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FARMACEUTICA
2019-2020
E.B.
B.C.
A.D.R.
V.P.
1. PRINCIPI E OBIETTIVI DELLA FORMULAZIONE
FARMACEUTICA
INTRODUZIONE
Quello che chiamiamo prodotto farmaceutico è il prodotto finale, cioè il farmaco messo in
commercio e non il semplice principio attivo infatti le aziende che producono prodotti
farmaceutici sono aziende farmaceutiche, mentre quelle che riducono il principio attivo
sono aziende chimiche. Quelle farmaceutiche fanno il prodotto finale.
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CLASSIFICAZIONE DEI PRODOTTI FARMACEUTICI
I prodotti farmaceutici si possono dividere in due grandi categorie:
• Medicinali con AIC
• Medicinali senza AIC
A.I.C.= AUTORIZZAZIONE ALL’IMMISIONE IN COMMERCIO
Sono medicinali dispensati esclusivamente dal farmacista, non raggiungibili dal paziente.
Tra questi troviamo:
• Galenici
Sono senza l’autorizzazione in commercio AIC perché preparati in farmacia. La farmacia è
un’officina in cui è autorizzata la produzione di medicinali. Tra i galenici troviamo:
o Industriali: simili agli officinali, ma di largo consumo. Per esempio sodio gluconato,
tintura iodio o carbone vegetale. Non sono prodotti in farmacia ma da un’industria, da
un’officina farmaceutica. Questi farmaci hanno bisogno dell’autorizzazione per essere
messi in commercio.
• SOP
Medicinali senza obbligo di prescrizione medica, ma non accessibili al pubblico e
dispensabili solo dal farmacista. Inoltre, non possono essere pubblicizzati (a differenza
degli OTC).
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FARMACI DA BANCO (OTC)
Sono prodotti che per composizione chimica e obiettivo farmaceutico possono essere
utilizzati in modo autonomo senza alcuna prescrizione medica o sorveglianza nel corso del
trattamento.
Sono disponibili anche nelle parafarmacie e possono essere pubblicizzati, per questo
motivo sono utilizzati per terapie brevi e patologie non rilevanti.
Gli esempi più comuni sono antinfiammatori, integratori, lassativi.
PRODOTTI INDUSTRIALI
• Farmaci generici
Sono medicinali di cui è scaduto il brevetto e possono essere prodotti anche da
un’azienda diversa rispetto al produttore originale (innovator). Il generico deve essere lo
stesso farmaco, deve avere la stessa quantità di principio attivo e la stessa forma
farmaceutica.
Possono essere classificati in:
MEDICAL DEVICES
Sono prodotti che non hanno attività farmacologica vera e propria, cioè non intervengono
su un processo biologico in maniera diretta, quindi non sono un vero e proprio farmaco.
Tra questi rientrano creme che ricostituiscono la struttura dell’epidermide, colliri come le
lacrime artificiali, strumenti di diagnosi.
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FARMACI BIOLOGICI
• Oligonucleotidi
• Biotecnologici: sono prodotti che, a differenza dei biologici, sono ottenuti tramite i
seguenti processi:
o Processi enzimatici
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• Seconda generazione: farmaci ottenuti tramite una modifica puntiforme nella
sequenza proteica. In questo modo si può cambiare un singolo amminoacido e
ottenere diverse proteine. Un esempio è l’insulina Lys-Pro in cui è stata invertita la
sequenza terminale per migliorare le caratteristiche di biodisponibilità.
Questa tecnica si usa nella cura dell’acromegalia, in pratica si sintetizza una proteina
che si lega in modo selettivo al recettore dell’ormone della crescita e lo inibisce. La
modifica dell’AA può avvenire a livello del genoma o a livello post-trascrizionale sulla
proteina, legando ad essa dei polimeri.
• Terza generazione: sono proteine altamente modificate in vari punti con cui si
ottengono nuove entità terapeutiche particolarmente efficienti.
OFF LABEL
Caso di Avastin (Roche) e Lucentis (Novartis), due farmaci di aziende svizzere accordate per ottenere un
profitto altissimo con lo stesso farmaco.
Avastin à Bavacizumab è un anticorpo Mab anti VEGF scoperto dall’azienda californiana Genetech nel
2004 come farmaco antitumorale. Se ne usa una quantità abbastanza alta, dai 5 ai 15 mg/Kg ogni 2-3 mesi
per un periodo prolungato, il costo è di 80 euro a dose. La Roche vide che il farmaco era adatto anche per il
trattamento della degenerazione maculare wet (AMD). Funzionava perché Avastin è un anticorpo anti VEGF
( fattore di crescita vascolare che permette la crescita dei vasi sanguigni tumorali) che impedisce l’eccessiva
crescita delle cellule tumorali à bloccando i vasi sanguigni nel tumore infatti, questo non cresce più.
L’AMD è la stessa patologia ma localizzata: avviene soprattutto a una certa età e comporta che non si abbia
più la visione completa ma si vedano solo i contorni a causa di una crescita a livello della macula dei vasi
sanguigni. Bloccando questi vasi si ripristina la situazione e si torna a vedere normalmente. Per curare tale
patologia si inietta il farmaco direttamente nell’occhio in dose molto piccola (1 µg) una volta al mese per 2-3
mesi. I prodotti sono molto simili perché Avastin è l’anticorpo Mab mentre il Lucentis è la porzione Fab,
ovvero la parte funzionale che interagisce con l’antigene. In questo caso VEGF e ne blocca la funzione di
stimolazione dell’angiogenesi tumorale.
Quindi questi due farmaci sono la stessa cosa ma il secondo è molto più caro, costa 900€. Le due aziende
si sono messe d’accordo per utilizzare Lucentis per l’AMD e non Avastin in modo da avere più guadagni e
comunicando che Avastin non era adatto per l’AMD perché aveva pesanti effetti collaterali. Era stato fatto
addirittura un accordo commerciale per la condivisione degli introiti. Si è effettuato poi uno studio sull’AMD
promosso dall’associazione di malati di AMD e il risultato è stato che i due prodotti erano perfettamente
identici e ce non c’era alcun effetto collaterale dall’assunzione di Avastin a livello locale.
Sono dei farmaci che tra loro si confondono molto e possono creare problemi a livello
ospedaliero. Derivano da un problema di sviluppo di mercato e di confezionamento.
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BIOEQUIVALENZA
Due farmaci sono bioequivalenti quando c’è una probabilità > 90% che i valori di
Cmax e tmax stiano all’interno del +/- 20% di differenza.
Un farmaco generico può essere prodotto sia se il brevetto del farmaco branded è scaduto
sia se non è scaduto.
Nel primo caso il prodotto originale è libero, non è più protetto da brevetto e il generico
può essere formulato direttamente. Nel secondo caso, invece, bisogna andare dal
proprietario del brevetto e chiedere se è possibile riprodurre la formula. Lui ha due
possibilità, dire di no o dire di sì e fare un accordo commerciale.
Un’altra possibilità è che il generico venga prodotto dalla stessa casa farmaceutica che
detiene già il brevetto dell’originale, questo conviene quando il brevetto sta per scadere e
l’azienda anticipa rispetto agli altri la produzione del generico. I proprietari di un farmaco
hanno la tutela brevettuale per 20 anni che garantisce l’esclusiva del commercio
all’azienda, questo perché intercorrono 10-12 anni tra la presentazione della domanda di
brevetto e il rilascio dell’AIC e all’azienda rimangono solo 8-9 anni di commercio esclusivo.
Infatti spesso il costo del medicinale copre semplicemente i costi utilizzati per lo studio di
quel farmaco.
Esiste volendo un certificato che allunga la protezione del brevetto di 5 anni. La durata
finale, dal momento di presentazione al momento in cui scade è di 20-25 anni.
I generici hanno avuto molto successo sul mercato perché hanno un costo nettamente
inferiore rispetto agli originali. I generici, per legge, sono identici all’originale ma in realtà
c’è sempre la variazione del ± 20%, anche se restano comunque bioequivalenti. Il prezzo
è inferiore perché nella normativa italiana il generico deve costare almeno il 20% in meno
dell’originale.
Studi richiesti per i generici: non è richiesto uno studio clinico, ma uno studio di
disponibilità e biodisponibilità.
Gli studi di bioequivalenza sono necessari per prodotti che richiedono un preciso dosaggio
perché una dose più alta porta facilmente a fenomeni di tossicità.
Si conduce dunque un profilo farmacocinetico testando in particolare farmaci molto
instabili o poco solubili, oppure che presentano una grande variabilità individuale. Questi
studi non sono necessari quando il farmaco è formulato in soluzione perché in questo
caso è già disponibile, quindi non c’è bisogno di uno studio di bioequivalenza e di
biodisponibilità.
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STORIA DEI PRODOTTI FARMACEUTICI
Lo sviluppo dei primi farmaci inizia nell’antica Grecia con Galeno (Macedonia).
Prosegue poi con altre personalità rilevanti come quella di Paracesius (1600, scienziato
svizzero).
Nel 1800 negli USA compare il primo compendio ufficiale.
Nel 1850 inizia l’era dei brevetti farmaceutici. Il brevetto è fondamentale perché lo sviluppo
farmaceutico si basa sulla possibilità di investire in risorse. Il brevetto in Italia è stato
introdotto molto più tardi e questo ha rallentato lo sviluppo dell’azienda farmaceutica
italiana. Durante la Seconda Guerra Mondiale ci fu un’età d’oro per l’ambito farmaceutico:
vennero prodotti farmaci che furono poi immessi nella vita comune come sulfamidici e
antibiotici. Si susseguirono poi degli atti formali in cui si introdussero regolamenti e metodi
di analisi, attività per garantire la qualità del prodotto e sicurezza del cittadino.
Negli anni 1980/2000 iniziò il periodo dei prodotti biotecnologici, come l’insulina umana,
l’ormone della crescita, l’interferone e gli anticorpi monoclonali.
L’obiettivo iniziale della tecnologia farmaceutica era di trasformare un sostanza con attività
terapeutica non del tutto nota in una forma farmaceutica che fosse somministrabile e
assimilabile. Per esempio, se fosse stato un prodotto per via orale si sarebbe fatto un
liquido o una compressa, se fosse stato topico si sarebbe preferita una crema e così via.
Oggi la tecnologia farmaceutica è una scienza molto complicata, non si parla più di forma
di dosaggio ma si parla di sistema di drugs delivery e di sistemi intelligenti o smart,
cioè sistemi che rispondono a determinate situazioni dell’organismo. Pensiamo per
esempio alle compresse gastro-resistenti: sono una forma smart che arrivano nello
stomaco e rimangono intatte così da rilasciare il farmaco solo nell’intestino à in questo
modo si può stabilire esattamente dove voglio che il mio farmaco venga rilasciato.
Non è più una prova sbaglia-impara, lo sviluppo farmaceutico si basa su analisi e protocolli
precisi. Una volta si facevano poche operazioni, oggi si fanno operazioni molto complesse
e in modo sequenziale così da avere un controllo in real time della qualità del prodotto.
Per quanto riguarda la produzione industriale del farmaco stesso, si può operare in batch
cioè in continuo (il più utilizzato).
Ci sono 3 pilastri sulla base dei quali si sviluppa il prodotto farmaceutico il cui obiettivo è
quello di ottimizzare:
• EFFICACIA: l’efficacia è definita in modo indiretto dalla biodisponibilità, dalla
concentrazione nel sangue e nelle urine. Il riscontro ottenuto da tali parametri indica se
il farmaco è efficace o meno.
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cui gli effetti si manifestano, la presenza di reazioni non previste (intolleranze,
assuefazione), l’interazione con altri farmaci e la stabilità chimico fisica del farmaco.
Per svolgere questi passaggi è necessario fornisce l’input (azione svolta dal tecnologo
farmaceutico) per ottenere l’output. Il mio obiettivo (output) finale sono efficacia, stabilità,
sicurezza, convenienza, affidabilità.
Per sviluppare un nuovo prodotto si può ottenere un nuovo principio attivo che però è
estremamente costoso, solo 1 su 10000 ha una chance di diventare un prodotto
farmaceutico. Spesso infatti questi prodotti si fermano in fase clinica 2 o 3 che durano
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molto tempo e sono molto dispendiose. Ci vogliono anche un certo numero di anni per
trovare delle nuove molecole (10-15 anni).
È invece più semplice sviluppare un nuovo prodotto farmaceutico con una molecola che è
già sul mercato. Anche qui ci vogliono degli anni ma è meno dispendioso e la probabilità di
successo è molto più alta.
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2. PRINCIPI DI PREFORMULAZIONE E FORMULAZIONE
FARMCEUTICA
Nel grafico sono riportate in ordinata l’intensità di efficacia in funzione della dose di
farmaco (variabile dipendente) e in ascissa la dose di farmaco (concentrazione), ovvero la
variabile indipendente.
Il grafico mostra un andamento sigmoidale. Se la sigmoidale è molto larga e poco ripida
vuol dire che il farmaco è poco potente, mentre se è stretta e ripida vuol dire che basta
una piccola dose per avere un’efficacia alta.
Si parla quindi di variabilità, uno dei maggiori problemi nello sviluppo farmaceutico; deve
essere ridotta il più possibile perché i farmaci industriali devono rispondere alle esigenze
di tutti. La variabilità dipende da stato fisiologico, patologico, ambiente, età, genere, fattori
genetici.
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STEP DELLO SVILUPPO FARMACEUTICO
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GANTT
È uno schema temporale delle varie fasi ragionevole per il mio progetto.
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FARMACOPEA UFFICIALE ITALIANA (FUI)
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la disponibilità). Si determina anche la biodisponibilità che, invece, è il passaggio del
farmaco attraverso le membrane, l’entrata in circolo e l’arrivo al sito.
• Sviluppare un prodotto stabile nel tempo (shelf time: tempo di scaffaleà scadenza)
• Preparare una formulazione ottimale
• Avere una buona compliance e convenienza
• Garantire un rilascio controllato
• Minimizzare gli effetti collaterali
• Rilascio convenzionale (rilascio rapido): sono tutte le forme farmaceutiche in cui non
si è svolta alcuna azione mirata a modificare la disponibilità del farmaco. Quando il
farmaco esce dalla compressa si rende disponibile immediatamente. Parliamo quindi di
disponibilità che dipende da tanti fattori, ma principalmente dalle caratteristiche del
farmaco stesso (se è solubile o meno).
Il rilascio convenzionale è quando la forma farmaceutica non ha alcuna influenza, cioè
la disponibilità dipende esclusivamente dalle caratteristiche del farmaco. La compressa
non influenza in alcun modo la velocità di rilascio, poiché non è stato fatto alcun
progetto di modifica di rilascio.
Una disponibilità immediata si ha quando si scioglie l’85% del farmaco nei primi 30
minuti.
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• Rilascio controllato: si utilizza per avere un’azione più rapida in caso, per esempio, di
salvavita, oppure per avere un effetto più prolungato e costante, per esempio nel caso
di una patologia cronica come l’ipertensione. In quest’ultimo caso il farmaco deve avere
copertura terapeutica di 24h e deve essere assunto una volta al giorno. Per una
patologia come l’ipertensione è utile un rilascio controllato poiché altrimenti si dovrebbe
assumere il farmaco ogni 3 ore.
Un altro motivo per utilizzare questa formulazione può essere la volontà di far rilasciare
il prodotto non subito nello stomaco ma in altri distretti à si preparano forme
farmaceutiche resistenti all’ambiente gastrico e che rilasciano il principio attivo in un
altro sito dove questo deve agire (sito target).
o Modificato: preparazioni in cui la velocità e il sito di rilascio del principio attivo sono
differenti da quella di una forma farmaceutica convenzionale (esempio Moment act).
Questa modifica viene fatta con un progetto formulativo, utilizzando particolari
eccipienti e modalità di preparazione. Poi si può variare anche la modalità di
preparazione, per esempio se si varia la pressione applicata per compattare la
compressa.
Il rilascio modificato può essere prolungato quando il farmaco è rilasciato più
lentamente per un’azione più duratura; ritardato quando il rilascio avviene in un
distretto lontano dalla somministrazione; ripetuto quando il farmaco viene rilasciato
in più dosi a tempi diversi.
o Direzionato
o Uso Locale
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3. ANALISI FARMACOCINETICA
Farmacocinetica: è la variazione di concentrazione del farmaco nell’organismo in
funzione del tempo, ovvero lo studio dei meccanismi delle cinetiche di assorbimento,
distribuzione, metabolismo ed eliminazione. Quando assumiamo il farmaco esso viene
assorbito con una certa velocità, distribuito, metabolizzato e poi eliminato à l’insieme di
questo processi corrisponde alla cinetica del farmaco (si parla di ADME: assorbimento,
distribuzione, metabolismo ed eliminazione). Precisamente metabolismo ed eliminazione
fanno parte dello stesso gruppo perché quando un farmaco viene metabolizzato cambia
la sua forma originale che in parte viene quindi già eliminata, entrambi i meccanismi
concorrono alla scomparsa del farmaco.
VIE DI SOMMINISTRAZIONE:
• Orale (80% delle forme farmaceutiche)
• Aerosol (via polmonare, inalatoria)
• Parenterale (intravenoso, intramuscolo)
• Topica, o cutanea
• Transdermica (i cerotti transdermici fanno penetrare il farmaco negli strati più profondi
dell’epidermide)
• Rettale (complicata e poco accurata à non dà un risultato terapeutico chiaro)
• Oculare locale e quindi topico (creme, colliri) o anche intraoculare, in cui si inietta
direttamente all’interno dell’occhio un farmaco.
La via orale è quella più naturale perché sfrutta la stessa via di assorbimento dei vari
nutrienti.
Il tipo di somministrazione si decide in base alle proprietà chimico-fisiche e
biofarmaceutiche del farmaco; in genere si fa riferimento alla BCS, ovvero una
classificazione dei farmaci sulla base di due caratteristiche, solubilità e assorbimento.
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Devo valutare inoltre:
• Le caratteristiche di disponibilità/biodisponibilità
• Le caratteristiche farmacologiche (attività ,tossicità, target)
• La classe terapeutica, conoscendo l’indice terapeutico (posologia)
• La velocità di azione (action rate)
• A che persona è indirizzato il farmaco (fascia di età, profilo del paziente)
• Dove viene svolto il trattamento (a casa, in ospedale o dal medico)
La farmacocinetica quindi:
• Determina quando inizia l’azione farmacologica (on set), la durata e l’intensità
farmacologica del farmaco
• Descrive e predice il comportamento del farmaco nell’organismo
• Predice il profilo farmacologico e gli effetti collaterali
• Determina la biodisponibilità
• Seleziona il dosaggio
• Consente di definire il regime di dosaggio (quante volte al giorno/al mese) e la via di
somministrazione
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Questi 3 farmaci hanno la stessa AUC (area sotto la curva) quindi la stessa quantità
assorbita di farmaco nel tempo, ma diversa performance farmacologica.
La curva B è l’unica che ha un tempo di durata efficace, da 1 a 8 ore circa.
Guardando i prossimi due grafici abbiamo due forme farmaceutiche con DIVERSE VIE DI
SOMMINISTRAZIONE.
Somministrazione endovenosa
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Somministrazione orale
BIODISPONIBILITÀ
𝐴𝑈𝐶&'()*
𝐹=
𝐴𝑈𝐶&+,-
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• La biodisponibilità relativa (A) è data dal rapporto delle AUC di due FORME
FARMACEUTICHE DIVERSE di uno stesso farmaco, oppure dal confronto con lo stesso
non formulato.
𝐴𝑈𝐶*
𝐴=
𝐴𝑈𝐶.
𝐴𝑈𝐶(𝐴)
𝐷𝑂𝑆𝐸(𝐴)
𝐴= 6𝐴𝑈𝐶(𝐵)
𝐷𝑂𝑆𝐸(𝐵)
𝐴𝑈𝐶7&+&)89-
𝐶=
𝐴𝑈𝐶.)*+,
Per esempio l’Oki task granulato che è diverso da una compressa (sempre di Oki) per
quanto riguarda la velocità di rilascio (a parità di principio attivo). Da un granulato infatti il
principio attivo viene rilasciato più velocemente rispetto che da una compressa.
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Altri eccipienti sono i disaggreganti che facilitano la
rottura della forma farmaceutica, quindi maggiore è
loro concentrazione, più velocemente il principio
attivo si renderà disponibile à cambia la
farmacocinetica (anche a seconda del tipo di
disaggregante).
MODELLI FARMACOCINETICI
NON COMPARTIMENTALI
I modelli non compartimentali sono grafici descrittivi e molto semplici in cui si riporta la
concentrazione del farmaco nel sangue in funzione del tempo.
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Se tmax rimane costante,
all’aumentare della Cmax aumenta
l’AUC e quindi la biodisponibilità.
Questi modelli sono importanti perché, essendo molto semplici e chiari, sono difficili da
“truccare”. Per questo sono spesso richiesti dagli organi regolatori nella presentazione
dello studio farmacocinetico di un prodotto farmaceutico.
MODELLI COMPARTIMENTALI
Compartimento: è un insieme di organi non correlati tra loro per struttura, funzione o
locazione in cui si registra la stessa variazione di concentrazione di farmaco.
¨ Modello fisiologico
Il farmaco si trova nel circolo arterioso e da qui si distribuisce nei vari compartimenti per
poi passare al circolo venoso per essere eliminato. Questo modello non si usa spesso
perché risulta molto complicato.
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¨ Modello mamillare
Il farmaco va nel primo compartimento centrale (sangue) e da qui si distribuisce ai vari
compartimenti. Il circolo sanguigno è il primo compartimento centrale.
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¨ SISTEMA MONOCOMPARTIMENTALE SENZA ASSORBIMENTO
𝐶𝑝 = 𝐶𝑜 ∗ 𝑒 >?(@A)∗B
Il primo grafico è in scala normale mentre il secondo grafico (la retta) è riportato in scala
semi logaritmica.
Essendo una cinetica del primo ordine essa non raggiunge mai lo zero perché
l’andamento è di tipo esponenziale (non esiste il logaritmo di zero).
Viene da pensare che in una cinetica di primo ordine il farmaco non venga mai eliminato
poiché i valori si dimezzano ma non si raggiunge mai lo 0 (curva asintotica), ovviamente
nella realtà viene comunque eliminato.
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La velocità è uguale alla variazione della concentrazione nel tempo.
Co corrisponde alla dose per il volume di sangue, quindi si esprime come DOSE/V e
rappresenta l’intercetta della retta.
Il tempo di dimezzamento (t/2 max) è il tempo necessario per dimezzare la
concentrazione plasmatica.
Calcolo di t/2max:
𝐶𝑝
ln = ln 𝐶𝑝 − 𝐾𝑒𝑙 ∗ 𝑡/2
2
𝐶𝑝 1
ln K ∗ M = −𝐾𝑒𝑙 ∗ 𝑡/2
2 𝐶𝑝
1
ln = 𝐾𝑒𝑙 ∗ 𝑡/2
2
0,693
𝑡 T2 =
𝐾𝑒𝑙
Nella cinetica di primo ordine la velocità dipende dalla concentrazione, infatti la relazione è
𝑣 = 𝑘 ∗ [𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒].
Nella cinetica di ordine zero invece la velocità non dipende da nessuna concentrazione,
ma solo dalla costante cinetica k à 𝑣 = 𝑘
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¨ SISTEMA BICOMPARTIMENTALE SENZA FASE DI ASSORBIMENTO
𝐶𝑝 = 𝐴𝑒 >aB + 𝐵𝑒 >aB
Abbiamo due compartimenti, presumibilmente il primo è il sangue (centrale) mentre il
secondo è di diverso tipo (Compartimento: insieme di organi/tessuti correlati non dalla
funzione, struttura, localizzazione o concentrazione di farmaco, ma dalla variazione
omogenea di concentrazione di farmaco nel tempo).
In questo modello farmacocinetico il farmaco viene somministrato direttamente nel circolo
sanguigno e poi si distribuisce nel compartimento periferico.
Sono presenti, quindi, 2 cinetiche, una di distribuzione e una di eliminazione.
Nel modello precedente l’unica cinetica rappresentata era quella di eliminazione descritta
da Kel, con cui si raggruppava sia il metabolismo che l’eliminazione del farmaco attraverso
l’urina.
In questo caso, invece, c’è sempre K eliminazione, cioè l’eliminazione dal compartimento
centrale (il farmaco scompare), ma poi ci sono altre costanti che descrivono la cinetica di
distribuzione, che sono K1,2 dal centrale al periferico e K2,1 dal periferico al centrale
(costanti diverse).
Quando somministriamo un farmaco non abbiamo mai solo uno degli eventi (distribuzione
o eliminazione), ma sono presenti entrambi nello stesso momento e non avvengono in
modo sequenziale.
Quando somministriamo un farmaco per via endovenosa esso inizia ad essere eliminato, a
distribuirsi e contemporaneamente a tornare indietro; gli eventi, quindi, non sono
sequenziali e consecutivi l’uno all’altro, ma avvengono tutti contemporaneamente con la
differenza che contribuiscono in modo diverso.
Questo accade perché il sistema è descritto da cinetiche di primo ordine che dipendono
dalla concentrazione del farmaco. Quest’ultima, cambiando continuamente nel
sangue/tessuto periferico, fa variare le velocità ADME in ogni istante.
Se appena somministrato un farmaco nel sangue abbiamo una concentrazione elevata, la
velocità con cui il farmaco scompare dal sangue sarà anch’essa elevata essendo
direttamente proporzionale alla concentrazione:
𝑣 = 𝑘 ∗ [𝑐𝑜𝑛𝑐𝑒𝑛𝑡𝑟𝑎𝑧𝑖𝑜𝑛𝑒]
Man mano che diminuisce la concentrazione diminuisce anche la velocità con cui il
farmaco viene eliminato. Quindi le velocità di passaggio da un compartimento all’altro
cambia continuamente a seconda della concentrazione del farmaco in quel
compartimento.
Per questo motivo l’andamento non è lineare à gli eventi avvengono
contemporaneamente, quindi appena il farmaco entra nel sangue, subito comincia ad
essere eliminato, distribuito nel compartimento periferico e poi a tornare indietro.
Quindi all’inizio, con la somministrazione endovenosa, la concentrazione di farmaco nel
sangue è elevata, mentre nel periferico sarà più bassa.
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Si può affermare allora che tanto più farmaco verrà eliminato e distribuito nel periferico,
tanto meno tornerà dal periferico al centrale. Invece, man mano che si abbassa la
concentrazione di farmaco nel centrale, diminuisce anche la velocità di eliminazione dal
centrale e aumenta la concentrazione nel periferico, di conseguenza il farmaco torna
indietro in maggior quantità.
Anche in questa curva vediamo una scala semilogaritmica sull’asse y da cui si deduce un
andamento secondo una cinetica di primo ordine.
Si vedono due parti a ripidità diversa:
- Parte di discesa rapida (fase a)
- Parte lineare terminale (fase β)
Quindi non abbiamo un andamento unico che va sempre nello stesso modo ma abbiamo
due zone ad andamento diverso che indicano che nella farmacocinetica stanno
avvenendo eventi diversi.
La prima parte del grafico è chiamata fase a, mentre la seconda parte del grafico è detta
fase β.
La fase a indica, anche se NON LO È, la fase di distribuzione, il passaggio dal centrale al
periferico. Essa non è la fase distribuzione ma la rappresenta perché comunque in
contemporanea avvengono anche gli altri eventi.
In questa fase la concentrazione di farmaco che passa dal compartimento centrale al
periferico è molto elevata, quindi la distribuzione è uno degli eventi principali. Infatti, la
concentrazione in questa parte di grafico cala molto velocemente perché sono presenti
due eventi molto importanti che contribuiscono a diminuire la concentrazione di farmaco
nel sangue, cioè il passaggio nel periferico e l’eliminazione.
Una volta trovati questi 4 valori si riesce ad ottenere dei parametri farmacocinetici che
indicano come si comporta il farmaco, ovvero il profilo farmacocinetico.
¨ t/2 a: indica il tempo di dimezzamento della fase alfa, indicativo della velocità con cui si
distribuisce nel compartimento periferico. Più piccolo è il t/2 alfa più rapida è la
distribuzione => se t/2 alfa è molto lungo significa che il farmaco ci ha impiegato tanto
tempo a distribuirsi nel compartimento periferico.
¨ t/2 ß: indica quanto velocemente il farmaco viene eliminato dall’organismo.
¨ AUC: l’area sotto la curva.
¨ Co: concentrazione iniziale data da A+B.
¨ CL: clearance espressa come volume di sangue che viene purificato dal farmaco
nell’unità di tempo. CL = DOSE/AUC
• AUMC: area sotto la curva all’ultimo punto.
• Vc: volume compartimento centrale = DOSE/A+B
• MRT: tempo medio di permanenza di una molecola di farmaco del sangue.
• Volume di distribuzione: è il volume teorico necessario per avere la stessa
concentrazione di farmaco sia nel compartimento periferico che nel centrale. È un
parametro che indica quanto farmaco si distribuisce nel compartimento periferico.
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Esempio:
Somministro 500 mg di prodotto. Se nel sangue ho una concentrazione di farmaco di
100 mg/L, il volume che mi serve per avere 100mg/L di 500mg è di 5 litri (volume
fisiologico di sangue) à in questo caso il volume di distribuzione coincide con quello
del sangue, quindi il farmaco è rimasto all’interno del compartimento centrale.
1) Pongo che 50mg siano andati nel periferico; nel sangue quindi rimangono 450 mg e
una concentrazione di 90 mg/L (450 mg/5L) à significa che per avere una
concentrazione di 90mg/l di tutta la dose somministrata dovremmo avere 5.55 L di
sangue. 450 : 5L = 500 : x = 5.55 L
2) Suppongo invece che si distribuisca al 50%, quindi abbiamo 250 mg nel sangue e
250 mg nel periferico. Avremo una concentrazione nel sangue di 50mg/L ma questa
volta per avere tutta la dose alla stessa concentrazione presente nel sangue
dovremmo avere 10 LITRI.
Ciò significa che più grande è la DOSE di farmaco che si è distribuita nel
compartimento periferico maggiore sarà il VOLUME DI DISTRIBUZIONE.
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Abbiamo visto due modelli (mono e bi- compartimentale) senza fase di assorbimento. La
maggior parte dei sistemi cheabbiamo però ha una fase di assorbimento fondamentale
nello sviluppo farmaceutico.
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¨ MODELLO MONOCOMPARTIMENTALE CON ASSORBIMENTO
Perché la concentrazione ha questo andamento? Quali sono gli eventi cinetici che
avvengono?
Avvengono assorbimento ed eliminazione descritti da cinetica di assorbimento Ka e di
eliminazione Kelim con due valori diversi.
Quindi, per riassumere, abbiamo una fase di assorbimento in cui avviene anche
l’eliminazione, abbiamo un picco massimo in cui la quantità di farmaco assorbita è uguale
a quella eliminata, successivamente prevale la fase di eliminazione sull’assorbimento.
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Su una scala semilogaritmica quest’ultimo andamento è rappresentato da una retta la cui
pendenza è la costante di eliminazione.
Di quale concentrazione si deve tenere conto per calcolare la velocità di una cinetica di
primo ordine? Quella di partenza dell’intestino o quella del sangue?
In una cinetica di primo ordine la velocità dipende dalla concentrazione di farmaco
nell’intestino solo quando la concentrazione nel sangue è talmente bassa da considerarsi
praticamente 0.
In realtà la velocità dipenderebbe dalla differenza delle 2 concentrazioni, quella
dell’intestino e quella del sangue, perché si tratta di un processo diffusivo.
Fase 2: fase di equilibrio (steady state) à si raggiunge Cmax. Tanto farmaco entra nel
sangue quanto ne esce, questo perché la velocità di distribuzione dal centrale al periferico
è uguale a quella che trasferisce il farmaco dal periferico al centrale. Viene inoltre
raggiunto un equilibrio con gli eventi che comportano un’uscita di farmaco dal centrale
(eliminazione) attraverso l’urina o attraverso il suo metabolismo.
Distribuzione ed eliminazione bilanciano l’assorbimento.
Fase 3: fase di post- assorbimento à è una fase un po' più rapida perché non è ancora
avvenuta la saturazione del compartimento periferico, perciò continua a verificarsi la
distribuzione e nel mentre diminuisce la concentrazione di farmaco nel sangue.
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Fase 4: fase di eliminazione. Fase di in cui non c’è più assorbimento, il compartimento
periferico ha raggiunto la saturazione ed è presente un equilibrio con il compartimento
centrale e la prevalenza dell’eliminazione da quest’ultimo. Tuttavia il farmaco eliminato
viene rimpiazzato con un passaggio dal periferico al centrale, quindi avviene ancora la
distribuzione nel senso opposto.
N.B. In questo caso non possiamo calcolare le costanti di distribuzione K1,2 e K2,1 e
nemmeno la costante di eliminazione Kelim, perché i due eventi si sovrappongono, quindi
non posso usare il sistema di Wagner-Nelson.
Dobbiamo determinare allora la costante di eliminazione mediante uno studio endovenoso
secondo un modello bicompartimentale senza assorbimento.
Una volta trovata Kel, la inserisco nell’equazione di Loo-Riegelman (variante di W-N):
Possiamo calcolare ora la costante di assorbimento Ka, graficando 1-Ft contro il tempo.
otteniamo un grafico analogo a quello visto nel modello monocompartimentale con
assorbimento, in cui è presente una prima fase rettilinea la cui pendenza è proprio Ka.
36
4. ASSORBIMENTO DEI FARMACI
MEMBRANE BIOLOGICHE
37
In generale i trasportatori sono più sfruttati da parte di molecole idrofile o cariche, che
quindi non sono in grado di attraversare la membrana autonomamente come i composti
lipofili.
MECCANISMI DI BIOTRASPORTO
DIFFUSIONE PASSIVA:
Rapporto lineare e crescente tra concentrazione e velocità di trasporto, non è saturabile
perché non viene coinvolta una proteina trasportatrice alla quale il farmaco si lega per
essere trasportato. È descritto dalla legge di Fick.
38
TRASPORTO ATTIVO:
È una cinetica enzimatica che segue il modello di Michaelis-Menten.
Man mano che la concentrazione aumenta, il la curva del trasporto arriva a una fase di
plateau in cui tutti i siti dei trasportatori hanno raggiunto la saturazione (Vmax).
È un processo che richiede energia e che quindi consuma ATP, può inoltre avere una
inibizione competitiva, in questo caso parliamo di trasporto modulabile.
39
Abbiamo diversi tipi di carrier nell’organismo a seconda dell’oggetto chimico da
trasportare.
Sono presenti anche dei trasportatori che promuovono la fuoriuscita di sostanze dalla
cellula detti “pompe di efflusso” e sono di diversi tipi:
40
Si possono utilizzare anche degli inibitori “inerti” senza attività farmacologica
(eccipienti) chehanno delle caratteristiche comuni: sono macromolecole anfifiliche a
lunga catena (porzione idrofilica + idrofobica) o polimeri.
Per esempio, il Brij è formato da una porzione idrofilica (PEG) e da una porzione
idrofobica (catena alifatica).
Un altro esempio è Pluronics formato da una catena idrofobica centrale e due idrofiliche
esterne (schema comune di questi composti).
Come funzionano?
La parte lipofila si inserisce all’interno delle membrane creando uno stato disordinato che
altera l’intorno in cui lavorano i trasportatori di efflusso.
La loro azione tuttavia deve essere reversibile e le condizioni iniziali devono poter essere
ripristinate.
41
TRASPORTO FACILITATO
Nel trasporto facilitato si ha un trasportatore che non utilizza energia e non può quindi
operare contro gradiente.
DIFFUSIONE PASSIVA
Si tratta di un processo cinetico di primo ordine di tipo diffusivo descritto dalla prima
legge di Fick dipendente dalla differenza di concentrazione tra il compartimento donatore
e ricevente. Tale processo dipende invece da una sola delle due quando nel ricevente la
concentrazione è pari a 0.
1° legge di Fick:
Maggiore sono il coefficiente di diffusione e la superficie, più veloce sarà la diffusione; più
lipofilo è il farmaco più facilmente verrà assorbito (tenendo in considerazione solo la
membrana).
Maggiore è la differenza di concentrazione (∆C) tra i 2 compartimenti (donatore di
partenza e ricevente di arrivo) più veloce sarà il passaggio attraverso la membrana.
42
Tra tutti i parametri dell’equazione, quello che più
determina l’assorbimento è la differenza di concentrazione.
Infatti se questa fosse uguale, ad esempio, nel sangue e
nell’intestino, la loro differenza sarebbe zero e non
riusciremmo ad assorbirlo.
Quindi all’inizio ΔC deve essere alta poi, man mano che
diminuisce, diminuisce anche l’assorbimento.
Considerando solo il trasporto passivo attraverso la
membrana quindi l’assorbimento aumenta se il farmaco è
più lipofilo.
Effetto del pH
Spesso i farmaci usati sono acidi o basi deboli, quindi hanno una loro pKa/pKb.
Vuol dire che a seconda del pH in cui si trovano saranno in forma ionizzata o non
ionizzata. Una molecola, quando è ionizzata, è idrofilica, mentre quando non è ionizzata è
idrofobica à al variare del grado di ionizzazione cambia lo stato di idrofilicità del farmaco,
e quindi il suo coefficiente di ripartizione olio-acqua.
Di conseguenza, poiché il pH influenza la ionizzazione della molecola, andrà a influire
anche sul coefficiente di ripartizione e quindi sulla capacità di passare la membrana.
43
[1]
Acid drugs: pH − pKa = log [
3]
[1]
Basic drugs: pKa − pH = log [
3]
pH virtuale di membrana
In prossimità della membrana il pH è diverso da quello
centrale perché a questo livello sono presenti delle secrezioni
che alterano le condizioni di membrana. Ci sono anche gruppi
funzionali, superfici ionizzabili e un flusso di acqua differenti
rispetto alle condizioni tissutali.
Tale valore di pH di membrana è importante perché consente
il passaggio del farmaco stesso attraverso la membrana.
𝜋 = 𝑐 · 𝑅 · 𝑇 · 𝑖
πsample
σ (Reflection index) =
π riferimento
44
• se σ ≈ 0 (0 < σ < 1) allora la sostanza sarà permeabile.
Un altro esempio è dato dalla posizione dei gruppi idrofilici (dioli, glicoli=2 ossidrili, gruppi
carbossilici, ossidrilici).
Questi composti, pur avendo lo stesso PM, possono avere una permeabilità diversa a
seconda della posizione dei gruppi ossidrilici e carbossilici che possono formare ponti
idrogeno che aumentano/diminuiscono la lipofilicità della molecola. Con la formazione del
ponte idrogeno, infatti, il gruppo alcolico non è più disponibile ad interagire e a
coordinarsi con l’acqua diventando più “lipofilo”.
45
VIA ORALE
Vantaggi:
• È la via principale perché è semplice da utilizzare con limitazione solo per bambini e
persone anziane con problemi di deglutizione.
• È molto flessibile perché si possono avere diverse forme farmaceutiche anche in
termini di dosaggio, produzione e riproducibilità (capsule, compresse).
• Le forme farmaceutiche sono economiche e costa poco produrle.
• Ha una buona accettabilità da parte dei pazienti, perché è una facile via di assunzione
e i prodotti sono comodi da portare con sé (aumenta la compliance).
• Si possono modulare le dosi molto facilmente.
Assorbimento gastro-intestinale
La maggior parte dei farmaci viene assorbita dall’intestino e arriva prevalentemente a
livello epatico dove viene degradata. A questo livello si ha l’effetto di primo passaggio
epatico (FPE), cioè l’effetto di degradazione del farmaco prima che raggiunga il circolo
sanguigno e il sito d’azione.
Una volta in circolo il farmaco può passare nella bile, nel microcircolo epatico e poi a
livello renale, dove viene eliminato con le urine oppure con le feci.
L’assorbimento per via intestinale è complicato perché il farmaco trova una membrana
molto ben strutturata. Il farmaco infatti deve:
- Essere rilasciato dalla forma farmaceutica
- Passare lo strato della mucosa (il brush border)
- Attraversare le cellule apicali, i fluidi cellulari, la membrana cellulare, la lamina
propria, le membrane delle cellule endoteliali dei capillari, la membrana interna
dell’endotelio
- Arrivare al circolo
46
• Stomaco
Nello stomaco non avviene molto assorbimento poiché sono presenti una membrana
molto spessa, fasci muscolare spessi e uno strato di mucopolisaccaridi che serve per
proteggere la mucosa dello stomaco.
Inoltre l’elevato spessore della membrana Δh (legge di Fick) influisce anche sulla
velocità di assorbimento. Di conseguenza:
• Intestino
47
In realtà nell’intestino sono presenti aree diverse con caratteristiche diverse come pH,
flusso sanguigno, tempo di transito, enzimi, secrezioni, area di assorbimento, spessore
diverso.
Nel fluido intestinale poi non sono presenti enzimi digestivi, a differenza dello stomaco
che contiene la pepsina secreta dalle cellule presenti nella parete ghiandolare. Ci sono
invece enzimi di superficie all’interno delle membrane che fungono da “sentinelle” e che,
quando si ha il passaggio di materiale, cominciano a degradarlo.
Nel colon invece non si trovano enzimi di membrana ma in compenso sono presenti la
flora intestinale e tutti i batteri del microbiota.
ESEMPIO 1:
Preso un farmaco acido con pKa= 5.4 ci aspettiamo che nello stomaco si trovi in forma
non ionizzata, invece nel sangue in forma ionizzata. Per calcolare la frazione assorbita si
utilizza la seguente formula, secondo la teoria di Brodie:
[K]
ACID DRUGS: pH − pKa = log [L]
ESEMPIO 2:
Nello stomaco l’acido acetilsalicilico ha una costante di assorbimento minore rispetto che
nell’intestino. Infatti, anche se nello stomaco a pH=3 si trova nella sua forma non
ionizzata, dunque assorbibile, l’ASA viene comunque maggiormente assorbito
nell’intestino (a pH=6). Questo perché, avendo l’intestino una superficie di
assorbimento più grande, anche se il farmaco è sfavorito perché si trova nella sua forma
ionizzata viene comunque assorbito di più rispetto che nello stomaco.
Per questo motivo quasi tutti i farmaci vengono assorbiti principalmente a livello
intestinale.
48
Le forme ionizzata e non ionizzata influenzano il parametro Ko/w detto coefficiente di
ripartizione olio acqua, quindi la lipofilicità.
Ci sono poi altri fattori che vanno ad influenzare l’assorbimento del farmaco, tra cui:
• Attività fisica à velocizza l’assorbimento
• Posizione di assunzione à distesi o in piedi
• Un’alimentazione grassa à può rallentare lo svuotamento gastrico e può causare un
ritardo nell’assorbimento
49
• Il cibo grasso può aumentare la dissoluzione di alcuni farmaci lipofili e quindi
aumentarne l’assorbimento e la biodisponibilità
• Effetto dell’alcol à l’alcol ha un effetto importante sull’assorbimento dei farmaci
perché li scioglie più facilmente e li rende disponibili immediatamente (picco di
assorbimento molto rapido). Inoltre, altera la permeabilità delle membrane che
diventano molto più permeabili.
è Colon
È in corso una linea di studio per favorire l’assorbimento dei farmaci a livello del colon.
Questo perché nell’intestino tenue abbiamo l’assorbimento degli alimenti, nel colon
invece si ha il riassorbimento di acqua e la produzione di feci mentre non si trovano
enzimi di membrana che cercano di degradare quello che passa attraverso di essa à gli
enzimi intestinali infatti rappresentano un ostacolo per i farmaci più deboli come peptidi,
proteine o ormoni.
50
Si cerca ad esempio di far assorbire l’insulina a livello del colon perché in questo modo
viene meno degradata. A questo livello infatti c’è un importante riassorbimento e quindi
un forte flusso di acqua che favorisce il passaggio delle sostanze attive.
Vedremo più avanti che si utilizzano dei sistemi cronotropici, ovvero farmaci a rilascio
ritardato per oltre le 12 h, oppure altri sistemi che a livello del colon trovano un pH
ottimale per il rilascio del farmaco.
51
5. PRINCIPI DI BIOFARMACEUTICA
Biofarmaceutica: è la scienza base della tecnologia farmaceutica e del drug delivery che
collega tutte le caratteristiche chimico-fisiche delle sostanze con la disponibilità del
farmaco. La disponibilità riguarda la capacità del farmaco di fuoriuscire dalla forma
farmaceutica e rendersi disponibile à è collegata con la biodisponibilità AUC.
FARMACOCINETICA
Uno tra questi passaggi è il rate limiting step (RLS), cioè la fase che limita tutto il
processo. La velocità con cui l’RLS avviene influenza quella di tutto il processo di
disponibilità e biodisponibilità.
52
2) Membrana à influenza il processo di diffusione
Il farmaco è stato rilasciato, quindi è libero e si è reso biodisponibile, entra in circolo e
supera le membrane biologiche. Dipende:
• Dalle caratteristiche del farmaco
• Dalle caratteristiche del sito di rilascio
• Dalle caratteristiche delle membrane (spessore di membrana)
N.B. Non si può intervenire su questo ultimo punto, perché le membrane non sono
modificabili o lo sono in piccolissima parte (v. inibitori delle pompe di efflusso), perciò si
lavora principalmente sul bulk.
53
Solubilità
𝑪𝒔
𝑵𝒖𝒎𝒆𝒓𝒐 𝒅𝒐𝒔𝒆 𝑫𝒐 = 𝑫𝑶𝑺𝑬 ∗
𝑽𝒐
Permeabilità
54
Regola del 5 di Lipinski
Eccezione Aciclovir: bassa solubilità e bassa permeabilità, non segue la regola di Lipinski
ma viene comunque utilizzato anche se presenta una biodisponibilità del 15-30%.
55
6. DISPONIBILITÀ DI FARMACI
• Processo di dissoluzione
• Processo di diffusione a partire da formulazioni in cui è già disciolto (pomate, cerotti)
ad azione locale
• Degradazione della matrice (farmaci iniettati sottocutanei per rilascio prolungato)
• Farmaci osmotici
• Reazioni chimiche
• Reazioni enzimatiche
• Combinazioni dei vari meccanismi
Profarmaco: molecola che presenta generalmente una funzione esterea che inibisce
temporaneamente l’attività farmaceutica, ma ne migliora la solubilità e la permeabilità. È
possibile modulare la velocità di idrolisi di questo legame estereo e controllare così il
rilascio del farmaco.
A seconda della formulazione ho una velocità di rilascio e un’emivita del farmaco diverse.
In particolare, l’emivita si misura calcolando il tempo in cui metà dose del farmaco va in
soluzione (dissolution half life).
56
Solubilità: è la concentrazione di farmaco in condizioni di saturazione (Cs), cioè la
concentrazione massima che possiamo raggiungere prima che si formi un corpo di fondo.
È una proprietà chimico-fisica tipica di ogni sostanza.
Soluzione: è una miscela omogenea di due componenti, ciò vuol dire che in ogni punto la
miscela ha la stessa composizione quali-quantitativa. Una soluzione è costituita da due o
più componenti, uno dentro l’altro (soluto e solvente): il soluto è omogeneamente
distribuito, disperso e solvatato dal solvente con cui instaura interazioni intermolecolari
ottenendo un sistema termodinamicamente stabile.
La soluzione non è una dispersione molecolare ma dimensionale.
Una soluzione è considerata tale quando il soluto disperso ha una dimensione al di sotto
di 1 nm.
Tra 1 nm e 1µm ci sono i sistemi colloidali, invece sotto 1 µm abbiamo le dispersioni
vere e proprie (vedi parte 11).
57
1. Dissoluzione
Durante la dissoluzione si staccano delle molecole dal soluto solido che vanno in
soluzione, per fare ciò si devono rompere dei legami intermolecolari all’interno del soluto
solido, fornendo energia.
Il solvente ora deve formare una “tasca” per accogliere il soluto, quindi anche in questo
caso si devono rompere dei legami tra le molecole del solvente con un dispendio
energetico. Questa energia consumata è parzialmente compensata dal fatto che si
formano dei nuovi legami tra soluto e solvente.
La formazione di nuovi legami tra soluto e solvente influenza il tipo di controllo del
sistema (controllo cinetico o termodinamico). Se soluto e solvente sono affini, si
formeranno legami che tenderanno a stabilizzare la soluzione, altrimenti i legami non affini
tenderanno a rendere la soluzione più instabile.
Il processo di dissoluzione è favorito dalla variazione positiva di entropia ΔS > 0 ,
risulterebbe invece sfavorito dalla sola variazione energetica di entalpia ΔH.
La solubilità di una sostanza dipende dalle dimensioni del soluto, quindi più piccolo è il
soluto maggiore è la sua solubilità (proprietà intrinseca). È possibile determinare la
solubilità dalle caratteristiche calorimetriche come il punto di fusione o di ebollizione.
Quindi posso misurare la potenzialità di dissoluzione misurando il punto di ebollizione, più
sarà basso più facile sarà rompere i legami.
Abbiamo una particella di farmaco che si stacca dalla superficie del solido e va in
soluzione. Il farmaco attraversa uno strato di diffusione stazionario in cui passa da un
massimo di concentrazione Ch ad un minimo Cg, tramite un gradiente di concentrazione.
58
In questo modo mano a mano che ci si allontana dalla superficie la concentrazione del
soluto diminuisce.
S è l’area superficiale del solido, maggiore è S maggiore sarà il numero di molecole che
andranno in soluzione. dQ/dt dipende poi dal coefficiente di diffusione D nello strato
stazionario in cui si passa da una concentrazione massima ad una minima, e dallo
spessore dello strato stazionario h.
Posso agire aumentando l’area superficiale S totale (A) così da aumentare la velocità di
dissoluzione à si può polverizzare il prodotto, in modo da diminuire le dimensioni delle
singole particelle; così facendo ogni particella singola avrà una superficie maggiore à
aumenta l’area superficiale totale a parità di peso.
59
Le tecniche per aumentare l’area superficiale (S in
equazione N/W) sono:
• Micronizzazione à Jet milling, mulino a
energia fluida (vedi parte 8)
• Spray dry (vedi parte 8): si nebulizza una sostanza in una camera di essiccamento, il
solvente evapora e ottengo delle particelle molto piccole dell’ordine dei micrometri.
60
Bagnabilità
È una proprietà che indica la capacità di un solido di coordinare molecole d’acqua sulla
sua superficie. Più un farmaco è bagnabile, più la sua velocità di dissoluzione aumenta.
61
Durante il test, lo strumento scatta una foto della
goccia e misura l’angolo di contatto: più piccolo è
l’angolo, più bagnabile è il solido. L’angolo di
contatto è correlato alle tensioni superficiali
solido-solido, solido-liquido, liquido-aria, aria-
solido à equazione di Young.
Il magnesio stearato è un
lubrificante ed è un sale bivalente
di magnesio con stearato.
Essendo un sale idrofobico,
utilizzato come eccipiente fa
diminuire la velocità di
dissoluzione perché aumenta
l’idrofobicità del farmaco.
Al contrario, il sodio lauril solfato
è un detergente idrofilico che
aumenta la velocità di dissoluzione.
62
Tutti questi eccipienti influenzano disponibilità, biodisponibilità ed efficacia del
prodotto.
Pressione di compressione à S
pH di dissoluzione à Ch
Se il farmaco è ionizzato (dipende da pKa e pH) è più idrofilico di quando non è ionizzato.
Più idrofilico = più solubile, quindi la velocità di dissoluzione è più grande. Possiamo
estrapolare il pH che è mascherato all’interno del parametro di concentrazione Ch. Ch è
la concentrazione di AH + A-. In base a questa equazione possiamo eliminare A- e S.
63
Caso del farmaco con
pKa acida:
64
CASO DI SOLUBILITÀ ASA
Qual è il più solubile tra acido salicilico e ASA? È l’acido acetilsalicilico perché, anche se
AS possiede i gruppi fenolico e carbossilico scoperti, questi formano tra loro un ponte
idrogeno che abbassa la solubilità della molecola. Quindi, anche se ASA presenta una
funzione esterea, risulta comunque più solubile di AS. Inoltre la maggiore solubilità di ASA
potrebbe far sorgere qualche dubbio se consideriamo la “regola” secondo cui una
molecola a più basso peso molecolare dovrebbe essere più solubile di una a più alto PM.
Tra ASA e AS la molecola con il più basso PM è AS, questo però non basta a scavalcare
il grado di idrofobicità creato dalla presenza del ponte idrogeno.
Effetto bulk à Ch
Ci si aspetta che un farmaco basico si disciolga bene nello stomaco, ma il problema si
genera quando il farmaco passa nell’intestino, dove il pH è più alto.
65
Equazione di Ostwald – Freundlich
Tale equazione dimostra che, al diminuire delle dimensioni della particella che
consideriamo, aumenta la sua solubilità. Per rendere più solubile il farmaco è necessario
ridurre la dimensione delle particelle fino a raggiungere dimensioni molto piccole.
Il logCs è:
1 1
2𝑀𝛾 ( − )
𝑙𝑛𝐶𝑠%&'() = 𝑙𝑛𝐶𝑠%,'() + 𝐷𝑚𝑖𝑐𝑟𝑜 𝐷𝑚𝑎𝑐𝑟𝑜
𝑑𝑅𝑇
Le particelle troppo piccole sono molto difficili da gestire nel processo di produzione
farmaceutica in quanto hanno un’area superficiale molto vasta, motivo di instabilità.
L’ampiezza dell’area superficiale infatti determina un’elevata energia libera di superficie
che porterà le particelle ad aggregarsi al fine di ridurla.
Più piccole sono le particelle, più il sistema ha un livello energetico alto e maggiore è il
rapporto superficie/volume.
66
Nella dissoluzione le particelle si devono staccare dal farmaco: più piccola è la particella,
e di conseguenza meno sono i legami, meno energia servirà per romperli. Questo vuol
dire che i processi di dissoluzione e solubilità sono favoriti quando le particelle sono
molto piccole. Essendo però la dissoluzione un processo dinamico e non statico, ci
possono essere alcune eccezioni.
Le particelle entrano in soluzione in equilibrio con tutte le
forme, anche quelle che non si sono solubilizzate. Una volta
in soluzione, dopo un tot di tempo raggiungo l’equilibrio
caratteristico di quel farmaco.
Il processo di dissoluzione è regolato prima dalla cinetica (le
particelle vanno in soluzione velocemente), poi invece
prevale il processo termodinamico.
L’aumento della solubilità quindi è un processo transitorio,
infatti le particelle tenderanno sempre più ad aggregare e la
solubilità diminuirà.
Posso comunque avere un vantaggio sulla disponibilità e
sulla biodisponibilità.
Equazione di Noyes-Whitney:
Dq S Dch − cg
=
dt h
2) Sistemi Meccanici
• Ball Milling: si unisce farmaco con eccipienti e si macina il tutto insieme.
3) Sistemi di fusione
• Termoplastic Liquid Filled: l’eccipiente si fonde ad una certa temperatura e incorpora il
farmaco à generalmente porta a sospensioni solide.
• Spray chilling
68
• Hot melt granulation
• Hot melt extrusion
CO-PRECIPITAZIONE
Il Punto azeotropo (es acqua e alcol etilico) invece è un punto in cui non è più possibile
separare per distillazione alcol e acqua (ad esempio), perché appena evapora l’alcol
comincia ad evaporare anche l’acqua.
Il punto eutettico è simile all’azeotropo, ma riguarda la precipitazione, ed è un punto in cui
non precipita più uno solo dei due composti ma questi precipitano insieme in modo
stechiometrico à ottengo una soluzione eutettica solida e liquida.
69
Il grafico che rappresenta le condizioni reali è
questo sulla sinistra, dove le rette sono state
sostituite da curve.
Infatti, quando abbasso la temperatura nella
realtà non precipita solo uno dei due elementi,
ma da subito A precipita assieme ad un po’ di B,
per questo il processo è detto co-
precipitazione.
70
Eutettici vs Soluzioni Solide
Le soluzioni solide sono sistemi mono-fasici omogenei formati da “cristalli” misti, termine
non propriamente corretto perché non sono cristalli, sono solidi di dimensioni diverse tra
di loro.
PEG: polietileneglicole
POLIOSSIETILENE, è un etilene
OSSILATO. Ottenuto per polimerizzazione
dell’ossido di ETILENE molecola molto
PVP: polivinilpiloridone
polimero di un
monomero che è un
VINILE (doppio legame
tra 2 C) a cui è legato un
PIRROLO.
È un altro metodo per ottenere una soluzione solida. Si tratta di un mulino ad alta energia
per effettuare la nanonizzazione e ottenere delle soluzioni solide (v. capitolo 8).
Con questo metodo si ottiene una polvere di eccipiente e farmaco, la si fonde in modo
che le particelle di eccipiente inglobino quelle di farmaco e poi si fa evaporare
l’eccipiente.
71
Stato solido à S
CRISTALLO VS AMORFO
Forma amorfa: forma disordinata in cui tutte le molecole sono all’interno del solido in
maniera casuale e in cui non si ha regolarità di disposizione.
Forma cristallina: le molecole sono disposte in modo ordinato nello spazio secondo
coordinate spaziali riproducibili in ogni punto.
Polimorfo: forme solide cristalline diverse di una stessa sostanza con contenuto
energetico diverso. Un esempio sono la grafite e il diamante, che possiedono forme
cristalline diverse per la stessa sostanza. Le due forme hanno contenuto energetico
diverso, il diamante ha un contenuto energetico più basso perché rompere i legami in un
diamante è molto difficile, invece la grafite si rompe più facilmente e quindi vuol dire che
possiede già una certa energia al suo interno.
ANIDRO VS SOLVATATO
Entrambe le forme, amorfa e cristallina, possono essere solvatate, quindi possono
contenere un solvente che in genere è l’acqua.
VELOCITÀ DI DISSOLUZIONE
In genere, l’amorfo è più veloce da sciogliere rispetto al cristallo.
72
Chi si scioglie meglio tra forma idrata e o non idrata? Dipende dal tipo di farmaco.
Eritromicina: (primo grafico) si scioglie prima la forma idrata perché aumenta la velocità di
dissoluzione all’aumentare del grado di idratazione.
Teofillina: (secondo grafico) la forma anidra si scioglie prima della forma idrata. La
dissoluzione della teofillina monoidrata arriva ad un equilibrio di solubilità, la teofillina
anidra invece forma una soluzione supersatura con un picco oltre il doppio di quella
idrata. Successivamente, anche la monoidrata cristallizza e arriva ad un equilibrio di
solubilità.
Perché?
Perché il processo di dissoluzione è sotto controllo cinetico e termodinamico.
Nella forma idrata prevale il processo cinetico perché le particelle di farmaco sono già
idratate e non perdono tempo in questo processo à da un punto di vista cinetico è un
evento favorito perché è molto rapido.
Nella forma anidra invece prevale il controllo termodinamico poiché le particelle non sono
idratate e quando si forma un legame tra particelle e solvente si ha liberazione di energia,
quindi questo processo è favorito dal punto di vista termodinamico.
I cristalli, in genere, si formano lentamente perché le molecole impiegano del tempo per
capire la condizione migliore per abbassare il livello energetico del sistema. Le molecole
formano legami intermolecolari stabili perché si riarrangiano nel modo che consente
loro di avere meno energia libera.
L’amorfo, invece, si forma più casualmente e in modo diverso, con precipitazione rapida.
Il prodotto precipita in modo disordinato perché non ha avuto il tempo e le condizioni di
cristallizzare, perciò i legami casuali nel solido amorfo hanno un contenuto energetico
medio più alto perché i legami che si sono formati sono più deboli e quindi più instabili.
73
La disposizione del legami influenza il processo di dissoluzione, se i legami sono ordinati
ci vorrà molta energia per romperli e perciò più tempo per dissolverli, se invece sono più
disordinati e mediamente più deboli ci vorrà meno tempo à Nell’amorfo la velocità di
dissoluzione aumenta (più veloce)
74
PROPRIETÀ DEI POLIMORFI
• Hanno diversa solubilità
• Diversa velocità di dissoluzione
Questi primi due punti implicano che la solubilità aumenti al diminuire del punto di fusione
perché i legami si rompono più facilmente.
• Hanno diversa reattività chimica allo stato solido
• Diverse PROPRIETÀ MECCANICHE
• Diverse PROPRIETÀ SPETTROSCOPICHE
• Diverse PROPRIETÀ di SUPERFICIE
• Disponibilità à sulfametossidiazina
Nel grafico a lato sono riportate le solubilità dei 2
polimorfi.
Nel secondo polimorfo, all’aumentare del tempo la
concentrazione diventa sempre maggiore e il
farmaco va in soluzione molto rapidamente, oltre la
Cs. Poi la concentrazione diminuisce e ritorna
gradualmente a quella di saturazione.
La sulfametossidiazina è un polimorfo metastabile,
che ha molta energia in sé e per questo va in
soluzione più rapidamente, infatti avendo un livello
energetico già alto i legami si rompono facilmente
fino ad arrivare in sovrasturazione ma ad un certo
punto prevale il controllo termodinamico e arriva a
Cs.
• Biodisponibilità à cloramfenicolo
È un profilo farmacocinetico che descrive la
concentrazione di farmaco nel sangue in funzione del
tempo.
Esistono 2 forme per lo stesso farmaco, una stabile e
una instabile.
75
Quando si utilizzano dei prodotti metastabili, instabili o amorfi bisogna essere sicuri che il
prodotto mantenga la stessa composizione quali-quantitativa fino alla data di scadenza
del farmaco in quanto, se non fosse così, la velocità di dissoluzione del farmaco non
sarebbe la stessa con il passare del tempo. Questo accade perché il polimorfo meno
stabile può trasformarsi in un polimorfo più stabile.
In questo caso specifico lo vedremo nel passaggio dallo stato stazionario alla
dissoluzione, ma si tratta sempre dello stesso parametro visto anche per l’assorbimento e
il passaggio attraverso le membrane.
76
Altri metodi per aumentare la velocità di dissoluzione
MICELLE
77
Queste molecole, in acqua, si organizzano in strutture come micelle o liposomi e vengono
sfruttate anche come stabilizzanti delle emulsioni.
Quindi le micelle:
• Aumentano la solubilità e la stabilità del farmaco che potrebbe essere degradato in
acqua, aria o luce
• Riducono la tossicità del farmaco
• Permettono di ottenere un farmaco a rilascio prolungato e di aumentare la
permanenza del farmaco nel sangue
• Riescono ad avere un targeting passivo, cioè quando le micelle trasportano
passivamente il farmaco nel sito d’azione, e un targeting attivo, cioè quando le micelle
riconoscono specifici recettori cellulari di superficie e trasportano il farmaco
attivamente.
Nelle micelle i legami non sono covalenti, poiché sono vescicole in cui la membrana è un
doppio strato fosfolipidico, come nei liposomi. La differenze è che il liposoma ha un cuore
acquoso, le micelle invece all’interno sono idrofobiche e riescono a portare in soluzione
farmaci lipofili.
78
Sono sistemi instabili e quindi quando sono in circolo non sono più sotto forma di micelle
ma si degradano, interagendo con proteine e altre componenti presenti nel circolo.
La parte idrofobica forma dei legami molto deboli e instabili con il solvente acquoso, di
conseguenza l’energia libera del sistema è alta; la stessa parte idrofobica forma invece
legami a bassa energia quando si associa con altre porzioni idrofobiche à è necessario
fornire molta più energia per separarli.
Sostanze utilizzate:
Castor oil polietossilato: ottenuto tramite reazione di 35 etileni ossidi con i gruppi
ossidrilici del castor oil.
Cremophor: usato come eccipiente, è un derivato del castor oil (olio di ricino) unito ad
alcol etilico à avrebbe una grande capacità di formare micelle e portare in soluzione
farmaci molto particolari come gli antitumorali, in realtà, una volta nell’organismo, ha una
tossicità elevata e induce una reazione immunitaria.
Profarmaci
Si tratta di nuove entità chimiche in cui il farmaco viene legato covalentemente ad un’altra
sostanza (spesso esterea), per poi liberare il principio attivo in un secondo momento
grazie all’idrolisi del composto. Infatti si lega covalentemente il principio attivo con
un’altra molecola che dovrà migliorare alcune caratteristiche del principio attivo stesso,
come la biodisponibilità, la solubilità o aumentare la facilità di penetrazione delle
membrane. Il nuovo legame formato deve però essere idrolizzabile altrimenti il principio
attivo non può esplicare la sua funzione, per questo il tipo di legami interessati nella
formazione di questa categoria di prodotti saranno o esterei o acetilici.
Questi farmaci in cui il principio attivo è legato ad altre molecole sono detti profarmaci e
grazie ad essi si possono sia modificare odore, sapore e colore (CARATTERISTICHE
ORAGNOLETTICHE) del farmaco, sia è possibile andare a modulare il targeting, cioè il
direzionamento del farmaco.
Con l’acido bacarico si ottiene un risultato migliore dal punto di vista della biodisponibilità
del farmaco perché si tratta un doppio estere dal quale poi si liberano 2 molecole di
etanolo e acido lattico.
79
Profarmaci polimerici (micelle polimeriche)
Le micelle si legano alle molecole di principio attivo grazie ai gruppi ossidrilici, in questo
modo si formerà un legame estereo. Si ottiene una macromolecola (o supramolecola) che
ha una parte idrofilica e una idrofobica a cui è legato il farmaco idrofobico non in grado di
solubilizzarsi nell’ambiente gastrico. Ogni legame che si forma si chiama unimero, gli
unimeri tra loro si associano e formano una micella, cioè una vescicola al cui interno si
lega il farmaco che risulta così protetto all’interno.
Le micelle sono strutture abbastanza stabili che possono circolare nel sangue per molto
tempo e, essendo molto
permeabili, riescono a localizzarsi
nei tessuti in modo passivo.
Arrivano al sito target infiammato
ma non raggiungono il tessuto
sano perché sono delle sostanze
colloidali (grandi dimensioni) che
riescono a penetrare solo nel
tessuto danneggiato dell’endotelio
vascolare più permeabile di quello
sano. Questa selettività è
vantaggiosa e permette di
raggiungere un target specifico.
80
CICLODESTRINE
Esistono varie tipologie di ciclodestrine e ciò dipende dalla struttura e dalla grandezza
della cavità interna: le ciclodestrine naturali sono 3 (α,β,γ):
a→ 6 GLUCOSI (+ PICCOLA)
β→ 7 GLUCOSI
γ→ 8 GLUCOSI (+ GRANDE)
Le proprietà di queste ciclodestrine sono diverse tra loro e hanno un costo diverso che
dipende dalla difficoltà di ottenimento.
Le ciclodestrine a e γ sono molto solubili, mentre la β è la meno solubile.
• a è una ciclodestrina SOLUBILE perché presenta solo 6 unità di glucosio disposte a
formare un tronco di cono molto rigido a livello strutturale. In questo modo non si
possono formare legami a idrogeno intorno alla circonferenza, dunque gli OH sono
liberi e possono coordinare acqua, rendendo la molecola solubile.
• La γ è SOLUBILE perché avendo 8 unità di glucosio che la rendono particolarmente
ingombrante risulta molto flessibile. Questo impedisce la formazione di ponti H
intramolecolari e quindi anche qui i gruppi OH sono liberi per coordinare l’acqua.
81
• La ciclodestrina β, invece, ha una struttura intermedia a 7 glucosi che permette la
formazione di legami H intramolecolari, di conseguenza gli OH non sono più liberi e
l’interazione con l’acqua non può avvenire.
Le ciclodestrine di tipo β sono le più economiche rispetto agli altri tipi perché sono
ottenute tramite un processo di cristallizzazione: una volta in soluzione precipitano subito
e si possono semplicemente separare dalla miscela, a differenza dei tipi a e γ che invece
rimangono in soluzione.
Le β sono anche le più utilizzate perché la loro cavità è della dimensione adatta per
incorporare molti farmaci; nelle a, invece, la cavità è troppo piccola, mentre nelle γ la
cavità è troppo grande, per cui il farmaco entra ma non interagisce bene con le pareti
interne e non forma interazioni stabili (esce facilmente).
Le ciclodestrine sono molto usate anche in cosmetica o in prodotti per la casa come
deodoranti per ambienti che all’interno contengono essenze che vengono piano piano
liberate nell’aria.
82
Si incuba la dispersione a 60°C per alcuni giorni in modo che si formino le ciclodestrine:
questi i batteri tagliano l’amido e lo ciclizzano ed eseguono poi lo stesso procedimento
sui i monomeri in eccesso.
Una volta formate le ciclodestrine, la temperatura si alza e in questo modo si inattiva
l’enzima. All’interno della soluzione rimane quindi dell’amido in eccesso, per eliminarlo si
aggiungono delle alfa-amilasi che rompono i legami tra i monomeri di zucchero
dell’amido; successivamente si induce la cristallizzazione delle ciclodestrine e si filtrano
per estrarle.
Ciclodestrine semisintetiche
Si ottengono tramite la funzionalizzazione dei gruppi OH in posizione 6 sporgenti dal
piano della molecola. Questa posizione è favorita perché risulta poco ingombrata
stericamente rispetto agli ossidrili secondari in 2’ e 3’ che invece presentano una reattività
minore.
Quando modifichiamo le ciclodestrine posso inserire:
• Gruppi fosfato e gruppi carbossilici che le rendono cariche e possono essere utili
per complessare farmaci basici.
• Gruppi alchilici come i metili: se attacchiamo pochi metili agli ossidrili andiamo a
mascherare alcuni gruppi OH e ad aumentare la solubilità del composto finale.
Essendo il gruppo metile idrofobico questo risulta contro intuitivo, in realtà inserendo
POCHI GRUPPI METILICI si rompe la sequenzialità di ponti H formati dai vari OH à
quelli rimasti quindi sono ora liberi di legarsi all’acqua, mentre prima erano tutti
coordinati tra di loro.
Se invece inseriamo tanti metili otteniamo una ciclodestrina molto idrofobica che non
lega l'acqua.
• Idrossialchilazione: con questo procedimento vengono mantenuti i gruppi ossidrilici
che però non sono più in grado di instaurare un ponte idrogeno tra loro essendo molto
mobili à si ottiene una ciclodestrina molto solubile utilizzabile anche per via
parenterale.
83
Alcuni farmaci sul mercato a base di ciclodestrine :
Applicazioni ciclodestrine:
84
STUDI DI DISSOLUZIONE
Per effettuare dei corretti studi di dissoluzione abbiamo a disposizione diversi metodi
riportati nelle immagini sopra. Questi però risultano poco robusti perché forniscono
risultati diversi per ogni esperimento in quanto dipendono dalla strumentazione, dalla
temperatura e dalla pressione, tutti parametri su cui si ha poco controllo.
Allora si è cercato un metodo meno empirico indipendente da tutti i parametri sopra citati
identificato da protocolli specifici dettati dagli enti regolatori.
Una delle tecniche più diffuse prevede l’utilizzo di un apparecchio con volume, numero di
giri, pH, e temperatura controllati da strumenti definiti da farmacopea.
Posso usare anche altre condizioni ma devo specificare il motivo della mia scelta.
In pratica si sfrutta uno strumento detto dissolutore in cui è inserita una pala rotante che,
una volta immerso il farmaco in forma solida all’interno della soluzione acquosa, crea un
movimento vorticoso del liquido che aiuta la dissoluzione del farmaco. In questo modo,
utilizzando due dissolutori, è possibile andare a confrontare la velocità di dissoluzione di
due farmaci equivalenti e verificare che sia la stessa.
85
Questo sotto sarà lo strumento utilizzato in laboratorio:
86
Correlazioni vitro/vivo
Quindi per prima cosa si svolge uno studio in vitro di tutti i prototipi da analizzare (tutte le
varie compresse che stiamo studiando) e, tra questi, si selezionano quelli con i risultati
87
che più si discostano tra di loro. Si esegue quindi uno studio in vivo solo delle
compresse selezionate in cui si prende come riferimento un parametro che descrive la
dissoluzione dei farmaci scelti, ad esempio il tempo per avere la dissoluzione del 50%, il
tempo che impiega la compressa a sciogliersi o quanto si è sciolta in 30 minuti; si
possono prendere in considerazione ovviamente anche AUC, Cmax e Tmax.
In questo modo, delle varie formulazioni a disposizione, si ottengono alcuni dati in vivo e
alcuni in vitro così da costruire un grafico di correlazione vitro/vivo rappresentato da una
curva.
Questo risulterà molto utile perché quando andremo a considerare una nuova
formulazione farmaceutica sarà possibile prevedere il suo andamento in vivo a partire dai
test in vitro, grazie al grafico di correlazione.
Una volta trovata la forma farmaceutica migliore, ovvero quella da cui abbiamo ottenuto il
profilo farmaceutico migliore, allora potremo eseuigre uno studio farmacocinetico
completo.
2. Diffusione
Il processo diffusivo è il secondo step più importante per quanto riguarda il rilascio del
farmaco e lo abbiamo già incontrato nell’ambito del passaggio e nella diffusione del
farmaco attraverso la membrana cellulare.
Il processo di diffusione fa parte dei processi Fickiani (vedi prossima pagina) in cui si
cerca di descrivere la diffusione del farmaco attraverso una membrana tramite degli
specifici parametri, tra cui:
1. D à coefficiente di diffusione espresso dall’equazione
𝑘𝑇
𝐷=
6𝜂𝑟𝜋
2. P à coefficiente di permeabilità
𝐷𝐾)/N
𝑃=
𝜕
3. Velocità di diffusione J
88
Prima di affrontarle in dettaglio, vediamo le premesse fondamentali delle 2 leggi di Fick:
89
1° LEGGE DI FICK = SISTEMA A RESERVOIR
Questa è una condizione di equilibrio perché rimangono costanti sia lo spessore della
membrana (l è sempre lo stesso per tutto il rilascio del farmaco), sia la differenza di
concentrazione tra Cm2 e Cm1 finché la quantità di farmaco è sufficiente a saturare il
90
punto Cm1. Quando la concentrazione di farmaco interna non sarà più sufficiente a
saturare Cm1, le condizioni di equilibrio cambieranno (solo alla fine del processo).
91
Aspect ratio
A seconda della forma geometrica della matrice, la legge di Fick viene modificata
secondo le equazioni dell’immagine:
Per esprimere la velocità del flusso, bisogna tenere conto degli aspetti geometrici del
sistema che saranno diversi per un film sottile (cerotto transdermico in cui c’è una
membrana che controlla la velocità di rilascio del farmaco), per una sfera o per un cilindro
(di solito impiantati sotto la cute).
Di solito quando si fanno queste analisi si considerano sempre film sottili, sfere e cilindri
perché sono forme geometriche limite. Infatti comprimendo un cilindro si ottiene una
sfera, comprimendo ulteriormente si ottiene un film sottile.
Per indicare la forma considerata si parla di aspect ratio, un numero che indica se siamo
più vicino alla forma di una sfera, di un cilindro o di un film sottile.
Nel caso della prima legge di Fick si ha la soluzione dell’equazione in base ai parametri
geometrici che vengono inseriti, ovvero l’area superficiale (S) e l’altezza della membrana
se parliamo di un film; se invece abbiamo un cilindro dovremo inserire i raggi ro e ri:
ro = raggio out, arriva fino al secondo strato di membrana, quindi è il raggio esterno.
ri= raggio in, arriva fino al primo strato e tiene conto anche dello spessore della
membrana.
La differenza ro-ri indica lo spessore effettivo della membrana.
dMt/dt = velocità, quantità di farmaco che viene rilasciata nel tempo (velocità di rilascio
con M = massa di farmaco).
Anche per la sfera abbiamo ro e ri anche se in questo caso la struttura è diversa perché
manca l’altezza.
92
2ª LEGGE DI FICK = SISTEMA MONOLITICO
In questo caso il sistema non si trova all’equilibrio perché tutto il farmaco è impregnato in
una matrice polimerica, quindi non è presente una membrana attraverso cui il farmaco
deve diffondere che controlla la velocità di rilascio. Una premessa necessaria è che,
perché questa legge sia applicabile, il farmaco deve essere sciolto all’interno della
matrice polimerica, cioè deve essere molecolarmente disperso.
Questo vuol dire che il farmaco, per uscire, cambierà continuamente la sua condizione:
- Cambia lo spazio che deve percorrere per uscire perché le molecole che sono verso
l’esterno escono velocemente perché hanno poco spazio da percorrere; man mano
che questo accade, però, quelle interne si devono spostare verso il margine della
matrice compiendo un percorso sempre maggiore à cambia la distanza che le
molecole percorrono.
- Cambia la concentrazione perché man mano che il farmaco esce la concentrazione
nella matrice diminuisce.
Le equazioni del cilindro e della sfera valgono per una quantità di farmaco rilasciata
massimo del 15% per il cilindro e del 20% per la sfera. Vuol dire che questa legge, risolta
tramite i parametri geometrici, è valida solo per il primo 15% di farmaco che viene
rilasciato, quindi solo all’inizio della diffusione, ma oltre il 15% non è più valida.
Proprio perché la % di errore è molto alta (85%), la seconda legge di Fick viene poco
utilizzata.
93
EQUAZIONE DI RITGET-KORSMEYER-PEPPAS
I valori di n non valgono in ogni circostanza in quanto dipendono dal tipo di matrice, cioè
dalla forma geometrica considerata.
Anche in questo caso vale il discorso dell’aspect ratio e delle tre forme limite: film sottile,
cilindro e sfera.
- Film sottile: n assume il valore di 0,5 e di 1;
- Sfera: n assume rispettivamente i valori di 0,43 e 0,85;
- Cilindro: n assume rispettivamente i valori di 0,45 e 0,89.
Vuol dire che in un film sottile, n=0.5 indica un rilascio Fickiano, se n è compreso tra 0.5 e
1 è anomalo.
Con lo stesso ragionamento, in una sfera n=0.43 sarà un rilascio Fickiano, n compreso tra
0.43 e 0.85 sarà anomalo.
94
In un cilindro, infine, n= 0.45 corrisponde ad un rilascio Fickiano, n compreso tra 0.45 e
0.89 indica un rilascio anomalo.
La seconda legge di Fick vale quando abbiamo un farmaco disciolto nella matrice, quindi
quando è molecolarmente disperso. Però possiamo anche avere il caso di un farmaco
non disciolto e quindi non molecolarmente disperso, ma che invece si trova in una
sospensione, cioè in granelli di polvere indisciolti in una fase acquosa.
In questo caso possiamo utilizzare un’altra legge, detta legge di Higuchi.
In questo modello il farmaco, per uscire, deve come prima cosa sciogliersi per diffondere
nella matrice monolitica. Si instaurerà quindi un equilibrio tra il farmaco sciolto e non
sciolto all’interno della matrice à si tratta di una condizione mista tra un sistema
all’equilibrio e un sistema non all’equilibro, perché è vero che la distanza percorsa dal
farmaco per uscire aumenta sempre di più nel tempo, ma è anche vero che la
concentrazione di farmaco in soluzione nella matrice rimane praticamente costante, infatti
man mano che il farmaco esce, quello che prima era indisciolto si scioglie e quindi si
mantiene sempre una certa concentrazione.
Quella di Higuchi quindi è una legge generale che può valere anche per sostituire la
seconda legge di Fick (quindi o uso quella di Peppas o quella di Higuchi).
Procedimento e calcoli:
96
C0 è la concertazione che abbiamo nella metrice all’inizio e comprende tutto il farmaco
che abbiamo, sciolto e non sciolto; la Cs invece è la concentrazione dil farmaco in
saturazione all’interno della matrice. Ora che abbiamo questi valori possiamo risolvere
tutta l’equazione e ottenere dQ che è la quantità di farmaco rilasciata.
Ora richiamiamo la prima legge di Fick, perché abbiamo detto che siamo in una
condizione mista, un po’ di equilibrio e un po’ di non equilibrio à ci riportiamo alla prima
legge di Fick perché la concentrazione di farmaco in soluzione rimane costante, mentre
cambia in continuazione la distanza.
Otteniamo che la quantità di farmaco rilasciata è uguale al coefficiente di diffusione per il
tempie per la concentrazione di farmaco totale che avevo inizialmente, tutto per la Cs
elevato alla 0.5.
97
Dall’equazione capiamo che il rilascio è di tipo Fickiano perché il coefficiente è 0.5,
questo vuol dire che abbiamo una cinetica di pseudo primo ordine, indice di un rilascio
diffusivo di tipo Fickiano.
98
Vediamo poi che è presente il coefficiente di diffusione all’interno che indica che è un
processo diffusivo.
In questa equazione appena vista non si tiene conto del fatto che la matrice potrebbe
essere porosa e tortuosa (non abbiamo parametri che me lo indicano), quindi in generale
parliamo di matrici compatta che non cambiano di dimensione durante il rilascio (come
succede nelle leggi di Fick).
Però potremmo comunque avere matrici che cambiano forma durante il tempo, per
esempio esistono dei gel/matrici che in acqua si gonfiano. Se quindi consideriamo una
matrice che presenta dei pori e dei canali, la presenza di questi va “segnalata” all’interno
dell’equazione tramite l’inserimento di due parametri e e t che indicano il grado di
porosità della matrice e la presenza o meno di canali al suo interno
Questa equazione si può applicare in realtà non solo quando il farmaco è in sospensione
ma anche nel caso di matrici polimeriche in cui il farmaco non è in sovrasaturazione, in
alternativa quindi alla seconda legge di Fick.
99
DIFFUSIONE e DISSOLUZIONE DA MATRICE RESERVOIR
100
I parametri utili sono:
Cp = concentrazione di saturazione della matrice
Dm = coefficiente di diffusione della membrana
dM = spessore della membrana
Cs/Cp= K
dQ ΔC
= − Dm ∙ Kd ∙ S
dT dM
dQ CS − Cb
= SDs ∙
dT dD
Questa equazione vale per le matrici a reservoir. Essa però può essere semplificata e
ridotta valutando quale dei due processi (tra diffusione e dissoluzione) sia il rate limiting
step. Vediamo i due casi:
Q C pD m
=
T dM
101
2. Il RLS è la dissoluzione à prevale l’effetto del bulk, avremo quindi il valore di
K=Cs/Cp piccolo e Ds piccolo, al contrario il valore di Dm sarà grande.
Scrivendo allora
K Dsd M < < D m d D
L’equazione diventa
Q KC pDs
=
T dD
102
In questo caso, poiché consideriamo il rilascio del farmaco da una matrice monolitica,
dobbiamo far riferimento alla legge di Higuchi.
Andiamo quindi a combinare le due leggi e vediamo gli stessi due casi analizzati per la
matrice reservoir.
cs dQ SD(Cs − Cb)
Q= D t (C0 − )Cs =
2 dt dD
Q= 2(Co − C p)C pD m t
Se Co >> Cp
Q= 2CoC pD m t
Q Ki DsCs Ki DsKC p
= =
t dD dD
MATRICI POLIMERICHE
1. Matrici rigonfiabili
All’interno della famiglia delle matrici polimeriche si trovano anche delle strutture che si
rigonfiano e cambiano di dimensioni (anche di molto). Queste sono dette matrici
rigonfiabili e presentano un particolare di rilasciare del farmaco a seconda che il
rigonfiamento avvienga rapidamente o lentamente.
Le matrici rigonfiabili sono generalmente matrici molto fragili che si disidratano e si
rigonfiano se vengono di nuovo immerse in acqua, un classico esempio sono le lenti a
contatto.
N.B. In questi primi due casi il rilascio è governato dalla legge di Fick, la
matrice è sempre in condizioni stabili.
2. Film sottili
Un altro caso è quello del rilascio attraverso film sottile in cui si considera la legge
di Peppas nel caso particolare in cui l’esponente n sia uguale a 1.
104
Possiamo quindi riscrivere l’equazione nel seguente modo.
4𝐾S ∗ 𝐴
𝑀𝑡 = 𝑡 ∗
𝑙
3. Matrici degradabili
L’ultimo sottotipo di matrici polimeriche sono quelle degradabili o biodegradabili tra cui
poliesteri come l’acido polilattico o il polilattico glicolico à sappiamo infatti che i legami
esterei si degradano col tempo.
Nel trattamento del tumore alla prostata vengono costruite delle microsfere con questi
materiali che vengono somministrati per mantenere una dose terapeutica del farmaco.
Per quanto riguarda i materiali, il polilattico glicolico e l’acido lattico sono i più utilizzati in
ambito farmaceutico e la quantità di questi esteri determina la composizione delle
strutture che si progettano. L’acido polilattico è molto cristallino, si degrada molto
lentamente ed è idrofobico; quello glicolico invece è più idrofilico e si degrada più
velocemente avendo una struttura meno ordinata e meno cristallina.
Quindi, a seconda del poliestere utilizzato, si può regolare la velocità di degradazione
della matrice.
Da una matrice degradabile il farmaco può essere rilasciato tramite due modi diversi:
• Diffusione
• Man mano che la matrice si degrada
Quest’ultimo caso si sfrutta in genere quando il farmaco non riesce a diffondere
facilmente a causa della sua natura idrofilica o idrofobica.
La degradazione può partire sia dal centro della matrice sia dalla superficie. In ogni caso
però il controllo del rilascio è molto complicato da gestire.
L’equazione che descrive la degradazione dalla superficie è:
𝑀U 𝐾)U
=
𝑀V 𝐶) 𝑎
105
7. FISICA FARMACEUTICA E MICROMETRICA
Ad esempio, sulla base della densità delle polveri si può capire se due prodotti sono
mescolabili tra loro, oppure tramite l’analisi della porosità si può intuire la capacità di
assorbimento dei fluidi; oppure ancora è utile misurare lo scorrimento delle polveri per
garantire un efficiente funzionamento degli impianti di processo.
Prima di introdurre i primi aspetti della fisica farmaceutica è necessario distinguere tra
proprietà fisiche e proprietà meccaniche: le proprietà fisiche sono quelle osservabili e
tangibili dall’esterno, le proprietà meccaniche invece sono quelle che riguardano i
contenuti energetici e non sempre sono rilevabili con facilità (ad esempio elasticità del
materiale).
Gli aspetti fisico e meccanico invece non sono distinti tra loro, per esempio se
consideriamo l’interazione tra due particelle, essa sarà sì dipendente dall’aspetto
meccanico che riguarda le forze e l’energia in gioco, ma tale l’interazione dipende anche
dalla forma delle particelle che compongono il farmaco (se sono rotonde interagiscono
poco, se sono a scaglie interagiscono di più), e quindi dalle caratteristiche fisiche. È
chiaro quindi ce questi due aspetti sono strettamente correlati tra loro.
106
Fisica farmaceutica
ANALISI TERMICA
Transizioni di fase:
per determinarle è necessario
monitorare::
- Temperatura
- Variazione della capacità termica
- Entalpia delle transizioni di fase
che avvengono in una sostanza
in funzione della temperatura.
Processi termici:
• Esotermici à il materiale rilascia calore
1. Cristallizzazione
• Endotermici à il materiale perde calore
1. Fusione
2. Ebollizione
3. Evaporazione
4. Sublimazione
5. Desolvatazione
6. Transizione solido-solido
7. Degradazione chimica
107
Le analisi termiche si basano su tre principi fondamentali:
• Monitoraggio continuo del campione (come nel caso del punto di fusione)
• Cambio di energia (facendo l’esperimento di fusione viene continuamente fornita
energia sotto forma di calore al campione)
• Variazione dell’energia
PUNTO DI FUSIONE
Tramite dati tabulati è possibile riconoscere il tipo di sostanza con cui stiamo lavorando
svolgendo l’analisi del punto di fusione. Ogni sostanza infatti è caratterizzata da un punto
di fusione particolare che permette di determinarne la natura chimica e il grado di
impurezza.
Di conseguenza è possibile identificare il tipo di prodotto che stiamo studiando andando
a determinare la quantità di energia che può assorbire o rilasciare al variare delle
condizioni esterne in cui lo si pone.
L’analisi termica permette di conoscere lo stato fisico di una sostanza e quindi di
determinare:
- Il tipo di polimorfo
- Lo stato fisico del materiale
- La purezza: il punto di fusione sarà alterato se una sostanza è impura perché non si
formeranno più legami “puri” tra molecole identiche ma anche tra molecole diverse
- Il grado di solvatazione
- La stabilità à è più bassa quanto più basso è il punto di fusione
- La compatibilità tra i vari materiali
- Se il processo produttivo destabilizza o meno il prodotto: per esempio miscelando
due polveri si fornisce una certa quota di energia che provocherà una diminuzione
della stabilità del prodotto finale.
108
Come si svolge l’analisi
La sostanza in esame viene posta all’interno di un capillare che a sua volta viene immerso
in un bagno di glicerina o di olio, o comunque di sostanze con capacità termiche elevate
(non acqua perché bolle a 100°C, se la sostanza ha un punto di fusione superiore ai
100°C non è possibile eseguire l’analisi). Questo bagno è termostatato e la temperatura
aumenta gradualmente con il passare del tempo.
N.B. L’energia necessaria per compiere una transizione di fase dipende dalla natura della
sostanza stessa
Si tratta di una tecnica di analisi calorimetrica basata su un confronto tra una sostanza di
riferimento e il campione da analizzare.
Il riferimento deve essere scelto ad hoc in quanto deve essere una sostanza che, per
quanto la temperatura aumenti, non cambia mai di stato ma semplicemente aumenta la
sua temperatura. Il campione invece, dopo un certo incremento di temperatura, andrà
incontro a un passaggio di stato.
109
Una volta registrati gli andamenti di campione e riferimento si va a calcolare la differenza
dei differenziali tramite la formula seguente.
Nel tratto iniziale, essendo i differenziali dei due composti (Treference e Tsample) entrambi
costanti, anche la loro differenza ∆H sarà costante fino al punto di transizione di fase del
campione à il tratto iniziale della curva infatti è una retta.
Quando avviene il passaggio
di stato però il termogramma
cambia andamento: la retta
del riferimento prosegue in
modo costante, mentre la
retta del campione forma una
curva con deviazione dalla
linearità positiva o negativa in
funzione del tipo di
trasformazione.
Strumento e meccanismo
Si utilizza un fornetto unico in cui sono presenti due porta campioni, in uno viene inserito
il campione e nell’altro il riferimento.
Viene poi fornita la stessa quantità di calore a entrambe le sostanze e si va a registrare
la variazione di temperatura grazie a delle termocoppie. Il valore registrato dipende
comunque da vari fattori quali il tipo di strumento
utilizzato, la quantità di campione all’interno del porta
campioni, le condizioni esterne (spesso in assenza di
ossigeno), l’aumento di temperatura, la forma del porta
campione e del fornetto.
110
due sostanze non sono compatibili tra loro, cioè si saranno formati dei legami tra le due
sostanze che alterano dissoluzione e stabilità del principio attivo stesso.
Se il termogramma cambia, cambia anche l’energia necessaria per rompere i legami tra le
particelle di farmaco e questo si ripercuote poi sulla sua capacità di rendersi disponibile
una volta nell’organismo.
Esempio: Fenilbutazone
A seconda della temperatura con cui avviene il
processo di solidificazione/cristallizzazione si
ottengono dei polimorfi che hanno un
termogramma diverso tra di loro. Un picco largo
indica un polimorfo meno stabile, mentre il
picco stretto indica un polimorfo più stabile.
111
DSC: DIFFERENTIAL SCANNER CALORIMETRIC
Da queste analisi si ottengono dei grafici come quello in figura in cui l’area del picco è
proporzionale al calore assorbito e all’entalpia del processo:
A = punto in cui inizia l’evento termico
Picco = fine dell’evento termico
112
Determinazione della purezza
La misura dell’entalpia e della temperatura di fusione mediante l’analisi calorimetrica
differenziale permette di determinare il contenuto di impurezze di una sostanza a partire
da un singolo diagramma termico, utilizzando solo pochi
milligrammi di campione e senza bisogno di misure ripetute
di temperatura.
In teoria la fusione di una sostanza pura, completamente
cristallina, a pressione costante, è caratterizzata da un’
entalpia di fusione ΔHf in un intervallo infinitamente stretto
corrispondente alla temperatura di fusione T0. Un
allargamento di questo intervallo costituisce un sensibile
indicatore di impurezze. I campioni di una stessa sostanza,
i cui contenuti di impurezza differiscono di pochi decimi di
percentuale, danno diagrammi termici visibilmente distinti.
La determinazione della purezza molare
mediante DSC è basata sull’utilizzo di una
approssimazione matematica della forma
integrata dell’equazione di Van’t Hoff applicata
alle concentrazioni (e non alle attività) in un
sistema binario:
ln (1-x2)= - x2e T*T0=T02
Esempio 1: Difusinal
Ha gruppi fenolici e carbossilici. Presenta due polimorfi, la forma 1 termostabile e la forma
2 metastabile che si converte poi nella forma 1.
113
Esempio 2: Famotidina
Il termogramma ci permette di valutare la compatibilità degli eccipienti con il principio
attivo. In particolare se si mescola Famotidina con talco magnesio stearato il
termogramma non cambia rispetto a quello del farmaco da solo. Invece se utilizziamo
emocompress si verifica uno spostamento del picco endotermico a temperature più alte,
ciò suggerisce che siano avvenute delle interazioni tra farmaco ed eccipiente che hanno
modificato la stabilità del principio attivo. Di conseguenza le due sostanze risultano
incompatibili.
Esempio 3: Piretamide
A seconda del tipo di solvente utilizzato si ottengono diversi polimorfi. Ad esempio
nell’ultimo termogramma abbiamo ottenuto una forma polimorfica molto stabile.
114
Micrometrica
ANALISI MORFOLOGICA E DIMENSIONALE
Si tratta di una serie di analisi che riguarda l’identificazione della forma e della dimensione
delle particelle.
Microscopio tradizionale
Consente di vedere particelle al di sotto del µm.
Vantaggi: costa molto poco, è necessario poco
analita che non viene distrutto durante il processo.
Svantaggi: limite di risoluzione molto alto, cioè non
è possibile vedere le particelle molto piccole.
R= λ/2NA
NA deve essere di 1.4 e R è di 2 mm. Questo significa che le particelle separate da una
distanza minore di 2 mm non possono essere distinte.
115
Scansione elettronica (SEM)
Il materiale viene messo all’interno di una
camera e viene ricoperto da una sottile
lamina d’oro, viene sottoposto a un fascio
di elettroni, i quali restituiscono un segnale
che contiene informazioni sulla forma della
particella. L’energia fornita dal fascio di
elettroni è molto elevata per cui, se il
nostro materiale è termolabile, il campione
può degradarsi e non ci permette di
conoscere la morfologia della particella.
116
- Metodo del frattale: metodo microscopico
bidimensionale. Si pone la particella sopra ad
una griglia che presenta un certo passo (lato del
quadratino della griglia) à si conta quindi il
numero di quadratini che la particella stessa
occupa. Si ripete il procedimento con diverse
griglie, con passo sempre più piccolo rispetto ai
precedenti. I valori raccolti vengono poi inseriti
all’interno di un grafico: nelle ascisse si inserisce
il passo della griglia, nelle ordinate il numero di
quadratini occupati. Da questo grafico si ricava una retta, la cui pendenza N
corrisponde al frattale. Il frattale è un numero che non determina la forma delle
particelle di una polvere, bensì è un parametro caratteristico di una determinata
polvere.
𝑙𝑛[𝑁] = −𝑛𝑙𝑛[𝑔] + 𝑞
Nel sistema ideale dovremmo ottenere una gaussiana perfetta in cui i valori di media,
moda e mediana coincidono. In un profilo reale però la distribuzione del diametro
particellare è diversa, motivo per cui la gaussiana risulterà asimmetrica (solitamente
spostata verso sinistra per il peso maggiore della moda).
Questi tre valori però non sono sufficienti a indicare la polidispersività della polvere che
invece si determina dall’ampiezza della gaussiana (deviazione standard): se la
gaussiana è larga allora il sistema è molto polidisperso, se è stretta è poco polidisperso.
Ad esempio se consideriamo una deviazione standard di 5±3 µm vorrà dire che la
maggior parte (68%) delle particelle avrà un diametro tra i 2 e gli 8 µm. se invece
117
calcoliamo il doppio della deviazione standard, quindi 5±6 µm, vorrà dire che il 95% delle
particelle sarà in quel range di diametro.
CALCOLO DI DV
È un indicatore del grado di polidispersività della polvere.
Se per esempio scrviamo DV0,1=5 μm significa che il 10% delle particelle presenti ha una
dimensione al di sotto dei 5 µm. Allo stesso modo DV0,5=80 µm significa che il 50% delle
particella ha un diametro inferiore agli 80 µm.
Diametri
Sono stati definiti diversi modi di calcolare il diametro sia attraverso analisi bidimensionali
che tridimensionali.
• Il diametro di Martin è lunghezza del
segmento che passa per il centro della
particella e che unisce orizzontalmente i
due punti opposti.
• Il diametro di Feret è la distanza tra i due
punti più estremi della particella, sempre
calcolato in orizzontale.
I due diametri non sono reali ma si calcolano in modo bidimensionale con sistemi ottici.
118
• Il diametro del perimetro proiettato è il diametro del
cerchio proiettato la cui circonferenza ha lo stesso valore
del perimetro della particella.
• Il diametro dell’area proiettata è il diametro del cerchio
proiettato avente la stessa area della particella.
Queste utile due sono le analisi che danno i risultati migliori e più
affidabili.
119
Supponiamo di calcolare la somma totale dei diametri (1x70 + 3x20 + 1x60)/100= 1,9 che
sarà il diametro medio totale.
Le particelle più piccole all’interno di una polvere ad alto grado di polidispersitivtà non
hanno rilevanza nel calcolo del diametro volume pesato anche sono in numero prevalente
all’interno della polvere.
120
Metodi per determinare i diametri particellari
Abbiamo metodi diversi utilizzabili a seconda dei diversi range dimensionali:
1. Microscopia
2. Setacci
3. Sedimentazione
4. Laser light scattering (metodi ottici)
5. Metodi elettrici
Metodi di microscopia (ottico, SEM, TEM): in questo caso vengono calcolati il diametro
di Martin, di Feret o il diametro equivalente alla superficie o al volume di una sfera. È un
sistema affidabile, forse quello più affidabile di tutti perché il risultato ottenuto dipende
dall’occhio dell’osservatore e non da una formula matematica à è un’analisi diretta.
Il tipo di diametro dipende dal metodo utilizzato. È un metodo semplice, non distruttivo e
necessita poche quantità di analita. È economico e non necessita di calibrazione; si
ottiene direttamente diametro e forma.
Il range di particelle determinabile è 0,25 – 100 μm.
121
Questo è l’andamento della cinetica del passaggio del materiale.
“End point” è il punto in cui ci si deve fermare con la setacciatura, altrimenti si rischia di
danneggiare le particelle. Nella regione 2 infatti si ha la setacciatura forzata anche delle
particelle con dimensioni diverse da quelle selezionate dal setaccio. Il limite di
setacciatura in genera è di 38 μm, mentre da 1 a 38 µm si verifica la sotto-setacciatura.
Questo metodo di analisi è semplice, ma ci vuole molto materiale per poterlo eseguire.
L’analisi è di tipo conservativo e approssimativo e permette di eliminare agglomerati.
La dimensione della polvere può essere espressa sulla base della quantità di polvere
setacciata.
122
Sedimentazione: è un metodo basato sulla legge di Stokes, la quale afferma che la
caduta di un corpo in un fluido dipende da densità e dimensione del corpo:
da questa equazione si può calcolare il diametro della particella, partendo dalla sua
velocità di caduta.
È un’analisi applicabile a particelle di dimensioni dai 2 ai 200 μm (range grande) e si può
eseguire in due modi:
123
• Light Scattering: uno dei metodi
più utilizzati basati sulla
radiazione della luce: questi
fenomeni di light scattering
dipendono dalla lunghezza
d’onda del raggio incidente e
dalla dimensione della particella.
Una particella viene irradiata con
un raggio luminoso
monocromatico e polarizzato
(laser), la particella diventa un
puntino luminoso e genera i
seguenti fenomeni: diffrazione, rifrazione, riflessione e assorbimento. Il range
dimensionale delle particelle è 0.001-5μm.
• Light Scattering for Large Particles: se le particelle sono più grandi rispetto alla
radiazione incidente, si ha un processo di diffrazione. In base all’angolo di diffrazione
si va a calcolare la dimensione delle particelle tramite la legge di Fraunhofer in cui
l’intesità del raggio difratto è correlata al seno dell’angolo.
Legge di Fraunhofer:
𝑠𝑒𝑛0 𝛽
𝐼 ∝
𝛽0
• Static Light Scatteirng: nel caso di particelle più piccole, la diffusione della luce
avviene in modo statico. Anche questo è un metodo che dipende da una variante della
legge di Fourhofer e ci permette di determinare la grandezza di particelle più piccole.
infatti se la dimensione della particella è simile o più piccola della lunghezza d’onda
della luce incidente, la luce viene
riflessa o rifratta con ampi angoli
sia avanti che indietro. La teoria
di Mie descrive questo fenomeno
considerando le proprietà ottiche
(rifrazione e assorbimento) delle
particelle. Più piccole sono le
particelle più alto è il contributo
della rifrazione e
dell'assorbimento al modello di
124
dispersione della luce. Per la misurazione di tali distribuzioni di dimensioni delle
particelle, pertanto, il modello di dispersione deve essere rilevato sull'intero intervallo
di angolo. L'interpretazione dei modelli di dispersione della luce per mezzo della teoria
Mie si applica a tutte le particelle.
Solo quelle con diametro più grande daranno il segnale al detector.
• Dinamic Light Scattering: si basa sul fatto che le particelle all’interno della polvere
hanno dimensioni più piccole del raggio incidente. Le particelle all’interno di una
camera di diffusione vengono irradiate dalla luce, la quale viene assorbita e viene
trasformata in un’unità luminosa puntiforme trasmettendo la radiazione. Essendo le
particelle molto piccole, si muovono di continuo con moti Browniani (quelle grandi
diffondevano meno e non si possono muovere) à si va quindi a determinare quanto si
muovono queste unità luminose puntiformi tramite una misura indiretta.
Come si può misurare tale
velocità? Si valuta l’effetto
doppler, cioè la variazione della
frequenza che un corpo emette
in funzione della sua velocità.
Sulla base dell’effetto doppler
che misuriamo, si misurano le
dimensioni delle particelle.
125
ottiene una distribuzione dimensionale del diametro particellare.
L’intensità dell’impulso dipende dalle dimensioni delle particelle e dalle dimensioni
dell’orifizio. Se è troppo piccolo, si rischia di occludere il passaggio alle particelle; se
l’orifizio è troppo grande, la sensibilità dello strumento non è adeguata.
Tutti questi metodi portano a risultati diversi tra loro. È importante che si utilizzi sempre
un protocollo preciso e che si guardi in modo critico il risultato ottenuto.
AREA SUPERFICIALE
126
Δp = differenza di pressione tra quella in entrata e quella in uscita
Q = portata
V = velocità
Gas adsorbimento
127
Equazione di BET
Nel grafico II viene riportata la quantità di gas adsorbito all’aumentare della pressione. In
ascissa è riportata la P/P0, nelle ordinate invece è riportato il peso del gas adsorbito
determinato dalle termocoppie che registrano lo scambio di calore.
La P è il parametro indipendente, il peso è dipendente.
128
Dall’elaborazione di questa isoterma di ottiene l’equazione di B.E.T. in cui si riporta il
volume (o peso) totale di gas adsorbito determinato dalle termocoppie.
B.E.T. assume che l’energia di adsorbimento sia la stessa in ogni punto della superficie e
che il calore di adsorbimento del secondo strato e dei successivi corrisponda al calore di
liquefazione.
𝐶−1
(𝑉𝑚𝐶)
1
(𝑉𝑚𝐶)
129
La superficie dell’area proiettata (St) la si ricava con un’altra formula che deriva
dall’equazione di B.E.T. :
𝑉𝑚 𝑁𝑜 𝐴𝑐𝑠
𝑆𝑡 =
𝑉
No = numero di Avogadro
Acs = Cross Sectional Area of the
adsorbed gas
V = volume molare del gas adsorbito
POROSITÀ
La porosità di un materiale è collegata all’area superficiale.
I pori all’interno di una polvere non sono della stessa dimensione, ma può essere
calcolata una distribuzione dimensionale della loro grandezza che rappresenti la polvere
in toto.
130
Equazione di Walshburn:
r = raggio dei pori (mm)
γ = tensione superficiale del fluido
𝑐𝑜𝑠𝜃 = angolo di contatto del fluido
P = pressione
La porosità delle particelle si calcola tramite un macchinario detto porosimetro. Con
questo strumento si fa penetrare del mercurio esercitando una determinata pressione
all’interno dei pori della polvere e si calcola il volume occupato dal mercurio stesso, che
corrisponde al volume dei pori.
L’equazione di Walshburn correla la P di ingresso esercitata dal mercurio con il diametro
dei pori, la loro distribuzione dimensionale e il volume totale occupato.
Viene utilizzato il mercurio perché è un fluido non comprimibile, quindi se il suo volume
diminuisce man mano che viene versato nella polvere, significa che è entrato nei pori e ha
riempito gli spazi. Inoltre il mercurio ha angolo di contatto abbastanza grande e non
interagisce con la superficie essendo inerte.
Più piccoli sono i pori, maggiore deve essere la P esercitata.
Dalla diminuzione totale di volume che si verifica, si ottiene il volume totale occupato dai
pori.
131
Rappresentando a livello grafico l’intero
processo di ingresso e uscita del mercurio
dalla polvere, si ottiene una curva di
intrusione/estrusione che ci dà un’indicazione
della struttura interna della polvere. Questa è
un’isteresi, perché il processo non è
reversibile, ovvero il processo inverso non si
svolge allo stesso modo del processo iniziale.
Si esercita una certa pressione, entra il
mercurio e una volta saturati i pori più grandi,
il mercurio entra poi nei pori più piccoli grazie
ad un aumento di pressione. Queste curve indicano sia la dimensione del poro a partire
dalla pressione applicata sia la dimensione totale occupata dai pori che corrisponde al
volume di mercurio.
Nel processo inverso, diminuita la P, ci si aspetta che il mercurio esca del tutto ma non è
così: il mercurio fa più fatica ad uscire ed è per questo che si verifica un’isteresi.
L’isteresi è tanto più marcata quanto più tortuoso è il materiale, quindi ci fornisce
un’indicazione dell’andamento interno dei canali e della tortuosità del percorso interno.
È il rapporto della massa sul volume. Quando parliamo di polveri, il volume è un concetto
diverso rispetto a un liquido perché la polvere è costituita da materiale solido e da uno
spazio vuoto tra le particelle.
Def. FUI: «La densità dei solidi corrisponde alla loro massa media per unità di volume e
tipicamente è espressa in grammi per centimetro cubo (g/cm3) anche se l'unità
internazionale è il chilogrammo per metro cubo (1 g/cm3 = 1000g/m3)».
132
Esistono vari tipi di densità:
1. La densità vera (true density) della polvere è la densità calcolata considerando il
volume senza spazi vuoti. Polimorfi e amorfi hanno densità vere diverse.
Densità vera
133
Sottraendo B ad A si ottiene il peso della polvere, mentre sottraendo D-C si ottiene il
peso del liquido disperdente che occupa lo spazio della polvere (compreso degli spazi
intra e interparticellari). A questo punto ricaviamo il volume occupato dalla polvere perché
conosciamo la densità del liquido disperdente, una volta ottenuto il volume “vero”, poiché
conosciamo la massa della polvere (B-A), possiamo calcolare la densità vera.
[(B − A)ρ20dis]
ρ20 =
[(B − A) + (D − C)]
Dal volume “vero” della polvere, conoscendo la sua massa, possiamo calcolare la densità
vera.
Ρtrue = W/Vp
Tutti i picnometri si basano sulla determinazione del volume occupato dalla polvere per
DIFFERENZA (quello occupato dal liquido in totale e quello occupato dalla polvere con il
liquido o quello occupato dalla polvere rispetto al volume della camera totale) perché la
massa è nota.
Bulk density
135
In realtà le particelle non si arrangiano in modo
così ordinato perché non sono tutte uguali ma
hanno dimensioni e forme diverse, inoltre in un
blend (mescolato) la densità non è sempre la
stessa. Se mescolassimo polvere di silica con
polvere di amido, la densità di entrambe le
sostanze cambia, così come la bulk density e la
disposizione delle particelle.
Le polveri sono sistemi polidispersi che
presentano spazi vuoti nei quali le particelle più
piccole possono posizionarsi e occupare questi spazi lasciati dalle particelle più grandi
riducendo quindi il volume totale occupato dalla polvere à più polidisperso è il materiale
maggiore è la densità del prodotto perché ci sono meno spazi vuoti.
Anche la Bulk density si misura mediante un picnometro. Il concetto di base sta nella
misurazione indiretta del volume occupato dalla polvere, cioè tramite il volume noto della
camera contenente la polvere e il volume occupato dal gas o dal liquido, per differenza si
calcola il volume occupato dalla polvere comprensivo anche degli spazi vuoti
intraparticellari.
Lo strumento che utilizziamo solitamente è il picnometro a mercurio. Si utilizza il mercurio
perché ha un basso potere penetrante essendo poco comprimibile.
Conoscendo la massa e la densità del mercurio, si ricava per primo il suo volume e per
differenza il volume della polvere comprensivo degli spazi vuoti. La massa della polvere la
conoscevamo già e da qui ricaviamo la bulk density.
Il picnometro a mercurio, a differenza del porosimetro, prende in considerazione anche gli
spazi vuoti nel calcolo della densità della polvere perché non va ad occupare tutti gli
spazi, in quanto non viene applicata una pressione tale da far entrare il mercurio nei pori
delle particelle.
136
Densità al versamento e allo scuotimento
Le polveri si definiscono light o heavy a seconda del volume che occupano e della
densità che hanno.
Attraverso la densità al versamento e allo scuotimento è possibile ottenere informazioni
sulla porosità, calcolandola attraverso il rapporto tra la densità vera e quella di bulk à si
ottiene il volume relativo senza utilizzare il porosimetro a mercurio. Gli spazi
interparticellari possono essere presi in considerazione o meno.
WXYZ[
Relative Volume (Vr): 𝑉𝑟 =
W\]Y^
W\]Y^ W`a]\bcZ^
Porosità (ε): 𝜀 = 1 − o 𝜀 = 1 −
WXYZ[ WXYZ[
dXYZ[
Porosità totale: 𝜀 = 1 −
d\]Y^
137
Indice di comprimibilità e indice di Hausner
W| yW}
Comprimility index (IC): 𝐼𝐶 = 100 ∗
W}
V0= poured volume
Vf= tap volume
𝜌\a` − 𝜌`fY]^g
𝐼𝐶 = 100 ∗
𝜌\a`
1
𝐵𝑢𝑙𝑘𝑛𝑒𝑠𝑠 =
𝜌XYZ[
dqmv{to
Hausner Index (IH): 𝐼𝐻 =
dzrq
138
Forze coinvolte nell’adesione e nella coesione:
• Forze frizionali
• Tensione superficiale
• Forze meccaniche (quando abbiamo delle superfici con delle scabrosità le particelle
tendono ad interagire con la superficie)
• Forze elettrostatiche
• Forze coesive e di Van der Waals
L’adsorbimento di un fluido può favorire lo scorrimento delle polveri perché può andare a
riempire le scabrosità e rendere la superficie più liscia; inoltre l’acqua disperde facilmente
le cariche superficiali e non si hanno problemi di carica che rallentano il flusso.
139
L’intensità delle forze frizionali dipende dal tipo di materiale con cui si ha a che fare. Per
esempio le forze frizionali e quelle di Van der Waals hanno un valore importante su
superfici più scabrose e su particelle piccole, al di sotto dei 150 µm; inoltre l’umidità
favorisce la diminuzione della tensione superficiale.
Le forze elettrostatiche sono di maggiore importanza rispetto a quelle di Van der Waals.
Ci sono due modi per determinare lo scorrimento delle polveri: l’angolo di riposo e lo
scorrimento.
1) Angolo di riposo Φ
140
„
𝑇𝑎𝑛 𝛷 = :
]
- Φ< 30° materiale scorrevole
- Φ> 30° materiale poco scorrevole
141
2) Metodo dell’imbuto
Si tratta di un’altra tecnica per determinare il flusso delle polveri: si riempie l’imbuto con
una certa quantità a peso noto di polvere e la si fa scorrere lungo lo strumento,
prendendo nota del tempo impiegato dalla polvere per scendere dall’imbuto.
N.B. Non c’è nessuna correlazione tra il flusso misurato con l’imbuto e quello misurato
con l’angolo di riposo, sono due metodi diversi per misurare lo scorrimento della polvere.
Per esempio, nello scorrimento con l’imbuto, all’aumentare della grandezza delle
particelle migliora la scorrevolezza della polvere fino ad un certo punto limite in cui le
polveri diventano troppo grandi e rischiano di provocare una occlusione dell’imbuto,
quindi in questo caso lo scorrimento risulta peggiore.
142
PROPRIETÀ MECCANICHE
Sono proprietà che dipendono dall’energia del sistema; in realtà anche lo scorrimento
dipende dall’energia del sistema perché si formano e si rompono dei legami.
143
Quando viene applicata una forza ad un materiale si ha una deformazione dimensionale.
Le deformazioni dimensionali, plastiche ed elastiche avvengono contemporaneamente,
quindi non si avrà mai la distinzione tra deformazione plastica ed elastica.
𝝈
𝑬=
𝜺
σ: stress
ε: strain
E: modulo di Young
Elasticità
Plasticità
144
Viscoelasticità
• Indice di legame
𝜎Œ
𝐵𝑜𝑖𝑛𝑑𝑖𝑛𝑔 𝐼𝑛𝑑𝑒𝑥 =
𝐻
σT = forza tensile (resistenza alla tensione) del compatto ad una data frazione
H = durezza (pressione di deformazione permanente) ad una data frazione
145
• Indice di frattura di fragilità
• Indice di tensione
146
8. PROCESSI NELL’INDUSTRIA FARMACEUTICA
L’industria farmaceutica è basata sulla formulazione di materiali per ottenere un prodotto
finale.
Quando si realizza un farmaco si fa una trasformazione di una molecola, che è il
principio attivo, in qualcosa che viene reso somministrabile.
Nel processo di trasformazione si adottano delle modalità di produzione diverse per ogni
tipo di prodotto e tutti i procedimenti e le sostanze utilizzate devono essere approvati
dalla FUI.
Porta alla riduzione della grandezza delle particelle per poter rendere il preparato
UNIFORME. Per ottenere un preparato omogeneo si può agire o aumentando la
grandezza delle particelle o riducendola. Nel secondo caso, le particelle vengono
macinate e la loro dimensione diminuisce fino ad ottenere un sistema omogeneo a partire
da un blending polidisperso (milling); nel primo caso, invece, la grandezza delle particelle
aumenta fino a renderle uniformi e questo processo è chiamato granulazione.
147
Durante il processo di milling viene fornita molta
energia al sistema, ma solo dallo 0,05% al 2% viene
utilizzata per il milling. Il resto dell’energia è dispersa
sotto forma di calore (10-50%) che aumenta il
rischio di degradazione del prodotto, di
deformazione plastica in cui si rompono alcuni
legami intermolecolari e se ne formano degli altri, e
di frizione tra strumento e strumento, tra particelle
e strumento e tra le particelle stesse.
La scelta del processo di macinazione è influenzata dal tipo di materiale utilizzato e dai
tipi di impianti diversi utilizzati a seconda della sostanza impiegata.
148
Hammer mills
Rolling mills
149
È estremamente efficiente, consente di ottenere
particelle molto piccole controllando le condizioni di
lavoro. Funziona per impatto e compressione.
La polvere è introdotta all’interno di un loop che viene
sottoposto ad un flusso d’aria controllabile (un fluido a
temperatura controllata) che le particelle seguono in
modo più o meno efficiente a seconda della loro densità
aerodinamica.
A seconda della dimensione e della densità delle
particelle e del flusso d’aria impresso si avrà un impatto
della polvere sulle pareti del macchinario: le particelle
delle dimensioni adatte (quelle che abbiamo voluto
selezionare) seguono il flusso d’aria fino alla fine del
loop, quelle che hanno densità aerodinamiche grandi
vanno a sbattere contro le pareti o contro altre particelle e diventano più piccole, in modo
da poter arrivare anche loro alla fine del tubo.
Le particelle troppo piccole si muovono in modo casuale con moti browniani e non
seguono il flusso d’aria, perciò, per ragioni statistiche, vengono introdotte all’interno di un
classificatore all’interno del quale si riescono a separare da quelle di dimensione voluta.
In base al flusso d’aria quindi viene determinata la dimensione delle particelle.
MESCOLAMENTO (BLENDING)
150
Possiamo avere diversi tipi di mescolato:
• Mescolato perfetto: non si raggiunge mai à abbiamo due
componenti diversi e ogni particella di una sostanza è
perfettamente circondata dalla particella dell’altro componente.
Un altro modo è quello di formare dei granuli à si miscelano le particelle tra di loro e
si formano dei granuli che hanno composizione qualitativa e quantitativa omogenea.
151
Fixed shell blenders
Hanno un corpo fisso all’esterno e un sistema di
agitazione all’interno.
Il più comune è il miscelatore planetario, detto così
perché richiama il movimento di rotazione e rivoluzione
della Terra (doppia rotazione).
È utilizzato principalmente per semisolidi, quindi gel,
pomate, creme o per dispersioni come emulsioni e
sospensioni.
Questi miscelatori sono abbastanza efficienti ma il setup
deve essere accurato perché lavorano con tanta energia e in modo discontinuo, bisogna
quindi stare attenti alla pulizia perché si lavora con
semisolidi che possono intasare la macchina.
Continuous blenders
È un impianto con andamento a zig zag che, grazie alla
sua forma, favorisce il mescolamento della polvere.
Si inserisce il materiale all’interno del tubo a zig-zag che
porta al mescolamento della polvere.
152
ESSICCAMENTO
Questo processo serve per eliminare il solvente organico utilizzato per la sintesi del
farmaco ed eventuale acqua non necessaria. È un processo indicato dalla FUI, la quale
descrive così i metodi di essiccamento:
Umidità assoluta: massa di vapore acqueo per unità di massa di aria secca.
% umidità assoluta: rapporto tra umidità assoluta e umidità assoluta alla saturazione di
quella temperatura.
% umidità relativa: rapporto tra vapore e acqua nell’aria.
L’umidità è definita come perdita di peso, cioè è la misura del peso dell’acqua nel
campione rispetto al peso del campione secco.
Il Moisture Content (MC) invece è il peso dell’acqua del campione rispetto al campione
prima dell’essiccamento espresso in percentuale.
Meccanismi di essiccamento:
• Capillarità: l’acqua si muove all’interno del solido tramite dei canali in modo contrario
alla forza gravitazionale. Ci sono delle forze di superficie che vincono delle forze di
gravità e fanno salire l’acqua su questi piccoli tubicini.
• Diffusione del liquido: processo diffusivo che avviene al di fuori dell’equilibrio, è
necessario un gradiente di acqua perché questa sia eliminata.
• Vapore di diffusione: avviene con un gradiente di pressione, quando viene applicato
un vuoto (tipico dell’essiccatore).
153
Profili di essiccamento: i grafici rappresentano lo stesso processo, analizzato con
parametri diversi.
Fase A-B: all’inizio c’è la fase di riscaldamento (warming up) e man mano che la
temperatura aumenta, aumenta la velocità di evaporazione.
Fase B-C: si raggiunge una temperatura in cui il numero di molecole che evaporano dalla
superficie della polvere è lo stesso di quelle che rimangono in superficie, perché quelle
che se ne vanno sono sostituite da quelle della superficie interna dello strumento. È una
fase di equilibrio.
Punto C: si è raggiunto il punto critico di umidità. A questo punto le molecole di acqua
all’interno della polvere non sono più in grado di rimpiazzare quelle presenti sulla
superficie perché ce ne sono troppo poche. È un punto di non equilibrio. Questa fase
dipende dal tipo di solvente e dal tipo di materiale che abbiamo.
154
Fase C-D: è la fase steady state, la velocità di essiccamento si riduce perché è stato
raggiunto il punto critico e la quantità di acqua che se ne va diminuisce nel tempo.
Bisogna capire quando fermarsi, il prodotto non deve essere completamente anidro:
l’acqua superficiale permette alla superficie del farmaco di essere più liscia. Quando viene
eliminata l’acqua di cristallizzazione si rende il prodotto più instabile e degradato poiché
vengono eliminati alcuni legami fornendo energia. Per questo motivo i prodotti
completamente essiccati hanno delle caratteristiche chimico-fisiche molto difficili da
manipolare.
Se si prosegue con l’essiccamento si ha l’indurimento, ovvero si forma una barriera sulla
parte esterna della polvere che impedisce all’acqua interna di essere eliminata, questo
succede generalmente se il processo non è efficiente à bisogna quindi fare scelte
adeguate per quanto riguarda la temperatura e il tempo.
L’acqua quindi deve essere eliminata lentamente e in modo diffusivo.
La grandezza delle particelle influenza la velocità di essiccamento: più piccole sono le
particelle, maggiore è la superficie, più velocemente viene essiccata la polvere.
155
Against thought dessicator
Presenta sia un mescolatore che un macinatore
all’interno.
156
La cosa importante è che il materiale si scalda dall’interno, le molecole entrano in
risonanza e si muovono a energia cinetica sempre maggiore.
GRANULAZIONE
157
- Con la granulazione a secco dove non si aggiunge un liquido, ma comunque la
polvere presenta acqua al suo interno e quando viene compressa si esercita una
certa pressione che comporta l’aumento della temperatura del sistema: l’acqua
utilizzata come solvente fa sciogliere gli
eccipienti (come il saccarosio) al suo
interno. Quando poi si decomprime il
sistema, esso si raffredda e si formano
dei ponti solidi tra le varie particelle;
- Quando il granulato è a umido e si
utilizza un solvente che scioglie
l’eccipiente, poi si essicca e il solvente
solidifica, in questo modo si formano i legami liquido-solido.
- Quando si aggiunge un granulante nella miscela. In questo caso esso sarà già in
soluzione, si mescola e si essicca. Alla fine si ottiene il ponte solido del granulante.
Granulazione a secco
Metodo diretto e semplice. Si utilizzano dei mulini e dei compattatori, per esempio delle
presse, da cui si ottengono dei granuli compatti che vengono poi macinati e setacciati.
I granulanti possono essere gli eccipienti che utilizziamo à ad esempio l’amido è un
granulante anche se è utilizzato come agente riempitivo.
Un’azione granulante è anche quella dell’acqua all’interno della polvere.
Granulazione a umido
È un processo più complesso. Si mescolano tutte le polveri, si aggiunge un solvente o
una soluzione e si mescola il tutto. Si ottiene un sistema semi-solido che viene essiccato
per eliminare il solvente (acqua) e alla fine si ottiene un compatto che viene macinato per
ottenere granuli della stessa dimensione.
Si parte quindi da particelle piccole per poi arrivare a delle particelle più grandi, che sono i
granuli ottenuti tramite mescolamento e macinamento.
158
• Fase funicolare: si ha in caso di un’elevata % di contenuto liquido (almeno 25%).
Avviene una copertura della parte interna delle particelle ma gli spazi vuoti non
vengono saturati;
• Fase capillare: riempimento di tutti gli spazi vuoti tra le particelle;
• Goccia: avviene quando anche la superficie esterna delle particelle viene coperta dal
liquido, non si deve arrivare a questa fase.
Binders: i leganti permettono di formare i granuli con una certa forza meccanica e danno
volume alle compresse con bassa attività.
Possono essere di tre tipi: ci sono solventi come etanolo e acqua; altri sono soluzioni
zuccherine; altri ancora sono dispersioni colloidali di polimeri non sintetici, semisintetici,
sintetici (gomma acacia, derivati della cellulosa, soluzioni di gelatina, soluzioni di amido,
gomma dragante). Vengono utilizzati in quantità elevate, dal 65 al 75%.
159
Wurster:
Spray dryer:
160
Alla fine abbiamo dei granuli da caratterizzare secondo i seguenti parametri:
• Densità
• Superficie e forma
• Dimensione e distribuzione particellare
• Porosità
• Durezza
• Friabilità
• Solubilità e velocità di dissoluzione
• Disaggregazione
• Stabilità
Il processo dell’industria farmaceutica coinvolge una serie di risorse tra cui materiali,
impianti, spazi, risorse logistiche e risorse umane. Tutte queste vengono coordinate
all’interno del processo di trasformazione. tale processo è costituito da una serie di
attività che hanno un obiettivo aziendale determinato precedentemente in fase di
pianificazione.
Il flusso di processo è un insieme di attività correlate e inter correlate, svolte all'interno
dell’azienda, che creano un certo valore economico e scientifico trasformando risorse
(input del processo) in un prodotto finale (output del processo) destinato ad un soggetto
interno o esterno all'azienda (cliente).
Il processo industriale è rappresentato da un diagramma detto flow chart, cioè una
rappresentazione grafica delle risorse e delle attività che vengono svolte nell’azienda. In
questa rappresentazione grafica ci sono dei nodi rappresentanti le attività svolte e archi
che rappresentano la sequenzialità con cui le medesime attività vengono svolte, orientati
secondo la loro sequenza cronologica (nel senso che se un arco esce da un'attività ed
entra in un'altra, la seconda viene eseguita dopo la prima) à archi danno l’indicazione
della conseguenza delle varie operazioni.
L’idea di avere una progettualità, fissando i punti principali facendo un piano di
contingenza, permette di prevedere le difficoltà che si possono presentare durante il
processo in modo da poterle prevenire o risolvere con i mezzi adatti.
Ci sono delle figure convenzionali per identificare il flow chart: per esempio l’inizio e la
fine del processo sono identificate da un’ellisse o da un rettangolo con angoli smussati; il
rombo da cui escono diversi archi serve per identificare le opzioni da scegliere; il
rettangolo serve per inviare i dati.
161
Il flusso di processo, assieme ai dati quantitativi di
output previsti per l’impianto (dimensione lotto,
numero di lotti per campagna, durata delle possibili
campagne, massimo numero di lotti totali anno):
• Costituisce la base delle informazioni per la
progettazione dell’impianto;
• Costituisce la base di discussione per le
considerazioni che porteranno alla scelta delle
macchine dedicate al processo (specifiche, rese,
idoneità dei materiali di costruzione,
strumentazione);
• Costituisce un punto di riferimento per
l’integrazione delle macchine nel lay-out
dell’impianto;
• Consente di ottimizzare nel lay-out flussi di
materiale, impianti e personale.
ESEMPIO di PROCESSO:
1) Riceviamo un ordine e lo prendiamo in carico, iniziando così il processo.
2) Si controlla se la fonte che ha fornito l’ordine è affidabile o meno in termini di
pagamento: se i crediti sono buoni si va avanti, altrimenti ci si ferma.
3) Dopo aver approvato il proseguimento del processo, si controlla se in magazzino è
presente il prodotto richiesto, si programma la spedizione, si conferma la data, viene
inviato il prodotto e il processo è finito.
162
4) Se invece il prodotto invece non è presente in magazzino bisogna controllare se è
presente il materiale di base per poter produrre il prodotto finale, se non ce l’abbiamo
bisogna ordinarlo (bisogna sempre avere i materiali di base per poter velocizzare i
tempi ed essere competitivi con le altre aziende).
5) Si comincia la produzione. Il processo è molto lungo e articolato, infatti le aziende
farmaceutiche non prendono tutti gli ordini ma solo quelli convenienti.
È importante avere chiarezza nei tempi di produzione, nei costi e in quello che il personale
è in grado di svolgere.
LAY-OUT
163
Classificazione delle aree
Le finiture devono soddisfare i requisiti GMP associati alla destinazione d’uso delle
singole aree: materiali, superfici, porte, pochi spigoli, piani puliti.
È importante tenere accuratamente in considerazione i sistemi di comunicazione e i punti
di collegamento alla rete informatica e al sistema di controllo.
Una “schedulazione”. Ome in figura identifica le aree con relative necessità di spazio e/o
di specifiche attività, stabilisce le relazioni e vincoli che ne derivano i flussi che meglio
rappresentano il processo in chiave GMP e i requisiti dell’operatore.
164
Costo del Lay-out
Aumenta se:
• Aumenta la lunghezza delle pareti di perimetro per una data superficie
• Aumentano i carichi di struttura
• Aumentano le distanze e i cambi vestiario che il personale deve effettuare.
Ci sono vari simboli e lettere che classificano impianti e aree di un lay-out, in genere si
utilizza il Piping and Instrument Diagram (P&ID):
165
CONTROLLO DELLA STRUMENTAZIONE
Ci sono anche una serie di allarmi che indicano quando stiamo uscendo dalla media e
stiamo andando nel punto di allerta. Bisogna perciò ridurre il più possibile gli errori
anticipando e prevenendo le problematiche che potrebbero avvenire.
I parametri critici GMP devono essere monitorati e documentati con un’accuratezza
strumentale deve essere non superiore alla differenza tra il limite di processo e quello di
allerta.
166
Oscillazioni di allerta e di allarme
Cleaning
Per le pulizie si usa in genere acqua potabile o purificata, seguita sempre da risciacquo
con WFI, in area sterile si utilizzano soltanto WFI, disinfettanti e altre soluzioni
opportunamente sterilizzate e controllate microbiologicamente.
Il lavaggio può essere:
• Manuale (generalmente grossi pezzi macchina non disassemblabili)
• Semi automatico (lavatrici, bagni ad ultrasuoni, etc)
• Automatico (CIP)
167
TABLETING
FUI: “Le compresse sono preparate usualmente per compressione di volumi uniformi di
particelle o di aggregati di particelle ottenuti per granulazione. Nella produzione di
compresse si adottano opportune misure atte ad assicurare che abbiano sufficiente
resistenza meccanica per evitare sbriciolamenti o rotture nelle manipolazioni o trattamenti
successivi…”
Stadio 1: il punzone superiore viene ritirato dallo stampo della camera superiore. Il
punzone inferiore è basso, così la polvere cade nel foro e riempie lo stampo.
Stadio 2: il punzone inferiore si muove verso l’alto per sistemare e adattare la polvere,
alzandosi espelle della polvere.
Stadio 3: il punzone superiore è posizionato nello stampo dalla camera superiore e il
punzone inferiore è alzato dalla camera inferiore, le teste dei punzoni passano attraverso
dei rulli che comprimono la polvere.
Stadio 4: il punzone superiore viene ritirato dalla camera superiore e quello inferiore viene
spinto in alto ed espelle la compressa. Questa viene rimossa dalla superficie dello
stampo.
Stadio 5: si ritorna alla condizione iniziale.
168
Comprimitrice alternativa - macchina a singolo
pistone
Questa è stata una delle prime comprimitrici utilizzate.
La compressione avveniva solo grazie all’azione del
singolo pistone superiore, mentre quello inferiore
rimaneva fisso.
Però con questo metodo sorgevano dei problemi:
1. Se la compressone avviene solo da parte del punzone
superiore la distribuzione delle forze è disomogenea,
quindi non c’è una buona dispersione della polvere e la compressa può presentare punti
di fragilità.
2. La compressione avviene con un solo movimento del punzone (singola compressione),
che non è sufficiente per eliminare l’aria all’interno della compressa. L’aria, se presente,
può provocare la rottura delle particelle e della compressa stessa perché impedisce la
formazione di legami.
Con una doppia compressione invece si elimina l’aria e si formano legami nel primo
passaggio di pre-compressione; nel secondo non si deve esercitare una forza troppo
elevata che può portare ad un innalzamento della temperatura e una parziale fusione dei
materiali, ma una forza inferiore che è sufficiente perché dei legami si sono già formati
con la pre-compressione.
Quindi la comprimitrice alternativa è stata trasformata in una comprimitrice a doppia
compressione con il movimento simultaneo dei due pistoni.
169
Nel secondo sistema avviene la compressione finale.
Nella prima fase si verifica l’eliminazione dell’aria, la formazione di alcuni legami e nella
seconda fase si consolida la compressa.
Svantaggi:
• Le polveri contengono molta più aria dentro che dà fastidio a causa del suo ritorno
elastico
• Si devono formare più legami tra le particelle, quindi la pressione di compressione
deve essere maggiore
• La polvere può essere disomogenea, invece un granulato ha una composizione più
omogenea e non ho il problema di separazione e segregazione delle varie sostanze
farmaceutiche.
Vantaggi:
• Minor contenuto di aria nella compressa
• La compressa ha una densità maggiore ed è più omogenea
• Formazione dei legami durante il processo di granulazione
Partendo da determinati eccipienti e comprimendo un granulato è possibile ottenere una
performance di rilascio diverso. Infatti il rilascio del farmaco, oltre a dipendere dal
farmaco stesso, dipende anche dagli eccipienti utilizzati e da come è stata prodotta la
compressa.
170
Ci possono essere due processi di
granulazione:
1) Granulazione a secco
Il farmaco viene mescolato assieme agli
eccipienti e vengono compattati insieme,
ottenendo un solido che poi viene
frammentato in granuli di dimensioni
precise. I granuli poi vengono mescolati
con un lubrificante e il tutto viene
compresso con la rotary press.
171
Il volume delle particelle dall’inizio del processo diminuisce in modo lineare (A) man mano
che aumenta la pressione di compressione à ci sono varie fasi di compressione ognuna
rappresentata da un segmento del grafico in cui è variata la pressione impiegata.
1) Reimpaccamento transizionale:
Una volta che è all’interno della camera di compressione e i pistoni cominciano a
muoversi, la polvere si riorganizza e gli spazi vuoti vengono riempiti dalle particelle più
piccole, in questo modo il volume si riassesta. Questa fase è determinata dalla
morfologia delle particelle (quelle tonde si assestano facilmente, quelle con forma a
scaglie o aghi ci mettono di più a riorganizzarsi) e dipende della dimensione delle
particelle e dalla polidispersività; particelle poco polidisperse, cioè omogenee, si
riorganizzano più velocemente, mentre quelle con molta polidispersività ci impiegano più
tempo perché le particelle più piccole devono avere il tempo di penetrare gli spazi vuoti
tra particelle e particelle.
172
2) Legami intermolecolari che avvengono quando le particelle sono molto vicine tra loro,
legami tra le superfici vicine (dipolo, Van der Walls).
3) Ponti liquidi: si formano quando la pressione aumenta e l’acqua presente nella
compressa fa sciogliere gli eccipienti. Quando viene esercitata un’elevata pressione, la
temperatura aumenta e l’acqua residua all’interno della compressa scioglie gli eccipienti;
quando avviene la decompressione c’è un raffreddamento e quell’eccipiente che si è
sciolto precipita formando dei ponti liquidi tra le varie particelle.
Per quanto riguarda l’area superficiale, all’inizio aumenta perché le particelle si rompono
durante la compressione, poi diminuisce perché avvengono il consolidamento e la
formazione dei legami tra le particelle.
La densità aumenta all’aumentare della pressione;
La porosità diminuisce e dipende dal tipo di materiale e dal grado di porosità;
La durezza aumenta all’aumentare della pressione perché aumenta il numero di legami;
Il tempo di disaggregazione e disintegrazione aumenta: più pressione è esercitata, più
lento è il processo di disintegrazione.
173
Energia spesa nel processo di compressione
L’energia coinvolta nel processo di compressione è elevata e solo in parte viene spesa
per formare la compressa. La maggior parte dell’energia viene dispersa nel
riarrangiamento delle particelle, nel vincere le forze frizionali, nel rompere le particelle e
formare così nuove aree superficiali e nel portare la compresa fuori dalla camera. Gran
parte poi viene dispersa in calore o in deformazioni elastiche che non sono necessarie.
174
• I lubrificanti, in generale, riducono le interazioni tra particelle e particelle (oltre a quelle
tra compressa-macchina) quando si devono legare, perciò non si deve esagerare
altrimenti gli effetti diventano negativi e si indeboliscono i legami à si deve trovare un
giusto compromesso.
L’energia totale spesa in assenza di lubrificanti è 8.6 cal.; con un lubrificante è di 2 cal=>
è tutta energia che viene risparmiata in termini di costi e che può surriscaldare la
macchina danneggiandola.
175
Anche una pressione di compressione insufficiente provoca i fenomeni citati sopra e ciò
può essere dovuto all’utilizzo di lubrificanti non adatti o all’eccessivo volume o
dimensione errata della camera di compressione. Infatti con i punzoni posizionati
correttamente (più concavi o meno) la distribuzione delle forze avviene in modo
omogeneo, riducendo anche il ritorno elastico. La distribuzione delle forze all’interno della
polvere è uno dei fattori principali che influenzano il processo, così come la presenza
dell’aria (doppia compressione) o l’utilizzo degli eccipienti.
È poi importante il tempo di estrazione della compressa: deve essere relativamente
rapido per impedire che lo strumento formi dei legami con la polvere della compressa.
Nel caso in cui si avvengano il capping o la laminazione, si deve verificare per prima la
quantità di umidità all’interno della polvere (oltre alla geometria della camera di
compressione), in modo da regolare la compressione finale per limitare il ritorno elastico o
aumentare il tempo di rilassamento, che riduce la velocità con cui la compressa torna
indietro.
Per ottimizzare il processo è possibile inoltre modificare le dimensione della compressa:
se è grande implica una minore omogeneità di distribuzione delle forze che devono
raggiungere punti anche molto lontani, se ho una compressa più piccola le forze si
distribuiscono in maniera più bilanciata.
• Sticking and picking: sono fenomeni che si verificano quando la compressa aderisce
all’impianto nel caso dello sticking, o al punzone nel caso del picking. È dovuto a
un’errata scelta di eccipienti o all’utilizzo di processi non idonei, come un’insufficiente
essiccamento.
Può essere avvenuto un errore sia sul PROGETTO formulativo (composizione quali-
quantitativa), che sul PROCESSO formulativo.
Questi due fenomeni sono dovuti per la maggior parte alla presenza di materiali che
fondono a basse pressioni che, con la decompressione e quindi raffreddamento,
rimangono attaccati alle pareti.
• Filming: si osserva nei punzoni particolari che presentano dei loghi da imprimere
sulla compressa. per risolvere il problema si può eliminare il logo oppure
ridisegnarlo con dei solchi più larghi, oppure si utilizzano eccipienti particolari con
più silica, che diminuisce l’aderenza.
176
la camera di compressione, che è molto efficace perché non altera la massa della
compressa.
• Cracking: rottura della compressa che parte dal centro dovuto sia a problemi di
tipo formulativo che di processo.
PROGETTO DI FORMULAZIONE
Uno degli eccipienti più usati è la cellulosa microcristallina che non è sempre uguale ma
dipende da chi la produce e da chi la fornisce.
177
Prototipo di formulazione:
5) Elaborazione dei test che dovranno essere eseugiti durante le varie fasi del processo
(test di dissoluzione, test di purezza della compressa)
6) Riportare le azioni su un dossier
ECCIPIENTI
178
Altri eccipienti tecnologico sono i riempitivi, servono in quelle compresse che hanno
poca quantità di principio attivo o sono molto piccole perciò è necessario introdurre
altre sostanze al fine di produrre una forma assimilabile dal paziente.
• Biofarmaceutici: regolano la velocità di rilascio del farmaco. Ad esempio aumentano
l’angolo di contatto e quindi la bagnabilità, rendono il farmaco più solubile oppure
ritardano il rilascio del farmaco.
• Organolettici: sono quegli eccipienti che migliorano l’aspetto del farmaco e
l’accettabilità (compliance), per esempio coloranti, dolcificanti, aromatizzanti.
Nuovi eccipienti:
Primogel: carbossimetilamido di sodio
Nymcel: carbossimetilcellulosa di sodio a basso grado di sostituzione
Plasdone XL PVP :croslinkato
LHPC: idrossipropilcellusa a basso grado di sostituzione
Ac Di Sol: carbossimetilcellulosa di sodio crosslinkata internamente
179
Linee guida europee sull’utilizzo di sostanze farmaceutiche e sugli studi di tossicità
Gli studi di tossicità degli eccipienti sono meno lunghi rispetto a quelli effettuati sul
principio attivo, tuttavia anche questi richiedono protocolli approvati dagli enti regolatori
e continuamente aggiornati (EMA).
180
181
9. COMPRESSE
Outline:
Definizione: Una compressa è una forma farmaceutica solida che viene somministrata ad
un soggetto attraverso varie vie, tra cui orale, polmonare, rettale.
Le compresse permettono una gestione del dosaggio e regimi terapeutici diversi; sono
pratiche e molto facili da utilizzare, oltre che facilmente trasportabili.
Esistono compresse di tanti tipi, in modo da avere tempi di rilascio differenti o un rilascio
programmato nello stomaco o nell’intestino (compresse gastroresistenti).
Sono forme farmaceutiche stabili perché sono allo stato solido, quindi preferibili rispetto
ad una soluzione in cui il farmaco è libero molecolarmente e si potrebbe idrolizzare più
facilmente. È stabile anche fisicamente perché non precipita, a differenza di alcune
sospensioni, ad esempio, che è necessario agitare prima dell’uso.
Sono le forme farmaceutiche più economiche e facili da produrre.
FUI: “Le compresse sono preparazioni solide contenenti ciascuna una dose unica di uno
o più principi attivi e ottenute usualmente per compressione…..”
Abbiamo
• Compresse ingoiabili come tali, masticabili e ingoiabili, dispersibili e ingoiabili
• Compresse solubili e effervescenti
• Compresse per la cavità buccale: masticabili, buccali, sublinguali, orodispersibili
• Compresse rivestite, non rivestite, multistrato
• Compresse a rilascio modificato, ritardato, gastroresistenti
• Suppositori
• Altre
Esistono dei saggi comuni usati per queste compresse che sono:
182
non è più significativa perché per la maggior parte la compressa è costituita da
eccipienti. In questo caso si fa riferimento ad altri saggi.
2) Saggio di uniformità di contenuto: è un’analisi quantitativa eseguita utilizzando
strumenti come HPLC/cromatografia che si esegue in genere quando il contenuto del
farmaco è ≤ 2% all’interno della molecola, cioè quando su 100 mg della compressa il
farmaco è meno di 2 mg, quindi anche una piccola variazione è rilevante.
183
ECCIPIENTI TECNOLOGICI
Riempitivi
Il saccarosio e il mannitolo sono eccipienti ottimi come riempitivi con cui però il
contenuto di umidità aumenta nel tempo, quindi la stabilità del prodotto è compromessa
e perciò sono difficili da utilizzare.
Nel primo grafico si vede la diversa tendenza di vari eccipienti ad acquisire umidità
all’aumentare del tempo. Ad esempio si vede ce il lattosio anidro tende ad assorbire più
umidità rispetto al lattosio idrato; allo stesso modo gli zuccheri come il sorbitolo e il
saccarosio sono gli eccipienti che più alzano il livello di umidità della compressa.
184
Gli eccipienti riempitivi possono essere classificati dal punto di vista chimico come:
1) Zuccheri semplici solubili
2) Polimeri
3) Inorganici insolubili perché sono tutti sali del calcio
GLUCOSIO:
Emdex: 90-92% Glucosio + 3-5% maltosio e altri derivati dello zucchero (non è glucosio
puro, ma questi eccipienti sono in miscela con altre sostanze per migliorane le
caratteristiche).
È ottenuto dall’idrolisi enzimatica dall’amido e all’interno si ottengono derivati un po'
diversi. Ha un’eccellente comprimibilità.
Il glucosio viene usato poco come riempitivo, un po’ di più come dolcificante (eccipiente
organolettico).
LATTOSIO:
Uno zucchero importante come riempitivo è il lattosio, si tratta di un dimero costituito da
galattosio e glucosio con legami 1-4 α.
È un dimero naturale ottenuto dal latte usato molto come eccipiente riempitivo e poco
come dolcificante perché ha un potere dolcificante molto basso.
185
Viene ottenuto dalla cristallizzazione del latte e può essere in forma anidra
(cristallizzazione sopra i 93°), che è la ß, o in forma monoidrata che è la α (sotto i 93°).
Viene usato spesso ad eccezione dei casi in cui ci sia intolleranza al lattosio (deficienza
di enzima lattasi). Anche se la quantità di lattosio è molto bassa può essere comunque un
problema per gli intolleranti.
È un eccipiente di prima scelta ma non può essere usato in presenza di farmaci o altre
sostanze farmaceutiche che presentano gruppi amminici in quanto tende a scolorire a
causa della reazione di Maillard. Tale reazione porta alla formazione di un prodotto di
degradazione che è quello che conferisce quel colore marroncino ai panificati (reazione di
Maillard con il lattosio). Viene utilizzata questa reazione anche per prodotti cosmetici,
come gli autoabbronzanti.
Ci sono vari tipi di lattosio:
• Della farmacopea americana USP, che è una forma anidra che non dà reazione di
Maillard (al contrario di quella idrata);
Il lattosio spray dry è ottenuto tramite lo stesso processo di spray dry: il lattosio viene
essiccato per ottenere un prodotto con una buona scorrevolezza e una buona
comprimibilità perché le sue particelle sono tonde.
Spesso è combinato con altri eccipienti come la cellulosa microscristallina.
186
SACCAROSIO:
È il dimero del glucosio e del fruttosio.
Era usato molto per fare sciroppi ed è stato sostituito poi dal sorbitolo.
È un eccipiente a basso costo molto comune, con buon potere dolcificante e ha la
caratteristica che può facilmente degradarsi per dare saccarosio invertito à cioè il suo
potere ottico si inverte (saccarosio ha poter ottico positivo di 66.5°, quando si inverte
cioè si idrolizza si arriva a -39.5°). L’inversione dello zucchero in particolare si ha quando
è sottoposto a grande calore.
Nel caso degli sciroppi l’inversione non dovrebbe mai avvenire perché facilita
l’inquinamento batterico visto che glucosio e fruttosio sono substrati preferiti.
Il saccarosio è stato sostituito dal sorbitolo, che è anche meno viscoso del saccarosio
stesso.
Il saccarosio come eccipiente delle compresse solide è di seconda scelta, e in parte
contiene anche saccarosio invertito che conferisce miglior caratteristiche di
comprimibilità.
187
I primi 3 vengono usati nella compressione diretta, sia per formare granuli che per
formare compresse.
MANNITOLO E SORBITOLO:
Sono dei polioli e non hanno potere riducente perché non presentano il gruppo aldeidico.
Il mannitolo viene usato perché ha un’entalpia (∆H) negativa e proprio per questo motivo
questi tipi di compresse, quando vengono messe in bocca, danno un senso di
freschezza, in quanto il mannitolo si scioglie secondo un processo endotermico.
Spesso viene usato per compresse orodispersibili che rimangono all’interno della cavità
buccale.
188
2) Polimeri
AMIDO:
È un polimero non solubile perché ha un PM grande, ma è idrofilico.
È composto da circa 2 milioni di unità ramificate di glucosio consecutive costituenti
l’AMILOPECTINA e da lunghe catene lineari di 200-20000 unità costituenti l’AMILOSIO.
CELLULOSA:
Il glucosio costituisce l’unità monomerica della cellulosa in
cui si trova unito tra i vari monomeri da legami 1-4 β per i
quali gli esseri umani non posseggono gli enzimi necessari
alla digestione.
È un polimero idrofobico e insolubile anche a bassi PM
perché è costituito da catene lineari molto regolari, a
differenza dell’amido che presenta ramificazioni.
Come accadeva per le ciclodestrine, i gruppi OH non sono
liberi di legare acqua ma formano ponti idrogeno inter o
intracatena: gli inter in particolare sono indispensabili per formare delle fibrille, cioè fibre
molto lunghe e resistenti così da impedire di coordinare acqua.
189
La cellulosa è uno dei polimeri classificati come ad alta cristallinità.
Il cristallo è una struttura regolare nelle 3 dimensioni spaziali, ma in un polimero dove
faccio fatica ad avere questa regolarità geometrica precisa non parlo di cristallo ma di
grado di cristallinità, perché coinvolge solo alcune regioni del polimero.
Esistono molti tipi di cellulosa: naturale (ma anche questa trattata) e derivati semisintetici.
In commercio ci sono principalmente due tipi di cellulosa: Avicel ed Elcema.
à AVICEL: ottenuta per degradazione della cellulosa per via sia chimica che meccanica
à ELCEMA: ottenuta per degradazione meccanica della cellulosa.
Il grado di cristallinità della cellulosa nativa è molto alto, 94-95% che è ciò che le
conferisce idrofobicità e resistenza.
La cellulosa microcristallina (semisintetica) che otteniamo dalla cellulosa è un prodotto
trattato in laboratorio, ha un PM che va dai 30 ai 50mila, quindi è diminuito di 10 volte
rispetto alla cellulosa naturale.
190
3) Sali inorganici
CALCIO LATTATO
Andamento del rilascio del farmaco: il grafico mostra come cambia la dissoluzione del
farmaco a seconda della concentrazione di calcio fosfato (insolubile) all’interno della
compressa. Di per sé questo eccipiente agisce anche sulla disponibilità e sulla
biodisponibiltà del farmaco, anche se dovrebbe essere solo un riempitivo.
191
Tabelle che riassumo le proprietà dei vari riempitivi:
Leganti
I leganti sono eccipienti tecnologici che servono per ottenere un prodotto più omogeneo
e della giusta compattezza, non sono né organolettici né biofarmaceutici perché non
servono per modificare il rilascio del farmaco. Il loro scopo quindi è formare dei legami tra
le polveri che formeranno la compressa in modo da garantire una buona consistenza
della forma farmaceutica.
Nel processo di compressione è necessario legare le polveri o i granulati, quindi si
utilizzano questi leganti già introdotti nella granulazione.
Naturali:
1) Zuccheri:
- Sciroppo di saccarosio (20-85%) possono essere usati anche a umido.
- Soluzione di glucosio (50%)
192
2) Amido
L’amido è un legante di prima scelta, utilizzato come PASTA D’AMIDO.
L’AMIDO PREGELATINIIZZATO è utilizzato per la
compressione diretta, è un amido cotto riscaldato e
di fatto un po’ degradato.
L’ AMIDO SODIO GLICOLATO è coniugato con
l’acido glicolico (molto simile all’acido lattico).
4) Miscele
Come leganti si possono usare anche miscele di questi, come gelatina + acacia o amido
+ saccarosio.
Semisintetici: cellulose
La CELLULOSA MICROCRISTALLINA ha buone caratteristiche di legante, da cui poi si
ricavano derivati.
193
metilcellulosa ha un grado di metilazione molto basso e forma dei sistemi colloidali,
diventa quindi idrofilica e parzialmente solubile.
- IDROSSIPROPILMETILCELLULOSA (IPROMELLOSA): È
un composto solubile e dispersibile.
In questo caso è stato introdotto un idrossipropile,
gruppo funzionale che mantiene la funzionalità del
gruppo OH iniziale, anche se spostato. L’idrossipropile
rompe la regolarità della catena, è molto solubile ma va
in soluzione molto lentamente.
Sintetici
- POLIACRILATI (Eudragit): sono dei polimeri ad uso
vastissimo, dalle lenti a contatto al plexiglas e possono
essere molto diversi tra di loro a seconda del monomero
acrilico utilizzato.
194
- POLIVINILALCOL: preparato a partire dal vinilacetato
e non dal vinilalcol, altrimenti il gruppo alcolico
interviene nel processo di polimerizzazione e si
forma un altro tipo di polimero. Il vinilacetato
presenta il gruppo vinilico CH2CH- a cui è legato il
gruppo acetato CH3COO- , in questo modo si
maschera il gruppo OH che interferisce con la polimerizzazione e infine si idrolizza il
gruppo acetile, liberando l’OH. Si possono ottenere polivinilalcoli con vari gradi di
idrolisi, in genere si utilizza quello idrolizzato al 95%.
È un polimero molto idrofilo, molto utilizzato e se viene congelato più volte forma una
struttura tridimensionale molto stabile, un gel che pur non avendo dentro nessun
legame covalente, forma delle zone di cristallinità così forti che fungono da punti di
reticolazione, tanto che queste matrici di polivinilalcol vengono utilizzate per il rilascio
di farmaci tramite rigonfiamento secondo lo schema di Debora (matrici rigonfiabili).
Lubrificanti
Un altro gruppo di eccipienti sono i lubrificanti che servono per facilitare lo scorrimento di
solidi a vari livelli. Essi infatti riducono le forze di interazione tra parti fisiche dello
strumento e della compressa. Sono importanti inoltre nel processo di mescolamento, in
quanto se le forze di interazione durante il mescolamento sono troppo elevate si ottiene
una miscela non omogenea; hanno un ruolo poi nel processo dello scorrimento della
polvere attraverso un tubo dell’impianto, nel processo di compressione e in particolare
nella fase di decompressione e uscita della compressa dalla camera.
195
I lubrificanti agiscono sulla superficie delle particelle e si distinguono in liquidi (di solito
sono degli oli) o solidi (utilizzati per la produzione di compresse).
Questi eccipienti provocare anche degli effetti indesiderati perché possono influenzare la
velocità di dissoluzione del farmaco (Equazione di Noyes-Whitney: area superficiale
effettiva dipende se il solvente riesce o meno a bagnare la superficie à la bagnabilità
dipende dalle caratteristiche idrofiliche/idrofobiche del composto farmaco+eccipienti à i
lubrificanti molto spesso sono idrofobici e quindi riescono a ridurre la bagnabilità e quindi
anche la velocità di dissoluzione del farmaco).
Spesso il lubrificante migliore è idrofobico, perciò il suo effetto è negativo.
- Glidanti: sono quei lubrificanti che riducono le forze di interazione tra particella e
particella all’interno della polvere, ne facilitano lo scorrimento, riducono l’angolo di
riposo, aumentano la velocità di flusso, ovvero riducono le forze di interazione tra le
singole particelle. Tra i glidanti troviamo la silica e gli stearati.
N.B. I lubrificanti sono eccipienti usati in quantità molto piccole, tra l’1 e il 5%, perché
agiscono sulla superficie del materiale e influenzano molto la fuoriuscita del prodotto
riducendo le forze di interazione. Impediscono poi la formazione di legame tra particelle e
questo può generare problemi nella formulazione di compresse che devono essere ben
compatte, inoltre viene modificata la velocità di rilascio del farmaco perché viene
modificata anche la bagnabilità.
196
• A lubrificazione al confine: si usano
lubrificanti solidi che stanno all’interno
della polvere e mediano le interazioni.
197
dissoluzione non cambia poiché questa sostanza non esercita una particolare influenza.
Glidanti
I glidanti riducono le interazioni tra particelle, quindi tra granuli o particelle di polvere, e il
loro meccanismo di azione si basa su:
- Dispersione di carica
- Gas adsorbimento
- Quenching delle forze di Van der Waals
- Riduzione delle forze frizionali
- Ottenimento di superfici lisce
Le funzioni dei glidanti sono quelle di aumentare il flusso della polvere, evitare la
segregazione e rendere il campione omogeneo.
Antiaderenti
Tra gli antiaderenti troviamo il talco (filosilicato) che è un composto inorganico e viene
usato in quantità molto piccole.
198
ECCIPIENTI BIOFARMACEUTICI
Disintegranti
Con l’aggiunta di leganti, la compressa si dissolve
più lentamente, di conseguenza anche il rilascio del
farmaco nell’organismo sarà rallentato (vedi
processi di disintegrazione-disaggregazione-
dissoluzione in cui quest’ultimo prevale perché è
l’evento finale ma tutti e tre hanno una propria
influenza).
Per bilanciare l’effetto del legante si aggiungono i
disintegranti, eccipienti biofarmaceutici che
modificano la velocità di rilascio del farmaco (non
tecnologici perché non servono per ottenere la compressa).
I disintegranti agiscono principalmente in 2 modi: attraverso una reazione fisica o una
reazione chimica.
La disintegrazione tramite reazione fisica è data dalla capacità di incorporare acqua: si
idratano, si rigonfiano, cambiano forma e volume e fanno rompere la compressa.
La disintegrazione per reazione chimica invece prevede l’idrolisi degli eccipienti e quindi
la disintegrazione della compressa stessa, come accade ad esempio nelle compresse
effervescenti, in cui viene rilasciata CO2 per l’idrolisi di un acido carbossilico.
Tra i disintegranti più utilizzati si possono trovare gli amidi (amido sodio glicolato o i
carbossimetilati), silicati di alluminio o magnesio, le cellulose (Avicel e
carbossimetilcellulosa) o gli alginati, che sono polimeri con gruppi COOH.
199
ECCIPIENTI ORGANOLETTICI
Gli eccipienti organolettici modificano le proprietà come odore, colore e sapore delle
compresse. Una sostanza assunta per via orale infatti deve presentare caratteristiche
appetibili per stimolare i recettori del gusto e dell’olfatto e indurne l’assunzione.
Coloranti
I colori vengono usati per identificare alcuni tipi di farmaci, ad esempio ansiolitici, viagra,
compresse vitaminiche, e servono per facilitare a livello psicologico l’ingestione.
I coloranti possono essere utili per motivi pratici, come riconoscere un farmaco rispetto a
un altro; in passato servivano per distinguere le produzioni, per evitare che ci fossero
commistioni di produzioni diverse, in altri casi permettono di associare sapori e aromi
(rosa=fragola)
I coloranti possono essere:
- Sintetici: sono divisi in DYES e LACCHE. I primi sono solubili in soluzioni acquose,
contengono un quantitativo di colorante elevato e per questo motivo vengono
utilizzati a basse concentrazioni; inoltre sono più stabili a luce e calore. Le lacche
invece sono insolubili, perciò sono utilizzate sottoforma di dispersione e contengono
una quantità di colorante maggiore rispetto ai dyes.
- Naturali: sono pigmenti naturali ma vengono usati poco perché sono costosi e molto
instabili.
Aromatizzanti
Gli aromatizzanti sono aggiunti soprattutto in preparazioni in cui il farmaco viene sciolto
nella cavità buccale. I recettori sensoriali si trovano a livello della lingua a sono divisi in
zone in base al sapore principalmente riconosciuto.
Le sostanze ioniche danno sapore acido e salato, mentre le non
ionizzate danno sapore amaro e dolce.
Aroma e gusto si combinano per dare la sensazione di una
determinata sostanza. L’aroma è la percezione degli odori che si
riconosce nei recettori della cavità nasale.
Il mouthfeel è la sensazione che si prova in bocca (esempio
sensazione di fresco del mannitolo con ∆H<0).
Il flavor è la combinazione del gusto, dell’aroma e della sensazione tattile che si sente
nella cavità buccale.
Abbiamo poi il backtaste, il retrogusto.
200
Dolcificanti
Tra i dolcificanti più utilizzati ci sono quelli sintetici e
quelli naturali.
Dolcificanti naturali:
• Saccarosio
• Lattosio
• Fruttosio
• Saccarosio invertito
• Miscela con saccarosio o mannitolo
• Glucosio
• Sorbitolo
Dolcificanti sintetici:
• Saccarina
• Aspartame: molto usato nelle bibite gassate e nella
carne, tossico se assunto in grandi quantità, il
potere dolcificante è dato dall’Asp 120 e dal
saccarosio 450
• Glicerizina: è un derivato della liquirizia
Hanno un elevato potere dolcificante, fino a 200 volte quella del saccarosio.
I dolcificanti sintetici si utilizzano per categorie specifiche di pazienti che non possono
utilizzare altri zuccheri o quando la quantità degli altri eccipienti è talmente elevata che
non si può aggiungere lo zucchero naturale.
Sono poco utilizzati per i prodotti farmaceutici.
Esistono poi delle tabelle che permettono associare aroma, colore e sapore insieme.
TIPI DI COMPRESSE
201
leggermente opalescente a causa degli additivi utilizzati nella produzione delle
compresse.
- Dispersibili: le compresse dispersibili sono compresse non rivestite o rivestite con
film destinate ad essere disperse in acqua prima della somministrazione dando una
dispersione omogenea.
- Effervescenti: sono compresse non rivestite contenenti generalmente sostanze acide
e carbonati o bicarbonati che reagiscono rapidamente in presenza di acqua
sviluppando anidride carbonica. Sono destinate ad essere disciolte o disperse in
acqua prima della somministrazione.
Gomme masticabili
FUI: Le gomme da masticare medicate sono preparazioni solide a dose unica con una
base costituita essenzialmente da gomma, destinate ad essere masticate ma non
inghiottite.
Sono forme farmaceutiche che non necessitano di acqua per la deglutizione, non ci sono
problemi di disintegrazione perché vengono masticate, in questo modo il rilascio è
favorito, inoltre hanno elevata biodisponibilità. Un esempio è il Travelgum. Esistono
compresse a base di gomma (masticabili) o senza gomma, in ogni caso non vengono
ingoiate così come sono.
Per migliorare le caratteristiche organolettiche ci sono diverse possibilità, nel caso in cui il
farmaco sia amaro:
- Si usano dei dolcificanti o si fanno dei granulati a umido, che è migliore di quello a
secco perché il granulato a umido ha maggiore resistenza alla granulazione e alla
macinazione;
- Microcapsulazione: diminuisce la dimensione di alcune decine di µm inoltre protegge
il farmaco;
- Dispersioni solide con bassa dissoluzione;
- Resine a scambio ionico, che formano dei complessi con il farmaco;
- Sali insolubili;
- AA o proteine idrolizzate che si complessano con il farmaco e mascherano il sapore;
- Complessi con le ciclodestrine;
- Formazione di altri complessi;
Quindi al farmaco si può o aggiungere un dolcificante associato o incapsularlo e renderlo
insolubile.
202
In queste formulazioni l’utilizzo di eccipienti organolettici è
fondamentale.
Questi farmaci hanno dosi estremamente piccole perché il farmaco si deve sciogliere e
nella cavità buccale non c’è tanto liquido per solubilizzare il farmaco.
Naltrexone e naloxone hanno biodisponibilità <1% se somministrati per via orale, più del
63% se somministrata per via buccale.
- Compresse buccali
FUI: Le compresse da utilizzare nella cavità buccale sono, di norma, compresse non
rivestite. Sono formulate in modo da dare un rilascio lento e azione locale del o dei
principi attivi o il rilascio e assorbimento in una zona definita della bocca.
Vengono applicate o sulla parte superiore della gengiva o sulla guancia, possono
rimanere lì per parecchi giorni, sono molto piatte e hanno dei polimeri mucoadesivi,
quindi aderiscono alla mucosa in modo reversibile.
Il rilascio è lento e il principio attivo è rilasciato nella cavità buccale e poi viene assorbito.
L’adesione è ovviamente reversibile (es HPMC, NaCMC, Carbopol).
- Compresse sublinguali
Non si disintegrano e non si disaggregano come quelle ingoiate, per non rendere
sgradevole la somministrazione in quanto si sentirebbero i pezzi di compressa sotto la
lingua, per questo si sciolgono direttamente una volta
assunte.
Esempi di queste compresse sono Feldene 20 mg
(presenza di mannitolo che dà più freschezza),
Carvasin, Filgara.
La gelatina consente questo tipo di rilascio e
solitamente si usa mannitolo che dà freschezza.
Il rilascio deve essere rapido e l’azione immediata
perché nella zona inferiore della lingua ci sono
strutture molto irrorate e una mucosa sottile che
favoriscono l’assunzione del farmaco. Il problema è
che la saliva presente in questa zona è poca (1/2 ml), perciò la compressa deve essere
molto solubile. Il rate limiting step di queste formulazioni è la dissoluzione.
Mannitolo, aspartame e acido citrico sono gli eccipienti principali.
Queste compresse non devono avere particolari sapori per non stimolare la salivazione,
altrimenti vengono ingoiate.
203
Sono compresse piccole e piatte.
Profilo farmacocinetico Buprenorfina:
Il picco con il puntino rosso in alto è la via endovenosa,
la seconda curva un po’ più bassa e rappresenta la via
sublinguale di una compressa da 0.8 mg, mentre quella
più bassa è la sublinguale con 0.4 mg.
Compresse effervescenti
Sono compresse che devono essere solubilizzate in acqua o in altri solventi prima della
somministrazione per via orale. Si dissolvono manifestando il processo
dell’effervescenza.
Ci sono molti tipi di farmaci di questo tipo tanto che vengono utilizzati anche per la
pulizia di device e come multivitaminici.
Perché fare le compresse effervescenti? Perché con le compresse effervescenti si ottiene
una compressa solida e facilmente trasportabile per un prodotto che va in soluzione.
Averlo in soluzione fa sì che la solubilità (e quindi la biodisponibilità) sia alta perché viene
disaggregato immediatamente à aumenta anche la compliance. È una forma
farmaceutica stabile ed è molto facile da assumere e facilmente biodisponibile.
L’effervescenza è fondamentale per una rapida dissoluzione. Con l’effervescenza si ha
anche un aggiustamento del pH.
In questo caso si sviluppa gas di CO2, che porta alla disintegrazione delle particelle.
Vengono utilizzati solo eccipienti solubili, poiché avere un residuo insolubile non è
appetibile per il cliente.
Vengono ottenute per compressione come le altre compresse.
204
Quando comincia la reazione, si innesca il processo di effervescenza e la reazione
continua ad andare avanti fino a compimento.
All’interno della formulazione c’è lo stesso una piccola quantità di acqua, cioè acqua
immobilizzata non reattiva.
Esistono anche compresse effervescenti per via rettale o vaginale, ma non sono più state
prodotte; inoltre ci sono compresse effervescenti ingoiabili che servono come
disintegranti dopo aver assunto altre compresse.
CI sono poi le compresse per uso topico, per preparare soluzioni o per uso esterno.
Il bicarbonato di elezione è il bicarbonato di sodio (N.B. mai utilizzare il carbonato di
calcio, non è solubile!) che è solubile, igroscopico, costa poco e ha attività anti-acida.
Il sodio carbonato è miscelato al bicarbonato e ha effetto stabilizzante.
205
Carbonato e bicarbonato di potassio sono poco utilizzati, il sequicarbonato invece è
utilizzato per la pulizia perché è sbiancante. Altri carbonati sono carbonato di kalium,
sodio glicina carbonato, L-lysina carbonato e arginina carbonato.
Gli altri eccipienti sono gli stessi utilizzati nelle altre compresse.
I riempitivi non sono molto utilizzati perché c’è già il bicarbonato.
Anche i leganti sono utilizzati in bassissima quantità, meno se ne usano meglio è per
poter avere disintegrazione e disaggregazione elevate (ad esempio glucosio, lattosio,
maltosio, amido).
I lubrificanti prevengono la disintegrazione e bisogna utilizzarli in bassa quantità. In
realtà hanno anche un effetto negativo sul legame delle particelle poiché riducono la
compattezza della compressa, ma la rendono meno bagnabile.
Produzione
Le compresse sono ottenute per compressione diretta o per granulazione a secco o a
umido. La granulazione a umido è problematica perché non si può utilizzare acqua,
bisogna utilizzare fluidi non reattivi (etanolo e isopropanolo), ma meno sono utilizzati
meglio è perché non sono economici e sono difficili da gestire in quanto sono molto
infiammabili. Si possono utilizzare fluidi reattivi come l’acqua ma in pochissime quantità.
L’acqua è utilizzata per formare granuli in modo separato dell’acido citrico e dal
bicarbonato, mai insieme sennò si verifica l’effervescenza.
Si può produrre compresse effervescenti anche per riscaldamento in cui la miscela di
polveri viene riscaldata in fase di compressione e l’acqua interna è utilizzata per formare
legami.
Altro metodo è l’utilizzo di miscele ad alta velocità (high speed mixtures), che generano
calore.
206
Packaging
Il packaging primario è molto importante perché attraverso questo la forma farmaceutica
viene a diretto contatto con la confezione. Il packaging secondario riguarda l’aspetto
regolatorio.
Per le compresse effervescenti in passato si utilizzavano tubi di vetro, poi sono stati
utilizzati tubi di metallo che avevano il problema di non garantire le condizioni di umidità.
Le compresse venivano quindi avvolte in un sacchetto di alluminio e messe all’interno del
tubo di metallo. Poi all’interno del tubo è stata inserita una compressa di silica per
favorire l’essiccamento ma il problema spesso era che molte persona scambiavano la
compressa di silica per la effervescente.
Il blister invece non è un modo di confezionamento interessante perché le compresse di
solito sono grandi, larghe e fragili e nella rottura del blister può rompersi la compressa. I
più utilizzati sono gli strip-wrapped, cioè delle bustine al cui interno viene messa la
compressa.
Strip-Wraped:
I cilindri rotanti sono riscaldati e quando si uniscono
incollano la pellicola che trasportano sopra. Hanno la
parte esterna di polietilene che rende flessibile il
foglietto, c’è poi un legante che serve per tenere il
foglietto di polietilene legato a quello di alluminio, il
quale impedisce il passaggio dell’umidità. Il polietilene è
la frazione che dà flessibilità, l’alluminio preserva dalle
condizioni esterne.
I problemi sono:
- Rottura del foglietto: quando la compressa è troppo
grande
- Ripiegamento del foglietto nel punto di chiusura: c’è
un’apertura, la compressa non è più isolata
- Una parte di polvere si pone nel punto di saldatura: la
compressa non è isolata
- Il foglietto si pone nella saldatura
Non è corretto dire che le compresse non rivestite sono a rilascio convenzionale poiché
queste si hanno solo quando il progetto formulativo non è mirato alla modifica del
farmaco.
COATING
2. Doppia compressione: si
utilizza una comprimitrice in cui
viene posta la compressa e il
materiale di coating si
posiziona sopra. Questo
procedimento è un po’ più
complesso perché è facile avere l’off-center, cioè la compressa non è al centro del
208
rivestimento. È un fenomeno che non deve verificarsi, altrimenti il farmaco si scioglie
in modo disomogeneo e viene cambiata completamente la velocità con cui il farmaco
va in soluzione.
Sugar coating
Lo sugar coating porta alla formazione del confetto che è un prodotto non molto
moderno, infatti sta andando in disuso.
Processo
Il processo di produzione consiste di tre fasi: l’applicazione della soluzione di coating
sulla superficie delle compresse, la sua distribuzione e l’essiccamento.
Nel rivestimento zuccherino ci sono 5 fasi:
1. Sealing: sigillatura della compressa
2. Subcoating: fase in cui si forma il rivestimento zuccherino e il suo ispessimento
3. Coating: parte terminale della formazione del rivestimento e lisciatura
209
4. Colorazione
5. Lucidatura: qui avviene anche la stampa se dobbiamo stampare un logo.
1. Sealing
In questa fase si determina il modo in cui il
farmaco si rilascia e si rende disponibile.
Si applica una soluzione sulla superficie della
compressa assicurandosi che il rivestimento non
vada a degradarla. Il primo procedimento è
sigillare la compressa, inserendo un film esterno
che la tiene protetta durante tutto il processo di
coating.
Una volta completata la sigillatura, cioè posto intorno alla compressa questo polimero di
film molto sottile con la scopo di proteggere la compressa dalle fasi successive, si passa
al subcoating.
2. Subcoating
Si utilizzano altri zuccheri, come il saccarosio o il sorbitolo tramite una soluzione diluita di
zucchero al 20-40% (saccarosio ha solubilità del 65% a temperatura ambiente); insieme a
questa soluzione si aggiungono gomma acacia, gelatina e derivati della cellulosa che
servono per conferire alla compressa resistenza alle sollecitazioni meccaniche, in questo
modo le caratteristiche meccaniche della struttura cristallina vengono preservate,
altrimenti la compressa si scheggerebbe molto facilmente.
Si utilizzano poi plasticizzanti e riempitivi come solfato o carbonato di calcio, caolino o
biossido di titanio che è un opacizzante che migliora le caratteristiche estetiche della
compressa conferendo un colore bianco. Questi riempitivi servono per evitare il rischio di
gemellaggio, cioè “l’appiccicamento” in questa fase tra una compressa e l’altra.
210
Queste sostanze inorganiche possono essere applicate in due modi, ovvero tramite un
processo di sospensione o di laminazione. Il processo di sospensione avviene
sospendendo questi materiali inorganici (carbonato e solfato di calcio) all’interno della
soluzione zuccherina; invece nella laminazione si alternano le soluzioni zuccherine con
polvere che viene aggiunta a parte à questi componenti vengono alternati tra loro nella
bassina (nella sospensione invece viene usato tutto in una volta).
3. Coating e colorazione
Consiste nella parte terminale della formazione del rivestimento zuccherino. Viene fatto
con una soluzione a concentrazione di zucchero abbastanza elevata, circa al 70% (un po’
più della concentrazione di saturazione perché la T di lavoro è più elevata di quella
ambientale), in questo modo si ottiene una lisciatura delle compresse.
In questa soluzione è possibile aggiungere anche soluzioni coloranti che possono essere
dyes o lacches, i primi sono coloranti solubili mentre i secondi sono coloranti insolubili,
entrambi possono essere dispersi all’interno del preparato per ottenere il confetto
colorato.
4. Lucidatura
Avviene sempre all’interno della bassina (come tutti i passaggi precedenti, cambiano solo
gli “ingredienti") che in questo caso è ricoperta di stoffa all’interno. Si inseriscono dei
pezzi di cera, si fanno girare le pale e durante il rotolamento all’interno i confetti vengono
ricoperti da questa cera e vengono così lucidati.
5. Stampaggio
È una fase complicata e può essere svolta prima o dopo la lucidatura.
Se eseguita prima della lucidatura, lo stampaggio viene molto bene ma poi, con il
processo successivo, la scritta o il logo stampati possono scomparire o rovinarsi.
Se lo stampaggio avviene dopo la lucidatura, il processo diventa più complesso perché il
materiale utilizzato nella lucidatura è lipofilo per la presenza della cera e si presenta il
rischio di non avere una stampa efficiente.
Di conseguenza è sempre meglio non stampare.
211
Film Coating
Il film coating oggi tende a sostituire lo sugar coating perché in quanto più facile ed
economico. È diventato così economico che ormai si fa quasi per tutte le compresse.
Perché si fa il film coating?
• Perché la compressa risulta esteticamente più bella
• Per stabilizzare il farmaco all’interno della compressa
• Perché la compressa risulta più facile da ingoiare
• Perché si modifica il rilascio del farmaco (cosa che avveniva anche nello sugar coating
ma in un modo non molto controllato, perché la velocità di rilascio del farmaco era
molto rallentata poiché bisognava che prima si sciogliesse tutto l’intorno zuccherino) e
quindi possiamo ottenre, per esempio, compresse gastroresistenti o a rilascio
ritardato (Naprosin ha un film coating, lo scioglimento non è una questione di tempo
ma di tipo di rivestimento).
Sono film molto sottili che vanno da 20 a 200 µm, il processo è simile a quelli appena
visti. Infatti anche qui si utilizza la bassina come strumento al cui interno viene spruzzato il
materiale che poi sarà il rivestimento. Nel caso del film coating, i volumi di soluzione di
rivestimento necessari sono molto piccoli e quindi è possibile ridurre il numero di
passaggi da svolgere, evitando così il sealing proprio per l’assenza della soluzione
zuccherina. Spesso sono assenti anche le soluzioni acquose nella preparazione del
coating.
Materiali
Nel film coating possono
essere usati diversi polimeri,
ognuno dei quali conferisce
caratteristiche differenti alla compressa. Alcuni esempi di materiali sono polisaccaridi,
poliacrilati o polivinili.
Le caratteristiche finali della compressa dipendono dal peso molecolare, e quindi dalle
dimensioni di questi materiali. Nel caso specifico dei polimeri, le caratteristiche del
prodotto vengono date anche dalla polidispersività che indica quanto è disperso il
212
polimero (sintetico o naturale) e quanto è omogeneo il peso molecolare: questo
parametro è importante perché più un polimero è poco polidisperso maggiore è la sua
qualità e anche il suo costo. Dal punto di vista farmaceutico, è fondamentale che il
polimero sia il meno polidisperso possibile.
Se aumenta il peso molecolare, aumenta anche la resistenza alla tensione e il modulo
elastico (modulo di Young), cioè diminuisce l’elasticità.
Per produrre il film coating è bene prendere in considerazione non solo il tipo di materiale
(polimero) utilizzato, ma anche il peso molecolare e le sue caratteristiche fisiche e
chimiche, per esempio valutando di usare un idrossipropil metilcellulosa, un poliacrilato o
un polivinile.
213
Il coating si suddivide in due tipi di rivestimenti:
- Film coating convenzionale
- Film coating gastroresistente
214
N.B. Il farmaco viene assorbito nella sua forma non ionizzata, quindi un farmaco acido in
teoria verrebbe assorbito meglio nello stomaco, nonostante ciò la maggior parte dei
farmaci, anche acidi, viene assorbita a livello intestinale. Questo perché, anche se è
svantaggioso dal punto di vista chimico, è vantaggioso dal punto di vista anatomico
perché la superficie assorbimento è estremamente elevata.
In questo modo si ottengono compresse a rilascio ritardato o a rilascio multiplo se
utilizziamo una copertura filmogena multipla. I primi prodotti a rivestimento enterico erano
ottenuti semplicemente usando formaldeide e gomma dragante (la formaldeide formava
un reticolo sulla superficie).
215
Materiali
- Cellulosa
La cellulosa può essere a diverso grado di esterificazione con acido oftalico o con acido
acetico e possono essere legati a gruppo alchilici. A seconda della composizione hanno
caratteristiche di solubilità e di dissoluzione a pH diversi. La cellulosa acetato ftalato è la
più utilizzata per i film enterici.
- Poliacrilati
L’acido acrilico è la molecola di base degli acrilati.
La prima struttura a sinistra rappresenta l’acido acrilico mentre
a fianco a destra è rappresentato l’acido meta-acrilico. La prima
molecola in basso è invece il metilmetacrilato in cui il gruppo
carbossilico non è libero ma ha legato a sé un gruppo metilico.
Il metilmetacrilato è un polimero molto importante perché
costituisce il plexiglass ed è un materiale molto idrofobico e
resistente. Questi materiali polimerizzano per via radicalica
rompendo il doppio legame e formando dei polimeri. È
interessante sapere che possiamo avere una famiglia di
materiali quasi infinita perché a seconda del tipo di monomero che utilizziamo abbiamo
caratteristiche diverse, addirittura la proporzione dei monomeri all’interno dei polimeri e il
loro peso molecolare possono essere diversi.
I poliacrilati sono polimeri sintetici non biodegradabili nel backbone (legami C–C), la
degradazione può avvenire solo a livello dei gruppi esterei. Gli acrilati sono molto
importanti per uso farmaceutico, cosmetico e alimentare à è importante ricordare che
possono avere gruppi funzionali che danno caratteristiche particolari.
Se per esempio il gruppo COOH è libero, questi composti sono più solubili in ambiente
basico (cioè solubili in ambiente intestinale) e meno solubili in ambiente acido (cioè in
ambiente gastrico). Questo vuol dire che a seconda della percentuale di acrilato e di
metacrilato che abbiamo all’interno del polimero possiamo avere un pH di dissoluzione
diverso.
Come dipende il pH di dissoluzione dalla composizione del materiale? Che reazione c’è
tra la composizione e il pH di dissoluzione? Come posso cambiare il pH di dissoluzione
cambiando i monomeri del polimero? In generale, più gruppi carbossilici ci sono
all’interno del polimero, minore è il pH di dissoluzione.
- Se il polimero presenta pochi gruppi carbossilici liberi, per poter andare in soluzione
deve avere tutti i gruppi ionizzati, dunque è necessario un pH alto affinché siano tutti
in forma ionica.
- Se i gruppi ionizzabili sono tanti, il pH di dissoluzione sarà più basso perché è
necessario che si ionizzino solo alcuni dei gruppi carbossilici. (vedi in tabella diversa
solubilità del polimero L e S).
216
Alcuni polimeri però si comportano in modo contrario a quanto detto precedentemente;
questa categoria non viene chiaramente usata per formare dei film gastroresistenti ma
piuttosto per formare dei film permeabili che permettono al farmaco di essere rilasciato
per diffusione, secondo la 1ª legge di Fick, tramite una membra che diventa permeabile
perché si rigonfia e permette la fuoriuscita del farmaco.
I polimeri pH sensibili possono essere utilizzati per produrre compresse enteriche; queste
infatti possono essere ottenute non solo tramite la formazione di un film pH resistente ma
anche utilizzando una matrice che sia tutta pH resistente, quindi senza per forza eseguire
un film coating (è un caso un po’ più complesso e il rilascio è più lento). In qualche caso
si può avere un rilascio enterico senza utilizzare materiali sensibili al pH ma usando un
processo particolare di produzione con determinati materiali che permettono alla
compressa di diventare resistere a un determinato pH.
217
COMPRESSE A RILASCIO CONTROLLATO
218
con una cinetica di ordine zero mantengo una concentrazione di farmaco costante nel
tempo in modo che venga assorbito
gradatamente.
All’inizio si pensava che questo approccio
fosse il migliore per tutti i tipi di farmaci,
poi però si è capito che alcune patologie
necessitano di un altro tipo di trattamento,
per esempio le patologie in cui il livello di
un ormone varia con il ritmo circadiano. In
questi casi è meglio avere una
concentrazione di farmaco maggiore in
alcuni momenti della giornata e minore in
altri. In altri casi avere un rilascio (e quindi
una sollecitazione) costante di farmaco
può avere un effetto rebound e un
silenziamento dei recettori.
Compresse multilayer
Le compresse multistrato vengono ottenute per compressione multipla e possono avere
vari tipi di struttura (esempio del Durafen, uno dei primi multistrato prodotti); in generale
questo tipo di prodotto si utilizza in due
casi:
• Per avere strati di farmaco che
rilasciano a diversa velocità a
seconda di come sono composti
• Per avere farmaci diversi che sono incompatibili tra loro e devono essere formulati in
strati diversi.
219
Per esempio si sovrappongono due o tre
strati di farmaco: il primo strato fa sì che
il farmaco venga rilasciato rapidamente
perché il rivestimento è particolarmente
solubile, il secondo invece è formulato
con eccipienti diversi (più lipofilo) e
quindi permette un rilascio più lento. In
questo modo si hanno momenti di
dissoluzione del farmaco diversi perché i
vari strati vengono solubilizzati in tempi
diversi. Altrimenti si possono anche progettare compresse con strati di farmaco con la
stessa velocità di dissoluzione ma separati tra loro da film di copertura che permette un
rilascio pulsatile (il primo strato viene solubilizzato subito, poi c’è un tempo di idrolisi del
film, poi vien rilasciato il farmaco più interno e così via).
Sistemi flottanti
Sono sistemi soldi costituiti da una
membrana elastica semipermeabile;
quando arrivano nello stomaco cambiano
densità (per reazione chimica o
enzimatica): si rigonfiano, la densità
diminuisce e la compressa galleggia nel
liquido gastrico. Qui viene lentamente rilasciato il farmaco nel
liquido gastrico per diffusione, poi passa nell’intestino in cui
viene assorbito.
Sono sistemi costituiti da una membrana semipermeabile in cui il
farmaco è posto all’interno, questa membrana presenta poi del bicarbonato che serve a
fare reazione nello stomaco e a sviluppare CO2 che permette l’espansione della
compressa e quindi la diminuzione della densità per ottenere il galleggiamento.
Sono comunque sistemi poco usati perché non funzionano molto bene.
Pompe osmotiche
Il loro utilizzo pratico è stato molto scarso. Hanno
una membrana semipermeabile e un nucleo
osmotico (con un agente osmotico come un sale)
che contiene il farmaco. Questa membrana
semipermeabile consente il passaggio di
acqua all’interno (osmosi) che provoca la
dissoluzione del farmaco il quale esce con un
piccolo orifizio posto sulla membrana ed
effettuato con un laser. Il rilascio del farmaco
avviene in modo graduale e lento nel tempo,
man mano che l’acqua entra nella compressa
e lo scioglie. Il problema principale di questo
sistema è che l’orifizio si occlude facilmente e
220
non e non garantisce più il rilascio di farmaco, questo problema non è ancora stato risolto
del tutto.
Sistemi mucoadesivi
Vengono usati spesso per avere un rilascio
controllato di farmaco. Di solito sono
somministrazioni orali ma non solo, possono
essere usati anche per applicazioni oculari o
vaginali. Si basano sul principio della
bioadesività grazie a strutture polimeriche
adesive. La mucoadesività è un principio che
sfrutta la bioadesività dei materiali, e quindi la
capacità di aderire a una superficie. Questi
sistemi si basano su fattori legati al polimero
e alla sua composizione, e su fattori legati alle
membrane. In particolare, per quanto riguarda il polimero è importante:
• La carica del materiale (a volte la mucoadesività è data da un’interazione di carica),
• Il PM
• La concentrazione
• La densità
Invece per quanto riguarda la mucosa di adesione le caratteristiche principali sono:
• La composizione della membrana (non tutte le mucose sono uguali)
• Il pH che è diverso da mucosa a mucosa
• La forza applicata nella mucoadesione
• Tempo di contatto
• Ringonfiamento dato dalla quantità di liquido nel sito di mucoadesione
• Turnover della mucina, che è una matrice polimerica secreta dalle cellule e che
costituisce un film protettivo. È una sostanza ricca di cisteine (cioè di gruppi tiolici che
possono essere sfruttati)
• Condizioni fisiopatologiche
221
Microcapsule
In altri casi si possono fare delle microcapsule piatte per eseguire uno studio di
marginazione, cioè uno studio di come questi sistemi, a seconda della loro forma, si
muovono all’interno del tratto gastrointestinale in prossimità delle pareti. Queste
microcapsule sono ricoperte da un film inerte ma hanno un lato mucoadesivo e rotolando
sulle pareti riescono ad attaccarsi solo su quel lato à in questo modo il farmaco non
viene rilasciato all’esterno ma solo dal lato di contatto con la membrana. Queste
microcapsule hanno poi sulla superficie degli agenti che riconoscono piccoli recettori che
si trovano nei diversi tratti dell’intestino à in questo modo riescono a localizzarsi in
specifici a questo livello. Vengono somministrate delle piccole compresse all’interno di
microcapsule piatte che poi si aprono e rilasciano il farmaco. Questi sistemi sono molto
avanzati ma sono ancora in fase di ricerca perché molto complessi.
222
- Teoria elettronica
I legami avvengono tramite interazioni di carica, infatti la mucina ha una carica negativa e
quindi ci vorrà un substrato carico positivo per avere un legame efficace. Questa forza di
legame si misura a diversi pH e l’affinità viene misurata con l’interazione di carica a diversi
pH à in questo modo si può capire l’influenza della carica sull’interazione.
- Teoria dell’adsorbimento
Misura le interazioni generali di superficie tra
il nostro sistema adesivo e il substrato
mucoso. Si possono formare vari tipi di
legami tra cui interazioni di VdW o dipolo-
dipolo.
223
- Compresse per via rettale
Si tratta di forme farmaceutiche come supposte la cui applicazione però non è ottimale
perché si possono facilmente rompere, spezzare, danneggiare o rimanere in parte
all’esterno; tutto questo ha portato infatti a pensare ad altre forme farmaceutiche.
L’uso di una compressa è più conveniente perché abbiamo un sistema solido stabile che
non si rompe e non si fonde però l’applicazione non è sempre facile (come nel caso delle
compresse vaginali c’è bisogno di un applicatole per aiutare la somministrazione).
Nel caso della somministrazione rettale il farmaco viene liberato per dissoluzione nel
liquido dell’ampolla rettale, quindi il processo di rilascio è diverso da quello dalla
supposta classica in cui il farmaco viene rilasciato per diffusione à nel caso di
compresse esse si sciolgono tutte nel liquido e poi si assorbono. Anche per le compresse
rettali esistono forme effervescenti che però hanno avuto una vita commerciale
brevissima. Il problema dell’assorbimento a livello rettale è che è poco omogeneo perché
può avvenire sia dal plesso emorroidale inferiore sia da quello superiore e questi vasi
fanno capo o alla vena cava o alla vena porta e se vanno alla vena porta si va poi in
metabolismo epatico e questo può essere un aspetto positivo o negativo: positivo se
abbiamo un profarmaco che a livello epatico deve essere metabolizzato per essere attivo,
negativo se invece il farmaco viene degradato a livello epatico e trasformato in qualcosa
di tossico. Se invece l’assorbimento del farmaco avviene attraverso la vena cava non ci
sono questi problemi perché si bypassa il fegato e non avviene nessun metabolismo
epatico.
Compresse cronotropiche
Sono compresse pensate per avere un rilascio mirato del farmaco principalmente a livello
del colon. Perché a livello del colon? Perché a questo livello non ci sono enzimi di
membrana , il che è un bene perché questi fungono da “sentinelle” e appena captano una
sostanza che riconoscono come non-self la disturbano e fanno in modo di eliminarla.
224
A livello del colon però non c’è un grande assorbimento perché la sua superficie è molto
più piccola dell’intestino tenue. La funzione del colon è in realtà il riassorbimento
dell’acqua e la concentrazione delle feci, quindi non è propriamente un tessuto di
assorbimento.
Per avere un rilascio nel colon si sfruttano le differenze di pH o il tempo di arrivo al colon.
Tutte e due le strade non sono facili, in particolare la prima è complessa perché la
differenza di pH tra colon e intestino tenue non è troppo diversa, quindi il rilascio è più
difficile da controllare. Per questo sono state messe a punto le compresse
cronotropiche che si basano sul tempo di arrivo al colon; poiché si calcola che l’arrivo al
colon sia dopo 16/18 ore, questo tipo di compresse avrà un rilascio del farmaco dopo
circa 16/18 ore. Sono compresse formate da diverse membrane, una gastroresistente,
una vetrosa e una gommosa che contengono il farmaco, tutte quante permettono il
rilascio dopo molte ore. In immagine abbiamo una compressa che contiene tecnezio che
permette di rilascia il farmaco a livello del colon dopo un certo periodo di tempo.
Non sono comunque compresse facili da produrre perché il tempo di passaggio nel colon
è diverso da persona a persona
poiché dipende dallo stato
fisico, dal tipo di alimentazione
e dall’età.
225
10. CAPSULE
Le capsule sono circa il 20% delle forme farmaceutiche solide assunte per via orale. Sono
forme farmaceutiche versatili, abbastanza moderne e con grandi prospettive di sviluppo.
Tipi di capsule:
• A seconda del tipo di riempimento
• Dimensioni
• Consistenza (molli o rigide)
• Gastroresistenti
• Uso orale, polmonare
Vantaggi:
• Hanno una grande biodisponibilità perché il farmaco è già in forma di polvere, quindi
non si deve disaggregare
• Sono usati negli studi clinici di bioequivalenza
• Sono facili da deglutire perché vengono facilmente idratati
• Mascherano odori e sapori sgradevoli
• Versatili perché si possono riempire in modo diverso
• Disponibili in varie forme, colori e dimensioni
• Si può usare una piccola quantità di eccipienti
Svantaggi:
• A differenza delle compresse, le capsule costano molto perché di solito la ditta che
produce il farmaco non produce anche l’opercolo ma lo compra già preformato da altre
aziende.
• Possono avere un rilascio anche troppo rapido, per esempio anche a livello
dell’esofago; in questo modo il farmaco non risulta efficace perché non raggiunge il sito
d’azione corretto.
Miglioramento stabilità:
- Per formulare le capsule non si pongono condizioni che potrebbero degradare il
farmaco (come per esempio la pressione applicata per formare la compressa, se
utilizzo un farmaco con un basso punto di fusione non lo posso comprimere, altrimenti
fonde).
- Generalmente le capsule sono opache o colorate in modo tale da proteggere il farmaco
dall’ambiente esterno (luce, aria, ossigeno, umidità).
- Vengono utilizzati pochi eccipienti e per questo si migliorano i costi e la gestione del
materiale da inserire all’interno. La formulazione viene semplificata.
226
Il 40% dei prodotti NCE (new chemical entity) sono poco solubili anche se molto attivi;
essendo farmaci che solitamente agiscono a livello recettoriale, necessitano di un
bilanciamento idrofobicità - idrofilicità perché agiscono su substrati che utilizzano
interazioni idrofobiche per legare. L’utilizzo di capsule migliora il processo di dissoluzione
perché possono contenere polveri molto bagnabili o polveri a cui è possibile aggiungere
eccipienti idrofilici, oppure usare un farmaco già disciolto (in soluzione).
Miglioramento sicurezza:
Viene ridotta la manipolazione delle polveri e tutti i fenomeni tossici legati a questo, gli
operatori sono meno esposti. Inoltre, si riduce la contaminazione e la cross-
contaminazione con altre polveri che consentono una migliore gestione del farmaco e una
riduzione dei costi di produzione (non sono necessari avere ambienti controllati per la
gestione delle polveri nell’aria).
Opercolo
L’opercolo è costituito da un corpo e da una testa. I materiali che lo compongono sono
principalmente gelatina, polimeri come ipromellosa e pullulano più altri eccipienti.
Gelatina
La gelatina è un derivato del collagene, una proteina strutturale che si trova nella pelle e
nelle cartilagini. Si ottiene dalla pelle del maiale o dalle ossa dei bovini. La gelatina è un
eteropolimero formato da 18AA diversi e contenente una grande quantità di prolina e
glicina, che le conferiscono idrofilicità.
La disposizione degli AA è meno precisa rispetto alle glicoproteine (che devono
riconoscere recettori), e per questa sua composizione
variabile possiamo avere diversi tipi di collagene.
La gelatina è un prodotto idratato che contiene il 13-16% di
umidità e a seconda del processo con cui si ottiene ne
abbiamo di due tipi:
- Tipo A: ottenuta dalla pelle del maiale per idrolisi acida.
Ha un punto isolelettrico (pH a cui la molecola è neutra)
di circa 7. Gelatina con una buona elasticità e
brillantezza.
- Tipo B: ottenuta dalle ossa di bovino per idrolisi basica,
ha un punto isoelettrico di circa 4-5. Gelatina più resistente, utilizzata in miscela con il
tipo A per bilanciare le proprietà.
La gelatina viene poi dispersa in soluzioni acquose.
Non può essere sempre utilizzato, per esempio per motivi religiosi non si può usare in tutti
i paesi, o non può essere utilizzata per intolleranze, allergie o scelte alimentari (per
esempio per vegani e vegetariani).
Ipromellosa (HPMC)
Polimero semisintetico riempitivo, utilizzato anche nel sealing di compresse perchéé
lentamente solubile. Sostituisce la gelatina quando non può essere utilizzata. È un
227
polisaccaride derivato della cellulosa in cui i
gruppi ossidrilici sono funzionalizzati con
metile o idrossipropile. Contiene il 6% di
acqua.
Pullulano
Polisaccaride naturale ottenuto dalla
fermentazione dell’amido da parte
dell’aureobasidium (batterio). È un polimero
del maltotriosio ed è completamente neutro.
Contiene il 12% di acqua e viene usato molto
in ambito farmaceutico per uso orale.
Altri
- Acqua: presente in tutti gli eccipienti sopraelencati;
- Plasticizzanti: utilizzati per donare flessibilità ed evitare la rottura della capsula,
tendono ad abbassare la temperatura di fusione. Vengono utilizzati spesso polioli come
glicerolo, sorbitolo, polietilenglicoli con basso PM. A seconda del rapporto
plasticizzante/gelatina possiamo avere capsule molli o rigide;
- Conservanti: antimicrobici in quanto, contenendo acqua, il prodotto può essere
attaccato da microrganismi
- Opacizzanti, coloranti, aromatizzanti (utilizzati raramente)
TIPI DI CAPSULE
• Rigide
• Molli (contengono molti plasticizzanti, sono in quantità minori nel mercato rispetto alle
rigide e sono usate per incorporare all’intero liquidi o semisolidi)
• Gastroresistenti
• A rilascio controllato (possono essere rivestite da film).
Capsule rigide
Esempi: Imodium, Ritmodam, Moment.
Possono avere varie dimensioni che vengono numerate, più grande è il numero più
piccolo è il volume. La scelta della capsula deve essere fatta sulla base della quantità di
farmaco a disposizione perché deve riempire tutto il corpo dell’opercolo e sull’utilizzo, cioè
deve avere una dimensione maneggevole, per esempio gli uomini non usano le stesse
capsule che utilizzano i bovini.
La capsula deve tenere all’interno il prodotto durante tutto il processo di manipolazione.
Devono restare chiuse anche quando vengono estratte dal blister e durante tutta la fase di
deglutizione, quindi devono essere stabili. Devono anche resistere alle manipolazioni
volontarie.
228
Tipologie di capsule rigide:
- Standard: prime capsule che avevano solo un corpo e una testa, ma non erano molto
resistenti e affidabili.
- Lox-it: il corpo è tutto dritto e la testa ha una piccola rientranza che serve per far restare
testa e corpo attaccati. Il corpo ha una curvatura alla fine che ne facilita l’entrata della
testa.
- Snap-Fit: caratterizzate da una doppia rientranza, una più semplice e una più
pronunciata. Questo si fa per tenere insieme corpo e testa quando le capsule sono
ancora vuote; ogni corpo ha la sua capsula, vengono venduti già accoppiati. Quando
devo riempire le capsule le apro manualmente e, una volta riempite, le richiudo facendo
scattare la seconda scanalatura, quella più pronunciata, che le blocca definitivamente.
- Coni-Snap: unione tra Lox-it e Snap-Fit: hanno la doppia scanalatura e la fine del corpo
arrotondata per facilitare l’entrata della testa.
- Coni-Snap Supro: hanno le stesse caratteristiche delle coni-soap normali ma la testa è
allungata e arriva fino al fondo del corpo, per questo motivo non possono essere
manipolate, una volta chiuse non le posso aprire a meno che non le rompa.
- DBcaps: altro tipo di capsule industriali rigide nuove che possono contenere un liquido e
hanno un costo elevato.
229
Produzione dell’opercolo
Si produce tramite un processo detto processo Colton. È un processo industriale
semplice e la prima cosa che si fa è raccogliere tutti i materiali, con a seguito un controllo
di qualità; poi si preparano delle soluzioni di gelatina mantenute ad una certa temperatura
in contenitori di acciaio alle quali vengono aggiunti tutti gli eccipienti come opacizzanti o
riempitivi.
Per fare la capsula si usano delle piastre con delle puntine; queste vengono immerse nella
soluzione di gelatina, vengono estratte e fanno due giri e mezzo in aria di essiccamento: in
questo modo si essicca la soluzione che ha aderito alle puntine e si distribuisce in modo
omogeneo.
A questo punto, prodotte tutte le teste e i corpi, si rifiniscono tagliandoli. Dopodiché questi
pezzi formati vengono misurati, si uniscono le teste ai corpi e si effettua un controllo
qualità finale, eseguito in automatico o con un’analisi visiva effettuata dall’operatore.
Quelle che non sono venute bene vengono eliminate.
Le capsule si possono riempire con polveri, con pellets, cioè granuli o particelle
millimetriche, con piccole compresse o capsule, con dei sistemi misti per esempio polveri
+ compresse + granuli, con materiali semisolidi o liquidi (oli, cere, idrofilici ma non miscibili
con la gelatina come per esempio polietilenglicole).
Il diverso riempimento è una tecnica efficiente per combinare due principi attivi
incompatibili, quindi formulati separatamente (per esempio polveri e granuli), o per
ottenere un rilascio prolungato (per esempio utilizzando compresse con diverse velocità di
rilascio).
230
Il riempimento delle capsule avviene per volume: se ho poco farmaco devo aggiungere dei
riempitivi per arrivare al volume corretto. Le compresse possono essere disposte in
verticale o in orizzontale a seconda del sistema di riempimento.
Sealing
Il sealing consiste nella sigillatura. La capsula viene sigillata nel punto di contatto tra corpo
e testa. Per farlo ci sono vari metodi:
1. Kapseal: si mette una striscia di gelatina liquida alla fine della testa della capsula
prima di inserirla nel corpo. La gelatina poi si essicca e la capsula viene chiusa.
2. Quali seal: inserire la stessa striscia di gelatina liquida alla fine del corpo, subito prima
della chiusura.
3. Etaseal: si utilizza un anello caldo che stringe la capsula nel punto di sovrapposizione
tra corpo e testa, in questo modo fonde parzialmente la gelatina e la sigilla.
4. Capill: immersione della capsula o spray di una soluzione idroalcolico su essa per
avere una parziale fusione della gelatina nel punto di sovrapposizione tra corpo e
testa.
Le capsule sono più difficili da manipolare rispetto alle compresse e sono più sensibili a
umidità e temperatura con rischio di degradazione. Devono essere per questo mantenute
con un certo grado di temperatura e umidità (tra il 40 e il 60% di umidità ambientare, se
l’umidità è stroppo bassa si seccano e si rompono).
Inoltre, le componenti della capsula non devono essere trasformate in aldeidi perché
comportano il crosslinking delle proteine dell’opercolo e si rallenta il processo di
dissoluzione.
231
Formulazione capsule: eccipienti
- Riempitivi: amido, lattosio, calcio difosfato.
- Glidanti: aumentano lo scorrimento delle polveri; talco, silicio colloidale, magnesio
stearato
- Lubrificanti: valgono le stesse considerazioni fatte per le compresse, devo tenere conto
che cambiano le proprietà di dissoluzione del farmaco perché sono materiali lipofili
- Disintegranti: aggiunti alla polvere contenuta nella capsula, devono garantire il distacco
delle particelle. Le polveri all’interno della capsula possono essere inserite come polveri
o come carotine, ovvero piccoli compatti a cilindro che possiedono una loro stabilità
(polvere leggermente compattata).
- Surfactanti: elementi che aumentano la bagnabilità e la disintegrazione; per esempio
sodio lauril solfato
- Idrofilizzanti: polimeri idrofili che aumentano la bagnabilità
Coloranti e Opacizzanti:
Le capsule sono spesso colorate. La funzione del colorante è quella di identificare il
prodotto, facilitare la gestione del farmaco da parte dei pazienti. Ha quindi un effetto
psicologico sul paziente, aiutando anche la distinzione dei lotti di produzione. Nelle
capsule il colore ha una azione protettiva dalla luce per il farmaco che c’è all’interno.
Questa protezione può essere maggiore o minore dalle varie lunghezze d’onda a seconda
del colorante che si usa (colori scuri o chiari).
Rilascio
Il rilascio avviene perché gli opercoli si rigonfiano e si sciolgono, in particolare in alcuni
punti: la prima dissoluzione avviene a livello delle pareti dove non c’è sovrapposizione tra
testa e corpo; pian piano il liquido entra nella capsula, inizia la disintegrazione,
disaggregazione e dissoluzione del farmaco e solo alla fine si sciolgono le parti più spesse
della capsula.
Capsule molli
Esempi: Moment, Imodium, Buscofen.
Si producono principalmente perché dentro si può mettere un farmaco semisolido o
liquido. Questo si fa o se il farmaco si trova già allo stato liquido, o se è molto poco
solubile, in questo caso viene pre-solubilizzato in un solvente, cosicché una volta arrivato
nell’intestino viene assorbito immediatamente. Per questo motivo le capsule molli hanno
un rilascio più rapido del farmaco rispetto alle capsule rigide.
Vantaggi:
• Riempimento con soluzioni, sospensioni, semisolidi
• Il riempimento è molto riproducibile (rispetto alle capsule rigide)
232
• La disponibilità del farmaco è rapida ed elevata
• Maggiore protezione dall’ambiente esterno (ossidazione, degradazione, volatilità)
Svantaggi:
• Ci sono pochi produttori
• Molti passaggi industriali
• Costi elevati
• Possibile instabilità quando si mescolano i farmaci con altri eccipienti o con l’opercolo
Nel caso delle capsule molli la produzione avviene tutta nell’azienda, anche gli opercoli (a
differenza delle capsule rigide).
Composizione opercolo
Gelatina, plasticizzanti, coloranti, opacizzanti, conservanti e aromi. L’umidità finale della
capsula è del 6-10%.
Metodi di produzione
- Metodo industriale
Si usano dei tamburi che si muovono in modo reciproco
caratterizzati da scanalature. La gelatina viene tenuta a
temperatura controllata. Il farmaco viene messo all’interno e
i tamburi girando chiudono la capsula di gelatina.
Composizione
Possiamo inserire liquidi compatibili con la gelatina come:
- Immiscibili in acqua: oli vegetali, idrocarburi aromatici, trigliceridi
- Miscibili in acqua: non volatili (PEG 400 e 600), immiscibili in gelatina
- Sospendenti per base oleosa: cera, paraffina, stearati
- Sospendenti per solventi volatili
- Sospendenti per basi idrofiliche
233
Considerazioni generali:
Come eccipienti non si può mettere qualsiasi cosa, perché le componenti che inseriamo
devono essere solubili.
Il pH del liquido all’interno non deve degradare l’opercolo, per esempio spesso si usano
miscele di acqua in olio, cioè in cui la fase esterna è oleosa e non acquosa. Le emulsioni
non possono essere utilizzate perché contengono acqua.
La temperatura di sigillazione è tra 47 e 50°C.
Alcune capsule vengono prodotte per utilizzo polmonare, cioè per la via respiratoria. Le
capsule possono essere anche aspirate a seguito della rottura dell’opercolo, in questo
caso la polvere viene aspirata e si posiziona nel tratto respiratorio.
234
11. SISTEMI DISPERSI
Soluzione: sono miscele omogenee, ovvero in cui in ogni punto la composizione quali-
quantitativa è la stessa, in cui il soluto ha una dimensione inferiore a 1nm ed è disperso
all’interno di un solvente; soluto e solvente formano una sola fase. È un sistema stabile
termodinamicamente.
Dispersione: sistema eterogeneo costituito da una fase interna e una esterna in cui
almeno una delle dimensioni è superiore a 1µm.
235
PROPRIETÀ DEI SISTEMI COLLOIDALI
Sono dispersioni colloidali in cui la fase dispersa ha diametro di dimensioni comprese tra 1
nm e 1 µm.
- Hanno la capacità di adsorbire materiale sulla superficie (gas, sali, sostanze chimiche
ecc. ; per esempio il polietilenglicole forma un sistema disperso e adsorbe iodio).
- Possono coagulare, cioè possono dare aggregazioni
- Si possono muovere in un campo elettroforetico nel caso in cui siano sostanza cariche;
di solito si muovono tutti, anche quelli neutri, perché sulla superficie possono adsorbire
ioni, in particolare idrogenioni che conferisce carica anche alle particelle neutre.
- Si muovono con un movimento Browniano casuale
- Conferiscono viscosità al sistema
- Possono essere dializzati, cioè possono passare attraverso membrane a porosità
controllata.
Esempi: Micelle (al di sotto dei 100 nm), Liposomi (sotto i 500 nm), Nanoparticelle (15-20
nm), Proteine, Polimeri ecc. tutte queste sostanze danno sistemi colloidali.
Nanotecnologia
È una tecnologia importante per lo sviluppo di sistemi di drug delivery e rientra tra i sistemi
colloidali.
È un termine ampio che descrive metodi, materiali, processi di qualsiasi applicazione che
coinvolgano l’utilizzo di nanomateriali. È la produzione o manipolazione e applicazione di
strutture, sistemi, device con un diametro controllato in cui almeno una delle dimensioni è
dell’ordine dei nanometri.
Nanomedicina: Applicazione della nanotecnologia in ambito medico.
Nanomateiali: Sono una sottoclasse dei sistemi colloidali con dimensioni tra 1 nm e 100
nm. In ambito farmaceutico si accettano fino a 200 nm. La definizione scientifica di
nanomateriali dice che almeno il 50% di questi materiali deve avere almeno una delle 3
dimensioni tra 1 e 200 nm. (Per esempio, una fibra lunga qualche km con lo spessore di
20 nm è considerata un nanomateriale, basta che solo il 50% di essa rispetti questa
condizione).
In alcuni casi, in ambito farmaceutico la % può essere anche inferiore al 50%.
Sono materiali naturali, incidentali oppure prodotti in una forma aggregata o meno.
Caratteristiche
I nanomateriali sono importanti perché hanno caratteristiche diverse dai materiali normali.
Le caratteristiche della superficie prevalgono sulle caratteristiche generali del materiale e
diventano l’elemento più importante: carica, idrofilicità, capacità di legame, reattività di
superficie. Una barra di ferro e una nanoparticella, anch’essa di ferro, presentano
caratteristiche diverse in quanto l’area superficiale prevale nella particella rispetto alla
barra. In una barra di ferro la reattività di superficie è limitata perché la superficie è
limitata, invece nelle nanoparticelle particelle la superficie è più grande e quindi anche la
reattività aumenta.
N.B. Sistemi colloidali e sistemi dispersi hanno caratteristiche diverse: Nei sistemi dispersi,
quando la lunghezza della luce è più piccola della grandezza delle particelle, la luce
236
trasmessa è arancione e quella rifratta è azzurra (motivo del cielo azzurro per la
dispersione della luce sulle goccioline di acqua). Questo effetto è detto “effetto di Tyndall”.
ENERGIA LIBERA
𝛥𝐺 = 𝛥𝐻 − 𝑇𝛥𝑆
Attrattive:
• Ponti idrogeno
• Legami dipolo - dipolo
• Legami dipolo - dipolo indotto
(London dispersion) formati
continuamente anche in molecole
neutre a seconda di come si
muovono gli elettroni e della
polarizzazione che creano
Repulsive:
• Repulsive di carica (+/-)
• Forze steriche: date
dall’ingombro sterico
• Forze di Born: per la
sovrapposizione degli
orbitali che si respingono
• Forze di
solvatazione/idratazione: si
forma una sorta di
cuscinetto sulla superficie
della particella che
impedisce l’avvicinamento di
altre particelle.
Teoria DLVO
VT = VR + VA
Descrive, in termini di energia libera, la relazione che esiste tra la distanza di due particelle
e l’energia libera del sistema, considerando tutte le forze attrattive e repulsive coinvolte.
B) La curva B si divide in più fasi in quanto l’energia del sistema dipende dalla distanza
delle particelle.
- Se le particelle sono molto distanti tra loro l’energia è pari a 0;
239
- Man mano che la distanza diminuisce si arriva al punto S, il minimo energetico
secondario. In questo caso Vs>kT, ovvero l’energia del sistema diminuisce e le
particelle tendono ad aggregare tra loro formando un FLOCCULATO, prodotto
farmaceutico stabile fisicamente, ma che torna in forma dispersa se agitato. Il sistema
ora risulta relativamente stabile perché i legami che si sono instaurati tra le particelle
sono deboli. Aumentando la distanza l’energia cinetica diminuisce progressivamente
fino al raggiungimento di una certa stabilità.
- Oltre S iniziano a prevalere le forze repulsive e l’energia del sistema aumenta. Le
particelle si avvicinano tra loro solo nel momento in cui viene superato il punto Vm, in
cui l’energia potenziale è molto più alta di kT.
- Diminuendo ancora la distanza tra le due particelle, l’energia cinetica inizia a diminuire
nuovamente (rallenta molto il movimento che si oppone all’avvicinamento fino al
raggiungimento di un minimo energetico primario ( P): è il minimo di stabilità a cui si
formano aggregati tra particelle con legami molto forti. Gli aggregati formati sono
farmaceuticamente irreversibili: per semplice agitazione non è possibile far tornare il
sistema in forma dispersa. Il sistema in P è stabile.
Esempi di formulazioni che possono arrivare ad avere questa energia potenziale sono
gli sciroppi: se lasciati inerti, le particelle all’interno degli sciroppi si avvicinano e
formano il flocculato, sistema reversibile; quando lo sciroppo viene agitato le particelle
tornano in sospensione perché prima si era raggiunto il minimo secondario. Ma se la
distanza delle particelle diminuisce, le particelle sedimentano e si depositano sul fondo,
instaurando legami talmente forti, che all’agitazione della forma farmaceutica esse non
tornano più in sospensione. Per ritornare al sistema reversibile occorre operare con
metodi drastici come la macinazione o la sonicazione.
C) Va > Vr: le forze attrattive prevalgono sulle repulsive: avvicinando le particelle l’energia
si abbassa sempre di più fino a quando si ha una sovrapposizione degli orbitali e le
particelle formano legami tra loro. Diminuendo ancora la distanza, prevalgono le forze
repulsive e l’energia del sistema aumenta notevolmente, comunque rimanendo al di
sotto dello 0.
240
Potenziale Z
Le forze di carica sono delle forze che una
particella assume e possono essere
attrattive o repulsive. La carica della
superficie delle particelle è fondamentale
per la stabilità del sistema: se tutte le
particelle del sistema hanno la stessa
carica, il valore di Vm sarà molto alto
(perché è difficile che si avvicinino cariche
uguali); se le particelle del sistema hanno
cariche opposte, il valore di Vm sarà basso
e le particelle aggregheranno facilmente.
Lavorando sulla carica superficiale è
possibile andare a stabilizzare il sistema,
riducendo l’aggregazione e ottimizzando il
livello di flocculazione (raggiungimento del
minimo secondario).
La carica della superficie viene misurata in
termini di Potenziale Z , caratteristico di
qualsiasi superficie. Quello di una
particella è misurato attraverso un sistema
di diffusione della luce (es: light scattering), perché si va ad osservare come le particelle si
muovono in un campo elettrico e come diffondono attraverso esso. Sulla base della loro
dimensione e dell’intensità del campo elettrico si calcola il potenziale z della particella: più
grande è la particella minore è la sua diffusione, più grande è la carica più è veloce il suo
movimento nel campo elettrico. Combinando la dimensione e il movimento si risale alla
carica e quindi al potenziale.
Una particella può avere una sua carica data da gruppi funzionali (es poliacrilammina con
gruppi amminici +, acido poliacrilico con COOH -) o può essere neutra. In questo ultimo
caso, la particella può adsorbire una carica, in genere da idrogenioni.
Le cariche sulla superficie, che siano acquisite o proprie della particella, si posizionano
attorno e formano uno strato mobile, detto strato di doppia diffusione.
Le cariche dello strato di doppia diffusione sono parzialmente bilanciate da cariche
opposte: si forma così lo strato fisso, in cui le cariche restano immobili.
I vari strati di carica attorno alla particella hanno un proprio potenziale, misurabile
all’interno di un campo elettrico. La carica che registro nel primo strato (opposta a quella
propria che neutralizza la particella) si chiama potenziale di Stern; quella registrata al
secondo livello è considerato il potenziale Z , e lo considero come carica effettiva della
particella: si tratta di un ulteriore strato di cariche miste, che tendono a neutralizzare il
potenziale di Stern.
SOSPENSIONI FARMACEUTICHE
Una sospensione è una forma farmaceutica che presenta una fase interna SOLIDA (fase
dispersa) con particelle di diametro compreso tra 0,5 e 100μm insolubili nel mezzo
disperdente, che è la fase esterna.
La fase esterna può essere di natura acquosa o oleosa; la fase interna può essere liofila o
liofoba.
241
Le sospensioni possono essere:
- Orali: la fase solida costituisce il 10% della sospensione. Ne fanno parte gli antibiotici.
- Sospensioni topiche: contengono oltre il 20% di fase solida.
- Sospensioni iniettabili: contengono il 5% di fase solida.
Le sospensioni sono diluite se contengono dal 2 al 10% di fase solida p/v, si definiscono
concentrate se contengono almeno il 50% di fase solida p/v.
Vantaggi:
- Solubilizzazione di farmaci poco solubili in piccole quantità di liquido
- Aumenta la stabilità chimica (rispetto ad una soluzione) perché il farmaco è allo stato
solido
- Aumentano le caratteristiche organolettiche, quindi aumenta la compliance
- Rilascio prolungato del farmaco perché trovandosi allo stato solido si deve sciogliere
- Facile da somministrare
- Aumenta la biodisponibilità rispetto alle formulazioni solide perché le sospensioni sono
già pronte a essere disciolte, le compresse si devono disintegrare à sono una via
intermedia tra soluzioni e compresse.
Svantaggi:
- Grande instabilità fisica rispetto alle soluzioni (una sospensione è stabile quando c’è il
solido sul fondo e la soluzione in superficie)
- Aumenta l’instabilità chimica rispetto a un solido
- Minore uniformità di dosaggio (a differenza delle compresse che sono molto accurate)
- Difficili da formulare
Requisiti
Le sospensioni devo essere:
• Versabili: es sciroppi, deve avere viscosità adeguata
• Siringabili (in caso di iniettabile)
• Spalmabili in caso di prodotto topico
• Con una rapida dispersione (altrimenti si separano le fasi)
• Con caratteristiche fisiche adeguate: uniformità di dose, efficacia, tossicità, affidabilità,
riproducibilità.
Fase esterna: può essere acquosa o oleosa. Se la somministrazione è per via orale, la
fase esterna è quasi sempre acquosa; se la sospensione viene iniettata sottocute, la fase
disperdente è di tipo oleoso; altrimenti, se iniettata endovena la fase esterna deve essere
acquosa. Per uso topico le sospensioni sono oleose.
Gli oli utilizzati sono vegetali o minerali (paraffina, vaselina ecc.), olio di fibra, cotone,
arachidi che prima vengono trattati dal punto di vista farmaceutico (hanno un diverso tipo
di trattamento a seconda dell’uso).
Fase interna: è di tipo liofilico se i materiali impiegati hanno una bassa tensione
interfacciale; è di tipo liofobico se i materiali impiegati presentano un’elevata tensione
interfacciale.
Stabilità
Una sospensione è un sistema che non presenta un equilibrio stabile, il quale dipende
dall’energia fornita.
243
- Agglomerato (figura E): le particelle sono tenute assieme al disperdente in uno stato
liquido. È un sistema stabile e viene raggiunto il minimo primario;
- Deflocculato (figura B): dispersione vera e propria di tutte le particelle che rende la
soluzione omogenea farmaceuticamente ed eterogenea dal punto di vista fisico.
Con il passare del tempo, il deflocculato si presenta in due fasi separate. Questo
fenomeno, però, è reversibile e il sistema ritorna disperso per semplice agitazione. Dal
deflocculato si raggiunge il minimo secondario, in cui si ha una separazione stabile delle
due fasi, con la formazione di un cake (figura C), ovvero una struttura solida e compattata
nel fondo della miscela. Quando si forma il cake, il prodotto non può tornare allo stato di
dispersione.
Il sistema può contenere particelle disperse allo stato cristallino: quando i cristalli iniziano
a crescere si crea instabilità (cambia la solubilità) e si favorisce la formazione del cake.
Durante la fase di flocculazione, data da forze deboli di interazione tra le due fasi, può
avvenire l’aggregazione (avvicinamento particelle) , che porta alla coagulazione che a sua
volta porta a una sedimentazione. Quando le particelle sono sedimentate tendono a
formare il cake fino ad arrivare il cementing, cioè una sedimentazione compatta.
244
Abbassando ancora il potenziale Z, le particelle si avvicinano ancora di più e formano un
coagulo.
Per lavorare sulla carica si utilizzano dei sali, materiali carichi che vengono adsorbiti sulla
superficie della particella; un’alternativa è variare il pH, in modo da cambiare lo stato di
protonazione delle particelle e renderle più o meno cariche.
Per garantire la stabilità della sospensione si può modificare la viscosità del mezzo
disperdente, aggiungendo eccipienti adatti.
Un altro fattore importante per la stabilità del sistema è il movimento Browniano delle
particelle che sono all’interno di una fase continua e si muovono con movimento
casuale/diffusivo. Il movimento Browniano è descritto dalla legge di Brown.
Legge di Brown: la distanza percorsa da una particella nell’unità di tempo (D) dipende
dalla temperatura (più alta è la temperatura più velocemente si muovono le particelle),
dalla viscosità (la distanza percorsa diminuisce all’aumentare della viscosità della fase
esterna) e dal raggio delle particelle (più grandi sono le particelle più lento sarà il
movimento diffusivo).
𝑅𝑇+
𝐷) =
𝑁3𝜋𝜂𝑟
Come abbiamo già visto, anche il diametro delle particelle è importante in questi processi
perché più piccole sono le particelle più velocemente si muovono e, di conseguenza, si
oppongono alla velocità di sedimentazione. Per questo motivo viene definita una
grandezza limite particellare, detta diametro di sedimentazione limite, al quale non si
verifica la sedimentazione perché il movimento delle particelle si oppone ad essa stessa.
Dunque, il diametro di sedimentazione limite è il massimo diametro che possono avere le
particelle per opporsi alla sedimentazione (perché le particelle si muovono con una certa
velocità). Il diametro di sedimentazione dipende da diversi fattori inclusa la temperatura,
l’energia, il tipo di sistema interno ecc.
245
• Ridurre la differenza di densità tra la fase interna ed esterna
• Aggiungere degli elettroliti che serviranno per raggiungere un potenziale Z ottimale per
avere un sistema completamente disperso se il potenziale Z è molto alto (intorno ai 100
mV); riducendo il potenziale si ottiene un flocculato che stabilizza il sistema
Agenti umettanti
Sono agenti che:
- Riducono la tensione interfacciale
- Forniscono cariche di superficie
- Formano uno strato solvatato
- Formano una protezione sterica: meccanicamente allontanano le particelle tra loro
- Ritardano la crescita dei cristalli
Grazie alle azioni che svolgono, gli agenti umettanti aumentano la bagnabilità della fase
dispersa, quindi agiscono riducendo la tensione interfacciale, in particolare se la fase
dispersa è idrofoba.
Gli agenti umettanti servono anche per eliminare l’aria che si può localizzare nelle
scabrosità delle particelle (può cambiare la densità della particella e la bagnabilità).
• Solventi
La loro azione è dovuta al fatto che sono miscibili con la fase esterna della sospensione e
riducono la tensione interfacciale tra liquido e aria.
Il liquido penetra all’interno della singola particella e facilita l’umettamento.
Tra i solventi per sospensioni acquose troviamo la glicerina, che si dispone sula superficie
del solido e ne abbassa la tensione superficiale perché media l’interazione con il solvente
acquoso. Oltre alla glicerina sono molto impiegati anche polioli come polietilenglicoli a
basso peso molecolare e polipropilenglicoli, sempre a basso PM.
Tutti questi fattori facilitano l’umettamento con la fase acquosa.
Se la sospensione è di tipo oleoso si utilizzano agenti umettanti lipofili.
• Tensioattivi o surfattanti
I surfattanti sono degli agenti di superficie; con il
termine tensioattivo si indica la classe di surfattanti
che ha un’azione sulla tensione superficiale. Quasi
tutti i surfattanti hanno un’azione sulla tensione
superficiale, quindi il termine viene spesso usato in modo ambivalente a “tensioattivo”.
I tensioattivi diminuiscono la tensione interfacciale e sono sostanze che si adsorbono sulla
superficie del solido.
247
Hanno la tipica caratteristica delle molecole anfifiliche in cui una parte della molecola è
idrofobica e una parte è idrofilica, di conseguenza di orientano esponendo la testa polare
verso la fase idrofilica e la coda idrofobica verso la soluzione idrofobica.
Questi agenti surfattanti (o tensioattivi) possono essere di diverso tipo a seconda della
sospensione, infatti il solido disperso può essere in olio o in acqua. In base, poi, alla
natura del solido, quindi idrofilico o lipofilo, si sceglie un tensioattivo differente.
I tensioattivi vengono classificati sulla base di un valore che si chiama HLB (Hydrophilic
Lypophilic Balance), parametro importante che indica il bilancio idrofilico/lipofilico della
molecola e indica il grado di idrofilicità o lipofilicità del tensioattivo. Se il tensioattivo ha un
HLB alto, allora sarà idrofilo; altrimenti, se il valore di HLB è basso il surfattante sarà
lipofilo.
Possiamo utilizzare entrambe le forme, però di solito si fa riferimento alle molecole in cui le
due porzioni sono ben distinte.
La funzione dei tensioattivi è esplicata grazie alla loro capacità di disporsi sulla superficie
del solido, in modo da solvatarla. Se il solido è idrofobico e il liquido disperdente è
acquoso, la parte idrofobica del tensioattivo va verso la particella solida ed espone
all’esterno la porzione idrofilica e viceversa se il mezzo disperdente è oleoso.
Di solito nelle sospensioni si usano concentrazioni basse di tensioattivo, circa intorno allo
0.05% che è una percentuale che non dà un ottimo umettamento ma evita l’eccessiva
produzione di schiume. Superando lo 0.05% le sospensioni risulteranno molto stabili, ma il
prodotto si potrebbe solubilizzare e quindi verrebbe meno il carattere di sospensione.
Sono prodotti
particolari perché
formati da molecole
anfifiliche che
vengono iniettate e
che possono
interagire con la
superficie delle cellule
e disorganizzare la
struttura cellulare. Per
questo motivo sono
sostanze tossiche e
di conseguenza
devono essere testati
prima di essere messi
in commercio.
248
Quelli approvati sono in genere polisorbati, acidi grassi derivati dagli etilati oppure prodotti
come il castor oil.
Polisorbati
Sono tensioattivi particolarmente importanti che derivano dal
sorbitano. Il sorbitano a sua volta deriva dal sorbitolo ed è la sua
forma disidratata (struttura ciclica in immagine). In particolare, il
sorbitolo è un poliolo che quando perde una molecola di acqua si
ciclizza e forma la molecola ciclica del sorbitano. Il sorbitano ha
quattro gruppi ossidrili che possono essere derivatizzati con
molecole di diverso tipo, per esempio con acidi grassi o con
polietilenglicole, ottenendo così dei derivati come i SPAN che sono
dei polisorbati o i TWEEN.
Polisorbato-80
È costituito dal sorbitano a cui sono
legate 4 catene di polietilenglicole e
una molecola di acido grasso (è una
supramolecola). La molecola
presenta una porzione idrofobica e
una idrofilica.
I polisorbati si possono anche
classificare in base alla lunghezza
delle catene di polietilenglicole che
sono attaccate oppure in base al
tipo di acido grasso che è legato. Sono molecole surfattanti e anfifiliche che vengono
utilizzate come umettanti ed emulsionanti. Non presentano una grande tossicità, almeno
nelle concentrazioni di utilizzo, e sono interessanti perché sono molecole neutre e questo
comporta il fatto che da un lato siano meno efficienti di quelle cariche (perché le
macromolecole cariche possono agire anche sulla carica delle particelle con cui
interagiscono, quindi migliorano le caratteristiche modificando anche la carica), però allo
stesso tempo le molecole cariche possono anche dare problemi perché possono interagire
con altre sostanze formando dei legami carica-carica che possono cambiare il pH delle
soluzioni o interagire con altri eccipienti; avere delle molecole non cariche invece significa
essere indipendenti dal pH.
Agenti deflocculanti
Tra questi ci sono molti derivati acil-arilici o aril-arilici, che sono carichi positivamente o
negativamente; si depositano sulla superficie e conferiscono una carica, in particolare
aumentano la carica superficiale e quindi aumentano anche la repulsione tra le particelle e
facilitano la dispersione, per questo sono agenti deflocculanti. Gli agenti deflocculanti non
hanno mai azione sulla tensione superficiale ma agiscono solo sulla CARICA.
Agenti flocculanti
Essi facilitano l’aggregazione delle particelle disperse per portare al minimo energetico
secondario di stabilità il sistema. Sono:
249
- Surfattanti: riducono le forze di repulsione in modo da diminuire l’energia del sistema,
quindi le particelle tendono ad attrarsi tra di loro dalle forze di Van der Waals;
- Polimeri: le lunghe catene dei polimeri si incastrano nel mezzo disperdente e formano
un ponte tra fase interna ed esterna, provocando la flocculazione;
- Liquidi: si depositano sulla superficie e formano uno strato superficiale, mascherando le
cariche positive perché formano i ponti liquidi (glicerina, glicerolo);
- Elettroliti: riducono il potenziale Z a 0 (NaCl, KCl, sali di calcio, citrati, fosfati, polimeri)
Agenti tamponanti
Sono indispensabili perché le sospensioni hanno una stabilità ad un determinato pH, così
come la solubilità della fase dispersa cambia a seconda del pH e della pKa; bisogna
tamponare in modo che la fase dispersa non vada in soluzione, altrimenti non si avrebbe
più un sistema disperso. Inoltre, è necessario ridurre la solubilità della fase dispersa per
evitare la crescita delle particelle con l’effetto Ostwald ripening.
Quindi tamponare il pH permette di avere una condizione di minore solubilità della fase
dispersa.
Il pH è importante perché alcuni eccipienti usati per formare la sospensione hanno
un’attività in funzione di esso, per esempio eccipienti come polielettrolitici o elettrolitici a
seconda del pH in cui si trovano sono più o meno carichi (se uso l’acido poliacrilico esso
ha un grado di ionizzazione a seconda del pH e i suoi gruppi carbossilici saranno protonati
o meno a seconda del pH).
Alcuni eccipienti, come conservanti e antimicrobici, sono attivi solamente in un certo range
di pH, che deve essere garantito dagli agenti tamponanti.
Per questo di solito si formano agenti tamponanti come soluzione di fosfato o citrato.
Agenti protettivi
Sono agenti che aumentano la viscosità del sistema o che formano delle strutture idratate
sulla superficie o ingombranti dal punto di vista sterico, che impediscono l’avvicinamento
delle particelle. Agiscono anche facilitando la ridispersione del flocculato.
Gli agenti protettivi sono generalmente macromolecole di idrocolloidi, tra questi la gomma
dragante, la gomma acacia, la pectina, materiali inorganici come la bentonite o la lecitina,
metilcellulosa e gelatina.
Agenti reologici
Questi agenti hanno un’azione viscosizzante, quindi cambiano le caratteristiche di fluidità
della fase disperdente (= cambiano le caratteristiche reologiche che sono le caratteristiche
di fluidità di un fluido).
Quando un fluido si muove all’interno di un condotto, ha un andamento lento (flusso
laminare) nella parte esterna e veloce nella parte interna, secondo piani paralleli. Lo
scorrimento del fluido dipende dal valore della sua viscosità η.
η è il rapporto tra la forza applicata ad un fluido e il suo scorrimento η=F/S e viene
misurato in poise (0.1*N-sec/m2). Applicando una forza ad un fluido, esso si muove in
piani paralleli che presentano una determinata area superficiale A e una distanza tra i
piani dy. Da questo è possibile ricavare la differenza di velocità tra due
piani paralleli che sarà dato dal prodotto della fluidità per la forza
applicata al fluido per la distanza tra i piani tutto diviso l’area dei piani
paralleli.
250
La velocità di scorrimento può cambiare a seconda del valore di fluidità considerata.
4 =7>
La viscosità è data da 𝜂 = < , cioè è l’inverso della fluidità ed è anche uguale a 𝜂 = ?7@ e
viene misurata in Pa•sec
251
Quelli con un comportamento newtoniano
seguono la regola η=F/D, che dice che lo
scorrimento di un fluido è direttamente
proporzionale alla forza applicata, quindi
l’andamento nel grafico è lineare in cui
all’aumentare della forza applicata si verifica f
un aumento dello scorrimento del fluido nel
mezzo. La pendenza della retta è data
proprio dalla fluidità f, di conseguenza sarà
diversa in base al fluido che analizzato.
F= 1/η
Nel grafico, sull’asse x c’è la velocità di scorrimento (dv/dy), sull’asse y invece la forza
applicata (τ).
Questi diversi andamenti sono dovuti al fatto che le particelle non sono sempre separate
tra di loro, ma interagiscono e formano flocculati o aggregati formando un sistema
complesso.
Il cambiamento della viscosità di un mezzo è dato dalla variazione della struttura interna,
che dipende dalla forza applicata.
252
Questo primo grafico rappresenta l’andamento di un
flusso plastico Bingham. Applicando una forza al
fluido, all’inizio c’è un periodo di latenza (cerchiato
nel grafico) necessario per rompere la struttura
della sostanza poi, una volta rotta, il comportamento
assume un andamento simile a quello newtoniano.
Questo andamento è tipico dei flocculati, infatti
all’inizio il flocculato stesso si disgrega e, una volta
rotto, l’andamento torna lineare.
Un andamento di questo tipo è proprio di sostanze
come fango, pitture, sangue e ketchup.
Nel grafico gli assi sono invertiti rispetto a quello visto precedentemente, quindi la
pendenza della retta non è più la fluidità, ma la viscosità.
253
I false body sono interessanti dal punto di vista farmaceutico perché quando sono fermi la
viscosità tende all’infinito e quindi il sistema disperso è molto stabilizzato perché sulla
base delle leggi di Stokes e di Brown non c’è alcun movimento delle particelle, che sono
invece bloccate in questa struttura che si rompe solo per agitazione.
Abbiamo poi i materiali inorganici come le argille come i silicati di alluminio e magnesio
che sono degli agenti sospendenti, sono particelle molto piccole che formano delle
strutture organizzate. C’è poi la bentonite, la carbossimetilcellulosa, le argille
pseudoplastiche e il carbomer che è l’acido poliacrilico (con gruppi carbossilici) che viene
disperso in una soluzione basica per andare in soluzione e poi viene titolato con un acido
per ridurre il suo grado di ionizzazione e quindi per formare una struttura che sia
parzialmente idrofobica, cioè dove il bilancio idrofilico-idrofobico sia equilibrato in modo da
avere una struttura viscosa.
Altri agenti sospendenti sono la silice colloidale, il polivinil-alcol che deriva dal polivinil-
acetato a seguito di un’idrolisi parziale del gruppo acetato, il polivinilpirrolidone (PVP in
lab) e infine la gelatina (vista nelle capsule).
Conservanti
Sono importanti nella produzione delle sospensioni, soprattutto per quelle solide in acqua
o in fase acquosa in cui possono crescere microrganismi. L’uso dei conservanti non è
sempre ammesso, per esempio nel caso dei parenterali l’uso dei conservanti è limitato e
ammesso solo in pochissimi casi, però per uso orale o topico vengono usati molto.
Tra questi ricordiamo i benzoati, i parabeni e i sorbati. Hanno tutti delle cariche ioniche che
possono integrare con altri eccipienti come polielettroliti o polimeri carichi, che quindi
possono essere disattivati (devo stare attento a come li utilizzo). Inoltre, i conservanti
agiscono solo a pH specifici. Possono essere utilizzati anche dei conservanti che sono
254
degli adiuvanti come l’EDTA o il propilenglicole, oppure alcoli che riducono la crescita di
microrganismi.
Prendendo in considerazione l’EDTA, esso sequestra tutti gli ioni bivalenti e quindi ha un
azione adiuvante perché non consente ai microrganismi di sopravvivere in assenza di
calcio o altri ioni. L’EDTA è un adiuvante antiossidante perché sequestrando gli ioni
bivalenti sequestra quegli ioni metallici che fungono da catalizzatori per le ossidazioni.
Altri conservanti sono i propilenglicoli al 5-15% che interferiscono con l’ambiente ideale
per la crescita di microrganismi.
Infine, i sali di ammonio quaternario sono usati in modo molto controllato, hanno anche
un’azione surfattante.
255
La clorexidina gluconato usata in quantità intorno
allo 0.01% e attiva a pH 7
256
- Test di ridispersibilità: si va a vedere il tempo impiegato per ottenere un sistema
energicamente omogeneo.
- Test per dimensione particellare, polidispersività e forma
- Test delle proprietà reologiche
- Siringabilità (se è somministrabile per via iniettiva): dipende da viscosità e densità
della fase esterna, dimensione delle particelle e concentrazione della fase interna.
- Versabilità
EMULSIONI
Le emulsioni sono sistemi in cui una fase dispersa liquida è , appunto, dispersa all’interno
di una fase disperdente anch’essa liquida. Si differenziano dalle emulsioni per la presenza
di entrambe le fasi liquide. I due liquidi vengono definiti comunemente fase acquosa e
fase oleosa sulla base della loro natura chimica. La fase oleosa è indicata con O e la
acquosa viene indicata con la lettera W.
Possiamo ottenere diversi tipi di emulsioni:
- Emulsioni in cui la fase interna è oleosa e la esterna è acquosa O/W
- Emulsioni in cui la fase interna è acquosa e quella esterna è oleosa W/O
- Emulsioni multiple O/W/O o W/O/W. Si può arrivare fino a 7 fasi diverse, quindi
goccioline oleose disperse in goccioline più grandi acquose, disperse a loro volta in
goccioline più grandi oleose e così via fino a 7 fasi.
- Emulsioni O/O
Emulsioni comuni: maionese, latte (olio in acqua), creme per uso farmaceutico o
cosmetico, prodotti alimentari.
Emulsioni tradizionali: la dimensione delle particelle è compresa tra 0.1 e 100 nm
Microemulsioni: il diametro delle particelle è 1/4 della lunghezza d’onda della luce. Le
microemulsioni sono chiamate dei paradossi termodinamici perché si formano
spontaneamente, mentre sappiamo che i sistemi dispersi non si formano spontaneamente
perché hanno un livello energetico abbastanza alto.
Emulsioni traslucide: il diametro delle particelle è meno di 1/4 della lunghezza d’onda
della luce e sono traslucide, non tanto per le goccioline disperse quanto per l’effetto che
ha la fase disperdente sulla dispersione della luce.
Le proprietà delle emulsioni sono le stesse di tutti i sistemi dispersi, quindi valgono tutte le
considerazioni sulle forze attrattive e repulsive delle cariche, sulla stabilità, sull’energia e
sul potenziale Z, l’unica cosa che cambia è lo stato fisico della fase dispersa perché in
questo caso è liquido.
Emulsioni farmaceutiche
- Emulsioni per USO ORALE, generalmente sono O/W perché l’olio viene somministrato
più difficilmente rispetto all’acqua, è meno gradevole per il gusto.
Oggi per esempio, i derivati dell’olio di merluzzo e le omega3 vengono somministrati
non come tali ma all’interno di capsule molli o in dispersione acquosa, quindi come
257
emulsioni O/W (anche se non sono esattamente emulsioni perché manca un
componente). Il problema che si può avere in questo caso è che la quantità di olio che
viene assunto è molto poca, invece quando lo si prende da solo è molto di più. Con
l’uso di capsule si nascondono tutte le caratteristiche organolettiche negative che hanno
perché sono oli che facilmente irrancidiscono (il cattivo odore non è dato dall’olio di per
sé ma dai prodotti di scarto e ossidazione dei doppi legami che portano ad aldeidi e
chetoni).
- Emulsioni per USO PARENTERALE: vengono usate per somministrazione
sottocutanea, intramuscolare e possono essere sia O/W sia W/O. Emulsioni per via
intravenosa, invece, possono essere usate solo le emulsioni di tipo O/W perché non è
possibile iniettare nel sangue una fase oleosa ma solo una acquosa. Questi tipi di
emulsioni sono molto critiche perché devono essere molto stabili e non sono molto facili
da somministrare.
- Emulsioni per USO TOPICO: possono essere prodotti farmaceutici o cosmetici.
258
• Test con il cloruro di cobalto (CoCl2) che è un sale che si colora di rosso o di azzurro
in base al fatto che sia a contatto con acqua o meno.
• Test della fluorescenza: avremo una diversa fluorescenza se il fluoroforo si trova nella
fase dispersa o continua.
Da che cosa dipende il tipo di emulsione che si forma una volta che mescolo assieme
acqua e olio?
Il tipo di emulsione non dipende dalla quantità dei due liquidi, né dal metodo di
preparazione. In un’emulsione le goccioline possono essere di forma sferica, ma non
necessariamente, possono assumere una struttura che dipende dalla concentrazione in
cui sono (si adattano perché sono strutture dinamiche).
In un sistema monodisperso in cui le goccioline hanno le stesse dimensioni, la fase
dispersa può essere al massimo del 52.3%, il rimanente è fase esterna.
In un sistema polidisperso invece, in cui le goccioline hanno dimensione diversa tra loro, il
74% è costituito da fase interna (o dispersa).
A concentrazioni superiori al 74% le goccioline assumono delle forme particolari, tra cui
romboedrica o dodecaedrica: in questo caso la fase interna può arrivare addirittura oltre il
94%. Queste però sono emulsioni a grande rischio di stabilità, quindi non sono sempre
utili.
In conclusione, possiamo dire che il tipo di emulsione non è dato dalla quantità di fase
esterna ed interna utilizzata, dev’essere dato da qualche altro parametro.
Nelle emulsioni, oltre alla fase acquosa e a quella oleosa, c’è un altro “attore” importante
senza il quale non è possibile ottenere un’emulsione, che è l’emulsionante.
L’emulsionante determina il tipo di emulsione, indipendentemente dalla unità di fase
interna ed esterna. Mantenendo le stesse quantità di fase interna ed esterna, ma
cambiando l’emulsionante si ottengono due emulsioni differenti.
-C’è solo un momento in cui l’emulsione è stabile, ed è quando si è separata, cioè quando
non esiste più – J.W.Gibbs
Stabilità delle
emulsioni
259
1. Creaming e sedimentazione: avviene quando la fase interna è polidispersa. Le
goccioline si separano e affiorano (creaming) oppure si depositano sul fondo
(sedimentazione) e questo dipende dalla densità della fase esterna ed interna, che a
sua volta dipende dalla legge di Stokes. Nel creaming le goccioline affiorano ma
rimangono separate e quindi l’emulsione non è più omogenea.
Nel creaming e nella sedimentazione, le particelle si dispongono vicine tra di loro e
possono provocare il fenomeno della coalescenza, ovvero si uniscono e diminuiscono
di numero fino ad arrivare al punto di non ritorno, cioè la SEPARAZIONE DI FASE.
Sistemi che sedimentano o in cui si verifica il creaming possono ritornare alle
condizioni di emulsione se agitati, a meno che non si verifichi la coalescenza.
Creaming e sedimentazioni possono essere prevenuti riducendo la dimensione delle
particelle, equilibrando la differenza tra le densità dei mezzi liquidi e aumentando la
densità della fase esterna.
260
strutture superficiali che tendono a formare la coalescenza tra le goccioline perché
ripristinano una struttura piatta che ha pochissimi punti di contatti perché le goccioline
sono appunto sferiche.
Eccipienti
Il problema principale è, una volta create, quello di stabilizzare le emulsioni, utilizzando
diversi eccipienti.
• Surfattanti e agenti di superficie (tra questi abbiamo gli umettanti e i tensioattivi che
riducono la tensione superficiale e stabilizzano il sistema perché c’è meno energia
libera).
• Agenti viscosizzanti e modificatori reologici
• Agenti strutturanti che formano il false body, cioè strutture ordinate che a riposo hanno
viscosità che tende all’infinito.
SURFATTANTI
Hanno diverse azioni:
• Diminuiscono la tensione interfacciale e quindi mediano l’interazione tra la fase interna
e la fase esterna formando dei legami più forti che abbassano l’energia.
• Aumentano la carica superficiale e il potenziale Z di conseguenza, le goccioline si
respingono, ma possono flocculare Z≈15.
• Possono formare delle barriere meccaniche o delle barriere idratate che impediscono
l’avvicinarsi delle goccioline e la coalescenza.
• Si dispongono in strati multipli sulla superficie in modo coerente con la loro porzione
idrofila o idrofoba (se l’interno è lipofilo la porzione esposta verso l’interno sarà lipofila).
All’interno di questo multilayer ci sono degli strati di fase esterna à struttura ordinata.
L’esempio più classico sono le bolle di sapone, che sono fatte da agenti surfattanti e
acqua (la fase idrofobica in questo caso è l’aria). Sono strutture con strati di surfattante
paralleli tra loro con in mezzo degli strati di acqua, mentre l’aria sta all’interno e all’esterno.
Quando scoppiano è perché si formano delle disomogeneità e a quel punto la pressione
interna è troppo alta e scoppiano.
I surfattanti:
• Devono essere chimicamente e fisicamente stabili
• Devono essere inerti perché non devono reagire o interagire con nulla
• Non devono essere irritanti perché vanno a contatto o con la pelle o con le mucose
• Devono essere biocompatibili, cioè non devono danneggiare le cellule
• Devono essere incolori, inodori e insapori
• Devono essere attivi a basse concentrazioni, perché meno ne metto meglio è (dovrò
comunque mettere sempre tanto perché è facile capire che tipo di emulsionante usare,
meno facile capire la quantità giusta)
261
• Devono avere un’elevata attività interfacciale perché agiscono sulla superficie
• Devono avere la capacità di formare delle barriere elastiche perché le goccioline sono
sistemi dinamici in continua deformazione e quindi anche le barriere devono essere
deformabili
• Devono avere un’elevata dispersibilità e una buona diffusione sulla superficie perché si
devono disporre in modo omogeneo
• Devono essere ben solubili nella fase esterna
TENSIOATTIVI (O EMULSIONANTI)
Sono molecole solubili in entrambe le fasi, sia quella acquosa che oleosa. Formano degli
strati orientati e alla fine formano una struttura multilayer liquido-cristallina ordinata. Sono
molecole che diminuiscono la tensione interfacciale e quindi riducono l’angolo di contatto,
aumentano la bagnabilità e la spalmabilità.
Hanno diverse azioni: possono essere degli schiumogeni come i saponi che sono
addirittura dei solubilizzanti, cioè emulsionano talmente bene che solubilizzano le parti
grasse anche a livello molecolare facendo della schiuma. Sono anche in grado di svolgere
la funzione contraria, cioè sono degli agenti anti-schiuma e questo dipende dal valore di
HLB che hanno. In base al valore di HLB, i
tensioattivi si definiscono detergenti,
emulsionanti olio-acqua, emulsionati acqua in
olio oppure addirittura degli anti-schiuma.
Le molecole dei tensioattivi sono anfifiliche infatti
vengono sempre rappresentate come dei
fosfolipidi, anche se non sono esattamente così.
HLB
Indica il grado di idrofilicità e idrofobicità di un tensioattivo. Se HLB ha un valore basso
allora il tensioattivo è di tipo lipofilo; altrimenti se HLB è alto il tensioattivo è idrofilico.
Tensioattivi lipofili à si solubilizzano nella fase esterna oleosa = emulsione W/O
Tensioattivi idrofili à si solubilizzano nella esterna acquosa = emulsione O/W
1. Si utilizza per tutti i polioli esterificati con acidi grassi, in questo caso il valore si HLB si
misura con la formula:
𝑆
𝐻𝐿𝐵 = 20 ∙ (1 − )
𝐴
S: indice di saponificazione, cioè la quantità di NaOH necessaria per
saponificare/idrolizzare l’estere
A: indice di acidità. È la quantità di idrossido di potassio KOH che serve per
neutralizzare un grammo di campione.
La scala di HLB va da zero a 20. Questo è un metodo vecchio poco utilizzato.
262
Vuol dire che se tutta la molecola è idrofilica, la percentuale
sarebbe 100%, 1/5 di 100= 20 à HLB = 20.
Se la molecola è tutta lipofila allora la percentuale di peso
molecolare idrofilo è zero e quindi 1/5 di 0 è 0. Quindi anche
questa è una scala che va da zero a 20. Ovviamente se è a 0 e
a 20 non ha potere emulsionante. Gli emulsionanti con valore
di HLB molto basso sono anti-schiuma, poi abbiamo gli
emulsionati W/O che sono più lipofili, poi ci sono quelli O/W e
poi i solubilizzanti.
7. Un altro metodo è quello che si basa sul numero di gruppo che è un numero che è
stato attribuito ad ogni gruppo funzionale, per esempio il gruppo metilico ha un numero
di gruppo che è 0.475, il gruppo solfato di sodio ha un numero che è 39.7. In questo
caso l’HLB è dato da un’altra formula che è:
Il riferimento principale per i tensioattivi è il sodio lauril solfato che è il detergente per
eccellenza, si trova in tutti i saponi, shampoo ecc.
Quindi ogni volta devo sapere con che scala è stato calcolato l’HLB, molto spesso
comunque si usa il metodo di Griffin.
Il tipo di emulsionante va scelto in base al suo valore di HLB e in base al tipo di emulsione
necessaria. Generalmente non si usa quasi mai un emulsionante unico, ma ne vengono
utilizzati di più in modo da avere un’azione sinergica (riduco il problema della coalescenza
perché aumenta l’effetto di Gibbs-Marangoni).
263
Esempio:
Gli emulsionanti non hanno solo un’azione emulsionante, ma sono anche stabilizzanti
perché cambiano la viscosità del sistema, fondamentale per garantire le leggi di Stokes e
Brown.
Si è visto che nelle emulsioni O/W la viscosità del sistema aumenta in proporzione alla
quantità di emulsionante (più ne metto più il sistema diventa viscoso e più si stabilizza).
264
Inoltre, il valore di viscosità aumenta al diminuire del valore di HLB (più basso è il valore i
HLB più grande è la viscosità).
Come si sceglie l’emulsionante?
• Sulla base del tipo di emulsione da preparare
• Sulla base del tipo di fase oleosa, per esempio in base alla polarità della fase oleosa
(paraffina ha bassa polarità, invece gli oli vegetali sono più polari)
• In base al pH dell’emulsione perché il carattere idrofilico/idrofobico dell’emulsionate
cambia in base al pH.
• Dipende dalla compatibilità degli emulsionati con gli ingredienti, sia con il farmaco ma
anche con i conservanti perché molti emulsionanti non ionici interagiscono con i
conservanti e li disattivano.
• Dipende dalla via di somministrazione perché ci sono molte limitazioni per la via
parenterale, oculare e via topica. Ci sono meno limitazioni per la via orale perché di
solito se ne usano in quantità molto piccole. Invece per uso topico è meno invasivo ma
rimane sulla pelle o sulla mucosa per molto tempo.
Emulsionanti anionici
Presentano molti gruppi ionizzabili pH dipendenti, in particolare COOH.
• Sodio palmitato, cioè dei saponi di sali di acidi grassi con un’azione emulsionate e
solubilizzante, quindi è un detergente.
• Distearato di alluminio è un agente gelificante, quindi è emulsionante però forma
emulsioni molto viscose.
• Lactilati che sono molecole che contengono un acido grasso (funzione polare + catena
neutra).
• Derivati della sarcosina o della glicina
• Derivati del glutammato
265
• Saponi
Sono una grande famiglia di emulsionanti anionici, sono però più adatti come detergenti
che come emulsionati. Sono dei sali (generalmente di sodio) di acidi grassi e hanno
diverse caratteristiche che dipendono dalla lunghezza della catena alifatica e dalla
presenza di doppi legami. Hanno un HLB abbastanza alto e sono emulsionanti
abbastanza scarsi (perché sono più detergenti), vengono usati soprattutto per emulsioni
O/W. Si possono anche formare in situ partendo dagli acidi neutri e poi alcalinizzando,
cioè cambiando il grado di ionizzazione, e quindi di idrofilicità, semplicemente cambiando il
pH. Vengono usati saponi di sodio, potassio e ammonio la cui lunghezza della catena è
abbastanza importante perché quelli a catena troppo corta sono troppo solubili mentre
quelli a catena troppo lunga sono troppo insolubili, di solito la catena è compresa tra 10 e
20. Si possono usare i saponi in combinazione, per esempio l’acido stearico, insolubile in
acqua calda, si può combinare con l’acido palmitico.
266
• Sali biliari
Sono un altro esempio di emulsionanti anionici e sono tutti policiclici. Tra questi c’è il
colato, il glicocolato e il taurocolato, inoltre ci sono le saponine.
• Esteri solforati
Contengono un gruppo solfato, di questo gruppo ne fanno parte il sodio lauryl solfato e i
suoi derivati. Presentano una carica negativa indipendente dal pH.
• Solfonati
Contengono 3 ossigeni legati allo zolfo (nei solfati ne avevamo 4). In questa categoria ci
sono diversi tensioattivi tra cui:
267
• Esteri dell’acido fosforico
Sono delle anidridi con delle catene alifatiche esterificate.
Emulsionanti cationici
Gli emulsionanti cationici sono problematici perché la maggior parte di essi hanno una
tossicità intrinseca, avendo un’azione sulle cellule. Essendo molecole anfifiliche,
interagiscono facilmente sulle membrane cellulari, quindi non sono totalmente
biocompatibili. I tensioattivi cationici hanno anche un’attività antibatterica conclamata, per
cui hanno un livello di tossicità maggiore tant’è vero che sono usati molto meno da un
punto di vista farmaceutico rispetto agli anionici. Un esempio sono i sali di ammonio.
Sono attivi contro i Gram negativi e spesso hanno una loro tossicità intrinseca e addirittura
una dose di 1-3 g per via orale è letale à vengono usati maggiormente a livello cosmetico.
268
La prima molecola
dell’immagine ha un anello
benzilico e un gruppo
amminico quaternario, è
utilizzato come vermicida.
Molti di questi hanno attività
vermicida ma allo stesso
tempo vengono usati come
balsami per capelli poiché
annullano le cariche e i
capelli diventano lisci.
Tensioattivi anfoteri
La loro attività dipende dal pH perché hanno sia cariche + che cariche - .
Possono essere derivati dell’acido acrilico, delle alchilamidi disostituite, N-alchilbetaina e
le lecitine. L’anfotero per eccellenza è la lecitina (i fosfolipidi) perché presenta dei gruppi
fosfati e il gruppo amminico quaternario.
Altri derivati carichi positivamente con gruppi amminici. Tra questi la lauril betaina.
269
Tensioattivi Non ionici
Sono molto importanti perché la loro attività non dipende dal pH in quanto non ionizzano. I
tensioattivi ionici, invece, risultano più o meno carichi al seconda del pH in cui si trovano
(quelli con gruppo amminico quaternario e i solfati sono sempre carichi); per questo motivo
cambia la loro solubilità in ambiente acquoso/lipofilo e possono anche interagire con
cariche o sostanze/farmaci/conservanti/altri eccipienti quindi, non possono sempre essere
utilizzati nella formulazione. Questi tensioattivi però, possono stabilizzare la gocciolina di
emulsione in quanto gli conferiscono una carica.
I tensioattivi non ionici interagiscono con gli altri componenti della formulazione attraverso
altri tipi di interazioni: idrofobiche, ponti idrogeno ecc. Non conferiscono alcuna carica alla
particella ma possono formare una barriera meccanica/idratata, disposta in strati multipli
sulla superficie delle gocce, e fungere quindi da idrocolloide, stabilizzandole.
Esteri:
• Esteri dell’etilenglicole
Sono mono e diesteri dell’acido stearico, esterificato con una molecola di glicole etilico,
contenente due -OH; molto lipofili e poco emulsionanti, per questo utilizzati come
coadiuvanti dell’emulsionante.
270
• Gliceril esteri
Dati dall’esterificazione dei gruppi OH del glicerolo; possiamo avere monoesteri, diesteri e
triesteri. Questi ultimi non hanno potere emulsionante perché molto lipofili. Solitamente i
mono e i diesteri sono miscelati tra di loro per avere un buon grado di emulsionamento.
• Poligliceril esteri
Più molecole di glicerolo legate tra di loro con molti gruppi OH liberi; alcuni di questi gruppi
possono essere esterificati con acidi grassi. A seconda della lunghezza del poliglicerolo,
del numero di gruppi OH rimanenti e del tipo di acido grasso che viene legato, avrò
molecole con HLB diverso.
- SPAN: OH esterificati con acidi grassi; molecole molto lipofile (HLB basso). Ad esempio:
SPAN 65 è sorbitano tristearato, rimane liberi solo 1 OH; SPAN 80 è sorbitano mono-9-
octadenoato; possiede 3 OH ma una catena alifatica molto lunga che abbassa HLB;
SPAN 20 possiede 3 OH e una catena corta; tra tutti gli esempi mi aspetto che abbia
l’HLB maggiore.
- TWEEN: polisorbati, esteri etossilati. Si distinguono dagli SPAN perché contengono
anche catene di polietilenglicole, per questo motivo hanno un HLB maggiore. Non posso
avere troppe catene di polietilenglicole altrimenti la mia molecola diventa troppo
idrofilica. Per questo motivo devono l’alcol deve essere esterificato con acidi grassi.
Span e Tween sono gli eccipienti più utilizzati: sono neutri, abbastanza stabili, non
dipendono dal pH, non hanno una grande tossicità, sono molto biocompatibili, sono stati
271
approvati per via parenterale e sono utilizzati spesso in ambito farmaceutico e cosmetico.
A volte possono essere utilizzati in miscela per ottenere un migliore risultato.
• Esteri etossilati
Sono ottenuti dall’esterificazione del PEG con uno o più acidi grassi; di questa famiglia ne
fanno parte i derivati del sorbitolo.
Un gruppo importante di questa famiglia sono i derivati del sorbitano ottenuti per
esterficazione del sorbitano con un acido grasso e quindi per reazione con etilene ossido.
Questi sono detti polisorbati. Hanno un grande impiego in farmaceutica e cosmetica. Si
deve ricordare che sono di solito miscele di prodotti e la produzione è brevettata (Tween).
Eteri:
• Alcoli propiossilati
Sono simili ai precedenti ma essendo il propilen glicole più idrofobico dell’etilen glicole,
hanno un minore HLB.
272
• Poloxameri
Sono macromolecole simmetriche, polimeri a 3 blocchi: 2 polietilenglicole periferici,
isopropilenglicole centrale (che dona la parte idrofobia perché possiede un gruppo
alchilico in più). Grazie a questa sua composizione è in grado di formare micelle. E’ un
emulsionante neutro, anfifilico e per questo molto utilizzato.
• Alcanolammidi
Presentano un acido grasso che interagisce con la porzione idrofilica tramite un legame
ammidico
Surfattanti naturali
- Lanolina: ottenuta dal grasso di lana; è un’emulsione acqua in olio (W/O); è una base
combinata con paraffina o utilizzata come tale, usata solo per uso topico perché
contiene molti steroli, tra cui il colesterolo.
- Cera d’api: molto lipofila, forma emulsioni di tipo W/O; agisce come coadiuvante e
viscosizzante.
- Fosfatidi: fosfati di gliceridi e trigliceridi in cui le catene di acido grasso vengono
esterificate con il glicerolo; contiene anche il fosfato, ma non hanno la parte di colina
all’esterno
- Gomma adragante, acacia, gelatina: coadiuvanti, non aggreganti veri e propri,
aumentano molto la viscosità.
273
Sistemi autoemulsionanti
Basi che contengono già all’interno l’emulsionante, come per esempio la lanolina (base
liofila che contiene gli steroli). Pe questo tipo di emulsionanti si va a determinare il numero
d’acqua: quantità di acqua che riescono ad incorporare in 100g di base. Si determina
aggiungendo gradualmente acqua alla base e agitando continuamente finché non si
formano goccioline in superficie, le quali indicano che ho raggiunto la saturazione
Solidi emulsionanti
Silicati, argille, bentonite, alluminio silicato colloidale, magnesio e alluminio silicato. Sono
particelle solide molto fini e sottili che hanno capacità emulsionante. Questi composti
hanno una loro liofilicità e disponendole intorno a liquidi o solidi emulsionano. Possono
essere polari e non polari e si fanno bagnare dall’acqua in modo diverso. In assenza di un
surfattante i non polari favoriscono la formazione di W/O.
Tossicità surfattanti
I surfattanti, assunti per via orale, possono interferire con l’assorbimento di alcuni nutritivi o
favorire l’assorbimento di altre sostanze: essendo molecole anfifiliche alterano la
permeabilità delle membrane. Nella formulazione si deve dunque tener conto della via di
somministrazione, del tipo di surfattante e della quantità utilizzata perché non sono mai
sicuri al 100%.
Possono essere irritanti in quanto riescono ad estrarre componenti grassi della mucosa o
della pelle e alterare la permeabilità.
Altri eccipienti:
Idrocolloidi
Materiali con piccola capacità emulsionante. Vengono principalmente utilizzati per
aumentare la viscosità della fase esterna, e quindi aumentare la stabilità delle particelle.
Non possono essere usati in abbondanza perché la mia emulsione deve essere versabile,
spalmabile e siringabile.
- Metilcellulosa
- Idrossipropil cellulosa
- HPMC
- CMC di Na
- Carbomer, cerbossivinile: derivati vinilici o acrilici della cellulosa. Il carbomer ha
carattere emulsionante che dipende dal suo grado di ionizzazione.
Antiossidanti
Utilizzati soprattutto quando la fase esterna è oleosa/fluida in quanto è più facile che siano
presenti doppi legami che all’aria vengono ossidati dall’ossigeno per via radicalica; la loro
ossidazione porta alla formazione di aldeidi e chetoni e all’irrancidimento degli acidi grassi,
responsabili del cattivo odore. Ne esistono di diverso tipo:
- Antiossidanti veri: inibiscono l’ossidazione reagendo con i radicali liberi e bloccando la
reazione a catena. es: idrossianisolo metilato (BHA), idrossitoluene metilato (BHT),
vitamina E (utilizzata nelle formulazioni idrofiliche legata ad una catena idrofilica per
renderla solubile), ecc. Sono usati in quantità piccolissime.
- Agenti riducenti: acido ascorbico, possiede un potenziale redox minore rispetto alle
sostanze che potrebbero essere ossidate (specie che devono essere protette).
274
- Antiossidanti sinergici: coadiuvati degli antiossidanti; chelanti (acido citrico, EDTA,
lecitine) utilizzati anche come antimicrobici in quanto sequestrano ioni equivalenti (Ca,
Fe ecc.) necessari alla vita dei microrganismi e responsabili della catalizzazione
dell’ossidazione. Sequestrando questi ioni rallentano l’ossidazione e riducono il
problema.
Conservanti
Antimicrobici, importanti quindi nelle
emulsioni olio in acqua, in quanto sistemi
contenenti acqua in grande quantità̀
possono essere oggetto di facile
contaminazione microbica. Il conservante
deve essere principalmente localizzato
nella fase acquosa e pertanto la scelta del
conservante deve essere fatta in modo
che non vi sia una inaccettabile
ripartizione olio/acqua.
Problema: possibile interazione con i componenti dell’emulsione.
Esempi: clorocreosolo, acidi organici come il benzoico, composti mercuriali, sodio
benzoato ecc.
Preparazione emulsioni
Esistono vari metodi di preparazione e sono fondamentali per la riuscita della
formulazione, per questo motivo è importante avere un processo di formulazione studiato.
275
1. Aggiunta della fase interna nella fase esterna: la
velocità con cui viene aggiunta la fase interna, la
temperatura operativa e la velocità di
mescolamento sono parametri fondamentali;
Attraverso dei diagrammi trifasici, in cui si mettono in relazione i parametri definiti sopra, si
possono effettuare studi sulle condizioni operative ottimali in modo da eseguire il processo
correttamente e ottenere una buona emulsione.
Procedure di preparazione:
• Si sciolgono i componenti lipofili nella fase oleosa e si porta ad una temperatura un po’
superiore alla temperatura di fusione;
• Si sciolgono i componenti idrofili nella fase acquosa e si porta questa fase alla stessa
temperatura dell’altra;
• Una fase è poi aggiunta all’altra sotto costante agitazione;
• Raffreddamento
276
Stabilità emulsioni
Dipendono da:
- Proprietà chimico-fisiche delle fasi e dei componenti
- Quantità delle fasi
- Tipo e quantità di emulsionante
- Ordine di aggiunga degli elementi
- Temperatura di emulsionamento
- Impianto usato
- Metodo e velocità di raffreddamento
pH emulsioni
Considerato dalla base del tipo di applicazione: su pelle pH acido.
A seconda dell’emulsionante, i prodotti possono cambiare il pH e dobbiamo stare attenti
alla compatibilità con la pelle e con gli altri elementi, in particolare gli antimicrobici che
cambiano attività in base al pH.
Viscosità
È influenzata da:
- Metodo di preparazione
- Grandezza e distribuzione fase dispersa
- Volume fase dispersa
277
12. VIE RESPIRATORIE
VIA NASALE
278
• C’è un sistema di protezione dell’assorbimento del deposito, per esempio il sistema
pilifero che impedisce l’assorbimento di particelle grandi ma anche il sistema muco-
cigliare
• Area di assorbimento molto piccola
• Attività enzimatica importante che può degradare il farmaco
• Variabilità di dosaggio (meno sicurezza di dosaggio)
• Uso cronico complesso perché il farmaco si deposita su una mucosa sensibile, per
questo è consigliato l’uso acuto
• Si possono avere intolleranze
Vie di assorbimento
• Via transcellulare: è il passaggio attraverso la cellula. Può essere diffusione passiva o
attiva tramite un trasportatore mediato da recettore di membrana (gliproteina P)-
• Via paracelllulare: avviene tramite le tight junction poiché a questo livello non si trovano
molti canali di transito e il farmaco per passare deve superare queste giunture. In
genere si usano eccipienti che modificano in modo transitorio l’attività delle tight
junction agendo sul sistema delle occludine.
Anche in questo caso va tenuto in considerazione il valore di pH poiché il farmaco sarà più
o meno solubile a seconda della sua pKa. Ad esempio, le molecole idrofiliche da un lato
sono molto solubili nel muco, dall’altro però vengono assorbite con più difficoltà. Di
conseguenza maggiore sarà il logP del farmaco maggiore sarà la sua potenza.
Ricordiamo che il logP è il coefficiente di ripartizione olio/acqua, quindi più lipofilo è il
farmaco più riesce a passare la membrana perché la sua azione è maggiore.
279
Formulazioni per via nasale
• Gocce: poco usate perché poco precise, non facile da somministrare
• Spray: sia per somministrazione di soluzioni ma anche sospensioni ed emulsioni (sistemi
dispersi). L’efficacia di questi sistemi dipende dalla grandezza e dalla morfologia delle
particelle, dalla viscosità del mezzo e dal sistema di spray utilizzato.
• Gel nasali: usati perché consentono una maggiore persistenza del farmaco nella mucosa
nasale e possono essere usati per farmaci in soluzione, sospensione ed emulsione (in
questo caso si evita il gocciolamento del naso)
• Polveri nasali somministrate con particolari sistemi, sono vantaggiosi perché sono stabili,
non hanno bisogno di conservanti e sono semplici da formulare. Lo svantaggio è che la
compliance non è alta in quanto si utilizzano dei device che atomizzano le polveri.
Per migliorare la permanenza dei prodotti nasali all’interno delle cavità si possono sfruttare
delle microsfere mucoadesive che aderiscono alla mucosa in modo molto efficace, tra i
materiali utilizzati troviamo ad esempio il chitosano oppure sostanze con gruppi tiolici.
Queste microsfere sono particelle tra i 40 e i 60 µm che sono in grado di facilitare
l’apertura delle tight junction e l’ingresso di farmaci con più alto peso molecolare. Tra
questi ad esempio la calcitonina, sostanza molto idrofilica e con un peso intorno ai 3300Da
che riesce ad essere assorbita solo tramite un recettore, quindi per via attiva, oppure per
via passiva solo se si riesce momentaneamente a disorganizzare le tight junction.
Si possono poi usare anche gel e polveri mucoadeisvi per mantenere il farmaco più a
lungo in situ.
Sono due vie che partono dalla zona buccale tramite l’inspirazione. L’inalazione di farmaci
tramite la via buccale è molto complessa ma allo stesso tempo molto utile poiché permette
di raggiungere diversi livelli dell’albero bronchiale. La capacità di penetrazione del farmaco
nei bronchi dipende dalla dimensione delle particelle: più piccole sono più in fondo
arrivano à per arrivare agli alveoli ad esempio le particelle devono essere tra 1 e 3 µm, se
sono più grandi si fermeranno ai bronchioli terminali, ai bronchi o ancora alla trachea.
280
Polmoni
Come sappiamo l’organismo è dotato di due polmoni
diversi tra loro per dimensioni e componenti anatomiche, il
polmone sinistro infatti si presenta più piccolo del destro
per la presenza dell’incisura cardiaca che comporta poi la
definizione di due lobi polmonari contro i 3 del polmone
destro.
A questo livello abbiamo una ricca produzione di
macrofagi che hanno lo scopo di sorvegliare e proteggere
questi organi di vitale importanza da aggressione
esogene come presenza di batteri o virus.
A livello fisiologico, il ruolo dei polmoni è principalmente
quello di garantire lo scambio tra CO2 e ossigeno a livello
degli alveoli polmonari.
Per via polmonare si somministrano di solito prodotti per problemi locali come fibrosi
cistica, asma, tumore ai polmoni, antinfiammatori, antiallergici e antivirali.
281
Si può però anche sfruttare l’inalazione polmonare per veicolare un farmaco a livello
sistemico, questo di solito viene sfruttato per farmaci analgesici o di natura peptidica e
proteica (molto delicati e soggetti alla degradazione enzimatica a livello gastro-intestinale).
Diametro aerodinamico
I prodotti ad uso polmonare sono stati la prima categoria di prodotti in cui il contenitore
rappresenta la stessa forma farmaceutica, è proprio lui infatti responsabile del corretto
dosaggio. Il contenitore quindi è parte integrante della forma farmaceutica e decide la
velocità di assunzione e la dose, deve essere quindi prodotto ad hoc a seconda del tipo di
farmaco che vogliamo veicolare e della dose richiesta.
283
Tipi Di Formulazioni
Aerosol: si tratta di dispersioni colloidali o di particelle
molto fini in cui un liquido o un solido sono dispersi
all’interno di una fase gassosa. Le tecnologie che si
utilizzano in aerosolterapia sono le seguenti:
1. Nebulizzatori classici (sostituiti più recentemente con
nebulizzatori pneumatici a ad ultrasuoni)
2. Metered Dose Inhaler (MDI)
3. Inalatori a polvere secca (DPI)
Propellenti
Si tratta di gas compressi non liquefatti come azoto, protossido di azoto e CO2 oppure
gas compressi liquefatti come idrocarburi alogenati tra cui CFC o HFC, o non alogenati
come propani, butani, esani.
I più diffusi sono il freon-114, -11, -12. Non sono infiammabili, sono compatibili con la
maggior parte dei farmaci e non sono dannosi per l’ambiente.
Sulla base del tipo di propellente si ha poi un effetto diverso in termini di
biodisponibilità e di disponibilità del farmaco.
Uno dei problemi principali nella somministrazione di questi sistemi è proprio il non
corretto utilizzo da parte di molti pazienti à per esempio nei MDI il problema principale
è il coordinamento tra il momento in cui si attiva l’attuatore e il momento in cui si inspira
à bisogna avere alcuni accorgimenti per avere una buona efficacia. Il deposito nei
tessuti polmonari infatti può variare moltissimo (tra il 7 e l’80%) a seconda che
l’apparecchio venga utilizzato nel modo corretto o meno, inoltre c’è sempre il rischio di
tossicità poiché il farmaco può anche essere ingoiato e a quel punto segue un diverso
percorso farmacocinetico.
3. Inalatori a polvere secca (DPI): gli inalatori a polvere potrebbero essere validi sostituti
degli aerosol dosati in quanto sono attivati direttamente dal respiro del paziente, il
farmaco è inalato nello stesso momento in cui il paziente inspira, sono facili da
utilizzare e non richiedono propellenti dannosi per l’ambiente e surfattanti. Purtroppo, la
polvere contenuta nel loro interno è altamente igroscopica per cui le particelle tendono
facilmente ad aggregarsi con conseguente incremento del loro diametro. Richiedono
l’applicazione di flussi inspiratori molto più elevati rispetto a nebulizzatori e MDI.
285
Nella preparazione dei prodotti per aerosol il problema che possiamo avere è che le
particelle devono essere molto piccole (intorno ai 3 µm) affinché arrivino agli alveoli. Avere
particelle così piccole può creare problemi nella misura in cui possono aggregare tra loro
avendo una superficie, e quindi un’energia libera, enorme. In questo caso si rischia di non
arrivare più ai polmoni poiché questi aggregati hanno un peso elevato inoltre sono molto
stabili e non si scindono una volta inalati. Per evitare questo problema si utilizzano delle
particelle di lattosio grandi fino a 100 µm che adsorbono sulla superficie le particelle più
piccole. Allora quando il paziente inspira la polvere si disaggrega e il lattosio rimane in
gola, invece le particelle piccole si separano dalla superficie e arrivano fino agli alveoli.
La percentuale di farmaco nella formulazione è circa il 5%, quella del lattosio è il 95%.
Curiosità: possiamo far adsorbire il farmaco su particelle di metallo (ferro) anche grandi più
di 100 µm. In questi sistemi le particelle vanno a sbattere contro un filtro a griglia contro
cui quelle più grandi si fermeranno, mentre quelle più piccole continueranno il percorso e
verranno inspirate à si possono usare anche particelle non degradabili come ferro perché
tanto non vengono deglutite.
286
13. VIE PARENTERALI
Sono vie sfruttate per la somministrazione di quei farmaci che non vengono assorbiti a
livello enterico ma che necessitano un’altra via di somministrazione.
Vantaggi
• Assorbimento rapido (on set)
• Evitiamo il passaggio epatico
• Non ci sono effetti locali per esempio a livello della bocca
• Non abbiamo effetti collaterali a livello gastrointestinale
• Ci permette di somministrare farmaci che non superano le membrane biologiche
• Rilascio prolungato dei farmaci
Un classico esempio per questa via sono i farmaci proteici, ad esempio quelli utilizzati per
il trattamento di linfomi, o come l’interferone, l’eritropoietinia, l’insulina, o l’ormone della
crescita. Tutte queste sostanze non hanno una biodisponibilità elevata perché hanno una
bassa permeabilità à per questo vengono somministrati per via parenterale. In alternativa
si sfrutta questa via per ottenere una somministrazione locale precisa.
Svantaggi
• Scarsa aompliance à dolore
• Rischio di somministrazione
• Non sono sempre utilizzabili, dipende dal tipo di patologia
• Bisogna prestare attenzione ai requisiti ambientali (soluzioni sterili)
• Costo di produzione
• Personale specializzato per la somministrazione
• Difficile conservazione (sterilità, sistema refrigerativo per farmaci proteici)
I farmaci parenterali sono preparazioni sterili destinate alla somministrazione per infusione
o per impianti tramite iniezione. Per via parenterale poi si può avere un deposito del
farmaco che permette un lento rilascio à lo stesso risultato si può ottenere anche con
delle microsfere (già viste), come nel caso di trattamenti tumorali.
Le vie parenterali inoltre devono essere molto sicure perché se si verifica un qualsiasi
effetto collaterale è impossibile tornare indietro.
287
FORMULAZIONI PARENTERALI
Sono preparazioni iniettabili tramite piccoli volumi, infusioni, polveri solubili, gel o impianti.
Le preparazioni iniettabili sono soluzioni, emulsioni o sospensioni sterili.
Sono preparate disciogliendo, emulsionando o sospendendo il/i principi attivi insieme a
qualunque altro eccipiente aggiunto in acqua o in un adatto liquido non acquoso. Le
soluzioni sono limpide e praticamente prive di particelle.
Se scegliamo di somministrare un’emulsione, questa non deve mostrare alcun segno di
separazione di fase. Generalmente per le emulsioni si segue questa regola:
• O/W per tutte le vie
• W/O solo per via sottocutanea e intramuscolo
Per quanto riguarda le sospensioni, esse possono presentare un sedimento facilmente ri-
dispersibile all’agitazione per permettere di prelevare la corretta dose (è concessa quindi
anche la presenza di un deposito solido o al massimo un flocculato).
Le infusioni sono fatte con grandi volumi e possono essere sospensioni o emulsioni;
generalmente non contengono antimicrobici perché il volume è molto grande e quindi
sarebbe necessaria una quantità di antimicrobico molto elevata, con conseguente rischio
di tossicità per il paziente. Sono soluzioni stabili, limpide e senza separazione di fase.
I liquidi perfusionali vanno da 50 a 1000 mL e vengono utilizzati per l’eliminazione di
sostanze tossiche nei processi di di dialisi, nel caso di grandi emorragie o disidratazione.
Concentrati e polveri sono prodotti a parte. I concentrati sono soluzioni sterili per
iniezione o infusione dopo diluizione nel volume prescritto. Le polveri di solito sono
liofilizzate e sono più stabili delle soluzioni perché si trovano allo stato solido.
I gel per iniezioni hanno una viscosità maggiore. Abbiamo due tipi di gel: quelli che sono
gel da subito (anche a temperatura ambiente) e quelli che gelificano quando la
temperatura viene alzata (es polossamero).
Come emulsionante spesso viene utilizzata la lecitina d’uovo o di soia => sono gli unici
emulsionanti accettati per via parenterale insieme al polossamero.
Come fase oleosa abbiamo poi l’olio di semi di mais e di soia che sono oli vegetali, inoltre
è presente il glicerolo e il tocoferolo che hanno funzione antiossidante. Le emulsioni non
devono mostrare separazione di fase perché, a differenza delle dispersioni, una volta che
le due fasi si sono separate non è più possibile ridisperderle. Le emulsioni O/W vanno
bene per tutte le vie di somministrazione eccetto per la intratecale, mentre le emulsioni di
tipo W/O sono più critiche e non posso essere somministrate per via endovenosa ma solo
sottocutanea o al massimo intramuscolo.
Esiste anche una dipendenza della biodisponibilità con il tipo di formulazione scelta: la
formulazione che permette un più rapido assorbimento è la soluzione acquosa perché è in
grado di entrare in circolo più velocemente rispetto alle emulsioni W/O che quindi
presentano una biodisponibilità ancora più ridotta.
Quindi è facile capire che cambiando il tipo di formulazione possiamo avere un rilascio più
o meno rapido e più o meno prolungato del farmaco.
289
Acqua
Si tratta sempre di acqua depurata e sterilizzata, cioè priva di patogeni, preparata
attraverso processi di purificazione come la filtrazione e l’ultrafiltrazione. Viene utilizzata
normalmente per preparare sciroppi.
L’acqua utilizzata per le preparazioni parenterali deve soddisfare alcuni requisiti:
• Acidità o alcalinità
• Sostanze ossidabili
• Residuo all'evaporazione
• Sterilità
• Contaminazione particellare
• Endotossine batteriche
• Contaminanti inorganici e organici
Il processo scelto dipende dal tipo di farmaco che vogliamo veicolare e dal tipo di
formulazione richiesta. Nel caso di soluzioni si può sfruttare la filtrazione, nel caso di
materiali chirurgici invece si opta per una sterilizzazione con il calore.
290
Processo di produzione dell’acqua distillata ad uso farmaceutico:
I contenitori d’acqua rappresentati nel disegno sono mantenuti sempre in recircolo per
rallentare la crescita di microrganismi. L’acqua viene fatta passare attraverso un
distillatore dove viene ulteriormente privata di microrganismi e di materiale inorganico in
modo da ottenere acqua pura.
Oli
Si utilizzano generalmente oli vegetali (più diffusi) e minerali. Sono oli alimentari retificati,
quindi trattati in modo da poterli utilizzarli per via parenterale. Anche questi devono
presentare determinate caratteristiche tra cui:
• Indice di acidità < 0.5 (1g di olio viene neutralizzato da 0.5 mg NaOH)
• Indice perossidi < 5 (40 mg di O2 attivo/kg di olio)
• Contenuto di acqua < 0.3%
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Per tutti questi componenti, detti liquidi perfusionali, deve essere garantita la loro sterilità,
apirogenicità e isotonicità nel sangue.
pH
Il pH deve essere mantenuto costante per garantire la stabilità e la tollerabilità del
prodotto.
La tollerabilità dipende dalla via di somministrazione: se avviene sottocute o
intramuscolare il pH deve essere simile a quello fisiologico perché si va a iniettare un
liquido all’interno di una zona ricca di terminazioni nervose, dove resterà per molto tempo.
Invece se la via di somministrazione è endovenosa, il farmaco viene subito disciolto nel
circolo sanguigno, quindi non c’è la necessità di avere un pH preciso. Ovviamente si parla
sempre della somministrazione di piccoli volumi.
Il pH fisiologico si trova tra 7.2 e 7.4 ma c’è una buona compatibilità anche a 6.8.
Tale valore deve essere mantenuto pressoché costante perché i farmaci sono
generalmente acidi e basi deboli il cui pH è molto distante da quello fisiologico à la
stabilità del pH è garantita con all’utilizzo di tamponi. L’effetto tampone è importante per
mantenere il prodotto stabile durante la fase di conservazione, invece una volta che il
farmaco viene iniettato si instaura l’equilibrio del pH con i due ambienti.
Isotonicità e osmoticità
• Farmaco isosomotico: soluzione che esercita la stessa pressione osmotica (quindi
presenta la stessa concentrazione) delle specie chimiche presenti nel sangue.
• Farmaco isotonico: soluzione che presenta la stessa osmolarità, dove per osmolarità si
intende il numero di osmosi di soluto contenuto in 1L di soluzione.
Si definisce isotonica una pressione osmotica pari a quella esercitata dal liquido
extracellulare attraverso le membrane cellulari. La concentrazione isotonica è solitamente
riferita al sangue umano: l'isotonia rispetto ai globuli rossi è prodotta da una soluzione allo
0.9% di NaCl in acqua (soluzione fisiologica). Poiché le membrane biologiche non sono
ideali, una concentrazione iso-osmotica col sangue non produrrà necessariamente una
pressione osmotica isotonica e viceversa.
Se iniettassimo una soluzione ipotonica per endovena il risultato sarebbe una emolisi dei
globuli rossi, con un effetto devastante sul paziente, se iniettassimo incede una soluzione
ipertonica si avrebbe il fenomeno della plasmalisi (rottura dei vasi sanguini) con di nuovo
gravi danni per il paziente. Per questo motivo l’isotonicità in una soluzione ad uso
parenterale ha un ruolo di fondamentale importanza.
292
Di solito questi valori sono tabulati e ogni farmaco ha il suo preciso numero di E di
riferimento. Se però i valori di E per un dato farmaco non sono disponibili, si può utilizzare
il metodo dell'abbassamento crioscopico.
È noto che una concentrazione di NaCl al 0.9% induce un abbassamento crioscopico di
0.52°C; conoscendo questo dato si determina facilmente, tramite una proporzione,
l’abbassamento crioscopico dell’attivo e si determina poi quanto NaCl sia necessario per
ottenere una valore totale pari a 0.52°C.
Ad esempio sapendo che l’attivo ha un abbassamento crioscopico pari a 0.01°C, si potrà
calcolare la percentuale di NaCl necessaria per ottenere un abbassamento crioscopico
pari a 0.51 (0.52-0.01):
0.9 : 0.52 = X : 0.51 à 0.88%
Pirogeni
Per pirogeno si intende una sostanza che, introdotta
nell’organismo per via parenterale, determina un aumento della
temperatura corporea. Possono essere sostanze di natura
esogena, tra cui troviamo endotossine o prodotti di degradazione
dei batteri (xenobiotici), o di natura endogena come i complessi
antigene - anticorpo, le molecola della classe delle IL, citochine.
Caratteristiche:
• Hanno un peso molecolare alto, circa 60 kDa. Sono grandi, ma
non
abbastanza per essere eliminati per filtrazione.
• A pH > 2 sono carichi negativamente à la carica è sfruttata per poterli eliminare.
• Sono attivi in pochissime quantità e sono solubili in acqua, infatti passano attraverso i
filtri sterilizzanti
• Sono inattivati a 200-250°C
• Non inattivati da battericidi
• Non sono volatili
Poiché i pirogeni sono in grado di entrare all’interno della cellula, attivare le cellule
dendritiche, i macrofagi e i neutrofili e scatenare una risposta immunitaria attraverso la
liberazione di una serie di interleuchine, come la 6 e la 1, la loro presenza deve essere
assolutamente eliminata grazie all’utilizzo di metodi di sterilizzazione.
293
enzimatica. Con questi test si può andare a ricercare pirogeni anche alla concentrazione al
di sotto del picogrammo.
294
Sterilità
La sterilità è un fattore importante sia per tutte le formulazioni parenterali ma anche per
sostanze solide, infusioni, prodotti ad uso intraoculare o ad uso topico nel caso di ferite
aperte.
Da un punto di visita farmaceutico il termine sterilità indica la mancanza di microrganismi
all’interno della nostra preparazione.
La sterilità di per sé è un concetto assoluto
perché non esiste una parziale sterilità (non si
può essere più o meno sterili), però allo
stesso tempo non è possibile per noi
assicurare una sterilità del 100% à è quindi
un concetto relativo che impone la definizione
di una soglia minima per cui il prodotto si può
definire sterile.
La curva di sterilità infatti non arriva mai a
toccare lo zero, proprio come accade in una
cinetica di primo ordine => da un punto di
vista matematico quindi non si arriva mai alla
sterilità assoluta e questo si dimostra
facilmente osservando l’andamento del grafico
dove troviamo in ascissa il tempo e in ordinata
il logaritmo della concentrazione dei
microrganismi sopravvissuti.
Perché la sterilità segue una cinetica di primo ordine? Perché esistono infiniti tipi di
microrganismi che presentano diversa resistenza alle varie condizioni (alte temperature,
pressione, luce). La stessa colonia di microrganismi quindi può avere tempi di
sopravvivenza diversa perché dipende da come è composta e dai diversi fattori esterni.
Molti microrganismi poi vivono in forma sporigena, presentando quindi un tempo di
sopravvivenza molto diverso e una resistenza ai processi di sterilizzazione nettamente più
alta dei microrganismi allo stato vegetativo.
𝑑𝑁
= −𝑘𝑁
𝑑𝑡
𝑁' = 𝑁( 𝑒 *+'
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Di seguito vediamo diverse curve di sterilizzazione.
296
grafico di riferimento, questo perché stiamo ancora lavorando con una cinetica di primo
ordine.
Per fare un esempio, se per passare da un ordine di concentrazione microbica di 106 a
uno di 105 utilizziamo una sterilizzazione a umido a 121 °C per 5 minuti, D sarà proprio
uguale a 5’ e sarà uguale anche se passassimo da una concentrazione di 105 a una di
104.
(𝑇/ − 𝑇0 )
𝑍=
𝐷
𝑙𝑜𝑔 𝐷/
0
297
• Rad: è la quantità di radiazione assorbita da 1g di materiale biologico che dissipa poi
fornendo un’energia di 100 erg. È adatto in caso di studi biologici perché correla
l’intensità di radiazione con la capacità di assorbimento del microrganismo che stiamo
studiando.
Sterilizzazione termica
Utilizzata principalmente per sterilizzare flaconi e confezioni di farmaci.
Quella più utilizzata è la sterilizzazione con vapore sotto pressione: si tratta di una
sterilizzazione a umido molto penetrante che consente di lavorare con acqua a
temperatura molto alta in autoclave dove si inseriscono sia i materiali da sterilizzare ma
anche le soluzioni già confezionate, stando attenti che la pressione interna esercitata sia
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compensata dalla pressione esterna (altrimenti esplodono le confezioni). La temperatura
indicata per l’eliminazione dei microrganismi e delle spore è di 121°C.
Per il controllo della sterilità di solito si sfrutta la misurazione della carica batterica prodotta
dal un microrganismo bacillus subtilis, infatti se questo batterio non è presente nel
preparato vuol dire che il prodotto è stato sterilizzato ed è pronto per la vendita. Questi test
vengono posto in genere nei punti meno esposti ai sistemi sterilizzanti (angoli, punti di
buio del flacone) in modo da assicurarsi un’ottima sterilizzazione anche nelle zone più
difficili da raggiungere.
299
LIOFILIZZAZIONE
In un normale processo di essiccamento l’acqua si trova allo stato liquido anche quando si
trova all’interno del solido da cui viene eliminata prima per capillarità e poi per diffusione
tramite la sua trasformazione in vapore. Nella liofilizzazione invece l’acqua si trova allo
stato solido a causa della temperatura estremamente bassa a cui si lavora, la sua
eliminazione quindi avviene dallo stato solido allo stato gassoso con un processo di
sublimazione.
Vantaggi liofilizzazione
• Consente di disidratare materiali termolabili come le proteine
• Durante il processo la stabilità del prodotto aumenta sempre di più
• Il prodotto ottenuto è facilmente ricostituito (basta metterlo nell’acqua)
• Si lavora a bassa pressione e si evitano fenomeni di ossidazione
• Le molecole restano sempre ben separate tra loro
Svantaggi
• Processo difficile
• Molto costoso
• Tempi lunghi
Procedimento:
La liofilizzazione avviene a bassissime temperature e in condizioni di vuoto spinto in modo
che l'acqua contenuta nel prodotto previamente congelato si trasformi in ghiaccio e sublimi
passando dallo stato solido a quello di vapore.
Può definirsi, volendo, anche come un processo di disidratazione controllata di prodotti
preventivamente congelati.
Si tratta, in pratica, di congelare il prodotto da trattare ad una temperatura di -30, -40 °C
all'interno di recipienti in acciaio inox (rispondenti alle norme igienico sanitarie), i quali, a
loro volta, vengono posti all'interno del liostato in cui la pressione viene ridotta ad un
300
valore tale che l'acqua presente nel prodotto, precedentemente
congelato, possa sublimare sotto vuoto mediante il
riscaldamento ad una temperatura di 30° C, lasciando il prodotto
essiccato praticamente in maniera completa.
Si ottiene così una massa solida, porosa, friabile, igroscopica,
molto solubile nel medesimo solvente, che occupa lo stesso
volume della massa congelata iniziale, detta liofilizzato. La
ragione principale dello sviluppo di questa tecnologia nel settore
farmaceutico è dovuta alla possibilità di realizzare formulazioni stabili nel tempo
utilizzando sostanze che si degradano facilmente in soluzione.
301
un continuo apporto di calore alle molecole del congelato e l'evacuazione
progressiva del vapore prodotto.
Durante il processo di sublimazione, è necessario fornire calore al prodotto;
diversamente, la sua temperatura diminuirebbe fino ad arrestare il processo di
essiccamento. Per questa ragione si utilizza un termostato che riscalda i ripiani
in modo che possano essere usati per fornire il calore necessario a rimpiazzare
l'energia persa con l'evaporazione dell'acqua di sublimazione in modo da
mantenere il prodotto a temperatura costante.
L'eliminazione del vapore acqueo (necessaria per impedire che la camera di
sublimazione si saturi di vapore acqueo) viene effettuata mediante condensatori
(apparecchiature fornite di superfici refrigerate sulle quali il vapore si deposita
ricondensandosi direttamente come ghiaccio).
• essiccamento secondario: quando l'ultimo frammento
di ghiaccio è scomparso, si può ritenere terminato
l'essiccamento primario: ciò si può apprezzare
praticamente attraverso il rialzo di temperatura della
massa. L'essiccamento secondario è detto anche
desorbimento perché si riferisce all'eliminazione del
solvente adsorbito tramite un ulteriore innalzamento di
temperatura. L'essiccamento secondario serve a
ridurre l'umidità dal 7 all'1% circa del peso secco e ad
aumentare la conservabilità del prodotto essiccato.
302
La scelta del tipo di contenitore è fondamentale per avere una buona liofilizzazione: in
generale è meglio avere un contenitore sufficientemente grande con una superficie di
base ampia. I vantaggi dell’utilizzo di questi tipi di contenitori sono che il processo di
liofilizzazione è molto più rapido, si consuma meno energia e si ottiene un prodotto
migliore perché l’eliminazione dell’acqua avviene in modo molto più omogeneo. Nel
contenitore piccolo infatti si dovrebbe eliminare acqua da stati sempre più profondi, in
quello più grande invece l’eliminazione è più omogenea.
303
Liofilizzatore
In immagine si vede un classico lifolizzatore di un’industria.
Viene lavato e sterilizzato periodicamente e deve essere
controllato in ogni ciclo, si valuta anche il massimo livello di
caricamento del prodotto sulla cui base si decide il lotto,
infatti non bisogna mai sovraccaricare il liofilizzatole. Il
processo di liofilizzazione prende molto tempo e dura fino a
1 settimana.
Uno dei materiali più utilizzati per uso parenterale è il vetro. Ci sono tanti tipi di vetro,
alcuni sono ad uso parenterali altri no. Si tratta di un composto di ossido di silicio a cui
vengono aggiunte varie sostanze per ottenere vetri di diverso (ad esempio il vetro di
Boemia contiene piombo).
Vengono classificarti da tipo I a tipo IV:
• Nel tipo I ci sono ossidi di silice combinati con ossidi di boro e di alluminio a formare un
reticolo dentro la massa vetrosa (ricorda: il vetro è un materiale fluido, quindi non
sarebbero reticoli propriamente cristallini). Questo reticolo conferisce un’ottima
resistenza termica e meccanica alla struttura e si può utilizzare per preparazioni
parenterali e non.
• Il vetro di tipo II è il sodio-calcico, in questo caso è trattata solo la superficie del vetro
che risulta quindi neutra. Presenta una maggiore resistenza idrolitica rispetto al vetro
normale e può essere usato anche per soluzioni parenterali acide o basiche.
• Il vetro di tipo III è un
vetro sodico calcico
con una media
resistenza idrolitica,
viene usato per
parenterali solo
acquosi e non oleosi.
• Il vetro di tipo IV è di
tipo sodico-calcico e
presenta una
resistenza idrolitica
molto bassa, non
viene utilizzato per
preparazioni
parenterali.
304
Contenitori polimerici:
Sono costruiti da materiali plastici, principalmente poliporpilene, polietilene e
polivinilcloruro. Sono termoplastici quindi vengono stampati e poi lavati con acqua sterile
per la sterilizzazione e poi essiccati a bassa temperatura.
Abbiamo poi le sacche che sono contenitori di materiale plastico composto, cioè di
diverso tipo a seconda della sacca. Sono contenitori costituiti da materiali molto flessibili
adatti a grandi volumi à liquido in questo caso viene erogato per semplice caduta.
Pompe impiantabili
Sono sistemi con un microprocessore esterno impiantati sottocute da cui rilasciano il
farmaco. Di solito non sono emulsioni o sospensioni perché non sarebbero stabili a lungo
tempo. Alcune pompe sono autoregolabili altre sono regolabili dall’esterno. Sono un
sistema efficiente, il problema che spesso si presenta però è l’occlusione dell’ago da parte
di un po ’di prodotto.
Furono il primo prodotto per il trattamento di HIV e i risultati furono molto buoni perché
consentivano di tenere il livello di farmaco nell’organismo costante.
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Approfondimento: TECNOLOGIA FARMACEUTICA AVANZATA
Ad esempio si sono sviluppati sistemi colloidali con un volume molto piccolo e una
superficie enorme à in questi sistemi la superficie diventa l’elemento più importante da
sfruttare per i miei studi farmaceutici.
In questo campo si progettano anche sistemi polimerici in cui a un polimero viene legato
covalentemente il farmaco da veicolare in modo che esso venga rilasciato tramite l’idrolisi
del legame. In questo campo si utilizzano sistemi colloidali di grandi dimensioni che
riescono ad entrare tramite un meccanismo passivo favorito dall’aumento di permeazione;
una volta entrati rilasciano il farmaco che poi rimane in loco.
Esistono poi sistemi, come alcune micelle, che in base al pH cambiano la loro struttura
diventando idrofilici/fobici a contatto con cellule tumorali che, normalmente, presentano un
pH diverso da quello fisiologico à in questo modo si riesce a far arrivare il farmaco solo
dove è presente la patologia.
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Questo processo è pH dipendente in quanto solo grazie a una variazione di pH
(acidificazione) il sistema polimerico è in grado di contrarsi. Per esempio a pH 6.5 le
particelle entrano bene nelle cellule tumorali, invece a pH un po’ maggiore, intorno a 7.4,
fanno molta più fatica poiché non tutte risultano ionizzate e quindi presentano dimensione
maggiore rispetto alla forma contratta.
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