nel wurster) che dipende dalla pressione con cui si
spruzza nella camera
• Punto di atomizzazione

Spray dryer:

Lo abbiamo visto nella micronizzazione, si fa una soluzione del


farmaco e lo si elabora con lo spray dryer.
È un sistema in cui si ha la soluzione di farmaco, o farmaco +
eccipienti, che viene aspirata attraverso una pompa di
aspirazione e portata ad una camera in cui viene atomizzata e in
cui si formano delle goccioline. Il solvente viene eliminato e si
formano delle particelle che rappresentano il farmaco vero e
proprio.
Il principio che viene utilizzato è simile al wurster, infatti si ha
l’atomizzazione in contemporanea con l’essicamento.

160
Alla fine abbiamo dei granuli da caratterizzare secondo i seguenti parametri:

• Densità
• Superficie e forma
• Dimensione e distribuzione particellare
• Porosità
• Durezza
• Friabilità
• Solubilità e velocità di dissoluzione
• Disaggregazione
• Stabilità

PRINCIPI DELL’INDUSTRIA FARMACEUTICA

Il processo dell’industria farmaceutica coinvolge una serie di risorse tra cui materiali,
impianti, spazi, risorse logistiche e risorse umane. Tutte queste vengono coordinate
all’interno del processo di trasformazione. tale processo è costituito da una serie di
attività che hanno un obiettivo aziendale determinato precedentemente in fase di
pianificazione.
Il flusso di processo è un insieme di attività correlate e inter correlate, svolte all'interno
dell’azienda, che creano un certo valore economico e scientifico trasformando risorse
(input del processo) in un prodotto finale (output del processo) destinato ad un soggetto
interno o esterno all'azienda (cliente).
Il processo industriale è rappresentato da un diagramma detto flow chart, cioè una
rappresentazione grafica delle risorse e delle attività che vengono svolte nell’azienda. In
questa rappresentazione grafica ci sono dei nodi rappresentanti le attività svolte e archi
che rappresentano la sequenzialità con cui le medesime attività vengono svolte, orientati
secondo la loro sequenza cronologica (nel senso che se un arco esce da un'attività ed
entra in un'altra, la seconda viene eseguita dopo la prima) à archi danno l’indicazione
della conseguenza delle varie operazioni.
L’idea di avere una progettualità, fissando i punti principali facendo un piano di
contingenza, permette di prevedere le difficoltà che si possono presentare durante il
processo in modo da poterle prevenire o risolvere con i mezzi adatti.

Ci sono delle figure convenzionali per identificare il flow chart: per esempio l’inizio e la
fine del processo sono identificate da un’ellisse o da un rettangolo con angoli smussati; il
rombo da cui escono diversi archi serve per identificare le opzioni da scegliere; il
rettangolo serve per inviare i dati.

161
Il flusso di processo, assieme ai dati quantitativi di
output previsti per l’impianto (dimensione lotto,
numero di lotti per campagna, durata delle possibili
campagne, massimo numero di lotti totali anno):
• Costituisce la base delle informazioni per la
progettazione dell’impianto;
• Costituisce la base di discussione per le
considerazioni che porteranno alla scelta delle
macchine dedicate al processo (specifiche, rese,
idoneità dei materiali di costruzione,
strumentazione);
• Costituisce un punto di riferimento per
l’integrazione delle macchine nel lay-out
dell’impianto;
• Consente di ottimizzare nel lay-out flussi di
materiale, impianti e personale.

Durante un processo bisogna progettare in anticipo tutto il procedimento e il materiale da


utilizzare, il progetto è a lungo termine.

I simboli convenzionali della flow chart sono:

ESEMPIO di PROCESSO:
1) Riceviamo un ordine e lo prendiamo in carico, iniziando così il processo.
2) Si controlla se la fonte che ha fornito l’ordine è affidabile o meno in termini di
pagamento: se i crediti sono buoni si va avanti, altrimenti ci si ferma.
3) Dopo aver approvato il proseguimento del processo, si controlla se in magazzino è
presente il prodotto richiesto, si programma la spedizione, si conferma la data, viene
inviato il prodotto e il processo è finito.

162
4) Se invece il prodotto invece non è presente in magazzino bisogna controllare se è
presente il materiale di base per poter produrre il prodotto finale, se non ce l’abbiamo
bisogna ordinarlo (bisogna sempre avere i materiali di base per poter velocizzare i
tempi ed essere competitivi con le altre aziende).
5) Si comincia la produzione. Il processo è molto lungo e articolato, infatti le aziende
farmaceutiche non prendono tutti gli ordini ma solo quelli convenienti.

È importante avere chiarezza nei tempi di produzione, nei costi e in quello che il personale
è in grado di svolgere.

LAY-OUT

Il Lay-Out è la progettazione e la realizzazione della disposizione dei reparti e dei servizi in


un’area adibita alla produzione in ambito industriale. È la parte hardware dello sviluppo
del processo. Bisogna tener conto di:
• Spazio fisico adeguato alle esigenze (dimensione dei macchinari, spazio di manovra e
manutenzione, personale impiegato, tipo di produzione, quantità di produzione ecc.).
• Relazioni e grado di importanza che esiste tra le diverse operazioni (macchine, servizi,
reparti, magazzini) e la movimentazione dei materiali e del personale.
• Infrastrutture e servizi (acqua, elettricità e gas, scarichi, aria compressa, sistemi di
comunicazione e registrazione)
• Struttura reale dell'edificio
• Scopo dell’azienda.

Obiettivi critici del Lay-out:


• Preferire flussi a una via se si usano due
vie attivare adeguati interblocchi (solo un
passaggio, o andata o ritorno)
• La rimozione dei rifiuti deve avvenire da vie
diverse da quelle di prodotto
• Adibire giusti spazi per lo stoccaggio in
linea
• Minimizzare e prevenire • Vestizione coerente con la classificazione
l’introduzione di contaminanti à DPI corretti
nelle aree classificate • Procedure di accesso
• Minimizzare l’esposizione del coerenti/addestramento. Minimizzare
prodotto all’ambiente eventuali “conflitti” fra GMP e requisiti di
• Minimizzare e prevenire gli sicurezza (GMP dicono le norme per
incroci tra prodotti e materiali lavorare bene. Le norme per la sicurezza
• Minimizzare le intrusioni nelle dicono come bisogna lavorare per agire in
aree critiche sicurezza)
• Garantire alle macchine accessi per

manutenzione da aree non qualificate
• Minimizzare piping e cavi in aree
à

163
Classificazione delle aree

1) Aree asettiche di processo per prodotto/componenti


2) Aree immediatamente adiacenti che creano degli “air-locks” a materiali/personale
3) Aree di preparazione collegate con le aree asettiche
4) Aree adiacenti a quelle precedenti comprendenti air-locks per i materiali, spogliatoi
per aree pulite, confezionamento secondario e altre aree farmaceutiche
5) Aree di supporto generali (magazzini, uffici, aree tecniche)

Le finiture devono soddisfare i requisiti GMP associati alla destinazione d’uso delle
singole aree: materiali, superfici, porte, pochi spigoli, piani puliti.
È importante tenere accuratamente in considerazione i sistemi di comunicazione e i punti
di collegamento alla rete informatica e al sistema di controllo.

Una “schedulazione”. Ome in figura identifica le aree con relative necessità di spazio e/o
di specifiche attività, stabilisce le relazioni e vincoli che ne derivano i flussi che meglio
rappresentano il processo in chiave GMP e i requisiti dell’operatore.

I “building blocks” sono sviluppati per evidenziare dimensione ed operatività delle


macchine, dello spazio attorno necessario per il collegamento ai servizi ed utilities e
l’accesso/attività degli operatori.
Il layout si sviluppa combinando tutti i building blocks necessari, al fine di soddisfare i
requisiti della schedulazione.

164
Costo del Lay-out

Aumenta se:
• Aumenta la lunghezza delle pareti di perimetro per una data superficie
• Aumentano i carichi di struttura
• Aumentano le distanze e i cambi vestiario che il personale deve effettuare.

Esistono lay-out in verticale, solitamente il più vantaggioso è in orizzontale. Lavorare in


verticale ha dei costi maggiori per i trasporti ai piani superiori, ma poi questi costi
vengono recuperati perché si lavora per caduta.

I fabbricati multi-piano richiedono costi di distribuzione, utilities e di struttura molto alti, in


più le aree asettiche sono le più costose à i locali devono essere igienizzati.
Molto spesso si ricorre a pareti e soffitti modulari, che consentono di adattare il lay-out al
tipo di prodotto sviluppato dall’azienda.

Gli aspetti di sicurezza e la compartimentazione dei fabbricati devono essere


attentamente valutati ed integrati nel layout, tra questi bisogna prestare attenzione a:
• Materiali: caratteristiche di infiammabilità
• Uscite di sicurezza
• Mezzi antincendio (estintori, idranti, sprinklers)
• Rischi da prodotto
• Mezzi antinfortunistici (docce di emergenza, lava occhi)

Ci sono vari simboli e lettere che classificano impianti e aree di un lay-out, in genere si
utilizza il Piping and Instrument Diagram (P&ID):

165
CONTROLLO DELLA STRUMENTAZIONE

Il controllo della strumentazione è una fase critica nell’azienda farmaceutica perché si


verifica come sta andando avanti il processo. I sistemi di Controllo della Strumentazione
consentono di monitorare, controllare e registrare tutti i parametri critici GMP in modo
integrato, gestibile, affidabile, sicuro e robusto attraverso un Integrated Control System.
I parametri GMP critici sono ad esempio:
• Temperatura
• % umidità relativa
• Pressioni differenziali
• Conta particellare
• Velocità dell’aria in classe specifica
• Livello di contaminazione microbica dell’aria
• Flussi

Ci sono anche una serie di allarmi che indicano quando stiamo uscendo dalla media e
stiamo andando nel punto di allerta. Bisogna perciò ridurre il più possibile gli errori
anticipando e prevenendo le problematiche che potrebbero avvenire.
I parametri critici GMP devono essere monitorati e documentati con un’accuratezza
strumentale deve essere non superiore alla differenza tra il limite di processo e quello di
allerta.

166
Oscillazioni di allerta e di allarme

Cleaning

Gli strumenti devono:


• Evitare l’accumulo di prodotto/sporcizia
• Essere adatti alla procedura di pulizia /sterilizzazione
• Non presentare pericolo di contaminazione per il prodotto
• Non essere degradati dalle sostanze a contatto
• Localizzati in punti significativi
• Avere un adeguato metodo di calibrazione
Ci sono dei sensori che indicano la sterilità e che vanno posizionati nei punti critici.

Per le pulizie si usa in genere acqua potabile o purificata, seguita sempre da risciacquo
con WFI, in area sterile si utilizzano soltanto WFI, disinfettanti e altre soluzioni
opportunamente sterilizzate e controllate microbiologicamente.
Il lavaggio può essere:
• Manuale (generalmente grossi pezzi macchina non disassemblabili)
• Semi automatico (lavatrici, bagni ad ultrasuoni, etc)
• Automatico (CIP)

167
TABLETING

FUI: “Le compresse sono preparate usualmente per compressione di volumi uniformi di
particelle o di aggregati di particelle ottenuti per granulazione. Nella produzione di
compresse si adottano opportune misure atte ad assicurare che abbiano sufficiente
resistenza meccanica per evitare sbriciolamenti o rotture nelle manipolazioni o trattamenti
successivi…”
Stadio 1: il punzone superiore viene ritirato dallo stampo della camera superiore. Il
punzone inferiore è basso, così la polvere cade nel foro e riempie lo stampo.
Stadio 2: il punzone inferiore si muove verso l’alto per sistemare e adattare la polvere,
alzandosi espelle della polvere.
Stadio 3: il punzone superiore è posizionato nello stampo dalla camera superiore e il
punzone inferiore è alzato dalla camera inferiore, le teste dei punzoni passano attraverso
dei rulli che comprimono la polvere.
Stadio 4: il punzone superiore viene ritirato dalla camera superiore e quello inferiore viene
spinto in alto ed espelle la compressa. Questa viene rimossa dalla superficie dello
stampo.
Stadio 5: si ritorna alla condizione iniziale.

168
Comprimitrice alternativa - macchina a singolo
pistone
Questa è stata una delle prime comprimitrici utilizzate.
La compressione avveniva solo grazie all’azione del
singolo pistone superiore, mentre quello inferiore
rimaneva fisso.
Però con questo metodo sorgevano dei problemi:
1. Se la compressone avviene solo da parte del punzone
superiore la distribuzione delle forze è disomogenea,
quindi non c’è una buona dispersione della polvere e la compressa può presentare punti
di fragilità.
2. La compressione avviene con un solo movimento del punzone (singola compressione),
che non è sufficiente per eliminare l’aria all’interno della compressa. L’aria, se presente,
può provocare la rottura delle particelle e della compressa stessa perché impedisce la
formazione di legami.
Con una doppia compressione invece si elimina l’aria e si formano legami nel primo
passaggio di pre-compressione; nel secondo non si deve esercitare una forza troppo
elevata che può portare ad un innalzamento della temperatura e una parziale fusione dei
materiali, ma una forza inferiore che è sufficiente perché dei legami si sono già formati
con la pre-compressione.
Quindi la comprimitrice alternativa è stata trasformata in una comprimitrice a doppia
compressione con il movimento simultaneo dei due pistoni.

Multi Station Machine (rotary press)


Un’altra comprimitrice che lavora sempre con una doppia
compressione è quella rotativa.
Essa ha un tamburo rotante di acciaio e ha molte stazioni di
compressione, in ogni punto vengono prodotte compresse.
L’efficienza di questa è molto maggiore, si producono anche
15-20mila compresse al minuto.

Il principio base è lo stesso, è presente una


stazione unica, una camera interna di
riempimento il cui volume è regolato
dall’altezza del pistone inferiore, più basso è
posizionato il pistone inferiore maggiore
sarà il volume della camera e quindi
maggiore il vuoto lasciato.
All’interno c’è un primo sistema che alza il
punzone inferiore e abbassa quello
superiore e qui avviene la precompressione.

169
Nel secondo sistema avviene la compressione finale.

Nella prima fase si verifica l’eliminazione dell’aria, la formazione di alcuni legami e nella
seconda fase si consolida la compressa.

Per far le compresse si parte da polveri o granulati.

Preparazione per compressione diretta di polveri:


Se si utilizzano direttamente le polveri, il farmaco viene
miscelato tramite un mescolatore. Gli eccipienti non
possono essere casuali, ma devono essere scelti con
accuratezza in base al principio attivo. Un eccipiente
che non può mancare nel caso del metodo della
compressione diretta è il legante.
La compressione diretta è semplice perché basta che parta da polveri di dimensioni
giuste e da mescolato molto omogeneo.

Svantaggi:
• Le polveri contengono molta più aria dentro che dà fastidio a causa del suo ritorno
elastico
• Si devono formare più legami tra le particelle, quindi la pressione di compressione
deve essere maggiore
• La polvere può essere disomogenea, invece un granulato ha una composizione più
omogenea e non ho il problema di separazione e segregazione delle varie sostanze
farmaceutiche.

Vantaggi: non si devono fare processi precedenti.

Preparazione per compressione diretta di granulati:


Un altro sistema prevede di comprimere direttamente a partire da granulati, quindi prima
della compressione bisogna eseguire il processo di granulazione (che ha dei costi
maggiori).

Vantaggi:
• Minor contenuto di aria nella compressa
• La compressa ha una densità maggiore ed è più omogenea
• Formazione dei legami durante il processo di granulazione
Partendo da determinati eccipienti e comprimendo un granulato è possibile ottenere una
performance di rilascio diverso. Infatti il rilascio del farmaco, oltre a dipendere dal
farmaco stesso, dipende anche dagli eccipienti utilizzati e da come è stata prodotta la
compressa.

170
Ci possono essere due processi di
granulazione:
1) Granulazione a secco
Il farmaco viene mescolato assieme agli
eccipienti e vengono compattati insieme,
ottenendo un solido che poi viene
frammentato in granuli di dimensioni
precise. I granuli poi vengono mescolati
con un lubrificante e il tutto viene
compresso con la rotary press.

Granulazione a umido (più costoso)


Partendo da polveri di dimensione stabilita,
si mescolano tra loro e si aggiunge
l’agente granulante, come un solvente
(acqua o etanolo, saccarosio o amido). Si
ottiene un agglomerato, che anche in
questo caso viene frammentato tramite i
setacci. Si fa essiccare il tutto per eliminare
l’agente granulante e poi si comprime con
la comprimitrice.

Il processo di compressione può essere rappresentato tramite un grafico, dove si


individuano delle fasi:

171
Il volume delle particelle dall’inizio del processo diminuisce in modo lineare (A) man mano
che aumenta la pressione di compressione à ci sono varie fasi di compressione ognuna
rappresentata da un segmento del grafico in cui è variata la pressione impiegata.

Fasi della compressione:

1) Reimpaccamento transizionale:
Una volta che è all’interno della camera di compressione e i pistoni cominciano a
muoversi, la polvere si riorganizza e gli spazi vuoti vengono riempiti dalle particelle più
piccole, in questo modo il volume si riassesta. Questa fase è determinata dalla
morfologia delle particelle (quelle tonde si assestano facilmente, quelle con forma a
scaglie o aghi ci mettono di più a riorganizzarsi) e dipende della dimensione delle
particelle e dalla polidispersività; particelle poco polidisperse, cioè omogenee, si
riorganizzano più velocemente, mentre quelle con molta polidispersività ci impiegano più
tempo perché le particelle più piccole devono avere il tempo di penetrare gli spazi vuoti
tra particelle e particelle.

2) Deformazione ai punti di contatto:


La seconda fase è importante: comincia ad aumentare la
pressione, quindi le particelle si toccano tra di loro e si
comprimono l’una con le alte deformandosi nei punti di
contatto sia in modo plastico che elastico, in base al tipo
di sostanza.
Man mano che le particelle si avvicinano sempre di più,
vengono eliminati gli spazi vuoti, si formano delle superfici
più ampie e anche i punti di legame tra le particelle
aumentano. In questo modo si consolida la compressa.

3) Frammentazione e/o deformazione:


In questa fase la pressione aumenta ancora di più e le particelle si rompono (l’energia
data non viene più spesa per la deformazione delle particelle, ma per romperle).
Nella rottura e nella frammentazione si formano particelle ancora più piccole che
riempiono di più gli spazi vuoti rimasti; si formano superfici piane di rottura che scorrono
tra loro e che rappresentano ulteriori punti di consolidamento dei legami.

4) Legami e consolidamento della compressa:


In questa fase si formano i legami e la compressa viene consolidata.
Si possono formare tre tipi di legami:
1) Legami meccanici di interconnessione: le particelle hanno deformità superficiali che si
possono incastrare.

172
2) Legami intermolecolari che avvengono quando le particelle sono molto vicine tra loro,
legami tra le superfici vicine (dipolo, Van der Walls).
3) Ponti liquidi: si formano quando la pressione aumenta e l’acqua presente nella
compressa fa sciogliere gli eccipienti. Quando viene esercitata un’elevata pressione, la
temperatura aumenta e l’acqua residua all’interno della compressa scioglie gli eccipienti;
quando avviene la decompressione c’è un raffreddamento e quell’eccipiente che si è
sciolto precipita formando dei ponti liquidi tra le varie particelle.

5) Deformazione del corpo solido:


Si consolida ancora di più con l’aumento della pressione, si ha una deformazione
plastica.

6-7) Decompressione ed eiezione (punto critico)


Dopo la decompressione, la compressa deve essere espulsa
dalla comprimitrice, processo molto delicato e soggetto a rotture
del prodotto nel caso non sia stato efficiente.
Quando un corpo viene compresso, si verificano una
deformazione plastica e una elastica. Per fare in modo che non si rompa, la compressa
deve principalmente deformarsi in modo plastico, altrimenti il ritorno elastico fa
espandere il volume.
In genere, l’aumento di volume del prodotto dopo la deformazione elastica va dal 5 al
10% di volume (abbastanza grande) e può avvenire in senso radiale o assiale, dipende
dalla forma della compressa.
Per questo serve un lubrificante esterno alla polvere che riduce la frizione tra le pareti
dell’impianto della camera di compressione e la compressa/polvere. È possibile, come
alternativa, lubrificare la camera stessa e aumentare la velocità di eiezione della polvere,
in modo da non permettere il ritorno elastico all’interno dello stampo.
La viscoelasticità è il ritorno elastico in funzione del tempo, per questo l’eiezione deve
essere rapida, altrimenti la compressa si rompe o si danneggia.

Per quanto riguarda l’area superficiale, all’inizio aumenta perché le particelle si rompono
durante la compressione, poi diminuisce perché avvengono il consolidamento e la
formazione dei legami tra le particelle.
La densità aumenta all’aumentare della pressione;
La porosità diminuisce e dipende dal tipo di materiale e dal grado di porosità;
La durezza aumenta all’aumentare della pressione perché aumenta il numero di legami;
Il tempo di disaggregazione e disintegrazione aumenta: più pressione è esercitata, più
lento è il processo di disintegrazione.

173
Energia spesa nel processo di compressione
L’energia coinvolta nel processo di compressione è elevata e solo in parte viene spesa
per formare la compressa. La maggior parte dell’energia viene dispersa nel
riarrangiamento delle particelle, nel vincere le forze frizionali, nel rompere le particelle e
formare così nuove aree superficiali e nel portare la compresa fuori dalla camera. Gran
parte poi viene dispersa in calore o in deformazioni elastiche che non sono necessarie.

Effetto dei lubrificanti

• Riducono le forze frizionali


• Aumentano lo scorrimento delle polveri, sia nel mescolamento che all’interno degli
impianti, come nella camera di compressione
• Hanno un effetto anche sul processo di dissoluzione, sulla disintegrazione e sulla
disaggregazione, hanno un effetto perciò anche sul rilascio del farmaco

174
• I lubrificanti, in generale, riducono le interazioni tra particelle e particelle (oltre a quelle
tra compressa-macchina) quando si devono legare, perciò non si deve esagerare
altrimenti gli effetti diventano negativi e si indeboliscono i legami à si deve trovare un
giusto compromesso.

L’energia totale spesa in assenza di lubrificanti è 8.6 cal.; con un lubrificante è di 2 cal=>
è tutta energia che viene risparmiata in termini di costi e che può surriscaldare la
macchina danneggiandola.

Problemi nel processo di tabletting


lLe compresse in commercio solitamente non presentano imperfezioni, tuttavia se il
processo di produzione non è adatto ad un determinato tipo di eccipienti o se vengono
impiegati eccipienti sbagliati, la compressa non si presenta con le caratteristiche
organolettiche richieste.
Il processo di compressione è l’ultima parte del processo e offre un resoconto di tutti i
procedimenti svolti prima.

Danni delle compresse:


• Capping: è una parziale o completa separazione della
porzione superiore/inferiore della compressa;
• Laminazione: la compressa si sfalda e si separa in
piani.
Questi processi si verificano quando è presente troppa
aria o quando c’è un eccesso di particelle fini che fanno
accumulare aria. La presenza di aria determina la
necessità di una maggiore compressione per formare i legami tra le particelle.
Un’altra causa della laminazione e del capping è l’utilizzo di materiale troppo essiccato
che impedisce la formazione di legami solido-liquido (l’acqua permette la formazione di
ponti liquido-solido).

175
Anche una pressione di compressione insufficiente provoca i fenomeni citati sopra e ciò
può essere dovuto all’utilizzo di lubrificanti non adatti o all’eccessivo volume o
dimensione errata della camera di compressione. Infatti con i punzoni posizionati
correttamente (più concavi o meno) la distribuzione delle forze avviene in modo
omogeneo, riducendo anche il ritorno elastico. La distribuzione delle forze all’interno della
polvere è uno dei fattori principali che influenzano il processo, così come la presenza
dell’aria (doppia compressione) o l’utilizzo degli eccipienti.
È poi importante il tempo di estrazione della compressa: deve essere relativamente
rapido per impedire che lo strumento formi dei legami con la polvere della compressa.

Nel caso in cui si avvengano il capping o la laminazione, si deve verificare per prima la
quantità di umidità all’interno della polvere (oltre alla geometria della camera di
compressione), in modo da regolare la compressione finale per limitare il ritorno elastico o
aumentare il tempo di rilassamento, che riduce la velocità con cui la compressa torna
indietro.
Per ottimizzare il processo è possibile inoltre modificare le dimensione della compressa:
se è grande implica una minore omogeneità di distribuzione delle forze che devono
raggiungere punti anche molto lontani, se ho una compressa più piccola le forze si
distribuiscono in maniera più bilanciata.

• Sticking and picking: sono fenomeni che si verificano quando la compressa aderisce
all’impianto nel caso dello sticking, o al punzone nel caso del picking. È dovuto a
un’errata scelta di eccipienti o all’utilizzo di processi non idonei, come un’insufficiente
essiccamento.
Può essere avvenuto un errore sia sul PROGETTO formulativo (composizione quali-
quantitativa), che sul PROCESSO formulativo.
Questi due fenomeni sono dovuti per la maggior parte alla presenza di materiali che
fondono a basse pressioni che, con la decompressione e quindi raffreddamento,
rimangono attaccati alle pareti.

• Filming: si osserva nei punzoni particolari che presentano dei loghi da imprimere
sulla compressa. per risolvere il problema si può eliminare il logo oppure
ridisegnarlo con dei solchi più larghi, oppure si utilizzano eccipienti particolari con
più silica, che diminuisce l’aderenza.

• Binding: si verifica a causa dell’espansione radiale e assiale della compressa, che


provoca la resistenza all’eiezione. Per eliminare questo problema si deve ridurre
l’espansione radiale il più possibile utilizzando eccipienti che hanno poco ritorno
elastico o disegnando la camera di compressione in modo adeguato à il ritorno
radiale/assiale dipende dalle dimensioni della compressa. Anche il tipo di
lubrificante e la quantità influiscono sul binding. Spesso si utilizza un lubrificante
direttamente miscelato alla polvere nell’ultima fase oppure si lubrifica direttamente

176
la camera di compressione, che è molto efficace perché non altera la massa della
compressa.

• Chipping: è la scheggiatura della compressa, si verifica quando


si utilizzano granuli troppo secchi oppure quando è presente
troppo legante nella formulazione, quindi a causa di un cattivo
progetto formulativo.

• Cracking: rottura della compressa che parte dal centro dovuto sia a problemi di
tipo formulativo che di processo.

PROGETTO DI FORMULAZIONE

Requisiti per la formulazione di un farmaco:

Come scegliamo gli eccipienti:


• Sulla base del tipo di formulazione (compressa, capsula ecc)
• In base alla via di somministrazione
• In base dalla quantità di farmaco
• In base alle caratteristiche chimico-fisiche del farmaco (idrofilicità, stabilità..)
• In base al regime di dosaggio
• In base alla disponibilità e biodisponibilità (rilascio rapido, lento, programmato)
• In base alla presenza di eccipienti adeguati al tipo di processo (ad esempio per le
compresse non si possono utilizzare eccipienti basso fondenti)
Gli eccipienti devono essere ammessi da un punto di vista regolatorio, perché nei vari
paesi ci sono regolamentazioni diverse.
• Valutazione del costo e della disponibilità sul mercato

Uno degli eccipienti più usati è la cellulosa microcristallina che non è sempre uguale ma
dipende da chi la produce e da chi la fornisce.
177
Prototipo di formulazione:

Obiettivi della fase 1 della formazione:


1) Formulazione adeguata al processo
2) Identificazione dei punti chiave
3) Identificazione del soggetto a cui è destinato il prodotto
4) Correlazione delle caratteristiche formulative con le variabili del processo

5) Elaborazione dei test che dovranno essere eseugiti durante le varie fasi del processo
(test di dissoluzione, test di purezza della compressa)
6) Riportare le azioni su un dossier

Obiettivi della fase 2 di formulazione:


1) Validazione degli strumenti e del personale per qualificare e certificare la produzione
2) Definizione di un protocollo di validazione del processo con definizione di punti critici e
caratteristiche del processo di formulazione
3) Raccoglimento dei dati
4) Assicurare la conformità
5) Riportare le informazioni

ECCIPIENTI

Gli eccipienti utilizzabili sono di tre tipologie:


• Tecnologici: sono quegli eccipienti che servono per produrre il prodotto
farmaceutico. Un esempio è il lubrificante che non serve nella formulazione, ma serve
solo per la formazione della compressa, che altrimenti non uscirebbe integra dalla
camera.

178
Altri eccipienti tecnologico sono i riempitivi, servono in quelle compresse che hanno
poca quantità di principio attivo o sono molto piccole perciò è necessario introdurre
altre sostanze al fine di produrre una forma assimilabile dal paziente.
• Biofarmaceutici: regolano la velocità di rilascio del farmaco. Ad esempio aumentano
l’angolo di contatto e quindi la bagnabilità, rendono il farmaco più solubile oppure
ritardano il rilascio del farmaco.
• Organolettici: sono quegli eccipienti che migliorano l’aspetto del farmaco e
l’accettabilità (compliance), per esempio coloranti, dolcificanti, aromatizzanti.

Uso degli eccipienti


Gli eccipienti si usano tramite delle linee guida, ci sono cioè dei testi in cui è spiegato
come usarli e le loro caratteristiche.

Direttive di tossicità UE:


1. Tossicità per somministrazione nel lungo termine per via orale
2. Tossicità acuta secondo i protocolli internazionali standard
3. Somministrazione ripetuta in due specie non di roditore (6 mesi)
4. Cancerogenicità 1 specie 18 mesi per topo, 2 anni per ratto
5. Tossicità sulla riproduzione fertilità, teratogenicità allattamento
Nel caso dei paesi orientati all’FDA (USA, Canada, Australia), gli studi sopra riportati sono
più lunghi.
Se l’eccipiente viene assorbito bisogna svolgere studi di ADME, nel caso non venga
assorbito lo studio invece è semplificato. Se gli eccipienti fanno parte della dieta normale
si fanno studi più semplici anche se deve sempre essere assicurato un elevato grado di
purezza.

Nuovi eccipienti:
Primogel: carbossimetilamido di sodio
Nymcel: carbossimetilcellulosa di sodio a basso grado di sostituzione
Plasdone XL PVP :croslinkato
LHPC: idrossipropilcellusa a basso grado di sostituzione
Ac Di Sol: carbossimetilcellulosa di sodio crosslinkata internamente

179
Linee guida europee sull’utilizzo di sostanze farmaceutiche e sugli studi di tossicità

Gli studi di tossicità degli eccipienti sono meno lunghi rispetto a quelli effettuati sul
principio attivo, tuttavia anche questi richiedono protocolli approvati dagli enti regolatori
e continuamente aggiornati (EMA).

Score degli eccipienti


Ci sono delle tabelle che indicano gli score, cioè il numero che classifica gli eccipienti.
Lo score 1 vuol dire che si tratta di un eccipiente di prima scelta (es amido, lattosio che
non viene utilizzato però con farmaci che hanno gruppi amminici perché si scolora).
Mannitolo e saccarosio (molto igroscopico, dà problemi nella fase di compressione) sono
di seconda scelta; cellulosa microcristallina invece è anch’essa di prima scelta.

180
181
9. COMPRESSE

Outline:

Definizione: Una compressa è una forma farmaceutica solida che viene somministrata ad
un soggetto attraverso varie vie, tra cui orale, polmonare, rettale.
Le compresse permettono una gestione del dosaggio e regimi terapeutici diversi; sono
pratiche e molto facili da utilizzare, oltre che facilmente trasportabili.
Esistono compresse di tanti tipi, in modo da avere tempi di rilascio differenti o un rilascio
programmato nello stomaco o nell’intestino (compresse gastroresistenti).
Sono forme farmaceutiche stabili perché sono allo stato solido, quindi preferibili rispetto
ad una soluzione in cui il farmaco è libero molecolarmente e si potrebbe idrolizzare più
facilmente. È stabile anche fisicamente perché non precipita, a differenza di alcune
sospensioni, ad esempio, che è necessario agitare prima dell’uso.
Sono le forme farmaceutiche più economiche e facili da produrre.

FUI: “Le compresse sono preparazioni solide contenenti ciascuna una dose unica di uno
o più principi attivi e ottenute usualmente per compressione…..”

Abbiamo
• Compresse ingoiabili come tali, masticabili e ingoiabili, dispersibili e ingoiabili
• Compresse solubili e effervescenti
• Compresse per la cavità buccale: masticabili, buccali, sublinguali, orodispersibili
• Compresse rivestite, non rivestite, multistrato
• Compresse a rilascio modificato, ritardato, gastroresistenti
• Suppositori
• Altre

Esistono dei saggi comuni usati per queste compresse che sono:

1) Saggio di uniformità di massa: si fa quando la quantità di farmaco all’interno della


compressa è abbastanza elevata e il peso è sufficiente per stabilire se è presente in
quantità corretta. Se il farmaco è presente in piccole quantità, allora la misura del peso

182
non è più significativa perché per la maggior parte la compressa è costituita da
eccipienti. In questo caso si fa riferimento ad altri saggi.
2) Saggio di uniformità di contenuto: è un’analisi quantitativa eseguita utilizzando
strumenti come HPLC/cromatografia che si esegue in genere quando il contenuto del
farmaco è ≤ 2% all’interno della molecola, cioè quando su 100 mg della compressa il
farmaco è meno di 2 mg, quindi anche una piccola variazione è rilevante.

Composizione delle compresse


Le compresse possono avere o non avere eccipienti (raro) che sono di diverso tipo, ad
esempio disaggreganti, lubrificanti, sostanze che modificano il rilascio del farmaco e
quindi il loro assorbimento nel tubo digerente, sostanze che favoriscono lo scorrimento,
oppure eccipienti organolettici (coloranti, aromatizzanti)

Gli eccipienti si suddividono in:


• Tecnologici: tra cui riempitivi (organici, inorganici e polimeri); leganti; lubrificanti
• Biofarmaceutici: comprendono i disintegranti
• Organolettici: sono i coloranti, dolcificanti e aromatizzanti

183
ECCIPIENTI TECNOLOGICI

Riempitivi

In generale i riempitivi sono eccipienti tecnologici


che servono solo a dare consistenza e volume al
farmaco.
Questi eccipienti tornano utili nel caso di quantità
di farmaco limitata all’interno della compressa e
sono fondamentali per costituire la forma
farmaceutica.
Alcuni riempitivi inorganici sono il calcio solfato e
calcio fostato (anche se poco usati).
Tra i riempitivi si trovano anche amido e amido
modificato, cellulosa microcristallina (Avicel),
lattosio, saccarosio, glucosio, mannitolo,
sorbitolo.

Il saccarosio e il mannitolo sono eccipienti ottimi come riempitivi con cui però il
contenuto di umidità aumenta nel tempo, quindi la stabilità del prodotto è compromessa
e perciò sono difficili da utilizzare.

Nel primo grafico si vede la diversa tendenza di vari eccipienti ad acquisire umidità
all’aumentare del tempo. Ad esempio si vede ce il lattosio anidro tende ad assorbire più
umidità rispetto al lattosio idrato; allo stesso modo gli zuccheri come il sorbitolo e il
saccarosio sono gli eccipienti che più alzano il livello di umidità della compressa.

Il secondo grafico riguarda il Calcio Fosfato (emcompress): all’aumentare della pressione


di compressione applicata aumenta di molto il tempo di disintegrazione: significa che
l’eccipiente è molto sensibile alla forza di compressione.

184
Gli eccipienti riempitivi possono essere classificati dal punto di vista chimico come:
1) Zuccheri semplici solubili
2) Polimeri
3) Inorganici insolubili perché sono tutti sali del calcio

1) Zuccheri semplici (isomeri del glucosio)

GLUCOSIO:
Emdex: 90-92% Glucosio + 3-5% maltosio e altri derivati dello zucchero (non è glucosio
puro, ma questi eccipienti sono in miscela con altre sostanze per migliorane le
caratteristiche).
È ottenuto dall’idrolisi enzimatica dall’amido e all’interno si ottengono derivati un po'
diversi. Ha un’eccellente comprimibilità.

Cerelose: (glucosio + maltosio) anidro o idrato

Il glucosio viene usato poco come riempitivo, un po’ di più come dolcificante (eccipiente
organolettico).

LATTOSIO:
Uno zucchero importante come riempitivo è il lattosio, si tratta di un dimero costituito da
galattosio e glucosio con legami 1-4 α.
È un dimero naturale ottenuto dal latte usato molto come eccipiente riempitivo e poco
come dolcificante perché ha un potere dolcificante molto basso.
185
Viene ottenuto dalla cristallizzazione del latte e può essere in forma anidra
(cristallizzazione sopra i 93°), che è la ß, o in forma monoidrata che è la α (sotto i 93°).

Viene usato spesso ad eccezione dei casi in cui ci sia intolleranza al lattosio (deficienza
di enzima lattasi). Anche se la quantità di lattosio è molto bassa può essere comunque un
problema per gli intolleranti.
È un eccipiente di prima scelta ma non può essere usato in presenza di farmaci o altre
sostanze farmaceutiche che presentano gruppi amminici in quanto tende a scolorire a
causa della reazione di Maillard. Tale reazione porta alla formazione di un prodotto di
degradazione che è quello che conferisce quel colore marroncino ai panificati (reazione di
Maillard con il lattosio). Viene utilizzata questa reazione anche per prodotti cosmetici,
come gli autoabbronzanti.
Ci sono vari tipi di lattosio:
• Della farmacopea americana USP, che è una forma anidra che non dà reazione di
Maillard (al contrario di quella idrata);
Il lattosio spray dry è ottenuto tramite lo stesso processo di spray dry: il lattosio viene
essiccato per ottenere un prodotto con una buona scorrevolezza e una buona
comprimibilità perché le sue particelle sono tonde.
Spesso è combinato con altri eccipienti come la cellulosa microscristallina.

186
SACCAROSIO:
È il dimero del glucosio e del fruttosio.
Era usato molto per fare sciroppi ed è stato sostituito poi dal sorbitolo.
È un eccipiente a basso costo molto comune, con buon potere dolcificante e ha la
caratteristica che può facilmente degradarsi per dare saccarosio invertito à cioè il suo
potere ottico si inverte (saccarosio ha poter ottico positivo di 66.5°, quando si inverte
cioè si idrolizza si arriva a -39.5°). L’inversione dello zucchero in particolare si ha quando
è sottoposto a grande calore.
Nel caso degli sciroppi l’inversione non dovrebbe mai avvenire perché facilita
l’inquinamento batterico visto che glucosio e fruttosio sono substrati preferiti.
Il saccarosio è stato sostituito dal sorbitolo, che è anche meno viscoso del saccarosio
stesso.
Il saccarosio come eccipiente delle compresse solide è di seconda scelta, e in parte
contiene anche saccarosio invertito che conferisce miglior caratteristiche di
comprimibilità.

187
I primi 3 vengono usati nella compressione diretta, sia per formare granuli che per
formare compresse.

Altri zuccheri meno utilizzati: Cellobiosio, maltosio, trealosio, inositolo.

MANNITOLO E SORBITOLO:
Sono dei polioli e non hanno potere riducente perché non presentano il gruppo aldeidico.

Il mannitolo viene usato perché ha un’entalpia (∆H) negativa e proprio per questo motivo
questi tipi di compresse, quando vengono messe in bocca, danno un senso di
freschezza, in quanto il mannitolo si scioglie secondo un processo endotermico.
Spesso viene usato per compresse orodispersibili che rimangono all’interno della cavità
buccale.

188
2) Polimeri

AMIDO:
È un polimero non solubile perché ha un PM grande, ma è idrofilico.
È composto da circa 2 milioni di unità ramificate di glucosio consecutive costituenti
l’AMILOPECTINA e da lunghe catene lineari di 200-20000 unità costituenti l’AMILOSIO.

L’amido costituisce il substrato di partenza per formale le ciclodestrine.


Ci sono vari tipi di amido: ricavato dalla patata, dal mais, dalla barbabietola.

à AMIDO 1500 (CORN): possiede un’elevata


umidità e ha un buon flusso, ha diverse funzioni
come legante, disintegrante, lubrificante.

Altri derivati dell’amido sono MOLTRONS e MOR-


REX che sono tuttavia meno efficienti dell’AMIDO
1500.

CELLULOSA:
Il glucosio costituisce l’unità monomerica della cellulosa in
cui si trova unito tra i vari monomeri da legami 1-4 β per i
quali gli esseri umani non posseggono gli enzimi necessari
alla digestione.
È un polimero idrofobico e insolubile anche a bassi PM
perché è costituito da catene lineari molto regolari, a
differenza dell’amido che presenta ramificazioni.
Come accadeva per le ciclodestrine, i gruppi OH non sono
liberi di legare acqua ma formano ponti idrogeno inter o
intracatena: gli inter in particolare sono indispensabili per formare delle fibrille, cioè fibre
molto lunghe e resistenti così da impedire di coordinare acqua.
189
La cellulosa è uno dei polimeri classificati come ad alta cristallinità.
Il cristallo è una struttura regolare nelle 3 dimensioni spaziali, ma in un polimero dove
faccio fatica ad avere questa regolarità geometrica precisa non parlo di cristallo ma di
grado di cristallinità, perché coinvolge solo alcune regioni del polimero.

Esistono molti tipi di cellulosa: naturale (ma anche questa trattata) e derivati semisintetici.
In commercio ci sono principalmente due tipi di cellulosa: Avicel ed Elcema.
à AVICEL: ottenuta per degradazione della cellulosa per via sia chimica che meccanica
à ELCEMA: ottenuta per degradazione meccanica della cellulosa.

Il grado di cristallinità della cellulosa nativa è molto alto, 94-95% che è ciò che le
conferisce idrofobicità e resistenza.
La cellulosa microcristallina (semisintetica) che otteniamo dalla cellulosa è un prodotto
trattato in laboratorio, ha un PM che va dai 30 ai 50mila, quindi è diminuito di 10 volte
rispetto alla cellulosa naturale.

La cellulosa è un eccipiente di prima scelta, infatti si trova spesso nelle compresse ed è


adatto come riempitivo (diluente) sia nella compressione diretta che in quella indiretta; è
anche un buon legante perché sotto compressione riesce a formare molti ponti
idrogeno, però (soprattutto quella microcristallina) non è un buon disintegrante perché è
idrofobica.

190
3) Sali inorganici

Sono quasi tutti sali di calcio che sono poco solubili.

CALCIO LATTATO

CALCIO SOLFATO DIIDRATO

CALCIO FOSFATO DIIDRATO (ECOMPRESS)

Andamento del rilascio del farmaco: il grafico mostra come cambia la dissoluzione del
farmaco a seconda della concentrazione di calcio fosfato (insolubile) all’interno della
compressa. Di per sé questo eccipiente agisce anche sulla disponibilità e sulla
biodisponibiltà del farmaco, anche se dovrebbe essere solo un riempitivo.

191
Tabelle che riassumo le proprietà dei vari riempitivi:

Leganti
I leganti sono eccipienti tecnologici che servono per ottenere un prodotto più omogeneo
e della giusta compattezza, non sono né organolettici né biofarmaceutici perché non
servono per modificare il rilascio del farmaco. Il loro scopo quindi è formare dei legami tra
le polveri che formeranno la compressa in modo da garantire una buona consistenza
della forma farmaceutica.
Nel processo di compressione è necessario legare le polveri o i granulati, quindi si
utilizzano questi leganti già introdotti nella granulazione.

Tra questi eccipienti troviamo ad esempio l’amido (dispersione di amido con


granulazione a umido oppure amido 1500 per la compressione diretta quindi a secco),
PVP (polivinilpirrolidone), idrossipropilmetilcellulosa (HPMC, derivato semisintetico)
oltre a gelatina, polisaccaridi e zuccheri (sciroppo di saccarosio)

N.B. Tra tutti l’amido è il migliore eccipiente legante.

I leganti si dividono in NATURALI, SEMISINTETICI E SINTETICI.

Naturali:
1) Zuccheri:
- Sciroppo di saccarosio (20-85%) possono essere usati anche a umido.
- Soluzione di glucosio (50%)

192
2) Amido
L’amido è un legante di prima scelta, utilizzato come PASTA D’AMIDO.
L’AMIDO PREGELATINIIZZATO è utilizzato per la
compressione diretta, è un amido cotto riscaldato e
di fatto un po’ degradato.
L’ AMIDO SODIO GLICOLATO è coniugato con
l’acido glicolico (molto simile all’acido lattico).

3) Gomme naturali(idrocolloidi di origine vegetale)


- Gomma d’acacia e gomma arabica
- Gomma Thragacant

4) Miscele
Come leganti si possono usare anche miscele di questi, come gelatina + acacia o amido
+ saccarosio.

La gelatina è un prodotto di origine animale che deriva dal collagene, è un polimero


poliamminoacidico ed è una proteina (non è un polisaccaride), costituita quindi da
monomeri di amminoacidi.
Le proteine possono essere strutturali o funzionali, tra le prime c’è la gelatina, mentre in
quelle funzionali troviamo gli enzimi o i recettori di membrana. Le proteine funzionali
sono, insieme agli oligonucleotidi naturali, gli unici polimeri a PM esatto e costante utili a
svolvere tale funzione à hanno quella composizione esatta necessaria per svolere la loro
attività, tutti gli altri polimeri hanno invece una polidispersività.
La gelatina deriva dall’idrolisi del collagene e si trova nei prodotti alimentari, quella ad
uso farmaceutico in particolare deriva dalla pelle del maiale e dalle ossa dei bovini.

Semisintetici: cellulose
La CELLULOSA MICROCRISTALLINA ha buone caratteristiche di legante, da cui poi si
ricavano derivati.

- METILCELLULOSA (MC): ha dei gruppi OH che sono


stati in parte metilati. Essendo il metile un gruppo
idrofobico, si pensa che metilando parzialmente la
cellulosa aumenti la sua idrofobicità, in realtà
diminuisce in quanto non si possono più formare i ponti
idrogeno tra gli OH e questo rende la struttura molto più
flessibile e solubile. Questo si ottiene quando la

193
metilcellulosa ha un grado di metilazione molto basso e forma dei sistemi colloidali,
diventa quindi idrofilica e parzialmente solubile.

- SODIO CARBOSSIMETILCELLULOSA (CMC): nella


struttura sono presenti dei gruppi carbossilici liberi
ce rendono il materiale sensibile al pH.
Questi prodotti sono usati per la somministrazione
orale grazie alla loro specificità di assorbimento a pH
diversi à sono poco solubili nello stomaco e più
solubili nell’intestino (forma ionizzata e non
ionizzata).

- IDROSSIPROPILMETILCELLULOSA (IPROMELLOSA): È
un composto solubile e dispersibile.
In questo caso è stato introdotto un idrossipropile,
gruppo funzionale che mantiene la funzionalità del
gruppo OH iniziale, anche se spostato. L’idrossipropile
rompe la regolarità della catena, è molto solubile ma va
in soluzione molto lentamente.

- IDROSSIPROPILCELLULOSA (HPC): presenta solo il


gruppo idrossipropilico e non i metili.

Sintetici
- POLIACRILATI (Eudragit): sono dei polimeri ad uso
vastissimo, dalle lenti a contatto al plexiglas e possono
essere molto diversi tra di loro a seconda del monomero
acrilico utilizzato.

- POLIVINILPIRROLIDONE: è costituito dal vinile


(CH2=CH2) che polimerizzando costituisce il backbone
del polimero, mentre quando è legato in modo alternato
è presente il gruppo pirrolidonico. È un polimero sintetico
biocompatibile che nel laboratorio si utilizza per formare i
granuli.
Questo polimero non è degradabile, non presenta gruppi
esterei o ammidici, per questo motivo rimane all’interno dell’organismo per un tempo
piuttosto lungo. È un polimero solubile, dispersibile e costituisce un buon legante.

194
- POLIVINILALCOL: preparato a partire dal vinilacetato
e non dal vinilalcol, altrimenti il gruppo alcolico
interviene nel processo di polimerizzazione e si
forma un altro tipo di polimero. Il vinilacetato
presenta il gruppo vinilico CH2CH- a cui è legato il
gruppo acetato CH3COO- , in questo modo si
maschera il gruppo OH che interferisce con la polimerizzazione e infine si idrolizza il
gruppo acetile, liberando l’OH. Si possono ottenere polivinilalcoli con vari gradi di
idrolisi, in genere si utilizza quello idrolizzato al 95%.
È un polimero molto idrofilo, molto utilizzato e se viene congelato più volte forma una
struttura tridimensionale molto stabile, un gel che pur non avendo dentro nessun
legame covalente, forma delle zone di cristallinità così forti che fungono da punti di
reticolazione, tanto che queste matrici di polivinilalcol vengono utilizzate per il rilascio
di farmaci tramite rigonfiamento secondo lo schema di Debora (matrici rigonfiabili).

- POLIETILENGLICOLE: è quello più utilizzato in


molte formulazioni come legante ad alto peso
molecolare, è anfifilico e utilizzato sia in solventi
organici che acquosi.
È un polimero biocompatibile, uno dei pochi
ammessi anche per uso parenterale e via endovenosa, non ha tossicità per uso
esterno (anche se molti prodotti cosmetici oggi vengono dichiarati polietilenglicole
free, come se fosse un problema ma in realtà non lo è).

Effetti dei leganti:


Il legante può essere
all’interno dei granuli o può
essere aggiunto in seguito al
processo di granulazione e,
in base a questo, si ricavano
risultati diversi del prodotto
in termini di disintegrazione
e di durezza a seconda di
quanto legante viene
aggiuntoa.

Lubrificanti
Un altro gruppo di eccipienti sono i lubrificanti che servono per facilitare lo scorrimento di
solidi a vari livelli. Essi infatti riducono le forze di interazione tra parti fisiche dello
strumento e della compressa. Sono importanti inoltre nel processo di mescolamento, in
quanto se le forze di interazione durante il mescolamento sono troppo elevate si ottiene
una miscela non omogenea; hanno un ruolo poi nel processo dello scorrimento della
polvere attraverso un tubo dell’impianto, nel processo di compressione e in particolare
nella fase di decompressione e uscita della compressa dalla camera.

195
I lubrificanti agiscono sulla superficie delle particelle e si distinguono in liquidi (di solito
sono degli oli) o solidi (utilizzati per la produzione di compresse).
Questi eccipienti provocare anche degli effetti indesiderati perché possono influenzare la
velocità di dissoluzione del farmaco (Equazione di Noyes-Whitney: area superficiale
effettiva dipende se il solvente riesce o meno a bagnare la superficie à la bagnabilità
dipende dalle caratteristiche idrofiliche/idrofobiche del composto farmaco+eccipienti à i
lubrificanti molto spesso sono idrofobici e quindi riescono a ridurre la bagnabilità e quindi
anche la velocità di dissoluzione del farmaco).
Spesso il lubrificante migliore è idrofobico, perciò il suo effetto è negativo.

I lubrificanti si classificano in tre categorie:


- Lubrificanti veri: riducono le forze frizionali nella camera di compressione, cioè
riducono le forze di interazione tra corpo solido e la parete dell’impianto in generale,
quindi facilitano lo scorrimento del pistone all’interno della camera sia in entrata che
in uscita. Riducono il riscaldamento e il dispendio di energia, facilitano l’uscita della
compressa dalla camera di compressione ma facilitano anche lo scorrimento della
polvere nei tubi dell’impianto. Di questa categoria ne fanno parte stearati, oli minerali
e cere.

- Antiaderenti: sono lubrificanti che impediscono l’interazione tra la compressa, una


volta formata, e i pistoni (vedi fenomeni di picking e sticking). Tra gli antiaderenti
troviamo il talco, l’amido di mais e gli stearati.

- Glidanti: sono quei lubrificanti che riducono le forze di interazione tra particella e
particella all’interno della polvere, ne facilitano lo scorrimento, riducono l’angolo di
riposo, aumentano la velocità di flusso, ovvero riducono le forze di interazione tra le
singole particelle. Tra i glidanti troviamo la silica e gli stearati.

N.B. I lubrificanti sono eccipienti usati in quantità molto piccole, tra l’1 e il 5%, perché
agiscono sulla superficie del materiale e influenzano molto la fuoriuscita del prodotto
riducendo le forze di interazione. Impediscono poi la formazione di legame tra particelle e
questo può generare problemi nella formulazione di compresse che devono essere ben
compatte, inoltre viene modificata la velocità di rilascio del farmaco perché viene
modificata anche la bagnabilità.

Meccanismo d’azione dei lubrificanti veri e propri

I lubrificanti veri e propri funzionano:


• A lubrificazione fluida o idrodinamica: il
lubrificante fluido viene spruzzato nella
camera di compressione e si sovrappone
tra la polvere e le pareti della camera.

196
• A lubrificazione al confine: si usano
lubrificanti solidi che stanno all’interno
della polvere e mediano le interazioni.

Nel grafico sono rappresentati tre tipi di


lubrificanti: acido stearico, alcol stearico e
magnesio stearato. Quest’ultimo provoca una
diversa velocità di disintegrazione della
compressa perché è molto idrofobico, quindi
a seconda del lubrificante aggiunto alla
preparazione si possono avere variazioni sul
tempo di disintegrazione della compressa. Il
grado di idrofobicità del lubrificante è
direttamente proporzionale alla velocità di
dissoluzione.

In figura è rappresentata la resistenza della


compressa all’aumentare della
concentrazione di Mg stearato: più si
aggiunge magnesio stearato più la
compressa diventa fragile perché impedisce
la formazione dei legami tra le particelle
durante la fase di compressione.

Il grafico mostra la velocità di dissoluzione


del farmaco con diversi tipi di lubrificanti.
Essa diminuisce nel caso del magnesio
stearato perché è un eccipiente idrofobico
che riduce la bagnabilità del solido,
aumenta invece con l’amido che è un
eccipiente idrofilico; con il talco invece la

197
dissoluzione non cambia poiché questa sostanza non esercita una particolare influenza.
Glidanti
I glidanti riducono le interazioni tra particelle, quindi tra granuli o particelle di polvere, e il
loro meccanismo di azione si basa su:
- Dispersione di carica
- Gas adsorbimento
- Quenching delle forze di Van der Waals
- Riduzione delle forze frizionali
- Ottenimento di superfici lisce

Le funzioni dei glidanti sono quelle di aumentare il flusso della polvere, evitare la
segregazione e rendere il campione omogeneo.

Il prodotto principale di questa categoria è la


silica (ossido di silicio o biossido) che si trova
in quasi tutte le compresse.
La silica può essere in forma secca (pirogenic)
o sottoforma di idrogel.

Antiaderenti
Tra gli antiaderenti troviamo il talco (filosilicato) che è un composto inorganico e viene
usato in quantità molto piccole.

198
ECCIPIENTI BIOFARMACEUTICI

Disintegranti
Con l’aggiunta di leganti, la compressa si dissolve
più lentamente, di conseguenza anche il rilascio del
farmaco nell’organismo sarà rallentato (vedi
processi di disintegrazione-disaggregazione-
dissoluzione in cui quest’ultimo prevale perché è
l’evento finale ma tutti e tre hanno una propria
influenza).
Per bilanciare l’effetto del legante si aggiungono i
disintegranti, eccipienti biofarmaceutici che
modificano la velocità di rilascio del farmaco (non
tecnologici perché non servono per ottenere la compressa).
I disintegranti agiscono principalmente in 2 modi: attraverso una reazione fisica o una
reazione chimica.
La disintegrazione tramite reazione fisica è data dalla capacità di incorporare acqua: si
idratano, si rigonfiano, cambiano forma e volume e fanno rompere la compressa.
La disintegrazione per reazione chimica invece prevede l’idrolisi degli eccipienti e quindi
la disintegrazione della compressa stessa, come accade ad esempio nelle compresse
effervescenti, in cui viene rilasciata CO2 per l’idrolisi di un acido carbossilico.
Tra i disintegranti più utilizzati si possono trovare gli amidi (amido sodio glicolato o i
carbossimetilati), silicati di alluminio o magnesio, le cellulose (Avicel e
carbossimetilcellulosa) o gli alginati, che sono polimeri con gruppi COOH.

199
ECCIPIENTI ORGANOLETTICI

Gli eccipienti organolettici modificano le proprietà come odore, colore e sapore delle
compresse. Una sostanza assunta per via orale infatti deve presentare caratteristiche
appetibili per stimolare i recettori del gusto e dell’olfatto e indurne l’assunzione.

Questi eccipienti si aggiungono in particolare a forme farmaceutiche destinate ai bambini,


e in generale quando un farmaco si deve sciogliere in bocca perché il sapore o l’aroma si
percepiscono quando il farmaco è allo stato molecolare e interagisce con un recettore à
è il caso degli sciroppi, delle compresse orosolubili o delle compresse orodispersibili.

Coloranti
I colori vengono usati per identificare alcuni tipi di farmaci, ad esempio ansiolitici, viagra,
compresse vitaminiche, e servono per facilitare a livello psicologico l’ingestione.
I coloranti possono essere utili per motivi pratici, come riconoscere un farmaco rispetto a
un altro; in passato servivano per distinguere le produzioni, per evitare che ci fossero
commistioni di produzioni diverse, in altri casi permettono di associare sapori e aromi
(rosa=fragola)
I coloranti possono essere:
- Sintetici: sono divisi in DYES e LACCHE. I primi sono solubili in soluzioni acquose,
contengono un quantitativo di colorante elevato e per questo motivo vengono
utilizzati a basse concentrazioni; inoltre sono più stabili a luce e calore. Le lacche
invece sono insolubili, perciò sono utilizzate sottoforma di dispersione e contengono
una quantità di colorante maggiore rispetto ai dyes.
- Naturali: sono pigmenti naturali ma vengono usati poco perché sono costosi e molto
instabili.

Aromatizzanti
Gli aromatizzanti sono aggiunti soprattutto in preparazioni in cui il farmaco viene sciolto
nella cavità buccale. I recettori sensoriali si trovano a livello della lingua a sono divisi in
zone in base al sapore principalmente riconosciuto.
Le sostanze ioniche danno sapore acido e salato, mentre le non
ionizzate danno sapore amaro e dolce.
Aroma e gusto si combinano per dare la sensazione di una
determinata sostanza. L’aroma è la percezione degli odori che si
riconosce nei recettori della cavità nasale.
Il mouthfeel è la sensazione che si prova in bocca (esempio
sensazione di fresco del mannitolo con ∆H<0).
Il flavor è la combinazione del gusto, dell’aroma e della sensazione tattile che si sente
nella cavità buccale.
Abbiamo poi il backtaste, il retrogusto.

L’aromatizzante viene usato in tutte le compresse buccali, soprattutto in compresse non


rivestite in cui farmaco ha un rilascio lento nella cavità e può essere assorbito o svolgere
un’azione direttamente sulla mucosa buccale.

200
Dolcificanti
Tra i dolcificanti più utilizzati ci sono quelli sintetici e
quelli naturali.
Dolcificanti naturali:
• Saccarosio
• Lattosio
• Fruttosio
• Saccarosio invertito
• Miscela con saccarosio o mannitolo
• Glucosio
• Sorbitolo

Dolcificanti sintetici:
• Saccarina
• Aspartame: molto usato nelle bibite gassate e nella
carne, tossico se assunto in grandi quantità, il
potere dolcificante è dato dall’Asp 120 e dal
saccarosio 450
• Glicerizina: è un derivato della liquirizia

Hanno un elevato potere dolcificante, fino a 200 volte quella del saccarosio.
I dolcificanti sintetici si utilizzano per categorie specifiche di pazienti che non possono
utilizzare altri zuccheri o quando la quantità degli altri eccipienti è talmente elevata che
non si può aggiungere lo zucchero naturale.
Sono poco utilizzati per i prodotti farmaceutici.

Dolcificanti per aroma


Vengono poco utilizzati e avrebbero lo scopo di conferire un buon odore al prodotto;
i più comuni sono mentolo e vaniglia.

Esistono poi delle tabelle che permettono associare aroma, colore e sapore insieme.

TIPI DI COMPRESSE

Le compresse possono essere:


- Buccali: le compresse da utilizzare nella cavità buccale sono di norma non rivestite.
Sono formulate in modo da dare un rilascio lento e un’azione locale del o dei principi
attivi, oppure possono rilasciare e essere assorbiti in una zona definita della bocca.
- Orodispersibili: sono compresse non rivestite destinate ad essere poste nella bocca
dove si disperdono rapidamente prima di essere inghiottite.
- Chewngum: le gomme da masticare medicate sono preparazioni solide a dose unica
con una base costituita essenzialmente da gomma, destinate ad essere masticate ma
non inghiottite.
- Solubili: sono compresse non rivestite o rivestite con film. Sono destinate ad essere
disciolte in acqua prima della somministrazione. La soluzione ottenuta può essere

201
leggermente opalescente a causa degli additivi utilizzati nella produzione delle
compresse.
- Dispersibili: le compresse dispersibili sono compresse non rivestite o rivestite con
film destinate ad essere disperse in acqua prima della somministrazione dando una
dispersione omogenea.
- Effervescenti: sono compresse non rivestite contenenti generalmente sostanze acide
e carbonati o bicarbonati che reagiscono rapidamente in presenza di acqua
sviluppando anidride carbonica. Sono destinate ad essere disciolte o disperse in
acqua prima della somministrazione.

Gomme masticabili
FUI: Le gomme da masticare medicate sono preparazioni solide a dose unica con una
base costituita essenzialmente da gomma, destinate ad essere masticate ma non
inghiottite.
Sono forme farmaceutiche che non necessitano di acqua per la deglutizione, non ci sono
problemi di disintegrazione perché vengono masticate, in questo modo il rilascio è
favorito, inoltre hanno elevata biodisponibilità. Un esempio è il Travelgum. Esistono
compresse a base di gomma (masticabili) o senza gomma, in ogni caso non vengono
ingoiate così come sono.

Per migliorare le caratteristiche organolettiche ci sono diverse possibilità, nel caso in cui il
farmaco sia amaro:
- Si usano dei dolcificanti o si fanno dei granulati a umido, che è migliore di quello a
secco perché il granulato a umido ha maggiore resistenza alla granulazione e alla
macinazione;
- Microcapsulazione: diminuisce la dimensione di alcune decine di µm inoltre protegge
il farmaco;
- Dispersioni solide con bassa dissoluzione;
- Resine a scambio ionico, che formano dei complessi con il farmaco;
- Sali insolubili;
- AA o proteine idrolizzate che si complessano con il farmaco e mascherano il sapore;
- Complessi con le ciclodestrine;
- Formazione di altri complessi;
Quindi al farmaco si può o aggiungere un dolcificante associato o incapsularlo e renderlo
insolubile.

Compresse buccali e sublinguali


Rilasciano il farmaco nella cavità buccale in
posizioni diverse. Possono avere azione locale
o possono essere assorbiti e messi in circolo. Il
vantaggio è che l’assorbimento avviene
attraverso la vena cava superiore o la giugulare
e questo evita il passaggio epatico à si evita
l’effetto di primo passaggio epatico attraverso
la vena porta. Il farmaco quindi non va
direttamente al fegato.

202
In queste formulazioni l’utilizzo di eccipienti organolettici è
fondamentale.

Alcuni esempi di questi farmaci sono:


• Buprenorfina 200 µg (analgesico)
• Ergotamina 2 µg (emicrania)
• Glicerina trinitato 300/600 µg
• Isosorbide 40 µg
• Nifedipina 5-10 µg (ipertensione)
• Naltrexone e Naloxone: biodisponibilità minore dell’1% se somministrati per via orale,
del 63% se somministrati per via buccale.

Questi farmaci hanno dosi estremamente piccole perché il farmaco si deve sciogliere e
nella cavità buccale non c’è tanto liquido per solubilizzare il farmaco.
Naltrexone e naloxone hanno biodisponibilità <1% se somministrati per via orale, più del
63% se somministrata per via buccale.

- Compresse buccali
FUI: Le compresse da utilizzare nella cavità buccale sono, di norma, compresse non
rivestite. Sono formulate in modo da dare un rilascio lento e azione locale del o dei
principi attivi o il rilascio e assorbimento in una zona definita della bocca.
Vengono applicate o sulla parte superiore della gengiva o sulla guancia, possono
rimanere lì per parecchi giorni, sono molto piatte e hanno dei polimeri mucoadesivi,
quindi aderiscono alla mucosa in modo reversibile.
Il rilascio è lento e il principio attivo è rilasciato nella cavità buccale e poi viene assorbito.
L’adesione è ovviamente reversibile (es HPMC, NaCMC, Carbopol).

- Compresse sublinguali
Non si disintegrano e non si disaggregano come quelle ingoiate, per non rendere
sgradevole la somministrazione in quanto si sentirebbero i pezzi di compressa sotto la
lingua, per questo si sciolgono direttamente una volta
assunte.
Esempi di queste compresse sono Feldene 20 mg
(presenza di mannitolo che dà più freschezza),
Carvasin, Filgara.
La gelatina consente questo tipo di rilascio e
solitamente si usa mannitolo che dà freschezza.
Il rilascio deve essere rapido e l’azione immediata
perché nella zona inferiore della lingua ci sono
strutture molto irrorate e una mucosa sottile che
favoriscono l’assunzione del farmaco. Il problema è
che la saliva presente in questa zona è poca (1/2 ml), perciò la compressa deve essere
molto solubile. Il rate limiting step di queste formulazioni è la dissoluzione.
Mannitolo, aspartame e acido citrico sono gli eccipienti principali.
Queste compresse non devono avere particolari sapori per non stimolare la salivazione,
altrimenti vengono ingoiate.
203
Sono compresse piccole e piatte.
Profilo farmacocinetico Buprenorfina:
Il picco con il puntino rosso in alto è la via endovenosa,
la seconda curva un po’ più bassa e rappresenta la via
sublinguale di una compressa da 0.8 mg, mentre quella
più bassa è la sublinguale con 0.4 mg.

I farmaci utilizzati sono quelli che possono essere


somministrati in piccole dosi, quelli che hanno un
sapore che non stimola la salivazione e quelli che
hanno un’elevata solubilità.
Più la molecola è idrofilica, più viene assorbita
perché è più solubile nella porzione della bocca in
cui è presente saliva.

Compresse effervescenti
Sono compresse che devono essere solubilizzate in acqua o in altri solventi prima della
somministrazione per via orale. Si dissolvono manifestando il processo
dell’effervescenza.
Ci sono molti tipi di farmaci di questo tipo tanto che vengono utilizzati anche per la
pulizia di device e come multivitaminici.
Perché fare le compresse effervescenti? Perché con le compresse effervescenti si ottiene
una compressa solida e facilmente trasportabile per un prodotto che va in soluzione.
Averlo in soluzione fa sì che la solubilità (e quindi la biodisponibilità) sia alta perché viene
disaggregato immediatamente à aumenta anche la compliance. È una forma
farmaceutica stabile ed è molto facile da assumere e facilmente biodisponibile.
L’effervescenza è fondamentale per una rapida dissoluzione. Con l’effervescenza si ha
anche un aggiustamento del pH.
In questo caso si sviluppa gas di CO2, che porta alla disintegrazione delle particelle.
Vengono utilizzati solo eccipienti solubili, poiché avere un residuo insolubile non è
appetibile per il cliente.
Vengono ottenute per compressione come le altre compresse.

Effervescenza: data dalla reazione acido-base tra un carbonato e un acido (citrico o


tartarico) con sviluppo di CO2. Durante la reazione si libera anche acqua che è un
prodotto di reazione e non un reagente ed è necessaria per sciogliere gli eccipienti.

204
Quando comincia la reazione, si innesca il processo di effervescenza e la reazione
continua ad andare avanti fino a compimento.
All’interno della formulazione c’è lo stesso una piccola quantità di acqua, cioè acqua
immobilizzata non reattiva.

L’acido scelto generalmente è acido citrico (diprotico), altro eccipiente di prima.


Altri acidi poco utilizzati sono:
- Acido malico
- Acido fumarico (poco solubile)
- Acido adipico (costoso)
- Acido succinico
- Anidridi e acidi alimentari
- Sali inorganici come Na2SO3

Esistono anche compresse effervescenti per via rettale o vaginale, ma non sono più state
prodotte; inoltre ci sono compresse effervescenti ingoiabili che servono come
disintegranti dopo aver assunto altre compresse.
CI sono poi le compresse per uso topico, per preparare soluzioni o per uso esterno.
Il bicarbonato di elezione è il bicarbonato di sodio (N.B. mai utilizzare il carbonato di
calcio, non è solubile!) che è solubile, igroscopico, costa poco e ha attività anti-acida.
Il sodio carbonato è miscelato al bicarbonato e ha effetto stabilizzante.

205
Carbonato e bicarbonato di potassio sono poco utilizzati, il sequicarbonato invece è
utilizzato per la pulizia perché è sbiancante. Altri carbonati sono carbonato di kalium,
sodio glicina carbonato, L-lysina carbonato e arginina carbonato.

Gli altri eccipienti sono gli stessi utilizzati nelle altre compresse.
I riempitivi non sono molto utilizzati perché c’è già il bicarbonato.
Anche i leganti sono utilizzati in bassissima quantità, meno se ne usano meglio è per
poter avere disintegrazione e disaggregazione elevate (ad esempio glucosio, lattosio,
maltosio, amido).
I lubrificanti prevengono la disintegrazione e bisogna utilizzarli in bassa quantità. In
realtà hanno anche un effetto negativo sul legame delle particelle poiché riducono la
compattezza della compressa, ma la rendono meno bagnabile.

Produzione
Le compresse sono ottenute per compressione diretta o per granulazione a secco o a
umido. La granulazione a umido è problematica perché non si può utilizzare acqua,
bisogna utilizzare fluidi non reattivi (etanolo e isopropanolo), ma meno sono utilizzati
meglio è perché non sono economici e sono difficili da gestire in quanto sono molto
infiammabili. Si possono utilizzare fluidi reattivi come l’acqua ma in pochissime quantità.
L’acqua è utilizzata per formare granuli in modo separato dell’acido citrico e dal
bicarbonato, mai insieme sennò si verifica l’effervescenza.
Si può produrre compresse effervescenti anche per riscaldamento in cui la miscela di
polveri viene riscaldata in fase di compressione e l’acqua interna è utilizzata per formare
legami.
Altro metodo è l’utilizzo di miscele ad alta velocità (high speed mixtures), che generano
calore.

Le compresse effervescenti vanno testate su:


- Uniformità di peso e contenuto
- Durezza e friabilità (devono essere sia abbastanza friabili, che resistenti)
- pH
- gas che si sviluppa dall’effervescenza

206
Packaging
Il packaging primario è molto importante perché attraverso questo la forma farmaceutica
viene a diretto contatto con la confezione. Il packaging secondario riguarda l’aspetto
regolatorio.
Per le compresse effervescenti in passato si utilizzavano tubi di vetro, poi sono stati
utilizzati tubi di metallo che avevano il problema di non garantire le condizioni di umidità.
Le compresse venivano quindi avvolte in un sacchetto di alluminio e messe all’interno del
tubo di metallo. Poi all’interno del tubo è stata inserita una compressa di silica per
favorire l’essiccamento ma il problema spesso era che molte persona scambiavano la
compressa di silica per la effervescente.
Il blister invece non è un modo di confezionamento interessante perché le compresse di
solito sono grandi, larghe e fragili e nella rottura del blister può rompersi la compressa. I
più utilizzati sono gli strip-wrapped, cioè delle bustine al cui interno viene messa la
compressa.

Strip-Wraped:
I cilindri rotanti sono riscaldati e quando si uniscono
incollano la pellicola che trasportano sopra. Hanno la
parte esterna di polietilene che rende flessibile il
foglietto, c’è poi un legante che serve per tenere il
foglietto di polietilene legato a quello di alluminio, il
quale impedisce il passaggio dell’umidità. Il polietilene è
la frazione che dà flessibilità, l’alluminio preserva dalle
condizioni esterne.

I problemi sono:
- Rottura del foglietto: quando la compressa è troppo
grande
- Ripiegamento del foglietto nel punto di chiusura: c’è
un’apertura, la compressa non è più isolata
- Una parte di polvere si pone nel punto di saldatura: la
compressa non è isolata
- Il foglietto si pone nella saldatura

COMPRESSE RIVESTITE E NON

Def.FUI. Le compresse non rivestite comprendono compresse a singolo strato, risultanti


da una singola compressione di particelle, e compresse multistrato costituite da strati
concentrici o paralleli ottenuti per successiva compressione di particelle di differente
composizione. Gli eccipienti usati non sono specificamente intesi a modificare il rilascio
del principio attivo nei fluidi digestivi.
Def. FUI. Le compresse rivestite sono compresse ricoperte con uno o più strati di
miscele di varie sostanze come resine naturali o sintetiche, gomme, gelatina, cariche
inattive e insolubili, zuccheri, plastificanti, polioli, cere, coloranti autorizzati e talvolta
aromatizzanti e principi attivi. Le sostanze usate come rivestimento sono di norma
applicate come soluzione o sospensione in condizioni in cui si abbia evaporazione.
207
Quando il rivestimento è costituito da uno strato polimerico molto sottile, le compresse
sono dette compresse rivestite con film.

Non è corretto dire che le compresse non rivestite sono a rilascio convenzionale poiché
queste si hanno solo quando il progetto formulativo non è mirato alla modifica del
farmaco.

Perché vengono formulate con il rivestimento?


- Migliorare l’aspetto estetico
- Mascherare odori e sapori
- Aumentare la stabilità
- Modificare il rilascio del farmaco
- Migliorare la deglutizione

COATING

Il coating è la tecnica che permette di rivestire esternamente le compresse.


Ci sono diversi tipi di coating:
- Rivestimento zuccherino, detto confettatura
- Rivestimento filmogeno

Sono due rivestimenti diversi che si fanno per:


• Migliorare le caratteristiche estetiche del prodotto, quindi per avere delle compresse
esteticamente più appetibili
• Mascherare sapori o odori sgradevoli
• Migliorare la deglutizione
• Migliorare la stabilità perché il farmaco è all’interno di un rivestimento lontano da
ossigeno dell’aria
• Modificare il rilascio

Esistono diversi sistemi per produrre il coating:


1. Si utilizzano le bassine che sono dei tamburi rotanti al
cui interno sono poste le compresse e attraverso cui
viene insufflata una soluzione di materiale di coating e
aria calda, che fa evaporare il solvente in modo che
rimanga sulla superficie solo il coating. È un sistema
che viene usato per entrambi i rivestimenti
(confettatura e filmatura).

2. Doppia compressione: si
utilizza una comprimitrice in cui
viene posta la compressa e il
materiale di coating si
posiziona sopra. Questo
procedimento è un po’ più
complesso perché è facile avere l’off-center, cioè la compressa non è al centro del
208
rivestimento. È un fenomeno che non deve verificarsi, altrimenti il farmaco si scioglie
in modo disomogeneo e viene cambiata completamente la velocità con cui il farmaco
va in soluzione.

3. Sistema a letto fluido: è simile al sistema di granulazione, ma in questo caso le


compresse vengono tenute in aria da un flusso di aria calda e contemporaneamente
viene spruzzato all’interno del materiale di rivestimento che rivestirà le superfici delle
compresse mentre l’aria calda farà evaporare il solvente. Questo tipo di processo
viene usato più per la filmatura che per la confettatura.

Sugar coating

Lo sugar coating porta alla formazione del confetto che è un prodotto non molto
moderno, infatti sta andando in disuso.

I vantaggi della confettatura sono:


• Si usano materiali economici come gli zuccheri
• Abbiamo a disposizione diversi tipi di materiali farmaceutici da utilizzare
• Si usano sistemi e macchine semplici
• Si ottengono prodotti gradevoli da vedere (colorati, lucidi, resistenti)

Gli svantaggi sono:


• Non è facile fare confetti di buona qualità perché non ci sono molte regole da seguire
• Aumenta molto il peso della compressa, fino al 50%, e questo comporta dei costi
maggiori quando si parla di grandi quantità di confetti (costo di trasporto e di
manipolazione).
• Non è particolarmente flessibile
• Il prodotto può essere fragile, si può scheggiare facilmente perché il confetto è molto
rigido.

Lo sugar coating si fa utilizzando:


1. Zuccheri come saccarosio e sorbitolo in misura minore (in caso di prodotti dietetici)
2. Riempitivi come il carbonato di calcio (per sospensione o laminazione)
3. Lubrificanti che servono a ridurre i processi di attrito
4. Coloranti e opacizzanti come il biossido di titanio che enfatizzano la colorazione
5. Plasticizzanti che riducono la fragilità dello strato zuccherino (gelatina, gomma acacia,
cellulosa) e hanno il compito di migliorare le caratteristiche del coating perché
altrimenti, se fosse solo zucchero, sarebbe molto fragile e si romperebbe facilmente.
Sono quindi prodotti che conferiscono proprietà meccaniche, plastiche ed elastiche.
6. Solventi di diverso tipo come acqua, alcol o isopropanolo. L’uso di questi solventi è
delicato e deve essere prima accertato dagli enti regolatori.

Processo
Il processo di produzione consiste di tre fasi: l’applicazione della soluzione di coating
sulla superficie delle compresse, la sua distribuzione e l’essiccamento.
Nel rivestimento zuccherino ci sono 5 fasi:
1. Sealing: sigillatura della compressa
2. Subcoating: fase in cui si forma il rivestimento zuccherino e il suo ispessimento
3. Coating: parte terminale della formazione del rivestimento e lisciatura
209
4. Colorazione
5. Lucidatura: qui avviene anche la stampa se dobbiamo stampare un logo.

1. Sealing
In questa fase si determina il modo in cui il
farmaco si rilascia e si rende disponibile.
Si applica una soluzione sulla superficie della
compressa assicurandosi che il rivestimento non
vada a degradarla. Il primo procedimento è
sigillare la compressa, inserendo un film esterno
che la tiene protetta durante tutto il processo di
coating.

Il rivestimento zuccherino avviene in fasi continue, cioè si spruzza e si lascia essiccare la


soluzione di coating più volte in modo ciclico finché non viene raggiunto lo spessore di
rivestimento desiderato.
In genere, la soluzione nebulizzata è acquosa à bisogna prestare attenzione alla
compressa che non si deve sciogliere.
Le sostanze che poi costituiranno il rivestimento sono polimeri preferibilmente poco
solubili in acqua o lentamente solubili; tra questi abbiamo l’HPMC che è un polimero
solubile ma con velocità di dissoluzione molto bassaà viene impedito lo scioglimento del
coating appena eseguito sulla compressa.
Il sealing può anche essere costituito da una soluzione organica di alcol.
Ci sono altri tipi di sigillatura spesso usati, per esempio la gomma-lacca che è un
polisaccaride ottenuto da un insetto ed è un polimero molto complicato. È importante
sapere che è un materiale con molti gruppi carbossilici liberi (COOH) sensibili al pH che
avranno una solubilità diversa a seconda del pH in cui si trovano: la gomma-lacca non
sarà perciò solubile in ambiente gastrico, ma in ambiente intestinale sì perché si troverà
in forma ionizzata (COO-). Esempi di sostanze con lo stesso funzionamento sono polivinil-
acetatoftalato e la cellulosa-acetatoftalato. Si possono usare anche solventi insensibili al
pH come l’idrossipropil-metilcellulosa.

Una volta completata la sigillatura, cioè posto intorno alla compressa questo polimero di
film molto sottile con la scopo di proteggere la compressa dalle fasi successive, si passa
al subcoating.

2. Subcoating
Si utilizzano altri zuccheri, come il saccarosio o il sorbitolo tramite una soluzione diluita di
zucchero al 20-40% (saccarosio ha solubilità del 65% a temperatura ambiente); insieme a
questa soluzione si aggiungono gomma acacia, gelatina e derivati della cellulosa che
servono per conferire alla compressa resistenza alle sollecitazioni meccaniche, in questo
modo le caratteristiche meccaniche della struttura cristallina vengono preservate,
altrimenti la compressa si scheggerebbe molto facilmente.
Si utilizzano poi plasticizzanti e riempitivi come solfato o carbonato di calcio, caolino o
biossido di titanio che è un opacizzante che migliora le caratteristiche estetiche della
compressa conferendo un colore bianco. Questi riempitivi servono per evitare il rischio di
gemellaggio, cioè “l’appiccicamento” in questa fase tra una compressa e l’altra.
210
Queste sostanze inorganiche possono essere applicate in due modi, ovvero tramite un
processo di sospensione o di laminazione. Il processo di sospensione avviene
sospendendo questi materiali inorganici (carbonato e solfato di calcio) all’interno della
soluzione zuccherina; invece nella laminazione si alternano le soluzioni zuccherine con
polvere che viene aggiunta a parte à questi componenti vengono alternati tra loro nella
bassina (nella sospensione invece viene usato tutto in una volta).

3. Coating e colorazione
Consiste nella parte terminale della formazione del rivestimento zuccherino. Viene fatto
con una soluzione a concentrazione di zucchero abbastanza elevata, circa al 70% (un po’
più della concentrazione di saturazione perché la T di lavoro è più elevata di quella
ambientale), in questo modo si ottiene una lisciatura delle compresse.
In questa soluzione è possibile aggiungere anche soluzioni coloranti che possono essere
dyes o lacches, i primi sono coloranti solubili mentre i secondi sono coloranti insolubili,
entrambi possono essere dispersi all’interno del preparato per ottenere il confetto
colorato.

4. Lucidatura
Avviene sempre all’interno della bassina (come tutti i passaggi precedenti, cambiano solo
gli “ingredienti") che in questo caso è ricoperta di stoffa all’interno. Si inseriscono dei
pezzi di cera, si fanno girare le pale e durante il rotolamento all’interno i confetti vengono
ricoperti da questa cera e vengono così lucidati.

5. Stampaggio
È una fase complicata e può essere svolta prima o dopo la lucidatura.
Se eseguita prima della lucidatura, lo stampaggio viene molto bene ma poi, con il
processo successivo, la scritta o il logo stampati possono scomparire o rovinarsi.
Se lo stampaggio avviene dopo la lucidatura, il processo diventa più complesso perché il
materiale utilizzato nella lucidatura è lipofilo per la presenza della cera e si presenta il
rischio di non avere una stampa efficiente.
Di conseguenza è sempre meglio non stampare.

211
Film Coating
Il film coating oggi tende a sostituire lo sugar coating perché in quanto più facile ed
economico. È diventato così economico che ormai si fa quasi per tutte le compresse.
Perché si fa il film coating?
• Perché la compressa risulta esteticamente più bella
• Per stabilizzare il farmaco all’interno della compressa
• Perché la compressa risulta più facile da ingoiare
• Perché si modifica il rilascio del farmaco (cosa che avveniva anche nello sugar coating
ma in un modo non molto controllato, perché la velocità di rilascio del farmaco era
molto rallentata poiché bisognava che prima si sciogliesse tutto l’intorno zuccherino) e
quindi possiamo ottenre, per esempio, compresse gastroresistenti o a rilascio
ritardato (Naprosin ha un film coating, lo scioglimento non è una questione di tempo
ma di tipo di rivestimento).

Sono film molto sottili che vanno da 20 a 200 µm, il processo è simile a quelli appena
visti. Infatti anche qui si utilizza la bassina come strumento al cui interno viene spruzzato il
materiale che poi sarà il rivestimento. Nel caso del film coating, i volumi di soluzione di
rivestimento necessari sono molto piccoli e quindi è possibile ridurre il numero di
passaggi da svolgere, evitando così il sealing proprio per l’assenza della soluzione
zuccherina. Spesso sono assenti anche le soluzioni acquose nella preparazione del
coating.

Fasi del processo


1. Fase di atomizzazione della soluzione, di solito composta da materiale polimerico, le
particelle atomizzate si dispongono sulla superficie.
2. Fase di umettamento in cui le goccioline di disperdono.
3. Fase di coalescenza in cui
le goccioline si fondono tra
loro e formano un film
unico.
È un processo abbastanza
rapido che avviene per volumi
molti piccoli in cui il volume
della compressa aumenta solo
del 2-4%.

Materiali
Nel film coating possono
essere usati diversi polimeri,
ognuno dei quali conferisce
caratteristiche differenti alla compressa. Alcuni esempi di materiali sono polisaccaridi,
poliacrilati o polivinili.
Le caratteristiche finali della compressa dipendono dal peso molecolare, e quindi dalle
dimensioni di questi materiali. Nel caso specifico dei polimeri, le caratteristiche del
prodotto vengono date anche dalla polidispersività che indica quanto è disperso il

212
polimero (sintetico o naturale) e quanto è omogeneo il peso molecolare: questo
parametro è importante perché più un polimero è poco polidisperso maggiore è la sua
qualità e anche il suo costo. Dal punto di vista farmaceutico, è fondamentale che il
polimero sia il meno polidisperso possibile.
Se aumenta il peso molecolare, aumenta anche la resistenza alla tensione e il modulo
elastico (modulo di Young), cioè diminuisce l’elasticità.

Per produrre il film coating è bene prendere in considerazione non solo il tipo di materiale
(polimero) utilizzato, ma anche il peso molecolare e le sue caratteristiche fisiche e
chimiche, per esempio valutando di usare un idrossipropil metilcellulosa, un poliacrilato o
un polivinile.

Altri materiali fondamentali sono i plasticizzanti, sostanze come gomma acacia o


gelatina che conferiscono resistenza alle molecole. Aumentando la quantità di
plasticizzante diminuisce la resistenza alla tensione, diminuisce il modulo elastico e il film
aderisce meglio alla compressa.
Abbiamo poi solventi che generalmente sono alcoli come l’etanolo o l’isopropanolo inerte
(non viene quasi mai usato il metanolo perché è abbastanza tossico). Si usano però
anche degli esteri come l’etilacetato o il metilattato, oppure ancora dei chetoni come
l’acetone; fanno parte dei solventi anche composti clorurati, che però è meglio non usare
perché i residui concessi dagli enti regolatori nel prodotto sono bassissimi.

213
Il coating si suddivide in due tipi di rivestimenti:
- Film coating convenzionale
- Film coating gastroresistente

Film coating convenzionale


Non modifica le caratteristiche biofarmaceutiche del farmaco come disponibilità,
biodisponibilità e velocità di rilascio, ma serve solo per migliorare le caratteristiche
estetiche del prodotto farmaceutico o per proteggere il farmaco da agenti esterni. Di
solito si utilizzano polimeri come l’idrossipropil-metil-cellulosa che ha una buona adesività
ed è disponibile in diverse forme; oppure l’idrossipropil cellulosa (cellulosa a cui viene
legato un idrossipropile) che risulta più solubile della semplice cellulosa perché la
struttura viene interrotta da gruppi idrossipropili, di conseguenza anche la solubilità del
rivestimento aumenta. Il vantaggio dell’usare questi materiali è che da un lato la struttura
base della cellulosa viene interrotta, dall’altro lato i gruppi OH sono mantenuti. I gruppi
OH sono importanti per la formazione di legami, che non vengono quindi mascherati da
modifiche a seguito dell’aggiunta di gruppi idrossipropilici ma vengono solo “spostati” più
avanti.
Si usano anche metil e propil cellulosa in cui non vengono mantenuti i gruppi OH, ma
viene comunque rotta la regolarità della struttura che risulta più solubile.
Altro polimero utilizzato è la carbossimetil-cellulosa che ha però un gruppo carbossilico
pH sensibile.
Il PVP (polivinilpirrolidone) è un polimero poco utilizzato per il coating ma più utilizzato
come riempitivo e legante nelle compresse perché non è abbastanza igroscopico e
produce film molto fragili.
Anche i polietilenglicoli vengono poco utilizzati come rivestimenti perché sono piuttosto
untuosi. Gli acrilati invece sono i più utilizzati per i coating.
Nella formazione dello sugar coating si usano anche dei plasticizzanti come polialcoli che
però non hanno caratteristiche cristalline elevate e quindi la loro presenza non è
fondamentale, tra questi troviamo i propilenglicoli e il glicerolo. Sono quindi dei polioli che
coordinano delle molecole di acqua e conferiscono plasticità al film riducendo il rischio di
rottura.
Si utilizzano infine degli esteri di acetati come il grlicerin diacetato, esteri di ftalati, di
trigliceridi o addirittura oli.

Film coating gastroresistente


L’altro rivestimento è mirato all’ottenimento di compresse enteriche che resistono quindi
all’ambiente gastrico e rilasciano il farmaco direttamente nell’ambiente intestinale.
Tali tipi di compresse sono sempre più presenti sul mercato: in genere tutti gli
antinfiammatori non steroidei che hanno una tossicità a livello gastrico vengono formulati
per avere un rilascio a livello intestinale.

Le ragioni di questi prodotti sono principalmente due:


1. Proteggere lo stomaco dal farmaco
2. Proteggere il farmaco dall’ambiente acido dello stomaco
3. Questo rivestimento viene eseguito anche in virtù del fatto che la maggior parte dei
farmaci viene assorbita a livello intestinale, che siano farmaci acidi o basici.

214
N.B. Il farmaco viene assorbito nella sua forma non ionizzata, quindi un farmaco acido in
teoria verrebbe assorbito meglio nello stomaco, nonostante ciò la maggior parte dei
farmaci, anche acidi, viene assorbita a livello intestinale. Questo perché, anche se è
svantaggioso dal punto di vista chimico, è vantaggioso dal punto di vista anatomico
perché la superficie assorbimento è estremamente elevata.
In questo modo si ottengono compresse a rilascio ritardato o a rilascio multiplo se
utilizziamo una copertura filmogena multipla. I primi prodotti a rivestimento enterico erano
ottenuti semplicemente usando formaldeide e gomma dragante (la formaldeide formava
un reticolo sulla superficie).

In figura abbiamo una serie di


polimeri usati per il
rivestimento enterico. Hanno
tutti delle funzioni
carbossiliche che
conferiscono alla sostanza
maggiore sensibilità al pH.
Sono presenti derivati della
cellulosa, qualche vinile e
molti poliacrilati. Tra i derivati
della cellulosa troviamo la
cellulosa acetato ftalato (CAP)
e la cellulosa acetato
trimellitato (CAT); poi
polivinilacetato ftalato e l’idrossipropil metilcellulosa ftalato.
Lo ftalato è composto due anelli aromatici con due gruppi carbossilici in posizione
vicinale à quando parliamo di ftalato vuol dire che uno dei due gruppi carbossilici è
esterificato con un gruppo alcolico della cellulosa mentre l’altro gruppo carbossilico
rimane libero. Lo ftalato ha una doppia funzione: presenta un gruppo carbossilico
sensibile al pH e l’anello aromatico che conferisce una certa lipofilicità al composto.
Infine abbiamo tutti i poliacrilati con diversa solubilità (errore: in tabella al posto di ME
dovrebbe esserci scritto MA).
In tabella con EA è indicato l’etilacrilato e con MA il metilacrilato.

215
Materiali

- Cellulosa
La cellulosa può essere a diverso grado di esterificazione con acido oftalico o con acido
acetico e possono essere legati a gruppo alchilici. A seconda della composizione hanno
caratteristiche di solubilità e di dissoluzione a pH diversi. La cellulosa acetato ftalato è la
più utilizzata per i film enterici.

- Poliacrilati
L’acido acrilico è la molecola di base degli acrilati.
La prima struttura a sinistra rappresenta l’acido acrilico mentre
a fianco a destra è rappresentato l’acido meta-acrilico. La prima
molecola in basso è invece il metilmetacrilato in cui il gruppo
carbossilico non è libero ma ha legato a sé un gruppo metilico.
Il metilmetacrilato è un polimero molto importante perché
costituisce il plexiglass ed è un materiale molto idrofobico e
resistente. Questi materiali polimerizzano per via radicalica
rompendo il doppio legame e formando dei polimeri. È
interessante sapere che possiamo avere una famiglia di
materiali quasi infinita perché a seconda del tipo di monomero che utilizziamo abbiamo
caratteristiche diverse, addirittura la proporzione dei monomeri all’interno dei polimeri e il
loro peso molecolare possono essere diversi.
I poliacrilati sono polimeri sintetici non biodegradabili nel backbone (legami C–C), la
degradazione può avvenire solo a livello dei gruppi esterei. Gli acrilati sono molto
importanti per uso farmaceutico, cosmetico e alimentare à è importante ricordare che
possono avere gruppi funzionali che danno caratteristiche particolari.
Se per esempio il gruppo COOH è libero, questi composti sono più solubili in ambiente
basico (cioè solubili in ambiente intestinale) e meno solubili in ambiente acido (cioè in
ambiente gastrico). Questo vuol dire che a seconda della percentuale di acrilato e di
metacrilato che abbiamo all’interno del polimero possiamo avere un pH di dissoluzione
diverso.
Come dipende il pH di dissoluzione dalla composizione del materiale? Che reazione c’è
tra la composizione e il pH di dissoluzione? Come posso cambiare il pH di dissoluzione
cambiando i monomeri del polimero? In generale, più gruppi carbossilici ci sono
all’interno del polimero, minore è il pH di dissoluzione.
- Se il polimero presenta pochi gruppi carbossilici liberi, per poter andare in soluzione
deve avere tutti i gruppi ionizzati, dunque è necessario un pH alto affinché siano tutti
in forma ionica.
- Se i gruppi ionizzabili sono tanti, il pH di dissoluzione sarà più basso perché è
necessario che si ionizzino solo alcuni dei gruppi carbossilici. (vedi in tabella diversa
solubilità del polimero L e S).

216
Alcuni polimeri però si comportano in modo contrario a quanto detto precedentemente;
questa categoria non viene chiaramente usata per formare dei film gastroresistenti ma
piuttosto per formare dei film permeabili che permettono al farmaco di essere rilasciato
per diffusione, secondo la 1ª legge di Fick, tramite una membra che diventa permeabile
perché si rigonfia e permette la fuoriuscita del farmaco.

I polimeri pH sensibili possono essere utilizzati per produrre compresse enteriche; queste
infatti possono essere ottenute non solo tramite la formazione di un film pH resistente ma
anche utilizzando una matrice che sia tutta pH resistente, quindi senza per forza eseguire
un film coating (è un caso un po’ più complesso e il rilascio è più lento). In qualche caso
si può avere un rilascio enterico senza utilizzare materiali sensibili al pH ma usando un
processo particolare di produzione con determinati materiali che permettono alla
compressa di diventare resistere a un determinato pH.

Problemi del film coating


- Picking: formazione di piccoli buchi quando c’è
l’adesione al punzone oppure quando ci sono dei punti
nel rivestimento che non aderiscono bene al prodotto;
- Twinning
- Erosione sulla superficie
- Superficie a buccia d’arancia
- Rottura del film
- Logo hedging: quando il logo non è perfetto e le lettere
non sono ben divise tra loro, spesso questo è dovuto al
logo formulato male;
- Cracking del film
Questi sono problemi abbastanza gravi perché, se la filmatura è fatta male, cambia il
rilascio della compressa.

217
COMPRESSE A RILASCIO CONTROLLATO

FUI. Le compresse a rilascio modificato sono compresse rivestite o non, contenenti


eccipienti speciali o preparate con procedimenti speciali che, separatamente o insieme,
sono studiati per modificare la velocità, il sito o il tempo al quale il/i principi attivi sono
rilasciati.
Con queste compresse di solito il rilascio avviene a livello intestinale, un esempio sono le
compresse gastroenteriche a rilascio controllato, oppure le compresse che
temporalmente rilasciano il farmaco in un determinato distretto.
Esiste poi la famiglia delle cronocompresse, formulate in modo che il farmaco venga
rilasciato dopo che si è sciolto il rivestimento in un determinato distretto dell’organismo;
non sono pH sensibili, semplicemente il tempo che ci mettono per la dissoluzione è più
lungo. Questa categoria comprende compresse a rilascio ritardato e pulsatile.
Vengono progettate sulla base di alcuni parametri, come il tipo di rilascio, la velocità e il
distretto di rilascio.

Sappiamo che quasi tutte le cinetiche (assorbimento, metabolismo e eliminazione) sono


cinetiche di primo ordine (quasi tutte, se l’assorbimento del farmaco avviene per via
passiva è un assorbimento di primo ordine, se invece avviene per via attiva non è di primo
ordine perché dipende dalla concentrazione e dal numero di trasportatori presenti).
Le cinetiche di primo ordine dipendono dalla concentrazione del farmaco, la cui quantità
che viene assorbita dipende dalla quantità presente nel sito di assorbimento. Anche
l’eliminazione avviene con una cinetica di primo ordine, infatti se all’inizio la quantità di
farmaco è elevata, questa viene eliminata molto velocemente e poi sempre di meno. Per
avere un mantenimento costante di farmaco nel sangue dovrei portare nel sangue sempre
la stessa quantità con un assorbimento di ordine zero.
Cosa posso fare per avere un assorbimento di ordine zero? Devo avere un rilascio di
farmaco di ordine zero, cioè in ogni momento deve essere rilasciata sempre la stessa
quantità di farmaco nel sangue. Questa stessa quantità di farmaco finisce sempre, nello
stesso tempo e completamente, nel sangue in cui riesco a mantenere la stessa
concentrazione e anche l’eliminazione avviene in modo costante perché manteniamo
sempre la stessa concentrazione.
Quindi se abbiamo un rilascio costante di farmaco con velocità zero riusciamo a
mantenere la concentrazione di farmaco costante nel sangue perché viene rilasciata
sempre la stessa quantità e sempre la stessa quantità va nel sangue, in modo da tenere
sempre un equilibrio.
Ad esempio, supponiamo che vengano rilasciati 10 mg/h che finiscono nel sangue; qui
però, mantenendo la velocità di eliminazione sempre costante, troviamo una
concentrazione di 2 mg/L netti che arrivano perché il rilascio è costante. Quindi per avere
una concentrazione costante di farmaco nel sangue dovrei avere un rilascio di farmaco di
ordine zero (non ce l’ho mai). Però tutte le formulazioni trattate sono sempre mirate ad
avere un rilascio di farmaco costante nel tempo e non ad avere un rilascio immediato,
perché altrimenti il farmaco viene assorbito subito e poi eliminato velocemente. Invece

218
con una cinetica di ordine zero mantengo una concentrazione di farmaco costante nel
tempo in modo che venga assorbito
gradatamente.
All’inizio si pensava che questo approccio
fosse il migliore per tutti i tipi di farmaci,
poi però si è capito che alcune patologie
necessitano di un altro tipo di trattamento,
per esempio le patologie in cui il livello di
un ormone varia con il ritmo circadiano. In
questi casi è meglio avere una
concentrazione di farmaco maggiore in
alcuni momenti della giornata e minore in
altri. In altri casi avere un rilascio (e quindi
una sollecitazione) costante di farmaco
può avere un effetto rebound e un
silenziamento dei recettori.

Come si fa ad avere farmaci con un rilascio lento e costante nell’intestino? Si possono


usare:
- Sistemi flottanti
- Sistemi osmotici
- Sistemi mucoadesivi
- Sistemi con diffusione controllata à 1° legge di
Fick
- Sistemi con dissoluzione controllata
- Sistemi con degradazione controllata

Per ottenere questi sistemi si usano vari materiali,


come polimeri acrilici, carbonilici, vinilici. In questo
modo è possibile ottenere forme farmaceutiche in cui
il farmaco viene rilasciato lentamente con diversi meccanismi di diffusione.

Compresse multilayer
Le compresse multistrato vengono ottenute per compressione multipla e possono avere
vari tipi di struttura (esempio del Durafen, uno dei primi multistrato prodotti); in generale
questo tipo di prodotto si utilizza in due
casi:
• Per avere strati di farmaco che
rilasciano a diversa velocità a
seconda di come sono composti
• Per avere farmaci diversi che sono incompatibili tra loro e devono essere formulati in
strati diversi.

219
Per esempio si sovrappongono due o tre
strati di farmaco: il primo strato fa sì che
il farmaco venga rilasciato rapidamente
perché il rivestimento è particolarmente
solubile, il secondo invece è formulato
con eccipienti diversi (più lipofilo) e
quindi permette un rilascio più lento. In
questo modo si hanno momenti di
dissoluzione del farmaco diversi perché i
vari strati vengono solubilizzati in tempi
diversi. Altrimenti si possono anche progettare compresse con strati di farmaco con la
stessa velocità di dissoluzione ma separati tra loro da film di copertura che permette un
rilascio pulsatile (il primo strato viene solubilizzato subito, poi c’è un tempo di idrolisi del
film, poi vien rilasciato il farmaco più interno e così via).

Sistemi flottanti
Sono sistemi soldi costituiti da una
membrana elastica semipermeabile;
quando arrivano nello stomaco cambiano
densità (per reazione chimica o
enzimatica): si rigonfiano, la densità
diminuisce e la compressa galleggia nel
liquido gastrico. Qui viene lentamente rilasciato il farmaco nel
liquido gastrico per diffusione, poi passa nell’intestino in cui
viene assorbito.
Sono sistemi costituiti da una membrana semipermeabile in cui il
farmaco è posto all’interno, questa membrana presenta poi del bicarbonato che serve a
fare reazione nello stomaco e a sviluppare CO2 che permette l’espansione della
compressa e quindi la diminuzione della densità per ottenere il galleggiamento.
Sono comunque sistemi poco usati perché non funzionano molto bene.

Pompe osmotiche
Il loro utilizzo pratico è stato molto scarso. Hanno
una membrana semipermeabile e un nucleo
osmotico (con un agente osmotico come un sale)
che contiene il farmaco. Questa membrana
semipermeabile consente il passaggio di
acqua all’interno (osmosi) che provoca la
dissoluzione del farmaco il quale esce con un
piccolo orifizio posto sulla membrana ed
effettuato con un laser. Il rilascio del farmaco
avviene in modo graduale e lento nel tempo,
man mano che l’acqua entra nella compressa
e lo scioglie. Il problema principale di questo
sistema è che l’orifizio si occlude facilmente e

220
non e non garantisce più il rilascio di farmaco, questo problema non è ancora stato risolto
del tutto.

Sistemi mucoadesivi
Vengono usati spesso per avere un rilascio
controllato di farmaco. Di solito sono
somministrazioni orali ma non solo, possono
essere usati anche per applicazioni oculari o
vaginali. Si basano sul principio della
bioadesività grazie a strutture polimeriche
adesive. La mucoadesività è un principio che
sfrutta la bioadesività dei materiali, e quindi la
capacità di aderire a una superficie. Questi
sistemi si basano su fattori legati al polimero
e alla sua composizione, e su fattori legati alle
membrane. In particolare, per quanto riguarda il polimero è importante:
• La carica del materiale (a volte la mucoadesività è data da un’interazione di carica),
• Il PM
• La concentrazione
• La densità
Invece per quanto riguarda la mucosa di adesione le caratteristiche principali sono:
• La composizione della membrana (non tutte le mucose sono uguali)
• Il pH che è diverso da mucosa a mucosa
• La forza applicata nella mucoadesione
• Tempo di contatto
• Ringonfiamento dato dalla quantità di liquido nel sito di mucoadesione
• Turnover della mucina, che è una matrice polimerica secreta dalle cellule e che
costituisce un film protettivo. È una sostanza ricca di cisteine (cioè di gruppi tiolici che
possono essere sfruttati)
• Condizioni fisiopatologiche

La mucoadesione deve avvenire con un meccanismo di adesione reversibile perché non


deve alterare lo stato della membrana. L’obiettivo è quello di avere una forma
farmaceutica solida (compressa) che contiene il farmaco e che applicata rimane attaccata
lì dove l’abbiamo messa. Il farmaco viene rilasciato per diffusione e si trova già in
prossimità della membrana attraverso cui può entrare e raggiungere velocemente il sito
target. Oltre al farmaco in questi sistemi sono presenti degli inibitori enzimatici che
impediscono la degradazione del farmaco solo in quel preciso sito; l’uso di inibitori
enzimatici per inibire la degradazione del farmaco è comunque abbastanza complicato
perché ha degli effetti tossici a livello sistemico.

221
Microcapsule
In altri casi si possono fare delle microcapsule piatte per eseguire uno studio di
marginazione, cioè uno studio di come questi sistemi, a seconda della loro forma, si
muovono all’interno del tratto gastrointestinale in prossimità delle pareti. Queste
microcapsule sono ricoperte da un film inerte ma hanno un lato mucoadesivo e rotolando
sulle pareti riescono ad attaccarsi solo su quel lato à in questo modo il farmaco non
viene rilasciato all’esterno ma solo dal lato di contatto con la membrana. Queste
microcapsule hanno poi sulla superficie degli agenti che riconoscono piccoli recettori che
si trovano nei diversi tratti dell’intestino à in questo modo riescono a localizzarsi in
specifici a questo livello. Vengono somministrate delle piccole compresse all’interno di
microcapsule piatte che poi si aprono e rilasciano il farmaco. Questi sistemi sono molto
avanzati ma sono ancora in fase di ricerca perché molto complessi.

Teorie della mucoadesione:


- Teoria della bagnabilità
Riguarda l’affinità di liquidi sulla superficie e si basa
sull’angolo di contatto e sulla tensione superficiale che si
stabilisce. Più basso è l’angolo di contatto più alta è
l’affinità.

- Teoria della diffusione


Il polimero della forma farmaceutica si
interpenetra con il polimero della mucina
sulla superficie della mucosa (polimero
naturale) e crea una permanenza
prolungata del prodotto farmaceutico.
Questo dipende dalla natura chimica
della nostra forma farmaceutica.
In questo senso c’è una linea di ricerca
molto avanzata che sfrutta polimeri che contengono gruppi tiolici (cisteine) che, a
contatto con la mucina, formano dei ponti disolfuro a pH 6.8. Quindi questi gruppi si
legano covalentemente con la mucina che, essendo un polmero, presenta un suo proprio
turnover, quindi anche se si legano covalentemente non c’è il problema della modifica del
polimero ma si ottiene comunque una mucoadesione molto forte.

- Teoria della frattura


È la più utilizzata. Si va ad analizzare la forza
richiesta per separare la compressa dalla
mucosa grazie ad alcuni strumenti che
misurano la forza di separazione tra
compressa e mucosa.

222
- Teoria elettronica
I legami avvengono tramite interazioni di carica, infatti la mucina ha una carica negativa e
quindi ci vorrà un substrato carico positivo per avere un legame efficace. Questa forza di
legame si misura a diversi pH e l’affinità viene misurata con l’interazione di carica a diversi
pH à in questo modo si può capire l’influenza della carica sull’interazione.

- Teoria dell’adsorbimento
Misura le interazioni generali di superficie tra
il nostro sistema adesivo e il substrato
mucoso. Si possono formare vari tipi di
legami tra cui interazioni di VdW o dipolo-
dipolo.

Alcuni polimeri usati per la mucoadesività e


loro efficacia adesiva à

Altre vie di somministrazione


- Via polmonare e vaginale
Esistono compresse con sistemi a capacità adesiva in diversi tipi di mucose, per esempio
quella orale, oculare o vaginale. Altri tipi di compresse utilizzate con questa tecnica di
adesione sono quelle somministrate per via polmonare (che ovviamente vengono
macinate prima di essere aspirate).
Ci sono poi compresse somministratili per via vaginale à è una via che viene utilizzata
principalmente per un trattamento locale e non sistemico, anche se potenzialmente è
possibile. È una mucosa molto vascolarizzata e l’assorbimento avviene attraverso le vene
del plesso uro-vaginale per poi arrivare alla vena cava ottenendo così un bypass del
sistema epatico.
Per questa via vengono usati soprattutto gel, creme, unguenti o suppositori come ovuli,
oppure polveri, soluzioni, spugne o anche compresse semplici o effervescenti per
facilitare la somministrazione in loco.

223
- Compresse per via rettale
Si tratta di forme farmaceutiche come supposte la cui applicazione però non è ottimale
perché si possono facilmente rompere, spezzare, danneggiare o rimanere in parte
all’esterno; tutto questo ha portato infatti a pensare ad altre forme farmaceutiche.
L’uso di una compressa è più conveniente perché abbiamo un sistema solido stabile che
non si rompe e non si fonde però l’applicazione non è sempre facile (come nel caso delle
compresse vaginali c’è bisogno di un applicatole per aiutare la somministrazione).
Nel caso della somministrazione rettale il farmaco viene liberato per dissoluzione nel
liquido dell’ampolla rettale, quindi il processo di rilascio è diverso da quello dalla
supposta classica in cui il farmaco viene rilasciato per diffusione à nel caso di
compresse esse si sciolgono tutte nel liquido e poi si assorbono. Anche per le compresse
rettali esistono forme effervescenti che però hanno avuto una vita commerciale
brevissima. Il problema dell’assorbimento a livello rettale è che è poco omogeneo perché
può avvenire sia dal plesso emorroidale inferiore sia da quello superiore e questi vasi
fanno capo o alla vena cava o alla vena porta e se vanno alla vena porta si va poi in
metabolismo epatico e questo può essere un aspetto positivo o negativo: positivo se
abbiamo un profarmaco che a livello epatico deve essere metabolizzato per essere attivo,
negativo se invece il farmaco viene degradato a livello epatico e trasformato in qualcosa
di tossico. Se invece l’assorbimento del farmaco avviene attraverso la vena cava non ci
sono questi problemi perché si bypassa il fegato e non avviene nessun metabolismo
epatico.

Dome matrix (solo ambito di ricerca)


Sono delle compresse che hanno una forma particolare e si possono combinare tra loro
impilandole. Vengono fatte perché possono contenere farmaci diversi magari non
compatibili (come i multistrato) à per esempio può essere combinato lo stesso farmaco
con velocità di rilascio diverso a seconda del bisogno. Questo si fa perché i pazienti
preferiscono avere meno compresse da assumere.
Non sono prodotti semplici da preparare perché non hanno una forma classica, anzi
devono avere una forma molto precisa e quindi per produrli è stata messa a punto una
comprimitrice ad hoc, infatti le forme devono essere molto precise perché si combinino
tra loro.

Compresse cronotropiche
Sono compresse pensate per avere un rilascio mirato del farmaco principalmente a livello
del colon. Perché a livello del colon? Perché a questo livello non ci sono enzimi di
membrana , il che è un bene perché questi fungono da “sentinelle” e appena captano una
sostanza che riconoscono come non-self la disturbano e fanno in modo di eliminarla.

224
A livello del colon però non c’è un grande assorbimento perché la sua superficie è molto
più piccola dell’intestino tenue. La funzione del colon è in realtà il riassorbimento
dell’acqua e la concentrazione delle feci, quindi non è propriamente un tessuto di
assorbimento.

I vantaggi dell’assorbimento di farmaci nel colon sono:


• L’assenza di enzimi di membrana
• Il flusso di recupero di acqua che facilita il trasporto dei farmaci, cioè il farmaco può
essere trascinato con l’acqua all’interno.

Gli svantaggi invece sono:


• Poca superficie disponibile
• Presenza di grandi quantità di microrganismi
• Più alto spessore si membrana rispetto all’intestino tenue.

Questo tipo di compressa viene utilizzato per due ragioni:


• Per assorbimento di farmaci di natura proteica che spesso sono molecole idrofiliche
grandissime, quindi con un basso coefficiente di ripartizione olio/acqua, sono anche
molto fragili perché possono essere degradate da tutte le proteasi o essere inattivate da
una piccola variazione conformazionale indotta. Quindi l’assorbimento di farmaci
proteici è un problema molto presente. Ad esempio sono stati fatti molti studi su
calcitonina e insulina perché non è ancora stato brevettato un farmaco che permetta di
assumere questi ormoni per via orale.
• L’altro caso in cui vengono usate queste compresse è l’utilizzo del farmaco con
un’azione locale, per esempio nel caso di patologie legate al colon infiammato.

Per avere un rilascio nel colon si sfruttano le differenze di pH o il tempo di arrivo al colon.
Tutte e due le strade non sono facili, in particolare la prima è complessa perché la
differenza di pH tra colon e intestino tenue non è troppo diversa, quindi il rilascio è più
difficile da controllare. Per questo sono state messe a punto le compresse
cronotropiche che si basano sul tempo di arrivo al colon; poiché si calcola che l’arrivo al
colon sia dopo 16/18 ore, questo tipo di compresse avrà un rilascio del farmaco dopo
circa 16/18 ore. Sono compresse formate da diverse membrane, una gastroresistente,
una vetrosa e una gommosa che contengono il farmaco, tutte quante permettono il
rilascio dopo molte ore. In immagine abbiamo una compressa che contiene tecnezio che
permette di rilascia il farmaco a livello del colon dopo un certo periodo di tempo.
Non sono comunque compresse facili da produrre perché il tempo di passaggio nel colon
è diverso da persona a persona
poiché dipende dallo stato
fisico, dal tipo di alimentazione
e dall’età.

225
10. CAPSULE
Le capsule sono circa il 20% delle forme farmaceutiche solide assunte per via orale. Sono
forme farmaceutiche versatili, abbastanza moderne e con grandi prospettive di sviluppo.

Motivi per cui si preparano capsule:


• La polvere non è comprimibile e non posso produrre le comprese
• Posso mettere non solo polveri ma anche liquidi, granuli, compresse
• La capsula ha una velocità di rilascio del farmaco più veloce della compressa perché
una volta sciolto l’opercolo il farmaco viene subito rilasciato
• Posso ridurre il numero di eccipienti rispetto alle compresse
• Le uso in studi in vivo clinici in quanto sono le forme migliori per studiare rilascio,
biodisponibilità ed efficacia.

Tipi di capsule:
• A seconda del tipo di riempimento
• Dimensioni
• Consistenza (molli o rigide)
• Gastroresistenti
• Uso orale, polmonare

Vantaggi:
• Hanno una grande biodisponibilità perché il farmaco è già in forma di polvere, quindi
non si deve disaggregare
• Sono usati negli studi clinici di bioequivalenza
• Sono facili da deglutire perché vengono facilmente idratati
• Mascherano odori e sapori sgradevoli
• Versatili perché si possono riempire in modo diverso
• Disponibili in varie forme, colori e dimensioni
• Si può usare una piccola quantità di eccipienti

Svantaggi:
• A differenza delle compresse, le capsule costano molto perché di solito la ditta che
produce il farmaco non produce anche l’opercolo ma lo compra già preformato da altre
aziende.
• Possono avere un rilascio anche troppo rapido, per esempio anche a livello
dell’esofago; in questo modo il farmaco non risulta efficace perché non raggiunge il sito
d’azione corretto.

Miglioramento stabilità:
- Per formulare le capsule non si pongono condizioni che potrebbero degradare il
farmaco (come per esempio la pressione applicata per formare la compressa, se
utilizzo un farmaco con un basso punto di fusione non lo posso comprimere, altrimenti
fonde).
- Generalmente le capsule sono opache o colorate in modo tale da proteggere il farmaco
dall’ambiente esterno (luce, aria, ossigeno, umidità).
- Vengono utilizzati pochi eccipienti e per questo si migliorano i costi e la gestione del
materiale da inserire all’interno. La formulazione viene semplificata.

226
Il 40% dei prodotti NCE (new chemical entity) sono poco solubili anche se molto attivi;
essendo farmaci che solitamente agiscono a livello recettoriale, necessitano di un
bilanciamento idrofobicità - idrofilicità perché agiscono su substrati che utilizzano
interazioni idrofobiche per legare. L’utilizzo di capsule migliora il processo di dissoluzione
perché possono contenere polveri molto bagnabili o polveri a cui è possibile aggiungere
eccipienti idrofilici, oppure usare un farmaco già disciolto (in soluzione).

Miglioramento sicurezza:
Viene ridotta la manipolazione delle polveri e tutti i fenomeni tossici legati a questo, gli
operatori sono meno esposti. Inoltre, si riduce la contaminazione e la cross-
contaminazione con altre polveri che consentono una migliore gestione del farmaco e una
riduzione dei costi di produzione (non sono necessari avere ambienti controllati per la
gestione delle polveri nell’aria).

FORMAZIONE DELLE CAPSULE

Opercolo
L’opercolo è costituito da un corpo e da una testa. I materiali che lo compongono sono
principalmente gelatina, polimeri come ipromellosa e pullulano più altri eccipienti.

Gelatina
La gelatina è un derivato del collagene, una proteina strutturale che si trova nella pelle e
nelle cartilagini. Si ottiene dalla pelle del maiale o dalle ossa dei bovini. La gelatina è un
eteropolimero formato da 18AA diversi e contenente una grande quantità di prolina e
glicina, che le conferiscono idrofilicità.
La disposizione degli AA è meno precisa rispetto alle glicoproteine (che devono
riconoscere recettori), e per questa sua composizione
variabile possiamo avere diversi tipi di collagene.
La gelatina è un prodotto idratato che contiene il 13-16% di
umidità e a seconda del processo con cui si ottiene ne
abbiamo di due tipi:
- Tipo A: ottenuta dalla pelle del maiale per idrolisi acida.
Ha un punto isolelettrico (pH a cui la molecola è neutra)
di circa 7. Gelatina con una buona elasticità e
brillantezza.
- Tipo B: ottenuta dalle ossa di bovino per idrolisi basica,
ha un punto isoelettrico di circa 4-5. Gelatina più resistente, utilizzata in miscela con il
tipo A per bilanciare le proprietà.
La gelatina viene poi dispersa in soluzioni acquose.
Non può essere sempre utilizzato, per esempio per motivi religiosi non si può usare in tutti
i paesi, o non può essere utilizzata per intolleranze, allergie o scelte alimentari (per
esempio per vegani e vegetariani).

Ipromellosa (HPMC)
Polimero semisintetico riempitivo, utilizzato anche nel sealing di compresse perchéé
lentamente solubile. Sostituisce la gelatina quando non può essere utilizzata. È un

227
polisaccaride derivato della cellulosa in cui i
gruppi ossidrilici sono funzionalizzati con
metile o idrossipropile. Contiene il 6% di
acqua.
Pullulano
Polisaccaride naturale ottenuto dalla
fermentazione dell’amido da parte
dell’aureobasidium (batterio). È un polimero
del maltotriosio ed è completamente neutro.
Contiene il 12% di acqua e viene usato molto
in ambito farmaceutico per uso orale.

Altri
- Acqua: presente in tutti gli eccipienti sopraelencati;
- Plasticizzanti: utilizzati per donare flessibilità ed evitare la rottura della capsula,
tendono ad abbassare la temperatura di fusione. Vengono utilizzati spesso polioli come
glicerolo, sorbitolo, polietilenglicoli con basso PM. A seconda del rapporto
plasticizzante/gelatina possiamo avere capsule molli o rigide;
- Conservanti: antimicrobici in quanto, contenendo acqua, il prodotto può essere
attaccato da microrganismi
- Opacizzanti, coloranti, aromatizzanti (utilizzati raramente)

TIPI DI CAPSULE

• Rigide
• Molli (contengono molti plasticizzanti, sono in quantità minori nel mercato rispetto alle
rigide e sono usate per incorporare all’intero liquidi o semisolidi)
• Gastroresistenti
• A rilascio controllato (possono essere rivestite da film).

Capsule rigide
Esempi: Imodium, Ritmodam, Moment.
Possono avere varie dimensioni che vengono numerate, più grande è il numero più
piccolo è il volume. La scelta della capsula deve essere fatta sulla base della quantità di
farmaco a disposizione perché deve riempire tutto il corpo dell’opercolo e sull’utilizzo, cioè
deve avere una dimensione maneggevole, per esempio gli uomini non usano le stesse
capsule che utilizzano i bovini.
La capsula deve tenere all’interno il prodotto durante tutto il processo di manipolazione.
Devono restare chiuse anche quando vengono estratte dal blister e durante tutta la fase di
deglutizione, quindi devono essere stabili. Devono anche resistere alle manipolazioni
volontarie.

228
Tipologie di capsule rigide:

- Standard: prime capsule che avevano solo un corpo e una testa, ma non erano molto
resistenti e affidabili.
- Lox-it: il corpo è tutto dritto e la testa ha una piccola rientranza che serve per far restare
testa e corpo attaccati. Il corpo ha una curvatura alla fine che ne facilita l’entrata della
testa.
- Snap-Fit: caratterizzate da una doppia rientranza, una più semplice e una più
pronunciata. Questo si fa per tenere insieme corpo e testa quando le capsule sono
ancora vuote; ogni corpo ha la sua capsula, vengono venduti già accoppiati. Quando
devo riempire le capsule le apro manualmente e, una volta riempite, le richiudo facendo
scattare la seconda scanalatura, quella più pronunciata, che le blocca definitivamente.
- Coni-Snap: unione tra Lox-it e Snap-Fit: hanno la doppia scanalatura e la fine del corpo
arrotondata per facilitare l’entrata della testa.
- Coni-Snap Supro: hanno le stesse caratteristiche delle coni-soap normali ma la testa è
allungata e arriva fino al fondo del corpo, per questo motivo non possono essere
manipolate, una volta chiuse non le posso aprire a meno che non le rompa.
- DBcaps: altro tipo di capsule industriali rigide nuove che possono contenere un liquido e
hanno un costo elevato.

229
Produzione dell’opercolo
Si produce tramite un processo detto processo Colton. È un processo industriale
semplice e la prima cosa che si fa è raccogliere tutti i materiali, con a seguito un controllo
di qualità; poi si preparano delle soluzioni di gelatina mantenute ad una certa temperatura
in contenitori di acciaio alle quali vengono aggiunti tutti gli eccipienti come opacizzanti o
riempitivi.
Per fare la capsula si usano delle piastre con delle puntine; queste vengono immerse nella
soluzione di gelatina, vengono estratte e fanno due giri e mezzo in aria di essiccamento: in
questo modo si essicca la soluzione che ha aderito alle puntine e si distribuisce in modo
omogeneo.

A questo punto, prodotte tutte le teste e i corpi, si rifiniscono tagliandoli. Dopodiché questi
pezzi formati vengono misurati, si uniscono le teste ai corpi e si effettua un controllo
qualità finale, eseguito in automatico o con un’analisi visiva effettuata dall’operatore.
Quelle che non sono venute bene vengono eliminate.

Le capsule si possono riempire con polveri, con pellets, cioè granuli o particelle
millimetriche, con piccole compresse o capsule, con dei sistemi misti per esempio polveri
+ compresse + granuli, con materiali semisolidi o liquidi (oli, cere, idrofilici ma non miscibili
con la gelatina come per esempio polietilenglicole).

Il diverso riempimento è una tecnica efficiente per combinare due principi attivi
incompatibili, quindi formulati separatamente (per esempio polveri e granuli), o per
ottenere un rilascio prolungato (per esempio utilizzando compresse con diverse velocità di
rilascio).

Riempimento delle capsule


Il corpo delle capsule viene orientato verso il basso e la testa verso l’alto (fase di
orientamento/rettificazione), vengono
aperte, riempite e chiuse ed espulse dal
basso. Vengono poi tutte analizzate per
vedere se sono riempite bene o ben chiuse.
Si fanno quindi dei test, cioè vengono
lanciate da un contenitore ad un altro con
un flusso di aria tangenziale che sposta
quelle vuote (più leggere) in un contenitore
di raccolta, mentre quelle riempite finiscono
in un altro contenitore, in questo modo si
discriminano quelle riempite bene da quelle
no.

230
Il riempimento delle capsule avviene per volume: se ho poco farmaco devo aggiungere dei
riempitivi per arrivare al volume corretto. Le compresse possono essere disposte in
verticale o in orizzontale a seconda del sistema di riempimento.

Sealing
Il sealing consiste nella sigillatura. La capsula viene sigillata nel punto di contatto tra corpo
e testa. Per farlo ci sono vari metodi:
1. Kapseal: si mette una striscia di gelatina liquida alla fine della testa della capsula
prima di inserirla nel corpo. La gelatina poi si essicca e la capsula viene chiusa.
2. Quali seal: inserire la stessa striscia di gelatina liquida alla fine del corpo, subito prima
della chiusura.
3. Etaseal: si utilizza un anello caldo che stringe la capsula nel punto di sovrapposizione
tra corpo e testa, in questo modo fonde parzialmente la gelatina e la sigilla.
4. Capill: immersione della capsula o spray di una soluzione idroalcolico su essa per
avere una parziale fusione della gelatina nel punto di sovrapposizione tra corpo e
testa.

Le capsule sono più difficili da manipolare rispetto alle compresse e sono più sensibili a
umidità e temperatura con rischio di degradazione. Devono essere per questo mantenute
con un certo grado di temperatura e umidità (tra il 40 e il 60% di umidità ambientare, se
l’umidità è stroppo bassa si seccano e si rompono).
Inoltre, le componenti della capsula non devono essere trasformate in aldeidi perché
comportano il crosslinking delle proteine dell’opercolo e si rallenta il processo di
dissoluzione.

231
Formulazione capsule: eccipienti
- Riempitivi: amido, lattosio, calcio difosfato.
- Glidanti: aumentano lo scorrimento delle polveri; talco, silicio colloidale, magnesio
stearato
- Lubrificanti: valgono le stesse considerazioni fatte per le compresse, devo tenere conto
che cambiano le proprietà di dissoluzione del farmaco perché sono materiali lipofili
- Disintegranti: aggiunti alla polvere contenuta nella capsula, devono garantire il distacco
delle particelle. Le polveri all’interno della capsula possono essere inserite come polveri
o come carotine, ovvero piccoli compatti a cilindro che possiedono una loro stabilità
(polvere leggermente compattata).
- Surfactanti: elementi che aumentano la bagnabilità e la disintegrazione; per esempio
sodio lauril solfato
- Idrofilizzanti: polimeri idrofili che aumentano la bagnabilità

Coloranti e Opacizzanti:
Le capsule sono spesso colorate. La funzione del colorante è quella di identificare il
prodotto, facilitare la gestione del farmaco da parte dei pazienti. Ha quindi un effetto
psicologico sul paziente, aiutando anche la distinzione dei lotti di produzione. Nelle
capsule il colore ha una azione protettiva dalla luce per il farmaco che c’è all’interno.
Questa protezione può essere maggiore o minore dalle varie lunghezze d’onda a seconda
del colorante che si usa (colori scuri o chiari).

Rilascio
Il rilascio avviene perché gli opercoli si rigonfiano e si sciolgono, in particolare in alcuni
punti: la prima dissoluzione avviene a livello delle pareti dove non c’è sovrapposizione tra
testa e corpo; pian piano il liquido entra nella capsula, inizia la disintegrazione,
disaggregazione e dissoluzione del farmaco e solo alla fine si sciolgono le parti più spesse
della capsula.

Esempi capsule rigide:


Omeprazolo: contiene pellets, antiacido per infiammazioni a livello dello stomaco
Asasantin: compresse + pellets di due farmaci non compatibili
Glivec: usato nella leucemia mieloide formulato in capsule; fa parte dei Blockbuster,
ovvero i prodotti farmaceutici che hanno un elevato grado di vendita.

Capsule molli
Esempi: Moment, Imodium, Buscofen.
Si producono principalmente perché dentro si può mettere un farmaco semisolido o
liquido. Questo si fa o se il farmaco si trova già allo stato liquido, o se è molto poco
solubile, in questo caso viene pre-solubilizzato in un solvente, cosicché una volta arrivato
nell’intestino viene assorbito immediatamente. Per questo motivo le capsule molli hanno
un rilascio più rapido del farmaco rispetto alle capsule rigide.

Vantaggi:
• Riempimento con soluzioni, sospensioni, semisolidi
• Il riempimento è molto riproducibile (rispetto alle capsule rigide)

232
• La disponibilità del farmaco è rapida ed elevata
• Maggiore protezione dall’ambiente esterno (ossidazione, degradazione, volatilità)

Svantaggi:
• Ci sono pochi produttori
• Molti passaggi industriali
• Costi elevati
• Possibile instabilità quando si mescolano i farmaci con altri eccipienti o con l’opercolo

Nel caso delle capsule molli la produzione avviene tutta nell’azienda, anche gli opercoli (a
differenza delle capsule rigide).

Le capsule possono essere di varie forme e dimensioni: rotonde, ovali, oblunghe,


supposte, tube.

Composizione opercolo
Gelatina, plasticizzanti, coloranti, opacizzanti, conservanti e aromi. L’umidità finale della
capsula è del 6-10%.

Metodi di produzione

- Metodo della goccia


Abbiamo della gelatina e del liquido di riempimento,
iniettato in modo concentrico all’interno della gelatina. Il
tutto viene gocciolato all’interno di un recipiente
contenente un olio, immiscibile con la gelatina. In
questo modo con la caduta si forma una capsula molle
con la gelatina all’esterno.

- Metodo industriale
Si usano dei tamburi che si muovono in modo reciproco
caratterizzati da scanalature. La gelatina viene tenuta a
temperatura controllata. Il farmaco viene messo all’interno e
i tamburi girando chiudono la capsula di gelatina.

Composizione
Possiamo inserire liquidi compatibili con la gelatina come:
- Immiscibili in acqua: oli vegetali, idrocarburi aromatici, trigliceridi
- Miscibili in acqua: non volatili (PEG 400 e 600), immiscibili in gelatina
- Sospendenti per base oleosa: cera, paraffina, stearati
- Sospendenti per solventi volatili
- Sospendenti per basi idrofiliche

233
Considerazioni generali:
Come eccipienti non si può mettere qualsiasi cosa, perché le componenti che inseriamo
devono essere solubili.
Il pH del liquido all’interno non deve degradare l’opercolo, per esempio spesso si usano
miscele di acqua in olio, cioè in cui la fase esterna è oleosa e non acquosa. Le emulsioni
non possono essere utilizzate perché contengono acqua.
La temperatura di sigillazione è tra 47 e 50°C.
Alcune capsule vengono prodotte per utilizzo polmonare, cioè per la via respiratoria. Le
capsule possono essere anche aspirate a seguito della rottura dell’opercolo, in questo
caso la polvere viene aspirata e si posiziona nel tratto respiratorio.

234
11. SISTEMI DISPERSI
Soluzione: sono miscele omogenee, ovvero in cui in ogni punto la composizione quali-
quantitativa è la stessa, in cui il soluto ha una dimensione inferiore a 1nm ed è disperso
all’interno di un solvente; soluto e solvente formano una sola fase. È un sistema stabile
termodinamicamente.

Dispersioni colloidali: sistemi omogenei in cui il colloide, cioè la fase dispersa, ha


dimensioni comprese tra 1nm e 1μm. Tra questa categoria rientrano i nanomateriali:
miscele contenenti una fase dispersa di dimensioni tra 1nm e 200nm (almeno il 50% del
materiale deve avere una delle 3 dimensioni tra 1 e 200 nm); hanno caratteristiche di
superficie, quindi carica, idrofilicità, capacità di legame e reattività di superficie.

Dispersione: sistema eterogeneo costituito da una fase interna e una esterna in cui
almeno una delle dimensioni è superiore a 1µm.

In ambito farmaceutico la dimensione delle particelle è calcolata attraverso il diametro,


ricavato con i metodi visti precedentemente.

In natura troviamo anticorpi, virus come sistemi


colloidali, mentre I batteri rientrano nei sistemi
dispersi a livello di dimensioni.

235
PROPRIETÀ DEI SISTEMI COLLOIDALI

Sono dispersioni colloidali in cui la fase dispersa ha diametro di dimensioni comprese tra 1
nm e 1 µm.
- Hanno la capacità di adsorbire materiale sulla superficie (gas, sali, sostanze chimiche
ecc. ; per esempio il polietilenglicole forma un sistema disperso e adsorbe iodio).
- Possono coagulare, cioè possono dare aggregazioni
- Si possono muovere in un campo elettroforetico nel caso in cui siano sostanza cariche;
di solito si muovono tutti, anche quelli neutri, perché sulla superficie possono adsorbire
ioni, in particolare idrogenioni che conferisce carica anche alle particelle neutre.
- Si muovono con un movimento Browniano casuale
- Conferiscono viscosità al sistema
- Possono essere dializzati, cioè possono passare attraverso membrane a porosità
controllata.

Esempi: Micelle (al di sotto dei 100 nm), Liposomi (sotto i 500 nm), Nanoparticelle (15-20
nm), Proteine, Polimeri ecc. tutte queste sostanze danno sistemi colloidali.

Nanotecnologia
È una tecnologia importante per lo sviluppo di sistemi di drug delivery e rientra tra i sistemi
colloidali.
È un termine ampio che descrive metodi, materiali, processi di qualsiasi applicazione che
coinvolgano l’utilizzo di nanomateriali. È la produzione o manipolazione e applicazione di
strutture, sistemi, device con un diametro controllato in cui almeno una delle dimensioni è
dell’ordine dei nanometri.
Nanomedicina: Applicazione della nanotecnologia in ambito medico.

Nanomateiali: Sono una sottoclasse dei sistemi colloidali con dimensioni tra 1 nm e 100
nm. In ambito farmaceutico si accettano fino a 200 nm. La definizione scientifica di
nanomateriali dice che almeno il 50% di questi materiali deve avere almeno una delle 3
dimensioni tra 1 e 200 nm. (Per esempio, una fibra lunga qualche km con lo spessore di
20 nm è considerata un nanomateriale, basta che solo il 50% di essa rispetti questa
condizione).
In alcuni casi, in ambito farmaceutico la % può essere anche inferiore al 50%.
Sono materiali naturali, incidentali oppure prodotti in una forma aggregata o meno.

Caratteristiche
I nanomateriali sono importanti perché hanno caratteristiche diverse dai materiali normali.
Le caratteristiche della superficie prevalgono sulle caratteristiche generali del materiale e
diventano l’elemento più importante: carica, idrofilicità, capacità di legame, reattività di
superficie. Una barra di ferro e una nanoparticella, anch’essa di ferro, presentano
caratteristiche diverse in quanto l’area superficiale prevale nella particella rispetto alla
barra. In una barra di ferro la reattività di superficie è limitata perché la superficie è
limitata, invece nelle nanoparticelle particelle la superficie è più grande e quindi anche la
reattività aumenta.

N.B. Sistemi colloidali e sistemi dispersi hanno caratteristiche diverse: Nei sistemi dispersi,
quando la lunghezza della luce è più piccola della grandezza delle particelle, la luce
236
trasmessa è arancione e quella rifratta è azzurra (motivo del cielo azzurro per la
dispersione della luce sulle goccioline di acqua). Questo effetto è detto “effetto di Tyndall”.

Soluzione Sistema disperso

ENERGIA LIBERA

È la principale caratteristica dei materiali dispersi.


L’energia libera è data dalle forze interfacciali, forze di legame tra le superfici di sostanze
diverse: quando due particelle riescono a stabilire delle buone interazioni tra di loro il
sistema ha una bassa energia libera; se invece le particelle non formano legami l’energia
libera è alta.
In un sistema disperso, la specie dispersa espone una grande superficie, in quanto le
particelle sono piccole (10-20 µm) e con una grande energia libera. Disperdendo una
sostanza in un solvente, quindi in un sistema disperdente, le particelle della fase dispersa
interagiscono con esso e formano legami più o meno forti a seconda dell’affinità che
hanno.
I sistemi dispersi hanno intrinsecamente una grande energia libera, che può essere più o
meno alta a seconda dell’affinità tra la fase dispersa e la fase disperdente: se una
sostanza liofobica non si formano legami tra fase disperdente e dispersa, quindi ho una
grande energia libera; se invece è liofila si formano i legami e l’energia libera risulta
minore.
Più piccola è la particella, più grande è l’area superficiale, più alta è l’energia libera.

𝛥𝐺 = 𝛥𝐻 − 𝑇𝛥𝑆

La grande energia richiesta per formare le particelle viene in parte compensata


dall’aumento di entropia, dato dalla dispersione delle particelle. I sistemi dispersi hanno
sempre ∆G positivo che può avere un valore più o meno grande; per questo motivo il
sistema è sempre instabile.
Due componenti non compatibili tra loro formano un’interfaccia con un’energia
interfacciale positiva descritta dall’equazione di Gibbs-Helmoltz:

Us: energia totale di una superficie S


σ: tensione interfacciale
237
T: temperatura assoluta
L’energia libera è data dalla forza dei legami instaurati tra i vari componenti del sistema:
se il legame è molto forte vuol dire che devo fornire molta energia per romperlo.
Le forze possono essere attrattive e repulsive.

Attrattive:
• Ponti idrogeno
• Legami dipolo - dipolo
• Legami dipolo - dipolo indotto
(London dispersion) formati
continuamente anche in molecole
neutre a seconda di come si
muovono gli elettroni e della
polarizzazione che creano

Repulsive:
• Repulsive di carica (+/-)
• Forze steriche: date
dall’ingombro sterico
• Forze di Born: per la
sovrapposizione degli
orbitali che si respingono
• Forze di
solvatazione/idratazione: si
forma una sorta di
cuscinetto sulla superficie
della particella che
impedisce l’avvicinamento di
altre particelle.

Teoria DLVO

VT = VR + VA
Descrive, in termini di energia libera, la relazione che esiste tra la distanza di due particelle
e l’energia libera del sistema, considerando tutte le forze attrattive e repulsive coinvolte.

VA: forze attrattive VR: forze repulsive VT: energia di interazione

Q1, Q2= surface forces


238
b= costant;
r= particle distance
n= whole number (depends on the force type: 3 -7)

Rappresentazione della curva DLVO


Consideriamo due palline da tennis distanti:
l’energia del sistema data dalla loro interazione è
bassa perché le due palline non interagiscono. Man
mano che si avvicinano, se le due palline
interagiscono, l’energia del sistema si abbassa.
Se le due palline si respingono l’energia del sistema
aumenta perché faccio fatica a tenerle insieme.
A seconda delle caratteristiche superficiali, delle
forze che si instaurano e dal bilanciamento di forze
attrattive e repulsive (VT) l’energia del sistema
cambia continuamente.

Rappresentazione realistica di un sistema disperso con vari andamenti:

A) La curva A si verifica quando le forze repulsive prevalgono su quelle attrattive.


Il sistema è instabile perché per avvicinare le due particelle occorre sempre più
energia, man mano che la distanza diminuisce. In questo sistema non avviene
l’aggregazione.

B) La curva B si divide in più fasi in quanto l’energia del sistema dipende dalla distanza
delle particelle.
- Se le particelle sono molto distanti tra loro l’energia è pari a 0;

239
- Man mano che la distanza diminuisce si arriva al punto S, il minimo energetico
secondario. In questo caso Vs>kT, ovvero l’energia del sistema diminuisce e le
particelle tendono ad aggregare tra loro formando un FLOCCULATO, prodotto
farmaceutico stabile fisicamente, ma che torna in forma dispersa se agitato. Il sistema
ora risulta relativamente stabile perché i legami che si sono instaurati tra le particelle
sono deboli. Aumentando la distanza l’energia cinetica diminuisce progressivamente
fino al raggiungimento di una certa stabilità.
- Oltre S iniziano a prevalere le forze repulsive e l’energia del sistema aumenta. Le
particelle si avvicinano tra loro solo nel momento in cui viene superato il punto Vm, in
cui l’energia potenziale è molto più alta di kT.
- Diminuendo ancora la distanza tra le due particelle, l’energia cinetica inizia a diminuire
nuovamente (rallenta molto il movimento che si oppone all’avvicinamento fino al
raggiungimento di un minimo energetico primario ( P): è il minimo di stabilità a cui si
formano aggregati tra particelle con legami molto forti. Gli aggregati formati sono
farmaceuticamente irreversibili: per semplice agitazione non è possibile far tornare il
sistema in forma dispersa. Il sistema in P è stabile.
Esempi di formulazioni che possono arrivare ad avere questa energia potenziale sono
gli sciroppi: se lasciati inerti, le particelle all’interno degli sciroppi si avvicinano e
formano il flocculato, sistema reversibile; quando lo sciroppo viene agitato le particelle
tornano in sospensione perché prima si era raggiunto il minimo secondario. Ma se la
distanza delle particelle diminuisce, le particelle sedimentano e si depositano sul fondo,
instaurando legami talmente forti, che all’agitazione della forma farmaceutica esse non
tornano più in sospensione. Per ritornare al sistema reversibile occorre operare con
metodi drastici come la macinazione o la sonicazione.

C) Va > Vr: le forze attrattive prevalgono sulle repulsive: avvicinando le particelle l’energia
si abbassa sempre di più fino a quando si ha una sovrapposizione degli orbitali e le
particelle formano legami tra loro. Diminuendo ancora la distanza, prevalgono le forze
repulsive e l’energia del sistema aumenta notevolmente, comunque rimanendo al di
sotto dello 0.

D) Andamento caratteristico dei surfattanti, quando le particelle raggiungono 2d, dove d è


lo spessore del monostrato di surfattante. (tensioattivi/umettanti/surfactanti ecc.)

240
Potenziale Z
Le forze di carica sono delle forze che una
particella assume e possono essere
attrattive o repulsive. La carica della
superficie delle particelle è fondamentale
per la stabilità del sistema: se tutte le
particelle del sistema hanno la stessa
carica, il valore di Vm sarà molto alto
(perché è difficile che si avvicinino cariche
uguali); se le particelle del sistema hanno
cariche opposte, il valore di Vm sarà basso
e le particelle aggregheranno facilmente.
Lavorando sulla carica superficiale è
possibile andare a stabilizzare il sistema,
riducendo l’aggregazione e ottimizzando il
livello di flocculazione (raggiungimento del
minimo secondario).
La carica della superficie viene misurata in
termini di Potenziale Z , caratteristico di
qualsiasi superficie. Quello di una
particella è misurato attraverso un sistema
di diffusione della luce (es: light scattering), perché si va ad osservare come le particelle si
muovono in un campo elettrico e come diffondono attraverso esso. Sulla base della loro
dimensione e dell’intensità del campo elettrico si calcola il potenziale z della particella: più
grande è la particella minore è la sua diffusione, più grande è la carica più è veloce il suo
movimento nel campo elettrico. Combinando la dimensione e il movimento si risale alla
carica e quindi al potenziale.
Una particella può avere una sua carica data da gruppi funzionali (es poliacrilammina con
gruppi amminici +, acido poliacrilico con COOH -) o può essere neutra. In questo ultimo
caso, la particella può adsorbire una carica, in genere da idrogenioni.
Le cariche sulla superficie, che siano acquisite o proprie della particella, si posizionano
attorno e formano uno strato mobile, detto strato di doppia diffusione.
Le cariche dello strato di doppia diffusione sono parzialmente bilanciate da cariche
opposte: si forma così lo strato fisso, in cui le cariche restano immobili.

I vari strati di carica attorno alla particella hanno un proprio potenziale, misurabile
all’interno di un campo elettrico. La carica che registro nel primo strato (opposta a quella
propria che neutralizza la particella) si chiama potenziale di Stern; quella registrata al
secondo livello è considerato il potenziale Z , e lo considero come carica effettiva della
particella: si tratta di un ulteriore strato di cariche miste, che tendono a neutralizzare il
potenziale di Stern.

SOSPENSIONI FARMACEUTICHE

Una sospensione è una forma farmaceutica che presenta una fase interna SOLIDA (fase
dispersa) con particelle di diametro compreso tra 0,5 e 100μm insolubili nel mezzo
disperdente, che è la fase esterna.
La fase esterna può essere di natura acquosa o oleosa; la fase interna può essere liofila o
liofoba.

241
Le sospensioni possono essere:
- Orali: la fase solida costituisce il 10% della sospensione. Ne fanno parte gli antibiotici.
- Sospensioni topiche: contengono oltre il 20% di fase solida.
- Sospensioni iniettabili: contengono il 5% di fase solida.

Le sospensioni sono diluite se contengono dal 2 al 10% di fase solida p/v, si definiscono
concentrate se contengono almeno il 50% di fase solida p/v.

Quando si fa una sospensione?


Viene formulata una sospensione quando non è possibile somministrare compresse: i
bambini non sono in grado di deglutire una compressa, perciò vengono utilizzati gli
sciroppi, che non sono altro che una sospensione farmaceutica per uso orale.
Le sospensioni farmaceutiche sono vantaggiose anche nel caso in cui il farmaco sia poco
solubile.

Vantaggi:
- Solubilizzazione di farmaci poco solubili in piccole quantità di liquido
- Aumenta la stabilità chimica (rispetto ad una soluzione) perché il farmaco è allo stato
solido
- Aumentano le caratteristiche organolettiche, quindi aumenta la compliance
- Rilascio prolungato del farmaco perché trovandosi allo stato solido si deve sciogliere
- Facile da somministrare
- Aumenta la biodisponibilità rispetto alle formulazioni solide perché le sospensioni sono
già pronte a essere disciolte, le compresse si devono disintegrare à sono una via
intermedia tra soluzioni e compresse.

Svantaggi:
- Grande instabilità fisica rispetto alle soluzioni (una sospensione è stabile quando c’è il
solido sul fondo e la soluzione in superficie)
- Aumenta l’instabilità chimica rispetto a un solido
- Minore uniformità di dosaggio (a differenza delle compresse che sono molto accurate)
- Difficili da formulare

Requisiti
Le sospensioni devo essere:
• Versabili: es sciroppi, deve avere viscosità adeguata
• Siringabili (in caso di iniettabile)
• Spalmabili in caso di prodotto topico
• Con una rapida dispersione (altrimenti si separano le fasi)
• Con caratteristiche fisiche adeguate: uniformità di dose, efficacia, tossicità, affidabilità,
riproducibilità.

Caratteristiche determinanti il tipo di sospensione


- Natura chimica della fase disperdente (olio o acqua)
242
- Composizione chimica della fase dispersa (liofila o liofoba)
- Dimensione, forma, polidispersività, uniformità e quantità delle particelle di fase
dispersa
- Affinità tra le fasi
- Densità e viscosità della fase esterna ed interna; possiamo regolare quella della fase
esterna
- pH
- Natura chimica e concentrazione degli altri eccipienti

Fase esterna: può essere acquosa o oleosa. Se la somministrazione è per via orale, la
fase esterna è quasi sempre acquosa; se la sospensione viene iniettata sottocute, la fase
disperdente è di tipo oleoso; altrimenti, se iniettata endovena la fase esterna deve essere
acquosa. Per uso topico le sospensioni sono oleose.
Gli oli utilizzati sono vegetali o minerali (paraffina, vaselina ecc.), olio di fibra, cotone,
arachidi che prima vengono trattati dal punto di vista farmaceutico (hanno un diverso tipo
di trattamento a seconda dell’uso).

Fase interna: è di tipo liofilico se i materiali impiegati hanno una bassa tensione
interfacciale; è di tipo liofobico se i materiali impiegati presentano un’elevata tensione
interfacciale.

Stabilità
Una sospensione è un sistema che non presenta un equilibrio stabile, il quale dipende
dall’energia fornita.

L’energia determina se una sospensione si presenta come:


- Flocculato STABILE (figura C): le forze deboli che si instaurano tra le particelle vincono
quelle di repulsione e formano un network con il liquido disperdente. È una forma
farmaceutica, ma non è termodinamicamente stabile in quanto è in equilibrio con le altre
forme;

243
- Agglomerato (figura E): le particelle sono tenute assieme al disperdente in uno stato
liquido. È un sistema stabile e viene raggiunto il minimo primario;
- Deflocculato (figura B): dispersione vera e propria di tutte le particelle che rende la
soluzione omogenea farmaceuticamente ed eterogenea dal punto di vista fisico.

Con il passare del tempo, il deflocculato si presenta in due fasi separate. Questo
fenomeno, però, è reversibile e il sistema ritorna disperso per semplice agitazione. Dal
deflocculato si raggiunge il minimo secondario, in cui si ha una separazione stabile delle
due fasi, con la formazione di un cake (figura C), ovvero una struttura solida e compattata
nel fondo della miscela. Quando si forma il cake, il prodotto non può tornare allo stato di
dispersione.
Il sistema può contenere particelle disperse allo stato cristallino: quando i cristalli iniziano
a crescere si crea instabilità (cambia la solubilità) e si favorisce la formazione del cake.

Durante la fase di flocculazione, data da forze deboli di interazione tra le due fasi, può
avvenire l’aggregazione (avvicinamento particelle) , che porta alla coagulazione che a sua
volta porta a una sedimentazione. Quando le particelle sono sedimentate tendono a
formare il cake fino ad arrivare il cementing, cioè una sedimentazione compatta.

Come aumentare la stabilità


Per favorire lo stato disperso delle particelle o favorire la formazione del flocculato, è
possibile andare ad agire sulle cariche superficiali delle particelle disperse, ottenendo così
un deflocculato (che può andare incontro a sedimentazione) o un flocculato
(energicamente più stabile).
Quando le cariche delle particelle hanno un potenziale Z elevato, tra i 60 e i 100 (positivo
o negativo), allora il sistema è stabile e le particelle non si scontrano tra loro
Al diminuire della carica delle particelle, diminuisce anche la loro stabilità perché si
respingono sempre meno e si avvicinano fino a favorire la formazione del flocculato.

244
Abbassando ancora il potenziale Z, le particelle si avvicinano ancora di più e formano un
coagulo.
Per lavorare sulla carica si utilizzano dei sali, materiali carichi che vengono adsorbiti sulla
superficie della particella; un’alternativa è variare il pH, in modo da cambiare lo stato di
protonazione delle particelle e renderle più o meno cariche.

Per garantire la stabilità della sospensione si può modificare la viscosità del mezzo
disperdente, aggiungendo eccipienti adatti.
Un altro fattore importante per la stabilità del sistema è il movimento Browniano delle
particelle che sono all’interno di una fase continua e si muovono con movimento
casuale/diffusivo. Il movimento Browniano è descritto dalla legge di Brown.
Legge di Brown: la distanza percorsa da una particella nell’unità di tempo (D) dipende
dalla temperatura (più alta è la temperatura più velocemente si muovono le particelle),
dalla viscosità (la distanza percorsa diminuisce all’aumentare della viscosità della fase
esterna) e dal raggio delle particelle (più grandi sono le particelle più lento sarà il
movimento diffusivo).

𝑅𝑇+
𝐷) =
𝑁3𝜋𝜂𝑟

Bisogna ricordare, inoltre, che più velocemente le particelle si muovono (= maggiore


energia cinetica hanno), maggiore è il numero di collisioni elastiche (= alta energia) che ci
possono essere tra le particelle e minore è il tempo di contatto tra le particelle stesse;
invece se le particelle sono molto grandi si muovono lentamente e quando vengono in
contatto tra loro ci rimangono per molto più tempo, legandosi tra di loro e coagulando.

Come abbiamo già visto, anche il diametro delle particelle è importante in questi processi
perché più piccole sono le particelle più velocemente si muovono e, di conseguenza, si
oppongono alla velocità di sedimentazione. Per questo motivo viene definita una
grandezza limite particellare, detta diametro di sedimentazione limite, al quale non si
verifica la sedimentazione perché il movimento delle particelle si oppone ad essa stessa.
Dunque, il diametro di sedimentazione limite è il massimo diametro che possono avere le
particelle per opporsi alla sedimentazione (perché le particelle si muovono con una certa
velocità). Il diametro di sedimentazione dipende da diversi fattori inclusa la temperatura,
l’energia, il tipo di sistema interno ecc.

Per stabilizzare un sistema disperso si può:


• Ridurre il diametro delle particelle: più piccole saranno, minore sarà la sedimentazione,
(3453))78 9
secondo le leggi di Stokes e Brown (memento legge di Stokes 𝑉 = 4:;
, cioè la
velocità dipende dalla differenza di densità tra la prima particella e la densità della fase
esterna); di conseguenza il movimento delle particelle sarà molto elevato e la
sedimentazione sarà molto bassa.
Ridurre le dimensioni delle particelle è vantaggioso sotto certi aspetti, ma è
svantaggioso dal punto di vista energetico perché aumenta l’area superficiale totale e
quindi anche l’energia libera del sistema. È necessario raggiungere un punto di equilibrio
tra il diametro delle particelle e l’energia libera del sistema.

• Ridurre la concentrazione delle particelle, perché così facendo si riduce il numero di


collisioni tra di esse.

245
• Ridurre la differenza di densità tra la fase interna ed esterna

• Aumentare la viscosità della fase esterna utilizzando dei modificatori reologici

• Aggiungere degli elettroliti che serviranno per raggiungere un potenziale Z ottimale per
avere un sistema completamente disperso se il potenziale Z è molto alto (intorno ai 100
mV); riducendo il potenziale si ottiene un flocculato che stabilizza il sistema

• Aggiungere degli idrocolloidi, materiali che si adsorbono sulla superficie e mascherano


fisicamente le cariche (le cariche rimangono, le mascherano solo per non farle vedere
all’esterno e ridurre la carica superficiale)

• Aggiungere polielettroliti che funzionano sia da idrocolloidi, sia da quenchers di cariche,


quindi hanno una doppia funzione

Crescita delle particelle à effetto Ostwald ripening


Questo fenomeno si verifica quando un sistema è molto polidisperso, ovvero è formato da
particelle grandi e piccole. Se le particelle piccole hanno una solubilità maggiore, tendono
a cristallizzare sulle particelle più grandi provocando un aumento delle dimensioni del
cristallo. In conseguenza a questo, il numero di particelle disperse diminuisce, mentre la
loro dimensione aumenta perché la particella grande funge da nucleo di cristallizzazione.
Per questo motivo una sospensione deve essere formulata con polveri il meno
polidisperse possibili.
La crescita dei cristalli può verificarsi anche in seguito ad un cambiamento delle condizioni
di stoccaggio e di conservazione: per esempio, abbassando la temperatura viene favorito
il processo di cristallizzazione perché l’energia si dissipa molto più facilmente.
Oppure può avvenire la trasformazione di un cristallo poco stabile in uno più stabile, o di
un amorfo in un cristallo, quindi in generale il passaggio da una forma a livello energetico
più alto a uno più basso. A questo punto quando si formano i cristalli essi crescono per
l’effetto Ostwald ripening.

Come evitare questi processi di crescita?


• Riducendo la polidispersività della fase dispersa
• Usando polimorfi il più stabili possibile
• Prevenendo tutti i processi che coinvolgono il trasferimento di energia: se per disperdere
il solido lo si mette in un mescolatore ad alta energia, alla fine esso non sarà stabile ma
sarà ricco di energia che restituirà all’esterno, stabilizzandosi in un’altra forma.
• Utilizzando una serie di eccipienti che stabilizzano la fase dispersa, come umettanti,
idrocolloidi, colloidi protettivi.
• Aumentando la viscosità della fase esterna, impedendo il movimento delle particelle.
• Lavorando in condizioni di stoccaggio che non portino all’instabilità della sospensione,
facendo attenzione ai cambiamenti repentini di temperatura.

Eccipienti per le sospensioni


La sospensione è una forma farmaceutica complicata a livello produttivo, non è sufficiente
avere un flocculato. Gli eccipienti utilizzati sono:
- Agenti umettanti
- Agenti protettivi, disperdenti e deflocculanti
246
- Agenti reologici, per mantenere una viscosità ottimale del mezzo esterno
- Agenti flocculanti
- Tamponi, per regolare il pH
- Agenti osmotici
- Coloranti e aromatizzanti
- Preservanti, per poter conservare la formulazione per un tempo più lungo, proteggendo
i principi attivi e gli altri eccipienti dall’ossidazione e impedire una contaminazione
microbica.

Agenti umettanti
Sono agenti che:
- Riducono la tensione interfacciale
- Forniscono cariche di superficie
- Formano uno strato solvatato
- Formano una protezione sterica: meccanicamente allontanano le particelle tra loro
- Ritardano la crescita dei cristalli

Grazie alle azioni che svolgono, gli agenti umettanti aumentano la bagnabilità della fase
dispersa, quindi agiscono riducendo la tensione interfacciale, in particolare se la fase
dispersa è idrofoba.
Gli agenti umettanti servono anche per eliminare l’aria che si può localizzare nelle
scabrosità delle particelle (può cambiare la densità della particella e la bagnabilità).

Gli umettanti possono essere solventi, surfattanti o protettori colloidali.

• Solventi
La loro azione è dovuta al fatto che sono miscibili con la fase esterna della sospensione e
riducono la tensione interfacciale tra liquido e aria.
Il liquido penetra all’interno della singola particella e facilita l’umettamento.
Tra i solventi per sospensioni acquose troviamo la glicerina, che si dispone sula superficie
del solido e ne abbassa la tensione superficiale perché media l’interazione con il solvente
acquoso. Oltre alla glicerina sono molto impiegati anche polioli come polietilenglicoli a
basso peso molecolare e polipropilenglicoli, sempre a basso PM.
Tutti questi fattori facilitano l’umettamento con la fase acquosa.
Se la sospensione è di tipo oleoso si utilizzano agenti umettanti lipofili.

• Tensioattivi o surfattanti
I surfattanti sono degli agenti di superficie; con il
termine tensioattivo si indica la classe di surfattanti
che ha un’azione sulla tensione superficiale. Quasi
tutti i surfattanti hanno un’azione sulla tensione
superficiale, quindi il termine viene spesso usato in modo ambivalente a “tensioattivo”.
I tensioattivi diminuiscono la tensione interfacciale e sono sostanze che si adsorbono sulla
superficie del solido.

247
Hanno la tipica caratteristica delle molecole anfifiliche in cui una parte della molecola è
idrofobica e una parte è idrofilica, di conseguenza di orientano esponendo la testa polare
verso la fase idrofilica e la coda idrofobica verso la soluzione idrofobica.
Questi agenti surfattanti (o tensioattivi) possono essere di diverso tipo a seconda della
sospensione, infatti il solido disperso può essere in olio o in acqua. In base, poi, alla
natura del solido, quindi idrofilico o lipofilo, si sceglie un tensioattivo differente.

I tensioattivi vengono classificati sulla base di un valore che si chiama HLB (Hydrophilic
Lypophilic Balance), parametro importante che indica il bilancio idrofilico/lipofilico della
molecola e indica il grado di idrofilicità o lipofilicità del tensioattivo. Se il tensioattivo ha un
HLB alto, allora sarà idrofilo; altrimenti, se il valore di HLB è basso il surfattante sarà
lipofilo.

Dal un punto di vista chimico possono essere di due tipi:


• Con porzione lipofilica e idrofilica omogeneamente distribuite. Un esempio è il
polietilenglicole, che ha affinità sia per la fase acquosa sia per quella oleosa, anche se
le due frazioni non sono ben separate.
• Con porzione lipofilica e idrofilica ben distinte all’interno della molecola. In questa
categoria rientrano molecole come i fosfolipidi, che hanno una porzione lipofila e una
idrofila ben distinte tra loro e distinguibili in tutta la molecola.

Possiamo utilizzare entrambe le forme, però di solito si fa riferimento alle molecole in cui le
due porzioni sono ben distinte.
La funzione dei tensioattivi è esplicata grazie alla loro capacità di disporsi sulla superficie
del solido, in modo da solvatarla. Se il solido è idrofobico e il liquido disperdente è
acquoso, la parte idrofobica del tensioattivo va verso la particella solida ed espone
all’esterno la porzione idrofilica e viceversa se il mezzo disperdente è oleoso.

Di solito nelle sospensioni si usano concentrazioni basse di tensioattivo, circa intorno allo
0.05% che è una percentuale che non dà un ottimo umettamento ma evita l’eccessiva
produzione di schiume. Superando lo 0.05% le sospensioni risulteranno molto stabili, ma il
prodotto si potrebbe solubilizzare e quindi verrebbe meno il carattere di sospensione.

Lista di surfattanti approvati per uso parenterale

Sono prodotti
particolari perché
formati da molecole
anfifiliche che
vengono iniettate e
che possono
interagire con la
superficie delle cellule
e disorganizzare la
struttura cellulare. Per
questo motivo sono
sostanze tossiche e
di conseguenza
devono essere testati
prima di essere messi
in commercio.
248
Quelli approvati sono in genere polisorbati, acidi grassi derivati dagli etilati oppure prodotti
come il castor oil.

Polisorbati
Sono tensioattivi particolarmente importanti che derivano dal
sorbitano. Il sorbitano a sua volta deriva dal sorbitolo ed è la sua
forma disidratata (struttura ciclica in immagine). In particolare, il
sorbitolo è un poliolo che quando perde una molecola di acqua si
ciclizza e forma la molecola ciclica del sorbitano. Il sorbitano ha
quattro gruppi ossidrili che possono essere derivatizzati con
molecole di diverso tipo, per esempio con acidi grassi o con
polietilenglicole, ottenendo così dei derivati come i SPAN che sono
dei polisorbati o i TWEEN.

Polisorbato-80
È costituito dal sorbitano a cui sono
legate 4 catene di polietilenglicole e
una molecola di acido grasso (è una
supramolecola). La molecola
presenta una porzione idrofobica e
una idrofilica.
I polisorbati si possono anche
classificare in base alla lunghezza
delle catene di polietilenglicole che
sono attaccate oppure in base al
tipo di acido grasso che è legato. Sono molecole surfattanti e anfifiliche che vengono
utilizzate come umettanti ed emulsionanti. Non presentano una grande tossicità, almeno
nelle concentrazioni di utilizzo, e sono interessanti perché sono molecole neutre e questo
comporta il fatto che da un lato siano meno efficienti di quelle cariche (perché le
macromolecole cariche possono agire anche sulla carica delle particelle con cui
interagiscono, quindi migliorano le caratteristiche modificando anche la carica), però allo
stesso tempo le molecole cariche possono anche dare problemi perché possono interagire
con altre sostanze formando dei legami carica-carica che possono cambiare il pH delle
soluzioni o interagire con altri eccipienti; avere delle molecole non cariche invece significa
essere indipendenti dal pH.

I polisorbati possono reagire con i parabeni (antimicrobici), si possono adsorbire su


contenitori plastici e quindi possono perdere la loro efficacia, infine diminuiscono il
potenziale Z perché mascherano le cariche (non le annullano) sotto questo strato appunto
di polisorbato idratato.

Agenti deflocculanti
Tra questi ci sono molti derivati acil-arilici o aril-arilici, che sono carichi positivamente o
negativamente; si depositano sulla superficie e conferiscono una carica, in particolare
aumentano la carica superficiale e quindi aumentano anche la repulsione tra le particelle e
facilitano la dispersione, per questo sono agenti deflocculanti. Gli agenti deflocculanti non
hanno mai azione sulla tensione superficiale ma agiscono solo sulla CARICA.

Agenti flocculanti
Essi facilitano l’aggregazione delle particelle disperse per portare al minimo energetico
secondario di stabilità il sistema. Sono:

249
- Surfattanti: riducono le forze di repulsione in modo da diminuire l’energia del sistema,
quindi le particelle tendono ad attrarsi tra di loro dalle forze di Van der Waals;
- Polimeri: le lunghe catene dei polimeri si incastrano nel mezzo disperdente e formano
un ponte tra fase interna ed esterna, provocando la flocculazione;
- Liquidi: si depositano sulla superficie e formano uno strato superficiale, mascherando le
cariche positive perché formano i ponti liquidi (glicerina, glicerolo);
- Elettroliti: riducono il potenziale Z a 0 (NaCl, KCl, sali di calcio, citrati, fosfati, polimeri)

Agenti tamponanti
Sono indispensabili perché le sospensioni hanno una stabilità ad un determinato pH, così
come la solubilità della fase dispersa cambia a seconda del pH e della pKa; bisogna
tamponare in modo che la fase dispersa non vada in soluzione, altrimenti non si avrebbe
più un sistema disperso. Inoltre, è necessario ridurre la solubilità della fase dispersa per
evitare la crescita delle particelle con l’effetto Ostwald ripening.
Quindi tamponare il pH permette di avere una condizione di minore solubilità della fase
dispersa.
Il pH è importante perché alcuni eccipienti usati per formare la sospensione hanno
un’attività in funzione di esso, per esempio eccipienti come polielettrolitici o elettrolitici a
seconda del pH in cui si trovano sono più o meno carichi (se uso l’acido poliacrilico esso
ha un grado di ionizzazione a seconda del pH e i suoi gruppi carbossilici saranno protonati
o meno a seconda del pH).
Alcuni eccipienti, come conservanti e antimicrobici, sono attivi solamente in un certo range
di pH, che deve essere garantito dagli agenti tamponanti.
Per questo di solito si formano agenti tamponanti come soluzione di fosfato o citrato.

Agenti protettivi
Sono agenti che aumentano la viscosità del sistema o che formano delle strutture idratate
sulla superficie o ingombranti dal punto di vista sterico, che impediscono l’avvicinamento
delle particelle. Agiscono anche facilitando la ridispersione del flocculato.
Gli agenti protettivi sono generalmente macromolecole di idrocolloidi, tra questi la gomma
dragante, la gomma acacia, la pectina, materiali inorganici come la bentonite o la lecitina,
metilcellulosa e gelatina.

Agenti reologici
Questi agenti hanno un’azione viscosizzante, quindi cambiano le caratteristiche di fluidità
della fase disperdente (= cambiano le caratteristiche reologiche che sono le caratteristiche
di fluidità di un fluido).
Quando un fluido si muove all’interno di un condotto, ha un andamento lento (flusso
laminare) nella parte esterna e veloce nella parte interna, secondo piani paralleli. Lo
scorrimento del fluido dipende dal valore della sua viscosità η.
η è il rapporto tra la forza applicata ad un fluido e il suo scorrimento η=F/S e viene
misurato in poise (0.1*N-sec/m2). Applicando una forza ad un fluido, esso si muove in
piani paralleli che presentano una determinata area superficiale A e una distanza tra i
piani dy. Da questo è possibile ricavare la differenza di velocità tra due
piani paralleli che sarà dato dal prodotto della fluidità per la forza
applicata al fluido per la distanza tra i piani tutto diviso l’area dei piani
paralleli.

250
La velocità di scorrimento può cambiare a seconda del valore di fluidità considerata.

4 =7>
La viscosità è data da 𝜂 = < , cioè è l’inverso della fluidità ed è anche uguale a 𝜂 = ?7@ e
viene misurata in Pa•sec

La viscosità di un mezzo si può misurare valutando il


passaggio del fluido all’interno di un tubicino e in questo caso
la viscosità sarà:
AB C DE∙+
𝜂=
:G@

R: raggio del tubicino


∆p: differenza di pressione tra la parte superiore e inferiore
T: tempo
S: lunghezza del capillare
V: volume del capillare

Misurando il tempo di passaggio si ricava la velocità del sistema.


Oggi ci sono degli altri sistemi, come i reometri che misurano la viscosità in modo molto
più complesso e valutano una serie di parametri che descrivono la viscosità e sono utili
nella preparazione di prodotti ad uso topico o prodotti per uso cosmetico.

Viscosità cinematica: è il valore di viscosità diviso la densità ed è un parametro riportato


in farmacopea che caratterizza i fluidi.
Viscosità relativa: è il rapporto tra la viscosità della sospensione e la viscosità del mezzo
esterno come tale (senza niente dentro).

Fluidi newtoniani e non newtoniani


Sulla base della viscosità vengono definiti i fluidi con comportamento newtoniano o non
newtoniano.

251
Quelli con un comportamento newtoniano
seguono la regola η=F/D, che dice che lo
scorrimento di un fluido è direttamente
proporzionale alla forza applicata, quindi
l’andamento nel grafico è lineare in cui
all’aumentare della forza applicata si verifica f
un aumento dello scorrimento del fluido nel
mezzo. La pendenza della retta è data
proprio dalla fluidità f, di conseguenza sarà
diversa in base al fluido che analizzato.

F= 1/η

Nel grafico, sull’asse x c’è la velocità di scorrimento (dv/dy), sull’asse y invece la forza
applicata (τ).

Gli andamenti non newtoniani si discostano da questo comportamento e possono


essere di diverso tipo a seconda della curve che ottengo.

Questi diversi andamenti sono dovuti al fatto che le particelle non sono sempre separate
tra di loro, ma interagiscono e formano flocculati o aggregati formando un sistema
complesso.
Il cambiamento della viscosità di un mezzo è dato dalla variazione della struttura interna,
che dipende dalla forza applicata.

252
Questo primo grafico rappresenta l’andamento di un
flusso plastico Bingham. Applicando una forza al
fluido, all’inizio c’è un periodo di latenza (cerchiato
nel grafico) necessario per rompere la struttura
della sostanza poi, una volta rotta, il comportamento
assume un andamento simile a quello newtoniano.
Questo andamento è tipico dei flocculati, infatti
all’inizio il flocculato stesso si disgrega e, una volta
rotto, l’andamento torna lineare.
Un andamento di questo tipo è proprio di sostanze
come fango, pitture, sangue e ketchup.
Nel grafico gli assi sono invertiti rispetto a quello visto precedentemente, quindi la
pendenza della retta non è più la fluidità, ma la viscosità.

Il grafico a destra è il tipico andamento


pseudoplastico, in cui si ha prima un lento aumento
della velocità del fluido nel momento in cui viene
applicata la forza; dopodiché la velocità aumenta
rapidamente. Questo andamento è caratteristico delle
dispersioni di argilla, di sodio dragato in acqua o
cellulosa.

L’andamento dilatante, invece, è quello tipico delle


sabbie mobili. Inizialmente la velocità del fluido aumenta
rapidamente, poi prosegue rallentando a seconda della
forza applicata.
Quindi man mano che la forza applicata aumenta di
intensità, minore è il movimento del fluido (se devo
tirarmi fuori dalle sabbie mobili devo applicare molta
forza, ma molto lentamente altrimenti con molta forza la
viscosità aumenta).

La tixotropia è un andamento tipico del ketchup in cui la


viscosità è strettamente legata alla struttura che si forma.
Il ketchup, infatti, ha una struttura organizzata
internamente che rende la sostanza immobile se non
viene applicata alcuna forza. Essendo immobile ha una
viscosità molto alta. Per far uscire il ketchup, infatti, non
basta girare la confezione ma va agitato in modo da
rompere la struttura ordinata.
Questi tipi di fluidi sono detti false body e possono essere
costituiti da materiali inorganici come la bentonite, ma
anche da argilla.
L’andamento è reversibile ed è un’isteresi perché il corpo non torna alla struttura originale
con lo stesso andamento. Tornando alla struttura originale, l’organizzazione interna del
false body si ricompone.

253
I false body sono interessanti dal punto di vista farmaceutico perché quando sono fermi la
viscosità tende all’infinito e quindi il sistema disperso è molto stabilizzato perché sulla
base delle leggi di Stokes e di Brown non c’è alcun movimento delle particelle, che sono
invece bloccate in questa struttura che si rompe solo per agitazione.

Altri eccipienti che modificano le caratteristiche reologiche:


- Gomma dragante
- Gomma acacia
- Gomma agar (solubile in acqua calda e non in fredda)
- Gomma lacca (vista nella sigillatura delle compresse con il rivestimento zuccherino,
efficacia dipendente dal pH)
Queste gomme sono usate in quantità diverse per disperdere le sospensioni con
un’azione protettrice sia sulla superficie delle particelle, sia sulle loro proprietà.
Altri eccipienti sono
- Alginato
- Amido
- Xantan gum
- Carbossimetil cellulosa (usata in quantità variabile)
- Idrossietilcellulosa (tutti derivati della cellulosa che di per sé è insolubile ma i derivati lo
sono). I derivati della cellulosa formano delle sostanze molto viscose (dipende da come
sono stati derivatizzati) anche in bassissima concentrazione.
- Cellulosa microcristallina, che sono particelle colloidali molto piccole disperse che
formano dei sistemi tixotropici.

Abbiamo poi i materiali inorganici come le argille come i silicati di alluminio e magnesio
che sono degli agenti sospendenti, sono particelle molto piccole che formano delle
strutture organizzate. C’è poi la bentonite, la carbossimetilcellulosa, le argille
pseudoplastiche e il carbomer che è l’acido poliacrilico (con gruppi carbossilici) che viene
disperso in una soluzione basica per andare in soluzione e poi viene titolato con un acido
per ridurre il suo grado di ionizzazione e quindi per formare una struttura che sia
parzialmente idrofobica, cioè dove il bilancio idrofilico-idrofobico sia equilibrato in modo da
avere una struttura viscosa.
Altri agenti sospendenti sono la silice colloidale, il polivinil-alcol che deriva dal polivinil-
acetato a seguito di un’idrolisi parziale del gruppo acetato, il polivinilpirrolidone (PVP in
lab) e infine la gelatina (vista nelle capsule).

Conservanti
Sono importanti nella produzione delle sospensioni, soprattutto per quelle solide in acqua
o in fase acquosa in cui possono crescere microrganismi. L’uso dei conservanti non è
sempre ammesso, per esempio nel caso dei parenterali l’uso dei conservanti è limitato e
ammesso solo in pochissimi casi, però per uso orale o topico vengono usati molto.

Tra questi ricordiamo i benzoati, i parabeni e i sorbati. Hanno tutti delle cariche ioniche che
possono integrare con altri eccipienti come polielettroliti o polimeri carichi, che quindi
possono essere disattivati (devo stare attento a come li utilizzo). Inoltre, i conservanti
agiscono solo a pH specifici. Possono essere utilizzati anche dei conservanti che sono

254
degli adiuvanti come l’EDTA o il propilenglicole, oppure alcoli che riducono la crescita di
microrganismi.

Prendendo in considerazione l’EDTA, esso sequestra tutti gli ioni bivalenti e quindi ha un
azione adiuvante perché non consente ai microrganismi di sopravvivere in assenza di
calcio o altri ioni. L’EDTA è un adiuvante antiossidante perché sequestrando gli ioni
bivalenti sequestra quegli ioni metallici che fungono da catalizzatori per le ossidazioni.
Altri conservanti sono i propilenglicoli al 5-15% che interferiscono con l’ambiente ideale
per la crescita di microrganismi.

Abbiamo poi i parabeni come il metil-, l’etil-, il propil-, il butil-parabene a


seconda del gruppo di esterificazione, utilizzati in concentrazioni molto
basse (0.2%). Sono poco attivi sopra il pH=7 quindi l’ambiente va
tamponato molto bene.

In questa categoria troviamo poi i sorbati e l’acido sorbico utilizzati in


quantità di circa 0.2% per preparazioni per uso orale o topico, sono
molecole poco attive a pH superiore a 6 quindi anche qui va
tamponato bene.

Il timerosale è un derivato del mercurio usato in quantità intorno


allo 0.01% e ha una buona attività a pH superiore a 7.

Infine, i sali di ammonio quaternario sono usati in modo molto controllato, hanno anche
un’azione surfattante.

Altri derivati sono l’alcol benzilico utilizzato all’1%.

L’acido benzoico allo 0.2%

255
La clorexidina gluconato usata in quantità intorno
allo 0.01% e attiva a pH 7

Il fenilalcol utilizzato in combinazione con i parabeni

Preparazione delle sospensioni


Ci sono due metodi di preparazione delle sospensioni:
1. Dispersione meccanica: si parte da una polvere e la si disperde direttamente nella
fase continua del fluido. Bisogna passare attraverso una fase di umettamento
(aggiunta di agenti umettanti) per impedire la formazione di agglomerati per i quali
servirebbe una quantità enorme di energia per disgregarli e questo potrebbe
danneggiare la soluzione rendendola instabile.
2. Diretta condensazione per precipitazione: è di tipo eterogenea quando sono
presenti impurità; omogenee quando ci sono solo particelle pure. Questo processo è
sotto il controllo termodinamico. Si crea una soluzione sovrasatura, che porta alla
nucleazione delle particelle. Una variazione di energia durante il processo di
nucleazione può determinare la stabilità del preparato finale. È fondamentale
controllare le condizioni di lavoro, come pH e temperatura, si possono formare
particelle più o meno stabili, amorfi, polimorfi a stabilità maggiore o minore. Questi si
formano perché, cambiando le condizioni di mantenimento (pH, temperatura,
pressione), si formano dei nuclei di cristallizzazione attorno a cui cresce il cristallo,
così si ha la formazione di cristalli con un loro grado di stabilità a seconda delle
condizioni in cui ci troviamo (possono formarsi dei polimorfi più o meno stabili). È un
processo più complicato, quindi di solito si preferisce partire dalla polvere e
disperderla.

Test per sospensioni


Dopo la preparazione si fanno i test delle sospensioni:
- Test di stabilità: si vanno a vedere la velocità
di sedimentazione e il volume di
sedimentazione. Sono dei parametri indicativi
della qualità della sospensione, se per
esempio lo spessore del sedimento diminuisce
velocemente vuol dire che non si sta formando
un flocculato ma una forma compatta; invece,
maggiore è il volume del sedimento migliore è
il sistema perché vuol dire che si è formato il flocculato.
Il parametro dello spessore del sedimento è calcolato dopo un periodo di tempo perché
sicuramente il volume del sedimento nel tempo diminuisce, bisogna vedere se la
diminuzione avviene nel giro di poche ore o di minuti.

256
- Test di ridispersibilità: si va a vedere il tempo impiegato per ottenere un sistema
energicamente omogeneo.
- Test per dimensione particellare, polidispersività e forma
- Test delle proprietà reologiche
- Siringabilità (se è somministrabile per via iniettiva): dipende da viscosità e densità
della fase esterna, dimensione delle particelle e concentrazione della fase interna.
- Versabilità

EMULSIONI

Le emulsioni sono sistemi in cui una fase dispersa liquida è , appunto, dispersa all’interno
di una fase disperdente anch’essa liquida. Si differenziano dalle emulsioni per la presenza
di entrambe le fasi liquide. I due liquidi vengono definiti comunemente fase acquosa e
fase oleosa sulla base della loro natura chimica. La fase oleosa è indicata con O e la
acquosa viene indicata con la lettera W.
Possiamo ottenere diversi tipi di emulsioni:
- Emulsioni in cui la fase interna è oleosa e la esterna è acquosa O/W
- Emulsioni in cui la fase interna è acquosa e quella esterna è oleosa W/O
- Emulsioni multiple O/W/O o W/O/W. Si può arrivare fino a 7 fasi diverse, quindi
goccioline oleose disperse in goccioline più grandi acquose, disperse a loro volta in
goccioline più grandi oleose e così via fino a 7 fasi.
- Emulsioni O/O

Emulsioni comuni: maionese, latte (olio in acqua), creme per uso farmaceutico o
cosmetico, prodotti alimentari.
Emulsioni tradizionali: la dimensione delle particelle è compresa tra 0.1 e 100 nm
Microemulsioni: il diametro delle particelle è 1/4 della lunghezza d’onda della luce. Le
microemulsioni sono chiamate dei paradossi termodinamici perché si formano
spontaneamente, mentre sappiamo che i sistemi dispersi non si formano spontaneamente
perché hanno un livello energetico abbastanza alto.
Emulsioni traslucide: il diametro delle particelle è meno di 1/4 della lunghezza d’onda
della luce e sono traslucide, non tanto per le goccioline disperse quanto per l’effetto che
ha la fase disperdente sulla dispersione della luce.

Le proprietà delle emulsioni sono le stesse di tutti i sistemi dispersi, quindi valgono tutte le
considerazioni sulle forze attrattive e repulsive delle cariche, sulla stabilità, sull’energia e
sul potenziale Z, l’unica cosa che cambia è lo stato fisico della fase dispersa perché in
questo caso è liquido.

Emulsioni farmaceutiche
- Emulsioni per USO ORALE, generalmente sono O/W perché l’olio viene somministrato
più difficilmente rispetto all’acqua, è meno gradevole per il gusto.
Oggi per esempio, i derivati dell’olio di merluzzo e le omega3 vengono somministrati
non come tali ma all’interno di capsule molli o in dispersione acquosa, quindi come

257
emulsioni O/W (anche se non sono esattamente emulsioni perché manca un
componente). Il problema che si può avere in questo caso è che la quantità di olio che
viene assunto è molto poca, invece quando lo si prende da solo è molto di più. Con
l’uso di capsule si nascondono tutte le caratteristiche organolettiche negative che hanno
perché sono oli che facilmente irrancidiscono (il cattivo odore non è dato dall’olio di per
sé ma dai prodotti di scarto e ossidazione dei doppi legami che portano ad aldeidi e
chetoni).
- Emulsioni per USO PARENTERALE: vengono usate per somministrazione
sottocutanea, intramuscolare e possono essere sia O/W sia W/O. Emulsioni per via
intravenosa, invece, possono essere usate solo le emulsioni di tipo O/W perché non è
possibile iniettare nel sangue una fase oleosa ma solo una acquosa. Questi tipi di
emulsioni sono molto critiche perché devono essere molto stabili e non sono molto facili
da somministrare.
- Emulsioni per USO TOPICO: possono essere prodotti farmaceutici o cosmetici.

Vantaggi delle emulsioni:


• Somministrazione di un farmaco liquido o oleoso per via orale à migliore compliance.
• Solubilizzazione di un farmaco in una fase oleosa, emulsionandolo poi in fase acquosa,
in questo modo il farmaco è già solubilizzato e risulta disponibile molto prima à
aumenta la disponibilità e la biodisponibilità perché viene assorbito molto più
rapidamente e quantitativamente.
• Aumentano assorbimento e biodisponibilità
• Si stabilizzano liquidi che da soli si degradano o si ossidano facilmente all’aria oppure se
ho il farmaco è solido ma deve essere somministrato allo stato liquido.
• Vengono mascherati sapori e odori sgradevoli
• Forme farmaceutiche a rilascio controllato, per esempio se somministro un farmaco in
emulsione, sottocute o intramuscolo il rilascio è lento del farmaco perché esso viene
rilasciato dall’emulsione molto lentamente.

Svantaggi delle emulsioni:


• È una forma farmaceutica complessa da produrre e gestire perché è
termodinamicamente instabile (se guardiamo nei prodotti cosmetici è pieno di eccipienti
perché sono molto complessi da tenere stabili, in ambito farmaceutico gli eccipienti
vanno limitati quindi è più difficile).

Test sulle emulsioni


• Test della conduttività: mettendo due elettrodi e facendo passare una corrente, se
l’emulsione conduce la corrente vuol dire che è O/W perché la fase esterna (cioè quella
continua) è quella acquosa che trasporta gli ioni, se invece c’è una resistenza vuol dire
che si tratta di un’emulsione O/W.
• Test di diluizione: si diluisce l’emulsione con acqua e se viene diluita effettivamente
vuol dire che è un’emulsione O/W, invece se l’acqua si stratifica vuol dire che
l’emulsione è W/O.
• Test con dei coloranti: si aggiungono coloranti alle emulsioni. Se il colorante è lipofilo e
l’emulsione è O/A si andranno a colorare solo le goccioline; se l’emulsione è A/O si
colora la fase continua.

258
• Test con il cloruro di cobalto (CoCl2) che è un sale che si colora di rosso o di azzurro
in base al fatto che sia a contatto con acqua o meno.
• Test della fluorescenza: avremo una diversa fluorescenza se il fluoroforo si trova nella
fase dispersa o continua.

Da che cosa dipende il tipo di emulsione che si forma una volta che mescolo assieme
acqua e olio?
Il tipo di emulsione non dipende dalla quantità dei due liquidi, né dal metodo di
preparazione. In un’emulsione le goccioline possono essere di forma sferica, ma non
necessariamente, possono assumere una struttura che dipende dalla concentrazione in
cui sono (si adattano perché sono strutture dinamiche).
In un sistema monodisperso in cui le goccioline hanno le stesse dimensioni, la fase
dispersa può essere al massimo del 52.3%, il rimanente è fase esterna.
In un sistema polidisperso invece, in cui le goccioline hanno dimensione diversa tra loro, il
74% è costituito da fase interna (o dispersa).

A concentrazioni superiori al 74% le goccioline assumono delle forme particolari, tra cui
romboedrica o dodecaedrica: in questo caso la fase interna può arrivare addirittura oltre il
94%. Queste però sono emulsioni a grande rischio di stabilità, quindi non sono sempre
utili.
In conclusione, possiamo dire che il tipo di emulsione non è dato dalla quantità di fase
esterna ed interna utilizzata, dev’essere dato da qualche altro parametro.
Nelle emulsioni, oltre alla fase acquosa e a quella oleosa, c’è un altro “attore” importante
senza il quale non è possibile ottenere un’emulsione, che è l’emulsionante.
L’emulsionante determina il tipo di emulsione, indipendentemente dalla unità di fase
interna ed esterna. Mantenendo le stesse quantità di fase interna ed esterna, ma
cambiando l’emulsionante si ottengono due emulsioni differenti.

N.B. Il liquido nel quale l’emulsionante ha maggiore solubilità è la fase esterna.


Vuol dire che se l’emulsionante è più solubile in acqua che in olio, l’emulsione che si
ottiene sarà del tipo olio in acqua (O/W), se invece l’emulsionante è più solubile in olio che
in acqua si otterrà un’emulsione del tipo W/O.

-C’è solo un momento in cui l’emulsione è stabile, ed è quando si è separata, cioè quando
non esiste più – J.W.Gibbs

Quello che fa l’emulsionante è produrre l’emulsione e mantenerla come tale, quindi


garantire la stabilità.

Stabilità delle
emulsioni

259
1. Creaming e sedimentazione: avviene quando la fase interna è polidispersa. Le
goccioline si separano e affiorano (creaming) oppure si depositano sul fondo
(sedimentazione) e questo dipende dalla densità della fase esterna ed interna, che a
sua volta dipende dalla legge di Stokes. Nel creaming le goccioline affiorano ma
rimangono separate e quindi l’emulsione non è più omogenea.
Nel creaming e nella sedimentazione, le particelle si dispongono vicine tra di loro e
possono provocare il fenomeno della coalescenza, ovvero si uniscono e diminuiscono
di numero fino ad arrivare al punto di non ritorno, cioè la SEPARAZIONE DI FASE.
Sistemi che sedimentano o in cui si verifica il creaming possono ritornare alle
condizioni di emulsione se agitati, a meno che non si verifichi la coalescenza.
Creaming e sedimentazioni possono essere prevenuti riducendo la dimensione delle
particelle, equilibrando la differenza tra le densità dei mezzi liquidi e aumentando la
densità della fase esterna.

2. Flocculazione: viene raggiunto il minimo energetico secondario.

3. Inversione di fase: si verifica quando l’emulsione


O/W diventa W/O. può essere dovuto al
cambiamento della natura dell’emulsionante, ad
una variazione della solubilità delle due fasi in
seguito a cambiamenti ambientali come pH e
temperatura. Oltre ad avvenire spontaneamente,
questo processo può anche essere indotto
dall’esterno con lo scopo di preparare
un’emulsione in particolare.
La temperatura influenza HLB, quindi al variare di
essa è possibile alterare la natura
dell’emulsionante, provocando l’inversione di fase.

4. Effetto Gibbs-Marangoni: è l’effetto che si verifica in prossimità di cracking delle


goccioline, che va verso la coalescenza tra goccioline. Quando due liquidi presentano
una grande differenza di tensione superficiale, si può formare una struttura (vedi
figura) che porta alla coalescenza.
Quando un liquido con un’elevata tensione superficiale esercita una forza su un liquido
con una bassa tensione superficiale si crea un gradiente di tensione. Il
riarrangiamento della superficie (effetto Gibbs-Marangoni) si oppone alla coalescenza.
Quindi l’effetto di Gibbs Marangoni è un moto convettivo dovuto che si oppone alla
differenza di tensione interfacciale responsabile della creazione di una superficie
scabrosa (vedi immagine) sulla particella, con lo scopo di ripristinare l’interfaccia piatta
La superficie scabrosa si crea spontaneamente e porta alla coalescenza, che bisogna
evitare.
Aggiungendo degli emulsionanti viene ridotto questo effetto, quindi si riduce la
tensione
superficiale e le
particelle con la
superficie piatta.
Aggiungendo degli
emulsionanti si
riduce questo
effetto e la
formazione di

260
strutture superficiali che tendono a formare la coalescenza tra le goccioline perché
ripristinano una struttura piatta che ha pochissimi punti di contatti perché le goccioline
sono appunto sferiche.

5. Fenomeno di Ostwald ripening


(uguale a quello delle sospensioni): in
cui il sistema polidisperso forma delle
goccioline, che via via diventano
sempre più grandi perché si uniscono
tra loro, facendo diminuire il numero di
particelle disperse.

Eccipienti
Il problema principale è, una volta create, quello di stabilizzare le emulsioni, utilizzando
diversi eccipienti.
• Surfattanti e agenti di superficie (tra questi abbiamo gli umettanti e i tensioattivi che
riducono la tensione superficiale e stabilizzano il sistema perché c’è meno energia
libera).
• Agenti viscosizzanti e modificatori reologici
• Agenti strutturanti che formano il false body, cioè strutture ordinate che a riposo hanno
viscosità che tende all’infinito.

SURFATTANTI
Hanno diverse azioni:
• Diminuiscono la tensione interfacciale e quindi mediano l’interazione tra la fase interna
e la fase esterna formando dei legami più forti che abbassano l’energia.
• Aumentano la carica superficiale e il potenziale Z di conseguenza, le goccioline si
respingono, ma possono flocculare Z≈15.
• Possono formare delle barriere meccaniche o delle barriere idratate che impediscono
l’avvicinarsi delle goccioline e la coalescenza.
• Si dispongono in strati multipli sulla superficie in modo coerente con la loro porzione
idrofila o idrofoba (se l’interno è lipofilo la porzione esposta verso l’interno sarà lipofila).
All’interno di questo multilayer ci sono degli strati di fase esterna à struttura ordinata.

L’esempio più classico sono le bolle di sapone, che sono fatte da agenti surfattanti e
acqua (la fase idrofobica in questo caso è l’aria). Sono strutture con strati di surfattante
paralleli tra loro con in mezzo degli strati di acqua, mentre l’aria sta all’interno e all’esterno.
Quando scoppiano è perché si formano delle disomogeneità e a quel punto la pressione
interna è troppo alta e scoppiano.

I surfattanti:
• Devono essere chimicamente e fisicamente stabili
• Devono essere inerti perché non devono reagire o interagire con nulla
• Non devono essere irritanti perché vanno a contatto o con la pelle o con le mucose
• Devono essere biocompatibili, cioè non devono danneggiare le cellule
• Devono essere incolori, inodori e insapori
• Devono essere attivi a basse concentrazioni, perché meno ne metto meglio è (dovrò
comunque mettere sempre tanto perché è facile capire che tipo di emulsionante usare,
meno facile capire la quantità giusta)
261
• Devono avere un’elevata attività interfacciale perché agiscono sulla superficie
• Devono avere la capacità di formare delle barriere elastiche perché le goccioline sono
sistemi dinamici in continua deformazione e quindi anche le barriere devono essere
deformabili
• Devono avere un’elevata dispersibilità e una buona diffusione sulla superficie perché si
devono disporre in modo omogeneo
• Devono essere ben solubili nella fase esterna

TENSIOATTIVI (O EMULSIONANTI)
Sono molecole solubili in entrambe le fasi, sia quella acquosa che oleosa. Formano degli
strati orientati e alla fine formano una struttura multilayer liquido-cristallina ordinata. Sono
molecole che diminuiscono la tensione interfacciale e quindi riducono l’angolo di contatto,
aumentano la bagnabilità e la spalmabilità.
Hanno diverse azioni: possono essere degli schiumogeni come i saponi che sono
addirittura dei solubilizzanti, cioè emulsionano talmente bene che solubilizzano le parti
grasse anche a livello molecolare facendo della schiuma. Sono anche in grado di svolgere
la funzione contraria, cioè sono degli agenti anti-schiuma e questo dipende dal valore di
HLB che hanno. In base al valore di HLB, i
tensioattivi si definiscono detergenti,
emulsionanti olio-acqua, emulsionati acqua in
olio oppure addirittura degli anti-schiuma.
Le molecole dei tensioattivi sono anfifiliche infatti
vengono sempre rappresentate come dei
fosfolipidi, anche se non sono esattamente così.

HLB
Indica il grado di idrofilicità e idrofobicità di un tensioattivo. Se HLB ha un valore basso
allora il tensioattivo è di tipo lipofilo; altrimenti se HLB è alto il tensioattivo è idrofilico.
Tensioattivi lipofili à si solubilizzano nella fase esterna oleosa = emulsione W/O
Tensioattivi idrofili à si solubilizzano nella esterna acquosa = emulsione O/W

Ci sono tre metodi per calcolare il valore di HLB:

1. Si utilizza per tutti i polioli esterificati con acidi grassi, in questo caso il valore si HLB si
misura con la formula:
𝑆
𝐻𝐿𝐵 = 20 ∙ (1 − )
𝐴
S: indice di saponificazione, cioè la quantità di NaOH necessaria per
saponificare/idrolizzare l’estere
A: indice di acidità. È la quantità di idrossido di potassio KOH che serve per
neutralizzare un grammo di campione.
La scala di HLB va da zero a 20. Questo è un metodo vecchio poco utilizzato.

6. Il secondo metodo è quello più utilizzato ed è il metodo di Griffin che definisce il


valore di HLB come 1/5 della percentuale di peso molecolare di parte idrofilica

𝐻𝐿𝐵 = 1/5 ∙ %𝑃𝑀𝑝𝑎𝑟𝑡𝑒𝑖𝑑𝑟𝑜𝑓𝑖𝑙𝑖𝑐𝑎

262
Vuol dire che se tutta la molecola è idrofilica, la percentuale
sarebbe 100%, 1/5 di 100= 20 à HLB = 20.
Se la molecola è tutta lipofila allora la percentuale di peso
molecolare idrofilo è zero e quindi 1/5 di 0 è 0. Quindi anche
questa è una scala che va da zero a 20. Ovviamente se è a 0 e
a 20 non ha potere emulsionante. Gli emulsionanti con valore
di HLB molto basso sono anti-schiuma, poi abbiamo gli
emulsionati W/O che sono più lipofili, poi ci sono quelli O/W e
poi i solubilizzanti.

7. Un altro metodo è quello che si basa sul numero di gruppo che è un numero che è
stato attribuito ad ogni gruppo funzionale, per esempio il gruppo metilico ha un numero
di gruppo che è 0.475, il gruppo solfato di sodio ha un numero che è 39.7. In questo
caso l’HLB è dato da un’altra formula che è:

𝐻𝐿𝐵 = 7 + (∑𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜𝑑𝑖𝑔𝑟𝑢𝑝𝑝𝑖𝑖𝑑𝑟𝑜𝑓𝑖𝑙𝑖𝑐𝑖 − ∑𝑛𝑢𝑚𝑒𝑟𝑜𝑑𝑒𝑖𝑔𝑟𝑢𝑝𝑝𝑖𝑖𝑑𝑟𝑜𝑓𝑜𝑏𝑖𝑐𝑖)

In questo caso la scala va da 0 a 40. Sulla base dei


tensioattivi che abbiamo, possiamo avere un numero di
HLB molto basso, e in questo caso avremo gli anti-
schiuma, poi gli emulsionanti di tipo O/W che sono difficili
da disperdere (non molto efficaci), poi ancora gli
emulsionanti che formano emulsioni O/W di tipo
lattiginoso, gli emulsionanti che formano delle emulsioni
traslucide con dispersioni di goccioline molto più piccole, e
infine quando il valore di HLB è molto alto il potere
emulsionante abbastanza basso e funziona meglio come
detergenti, cioè solubilizzano anche molecole idrofobiche.

Il riferimento principale per i tensioattivi è il sodio lauril solfato che è il detergente per
eccellenza, si trova in tutti i saponi, shampoo ecc.
Quindi ogni volta devo sapere con che scala è stato calcolato l’HLB, molto spesso
comunque si usa il metodo di Griffin.
Il tipo di emulsionante va scelto in base al suo valore di HLB e in base al tipo di emulsione
necessaria. Generalmente non si usa quasi mai un emulsionante unico, ma ne vengono
utilizzati di più in modo da avere un’azione sinergica (riduco il problema della coalescenza
perché aumenta l’effetto di Gibbs-Marangoni).

263
Esempio:

Come decidere il valore di HLB adatto per


un’emulsione? In genere si va per tentativi in
quanto non c’è una regola precisa da
seguire. In letteratura, però, ci sono delle
tabelle indicative.

Gli emulsionanti non hanno solo un’azione emulsionante, ma sono anche stabilizzanti
perché cambiano la viscosità del sistema, fondamentale per garantire le leggi di Stokes e
Brown.
Si è visto che nelle emulsioni O/W la viscosità del sistema aumenta in proporzione alla
quantità di emulsionante (più ne metto più il sistema diventa viscoso e più si stabilizza).

264
Inoltre, il valore di viscosità aumenta al diminuire del valore di HLB (più basso è il valore i
HLB più grande è la viscosità).
Come si sceglie l’emulsionante?
• Sulla base del tipo di emulsione da preparare
• Sulla base del tipo di fase oleosa, per esempio in base alla polarità della fase oleosa
(paraffina ha bassa polarità, invece gli oli vegetali sono più polari)
• In base al pH dell’emulsione perché il carattere idrofilico/idrofobico dell’emulsionate
cambia in base al pH.
• Dipende dalla compatibilità degli emulsionati con gli ingredienti, sia con il farmaco ma
anche con i conservanti perché molti emulsionanti non ionici interagiscono con i
conservanti e li disattivano.
• Dipende dalla via di somministrazione perché ci sono molte limitazioni per la via
parenterale, oculare e via topica. Ci sono meno limitazioni per la via orale perché di
solito se ne usano in quantità molto piccole. Invece per uso topico è meno invasivo ma
rimane sulla pelle o sulla mucosa per molto tempo.

Gli emulsionanti sono di 4 tipi:


• Emulsionanti anionici
• Emulsionati cationici
• Emulsionati anfoteri
• Emulsionati neutri (non ionici)

Emulsionanti anionici
Presentano molti gruppi ionizzabili pH dipendenti, in particolare COOH.
• Sodio palmitato, cioè dei saponi di sali di acidi grassi con un’azione emulsionate e
solubilizzante, quindi è un detergente.
• Distearato di alluminio è un agente gelificante, quindi è emulsionante però forma
emulsioni molto viscose.
• Lactilati che sono molecole che contengono un acido grasso (funzione polare + catena
neutra).
• Derivati della sarcosina o della glicina
• Derivati del glutammato

265
• Saponi
Sono una grande famiglia di emulsionanti anionici, sono però più adatti come detergenti
che come emulsionati. Sono dei sali (generalmente di sodio) di acidi grassi e hanno
diverse caratteristiche che dipendono dalla lunghezza della catena alifatica e dalla
presenza di doppi legami. Hanno un HLB abbastanza alto e sono emulsionanti
abbastanza scarsi (perché sono più detergenti), vengono usati soprattutto per emulsioni
O/W. Si possono anche formare in situ partendo dagli acidi neutri e poi alcalinizzando,
cioè cambiando il grado di ionizzazione, e quindi di idrofilicità, semplicemente cambiando il
pH. Vengono usati saponi di sodio, potassio e ammonio la cui lunghezza della catena è
abbastanza importante perché quelli a catena troppo corta sono troppo solubili mentre
quelli a catena troppo lunga sono troppo insolubili, di solito la catena è compresa tra 10 e
20. Si possono usare i saponi in combinazione, per esempio l’acido stearico, insolubile in
acqua calda, si può combinare con l’acido palmitico.

266
• Sali biliari
Sono un altro esempio di emulsionanti anionici e sono tutti policiclici. Tra questi c’è il
colato, il glicocolato e il taurocolato, inoltre ci sono le saponine.

• Esteri solforati
Contengono un gruppo solfato, di questo gruppo ne fanno parte il sodio lauryl solfato e i
suoi derivati. Presentano una carica negativa indipendente dal pH.

• Solfonati
Contengono 3 ossigeni legati allo zolfo (nei solfati ne avevamo 4). In questa categoria ci
sono diversi tensioattivi tra cui:

267
• Esteri dell’acido fosforico
Sono delle anidridi con delle catene alifatiche esterificate.

Emulsionanti cationici
Gli emulsionanti cationici sono problematici perché la maggior parte di essi hanno una
tossicità intrinseca, avendo un’azione sulle cellule. Essendo molecole anfifiliche,
interagiscono facilmente sulle membrane cellulari, quindi non sono totalmente
biocompatibili. I tensioattivi cationici hanno anche un’attività antibatterica conclamata, per
cui hanno un livello di tossicità maggiore tant’è vero che sono usati molto meno da un
punto di vista farmaceutico rispetto agli anionici. Un esempio sono i sali di ammonio.
Sono attivi contro i Gram negativi e spesso hanno una loro tossicità intrinseca e addirittura
una dose di 1-3 g per via orale è letale à vengono usati maggiormente a livello cosmetico.

268
La prima molecola
dell’immagine ha un anello
benzilico e un gruppo
amminico quaternario, è
utilizzato come vermicida.
Molti di questi hanno attività
vermicida ma allo stesso
tempo vengono usati come
balsami per capelli poiché
annullano le cariche e i
capelli diventano lisci.

Tensioattivi anfoteri
La loro attività dipende dal pH perché hanno sia cariche + che cariche - .
Possono essere derivati dell’acido acrilico, delle alchilamidi disostituite, N-alchilbetaina e
le lecitine. L’anfotero per eccellenza è la lecitina (i fosfolipidi) perché presenta dei gruppi
fosfati e il gruppo amminico quaternario.

La lecitina ha due catene di


acidi grassi legate tra di loro
e il fosfato con la carica -.
Nella lecitina di soia la carica
+ e la carica - sono
praticamente permanenti
perché quella + deriva da un
gruppo amminico quaternario
e non dipende dal pH, e
anche il fosfato è sempre
dissociato perché è un acido
molto forte.
Le betaine contengono una
carica dipendente dal pH.
Hanno un gruppo carbossilico
e un gruppo amminico e a
seconda del pH è carica positivamente o negativamente (può essere anche neutra).

Altri derivati carichi positivamente con gruppi amminici. Tra questi la lauril betaina.

269
Tensioattivi Non ionici
Sono molto importanti perché la loro attività non dipende dal pH in quanto non ionizzano. I
tensioattivi ionici, invece, risultano più o meno carichi al seconda del pH in cui si trovano
(quelli con gruppo amminico quaternario e i solfati sono sempre carichi); per questo motivo
cambia la loro solubilità in ambiente acquoso/lipofilo e possono anche interagire con
cariche o sostanze/farmaci/conservanti/altri eccipienti quindi, non possono sempre essere
utilizzati nella formulazione. Questi tensioattivi però, possono stabilizzare la gocciolina di
emulsione in quanto gli conferiscono una carica.

I tensioattivi non ionici interagiscono con gli altri componenti della formulazione attraverso
altri tipi di interazioni: idrofobiche, ponti idrogeno ecc. Non conferiscono alcuna carica alla
particella ma possono formare una barriera meccanica/idratata, disposta in strati multipli
sulla superficie delle gocce, e fungere quindi da idrocolloide, stabilizzandole.

Esteri:
• Esteri dell’etilenglicole
Sono mono e diesteri dell’acido stearico, esterificato con una molecola di glicole etilico,
contenente due -OH; molto lipofili e poco emulsionanti, per questo utilizzati come
coadiuvanti dell’emulsionante.

• Esteri del propilenglicole


Sono mono o diesteri con molti acidi grassi; sempre contenenti due gruppi -OH, ma l’alcol
è il propilen-glicole dove il gruppo alchilico rappresenta la parte idrofobica e il gruppo OH
la parte idrofilica. Molto lipofili e poco emulsionanti come i primi.

270
• Gliceril esteri
Dati dall’esterificazione dei gruppi OH del glicerolo; possiamo avere monoesteri, diesteri e
triesteri. Questi ultimi non hanno potere emulsionante perché molto lipofili. Solitamente i
mono e i diesteri sono miscelati tra di loro per avere un buon grado di emulsionamento.

• Poligliceril esteri
Più molecole di glicerolo legate tra di loro con molti gruppi OH liberi; alcuni di questi gruppi
possono essere esterificati con acidi grassi. A seconda della lunghezza del poliglicerolo,
del numero di gruppi OH rimanenti e del tipo di acido grasso che viene legato, avrò
molecole con HLB diverso.

• Esteri del saccarosio


La parte idrofilica è data dai gruppi OH che non vengono esterificati; l’esterificazione
avviene solitamente nel carbonio anomerico. A seconda di quanto e con cosa sono
esterificati, possiamo ottenere diverse tipologie di derivati del saccarosio.

• Esteri del sorbitano


Il sorbitano è ottenuto per disidratazione del sorbitolo e possono essere legate fino a 3
molecole di acido grasso. I monoesteri sono i più importanti SPAN

- SPAN: OH esterificati con acidi grassi; molecole molto lipofile (HLB basso). Ad esempio:
SPAN 65 è sorbitano tristearato, rimane liberi solo 1 OH; SPAN 80 è sorbitano mono-9-
octadenoato; possiede 3 OH ma una catena alifatica molto lunga che abbassa HLB;
SPAN 20 possiede 3 OH e una catena corta; tra tutti gli esempi mi aspetto che abbia
l’HLB maggiore.
- TWEEN: polisorbati, esteri etossilati. Si distinguono dagli SPAN perché contengono
anche catene di polietilenglicole, per questo motivo hanno un HLB maggiore. Non posso
avere troppe catene di polietilenglicole altrimenti la mia molecola diventa troppo
idrofilica. Per questo motivo devono l’alcol deve essere esterificato con acidi grassi.

Span e Tween sono gli eccipienti più utilizzati: sono neutri, abbastanza stabili, non
dipendono dal pH, non hanno una grande tossicità, sono molto biocompatibili, sono stati

271
approvati per via parenterale e sono utilizzati spesso in ambito farmaceutico e cosmetico.
A volte possono essere utilizzati in miscela per ottenere un migliore risultato.

• Esteri etossilati
Sono ottenuti dall’esterificazione del PEG con uno o più acidi grassi; di questa famiglia ne
fanno parte i derivati del sorbitolo.

Un gruppo importante di questa famiglia sono i derivati del sorbitano ottenuti per
esterficazione del sorbitano con un acido grasso e quindi per reazione con etilene ossido.
Questi sono detti polisorbati. Hanno un grande impiego in farmaceutica e cosmetica. Si
deve ricordare che sono di solito miscele di prodotti e la produzione è brevettata (Tween).

Eteri:

Polietilenglicoli o etilenglicoli possono legare un acido grasso tramite un legame estereo,


etereo o anche ammidico; a seconda del tipo di legame possiamo avere prodotti diversi.

• Etossilati con alcol grasso


È un’ampia categoria in quanto gli alcoli possono essere lineari, a diversa lunghezza,
ramificati, steroli ecc. Sono chimicamente inerti .

• Alcoli propiossilati
Sono simili ai precedenti ma essendo il propilen glicole più idrofobico dell’etilen glicole,
hanno un minore HLB.

272
• Poloxameri
Sono macromolecole simmetriche, polimeri a 3 blocchi: 2 polietilenglicole periferici,
isopropilenglicole centrale (che dona la parte idrofobia perché possiede un gruppo
alchilico in più). Grazie a questa sua composizione è in grado di formare micelle. E’ un
emulsionante neutro, anfifilico e per questo molto utilizzato.

• Alcanolammidi
Presentano un acido grasso che interagisce con la porzione idrofilica tramite un legame
ammidico

Surfattanti naturali
- Lanolina: ottenuta dal grasso di lana; è un’emulsione acqua in olio (W/O); è una base
combinata con paraffina o utilizzata come tale, usata solo per uso topico perché
contiene molti steroli, tra cui il colesterolo.
- Cera d’api: molto lipofila, forma emulsioni di tipo W/O; agisce come coadiuvante e
viscosizzante.
- Fosfatidi: fosfati di gliceridi e trigliceridi in cui le catene di acido grasso vengono
esterificate con il glicerolo; contiene anche il fosfato, ma non hanno la parte di colina
all’esterno
- Gomma adragante, acacia, gelatina: coadiuvanti, non aggreganti veri e propri,
aumentano molto la viscosità.

273
Sistemi autoemulsionanti
Basi che contengono già all’interno l’emulsionante, come per esempio la lanolina (base
liofila che contiene gli steroli). Pe questo tipo di emulsionanti si va a determinare il numero
d’acqua: quantità di acqua che riescono ad incorporare in 100g di base. Si determina
aggiungendo gradualmente acqua alla base e agitando continuamente finché non si
formano goccioline in superficie, le quali indicano che ho raggiunto la saturazione

Solidi emulsionanti
Silicati, argille, bentonite, alluminio silicato colloidale, magnesio e alluminio silicato. Sono
particelle solide molto fini e sottili che hanno capacità emulsionante. Questi composti
hanno una loro liofilicità e disponendole intorno a liquidi o solidi emulsionano. Possono
essere polari e non polari e si fanno bagnare dall’acqua in modo diverso. In assenza di un
surfattante i non polari favoriscono la formazione di W/O.

Tossicità surfattanti
I surfattanti, assunti per via orale, possono interferire con l’assorbimento di alcuni nutritivi o
favorire l’assorbimento di altre sostanze: essendo molecole anfifiliche alterano la
permeabilità delle membrane. Nella formulazione si deve dunque tener conto della via di
somministrazione, del tipo di surfattante e della quantità utilizzata perché non sono mai
sicuri al 100%.
Possono essere irritanti in quanto riescono ad estrarre componenti grassi della mucosa o
della pelle e alterare la permeabilità.

Altri eccipienti:

Idrocolloidi
Materiali con piccola capacità emulsionante. Vengono principalmente utilizzati per
aumentare la viscosità della fase esterna, e quindi aumentare la stabilità delle particelle.
Non possono essere usati in abbondanza perché la mia emulsione deve essere versabile,
spalmabile e siringabile.
- Metilcellulosa
- Idrossipropil cellulosa
- HPMC
- CMC di Na
- Carbomer, cerbossivinile: derivati vinilici o acrilici della cellulosa. Il carbomer ha
carattere emulsionante che dipende dal suo grado di ionizzazione.

Antiossidanti
Utilizzati soprattutto quando la fase esterna è oleosa/fluida in quanto è più facile che siano
presenti doppi legami che all’aria vengono ossidati dall’ossigeno per via radicalica; la loro
ossidazione porta alla formazione di aldeidi e chetoni e all’irrancidimento degli acidi grassi,
responsabili del cattivo odore. Ne esistono di diverso tipo:
- Antiossidanti veri: inibiscono l’ossidazione reagendo con i radicali liberi e bloccando la
reazione a catena. es: idrossianisolo metilato (BHA), idrossitoluene metilato (BHT),
vitamina E (utilizzata nelle formulazioni idrofiliche legata ad una catena idrofilica per
renderla solubile), ecc. Sono usati in quantità piccolissime.
- Agenti riducenti: acido ascorbico, possiede un potenziale redox minore rispetto alle
sostanze che potrebbero essere ossidate (specie che devono essere protette).

274
- Antiossidanti sinergici: coadiuvati degli antiossidanti; chelanti (acido citrico, EDTA,
lecitine) utilizzati anche come antimicrobici in quanto sequestrano ioni equivalenti (Ca,
Fe ecc.) necessari alla vita dei microrganismi e responsabili della catalizzazione
dell’ossidazione. Sequestrando questi ioni rallentano l’ossidazione e riducono il
problema.

Conservanti
Antimicrobici, importanti quindi nelle
emulsioni olio in acqua, in quanto sistemi
contenenti acqua in grande quantità̀
possono essere oggetto di facile
contaminazione microbica. Il conservante
deve essere principalmente localizzato
nella fase acquosa e pertanto la scelta del
conservante deve essere fatta in modo
che non vi sia una inaccettabile
ripartizione olio/acqua.
Problema: possibile interazione con i componenti dell’emulsione.
Esempi: clorocreosolo, acidi organici come il benzoico, composti mercuriali, sodio
benzoato ecc.

Emulsioni per via orale


Se un farmaco è poco idrosolubile, la sua dissoluzione in olio ed emulsionamento in acqua
ne aumenta la biodisponibilità̀ . Il rilascio del farmaco dipende da molti fattori come ad
esempio il tipo di emulsionante utilizzato, in quanto può̀ solubilizzare il farmaco e
impedirne così la penetrazione oppure potrebbe favorirla perché́ destabilizza le barriere
delle membrane; Il surfattante, invece, può̀ solubilizzare il farmaco con la formazione di
micelle e quindi facilitarne l’assorbimento e la biodisponibilità̀ .

Emulsioni per via parenterale


Solitamente contengono al massimo 10% di fase oleosa; le goccioline devono essere
molto piccole per poter essere iniettate; le lecitine sono molto usate, ma i poloxameri sono
una buona alternativa. Molto studiati sono gli immunogeni che formulati come emulsioni
danno una migliore risposta anticorpale.

Preparazione emulsioni
Esistono vari metodi di preparazione e sono fondamentali per la riuscita della
formulazione, per questo motivo è importante avere un processo di formulazione studiato.

275
1. Aggiunta della fase interna nella fase esterna: la
velocità con cui viene aggiunta la fase interna, la
temperatura operativa e la velocità di
mescolamento sono parametri fondamentali;

2. Al termine del processo si esegue una fase di


raffreddamento, che deve avere un’adeguata
velocità: se raffreddiamo troppo velocemente si
rischia di avere subito una separazione di fase

Attraverso dei diagrammi trifasici, in cui si mettono in relazione i parametri definiti sopra, si
possono effettuare studi sulle condizioni operative ottimali in modo da eseguire il processo
correttamente e ottenere una buona emulsione.

- Emulsioni O/W: solitamente si aggiunge la fase interna a quella esterna ma spesso si


preferisce fare il contrario, effettuando dopo un’inversione di fase, che può essere
conveniente per la dispersione quando la fase interna è grande. A volte, è più facile fare
una dispersione e successivamente invertire di fase, cambiando il pH per esempio.
- Emulsioni W/O: si aggiunge l’acqua in olio sotto costante agitazione di mulini per
omogeneizzare la fase interna e ottenere un’emulsione.

Procedure di preparazione:
• Si sciolgono i componenti lipofili nella fase oleosa e si porta ad una temperatura un po’
superiore alla temperatura di fusione;
• Si sciolgono i componenti idrofili nella fase acquosa e si porta questa fase alla stessa
temperatura dell’altra;
• Una fase è poi aggiunta all’altra sotto costante agitazione;
• Raffreddamento

Procedure galeniche - preparazioni industriali


1. Metodo inglese: preparazione della mucillagine, della gomma nella fase esterna o della
maionese; si aggiunge acqua nella fase oleosa e si tritura; si prosegue aggiungendo
acqua e olio fino ad esaurirli entrambi.
2. Metodo continentale: preparazione gomma secca o della gomma nella fase interna; si
disperde una parte di gente emulsionante in 4 parti di fase oleosa; si miscela e si
aggiungono poi 2 parti di acqua.
3. Metodo della bottiglia: usato quando la componente oleosa è volatile.

Proprietà delle emulsioni

1. VISIVE: viscosità, brillantezza, liscezza, aspetto perlaceo, tessitura (trama), opacità,


versabilità (o drenaggio con siringa, in base all’utilizzo);

2. TATTILI: untuosità, appiccicabilità, umidità, spalmabilità, tempo di essiccamento,


scivolabilità

276
Stabilità emulsioni
Dipendono da:
- Proprietà chimico-fisiche delle fasi e dei componenti
- Quantità delle fasi
- Tipo e quantità di emulsionante
- Ordine di aggiunga degli elementi
- Temperatura di emulsionamento
- Impianto usato
- Metodo e velocità di raffreddamento

pH emulsioni
Considerato dalla base del tipo di applicazione: su pelle pH acido.
A seconda dell’emulsionante, i prodotti possono cambiare il pH e dobbiamo stare attenti
alla compatibilità con la pelle e con gli altri elementi, in particolare gli antimicrobici che
cambiano attività in base al pH.

Viscosità
È influenzata da:
- Metodo di preparazione
- Grandezza e distribuzione fase dispersa
- Volume fase dispersa

277
12. VIE RESPIRATORIE
VIA NASALE

Si tratta di un sistema molto


articolato che comprende il
tratto nasale e buccale.
È una via nota da lungo tempo
per la somministrazione di
essenze o sostanze psicotrope.
Parte dal plesso nasale fino ad
arrivare a livello dei bronchioli e
degli alveoli; il percorso è moto
articolato e gerarchico, per cui
possiamo facilmente avere una
somministrazione mirata a
particolari distretti della via
respiratoria (decongestionanti nasali, farmaci usati nelle bronchiti e a livello polmonare sia
sistemica che locale). La cavità nasale inizia dal vestibolo, prosegue con l’atrio, con il
turbinato inferiore e superiore e termina con l’epitelio olfattivo (figura).
A livello delle cavità nasali si trovano cellule cigliate atte alla rimozione del materiale che si
deposita, la rimozione avviene verso l’interno, quindi tutto il materiale viene ingoiato
insieme al muco secreto, inoltre queste cellule cigliate fungono anche da prevenzione ed
eliminazione delle particelle più grandi proprio tramite il sistema pilifero.
A livello farmacologico la via respiratoria viene utilizzata per un’azione sia LOCALE che
SISTEMICA (veicolazione del farmaco nel sistema circolatorio o direttamente nel sistema
nervoso centrale). L’assorbimento avviene principalmente dal turbinato inferiore dove si ha
il deposito del materiale che somministriamo, l’area di assorbimento a questo livello è
molto piccola e molto vascolarizzata al fine di garantire un buon assorbimento. Il muco è
una parte importante di questa superficie perché previene sia l’assorbimento di materiale
esterno, sia l’assorbimento dei farmaci stessi. Questo dipende anche dal turnover
(abbastanza rapido) del muco, infatti le sostanze inalate, se non vengono assorbite,
vengono eliminate con esso.

Vantaggi della via nasale:


• Alto assorbimento per farmaci lipofili con PM inferiore ai 1000 Da
• Si evita l’assorbimento gastrointestinale e il tratto epatico (FIRST LIVERR PASS
EFFECT)
• Assorbimento abbastanza rapido (altrimenti eliminazione abbastanza rapida)
• Azione diretta anche sul sistema nervoso centrale (i sistemi colloidali possono
raggiungere il SNC passando attraverso le cellule olfattive, cioè i neuroni olfattivi)
• Somministrazione facile
• Buona compliance (facile da usare e controllare)
• Sistema abbastanza economico da produrre
• Consente un’azione locale per riniti e infezioni nasali

Svantaggi della via nasale:


• I farmaci lipofili con un PM abbastanza elevato non sono molto biodisponibili e
vengono assorbiti molto poco

278
• C’è un sistema di protezione dell’assorbimento del deposito, per esempio il sistema
pilifero che impedisce l’assorbimento di particelle grandi ma anche il sistema muco-
cigliare
• Area di assorbimento molto piccola
• Attività enzimatica importante che può degradare il farmaco
• Variabilità di dosaggio (meno sicurezza di dosaggio)
• Uso cronico complesso perché il farmaco si deposita su una mucosa sensibile, per
questo è consigliato l’uso acuto
• Si possono avere intolleranze

Vie di assorbimento
• Via transcellulare: è il passaggio attraverso la cellula. Può essere diffusione passiva o
attiva tramite un trasportatore mediato da recettore di membrana (gliproteina P)-
• Via paracelllulare: avviene tramite le tight junction poiché a questo livello non si trovano
molti canali di transito e il farmaco per passare deve superare queste giunture. In
genere si usano eccipienti che modificano in modo transitorio l’attività delle tight
junction agendo sul sistema delle occludine.

Anche in questo caso va tenuto in considerazione il valore di pH poiché il farmaco sarà più
o meno solubile a seconda della sua pKa. Ad esempio, le molecole idrofiliche da un lato
sono molto solubili nel muco, dall’altro però vengono assorbite con più difficoltà. Di
conseguenza maggiore sarà il logP del farmaco maggiore sarà la sua potenza.
Ricordiamo che il logP è il coefficiente di ripartizione olio/acqua, quindi più lipofilo è il
farmaco più riesce a passare la membrana perché la sua azione è maggiore.

Formulazione dei prodotti per via nasale


Si usano solubilizzanti, alcoli come il dietilenglicole, esteri del glicerolo con media catena,
surfattanti, ciclodestrine. Vengono usate spesso ciclodestrine che, attraverso la
formazione di complessi stabili, aumentano la solubilità del farmaco. Esse però
aumentano anche la stabilità del farmaco andando a ridurre la sua reattività, inoltre
aumentano la permeabilità della membrana poiché sono in grado di disorganizzarla
estraendo il colesterolo e facilitando così il passaggio delle sostanze. In questi tipi di
formulazioni possono essere inseriti poi inibitori delle proteasi o delle peptididasi, enzimi
molto presenti a livello delle cavità nasali e che facilmente degradano i farmaci, tali
sostanze però vanno usate con grande cautela per non sfociare in effetti tossici
indesiderati. Abbiamo poi dei promotori della permeazione come surfattanti, polimeri, lipidi
o acetilcisteina che riduce la barriera del muco con i ponti SH. Altri eccipienti utilizzati sono
i conservanti, molto presenti in formulazioni acquose o colloidali; tra i conservanti più
utilizzati troviamo i parabeni, l’EDTA e i derivati mercuriali.
Vengo spesso inseriti poi antiossidanti come il sodio metabisolfito e agenti umettanti come
la glicerina che facilitano l’assorbimento del farmaco.

Barriere della via nasale


• Tight junction
• Starnuto
• Ricambio del rivestimento mucociliare (avviene ogni 30 minuti)
• Pompe di efflusso
• BARRIERE ENZIMATICHE = FIRST NASAL PASS EFFECT

279
Formulazioni per via nasale
• Gocce: poco usate perché poco precise, non facile da somministrare
• Spray: sia per somministrazione di soluzioni ma anche sospensioni ed emulsioni (sistemi
dispersi). L’efficacia di questi sistemi dipende dalla grandezza e dalla morfologia delle
particelle, dalla viscosità del mezzo e dal sistema di spray utilizzato.
• Gel nasali: usati perché consentono una maggiore persistenza del farmaco nella mucosa
nasale e possono essere usati per farmaci in soluzione, sospensione ed emulsione (in
questo caso si evita il gocciolamento del naso)
• Polveri nasali somministrate con particolari sistemi, sono vantaggiosi perché sono stabili,
non hanno bisogno di conservanti e sono semplici da formulare. Lo svantaggio è che la
compliance non è alta in quanto si utilizzano dei device che atomizzano le polveri.

Fattori da tenere in considerazione:


• Il pH della formulazione deve essere compreso da 4.5 e 6.5
• Volume somministrabile da 50 a 200 µL
• Taglia delle particelle > 10µm, particelle grandi ma non troppo altrimenti vengono
fermate dai peli
• Viscosità del mezzo, dalla quale dipende la distribuzione del farmaco sul turbinato
inferiore.

Quando si considera uno spray nasale esistono delle regole di somministrazione da


seguire, tra cui una precisa inclinazione dell’erogatore (30°) e una corretta pressione della
valvola di erogazione. Per questo motivo la somministrazione nasale risulta poco
immediata e precisa a causa della variabilità di utilizzo da paziente a paziente che inficia
ovviamente l’efficacia finale del prodotto.

Per migliorare la permanenza dei prodotti nasali all’interno delle cavità si possono sfruttare
delle microsfere mucoadesive che aderiscono alla mucosa in modo molto efficace, tra i
materiali utilizzati troviamo ad esempio il chitosano oppure sostanze con gruppi tiolici.
Queste microsfere sono particelle tra i 40 e i 60 µm che sono in grado di facilitare
l’apertura delle tight junction e l’ingresso di farmaci con più alto peso molecolare. Tra
questi ad esempio la calcitonina, sostanza molto idrofilica e con un peso intorno ai 3300Da
che riesce ad essere assorbita solo tramite un recettore, quindi per via attiva, oppure per
via passiva solo se si riesce momentaneamente a disorganizzare le tight junction.
Si possono poi usare anche gel e polveri mucoadeisvi per mantenere il farmaco più a
lungo in situ.

VIA BRONCHIALE E POLMONARE

Sono due vie che partono dalla zona buccale tramite l’inspirazione. L’inalazione di farmaci
tramite la via buccale è molto complessa ma allo stesso tempo molto utile poiché permette
di raggiungere diversi livelli dell’albero bronchiale. La capacità di penetrazione del farmaco
nei bronchi dipende dalla dimensione delle particelle: più piccole sono più in fondo
arrivano à per arrivare agli alveoli ad esempio le particelle devono essere tra 1 e 3 µm, se
sono più grandi si fermeranno ai bronchioli terminali, ai bronchi o ancora alla trachea.

280
Polmoni
Come sappiamo l’organismo è dotato di due polmoni
diversi tra loro per dimensioni e componenti anatomiche, il
polmone sinistro infatti si presenta più piccolo del destro
per la presenza dell’incisura cardiaca che comporta poi la
definizione di due lobi polmonari contro i 3 del polmone
destro.
A questo livello abbiamo una ricca produzione di
macrofagi che hanno lo scopo di sorvegliare e proteggere
questi organi di vitale importanza da aggressione
esogene come presenza di batteri o virus.
A livello fisiologico, il ruolo dei polmoni è principalmente
quello di garantire lo scambio tra CO2 e ossigeno a livello
degli alveoli polmonari.

Vantaggi delle via polmonare:


• La superficie dei polmoni è grande come un campo da
tennis, quindi è un’enorme superficie di assorbimento
• Non è una via invasiva (come la iniettiva)
• Può essere sfruttata per la somministrazione di biofarmaci o farmaci proteici che non
hanno assorbimento per via orale
• Alta permeabilità e vascolarizzazione
• Non ci sono barriere fisiche importanti come nel tratto gastrointestinale (pH)
• I 300 milioni di alveoli sono il 95% dell’area polmonare, il resto è dato dai dotti
bronchiali
• Relativamente facile somministrazione
• Rapido passaggio nel sangue (on set)
• Possibile effetto locale

Svantaggi della via polmonare:


• Non facile da raggiungere a causa della barriera di macrofagi presente e dal muco
• Problemi di coordinazione che porta a una variabilità di somministrazione
• Problemi nel caso di pazienti con difficoltà respiratorie
• Biodisponibilità molto variabile

Per via polmonare si somministrano di solito prodotti per problemi locali come fibrosi
cistica, asma, tumore ai polmoni, antinfiammatori, antiallergici e antivirali.

281
Si può però anche sfruttare l’inalazione polmonare per veicolare un farmaco a livello
sistemico, questo di solito viene sfruttato per farmaci analgesici o di natura peptidica e
proteica (molto delicati e soggetti alla degradazione enzimatica a livello gastro-intestinale).

Le particelle di farmaco si depositano sulla superficie delle cellule dei polmoni. Le


particelle in immagine sono bucate perché sono fatte apposta per il polmone.

Deposito del farmaco


Il farmaco viene nebulizzato in una forma farmaceutica che può essere una sospensione,
un’emulsione, una soluzione o una polvere e si può depositare sul polmone tramite diversi
meccanismi:
• Intercessione o impatto inerziale
• Deposito per gravità
• Processo di diffusione

La via di deposito dipende generalmente dal diametro aerodinamico delle particelle di


farmaco, cioè dal diametro che queste assumono quando si muovono in un flusso di aria.
Per questo motivo si tende di solito a formulare farmaci composti da particelle bucate che
abbassano la densità del sistema. Il diametro aerodinamico, infatti, è calcolato dal
DIAMETRO FISICO e dalla DENSITA’ (vedi prossima pagina).

Deposito per intercessione (o impatto inerziale)


Quando le particelle sono abbastanza grandi (si parla di diametro aerodinamico) si
muovono seguendo l’andamento di un flusso d’aria. Quando questo flusso cambia
direzione (nell’albero respiratorio cambia direzione spesso) le particelle di farmaco, a
causa del loro peso, non sono in grado di seguire il cambiamento di flusso e impattano
sulla prima mucosa che incontrano depositandosi. Generalmente più le particelle di
farmaco sono grandi più impatteranno alla prima deviazione di flusso.
Quindi, ripetendo, una particella in un flusso d’aria segue o meno il flusso stesso a
seconda della sua densità à più grandi sono le particelle più si fermano alle prime curve,
quindi abbastanza in alto nell’albero.
Particelle > 6μm impattano sulla bocca e sulla trachea.

Deposito per gravità (in base alla densità)


Quando le particelle sono molto pesanti il loro deposito avviene semplicemente per
gravità una volta che sono state inalate e sono giunte nella prima parte dell’albero
bronchiale. Particelle di dimensioni dai 2 ai 6 micrometri arrivano ai bronchi e bronchioli.

Questi primi due depositi non


consentono di arrivare in profondità ma
raggiungono al massimo il livello dei
bronchi.

Deposito per diffusione


Avviene quando le particelle sono così
piccole che non seguono il flusso
dell’aria ma si muovono in modo casuale
riuscendo ad arrivare a depositarsi
anche sugli alveoli. In questo caso le
particelle hanno un diametro
aerodinamico intorno ai 3 µm e si
282
muovono con moti browniani. Se però il farmaco è formato da particelle troppo piccole,
esse non arrivano ai polmoni perché non si riescono nemmeno ad inspirare e si fermano
nella bocca o nella trachea. Quindi il tipo di formulazione, e quindi la dimensione delle
particelle, deve essere adatta per arrivare al sito di interesse.
La dimensione delle particelle deve essere tra 1 e 5 micrometri, con optimum di 3.

Diametro aerodinamico

Misurazione del deposito delle particelle nel tratto respiratorio


Si utilizzano diversi tipi di impattatori a cascata che simulano il tratto respiratorio in cui
viene atomizzata la polvere. Questa viene
fatta passare nell’impattatore con un flusso
d’aria, si va poi a misurare, in ognuno dei piani
dello strumento, quanto prodotto si è
depositato.

Fattori che influenzano l’efficacia del prodotto


• Fattore paziente, cioè come il paziente assume il prodotto
• Fattore farmaco à non si può intervenire troppo
• Fattore formulazione à possiamo intervenire
• Fattore device

I prodotti ad uso polmonare sono stati la prima categoria di prodotti in cui il contenitore
rappresenta la stessa forma farmaceutica, è proprio lui infatti responsabile del corretto
dosaggio. Il contenitore quindi è parte integrante della forma farmaceutica e decide la
velocità di assunzione e la dose, deve essere quindi prodotto ad hoc a seconda del tipo di
farmaco che vogliamo veicolare e della dose richiesta.

283
Tipi Di Formulazioni
Aerosol: si tratta di dispersioni colloidali o di particelle
molto fini in cui un liquido o un solido sono dispersi
all’interno di una fase gassosa. Le tecnologie che si
utilizzano in aerosolterapia sono le seguenti:
1. Nebulizzatori classici (sostituiti più recentemente con
nebulizzatori pneumatici a ad ultrasuoni)
2. Metered Dose Inhaler (MDI)
3. Inalatori a polvere secca (DPI)

1. Nebulizzatori classici: In questi strumenti il liquido aspirato tramite un capillare viene


prima nebulizzato e poi atomizzato, l’energia utilizzata è minore e lo si può sfruttare per
inalare particelle più grandi. È un processo però lento e poco accurato.

Nebulizzatori a ultrasuoni: si utilizza un cristallo piezoelettrico in grado di trasformare


le oscillazioni elettriche ad alta frequenza in oscillazioni meccaniche che vengono
trasmesse alla soluzione da nebulizzare direttamente o attraverso un liquido detto di
“accoppiamento” costituito, di solito, da acqua distillata. Le vibrazioni prodotte dagli
ultrasuoni hanno un’intensità̀ tale da superare le forze di coesione molecolare delle
soluzioni, per cui disintegrano il liquido contenuto nella vaschetta trasformandolo in un
aerosol. Rispetto ai nebulizzatori pneumatici l’output è superiore di 2-4 volte. I
nebulizzatori ad ultrasuoni dovrebbero essere utilizzati con cautela, anche se hanno il
vantaggio di essere più silenziosi di quelli pneumatici, in quanto possono alterare la
struttura dei farmaci inattivandoli a causa della frammentazione e dell’incremento di
temperatura cui la soluzione è sottoposta in seguito alle vibrazioni prodotte dal cristallo
piezoelettrico.
È difficoltoso sterilizzare in modo efficace un nebulizzatore ad ultrasuoni.

2. Metered Dose Inhaler (MDI): sono costituiti da un corpo che


contiene il farmaco (canister), e da un mouthpiece che si tiene in
bocca. In particolare, l’MDI è costituito da una bomboletta all’interno
della quale il farmaco si trova in sospensione o in soluzione con
surfattanti, lubrificanti e con un propellente, in genere
clorofluorocarburi (CFC) o idrofluoroalcani (HFA) che arrecano minor
danno allo strato di ozono. Premendo sul fondo della bomboletta
viene rilasciata una dose predeterminata di farmaco, variabile dai 25
ai 100 microlitri. Tali apparecchi sono in grado di erogare, in sequenza, molte dosi di
farmaco, anche sino a 200.
Il principale inconveniente legato all’uso degli MDI è la richiesta di una ottima
coordinazione fra l’erogazione dell’aerosol e l’atto inspiratorio, che devono avvenire
contemporaneamente. Per tale motivo gli aerosol dosati sono utilizzati con difficoltà sia
dai bambini che dagli anziani. È inoltre un sistema che previene la contaminazione
perché il farmaco all’interno risulta ben protetto.

Vantaggi di questi sistemi


• Rapidità e facilità
• Portabili
• Efficienti nella dispersione
• Assenza di contaminazione
• Mancanza di aria à non c’è ossidazione del farmaco
• Molto versatili perché si possono somministrare diverse forme farmaceutiche
284
• Si evita l’uso dell’acqua
• Posso avere un effetto rinfrescante piacevole perché l’evaporazione dei liquidi e dei
gas è esotermica e quindi si ha un abbassamento della quantità di calore.

Svantaggi di questi sistemi


• Costo elevato
• Sono sistemi che scadono presto
• Uso scorretto
• Uso di propellenti non compatibili

In genere in queste soluzioni sono presenti sostanze come:


• Idrofluoroalcani o clorofluorocarboni
• Propellenti
• Surfattanti che mantengono il farmaco in soluzione
• Alcoli come glicerolo
• Aromatizzanti
La dose di questi prodotti è predefinita.

Propellenti
Si tratta di gas compressi non liquefatti come azoto, protossido di azoto e CO2 oppure
gas compressi liquefatti come idrocarburi alogenati tra cui CFC o HFC, o non alogenati
come propani, butani, esani.
I più diffusi sono il freon-114, -11, -12. Non sono infiammabili, sono compatibili con la
maggior parte dei farmaci e non sono dannosi per l’ambiente.
Sulla base del tipo di propellente si ha poi un effetto diverso in termini di
biodisponibilità e di disponibilità del farmaco.

Uno dei problemi principali nella somministrazione di questi sistemi è proprio il non
corretto utilizzo da parte di molti pazienti à per esempio nei MDI il problema principale
è il coordinamento tra il momento in cui si attiva l’attuatore e il momento in cui si inspira
à bisogna avere alcuni accorgimenti per avere una buona efficacia. Il deposito nei
tessuti polmonari infatti può variare moltissimo (tra il 7 e l’80%) a seconda che
l’apparecchio venga utilizzato nel modo corretto o meno, inoltre c’è sempre il rischio di
tossicità poiché il farmaco può anche essere ingoiato e a quel punto segue un diverso
percorso farmacocinetico.

3. Inalatori a polvere secca (DPI): gli inalatori a polvere potrebbero essere validi sostituti
degli aerosol dosati in quanto sono attivati direttamente dal respiro del paziente, il
farmaco è inalato nello stesso momento in cui il paziente inspira, sono facili da
utilizzare e non richiedono propellenti dannosi per l’ambiente e surfattanti. Purtroppo, la
polvere contenuta nel loro interno è altamente igroscopica per cui le particelle tendono
facilmente ad aggregarsi con conseguente incremento del loro diametro. Richiedono
l’applicazione di flussi inspiratori molto più elevati rispetto a nebulizzatori e MDI.

Quindi in questo tipo di aerosol vengono somministrate le polveri attraverso un sistema di


auto attuazione, quindi quando il paziente inspira si attiva l’attuatore e si evita il problema
della dose. Ad esempio, esistono delle capsule che vengono inserite in questi device che
vengono attivati con la respirazione, la capsula viene rotta e si libera la polvere che viene
inspirata. In genere queste polveri sono mescolate con eccipienti, come il lattosio, che
devono avere caratteristiche fisiche particolari, tra cui un preciso diametro aerodinamico.

285
Nella preparazione dei prodotti per aerosol il problema che possiamo avere è che le
particelle devono essere molto piccole (intorno ai 3 µm) affinché arrivino agli alveoli. Avere
particelle così piccole può creare problemi nella misura in cui possono aggregare tra loro
avendo una superficie, e quindi un’energia libera, enorme. In questo caso si rischia di non
arrivare più ai polmoni poiché questi aggregati hanno un peso elevato inoltre sono molto
stabili e non si scindono una volta inalati. Per evitare questo problema si utilizzano delle
particelle di lattosio grandi fino a 100 µm che adsorbono sulla superficie le particelle più
piccole. Allora quando il paziente inspira la polvere si disaggrega e il lattosio rimane in
gola, invece le particelle piccole si separano dalla superficie e arrivano fino agli alveoli.
La percentuale di farmaco nella formulazione è circa il 5%, quella del lattosio è il 95%.
Curiosità: possiamo far adsorbire il farmaco su particelle di metallo (ferro) anche grandi più
di 100 µm. In questi sistemi le particelle vanno a sbattere contro un filtro a griglia contro
cui quelle più grandi si fermeranno, mentre quelle più piccole continueranno il percorso e
verranno inspirate à si possono usare anche particelle non degradabili come ferro perché
tanto non vengono deglutite.

Esempi di prodotti ad uso polmonare:


Exubera: prodotto lanciato da Pfizer per il delivery di insulina. È una polvere secca a base
di lattosio assumibile per via polmonare. Fu uno dei più grandi flop dell’industria
farmaceutica. Il motivo principale del fallimento fu che il device era troppo grande => il
prodotto è stato ritirato.

Afrezza: prodotto molto nuovo, non ancora in


commercio ma approvato dalla FDA. È un’insulina
a rapida azione che può essere assunta dopo i
pasti e il cui picco arriva dopo circa 45 minuti.

286
13. VIE PARENTERALI

Sono vie sfruttate per la somministrazione di quei farmaci che non vengono assorbiti a
livello enterico ma che necessitano un’altra via di somministrazione.

Vie di somministrazione parenterali


• Intramuscolare 1-2 mL
• Intravenosa 1mL/10 sec
• Sottocutaneo 1-5 mL
• Peritoneale
• Intravitreo
• Epidurale
• Intratecale
• Intercardiaca
• Intrarticolare

Vantaggi
• Assorbimento rapido (on set)
• Evitiamo il passaggio epatico
• Non ci sono effetti locali per esempio a livello della bocca
• Non abbiamo effetti collaterali a livello gastrointestinale
• Ci permette di somministrare farmaci che non superano le membrane biologiche
• Rilascio prolungato dei farmaci

Un classico esempio per questa via sono i farmaci proteici, ad esempio quelli utilizzati per
il trattamento di linfomi, o come l’interferone, l’eritropoietinia, l’insulina, o l’ormone della
crescita. Tutte queste sostanze non hanno una biodisponibilità elevata perché hanno una
bassa permeabilità à per questo vengono somministrati per via parenterale. In alternativa
si sfrutta questa via per ottenere una somministrazione locale precisa.

Svantaggi
• Scarsa aompliance à dolore
• Rischio di somministrazione
• Non sono sempre utilizzabili, dipende dal tipo di patologia
• Bisogna prestare attenzione ai requisiti ambientali (soluzioni sterili)
• Costo di produzione
• Personale specializzato per la somministrazione
• Difficile conservazione (sterilità, sistema refrigerativo per farmaci proteici)

I farmaci parenterali sono preparazioni sterili destinate alla somministrazione per infusione
o per impianti tramite iniezione. Per via parenterale poi si può avere un deposito del
farmaco che permette un lento rilascio à lo stesso risultato si può ottenere anche con
delle microsfere (già viste), come nel caso di trattamenti tumorali.
Le vie parenterali inoltre devono essere molto sicure perché se si verifica un qualsiasi
effetto collaterale è impossibile tornare indietro.

287
FORMULAZIONI PARENTERALI

Sono preparazioni iniettabili tramite piccoli volumi, infusioni, polveri solubili, gel o impianti.
Le preparazioni iniettabili sono soluzioni, emulsioni o sospensioni sterili.
Sono preparate disciogliendo, emulsionando o sospendendo il/i principi attivi insieme a
qualunque altro eccipiente aggiunto in acqua o in un adatto liquido non acquoso. Le
soluzioni sono limpide e praticamente prive di particelle.
Se scegliamo di somministrare un’emulsione, questa non deve mostrare alcun segno di
separazione di fase. Generalmente per le emulsioni si segue questa regola:
• O/W per tutte le vie
• W/O solo per via sottocutanea e intramuscolo

Per quanto riguarda le sospensioni, esse possono presentare un sedimento facilmente ri-
dispersibile all’agitazione per permettere di prelevare la corretta dose (è concessa quindi
anche la presenza di un deposito solido o al massimo un flocculato).
Le infusioni sono fatte con grandi volumi e possono essere sospensioni o emulsioni;
generalmente non contengono antimicrobici perché il volume è molto grande e quindi
sarebbe necessaria una quantità di antimicrobico molto elevata, con conseguente rischio
di tossicità per il paziente. Sono soluzioni stabili, limpide e senza separazione di fase.
I liquidi perfusionali vanno da 50 a 1000 mL e vengono utilizzati per l’eliminazione di
sostanze tossiche nei processi di di dialisi, nel caso di grandi emorragie o disidratazione.
Concentrati e polveri sono prodotti a parte. I concentrati sono soluzioni sterili per
iniezione o infusione dopo diluizione nel volume prescritto. Le polveri di solito sono
liofilizzate e sono più stabili delle soluzioni perché si trovano allo stato solido.
I gel per iniezioni hanno una viscosità maggiore. Abbiamo due tipi di gel: quelli che sono
gel da subito (anche a temperatura ambiente) e quelli che gelificano quando la
temperatura viene alzata (es polossamero).

Come emulsionante spesso viene utilizzata la lecitina d’uovo o di soia => sono gli unici
emulsionanti accettati per via parenterale insieme al polossamero.
Come fase oleosa abbiamo poi l’olio di semi di mais e di soia che sono oli vegetali, inoltre
è presente il glicerolo e il tocoferolo che hanno funzione antiossidante. Le emulsioni non
devono mostrare separazione di fase perché, a differenza delle dispersioni, una volta che
le due fasi si sono separate non è più possibile ridisperderle. Le emulsioni O/W vanno
bene per tutte le vie di somministrazione eccetto per la intratecale, mentre le emulsioni di
tipo W/O sono più critiche e non posso essere somministrate per via endovenosa ma solo
sottocutanea o al massimo intramuscolo.

I preservanti vengono utilizzati per garantire la sterilità del prodotto durante la


conservazione. I prodotti multidose contengono molti preservanti (secondo FUI) ad una
determinata concentrazione. Questo perché se un preparato è multidose il paziente lo
preleva più volte e quindi è il prodotto si espone di più alla contaminazione, invece se è
monodose si preleva una volta sola e si ha meno rischio di contaminazione.
Le soluzioni parenterali vengono preparate in condizioni asettiche, devono essere cioè
eliminati i patogeni e tutti i microrganismi tramite una vera sterilizzazione. Gli antimicrobici
non si usano quando il volume iniettato in una singola dose è maggiore di 15 mL perché la
quantità richiesta sarebbe troppo elevata e potrei avere degli effetti collaterali (a meno che
non sia specificata dalla FUI).
288
Biodisponibilità dei parenterali
La via sottocutanea ha una biodisponibilità maggiore
rispetto alla intramuscolare perché la zona risulta più
irrorata. C’è anche una certa differenza di assorbimento
del farmaco a seconda della massa muscolare e adiposa
del soggetto, al esempio nel braccio l’assorbimento è più
rapido perché c’è meno massa adiposa.

Nel grafico abbiamo tre curve indicative. Rispetto alle altre


due curve, in quella intravenosa quasi non si nota una fase
di crescita, anzi spesso parte direttamente dall’alto. In
realtà quando somministriamo un farmaco per via
endovenosa abbiamo comunque una crescita della
concentrazione che però non siamo in grado di quantificare
a causa della rapidità del processo à per questo motivo di
solito vediamo partire la curva dall’alto senza alcun
andamento parabolico.

La biodisponibilità dei prodotti parenterali dipende dal tipo di somministrazione: se è


endovenosa è al 100%, se è sottocutanea invece è minore; di nuovo se la
somministrazione è intra articolare, la biodisponibilità del farmaco a livello locale è al 100%
ma a livello sistemico no.
La via sottocutanea ha una biodisponibilità maggiore rispetto alle altre (ad esempio
rispetto all’intramuscolare) perché il farmaco viene iniettato in una zona molto irrorata,
mentre nel muscolo si ha meno irrorazione e la biodisponibilità risulta minore. Questo
andamento in realtà dipende anche dalla massa muscolare in cui eseguiamo la
somministrazione, per esempio nel braccio l’assorbimento è più rapido rispetto che a
livello pelvico perché si ha meno massa adiposa.

Esiste anche una dipendenza della biodisponibilità con il tipo di formulazione scelta: la
formulazione che permette un più rapido assorbimento è la soluzione acquosa perché è in
grado di entrare in circolo più velocemente rispetto alle emulsioni W/O che quindi
presentano una biodisponibilità ancora più ridotta.
Quindi è facile capire che cambiando il tipo di formulazione possiamo avere un rilascio più
o meno rapido e più o meno prolungato del farmaco.

Quando somministriamo per via sottocutanea o intramuscolare si può modulare


l’assorbimento grazie alle ialuronidasi che facilitano la dispersione e l’assorbimento del
liquido iniettato tramite la degradazione dell’acido ialuronico (componente della matrice
extracellulare). Invece per ottenere l’effetto contrario, cioè per rallentare l’assorbimento, si
utilizzano delle sostanze con funzione vaso costrittoria che comportano un assorbimento
del farmaco più lento.

Veicoli per via parenterale


I veicoli più utilizzati sono ovviamente acqua e olio.
Vengono poi inseriti eccipienti che garantiscono l’isotonicità del sangue, il controllo del pH
e evitano la cristallizzazione o precipitazione del farmaco. Si aggiungono inoltre
antiossidanti e antimicrobici solo se richiesti.

289
Acqua
Si tratta sempre di acqua depurata e sterilizzata, cioè priva di patogeni, preparata
attraverso processi di purificazione come la filtrazione e l’ultrafiltrazione. Viene utilizzata
normalmente per preparare sciroppi.
L’acqua utilizzata per le preparazioni parenterali deve soddisfare alcuni requisiti:
• Acidità o alcalinità
• Sostanze ossidabili
• Residuo all'evaporazione
• Sterilità
• Contaminazione particellare
• Endotossine batteriche
• Contaminanti inorganici e organici

I processi di purificazione generalmente applicati sono:


• Osmosi inversa
• Deionizzazione
• Filtrazione
• Ultra-filtrazione
• Distillazione
• Disinfezione

La sterilizzazione viene eseguita tramite:


• Calore
• Irradiazione
• Filtrazione
• Chimicamente

Il processo scelto dipende dal tipo di farmaco che vogliamo veicolare e dal tipo di
formulazione richiesta. Nel caso di soluzioni si può sfruttare la filtrazione, nel caso di
materiali chirurgici invece si opta per una sterilizzazione con il calore.

290
Processo di produzione dell’acqua distillata ad uso farmaceutico:

I contenitori d’acqua rappresentati nel disegno sono mantenuti sempre in recircolo per
rallentare la crescita di microrganismi. L’acqua viene fatta passare attraverso un
distillatore dove viene ulteriormente privata di microrganismi e di materiale inorganico in
modo da ottenere acqua pura.

Oli
Si utilizzano generalmente oli vegetali (più diffusi) e minerali. Sono oli alimentari retificati,
quindi trattati in modo da poterli utilizzarli per via parenterale. Anche questi devono
presentare determinate caratteristiche tra cui:
• Indice di acidità < 0.5 (1g di olio viene neutralizzato da 0.5 mg NaOH)
• Indice perossidi < 5 (40 mg di O2 attivo/kg di olio)
• Contenuto di acqua < 0.3%

Eccipienti utilizzati in formulazioni oleose


• Stabilizzanti ( antiossidanti,
tamponi)
• Solubilizzanti (tensioattivi,
viscosizzanti)
• Preservanti
• Isotonicizzanti per garantire
l’isotonicità del preparato
• Analgesici locali (ad esempio
lidocaina) in caso di acidità o
preparazioni ipertoniche
• Crioprotettori

Come tamponi generalmente si


utilizzano tamponi fosfato, acetato
o citrato.

291
Per tutti questi componenti, detti liquidi perfusionali, deve essere garantita la loro sterilità,
apirogenicità e isotonicità nel sangue.
pH
Il pH deve essere mantenuto costante per garantire la stabilità e la tollerabilità del
prodotto.
La tollerabilità dipende dalla via di somministrazione: se avviene sottocute o
intramuscolare il pH deve essere simile a quello fisiologico perché si va a iniettare un
liquido all’interno di una zona ricca di terminazioni nervose, dove resterà per molto tempo.
Invece se la via di somministrazione è endovenosa, il farmaco viene subito disciolto nel
circolo sanguigno, quindi non c’è la necessità di avere un pH preciso. Ovviamente si parla
sempre della somministrazione di piccoli volumi.

Il pH fisiologico si trova tra 7.2 e 7.4 ma c’è una buona compatibilità anche a 6.8.
Tale valore deve essere mantenuto pressoché costante perché i farmaci sono
generalmente acidi e basi deboli il cui pH è molto distante da quello fisiologico à la
stabilità del pH è garantita con all’utilizzo di tamponi. L’effetto tampone è importante per
mantenere il prodotto stabile durante la fase di conservazione, invece una volta che il
farmaco viene iniettato si instaura l’equilibrio del pH con i due ambienti.

Isotonicità e osmoticità
• Farmaco isosomotico: soluzione che esercita la stessa pressione osmotica (quindi
presenta la stessa concentrazione) delle specie chimiche presenti nel sangue.
• Farmaco isotonico: soluzione che presenta la stessa osmolarità, dove per osmolarità si
intende il numero di osmosi di soluto contenuto in 1L di soluzione.

I farmaci destinati alla somministrazione endovenosa devono essere idrosolubili alla


concentrazione attiva: se il farmaco è solubile in acqua si usano soluzioni acquose
isotoniche (se è instabile in acqua si usa una polvere da solubilizzare al momento
dell’uso); se è insolubile, si può cercare di ottenere modificazioni molecolari che lo
rendano solubile senza alterarne le proprietà farmacologiche.

Si definisce isotonica una pressione osmotica pari a quella esercitata dal liquido
extracellulare attraverso le membrane cellulari. La concentrazione isotonica è solitamente
riferita al sangue umano: l'isotonia rispetto ai globuli rossi è prodotta da una soluzione allo
0.9% di NaCl in acqua (soluzione fisiologica). Poiché le membrane biologiche non sono
ideali, una concentrazione iso-osmotica col sangue non produrrà necessariamente una
pressione osmotica isotonica e viceversa.

È importante poi ricordare che le formulazioni isotoniche sono sempre isoosmotiche, ma


quelle che sono isoosmotiche non sono necessariamente isotoniche.

Se iniettassimo una soluzione ipotonica per endovena il risultato sarebbe una emolisi dei
globuli rossi, con un effetto devastante sul paziente, se iniettassimo incede una soluzione
ipertonica si avrebbe il fenomeno della plasmalisi (rottura dei vasi sanguini) con di nuovo
gravi danni per il paziente. Per questo motivo l’isotonicità in una soluzione ad uso
parenterale ha un ruolo di fondamentale importanza.

L’isotonicità è determinata in base all’equivalente in cloruro di sodio, E. Con questo


termine si intendono i grammi di NaCl che producono lo stesso effetto osmotico di 1g di
sostanza considerata (farmaco).

292
Di solito questi valori sono tabulati e ogni farmaco ha il suo preciso numero di E di
riferimento. Se però i valori di E per un dato farmaco non sono disponibili, si può utilizzare
il metodo dell'abbassamento crioscopico.
È noto che una concentrazione di NaCl al 0.9% induce un abbassamento crioscopico di
0.52°C; conoscendo questo dato si determina facilmente, tramite una proporzione,
l’abbassamento crioscopico dell’attivo e si determina poi quanto NaCl sia necessario per
ottenere una valore totale pari a 0.52°C.
Ad esempio sapendo che l’attivo ha un abbassamento crioscopico pari a 0.01°C, si potrà
calcolare la percentuale di NaCl necessaria per ottenere un abbassamento crioscopico
pari a 0.51 (0.52-0.01):
0.9 : 0.52 = X : 0.51 à 0.88%

Pirogeni
Per pirogeno si intende una sostanza che, introdotta
nell’organismo per via parenterale, determina un aumento della
temperatura corporea. Possono essere sostanze di natura
esogena, tra cui troviamo endotossine o prodotti di degradazione
dei batteri (xenobiotici), o di natura endogena come i complessi
antigene - anticorpo, le molecola della classe delle IL, citochine.

Caratteristiche:
• Hanno un peso molecolare alto, circa 60 kDa. Sono grandi, ma
non
abbastanza per essere eliminati per filtrazione.
• A pH > 2 sono carichi negativamente à la carica è sfruttata per poterli eliminare.
• Sono attivi in pochissime quantità e sono solubili in acqua, infatti passano attraverso i
filtri sterilizzanti
• Sono inattivati a 200-250°C
• Non inattivati da battericidi
• Non sono volatili

Poiché i pirogeni sono in grado di entrare all’interno della cellula, attivare le cellule
dendritiche, i macrofagi e i neutrofili e scatenare una risposta immunitaria attraverso la
liberazione di una serie di interleuchine, come la 6 e la 1, la loro presenza deve essere
assolutamente eliminata grazie all’utilizzo di metodi di sterilizzazione.

Saggi per individuare la presenza di pirogeni:


• Saggio su coniglio: è un metodo in vivo che oggi è stato abbandonato. Si si
mantenevano per un certo periodo dei conigli a temperatura costante e si misurava la loro
temperatura corporea per un certo periodo di giorni. La soluzione da testare veniva poi
iniettata nella vena marginale e si andava a misurare la variazione di temperatura. È un
sistema efficace ma costoso.
• Ricerca di endotossine batteriche con un lisato di ameobociti: il lisato è una
sostanza che gelifica in presenza di endotossine. Di conseguenza si aggiunge il prodotto
parenterale al lisato e si verifica se avviene o meno la formazione di gel. È un metodo
molto sensibile.
• Rilascio delle citochine: detto anche test ELISA, è un test in vivo in quanto si va a
vedere, tramite anticorpi, il rilascio di citochine. Si incuba il prodotto con una coltura di
cellule e si va a quantificare il rilascio di citochine attraverso un test in vitro con le piastre
ELISA che, contenendo un particolare enzima, permettono di analizzare la reazione

293
enzimatica. Con questi test si può andare a ricercare pirogeni anche alla concentrazione al
di sotto del picogrammo.

Eliminazione dei pirogeni


I pirogeni vengono generalmente eliminati tramite membrane cariche negativamente che,
tramite un processo di scambio ionico, permettono di isolare le sostanze indesiderate.
Oppure i pirogeni si possono eliminare tramite temperature molto elevate, ma questo
metodo non si può utilizzare sempre indistintamente poiché molti farmaci risultano molto
termolabili.
La depirogenazione inoltre può avvenire tramite assorbimento con carbone attivo.:

294
Sterilità
La sterilità è un fattore importante sia per tutte le formulazioni parenterali ma anche per
sostanze solide, infusioni, prodotti ad uso intraoculare o ad uso topico nel caso di ferite
aperte.
Da un punto di visita farmaceutico il termine sterilità indica la mancanza di microrganismi
all’interno della nostra preparazione.
La sterilità di per sé è un concetto assoluto
perché non esiste una parziale sterilità (non si
può essere più o meno sterili), però allo
stesso tempo non è possibile per noi
assicurare una sterilità del 100% à è quindi
un concetto relativo che impone la definizione
di una soglia minima per cui il prodotto si può
definire sterile.
La curva di sterilità infatti non arriva mai a
toccare lo zero, proprio come accade in una
cinetica di primo ordine => da un punto di
vista matematico quindi non si arriva mai alla
sterilità assoluta e questo si dimostra
facilmente osservando l’andamento del grafico
dove troviamo in ascissa il tempo e in ordinata
il logaritmo della concentrazione dei
microrganismi sopravvissuti.

Perché la sterilità segue una cinetica di primo ordine? Perché esistono infiniti tipi di
microrganismi che presentano diversa resistenza alle varie condizioni (alte temperature,
pressione, luce). La stessa colonia di microrganismi quindi può avere tempi di
sopravvivenza diversa perché dipende da come è composta e dai diversi fattori esterni.
Molti microrganismi poi vivono in forma sporigena, presentando quindi un tempo di
sopravvivenza molto diverso e una resistenza ai processi di sterilizzazione nettamente più
alta dei microrganismi allo stato vegetativo.

La sterilità è rappresentata in grafico dalla retta di pendenza negativa il cui andamento


segue le seguenti equazioni

𝑑𝑁
= −𝑘𝑁
𝑑𝑡

𝑁' = 𝑁( 𝑒 *+'

Dove dN indica la variazione del numero di microrganismi nel tempo, Nt e N0 indicano il


numero di microrganismi per millilitro di prodotto al tempo t e al tempo 0.

295
Di seguito vediamo diverse curve di sterilizzazione.

Questa prima curva è disegnata tramite una scala


logaritmica e per questo presenta un andamento lineare
che non raggiunge mai lo zero. Descrive il caso più
ricorrente.

In questa curva invece vediamo un periodo iniziale in cui si


registra un aumento di microrganismi a causa
dell’attivazione delle spore che si riattivano. Una volta che
tutte le spore sono state attivate, i microrganismi allo stato
vegetativo iniziano a morire, dapprima si arriva a un punto
di compensazione tra le spore che si attivano e i
microrganismi che muoiono (plateau), successivamente la
curva cala con andamento lineare.

Infine, possiamo avere un altro caso in cui lo stesso


prodotto risulta contaminato da due popolazioni di
microrganismi diverse. Avremo quindi un andamento
bifasico a causa della diversa resistenza dei batteri al
trattamento di sterilizzazione. Il calo delle due popolazioni
infatti avviene contemporaneamente ma seguendo due
andamenti lineari separati à la velocità con cui i batteri
muoiono è diversa a seconda della specie.

Quando un campione è ritenuto sterile?


Un prodotto è ritenuto sterile quando abbiamo una probabilità su un milione che
non sia sterile à su un milione di fiale solo una può
risultare positiva alla contaminazione.

Si può condurre la sterilizzazione per processi meccanico-


fisici e chimici, tra questi troviamo la filtrazione, le radiazioni,
il calore, gli agenti chimici.
Possiamo quindi utilizzare diversi metodi e parametri che
definiscono l’efficienza della sterilizzazione che abbiamo
effettuato:

• Il primo parametro è D: è la “dose” di sterilizzazione


richiesta per ridurre di un ordine di grandezza la concentrazione di microrganismi e
indica l’efficienza della sterilizzazione. È un valore costante così come l’andamento del

296
grafico di riferimento, questo perché stiamo ancora lavorando con una cinetica di primo
ordine.
Per fare un esempio, se per passare da un ordine di concentrazione microbica di 106 a
uno di 105 utilizziamo una sterilizzazione a umido a 121 °C per 5 minuti, D sarà proprio
uguale a 5’ e sarà uguale anche se passassimo da una concentrazione di 105 a una di
104.

• Un altro parametro è il valore Z: è la dose di sterilizzazione richiesta per aumentare un


ordine di grandezza l’efficienza della dose D. Viene calcolato sulla base di una formula
specifica

(𝑇/ − 𝑇0 )
𝑍=
𝐷
𝑙𝑜𝑔 𝐷/
0

Ad esempio, nell’esempio precedente D121=5 è possibile aumentare l’efficacia D della


dose di sterilizzazione andando ad aumentare la temperatura alla quale viene erogata.

Sterilizzazione con radiazioni


È una sterilizzazione di tipo fisico che sfrutta le proprietà elettromagnetiche e il potere
penetrante di alcune precise radiazioni attraverso i materiali.
Le radiazioni che conosciamo sono le α, le ß, le γ, i raggi X e particelle di neutroni. Non
tutte vengono utilizzate nella sterilizzazione, per esempio i raggi X sono onde
elettromagnetiche (prodotte per accelerazione del modo degli elettroni) molto più
penetranti delle α e della ß, ma avendo un contenuto energetico così alto rischierebbero di
danneggiare il prodotto se utilizzate per la sterilizzazione di una sostanza degradabile
come potrebbe essere un farmaco.
I neutroni sono altrettanto penetranti, si tratta di particelle nucleari prive di carica in grado
di indurre a loro volta una radiazione α, ß o γ.
I raggi ß sono elettroni e positroni emessi dal decadimento di isotopi radioattivi, vengono
prodotti per accelerazione degli elettroni e sono meno penetranti dei raggi γ ma più
penetranti delle particelle α (che sono positive, sono molto dannose ma poco penetranti). I
raggi ß non fanno parte delle radiazioni elettromagnetiche e possono essere fermati da
sottili strati di materia (vetro, metallo).
I raggi α vengono generalmente poco utilizzati perché si tratta di particelle positive
ionizzanti ma poco penetranti.
I raggi γ sono i più utilizzati nella sterilizzazione perché hanno un buon potere penetrante,
tanto da essere in grado di attraversare anche materiali come plastica e vetro (utile per
sterilizzare, ad esempio siringhe usa e getta). Bisogna comunque prestare attenzione al
loro utilizzo perché potrebbero danneggiare alcuni prodotti tra cui i polimeri, per questo
motivo tali radiazioni sono più adatte alla sterilizzazione di materiali solidi. I raggi γ sono
radiazioni elettromagnetiche prodotte dal decadimento di due nuclei radioattivi, uno dei
quali è il tecnezio che ha un’emivita molto breve ed è usato principalmente in medicina,
l’altra è il cobalto 60 che è una fonte di raggi γ molto efficiente.

La dose di radiazione fornita viene espressa in vari modi tra cui:


• Curie: equivale alla quantità di materiale radioattivo che produce 3.70x1010 decadimenti
al secondo. È l’unità di misura che si usa spesso in caso di acquisto di materiale
radioattivo à indica il grado di radioattività che desideriamo avere per sterilizzare un
dato materiale.

297
• Rad: è la quantità di radiazione assorbita da 1g di materiale biologico che dissipa poi
fornendo un’energia di 100 erg. È adatto in caso di studi biologici perché correla
l’intensità di radiazione con la capacità di assorbimento del microrganismo che stiamo
studiando.

Sterilizzazione con agenti chimici


È una sterilizzazione complicata perché si ha a disposizione un’ampia scelta di prodotti da
utilizzare che però spesso o sono troppo efficienti o sono tossici.
Un agente chimico che veniva usato anni fa è la formaldeide che è in grado di abbattere il
contenuto microbico degli ambienti. Essa infatti appartiene alla famiglia dei chetanti capaci
di legarsi ai gruppi amminici di proteine e microrganismi facendoli morire, l’efficacia però
era comunque molto bassa.
Era utilizzata anche la glutaraldeide che lega i gruppi aldeidici formando delle basi di
shift.
Un agente chimico utilizzato invece tuttora è l’ozono: viene spesso impiegato per la
sterilizzazione di materiali chirurgici ma ha come svantaggio il fatto di essere molto
aggressivo e capace quindi di degradare e corrode molti materiali à per questo è
comunque sfruttato molto poco.
L’ossido di etilene è un altro prodotto utilizzato per la sterilizzazione. Esso è formato da
una molecola a triangolo con un ossigeno al vertice che conferisce un grado di instabilità
molto alto alla struttura. Questo fa sì che, una volta che l’anello viene aperto, l’ossigeno si
leghi principalmente ai gruppi amminici su cui avviene una reazione di alchilazione.
L’ossido di etilene fu usato in grande quantità in passato perché ha un altissimo potere
penetrante e quindi supera anche il materiale plastico à in questo modo si potevano
sterilizzare anche siringhe o strumenti di plastica. È inoltre una molecola molto tossica che
però si eliminava facilmente con l’utilizzo di semplice acqua o vapore d’acqua che
disattivano l’anello (si forma glicol etilenico che comunque ha una sua tossicità, però la
quantità presente era molto bassa). Lo svantaggio è che si tratta di un prodotto esplosivo
e quindi veniva usato principalmente in miscela con anidride carbonica o con freon in
autoclave. È stato eliminato dal comune utilizzo a causa della sua tossicità poiché il
residuo che rimane dopo la degradazione dell’anello è comunque leggermente tossico.

Sterilizzazione per filtrazione


Si utilizzano filtri che presentano maglie definite tra 0.1 e 0.3 µm di larghezza à
consentono di eliminare tutti i batteri presenti ma non i virus che essendo dell’ordine dei
nm sono molto più piccoli. I filtri di superficie vengono utilizzati di più in laboratorio per
eliminare le particelle nel caso di analisi, infatti essi fermano le particelle più grandi e fanno
passare il prodotto purificato.
Abbiamo poi filtri di profondità che sono un po’ più efficienti dei filtri classici appena visti.
Essi sono adatti per sterilizzare soluzioni liquide e si usano in genere alla fine del processo
di sterilizzazione. Sono più efficienti in termini di flusso perché sono presenti dei cilindri
molto grandi in cui si ha una grandissima superficie di flusso, su questi cilindri poi sono
presenti dei pori e dei canali a grandezza di granulometria scelta che impediscono al
materiale al di sopra di quella precisa misura di passare assieme al farmaco.

Sterilizzazione termica
Utilizzata principalmente per sterilizzare flaconi e confezioni di farmaci.
Quella più utilizzata è la sterilizzazione con vapore sotto pressione: si tratta di una
sterilizzazione a umido molto penetrante che consente di lavorare con acqua a
temperatura molto alta in autoclave dove si inseriscono sia i materiali da sterilizzare ma
anche le soluzioni già confezionate, stando attenti che la pressione interna esercitata sia
298
compensata dalla pressione esterna (altrimenti esplodono le confezioni). La temperatura
indicata per l’eliminazione dei microrganismi e delle spore è di 121°C.
Per il controllo della sterilità di solito si sfrutta la misurazione della carica batterica prodotta
dal un microrganismo bacillus subtilis, infatti se questo batterio non è presente nel
preparato vuol dire che il prodotto è stato sterilizzato ed è pronto per la vendita. Questi test
vengono posto in genere nei punti meno esposti ai sistemi sterilizzanti (angoli, punti di
buio del flacone) in modo da assicurarsi un’ottima sterilizzazione anche nelle zone più
difficili da raggiungere.

Il calore è secco invece è un tipo di sterilizzazione meno penetrante di quella a umido e


che avviene, ovviamente, in assenza di acqua. Con questo procedimento si induce la
coagulazione delle proteine batteriche e quindi la morte dei microrganismi. Generalmente
si opera a temperature standard secondo le seguenti linee guida.

In questo caso si usano sterilizzatori ad aria statica o a moto convettivo dell’aria.


Ovviamente l’efficienza di sterilizzazione è diversa a seconda dello strumento utilizzato.
La sterilizzazione a calore secco è semplice, non tossica e risulta adatta per diversi
materiali solidi. È un processo abbastanza lungo e discontinuo perché bisogna caricare il
materiale a ciclo continuo, ha un grado di efficienza minore del calore umido ed è
abbastanza costosa dal punto di vista dell’energia.
Come eliminiamo l’acqua da un prodotto ad uso parenterale?
Abbiamo già visto i processi di essiccamento classici come il riscaldamento tramite flusso
di aria calda circolante in condizioni statiche o dinamiche, oppure il metodo a microonde.
In questi casi però si eliminava l’acqua a partire da un residuo solido.
Nel caso di prodotti ad uso parenterale invece si preferisce utilizzare non prodotti essiccati
ma prodotti liofilizzati.

299
LIOFILIZZAZIONE

In un normale processo di essiccamento l’acqua si trova allo stato liquido anche quando si
trova all’interno del solido da cui viene eliminata prima per capillarità e poi per diffusione
tramite la sua trasformazione in vapore. Nella liofilizzazione invece l’acqua si trova allo
stato solido a causa della temperatura estremamente bassa a cui si lavora, la sua
eliminazione quindi avviene dallo stato solido allo stato gassoso con un processo di
sublimazione.

Considerando un diagramma di fase,


la liofilizzazione avviene al di sotto
del punto triplo, cioè a pressione e
temperatura molto basse. È un
processo che avviene in due fasi
simili a quelle dell’essiccamento,
ovvero prima si elimina l’acqua non
legata e poi la l’acqua legata,
ottenendo così un prodotto a
contenuto di umidità molto basso.
È una tecnologia che, anche se molto
complessa, viene utilizzata sia in
ambito farmaceutico che alimentare
anche se purtroppo richiede un
investimento economico molto
elevato a causa dell’alto valore degli
impianti necessari per svolgere il
processo. Infatti, l’energia fornita al sistema viene tutta dissipata e non è possibile
recuperarla, quindi risulta un procedimento costoso anche da questo punto di vista.

Vantaggi liofilizzazione
• Consente di disidratare materiali termolabili come le proteine
• Durante il processo la stabilità del prodotto aumenta sempre di più
• Il prodotto ottenuto è facilmente ricostituito (basta metterlo nell’acqua)
• Si lavora a bassa pressione e si evitano fenomeni di ossidazione
• Le molecole restano sempre ben separate tra loro

Svantaggi
• Processo difficile
• Molto costoso
• Tempi lunghi

Procedimento:
La liofilizzazione avviene a bassissime temperature e in condizioni di vuoto spinto in modo
che l'acqua contenuta nel prodotto previamente congelato si trasformi in ghiaccio e sublimi
passando dallo stato solido a quello di vapore.
Può definirsi, volendo, anche come un processo di disidratazione controllata di prodotti
preventivamente congelati.
Si tratta, in pratica, di congelare il prodotto da trattare ad una temperatura di -30, -40 °C
all'interno di recipienti in acciaio inox (rispondenti alle norme igienico sanitarie), i quali, a
loro volta, vengono posti all'interno del liostato in cui la pressione viene ridotta ad un
300
valore tale che l'acqua presente nel prodotto, precedentemente
congelato, possa sublimare sotto vuoto mediante il
riscaldamento ad una temperatura di 30° C, lasciando il prodotto
essiccato praticamente in maniera completa.
Si ottiene così una massa solida, porosa, friabile, igroscopica,
molto solubile nel medesimo solvente, che occupa lo stesso
volume della massa congelata iniziale, detta liofilizzato. La
ragione principale dello sviluppo di questa tecnologia nel settore
farmaceutico è dovuta alla possibilità di realizzare formulazioni stabili nel tempo
utilizzando sostanze che si degradano facilmente in soluzione.

Operazioni relative al processo di liofilizzazione


1. Fase preparatoria: comprende le operazioni di dissoluzione o sospensione nel
solvente delle sostanze attive e dell'eventuale supporto, filtrazione della soluzione
(quando necessario con effetto sterilizzante seguita da immediato trasferimento del
filtrato in blocco sterile) e ripartizione nei contenitori costituiti generalmente da fiale o
flaconi. Poiché molto spesso la sostanza attiva per ogni contenitore è in quantità
troppo piccola (anche pochi mg) e il volume di soluzione corrispondente sarebbe
difficilmente dosabile con precisione, è necessario aggiungere un eccipiente, che sia
atossico, privo di qualsiasi attività farmacologica e che dia un liofilizzato di bell'aspetto:
uno degli eccipienti utilizzati, é il mannitolo.
2. Fase di liofilizzazione, comprende:
a. Il congelamento della soluzione ripartita che può
essere condotto velocemente o lentamente, però
generalmente lo si esegue in modo rapido perché in tal
modo la formazione di cristalli di ghiaccio si produce
simultaneamente in tutte le parti del preparato e si
ottengono cristalli piccoli e distribuiti uniformemente: la
formazione di strutture cristalline di grandi dimensioni
derivanti da un processo di congelamento lento può
danneggiare il prodotto da liofilizzare (aspetto
particolarmente critico per la struttura cellulare di
materiali organici). Nella liofilizzazione industriale il
congelamento avviene per raffreddamento. Il materiale
può essere congelato nella stessa camera in cui
avviene l'essiccamento o al di fuori, in contenitori detti
precongelatori o frigocelle, ponendolo su piastre portaprodotto che vengono
raffreddate. È opportuno disporre il materiale su ampia superficie e con spessore
ridotto al minimo per facilitare le fasi successive di liofilizzazione.
b. La sublimazione del ghiaccio (o essiccamento), che a sua volta prevede due
punti:
• essiccamento primario: una volta congelato omogeneamente in tutte le sue
parti, il preparato viene sottoposto all'azione del vuoto per provocarne la
sublimazione del solvente. Quando il vuoto raggiunge valori elevati si inizia il
riscaldamento. Durante la sublimazione è necessario che il materiale sia
perfettamente congelato, in caso contrario si possono verificare fenomeni di
fusione della massa con possibilità di alterazione del prodotto. Per questa
ragione è necessario conoscere il valore della temperatura alla quale la massa
congelata comincia a fondere, in modo da poter fissare la zona di lavoro più
idonea. Sono necessarie due condizioni per avere una continuità nel processo:

301
un continuo apporto di calore alle molecole del congelato e l'evacuazione
progressiva del vapore prodotto.
Durante il processo di sublimazione, è necessario fornire calore al prodotto;
diversamente, la sua temperatura diminuirebbe fino ad arrestare il processo di
essiccamento. Per questa ragione si utilizza un termostato che riscalda i ripiani
in modo che possano essere usati per fornire il calore necessario a rimpiazzare
l'energia persa con l'evaporazione dell'acqua di sublimazione in modo da
mantenere il prodotto a temperatura costante.
L'eliminazione del vapore acqueo (necessaria per impedire che la camera di
sublimazione si saturi di vapore acqueo) viene effettuata mediante condensatori
(apparecchiature fornite di superfici refrigerate sulle quali il vapore si deposita
ricondensandosi direttamente come ghiaccio).
• essiccamento secondario: quando l'ultimo frammento
di ghiaccio è scomparso, si può ritenere terminato
l'essiccamento primario: ciò si può apprezzare
praticamente attraverso il rialzo di temperatura della
massa. L'essiccamento secondario è detto anche
desorbimento perché si riferisce all'eliminazione del
solvente adsorbito tramite un ulteriore innalzamento di
temperatura. L'essiccamento secondario serve a
ridurre l'umidità dal 7 all'1% circa del peso secco e ad
aumentare la conservabilità del prodotto essiccato.

3. Fase conclusiva: comprende l'esclusione del vapore


acqueo dal sistema mediante ricongelamento e raccolta su
di un apposito condensatore, l'apertura della camera di liofilizzazione e la chiusura
delle fiale o dei flaconi.

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La scelta del tipo di contenitore è fondamentale per avere una buona liofilizzazione: in
generale è meglio avere un contenitore sufficientemente grande con una superficie di
base ampia. I vantaggi dell’utilizzo di questi tipi di contenitori sono che il processo di
liofilizzazione è molto più rapido, si consuma meno energia e si ottiene un prodotto
migliore perché l’eliminazione dell’acqua avviene in modo molto più omogeneo. Nel
contenitore piccolo infatti si dovrebbe eliminare acqua da stati sempre più profondi, in
quello più grande invece l’eliminazione è più omogenea.

303
Liofilizzatore
In immagine si vede un classico lifolizzatore di un’industria.
Viene lavato e sterilizzato periodicamente e deve essere
controllato in ogni ciclo, si valuta anche il massimo livello di
caricamento del prodotto sulla cui base si decide il lotto,
infatti non bisogna mai sovraccaricare il liofilizzatole. Il
processo di liofilizzazione prende molto tempo e dura fino a
1 settimana.

Contenitori per parenterali


Sono contenitori che devono garantire stabilità e sterilità. La FUI fornisce indicazioni
precise sui materiali che possono essere utilizzati che devono essere il più possibili
trasparenti per permettere l’ispezione visiva. Devono essere materiali certificati con
specifiche particolari, spesso vetro o plastica.
Anche la chiusura dei contenitori è specifica per ognuno, nelle fiale ad esempio la parte
terminale si può rompere, mentre i flaconi devono avere un tappo perforabile e, nel caso
dei multidose, la perforazione deve essere reversibile.

Uno dei materiali più utilizzati per uso parenterale è il vetro. Ci sono tanti tipi di vetro,
alcuni sono ad uso parenterali altri no. Si tratta di un composto di ossido di silicio a cui
vengono aggiunte varie sostanze per ottenere vetri di diverso (ad esempio il vetro di
Boemia contiene piombo).
Vengono classificarti da tipo I a tipo IV:
• Nel tipo I ci sono ossidi di silice combinati con ossidi di boro e di alluminio a formare un
reticolo dentro la massa vetrosa (ricorda: il vetro è un materiale fluido, quindi non
sarebbero reticoli propriamente cristallini). Questo reticolo conferisce un’ottima
resistenza termica e meccanica alla struttura e si può utilizzare per preparazioni
parenterali e non.
• Il vetro di tipo II è il sodio-calcico, in questo caso è trattata solo la superficie del vetro
che risulta quindi neutra. Presenta una maggiore resistenza idrolitica rispetto al vetro
normale e può essere usato anche per soluzioni parenterali acide o basiche.
• Il vetro di tipo III è un
vetro sodico calcico
con una media
resistenza idrolitica,
viene usato per
parenterali solo
acquosi e non oleosi.
• Il vetro di tipo IV è di
tipo sodico-calcico e
presenta una
resistenza idrolitica
molto bassa, non
viene utilizzato per
preparazioni
parenterali.

304
Contenitori polimerici:
Sono costruiti da materiali plastici, principalmente poliporpilene, polietilene e
polivinilcloruro. Sono termoplastici quindi vengono stampati e poi lavati con acqua sterile
per la sterilizzazione e poi essiccati a bassa temperatura.

Abbiamo poi le sacche che sono contenitori di materiale plastico composto, cioè di
diverso tipo a seconda della sacca. Sono contenitori costituiti da materiali molto flessibili
adatti a grandi volumi à liquido in questo caso viene erogato per semplice caduta.

Siringhe: Sono costituite da materiale plastico composto (polietilene, polirpopilene,


polivinilcloruro) a seconda dell’impiego. Ne abbiamo di diverso tipo:
• Usa e getta sterilizzate
• Siringhe pre riempite (ad esempio per l’interferone): hanno il vantaggio che il dosaggio
è già inserito. Spesso sono dosabili, cioè hanno un meccanismo in cui si dosa la quantità
di sostanza che viene iniettata => sono molto precise ed accurate, quindi si evita una
serie di passaggi di gestione del prodotto. Lo svantaggio è che una parte del prodotto
può essere buttata via.
• Siringhe dosabili con ago corto
• Penject: compressione di un gas inerte che vaporizza il farmaco che penetra sotto
l’epidermide (solo sottocute) => usate in chirurgia estetica
• Injest: iniezione sottocute in cui la pressione necessaria all’uscita del farmaco è data da
una molla.
• Poweject: il farmaco è in polvere e la siringa inietta sottocute.

Pompe impiantabili
Sono sistemi con un microprocessore esterno impiantati sottocute da cui rilasciano il
farmaco. Di solito non sono emulsioni o sospensioni perché non sarebbero stabili a lungo
tempo. Alcune pompe sono autoregolabili altre sono regolabili dall’esterno. Sono un
sistema efficiente, il problema che spesso si presenta però è l’occlusione dell’ago da parte
di un po ’di prodotto.
Furono il primo prodotto per il trattamento di HIV e i risultati furono molto buoni perché
consentivano di tenere il livello di farmaco nell’organismo costante.

305
Approfondimento: TECNOLOGIA FARMACEUTICA AVANZATA

Si tratta di una disciplina atta alla sperimentazione di nuove opportunità terapeutiche a


seguito della scoperta di molecole innovative, di nuovi prodotti chimici, di farmaci
biotecnologici e dello sviluppo di nuovi sistemi terapeutici di veicolazione che consentono
di arrivare al target prescelto.

I sistemi terapeutici possono essere attuati tramite:


• Meccanismi passivi: meccanismi che permettono l’arrivo di un prodotto al target preciso
che voglio raggiungere.
• Meccanismi attivi: si sfrutta una caratteristica precisa della cellula e si utilizza una
particolare molecola che la riconosce.

Ad esempio si sono sviluppati sistemi colloidali con un volume molto piccolo e una
superficie enorme à in questi sistemi la superficie diventa l’elemento più importante da
sfruttare per i miei studi farmaceutici.

I sistemi colloidali permettono di modulare la superficie a nostro piacimento e di avere


un’efficacia maggiore dei classici farmaci sfruttando le caratteristiche del vari tessuti. Per
esempio, per arrivare a una massa tumorale si può sfruttare la circolazione sanguigna che
porta nutrimento a quella massa si cellule; in particolare sappiamo che i vasi sanguigni
tumorali hanno finestre morto grandi attraverso cui è possibile far penetrare sistemi
colloidali (non nei tessuti sani perché non passano) tramite un meccanismo passivo.
L’utilizzo di questi sistemi garantisce un alto grado di sicurezza nei confronti delle tessuti
sani poiché i vasi che li irrorano presentano finestre molto più strette attraverso cui un
colloide non è in grado di passare.

In questo campo si progettano anche sistemi polimerici in cui a un polimero viene legato
covalentemente il farmaco da veicolare in modo che esso venga rilasciato tramite l’idrolisi
del legame. In questo campo si utilizzano sistemi colloidali di grandi dimensioni che
riescono ad entrare tramite un meccanismo passivo favorito dall’aumento di permeazione;
una volta entrati rilasciano il farmaco che poi rimane in loco.
Esistono poi sistemi, come alcune micelle, che in base al pH cambiano la loro struttura
diventando idrofilici/fobici a contatto con cellule tumorali che, normalmente, presentano un
pH diverso da quello fisiologico à in questo modo si riesce a far arrivare il farmaco solo
dove è presente la patologia.

In ambito farmaceutico si utilizzano molto anche le nanoparticelle d’oro. A seconda della


loro dimensione presentano caratteristiche superficiali ottiche diverse e questo fa sì che si
possano sfruttare usate per diversi scopi.
Le particelle d’oro hanno una superficie molto estesa che può essere modificata inserendo
diversi, in particolare sostanze che garantiscano un riconoscimento attivo del target. Ad
esempio in laboratori specializzati è stato creato un sistema formato da due polimeri legati
insieme tramite una porzione ionizzabile e una no, ed è stato poi inserito un agente che
riconosce il target scelto nella parte finale del secondo polimero.
Quando nel tumore il pH si abbassa, la prima parte diventa idrofobica perché acquista un
protone e quindi si contrae e collassa => in questo modo la seconda parte è esposta e
riconosce la cellula tumorale. Il fatto che questi sistemi siano veicolati tramite particelle
d’oro risulta molto utile perché, una volta dentro la cellula, possono essere scaldate
inducendo così la morte della cellula.

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Questo processo è pH dipendente in quanto solo grazie a una variazione di pH
(acidificazione) il sistema polimerico è in grado di contrarsi. Per esempio a pH 6.5 le
particelle entrano bene nelle cellule tumorali, invece a pH un po’ maggiore, intorno a 7.4,
fanno molta più fatica poiché non tutte risultano ionizzate e quindi presentano dimensione
maggiore rispetto alla forma contratta.

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