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Eccipienti

Sono sostanze ausiliarie che svolgono un ruolo importante nei processi di fabbricazione, conservazione e
liberazione del principio attivo. Sono definiti come materie prime che entrano nella composizione di una
preparazione farmaceutica allo scopo di dare una forma, di facilitare la somministrazione e di conservareil
principio attivo. Attualmente sono presenti sul mercato circa 1000 eccipienti. La maggio parte di essi sono
utilizzati per scopi industriali diversi, nel settore farmaceutico, alimentare e cosmetico. Molti di essi sono di
origine naturale: derivati dalle alghe (alginati), dalle piante (cellulosa e suoi derivati; dai minerali (sali di
calcio inorganici).

Classificazione degli eccipienti


Questa classificazione si basa sul ruolo svolto dall’eccipiente durante le fasi di preparazione del medicinale
e di rilascio dl farmaco.
Ruolo di:

COSTITUZIONE: quando serve per dare una massa appropriata al principio attivo nella preparazione
del prodotto finito.
Diluenti
• fosfato di calcio (E341),
• mannitolo (E421) usato anche come dolcificante,
• lattosio,
• cellulosa microcristallina (impiegata anche come addensante, gelificante e stabilizzante, si ottiene per un
processo di depolimerizzazione con acidi minerali dell'α-cellulosa, a sua volta ricavata da per un processo di
depolimerizzazione con acidi minerali dell'α-cellulosa, a sua volta ricavata da fonti naturali di fibre vegetali)
• lanolina
Assorbenti
• Bentonite (prodotto di decomposizione della cenere vulcanica, impiegata come eccipiente per
pomate ma anche come colloide idrofilo)
Adsorbenti
Caolino (minerale silicatico delle argille)

PRODUZIONE: quando facilita i processi tecnologici di fabbricazione del prodotto finito.


Lubrificanti (antiaderenti o antifrizione) stearato di calcio,stearato di magnesio, paraffina, polietilen glicoli,
sodio laurilsolfato, acido stearico
Leganti Amido, carbomer, gelatina, gomma di guar Carbossimeticellulosa, metilcellulosa
Glidanti amido, talco, biossido di silicio colloidale Plasticizzanti glicerina, glicoli polietilenici, glicole
propilenico

LIBERAZIONE: quando modula il rilascio del principio attivo dalla forma farmaceutica.
Disgreganti Cellulosa microcristallina, amido, amido sodio glicolato,Polimeri per il rilascio, Carbomer,
acetoftalato di cellulosa, poliossietilene, etilcellulosa
Bagnanti
CONSERVAZIONE: per preservare le caratteristiche chimiche, fisiche, microbiologiche,
tossicologiche e terapeutiche del prodotto finito, in riferimento al sistema contenitore chiusura.
Antimicrobici Alcool etilico, cloruro di benzalconio, acido benzoico, metilparaben, propilparaben
Chelanti EDTA
Antiossidanti Idrossitoluene butilato, metabisolfito di sodio

PRESENTAZIONE: per migliorare il gradimento da parte del paziente.


Aromatizzanti ed Edulcoranti
Vanillina, aspartame, mannitolo, saccarina, saccarosio
Coloranti
biossido di titanio

Purezza degli eccipienti


Secondo le linee guida della Conferenza Internazionale sull’Armonizzazione (ICH) qualsiasi impurezza o
prodotto di degradazione presente nel farmaco, al di sopra dello 0,1%, deve essere identificato e
possibilmente quantizzato.
L’impurezza deriva dai materiali grezzi o dalla lavorazione. Talvolta le impurezze possono giocare un ruolo
significativo nella funzionalità.

Stabilità degli eccipienti


La stabilità di una formulazione è sempre misurata rispetto al principio attivo e non agli eccipienti.
L’instabilità, chimica o fisica, viene solitamente rilevata come una interazione tra il principio attivo e
l’eccipiente, piuttosto che tra gli eccipienti stessi. Spesso gli eccipienti sono in realtà miscele, per le quali, è
difficile definire la stabilità. Le specifiche degli eccipienti, quindi, si basano più sulla caratterizzazione fisica
che sui test di Purezza. La stabilità occorre per valutare il tempo di stoccaggio o per testare la data di
scadenza dichiarata. Più attenzione deve essere garantita nel caso in cui vengano utilizzati nuovi eccipienti;
infatti sono verificate:
• composizione chimica del nuovo eccipiente proposto
• scheda di qualità (certificato di analisi)
• indicazione della funzione all’interno della preparazione
• dimostrazione della sicurezza di impiego dal punto di vista tossicologico

L’acqua nelle produzioni farmaceutiche


È l’eccipiente più largamente utilizzato come solvente nelle operazioni farmaceutiche, l’acqua purificata e
l’acqua per preparati iniettabili viene anche usata per operazioni di lavaggio durante la produzione. Per le
applicazioni farmaceutiche deve essere purificata per distillazione, scambio ionico, osmosi inversa o
ultrafiltrazione ed assume il nome di “acqua purificata”.
L’European Pharmacopeia:
1. water purified (PW),
2. water highly purified,
3. water for injection (WFI).

Acqua depurata
E l’acqua utilizzata per la produzione farmaceutica esclusi farmaci sterili, e possiamo distinguere:

1. Acqua depurata in grandi volumi


2. Acqua depurata e ripartita in contenitori

Acqua depurata in grandi volumi


E dell’acqua che si prepara a partire dall’acqua destinata al consumo umano che rispetta le normative
dell’autorità competente. La depurazione avviene tramite l’osmosi inversa, scambio ionico, distillazione.

L’ acqua depurata deve essere monitorata, soprattutto dal punto di vista microbiologico, infatti viene
effettuata la Conta Microbiologica che deve essere inferiore a 100 UFC/ml (unità facenti colonie/millilitro),
oltre alla conta microbiologica si devono tener conto di altri parametri descritti in farmacopea

Acqua depurata e ripartita in contenitori


E dell’acqua depurata inserita in opportuni contenitori che preservano le caratteristiche dell’acqua,
quest’ultima deve rispettare i saggi descritti dalla farmacopea

Acqua altamente depurata


E l’acqua utilizzata per la produzione farmaceutica, esclusi farmaci sterili, e possiamo distinguere anche in
questo caso:

1. Acqua depurata in grandi volumi

2. Acqua depurata e ripartita in contenitori

Entrambe vengono prodotte a partire da acqua destinata all’ uso umano, tramite osmosi inversa,
distillazione, scambio ionico, e l’acqua prodotta e destinata ai prodotti farmaceutici che hanno bisogno di
acqua di elevata qualità. Quest’ ultima e soggetta ad un continuo monitoraggio sopratutto dal punto di vista
microbiologico, e devono essere rispettati i saggi descritti in farmacopea

Acqua per preparazioni iniettabili


Si prepara a partire da acqua conforme alla normativa prevista dall’autorità competente per l’acqua
destinata al consumo umano o da acqua purificata per distillazione in un apparecchio le cui parti a contatto
con l’acqua sono di vetro neutro, quarzo o metallo idoneo. Viene conservata e distribuita in modo da
prevenire la crescita di microrganismi e da evitare contaminazione. Viene monitorata dal punto di vista
microbiologico, tramite la conta microbiologica, e deve essere minore di 10U FC/ml e devono essere gli altri
parametri descritti in farmacopea.

Quest’ ultima deve essere conservata in contenitori sterilizzati che evitano la contaminazione microbica e
che rispettino i saggi descritti in farmacopea

Osmosi inversa
L'osmosi inversa è il processo di filtrazione più utilizzato per il trattamento dell’acqua. Tramite questo
processo si forza il passaggio delle molecole di solvente dalla soluzione più concentrata alla soluzione meno
concentrata ottenuto applicando alla soluzione più concentrata una pressione maggiore della pressione
osmotica. Viene realizzata con una membrana che trattiene il solvente e lascia passare il soluto dall’ altra
parte della membrana, ciò ci permette di ricavare il solvente puro dall'altra.

Loop di distribuzione PW/WFI water purified/water for injections


I loop di distribuzione PW/WFI sono ampiamente adoperati nell’industria farmaceutica per la produzione e
la distribuzione di questi tipi di acqua all’interno della fabbrica.
Un tipico loop per PW o per WFI è formato da
• un serbatoio di accumulo;
• due pompe che lavorano in parallelo, alternandosi per mantenere la pressione nel loop;
• le pompe hanno un inverter di frequenza, controllato da un trasmettitore di portata, che
permette di mantenere costante la pressione, indipendentemente dal numero di punti d’uso
aperti;
• valvola di sovrapressione;
• valvole di non ritorno;
• valvole di membrana;
• ultravioletti e scambiatori di calore
• La differenza principale tra i due loop è che nel caso della PW la temperatura dell’acqua è

Operazioni farmaceutiche generali


 MACINAZIONE
 MESCOLAZIONE
 FILTRAZIONE
 ESSICCAMENTO
 STERILIZZAZIONE
 DISSOLUZIONE E SOLUBILIZZAZIONE
 DISTILLAZIONE

MACINAZIONE
È la riduzione delle dimensioni delle particelle di un materiale solido, ottenuta mediante processi di tipo
meccanico. Può riguardare un principio attivo, un eccipiente o una droga grezza.
In base alle dimensioni delle particelle che vogliamo ottenere, possiamo distinguere:
 Frantumazione (mm)
 Macinazione propriamente detta (alcune centinaia/decine di µm)
 Micronizzazione(<10 µm)
Proprietà dei materiali che influenzano la macinazione
• Durezza del materiale che va identificata utilizzando la scala di Mohs;
• Adesività se il materiale è adesivo o gommoso, la macinazione può risultare difficile, in questo caso si
può adoperare un eccipiente inerte idoneo come il talco in co-macinazione, per renderlo più adatto al
processo;
• Temperatura di rammollimento durante la macinazione si sviluppa calore ed l materiale può raggiungere
la temperatura di rammollimento, occorre perciò utilizzare un sistema macinante provvisto di
riscaldamento;
• Contenuto di umidità o di solventi che potrebbe provocare un aumento del grado di elasticità o
dell'adesività del materiale, ciò richiede un pre-essiccamento del materiale prima della macinazione;
• Plasticità alcuni materiali, come la canfora e numerosi polimeri, presentano un elevato grado di
plasticità, per cui risultano difficilmente macinabili. in questi casi si effettua una "macinazione per
intermedio": nel caso della canfora, la macinazione in mortaio viene effettuata aggiungendo una piccola
quantità di alcol, che favorisce il processo di macinazione e che viene allontanato poi facilmente per
evaporazione.. in alcuni casi può essere utile raffreddare fortemente la sostanza, provocando una
diminuzione della plasticità ed un aumento di durezza e fragilità.
Apparecchiature utilizzate per la macinazione:
Le apparecchiature utilizzate per la macinazione sono i diversi tipi di molini, oggi più sofisticati rispetto alle
vecchie edizioni. La scelta dell'apparecchio viene effettuata in base alle caratteristiche del materiale di
partenza e alle dimensioni del prodotto che si vuole ottenere, considerando anche fattori come il costo del
processo, i tempi di lavorazione e la possibilità di procedere in sterilità
Molini:
• molino a getto fluido
• molino a palle
• molino a martelli
• molino colloidale
• molino a cilindri
• mortai (mortaio a pestello, mortai meccanici)

Molino a getto di fluido


Il molino opera sui meccanismi dell’attrito e dell’impatto.
Le caratteristiche dell’apparecchiatura sono:
• alimentazione in continuo
• produzione di particelle di dimensioni molto piccole (ordine di 1 µm);
• nessuna parte in movimento
Il processo di macinazione è efficiente quanto maggiore è la pressione di alimentazione dell’aria e minore è
la velocità di alimentazione.
Consente di macinare materiali termosensibili, in quanto il calore che si forma in seguito all’attrito ed agli
urti tra le particelle viene dissipato rapidamente dalla corrente di aria.
In condizioni opportune funziona come micronizzatore, soprattutto partendo da polveri fini.
Molino a palle
È costituito da un contenitore cilindrico, riempito per circa il 30-35% del suo volume di elementi macinanti
come sfere o palle di ceramica o metallo di varie dimensioni. La macinazione avviene prevalentemente per
impatto.
Per la preparazione delle sospensioni è molto utile la macinazione a umido.
Molino a martelli e molino a lame
Gli elementi macinanti, martelli o lame, sono montati su di un albero rotante, posto all’interno della
camera di macinazione. Il processo di macinazione avviene per impatto, nel caso del molino a martelli e per
taglio, nel caso del molino a lame.
Molino colloidale
È costituito da un rotore ed uno statore di forma conica. Tra i due elementi macinanti vi è uno spazio
regolabile fino a pochi µm. Il rotore gira a velocità anche molto elevate (da 3000 a 20000 giri/min). La
macinazione è effettuata per attrito e compressione durante il passaggio del materiale tra rotore e statore,
grazie alla forza centrifuga che si genera per effetto del movimento del rotore.
In presenza di un liquido nella camera di macinazione si possono preparare sospensioni colloidali con
particelle molto fini
Molino a cilindri
È formato da due cilindri o rulli, posti ad una distanza regolabile, Rotanti lungo il loro asse in senso
contrario l’uno dall’altro. Il materiale viene caricato in corrispondenza del punto di minimaDistanza,le cui
dimensioni regolano le dimensioni delle particelle ottenute. È molto utilizzato per la raffinazione di paste
Mortai
È costituito da un contenitore di materiali diversi (agata, acciaio, ceramica), e da unpestello dello stesso
materiale. Il pestello viene fatto ruotare con un moto circolare continuo, interrotto da azioni di
schiacciamento, con compressione e sfregamento del materiale sulle pareti del contenitore (triturazione).
La macinazione può essere effettuata sia a secco che a umido.
Il mortaio può essere meccanizzato, dando luogo ad un molino meccanico, in questo caso, il pestello si
muove meccanicamente con un movimento rotatorio su se stesso e planetario nell’ambito del contenitore.

MESCOLAZIONE
consente di ottenere, mediante processi diffusivi e convettivi, l’omogeneità di un sistema polifasico come
le polveri composte, consente di rendere uniformi le proprietà fisiche di un sistema (temperatura, pH) in
tempi molto inferiori a quelli che richiederebbe l’evoluzione spontanea del sistema
Tipologia delle miscele
Neutra: quando mantiene la propria omogeneità senza demiscelarsi spontaneamente
Negativa: quando a riposo il sistema tende a separarsi spontaneamente, a causa del campo gravitazionale,
dell'aumento della temperatura, dei moti browniani o di altre interazioni molecolari
Positiva: quando raggiunge spontaneamente l'omogeneità e la conserva nel tempo

Apparecchiature per miscelazione di liquidi


Per la miscelazione di liquidi si adoperano agitatori meccanici:
• eliche libere o ingabbiate
• ad albero verticale o inclinato
• giranti a trascinamento magnetico
• Turboemulsori
• Mescolatori planetari, utilizzati soprattutto nella miscelazione di sistemi farmaceutici semisolidi, come
creme e paste. Solitamente tali apparecchi dispongono di: robuste eliche multiple controrotanti ad asse
verticale; coperchio a chiusura ermetica per operare la miscelazione sotto vuoto; camicia termostatata

Apparecchiature per miscelazione di solidi


I mescolatori per polveri producono una dilatazione del letto di polvere, mediante bracci meccanici o per
caduta sotto effetto della gravità. Miscelatori rotanti, utilizzati nella preparazione di miscele per compresse
o per sciroppi:
• Mescolatore a V
• Mescolatore a cubo
• Mescolatore a cilindro
• Miscelatore tridimensionale Turbula

FILTRAZIONE
È un processo di separazione di una fase solida da un liquido mediante l’utilizzo di un filtro. l solidi
trattenuti sul filtro è definito residuo o precipitato, mentre il liquido raccolto a valle viene definito filtrato.
La separazione delle due fasi può avvenire per:
• filtrazione sotto pressione, utilizza pompe che spingono la torbida attraverso il filtro oppure consiste
nell’aumentare la pressione sul liquido da filtrare con aria o gas inerte (CO2 o N2)
• filtrazione per aspirazione, sfrutta la depressione ottenuta creando il vuoto a valle del filtro
Nell’industria farmaceutica la filtrazione è impiegata in varie fasi del processo di produzione, per eliminare
particelle, colloidi, batteri ed altri microrganismi dai prodotti farmaceutici, dalle acque e dai gas di servizio.
I filtri sono gli strumenti più utilizzati, e possiedono diverse caratteristiche:
Capacità: quantità di solidi che il filtro riesce a trattenere; espressa in grammi
Efficienza: precisione nella ritenzione di solidi di una certa dimensione
Grado di filtrazione: dimensione dei pori più piccoli e quindi delle particelle più piccole che il filtro è in
grado di rimuovere
Porosità: rapporto tra la parte vuota del filtro (volume dei pori), e il volume di filtrato

OSMOSI INVERSA
È un processo di filtrazione che consente di ottenere “acqua per preparazioni inettabili”. L'osmosi inversa è
il processo in cui si forza il passaggio delle molecole di solvente dalla soluzione più concentrata alla
soluzione meno concentrata applicando alla soluzione più concentrata una pressione maggiore della
pressione osmotica. Viene realizzata con una membrana semipermeabile che trattiene il soluto da una
parte impedendone il passaggio e permette di ricavare il solvente puro dall'altra.
Le membrane semipermeabili sono normalmente costituite da esteri di cellulosa, poliammidiaromatiche o
polisolfoni, con dimensioni dei pori che variano da 0,1 nm a 5 nm. Poiché sono siti di possibili proliferazioni
microbiche, devono essere frequentemente sottoposte a sterilizzazione, mediante utilizzo di formaldeide,
per assicurare la qualità microbiologica dell’acqua purificata.

Ultrafiltrazione
L’ultrafiltrazione è un processo di separazione molecolare selettiva. Essa consente la separazione dal
liquido di sostanze ad elevato peso molecolare, mediante l’applicazione di una pressione su una membrana
semipermeabile. A differenza dell’osmosi inversa, l’ultrafiltrazione non separa ioni.
Nell’industria farmaceutica l’ultrafiltrazione viene utilizzata per diverse applicazioni:
• rimozione dei pirogeni
• concentrazione di prodotti termolabili, quali vaccini, virus ed immunoglobuline
• recupero di antibiotici, ormoni o vitamine da brodi di fermentazione
• chiarificazione di soluzioni o rimozione di contaminanti a basso peso molecolare

Dialisi
È una tecnica simile all’ultrafiltrazione, ma in questo caso non viene applicata una pressione , in quanto la
forza motrice è rappresentata dalla differenza di concentrazione delle soluzioni poste ai due lati della
membrana. La dialisi viene utilizzata per la separazione di sostanze disciolte in una sospensione colloidale
mediante diffusione attraverso una membrana semipermeabile di cellulosa, avente un diametro dell’ordine
dei nm.
Mediante l’applicazione di un potenziale elettrico attraverso la membrana si può ottenere un aumento
della velocità del processo.
L’elettrodialisi si basa sull’impiego di membrane permeabili agli anioni o ai cationi, e viene utilizzata nel
dissalamento delle acque

ESSICCAMENTO
È il processo di rimozione di un liquido da un solido umido. Il liquido durante l’essiccamento passa allo
stato di gas. Il materiale essiccato è solitamente più stabile nel tempo e più agevolmente lavorabile rispetto
a quello umido. Tale materiale deve essere conservato correttamente:
• ambiente ad umidità controllata
• in presenza di agenti essiccanti
• sigillato in contenitori impermeabili all’aria
Il liquido da evaporare è solitamente l’acqua, perché è il veicolo farmaceutico più usato. Altri solventi che
subiscono questo processo sono: alcol etilico, alcol isopropilico, cloroformio, acetone, per i quali la quantità
residua rappresenta un parametro critico da controllare.

Teoria dell’essiccamento
L’essiccamento si basa su due processi:
A. trasferimento di calore al materiale da essiccare
B. trasferimento del solvente allo stato gassoso
Nei processi di essiccamento il calore può essere trasferito al liquido per:
• CONVENZIONE avviene tramite il riscaldamento di un fluido che impatta contro la materia
• CONDUZIONE interazione tra due corpi
• IRRAGGIAMENTO trasferimento di calore da un corpo all’altro senza nessun contatto
A seguito del trasferimento di calore, il solvente lascia la superficie del materiale da essiccare sotto forma
di vapore.
L’umidità di un solido può essere espressa come contenuto di umidità o come perdita all’essiccamento. Le
due grandezze esprimono:
• Contenuto di umidità = peso di acqua nel campione/peso del campione a seco × 100
• Perdita dell’essiccamento = peso di acqua nel campione /peso del campione umido x 100
Quando un materiale umido è esposto a determinate condizioni di umidità e temperatura dell’aria, una
certa quantità di liquido evapora fino a raggiungere condizioni di equilibrio.
L’umidità residua (CHE NON EVAPORA) è detta: contenuto di umidità all’equilibrio
In funzione di tale parametro le sostanze si possono dividere in due categorie:
• SOSTANZE CRISTALLINE con basso contenuto di umidità all’equilibrio, l’acqua si colloca sulla superficie o
negli spazi interstiziali tra cristalli ed in genere l’acqua è facilmente rimovibile.
• SOSTANZE AMORFE con alto contenuto di umidità all’equilibrio, l’acqua è intrappolata all’interno dei
piccoli pori ed è quindi più difficilmente rimovibile.

Essiccatori
La classificazione di queste apparecchiature può essere fatta in funzione dei parametri che le
caratterizzano:
Continuità del processo: processi discontinui (piccole quantità di prodotto) processi in continuo,
produzione industriale con grandi quantità di materiale;
Trasferimento di calore:
• a calore diretto (per convenzione),
• a calore indiretto (per conduzione),
• a calore radiante (per irraggiamento);
Movimentazione del materiale da essiccare: a letto statico, a letto fluido.

Essiccatori a letto statico


Molto utilizzato in campo farmaceutico, sia su scala industriale che in laboratorio. È costituito da una
cabina o armadio, in cui è inserito un sistema di riscaldamento, un sistema di circolazione dell’aria ed una
seri di vassoi sui quali è posto il materiale da essiccare, in strato sottile, in modo da esporre all’aria la
maggiore superficie possibile. Il fondo dei vassoi può essere continuo, perforato o a rete per permettere al
mezzo essiccante di fluire attraverso il materiale.
Vantaggi: versatilità, economia
Svantaggi: apparecchio lento e ingombrante, i materiali formano agglomerati, l’essiccamento non è
uniforme negli apparecchi di maggiori dimensioni

Essiccatori letto fluido


INVESTENDO DAL BASSO VERSO L’ALTO CON UN GETTO DI GAS DI ADEGUATA POTENZA UN INSIEME DI
PARTICELLE SOLIDE, QUESTE VENGONO SOLLEVATE E SI SOSPENDONO NEL GAS. SI FORMA UNA MISCELA
FLUIDA IN CUI LE SINGOLE PARTICELLE SONO COMPLETAMENTE CIRCONDATE DA MOLECOLE DI GAS E CHE
PRENDE IL NOME DI LETTO FLUIDO.
L’essiccamento può essere:
 discontinuo, con camera di essiccamento posizionata verticalmente;
 continuo, con camera in posizione orizzontale
La capacità dell’essiccatore varia da 5 a 200 Kg con un tempo di essiccamento medio di 20-40 m.
Può essere utilizzato per granulare o per ricoprire granuli, sul materiale solido sospeso viene spruzzata una
miscela di liquidi leganti o ricoprenti ed i granuli così formati o rivestiti sono contemporaneamente
essiccati.
Nei moderni letti fluidi il processo è altamente informatizzato. Il materiale viene essiccato con temperature
dell’aria rigorosamente controllate per cui l’essiccamento a letto fluido è particolarmente indicato per
materiali termolabili. È monitorata anche la potenza del ventilatore che muove l’aria attraverso il sistema

Essiccatori sotto vuoto


Sono simili agli essiccatori a letto statico, ma la camera di essiccamento è collegata ad una pompa che
genera il vuoto. La camera può anche essere riscaldata attraverso una camicia esterna, per aumentare
l’evaporazione dell’umidità
Vantaggi: possibilità di lavorare a basse temperature per composti termolabili, possibilità di escludere
ossigeno per composti ossidabili, facile recupero dei solventi, rapiditàdella metodica

Essiccatori a microonde
Con questa tecnica al materiale è applicata una radiazione elettromagnetica con frequenza che va da 915 a
2450 MHz.L’oscillazione della radiazione provoca un aumento della energia cinetica delle molecole e
conseguente riscaldamento delle stesse. I risultati sono comparabili o anche migliori rispetto al tradizionale
sistema a letto fluido, in termini di efficienza , costi e consumo energetico.

Essiccatori a spruzzo (Spray dryer)


Lo spray drying consiste nella trasformazione di una massa liquida in particelle di solido di forma
generalmente sferica. È ampiamente utilizzato in campo farmaceutico, alimentare e cosmetico. Il liquido da
essiccare può essere: una soluzione, un’emulsione o una sospensione.
Il prodotto in forma liquida viene Nebulizzato (trasformato in piccole gocce), queste vengono essiccate
mediante l’aria calda che circola nella camera di essiccamento, le dimensioni del materiale prodotto
dipende dalle dimensioni delle gocce che si sono create durante la nebulizzazione.

POLVERI
Una polvere è l’insieme, generalmente eterogeneo, di minute particelle solide. Le polveri rappresentano
come tali una forma farmaceutica, ma possono essere impiegate per la preparazione di altre forme
farmaceutiche solide, quali:
granulati, compresse, capsule, forme farmaceutiche disperse come sospensioni o dispersioni colloidali.
In base alle dimensioni particellari, si possono classificare 5 classi dimensionali:
• polveri micronizzate 0,5-10 µm;
• polveri fini (sub-sieve range, il limite inferiore dei setacci è 38 µm) 10-50 µm;
• polveri fini 50-100 µm;
• polveri grossolane 100-1000 µm;
• aggregati o granuli 1000-3360 µm.
Le polveri sono sistemi polidispersi (costituiti da particelle di diverse dimensioni)
PROPRIETÁ FONDAMENTALI delle particelle che costituiscono le polveri
1. dimensione ed intervallo dimensionale delle particelle (particle size distribution)
2. Forma delle particelle ed area superficiale specifica

1. dimensione ed intervallo dimensionale delle particelle (particle size distribution)


Per ciascuna particella irregolare può essere assegnato il diametro di una sfera equivalente tramite la
misura di una proprietà delle particelle, come: superfice, volume, velocità di sedimentazione
Esempi:
d v : diametro volume, che è il diametro di una sfera con lo stesso volume della particella;
d s : diametro superficie, che è il diametro di una sfera con la stessa superficie della particella;
d st : diametro di Stokes, che è il diametro di una particella in caduta libera nella regione di flusso laminare;
Le particelle di una polvere formano un sistema polidisperso,
del quale è necessario conoscere non solo il valore del
diametro scelto per la misura, ma anche la frequenza con cui
tale valore si presenta nella popolazione. Ciò può essere
ricavato tramite un intervallo dimensionale costituito dal
limite inferiore (diametro più piccolo) e limite superiore
(diametro più grande) tra questi due valori ci sono degli
intervalli dimensionali, ed ad ognuno di essi viene assegnato il
numero di partcelle che hanno un diametro compreso in
questo intervallo.

Particelle per unità di peso


Conoscendo la massa di una particelle è possibile sapere
quante particelle sono presenti in un certo peso volume di
polvere. Il numero di particelle per unità di volume (N) è
correlato al diametro equivalente volume (d v,n ).

Per determinare le dimensioni delle particelle possiamo utilizzare


Setacciatura

È la metodica più semplice e più antica per la misura del diametro delle particelle, richiede strumenti poco
costosi e consente il recupero del prodotto. Può essere applicata solo a polveri con dimensioni superiori ai
38 µm
I setacci hanno maglie quadrate, lo spazio tra le maglie della rete o il diametro dei fori e rappresenta la
sezione minima attraverso cui la particella può passare ed è chiamata Apertura nominale
I setacci sono usati in serie calibrate come, ad esempio, le serie ASTM (American Society for Testing and
Materials) oppure BritishStandards.
Per l’analisi granulometrica i setacci sono impilati in ordine di apertura decrescente (dal setaccio con fori
più grandi a quello con fori più piccolo) dall’alto verso il basso e posizionati su uno scotitore meccanico,
detto vibrovaglio.
Il diametro delle particelle trattenute su ogni setaccio è espresso in µm e si calcola come la media tra
l’apertura nominale della maglia del setaccio su cui la polvere si è fermata è quella del setaccio superiore
nella pila.
Questa metodica presenta delle limitazioni :
• la necessità di utilizzare almeno 25 mg di campione (la massa sarà compresa tra i 25 e i 100 g, in
funzione della densità del materiale);
• la difficoltà connessa con la setacciatura di granuli e polveri oleose;
E’ importante monitorare l’umidità relativa dell’ambiente deve essere controllata in modo da evitare, da
parte del campione, assorbimento o perdita di umidità. Il punto finale dell’analisi viene raggiunto quando la
massa trattenuta su ciascuno dei setacci (refuso) non cambia per più del 5 % rispetto al valore
precedentemente misurato su quel setaccio.

Sedimentazione

Le particelle più piccole di 5 µ possono essere analizzate mediante la tecnica di sedimentazione


gravitazionale. Processo, naturale o provocato artificialmente, per il quale si ha la separazione da un liquido
di particelle solide sospese in esso, per effetto della gravità o di altre forze (centrifughe, elettriche ecc.), con
conseguente formazione di un deposito (sedimento).
Tramite la velocità di sedimentazione e quindi tramite la legge di Stocks possiamo ricavare il diametro delle
particelle

Il

diametro lo calcoliamo in questo modo

Pipetta di Andreasen
La pipetta di Andreasen viene utilizzata per determinare la dimensione della polvere in base alla sua
velocità di sedimentazione. È costituita da un cilindro e da una pipetta da 10 ml sull’estremità superiore del
cilindro. La pipetta è immersa nella sospensione per una profondità di 20 cm.
Mentre nel cilindro viene introdotta una sospensione delle particelle da esaminare, le particelle più piccole
rimangono sospese, mentre le più grandi si depositano, e tramite la Legge di Stocks possiamo ricavare la
dimensioni delle particelle che si sono sedimentate

• Sedimentazione in ultracentrifuga:
le particelle vengono sottoposte ad un moto circolare in una centrifuga dotata di lunghi bracci rotanti. Le
particelle di una stessa dimensione, all’applicazione del movimento centrifugo, si troveranno nella stessa
posizione e potranno essere separate analogamente a quanto già visto nel caso della sedimentazione
gravitazionale.

• Diffrattometria laser:
lo strumento utilizzato è in grado di emettere un raggio laser a bassa intensità. I laser più utilizzati sono
quelli a gas He-Ne (I= 630 nm). I granulometri laser sono in grado di analizzare particelle di dimensioni
comprese fra lo 0.05 e 3500 µm. Sono gestiti mediante computer: un softwere elabora automaticamente i
dati di diffrazione e li trasforma in dati di distribuzione granulometrica come diametro volume.
Microscopio ottico
Permette l’osservazione e la misura delle particelle, per effettuare l’osservazione del campione richiede
l’accurata preparazione del campione. La polvere viene sospesa in un liquido, in cui essa sia insolubile. La
sospensione viene posta su un vetrino ed osservata al microscopio, e tramite una griglia micrometrica
calibrata, possiamo calcolare le dimensioni delle particelle. Il campo di osservazione può essere ripreso con
una telecamera e proiettato su uno schermo, oppure digitalizzato per acquisizione dell’immagine su
computer.

Le misure che ricaviamo dall’analisi al microscopio più frequenti, sono:

• diametro di Feret: distanza tra due tangenti ai bordi opposti della particella
• diametro di Martin: lunghezza di una linea che biseca l’immagine della particella;
• diametro area proiezione: diametro della circonferenza che ha la stessa area di quella proiettata dalla
particella nella sua posizione più stabile.

Microscopio elettronico
Il microscopio elettronico sfrutta un fascio di elettroni che impattano con il campione da analizzare, e
possiamo distinguere due tipi di microscopio:
Per la determinazione di particelle nell’intervallo di 0,001-5 µ viene utilizzato il microscopio elettronico a
trasmissione TEM, permette di osservare le particelle nelle due dimensioni.
Gli elettroni che costituiscono il fascio attraversano una sezione dove è stato creato precedentemente il
vuoto, per poi passare attraverso il campione. Il TEM produce una immagine fluorescente su uno schermo o
su una lastra fotografica.
Con il microscopio elettronico a scansione, SEM si possono osservare particelle con d di 200Å, e abbiamo
una visione delle particelle tridimensionale.
Esso sfrutta un sottile fascio di elettroni che impattano sul campione, e si producono elettroni d’emissione
secondaria, elettroni retro diffusi e raggi X. Questi vengono rilevati e il segnale che si genera viene
trasformata in un immagine tridimensionale delle particelle.

Coulter counter
Si basa sulla misura della variazione di un campo elettrico generato da una coppia di elettrodi immersi in
un liquido conduttore quando fra di essi si interpone una particella sospesa nel liquido. La variazione del
capo elettrico generato dal passaggio della particella, è direttamente proporzionale al volume della
particella stessa.
Lo strumento è in grado di contare fino a 4000 particelle al sec, con diametri compresi tra circa 0,5 e 1000
µm e di convertire rapidamente le distribuzioni in volume, generate dai dati, in distribuzioni in peso.
2. Forma delle particelle ed area superficiale specifica
Le forme delle particelle di una polvere è difficilmente riconducibile ad una forma geometrica precisa e
quindi difficilmente quantificabile. Diverse sono le forme a cui una particella è assimilabile ed anche in
questo caso è utile il paragone con una sfera ed esprimere quanto la forma irregolare si allontani da quella
sferica;
Per le particelle di forma irregolare, è importante comprendere anche informazioni sulla forma delle
particelle.
• aciculare (simile ad un ago)
• colonnare
• lamellare
• piatta (con forma simile ma maggiore spessore della lamellare)
• tabulare (simile ad una lama)
• isometrica (lunghezza, larghezza e spessore simili)
L’ area superficiale è l’area della polvere stessa
Per misurare l’area superficiale di una polvere possiamo utilizzare varie metodiche:
Metodo dell’adsorbimento
Si basa sull’adsorbimento di un gas o di un liquido su un campione di polvere. È noto come tecnica di BET
(Braunauer, Emmett e Teller):
• Maggiore è il volume dell’area superficiale, maggiore sarà la capacità adsorbente della polvere;
• Il gas adoperato, l’azoto a bassa pressione, interagisce con la polvere ed è adsorbito sulla superficie
esterna della particella, formando uno strato monomolecolare
• Il volume in cm 3 di gas che un grammo di polvere può assorbire come mostrato ad una data pressione
P ed a temperatura ambiente è data dall’ equazione di BET;
Calcolato il volume della polvere, Vm possiamo ricavare l’ area superficiale SW:
Sw = kVm
dove k è una costante che tiene conto delle caratteristiche chimico-fisiche del gas usato e per l’azoto vale
4,35 m 2 /cm 3

Metodo della permeabilità (Air permeability)


Si basa sulla velocità con cui un gas o un liquido passa attraverso un letto di polvere. La resistenza alla
permeazione di un fluido attraverso un letto di polvere compatto dipende dall’area superficiale di
quest’ultimo, Sw.

Maggiore è l’area superficiale, maggiore è la resistenza al flusso e minore la permeabilità.

La determinazione sperimentale dell’area superficiale consiste essenzialmente nella misura del tempo
necessario ad un dato volume di gas per passare attraverso il compatto di polvere in esame.

Proprietà derivate delle polveri


• Assestamento
• Densità
• Porosità
• Flusso

Assestamento
Indica come le particelle di una polvere si dispongono, l’una rispetto all’altra, in un volume prefissato o in
un contenitore.
Le particelle possono assestarsi in due modi:
• assestamento romboedrico (closest): le particelle sono molto vicine, a disposizione chiusa, gli spazi vuoti
sono minimi e rappresentano il 26% del volume totale occupato dalla polvere;
• assestamento cubico (loosest): disposizione aperta, gli spazi vuoti rappresentano il 48% dell’intero

volume
Nella realtà le particelle tenderanno ad assumere assestamenti intermedi ai due casi limite: la maggior
parte delle polveri farmaceutiche possiede una percentuale di spazi vuoti compresa tra il 30 ed il 50%.

Densità
È definita come il rapporto tra il peso della particella e l’unità di volume

r = M/V

Nel Sistema Internazionale la densità si misura in Kg/m3 (o g/cm3); la densità dei gas si misura in g/L.
densità vera o assoluta = rapporto tra il peso della particella ed il suo volume vero. Il volume vero (Volume
totale delle particelle) può essere misurato mediante un picnometro ad elio.

densità granulare: rapporto tra il peso del corpo ed il suo volume granulato (il volume delle particelle che
tiene conto dei pori presenti all’ interno delle particelle). Si misura mediante un picnometro a mercurio, che
a differenza dell’elio per la sua tensione superficiale non è in grado di penetrare negli spazi vuoti intra-
particellari con dimensioni < 10 µm

densità apparente: densità della polvere tenendo conto degli spazi intra ed interparticellari. Si misura
versando la polvere in un cilindro graduato e calcolando il rapporto tra il peso della polvere ed il volume
raggiunto nel cilindro, volume ottenuto dalla media tra la graduazione letta immediatamente e quella letta
dopo lo scuotimento del cilindro.

Porosità
E’ definita come la percentuale degli spazi vuoti creati dai pori delle particelle.

Si calcola facendo :il Volume apparente- volume vero/Volume apparente * 100

Flusso(flowability)
È lo scorrimento di una polvere lungo un piano inclinato o attraverso un orifizio sotto l ‘effetto della forza di
gravità. In base alla scorrevolezza, le polveri possono essere:
• Coesive
• Scorrevoli
La velocità di scorrimento è determinata dal passaggio attraverso un imbuto di dimensioni standardizzate
(F.U. XI). Essa viene espressa in secondi o decimi di secondi, riferita a 100 g di campione
La velocità di scorrimento dipende dall’entità delle forze interparticellari dovute a:
Dimensione: Particelle di grandi dimensioni sono più scorrevoli di particelle piccole;
Area superficiale: le forze che ostacolano lo scorrimento sono forze di frizione superficiale, esse sono quindi
proporzionali all’area superficiale;
Morfologia: una superficie rugosa crea un effetto coesivo maggiore, il flusso diminuisce grazie agli attriti tra
le particelle.

Misura dell’angolo di riposo


Un imbuto viene fissato sopra il centro di una base circolare di raggio noto r .
La polvere versata nell’imbuto si deposita sulla piastra, formando un cono.
L’angolo formato dalla base del cono e la pendenza del suo lato viene definito angolo di riposo f e dipende
dalle forze coesive ed alla rugosità delle particelle. Dopo aver lasciato depositare il materiale in esame sulla
base circolare, si tocca la sommità del cono con l’asta mobile, in corrispondenza del suo sostegno, si legge
l’altezza raggiunta.
Una indicazione della scorrevolezza del materiale, è data dalla tangente
dell’angolo di riposo
tan f = h/r
Più alto è questo valore, più le particelle sono poco scorrevoli

Indice di comprimibilità
L’indice di comprimibilità o indice di Carr (CI) esprime la resistenza e la solidità delle interazioni all’interno
del letto di polvere, costituite da archi e ponti tra le particelle, che condizionano negativamente il flusso
della polvere
Maggiore è l’indice di Carr, minore è la scorrevolezza. Per la formulazione di granulati o per processi di
compressione sono richieste polveri con indici inferiori a 20.
In tecnica farmaceutica polveri poco scorrevoli possono essere addizionate di sostanze dette glidanti, come
la silice colloidale ed il talco.
Possiamo avere vari tipi di polvere in base alla via di somministrazione

Polveri per applicazione cutanea


Secondo la Farmacopea sono preparazioni costituite da particelle solide, non aggregate, secche, di vari
gradi di finezza. Contengono uno o più principi attivi, con o senza eccipienti e, se necessario, coloranti
autorizzati.
Possono essere a preparazioni a dose unica o multidose. Le polveri sono indicate per l’uso su larghe ferite o
su cute gravemente lesa sono sterili.
Per la produzione, confezionamento e distribuzione delle polveri per applicazione cutanea si adottano
misure opportune atte ad assicurare la loro qualità microbiologica; le polveri sterili si preparano usando
materiali e metodi atti ad assicurarne la sterilità.

Controlli
L’uniformità delle unità di dosaggio può essere dimostrata mediante due metodi:
uniformità di contenuto (principio attivo):
la determinazione quantitativa deve essere effettuata su 10 singole unità, usando un appropriato metodo
analitico, che viene suggerito dalla monografia della sostanza consultando la Farmacopea, applicando i
criteri di valutazione dei saggi A, B o C, come specificato per la forma farmaceutica considerata.
Quindi si calcola il valore di accettazione.
VA = M - X + ks.
M = valore di riferimento.
X = media dei singoli contenuti, espressi come percentuale del valore indicato in etichetta.
k = costante di accettabilità.
S = deviazione standard del campione.
Variazione di massa
Si effettua la determinazione quantitativa della sostanza attiva in campione rappresentativo del lotto,
mediante un appropriato metodo di analisi. Si prelevano non meno di 30 unità di dosaggio e si effettuano le
singole pesate. Quindi si calcola il valore di accettazione.
I requisiti di uniformità sono rispettati se il valore di accettazione delle prime 10 unità esaminate è inferiore
o uguale a L1(valore di accettazione massimo permesso). Se tale valore è superiore, si esaminano altre 20
unità.
Uniformità di contenuto: la preparazione soddisfa al saggio se non più di un contenuto individuale è fuori
dei limiti compresi tra l’85% e il 115% del contenuto medio e nessuno è fuori dei limiti compresi tra il 75% e
il125% del contenuto medio. La preparazione non soddisfa al saggio se più di tre contenuti individuali sono
fuori dai limiti compresi tra l’85% e il 115% del contenuto medio o se uno o più contenuti individuali sono
fuori dei limiti compresi tra il 75 % e il 125% del contenuto medio.
Se la preparazione ha più di un principio attivo, tali specifiche si applicano a quei principi che sono presenti
in quantità inferiore a 2 mg o inferiore al 2% della massa totale.
Se per tutti i principi attivi è prescritto il saggio per l’uniformità di contenuto, il saggio per l’uniformità di
massa non è richiesto.
Sterilità: quando l’etichetta indica che la preparazione è sterile, la polvere soddisfa al saggio di sterilità

Polveri per uso orale


Sono preparazioni costituite da particelle solide, non aggregate, asciutte e di vari gradi di finezza, con uno o
più principi attivi, con o senza eccipienti e se necessario con aromatizzanti e coloranti.
Richiedono la fornitura di un misurino in grado di elargire la quantità prescritta.
SAGGI
• Uniformità delle unità di dosaggio;
• Uniformità di contenuto;
• Uniformità di massa;
• Uniformità delle dosi rilasciate da contenitori multidose.
Le polveri per uso orale possono essere effervescenti, in dose unica o multidose, e sono preparate per
essere disciolte o disperse in acqua prima della somministrazione.

Granulazione
La granulazione è un processo tecnologico nel quale le particelle di una polvere vengono fatte aderire le
une alle altre per la formazione di particelle con diametro maggiore definite granuli. Questo processo è
utilizzato per la preparazione di forme farmaceutiche solide, come compresse e capsule, poiché raramente
è possibile utilizzare le polveri tal quali. Gli scopi sono diversi:
• migliorare le proprietà di scorrimento della polvere;
• contrastare la possibile segregazione di alcuni componenti;
• diminuire il volume apparente;
• uniformare la distribuzione del principio attivo nella miscela;
• migliorare l’aspetto della polve

Il processo di granulazione comprende:


1. MISCELAZIONE
2. GRANULAZIONE
3. ESSICCAMENTO

1. MISCELAZIONE
Consiste nella mescolazione omogenea dei vari componenti da granulare, cioè farmaco ed eccipienti. Si
possono utilizzare mescolatori a corpo fisso o a corpo rotante.La mescolazione è di tipo solido-solido.
Spesso è necessaria una macinazione preventiva di uno o più componenti della miscela, per ottenere
un materiale di dimensioni piuttosto omogenee.

2. La GRANULAZIONE può avvenire a:


A secco: è detta anche compattazione o precompressione ed è ottenuta mediante i compattatori. l
materiale si presenta in forma di scaglie e viene sottoposto a frantumazione e setacciatura, per
ottenere granuli delle dimensioni richieste. Il processo richiede l’impiego di elevate pressioni. Il
processo di agglomerazione delle particelle è reso più efficace dall’aggiunta di eccipienti leganti come:
lattosio;
saccarosio;
polimeri.

Ad umido: è il processo di granulazione più comunemente usato in campo farmaceutico.


La soluzione legante viene aggiunta alla massa da granulare in quantità tale da ottenere un impasto.
Le soluzioni più utilizzate sono:
• soluzioni acquose di glucosio, saccarosio, sorbitolo (10-50%p/v);
• soluzioni alcoliche o idroalcoliche
• Per matrici a rilascio controllato:
soluzioni acquose o idroalcoliche di HPMC (5-10%) o soluzioni acquose a base di sodio;
alginato (3-5%).
Per i processi di granulazione sono necessarie delle impastatrici, contenitori con bracci meccanici.
L’impasto che si forma deve passare stadi diversi:
• CAPILLARE
In questo stadio, che coincide con la massima resistenza meccanica dei granuli umidi, si ottiene la
coalescenza. La coalescenza è il meccanismo di formazione di agglomerati relativamente grandi
generati da collisioni casuali tra particelle primarie o nuclei già formati. Ciò si può verificare solo in
presenza di un leggero eccesso di umidità superficiale, che conferisce loro una certa plasticità. Per
raggiungere la fase capillare deve essere presente una percentuale di liquido fra il 10 ed 20%.
(STADIO A GOCCIA)

3. ESSICCAMENTO
Il materiale ottenuto dal processo di granulazione a umido viene sottoposto a essiccamento fino ad un
tenore di umidità residua prestabilito.
Possiamo distinguere:
Essiccamento vero e proprio: il sistema da rimuovere costituisce una frazione minoritaria del sistema
multifasico (solido bagnato).
Concentrazione: il sistema multifasico è una soluzione o una sospensione, il liquido rappresenta quindi
la fase maggioritaria.

I granulati sono preparazioni solide costituite da aggregati solidi, secchi, di particelle di polvere
sufficientemente resistenti a manipolazioni energiche.
Sono destinati alla somministrazione orale, deglutiti come tali, masticati oppure disciolti o dispersi in
acqua o in altro liquido;
Contengono uno o più principi attivi con o senza eccipienti, coloranti e aromatizzanti;
Sono presentati come preparazioni a dose unica o multidose;
Si distinguono granulati: effervescenti, rivestiti, a rilascio modificato, gastroresistenti.
Granulati effervescenti
Sono granulati non rivestiti contenenti generalmente sostanze acide e carbonati o bicarbonati, che
reagiscono rapidamente in presenza di acqua sviluppando anidride carbonica .Si conservano in
recipiente ermeticamente chiuso.
SAGGI
Disaggregazione: si utilizzano 6 dosi che vengono poste in un recipiente contenente 200 ml di acqua a
15-25°C, si sviluppano numerose bolle di gas. Quando cessa l’effervescenza intorno ai singolo granuli,
questi si sono disaggregati. L’operazione viene ripetuta su altre 5 dosi. La preparazione soddisfa il
saggio se ciascuna delle 6 dosi utilizzate disaggrega entro 5 minuti.

Granulati rivestiti
Sono preparazioni multidose, costituite da granuli rivestiti da uno o più strati di miscele di vari
eccipienti. Tali sostanze di rivestimento sono applicate come soluzione o sospensione in condizioni che
favoriscono l’evaporazione del solvente.
SAGGI
Dissoluzione: questo saggio serve a dimostrare l’appropriato rilascio del o dei principi attivi.

Granulati a rilascio modificato


Sono granulati rivestiti e non rivestiti, che contengono eccipienti speciali e che sono preparati con
procedimenti idonei, studiati per modificare la velocità, il sito o il tempo al quale il o i principi attivi
sono rilasciati.
Comprendono:
• granulati a rilascio prolungato;
• granulati a rilascio ritardato.
SAGGI : Dissoluzione

COMPRESSE
Le compresse sono preparazioni solide, destinate alla somministrazione orale, contenenti ciascuna una
dose unica di uno o più principi attivi, ottenute per compressione di volumi uniformi di particelle.
Le compresse garantiscono:
• accuratezza di dosaggio;
• praticità di fabbricazione e somministrazione;
• stabilità;
• controllo della cinetica di rilascio.
Rappresentano la gran parte delle specialità medicinali in commercio in Europa.
La Farmacopea distingue diversi tipi di compresse, a seconda delle loro caratteristiche tecnologiche e del
loro utilizzo:
• Compresse non rivestite;
• Compresse rivestite;
• Compresse effervescenti;
• Compresse solubili e compresse dispersibili;
• Compresse orodispersibili;
• Compresse a rilascio modificato;
• Compresse gastroresistenti.

Preparazione
Le compresse sono preparate per compressione di volumi uniformi di particelle o di granuli. Affinché una
polvere possa essere trasformata efficacemente in una compressa, deve essere:
• scorrevole, durante le operazioni di riempimento delle apparecchiature;
• coesa, durante la formazione del compatto;
• secca, per non aderire alle parti della macchina dopo la compressione;
La maggior parte delle polveri non ha tutte queste caratteristiche e quindi il processo di compressione
è solitamente preceduto dalla granulazione del materiale, che conferisce le qualità richieste .
La compressione diretta è possibile se la polvere possiede le caratteristiche elencate precedentemente,
ciò permette di risparmiare sulle apparecchiature e sull’energia dei processi.
Per effettuare la compressione diretta c’è bisogno di diluenti (lattosio, mannitolo, cellulosa
microcristallina) che sono molto costosi rispetto ai processi di granulazione.

Compresse multistrato
Vengono prodotte comprimendo in successione polveri a diversa composizione, una sopra l’altra.
Nelle compresse a strati paralleli i due strati sovrapposti vengono poi legati insieme da una più
energica compressione.
Le compresse rivestite a secco, o a strati concentrici sono fabbricate in due tempi:
Il nucleo viene prodotto con un normale processo di compressione;
Esso passa in una matrice di dimensioni superiori, precedentemente riempita con la polvere necessaria
alla formazione dello strato esterno, e si procede poi all’introduzione della restante parte di povere ed
alla compressione finale.
Durante l’operazione di compressione si produce polvere o frammenti di compresse, che è necessario
eliminare prime del confezionamento o della copertura delle compresse.
La depolverizzazione può essere fatta posizionando le compresse su un setaccio: la polvere viene
eliminata insufflando aria.
Per grandi produzioni le compresse vengono convogliate su un nastro forato, mantenuto in costante
vibrazione, che permette l’eliminazione di polveri e frammenti grossolani

Eccipienti delle compresse


Gli eccipienti sono utilizzati per migliorare le caratteristiche della materia comprimibile
• Diluenti, sono i più utilizzati e si trovano in gran quantità all’ interno delle compresse
lattosio: un disaccaride e uno zucchero, costituita da una molecola di D-galattosio e da una di D-
glucosio unite da un legame β 1−4 glicosidico;
cellulosa microcristallina (Avicel): si ottiene per un processo di depolimerizzazione, con acidi minerali,
dell'a-cellulosa, a sua volta ricavata da fonti naturali di fibre vegetali;
saccarosio: disaccaride costituita da glucosio e fruttosio;
amido e derivati (di riso, di mais, di patate, di frumento);
carbonato di calcio; fosfato dicalcico; carbonato di magnesio;
talco: fillosilicato di magnesio;
• Leganti, questi si attivano mediante l’interazione con l’acqua o con altri solventi

gomme (adragante, arabica);


gelatina;
derivati della cellulosa (metilcellulosa, sodio carbossimetilcellulosa);
amido;
saccarosio;
sodio alginato.
• Lubrificanti
Sono sostanze in grado di agire tra due superfici in movimento per prevenire la frizione e l’usura.
magnesio stearato 0,25-5 (pi. adoperato);
acido stearico;
cere altofondenti.
I lubrificanti sono solitamente sostanze di natura lipidica, ma quando è necessario ottenere compresse
completamente solubili, è richiesto l’uso di lubrificanti solubili in acqua.
Sodio fumarato;
sodio benzoato;
polietilenglicoli 4000 e 6000 2-5%

• Glidanti
Riducono la frizione interparticellare del materiale da comprimere, migliorandone in tal modo le
proprietà di flusso.
• Antiaderenti
Impediscono l’adesione del materiale da comprimere ai punzoni della matrice.
Talco;
Silice colloidale.
• Disgreganti
Sono aggiunti allo scopo di determinare la disaggregazione della compressa in seguito al contatto con
l’acqua. In genere sono sostanze poco solubili che si rigonfiano a contatto con l’acqua.
Amido e derivati;
Gomme;
Cellulosa microfistallina;

• Tensioattivi
Aiutano la disgregazione, grazie alla loro azione bagnante. Sono utilizzati nelle formulazioni contenenti
elevate quantità di sostanze idrofobe, spesso quindi per bilanciare la presenza dei lubrificanti.
Sodio laurilsolfato;
Tween.

Macchine comprimitrici
Le compresse vengono fabbricate mediante apparecchiature specifiche, dette comprimitrici, che
consentono una produzione molto rapida. Prima dell’operazione di compressione è necessario
verificare l’omogeneità del materiale di partenza, cioè che il principio attivo sia uniformemente
distribuito nella polvere o nel granulato.
Le operazioni di compressione influiscono sulle caratteristiche delle compresse, infatti è in grado di
influenzare la biodisponibilità del farmaco in essa contenuto. La biodisponibilità viene definita come la
velocità con cui il principio attivo viene assorbito e diventa disponibile al sito di azione.
Le comprimitrici possono essere: alternative e rotative.

Comprimitrici alternative
Sono caratterizzate da una produzione discontinua, cioè tutte le fasi della compressione devono essere
portate a termine prima che inizi il ciclo successivo.
Sono costituite da:
una matrice;
due punzoni, inferiore e superiore;
una tramoggia, per il caricamento della polvere; con un prolungamento detto scarpa.
Operazioni di compressione
La forma della compressa è data sia dalla forma dei punzoni, superiore e inferiore, che può essere
piana, bombata, sia dalla forma della matrice, che può essere ovale, rotonda, ottagonale, rettangolare.
Le comprimitrici alternative possono essere sia manuali che automatiche. Hanno una produzione
oraria bassa (fra 50 e 600 comp/m), e sono quindi adoperate per piccole produzioni.

Comprimitrici rotative
La comprimitrice rotativa e costituita da più punzoni collocati su un piatto rotante.
I punzoni vanno da 6 a 32 ed effettuano un movimento verticale provocato da due rulli inferiori e
superiori, che schiacciano i punzoni durante lo rotazione del piatto rotante.

La principale differenza tra comprimitrici rotative e alternative sta nel fatto che le prime sono dotate di
un movimento rotativo sincronizzato: sia il punzone superiore che quello inferiore partecipano al
processo di compressione e così la pressione viene gradualmente esercitata su entrambe le facce.

Da ciò deriva una qualità superiore delle compresse prodotte, che risultano più uniformi in termini di
durezza e di disgregazione.
Le compresse devono garantire:
• il rilascio del farmaco ed il suo conseguente assorbimento, in maniera coerente con il tipo di
compressa:
• accuratezza ed uniformità di dosaggio del principio attivo contenuto;
• stabilità, sia dal punto di vista fisico che chimico;
• buona accettazione da parte del paziente

Uniformità delle unità di dosaggio


Tramite l’uniformità delle unità di dosaggio possiamo identificare la quantità di principio attivo all’ interno
delle compresse.
Ciò può essere dimostrata mediante due metodi:
• la variazione di massa
• l’uniformità di contenuto
Il saggio di variazione di massa è applicabile solo alle compresse non rivestite e alle compresse rivestite con
film che contengono almeno 2 mg di una sostanza attiva rappresentante almeno il 2% in massa della
preparazione monodose.
Negli altri casi dovrà essere effettuato solo il saggio di uniformità di contenuto
Variazione di massa
Il saggio viene effettuato su 20 compresse, pesate singolarmente e delle quali viene calcolato il peso medio.
La tabella della Farmacopea (2.9.5.-1) riporta l’accettabilità del lotto considerato, in deviazione percentuale.
massa individuale−massa media
Deviazione percentuale= ∗100
massa media
Per compresse aventi peso inferiore a 80 mg la percentuale è pari al 10%; con peso compreso tra gli 80 e i
250 mg la % è del 7,5; con peso superiore a 250 mg la % è del5%.

Uniformità di contenuto
Il saggio di uniformità di contenuto delle unità di dosaggio si basa sulla determinazione quantitativa
individuale della(e) sostanza(e) attiva(e) in un certo numero di unità al fine di determinare se i singoli
contenuti sono compresi tra i limiti stabiliti.
Si prelevano non meno di 30 unità. La determinazione quantitativa del principio attivo viene effettuata
prima su 10 singole unità, adoperando un appropriato metodo di analisi descritto in farmacopea. l valore
ottenuto costituisce il
risultato A, espresso come % del valore indicato in etichetta. Si pesano accuratamente e singolarmente 10
compresse. Si calcola il contenuto in sostanza attiva presente in ciascuna compressa con questa formula:
xi=wi∗A /W
Xi= contenuto di principio attivo all’ interno di una compressa
Wi= massa della compressa
A=contento di principio attivo
W= media delle masse delle compresse

I requisiti di uniformità sono rispettati se il valore di accettazione delle prime 10 unità esaminate è inferiore
o uguale a 15. Se il valore di accettazione. superiore a 15 si ripete la valutazione su le 20 unità rimanenti. I
requisiti sono rispettati se il valore finale delle 30 unità esaminate è inferiore o uguale a 15.
I CONTROLI CHE DEVONO ESSERE EFFETTUATI SULLE COMPRESSE RIGUARDANO:
Friabilità
La compressa deve possedere una certa resistenza meccanica per supportare le sollecitazioni a cui può
andare incontro durante le successive fasi di rivestimento, confezionamento e trasporto.
Il saggio per la determinazione della friabilità utilizza un tamburo rotante di dimensioni stabilite, provvisto
al suo interno di un deflettore curvo, che solleva le compresse durante la rotazione. Il tamburo gira ad una
velocità di 25 giri al min.
Si pesano 20 COMPRESSE se hanno un peso inferiore a 0,65 g, 10 COMPRESSE se hanno un peso superiore,
che vengono poi introdotte nel tamburo. Questo viene fatto ruotare per 100 volte ed al termine le
compresse vengono spolverate e pesate.
La friabilità è calcolata come perdita di massa ed espressa come % della massa iniziale. La massima perdita
ammessa è dell’1%.
Resistenza alla rottura
Può essere effettuata utilizzando diversi strumenti. Uno dei più noti è il Monsanto, nel quale la compressa è
posta tra un supporto fisso ed uno mobile, controllato tramite una molla. Mediante una vite girevole a
mano, si esercita una pres sione via via crescente sulla compressa, fino al punto di rottura. La pressione alla
rottura viene letta sull’apposita scala, espressa in Kg.
Il saggio viene effettuato su 10 compresse. I risultati sono espressi come valori medi, minimi e massimi, in
Newton. Il carico di rottura, in genere, non è inferiore a 6 Kg.
Tempo di Disaggregazione
Il saggio serve a determinare se le compresse, poste in mezzo liquido indeterminate condizioni
sperimentali, si disaggregano entro il tempo previsto. La disaggregazione non implica la completa
dissoluzione dell’unità di compressa, ma è completa quando tutto il residuo è costituito da una massa
molle, senza nucleo palpabile duro. Per il saggio si utilizza un apparecchio così composto:
Un cestello costituito da 6 tubi in cui vengono immesse le compresse, il cestello ha la capacità di muoversi
verso l’ alto e verso il basso, quest’ultimo è sospeso in un becker contente un liquido termostatato a 37°C.
L’apparecchio viene quindi messo in funzione per il tempo prescritto, al termine del quale il cestello viene
sollevato ed i saggi si ritiene soddisfatto se tutte le compresse sono disaggregate.
Se una o due unità non sono disaggregate, il saggio viene ripetuto su ulteriori 12 unità ed il saggio viene
ritenuto soddisfatto se almeno sedici delle diciotto unità sottoposte al saggio sono disaggregate.
Il mezzo liquido da utilizzare, così come i tempi di disaggregazione, variano in funzione del tipo di
compressa e sono indicati nel capitolo “Metodi di analisi” della F.U.
Velocità di Dissoluzione
L’andamento della dissoluzione del principio attivo dipende dalle sue proprietà intrinseche.
Se si desidera un rilascio controllato la compressa non deve disgregarsi, ma cedere lentamente il principio
attivo, secondo una cinetica stabilita.
Per controllare l’efficienza della cinetica di rilascio la F.U. prevede 3 apparecchiature. Lo strumento più
comune è l’agitatore a paletta, costituito da:
un recipiente cilindrico in vetro o altro materiale trasparente, con fondo emisferico, capacità di 1 lt,
provvisto di coperchio forato; paletta, termometro e dispositivo di campionamento.
Il liquido nel recipiente viene agitato dalla paletta, che ha una velocità regolabile e ed indicata in
monografia. La temperatura del mezzo di dissoluzione è di 37°C. Tramite prelievi successivi del mezzo, si
analizza la quantità di principio attivo, mediante un opportuno metodo di analisi, ed è quindi possibile
tracciare il profilo di dissoluzione della compressa

Forme Farmaceutiche rivestite


Il rivestimento è un processo aggiuntivo alla produzione di forme farmaceutiche già complete con aumento
dei costi finali, è molto utilizzato in quanto consente:
 miglioramento dell’aspetto della forma di dosaggio;
 copertura di odori o sapori sgradevoli;
 facilità di deglutizione (migliore accettabilità o compliance);
 aumento della stabilità (protezione da ossigeno, umidità, luce);
 aumento della resistenza meccanica;
 rilascio controllato;
Questo processo può avvenire in due modi:
1. Confettura
2. RIVESTIMENTO CON FILM

Confettura
La confettatura è una operazione di rivestimento conosciuta da secoli, che prevede la copertura di un
nucleo tramite saccarosio o sorbitolo. Oltre all’agente di rivestimento, che viene sciolto in acqua, sono
richiesti altri ingredienti:

 diluenti (carbonato di calcio,talco, biossido di titanio;


 coloranti;
 filmogeni (gelatina, derivati della cellulosa (HPMC, CAP), polivinilacetoftalato (PVAP), gomma
arabica;
 antiaderenti (talco);
 aromi;
 sostanze lucidanti.

La confettatura è oggi sempre meno adoperata rispetto al rivestimento con film anche se richiede materie
prime facilmente accessibili e poco costose, un uso di attrezzature semplici a costi relativamente bassi e la
realizzazione di un prodotto gradevole al paziente.

La confettatura viene effettuata mediante la bassina, e comprende 5 fasi:

 isolamento;
 Ingrossamento;
 lisciatura;
 colorazione;
 lucidatura

Isolamento

Prima del rivestimento con zuccheri, le compresse sono rivestite inizialmente con un film polimerico, che
non permette la penetrazione dell’acqua nel nucleo, e la migrazione dei componenti solubili del nucleo nel
rivestimento zuccherino.

Ingrossamento

È la fase principale del processo, durante il quale viene depositata la maggior parte del rivestimento
zuccherino con un incremento in peso dei nuclei del 50-100%

Insieme alla sostanza zuccherina sono introdotti anche:

• talco, caolino, calcio carbonato, biossido di titanio (per ingrossare il rivestimento)

• gomma arabica, gelatina, derivati della cellulosa (agenti adesivi)

Questa operazione in bassina determina l’aspetto rotondeggiante, tipico del confetto

Lisciatura

Permette di arrotondare le compresse, per rimuovere le scabrosità superficiali prima dell’applicazione del
colorante. Si ottiene distribuendo sui nuclei una soluzione al 60-70% di saccarosio.

Colorazione

Si ottiene introducendo nella soluzione zuccherina coloranti solubili o pigmenti insolubili (lacche di
alluminio e ossidi di ferro o di titanio). I pigmenti sono preferiti perché durantel’essicamento non migrano
verso la superficie.

Lucidatura

Consiste nel distribuire sul confetto finito un sottile strato di sostanze lucidanti:

 cera d’api
 cera carnauba
 spermaceti
 paraffine
Rivestimento con film
Il processo consiste nell’applicazione di un film sottile (20-200 µm) di natura polimerica sulla superficie di
compresse, pellets, granuli, capsule, polveri o cristalli. Vantaggio rispetto alla confettatura:

 minore aumento di peso (2-4 %) e di volume della forma filmata;


 maggiore stabilità;
 maggiore resistenza meccanica alla rottura e all’abrasione;
 possibilità di applicazione a nuclei di piccole dimensioni e a prodotti igroscopici;
 possibilità di conferire alla compressa peculiari caratteristiche di rilascio.

Tale processo ha quindi sostituito la confettatura.

Il film è applicato ai nuclei mantenuti in continuo movimento, il liquido di rivestimento viene prima
trasformato in goccioline di soluzione mediante nebulizzazione (air spray) oppure atomizzazione (airless
spray); le goccioline impattano la superficie del substrato, si spandono e interagiscono con il materiale; si
distribuiscono sulla superficie e formano uno strato continuo e aderente; ripetendo l’operazione si può
ottenere il film dello spessore desiderato; il solvente in eccesso viene evaporato, con formazione di un film
secco.

I rivestimenti con film possono essere: Funzionali; Non Funzionali

Non Funzionali: prevede sistemi filmogeni atti a migliorare l’aspetto della forma farmaceutica;

 aumentare la resistenza meccanica;


 mascherare il gusto sgradevole;
 facilitare la deglutizione;
 rendere stabile il prodotto.

Funzionali: costituisce un sistema di controllo del rilascio del farmaco.

Distinguiamo:

Rivestimento per il rilascio pH dipendente:

mantiene l’attività di farmaci che sono instabili se esposti ai fluidi gastrici; minimizza la nausea conseguenti
all’azione di farmaci che irritano la mucosa gastrica; consente la somministrazione di farmaci assorbiti
preferenzialmente a livello intestinale.

Rivestimenti per il rilascio ritardato

permette il rilascio del farmaco dalla forma farmaceutica dopo un periodo di latenza dalla sua
somministrazione.

Rivestimento per il rilascio prolungato

consente di ottenere una lenta cessione del farmaco, mediante il controllo della permeazione dell’acqua
nel nucleo attraverso la membrana polimerica e la diffusione del farmaco verso l’esterno attraverso la
membrana stessa. I principali eccipienti utilizzati per creare il film sulla compressa sono:

• polimeri sono i principali ingredienti del film e conferiscono le caratteristiche finali al prodotto
farmaceutico

• plasticizzanti Una sostanza plastificante deve essere completamente miscibile con i polimeri, in modo che
si incorpori stabilmente e in maniera omogenea nella sua massa. Deve essere poco o nulla volatile perché
se la materia plastica diminuisce di concentrazione, verrebbe meno il suo effetto.
La sostanza plastificante deve inoltre non deve reagire con i polimeri, deve essere chimicamente stabile
per resistere all'azione del calore e della luce, non deve subire facilmente reazioni di idrolisi o ossidazione
da parte dell'umidità o dell'ossigeno ambientali, deve non essere infiammabile - spesso l'aggiunta di un
plastificante serve anche a rendere meno infiammabile il polimero stesso - elettricamente isolante, inodore
e incolore, quest'ultimo requisito è indispensabile se la materia plastica è destinata alla produzione di
pellicole o manufatti trasparenti.

• veicoli liquidi

• antiaderenti

• opacizzanti

• coloranti

Apparecchiature per il rivestimento


Esistono in generale 2 categorie di impianti:

 bassine;
 apparecchiature a letto fluido

In entrambi i casi è previsto l’utilizzo di aria, che serve a riscaldare i nuclei e successivamente ad essiccare il
liquido dei materiali filmogeni.

All’ interno di queste apparecchiature troviamo il sistema UTA: unità trattamento aria, questo si occupa di:

 filtrazione;
 deumidificazione;
 riscaldamento.

L’aria esausta è ulteriormente filtrata, per evitare immissione di particelle dall’esterno e quindi vengono
opportunamente recuperati eventuali solventi tossici. È fondamentale il monitoraggio del processo di
rivestimento con un opportuno sistema di sonde di temperatura e sensori di umidità.

E vi sono anche Sistemi di spruzzo che svolgono:

 Nebulizzazione a bassa pressione con aria (rivestimento acquoso con film);


 Atomizzatore ad alta pressione senza aria (airless) (per sistemi molto viscosi o con i solventi
organici).

Le bassine sono contenitori di varia forma e dimensione che ruotano sul proprio asse a velocità variabile.

Bassine tradizionali, più utilizzate nell’industria alimentare;

Bassine con apertura anche sul retro;

Bassine a paniere perforato, per produzioni da 10 a 700 Kg.

Letto fluido sono utilizzate, oltre che per il rivestimento con film, anche per il processo di granulazione e di
essiccamento. Sono utilizzate soprattutto per il rivestimento di pellets, granuli o piccole particelle con film
che modificano il rilascio del farmaco.

Sono classificati in base alla posizione del dispositivo di spruzzo del liquido di rivestimento:

 Spruzzo dall’alto top spray,


 Spruzzo dal fondo
 Spruzzo tangenziale applicabile a nuclei molto resistenti (pellets o direttamente polveri)
Durante i processi di rivestimento si possono verificare dei difetti:

 Picking (adesività tra due compresse)


 Rugosità
 Rottura del film di rivestimento

La preservazione dei Farmaci


Per conservare o preservare un prodotto farmaceutico, si intendono tutte quelle misure atte a mantenere
la formulazione per tutto il suo periodo di validità, in uno stato di qualità chimico fisica e microbiologica tale
da garantirne l’efficacia e la sicurezza di impiego.

Per ottenere ciò sarà necessario innanzitutto che tutti gli ingredienti utilizzati siano sufficientemente puri,
sia dal punto di vista chimico che microbiologico (controllo delle schede tecniche che accompagnano le
materie prime) e che le procedure di lavorazione evitino al meglio l’inquinamento e la contaminazione,
secondo le norme di buona fabbricazione (GPM).

Successivamente, si deve aggiungere al prodotto finito un idoneo sistema preservante, in grado di


estendere le caratteristiche iniziali del prodotto per tutto il periodo di validità, nonostante i possibili
inquinamenti successivi derivanti dall’uso.

Un sistema preservante è solitamente costituito da antibatterici, antiossidanti e sequestranti, che svolgono


un’azione sinergica tra loro.

La procedura di lavorazione prevede:

• pulizia e disinfezione degli ambienti;

• sanitizzazione dei banchi di lavoro e delle attrezzature;

• controllo della qualità dell’aria;

• controllo della qualità dell’acqua di produzione;

• controllo dell’inquinamento antropico, con utilizzo mi misure protettive di igiene e utilizzo di presidi
idonei

Requisiti microbiologici delle preparazioni farmaceutiche


I prodotti farmaceutici devono rispettare i saggi microbiologici descritti in Farmacopea,

La scelta del Sistema preservante


Esse vengono selezionate in base al sito di applicazione, al pH e alle caratteristiche chimico-fisiche della
preparazione farmaceutica.

Una particolare attenzione viene posta alla scelta degli antimicrobici, che presentano tutti una potenziale
tossicità. Il sistema scelto deve proteggere da: gram+, gram-, funghi e lieviti. Riguardo al sito di
applicazione, quasi tutti i preservanti possono essere utilizzati per l’uso topico, mentre molti di essi non
possono essere adoperati per l’uso orale od oftalmico. Nei farmaci ad uso iniettivo, oggi raramente
vengono aggiunti antibatterici. Per le preparazioni farmaceutiche contenenti attivi lipidici, o di lipidi
ossidabili, richiedono l’introduzione di antiossidanti.

Antimicrobici
Dal punto di vista chimico, i conservanti appartengono a diverse classi: alcoli, fenoli, acidi, esteri, cessori di
formaldeide, aldeidi ecc. Nelle preparazioni monodose è possibile non introdurre il sistema preservante,
che è invece obbligatorio nelle preparazioni multidose, fatta eccezione per i conservanti utilizzati nel corso
di interventi operatori. Il valore del pH può notevolmente influenzare l’attività antibatterica di un
conservante:

• gli antimicrobici acidi (acidi carbossilici e fenoli), presentano la massima attività nella forma indissociata e
quindi a pH bassi;

• gli antimicrobici basici (Clorexidina e Organomercuriali), presentano la massima attività nella forma
indissociata e cioè a pH alcalino.

Le formule su base acquosa con pH< 3,0, possono non contenere conservanti.

Oltre al pH, altri fattori possono influire sull’efficacia del conservante:

1. La natura della preparazione, che può dare origine ai diversi fenomeni: precipitazione in forma insolubile;
intrappolamento del conservante all’interno del sistema micellare del tensioattivo; migrazione del
conservante dalla fase acquosa a quella oleosa soprattutto nei sistemi emulsionati), che è in relazione con il
logP (coefficiente di partizione) del conservante;

2. Il materiale del confezionamento primario, in quanto le plastiche, ad esempio, possono adsorbire i


conservanti antimicrobici, determinandone una diminuzione della concentrazione.

Antiossidanti
La funzione degli antiossidanti è quella di combattere la formazione e l’azione negativa dei radicali liberi.
All’interno della preparazione farmaceutica, essi antagonizzano l’ossidazione dei principi attivi e degli
eccipienti di natura lipofila, impedendo il verificarsi del cosiddetto “irrancidimento”.

Le reazioni di degradazione ossidativa sono catalizzate essenzialmente dai metalli pesanti, che sono
ubiquitari (ferro e rame in modo particolare), ma sono anche notevolmente influenzate da:

• scelta del packaging primario, che deve tener conto della eventuale esposizione alle radiazioni UV o
all’ossigeno;

• temperatura di produzione;

• conservazione;

• valore del pH, nel caso in cui esso risulti instabile nel tempo, nelle formulazioni acquose vengono
addizionate soluzioni tampone.

Chelanti (Sequestranti)
Sono in grado di legare gli ioni metallici formando complessi stabili, prevenendo così l'effetto catalitico che
questi forniscono nella produzione dei radicali liberi nella cellula o che questi promuovano la crescita
microbica. Il sequestrante deve essere sempre aggiunto quando nel processo produttivo sono utilizzati
utensili e/o attrezzature di natura metallica. Queste sostanze vengono adoperate in sinergia con
antibatterici e antiossidanti. I chelanti sono però aspecifici, in quanto possono chelare anche metalli
essenziali come il calcio e lo zinco, vengono quindi utilizzati ad una concentrazione tra lo 0,01 e lo 0,2%. La
loro attività è quindi dipendente dalle concentrazioni di utilizzo, ma anche dal pH.

• Alcuni esempi di agenti sequestranti:

• EDTA bisodico (0,05-0,2%);

• Acido tartarico (0,005-0,1%);

• Acido citrico (0,005-0,1%);

• Sodio gluconato (0,2%); lecitina


CAPSULE
“Le capsule sono preparazioni solide con involucri duri o molli di varie forme e capacità, contenenti
usualmente una dose unica di principio attivo e destinate alla somministrazione orale. Il componente
principale dell’involucro è la gelatina, amido o cellulosa. La consistenza dell’involucro può essere regolata
per aggiunta di altre sostanze. Nell’involucro possono essere presenti eccipienti vari come:
• tensioattivi

• opacizzanti (biossido di titanio)

• conservanti (parabeni, bisolfito di sodio,acido sorbico, acido benzoico)

• antimicrobici

• dolcificanti

• coloranti (spesso lacche)

• aromatizzanti

Possiamo avere diversi tipi di capsule:

1. capsule rigide
2. capsule molli antimicrobici
3. capsule a rilascio modificato
4. capsule gastroresistenti

Le capsule sono molto utilizzate nel campo farmaceutico, possono essere allestite sia in a livello industriale
che all’ interno delle farmacie, tramite preparazioni galeniche magistrali o officinali (secondo le indicazioni
della Farmacopea)

Le capsule presentano numerosi vantaggi come:

 ridotto tempo di disaggregazione dell’involucro e di dissoluzione del contenuto;


 possibilità di veicolare farmaci liquidi o oleosi;
 precisione nel dosaggio e adeguata riproducibilità;
 elevata comliance da parte del paziente.

Lo svantaggio più evidente è l’elevato costo, rispetto a quello delle compresse.

Capsule Rigide
Le capsule rigide sono costituite da due involucri di forma cilindrica, con un’estremità arrotondata e chiusa,
mentre l’altra è aperta. Gli involucri sono costituiti da una miscela di gelatina, glicerina (o sorbitolo o glicole
propilenico) e acqua. Le capsule devono essere correttamente conservate:

 devono essere conservate ad una temperatura inferiore a 30 gradi


 devono essere elencati gli antimicrobici utilizzati durante la produzione della capsula
 e deve essere rispettata le norme per quanto riguarda la qualità Microbiologica descritta in
Farmacopea
Sulle capsule è possibile ritrovare delle scritte, che possono indicare il nome del produttore, o altre
informazioni che riguardano la capsula. La stampa di queste scritte avviene tramite dell’inchiostro per uso
alimentare.

Produzione
Per la produzione delle capsule vi sono varie fasi:

1. preparazione di una soluzione acquosa di gelatina e degli altri eccipienti, sciolti o sospesi, ad una
temperatura di 40°C, in lenta agitazione;
2. all’ interno della soluzione vengono immersi dei punzoni di forma cilindrica;
3. i punzoni vengono estratti dalla soluzione, e quest’ ultimi ruotano su se stessi fino a che la soluzione si
asciughi e si trasformi in una sorta di gel
4. i punzoni sono inseriti in un tunnel riscaldato, dove abbiamo l’essiccamento del gel, contenuto di
umidità pari al 12%-15%
5. Distacco del film dai punzoni e taglio, secondo la lunghezza voluta.

Le due parti che costituiscono l’involucro, corpo e testa, vengono fabbricate con il medesimo processo,
cambiano solo le dimensioni dei punzoni, in quanto la testa è leggermente più grande del corpo. Nel corpo
viene posto il farmaco, mentre la testa funge da chiusura. È consigliabile sigillare ogni capsula con un
piccolo nastro di gelatina applicato nel punto sovrapposizione testa-corpo, per impedire una apertura
accidentale, ma anche per evitare lo scambio gassoso tra l’interno e l’esterno della capsula.

In commercio sono reperibili capsule di misura e capacità decrescente, contraddistinte da un numero che
va da 000 a5

Le capsule di tipo 000, sono quelle più capienti, mentre le capsule di tipo 5 sono le meno capienti.

Riempimento
Il riempimento delle capsule viene effettuato con farmaci allo stato di polvere, granulati. Viene dapprima
effettuato un predosaggio del farmaco, poi il materiale viene trasferito nel corpo della capsula. Se il
materiale è poco scorrevole o molto denso, si ricorre ad un presso dosatore, allo scopo di formare un
cilindretto di materiale, che può poi essere inserito nella capsula. Quando le capsule sono riempite con
polveri molto sottili, una parte di questo materiale può diffondere nell’aria e aderire alla superficie esterna
degli involucri. Questo va ad influire sia sull’aspetto sul sapore della capsula. La polvere superficiale deve
essere allontanata.

Per piccoli lotti questa operazione può essere effettuata manualmente con un feltro. Per lotti maggiori si
utilizzano:

 tamburi rotanti, rivestiti di una stoffa impregnata di un olio inerte, che conferisce lucidità
 bassine contenenti cloruro di sodio granulare
 apposite macchine munite di spazzole morbidi

Saggi della Farmacopea


• Uniformità delle unità di dosaggio: può essere calcolato tramite:

- Uniformità di contenuto: determinazione quantitativa individuale della sostanza attiva in un certo numero
di unità, al fine di determinare se i singoli contenuti sono compresi tra i limiti stabiliti. Le capsule con un
contenuto in principio attivo inferiore a 2 mg o inferiore al 2% della massa contenuta, devono soddisfare il
saggio B per l’uniformità di contenuto di preparazioni a dose unica.

- Variazione di massa: è applicabile alle capsule rigide che contengono almeno 25 mg di sostanza attiva
rappresentante almeno il 25% in massa del contenuto della capsula.Si pesa una capsula integra . Si apre la
capsula, senza perdere alcuna parte dell’involucro e si preleva quantitativamente il contenuto. Si pesa
l’involucro e la massa del contenuto e si calcola la differenza tra le pesate. Se per tutti i principi attivi è
prescritto il saggio per l’uniformità di contenuto, il saggio per l’unità di massa non è richiesto.

• Dissoluzione

• Disaggregazione

Capsule molli
Le capsule molli hanno involucri più spessi di quelli delle capsule dure. Tali involucri sono formati da un
pezzo unico e hanno diverse forme. Hanno la stessa composizione delle capsule dure, ma presentano una
maggiore quantità di glicerina, che ha una funzione plastificante e rende morbida la capsula. Il loro uso non
è esclusivamente orale, ma sono utilizzate anche per applicazioni dermatologiche, rettali e vaginali

La produzione di queste capsule avviene tramite il metodo di Sherer, che prevede i seguenti passaggi:

• preparazione continua ed automatica grazie all’ azione di due nastri di gelatina che alimentano la
macchina;

• formazione e contemporaneo riempimento delle capsule (la pressione del liquido di riempimento fa
espandere la gelatina;

• sigillatura e taglio” delle capsule ad opera dei cilindri rotanti, con recupero dei ritagli di gelatina;

• lavaggio delle capsule asciugatura e parziale essiccamento in tunnel o cilindri a infrarosso.

Capsule a rilascio modificato


Sono capsule rigide o molli il cui involucro contiene eccipienti che modificano il rilascio delle sostanze

Esse includono:

• capsule a rilascio prolungato

• capsule a rilascio ritardato

Capsule gastroresistenti
Sono capsule a rilascio ritardato, preparate in modo da resistere ai fluidi gastrici, per promuovere il rilacio
del principio attivo a livello intestinale. Ciò è possibile tramite l’applicazione sulle capsule molli o rigide di
sostanze gastroresistenti

Preparazioni liquide:
Dissoluzione e solubilizzazione
La dissoluzione è il processo fisico con il quale una sostanza si scioglie in un dato solvente per formare una
soluzione. La velocità di dissoluzione è la velocità con cui il solido si scioglie nel solvente per formare la
soluzione. Tale velocità dipende dalla solubilità (capacità di una sostanza nel disciogliersi in un liquido) e
dall’area della superficie di contatto tra le due fasi.

Una soluzione è costituita da due o più specie chimiche, mescolate in proporzioni variabili

Tramite la concentrazione possiamo descrivere la quantità di soluto all’interno del volume di soluzione.La
concentrazione può essere espressa con varie unità di misura
• Percentuale in peso (%p/p): grammi di soluto in 100 grammi di soluzione

• Percentuale peso/volume (%p/v): grammi di soluto in 100 ml di soluzione

• Percentuale in volume (%v/v): ml di soluto in 100 ml di soluzione

• Grammi per litro (g/l): grammi di soluto per litro di soluzione

• Molarità (M): moli di soluto per litro di soluzione

• Molalità (m): moli di soluto per 1000 grammi di solvente

• Frazione molare (X): rapporto tra moli di soluto e somma delle moli di soluto e di solvente

• Densità (d): peso delle unità di volume, g/m

Una soluzione si dice Satura quando all’ interno della soluzione si crea un equilibrio tra il solido già disciolto
e il solido che ancora si deve sciogliere. Se alla soluzione si aggiunge altra sostanza solida si crea una
soluzione Sovrassatura in cui la concentrazione del solido è superiore rispetto all’equilibrio che si è creato,
ciò provoca il deposito sul fondo del solido in eccesso

La solubilità di un farmaco dipende da due fattori:

• caratteristiche del farmaco

• capacità del soluto (farmaco) di interagire con il solvente (proprietà delle soluzioni)

Le Soluzioni come forme farmaceutiche

In base alla via di somministrazione si possono classificare in:

• soluzioni per uso orale

• soluzioni per applicazione cutanea

• soluzioni iniettabili per infusione endovenosa

• colliri e bagni oculari

• gocce e spray nasali

• gocce e spray auricolari

• soluzioni rettali

• soluzioni vaginali

• soluzioni per inalazione

• soluzioni per irrigazione

Vantaggi e svantaggi delle soluzioni

Vantaggi:

• Uniforme distribuzione del farmaco nel solvente

• Immediata disponibilità per l’assorbimento

• Varie vie di somministrazione

• Facile ingestione (buona compliance )


• Possibilità di dosaggio personalizzato (ad es. in funzione del peso corporeo)

Svantaggi:

• Stabilità più difficile

• Accuratezza di dosaggio legata all’abilità di utilizzazione del paziente

Preparazioni liquide per uso orale

I liquidi per uso orale sono soluzioni, emulsioni o sospensioni che contengono uno o più principi attivi in un
adatto veicolo.

• possono essere ingerite come tali o dopo diluizione

• possono essere preparati prima dell’uso, a partire da preparazioni liquide concentrate, da polveri,
granulati o compresse

• Possono contenere adatti antimicrobici, antiossidanti ed eccipienti

• Possono essere distribuiti in contenitori multidose o a dose unica

• Sono somministrati in volumi di 5 ml multipli, oppure in piccoli volumi (gocce)

Sciroppi
Sono preparazioni acquose caratterizzate da sapore dolce e da una consistenza viscosa. Gli sciroppi sono la
forma farmaceutica utilizzata per bambini, anziani e tutti quelli che hanno problemi di deglutizione.

POSSONO CONTENERE:

• Saccarosio, in concentrazione pari al45%

• Dolcificanti (mannitolo; glicerolo; sorbitolo)

• Aromatizzanti, servono per mascherare sapori e odori sgradevoli

Gli sciroppi vanno conservati in recipienti ben chiusi, per impedire l’evaporazione del solvente e la
conseguente cristallizzazione dello zucchero, e anche in alcuni casi al riparo della luce. Per gli sciroppi sotto
forma di emulsione o di sospensione è prescritta l’indicazione “Agitare prima dell’uso”.

Classificazione degli sciroppi

• sciroppo semplice, costituito da 665 g di saccarosio disciolto in 335 g di acqua; la densità dello sciroppo
semplice è 1,32 g/ml.

• sciroppi aromatizzati per la correzione del gusto: si impiegano di solito in pediatria, perché non
contengono etanolo. Ad es. sciroppo di limone: sciroppo semplice, acqua, acido citrico monoidrato, tintura
di limone.

• sciroppi medicati, costituiti da sciroppo semplice o aromatizzato, contenenti in soluzione uno o più
farmaci;

• sciroppi speciali, contenenti zuccheri diversi dal saccarosio o dai polioli. Il sorbitolo viene usato al posto
del saccarosio nelle preparazioni per diabetici. Il suo potere dolcificante è pari alla metà rispetto allo
zucchero. La F.U. prevede anche il glicerolo e il mannitolo.
• sciroppi senza zucchero, o pseudosciroppi, per altre controindicazioni allo zucchero si possono usare
pseudosciroppi, nei quali si ottiene il sapore dolce con una miscela 1:10 di saccarina e cicloesilsulfamato,
viscosizzando con agar-agar o metilcellulosa;

• sciroppi secchi o estemporanei, costituito dai vari costituenti dello sciroppo sotto forma di polveri o
granulato. Al momento dell’uso si introduce acqua potabile, fino al livello indicato, e si agita per sciogliere i
componenti;

• sospensioni ed emulsioni sciroppose, utili per medicamenti insolubili o poco solubili nel veicolo acquoso

Sciroppi Semplici

È formato solo da acqua depurata e saccarosio e serve come veicolo edulcorante per la preparazione di
sciroppi medicati. Il saccarosio è un disaccaride che in soluzione si idrolizza in glucosio e fruttosio, ed è uno
zucchero destrogiro. Tramite l’idrolisi però viene invertito il suo potere di ruotare il piano della luce
polarizzata e da destrogiro diventa levogiro.

Le soluzioni di zucchero invertito sono più facilmente aggredite dai microrganismi responsabili della
fermentazione degli zuccheri, però aumentando la concentrazione zuccherina si aumenta la pressione
osmotica e la densità dello sciroppo, e ciò evita lo sviluppo di microrganismi.

Se invece la soluzione e diluita bisogna ricorrere a conservanti

I sistemi dispersi
Sono soluzioni bifasiche costituite da, una fase dispersa distribuita in forma di goccioline o particelle
all’interno di una fase disperdente.

Questi sistemi li ritroviamo in molte forme farmaceutiche, utilizzata per via:

• parenterale

• orale

• rettale

• topica

I componenti di una dispersione, sono fase disperdente e fase dispersa, e entrambe possono esistere in
ciascuno dei tre stati della materia.

Sistemi colloidali
E’UN SISTEMA COSTITUITO DA UNA FASE DISPERDENTE ED UNA FASE DISPERSA COSTITUITA DA
AGGREGATI DI PARTICELLE
In base alle interazioni tra la fase disperdente e la fase dispersa possiamo distinguere, tre tipi di sistemi
colloidali:

 Colloidi Liofili, idrofili se il solvente è l’acqua


 Colloidi Liofobi, idrofobi se il solvente è l’acqua
 Colloidi di Associazione, sostanze che presentano sia caratteristiche idrofile che idrofobe

Le sostanze disperse in questi sistemi si muovono secondo moti Browniani, questi concorrono alla stabilità
del sistema senza far sedimentare le sostanze.

 più piccolo quanto più piccole sono le particelle;


 aumenta con la temperatura ( perché aumenta l’energia cinetica del sistema);
 quanto più è lento, tanto più la dispersione in esame si avvicina allo stato di sospensione;

Dialisi
In base alla loro dimensione, le particelle colloidali possono essere separate facilmente da molecole a basso
peso molecolare e da ioni (urea, glucosio, cloruro di sodio) È una tecnica simile all’ultrafiltrazione, in
questo caso però non viene applicata pressione, in quanto la forza motrice è rappresentata dalla differenza
di concentrazione tra le soluzioni ai due lati della membrana

Effetto Tyndall
Se si punta con un laser in una soluzione pura, il raggio luminoso la attraversa direttamente, invece se il
laser viene puntato contro un colloide (ad es. un gel) la luce viene diffusa in tutte le direzioni e il raggio non
riesce ad attraversare il contenitore che contiene il colloide. Ciò è dovuto dal fatto che il diametro medio
delle particelle disperse è maggiore della lunghezza d'onda della radiazione luminosa

Colloidi Liofili
Sistemi che contengono particelle colloidali che interagiscono in modo apprezzabile con il mezzo
disperdente, la fase dispersa consiste generalmente di grosse molecole organiche, e sono solvatate, cioè
sono associate con le molecole del mezzo disperdente. Se la fase dispersa si trova in concentrazioni elevate,
il sistema può diventare un GEL

Se all’interno del sistema sono presenti elettroliti solubili, si può ottenere la COAGULAZIONE del sistema.
Questo effetto è dovuto primariamente alla desolvatazione delle molecole liofile, che sono meno affini al
solvente rispetto agli elettroliti

Colloidi idrofobi (o liofobi)


Sistemi che contengono particelle colloidali che hanno scarsa affinità e attrazione per il mezzo solvente

La fase dispersa consiste di micelle di sostanze inorganiche. Poca o nulla interazione ( solvatazione) fra
particelle e mezzo disperdente

➢metalli (oro, argento)

➢zolfo

➢acido salicilico

➢sali (solfuri, argento ioduro)


Preparazione:si riducono le dimensioni delle particelle grossolane(mulini colloidali o generatori di
ultrasuoni); Metodi di condensazione, con i quali si induce l’aggregazione di particelle subcolloidali
(produzione di un arco elettrico)

Colloidi di associazione
Sono sistemi derivanti da molecole amfifiliche (molecole costituite da una porzione idrofila e idrofoba ) di
dimensioni molto piccole, che presenti a basse concentrazioni in un mezzo liquido tendono ad esistere
separatamente. Con l’aumento della concentrazione tali molecole formano degli aggregati di dimensioni
colloidali costituiti da più molecole, detti micelle.

Concentrazione Micellare Critica (CMC) = concentrazione minima della molecola alla quale si formano le
micelle. In soluzioni acquose la CMC è ridotta dall’aggiunta di ellettroliti. I sistemi colloidali sono usati come
eccipienti perché sono viscosizzanti e solubilizzanti.

Le principali dispersioni sono:

 Sospensioni
 Emulsioni
 Unguenti

Le Sospensioni
Le sospensioni farmaceutiche sono dispersioni in un liquido di un solido formato da particelle aventi un
diametro variabile da 0,5-1 µm a 100 µm e insolubili nel mezzo disperdente.

I vantaggi dal punto di vista farmaceutico sono:

• facile deglutizione

• mascheramento di eventuale sapore sgradevole;

• modifiche nel rilascio e nell’assorbimento;

• maggiore stabilità chimica rispetto ad una soluzione

Possono essere classificate in tre gruppi in base alla via di somministrazione:

➢ Sospensioni per uso orale

➢ Sospensioni per applicazioni topiche

➢ Sospensioni iniettabili

Le sospensioni devono possedere dei requisiti fondamentali:

1. Dispersione uniforme delle particelle: Flottazione


2. Sedimentazione assente o molto lenta
3. Le dimensioni delle particelle disperse deve essere inalterata
4. Stabilità
5. Aspetto sapore e odore gradevoli

Flottazione
Per ottenere la sospensione è indispensabile l’omogeneità di dispersione delle particelle, quindi che il
mezzo disperdente bagni bene le particelle solide disperse. Spesso può accadere che l’aria rimanga adesa
alle particelle e la polvere galleggia. Per ovviare a questo problema si utilizzano degli agenti bagnanti,
generalmente tensioattivi, che agiscono sulle particelle solide. Quantità eccessive di agente bagnante
possono però impartire alla preparazione odore e sapore sgradevole o provocare formazione di schiuma

Il potere bagnante dipende dall’angolo di contatto che si forma tra il solido e il liquido. Gli angoli inferiori a
90 gradi possiedono un buon potere bagnante, gli angoli superiore ai 90 gradi ha un basso potere bagnante

Controlli sulle sospensioni


Non esistono metodologie ufficiali per il controllo e la valutazione della stabilità delle sospensioni. I
parametri utilizzati sono:

 Granulometria, è importante evidenziare fenomeni di ingrossamento delle particelle, specialmente


per le prepara
 Sedimentazione, valutazione quantitativa della sedimentazione viene effettuata mediante cilindri
graduati, rilevando a tempi stabiliti l’altezza del deposito che si forma in condizioni di riposo
 Viscosità, si determina mediante viscosimetri rotazionali, in fase di produzione per verificare
differenze eventuali da lotto a lotto.
 Densità, si effettua con densimetri di precisione ed è importante per le preparazioni parenterali ed
oftalmiche

Emulsioni
Le emulsioni sono sistemi termodinamicamente instabili formate da almeno due fasi liquide immiscibili,
una delle quali è dispersa nell’altra sotto forma di goccioline è costituita da:

❖ fase dispersa

❖ fase disperdente

❖ emulsionanti

Tra i due liquidi immiscibili esiste una tensione definita come tensione interfacciale, maggiore sarà la
tensione interfacciale e maggiore dovrà essere l’energia da applicare alle soluzioni per creare un emulsione.

Gli emulsionanti sono sostanze che hanno la proprietà di ridurre la tensione interfacciale e quindi di
diminuire il lavoro necessario per ottenere la dispersione di un liquido in un altro, producendo film
interfacciali meccanicamente stabili.

Le emulsioni sono molto utilizzate in campo farmaceutico, per la somministrazione orale, rettale e
soprattutto topica di farmaci lipofili.

Tipi di Emulsioni
Emulsioni Acqua in Olio (A/O): Costituite da una fase acquosa interna ed una fase oleosa continua. Non
facilmente lavabili. Untuose sulla pelle con sensazione di calore (mancata evaporazione). Utili nei processi
di reidratazione di zone molto secche.

Emulsioni Olio in Acqua (O/A): Costituite da una fase oleosa interna ed una fase acquosa continua.
Facilmente lavabili e diluibili. Non untuose e con sensazione di freschezza.

Emulsioni Multiple (A/O/A o O/A/O): Nel primo caso la fase oleosa dispersa contiene al suo interno
minutissimi aggregati acquosi, nel secondo caso si verifica il contrario. Utilizzate per: veicolazione di sistemi
instabili, incremento nel rilascio dei componenti attivi

Emulsioni Acqua in Silicone (A/S): Costituite da una fase acquosa dispersa ed una fase siliconica continua.
Microemulsioni: Caratterizzate da diametri delle gocce di fase dispersa <100 nm, otticamente trasparenti e
termodinamicamente stabili, in quanto la tensione interfacciale tende a valori prossimi allo zero, grazie alla
presenza di un alcool a corta-media catena oltre all’agente tensioattivo.

Quando in una emulsione vi sono particelle con diametro > a 20 micrometri queste possono divenire centri
di coagulazione per le particelle più piccole, riunendosi con esse per formare goccioline sempre più grandi
che, sotto l’influenza della forza di gravità ed in base al loro peso specifico, tendono a salire o a depositarsi
sul fondo del sistema emulsionato

Una emulsione in cui tutte le particelle hanno diametro compreso tra 1 e 5 micrometri è più stabile, e per
questo è necessario il processo di omogenizzazione che ha lo scopo di uniformare la grandezza delle
particelle entro limiti di sicurezza

La stabilità fisica è uno dei parametri fondamentali dell’emulsioni, e quest’ultima deve essere garantita
durante tutto il suo periodo di validità. Principali fattori che influiscono sulla stabilità:

 scelta sbagliata del tipo e della quantità di emulsionante;


 rapporti sbagliati tra le fasi olio e acqua;
 reazioni di incompatibilità (tra i componenti o tra il prodotto finale e il contenitore);
 errata tecnica di agitazione;
 presenza di particelle troppo grossolane nella fase dispersa;
 eccessivo riscaldamento o raffreddamento;
 eccessivo assorbimento di aria;
 viscosità insufficiente;
 decomposizione degli emulsionanti;
 confezionamento improprio;
 immagazzinaggio improprio.

Instabilità delle emulsioni


Cremaggio: il cremaggio indica una situazione piuttosto comune nelle emulsioni fluide O/A e prende il
nome dal comportamento del latte, che in alcuni casi presenta uno strato di grasso in superficie. Nelle
emulsioni O/A le goccioline della fase dispersa tendono ad aggregarsi verso il basso, in seguito all’azione
della forza di gravità, che agisce diversamente sulle due fasi, favorendone la separazione. Generalmente il
cremaggio e la sedimentazione sono processi reversibili ed è possibile ripristinare la struttura
dell’emulsione agitando il prodotto;

Flocculazione: le particelle della fase dispersa si uniscono a gruppi tra loro separati da un sottile strato di
fase disperdente.

Coalescenza: è il fenomeno fisico attraverso il quale le gocce del liquido si uniscono per formare entità di
dimensioni maggiori, con la perdita del film originario;

Inversione di fase: si verifica quando una emulsione da olio in acqua si trasforma in emulsione acqua in
olio, o viceversa. Si determina ad esempio quando la concentrazione della fase interna va oltre un limite
massimo, oppure quando si aggiunge all'emulsione un elettrolita che reagendo con l'emulsionante, cambia
le caratteristiche dell'emulsione stessa.

Preparazione delle emulisioni


I componenti dell’emulsione vengono suddivisi in liposolubili ed idrosolubili

• si effettuano le singole pesate degli ingredienti, che vengono poi mescolati o sciolti a caldo (70-75°C) nei
rispettivi solventi.
• le due fasi vengono poi rapidamente mescolate sotto agitazione e si lascia raffreddare, sempre sotto
agitazione.

• l’emulsione grossolana (con globuli generalmente del diametro superiore a 10 µm) che si forma
inizialmente può venire poi raffinata in emulsione fine (con globuli del diametro di 2 µm), utilizzando ad
esempio un turboemulsore.

• i componenti termolabili (vitamine, profumazioni) vengono aggiunti dopo che la temperatura sia scesa al
di sotto dei 40°C

Gli strumenti utilizzati per la preparazione industriale delle emulsioni sono:

➢ agitatori semplici (ad ancora o ad elica), sia a bassa che ad alta velocità

➢agitatori di tipo turbina

➢ mescolatori vibratori, che possono essere magnetici o ad ultrasuoni;

➢ omogeneizzatori (turboemulsore);

➢ molini colloidali

Preparazioni semisolide per applicazione cutanea


Rappresentano la più comune forma farmaceutica per uso esterno. I requisiti fondamentali per il loro
impiego in campo dermatologico sono:

• compatibilità fisiologica degli eccipienti con la cute

• assenza di interazione degli eccipienti con i principi attivi

• comportamento reologico che consenta facile spalmabilità e agevole estrusione

Gli eccipienti che possono essere impiegati per l’allestimento di queste preparazioni sono riportati nella
Farmacopea Europea. Le principali sostanze semisolide per applicazione cutanea sono:

➢ Unguenti

➢ Creme

➢ Geli

➢ Paste

➢ Cataplasmi

Unguenti
Preparazioni semisolide di aspetto omogeneo, destinati all’applicazione esterne, sulla cute o su mucose.
Possono essere preparati per:

 Levigazione i componenti solidi vengono levigati su una piastra con una spatola, aggiungendo
porzioni successive di eccipiente semisolido;
 Fusione i componenti vengono fusi a calore non elevato, agitando fino a raffreddamento.

In base ai differenti eccipienti si possono distinguere:

unguenti idrofobi (non possono assorbire acqua)


unguenti che emulsionano acqua

unguenti idrofili (preparazioni che hanno basi miscibili con l’acqua)

Creme
Sono forme farmaceutiche semisolide contenenti una o più sostanze disciolte o disperse in una opportuna
base.

•Creme idrofile (emulsioni O/A, rappresentano in farmaceutica il tipo più comune di


preparazionisemisolide per uso topico)

•Creme idrofobe ( emulsioni A/O)

Nelle creme idrofobe A/O generalmente non sono previsti conservanti, in quanto la fase acquosa non è a
diretto contatto con l’ambiente esterno. Se nella preparazione sono presenti lipidi insaturi, è opportuna
l’introduzione di un antiossidante. Nelle creme idrofile O/A è indispensabile la presenza di conservanti. I più
comuni sono:

 esteri dell’acido p-idrossibenzoico (parabeni)


 acido benzoico
 sodiobenzoato
 potassio sorbato

Geli
Sono preparazioni semisolide costituite da sistemi dispersi solido-liquido, la cui fase dispersa forma un
reticolo tridimensionale che trattiene la fase disperdente liquida. Viene definito punto di gelificazione la
concentrazione di agente gelificante al di sotto della quale il gel non si forma; superato questo valore si ha
un repentino aumento della viscosità del sistema, con formazione del gel.

•Geli plastici ( gli idrogeli, si ottengono con gelatina, pectine o derivati della cellulosa)

•Geli elastici (che subiscono trasformazioni reversibili)

•Geli rigidi (che non subiscono deformazioni, come i geli di silice ottenuti per acidificazione di una soluzione
concentrata di silicato sodico con acido cloridrico: l’acido o-salicilico, che si forma inizialmente, crea
rapidamente un polimero per eliminazione di acqua e si forma un reticolo tridimensionale.

A questi sistemi si aggiunge sempre un preservante (parabeni allo 0,2%, acido benzoico allo 0,2%
clorocresolo allo 0,2%) soprattutto nelle formulazioni con derivati naturali.

Agenti gelificanti
Gli agenti gelificanti possono essere suddivisi in diverse classi:

 gomme naturali, che sono estratti vegetali o essudati di piante, costituite da polisaccaridi naturali
(gomma adragante, gomma xantan). Contengono sempre un adatto conservante, in quanto
soggette a degradazione microbica.
 alginati, si ottengono dalle alghe brune. Sono polimeri che contengono in varie proporzioni acido
mannuronico e acido guluronico, il più usato è l’alginato di sodio
 carraghenani, si ottengono dalle alghe rosse, sono costituiti da miscele di esteri del galattosio
polimerizzato e del 3,6-anidrogalattosio
Pectine (eteropolisaccaride)
 -Carbomer , polimeri acrilici reticolati con eteri polialchenilici (Carbopol)
 derivati della cellulosa
 polietilene e suoi copolimeri, utilizzati per gelificare liquidi lipofili
 -silice microcristallina, argille come bentonite e caolino
 Gelatina

Paste
Sono sistemi dispersi in cui la fase dispersa è costituita da un solido e la fase disperdente è un veicolo sia
acquoso che untuoso. L’elevata percentuale di solido disperso, compresa tra il 30 e il 70%, conferisce al
sistema una consistenza plastica, ciò è anche dovuto dal riempimento degli spazi vuoti che ci sono tra le
particelle con l’acqua.

Sono utilizzate soprattutto per le loro proprietà adsorbenti e possono anche avere una azione locale
antisettica, infatti tra i principi attivi veicolati troviamo zolfo, acido salicilico, acido borico.

Altre forme di dosaggio semisolide


Impiastri medicati:
Sono preparazioni flessibili (cerotti medicati) che contengono uno o più princìpi attivi. Sono destinati ad uso
topico e sono preparati per mantenere i princìpi attivi in stretto contatto con la pelle così che possono
essere assorbiti lentamente oppure agire comeprotettivi o cheratolitici.

Schiume medicate:
Le schiume medicate si formano generalmente al momento della somministrazione da una preparazione
liquida contenuta in un contenitore pressurizzato, dotato di un dispositivo costituito da una valvola e da un
tasto a pressione, adatto per l'erogazione della schiuma.

Le schiume medicate destinate ad essere impiegate su pelle gravemente lesa e su ferite aperte, sono sterili.

Cerotti transdermici
La somministrazione di attivi destinati alla pelle avviene in genere tramite formulazioni semisolide tipo
unguenti, gel o creme. Queste forme farmaceutiche, non permettono di avere un controllo riproducibile del
quantitativo di principio attivo assorbito in quanto la quantità di crema usata e la superficie su cui essa
viene spalmata non può essere mai la stessa.

“I cerotti transdermici sono preparazioni farmaceutiche flessibili di varie dimensioni, contenenti uno o più
principi attivi, da applicare sulla pelle integra per rilasciare il o i principi attivi alla circolazione sistemica,
dopo aver attraversato la barriera cutanea”

Tipologie di Cerotti transdermici


• Drug in adhesive
Il principio attivo è disperso direttamente nello strato dell’adesivo (polimeri acrilici o siliconici) cha ancorerà
il cerotto all’epidermide. E’costituito da:

 Release Liner protettivo da rimuovere prime dell’utilizzo


 Matrice adesiva
 Backing protettivo che evita la dispersione dell’attivo verso l’intero
• Drug in matrix (sitemi monolitici)
L’attivo è inglobato in uno strato di matrice monolitica polimerica (semisolida o liquida), posizionato tra la
copertura posteriore (backing layer) e l’adesivo. La matrice polimerica oltre a contenere il farmaco ne
controlla anche la velocità di rilascio.

 Backing protettivo che evita la dispersione dell’attivo verso l’interno


 Matrice polimerica
 Strato adesivo
 Release liner

Drug in reservoir
Sono costituiti, partendo dall'esterno verso la pelle, dallo strato posteriore di chiusura, dallo strato che
funge da serbatoio (liquido o semisolido) contenente il P.A., da una membrana polimerica e dallo strato
adesivo. Il compito della membrana è quello di controllare la velocità di rilascio del principio attivo verso la
pelle .

Principi di Reologia ( da completare)


La reologia studia le proprietà di scorrimento della materia, non solo dei corpi spontaneamente scorrevoli,
ma anche di quelli che possono essere indotti al movimento grazie all’azione di forze esterne. In campo
farmaceutico la reologia è particolarmente importante per ciò che riguarda la consistenza, la spalmabilità e
la stabilità delle preparazioni semisolide.

Le sostanze che si deformano facilmente e reversibilmente vengono detti ELASTICI e la tensione e


direttamente proporzionale alla sollecitazione.

Mentre il corpo solidi o semisolidi sono detti viscosi questi sono deformabili irreversibilmente e la
sollecitazione è direttamente proporzionale al gradiente di velocità

Suppositori ed ovuli
Supposte
Sono preparazioni solide, a dose unica che contengono uno o più principi attivi. La forma ogivale permette
la somministrazione per via rettale, lunghezza 2,5-3,5 cm e di peso 2-3 g per adulti e circa 1 g per uso
pediatrico. Sono utilizzate nelle terapie infantile.
Le supposte una volta somministrate arrivano nell’ampolla rettale che contiene un liquido, il cui pH (7.2),
non essendo tamponato, varia in funzione della natura dell'eventuale medicamento introdotto.

Le mucose rettali sono riccamente vascolarizzate dalle vene emorroidarie inferiori, medie e superiori; le
prime due conducono direttamente nel circolo generale, mentre le vene superiori attraversano il fegato.

I vantaggi di questa formulazione sono dunque riassumibili nella facilità di somministrazione ai bambini,
nell'evitare l'inattivazione dei succhi gastrici ed in un buon assorbimento.

Il principio attivo viene rilasciato dalla supposta solo dopo liquefazione della stessa. E’ ciò dipende dal
punto di fusione di un eccipiente lipofilo o la velocità di dissoluzione di un eccipiente idrosolubile nella
secrezione rettale sono i parametri fondamentali dell’assorbimento.

L’eccipiente conferisce quindi certe proprietà alla supposta in quanto esso regola la disponibilità del
farmaco a seconda del tipo di azione terapeutica cui è destinato:

 Se è richiesta un’azione locale dovremmo impiegare un eccipiente in grado di fornire un rilascio


continuo ma prolungato nel tempo;
 se è richiesta un’azione sistemica (che si estende a tutto il corpo) sarà richiesto un rilascio rapido ed
intenso.

Eccipienti delle supposte


MASSE LIPOFILE
Miscele di gliceridi con una temperatura di fusione 33-35°C:

Burro di cacao, ottenuto per pressione a caldo di semi di Theobroma cacao L

Adeps solidus , secondo F.U: “miscela di trigliceridi, digliceridi e monogliceridi ottenuta per esterificazione
di acidi grassi di origine naturale con glicerolo oppure mediante transesterificazione di grassi naturali”

Witepsol di cui possiamo riconoscere diversi tipi:

H, con basso numero di ossidrile (5-15), costituito prevalentemente da trigliceridi (es. H15, con t di fusione
33,5-35,5°C).

W, n di ossidrile20-25 con più monogliceridi.

S, contenente emulsionanti non ionici, che incrementano l’assorbimento.

E, con t di fusione superiore alla corporea, adatto per farmaci che abbassano la t di fusione delle supposte.

MASSE IDROSOLUBILI
Polietilenglicoli (PEG), in funzione del peso molecolare hanno consistenza differente:

 200-600= liquidi,
 1000-2000= solidi cerosi,
 4000-6000=solidi

(Macrogol, una miscela di uso frequente è costituita dal 40% di PEG 400 e dal 60% di PEG 4000). Hanno t di
fusione superiore a quella corporea. Il farmaco viene rilasciato per dissoluzione nella secrezione acquosa
dell’ampolla rettale.

Vantaggi:

• buone proprietà solventi per molti farmaci,

• bassa tossicità,
• buona stabilità al calore,

• buona solubilità in acqua,

• non sono soggetti a sviluppo microbico.

Svantaggi:

• possibilità di crepe,

• indurimento con il tempo,

• non sono del tutto inerti formano complessi insolubili con molti attivi.

• sono igroscopici e vanno ben protetti dall’umidità per non avere rammollimento.

Gelatina glicerinata

E’costituita da un gel di gelatina, traslucida ed elastica, che diventa fluida a 50°-70°C a seconda della
percentuale dei componenti: gelatina, acqua e glicerina (la Farmacopea indica gelatina 10%, acqua 25% e
glicerina 65%). E’ l’eccipiente di elezione degli ovuli perché si scioglie gradualmente nelle secrezioni
cedendo lentamente e con gradualità i farmaci incorporati. E’ di raro uso per le supposte perché di
disagevole applicazione e stimola l’evacuazione

Preparazione delle supposte


Il metodo universalmente seguito è quello per fusione, che prevede:

• la fusione dell’eccipiente (anche per gli idrofili) alla temperatura più bassa possibile,

• la dispersione dei farmaci nella massa fusa,

• la colata della massa fusa negli stampi,

• la solidificazione delle supposte.

Solo un limitato numero di principi attivi è in grado di andare in soluzione nell’eccipiente. Nella maggior
parte dei casi vengono dispersi come sospensione (o emulsionati se liquidi) essendo insolubili o
parzialmente solubili nell’eccipiente

Preparazione delle supposte


• l’eccipiente viene fuso alla temperatura più bassa possibile, fatto ciò l’ eccipiente fuso è messo nello
stamo

• Lo stampo non deve essere eccessivamente freddo per non causare una solidificazione troppo rapida che
può portare a fessurazioni e rotture della supposta. La massa fusa, mantenuta omogenea per continua
agitazione, viene colata negli stampi che sono stati precedentemente puliti per immersione in acqua calda e
lubrificati con un lubrificante di natura diversa da quella dell’eccipiente. Una quantità eccessiva di
lubrificante porta al suo accumulo al fondo dello stampo (difetti sulla punta), una quantità insufficiente può
provocare rottura della supposta per eccessiva adesione allo stampo. Dopo la colata lo stampo va lasciato
raffreddare (anche in frigo) per almeno 30 min
CALCOLO DELLA QUANTITA’ DI ECCIPIENTE

• Se le supposte hanno lo scopo di svolgere una azione locale (es. azione anesteticalocale,
antinfiammatoria, stimolante la defecazione) non presentano problemi nel calcolo della massa
dell’eccipiente. In questi casi è come nelle pomate, è importante la concentrazione ma non la dose assoluta
(naturalmente entro certi limiti).

Quando le supposte contengono farmaci ad azione sistemica, la dose è invece determinante. In questi si
deve quindi calcolare la quantità di eccipiente che unita alla dose di farmaco occupa il volume di uno
stampo.

• Ci sono due casi:

A) Se la dose di farmaco è piccola (< 50 mg) si ricorre alla taratura dello stampo colando supposte di solo
eccipiente, pesandole dopo solidificazione ricavando il peso di eccipiente contenuto in una supposta (si
considera che il volume occupato dall’attivo è trascurabile rispetto al volume della supposta.

B) Se il volume di farmaco deve essere pesato si utilizzano i fattori di sostituzione. Il fattore di sostituzione
del principio attivo nei confronti di un dato eccipiente è la quantità in grammi di eccipiente il cui volume
corrisponde al volume di 1 grammo di farmaco.

Ovuli
Hanno forma ovoidale, volume e consistenza idonei per l’inserimento vaginale e peso da 1 a 15 g. Svolgono
azione locale su vagina ed utero. La ricca vascolarizzazione della vagina rende possibile l’assorbimento di
farmaci se il principio attivo è presente in concentrazioni massive ciò può portare ad effetti indesiderati.

E’ importante la scelta dell’eccipiente:

• L’eccipiente deve consentire una lenta e continua cessione del p.a., tale da mantenere a livello di mucosa
una concentrazione sufficiente e per un tempo sufficientemente lungo. Inoltre non deve fondere mettendo
rapidamente mettendo in libertà i farmaci poiché la massa liquefatta verrebbe drenata rapidamente e
potrebbe inoltre produrre effetti indesiderati di assorbimento del farmaco. Gli eccipienti migliori sono quelli
che non fondono alla temperatura corporea, ma che si sciolgono gradualmente nella secrezione vaginale.
L’eccipiente classico è la gelatina glicerinata. Altri eccipienti idonei sono miscele di polietilenglicoli o
eccipienti lipofili, come quelli destinati alla preparazione di supposte. La preparazione viene effettuata per
fusione come per le supposte, colando la massa in stampi di forma e volume idonei.

Saggi F.U.
Uniformità di massa e di contenuto
• Si prelevano a caso 20 supposte dal lotto di produzione. Non più di 2 supposte possono presentare uno
scarto sulla massa superiore al 5%-10%. Se la dose unitaria di farmaco è inferiore ai 2 mg o inferiore al 2%
della massa totale, si effettua il saggio di uniformità di contenuto.

Uniformità di contenuto

Si prelevano casualmente 10 supposte e su ciascuna si determina il contenuto con un metodo analitico


idoneo (ripreso da monografia F.U.).

Disaggregazione
Tale saggio serve ad accertare se le supposte rammolliscono a 37°C entro un tempo previsto. Si prelevano a
caso 3 supposte e ciascuna viene introdotta in un idoneo dispositivo e immersa in un bagno d’acqua a 36-
37°C. Ogni 10 min l’apparecchio viene capovolto.

La disaggregazione è considerata raggiunta se:

• dopo 30 min se le supposte sono lipofile,

• dopo 60 min se hanno eccipiente idrofili,

• dopo il tempo indicato nella specifica monografia

la disgregazione della supposta è completa se la supposta è rammollita cambiando forma, senza la


permanenza di un nucleo solido.

Dissoluzione

Il saggio accerta la velocità alla quale la supposta rilascia il farmaco nell’acqua a37°C. Viene utilizzato
l’apparecchio a flusso continuo della F.U. per le supposte.

Determinazione del tempo di rammollimento delle supposte lipofile


Il saggio determina, in condizioni stabilite, il tempo che passa prima che una supposta, mantenuta in acqua,
rammollisca ad un punto tale che non offra più resistenza quando venga applicato un peso definito .

Resistenza alla rottura

Si applica a supposte ed ovuli con eccipienti grassi. Determina, in condizioni definite, la resistenza alla
rottura di supposte ed ovuli, misurata dalla massa necessaria per romperli per pressione.

Le Soluzioni estrattive
Possiamo distinguere 2 tipi di tecniche estrattive:

 A caldo= macerazione; percolazione; spremitura


 A freddo=digestione; infusione; distillazione; decozione

Tecniche estrattive a freddo


Macerazione= Consiste nel ridurre il materiale da estrarre in pezzi di grandezza appropriata e nel
mescolarlo uniformemente con il solvente di estrazione prescelto. La miscela viene lasciata a temperatura
ambiente, in recipiente chiuso, per un certo tempo e mescolando se necessario. Il residuo viene poi
separato dal solvente per filtrazione. La macerazione viene come tecnica preventiva prima della
percolazione

Percolazione=Consiste nell’estrazione dei principi solubili con un appropriato solvente utilizzando un


contenitore detto percolatore. La droga, ridotta in pezzi o in polvere, umettata con il solvente, viene
trasferita nel percolatore. Si lascia quindi fluire il percolato lentamente, tenendo sempre il materiale
coperto dal solvente, fino ad esaurimento della droga.

Spremitura= È utilizzata per quelle droghe aromatiche che contengono gli oli essenziali in cellule superficiali
ed in grande quantità come i frutti. Per l’estrazione si procedere come segue: la buccia del frutto fresco
viene posto in sacchetti. Questi vengono sottoposto a forte pressione in particolari torchi a mano oppure
idraulici. L'azione meccanica conseguente alla pressione, provoca la rottura delle cellule oleifere e la
fuoriuscita dell'olio essenziale che viene quindi raccolto.
Tecniche estrattive a caldo
Digestione= È un processo di macerazione della droga che viene effettuato a caldo, senza superare i 50°C,
Può essere utilizzata solo per principi termostabili.

Infusione= Si realizza versando sulla droga, opportunamente suddivisa, acqua purificata alla temperatura di
ebollizione, e lasciando poi la droga a contatto con l’acqua per un tempo più o meno lungo fino a
raffreddamento del liquido. Quindi si filtra attraverso garza o ovatta

Decozione= Si realizza facendo bollire in acqua la droga polverizzata e si applica solo a droghe che non
contengono attivi volatili. Si applica a tessuti compatti e poco permeabili (corteccia, radici, semi),
l’ebollizione prolungata può produrre trasformazioni irreversibili, con formazione di prodotti
farmacologicamente inattivi o con attività diversa da quella desiderata.

Estrazione in continuo con Soxhlet


L’estrazione con Soxhlet è un processo che permette di separare i componenti di un solido sfruttando la
loro diversa solubilità. L’apparecchiatura comprende:

• un pallone, disposto in un mantello riscaldante o su altra fonte di calore

• il sifone estrattore Soxhlet

• un refrigerante «a ricadere»

• un termometro per il controllo della temperatura

All’interno dell’estrattore è collocata una cartuccia in carta da filtro, in cui si pone il materiale solido da
estrarre. Il solvente che si trova nel pallone è riscaldato, e i vapori che si generano arrivano fino al
refrigerante, dove scorre un liquido freddo, che trasforma il vapore in piccole goccioline che ricadono sul
campione ed estraggono le sostanze solubili. Le gocce di solvente contenente le sostanze ricadono nel
pallone, e il solvente viene di nuovo riscaldato per effettuare una nuova estrazione.

Secondo la Farmacopea Europea le Herbal drugs sono: “piante intere, frammentate o tagliate, parti di
piante, alghe, funghi, licheni in uno stato non trattato, generalmente in forma essiccata,

Per scopi terapeutici:

• devono essere trasformate e confezionate in idonee forme farmaceutiche;

• possono essere somministrate come tali in forma di polveri più o meno fini;

• possono essere impiegate per ottenere soluzioni estrattive e altre forme di somministrazione;

• non viene mai adoperato il principio attivo puro, ma il fitocomplesso, costituito dall’insieme di tutte le
sostanze, farmacologicamente attive e non, dal quale derivano le proprietà farmacologiche e tossicologiche
della pianta;

• è necessario conoscere la composizione quali-quantitativa della droga vegetale, le caratteristiche chimico-


fisiche del o dei principi attivi ai quali è dovuta l’attività terapeutica (scelta del solvente), la forma di
somministrazione più idonea per ottimizzare la biodisponibilità e quindi l’effetto desiderato;

La farmacopea descrive le droghe vegetali come prodotti botanici, questi devono rispettare i Saggi descritti
in Farmacopea:

 Elementi estranei. Il contenuto di elementi estranei non può superare il 2% m/m.


 Perdita all’essiccamento. Si effettua se non diversamente prescritto nelle singole monografie. Perle
droghe con un alto contenuto di essenza, si può determinare il contenuto di acqua in luogodella
perdita all’essiccamento (non più del 10%).
 Pesticidi. È opportuna la conoscenza della documentazione completa del trattamento del lottodella
pianta.
 Contaminazione microbica. Raccomandazioni a riguardo sono riportate nel testo “Qualità
microbiologica delle preparazioni farmaceutiche”.
 Sostanze estraibili
 Indice di rigonfiamento e Indice di amarezza
 Metalli pesanti
 Aflatossine
 Contaminazione radioattiva

Tisane
Le tisane sono costituite esclusivamente da una o più droghe vegetali destinate a preparazioni acquose
orali ottenute per decozione, infusione o macerazione. La preparazione viene effettuata immediatamente
prima dell’uso.

Le piante per tisane sono immesse in sacchetti e devono soddisfare il saggio di uniformità di massa: si
determina la massa media di venti unità scelte a caso. Si pesa ogni singolo sacchetto pieno, lo si svuota
completamente utilizzando. Si pesa poi il sacchetto vuoto e si calcola la massa per sottrazione. La massa
singola di non più di due sacchetti su venti può deviare dalla massa media di una percentuale riportata nella
tabella della F.U. (in base al peso della massa media), e la massa del contenuto di nessuna unità può
deviare più del doppio di questa percentuale.

PREPARAZIONE

• Setacciatura di droghe per miscele per tisane

• Miscelazione di droghe per tisane

• Si utilizzano 10-20 g di droga per litro di soluzione di tisana, utilizzando acqua potabile

Estratti
Sono preparazioni di consistenza liquida (estratti liquidi e tinture), semisolida (estratti molli e oleoresine) o
solida (estratti secchi), ottenuti da droghe vegetali o da materiale di origine animale, generalmente allo
stato essiccato. Se nella fabbricazione di medicinali sono utilizzati estratti di origine animale, sono applicati i
requisiti della F.U. Sicurezza virale. Le droghe vegetali, i materiali di origine animale e i solventi organici
utilizzati per la preparazione degli estratti sono presentati nelle pertinenti monografie della F.U

Estratti fluidi
Sono preparazioni liquide preparati usando etanolo a concentrazione idonea o acqua per estrarre la droga
o il materiale di origine animale, o disciogliendo l’estratto molle in etanolo ad opportuna concentrazione o
in acqua

SAGGI

• densità relativa;

• contenuto di etanolo;

• metanolo e 2- propanolo: non più dello 0,05% V/V di metanolo e non più dello 0,05% V/V di 2-propanolo;
• residuo secco

Vanno conservati al riparo dalla luce.

Estratti molli
Sono preparazioni semisolide ottenute per evaporazione o parziale evaporazione del solvente usato per
l’estrazione. Per l’estrazione si impiega solo etanolo di idonea concentrazione o acqua. Il processo di
concentrazione è spinto fino ad ottenere una consistenza paragonabile a quella del miele; sono da 2 a 6
volte più concentrati rispetto agli estratti fluidi; possono contenere appropriati conservanti antimicrobici.
Ormai praticamente scomparsi e mai usati come tali, rientravano nella composizione di pillole, supposte o
unguenti.

SAGGI

• residuo secco: di solito non inferiore al 70% m/m;

• solventi

Estratti secchi
Sono preparazioni solide ottenute per evaporazione del solvente usato per la loro preparazione. Hanno una
perdita all’essiccamento non superiore al 5% m/m, a meno che nella monografia non sia diversamente
indicato o sia prescritto un saggio per l’acqua.

Tinture
Le tinture sono preparazioni liquide ottenute generalmente usando una parte di droga vegetale o di
materiale animale. Si preparano per macerazione, per percolazione o altri metodi convalidati, usando come
solvente alcol di opportuna concentrazione. Si classificano in semplici o composte. Sono generalmente
limpide, ma lasciate a riposo possono formare un leggero deposito. Si conservano a riparo dalla luce.

Alcolaturi
Sono forme farmaceutiche non riportate in F.U., ottenute per macerazione in alcol di droghe Fresche. Si
impiega di solito alcol etilico a 95°, che viene diluito dall’acqua contenuta nella pianta fresca. Gli alcolaturi
sono preparati per macerazione di piante fresche che perderebbero in parte o del tutto i componenti attivi
se sottoposti ad essiccamento. La Farmacopea francese riporta gli alcolaturi di limone e di arancio, ottenuti
trattando le scorze con alcol a 80° nel rapporto di 1:2. Sono impiegati come correttivi. Gli alcolaturi
stabilizzati si preparano estraendo la pianta fresca con alcol bollente. Sono detti così in quanto il
riscaldamento, oltre a favorire l’estrazione, provoca denaturazione degli enzimie quindi stabilizzazione di
principi attivi

Alcolati, enoliti, oleoliti, oleoresine


Gli alcolati si ottengono dalla distillazione su bagnomaria del macerato alcolico della pianta Secca o fresca.
Questa tecnica fornisce un prodotto ricco di sostanze volatili e solubili in alcol (oli essenziali). La VI edizione
della F.U. riporta il procedimento: la pianta viene tenuta a macerare in alcol a 60° o 90 per 1-4 giorni.
Terminata la macerazione si filtra e si distilla a bagnomaria. Il prodotto deve essere conservato in bottiglie
ben chiuse di vetro scuro.

Gli enoliti o vini medicinali si ottengono utilizzando il vino come solvente di estrazione. Si ottengono per
macerazione (10-15 giorni) di droghe secche. Hanno però limiti diconservabilità.

Gli oleoliti o oli medicati si ottengono per digestione della droga con un olio vegetale, solitamente di oliva.
Si possono ottenere anche per spostamento, cioè estraendo prima le sostanze lipofile con etere,
evaporando la soluzione e sciogliendo il residuo in olio. Gli oleoliti sono poco stabili.
Le oleoresine sono estratti semisolidi composti da una resina in soluzione in una essenza e/o olio grasso. Si
ottengono per evaporazione del o dei solventi utilizzati per la loro produzione.

Succhi vegetali
I succhi sono preparati erboristici di grande interesse terapeutico, ottenuti meccanicamente per pressione
delle piante fresche, previamente frammentate. Sono costituiti dal liquido presente nei tessuti vegetali, in
cui sono disciolti anche i principi attivi. L’estratto che si ottiene è molto più completo di quello ottenuto con
l’impiego dei solventi. I prodotti industriali ( di carota, ginepro, crescione, ortica,aglio, carciofo) sono oggi in
commercio sotto vuoto, senza aggiunta di conservanti (e di coloranti) e vengono somministrati a cucchiai,
più volte al giorno.

La distillazione
La distillazione è il processo di separazione dei componenti di una miscela liquida mediante vaporizzazione
e permette di ottenere componenti puri, se sono volatili. A differenza dell’evaporazione, la distillazione
mira al recupero del condensato, come avviene ad esempio nella produzione di acqua distillata. La
distillazione può essere:

 in equicorrente, quando il condensato è trasferito nella direzione del solvente;


 in controcorrente (frazionata) quando parte del vapore condensato ritorna alla caldaia muovendosi
in direzione opposta e consentendo il contatto tra le due fasi in movimento. Tale processo viene
anche chiamato rettificazione o frazionamento.

Le metodiche di distillazione sono differenziabili in base alla composizione del liquido da distillare.

Liquidi costituiti da un solo componente


La tensione di vapore è la misura della tendenza di ogni liquido a passare allo stato di vapore.

I punti di ebollizione di un liquido possono essere posti in diagramma in funzione della pressione: si ottiene
una curva in cui appare che la tensione di vapore dell’acqua aumenta all’aumentare della temperatura, il
grafico si interrompe intorno ai 370°C, più precisamente a 373,9°C. Tale valore è caratteristico dell'acqua ed
ha il nome di temperatura critica. Esso costituisce la temperatura massima alla quale può esistere la fase
liquida. Oltre tale temperatura la fase liquida non è più accessibile.
La distillazione di un solvente puro da una soluzione è il metodo più utilizzato per la produzione di acqua
per uso farmaceutico. Possiamo ottenere:

Acqua deionizzata: è ottenuta per eliminazione dei sali minerali comunemente disciolti acqua potabile,
mediante l’impiego di resine scambiatrici di ioni, ma può contenere inquinanti biologici;

Acqua distillata, a basso contenuto di elettroliti e di anidride carbonica e pressoché priva di sostanze
organiche, è molto usata in campo farmaceutico, ma non garantisce completa sterilità e apirogenicità;

Acqua bidistillata, sterile ed apirogena, viene utilizzata per la produzione di preparazioni iniettabili. Nella
Farmacopea Italiana ed in quella Europea la distillazione è indicata come unico processo accettato per la
produzione di acqua per preparazioni iniettabili, anche se è sempre prevista la successiva sterilizzazione del
preparato in fase di produzione.

Distillatore a termocompressione
Il ciclo comprende tre fasi:

1) produzione di vapore mediante ebollizione dell’acqua posta nella caldaia;

2) compressione del vapore, mediante una pompa, e il suo invio in uno scambiatore di calore
(condensatore/evaporatore), posto all’interno della caldaia;

3) condensazione del vapore.

Questo apparecchio è molto utilizzato per la produzione di acqua distillata in grande scala, ma non per la
produzione di acqua bidistillata. Questa viene prodotta tramite bidistillatori, il cui funzionamento è analogo
a quello di un semplice distillatore a vetro, nel quale il processo è ripetuto due volte.

Generalmente l’acqua destinata alla distillazione viene prima deionizzata, poi successivamente trattata
mediante il distillatore a vetro ( il vetro usato in questo genere di distillatori è di tipo I, cioè di borosilicato,
con ridotte cessioni alcaline) e il distillatore a termocompressione .

Miscele costituite da liquidi miscibili


In una miscela di due liquidi completamente miscibili, la pressione di vapore dipende dalla composizione
della miscela e della pressione di vapore dei due componenti, “a temperatura costante, la tensione di
vapore parziale di uno dei componenti è proporzionale alla sua quantità nel liquido”.

Miscele azeotropica
Una miscela azeotropica è una miscela di due o più liquidi, si forma quando tra le molecole delle due o più
sostanze che lo compongono si manifestano fenomeni di attrazione o repulsione dovuti alla formazione di
legami intermolecolari. Tali legami provocano uno scostamento del comportamento della miscela dalle
condizioni di idealità definite dalla legge di Raoult.
L'azeotropo può presentare un punto di ebollizione più basso o più alto di ognuno dei componenti della
miscela. Nel primo caso viene detto azeotropo bassobollente o azeotropo positivo, nel secondo azeotropo
altobollente o azeotropo negativo.

Nel caso di miscele azeotrope con la semplice distillazione non ci riesce ad ottenere un componente puro; si
possono però utilizzare diverse tecniche per risolvere il problema. Una di queste è data dall’aggiunta di un
terzo componente che forma anch’esso un azeotropo con i componenti iniziali. Per esempio possiamo
ottenere l’alcol etilico con una purezza maggiore del 95% introducendo nella miscela acqua-etanolo un
terzo componente come il benzene. Il benzene forma con acqua ed etanolo un azeotropo che bolle ad una
temperatura inferiore rispetto a quella della miscela acqua/etanolo. La tecnica quindi prevede l’aggiunta di
una quantità di benzene necessaria ad intrappolare tutta l’acqua. L’azetropo tra acqua e benzene ha punti
di ebollizione inferiori e quindi vengono allontanati più facilmente e otteniamo cosi l’etanolo puro

Distillazione in controcorrente
Tale tecnica è utilizzata per separare miscele con componenti che presentano punti di ebollizione vicini.

Appena il vapore proveniente dalla miscela in ebollizione entra nella colonna di frazionamento, esso inizia a
raffreddarsi ed a condensare. Il componente più altobollente (il liquido meno volatile) tende a condensare
maggiormente. Il componente più bassobollente (più volatile), il liquido, sale maggiormente lungo la
colonna. Gradualmente risalendo la colonna, i due componenti si separano l'uno dall'altro così che il liquido
meno volatile condensa e ricade nel bollitore mentre il componente più volatile si distilla e viene raccolto.
Per aumentare l'efficienza della separazione della lunga colonna di frazionamento, questa viene
generalmente riempita con perline di vetro, piccoli tubetti di vetro, anelli di vetro, ecc, i quali aumentano
considerevolmente la superficie destinata al contatto fra il liquido ed il vapore.

L'importanza della colonna di frazionamento può essere chiarita esaminando come il processo distillativo
viene migliorato rispetto alla distillazione semplice.

Supponiamo di portare ad ebollizione una miscela di composizione. Il vapore liberato dal liquido in
ebollizione sarà più ricco nel componente più volatile .

distillazione frazionata (prima fase)


Questo vapore ora inizia a risalire lungo la colonna di frazionamento la cui temperatura diminuisce con
l'allontanarsi dal bollitore: appena il vapore raggiungerà la zona della colonna dove la temperatura si è
ridotta al suo punto di condensazione, inizierà a gocciolare per riformare il liquido. Questo liquido che
gocciola, incontrando il vapore che risale lungo la colonna di frazionamento, si riscalderà e riprenderà
quindi ad evaporare.

distillazione frazionata (seconda fase)


Questo vapore inizia a risalire lungo la colonna fino a ripetere il processo precedente.

il vapore

Il vapore (del componente più volatile) risalirà lungo la colonna di frazionamento fino a raggiungere la
temperatura alla quale può condensare. l'intero processo si ripete (per il componente meno volatile) e poi.

Ogni volta che il vapore condensa in un liquido, questo liquido prende a gocciolare giù per la colonna dove
sarà riscaldato dal vapore caldo che sopraggiunge. Ogni volta che questo accade il nuovo vapore sarà più
ricco del componente più volatile.

La finalità è equilibrare la temperatura della colonna in modo che al momento in cui il vapore raggiunge la
parte superiore dopo un gran numero di processi di condensazione ed evaporazione, sia costituito soltanto
dal componente più volatile
Ciò, dipende dalla differenza fra i punti di ebollizione dei due liquidi: quanto più sono vicini tra loro, tanto
più deve essere lunga la colonna.

il liquido

se il vapore è più ricco di componente più volatile, il liquido residuo deve diventare più ricco del
componente meno volatile.

Appena il liquido condensato gocciola giù per la colonna, viene rinviato su come vapore e ciascuna
evaporazione successiva lo rende sempre più ricco del componente meno volatile. Poiché il liquido
condensa nel bollitore.

Distillazione a pressione ridotta


In queste apparecchiature è possibile applicare una depressione per mezzo di pompe a vuoto di vario tipo
(pompe ad acqua o pompe meccaniche). In tali condizioni la miscela evapora a temperature notevolmente
inferiori che non nella distillazione a pressione normale.

Vantaggi:

• risparmio energetico, distillazione di sostanze che si degradano a temperature elevate, possibilità di


operare in assenza di aria, separazione di componenti con punti di ebollizione molto vicini tra loro alla
pressione ordinaria.

Distillazione molecolare
È utilizzata per distillare liquidi che posseggono una temperatura di ebollizione molto elevata e sono poco
stabili. Nella distillazione molecolare, a differenza di quella ordinaria, l’arricchimento di un componente
della miscela nella fase vapore non dipende solo dalla tensione di vapore(p), ma anche dal peso molecolare
(M). La velocità di evaporazione, infatti, è proporzionale a p/√M(equazione di Langmuir).

Il processo si effettua senza portare la miscela all’ebollizione, a pressioni molto basse da 10 -3 a 10 -4 mm di


Hg. In base a questa equazione, due sostanze distillano con velocità diverse anche se hanno la stessa
tensione di vapore. Prima di iniziare la distillazione la sostanza viene mantenuta sotto vuoto per un tempo
sufficiente ad allontanare tutti i gas disciolti (degassamanto). Le condizioni ideali sono quelle in cui il liquido
scorre rapidamente sulla superficie di evaporazione in uno strato sottile. Esistono diversi distillatori a film
fluente (o strato sottile), nei quali il liquido viene distribuito sulla superficie di evaporazione per gravità , per
centrifugazione o con altri metodi. La sostanza viene a contatto con la superficie calda per pochi secondi,
limitando così la decomposizione termica.

Distillazione in corrente di vapore


Si può effettuare con vapore diretto o indiretto. La sua applicazione principale è la purificazione di liquidi
altobollenti come gli acidi grassi e gli oli poco volatili. Queste sostanze hanno temperature di ebollizione
superiori ai 100°C(tra 160 e 290°C), se vengono riscaldati insieme all’acqua o sono attraversate da una
corrente di vapore, distillano insieme a questa ad una temperatura inferiore alla loro temperatura di
ebollizione.

Distillazione di essenze naturali


In questo caso il materiale da distillare, essiccati vegetali, è tenuto sospeso al di sopra dell’acqua tramite un
apposito cestello metallico o una piastra forata. Il vapore investe il materiale e si satura dei suoi contenuti
volatili, quindi passa in un opportuno refrigerante in cui condensa. A causa della temperatura elevata la
parete del materiale vegetale si frattura gli oli essenziali presenti all’interno delle cellule, fuoriescono dai
canalicoli e i loro idrovapori vengono trascinati dal vapore acqueo. Il condensato viene raccolto e l’essenza
distillata può essere facilmente recuperata, in quanto immiscibile o spesso più leggera dell’acqua.

Sterilizzazione
Livello di Assicurazione di Sterilità (LAS)

La sterilizzazione è una operazione che ha lo scopo di inattivare o eliminare i microrganismi presenti in un


ambiente, materia prima o preparazione.

Il LAS di un processo sterilizzante rappresenta il grado di sicurezza con il quale tale processo rende sterili
una serie di elementi, e viene stabilito con appropriati studi di convalida. La sterilità all’interno di un
complesso di elementi soggetti a sterilizzazione può essere garantita o dimostrata solo controllando l’intero
lotto. Per ottenere valori elevati di LAS, i prodotti, quando possibile, vengono sottoposti ad una
sterilizzazione detta terminale, che avviene nel loro contenitore finale.

Per assicurare il prodotto in termini di sterilità deve essere monitorato ogni stadio del processo produttivo.

E quindi devono essere applicate le Norme GMP

Per garantire i LAS possono essere utilizzati:

• Antisettico: sostanza che arresta o previene la crescita dei microrganismi, inibendone l’attività.

• Battericida: sostanza che uccide i microrganismi

• Batteriostatico: agente che arresta o ritarda la crescita dei microrganismi

• Bioburder: numero di microrganismi presenti all’inizio della sterilizzazione (UFC/unità di

volume)

• Disinfezione: riguarda gli oggetti ed è il processo che riduce la probabilità di infezione

inattivando i microrganismi ma non le loro spore

• Germicida: sostanza che inattiva i microrganismi ma non le loro spore

• Sterilità: condizione di assenz a di microrganismi vitali

• Convalida: atto che sancisce la capacità di una procedura di dare un risultato atteso in tutte le

possibili circostanze

• Procedimento asettico: operazione condotta in completa assenza di microrganismi

Controllo della contaminazione


Le specie microbiche sono presenti prevalentemente nella loro forma vegetativa. I batteri più comuni si
moltiplicano a pH 7 e a temperature comprese tra 30 e 37°C. Alcuni però (come quelli che causano antrace,
tetano e botulino) possono presentarsi come spore, resistenti al calore ed ai disinfettanti.
Trattamento termico
Il trattamento termico dipende:

• specie microbica considerata

• concentrazione microbica iniziale

• temperatura di esposizione

• grado di umidità

Il calore distrugge le cellule viventi mediante coagulazione delle proteine. Al termine del processo, per
mantenere la sterilità del materiale, si utilizzano contenitori sigillati (fiale di vetro per gli iniettabili).

Sterilizzazione a calore secco


Il tempo di esposizione al calore è inversamente proporzionale alla temperatura. La durata del processo fa
riferimento all’intero periodo durante il quale il materiale è mantenuto a costante temperatura di
sterilizzazione. Il ciclo comprende:

• tempo iniziale, in cui si raggiunge la temperatura di sterilizzazione;

• tempo di sterilizzazione vero e proprio

• tempo di raffreddamento, al termine del processo

La durata delle fasi dipende dal tipo di apparecchi e dal materiale. Il calore secco è utilizzato per sterilizzare
i contenitori di vetro e gli oggetti metallici che sopportano alte temperature, considerando anche
l’espansione termica che potrebbe danneggiare o causare la rottura o distorsione degli oggetti

Le stufe
Possono essere di due tipi a distribuzione di calore:
 convenzione naturale
 convezione forzata.

Convezione naturale
l’aria calda stessa produce correnti per, quindi non c’è ripartizione omogenea del calore, a causa della
presenza di ostacoli, e il processo può risultare inefficace(possono esserci anche parecchi gradi di differenza
di temperatura nelle diverse aree della stufa)

Convezione forzata
Per la circolazione dell’aria calda è inserito un ventilatore nella camera di sterilizzazione. Sono più efficienti
poiché rendono più omogeneo il calore all’ interno della stufa.

I materiali sterilizzabili con calore secco sono: oggetti di vetro e di metallo, composti chimici che tollerano
temperature elevate. A temperature superiori a 220°C si ottiene la sterilizzazione o la depirogenazione della
vetreria

Le GPM prevedono l’applicazione di calore secco a t 161°C per 2h.

Sterilizzazione: a 160°C da 120 a 180 min


170°C da 90 a 120 min

180°C da 45 a 60 min

Depirogenazione: a 230°C da 60 a 90 min

250°C da 30 a 60 min

Sterilizzazione a calore umido


Il calore umido è più efficace nell’inattivare i microrganismi rispetto al calore secco. Questo tipo di
sterilizzazione avviene tramite Autoclavi

Il materiale da sterilizzare viene collocato in cestello sospeso sulla superficie dell’acqua ed è investito dal
vapore che si sviluppa dal riscaldamento di quest’ultima. È importante che non rimanga aria
nell’apparecchio perché le miscele aria-vapore, alla pressione di esercizio di 2 bar, non possono raggiungere
i 121°C previsti, necessari per la sterilizzazione. Le autoclavi industriali hanno una capacità da 100 a 5000
litri. In autoclave sono trattate le preparazioni farmaceutiche acquose, che devono essere sterilizzate in
contenitori sigillati. Il calore umido è utilizzato anche per sterilizzare: chiusure di gomma, oggetti di vetro,
filtri, abiti e uniformi di lavoro.

Tindalizzazione
Viene utilizzata per sterilizzare materiali degradabili a temperature elevate. È una tecnica che prevede cicli
ripetuti di riscaldamento con vapore a temperatura di 100°C, alternati a intervalli di esposizione del
materiale a temperatura ambiente, detti di incubazione. Lo scopo è quello di attivare tutte le spore,
determinando il passaggio alla forma vegetativa che è più sensibile al calore. La tindalizzazione rientra nelle
metodiche cosiddette marginali, in quanto non sono sicure contro le spore. Può quindi venire applicata
quando non sussista l’obbligo di sterilizzazione, ma è necessari ridurre il numero dei microrganismi. Si può
aumentare l’efficacia combinando il calore con un antimicrobico

Sterilizzazione mediante radiazioni


ionizzanti
Raggi ultravioletti
La luce germicida è prodotta da una lampada a vapori di mercurio ed emessa ad una lunghezza d’onda di
254 nm. I raggi UV sono impiegati per la sterilizzazione dell’aria negli ambienti, per mantenere la sterilità
nell’acqua distillata, ma non per preparazione in fiale o altri contenitori. I raggi UV vengono assorbiti dagli
acidi nucleici dei microrganismi, provocandone la morte o impedendone la riproduzione. L’effetto
germicida è funzione dell’intensità della radiazione e del tempo di esposizione.

Raggi gamma
Sono radiazioni ad alta energia e ad alto potere battericida, emesse da isotopi radioattivi come il Cobalto-
60. Sono prive di massa e quindi molto penetranti, sono molto pericolose per gli organismi viventi. Il
dosaggio si misura in Megarads.

Radiazioni beta: sono elettroni, particelle con carica negativa e massa molto piccola, mediamente
penetranti e generate mediante acceleratori di elettroni. È una tecnica utilizzata per la sterilizzazione di
materiale plastico.
Il processo aseptico
È un processo che prevede manipolazioni necessarie a prevenire l’ingresso di microrganismi all’interno di
un prodotto. È utilizzato per i prodotti che non possono essere sottoposti a sterilizzazione terminale, cioè
dopo essere stati sigillati nei contenitori primari. Il processo garantisce quindi il mantenimento della
sterilità di tutti i componenti del prodotto finale, ciascuno dei quali era già stato sterilizzato con le
metodiche descritte.

Esso prevede:

 trasferimento in asepsi delle materie prime in contenitori chiusi


 miscelazione in asepsi dei componenti
 divisione in asepsi nei contenitori finali
 confezionamento in asepsi
 La convalida del processo si basa sul controllo di tutti i diversi step, solitamente utilizzando il
metodo della contaminazione artificiale.
 Ogni lotto di produzione, prima di essere rilasciato, viene saggiato per la sterilità.

Processi chimici
Vengono utilizzati quando i prodotti non tollerano le condizioni di temperature elevate, previste dalle
precedenti metodiche, soprattutto per sterilizzare materiali plastici.

 Sterilizzazione con gas


Prevede l’impiego di formaldeide e di biossido di zolfo, gas altamente reattivi e difficili da
rimuovere dai materiali dopo l’esposizione. Di recente viene utilizzato l’ossido di etilene, che
presenta una maggiore attività e minori svantaggi.
 Disinfettanti liquidi
La sterilizzazione delle superfici (ambienti, pavimenti, piani di lavoro, abiti) non garantisce la
distruzione delle spore, ma serve a contribuire al mantenimento delle condizioni aseptiche di
lavoro

Preparazioni iniettabili sterili


Possono essere classificati in base alla categoria e alle vie di somministrazione

Abbiamo:

• Soluzioni pronte per l’uso (piccolo volume < 50 ml, grande volume > 50 ml)

• Prodotti in polvere (solitamente liofilizzati) da solubilizzare con solvente idoneo prima dell’uso

• Sospensioni pronte per l’uso

• Prodotti in polvere da sospendere con un opportuno veicolo prima dell’uso

• Emulsioni

• Liquidi concentrati da diluire prima dell’uso

Vie di somministrazione:

 intravenosa
 sottocutanea
 intradermica
 intramuscolare
 intrarticolare
 intratecale (iniezione del principio attivo direttamente nel liquor che scorre nei ventricolicerebrali e
circonda il midollo spinale)

I solventi
I solventi che possono essere utilizzati per queste preparazioni farmaceutiche sono:

• Acqua per preparazioni iniettabili: deve essere sterile e apirogena, con un pH compreso tra 6,8 e 7.
Deve essere utilizzata entro 6-8 ore dalla preparazione. Deve essere mantenuta ad una temperatura di
75-80°C, in contenitori di acciaio inox di classe opportuna.

• Acqua sterilizzata per preparazioni iniettabili, apirogena e sterile, già confezionata in contenitori e
venduta in farmacia per tutti gli usi che richiedono acqua sterile. Si può utilizzare entro 5 anni dalla
preparazione.

• Oli di origine vegetale (olio di mais, olio di semi di cotone, olio di arachidi, olio di sesamo). In
etichetta deve sempre essere indicato il nome del veicolo oleoso. Le farmacopee riportano il grado di
insaturazione e il contenuto di acidi grassi liberi.

I principi attivi
Per l’utilizzo farmaceutico è possibile adoperare soltanto le sostanze con caratteristiche riportate nelle
farmacopee di riferimento oppure dotate di autorizzazione ministeriale.

Il DMF (Drug Master File) sono una serie di norme che riguardano il metodo di produzione, controlli e
caratteristiche delle sostanze che è possibile utilizzare in una preparazione farmaceutica.

Requisiti generali per la preparazione di iniettabili sono:

• bassa carica microbica

• assenza di pirogeni

• assenza di tossicità

• assenza di corpi estranei

La produzione dei principi attivi per preparazioni sterili è particolarmente critica nei casi in cui il principio
attivo non è sterilizzabile nel contenitore finale.

Sostanze ausiliarie
• Solubilizzanti, tensioattivi o polimeri (PVP)

• Anestetici locali, lidocaina per le soluzioni ipertoniche o a pH acido

• Stabilizzanti chimici

• Antiossidanti, sono ammessi se necessari per prevenire l’ossidazione dall’attivo. Solitamente si utilizza il
sodio bisolfito allo 0.1% e tiourea. L’attività degli antiossidanti è spesso aiutata dall’EDTA che sottrae gli ioni
metallici che potrebbero catalizzare alcune reazioni ossidative. Per limitare il problema delle reazioni
ossidative molti parenterali sono sigillati in atmosfera d’azoto.

• gas inerti

• tamponi, servono a stabilizzare il pH di una soluzione


• Agenti antimicrobici, che sono ammessi per i prodotti multidose, possono essere utilizzati cloruro di
benzetonio, cloruro di benzalconio, fenolo, cresolo, clorobutanolo. Nelle formulazioni oleose non vengono
utilizzati antimicrobici. Gli iniettabili a singola dose non devono contenere agenti antimicrobici, come pure
gli iniettabili a grande volume da utilizzare a singola dose.

Saggio per l’efficacia della conservazione antimicrobica


Il saggio consiste nel contaminare la preparazione, se possibile nel suo contenitore finale, con un dato
microrganismo. I microrganismi indicati sono: Pseudomonas aeruginosa, Staphylococcus aureus, Candida
albicans e Aspergillus niger (anche Escherichia coli per la preparazioni orali).

• La preparazione viene contaminata con il singolo ceppo batterico, reso opportunemente virulento;

• viene poi conservata alla temperatura ottimale per il microrganismo, affinchè si evidenzino,
eventualmente, le colonie batteriche;

• si prelevano ad intervalli di tempo dei campioni di prodotto e si effettua la conta microbica.

Le proprietà conservanti sono appropriate se si verifica una significativa diminuzione o un mancato


aumento del numero di microrganismi nella preparazione a cui sono stati aggiunti i microrganismi, nei
tempi ed alla temperatura indicati.

Pirogeni
Gli iniettabili devono essere privi di pirogeni, sostanze che possono provocare nel paziente un rialzo
termico. I pirogeni sono prodotti di origine batterica, cioè frammenti del corpo batterico, possono essere
eliminati tramite depirogenazione, ottenibile con:

•Assorbimento con carbone attivo;

•Membrane microporose in nylon, caricate positivamente in superficie.

L’unico procedimento che dà sicurezza di eliminazione dei pirogeni è il riscaldamento in stufa a secco a
270°C per almeno 1 ora ( applicabile solo su contenitori in vetro o su determinati accessori in metallo).
Tuttavia, la migliore garanzia per l’esclusione dei pirogeni da un preparato iniettabile è escludere ogni
possibile inquinamento durante il suo allestimento.

In un iniettabile la presenza di pirogeni deriva da:

•Uso di acqua distillata non apirogena;

•Apparecchiature ed accessori non sterili;

•Processi produttivi particolarmente lenti;

•Soluto inquinato

Endotossine
Le endotossine prodotte dai batteri gram-negativi sono la causa più comune delle reazioni tossiche
attribuite alla contaminazione dei prodotti farmaceutici con pirogeni La F.U. riporta 6 metodiche per
rilevare e quantificare le endotossine che derivano dai batteri gram-negativi, e consiste nel misurare
l’aumento della temperatura corporea causata nel coniglio dalla iniezione intravenosa di una soluzione
sterile della sostanza da esaminare. Il saggio per le endotossine batteriche è preferito rispetto al saggio dei
pirogeni perché si ritiene che fornisca una migliore protezione per il paziente.

Assenza di contaminazione particellare


La contaminazione delle preparazioni iniettabili e delle infusioni endovenose è costituita da particelle non
disciolte e mobili, diverse dalle bolle di gas.
Possiamo così classificare le particelle estranee in un iniettabile:

• materiali intrinseci (inquinamento primario), eliminabili applicando le GPM,

• materiali estrinseci (inquinamento secondario), tutto ciò che può essere introdotto accidentalmente
dall’esterno durante apertura e chiusura dei contenitori

La rilevazione delle particelle visibili viene effettuata mediante la sperlatura: ciascun contenitore viene
agitato o capovolto, evitando di introdurre bolle di aria, si effettua ispezione visiva per 5 secondi contro un
pannello bianco, si ripete l’operazione contro un pannello nero, con una intensità di luce nel punto di
osservazione tra 2000 e 3750 lux. Si scartano i contenitori che presentano particelle visibili all’interno.

Le particelle non visibili ad occhio nudo (da 5 a 25 µm) sono rilevabili mediante conteggio elettronico, con
apparecchiature a bloccaggio di luce, a variazione di resistenza elettrica (Coulter Counter) e a diffrazione di
luce .

Locali di produzione delle sostanze iniettabili


I processi per la produzione degli iniettabili deve essere qualificata mediante documentazione scritta che
contenga indicazioni riguardo:

• Approvvigionamento, campionamento e collaudo di tutti i materiali (componenti e contenitori;

• Impianti, macchinario, servizi da utilizzare e procedure di impiego;

• Metodiche di campionamento e test di controllo;

• Confezionamento ed etichettatura

Riguardo alla contaminazione particellare, i locali per la lavorazione degli iniettabili vengono valutati in base
al livello della concentrazione di particelle (inerti e viventi) di dimensione uguale o maggiore di 0,5 µm per
unità di volume di aria, o anche in base al contenuto di UFC per unità di volume di aria. Queste valutazioni
consentono la definizione della classe microbica dei locali per produzioni asettiche con una lettera
progressiva (A, B, C, D). I locali di classe A sono definiti “blocco sterile” a flusso laminare di aria (45 m/s ±
20%) e non dovrebbe esservi personale, la classe B comprende le aree dove si svolgono preparazioni
asettiche e operazioni di riempimento. Le classi C e D sono aree pulite dove si portano a termine le fasi
meno critiche del processo di fabbricazione.

Personale
È buona norma fare eseguire al personale una doccia di aria sterile prima di entrare nel locale sterile,
generalmente si raccomanda un flusso di aria verticale con una velocità di 12 m/sec per almeno 5 min.

Contenitori primari e relativi accessori


I contenitori possono essere distinti in:

• Contenitori in vetro, come le fiale a punta aperta o fiale a punta chiusa o flaconcini;

• Contenitori in plastica, come sacche, flaconi in politene, siringhe preriempite;

• Accessori, come tappini in elastomero, ghiere metalliche, deflussori, siringhe in politene.

Preparazioni iniettabili
Le preparazioni iniettabili sono soluzioni, emulsioni o sospensioni sterili. Sono preparate sciogliendo o
emulsionando o sospendendo il o i principi attivi e qualunque altro eccipiente aggiunto in Acqua per
preparazioni iniettabili o in un altro veicolo non acquoso.

Le iniezioni acquose multidose contengono un adatto antimicrobico a concentrazioni idonee.


Non viene aggiunto l’antimicrobico quando:

• il volume da iniettare in una dose unica supera i 15 ml, se non diversamente giustificato;

• la preparazione è destinata alla somministrazione per vie dove non è accettabile un antimicrobico.

SAGGI

• Uniformità di contenuto

• Endotossine batteriche- pirogeni

Infusioni
Sono soluzioni acquose o emulsioni, con acqua sterili. Sono destinate alla somministrazione in grandi
volumi e non contengono antimicrobici aggiunti. Sono limpide ed esenti da particelle e non presentano
separazione di fasi.

SAGGI

 Endotossine batteriche- pirogeni

Concentrati per preparazioni iniettabili o infusioni


Sono soluzioni sterili destinate a preparazioni iniettabili o infusione dopo diluizione. Vengono diluiti ad
un volume prescritto con un dato liquido, prima della somministrazione. A questo punto soddisfano alle
specifiche per preparazioni iniettabili o infusioni.

SAGGI

 Endotossine batteriche-pirogeni

Polveri per preparazioni iniettabili o infusioni


Sono sostanze solide, sterili, ripartite nei loro contenitori finali, che quando vengono agitate con il
volume prescritto di un dato liquido sterile, danno luogo rapidamente o a soluzioni limpide e prive di
particelle o a sospensioni uniformi.

SAGGI

• Uniformità di contenuto

• Uniformità di massa

• Endotossine batteriche-pirogeni

Forme farmaceutiche oftalmiche


Le Forme Farmaceutiche oftalmiche sono preparazioni sterili, prive di particelle estranee, opportunamente
preparate e confezionate in contenitori che ne consentono l’applicazione oculare topica.

I requisiti primari delle preparazioni oftalmiche sono la stabilità della formulazione e la biodisponibilità del
farmaco

La F.U. distingue:
• Colliri

• Bagni oculari

• Polveri per colliri e per bagni oculari

• Preparazioni oftalmiche • Inserti oftalmici

I colliri (soluzioni)
Sono soluzioni di farmaci in veicolo acquoso, in alcuni casi leggermente viscosizzato. Costituiscono il 67%
delle medicazioni oculari topiche.

Vantaggi

• semplicità di preparazione, filtrazione e sterilizzazione

• facilità di utilizzo (automedicazione)

• buona compliance

• rapido assorbimento ed azione farmacologica

Le soluzioni oleose (oli vegetali) sono oggi adoperate raramente, solo in caso di farmaci instabili in acqua

I colliri (sospensioni)
Le sospensioni rappresentano circa il 9% delle formulazioni oftalmiche topiche. Poichè l’attività terapeutica
di un farmaco in soluzione è decisamente superiore a quella di un farmaco in sospensione, si utilizzano le
sospensioni solo per somministrare farmaci poco solubili in acqua, come ad esempi gli antiinfiammatori di
tipo steroideo.

Nella preparazione il farmaco viene sospeso in adatto veicolo acquoso in forma micronizzata (particelle con
diametro medio inferiore ai 10 µm).

Il saggio riportato dalla F.U. prevede che: su un campione di 10 µg di principioattivo solido, non più di venti
particelle devono avere una dimensione massima superiore a 25 µm, e non più di due particelle una
dimensione massima maggiore di 50 µm. Nessuna delle particelle deve avere una dimensione massima
maggiore di 90 µm. Il saggio viene effettuato mediante microscopio ottico.

Le sospensioni possono mostrare un sedimento, ma facilmente disperso per agitazione, tale da consentire
l’applicazione della corretta dose.

I colliri possono contenere eccipienti per:

• aumentare la tonicità o la viscosità della preparazione

• aggiustare o stabilizzare il pH

• aumentare la solubilità del principio attivo

• stabilizzare la preparazione

• aumentare la biodisponibilità

• assicurare la tollerabilità
Le preparazioni multidose sono allestite in contenitori che consentono la somministrazione in gocce in
successione, non più di 10 ml se non diversamente specificato e autorizzato. Il periodo dall’apertura non
supera le 4 settimane.

• Tali preparazioni contengono un adatto antimicrobico in opportuneconcentrazioni.

• In assenza di antimicrobici, vengono forniti in contenitori a dose unica, come quelli utilizzati in corso di
interventi chirurgici.

il pH
Il pH del fluido lacrimale, analogamente al pH del plasma, è circa 7,4. Nella preparazione dei colliri non è
sempre possibile mantenere la “isoidria” (pH uguale o vicino a quello del fluido lacrimale), piuttosto si
tende a realizzare una “eudria” nei confronti delle mucose oculari. Valori di pH minori di 4 e superiori a 10
causano irritazione e lacrimazione, da 8 a 10 si hanno valori minimi di irritazione

Agenti conservanti
I conservanti in uso nelle formulazioni oculari sono pochi, data la delicatezza esensibilità del sito di
applicazione.

• EDTA disodico 0,1%, ha effetto complessante nei confronti del Ca e di alcuni metalli pesanti che possono
catalizzare reazioni ossidative;

• Cloruro di benzalconio 0,01-0,02%, battericida;

• Solfito sodico, antiossidante

• Alcuni agenti conservanti (benzalconio, clorobutanolo, clorexidina) possono ridurre, alle normali
concentrazioni usate, la funzione barriera dell’epitelio corneale, agendo come promotori della
permeazione.

Agenti viscosizzanti
Vengono utilizzati per ottimizzare due requisiti:

• l’aumento della viscosità rallenta l’eliminazione della preparazione dall’area pre-corneale, aumentando la
biodisponibilità del farmaco;

• le soluzioni leggermente viscose presentano maggiore compliance da parte del paziente.

I polimeri più adoperati (conc. 1-2%) sono:

• derivati della cellulosa

• Alcol polivinilico

• Polivinilpirrolidone

• Acidi poliacrilici

• Acido jaluronico

Gli acidi poliacrilici e l’acido jaluronico, grazie alle loro proprietà mucoadesive, favoriscono un incremento
della biodisponibiltà dei farmaci

Confezionamento
Contenitori multidose
Il contenitore consiste di due parti: un flaconcino, di plastica o più raramente di vetro, che contiene la
soluzione o sospensione e un dispensatore di gocce. Il volume delle gocce è circa 50 µL; molti colliri però,
soprattutto per il trattamento del glaucoma, dispensano gocce con volume compreso tra 25 e 50 µL, perché
ciò risulta vantaggioso.

Contenitori monodose
Sono costruiti solitamente in polietilene e sono oggi preferiti dai costruttori vista lanecessità di eliminare i
conservanti, particolarmente nei trattamenti a lunga durata. Possono contenere un volume tra 0,5 e 1,0 ml
ed il loro utilizzo è consentito entro 12 ore dall’apertura.

Bagni oculari
Sono soluzioni acquose sterili destinate a lavare o bagnare gli occhi, o per impacchi. Sono formulazioni
limpide e prive di particelle.

Possono contenere eccipienti, non irritanti, per:

• regolare il tono

• regolare la viscosità

• aggiustare o stabilizzare il pH

Preparazioni multidose

Contengono, in opportune concentrazioni, un adatto antimicrobico, compatibile con gli altri componenti ed
efficace per tutto il periodo richiesto. Non contengono più di 200 ml di soluzione oftalmica. Il periodo di
utilizzo dopo l’apertura non supera le 4 settimane

Preparazioni monodose
Non contengono conservanti antimicrobici. Così pure sono a dose unica e senza conservanti i bagni oculari
utilizzati in interventi chirurgici o in trattamenti di pronto soccorso.

Polveri per colliri e bagni oculari


Le polveri per la preparazione dei colliri e dei bagni oculari sono fornite in forme sterile, secca, per essere
disciolte o sospese in un adatto veicolo liquido al momento della somministrazione. Possono contenere
eccipienti per:

• facilitare la dissoluzione o la dispersione

La Vitamina E-TPGS (d-alfa tocoferil polietilenglicole 1000 succinato) è un derivato della vitamina E
naturale; si tratta di un’esterificazione del polietilenglicole 1000 con d-� tocoferil succinato che rende il
prodotto completamente solubile in acqua. La vitamina E-TPGS ha proprietà anfifiliche con una testa polare
idrofila (polietilenglicole 1000) e una coda lipofila (catena α-tocoferolo). Data la sua particolare struttura, la
vitamina E-TPGS ha la capacità alla concentrazione micellare critica di formare soluzioni micellari che
facilitano la solubilizzazione di principi attivi, aumentandone conseguentemente l’assorbimento e la
biodisponibilità.

• per evitare la sedimentazione

• per correggere il tono

• per correggere o stabilizzare il pH

• per stabilizzare la preparazione


Saggi
Uniformità delle unità di dosaggio

- Uniformità di contenuto: con un contenuto in principio attivo inferiore a 2 mg o inferiore al 2% della massa
totale, soddisfano al saggio B per l’uniformità di contenuto di preparazioni a dose unica

- Uniformità di massa: se per tutti i principi attivi è prescritto il saggio di uniformità di contenuto, il saggio
per l’uniformità di massa non è richiesto.

Preparazioni oftalmiche semisolide


Presentano il vantaggio, rispetto ai veicoli liquidi, di migliorare la biodisponibilità dei farmaci, ma sono più
difficili da dosare.

Si possono suddividere in:

• Unguenti, che rappresentano il 19% delle preparazioni oftalmiche topiche, costituiscono il veicolo di
farmaci destinati ad agire su tessuti esterni dell’occhio o farmaci che sono instabili in soluzioni acquose.
Sono usati preferibilmente nella terapia notturna o in quella occlusiva, poichè provocano offuscamento
della visione, in quanto non miscibili con i fluidi lacrimali. Si preparano mescolando il farmaco con il veicolo
idrocarburico, prima sterilizzato, operando in condizioni asettiche per garantire la sterilità.

• Geli acquosi, rappresentano meno dell’1% delle formulazioni oftalmiche topiche. Sono dispersioni di
colloidi idrofili (Carbopol, derivati della cellulosa), che contengono il farmaco in soluzione, anziché in
sospensione, e sono meglio tolleratidai pazienti.

“Le preparazioni oftalmiche semisolide sono unguenti, creme o geli sterili destinati all’applicazione sulla
congiuntiva. Contengono uno o più principi attivi disciolti o dispersi in una base adatta; hanno un aspetto
omogeneo”. Sono confezionate in piccoli tubi sterili, flessibili e dotati di una cannula per la
somministrazione. Il contenuto della preparazione non può superare i 10 g, se il contenitore è multidose.
Possono essere anche confezionate in adatti contenitori a dose unica, con tubi inviolabili.

Saggi.
Dimensione delle particelle
Le preparazioni semisolide che contengono particelle solide disperse soddisfano il seguente saggio: si
stende in strato sottile una quantità di prodotto che contenga almeno 10 µg di principio attivo solido. Si
osserva al microscopio l’intera area del campione. Per ogni campione, non più di 20 particelle hanno una
dimensione maggiore di 20 µm e non più di due di queste hanno una dimensione massima di 50 µm .
Nessuna delle particelle ha una dimensione massima maggiore di 90 µm.

Inserti oftalmici
“Sono preparazioni sterili, solide o semisolide, di forma e dimensioni adatte, destinate ad essere inserite nel
sacco congiuntivale per ottenere un effetto sull’occhio”. Sono utilizzati per somministrare farmaci per
trattamenti a lunga durata (antiglaucoma) Il principio attivo è contenuto in un serbatoio inserito in una
matrice o circondato da una membrana, che ne controlla il rilascio, e viene ceduto in un determinato
periododi tempo.

Vantaggi

• un maggiore tempo di permanenza oculare

• minore perdita di farmaco per drenaggio oculare


• rilascio controllato del farmaco

• minore frequenza di somministrazione

Svantaggi

• scarsa tollerabilità da parte di alcuni pazienti

• perdita durante il sonno

• disturbo della vista

• difficile inserimento o rimozione.

Inserti oftalmici

La pilocarpina, usata nel trattamento del glaucoma deve essere instillata nell'occhio più volte al giorno. In
alternativa, è disponibile un inserto oculare costituito da una struttura piatta, ellissoidale, contenente una
riserva di farmaco. Consiste di un serbatoio di pilocarpina miscelata con acido alginico, e circondata da
ambo i lati da una membrana di copolimero (un polimero formato da due monomeri diversi: polietilene-
vinilacetato). La secrezione lacrimale penetra la membrana microporosa, provocando la liberazione della
pilocarpina.

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