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[…] Negli scritti critici Montale ritorna più volte su [quella] che egli considera una
tendenza specifica, ma anche una meta irraggiungibile della lirica moderna. Il
problema fondamentale consiste nel fatto che:
la poesia si serve di parole [...] le arti hanno qualcosa di più oggettivo, sono più resistenti
al tempo [...] in esse il significato non tarda a diventare «pretesto», occasione; in poesia
tale processo è più lento e lascia sempre un fortissimo residuo 1.
Il destino alto e oscuro della poesia parrebbe dunque quello di tendere sempre più alla
condizione di arte, all’assoluta purezza che questa parola postula, restando pur sempre, e
con piena coscienza dell’impossibile assunto, un’arte diversa, un’arte sui generis [.,.] (La
poesia come arte).
[...] nessuno scriverebbe versi se il problema della poesia fosse quello di farsi capire. Il
problema è di far capire quel quid al quale le parole da sole non arrivano.
5 «Che cos’è una poesia lirica? Per conto mio non saprei definire quest’araba fenice, questo mostro,
quest’oggetto determinatissimo, concreto, eppure impalpabile perché fatto di parole, questa strana
convivenza della musica e della metafisica, del ragionamento e dello sragionamento, del sogno e
della veglia» (Storia dell’araba fenice, 1951; corsivo mio).