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Università Degli Studi di Roma Tre

Dipartimento di Ingegneria

Corso di Laurea Magistrale in Ingegneria Civile Per La Protezione


Dai Rischi Naturali

Trattamento di acque di vegetazione di olifici: Analisi del Ciclo di

Vita di impianto con separatori a membrana

Relatori: Prof. Pietro Prestininzi Candidata: Sofia Schiavone

Ing. Silvano Tosti

Correlatore: Ing. Marco Incelli

A.A. 2015/2016
Indice
1 Introduzione...............................................................................................................2
1.1 Scopo del lavoro ............................................................................................................ 2
2 Panorama generale.....................................................................................................4
2.1 L’olio di oliva nella storia ............................................................................................. 4
2.2 La produzione di olio di oliva nel mondo e nel bacino del Mediterraneo, in Italia e nel
Lazio..........................................................................................................................................7
2.3 La composizione chimica dell’olio ............................................................................. 11
2.4 Gli oleifici ................................................................................................................... 14
2.5 Le olive e l’estrazione del olio .................................................................................... 14
3 Sottoprodotti dell’industria olearia e normativa.......................................................31
3.1 Le foglie di Ulivo ........................................................................................................ 31
3.2 Le acque di vegetazione .............................................................................................. 31
3.3 Il problema ambientale- Da rifiuto a risorsa ............................................................... 37
3.4 Le sanse ....................................................................................................................... 62
3.5 Il nocciolino ................................................................................................................ 66
3.6 Aspetti normativi per lo scarico dei reflui (D.L. 07/2015) .......................................... 67
3.7 Aspetto Normativo acque reflue (152/2006) ............................................................... 73
4 Case study: Analisi ambientale del frantoio Fontana Laura....................................77
4.1 Generalità sul Life Cycle Assessment ......................................................................... 78
4.2 Definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione dello studio .......................... 83
4.3 Valutazione dell’impatto ............................................................................................. 92
4.4 Analisi dei risultati ...................................................................................................... 94
5 Proposta di impianto per il trattamento delle AV....................................................96
5.1 Il modello di simulazione ............................................................................................ 96
5.2 Risultati dell’analisi del ciclo di vita del frantoio FL con trattamento delle AV ...... 104
6 Confronto di sostenibilità ambientale e conclusioni..............................................108
Ringraziamenti..............................................................................................................110
Bibliografia...................................................................................................................111

1
1 INTRODUZIONE

Le acque reflue derivanti dalla lavorazione dell'olio di oliva vengono definite “acque di
vegetazione”. Sono costituite dall'acqua contenuta nella drupa, dalle acque di lavaggio e
da quelle di processo. Lo smaltimento delle acque di vegetazione (AV) risulta essere
uno dei maggiori elementi di criticità del settore oleario poiché la piccola e media
impresa non riesce a sostenere i costi che comportano gli impianti per la depurazione.
Per questo motivo continua ad essere praticato lo spandimento sui terreni che implica
sia problemi di costo ma, soprattutto, ambientali. Infatti le AV presentano un alto
contenuto inquinante e ne vengono prodotte ingenti quantità. Smaltendo le AV sui
terreni agricoli, si potrebbero riscontrare problemi di fertilità dei suoli e potrebbero
determinare la contaminazione delle falde idriche del sottosuolo [1].

Negli ultimi anni, l'interesse per le questioni ambientali è aumentato, insieme all’ idea
che le scelte dei consumatori possono effettivamente migliorare le prestazioni del
sistema produttivo. Uno dei metodi prediletti per poter assegnare le “Eco-labels” (cioè
un indicatore della sostenibilità del processo produttivo di immediata interpretazione
per il consumatore) risulta essere l’analisi del ciclo di vita del prodotto/processo (o Life
Cycle Assessment, LCA). Questi studi sono principalmente volti a valutare
l’“EcoProfile” del prodotto individuando le specifiche fasi, lungo il suo ciclo di vita,
che forniscono un importante contributo all'impatto ambientale totale, in modo da
suggerire l’attuazione di misure differenti per migliorarle [2]. La produzione di olio
d'oliva è un'attività tipica dell'area mediterranea. Lo scopo principale della LCA
applicata alla produzione di olio d'oliva è quello di migliorare le prestazioni ambientali
della catena di produzione locale, laddove i punti risultano più critici.

1.1 SCOPO DEL LAVORO


Questa tesi di laurea ha lo scopo di complementare la ricerca sulle acque di vegetazione,
il loro riutilizzo e la loro depurazione, che da anni viene portata avanti nel centro di
ricerca ENEA di Frascati. La ricerca sulle AV nei centri ENEA nasce intorno al anno
2009 da parte del prof. Massimo Pizzichini. Il brevetto Pizzichini permette di separare
le AV, attraverso la tecnologia di filtrazione tangenziale, e recuperare cinque frazioni
liquide che sono tutte di interesse applicativo; per esempio attraverso la microfiltrazione

2
e l’ultrafiltrazione è possibile separare i polifenoli e venderli all’industria farmaceutica,
mentre l’acqua che deriva dall’osmosi inversa sarà sterile ma ricca di potassio, quindi
impegnabile nell’industria delle bevande. Questo lavoro è stato successivamente portato
avanti, sotto una nuova luce, dalle ricerche di Silvano Tosti e Mirko Sansovini. Da
queste ricerche è stato evidenziato che le acque di vegetazione, se opportunamente
pretrattate, possono essere usate per produrre una miscela gassosa, ricca di idrogeno,
CO2, metano, CO e altri gas, da utilizzare per scopi energetici. II brevetto depositato
dall’ENEA riguarda lo sviluppo di un processo per il trattamento delle AV che vengono
filtrate, concentrate e poi inviate in un reattore dove, attraverso una reazione di
reforming viene prodotta la miscela gassosa. La sostenibilità economica del processo è
stata dimostrata in lavori precedenti [3]. Il passo successivo è quello di dimostrare la
sostenibilità ambientale di tale processo, evidenziando se l’alternativa proposta, oltre ad
abbattere i costi, abbatta anche l’impatto ambientale del processo. L’intento finale di
questo studio è quello di dimostrare, tramite un’analisi LCA, e quindi completa di ogni
step del processo produttivo, il vantaggio ambientale che si può trarre da questo
trattamento delle acque di vegetazione. Sulla base dell’analisi del ciclo di vita effettuata
sarà anche possibile ottenere, in futuro, delle certificazioni ambientali [4]. L’analisi del
ciclo di vita è stata fatta con il software SimaPro 8, mentre i bilanci di massa necessari
per quantificare la quantità di energia e calore necessari per il trattamento delle AV sono
stati fatti con il software Aspen One Engineering.

Il lavoro è strutturato in sei capitoli, Il primo ha carattere introduttivo, il secondo


inquadra in modo generale la produzione di olio di oliva nel mondo, la composizione
chimica dell’olio, la strutta del frantoio e i metodi di estrazione. Il terzo capitolo è
dedicato ai sottoprodotti dell’industria olearia e alla normativa che li regola, nel quarto
si svolge un’analisi del ciclo di vita del processo produttivo dell’olio di oliva per
l’oleificio reale studiato mentre il quinto propone un impianto di trattamento per le
acque di vegetazione. Nel sesto capitolo, infine, si confrontano gli impatti ambientali
delle due soluzioni e se ne traggono le conclusioni.

3
2 PANORAMA GENERALE

L'olio di oliva è un alimento tipico dell'area mediterranea, un prodotto antichissimo e di


pregio. La cultura del olio di oliva ha origine lontane e lungo i secoli sono state
implementate nuove tecniche che hanno permesso un’ottimizzazione del processo di
produzione. Di seguito verrà inquadrato in generale il percorso dell’olio di oliva nella
storia.

2.1 L’OLIO DI OLIVA NELLA STORIA


L’olivo ha accompagnato la storia dell’uomo dagli albori della civiltà fino ai nostri
giorni. E’ simbolo di sacralità e di pace (la colomba biblica tornò da Noè con un ramo
di ulivo nel becco per annunciare il ritiro delle acque dalla terra).
La leggenda narra che per aggiudicarsi la protezione su Atene, capitale dell’Ellade,
gareggiarono Poseidone, dio del mare, e Atena, figlia di Zeus e dea della saggezza.
Poseidone colpì con il suo tridente la roccia (su cui successivamente sarebbe sorta
l’Acropoli) e da questa fece venir fuori una fonte d’acqua marina ed un cavallo più
veloce del vento. Atena piantò il primo ulivo, albero che, per millenni, con i suoi frutti
avrebbe dato un succo meraviglioso che gli uomini avrebbero potuto usare per la
preparazione dei cibi, per la cura del corpo e per la guarigione delle ferite e delle
malattie. La vittoria fu assegnata ad Atena che così divenne la padrona della città che da
lei prese il nome.

Per quanto riguarda l’Italia, è importante sottolineare che la presenza di noccioli di oliva
in contesti archeologici è documentata fino al Mesolitico. Tali attestazioni non
significano necessariamente che già in epoca preistorica l’olivo venisse coltivato, anche
perché all’esame dei noccioli non è possibile stabilire se si trattasse di olivastri oppure
di olivi domestici. Certamente il passaggio da una fase di semplice conoscenza della
pianta a quella del suo sfruttamento agricolo avrà richiesto un lungo periodo, ma porta a
dubitare sulle teorie che sostengono che l’olivo sia stato introdotto in Italia dai primi
coloni greci. Il vero problema, dunque, è definire il periodo in cui è cominciata la loro
coltivazione in età storica, momento importante che segna l’inizio dello sfruttamento
razionale delle campagne, tipico della civiltà urbana. Le evidenze linguistiche, letterarie
ed archeologiche permettono di affermare che, già fra l’VIII e il VII sec. a.C. non solo

4
la coltivazione dell’olivo era praticata, ma esistevano colture organizzate che, grazie al
clima mediterraneo, ben presto permisero la formazione di un surplus destinato agli
scambi. [5]

Catone, Plinio e Columella e tutti gli scrittori latini di agricoltura più famosi hanno
lasciato insegnamenti sulla coltivazione dell’olivo e sulla produzione dell’olio. E noto,
ad esempio, che l’olio che si otteneva dalla torchiatura era piuttosto denso e che, per
farlo diventare più fluido, occorreva riscaldare l’ambiente in cui veniva preparato, per
questo l’olio aveva spesso odore di fumo. Gli autori antichi descrivono minuziosamente
le macchine impiegate dai Greci e dai Romani per la torchiatura delle olive; le scoperte
archeologiche hanno poi permesso di controllare e di completare le loro testimonianze.

La prima fase della preparazione dell’olio d’oliva consisteva nello schiacciamento dei
frutti con due pietre cilindriche: l’operazione di schiacciamento era seguita in modo
assai semplice, facendo rotolare una pietra cilindrica avanti e indietro sopra le olive
poste in un contenitore. Il “frantoio” romano, puntualmente descritto da Columella (I
sec. d.C.) era di un tipo assai simile a quelli usati anche in età moderna.

Dopo la frangitura, le olive venivano pressate con presse a trave. I resti più antichi
conosciuti di una pressa e di un bacino per schiacciare le olive sono quelli rinvenuti a
Creta che appartengono al periodo minoico (1880-1500 a.C. ca.). La pressa a trave
applica il principio della leva: un’estremità della trave era appoggiata in un incavo del
muro, o fra due pilastri di pietra, l’altra veniva tirata giù o spesso caricata con pesi
(uomini e pietre). Le olive, sistemate in sacchi o tra tavole di legno, venivano
schiacciate sotto la parte centrale della trave e il succo era raccolto in un recipiente
sistemato sotto il piano della pressa. La massa da pressare era, invece, racchiusa in vari
modi: dentro fiscoli di corda, giunchi intrecciati, o cesti. Oppure: “le olive venivano
schiacciate dentro cesti di vimini o mettendo la pasta tra due asticelle” (Plinio).

Quindi l’olio veniva messo a decantare in vasche che precedevano il lacus destinato alla
raccolta finale del prodotto. [6]

A partire dal tardo impero (IV sec. a.C.) la storia del bacino mediterraneo si avvia verso
un lungo periodo di guerre e carestie; si produce poco e in regime autarchico e anche
l’olivicoltura ristagna. Si dovrà attendere la ripresa dopo il Mille quando, soprattutto per

5
opera delle comunità monastiche, si darà un nuovo impulso all’agricoltura, con la
bonifica di terreni paludosi e la messa a dimora di nuove piante di vite e di olivo.

Il Rinascimento ritrova l’olivo, insieme alla vite, gran protagonista dell’agricoltura.


Il secolo XX, con l’arrivo delle nuove tecnologie, ha visto notevolmente semplificato il
lavoro di raccolta e di molitura, consentendo prezzi migliori ed una più rapida
diffusione del prodotto.

I nostri antenati ignoravano le proprietà nutritive dell’olio di oliva ma ne avevano fatto


il condimento base della propria alimentazione, povera ma sana ed esaltata nei sapori e
nei profumi [7].

2.1.1 La nascita della problematica ambientale


Risulta evidente quindi che nel corso dei secoli l’uomo si sia sempre servito dell’olio di
oliva e che abbia, dunque, sviluppato diverse filiere che hanno permesso il
consolidamento del processo produttivo. Fino ai primi anni del ventunesimo secolo,
d’altra parte, l’interesse per il problema ambientale risulta quasi del tutto assente.
Solamente negli ultimi decenni infatti la maggiore sensibilità maturata nei confronti
dell’ambiente ha permesso di spostare l’attenzione su consumi, integrazione e
valorizzazione dei prodotti di scarto nei diversi sistemi di produzione. Tale esigenza si è
resa necessaria soprattutto a causa di tre fattori tra loro concatenati:

- Il motivo economico che mira alla riduzione dei costi del processo produttivo;
- Il motivo normativo, legato alle direttive e legislazioni sempre più stringenti,
soprattutto nelle società occidentali, in relazione allo smaltimento di materiali di
scarto e delle emissioni di inquinanti;
- Il motivo sociale, dipendente dallo sviluppo da parte del consumatore di una
coscienza ambientale che mira alla sostenibilità.

Quanto detto prima ha portato il problema energetico e ambientale dei processi


produttivi a diventare un tema di cruciale importanza. Diventa necessario rendere il
processo sostenibile da un punto di vista ambientale di sfruttamento delle risorse, per
garantire l’integrità chimica e fisica del ecosistema.

Da queste osservazioni nasce questa trattazione. La tesi proposta mira a mettere in luce i
punti meno sostenibili del processo produttivo del olio di oliva e li studia in modo da

6
proporre alternative sostenibili dal punto di vista ambientale ed economico. Si cerca
quindi di valorizzare il più possibile i prodotti di scarto e di lavorazione ponendo le basi
a processi che, nel tempo, garantiscano il rispetto della salute e dell’ambiente.

2.2 LA PRODUZIONE DI OLIO DI OLIVA NEL MONDO E NEL BACINO DEL

MEDITERRANEO, IN ITALIA E NEL LAZIO.

Globalmente sono coltivati oltre 750 milioni di piante di olivo, il 95% delle quali si
trova all'interno del bacino del Mediterraneo. La maggior parte della produzione
mondiale proviene dal sud Europa, dal nord Africa e dal Medio Oriente. Della
produzione europea, il 93% proviene da Spagna, Italia e Grecia.

Portogallo Altri
6% 1%

Grecia
19%

Spagna
54%
Italia
20%

Figure 1 Composizione % produzione UE, 2015 - Fonte Unaprol

La Spagna è il Paese con il maggior numero di piante di olivo (più di 300 milioni) ed è
insieme all’Italia il principale produttore ed esportatore al mondo di olio di oliva. Dei
2.1 milioni di ha di oliveti, il 92% sono dedicati alla produzione di olio. La produzione
annuale media varia a causa dei naturali cicli della raccolta, ma normalmente si aggira
tra 600,000 e 1,000,000 di tonnellate, delle quali sono il 20% viene esportato. Circa
l'80% delle coltivazioni è concentrato in Andalusia (Jaèn), la più vasta area di
coltivazione dell'olivo al mondo. In Spagna i consumi di olio di oliva si aggirano
intorno a 350 mila t, con un consumo pro-capite di 10 kg annui.

7
L'Italia è il secondo produttore europeo; 2/3 della produzione sono rappresentati da olio
extra-vergine con 39 DOP e 1 IGP diffuse su tutto il territorio nazionale. In Italia ci son
circa 7000 frantoi con una produzione di circa 600.000 tonnellate di olio. Il 90% della
produzione proviene dalle regioni del Sud Italia: Sicilia, Calabria e Puglia. In Italia i
consumi olio medi si aggirano intorno a 650 mila t l’anno, con un consumo pro-capite
di 12 kg annui. Pertanto, la produzione italiana non riesce a garantire il fabbisogno
nazionale.

La Grecia destina circa il 60% della sua terra coltivata agli oliveti. E' il principale
produttore al mondo di olive nere e possiede più varietà di qualunque altro Paese al
mondo. La Grecia è al terzo posto in termini di produzione con più di 132 milioni di
piante, che producono circa 350.000 tonnellate di olio di oliva all'anno di cui l'82% è
rappresentato da olio extra vergine. Circa metà della produzione annuale di olio in
Grecia viene esportato. La Grecia esporta in modo particolare verso i Paesi dell’Unione
Europea, soprattutto l'Italia, che riceve circa i 3/4 delle esportazioni complessive. I
Greci consumano annualmente 200,000 t d’olio di oliva e detengono il primato a livello
mondiale per consumo pro-capite, che si aggira intorno a 20 kg annui.

Gli altri Paesi produttori del Mediterraneo, sono: Tunisia, Turchia, Siria, Marocco e
Algeria.

Nel panorama extra-europeo l'Australia produce alcuni dei migliori oli al mondo,
principalmente grazie alle ottime condizioni di coltivazione, la ricchezza dei suoli e la
mancanza dei principali fitofarmaci tradizionalmente impiegati in olivicoltura.
L’Australia produce circa 19,000t all’anno e soddisfa 1/3 del fabbisogno interno. L'olio
di oliva australiano viene esportato in Asia e in Europa.

La Repubblica Sudafricana produce olio extra vergine di oliva con una produzione
costantemente in aumento. Produce annualmente 1.200 tonnellate di olio, questa cifra
non è elevata se confrontate con quelle europee ma è sufficiente a soddisfare il 20% del
fabbisogno interno [8].

Per quanto riguarda le aree di consumo si confermano essere le più importanti l’Unione
europea e gli Stati Uniti, rispettivamente con una quota del 56% e del 10% del totale.

8
Il 48% del valore delle esportazioni dell’UE è diretto verso gli Stati Uniti soltanto, il
10% verso il Giappone e il 6-7% ciascuno verso Australia, Corea del Sud, Canada e
Brasile.

L’Italia esporta principalmente il proprio olio negli Stati Uniti (34%), in Germania
(12%) e in Francia (8%). [9]

Altri
21%
Paesi bassi
2% Stati Uniti
34%
Australia
2%
Svizzera
3%

Giappone
5%
Germania
Canada 12%
6%
Regno Unito
Francia
7%
8%
Figure 2 Ripartizione % dell'export italiano, 2015- Fonte Unapol su dati Gti

Produzione del olio di oliva in Italia

L'Italia è quindi il secondo produttore europeo di olio di oliva con una produzione
nazionale media di oltre 6
milioni di quintali, due terzi
dei quali extravergine. Il
patrimonio olivicolo italiano è
stimato in 150 milioni di
piante distribuite su una
superficie di 1.165.458 ha.
L’olivicoltura è presente in 18
regioni su 20, essa è
principalmente diffusa nelle
Regioni meridionali e

Figure 3 Produzione % di olio di oliva per regione, 2002-2008 – ISTAT* 9


insulari. La produzione di olio di oliva è prerogativa del sud Italia. La Puglia, Calabria e
la Sicilia hanno un'incidenza nella produzione nazionale di oltre l'85% di tutto l'olio di
oliva prodotto nel paese.

*Le percentuali sono il risultato di una media basata su dati ISTAT e ISMEA relative alle campagne
olearie dal 2002 al 2008, che mettono in evidenza le regioni più vocate alla coltivazione dell’olivo e alla
produzione di olio di oliva. La Puglia vanta il più alto numero di aziende olivicole (267.203), seguita da
Sicilia (196.352), Calabria (136.016) e Campania (112.093). Basilicata e Sardegna hanno un numero
notevolmente inferiore di aziende ad indirizzo olivicolo.

Table 1 Produzione (t) italiana di olio extravergine d’oliva nelle campagne olivicole (2004-2007)- ISMEA

Campagne Olivicole (anno)


Zone di
2004 2005 2006 2007*
produzione
Nord Italia 7.662 6.616 5.739 6.139
Centro Italia 108.214 74.720 81.325 51.094
Sud Italia 678.683 574.405 516.189 442.835
Totale Italia 794.559 655.741 603.253 500.068
* Stima.

Da quanto precedentemente detto si evince immediatamente che, in un mondo in cui la


produzione di olio si aggira intorno ai tre milioni di tonnellate per anno, la gestione e il
controllo dei processi di estrazione e di smaltimento dei reflui sia fondamentale.

Questa considerazione risulta ancora più importante se si considera che la produzione di


olio si concentra in pochi mesi all’anno. Il periodo di vendemmia varia tra luglio e
ottobre (nell’emisfero boreale) e tra febbraio e aprile (nell’emisfero australe): Questo
comporta enormi impieghi di risorse idriche ed energetiche.

Per comprendere meglio il processo di estrazione dell’olio e avere una visione ampia e
completa dei parametri fondamentali di regolazione, atti ad ottimizzare il processo e a
controllare i prodotti di scarto, verrà di seguito fatta un’analisi dei diversi processi
produttivi.

10
Produzione di olio di oliva nel Lazio

L’olivicoltura nel Lazio ricopre circa 86mila ettari di superficie, di cui l’81% in collina,
il 15% nelle montagne interne e solo il 4% in terreni di pianura. La coltivazione
dell’olivo e la produzione dell’olio rappresentano una delle principali attività del
territorio laziale. I frantoi sono oltre 300 tra aziendali e interaziendali con una
produzione di olio d’oliva pari a ventiduemila tonnellate annuali.

La produzione di olio extravergine di oliva laziale vanta alcuni oli di eccellenza, a


denominazione di origine protetta.

L’area dei Castelli Romani è particolarmente famosa per la produzione di olio di oliva.
L’olio Castelli Romani nasce da uliveti che radicano su terreni vulcanici da cui mutuano
una particolare aromaticità. In questa zona si coltivano diverse varietà di oliva, le quali
sono raccolte a partire da ottobre e fino, al più tardi, anche nei mesi di dicembre e
gennaio. Dalla prima spremitura si ottiene un olio di colore giallo dorato con riflessi
verdi; il profumo è fruttato, vegetale, erbaceo e, in alcune produzioni, piacevolmente
floreale; in bocca è moderatamente dolce, piccante e con retrogusto amarognolo[10].

2.3 LA COMPOSIZIONE CHIMICA DELL’OLIO


Le diverse famiglie di composti chimici che sono presenti nell’olio di oliva si trovano
distribuiti nei vari tessuti che compongono la drupa, e a causa della loro polarità e
solubilità vengono a trovarsi in quantità diverse nell’olio. Quest’ultimo è composto per
circa il 98-95% da trigliceridi e, per la restante parte, da sostanze liposolubili e da
composti polari, presenti prevalentemente nella polpa matura e nella mandorla del
nocciolo, che si trovano disciolti nell’olio per ragioni naturali o per motivi tecnologici.

I componenti non gliceridici possono essere suddivisi in due categorie: le sostanze


sensibili all’azione di alcali concentrati, definite saponificabili, tra cui ricordiamo i
fosfolipidi e le clorofille che rivestono un ruolo importante sia dal punto di vista
nutrizionale che da quello merceologico; le sostanze che non subiscono alcuna
alterazione se sottoposte all’azione di alcali concentrati, definite insaponificabili, come
gli alcoli, gli idrocarburi, gli steroli, i tocoferoli.

11
I trigliceridi

Come è stato visto i trigliceridi costituiscono circa il 95-98% dell’olio di oliva e si


trovano quasi esclusivamente nella polpa. La caratteristica peculiare della composizione
trigliceridica dell’olio di oliva è rappresentata dal particolare equilibrio nella
composizione acidica: rispetto agli altri grassi alimentari risulta più elevata la
percentuale di acido oleico e quella del linoleico. Questa elevata percentuale di acidi
grassi mono- e poli-insaturi risulta particolarmente importante da un punto di vista
medico: Infatti, gli acidi grassi insaturi sono essenziali per la dieta e devono essere
assunti direttamente, in quanto possono essere sintetizzati dall’organismo solo in
quantità limitata. Dopo l’assunzione essi vengono trasformati in altri composti,
funzionando da precursori di molecole che svolgono nell’organismo azione regolatrice
di importanti funzioni fisiologiche, come l’aggregazione piastrinica, la pressione
arteriosa, la contrazione muscolare.

L’insaponificabile
Come è stato detto in precedenza esso rappresenta solo una piccola parte dell’olio, dal
2% al 5%. Molti di questi composti rivestono un ruolo prevalentemente merceologico,
per la identificazione della qualità e genuinità del prodotto, altri invece hanno
importanza anche da un punto di vista medico, nutrizionale ed edonistico.

Gli steroli

Questi costituiscono una importante classe di riferimento negli studi e nelle analisi
sull’olio di oliva. Essi costituiscono una sorta di impronta digitale che consente la
identificazione delle sostanze grasse di origine diversa. Lo sterolo caratteristico degli oli
vegetali è il b-sitosterolo, mentre quello caratteristico degli oli di origine animale è il
colesterolo.

I polifenoli e i tocoferoli

Queste due classi di composti sono probabilmente le più importanti tra quelle costituenti
i componenti minori polari, e tra di esse un ruolo principale è svolto dai polifenoli.
Le ragioni di tale importanza sono riconducibili in modo sintetico alle seguenti:
-Sono composti che prevengono le reazioni di ossidazione a carico degli acidi grassi e
quindi contribuiscono alla stabilità dell’olio nel tempo, ritardandone l’irrancidimento;

12
-Prevengono ed inibiscono le reazioni di tipo radicalico nell’organismo umano,
limitando la formazione di molecole anomale che possono alterare il regolare
funzionamento delle membrane cellulari.

La concentrazione di tocoferoli, o vitamina E, diminuisce all’aumentare del tempo di


conservazione, specialmente se l’olio viene conservato in recipiente aperto non protetto
dalla luce. I polifenoli sono soggetti, al pari dei tocoferoli, a degradazione durante la
conservazione, ma la loro concentrazione assoluta dipende soprattutto dalla coltivazione
e dal periodo di raccolta; essi infatti si trovano in concentrazione maggiore nelle olive
verdi, ed il loro tenore cala con la maturazione.

Nell’olio essi svolgono oltre al già citato ruolo di tutela dall’ossidazione, anche un
importante ruolo edonistico. Essi infatti influiscono sul gusto, contribuendo alla nota
amara e piccante degli oli freschi. La loro degradazione porta a consistenti cambiamenti
nel gusto, che nel tempo perde le caratteristiche di fruttato ed amaro per evidenziare la
nota di dolce.

I polifenoli hanno interesse farmacologico e cosmetico e vengono impiegati in preparati


medicinali capillaro-protettivi ed in prodotti anti-età. Le proprietà farmacologiche
principali della oleoeuropeina sono l’azione coronaro-dilatatrice, quella ipoglicemica e
quella anticolesterolemica.

Questi composti, siccome si estraggono dalle olive, sono considerati sostanze naturali,
al pari delle vitamine. L'importanza dell'inserimento di alimenti "funzionali", soprattutto
di origine vegetale, nella dieta trova una rilevante base scientifica, nella presenza di
sostanze capaci di ritardare l'ossidazione lipidica e proteica, con una conseguente
attività di "protezione" dell'organismo umano nei confronti dei meccanismi degradativi
di tipo ossidativi. Tali scoperte, sulle proprietà antiossidanti dei polifenoli, sono state
confermate a livello internazionale ed hanno subito spostato l’interesse verso il
riutilizzo, piuttosto che verso la depurazione, che ha solo un costo e non un ritorno
economico [11].

Le componenti volatili

Essi quindi sono quei composti di piccole dimensioni e di bassa tensione di vapore, che
più facilmente entrano in contatto con le cellule olfattive, sollecitando una sensazione

13
odorosa. Sono quelli che contribuiscono al profumo dell’olio, ma sono anche quelli che
ci avvertono della presenza di un eventuale difetto dell’olio. [12]

2.4 GLI OLEIFICI


L’oleificio è un'industria agraria nella quale si attua un processo di estrazione, con
metodi di tipo meccanico, dell'olio contenuto nella polpa delle drupe di olive. I vecchi
oleifici erano generalmente delle strutture su tre livelli che permettevano di sfruttare la
forza di gravità per la movimentazione del prodotto nel corso della lavorazione.
La struttura era ubicata in genere all'interno dei centri abitati poiché lo smaltimento
dell'acqua di vegetazione avveniva mediante riversamento nella rete fognaria urbana.

Gli oleifici moderni invece, grazie all'evoluzione e l’automazione dei metodi e dei
processi, hanno modificato completamente la tipologia costruttiva rispetto agli antichi
oleifici. Questi sono infatti sviluppati in un unico livello, al quale può eventualmente
aggiungersi un livello interrato o seminterrato con funzioni di stoccaggio del prodotto
trasformato. Un’altra differenza fondamentale è l’ubicazione del oleificio. Nei tempi
moderni infatti si trova fuori dai centri urbani dal momento che le acque di vegetazione
non possono più essere smaltite in fognatura. In questo modo si rende più agevole il
transito degli automezzi e lo smaltimento dei rifiuti [13].

2.5 LE OLIVE E L’ESTRAZIONE DEL OLIO

2.5.1 Introduzione al processo


Le olive sono i frutti della Specie Olea Europaea, anche detta ulivo. Si tratta di un
albero sempreverde autoctono del bacino del Mediterraneo, dell'Africa e dell'Asia, che
nei secoli è stato esportato anche altrove; presenta caratteristiche specifiche in base alle
varietà ma in generale ha un fusto corto e tozzo che non supera gli 8-15m di altezza,
delle foglie verdi o argentee, di forma allungata e dei fiori bianchi. I suoi frutti sono
delle piccole drupe, dette olive. Queste sono di colore verde in stato acerbo ma, al
sopraggiungere della maturazione, inscuriscono tendendo al viola per poi divenire
totalmente nere.

Le olive hanno la struttura tipica della drupa, pertanto sono composte da un picciolo col
quale l'oliva rimane vincolata alla pianta fino alla caduta/raccolta, da un epicarpo

14
esterno (cioè la buccia), da un mesocarpo intermedio (la polpa delle olive contenente i
vacuoli lipidici a loro volta protetti da alcuni enzimi), da un endocarpo o nocciolo, cioè
il mezzo di proliferazione del olivo. Esse maturano solitamente in ottobre, ma il
momento ideale per la raccolta varia, oltre che in base al tipo di olivo, in ragione delle
condizioni climatiche stagionali e della tecnica colturale utilizzata. Durante la
maturazione dell'oliva si ha un graduale aumento della percentuale di olio ed una
progressiva diminuzione di quella acquosa. E' quindi importante che la raccolta avvenga
al momento opportuno e con i metodi più idonei.

Vi sono diversi metodi per la raccolta delle olive, tra questi si ricordano:

- La raccolta, che può avvenire per caduta spontanea o per pettinatura. La prima è
economicamente molto vantaggiosa, in quanto è sufficiente aspettare che le
olive cadano spontaneamente nelle reti stese sul terreno; presenta però un
importante difetto in quanto le olive si staccano dall'albero quando sono
eccessivamente mature e ciò determina un decadimento delle qualità
organolettiche e nutrizionali dell'olio (incremento dell'acidità libera). Come
vedremo più avanti infatti un olio è tanto più pregiato quanto minore è la sua
acidità. La pettinatura consiste nel pettinare i rami degli alberi con dei grossi
rastrelli; questa operazione determina il distacco delle drupe e di qualche foglia
ma non incide sulla struttura arborea. Anche in questo caso andranno posti dei
teli sotto gli olivi per facilitare la raccolta delle olive cadute.
- La brucatura a mano, un metodo di raccolta ottimo perché raccogliendo le olive
a mano si può effettuare una cernita delle migliori e preservarne l'integrità. A
causa degli insostenibili costi di manodopera si tratta però di una soluzione
impraticabile nelle grosse produzioni e risulta invece molto diffusa a livello
casalingo, dove consente di ottenere prodotti di qualità superiore.

Tra la raccolta delle olive e la conseguente pressatura deve intercorrere il minor tempo
possibile, per impedire la degradazione enzimatica dei trigliceridi, che porterebbe ad un
aumento dell'acidità libera e ad una maggiore tendenza all'irrancidimento.

Le olive che giungono al frantoio devono essere innanzitutto pulite da foglie, terra e
quant'altro possa danneggiare le caratteristiche organolettiche dell'olio e lo stesso
impianto. Le drupe subiranno quindi uno o più passaggi in macchinari di aspirazione e

15
vasche di lavaggio. Sempre a questo livello, per la produzione di oli particolarmente
pregiati, si può effettuare una cernita a mano, allontanando le olive che non rispondono
agli standard qualitativi. [14]

Diverse filiere produttive sono nate, negli ultimi due secoli, dallo sviluppo di nuove
tecniche di estrazione dell’olio di oliva. Le caratteristiche chimiche e fisiche dell’olio
sono fortemente influenzate dal tipo di processo con
cui è stato estratto.

I processi comunemente utilizzati per l’estrazione


dell’olio negli oleifici sono essenzialmente tre:

- Per pressione (metodo classico, discontinuo),


anche detto “Tradizionale”
- Per centrifugazione (metodo moderno,
continuo), o anche “A tre fasi”
- Per percolamento mediante filtrazione
Figure 4 Macchina per il lavaggio e la
defogliazione delle olive selettiva (metodo moderno, continuo), o “A due
fasi”.

Table 2 Metodi di estrazione nei frantoi in Italia - “Tecnologie di lavorazione delle olive in frantoio. Rese di
estrazione e qualità dell'olio”, Luciano di Giovacchio,2010

Olio Frantoio
Frantoio metodo Totale frantoi
prodotto metodo
Centrifugazione operanti
[t] Pressione
Totale
525,512 2.656 3.081 5.737
Italia

Nel ciclo di funzionamento tre fasi la pasta olive, addizionata opportunamente di acqua
(caratteristica del ciclo a 3 fasi), viene inviata alla centrifuga che separa la pasta nei suoi
tre componenti, sansa, acqua di vegetazione e mosto olio. L'olio e l'acqua di vegetazione
sono inviati ai separatori centrifughi per estrarre l'olio. Nel ciclo a due fasi non si
utilizza l'aggiunta di acqua di diluizione, ma non separando le acque di vegetazione

16
dalla sansa quest’ultima risulta molto umida e quindi molto più ingombrante e pesante,
il ché rende lo smaltimento più costoso e l’ingombro spaziale molto maggiore.

I vantaggi principali che spingono un frantoiano nel scegliere di fare un frantoio a ciclo
continuo piuttosto che un frantoio tradizionale (per pressione) sono in generale il
limitato ingombro di tutti i macchinari che compongono il frantoio, la lavorazione
continua, la riduzione della mano d’opera e l’automazione delle attività di pulizia.
D’altra parte il processo continuo ha un più elevato costo dei macchinari
(principalmente il decanter) e di manutenzione e consuma più energia elettrica.

Tutti i metodi di estrazione dell’olio dalle olive richiedono che queste vengano
preventivamente frantumate e ridotte in una pasta da cui sia facile estrarre il liquido,
mescolanza di acqua, olio e particelle solide, detto mosto oleoso. Una buona molitura
deve pertanto disintegrare bene la polpa, così da rompere le pareti delle cellule oleifere
contenenti le gocce di olio, senza d’altra parte sminuzzare troppo il nocciolo, i cui
frantumi debbono essere abbastanza grossi da facilitare la fuoriuscita del mosto oleoso.
Alla macinazione del frutto si deve accompagnare un buon rimescolamento della pasta,
detto comunemente gramolatura, tale da far riunire in gocce sempre più grosse le
goccioline d’olio disperse nell’acqua di vegetazione e favorirne la separazione dalla
stessa. Successivamente dalla pasta sottoposta a gramolatura, si devono separare la parte
solida detta sansa, dal mosto oleoso. Una volta dunque che le olive sono state molite,
che la pasta ottenuta è stata ben rimescolata per favorire quei fenomeni fisici che
portano all’aggregazione delle gocce d’olio disperse nell’ambiente acquoso, che la parte
liquida è stata separata dalla solida, non resta che procedere all’ultima operazione di
estrazione dell’olio, con metodi che vanno dall’affioramento naturale fino all’impiego
di macchine più o meno complesse. [14]

I processi presentano delle differenze tra loro ma molte fasi sono comuni perciò, onde
evitare ripetizioni, si è preferito illustrare i blocchi del processo mettendo in luce le
principali differenze.

2.5.2 Operazione di defogliazione e lavaggio delle olive


Come detto precedentemente, la raccolta delle olive provoca anche la caduta delle
foglie. In passato quando gli oleifici erano dotati solo del sistema a pressione,

17
l’eliminazione delle foglie avveniva tramite la cernita manuale delle olive. Alla fine
degli anni Sessanta del secolo scorso, con l’introduzione del sistema continuo a tre fasi
è stata incorporata al resto dei macchinari anche la macchina automatica per eliminare
le foglie e lavare le olive. Queste operazioni vengono di solito effettuate da una sola
macchina che esegue in sequenza le due operazioni e che ha dimensioni variabili in
relazione alla capacità di lavorazione dell’oleificio.

La defogliatrice/lavatrice ha lo scopo di eliminare


dalle olive le foglie, i residui dei fitofarmaci, i
ramoscelli ed altro affinché le olive siano pulite e
pronte per la spremitura. Questo macchinario
consente dapprima il lavaggio delle olive che, a
ondate, vengono sommerse dall’acqua contenuta
Figure 5 Macchina per il lavaggio delle olive nel sottostante cassone e mossa da apposita pompa
con ricircolo dell'acqua
di circolazione e, successivamente, elima le foglie
e tutto il materiale vegetale libero mediante una forte aspirazione la cui efficienza viene
agevolata dal movimento di vibrazione della griglia su cui si muovono le olive. [15]

La presenza di foglie e/o di altro materiale vegetale dall’olivo può influenzare alcune
caratteristiche di qualità dell’olio, come il colore, l’aroma e il gusto.

Il lavaggio delle olive deve essere effettuato con acqua potabile, da ricambiare con
frequenza tal da assicurare l’igiene dell’operazione e da evitare l’insorgere di cattivi
odori. La quantità di acqua utilizzata per il lavaggio delle olive varia in relazione alla
quantità di impurezze e di materiale estraneo presente e, fin dai primi lavaggi, essa
appare di colore scuro e melmoso per la terra presente. [14]

Table 3 Valori medi del grado di inquinamento delle acque di lavaggio

Valori medi di alcuni parametri indicativi del grado di inquinamento dell'acqua di


lavaggio delle olive
Determinazioni Acqua di lavaggio delle olive
COD [g/l] 7,9-10,3
Solidi [%] 0,5-0,7
Olio [%] 0,10-0,16

18
2.5.3 Il processo di preparazione della pasta di olive
Dopo le operazioni di defogliazione e lavaggio comuni a tutti i sistemi, le olive devono
essere assoggettate ad altre operazioni che hanno al finalità di preparare una pasta la cui
fase oleosa possa essere separata dalle altre fasi costituenti l’impasto. L’estrazione
dell’olio dalle olive con mezzi meccanici è resa possibile da un insieme di procedure
che si effettuano nel oleificio e che sono finalizzate a liberare le gocce di olio dai tessuti
vegetali che le contengono e a raggruppare le piccole gocce in gocce più grandi e quindi
più semplici da separare. L’olio, per la maggior parte, è presente nei vacuoli delle
cellule delle olive e risulta facilmente estraibile da essi con mezzi meccanici che lo
rendono “libero”; Una minima parte dell’olio si trova però nel citoplasma e risulta
molto difficile da estrarre e, in genere, confluisce nella sansa o nelle acque di
vegetazione.

2.5.4 Operazioni di frangitura delle olive


Tra le operazioni che si compiono per liberare l’olio risulta molto importante la
frangitura delle olive che determina la rottura delle cellule della polpa contenenti l’olio.
Nel processo continuo a tre o due fasi questo passaggio viene effettuato dal frangitore
mentre nel processo tradizionale dalle molazze o macine di granito.

Le macine di granito sono impiegate nei processi tradizioni che adottano il sistema della
pressione e sono, di solito, 2 o 6 macine che operano per circa 20 minuti a seconda delle
dimensione delle macine e della quantità di olive caricata e prepara la pasta di olive per
la gramolatura. Gli impianti a macine sono costituiti dalle seguenti parti:

- Macina a fondo di granito di diametro


variabile,
- Bacino di acciaio con apertura per lo
scarico della pasta,
- Macine di granito di forma cilindrica,
dimetro di 120-140 mm e peso di circa 3
tonnellate,
Figure 6 Frantoio a due macine di granito con - Raschiatori per la rimozione della pasta di
raschiatori e pale per lo scarico della pasta di olive
olive,

19
- Pale per lo scarico della pasta alla gramolatrice,

- Organi di movimento con motori elettrici.

La molitura con le molazze è morbida e tale da non comportare rischi di incremento


termico dell’impasto.

Il frangitore, è la macchina che nei frantoi a


flusso continuo sostituisce la più
tradizionale molazza. Il frangitore può
essere metallico a martelli fissi o a dischi.
Quello a martelli fissi ha una velocità di
rotazione di circa 2550 rpm e risulta essere
una rottura violenta mentre quello a dischi
ha una velocità di rotazione di circa 1400 rpm
Figure 7 Frangitore metallico a denti (o a dischi),
e risulta, pertanto, meno violento. 1400 rpm
Aumentando la violenza della frangitura,
come conseguenza della maggiore velocità relativa dei martelli, si ottengono oli più
amari e piccanti e si innalza la temperatura del impasto dai 10 °C per il frangitore a
martelli fissi a 4 °C per quello a dischi andando ad alterare la quantità di sostanze
fenolitiche presenti [16]. Il frangitore meccanico è in grado di consentire una più elevata
capacità produttiva e necessita di minor manutenzione (le molazze devono tenersi
particolarmente pulite) e non penalizza la qualità del prodotto. Le olive frantumate
confluiranno poi in una gramolatrice.

2.5.5 Operazioni di gramolazione


La pasta di olive ottenuta dopo l’operazione di frangitura deve essere sottoposta a
un’ulteriore operazione tecnologica per preparare al meglio l’impasto per la successiva
separazione dell’olio: la
gramolazione.

Essa consiste nel lento


rimescolamento della pasta
ottenuta dalla molitura, per una
durata e ad una temperatura che

Figure 8 Pasta di olive nella gramolatrice

20
possono essere diverse a seconda della qualità dell’olio che si prevede di ottenere e della
pasta in lavorazione. Il movimento lento e continuo della pasta serve a far sì che,
rompendo la membrana che le avvolge, le minute goccioline di olio si aggreghino in
gocce più grandi che possano essere facilmente allontanate dalla pasta. Mentre prima di
questo processo si trova l’olio disperso in acqua e materiale citoplasmatico, dopo questa
fase si troverà l’acqua dispersa in olio. Dal punto di vista chimico-fisico, la
gramolazione svolge una funzione di capitale importanza completando il processo,
iniziato durante la molitura, di disgregamento delle strutture cellulari del frutto per
liberare gli enzimi in esse contenuti. Questa fase avvia una complessa serie di reazioni
chimiche che conducono alla formazione di composti volatili, all’insieme dei quali si
attribuiscono le note olfattive positive dell’olio che si ricava.

I parametri fondamentali di questa fase del processo produttivo sono:

- La temperatura della pasta: Incrementi di temperatura riducono la viscosità


della pasta, favorendo la successiva separazione delle fasi liquide (acqua ed
olio) da quelle solide.
- La durata della gramolazione: Incrementare la durata determina un aumento
della resa di estrazione in olio; l’aumento della temperatura è
progressivamente minore con l’aumentare del tempo di gramolazione.

Tuttavia è da tener presente che gli incrementi di temperatura e di durata


dell’operazione influiscono negativamente sul tenore degli antiossidanti naturali
presenti nell’olio di oliva. In particolare, l’incremento di temperatura determina
l’aumento del numero di perossidi nell’olio; anche le caratteristiche organolettiche
possono essere negativamente influenzate da valori troppo elevati di temperatura a
causa dell’incremento di polifenoli, responsabili del gusto amaro. Inoltre, durante la
permanenza della pasta di olive all’interno della gramolatrice, i polifenoli contenuti
nella fase acquosa vanno incontro ad una elevata ossidazione, determinando un
passaggio di composti fenolici dalla fase oleosa a quella acquosa, andando a pesare
particolarmente sulle acque di vegetazione. Tempi lunghi di gramolazione, pertanto,
impoveriscono l’olio di questi componenti.

21
La gramolazione perciò, bensì sia importante ai fini della resa in olio, deve essere
condotta con temperature della pasta e tempi di gramolazione opportunamente
controllati, per ottenere risultati ottimali anche sotto l’aspetto qualitativo.

La gramolazione avviene nella gramolatrice, un macchinario costituito da una vasca


generalmente rivestita da una camicia d’acqua mantenuta alla temperatura impostata
(compresa tra i 25°C e i 30°C). La massa viene
tenuta in lento e costante movimento per tempi
variabili tra 30 min e 60-75 min. A seconda del
tipo di impianto cui la pasta gramolata sarà
inviata, può essere aggiunta una certa quantità di
acqua al fine di fluidificare l’impasto. Se la
temperatura dell’acqua aggiunta è
particolarmente alta (es. 50°C o più), si possono
aumentare le rese di estrazione grazie alla minor
viscosità dell’olio che diventa più facilmente
estraibile, ma certamente a discapito della
Figure 9 Presse idraulica e fiscoli per l'estrazione
dell'olio qualità, come detto prima. [14]

2.5.6 Separazione dell’olio dalla pasta di olive


Una volta finita la fase di gramolazione, la pasta di olive viene sottoposta ad un
processo di estrazione che consiste nella separazione del mosto oleoso (miscela di olio
ed acqua di vegetazione) dalla sansa, la frazione solida costituita dai frammenti di
nocciolo, dalle buccette e da frammenti di polpa. L'estrazione è attuata con sistemi
alternativi che sfruttano principi meccanici concettualmente differenti: l’estrazione per
pressione, per centrifugazione o per percolamento (quest’ultima non verrà trattata in
questa sede). Il mosto d'olio e la sansa hanno caratteristiche differenti secondo il
metodo d'estrazione impiegato, vi sono anche profonde differenze nell'impianto, nella
qualità del prodotto, nell'organizzazione del lavoro e nella stessa gestione.

2.5.6.1 Sistema di estrazione per pressione


Il sistema di estrazione per pressione è il metodo tradizionale. Si stima che il 50% dei
frantoi italiani operi ancora con questa tecnica [17]. Una pila di fiscoli contenenti la
pasta olearia gramolata, viene sottoposta a pressione per farne uscire le fasi liquide, olio

22
ed acqua di vegetazione. I fiscoli moderni sono dei diaframmi circolari in fibra sintetica
di polipropilene al 100% per alimenti. Questi vengono imbevuti nella pasta di olive per
poi essere impilati e messi sotto la presa che permette l’estrazione.

Al centro del piatto è inserito un cilindro forato (detto foratina) che ha lo scopo di
mantenere la pila in verticale e favorire il deflusso del mosto d’olio anche lungo l’asse
centrale della pila. La costruzione della pila avviene secondo un ordine standard: il
fiscolo è infilato lungo la foratina. Sul primo diaframma, adagiato sul fondo del piatto,
si dispone uno strato di pasta d’oliva spesso 3 cm, si sovrappone un secondo diaframma
e un secondo strato di pasta e così via. Complessivamente si costruisce una pila
composta dalla sovrapposizione di 60 diaframmi alternati a 60 strati di pasta, 20 dischi
d’acciaio e 20 diaframmi senza pasta. Il quantitativo di pasta impiegato corrisponde ad
una partita di olive molite con la molazza [17].

L’operazione di spremitura si inizia azionando la pompa idraulica che, spingendo dal


basso il carrello, comprime la torre contro la trave superiore della incastellatura. In
queste condizioni la pasta di olive, per effetto della pressione, riduce il suo volume
liberando le fasi liquide che possono filtrare attraverso il panello di solido e le maglie
dei fiscolo dando luogo a due flussi, uno centripeto che fluisce attraverso la foratina
centrale, e l’altro centrifugo che scende e sgocciola dalla parte esterna della torre per
essere raccolto sul piatto del sottostante carrello.

Terminata l’operazione di spremitura dopo circa 60 minuti, si inviano leggeri getti di


acqua di rete sulla torre spremuta dagli appositi ugelli situati nei piatti fissi superiori
della pressa, al fine di far sgocciolare tutto il mosto oleoso residuo sulla superficie
esterna della torre. Quindi, si ferma la pompa idraulica e si apre la valvola di tenuta fino
a tornare alle condizioni iniziali. Il carrello con la composta spremuta si riporta nella
zona in cui si effettua lo scarico della sansa e il carico della pasta di olive sui fiscoli. La
pila di fiscoli viene smontata e dai diaframmi viene rimossa la sansa utilizzando
apposite macchine e lavandoli, per poi essere riutilizzati.

Il mosto oleoso raccolto nel pozzetto situato dietro la presa si avvia alla successiva
separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione che come vedremo verrà realizzata
tramite una centrifuga verticale.

23
Al fine di garantire la produzione di olio di buona qualità il frantoio, operante con la
pressione, deve tenere in considerazione i seguenti punti critici del sistema:

- Cambiare annualmente i diaframmi filtranti,


- Assicurarsi sulla qualità delle olive,
- Assicurare la pulizia continua dei locali e dei macchinari,
- Ridurre al minimo l’utilizzo dell’acqua, specialmente nella separazione del
mosto oleoso.

Al frantoio a molazze viene riconosciuto fondamentalmente il merito di realizzare la


frangitura delle olive senza eccessive sollecitazioni meccaniche, senza determinare
pregiudizievoli emulsionamenti e senza pericoli di inquinamenti da metalli, che sono
tutti requisiti importanti in rapporto alla qualità dell’olio. Esso, inoltre, consente di poter
preparare le paste rapportando la frangitura alle caratteristiche delle olive, riducendo i
noccioli in frantumi di dimensioni volute, di realizzare una rottura delle cellule molto
profonda garantendo la formazione di goccioline di olio di maggiori dimensioni
sostituendo parzialmente la successiva gramolazione e di non provocare aumenti di
temperatura della pasta [14].

Il sistema a pressione permette una buona resa di olio per il quantitativo di olive trattate
ma ultimamente gli oleifici tendono a preferire il sistema di estrazione per
centrifugazione poiché necessitano di una minore quantità di mano d’opera e di
operazioni di manutenzione e pulizia dell’impianto. Gli oleifici tradizionali sono in
genere, rappresentati da privati che prestano il servizio di molitura ai produttori di olive
e mantengono il sistema della pressione al fine di non perdere la clientela affezionata al
prodotto olio ottenuto con le macine e con la pressa

2.5.6.2 Sistema della centrifugazione


Come nel sistema a pressione, questa fase del processo produttivo consiste nella
separazione della fase liquida, costituita dal mosto oleoso, dalla fase solida (sansa).

L’evoluzione in questi ultimi anni continua a fare grandi passi. Gli idroestrattori,
normalmente chiamate centrifughe di pasta o decanter, stanno evolvendosi sino a
raggiungere ottimi risultati sia qualitativi che di efficienza. Sono attualmente presenti
sul mercato decanter per la lavorazione tradizionale standard a “tre fasi”, ovvero olio,

24
acqua di vegetazione e sansa con acqua aggiunta, e per la laborazione a “due fasi” olio e
sansa senza acqua aggiunta.

Nel sistema a ciclo continuo, la pasta passa dalla gramola alla centrifuga, attraverso
pompe volumetriche (pompe mono-vite) o a vite senza fine, con aggiunta di una
quantità definita di acqua possibilmente a temperatura controllata.

L’interno della centrifuga è costituito da un cono, normalmente di acciaio inossidabile


che gira a circa 2800/3400 rpm. In questa sede, per effetto della forza centrifuga
interagente sul diverso peso specifico dei componenti, avviene la separazione pasta-
mosto.

- La fase solida, costituita dai frantumi di nòcciolo e dalla fibra vegetale, ha il


peso specifico più alto, circa 1,2 g/cm3, e si dispone, pertanto, nella parte più
periferica, sulla superficie interna del tamburo, da cui viene continuamente
rimossa e fatta avanzare verso la bocca di scarico, posta nella parte conica, dalla
coclea interna rotante a una velocità di poco superiore a quella del tamburo.
- La fase liquida acquosa, immiscibile con l’olio e avente un peso specifico
variabile da 1,02 a 1,09 g/cm3, si dispone secondo un anello circolare
intermedio, tra quello della sansa e quello dell’olio, e si muove, in senso
contrario rispetto alla sansa, verso l’ugello di uscita posto all’altra estremità del
decanter, a un’altezza inferiore (rispetto a un piano orizzontale di riferimento,
per esempio il pavimento) a quella a cui si trova la bocca di scarico della sansa.
- La fase liquida oleosa, immiscibile con l’acqua di vegetazione e avente il peso
specifico più basso, variabile da 0,915 a 0,920 g/cm3, si dispone secondo una
corona circolare più interna e si muove nello stesso senso dell’acqua, verso un
diverso ugello di uscita posto a un’altezza superiore a quella dell’ugello da cui
esce l’acqua[18].

La pasta, esaurita quasi completamente d’olio, ma con un alto contenuto d’acqua (in
alcuni casi oltre il 50%, soprattutto nel processo a due fasi), viene ad essere allontanata
quale sansa, il mosto invece viene avviato alla separazione finale. La sansa costituisce
un sotto-prodotto che, in generale, viene inviato ai sansifici (Uno stabilimento
industriale in cui si effettua la lavorazione della sansa) sia per la produzione dell’olio di

25
sansa, decisamente più scadente rispetto all'extra vergine di oliva e viene in generale
usato come concime, sia per essere essiccato e smaltito nel terreno agricolo.

Le operazioni descritte, pur riducendo di molto la mano d’opera necessaria rispetto al


sistema a presse, lasciano un margine di discrezionalità minore. Risulta importante
tenere sotto controllo la quantità, la qualità e la temperatura dell’acqua che si aggiunge
alla pasta. Quest’acqua deve essere aggiunta nella minor quantità possibile, deve essere
potabile, possibilmente decalcarizzata e senza residui di cloro e non fredda (temperatura
ideale di circa 28°).

Figure 10 Centrifuga orizzontale per la separazione del mosto oleoso dalla sansa

I tradizionalisti preferiscono l’estrazione per pressione alle centrifughe perché


quest’ultime, lavorando con aggiunta d’acqua, operano un “lavaggio” dell’olio poiché il
prodotto ha un contenuto in componenti polari minori superiore a quello contenuto
dall’olio prodotto con sistema tradizionale, e nella varie fasi i polifenoli sono distribuiti
in modo differente. Pertanto si ritiene che l’aggiunta d’acqua nella lavorazione di fatto
contribuisca ad una alterazione dei composti aromatici, ma risultano più resistenti al
degrado naturale. Per quanto riguarda la resa non si hanno grandi differenze, anche se
generalmente è più facile conseguire risultati leggermente superiori con le centrifughe.

Per le centrifughe il problema igienico è estremamente più semplice, è sufficiente


operare all’inizio ed alla fine della lavorazione un lavaggio automatico di tutto il
macchinario che essendo tutto in acciaio inox, non presenta rischi di trattenere e cedere
odori e sapori sgradevoli [19].

26
Per ottenere la separazione del liquido dal solido viene utilizzata, nel processo continuo
a tre fasi, una centrifuga a bassa velocità detta decanter. Il mosto oleoso raccolto in
uscita dal decanter viene infine inviato al separatore centrifugo per l’ultima fase del
processo di estrazione dell’Olio Extra Vergine di Oliva.

2.5.7 Separazione dell’olio dalle acque di vegetazione


L’ultima fase del Processo Produttivo è costituita dalla separazione dell’olio dall’acqua
di vegetazione.

Ogni sistema di lavorazione delle olive prevede, alla fine del processo, la separazione
delle fasi liquide da quella solida secondo le seguenti modalità:

- Il sistema della pressione lascia la fase solida (sansa) all’interno della torre di
fiscoli e fa defluire la parte liquida, costituita da olio e da acqua di vegetazione
(mosto oleoso), in un pozzetto da cui viene ripresa e avviata al separatore
centrifugo verticale;
- Il sistema continuo della centrifugazione a 3 fasi separa in maniera continua e
distinta le 3 fasi che sono rappresentate, rispettivamente, dalla sansa, dall’olio,
più o meno impuro per la presenza di acqua, e dalla fase acquosa costituita da
acqua di vegetazione diluita e da minime quantità di olio, presente allo stato
libero o in emulsione o racchiuso nei frammenti vegetali che inevitabilmente
confluiscono nella fase acquosa;
- Il sistema continuo della centrifugazione a 2 fasi separa in maniera continua e
distinta, da una parte, la fase semisolida costituita dalla sansa e dall’acqua di
vegetazione e, dall’altra, la fase liquida costituita prevalentemente da olio in
presenza di quantità più o meno evidenti di acqua di vegetazione e di frammenti
vegetali

Un tempo la separazione dell’olio dall’acqua di vegetazione avveniva per sfioramento:


Il mosto, lasciato riposare per un certo periodo, faceva affiorare l’olio, più leggero
dell’acqua, che veniva pescato con un particolare cucchiaio dalla superficie della vasca
di raccolta.

Al giorno d’oggi si usano le centrifughe verticali (dette separatori) che consentono


ottimi risultati, sia per la velocità di separazione che per l’elevata affidabilità del

27
macchinario. Questa centrifuga raccoglie in ingresso il mosto oleoso proveniente dal
decanter e, centrifugando ad elevata velocità, restituisce in uscita olio extra vergine di
oliva ed acque reflue. Il separatore centrifugo consiste in un serbatoio cilindrico
contenente il tamburo ruotante costituito da una serie di dischi conici forati e
sovrapposti. Il mosto d’olio, immesso dall’alto entra nel tamburo ed è sottoposto ad una
centrifugazione a 4000 giri al minuto. Il principio è quello classico della separazione per
centrifugazione di un liquido composto da elementi di diverso speso specifico: per
effetto fisico i materiali più pesanti si dispongono all’esterno ed i più leggeri all’interno;
inoltre in presenza di sedimenti solidi fa sì che quest’ultimi si depositino nella periferia
dei coni di centrifugazione [16].

La maggior parte degli impianti dispone ormai di due separatori, uno dell’olio (che
toglie l’acqua residua) ed uno dell’acqua (che recupera l’olio che è rimasto). In
aggiunta, le ultime macchine prodotte si dispongono automaticamente per l’espulsione
dei residui solidi, provvedendo all’autopulizia dei dischi lamellari di separazione.

L’olio extra vergine di oliva viene inviato in delle vasche di raccolta di acciaio, a
contatto con l’aria, per sfruttare la sedimentazione spontanea della morchia (residui
solidi che potrebbero rendere torbido l’olio appena centrifugato) e sarà pronto per essere
confezionato.

Le acque reflue vengono invece raccolte e smaltite secondo normativa, come si vedrà
più avanti.

Figure 11 Vista di un frantoio con molazze

28
Chiarire gli aspetti legati ai processi di estrazione è fondamentale per comprendere
quanto sia importante lo studio di queste industrie considerando anche la stagionalità
dell’utilizzo di tali quantità di acqua, a cui segue una produzione di acque di
vegetazione. Questo implica la presenza di una quantità considerevole di prodotti non
immediatamente smaltibili se non con lavorazioni successive. La produzione annuale di
olio d’oliva in Italia consuma più di 8.000.000 di tonnellate di acqua e produce
contemporaneamente più di 4.600.000 tonnellate di acqua di vegetazione e più di
6.800.000 tonnellate di sansa umida [14]. La distribuzione disomogenea della
disponibilità di acqua e
l’eccesso di acque di
vegetazione in pochi mesi
l’anno, sarà determinante
nella definizione e nella
scelta di molti parametri
progettuali e sarà uno degli
elementi critici proprio nelle
valutazioni di tipo tecnico,
pratico ed economico.

Figure 12 Schema di funzionamento della centrifuga per la


separazione dell'olio dalle AV

29
Arrivo delle olive

Defogliazione e lavaggio

Frangitura

Gramolatura

Estrazione

Sistema centrifugo Sistema per pressione

A due fasi A tre fasi


Mosto oleoso
(AV + olio)
Mosto oleoso
Olio (AV + olio)

Sansa
Sansa Umida Sansa

Centrifugazione

Olio Acque di vegetazione

Figure 13 Schema funzionale di un frantoio tradizionale o con centrifuga

30
3 SOTTOPRODOTTI DELL’INDUSTRIA OLEARIA E NORMATIVA

La lavorazione delle olive in frantoio finalizzata alla produzione di olio extravergine di


oliva destinato al consumo diretto determina anche la produzione di sottoprodotti che
possono rappresentare, per l’oleificio, una fonte di reddito o, al contrario, un aggravio di
costi per il loro smaltimento.

Il problema dello smaltimento dei reflui dell’industria olearia è particolarmente


avvertito nei paesi del mediterraneo, dove può raggiungere il 10-20% del costo di
produzione dell’olio [20].

I sottoprodotti dell’attività del frantoio, che opera con i sistemi della pressione o della
centrifugazione a tre fasi sono i seguenti: foglie di olivo; sansa vergine di oliva; acqua
di vegetazione delle olive; nocciolino. Nel caso della lavorazione delle olive con il
sistema della centrifugazione a due fasi, invece, i sottoprodotti dell’oleificio saranno gli
stessi sopra elencati, tranne l’acqua di vegetazione.

3.1 LE FOGLIE DI ULIVO


Come visto precedentemente (Par. 2.5.2) la raccolta delle olive determina la
contemporanea caduta delle foglie, la cui presenza può essere anche elevata. In genere,
tutti gli oleifici operano la separazione delle foglie che, pertanto, rappresentano un
sottoprodotto da smaltire razionalmente e nel rispetto della normativa e dell’ambiente. Il
modo più comune di smaltimento delle foglie consiste nel riciclarle sul terreno, in
genere l’oliveto stesso, meglio se sminuzzate, con apposita macchina, e interrate. Altra
destinazione delle foglie può essere quella dell’essiccamento naturale e della successiva
utilizzazione come combustibile nei focolari domestici o negli impianti termoelettrici
che si stanno diffondendo nelle varie regioni. Le foglie d’olivo, tuttavia, sono una fonte
potenziale di sostanze fenoliche poiché contengono glucosidi fenolici e oleuropeina.
Questa sostanza naturale ha un interesse farmacologico per le sue proprietà ipotensive
che se oppurtunamente trattate con solventi potrebbero essere estratte.

3.2 LE ACQUE DI VEGETAZIONE


L’acqua di vegetazione (AV) è il sottoprodotto liquido che si ottiene negli oleifici
quando si lavorano le olive per estrarre l’olio con i sistemi meccanici della pressione e

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della centrifugazione a tre fasi. Le AV sono il principale sottoprodotto dei processi
tradizionali e processi a tre fasi e, allo stesso tempo, il più critico dal punto di vista
ambientale sia per le concentrazioni di inquinanti che contengono sia per l’ingente
quantità che viene prodotta, pari quasi alla totalità in peso delle olive trattate. Esse sono
costituite dalla frazione liquida, separata per centrifugazione, del mosto oleoso e dalle
acque di lavaggio nonché dalle acque di diluizione della pasta, nel caso di processo a
centrifgazione. Il lavaggio delle olive, che si effettua mediante apposita macchina dopo
la defogliazione, richiede l’impiego di acqua potabile e il volume finale delle acque
residuate dall’operazione ammonta a circa il 10% della quantità giornaliera di olive
poste in lavorazione. Questo sottoprodotto viene, in genere, miscelato con l’acqua di
vegetazione prodotta dall’oleificio e ne segue la via dell’utilizzazione prevista che, nel
caso degli oleifici italiani, è per lo più quella dello spargimento controllato sul terreno
agrario, così come consentito e regolato dalla legislazione vigente.

3.2.1 Aspetto e composizione


Per quanto riguarda l’aspetto, le AV presentano una colorazione scura talvolta quasi
nera e sono caratterizzate da un odore
molto intenso, che ricorda la drupa da cui
derivano. Il colore scuro è legato alla
presenza di pigmenti di natura
catecolmelaninica costituito da un polimero
che si forma dagli o-difenoli (di cui il
refluo è ricco), in particolare dalla
Figure 14 Acque di vegetaione e olio di oliva in uscita
dalla centrifuga – Frantoio Torresi
oleocianina per l’azione dell’ossidazione fenolica ed in presenza dell’aria [21]. Tali
sostanze hanno origine dalla drupa giacché l’acqua di costituzione delle AV ammonta
circa al 40-50% in peso della drupa mentre i costituenti rimanenti, quali l’acqua di
lavaggio delle olive e degli impianti, contribuiscono alle AV in quote minori; infatti
l’acqua di lavaggio delle olive è presente mediamente per il 5-10% in peso delle olive
lavorate a cui si aggiungono le acque di lavaggio dell’impianto che incidono, anche
esse, per il 5-10% in peso. Per il metodo tradizionale, in cui non vi sono contributi
aggiuntivi di acque o altri agenti, le AV prodotte corrispondono circa al 50-65 % in

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peso delle drupe lavorate; nel processo di estrazione a tre fasi, invece, il contributo
aggiuntivo di acqua necessaria a fluidificare il mosto porta ad una produzione di acque
pari al 90-120% in peso rispetto alla drupa lavorata[22].

3.2.2 Caratteristiche chimico-fisiche


Le AV provenienti dalla produzione dell’olio extravergine di oliva, a prescindere dal
tipo di oleificio o dall’area geografica in cui si trova, hanno caratteristiche chimiche
molto simili. La stessa cosa non si può dire per le caratteristiche quantitative, che
variano notevolmente a seconda della situazione che si va a considerare. Si può quindi
affermare che, in generale, queste sono costitute da una soluzione acquosa ad alto
contenuto di sostanze organiche (come ad esempio zuccheri riduttori, acidi organici,
poli-alcoli) e minerali (di cui i principali sono potassio, fosforo e calcio) oltre a tutti i
composti vegetali in sospensione all’interno della soluzione [23].

Nello studio del potenziale carico inquinante attribuito ai composti organici, si fa


riferimento a dei parametri che permettono di quantificarne l’attività biologica. Bisogna
tenere presente che questi parametri, brevemente spiegati in seguito, seppur efficaci per
l’analisi, permettono solo una misura indiretta del tenore di sostanze organiche presenti
in un'acqua.

-TOC (Total Organic Carbon) in italiano Carbonio Organico Totale, è una misura della
quantità di carbonio legato in un composto organico ed è spesso utilizzato come
indicatore non-specifico della qualità delle acque o nell'analisi dei fumi dei processi di
combustione [24]. Di solito viene espresso in termini di percentuale in peso (wt%)
rispetto ad un determinato composto o soluzione.

-COD (Chemical Oxygen Demand) in italiano Richiesta Chimica di Ossigeno,


rappresenta la quantità di ossigeno necessaria per la completa ossidazione per via
chimica dei composti organici e inorganici presenti in un campione di acqua. Viene
misurato in milligrammi di ossigeno per litro di soluzione[mgO2/l] [25].

-BOD5 (Biochemical Oxygen Demand) si definisce come la quantità di O2 che viene


utilizzata in cinque giorni dai microorganismi aerobi (inoculati o già presenti in
soluzione da analizzare) per decomporre (ossidare) al buio e alla temperatura di 20 °C le
sostanze organiche presenti in un litro d'acqua o di soluzione acquosa. Viene

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normalmente espresso in milligrammi di ossigeno per litro di soluzione[mgO2/l]
consumati in cinque giorni [26]. Il BOD5 è una misura indiretta del contenuto di materia
organica biodegradabile presente in un campione d'acqua o soluzione acquosa ed è uno
dei parametri più in uso congiuntamente al COD e al TOC.

Una volta definiti questi parametri è possibile passare alla trattazione delle
caratteristiche chimico-fisiche delle AV.

La Tabella 4 illustra i principali costituenti della soluzione evidenziando la forte


variabilità delle concentrazioni dei composti sia a parità di processo di estrazione,
confrontando i valori massimi e minimi i quali dipendono dalla materia prima
impiegata, sia a parità di materia prima utilizzata, fornendo un confronto tra processi
produttivi.

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Table 4 Variazione dei costituenti delle AV nei processi centrifughi e tradizionali - M. Taccari, Utilizzazione dei
Reflui Oleari Bioconversioni mediante Fermentazione e Compostaggio di Acque di Vegetazione per la produzione di
Bio-Fertilizzanti, 2008.

Parametri Processo continuo a Processo discontinuo a


centrifugazione pressatura
MIN MAX MIN MAX
pH 5,1 5,8 4,7 5,5
Acqua (%) 79,8 91,7 90,4 96,5
COD(g/l) 54,1 318 29 79
BOD5(g/l) 19 134 17 41
Residuo secco a 105°C 8,3 20 3,5 9,6
Composti organici (%) 7,22 18,3 2,6 8
Sostanze grasse (%) 0,02 1 0,5 2,3
Sostanze azotate (%) 1,2 2,4 0,17 0,4
Zuccheri (%) 2 8 0,5 2,6
Acidi organici (%) 0,5 1,5 --- ---
Polialcoli (%) 1 1,5 0,9 1,4
Pectine, tannini (%) 1,3 1,7 0,23 0,5
Polifenoli (%) 1,2 2,4 0,3 0,8
Sostanze minerali a 1 1,7 0,2 0,5
550°C
Fosforo (%) 0,14 0,23 0,03 0,07
Potassio (%) 0,47 0,81 0,11 0,24
Calcio (%) 0,01 0,06 0,01 0,03
Magnesio (%) 0,06 0,1 0,01 0,03

In base a questi dati è possibile fare le seguenti osservazioni. Il pH risulta essere molto
basso a prescindere dal metodo di estrazione impiegato, questo si deve alla presenza
degli acidi organici presenti nelle olive, i quali partecipano alle reazioni di
fermentazione della materia organica: maggiore sarà il tempo di residenza delle AV e
minore sarà il pH poiché si raggiunge un maggior grado di fermentazione. Il pH basso
permette di classificare le AV come acque fortemente acide. I Sali presenti nella
soluzione si generano dalle reazioni biochimiche nelle olive e provengono

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essenzialmente dal terreno, questo li rende particolarmente legati alla composizione
biologica, tipologia, posizione e agenti esterni del terreno in cui si trovano. Come
emerge da diverse indagini, gli elementi minerali maggiormente presenti sono il
potassio (200 mg/L per impianti a pressione e circa la metà per quelli a
centrifugazione), l’azoto (544-404 mg/L) e il fosforo (485-185 mg/L) mentre altri come
lo zinco, il cobalto, il piombo ed il rame hanno concentrazioni minori [27].

Gli elementi sopracitati non sono però responsabili della scarsa biodegradabilità delle
AV, lo sono invece altri composti organici come:

- Gli zuccheri. Sono le sostanze organiche prevalenti, presenti specialmente gli zuccheri
fermentescibili quali glucosio (70%), mannitolo (14%), fruttosio (10%), saccarosio
(5%), galattosio (1%) e cellulosa[20];

- Gli acidi organici;

- Gli alcoli fenolici. Sono gli elementi più critici sia dal punto di vista ambientale, a
causa dell’azione fitotossica sulla microbiologia dei terreni e acque, sia da quello
industriale poiché presentano molte problematiche di processo soprattutto negli impianti
di smaltimento;

- I lipidi. Sono presenti nell’olio residuo trasportato dalle AV e il contenuto varia


sensibilimente da 0,5 g/l a 50 g/l, una variazione molto ampia e importante; ciò è legato
alla varietà del lotto di olive, allo stato di maturazione, dello stoccaggio e del degrado
che le olive possono aver subito fra la raccolta e la spremitura. La concentrazione
risulta, comunque, particolarmente influenzato dalla tecnologia estrattive come si può
notare dalla tabella 4.

Questi composti organici sono responsabili dell’alto tasso di COD e BOD5 presenti
nelle AV, che sono di fondamentale importanza. Infatti un valore di COD troppo
elevato impedisce lo scarico diretto dei reflui in corsi di acqua superficiale o in
fognatura poiché i valori superano ampiamente quelli massimi previsti dalla normativa
vigente, la legge italiana consente lo scarico nei sistemi fognari di acqua il cui COD non
sia superiore a 500 mg/L mentre per lo scarico in acque superficiali il limite ammesso è
pari a 160 mg/L (D.Lgs.152/06 - Allegato 5 alla parte terza). Lo scarico delle acque di
vegetazione è uno dei problemi fondamentali a cui deve far fronte l’oleificio, infatti,

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non potendolo scaricare nella fognatura urbana, per questioni logistiche ed economiche,
questi preferiscono rincorrere a vasche di raccolta (di solito interrate) dove stoccare il
refluo per tempi più o meno lunghi a seconda delle necessità. In questo frangente di
tempo la concentrazione di alcuni componenti organici facilmente fermentescibili può
diminuire anche notevolmente, per azione dei microrganismi aerobi ed anaerobi in
grado di decomporli. Questo sistema riscontra diverse problematiche, sia di gestione sia
economiche, giacchè il costo dello smaltimento si stima essere di circa 10 €/ton.

3.3 IL PROBLEMA AMBIENTALE- DA RIFIUTO A RISORSA


L’adozione di sistemi colturali e di allevamento sempre più intensivi, uniti a tecniche di
trasformazione delle produzioni agrarie progressivamente più sofisticate e
industrializzate ha portato, nel corso degli anni, ad un crescente sfruttamento delle
risorse naturali e, nel contempo, al manifestarsi di alcuni problemi non trascurabili a
livello di compatibilità ambientale dell’intero modello produttivo.

Come accennato prima, la gestione delle AV risulta particolarmente delicata dal punto
di vista della sostenibilità ambientale. Lo smaltimento di queste incontra infatti
numerosi ostacoli poiché, sebbene il carico inquinante sia modesto, lo spandimento sui
terreni viene impedito dall’enorme quantità prodotta in un ristretto lasso di tempo. Ciò
risulta dannoso sia per il terreno che viene contaminato con un’enorme inibizione
dell’attività biologica, che per le falde acquifere che verrebbero contaminate con un alto
tasso tossico. Purtroppo, nonostante i dati ambientali siano ben chiari, lo spandimento
sul terreno risulta ancora oggi la tecnica preferita per lo smaltimento delle AV per
esigenze sia pratiche che di costi legati agli impianti di depurazione. Soltanto negli
ultimi anni la normativa si è fatta più esigente nel controllo dello spandimento delle
acque di vegetazione, che deve essere monitorato e può avvenire nei tempi e modalità
descritte dal decreto regionale di appartenenza. Anche qui, per questioni pratiche e di
discontinuità dei controlli, l’osservanza di tale legge risulta difficoltosa e lo
sversamento difficilmente controllabile. La normativa vigente risulta pertanto
inadeguata a garantire la sostenibilità ambientale dello smaltimento.

La nascita di una coscienza ambientale nella società moderna tende a cambiare il


significato di rifiuto, vedendolo non più come qualcosa da smaltire ma come una

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possibile risorsa da ritrasformare in un elemento utile. Questa nuova concezione del
rifiuto che diventa risorsa sta apportando dei grossi cambiamenti nelle aziende che
vogliono tenersi al passo con le nuove politiche ambientali e che mirano a soddisfare un
pubblico ad esse interessato. Sono nate, come vedremo più avanti, moltissime
certificazioni ambientali e processi di valutazione che stanno modificando il concetto di
sostenibilità di un prodotto, azienda o processo produttivo. La tendenza negli ultimi
anni è quindi quella di cercare di riciclare le AV, limitando il più possibile lo
sversamento e cercando di trasformare il rifiuto in risorsa. Le acque di vegetazione,
attraverso opportune trasformazioni fisico-chimiche, possono essere trasformate in
prodotti ad alto valore chimico-energetico da una parte e, dall’altra, in un prodotto di
scarto con un carico inquinante pressoché nullo.

Nei laboratori ENEA, per esempio, sono stati brevettati due tipi di impianti per il
trattamento delle acque di vegetazione. Il primo, che vedremo più avanti nel dettaglio,
di M. Pizzichini e C. Russo, studia le tecnologie separative mediante membrana.
Tramite questo processo a membrane separative è possibile separare le AV, con
tecnologia di filtrazione tangenziale, in cinque frazioni liquide di composizione chimica
diversa. Le prime due frazioni, risultato della micro e ultra filtrazione, risultano
impoverite in polifenoli e possono essere destinate al processo anaerobico per produrre
energia (1 m3 produce, attraverso processi di cogenerazione del biogas, 99 kWh di
energia elettrica). Le frazioni 3 e 4 risultanti dalla nano filtrazione e dall’osmosi inversa
contengono le molecole bioattive antiossidanti che possono essere polverizzate e rese
stabili e commercializzabili (ad esempio per gli integratori alimentari). La quinta
frazione, ovvero il permeato di osmosi inversa, rappresenta circa il 70% in volume delle
AV grezze di partenza ed è costituita da un’acqua ultrapura, sterile e povera di sali, ma
ricca di potassio cloruro e quindi di interesse per l’industria delle bevande. Come
emerge da questo esempio si parte da un sottoprodotto da smaltire (AV) per produrre
molecole di interesse biomedico ed energia verde e trasformare un’acqua non potabile
in risorsa idrica bevibile e curativa. Questo tipo di trattamento è destinato soprattutto ad
un olio proveniente da agricoltura biologica, quindi privo di prodotti chimici che
possano alterare i sottoprodotti permeati impedendo la loro commercializzazione [11].

L’altro brevetto ENEA, di S. Tosti e M. Sansovini, offre una valida soluzione per
fronteggiare l’impatto ambientale delle AV, evitare i costi di smaltimento e

38
contemporaneamente produrre una miscela di gas combustibile: Cioè rende possibile
trasformare in risorsa energetica l’acqua di vegetazione. Nel processo le acque di
vegetazione vengono prima filtrate e concentrate e poi inviate in un reattore dove,
attraverso una reazione di reforming, viene prodotta la miscela gassosa. Nel caso venga
utilizzato un reattore a membrana è possibile separare direttamente idrogeno ultra puro e
ottenere rese di reazione molto elevate. L’energia necessaria ad alimentare il processo di
reforming, che incide notevolmente sui costi di gestione, può essere fornita dalla
combustione delle sanse, dalla combustione dei gas prodotti e dai recuperi termici delle
apparecchiature di processo.

Si vedranno in seguito le risorse che vengono maggiormente sfruttate nella produzione


dell’olio di oliva.

Le risorse idriche

L’elevato consumo idrico necessario per la produzione dell’olio di oliva rappresenta


uno dei principali impatti ambientali, in particolare per quanto riguarda il processo a tre
fasi. Infatti, in questo processo, la pasta oleosa che esce dalla gramolatrice, prima di
essere inviata all’estrattore centrifugo (decanter), deve essere fluidificata con acqua
calda; questo comporta una produzione ingente di AV e, a sua volta, una difficoltà di
smaltimento delle stesse. Come già accennato esistono in commercio decanter definiti
“a due fasi”, che potendo lavorare senza alcuna aggiunta di acqua, consentono risparmi
della risorsa idrica e riduzione della quantità di acque reflue. Tuttavia il processo a due
fasi, pur eliminando quasi del tutto il problema delle AV, genera delle problematiche
legate alla difficoltà della sansa residua che risulta essere molto umida e di difficile
lavorazione; la mistura umida dovrebbe essere poi successivamente lavorata in appositi
siti con enormi dispendi economici ed energetici che vanificano del tutto gli sforzi per
una soluzione sostenibile.

Le risorse energetiche

I consumi energetici sono generalmente riconducibili ai consumi termici per il


riscaldamento dell’acqua nel processo di estrazione unitamente a consumi elettrici legati
al funzionamento complessivo dell’impianto. A questi andrebbero aggiunti i consumi,
variabili in base alla soluzione adottata, di eventuali impianti di trattamento delle AV

39
che possono comprendere processi ad alta temperatura, quali distillazioni o reazioni di
diffusione in membrane o altri. Di tale aspetto se ne parlerà in maniera più ampia e
dettagliata nei prossimi capitoli.

L’utilizzo e la contaminazione del suolo e delle falde acquifere superficiali

La contaminazione del suolo e delle falde acquifere è un argomento di forte dibattito


soprattutto in ambito biologico. Sebbene la contaminazione delle falde sia accertata da
diversi studi con risultati più o meno omogenei, per quanto riguarda la contaminazione
del suolo ci sono diversi studi che portano a conclusioni spesso contrastanti; tali
incongruenze sono legate alla forte variabilità dei parametri operativi quali la
composizione del terreno e delle AV ma anche dalle modalità di somministrazione di
quest’ultime, dalla velocità di decomposizione, dalle misure effettuate. Ci sono poi
indicatori delle qualità strutturali del suolo (quali la porosità, la stabilità degli aggregati,
la ritenzione idrica, la permeabilità) dai quali è possibile ottenere informazioni preziose
sulla tollerabilità del terreno alle AV. In generale da questi studi si può evincere che
l’alterazione del terreno tramite le AV provoca:

-Una diminuzione della microporosità superficiale durante le prime settimane a cui


segue, dopo circa un mese, un aumento progressivo della stessa; lo sversamento
massiccio provoca gravi danneggiamenti della struttura microbiologica soprattutto in
terreni argillosi che comporta una irreversibile riduzione della porosità,

-Una diminuzione della stabilità degli aggregati indotta dalla porosità a cui è fortemente
legata; la successiva decomposizione dei polimeri organici deprime la capacità
stabilizzante della sostanza organica, per cui sono necessarie successive e oculate
somministrazioni di acque di vegetazione,

-Effetti fitotossici attenuati con una somministrazione ritardata; in genere, per


permettere l’abbattimento della componente fenolica, sarebbe necessario conservare le
AV per poi sversarle in primavera con ovvi inconvenienti di stoccaggio e/o trasporto,

-Un aumento dell'idrorepellenza nei suoli e, nell'immediato, un’ulteriore diminuzione di


infiltrazione con ulteriori rischi di scorrimento superficiale oppure di sommersione, a
seconda della giacitura del suolo,

40
-Una diminuzione del pH (fino a 5) indotta dalle reazioni degli acidi organici. Bisogna
tener presente che il pH viene scarsamente influenzato se lo sversamento avviene
secondo i limiti di legge,

- Un aumento della conducibilità elettrica indotta dalla maggiore presenza di sali nelle
acque di vegetazione; può essere in alcune occasioni fonte di inquinamento poiché
altera sensibilmente la frazione liquido-solida del terreno [28].

Gli studi che hanno prodotto risultati così contrastanti hanno fatto nascere una diatriba
sulla possibilità di sversare liberamente le AV nel terreno. Questo dibattito è ancora in
atto e viene alimentato dalla duplice funzione microbiologicamente inibitoria e
fertilizzante delle AV. Esse, in relazione alla composizione della mistura e al terreno
trattato, possono prevalere complessivamente nell’uno o l’altro effetto. In generale,
comunque, si riscontra nella maggior parte degli studi un’attività fitotossica delle AV
nei primi mesi dello sversamento su terreni, dovuta soprattutto alla presenza dei
polifenoli che contrastano fortemente l’attività microbiologica (con un conseguente
abbassamento del pH) seguito da una fase successiva di effetto fertilizzante legata alla
decomposizione dei polifenoli e alla presenza di minerali ed elementi cardine per il
fissaggio di questi (ad esempio fosforo e molecole fissatrici di azoto). Tale descrizione
del fenomeno, per quanto veritiera, risulta però essere troppo semplicistica e non adatta
a descrivere il fenomeno nella sua completezza.

Anche se le AV risultano sostanzialmente prive di agenti patogeni, l’effetto a medio-


lungo termine sulle caratteristiche micro-biologiche del terreno provocato dallo
spargimento delle AV risulta essere di difficile caratterizzazione. Lo studio più
approfondito nel tempo potrebbe essere un ottimo metro di giudizio per valutare se
proibire o meno lo sversamento delle AV sui terreni [29].

Di notevole importanza, quando si studiano le AV, risulta essere anche la componente


fenolitica. Come visto prima (cap 2.4) questi hanno molte qualità positive per la salute
umana, ma quando si tratta dello smaltimento sono le componenti più problematiche. La
peculiarità di alcuni di questi risiede nella loro lenta biodegradabilità e nell'azione
antimicrobica; sono proprio i polifenoli, dunque, ad essere responsabili dell’effetto
inquinante poiché tali effetti ostacolano sensibilmente la biodegradazione delle acque di
vegetazione, rallentando quindi la naturale riduzione del carico inquinante dei reflui. Per

41
la trattazione in questione risultano di particolare interesse i polifenoli solubili in acqua i
quali sono anche responsabili di fenomeni di inibizione di germinazione, crescita e
sviluppo di diverse piante erbacee e fenomeni di eutrofizzazione. Dal punto di vista
macroscopico, infatti, è stato osservato un effetto erbicida in terreni trattati con reflui
oleari. Studiando poi la diffusione nel terreno è stata dimostrata la presenza di fenoli in
pozzi, anche profondi, localizzati in una zona ad elevata densità di piccoli e medi frantoi
dove lo sversamento dei reflui oleari nei campi è pratica comune. Le conseguenze dal
punto di vista microbiologico sono innumerevoli; l’apporto dei reflui di frantoio (e
quindi di polifenoli) nel terreno provoca inizialmente una generale diminuzione della
microflora totale, probabilmente dovuta alla presenza di composti batteriostatici e/o
battericidi per alcuni ceppi. In seguito si assiste ad una crescita della microflora che
raggiunge e supera i valori iniziali in un periodo variabile tra le 7 e le 15 settimane. Si è
rilevato comunque che, a dosi non eccessive (fino a 160 m3/ha), non si riscontrano
effetti negativi sulla reattività biologica complessiva dei suoli trattati. Inoltre è stato
evidenziato in alcune misurazioni la presenza di lieviti riconducibili alle AV
congiuntamente ad un arricchimento della popolazione di batteri azotofissatori liberi.
Gli azotofissatori liberi sono un importante fattore per la fertilità del terreno. Molti
ceppi azotofissatori sono infatti buoni produttori di regolatori di crescita, sostanze che
giocano un ruolo fondamentale nel metabolismo della pianta [28].

Da quanto detto si evince che i problemi connessi con la presenza dei polifenoli nel
terreno non è tanto legata ad un’azione tossica diretta nei confronti degli organismi
biologici, quanto agli effetti antiossidanti e batteriostatici, che possono influenzare i
cicli dei nutrienti organici e minerali presenti nel terreno.

3.3.1 Trattamenti delle AV


Le acque di vegetazione delle olive, per quanto detto prima, pur non contenendo
sostanze tossiche, sono considerate refluo a tasso inquinante fra i più elevati nell’ambito
dell’industria agro-alimentare per la presenza di composti ad attività biostatica, quali in
particolare i polifenoli. Il trattamento delle acque di vegetazione delle olive è molto
difficoltoso a causa dell’alto contenuto di materiale organico (COD, BOD) e del fatto
che la loro produzione è concentrata nel periodo della raccolta dei frutti (dalla metà di
ottobre fino a gennaio/fine febbraio) e non è distribuita nell’arco dell’anno. I polifenoli,

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da una parte, sono inibenti dei microorganismi, inibiscono l’attività delle cellule e di
altri enzimi e dei microorganismi responsabili della degradazione anaerobia delle acque
di vegetazione, dall’altra queste acque sono anche caratterizzate da un’elevata carica
inquinante a causa sia dell’alto contenuto in sali e in sostanza organica sia dell’elevata
acidità. Per tali motivi, la legge n° 319/76 (legge Merli) e successive, hanno vietato lo
scarico dei reflui in corsi d’acqua o nelle fognature urbane, se non dopo adeguata
depurazione. Infatti, nel primo caso le sostanze organiche contenute nelle acque reflue
sarebbero degradate a spese dell’ossigeno disciolto nel corpo d’acqua ricevente, che
così ne risulterebbe fortemente impoverito. In caso di immissione delle acque reflue in
fognatura si potrebbero verificare corrosioni, formazione di fanghi nelle strutture
fognarie, con pericolo di ostruzione totale o parziale, e soprattutto un cattivo
funzionamento, per sovraccarico, degli impianti di depurazione progettati e
dimensionati per il trattamento di soli scarichi civili. Per ridurre il potenziale inquinante
dei reflui sono stati proposti diversi sistemi di depurazione (incenerimento,
ultrafiltrazione, concentrazione, ecc.) che però non sono in grado di ridurre il tasso
inquinante ai livelli fissati dalle norme di legge a costi economicamente accessibili per
la maggior parte dei frantoi, che sono per lo più di piccole dimensioni, e che, comunque,
producono fanghi di difficile smaltimento. Gli elevati consumi energetici dei diversi
sistemi, inoltre, costituirebbero di fatto una causa di inquinamento. Anche il lagunaggio,
pur non richiedendo grossi investimenti, è difficilmente praticabile poiché è ad attività
molto lenta e può produrre cattivi odori che si diffondono su ampie superfici.

In seguito verranno illustrati i principali e più diffusi metodi di trattamento delle acque
di vegetazione.

3.3.1.1 Spandimento e Fertirrigazione


Per i motivi sopra elencati gran parte dei frantoi, pur attraverso difficoltà burocratiche
ed implicazioni giudiziarie, risolvono il problema dello smaltimento delle acque di
vegetazione mediante spargimento sul terreno, seguendo le prescrizioni legislative
regionali, emanate sulla base della normativa nazionale. In particolare, con la Legge 574
dell’11 novembre 1996, vengono riconosciute alle acque di vegetazione delle proprietà
fertilizzanti. In effetti, diversi Enti di ricerca italiani e stranieri, tra cui l’ENEA di

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Frascati, stanno valutando gli effetti della distribuzione dei reflui tal quali sul terreno
agrario (fertirrigazione).

La possibilità di utilizzazione agronomica dei reflui è strettamente legata alla


problematica più generale della qualità delle acque irrigue. Trattandosi, infatti, di reflui
diluiti a basso contenuto di elementi fertilizzanti, la pratica dell’utilizzazione
agronomica può essere, essenzialmente, assimilata all’irrigazione o alla fertirrigazione
piuttosto che allo spandimento di fanghi o di altri tipi di reflui solidi.

Gli inconvenienti ipotizzati per tale tecnica sono collegati all’elevata acidità e all’alto
contenuto in sali ed in polifenoli, nonché alle possibili difficoltà nell’operazione di
spargimento con autobotti in caso di cattivo tempo e di difficile accesso al terreno. In
particolare, come detto prima, i composti fenolici sono caratterizzati da lenta
biodegradabilità e da un’azione antimicrobica che ostacola sensibilmente la naturale
riduzione del carico inquinante dei reflui e inibisce la germinazione, la crescita e lo
sviluppo di diverse piante erbacee (effetto erbicida). In relazione a tali possibili
inconvenienti, va però considerato che il suolo è un substrato ad elevata reattività in
quanto:

- Trattiene come un filtro le sostanze in sospensione; l’argilla, l’humus ed i colloidi


organici di neoformazione fissano i sali minerali (si formano carbonati, solfati, umati di
calcio, idrossidi di ferro e di alluminio, ecc.);

- I microrganismi favoriscono la rapida decomposizione dei costituenti organici,


compresi i polifenoli e i lipidi; anche molti ioni (potassio, calcio, magnesio, fosfato e
nitrato in particolare), vengono organicati dalla flora batterica del terreno;

- In relazione ai polifenoli, va considerato che l’effetto fitotossico è limitato nel tempo


anche per la loro maggiore degradabilità alla luce e all’aria.

Diverse sperimentazioni [30] sul bacino del Mediterraneo hanno mostrato i seguenti
risultati.

Effetti sulle colture

Oltre alla presenza di sostanze potenzialmente tossiche per le piante, dannose per il
terreno o inquinanti per l’acqua di falda, un elemento da tener sempre presente quando

44
si pratica irrigazione con acque di qualità non eccellente è sicuramente la salinità. Dal
punto di vista quantitativo per salinità s’intende la concentrazione di sali solubili, che
esprime la quantità dei composti chimici presenti in forma ionica. La salinità, cioè la
concentrazione totale di sali solubili, può essere misurata direttamente in stufa (mg/L o
ppm) misurando i solidi totali disciolti (TDS, questo metodo è applicabile in assenza di
carbonati), oppure attraverso la misura della conducibilità elettrica della soluzione (EC,
mS cm-1 a 25 °C).

La concentrazione di sali solubili può vincolare, anche pesantemente, l’utilizzabilità


delle acque per scopi irrigui.

Nel terreno i sali solubili più comuni sono i cationi calcio (Ca2+), magnesio (Mg2+) e
sodio (Na+) e gli anioni cloro (Cl-), solfato (SO4 2-) e bicarbonato (HCO3-). A questi si
accompagnano, in molti terreni, quantità più ridotte di potassio (K+), ammonio (NH4+),
nitrato (NO3-) e carbonato (CO32-). Gli effetti dei sali sulle piante dipendono
dall’aumento della pressione osmotica della soluzione circolante nel terreno, oltre che
da fenomeni di fitotossicità. L’aggiunta di un sale ad una soluzione ne aumenta infatti la
pressione interna; la dissoluzione di sali nella soluzione circolante nel terreno comporta
quindi che l’acqua si venga a trovare ad una pressione globale (potenziale idrico del
terreno) superiore a quella che si aveva in precedenza o che si sarebbe avuta in assenza
di sali. Quando il potenziale idrico del terreno raggiunge valori superiori alla forza di
suzione, cioè alla forza con cui le piante possono assorbire, l’assunzione di acqua da
parte delle piante non è più possibile, e quanto maggiore sarà il potenziale idrico del
terreno, ovvero la tensione che agisce sulla soluzione circolante, tanto più difficile sarà
per le piante la nutrizione idrica. In altre parole quanto più salina sarà la soluzione, tanto
minore sarà l’acqua a disposizione delle piante, pur a parità di umidità del terreno [31].

Effetti sul terreno

La salinità non ha effetti solo sulle piante, ma anche sulle caratteristiche chimico-fisiche
dei terreni. L’impiego di acque anomale può provocare l’acidificazione o
l’alcalinizzazione di un terreno. L’acidificazione può derivare dalla presenza nelle
acque di agenti chimici, che possono essere anioni (solfati, borati, clorati) o composti
dello zolfo. L’alcalinizzazione, invece, deriva dall’impiego di acque saline (es. ricche di
sali di sodio, cloruri, carbonati e bicarbonati). Sono più suscettibili alla salinità i terreni

45
argillosi: i terreni più sciolti, infatti, sentono meno l’azione negativa dello ione sodio e
vengono più facilmente dilavati nei periodi piovosi, trattenendo meno i sali (Giardini e
Borin, 1988).

Da alcune prove è emerso che i reflui, anche in dosi molto elevate (400 m3/ha)
influenzano le caratteristiche del terreno essenzialmente nello strato superficiale (15
cm). Dopo la somministrazione delle acque di vegetazione il pH del terreno è diminuito
leggermente poi, dopo 3-4 mesi, è tornato alla normalità o a valori appena superiori.
Ciò è attribuibile a due effetti: uno permanente dovuto alla notevole quantità di potassio
contenuta nelle acque di vegetazione che, entrando nel complesso di scambio argilloso,
dà luogo a reazioni di idrolisi alcalina, e l’altro temporaneo dovuto all’abbondante
produzione di ammoniaca in seguito alla demolizione batterica delle sostanze organiche
apportate dalle acque stesse. L’innalzamento del pH è di notevole importanza in quanto
favorisce lo sviluppo di forme microbiche preposte alla produzione di nitriti e nitrati.
La formazione della crosta superficiale nel terreno è diminuita il che, riducendo
l’infiltrazione dell’acqua, aumenta i rischi di erosione. D’altra parte, sui terreni trattati,
non si sono manifestati cattivi odori.

Effetti sulle acque di percolazione

Nelle acque di percolazione, recuperate alla profondità di 30 cm da terreni trattati con


400 m3 /ha di acque di vegetazione, i contenuti in sostanza organica, ammoniaca, nitriti
e nitrati, pur aumentando inizialmente, sono rimasti sempre a livelli molto contenuti,
compresi nel range di oscillazioni stagionali osservate nel terreno di controllo.
Anche il fosforo, come l’azoto, costituisce un elemento essenziale per la crescita delle
piante, ma un suo eccessivo apporto, assieme a quello di sali di azoto, può provocare

Figure 15 Spandimento illegale delle AV a Brindisi - Corpo forestale dello Stato, Puglia

46
fenomeni di eutrofizzazione, specialmente nei corpi idrici recettori delle acque
superficiali [32]. Non avendo però una conoscenza certa degli effetti a lungo termine, la
Normativa impone una distanza della falda non inferiore ai 10 m di profondità, distanza
di rispetto dai centri abitati e dalle aree di captazione delle acque potabili, esclusione dei
terreni con colture ortive in atto, gelati, innevati, inondati o saturi d’acqua, adeguata
distanza (almeno 10 metri) dai corsi d’acqua e dagli arenili per le acque marino-costiere
e lacunali, non utilizzo in terreni caratterizzati da eccessiva pendenza (>15%), nei
boschi, ecc. (si veda L. 574/96 e DM 6 luglio 2005).

3.3.1.2 La filtrazione convenzionale


La filtrazione è usata per rimuovere i solidi contenuti nel refluo, argilla, limo, materiale
organico naturale, precipitati derivanti da altri trattamenti, Ferro, Manganese e
microrganismi. La separazione è realizzata con l’aiuto di mezzi porosi, setti o filtri, che
trattengono, nella maggior parte dei casi, i solidi e consentono al liquido di defluire. In
queste tipologie di filtrazione grossolana, i filtri possono essere costituiti da strati di
sabbia, ghiaia o carbone o carbone attivo che aiutano, in alcuni casi, a rimuovere anche
le particelle più piccole. La filtrazione chiarifica l’acqua e aumenta l’efficacia delle
disinfezioni. Essa può essere applicata da sola o come pre-trattamento, prima
dell’applicazione di un’altra tecnologia. La filtrazione può essere naturale o forzata con
l’applicazione di pressione (pressione di filtrazione) dal lato dell’alimentazione o di
vuoto (vuoto di filtrazione) dal lato del filtrato [20]. Si ottiene un residuo solido che
deve essere smaltito o riciclato secondo i casi. Oltre ai sistemi classici di filtrazioni,
esistono dei processi di filtrazione mediante membrane, soprattutto tangenziali, di cui si
parlerà ampiamente nei paragrafi successivi.

3.3.1.3 La Separazione a membrana


Le tecnologie separative mediante membrana (TSM) si basano sull'impiego di filtri
semipermeabili o iono-selettivi per mezzo dei quali è possibile ottenere la separazione
dei soluti organici e inorganici a livello molecolare e ionico e dei solventi in cui sono
disciolti. Le separazioni avvengono per un processo fisico, di filtrazione selettiva
attraverso un filtro speciale (membrana) in cui la “driving force” è rappresentata dalla
pressione idraulica, o da un gradiente di concentrazione fra i due lati della membrana,
oppure da una differenza di temperatura; pertanto non richiedono sostanze chimiche per

47
operare le separazioni richieste. I processi di separazione sono spesso diversi ma in
generale sono caratterizzati dal seguente principio di funzionamento: la soluzione da
trattare (alimento) attraversa la membrana che, fungendo da filtro, si lascia attraversare
dal permeato (o diluito) ma trattiene il retentato (o concentrato).

Nei centri ricerca ENEA di Frascati e Casaccia sono stati brevettati e messi a punto
processi a membrana di particolare interesse sia per la detriziazione (eliminazione del
trizio all’interno della soluzione nell’ambito del ciclo del combustibile per i reattori a
fusione nucleare sperimentali), sia processi di estrazione di polifenoli da acque di
vegetazione dell’industria olearia. La prima applicazione descritta interessa soprattutto
le membrane metalliche perpendicolari mentre la seconda applicazione fa uso delle
membrane tangenziali polimeriche e/o ceramiche oppure membrane metalliche [33].

Classificazione delle membrane

Classificazione secondo:
- Il materiale costruttivo, in questo caso si avranno le membrane polimeriche (60°C),
ceramiche (100°C) o metalliche (800°C). La maggior parte delle membrane
polimeriche ha una buona resistenza a moderata variazioni di pH ma sono poco
resistenti nei riguardi dei solventi organici e del cloro oltre a presentare maggiori
problemi legati alla pulizia. Le membrane ceramiche sono meno reattive in termini
chimici, ma si sporcano più facilmente, soprattutto nello stadio di microfiltrazione.
- Il grado di selettività, che comprende sia la porosità della membrana stessa che la
forza motrice, ossia la pressione osmotica e quindi il gradiente di pressione della
membrana oltre che alla pressione nominale di lavoro a cui essa opera. Infatti i
processi si avvalgono di differenze di pressione più o meno elevate per consentire il
passaggio del permeato (costituito da acqua e da una parte delle sostanze in essa
disciolte) oltre la membrana stessa, attraverso le porosità che le costituiscono. In
base alle dimensioni dei fori i processi di filtrazione vengono denominati:
o Microfiltrazione (MF) con porosità nominale 100-200 Å e pressione operativa
fino a 5 bar. Con tali membrane si possono rimuovere particelle sospese, lieviti,
pigmenti, emulsioni e batteri; un processo con membrane MF, può sostituire il
trattamento di chiariflocculazione nel ciclo di potabilizzazione delle acque
grezze;

48
o Ultrafiltrazione (UF) con porosità nominale 20 -200 Å e pressione operativa fino
a 20 bar. Possono rimuovere colloidi, batteri, virus, zuccheri e proteine e vengono
utilizzate molto per la depurazione delle acque di vegetazione insieme a membrane
di nanofiltrazione e osmosi inversa;
o Nanofiltrazione (NF), porosità nominale 10 -20 Å e pressione fino a 50 bar.
Possono rimuovere gli ioni bivalenti;
o Osmosi inversa (OI) porosità nominale 1 - 10 Å e pressione operativa fino a 150
bar. Possono rimuovere ioni. L'osmosi inversa può essere utilizzata ad esempio
per la dissalazione a scopo potabile, per la depurazione di acqua a scopo
industriale e farmaceutico. Il permeato è costituito da acqua ultra pura con tracce
di Sali [34].

La figura 16 mostra un campione di soluzione filtrata: Il


campione a sinistra mostra il ritentato dall’osmosi inversa, quello
al centro quello dell’osmosi inversa concentrato ulteriormente,
infine sulla destra il permeato che ne risulta.

Figure 16 Soluzione, permeato e ritentato -


Fonte ERSAF

- Modalità operativa in relazione alla modalità di filtrazione rispetto al flusso in


ingresso nel reattore a membrana [35].
o Membrane tangenziali ossia membrane il cui permeato viene separato
tangenzialmente rispetto alla corrente di ingresso. Tali membrane sono per la
maggior parte di tipo ceramico o polimerico;
o Membrane (o membrane perpendicolari) separano il fluido in direzione
ortogonale rispetto al flusso di ingresso; tali membrane sono soprattutto
metalliche.

Figure 17 Filtrazione perpendicolare (a sinistra) e filtrazione tangenziale (a destra)- Fonte Synder


49
Table 5 Schema riassuntivo delle caratteristiche tecniche delle tecnologie a membrane1

Microfiltrazione Ultrafiltrazione Nanofiltrazione Osmosi Inversa


(MF) (UF) (NF) (OI)

Pressione di Idrostatica 1-4 Idrostatica 1-10 Idrostatica 20-40 Idrostatica 15-60


lavoro [bar]

Meccanismo Filtrazione fisica Filtrazione per Solubilità / Solubilità /


assorbimento Diffusione Diffusione

Cut off 0.1 -20 µm 1-100 kD 100-250 D 10-100 D / 1-10 Å

Tipo di Polimerica o Polimerica o Polimerica Polimerica


membrana ceramica ceramica (asimmetrica) o (asimmetrica) o
(simmetrica) (asimmetrica) composita composita
Spessore: 10-150 Separazione:
µm 0.1-1 µm Separazione: Separazione:
0.1-1 µm 0.1-1 µm

Configurazione Spirale avvolta, Spirale avvolta, Spirale avvolta, Spirale avvolta,


della Fibre cave, Fibre cave, tubolare Tubolare
membrana tubolare, Tubolare
Ceramica,
inorganica

- MF: microfiltrazione
- UF: ultrafiltrazione
- NF: nanofiltrazione
- OI: osmosi inversa

1
Nella definizione e scelta delle specifiche di membrana vengono riportate come unità di misura delle dimensioni caratteristiche
il “cut off” (ossia della selettività specifica) di membrane (dimensione dei pori) sia il micron, che indica la lunghezza, sia l’angstrom
(Å, sottomultiplo del micron) che il dalton, che invece rappresenta un peso molecolare: non c’è una corrispondenza diretta tra le
due misure, ma sono utilizzate entrambe per indicare e classificare la tipologia di sostanze filtrate mediante le membrane.

50
Le membrane tangenziali

Le membrane tangenziali maggiormente utilizzate nel settore industriale sono


polimeriche o ceramiche e vengono attualmente studiate presso il centro ricerca
Casaccia dell’ENEA; nello stesso centro sono stati messi a punto impianti operanti con
reattori a membrana di tipo MF, UF, NF, OI per l’estrazione di polifenoli e altri
componenti puri per l’industria cosmetica, farmaceutica ed alimentare. In un processo
separativo classico la filtrazione consente di recuperare l’effluente permeato e quello
concentrato e non viene impiegato calore, quindi la filtrazione può avvenire anche a
basse temperature in modo da non danneggiare molecole termolabili. Le TSM
tangenziali utilizzano soltanto energia elettrica per il funzionamento di una pompa che
deve garantire un flusso idraulico adeguato per consentire la filtrazione. Ogni singola
tecnica separativa richiede condizioni idrodinamiche definite, per altro dipendenti dalle
caratteristiche ingegneristiche del modulo di membrana. Le condizioni fluido-dinamiche
sono alla base del buon funzionamento e della ottimizzazione del processo separativo.
In MF ed UF il trasporto attraverso la membrana è principalmente regolato da fenomeni
convettivi, mentre in NF e soprattutto in OI il trasporto è per lo più di tipo diffusivo. Le
molecole filtrate si solubilizzano nella matrice della membrana (polimero) e diffondono
sull’altro lato della membrana. Un esempio tipico è la diffusione della molecola
dell’acqua, rispetto ai sali minerali, nelle membrane polimeriche di poliammide
impiegate nell’OI. Le applicazioni di tecnologie a membrane tangenziali vanno dal
recupero di mangime, sieroproteine, peptidi, lattosio, sali minerali ed acqua dal siero di
latte/scotta, al trattamento delle acque di vegetazione per l’estrazione di polifenoli, al
recupero dei reflui di cartiere. Nella trattazione in questione ci si soffermerà soprattutto
sul trattamento delle acque di vegetazione [3].

Il brevetto Pizzichini per le acque di vegetazione (AV)

Il brevetto Pizzichini permette di utilizzare le tecnologie di separazione a membrana per


l’estrazione di polifenoli ultra puri il cui impiego è largamente diffuso nel settore
alimentare e farmaceutico/cosmetico. Le ricerche finora condotte sulle AV si sono
basate su una logica di esclusiva depurazione puntando all'ossidazione dei polifenoli
con processi chimico-fisici o tecniche di fermentazione aerobica o anaerobica,
quest’ultima adottata solamente in caso di impianti oleari di grande taglia.

51
L'Enea ha sviluppato un processo di trattamento, incentrato sul frazionamento delle AV
con tecnologie di membrane, al fine di recuperare e riutilizzare separatamente la
componente polifenolica, il resto della sostanza organica e l'acqua. Una volta prodotte
dal processo di estrazione, le AV subiscono un processo di aggiustamento del pH in
campo acido (pH 3-4,5) per evitare un’eccessiva ossidazione (fermentazione) dei
polifenoli. L’acidificazione della soluzione avviene attraverso l’aggiunta del cloruro di
idrogeno e acido citrico. A questa segue un’operazione di idrolisi enzimatica tramite
aggiunta di un complesso enzimatico per rompere i legami tra sostanza organica e
polifenoli ed aumentare così la concentrazione dei polifenoli liberi in soluzione; il
tempo di residenza in questa fase è di 3-5 ore ad una temperatura di 30-45 °C.

Successivamente le AV vengono centrifugate per rimuovere i solidi sospesi. Le AV


pretrattate sono poi microfiltrate con membrane ceramiche tubolari al fine di rimuovere
nella frazione concentrato residui di sostanze sospese ed olio. Il permeato di MF è
trattato in UF per frazionare macromolecole come proteine, colloidi, aggregati
molecolari nel concentrato. Il permeato di UF è nanofiltrato recuperando nella frazione
concentrato di NF i polifenoli con peso molecolare superiore a 200-300 D. Il permeato
di NF è concentrato in OI ottenendo nel concentrato di OI una frazione ricca di
polifenoli a basso peso molecolare (< 200-300 D). Il permeato di OI è un'acqua ultra
pura di origine vegetale da utilizzarsi come base per l'industria delle bevande o da
riutilizzarsi nel ciclo produttivo o in agricoltura. Le frazioni concentrate separate in
centrifuga, in MF ed UF, contenenti la sostanza organica delle AV priva o impoverita
del contenuto polifenolico, possono essere impiegate per la produzione di biogas in
processi di fermentazione anaerobica. I concentrati di NF e di OI, contenenti le
componenti polifenoliche, possono essere impiegati come integratori nell'industria
alimentare o nel settore nutraceutico. Le ricerche in corso attualmente in Enea
(Casaccia) puntano ad ottimizzare il processo di pretrattamento per facilitare le
successive operazioni di filtrazione con tecnologie di membrane e alla raffinazione dei
concentrati di NF e di OI. I concentrati di NF e di OI, costituiti principalmente da una
soluzione di polifenoli, glucidi e Sali minerali, possono essere trattati per isolare e
purificare la componente polifenolica.

52
Figure 18 Schema di processo del brevetto Pizzichini con relative quantità separate.

L’impianto mostrato è finalizzato per il recupero di componenti fenolici da acque di


vegetazione spingendo il processo verso l’ottenimento di prodotti ultra puri. Tale scelta
impone però delle limitazioni dal punto di vista economico e gestionale poiché bisogna
sottoporre le membrane a pressioni molto elevate portandole ai limiti operativi
ammissibili; ciò innesca un meccanismo di più frequente rottura delle membrane che
quindi devono essere sostituite frequentemente con un aggravio dei costi fissi da
sostenere. La gestione in tal senso diventa complessa, pertanto tale impianto non si
presta ad essere integrato in oleifici o impianti di estrazione dell’olio, bensì in ambito
chimico-farmaceutico dove i margini di guadagno legati alla vendita o utilizzo di
polifenoli riesce a giustificare la spesa di gestione e manutenzione dell’impianto.

Tuttavia una forte limitazione di tale impianto è legata all’alta variabilità della soluzione
di AV in ingresso; in particolare l’utilizzo di AV provenienti da colture trattate con
pesticidi impedisce l’estrazione delle soluzioni concentrate in polifenoli rendendo di
fatto insostenibile tale soluzione. Dunque questo tipo di impianto si dimostra essere
adatto esclusivamente per elaborare AV provenienti da coltivazioni di tipo biologico
[11].

53
3.3.1.4 Reattori termochimici per il trattamento delle AV
Come visto, quindi, il processo Pizzichini presenta delle limitazioni non trascurabili,
soprattutto per la richiesta di utilizzare olive provenienti da una filiera assolutamente
biologica. Questo impedisce quindi che il processo possa essere addottato da tutti i
frantoi di piccole e medie dimensioni. Inoltre, dalle analisi tecnico-economiche svolte,
emerge anche che la filtrazione tramite osmosi inversa risulta molto dispendiosa e non
conveniente economicamente [3].

Per questi motivi, nei laboratori di Frascati, è stata proposta un’alternativa, con una
modifica concettuale di base: mentre nell’impianto precedentemente proposto
l’attenzione veniva posta sull’interesse merceologico del retentato, con il nuovo
processo l’interesse viene posto sull’utilizzo di questo come fonte per produrre syngas
(energia verde) attraverso reazioni di reforming. Si rimanda per i dettagli del processo al
paragrafo 1 del capitolo 5.

Elementi di calcolo per impianti di filtrazione a membrana

Gli elementi per la caratterizzazione di sistemi di filtrazione a membrana possono essere


diversi a seconda del tipo di membrana, spesso anche del tipo di applicazione. Senza
entrare nel dettaglio costruttivo della membrana (quindi senza andare alla ricerca dei
valori di porosità, dimensione fori, geometria ecc.), si possono definire degli indicatori
macroscopici per la definizione delle caratteristiche principali che la membrana dovrà
avere per operare secondo le specifiche di impianto.

Per dimensionare e avere tutti gli strumenti per indentificare una membrana da catalogo
è necessario calcolare [36]:

- VCR, ossia rapporto di concentrazione di volumi (o fattore di concentrazione CF), è


definito come il rapporto tra il volume iniziale V0 e il volume del retentato Vc

- VR, ovvero la percentuale di riduzione di volume, è una grandezza derivata dal VCR
ed indica la percentuale di riduzione del permeato rispetto all’alimento;

54
- R, cioè la ritenzione. Indica l’efficienza della membrana nel trattenere una particolare
specie.
Indicando con CA la concentrazione della specie nell’alimento e con CP la
concentrazione della specie nel permeato si ha:

Quando CA = CP la specie passa completamente attraverso la membrana quindi R = 0;


se, al contrario, CP = 0 allora R = 100 % ma nei casi pratici la ritenzione non raggiunge
mai il 100 %.

- Flusso, consiste nella definizione della portata espressa per unità di superficie (L/m2h)
del permeato; praticamente si tratta di una velocità di permeazione e dipende dal
particolare tipo da membrana, quindi è un valore valutabile sperimentalmente.

-La pressione osmotica Δπ che può essere valutata secondo l’espressione:

Con
-v1: Volume molare del solvente
-x: Frazione molare del soluto
-R: Costante dei gas
-T: Temperatura della soluzione (°K)

Tipologie d’impianto di filtrazione a membrana

Nella filtrazione a membrana è impossibile separare completamente la frazione solida


da quella liquida, ma si può semplicemente arrivare ad un prodotto concentrato in solidi
e ad un permeato che ne è praticamente privo. Gli impianti di MF, UF, NF, OI sono
sostanzialmente simili. La sostanziale differenza risiede nella pressione di esercizio:

55
pochi bar nella UF e MF, qualche decina di bar nella NF, fino al centinaio di bar per OI
a seconda della pressione osmotica della soluzione.

Le soluzioni d’impianto possono essere impianti discontinui, impianti continui o, come


in questo caso, impianti continui con ricircolo:
che sono impianti di tipo misto. Quando
l’impianto entra in funzione, la valvola A è
chiusa e il retentato viene completamente
riciclato inviandolo sulla aspirazione della
pompa del circuito di riciclo. Quando il
retentato (per effetto del continuo prelievo del
permeato) ha raggiunto il livello di
Figure 19 Schema impianto continuo con ricircolo
concentrazione desiderato, si apre la valvola A
in modo da prelevare parte del prodotto. Contemporaneamente si alimenta il circuito di
riciclo con la soluzione contenuta nel serbatoio e con una portata uguale alla portata di
prodotto concentrato prelevato più quella di permeato. In questo modo l’alimentazione
raggiunge immediatamente una concentrazione pari a quella del prodotto concentrato
nel circuito di riciclo. In questo tipo d’impianto si opera sempre ad una concentrazione
equivalente a quella finale di un processo discontinuo e pertanto è necessario utilizzare
una maggior superficie di membrana.

Tipologie di moduli per membrane

Le membrane, singole o in gruppo, con le relative strutture di supporto sono contenute


in delle unità dette moduli, mentre il sistema comprensivo di modulo e membrana si
definisce reattore a membrana. Le membrane ceramiche e metalliche hanno una
struttura modulare ben definita
poiché i materiali costruttivi sono per
lo più rigidi. Perciò spesso la
tipologia di queste è determinata
dalla sua formatura che, per ragioni
costruttive, è spesso cilindrica, cava e
a modulo tubulare multicanale: questi tubi hanno un diametro di 6-12 mm e una
lunghezza dell’ordine del metro [37]. Si trovano anche in forma di "monoliti", sempre

56
della lunghezza dell’ordine del metro, attraversati da più canali del diametro di qualche
millimetro e forma varia. I contenitori alloggiano più monoliti costituendo quindi
un’unica unità operativa.

Quanto si tratta di membrane polimeriche, vista la malleabilità del materiale, si


necessita di una struttura di supporto chiamata modulo. Quando si tratta di residui ricchi
di solidi sospesi o impurità in grado di intasare facilmente le membrane, si preferiscono
le seguenti configurazioni modulistiche:

-Modulo tubolare: La membrana (a forma di tubo) è sistemata e supportata all'interno di


un tubo poroso o forato (diametro: 10÷25 mm, lunghezza 1÷3 m), nel quale viene
inviata l'alimentazione. Il tubo a sua volta è alloggiato in un contenitore cilindrico che
serve a raccogliere il permeato. Tale modulo non presenta spazi morti e pertanto è
facilmente pulibile e sterilizzabile. E’ usato soprattutto nei processi di ultrafiltrazione e
microfiltrazione.

Figure 20 Conformazione di membrane tubolari ceramiche[1].

-Modulo a spirale avvolta: Usata soprattutto nei processi di osmosi inversa,


nanofiltrazione ed ultrafiltrazione perché consente di racchiudere un’alta superficie di
membrana polimerica in un volume ridotto. Il modulo, è formato da fogli di membrana
polimerica stesi su un supporto che funge da spaziatore e sigillati sui tre lati. Il lato
aperto è fissato ad un tubo centrale di raccolta del permeato ed i diversi fogli così
costruiti sono avvolti a spirale attorno al tubo centrale, formando un cilindro.
L'alimentazione entra nel modulo in modo da lambire l'intera superficie della membrana

57
uscendo dalla parte opposta. Il permeato che ha attraversato la membrana viene raccolto
nel tubo centrale e convogliato all'esterno.

Figure 21 Conformazione di membrane polimeriche a spirale avvolta [1].

3.3.1.5 Digestione anaerobica


La digestione anaerobica affronta la questione dello smaltimento non in termini di
“gestione dei reflui oleari”, ma piuttosto in termini di “valorizzazione delle risorse”.
Esso consiste nella decomposizione della materia organica mediante organismi che
operano in anaerobiosi, ossia in assenza di ossigeno molecolare, come O 2, o legato ad
altri elementi, come nel caso dell’azoto nitrico, NO3-. La conversione di substrati
organici complessi porta alla formazione di biogas, in particolare metano, il cui
processo avviene attraverso una catena trofica anaerobica.

I polifenoli presenti nei reflui oleari, a causa delle loro caratteristiche anti-ossidanti e
anti-microbiche, limitano fortemente i fenomeni degradativi oltre ad essere responsabili
dell’inibizione di germinazione, crescita e sviluppo delle diverse piante erbacee [38]. La
rimozione di queste sostanze aromatiche deve essere effettuata in modo selettivo senza
abbattere altre sostanze organiche che contribuiscono alla produzione di biogas.
Molteplici vantaggi si possono avere da un’azione combinata tra processo anaerobico, a
monte, e aerobico, a valle. Il digestato in uscita dall’impianto è semistabilizzato con

58
conseguente riduzione della carica patogena e delle emissioni di sostanze odorifere;
inoltre il calore generato dalla fase anaerobica può essere sfruttato per le esigenze
energetiche del processo aerobico, che permette la riduzione della CO2 emessa [39].

Generalità del processo

La degradazione biologica della sostanza organica in condizione di anaerobiosi


determina la formazione di diversi prodotti, i più abbondanti dei quali sono due gas: il
metano ed il biossido di carbonio. Essa coinvolge diversi gruppi microbici interagenti
tra loro: i batteri idrolitici, i batteri acidificanti (acetogeni ed omoacetogeni) ed, infine, i
batteri metanigeni, quelli cioè che producono metano e CO2, con prevalenza del gas di
interesse energetico, che rappresenta circa i 2/3 del biogas prodotto. I batteri metanigeni
occupano quindi solo la posizione finale della catena trofica anaerobica. Il metano, poco
solubile in acqua, passa praticamente nella fase gassosa, mentre la CO2 si ripartisce in
fase gassosa e nella fase liquida.

L’attività biologica anaerobica è stata evidenziata in un ampio intervallo di temperatura:


tra 5 e + 70°C. Esistono, tuttavia, differenti specie di microrganismi classificabili in
base all’intervallo termico ottimale di crescita: psicrofili (temperature inferiori a 20°C),
mesofili (temperature comprese tra i 20°C ed i 40°C) e termofili (temperature superiori
ai 45°C).

L’industrializzazione biotecnologica di questo processo naturale ha consentito di


passare dall’iniziale concetto di stabilizzazione estensiva della sostanza organica in
ambienti naturali a veri e propri processi industriali per la produzione di biogas. Ciò a
partire da diversi substrati organici quali acque derivanti dall’industria agro-alimentare,
fanghi di supero degli impianti di trattamento acque reflue, deiezioni animali, biomasse
di natura agricola, residui organici industriali e la frazione organica di rifiuti urbani.

59
Il processo di digestione anaerobica è schematicamente illustrato in figura 22.

Sostanza
organica
-Carboidrati
-Proteine
-Lipidi

100%

Batteri idrolitici fermentativi

75%
-Acidi grassi
20% 5%
-Alcoli,ecc.

Batteri acetogenici
Acetat 52% 23% H2+CO
i 2
Batteri omoacetogenici

Batteri metanigeni Batteri metanigeni


acetoclastici idrogenotrofi

CH4+C CH4+CO2
O2

Figure 22 Schema del processo di digestione anaerobica - Metcalf e Eddy, 1991

60
Lo Schema di flusso quantitativo dei diversi cammini metabolici del processo di
digestione anaerobica è schematicamente illustrato in figura 23.

Sostanza organica Acidi CH


complessa organici
4

Acido
acetico

Idrolisi e Acetogene Metanogene


fermentazione si sisi

Figure 23 Schema di flusso quantitativo dei diversi cammini metabolici nel processo di DA - Metcalf e Eddy, 1991

Le AV spesso vengono trattate unitamente alle sanse esauste poiché la mistura di


alimento dei digestori deve essere caratterizzata da una modesta umidità per favorire le
reazioni di acidificazione e metanizzazione. Le AV, anche se dal punto di vista del
contenuto organico sarebbero ottime per la digestione, tuttavia presentano una quantità
in polifenoli troppo alta da poter essere digerite in un processo di digestione poiché
l’attività fitotossica dei polifenoli inibirebbe totalmente le reazioni di ossidazione e
quindi tutto il processo di bio-digestione. Dunque si rende necessario un trattamento per
l’eliminazione della componente fenolica prima di poter processare la soluzione in un
digestore. Spesso la digestione anaerobica viene praticata attraverso pretrattamenti
microbiologici che consistono nell’aggiunta di batteri o fanghi atti a promuovere le
reazioni di digestione. La funzione di batteri è quella di digerire la materia organica
generando prodotti più semplici e rendere la mistura più adatta al processo di
acidificazione e metanizzazione attraverso un processo di degradazione metabolica [40].

Da quanto emerso, si evidenzia una notevole versatilità di tali sottoprodotti a


“trasformarsi” da mero residuo a risorsa e materia prima riutilizzabile in diversi settori

61
economici e produttivi. Ognuna di esse, infatti, trova applicazioni pratiche in ambiti
diversi a seconda delle matrici trattate, delle tecnologie adottate e dei prodotti ottenibili.
Si è visto come le AV siano d’interesse per i vari settori d’impiego oltre a quello
agricolo (le industrie mangimistiche, farmaceutiche, cosmetiche, alimentari, floro-
vivaistiche e il comparto energetico). La scelta verso una tecnologia di trattamento
piuttosto che un'altra deve essere dettata da un’analisi attenta sia delle tipologie di
sottoprodotti disponibili in loco (a livello sia di singola azienda sia di comprensorio) che
delle possibilità d’impiego presenti (sia diretto in azienda o agricoltura che altri
eventuali mercati di sbocco). La necessità quindi di mettere a disposizione di un’utenza
diffusa sistemi di trattamento dei reflui oleari semplici, affidabili, flessibili e di facile
gestione, ha orientato, negli ultimi anni, l’indagine verso l’uso dei processi, soprattutto
biologici che garantiscano la sostenibilità e l’integrazione dei reflui in un sistema
sinergico ed efficiente.

3.4 LE SANSE
La sansa di oliva, che consiste nel residuo solido ottenuto dalla pasta di olive, ha
rappresentato, soprattutto nel passato e ancora oggi, il sottoprodotto più importante per
l’oleificio poiché le sue caratteristiche possono essere tali da renderla utilizzabile quale
materia prima per l’estrazione dell’olio di sansa, mediante solvente, da parte dei
sansifici. Fino agli anni Sessanta, quando l’unico sistema di lavorazione delle olive era
quello della pressione, la destinazione della sansa, infatti, era l’industria estrattiva
dell’olio di sansa (il sansificio) che, acquistando il sottoprodotto, assicurava all’oleificio
un reddito aggiuntivo. Con l’introduzione, nel settore della trasformazione delle olive,
del sistema continuo di centrifugazione a 3 fasi, tuttavia, le caratteristiche della sansa di
oliva cambiarono in maniera tale che il suo valore commerciale si ridusse al punto da
non rappresentare più un reddito per il frantoio. La perdita di valore della sansa di oliva
divenne ancora più marcata con la comparsa, nel frantoio oleario, dei decanter a 2 fasi,
da cui si ottiene un sottoprodotto solido molto umido, di consistenza melmosa e non
accettata dal sansificio.
La sansa è costituita dalle pellicole della buccina, dai noccioli e dai residui della polpa.
Dal punto di vista qualitativo le sanse possiedono caratteristiche abbastanza simili sia
che provengano da impianti a pressione sia da impianti a centrifuga. Le differenze di

62
questi tipi di sanse riguardano un ristretto numero di costituenti la cui variabilità,
dipendente dal particolare processo adottato, condiziona fortemente la consistenza del
sottoprodotto. Risulta utile la definizione di alcuni termini di seguito riportati, si
vedranno quindi le caratteristiche di questi prodotti.
- Sansa Vergine: Sanse di prima spremitura ossia che non hanno subito alcun
trattamento dopo la produzione; contengono numerosi composti organici e inorganici di
origine vegetale molti dei quali di origine oleosa ma non contengono additivi.

- Sansa Umida (Alperujo): Pasta umida derivante dal sistema di centrifugazione a due
fasi impiegato per l’estrazione dell’olio di oliva.

- Sansa Esausta: Sansa che ha subito lavorazioni successive alla prima spremitura e da
cui è stata estratta la componente oleosa che costituisce l’olio di sansa; è un prodotto
granulare e fibroso che resta dopo la disoleazione della sansa grezza costituto da lignina
e cellulosa, ha buone caratteristiche ai fini della combustione nelle caldaie e può essere
compostato, bruciato, impiegato per il riscaldamento, come integratore in mangimistica
o smaltito sull’oliveto [41].

I sottoprodotti solidi dell’industria olearia sono, quindi, costituiti da sansa vergine,


sansa esausta e nocciolino. Tali sottoprodotti si rendono disponibili, annualmente,
nell’arco di un ristretto lasso di tempo compreso tra la metà di ottobre e la fine di marzo.

3.4.1 Aspetto e caratteristiche chimico-fisiche


Le sanse hanno caratteristiche e umidità differenti secondo il processo di estrazione
adottato. Il grado di umidità delle sanse è molto variabile in quanto dipende dal sistema
di estrazione adottato. Quelle provenienti da frantoi con sistemi tradizionali a pressione
hanno un contenuto di acqua variabile tra 20 e 30%, quelle derivanti da impianti
continui a tre fasi hanno un contenuto di acqua del 48-54%, che può arrivare al 58-70%
per quelle derivanti da impianti continui a due fasi. Quando il sottoprodotto sansa viene
ceduto (o venduto) ad un sanseificio la maggiore umidità comporta sia maggiori
difficoltà nella lavorazione, sia costi di essiccazione più elevati, oltre ad una minore
quantità di olio prodotto per unità di volume di sanse trattate. Si passa, infatti, dal 6-7%
di olio recuperabile in sanse provenienti da sistemi tradizionali a pressione al 4-5% di
quelle da sistemi continui a tre fasi. Infatti, quando le sanse vergini, sia quelle

63
provenienti dai sistemi continui, che da quelli tradizionali, vengono portate nei
sanseifici, vengono sottoposte a una lavorazione che, mediante l’uso di esano, permette
di estrarre l’olio in esse ancora contenuto. Il processo produttivo prevede una fase di
essiccazione, che porta l’umidità residua della sansa all’8-12%, una fase di estrazione
dell’olio mediante solvente, seguita dalla distillazione, per recuperare il solvente, ed una
raffinazione dell’olio estratto per farlo divenire commestibile. La sansa esausta, invece,
viene usata soprattutto come combustibile. L'olio di sansa viene successivamente
raffinato per essere utilizzato ai fini alimentari in miscela con olio vergine d'oliva [42]

Nelle sanse inoltre c’è una componente residua anche di polifenoli la cui presenza si
manifesta maggiormente negli impianti a due fasi; tale conclusione risulta di facile
deduzione poiché la sansa esausta del processo a due fasi è costituita dalla pasta
integrale semplicemente disoleata e non diluita come invece avviene per il processo a
tre fasi in cui la centrifugazione verticale permette l’eliminazione dei polifenoli
concentrandoli nell’acqua di vegetazione. Inoltre, come accennato, il processo a tre fasi
genera una minore quantità di sansa, che risulta anche meno umida. Le sanse esauste
degli impianti a tre fasi sono povere in polifenoli, perciò le misture di questo tipo sono
caratterizzate da un odore sgradevole indotto
da un’attività di fermentazione abbastanza
stabile e presenta una colorazione bruna.
Tuttavia questa si dimostra essere
maggiormente versatile poiché può essere
lavorata con facilità e presenta maggiori
opportunità di valorizzazione. Dalle tabelle 6
e 7 è possibile confrontare le caratteristiche di
Figure 24 Sansa immagazzinata all'esterno di un sanse esauste d’impianti di centrifugazione a
frantoio in Sicilia – Fonte AIPO
due e tre fasi e tradizionale.

64
Table 6 Dr. Giuseppe D’Angelo – Caratterizzazione della sansa di oliva mediante tecnica diagnostica non invasiva
NIRS

Caratteristiche della sansa da impatto tradizionale a tre fasi


Umidità (105 °C) 52
pH 5.2
Azoto totale % 0.96
Fosforo totale % 0.56
Carbonio organico totale % 60.45
Rapporto C/N 62.97

Table 7 Dr. Giuseppe D’Angelo – Caratterizzazione della sansa di oliva mediante tecnica diagnostica non invasiva
NIRS

Caratteristiche della sansa da impatto a due fasi


Umidità (105 °C) 62
pH 5.19
Azoto totale % 0.97
Fosforo totale % 0.35
Carbonio organico totale % 94.5
Rapporto C/N 46.6

Le sanse umide (Tab. 7) presentano caratteristiche congruenti con i valori


di quella proveniente da impianto tradizionale a tre fasi (Tab. 6), ad
eccezione del contenuto di umidità che presentano valori medi del 62% ma
con un intervallo di variabilità molto ampio (dal 46,5% al 77,8%) e del
contenuto fenolico riportato in tabella.
Si vedrà in seguito come queste proprietà rendano le sanse, soprattutto
quelle provenienti dagli impianti a tre fasi, particolarmente adatte come
fertilizzanti se pur con diversi accorgimenti [3].

3.4.2 Trattamenti delle Sanse


Come chiarito prima la sansa non è un rifiuto ma un sottoprodotto. L’eventuale
assoggettamento della sansa alla disciplina dei rifiuti comporterebbe notevoli costi, non
agevolmente sopportabili dai frantoi, specie se di minori dimensioni. Si pensi, ad

65
esempio, oltre ai costi di trasporto e smaltimento/recupero, anche ai costi inerenti
all’osservanza delle norme dettate in tema di documentazione per i produttori di rifiuti
speciali, o anche all’obbligo di trasportare i rifiuti con veicoli adibiti esclusivamente a
tale scopo; tale obbligo applicato a materie naturali e non pericolose come la sansa può
risultare davvero sproporzionato e privo di senso oltreché molto costoso.

Come detto prima, le sanse risultano molto versatili per i trattamenti, effettuati
attraverso uno dei seguenti processi:

- Spandimento sul terreno (Senza rilevanze tecnologiche),


- Compostaggio,
- Digestione anaerobica,
- Combustione,
- Pirolisi.

Si potrebbero classificare i processi tecnologici secondo due tipologie distinte:

- Processi termochimici, sono processi ad alta temperatura che permettono la


conversione attraverso reazioni governate da parametri termodinamici e cinetici
di ossidazione della materia organica contenuta nelle sanse;
- Processi biologici, sono processi a bassa temperatura che coinvolgono agenti
biologici catalizzatori quali batteri, funghi ecc. che operano la conversione
attraverso una processi metabolici di digestione della materia organica.

3.5 IL NOCCIOLINO
Il nocciolino è la parte legnosa e più rigida che si trova al centro dell’oliva. Esso è
importante durante la frangitura, soprattutto quella tradizionale con le molazze, perché
favorisce la rottura delle membrane e quindi la fuoriuscita dell’olio. In molti oleifici,
alla fine del processo, la sansa esausta viene ammucchiata all’aperto, il nocciolino viene
estratto da essa e successivamente stoccato in sacchi “big-bag” per poi essere venduto,
rappresentando buona parte del fatturato dell’oleificio. Infatti, il nocciolino, è
caratterizzato da un’alta densità di lignina e si presta bene a essere bruciato. Inoltre il
nocciolino, legato alla sansa, conferisce a quest’ultima buone proprietà termiche
rendendola utilizzabile come combustibile, previo essiccamento.

66
3.6 ASPETTI NORMATIVI PER LO SCARICO DEI REFLUI (D.L. 07/2015)
La legislazione vigente relativa al trattamento dei reflui oleari è regolata dal decreto del
Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 6 luglio 2005; tale decreto istruisce sui
“Criteri e sulle norme tecniche generali per la disciplina regionale dell’utilizzazione
agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi oleari”.

Gli scarichi delle aziende agricole

La disciplina generale degli scarichi è contenuta nella parte terza, titolo III, Capo III del
decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Tale decreto, che riorganizza in un unico testo
tutta la normativa in materia ambientale, sostituisce, per quanto riguarda la tutela delle
acque e la gestione delle risorse idriche la previgente disciplina rappresentata dal D.Lgs
152/99.

Il D.Lgs 152/2006 definisce lo scarico, all’articolo 74, comma 1, come “qualsiasi


immissione di acque reflue in acque superficiali, sul suolo, nel sottosuolo e in rete
fognaria, indipendentemente dalla loro natura inquinante, anche sottoposte a preventivo
trattamento di depurazione.”

Il D.Lgs 152/2006, classifica anche gli scarichi in tre categorie, in base alla qualità dei
reflui scaricati, per poterne differenziare il relativo regime. Queste sono:

- “acque reflue domestiche”: acque reflue provenienti da insediamenti di tipo


residenziale e da servizi. Derivanti prevalentemente dal metabolismo umano e da
attività domestiche;

- “acque reflue industriali”: qualsiasi tipo di acque reflue provenienti da edifici od


installazioni in cui si svolgono attività commerciali o di produzione di beni, differenti
qualitativamente dalle acque reflue domestiche e da quelle meteoriche di dilavamento,
intendendosi per tali anche quelle venute in contatto con sostanze o materiali, anche
inquinanti, non connessi con le attività esercitate nello stabilimento;

- “acque reflue urbane”: il miscuglio di acque reflue domestiche, di acque reflue


industriali, e/o di quelle meteoriche di dilavamento convogliate in reti fognarie, anche
separate, e provenienti da agglomerato

67
3.6.1 Riferimenti normativi
La normativa integra il Decreto legislativo 152/99 che, a sua volta, recepisce la direttiva
91/676/CEE (Direttiva Nitrati) dell’Unione Europea. Quanto disciplinato in questo
decreto ministeriale “concerne l’intero ciclo (produzione, raccolta, stoccaggio, trasporto
e spandimento) dell’utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione dei frantoi
oleari e delle sanse umide”. Al D.L. 152/99 fa anche riferimento il Decreto ministeriale
del 06/07/2005 sui “Criteri e norme tecniche generali per la disciplina regionale
dell'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione e degli scarichi dei frantoi
oleari, di cui all'articolo 38 del Decreto Legislativo 11 maggio 1999, n. 152”

3.6.2 Limiti di Accettabilità di Spandimento


L’articolo 2 del D.L. 152/99 fa riguarda i limiti di accettabilità per lo spandimento dei
reflui oleari:

1. L'utilizzazione agronomica delle acque di vegetazione ai sensi dell'articolo 1 è


consentita in osservanza del limite di accettabilità di cinquanta metri cubi per ettaro di
superficie interessata nel periodo di un anno per le acque di vegetazione provenienti da
frantoi a ciclo tradizionale e di ottanta metri cubi per ettaro di superficie interessata nel
periodo di un anno per le acque di vegetazione provenienti da frantoi a ciclo continuo.

2. Qualora vi sia effettivo rischio di danno alle acque, al suolo, al sottosuolo o alle altre
risorse ambientali, accertato a seguito dei controlli eseguiti ai sensi del comma 2
dell'articolo 3, il sindaco con propria ordinanza può disporre la sospensione della
distribuzione al suolo oppure ridurre il limite di accettabilità

Mentre il D.M. del 06/07/2005 aggiunge che “Lo spandimento delle acque di
vegetazione e delle sanse umide deve essere praticato nel rispetto di criteri generali di
utilizzazione delle sostanze nutritive ed ammendanti e dell’acqua in esse contenute che
tengano conto delle caratteristiche pedogeomorfologiche, idrologiche ed agroambientali
del sito e che siano rispettosi delle norme igienico-sanitarie, di tutela ambientale ed
urbanistiche.”

La progressiva sostituzione dei frantoi tradizionali a pressione con i nuovi sistemi a


estrazione centrifuga ha determinato delle modifiche nelle caratteristiche dei
sottoprodotti, come l’incremento dell’umidità delle sanse e una maggiore diluizione

68
della componente solida presente nelle acque di vegetazione. Per questo motivo la legge
152/99 prevede dosi massime diversificate secondo il metodo di estrazione adottato: 50
m3/ha le acque di vegetazione prodotte da impianti a ciclo tradizionale e 80 m3/ha per
acque di vegetazione originate da impianti a ciclo continuo. Per tutelare l’ambiente la
normativa vieta anche lo spandimento nel periodo delle piogge, poiché porterebbe ad
una diffusione delle sostanze contenute nelle AV fino alle falde acquifere; in tal senso la
legge detta le linee guida sulla base delle quali le regioni dovranno emanare ordinanze
specifiche.

Per quanto riguarda le sanse, la legge n. 748 del 1984, nel punto 4 dell’articolo 1 nella
definizione del termine “fertilizzante” comprende prodotti minerali, organici e organo–
minerali, che si suddividono in “concimi” e “ammendanti e correttivi”. Definisce le
sanse come un ammendante vegetale semplice non compostato (quindi applicata al
terreno senza specifici limiti quantitativi) se risponde ai requisiti di umidità (massimo
50%), pH (compreso tra 6 e 8,5), carbonio organico sul secco (minimo 40%), azoto
organico sul secco (almeno 80% dell’azoto totale), rame totale sul secco (massimo 150
ppm), zinco totale sul secco (massimo 500 ppm), contenuto in torba sul tal quale
(massimo 20% sul tal quale). Sono altresì fissati i seguenti tenori massimi in metalli
pesanti, espressi sulla sostanza secca: piombo totale 140 ppm, cadmio totale 1,5 ppm,
nichel totale 50 ppm, mercurio totale 1,5 ppm [41].

3.6.3 Esclusione di alcune categorie di terreno


L’articolo 4 della normativa vigente fa riferimento anche all’“Esclusione di talune
categorie di terreni”.

1. Fatti salvi il divieto di spandimento su terreni non adibiti ad usi agricoli e le


esclusioni di cui all'articolo 5 della legge n. 574 del 1996, le acque di vegetazione e le
sanse umide non si possono spandere ove ricorrano i seguenti casi: a) distanza inferiore
a 10 metri dai corsi d’acqua misurati a partire dalle sponde e dagli inghiottitoi e doline,
ove non diversamente specificato dagli strumenti di pianificazione; b) distanza inferiore
ai 10 metri dall’inizio dell’arenile per le acque marino costiere e lacuali; c) terreni con
pendenza superiore al 15 % privi di sistemazione idraulico agraria; d) boschi; e) giardini
ed aree di uso pubblico; f) aree di cava.

69
2. Le regioni possono stabilire ulteriori divieti in prossimità di strade pubbliche […] o in
ottemperanza a strumenti di pianificazione di bacino o piani di tutela regionale, nonché
per riposo temporaneo di siti ove le acque di vegetazione e le sanse umide siano state
distribuite per diversi anni consecutivi.

Inoltre, disciplina le modalità di spandimento “…lo spandimento delle acque di


vegetazione deve essere realizzato assicurando una idonea distribuzione ed
incorporazione delle sostanze sui terreni in modo da evitare conseguenze tali da mettere
in pericolo l’approvvigionamento idrico, nuocere alle risorse viventi ed al sistema
ecologico; …lo spandimento delle acque di vegetazione si intende realizzato in modo
tecnicamente corretto e compatibile con le condizioni di produzione nel caso di
distribuzione uniforme del carico idraulico sull’intera superficie dei terreni in modo da
evitare fenomeni di ruscellamento”.

3.6.4 Autorizzazioni
Le autorizzazioni per lo spandimento delle AV e delle sanse è previsto previa
comunicazione annuale da parte del responsabile dell’oleificio il quale deve far
pervenire, almeno 30 giorni prima, una richiesta di spandimento al sindaco del comune
di riferimento. La comunicazione deve essere redatta secondo le indicazioni del decreto
del 6 Luglio 2005. L’attività di spargimento deve essere disciplinata dalla regione di
riferimento “garantendo nel contempo la tutela dei corpi idrici potenzialmente
interessati e in particolare il raggiungimento o il mantenimento degli obiettivi di qualità
di cui al presente decreto”[41]. Inoltre l’articolo 6 del D.M. introduce l’obbligo di un
registro di lavorazione: “In ogni frantoio che produce e intende avviare allo
spandimento sul terreno le acque di vegetazione e le sanse umide deve essere presente
un registro di lavorazione contenente almeno i seguenti dati relativi alle operazioni di
molitura mensili: a) totale olive entrate (in kg); b) totale olive molite (in kg); c) totale
olio ottenuto (in kg); d) totale sansa ottenuta in base alle percentuali relative alle singole
tipologie d’impianto (in kg).

3.6.5 Stoccaggio
L’articolo 5 regola lo stoccaggio e il trasporto delle acque di vegetazione. Lo stoccaggio
delle acque di vegetazione, destinate all’utilizzazione agronomica, è permesso per un
periodo di tempo massimo di 30 giorni. Nelle fasi di stoccaggio e trasporto delle acque

70
di vegetazione è vietata la miscelazione delle stesse con effluenti zootecnici,
agroindustriali o con i rifiuti di cui al decreto legislativo n. 152 del 2006. 4.

Per calcolare la capacità minima dei contenitori di stoccaggio delle acque di vegetazione
si fa riferimento ai seguenti parametri: a) volume delle acque di vegetazione
comprensivo delle acque di lavaggio delle olive, prodotte in 30 giorni sulla base della
potenzialità effettiva di lavorazione del frantoio nelle 8 ore; b) apporti delle
precipitazioni, che possono incrementare il volume delle acque se non si dispone di
coperture adeguate; c) franco di sicurezza di almeno 10 centimetri. Nelle fasi di
trasferimento e stoccaggio delle acque di vegetazione, le regioni individuano gli
accorgimenti tecnici e gestionali atti a limitare le emissioni di odori molesti e la
produzione di aerosol e stabiliscono i tempi e le modalità di gestione e conservazione
della documentazione relativa al trasporto. Lo stoccaggio ed il trasporto delle sanse
umide è regolato dall’articolo 6 e prevede una regolamentazione del tutto equivalente a
quanto riportato nell’articolo 5 [43].

3.6.6 Trasporto e Inosservanze


Le regioni regolano, secondo la legge, il trasporto delle AV e delle sanse. Queste norme
prevedendo almeno che vengano fornite le seguenti informazioni (comma 9 articolo 5):
a) gli estremi identificativi del frantoio da cui originano le acque di vegetazione
trasportate e del legale rappresentate dello stesso; b) la quantità delle acque trasportate;
c) la identificazione del mezzo di trasporto; d) gli estremi identificativi del destinatario e
l’ubicazione del sito di spandimento; e) gli estremi della comunicazione redatta dal
legale rappresentante del frantoio da cui originano le acque trasportate.

Le Regioni stabiliscono inoltre i tempi di conservazione della documentazione di cui al


comma 9; stabiliscono altresì le modalità da seguire in caso di conferimento delle acque
di vegetazione ad un contenitore di stoccaggio ubicato al di fuori del frantoio.

Secondo quanto stabilito dall’articolo 8 del decreto del 6 luglio 2005, denominato
“Inosservanza delle norme tecniche per l’utilizzazione agronomica”, le regioni
prevedono l’adozione di sanzioni che prevedono anche interdizioni secondo la gravità
delle violazioni per le ipotesi d’inosservanza delle norme tecniche stabilite dalle
medesime [44].

71
Table 8 Tabella riassuntiva del quadro normativo vigente.

NORMATIVA SULL’IMPIEGO AGRONOMICO DEI REFLUI OLEARI


- Decreto del Ministero delle Politiche Agricole e Forestali del 6 luglio 2005
Rifermenti - Decreto legislativo n. 152 del 1999
normativi - Legge n. 574 del 1996
- Legge n. 748 del 1984
Sanse
Senza specifici limiti quantitativi se
Acque di vegetazione
Limiti di la sansa risponde ai requisiti stabiliti
- 50 m3/ha/anno AV da impianti tradizionali
accettabilità 3 dalla legge 19 ottobre 1984, n. 748
- 80 m /ha/anno AV da ciclo continuo.
(ammendante vegetale semplice non
compostato).
Le acque di vegetazione e le sanse non si possono spandere su terreni:
1.Non adibiti ad usi agricoli
Esclusione di
2.Con distanza inferiore a dieci metri dai corsi d’acqua e, lungo le coste, con
talune categorie
distanza inferiore ai dieci metri dall’inizio dell’arenile;
di terreno
3.Con pendenza superiore al 15% privi di sistemazione idraulico agraria;
4.Boschivi; con giardini, aree di uso pubblico e aree di cava.
Comunicazione annuale, da parte del rappresentante legale del frantoio al sindaco
Comunicazione
almeno trenta giorni prima dell’inizio dello spandimento, comprendente una
preventiva
relazione tecnica (modelli nell’allegato 1 e 2 del DM 6/07/2005).
Acque di vegetazione:
-Le regioni definiscono la capacità dei
contenitori di stoccaggio delle acque di Sanse:
vegetazione; -Contenitori di stoccaggio capaci di
-Il fondo e le pareti dei contenitori di contenere le sanse nei periodi in cui
stoccaggio devono essere impermeabilizzati; l’impiego agricolo è impedito da
nel caso di contenitori in terra, gli stessi motivazioni agronomiche,
devono essere dotati di un fosso di guardia climatiche o disposizioni
Stoccaggio
perimetrale dimensionato e isolato normative;
idraulicamente dalla normale rete scolante; -I contenitori per lo stoccaggio
-Le regioni individuano gli accorgimenti devono essere adeguatamente
tecnici e gestionali atti a limitare le emissioni impermeabilizzati e coperti al fine
di odori molesti e la produzione di aerosol; di evitare fenomeni di percolazione
-Divieto di spandimento fino a quando e infiltrazione.
perdurano le piogge e i terreni sono saturi
d’acqua.
La documentazione di trasporto deve riportare:
-Estremi identificativi del frantoio e del legale rappresentate dello stesso;
-Quantità delle acque trasportate;
Trasporto
-identificazione del mezzo di trasporto;
-Estremi identificativi del destinatario e ubicazione del sito di spandimento;
estremi della comunicazione.
Le regioni prevedono l’adozione di sanzioni secondo la gravità delle violazioni
Controlli e delle norme.
Inosservanze Il sindaco, sulla base dei risultati di controlli, può impartire specifiche prescrizioni,
ivi inclusa la riduzione dei limiti di accettabilità.

72
Questa breve panoramica della normativa di riferimento per i sottoprodotti dell’industria
olearia mette in luce quanto sia oneroso, in termini economici ma anche di tempo e di
risorsa umana, l’attuazione di uno smaltimento a norma di legge. Per questo, e anche
per la stagionalità della produzione e della manodopera spesso non sufficiente, lo
smaltimento illegale dei reflui oleari, in modo non controllato e oltre i limiti di legge,
costituisce oggi una diffusa alternativa all’attività di regolare utilizzazione agronomica.

Questa pratica genera gravi danni per l’ambiente e per i depuratori comunali che vanno
in avaria a causa del sopraggiungere improvviso di tali riversamenti a monte nel sistema
fognario con problemi gravi di intasi. Infatti spesso singoli soggetti committenti e
singoli trasportatori, onde evitare di raggiungere i siti di gestione autorizzati, riversano i
reflui oleari in tombini, pozzi, fiumi o terreni in modo disarticolato e puntiforme sul
territorio;

Per quanto riguarda le sanzioni, l’autorità comunale è competente a comminare le


sanzioni amministrative in materia di utilizzazione agronomica delle acque di
vegetazione e delle sanse umide ai sensi dell’art. 8 della legge n. 574 del 1996. A tale
proposito è interessante citare i risultati della campagna di controllo tesa a contrastare il
fenomeno degli scarichi illeciti dei frantoi nella provincia di Bari nel 2009: Le
irregolarità, oggetto di sanzioni penali e amministrative in materia di trattamento e
smaltimento delle acque reflue, sono state rilevate nel 25 per cento delle aziende
sottoposte ai controlli. Quindici le comunicazioni di reato a carico dei titolari dei frantoi
oleari per scarichi in rete fognaria, nel sottosuolo, per smaltimento abusivo di acque di
vegetazione sul suolo; trentuno le sanzioni amministrative per un importo complessivo
pari a 75mila euro. L'intervento condotto dalla forestale ha evidenziato gli effetti
negativi degli scarichi illegali: grave impatto ambientale, un danno nella qualità del
processo depurativo i cui costi aggiuntivi finiscono per ricadere su tutti i cittadini [45].

3.7 ASPETTO NORMATIVO ACQUE REFLUE (152/2006)


La normativa in materia ambientale per le acque reflue N°152 del 2006 stabilisce in
maniera ampia e dettagliata le modalità e i limiti delle acque reflue facendo una
distinzione e classificazione per le varie tipologie di acque reflue. In questa sede ci si
limiterà a dare una breve descrizione inerente all’uso delle AV.

73
La legge è composta da 6 parti distinte secondo le seguenti macro aree:

1. Disposizioni comuni e principi generali;


2. Procedure per la valutazione ambientale strategica (VAS), per la valutazione
d'impatto ambientale (VIA) e per l'autorizzazione ambientale integrata (IPPC);
3. Norme in materia di difesa del suolo e lotta alla desertificazione, di tutela delle
acque dall'inquinamento e di gestione delle risorse idriche;
4. Norme in materia di gestione dei rifiuti e di bonifica dei siti inquinati;
5. Norme in materia di tutela dell'aria e di riduzione delle emissioni in atmosfera;
a. Disposizioni per particolari installazioni;
6. Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all'ambiente.

La trattazione relativa alle AV si trova nella sezione in materia di difesa del suolo (parte
terza); le acque, su disposizione della legge 152/99, classifica le AV come refluo
industriale. Dunque i valori limiti ammissibili per lo sversamento delle acque di
vegetazione fanno riferimento alla Tabella 9 estrapolata dagli allegati della sezione di
riferimento.

Tra tutti i valori, quelli di maggior interesse (poiché sono i più critici) per la valutazione
delle AV considerando lo sversamento in fognatura, sono:

- Il pH che deve essere compreso fra 5,5 e 9,5;


- Il COD che deve essere inferiore a 500 mg/L;
- Il BOD5 che deve essere inferiore a 250 mg/L;
- Il contenuto di polifenoli che deve essere inferiore a 1mg/L.

Qualsiasi AV trattata che abbia valori sopra la soglia specificata non può essere sversata
in fognatura. Come vedremo, solamente un trattamento per distillazione oppure con
processo a membrana permette di rientrare in tali limiti.

Oltre ai limiti ammissibili per le acque, la normativa in questione fissa le modalità di


compilazione e presentazione della documentazione necessaria, tramite gli allegati.

74
Table 9 Limiti superiori delle acque reflue adatte allo sversamento in fogna o su terreno.

Unità di Scarico in acque


Parametri Scarico in rete fognaria
misura superficiali
pH 5,5-9,5 5,5-9,5
Temperatura °C
Non percettibile con Non percettibile con diluizione
Colore
diluizione 1:40
Non deve essere causa di Non deve essere causa di
Odore
molestie molestie

Materiali grossolani Assenti Assenti

Solidi speciali
mg/L ≤80 ≤200
totali

BOD5 (come O2) [2] mg/L ≤40 ≤250

COD (come O2) [2] mg/L ≤160 ≤500

Alluminio mg/L ≤1 ≤2,0


Arsenico mg/L ≤0,5 ≤0,5
Bario mg/L ≤20 -
Boro mg/L ≤2 ≤4
Cadmio mg/L ≤0,02 ≤0,02
Cromo totale mg/L ≤2 ≤4
Cromo VI mg/L ≤0,2 ≤020
Ferro mg/L ≤2 ≤4
Manganese mg/L ≤2 ≤4
Mercurio mg/L ≤0,005 ≤0,005
Nichel mg/L ≤2 ≤4
Piombo mg/L ≤0,2 ≤0,3
Rame mg/L ≤0,1 ≤0,4
Selenio mg/L ≤0,03 ≤0,03
Stagno mg/L ≤10
Zinco mg/L ≤0,5 ≤1,0
Cianuri totali come
mg/L ≤0,5 ≤1,0
(CN)
Cloro attivo mg/L ≤0,2 ≤0,3

Solfuri (come H2S) mg/L ≤1 ≤2

75
Solfiti (come mg/L ≤1 ≤2
Solfati (come SO4)
mg/L ≤1000 ≤1000
[3]
Cloruri [3] mg/L ≤1200 ≤1200
Fluoruri mg/L ≤6 ≤12
Fosforo totale mg/L ≤10 ≤10
Azoto mg/L ≤15 ≤30
Azoto nitroso mg/L ≤0,6 ≤0,6
Azoto nitrico mg/L ≤20 ≤30
Grassi e olii mg/L ≤20 ≤40
Idrocarburi mg/L ≤5 ≤10
Fenoli mg/L ≤0,5 ≤1
Aldeidi mg/L ≤1 ≤2
Solventi mg/L ≤0,2 ≤0,4
Solventi mg/L ≤0,1 ≤0,2
Tensioattivi mg/L ≤2 ≤4
Pesticidi mg/L ≤0,10 ≤0,10
Pesticidi totali mg/L ≤0,05 ≤0,05
Tra cui:
- aldrin mg/L ≤0,01 ≤0,01
- dieldrin mg/L ≤0,01 ≤0,01
- endrin mg/L ≤0,002 ≤0,002
- isodrin mg/L ≤0,002 ≤0,002
Solventi mg/L ≤1 ≤2
Escherichia coli UFC/ 1
Nota
[4] 00mL
Il campione non è
Il campione non e accettabile
accettabile
quando
quando dopo 24 ore il
dopo 24 ore il numero degli
Saggio di tossicità numero
organismi
acuta degli organismi
immobili è uguale o
immobili uguale o maggiore
maggiore: è del 80%
del
del totale
50% del totale

76
4 CASE STUDY: ANALISI AMBIENTALE DEL FRANTOIO
FONTANA LAURA

Nel ambito dell’industria olearia si incontrano spesso diverse realtà: alcune riguardano
la scelta del metodo di estrazione, dei tempi e delle temperature del processo; altre i
metodi di smaltimento dei sottoprodotti.

Come si è visto, il problema che rappresenta lo smaltimento delle acque di vegetazione


è grande, sia per motivi gestionali e costruttivi che per motivi economici. Per questo i
proprietari degli oleifici, soprattutto di medie dimensioni che si trovano ad affrontare
queste problematiche, hanno manifestato, negli ultimi anni, un interesse sempre
crescente per i metodi che potrebbero porre una soluzione alla diatriba dei sottoprodotti
oleari. Grazie a questo interesse sempre crescente, alimentato anche da una volontà di
ridurre il costo ambientale delle attività, è stato possibile portare avanti la ricerca
oggetto di questo studio basandosi su dati reali provenienti da un frantoio laziale.

Per valutare l’impatto ambientale del processo produttivo dell’olio di oliva è stata scelta
la metodologia LCA (Acronimo di “Life Cycle Assessment” o, in italiano, "valutazione
del ciclo di vita"). Il motivo di questa scelta è dato dal fatto che la LCA è una
metodologia che può essere usata per valutare, calcolare e quantificare l'impatto
ambientale di un prodotto, di un servizio o anche di un’azienda e presenta due
caratteristiche salienti. La prima è l'idea di considerare l’intero ciclo vitale di un
prodotto o l’intera catena di valore di un business. Essa può iniziare con l'estrazione
delle materie prime fino al termine della vita del prodotto, attraverso tutte le fasi
intermedie (ad esempio utilizzo, imballaggio o trasporto) oppure può focalizzarsi solo
su una fase specifica della produzione, come in questo caso. La seconda caratteristica
consiste nella valutazione dell'impatto ambientale in funzione di una serie di indicatori:
cambiamento climatico (emissioni di GreenHouse Gas), risorse (energia, materie
prime), acqua, biodiversità e salute umana. È fondamentale tener presente che la LCA è
una metodologia scientifica e che tutto ciò che si valuta viene quantificato. Si tratta
quindi di un approccio scientifico per valutare gli impatti e usarli come base per
prendere decisioni informate sulle differenti opzioni disponibili [46]

77
Questo strumento permette, quindi, di gestire in modo trasparente l’analisi del sistema
oggetto di studio e di comprendere, ripercorrere ed eventualmente criticare l’iter che ha
portato a determinate conclusioni.

L’analisi del ciclo di vita rappresenta un supporto fondamentale allo sviluppo di schemi
di Etichettatura Ambientale: nella definizione dei criteri ambientali di riferimento per un
dato gruppo di prodotti (etichette ecologiche di tipo Ecolabel), o come principale
strumento atto a ottenere una Dichiarazione Ambientale di Prodotto [47]. La
Dichiarazione Ambientale di prodotto (EPD, Environmental Product Declaration) è una
etichettatura ambientale che restituisce in modo uniformato e confrontabile i risultati
della LCA, per garantire la confrontabilità dei dati, l’accessibilità e la diffusione
dell’informazione ambientale [48]. Con l’EPD, sia il prodotto merce o servizio, le
aziende hanno la possibilità di comunicare le proprie strategie e l'impegno a orientare la
produzione nel rispetto dell'ambiente valorizzando il prodotto stesso. Questa etichetta
utilizza la Valutazione del Ciclo di Vita (LCA - Life Cycle Assessment) come
metodologia per l'identificazione e la quantificazione degli impatti ambientali.
L'applicazione della LCA deve essere in accordo con quanto previsto dalle norme della
serie ISO 14040, in modo da garantire l’oggettività delle informazioni contenute nella
dichiarazione [47].

4.1 GENERALITÀ SUL LIFE CYCLE ASSESSMENT

4.1.1 Significato e normativa


La definizione ufficiale di LCA data dal SETAC (Society of Environmental Toxicology
and Chemistry) nel 1993 è: “una LCA è un processo oggettivo di valutazione dei carichi
ambientali connessi con un prodotto, un processo o una attività, attraverso
l’identificazione e la quantificazione dell’energia e dei materiali usati e dei rifiuti
rilasciati nell’ambiente, per valutare l’impatto di questi usi di energia e di materiali e dei
rilasci nell’ambiente e per valutare e realizzare le opportunità di miglioramento
ambientale. La valutazione include l’intero ciclo di vita del prodotto (dalla culla alla
tomba), comprendendo l’estrazione ed il trattamento delle materie prime, la
fabbricazione, il trasporto, la distribuzione, l’uso, il riuso, il riciclo e lo smaltimento
finale”.

78
Da questo emerge l’attualità della LCA, la nuova metodologia la cui caratteristica
fondamentale è costituita dal modo assolutamente nuovo di affrontare l’analisi dei
sistemi industriali: dall’approccio tipico dell’ingegneria tradizionale, che privilegia lo
studio separato dei singoli elementi dei processi produttivi, si passa ad una visione
sistemica, in cui tutti i processi di trasformazione, a partire dall’estrazione delle materie
prime fino allo smaltimento dei prodotti a fine vita, sono presi in considerazione in
quanto partecipano alla realizzazione della funzione per la quale essi sono progettati.
Quest’impostazione di studio del sistema produttivo fa parte di una cultura più ampia
che pensa la produzione industriale dal punto di vista del concetto di sviluppo
sostenibile, fase basilare di un possibile nuovo modello d’organizzazione e management
non solo del sistema produttivo, i cui obiettivi sono la conservazione delle risorse
naturali e la minimizzazione degli effetti delle attività antropiche sull’ambiente.

In linea teorica uno studio di LCA dovrebbe comprendere tutte le fasi del ciclo di vita.
Molto spesso questo richiede un eccessivo dispendio di risorse, si può allora decidere di
limitare lo studio ad alcune fasi avendo l’accortezza di specificare quali sono i confini
del sistema considerato e conseguentemente quali i processi trascurati e perché.

I recenti provvedimenti e le iniziative di politica ambientale intraprese dalla Comunità


Europea o da altri organismi internazionali, l’introduzione dell’ISO Norme della serie
14000 e, in particolare, quelle della serie 14020 e 14040 dedicate rispettivamente alle
Dichiarazioni Ambientali di Prodotto (EPD) e alla LCA, hanno sicuramente costituito
un ulteriore incentivo per le imprese a dotarsi di procedure di controllo e di verifica dei
rendimenti energetici/ambientali dei propri processi, dall’implementazione di veri e
propri Sistemi di Gestione Ambientale (SGA) a richieste d’etichette ecologiche sui
propri prodotti o servizi, orientando di conseguenza la ricerca applicata ad elaborare
nuove tecniche in grado di soddisfare tali esigenze [49].

Il riferimento normativo internazionale per l'esecuzione degli studi di LCA è


rappresentato dalle norme ISO della serie 14040:

- UNI EN ISO 1040:2006 - Gestione ambientale - Valutazione del ciclo di vita -


Principi e quadro di riferimento;

79
- UNI EN ISO 1044:2006 - Gestione ambientale - Valutazione del ciclo di vita -
Requisiti e linee guida.

4.1.2 Le fasi del LCA


La valutazione del ciclo di vita deve comprendere le seguenti fasi:

1. La definizione dell’obiettivo e del campo di applicazione dello studio:


Si stabiliscono le ragioni per le quali viene sviluppata la LCA e l’uso che si vuol
fare dei suoi risultati. Le funzioni del sistema prodotto, l’unità funzionale, il
sistema di prodotto oggetto dello studio e i confini del sistema, i tipi di impatto,
le metodologie di valutazione dell’impatto e la susseguente interpretazione da
utilizzare, i requisiti di qualità dei dati iniziali.
2. L’analisi dell’inventario:
Comprende la raccolta dei dati ed i procedimenti di calcolo che consentono di
quantificare i tipi di interazione che il sistema ha con l’ambiente; tali interazioni
possono riguardare l’utilizzo di risorse e i rilasci nell’aria, nell’acqua e nel
terreno associati al sistema-prodotto (Frankl, Rubik, 2000).
3. La valutazione dell’impatto:
Ha lo scopo di valutare i potenziali impatti ambientali provocati dai processi,
prodotti o attività, impiegando le informazioni raccolte in sede di inventario. Ad
ogni impatto ambientale può essere associato uno o più effetti ambientali.
Prevede quattro momenti distinti:
- Classificazione. La fase di assegnazione dei dati raccolti nell’inventario ad una
o più categorie d’impatto ambientale, noti gli effetti e i danni potenziali delle
emissioni alla salute umana, all’ambiente, all’impoverimento delle risorse e così
via. Alla fine di questa fase, all’interno di ciascuna categoria di impatto
ambientale, saranno contenuti tutti gli input e output del ciclo di vita che
contribuiscono allo sviluppo dei diversi problemi ambientali (la stessa sostanza
o materiale potrà quindi essere contenuta all’interno di più categorie di impatto).
- Caratterizzazione. Ha lo scopo di quantificare l’impatto generato. Essa
trasforma, attraverso una serie di calcoli, le sostanze presenti nell’inventario
(precedentemente classificate) in indicatori di carattere numerico, determinando
il contributo relativo di ogni singola sostanza emessa o risorsa usata.

80
L’operazione viene effettuata moltiplicando i pesi delle sostanze emesse o
consumate nel processo in esame per i relativi fattori di caratterizzazione, propri
di ogni categoria di impatto (modello di caratterizzazione). Il fattore di
caratterizzazione misura l’intensità dell’effetto della sostanza sul problema
ambientale considerato, ed è stabilito da un’Authority sulla base di
considerazioni di carattere puramente scientifico. Il risultato della fase di
caratterizzazione è il profilo ambientale, costituito da una serie di punteggi
d’impatto ambientale relativi a ciascuna categoria, ottenuti sommando tra loro
tutti i contributi ottenuti. Solitamente viene rappresentato graficamente
attraverso una serie di istogrammi.
- Normalizzazione. I valori ottenuti dalla caratterizzazione vengono
normalizzati, divisi, cioè, per un “valore di riferimento” rappresentato
generalmente da dati medi su scala mondiale, ecc. Attraverso la normalizzazione
si può stabilire quindi l’entità dell’impatto ambientale del sistema studiato
rispetto a quello prodotto nell’area geografica prescelta come riferimento.
- Valutazione. L’obiettivo è poter esprimere, attraverso un indice ambientale
finale, l’impatto ambientale associato al prodotto nell’arco del suo ciclo di vita.

Table 10 Principali effetti ambientali e scale di influenza

Scala Effetto
Globale Effetto serra
Assottigliamento della fascia di ozono
Consumo delle risorse non rinnovabili
Regionale Acidificazione
Eutrofizzazione
Formazione di smog fotochimico
Tossicità cronica
Locale Effetti sulla salute dell’uomo
Degradazione dell’area

I primi due aspetti (classificazione e caratterizzazione) rappresentano elementi


obbligatori per effettuare uno studio LCA, i rimanenti sono facoltativi.

81
I valori degli effetti normalizzati vengono perciò moltiplicati per “fattori peso”
della valutazione, relativi alle varie categorie di danno, che esprimono
l’importanza intesa come criticità, attribuita a ciascun problema ambientale.
Sommando i valori degli effetti così ottenuti si ottiene un unico valore
adimensionale, l’ecoindicatore, indice ambientale finale, che quantifica l’impatto
ambientale associato al prodotto.
4. L’interpretazione dei risultati:
I risultati delle fasi precedenti vengono sintetizzati, analizzati, controllati e
discussi in accordo con l’obiettivo dello studio, per giungere a conclusioni ed
indicazioni che consentano di migliorare le prestazioni ambientali del sistema-
prodotto analizzato.

4.1.3 Il software SimaPro


Il software SimaPro offre la possibilità di effettuare le valutazioni di impatto ambientale
utilizzando diverse metodologie (le più importanti a livello europeo), permettendo di
comparare i risultati su basi di valutazione differenti. I diversi metodi hanno differenti
pesature delle categorie di danno ambientale, in base alla filosofia con cui sono stati
concepiti. Anche in questo caso il sistema permette la personalizzazione dei metodi di
valutazione come il rapporto di pesatura delle varie categorie di danno o la presa in
considerazione di eventuali risorse aggiuntive. I principali metodi di valutazione del
danno utilizzabili sono:

- ReCiPe;
- CML 2 baseline 2000; (quello basico, scelto per lo studio)
- CML 2001 (all impact categories);
- EPD (2008);
- Eco-indicator 99;
- Ecological Scarcity 2006;

82
4.2 DEFINIZIONE DELL’OBIETTIVO E DEL CAMPO DI APPLICAZIONE

DELLO STUDIO

L’obiettivo di questa sezione dello studio è quello di valutare l’impatto ambientale del
processo produttivo dell’olio e confrontarlo con l’impatto ambientale che si avrebbe nel
caso fossero presenti, nel frantoio stesso, degli impianti di trattamento delle acque di
vegetazione. In questo modo, sarà facilmente individuabile la convenienza, o meno, dal
punto di vista ambientale della presenza di un impianto di trattamento.

Questa ricerca è motivata dalla volontà di complementare lo studio di fattibilità


dell’impianto di trattamento per le AV messo appunto dall’ENEA di Frascati. Poiché la
fattibilità economica di tale impianto risulta dimostrata in ricerche precedenti [3], risulta
adesso opportuno verificare che ci sia anche una convenienza in termini di riduzione dei
costi ambientali.

Dati aziendali: L’oleificio.

L’oleificio Fontana Laura è un'azienda a gestione familiare, nel settore della spremitura
delle olive dal 1928. Durante i mesi di raccolta intensa il frantoio lavora 24h/24h e conta
con un numero di personale massimo di 25 persone. L’azienda produce olio sia con un
sistema di lavorazione delle olive di tipo tradizionale, con macine di granito e
spremitura a freddo, che con un moderno sistema di estrazione continua tramite
centrifugazione. Entrambi i metodi garantiscono la massima qualità del prodotto finale.
In questo studio verrà preso in considerazione solo il trattamento continuo con
centrifugazione, essendo quello più utilizzato.

Inquadramento geografico

Il Frantoio Fontana Laura si trova nel Lazio, a sud-est della provincia di Roma, nella
zona di Montecompatri, al centro dei Castelli Romani. I principali centri delle vicinanze
sono: Colonna, Monte Porzio Catone, Frascati, San Cesareo, Zagarolo, Grottaferrata e
Rocca Priora. (Fig. 24)

83
Nel frantoio, durante il periodo della raccolta, giungono olive provenienti dai comuni

Figure 25 Inquadramento geografico del frantoio Fontana Laura

Figure 26 Raggio di influenza per la raccolta delle olive del frantoio Fontana Laura

limitrofi. Il raggio medio di interesse del frantoio è di 25/30 km giacché, dovuto anche
alla natura collinare della zona, il costo di trasporto risulterebbe troppo oneroso per
distanze maggiori. (Fig. 25)

Per quanto riguarda l’orografia e la geografia dell’area, il territorio dei Castelli Romani
è di natura vulcanica, originata dal crollo del Vulcano Laziale alcune centinaia di

84
migliaia di anni fa. Alla bocca principale del Vulcano Laziale che occupava l'intera
aerea della cintura interna dei Castelli, infatti, deve la sua orografia collinare, mentre i
laghi sono originati dalle altre bocche minori del Vulcano.

Il livello medio sopra il livello del mare della zona risulta essere di 600 m s.l.m. mentre
il comune di Montecompatri raggiunge quote di 778 m s.l.m. Dal 1984 tutto il territorio
è attraversato dal Parco dei Castelli Romani che contribuisce a mantenere le
caratteristiche naturali.
Gli unici bacini dei Castelli Romani sono i laghi vulcanici di Albano e Nemi, mentre
tutto il territorio è attraversato da piccoli torrenti, alcuni dei quali sono esclusivamente
stagionali.

Il clima dei Castelli Romani varia a seconda della posizione geografica e dell’altezza. Si
passa da un clima di pianura, come quello di Roma, ad un clima quasi montano nelle
zone di Nemi. Il paesaggio è di tipo collinare, di fitte macchie di vegetazione bassa. I
centri urbani sono di piccole dimensioni e si trovano per lo più al vertice delle colline
stesse. I Castelli Romani, infatti, devono il loro toponimo alle fortificazioni edificate
sulle alture di questi luoghi da varie famiglie baronali romane. I comuni principali
dell’area di influenza del frantoio sono, in base al numero di abitanti, Marino, Albano
Laziale e Frascati. [50]

Altre fonti di inquinamento

L’area dei Castelli Romani risulta particolarmente inquinata. Infatti la zona presenta
serie problematiche soprattutto per quanto riguarda la qualità dell’acqua. Purtroppo le
fonti di inquinamento sono svariate e non ben definibili, si parla infatti di edilizia non
controllata e di scarichi illegali. Particolarmente allarmante risulta essere la presenza di
arsenico nelle acque dei comuni di Velletri e Lariano, che però si trovano fuori dall’area
di influenza del frantoio. Un esempio di scarichi illegali si è registrato nel Novembre
2015 nel comune di Ariccia, dove, in concomitanza con la molitura delle olive, un
canale di scolo ha iniziato a cambiare colore e a produrre cattivi odori. In seguito alle
denunce la polizia locale, seguendo a ritroso il condotto della sostanza oleosa
inquinante, ha scoperto un trattore con annessa una cisterna che effettuava degli scarichi
nel corso d’acqua delle acque di vegetazione provenienti da diversi frantoi della zona
[51].

85
La zona dei Castelli Romani è anche interessata da un inquinamento atmosferico e
acustico a causa della vicinanza dell’aeroporto di Ciampino. I controlli all’aeroporto di
Ciampino, dove il monitoraggio è attivo dal 2008 e sono presenti 8 centraline,
confermano costanti superamenti dei parametri acustici rilevati in alcune postazioni
(Arpa).

Definizione dei confini del sistema

Un passo fondamentale nella stesura dell’analisi del ciclo di vita è la definizione dei
confini del sistema. Questa scelta deve essere accurata e fatta in base all’obiettivo del
proprio studio.

Il sistema è un insieme di operazioni unitarie (processi), che sono legati tra loro da
flussi di prodotti intermedi e/o di correnti residue destinate al trattamento. La somma
delle singole operazioni unitarie (processi) costituisce l’intero ciclo “dalla culla alla
tomba” del processo in esame.

L’oggetto di questa LCA prende in considerazione esclusivamente la fase del ciclo di


vita che inizia con la lavorazione delle olive nell’oleificio e finisce con lo smaltimento
delle acque di vegetazione e delle sanse. I confini del sistema sono stati così definiti per
avere una panoramica più chiara e concisa delle fasi del processo di estrazione del olio,
anche in termini di gestione dei sottoprodotti, che più influiscono sulle categorie di
danno ambientale definite.

Figure 26 Definizione dei confini del sistema

86
Scelta dell’unità funzionale

Unità funzionale scelta: 1 tonnellata di olive trattate

L'unità funzionale indica l'oggetto riferimento dello studio a cui tutti i dati in ingresso
ed in uscita saranno normalizzati. La ISO 14040 definisce l’unità funzionale come:

- Misura della prestazione del flusso in uscita funzionale del sistema prodotto;
- Lo scopo principale dell’unità funzionale è di fornire un riferimento a cui legare i
flussi in uscita ed in entrata.

È quindi un riferimento necessario per consentire la comparabilità dei risultati


dell’LCA. [52]

4.2.1 Analisi dell’inventario


Schematizzazione e confronto dei due Processi Produttivi del frantoio Fontana Laura
Il frantoio Fontana Laura è dotato di due linee di lavorazione indipendenti: quella
tradizionale con macine di granito e spremitura a freddo, cui è stato affiancato un
moderno impianto di estrazione continua a freddo.

Per la spiegazione generale di ogni fase del processo produttivo si fa riferimento al


paragrafo 5 del capitolo 2. (2.5 le olive e l’estrazione del olio)

Di seguito verranno schematizzati e confrontati i due processi del frantoio studiato.

Il ciclo continuo a tre fasi nel frantoio Fontana Laura

Il frantoio di tipo continuo è il risultato della crescente esigenza di ottenere sempre più
alta qualità del prodotto olio di oliva, tecnologia e innovazione (riducendo anche i costi
di manodopera). L'elemento che contraddistingue un impianto a ciclo continuo è senza
dubbio il decanter (organo principale e il cuore di un frantoio).

A seconda del tipo di decanter usato, si hanno processi a due o tre fasi:

- Decanter a tre uscite (olio/acqua/sansa, detto a tre fasi)


- Decanter a due uscite (olio/sanse umide detto, a due fasi o integrale)

Nel frantoio Fontana Laura il decanter ha tre uscite e quindi si tratta di un ciclo continuo
di funzionamento a tre fasi, illustrato in seguito (Fig. 27).

87
Figure 27 Planimetria del frantoio Fontana Laura

1. Le olive vengono raccolte, lavate e defogliate.


Nel frantoio Fontana Laura dalla vasca o tramoggia di raccolta le olive sono
trasportate, tramite nastro trasportatore, nel deramifogliatore che grazie
all'utilizzo di un forte getto d'aria elimina tutti i corpi estranei (le foglie ad
esempio rendono l'olio molto più amaro).
2. Per il lavaggio viene impiegata esclusivamente acqua, le olive subiscono
un'asciugatura per semplice sgrondo dell'acqua di lavaggio. L’acqua di
lavaggioviene ricircolata per 24 h e quindi smaltita insieme alle acque di
vegetazione (anche se la composizione è diversa non c’è una normativa
apposita), mentre la terra residua dal lavaggio viene smaltita separatamente dalle
sanse secondo normativa.
3. Le olive vengono inviate al frangitore, in questo caso meccanico, che rilascia
una formazione continua di pasta di olive. Nel frantoio Fontana Laura si utilizza
un frangitore a martelli a doppia griglia. La rottura delle olive avviene tramite
urto violento con i martelli del frangitore e conseguente fuoriuscita dai fori di
una griglia opportunamente dimensionata. La particolarità di questo frangitore è
quella di avere un basso numeri di giri (1400 rpm anziché i classici 2800 rpm):
questo permette di limitare l'innalzamento di temperatura che subisce la pasta di
olive durante il processo di frangitura.

88
4. La pasta di olive va alla gramolatrice dove viene riscaldata fino a 27 °C e
mantenuta in continuo movimento per 1 h. Nel frantoio Fontana Laura la
gramolazione dura un tempo massimo di un'ora e la temperatura non supera
mediamente i 27 °C così da garantire l’estrazione a freddo2.

5. La pasta scaldata, addizionata opportunamente di acqua, viene inviata al


decanter dove viene separata la sansa dal mosto oleoso (acqua+olio).
6. In questo oleificio le sanse vengono depositate all’esterno della struttura dove
avviene la separazione del nocciolino: Il nocciolino viene immagazzinato in
siloni e venduto (ricavando un 5-10% del fatturato), le sanse vengono portate
via, per lo smaltimento in terreno agricolo, secondo normativa.
7. Il mosto oleoso viene invece inviato nella centrifuga verticale, che separa l’olio
dall’acqua.
8. L’olio viene inviato in delle vasche di raccolta dalle quali il cliente potrà
imbottigliare l’olio prodotto.
9. Le acque di vegetazione vengono inviate a dei vasconi interrati e poi prelevate,
tramite camion con pompa, per lo smaltimento.

Raccolta dei dati

Nel seguente studio di valutazione del ciclo di vita verrà considerato solo il processo
produttivo a tre fasi.

Il processo di estrazione dell’olio di oliva dà luogo alla produzione di tre correnti nel
processo a tre fasi:
- olio di oliva
- acque di vegetazione (OMW)
- residui solidi (sansa) OH

Come riepilogo del intero sistema, in 24 ore si ha la tabella 11.

2
Il Regolamento dell'Unione Europea n. 1019 del 2002 consente la dicitura in etichetta delle locuzioni a
freddo (in riferimento ai processi d'estrazione) solo se tutte le fasi del processo di estrazione sono svolte
ad una temperatura inferiore o uguale a 27 °C.

89
Table 11 Riepilogo dei dati del Case study

Processo di Quantità di Quantità di


Input Output
produzione input output
Tre fasi Olive 40 [t/g] Olio 100 [kg/g]
3
Acqua di lavaggio 0,2 [m ] OH 500 [kg/g]
Acqua fresca per il
0,5 [m3] OMW 400 [L]
decanter

Per quanto riguarda invece i singoli sottoprocessi della molitura si fa riferimento a


quanto segue

Unità funzionale: 1 ton. Olive da trattare.

Il frantoio Fontana Laura lavora con un sistema continuo di centrifugazione a tre fasi.

Il frantoio lavora 400 quintali di olive (=40 tonnellate) in 24 ore. Tutti i macchinari che
compongono l’impianto di estrazione lavorano ininterrottamente le olive in arrivo, le
gramole hanno un tempo di ritenzione minimo di 60 minuti. L’acqua di lavaggio viene
messa in ricircolo per 24 ore e poi smaltita insieme alle acque di vegetazione. Si
ipotizza una resa in olio delle olive pari al 20% .

Nel riportare tutti i dati medi, relativi al frantoio, all’unità funzionale di 1 tonnellata si
ipotizza che il sistema lavori in continuo, mentre durante il funzionamento normale il
processo può essere sezionato in maniera da distinguere le olive in ingresso alle gramole
per diversi clienti. Il tempo necessario per ogni macchinario durante il processo sarà,
quindi, mediato rispetto all’unità funzionale scelta.

90
Table 12 Dati di input per l’analisi LCA.

Defogliazione e lavaggio
Quantità di acqua di lavaggio [m3] 0.005 Considerate insieme alle AV
Considerate insieme alle
Quantità di terra di lavaggio da smaltire [t] 0.00125
sanse
Consumo elettrico [kWh] 3
Frangitura
Consumo elettrico [kWh] 13.2
Gramolazione
Capacità di ogni gramola [m3] 0.7
Peso specifico pasta di olive [g/cm3] 0.96
Pasta di olive da gramolare [m3] 1.042
Numero di gramole necessarie 1.488095238 > 2 gramole
Consumo elettrico [kWh] 2.4
Decantazione
Consumo elettrico [kWh] 13.2
Quantità di sansa prodotta [t] 0.5
Consumo di acqua per la centrifugazione 4 qli ogni 16 qli
Consumo di acqua per ton centrifugata
0.25
[m3]
Quantità di nocciolino [t] 0.1
Centrifugazione
Consumo elettrico [kWh] 3.3
Olio estratto [L] 208.4
Quantità di AV prodotta [m3] 1.042
Smaltimento delle sanse
Camion medio [tkm]/ton totali 0.75
Incenerimento
Smaltimento delle AV
Camion medio [tkm]/ton totali 1.5
Composizione
Spargimento sul terreno
AV

91
4.3 VALUTAZIONE DELL’IMPATTO
Per poter quantificare gli impatti ambientali, si considerano i seguenti impatti. Ad ogni
tipo di impatto è associato un indicatore di categoria perché, al momento
dell’implementazione dei dati con il software, si associa ogni emissione in cui è
presente questa formula chimica alla categoria di impatto:
• Acidificazione: Le emissioni di composti derivanti dalla combustione di
combustibili fossili, in particolare gli ossidi di zolfo e gli ossidi d’azoto, sono i
principali responsabili del fenomeno delle piogge acide, che provoca
l’abbassamento del pH di laghi, foreste e suolo, con gravi conseguenze per gli
organismi viventi, gli ecosistemi ed i materiali. Oltre agli ossidi di zolfo e di
azoto, sviluppa effetti acidificanti anche l’emissione di ammoniaca in atmosfera.
L’ammoniaca, reagendo con gli ossidi di zolfo e di azoto, permette la
formazione di composti relativamente stabili come il solfato d’ammonio ed il
nitrato d’ammonio. Questo rende possibile il trasporto a medio-lungo raggio
degli inquinanti acidi, caratteristica fondamentale del fenomeno
dell’acidificazione, che permette di rilevare gli effetti anche in zone distanti
migliaia di chilometri dalle fonti di emissione.
Indicatore di categoria: biossido di zolfo (SO2)
• Eutrofizzazione: con questo termine si indica una condizione di eccesso di
sostanze nutritive in un determinato comparto ambientale e nello specifico una
sovrabbondanza di nitrati e fosfati in ambiente acquatico che provocano
l'eccessivo accrescimento degli organismi vegetali acquatici. La conseguenza è
il degrado dell'ambiente divenuto anossico e quindi inadatto alla sopravvivenza
di forme di vita superiori.
Indicatore di categoria: fosfati (PO42-)
• Effetto serra: è un fenomeno naturale, che caratterizza la Terra fin dalle sue
origini. La superficie terrestre assorbe la radiazione emessa dal Sole sotto forma
di radiazioni a breve lunghezza d’onda e ridistribuisce l’energia ricavata grazie
alla circolazione atmosferica e oceanica. Questo flusso energetico viene
bilanciato dalle radiazioni infrarosse a onde lunghe che la Terra riemette verso lo
spazio. Una porzione di questa radiazione infrarossa è tuttavia assorbita dai gas
presenti nell’atmosfera, provocando quel riscaldamento della superficie terrestre

92
e dell’atmosfera, conosciuto come “effetto serra naturale”, senza il quale la
temperatura media della superficie terrestre sarebbe circa 33 °C inferiore. I gas
che rendono possibile tale fenomeno sono il vapore acqueo, l’anidride carbonica
(CO2), il metano (CH4), l’ozono (O3) e il protossido d’azoto (N2O). Per
comparare gli impatti dovuti all’emissione di differenti gas serra ad sostanza è
stato assegnato un potenziale di riscaldamento globale che esprime il rapporto
tra l’assorbimento di radiazione infrarossa causata dall’emissione di 1 kg di tale
sostanza e quello causato da una stessa emissione di CO2.
Indicatore di categoria: anidride carbonica (CO2)
• Impatto di tossicità umana: si riferisce agli effetti sulla salute umana di
sostanze tossiche presenti nell’ambiente.
Indicatore di categoria: 1,4 diclorobenzene (1,4 DCB)
 Impoverimento abiotico: Si riferisce all’esaurimento delle risorse non
rinnovabili. L’utilizzo di risorse energetiche viene considerato in questa
categoria.
Indicatore di categoria: Antimonio (kg Sb eq.)
• Smog fotochimico: fenomeno caratteristico delle ore diurne delle grandi aree
urbane nel periodo estivo è una complessa miscela di inquinanti atmosferici,
composta dall’ozono e altre sostanze chimiche ossidanti e dalle polveri sottili.
La componente più importante è appunto l’ozono a causa delle sue conseguenze
sulla salute umana e sugli ecosistemi naturali. L’ozono non viene emesso
direttamente ma si forma nella troposfera, sotto l’influenza della radiazione
solare, a seguito di una serie di reazioni fotochimiche che coinvolgono i
composti organici volatili e gli ossidi di azoto.
Indicatore di categoria: etilene(C2H4)
 Ecotossicità: Questo fenomeno consiste nello scatenarsi di azione inibitrici
verso i microrganismi deprimendone e rallentandone l’attività e provocando di
conseguenza degli squilibri negli ecosistemi naturali (Camurati et al., 1984).
Indicatore di categoria: Cresolo (CH3C6H4OH) [53]

93
Nella figura 29 si ha l’output della simulazione con SimaPro, che esplicita il
peso percentuale che ogni fase del processo produttivo comporta per ogni
categoria di impatto.

Figure 28 Risultati dell’analisi LCA del processo allo stato attuale.

4.4 ANALISI DEI RISULTATI


L’analisi del ciclo di vita di una tonnellata di olive dello scenario di base ha evidenziato
l’influenza di ogni fase, per categoria di impatto, durante le fasi di estrazione in cui sono
utilizzati 0.255 m3 di acqua, 0.123 MJ di energia elettrica e 0.00343kg di gasolio,
mentre vengono prodotti mezza tonnellata di sansa e una tonnellata di acqua di
vegetazione. I dati di inventario sono stati elaborati con il software SimaPro 8 e per la
fase di valutazione di impatto del ciclo di vita, è stato applicato il metodo CML-IA
(baseline) 3 . Le categorie di impatto considerati sono sia globali che locali. I valori

3
ML-IA è un metodo LCA sviluppata dal Centro di Scienze Ambientali (CML) della Università di Leiden nei
Paesi Bassi.
Il metodo CML-IA (baseline) elabora i dati secondo un approccio orientato al problema. La Guida CML
fornisce anche un elenco di categorie di valutazione di impatto.

94
calcolati per ciascuna categoria di impatto, e il contributo di ciascuno stadio alle
categorie di impatto, sono riportati in tabella 13.

Table 13 Valori % calcolati per ogni categoria di impatto

L’impoverimento abiotico che riguarda il consumo delle risorse non rinnovabili è


fortemente influenzato dalle attività di smaltimento delle acque di vegetazione (42%) e
dallo smaltimento delle sanse (21%) mentre le altri fasi del processo si spartiscono
abbastanza equamente il restante 37%: Infatti l’impatto di queste fasi sul terreno e le
falde idriche (nel caso delle AV) è importante, cosi come l’occupazione del suolo e
l’utilizzo di un mezzo meccanico per l’asportazione e il trasporto. Un’altra categoria
rilevante è quella che riguarda l’Ecotossicità che per lo smaltimento delle AV interessa
il 23% del totale. Non bisogna dimenticare che il potere antimicrobico delle AV dipende
soprattutto dall’elevata concentrazione dimono e polifenoli che può variare tra 1,5 e 8,0
g/L in funzione del processo utilizzato nell’estrazione dell’olio (Servili e Montedoro,
1989). I polifenoli agiscono sui microrganismi denaturando le proteine cellularie
danneggiando le membrane, mentre i tannini inibiscono le attività enzimatiche
(Montedoro, 1958; Montedoro, 1973). Alcuni fenoli, inoltre, riducono notevolmente la
tensione superficiale esaltando l’azione antimicrobica (Ranalli et al., 1995). Infine,
l’eutrofizzazione è la categoria che più interessa le acque di vegetazione, quasi nella sua
totalita’ (99,7%) [53]. E’ noto che il fenomeno dell’eutrofizzazione è, in genere,
conseguente all’eccessivo apporto di sostanze nutrienti (per lo più composti azotati e
fosfatici) nelle acque determinando un deterioramento dello stato qualitativo. Questo
risultato è quindi il più ovvio, giacche’ gli scarichi delle acque di vegetazione sul
terreno fomentano questo fenomeno.

95
5 PROPOSTA DI IMPIANTO PER IL TRATTAMENTO DELLE AV

Partendo dalla nascita dell’olio di oliva, analizzando nel dettaglio il processo di


estrazione moderno, fino ad una descrizione delle tecnologie più tradizionali e
innovative per risolvere il problema dello smaltimento dei sottoprodotti, sono state
finora descritte le nozioni essenziali alla comprensione del problema legato allo
smaltimento delle AV. Di seguito verrà illustrato, sia in termini di risultati di una
simulazione che di prove sperimentali di laboratorio, il processo proposto dal team di
ricercatori dell’ENEA di Frascati per lo smaltimento delle acque di vegetazione, con
produzione di syngas in uscita da un reattore termochimico.

5.1 IL MODELLO DI SIMULAZIONE


La simulazione degli impianti di trattamento delle AV è stata realizzata in Aspen One
Engineering. Tale codice è stato pensato per analizzare il funzionamento dell’impianto
cercando di avere una stima accurata delle portate, temperature, pressioni in gioco nei
vari punti dell’impianto.

Di seguito verranno anche illustrate le ipotesi semplificative adottate nel modello,


rispetto alle quale sarà opportuno inquadrare i risultati.

Come visto nel paragrafo 3.2.4.4 relativo ai sistemi di filtrazione a membrana, il


brevetto Tosti e Sansovini si riaggancia al processo Pizzichini, trattando dapprima le
acque di vegetazione con membrane tangenziali di micro, ultra e nano –filtrazione. Il
retentato della filtrazione a membrana viene utilizzato per le reazioni di reforming e la
produzione di syngas, che potrà essere utilizzato per autosostenere dal punto di vista
energetico l’impianto. Si introdurranno di seguito alcuni concetti necessari alla
trattazione:

- Syngas: Il termine syngas (o gas di sintesi) nasce dall'unione delle due parole
“synthetic gas” (una miscela di gas, essenzialmente monossido di carbonio (CO) e
idrogeno (H2), metano (CH4) e anidride carbonica (CO2) [54].

- Reforming autotermico (autothermal reforming o ATR): è un processo chimico


industriale per la produzione di syngas. Il reagente di partenza è un gas naturale che
viene alimentato in un reattore dove subisce sia ossidazione parziale con ossigeno che

96
reazione di reforming con vapore. La fase di ossidazione parziale è progettata per
alimentare energeticamente i canali di reazione endotermici associati al reforming.

- Reattore termochimico: si tratta di una unità di processo che lavora ad alte temperature
dove avvengono reazioni chimiche catalizzate.

Il nuovo processo si propone di produrre syngas da una frazione delle acque di


vegetazione che sono una una miscela di acqua e sostanza organica da processare al
posto del metano in maniera simile a quanto descritto sopra per il reforming del metano.
Tuttavia rispetto alla quantità ottimale per il reforming, il contenuto di acqua presente
nelle AV è eccessivo e si rende pertanto necessario un processo di concentrazione delle
stesse prima d inviarle al reattore termochimico (reformer).

Per evitare l’intasamento delle membrane tangenziali, le AV prodotte dal processo di


estrazione dell’olio vengono prima inviate all’unità di pompaggio e separazione dei
solidi. Successivamente le AV, ripulite dalla frazione solida, entrano nel gruppo di
filtrazione che comprende sottogruppi di membrane a microfiltrazione (MF),
ultrafiltrazione (UF) e nanofiltrazione (NF); il permeato è costituito da una soluzione
acquosa molto diluita, mentre il retentato è costituito da una soluzione concentrata.

Il retentato viene a questo punto inviato ad un’unità ad alta temperatura che comprende
un reattore, il Reformer, che attraverso un catalizzatore favorisce i processi
termochimici (reforming, cracking, wgs, ecc.) con conseguente abbattimento del
contenuto organico e fenolico. Dal processo di reazione si possono separare,
successivamente ad un raffreddamento, una fase gassosa e una liquida: la prima è una
miscela gassosa simile ad un “Syngas” che contiene principalmente H2 e CH4 oltre ad
una considerevole quantità di CO2; la seconda è liquida costituita da AV esauste, con un
contenuto fenolico più che dimezzato, che viene ricircolata nel processo di separazione
a membrana.

Analizzando il processo nel dettaglio, si hanno le seguenti fasi: le AV vengono


convogliate nella pompa e raggiungono la pressione di 5 bar; successivamente un
separatore divide le parti solide in sospensione dalla soluzione; quest’ultima attraversa
uno scambiatore di calore che preriscalda le AV fino alla temperatura di 60 °C. La
soluzione entra nel primo reattore a membrana a microfiltrazione (MF) e le AV

97
vengono depurate della maggior parte degli acidi grassi e lieviti, pigmenti, emulsioni e
batteri. Il permeato risulta ancora ricco di polifenoli mentre il retentato risulta molto
diluito e quindi presenta una concentrazione minore in polifenoli. Il permeato della MF
viene portato nella zona di alta pressione (15 bar) ed entra nelle membrane tangenziali
ad ultrafiltrazione (UF). Il permeato dell’ultrafiltrazione presenta ancora una
concentrazione notevole in polifenoli mentre il retentato risulta essere ricco di colloidi,
batteri, zuccheri e proteine. Il permeato UF viene inviato alle membrana di
nanofiltrazione (NF) nella quale la maggior parte dei polifenoli viene separata dalla
soluzione ottenendo un permeato a basso contenuto di polifenoli (abbattimento di circa
tre ordini di grandezza rispetto alla soluzione iniziale di AV). Il retentato della NF,
invece, risulta ricco di polifenoli.

A valle quindi dei 3 processi di filtrazione tangenziale si avrà una frazione liquida (il
permeato) povera di polifenoli, che verrà in parte fatta ricircolare nel sistema per
permettere la pulizia delle membrane, soggette al fenomeno di sporcamento (Fouling).
Infatti le membrane, a seconda del contenuto di sostanza organica delle AV, devono
essere sottoposte periodicamente a cicli di lavaggio per ripristinare le caratteristiche
funzionali e limitare il Fouling secondario. La parte permeata non utilizzata per il
ricircolo, povera di materiale organico e di sostanze fenolitiche, può essere smaltita in
fognatura o sul terreno senza le controindicazioni che avevano le AV iniziali. I retentati
invece sono ricchi di sostanze organiche e fenoliche; tali retentati vengono miscelati
costituendo una soluzione concentrata di AV di circa il 50% rispetto alla soluzione
iniziale. Grazie a questo trattamento preliminare il contenuto di acqua delle AV viene
circa dimezzato e si può procedere al trattamento termochimico. Tale soluzione
concentrata viene preriscaldata dalla soluzione in uscita dal reattore attraverso uno
scambiatore di calore tubo mantello dove subisce una parziale vaporizzazione. Le AV
concentrate quindi passano nella caldaia che le vaporizza totalmente e le surriscalda fino
alla temperatura di 400 °C. La soluzione entra nel reattore, supposto adiabatico, dove
reagisce abbattendo il carico organico attraverso reazioni di cracking, reforming, water
gas shift, ossidazione parziale e totale. All’uscita i gas e il vapore hanno subito un lieve
abbassamento della temperatura dovuta alle caratteristiche endotermiche di alcune
reazioni. La miscela gas-vapore passa attraverso lo scambiatore cedendo calore alla
soluzione in ingresso in caldaia e successivamente in un altro scambiatore,

98
convenzionale, per preriscaldare la soluzione a monte del sistema di filtrazione
tangenziale. A volte il preriscaldamento delle AV in ingresso non risulta necessario,
poiché la temperatura raggiunta durante l’estrazione dell’olio è adatta al processo; è
stato perciò previsto un bypass che permetta di evitare il preriscaldamento (sia totale
che parziale). La soluzione dopo aver ceduto calore è una miscela liquido-vapore alla
temperatura di circa 150 °C. Questa miscela esce poi dall’essiccatore in fase liquida
quasi del tutto condensata. A questo punto un separatore liquido-gas separa il gas dalla
frazione liquida: il gas è inviato alla caldaia dove viene bruciato. Il liquido raccolto
viene di nuovo pompato e rinviato all’ingresso del reattore a membrana MF per
ricominciare il ciclo.

L’innovazione di questa tecnica sta nel fatto che i polifenoli vengono quasi del tutto
trasformati in syngas attraverso processi termochimici. I reflui liquidi di questo
processo non rappresentano più un problema ambientale: Il liquido in uscita dal
reforming è povero di polifenoli e comunque è riciclato all’impianto stesso mentre il
permeato che risulta dalla filtrazione tangenziale ha minor carico inquinante. In
particolare, la produzione di syngas permette di alimentare l’impianto stesso, riducendo
i consumi energetici. Per quanto riguarda l’analisi tecnico-economica [3] emerge che
non vi è guadagno diretto dalla vendita del syngas prodotto, quanto piuttosto un
risparmio nei costi di smaltimento dei sottoprodotti dell’industria olearia.

L’adozione di tale impianto, permette di avere i seguenti vantaggi:

1. Il permeato è a basso contenuto di polifenoli e a basso contenuto di sostanze


organiche costituendo cosi una miscela che potrebbe essere:

a. Smaltita direttamente in fogna


b. Utilizzata in impianti di co-digestione o digestione anaerobica (per
aumentare l’umidità della mistura)
c. Riversata su terreni (spandimento)

2. Il sistema dal punto di vista energetico, si autosostiene mediante la combustione del


syngas prodotto e di parte della sansa che può essere essiccata utilizzando i gas caldi del
processo di reforming

99
3. La gestione non richiede particolari accorgimenti o personale specializzato e perciò
può essere realizzata come unità “stand-alone” facilmente integrabile negli oleifici di
piccole-medie dimensioni molto diffusi in Italia

4. Può essere impiegato anche per AV con pesticidi (derivanti dal trattamento delle
olive)

Nella figura 30 è illustrato il processo con uno schema a blocchi. I dati relativi al calore
per il bilancio energetico e della produzione e consumo di syngas verranno illustrati di
seguito (par. 5.1.3. Output della simulazione)

Figure 30 Schema a blocchi del funzionamento dell’impianto di trattamento

5.1.1 Ipotesi globali del modello


Si propone quindi l’impianto di trattamento delle AV progettato dal team di ricercatori
dell’ENEA di Frascati, mediante il codice Aspen One Engineering [3].

Le ipotesi semplificative per la costruzione del modello sono le seguenti:

- L’impianto viene dimensionato per un oleificio di piccole dimensioni (olive molite


circa 2 t/h);

100
- La produzione di AV deriva da processi di estrazione a tre fasi per le quali è stata
considerata una produzione specifica di 1,5 m3 per tonnellata di olive molite;

- Per le membrane tangenziali è stato supposto un modello di separazione di tipo “Cut


Off”, ossia di separazione selettiva di tipo molecolare;

- Il reattore, supposto adiabatico, è stato modellato sul criterio di Gibbs di


minimizzazione dell’energia libera;

- I solidi sospesi sono stati ipotizzati pari al 5% della portata totale di AV di ingresso.

La soluzioni propostacombina le tecnologie separative con membrane tangenziali


sviluppate dal C.R. ENEA (Casaccia) e quelle di conversione con processi termochimici
sviluppate nel C.R. ENEA (Frascati). Tra varie alternative considerate nell’analisi
tecnico-economica, l’impianto in oggetto risulta la più sostenibile economicamente.

5.1.2 Dati di input


Il modello è stato costruito sulla base di ipotesi relative alla composizione delle AV che,
in generale, presentano una notevole variabilità di componenti e di concentrazioni. Per
la modellazione sono stati considerati progetti pilota per cui sono disponibili dati
sperimentali pubblicati. In particolare, è stata considerata la seguente composizione
delle AV:
Table 14 Dati di input per le AV in Aspen One Engineering

Component Brutal formula Concentration [mg/L] Total Mass Fraction Phenol Mass Fraction

Cinammic acid C9H8O2 1053 0,35% 9,47%


Tyrosol C8H10O2 2106 0,70% 18,95%
Vanillic acid C8H8O4 1287 0,43% 11,58%
Hydroxytyrosol C8H10O3 3159 1,05% 28,42%
Coumaric acid C9H8O3 1170 0,39% 10,53%
Ferulic acid C10H10O4 936 0,31% 8,42%
Caffeic acid C9H8O4 1404 0,47% 12,63%
Oleic acid C8H34O2 10000 3,32%
TOC [mg/L] - 114200 37,96%

COD [mg O2/L] - 145000 48,20%

Nitrogen [mg/L] N2 8500 2,83%

Minerals [mg/L] - 12000 3,99%

101
La tabella 14 mostra i dati di input per la modellazione delle AV. Vengono riportati i
valori delle portate dei componenti simulati con ASPEN; Nell’ultima colonna vengono
riportate le frazioni percentuai in massa dei vari polifenoli. I valori relativi al TOC,
COD, minerali e azoto legato sono stati stimati da [55] poiché non è stato possibile
reperire ulteriori dati sulla composizione molecolare relativi alla componente organica.
Inoltre sono stati riportati solamente stimati i valori del permeato poiché di maggior
interesse dal punto di vista operativo e normativo.

5.1.3 Output della simulazione


Come visto precedentemente il bilancio energetico dell’impianto di smaltimento delle
acque di vegetazione deve tener conto del calore utilizzato dal heater (Calore 1, Q1), del
calore utilizzato dal reattore (Calore 2 Q2) e del calore rilasciato dal cooler (Calore 3
Q3). Il calore rilasciato dal cooler, insieme al syngas prodotto dal impianto di
smaltimento andranno a fornire il calore necessario ad alimentare il heater e il reattore,
mentre il syngas prodotto in eccesso potrà essere utilizzato per altri fini (Figura 31).

Figure 31 Schema del bilancio energetico

Nella tabella 15 si hanno i fabbisogni termici per ogni componente del impianto.

102
Table 15 Fabbisogni termici dell’impianto

Fabbisogni termici dei principali componenti dell’impianto


Heater [kWt4], Q1 1399.35
Reattore termo-chimico [kWt], Q2 506.92
Cooler [kWt], Q3 -1005.35

Nel fare riferimento al calore, in generale, si tratta di calore reale, calcolato secondo la
formula:

Qsyngas reale= ηt x m x Hi

Dove

ηt = Rendimento di combustione. Ipotizzato pari a 0.6 data la presenza di CO2

m= Miscela utile di syngas (a meno della CO2, = 345.94)

Hi= Potere calorifico inferiore, calcolato come media pesata dei poteri calorifici dei gas.

La quantità di calore che non verrà utilizzata dall’impianto di trattamento sarà invece:

Q syngas – Q impianto = ΔQ

Dove

Q syngas = Quantità di calore prodotta

Q impianto= Q1+Q2 , Quantità di calore consumata dall’impianto

ΔQ = Calore prodotto in eccesso (se maggiore di zero), calore necessario per il pareggio
energetico (se minore di zero).

Nella tabella 16 si mostra la composizione del syngas e il bilancio energetico


dell’impianto.

4
L’unità di misura del calore è in kilowatts termici poiché si tratta del calore in uscita dal reattore
termochimico, che moltiplica l’energia chimica del gas per il coefficiente di rendimento termico del
reattore, assunto pari al 60%.

103
Table 16 Composizione del syngas e bilancio energetico

Composizione
Composizione Syngas VALORE
(%) in massa
CO2 (kg/h) 203.93321 37.09%
CO (kg/h) 283.815329 51.61%
H2 (kg/h) 62.1257399 11.30%
549.874278
TOT (kg/h)
9
Miscela utile di syngas (a meno della CO2) (kg/h) 345.94
Potenza disponibile (considerando un rendimento medio di
180.37
combustione del 60%) [kW]
Energia termica necessaria per l’autosostentamento
1101.99
energetico [kWt]
Efficienza media di combustione del gas 0.6
Syngas necessario per il pareggio del bilancio energetico
308.11663
(kg/h)
Syngas in eccesso 37.82337

La simulazione del modello con Aspen risulta fondamentale ai fini dell’LCA perché ci
permette di implementare questa tecnologia nel software SimaPro 8, in cui non
compare. In questo modo è possibile, a livello di software, dettare gli input di risorse
naturali e/o energetiche e i rispettivi output.

5.2 RISULTATI DELL’ANALISI DEL CICLO DI VITA DEL FRANTOIO FL CON


TRATTAMENTO DELLE AV

I dati sopracitati sono stati quindi utilizzati per modellare in SimaPro 8 l’influenza del
trattamento proposto delle AV per categoria di impatto, evidenziando se vi è una
riduzione o un aumento rispetto alla situazione attuale (Scenario 0, di base- Capitolo 4).

Nella figura 32 si esplicitano i risultati della simulazione con SimaPro per il processo
produttivo con trattamento, in loco, delle AV. Come nella simulazione relativa allo
scenario base, verranno prese in considerazione le stesse categorie di impatto e il peso
percentuale relativo ad ogni fase di processo. I valori calcolati per ciascuna categoria di

104
impatto, e il contributo di ciascuno stadio alle categorie di impatto, sono riportati nella
tabella 17.

Figure 32 Risultati dell’analisi LCA del processo con soluzione di trattamento per le AV.

Table 17 Valori % calcolati per ogni categoria di impatto

Anche in questo caso l’analisi del ciclo di vita fa riferimento all’unità funzionale di una
tonnellata di olive, i dati sono stati elaborati con il software SimaPro 8 e per la fase di
valutazione di impatto del ciclo di vita, è stato applicato il metodo CML-IA (baseline),
vedi capitolo 4 paragrafo 4.

105
L’analisi effettuata mette in evidenza che il trattamento in loco delle acque di
vegetazione permette di diminuire notevolmente il peso percentuale di questa fase del
processo produttivo per ogni categoria di impatto. In particolare, pesa meno del 5%
nelle categorie di:

-Impoverimento abiotico (che, come visto, riguarda il consumo delle risorse non
rinnovabili), dove l’attività di smaltimento delle acque di vegetazione sul terreno aveva
un peso relativo del 42% (Figura 27). Infatti, essendo il trattamento eseguito in uno
spazio controllato, non vi sono emissioni sul terreno e sulle falde idriche. Inoltre l’acqua
in uscita dall’impianto presenta valori assimilabili a quelli delle acque reflue urbane e
perciò smaltibile in fognatura evitando lo spargimento sui terreni. Infine non risulta più
il consumo di risorse non rinnovabili relativo all’utilizzo di un mezzo meccanico per
l’asportazione ed il trasporto delle acque di vegetazione.

- L’ecotossicità, che prima pesava circa il 23%. Infatti tramite il trattamento vengono
abbattuti i polifenoli e, con essi, il potere antimicrobico delle AV.

- L’eutrofizzazione, che si riduce drasticamente dal 99,7% al 2,3%. Questo fenomeno,


conseguente all’eccessivo apporto di sostanze nutrienti (per lo più composti azotati e
fosfatici) nelle acque, viene notevolmente ridotto dal momento in cui lo sversamento di
acqua con basso potere inquinante e BOD5 avviene in fognatura.

Risulta però interessante notare che i seguenti risultati si sono ottenuti considerando nel
modello la CO2 prodotta dalla combustione del Syngas come gas di origine naturale,
giacchè proveniente da una biomassa.

L’anidride carbonica (CO2) è infatti una delle principali cause del riscaldamento
globale. Quando la biomassa viene utilizzata in modo sostenibile per sostituire i
combustibili fossili, l'impatto netto di CO2 risulta ridotto. Questo perché bruciare
combustibili fossili comporta il rilascio di carbonio che, fino ad allora, era confinato nel
sottosuolo (come il petrolio, il gas e il carbone) e il suo trasferimento all'atmosfera come
CO2.

La combustione di una biomassa (come, in questo caso, il syngas ottenuto dalle acque di
vegetazione) immette in atmosfera il carbonio che era stato sottratto dall’atmosfera
stessa durante la crescita delle piante che hanno generato la biomassa. Si rimane nel

106
ciclo naturale attivo del carbonio (ovvero, il ciclo biogeochimico attraverso il quale il
carbonio viene scambiato tra la geosfera, l'idrosfera, la biosfera e l'atmosfera della Terra
in tempi recenti). L’'effetto netto che si ottiene è che non viene prodotta più quantità di
CO2 di quella già presente, e attiva, in natura. La US Environmental Protection Agency
riporta che, "La CO2 da biomassa non è generalmente considerata come emissione di
gas serra, perché è considerata parte del ciclo di CO2 a breve termine" I combustibili
fossili, come il carbone, il petrolio, o depositi di gas naturale, si sono creati in un lasso
di tempo geologico. Il carbonio da fonti fossili presenti in questi depositi geologici è
considerato come “sequestrato” dal ciclo globale del carbonio, e, quando viene
utilizzato per produrre energia, immette in atmosfera una quantità di carbonio che
sarebbe altrimenti rimasta sepolta e inattiva [56].

Diversamente, se l’ipotessi di considerare nulle le emissioni di CO2 provenieneti dalal


combustione del syngas non venisse fatta, il peso percentuale del trattamento delle AV
per la categoria “Global Warming” (Effetto serra) crescerebbe notevolmente rispetto
allo scenario base (Figura 33).

Figure 33 Risultati dell’analisi LCA del processo con soluzione di trattamento per le AV con CO2 non proveniente
da biomassa.

107
6 CONFRONTO DI SOSTENIBILITÀ AMBIENTALE E
CONCLUSIONI

Quanto finora studiato permette di effettuare un confronto tra la situazione attuale,


ovvero lo scenario di base relativo al capitolo 4 (Fig. 29), e lo scenario di previsione,
che prevede la messa in funzione dell’impianto di trattamento proposto nel capitolo 5
(Fig.32).
Il confronto, realizzato utilizzando i risultati ottenuti con SimaPro 8, mostra quanto
segue (Fig. 34).

Figure 34 Confronto dell’analisi LCA per processo produttivo con e senza trattamento

Come si evince da questo confronto grafico, il trattamento delle acque di vegetazione


con l’impianto proposto ridurrebbe notevolmente l’impatto ambientale del processo
produttivo per le sette categorie di impatto considerate. Soprattutto, permetterebbe di
abbattere quasi nella sua totalità l’eutrofizzazione causata dallo sversamento e l’utilizzo
di risorse non rinnovabili.
Un’altra conclusione non trascurabile che si può trarre dall’analisi, è che il trattamento,
poichè avviene in un ambiente controllato e ben limitato spazialmente, permette di
chiudere gli effetti delle acque di vegetazione a scala locale. Infatti, uno dei problemi
maggiori legati allo spargimento delle AV sui terreni è quello di inserire nel ciclo
naturale dell’acqua delle sostanze con effetti di difficile previsione a lungo termine.
Queste sostanze chimiche infatti si infiltrano nelle falde idriche e nei corsi d’acqua,
entrando a far parte del suo ciclo naturale, che comprende una scala molto più vasta.
Un trattamento circoscritto, con lo scarico di acque depurate nel sistema fognario,

108
permetterebbe di limitare l’impatto sull’ambiente e nel caso di problematiche
permetterebbe di intervenire puntualmente senza ottenere una propagazione degli effetti
sull’ecosistema.
L’analisi del ciclo di vita risulta perciò favorevole alla soluzione di trattamento proposta
dal team ENEA di Frascati.
Questi risultati di natura ambientale, insieme a quelli ottenuti dall’analisi tecnico-
economica, verranno utlizzati per proporre l’erogazione di incentivi che promuovano il
trattamento delle acque di vegetazione con la costruzione di impianti pilota.

109
RINGRAZIAMENTI

“Non esistono condizioni ideali in cui scrivere, studiare, lavorare o riflettere, ma è solo
la volontà, la passione e la testardaggine a spingere un uomo a perseguire il proprio
progetto.” - Konrad Lorenz.
In questo cammino di maturazione personale sono state diverse le persone che mi hanno
accompagnato, appoggiato ed insegnato molto.

Voglio ringraziare di essere qui oggi a presentare il mio lavoro i miei relatori, il Prof.
Pietro Prestininzi, per essere sempre stato disponibile e per avermi concesso la
possibilità di studiare qualcosa che mi appassiona, che mi avrebbe permesso di imparare
e mettermi alla prova e l’Ing. Silvano Tosti del centro di ricerca ENEA di Frascati, per
avermi accolto, insegnato, corretto e sostenuto durante tutto questo percorso. Un
ringraziamento importante va anche al mio correlatore, l’Ing. Marco Incelli, sempre
disponibile e pieno di entusiasmo, che è riuscito a trasmettermi. Il loro supporto, la loro
professionalità, le loro conoscenze e la loro cortesia sono state tra le lezioni più
importanti, che non dimenticherò mai. Ringrazio l’Ing. Marco De Dominicis per tutti i
dati forniti e la disponibilità mostrata e l’Ing. De Meis per il materiale bibliografico e il
tempo che mi ha dedicato.
Ringrazio i professori Juan Amieva e Josè Juanes del Instituto de Hidraulica de
Cantabria, per avermi fatto appassionare dell’idraulica e dell’idrologia.

Ringrazio la mia migliore amica Arianna per essermi sempre stata vicina, nei giorni
soleggiati e soprattutto in quelli piovosi; i miei amici e i miei colleghi ISC per avermi
sempre donato un sorriso. I miei amati coinquilini durante l’erasmus, Suellen e Marco,
per avermi fatto passare uno degli anni più belli della mia vita. Ringrazio il mio
ragazzo, Christoforos, che riesce sempre a farmi trovare la forza di continuare.

Ringrazio i miei genitori per avermi insegnato ad affrontare la vita con il sorriso e i
piedi non proprio per terra, per avermi sempre dato la libertà di scegliere. Infine,
ringrazio le mie nonne Marta e Rosa per il loro supporto.

Dedico questo traguardo a mia nonna Rosa, che purtroppo oggi non c’è ma che spero di
aver reso orgogliosa, anche se non sono diventata medico!

110
BIBLIOGRAFIA

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