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Ripenso il tuo sorriso, Eugenio Montale

Manoscritto seminario «Eugenio Montale, Ossi di seppia»


Professor Matteo Pedroni

Samuele Spreafico
Université de Lausanne
Semestre di primavera 2022
Introduzione al testo

Datato 1923, Ripenso il tuo sorriso è il quarto componimento della sezione «Ossi di
seppia», all’interno dell’omonima raccolta. Il testo s’inserisce, insieme a Meriggiare pallido
assorto e Non rifugiarti nell’ombra, nella primitiva serie «Rottami», della quale risulta essere
la terza poesia. Esso è già presente nei manoscritti inviati ad Angelo Barile e Francesco
Messina nel marzo 1923, ed in un terzo manoscritto inviato a Bianca Messina, senza data ma
identico a quello del marito; è inoltre documentata l’esistenza di una versione francese, una
traduzione quasi letterale che si suppone sia stata prodotta per il destinatario a cui il poemetto
è dedicato, il ballerino russo Boris Kniaseff, con il quale Montale stringe conoscenza presso
l’abitazione dei coniugi Messina, in occasione di un periodo di permanenza di questo a
Genova.
L’intero componimento si presenta come un caso particolare, o quantomeno inusuale,
rispetto ai motivi che normalmente distinguono gli altri «ossi brevi»; in effetti, contrariamente
alla maggioranza dei casi, viene qui rivelato un carattere dai tratti impersonali che domina
l’interezza dello scritto, e che si impone nella cura attentissima della forma, oltre che ad
emergere dalla non comune ricchezza di intertestualità, elementi che contribuiscono alla
creazione di un clima prossimo all’idillo e dai rimandi alla poesia d’occasione d’ispirazione
classica.1 Centrale qui è il tema della memoria, che si incarna nel ricordo dell’amico al quale
la poesia è dedicata, Boris Kniaseff. L’atto di reminescenza sembra consentire al poeta una
tregua dalla condizione esistenziale lacerata che scandisce la maggioranza degli altri ossi, e,
grazie alla spontaneità che lo caratterizza, permette all’io poetico un momento di distrazione
dall’aridità interiore che altrimenti lo assilla; l’irruzione del passato nell’identità presente
suggerisce quasi una sospensione dell’attività della coscienza, votata invece per qualche
istante alla contemplazione della vitalità della quale il ricordo è portatore. L’autenticità del
sorriso del destinatario si fa ancella della speranza di liberazione dal male di vivere che
affligge il poeta, e nonstante questa possibilità sia turbata dal dubbio che invece sotto di esso
possano ancora nascondersi dolore e rinuncia, riesce almeno a recare calma all’animo e a
placarne l’inquietuine.
Nel corso delle diverse edizioni di Ossi di seppia si osserva una variazione dell’opera
contenuta nei manoscritti originari rispetto alla versione del 1925, data a partire dalla quale il
testo non subirà ulteriori modifiche. Esse sembrano tuttavia circoscritte a motivi ed intenzioni
d’ordine principalemte stilistico, e non costituiscono pertanto un reale elemento d’interesse,
1
Tiziana Arvigo, Guida alla lettura di Montale, Ossi di seppia, Roma, Carocci, 2001, pp. 93-94.

1
fatta eccezione per la dedica all’intestatario, sulla quale verrà posta maggiore attenzione in
seguito.

Analisi tematica

Come annunciato in precedenza, il ricordo e la memoria occupano un ruolo centrale


all’interno di questo componimento. Tra le diverse interpretazioni della critica, Claudio
Cencetti2 avanza l’ipotesi di un’influenza bergsoniana che funge da matrice al testo, idea
sostenuta dalle dichiarazioni del poeta stesso, il quale ha più volte affemato l’importanza della
lettura delle opere del filosofo nello sviluppo del proprio pensiero, nonché l’azione diretta che
queste hanno avuto sulla sua produzione artistica proprio negli anni della composizione di
Ossi di seppia. Ritengo dunque utile partire proprio da Bergson, ed in particolare da alcune
delle teorie enunciate in una delle sue opere di maggior spessore, Materia e memoria,
pubblicata nel 1896; dalla comprensione di esse sarà possibile sviluppare una linea analitica
chiara e necessaria prima di passare al lavoro sul testo vero e proprio.
Al secondo capitolo del libro, Il riconoscimento delle immagini. La memoria e il cervello,
Bergson teorizza l’esistenza di due processi mnemonici differenti e responsabili della
conservazione delle immagini passate della nostra esistenza. Questi agiscono elaborando il
passato sotto due forme distinte, ma in relazione tra loro: 1° dentro dei meccanismi motori ;
2° dentro dei ricordi indipendenti.3 I primi sono acquisiti tramite lo sforzo e la ripetizione
volontari, e sono frutto dell’esericizio, mentre i secondi sorgono del tutto spontanemante,
risultando di conseguenza difficili da evocare a piacimento, ma anche estrememente vividi e
toccanti nel momento in cui s’impongono al pensiero; proprio questa spontaneità rende il
ricordo capace di stabilire un collegamento limpido con l’istante che l’ha generato,
restituendo alla coscienza un’immagine più autentica e significativa rispetto a quella che
sarebbe stata procurata dall’azione dei meccanismi motori. Il rapporto tra questi due
dispositivi e la coscienza, intesa come durata, implica poi ulteriori aspetti rilevanti. I
meccanismi motori non posseggono infatti la facoltà di ricondurre l’io ad un momento preciso
della durata della sua coscienza, trasmettono infatti una nozione, qualcosa che è stato appreso
ma che interessa ormai nel suo contenuto e non nel suo contesto, e che non riporta il soggetto

2
Claudio Cencetti, Gli «ossi brevi» di Eugenio Montale. I ‘veri’ significati, analisi metrico-stilistica, commento,
Corazzano, Titivillus, 2006, pp. 91-93.
3
Henry Bergson, Materia e memoria. Saggio sulla relazione tra il corpo e lo spirito, Roma, Laterza, 1996, p. 73.

2
ad un episodio del proprio vissuto indviduale ma ne resta estraneo, impedendo così anche il
rimanifestarsi della sensazione che fu ad esso corrispondente. Al contrario i ricordi
indipendenti non solo ricreano un legame con un evento passato lungo la durata della
coscienza, ma causano anche nell’individuo la sospensione dalla dimensione presente di essa,
impegnata nell’atto del rivivere, riportandola quindi al momento a cui i riordi sono legati, ed a
tutte le sensazioni e le emozioni che lo hanno accompagnato. Questo comporta che i ricordi
indipendenti assumano un carattere impersonale rispetto alla coscienza presente, non nel
senso che appaino estranei ad essa, ma in quanto provocano appunto la sospensione
provvisoria di questa e dell’io dal suo stato corrente, al fine di permettere l’atto di
reminescienza; al tempo stesso essi risultano comunque essere elementi passati parte di
questa durata, e da questo punto di vista dotati di una forza estremamente personale, vale a
dire più intimamente prossima al soggetto. I meccanismi motori, pur non distogliendo il
soggetto dalla sua percezione presente, non sono più in grado di rimandare ad un momento
della durata nella sua estensione temporale, essi persistono solo dal momento in cui la
memoria si è impegnata attivamente nel mantenerli.
Come suggerisce Cencetti, questo osso fornirebbe la rappresentazione letteraria proprio del
secondo tipo di memoria, andando a descrivere l’occorrenza di un ricordo casuale, in questo
caso quello del sorriso dell’amico, che all’improvviso investe prepotentemente la memoria
nella sua integralità. È possibile osservare nel testo diversi elementi a sostengno di questa
ipotesi; già considerando il tempo entro il quale la poesia si sviluppa emergono alcune delle
dinamiche appena evidenziate. Si può in effetti sostenere che tutto il componimento si articoli
in un «non tempo», in uno stato di coesistenza tra passato e presente nel quale il primo si
afferma sul secondo e ne pervade i confini, generando una sovrapposizione tra i due; tutto ciò
è evidenziato dalla scelta d’uso del tempo presente lungo la totalità del testo, e
manifestamente apposta all’espressione «o lontano» del quinto verso, decisione volta
probabilmente a sottolineare l’influenza che l’evento passato genera sulla percezione presente.
Proprio per questa ragione il fenomeno, l’interruzione del presente in favore del passato, già
osservata poco fa, sembra essere in grado per un momento di attuare una sorta di liberazione
dal male di vivere, il tempo che logora e dissolve ogni forma, e che contraddistingue il mondo
e le cose in esso, in quanto questo ricordo riesce a supararne le stesse barriere ontologiche.
Anche dal punto di vista degli spazi entro i quali la poesia si concretizza assistiamo allo
sgretolarsi di uno o più luoghi definiti, ai quali viene sostituito un simbolismo che è insieme
frammenti della memoria del poeta e riferimenti diretti allo stato d’animo di quest’ultimo, nei
momenti simultanei o immediatamente prossimi all’insorgere delle visioni. È il caso ad

3
esempio della rappresentazione diretta della coscienza del poeta nell’espressione «tra le
petraie d’un greto» (v. 2), immagine suscitata nella mente dell’autore e descrittiva dello stato
di essa, connotata cioè da apatia e indolenza. Discorso analogo vale per la formulazione
all’undicesimo verso «nella mia memoria grigia», nella quale l’idea dello stato avverso in cui
giace l’autore prima dell’avverarsi del ricordo viene esplicitata ancor più direttamente. Nello
stesso ambito, ma con connotazione opposta, troviamo invece «l’esiguo specchio» del terzo
verso, metafora che con tutta probabilità indica ancora la coscienza/interiorità dello scrittore,
ma con valenza differente rispetto a quanto visto finora: in effetti, questo specchio non sembra
più essere la sola anima del poeta, ma quest’ultima dopo che «l’acqua limpida», il ricordo, è
fluita al suo interno; ne risulta l’idea di una superficie, creatasi dall’unione dell’acqua col
greto, che permette, per un istante, al destinatario di intravvedere il riflesso di un’edera in
fiore e del cielo limpido sopra di essa, immagini che subito evocano un momento positivo o
quantomeno pacifico. Anche «l’abbraccio d’un bianco cielo quieto» sembra esprimersi in
questa direzione, indicando una sorta d’auspicio che il ricordo del sorriso, per quanto non
trattenibile nelle sue facoltà, possa essere stretto ancora un attimo.
Quest’utimo aspetto, la serenità di cui la reminescenza è corriera, si riscontra poi anche
nell’ultima terzina della poesia, strutturalmente analoga alla prima: ritroviamo il campo
semantico dell’acqua, con l’«ondata di calma» al verso dieci che fa eco all’ «acqua limpida»
del primo, e la «memoria grigia» al verso successivo parallela al «greto» menzionato in
precedenza; interessante poi la similitudine del ricordo con la «giovinetta palma» nel finale
che, sostenuta dall’idea dell’«esiguo specchio», lascia emergere due caratteri fondamentali
della meccanica del ricordo indipendente, penetrante, chiaro e spontaneo («schietto»,
appunto) da un lato, e riflesso vivido di un preciso momento nella durata della coscienza
dall’altro.
I concetti evidenziati da Bergson possono poi essere utilizzati per cercare di fornire
un’interpretazione anche ai versi della seconda quartina, che appare effettivamente
leggermente discostata rispetto alle altre due, o quantomeno priva della specularità propria a
queste. Se infatti nella prima e nella seconda quartina l’autore sembra concentrarsi
maggiormente sulle impressioni insortegli dal ricordo del sorriso del destinatario piuttosto che
direttamente su di esso, considerazioni quindi fortemente personali (come denotato
dall’espressione «per me» al primo verso) e slegate dalla reale figura dell’amico, ad un primo
sguardo non pare valere lo stesso per la seconda quartina, nella quale il poeta sembra invece
rivolgersi direttamente al proprio interlocutore, apostrofandolo; proprio su questa ambiguità si
sviluppano due possibili spiegazioni. La prima si propone come interpretazione quasi letterale

4
del testo, nella quale l’«anima ingenua» starebbe a significare «anima illusa», priva di una
concreta coscienza di se stessa e degli enti che la circondano, opposta quindi a quella di chi
consapevolmente porta con se il proprio dolore, o addirittura tutta l’eclatante amarezza della
condizione umana, ma nonostante ciò cerca di dissimularlo allo stesso modo di come si
potrebbe nascondere un «talismano», un oggetto distintivo ma serbato in segreto; secondo
questo aut aut si costruirebbe dunque il dubbio dello scrittore riguardo la natura del
destinatario.
Un’altra possibile lettura propone invece di vedere anche in questa quartina un appellarsi
dell’autore al ricordo dell’amico, e non quindi direttamente alla persona di questo. Secondo
quest’altra via, l’anima ingenua non sarebbe altro che una differente formulazione volta a
rappresentare un elemento (in questo caso l’anima appunto, e dunque un principio
fondamentale d’esistenza, ciò che permette il mantenimento di un’identità nel tempo, come
potrebbe benissimo essere il ricordo rispetto all’esperienza, accezione che viene qui adottata)
capace di generare, nato libero, ed in grado di conseguenza di durare nella coscienza e di
riesplodere nella memoria, andando ogni volta a ricreare in essa i tratti che hanno distinto il
momento al quale corrisponde (aspetto che come già visto più volte distingue i ricordi
indipendenti). Analogamente a quanto visto prima, il poeta prosegue questionandosi, in questa
circostanza però se il ricordo dell’amico possegga le qualità appena descritte, oppure se
questo sia, condividendo la sorte delle altre cose terrenee, estenuato dal male del mondo e
quindi, incapace di fissarsi saldamente nella memoria, destinato al lento logorare del tempo ed
a perdersi nell’oblio.4
Proprio a fornire maggiore valore alla seconda interpretazione arriva finalmente la dedica
al “destinatario” della poesia: «a K.», che nella scelta della sua forma stilistica non appare
affatto casuale. In effetti, veniva accennato nell’introduzione come nelle differenti variazioni
che l’opera ha subito, la più interessante e meno legata ad aspetti perlopiù estetici risulta
essere proprio quella che contempla la modifica della dedica, passata da «a Baris Kniaseff» a
quella che invece conosciamo. La risposta alla domanda sui motivi di questa decisione può
essere spiegata prendendo in cosiderazione tutto quanto detto finora. Seguendo quella che
potremmo definire la pista interpretativa bergsoniana, intrapresa sino a questo momento,
questo passaggio evidenzierebbe il fatto che il K a cui la poesia è intestata non è da intendersi
direttamente come l’individuo Baris Kniaseff, malgrado a lui corrisponda; K in generale non è
altro che il pretesto che riporta in vita il ricordo indipendente, che riconduce l’autore ad un
4
Claudio Cencetti, Gli «ossi brevi» di Eugenio Montale. I ‘veri’ significati, analisi metrico-stilistica, commento,
op. cit., p. 92.

5
istante significativo della propria esistenza, in questo caso il sorriso di Baris legato a tutte le
altre numerose impressioni che quel momento ha implicato. Per questa ragione Montale
decide, in un certo senso, di alienare l’identità concreta di Kniaseff, pur mantenendo nella
dedica delle tracce di essa: nonstante continui a costituire un aspetto importante nell’insieme
delle sensazioni piacevoli trasmesse dall’esperienza del ricordo, resta sfumata assieme a tutti
gli altri elementi che lo hanno generato ed alimentato; questa volta è stato il ripensare ad un
sorriso a risvegliarli, la prossima magari sarà qualcos’altro. La scelta di ridurre un nome ad
una sola lettera non è da intendere come una minimalizzazione di ciò che l’amico realmente è
stato, ma invece una precisazione di quello che questo componimento vuole indagare,
l’assorbimento da parte della coscienza di qualcosa che un tempo si presentava come esterno
e distinto da essa ma che è stato complentamente interiorizzato, ed è divenuto un tuttuno. K è
riconducubile solo in parte ad un dato anagrafico, è il prodotto di tutta l’elaborazione che una
soggettività ha plasmato a partire da esso, e ne è ora materia differente; in esso si conserva ciò
dell’amico di allora è scampato al divenire, ed è rimasto essenziale nel ricordo del poeta.
In conclusione, ritengo sia possibile sostenere che nonstante Ripenso il tuo sorriso… si
presenti quasi come discordante rispetto alle altre poesie della sezione, specialmente nella sua
forma e nel registro utilizzato, ed in parte anche nei motivi, il poema rientri nelle grandi
tematiche che caratterizzano l’opera di Montale, andando a riflettere comunque, forse in
maniera più velata, un ventaglio di considerazioni inerenti alla travagliata condizione
esistenziale umana e alle implicazioni, drammatiche e non, che essa comporta.

6
Testo poetico5

a K.

Ripenso il tuo sorriso, ed è per me un'acqua limpida

scorta per avventura tra le petraie d'un greto,

esiguo specchio in cui guardi un'ellera i suoi corimbi;

e su tutto l'abbraccio d'un bianco cielo quieto.

Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano, [5]

se dal tuo volto s'esprime libera un'anima ingenua,

o vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua

e recano il loro soffrire con sé come un talismano.

Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie

sommerge i crucci estrosi in un'ondata di calma, [10]

e che il tuo aspetto s'insinua nella mia memoria grigia

schietto come la cima d'una giovinetta palma...

5
a K.] a Baris Kniaseff Ms1 Ms2
4. d’un] di un Ms1 Ms2
5. il mio ricordo] il tuo ricordo Ms1 Ms2
7. tu sei] sei tu Ms1 Ms2
8. con sé] con sé, Ms1 Ms2
11. s’insinua] si insinua
12. d’una] di una Ms1 Ms2

7
Bibliografia

Edizioni di riferimento

L’opera in versi, a cura di R. Bettarini e G. Contini, Torino, Einaudi, 1980.


Ossi di seppia, a cura di P. Cataldi e F. d’Amely, Milano, Mondadori, 2016.

Saggi critici e strumenti

Arvigo T., Guida alla lettura di Montale, Ossi di seppia, Roma, Carocci, 2001.
Bonora E., Lettura di Montale, 1. Ossi di seppia, Torino, Tirrenia-Stampatori, 1980.
Cencetti C., Gli «ossi brevi» di Eugenio Montale. I ‘veri’ significati, analisi metrico-
stilistica, commento, Corazzano, Titivillus, 2006.
Ferraris A., Montale e gli “Ossi di seppia”: una lettura, Roma, Donzelli, 2000.
Forti M., Eugenio Montale. La poesia, la prosa di fantasia e d’invenzione, Milano,
Mursia, 1974.
Leone de Castris A., Gli ossi di Montale, Lecce, Piero Marini editore, 2000.
Scaffai N., Montale e il libro di poesia (Ossi di seppia, Le occasioni, La bufera e altro),
Lucca, Maria Pacini Fazzi editore, 2002.
Valentini A., Lettura di Montale, “Ossi di seppia”, Roma, Bulzoni, 1971.

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