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UB
10 , 91000

C I U L LE CELE LE

FAN BRI
E L'INFANZIA
DELLE DONNE ILLUSTRI
D'ITALIA
OPERA ORIGINALE

del prof.
FRANCESCO BERLAN

LIBRO

di lettura e premio

2.° EDIZ.

See ( 1445
ET

LI

MILANO
Stabilimento Tipografico Ditta Giacomo Agnelli , nell' Orfanotrofio Maschile . Us
LOTTO

LB PANCIULLB CELEBRI D'ITALIA


LE
62
FANCIULLE CELEBRI
E L'INFANZIA

DELLE DONNE ILLUSTRI D'ITALIA

ANTICHE E MODERNE

del prof. cav.

FRANCESCO BERLAN

SECONDA EDIZIONE TOCCATA E RIVEDUTA DALL'AUTORE


BULOITALS

NA
LE

ku

MILANO
Stabilimento Tipografico Ditta Giacomo Agnelli
nell'Orfanotrofio maschile

1878
Proprietà letteraria .

.9 0
-

AI LETTORI

Abbandonando affatto il metodo delle compilazioni


e riduzioni, troppo invalso neºlibri scolastici italiani,
l'autore non risparmiò nè diligenza , nè studio per
dare un'opera di cui sentivasi il bisogno nelle scuole
femminili , e che , giovandosi di tutti i sussidi del
l'arte , istruisse ad un tempo e dilettasse . In una
quindicina di capitoli egli raccolse e tratteggiò quanto
di più bello, di più caro, di più santo e di più su
blime offersero le fanciulle italiane ne' tempi antichi
e moderni. Ciascuno de' quali capitoli, come mazzo
di fiori, non comprende già un solo giglio di purità,
o una sola rosa di bellezza, o una sola viola di gen
tile modestia , ma quanto avea di leggiadro e olez
zante la virtù di molte care giovinette che intorno
ad una principale piacque all autore di aggruppare.
Vi è varietà di forme, di colore e di profumo.
Questo libro; che inspirasi alla famiglia , alla pa
tria ed alla religione, si raccomanda da sè in modo
speciale alle buoni madri di famiglia , alle istitutrici
ed a quanti hanno l'ufficio di educare in modo de
gno dei tempi la mente e il cuore delle giovinette
italiane .
INDICE ALFABETICO
DELLE FANCIULLE E DELLE DONNE ILLUSTRI ITALIANE

MEMORATE NELL'OPERA

ADEL ARDI (degli) Marchesella pag. 194. BATTISTOTTI Luigia , pag. 468.
AGLAJA Anassillide, 394. BEBBI-SASSATELLI Lucrezia , 318.
AGNESI Maria Gaetana , 285 , 313 , 324, BECCHESINI Anna , 353 .
>

409, 418. BELISANDRA Meraviglia , 341 , 355.


AIROLA Angela , 375 . BENDIDIO Lucrezia, 264 .
ALAGNA ( d' ) Lucrezia, 345 . BENINCASA Bonaventura, 184.
ALBANA- AVOGADRO Lucia, 397. BENINCASA Lapa , 180 .
ALBONI Marietta , 390 . BENINCASA Orsola , 404.
ALBONIO Maria, 456. BENTIVOGLIO Francesca, 346 .
ALBRIZZI Isabella , 275 . BERETTA Giuseppina, 467, 468 .
AMARILLI Etrasca , 438. BERGALLI-Gozzi Luigia, 318.
AMORETTI PELLEGRINA Maria, 301, 307. BERNARDI Alcina (?), 456.
ANASSILLA , 427. BERNARDI Teresa, 405.
ANDREINI Isabella , 381 , 398, 399. BEVILACQUA-LA MASA Felicila , 343.
ANGUISCIOL A Caterina , 377 . BIANCHETTI Giovanna, 315.
ANGUISCIOLA Sofonisba, 368. BONA Lombarda, 449.
ANNIA romana , 335 . BORGHINI Maria Selvaggia, 441 .
ANTONIA minore, 335. BORGIA Lucrezia, 25%.
ANTONIETTI Colomba , 459 . BRAGADINO Aurora Maria , 318.
AQUATI Natalino (moglie di ), 468. BRONCHIA Marzia , 462 .
AQUILEJA (1' ) Onoria , 339. BRACELLI Vittoria, 289.
ARAGONA (d') Tullia , 419. BRIVIO Anna, 313 .
ARBOREA ( d') Eleonora, 462, 476. Bucco Dorotea, 306.
ARDINGHELLI- CRISPO Maria , Angela , CAGNONI Francesca, 456.
303, 306 . CAGNONI Teresa , 456 .
ARMANI Vincenza , 380. CALDERINA Bettina, 305.
ARMONIA , 26. CALIFRONIA Rosa, 327.
ARRIA , 448. CALPURNIA 406, 407.
Azzi (degli ) Ippolita, 462, 463. CAMILLA , regina dei Volsci , 1 .
BANDETTINI-LANDUCCI Teresa , 25 , 354 , CAMILLA , sorella degli Orazi , 16.
361 , 437, 439. CAMINER-TURRA Elisabetta , 38 ), 404.
BANFI BRIGIDA Giorgia , 389, CANDIANI Maria, 456.
BARBA PICCOLA Gius. Eleonora , 306 . CANONICI -FACCHINI Ginevra, 327 .
BARATOTTI Galerana , 326. CANULEJA , 37.
BARBÒ DA SONCIN- CARBURI Cecilia ,404. CAPOMAZZA Luigia, 373.
BASsi Laura , 299 . CARRIERA Rosalba , 374.
BATTIFERRA Laura, 377. CASELLA Maria Emilia, 104.
XII INDICE ALFABETICO

CASSANDRA -VAPELLI Fedele , pag . 297, I DONNE DI AQUILEJA , pag . 465 .


318 , 415. Arezzo , 463 .
CASSANO (di ) duchessa , 466. BRESCIA , 466.
CASTELLI ( figlioletta di ) Antonia , 457 . CIVITELLA DEL TRONTO , 462 .
CASTELLI-VISCONTI-MODRONE Luigia , COLLE DI VALDELSA , 462 .
286 . CREMONA , 462 .
CASTIGLIONI -BASSOL ! Enrichetta , 466 . CUNEO , 462.
CATALANI Angelica , 390. CURZOLA , 462 .
CATERMOLE Eva , 405. FIRENZE , 462.
CERRITO Francesca, 392. FOJANO, 462.
CESONIA e sua figlia , 53 . FORLÌ , 462 .
CICCI Luigia, 441 . LIESINA, 462.
CICERI Laura, 287 . LONGIANO , 462 .
CIMINI Angiola , 235. MALTA , 462 .
CLARENZA di Messina, 454 . MESSINA , 462
CLAUDIA , vergine vestale , 34. MILANO , 462, 466, 467, 468.
CLELIA , 12, 286 . MONOPOLI, 462, 465.
CODEMO-GESTERBRANDT Luigia , 404. MUGELLO, 462.
COFFA - CARUSO Marianna, 405. PERUGIA , 460.
COLLALTO Bianca , 336 . PICERNO , 462 .
COLOMBINO Maria Giulia , 404. PIOMBINO, 462 .
COLOMBO, sorelle, 474 . ROMA , 463 , 469.
COLONNA Vittoria , 421, 436 . SICILIANE, 458, 466.
Comi Livia, 327 . SIENA , 462 .
CONTADINELLA di Gazzuolo, 347. SIGNA , 462 .
CORILLA Olimpica, 437 . VENEZIA , 294, 462, 464, 469 .
CORNARO- PISCOPIA Lucrezia Elena, 298, VIGEVANO, 462.
306 , 318 . VITERBO, 156, 166, 465 .
CORNELIA , figliuola di Tiziano , 273. Donzella e Donzelle . Vedi Fanciulla
CORNELIA , madre dei Gracchi , 406 . e Fanciulle .
CORNELIA, moglie di Pompea, 373. DONZELLE (porto delle ), 232.
CORNIFICIA , 406, 407 . EGELDRUDA , 343 .
CORTESE Isabella , 304. ERACLIA e sue figlie, 26.
CROCB (della ) Uberto, sua figliuola, 206.
Erizzo Anna, 342, 348.
DAL COVOLO - MESTRE Antonietta, 405. ERSILIA , moglie di Romolo, 331 , 332.
DAMARATA , 27 . ESTE ( d') Anna , 428.
DANZETTA di Perugia , 466. ESTE (d') Bianca Aurora 370.
DELFINI -Dosi Maria Vittoria , 306. Este ( d' ) Eleonora, 253, 428.
DB BERNARDI Albina, 453. ESTE (d' ) Lucrezia , 256, 259, 262. 428.
>

DE Buti Paola , Ginevra e Lucrezia , FANCIULLA DI BRESCIA , 458.


449 . MILANESE , 353, 354 .
De Mutuis Maria, 136. PISANA , 450.
De Rossi Aretafila Savina, 326 . ROMANA , 346.
De Rossi Bianca , 337, 339 , 342 . SIRACUSANA , 27 .
DE Rossi Properzia , 377, 379 , 393 . FANCIULLE CAPUANE , 347 .
DE SADE Laura , 237 , 238, 412 . DI CARINI , 461 .
DELITALA Lucia, 465 . LOMBARDE , 455.
DIGERINT -Nuti Laura, 405 . MESSINESI , 454 .
Dina di Messina, 454 . MILANESI, 456 , 459 .
DOGNA O DIGNA , 343 . PISANE, 450 .
DONATI ( dei ) Gemma, 221 . ROMANE , 55, 82, 463, 469.
Donati Piccarda , 332, 334, 348, 354 . VENEZIANE (loro educa
DONATO Rosa , 454 . zione) , 232
DELLE FANCIULLE E DELLE DONNE ILLUSTRI ITALIANE XIII

FANTASTICI - KIRIAKI Isabella , pag.404. LAPI Ginevra , pag. 251 .


FAUSTINA,moglie di Marc'Aurelio , 335. LARINA , Volsca, 9 .
FERNI Virginia e . Carolina , 388. LAUTERI Camilla , 375.
FERRONI -TOMMASINI Antonietta , 404. LAZZARONI Giuseppina , 456.
FIAMMETTA (la ), 413 . LILIA OLIVILLA , sorella di Germa
FIESCRI• A DORNI Caterina , 324. nico, 43.
FIESCHI (dei ) Alagia, 261. LUCREZIA , moglie di Collatino , 12 , 16,
Fiocchi Maria, 456. 68, 252, 332, 333, 340, 345, 446 .
FOLLIERO DE LONA Cecilia, 302, 306 , 337. LUSERNA (contessa di), 462.
FONSECA-PIMENTEL Eleonora,452,470. MALATESTA Battista , 318.
FONTANA Lavinia, 373. MANDER - CECCAETTI Anna , 405 .
FONTANA Veronica , 373. MANTELLATE ( Ordine delle ), 188.
FONTE Moderata. Vedi Zorzi dal Pozzo. MANTICA-RASPI Rachele, 4 ( 4 .
FORNARINA (la ), 265. MANZONI Antonia , 437.
Fossati Carolina (iglia di), 457. MARATTI -ZAPPA Faustina , 231.
FRANCESCHI -FERRUCCI Caterina , 357, MARCELLA , 148.
404 , 471 , 475 . MARCHIONNI Carlotta, 382, 384.
FRANGIPANI Flavia , 404. MARCILLA Eufrosine , 84 , 376.
FRASCATANA (la), 272. MARIA da Pozzuolo, 448.
FUA- FUSINATO Erminia , 342, 404 . MARIE ( le) , 232.
FULVI- BERTOCchi Maria, 404. MARFISA , principessa di Massa , 255.
FUNDANA Livia e sua madre , 55. MARINELLA Lucrezia , 326, 373.
GAGLIANA di Viterbo, 156. MARZIA , figliuola di Varrone , 335, 367.
GAJA Cirilla , 15. MATILDE , contessa, 206, 228.
GAJA , figliuola di Gherardo da Camino , MATTEI, 404.
410. MAZZAFIORA ( la), 272.
GALASSONE Violante , 326. MAZZANTI Lucrezia , 337, 340.
GAMBARA Veronica , 318, 377 , 422. MAZZI-MOCAI Vittoria , 405.
GAZZUOLO ( contadinella di ), 346. MELS Anna , 404.
GEGANIA , 37. MERICI Angela, 404.
GENGA Eleonora, 412. MILANOLLO Teresa e Maria, 386, 388.
GENTILE - GAGLIANI Anna, 302, 306 . MILESI-MOJOn Bianca, 404.
GENTUCCA ( la ), 261 . MILLI Giannina , 229, 246, 274, 291, 393,
GJARRÈ Marianna, 414. 439, 472.
GIGLI Barbara , 361 . MIRANDOLA , 326.
GIORGI Maria , 386. MOLZA - PORRINO Tarquinia , 318.
Giovinella e Giovinette. Vedi Fan- MONACHELLE messinesi , 454.
ciulla e Fanciulle. MONARI Rosa, 460.
GIULIA , moglie di Pompeo , 68 . MONTE Issicratea, 318.
GIUSTINIANI Violantina, 335. MONTECUCCOLI-FOSCAIERO Laura Ma.
GONFALONIERI Teresa, 465. ria , 326.
GONZAGA Cecilia, 234. MONTI Eleonora, 375.
GONZAGA Giulia , Ippolita e Lucrezia , MORANDI Felicita, 404.
430 . MORATI-GRUNTALER Fulvia Olimpia ,
GRACE- BARTOLINI Luisa , 405. 318.
GRASSINI (cantante) , 439. MORELLI- FERNANDEZ Maddalena, 437.
GOVONA Rosa , 286, 288. MOZZONI A. Maria, 327.
GOZZADINI Battista o Bettisia, 306 . MUZIO-SALVO Rosina, 40%.
IRENE da Spilimbergo, 369, 396 . NEREI , 26 .
ISOLA Antonia, 380. NINA Siciliana, 410, 411.
LAJATICO-RINUCCINI (marchesa di),468. NOGAROLA Isotta , 318 , 415.
LAMPUGNANI Emilia , 235. NOGAROLA Angela , Antonia , Ginevra,
LANDI-TRIVULZIO Caterina, 318. Giulia, Laura , Lucia, 415 .
XIV INDICE ALFABETICO

NOVELLA Andrea , pag. 305. REGGIANINI Eleonora , pag. 327 , 356 ,9 >

ONORIA d'Aquileja , 339. 359.


OROLOGI ( degli ) Lucrezia, 343. RENIER -MICHIEL Giustina, 232.
ORSINI Bartolomea, 449. RISTORI Adelaide, 383 .
ORSINI Onorata , 290. ROBUSTI Marietta, 371 , 372.
ORTENSIA, 377, 406, 422. RODIANI Onorata , 368.
ORTENSIA di Guglielmo da Fabriano, ROMAGNOLI -SACRATI Orintia, 404.
411 . ROMANA Sempronia, 377, 406.
PACE Felicita, 318. Rossi-GABARDI Isabella, 327.
PALADINI Amalia, 404 . Rossi Giuslina, 457.
PALADINI Arcangela , 373. SABINE ( le ), 15, 331 .
PALI B. Angelica, 405 . SACCHINI Maria , 286.
PALTRINIERI - TRIULZI Camilla, 9 , 327. SALIMBENI Rosa, 465 .
PANACEA ( Beata), 135. SANFELICE Luigia, 451 .
PAPAFAVA Beatrice , 429. SANIVAL (marchesa di ) , 327 .
PARGOLETTA ( la), 261 . SANTA AGATA martire, 112 .
PASCOLI Marianna, 266. AGNESE martire , 131.
PATINO Rosa Carlotta Caterina, 318. AGNESE da Montepulciano, 149 .
PATTi Adelina, 391. ASELLA , 147.
PÉDENA Maria , 348, 357. CATERINA di Bologna , 233.
PEPOLI (duchessa di), 466. CATERINA di Siena , 152 , 161 ,
PEPOLI-SAMPIERI Anna, 327, 404. 173, 324, 327.
PercoTo Caterina, 404. CAIARA d'Assisi , 233.
PERUGIA (le derelitte di ) , 461. CHIARA di Pisa, 233 .
PETAZZI -Piola Luigia , 404 . CRISTINA, 140, 146.
PETRETTINI Maria , 298, 306. EUGENIA , 129 .
PETROCINI-PERRETTI Maria, 404 . Francesca ROMANA , 151 .
PEVERARA Laura , 264 . GIUSTINA di Padova , 108, 142 .
PICCARDI Anna, 376 . LUCIA , 127 .
PICCOLOMINI - PETRA - VASTOGIRARDI -
MICHELINA da Pesaro, 154.
Augusta , 404. -
Rosa da Viterbo, 156.
Pico - RANGONI Lucrezia, 326. SANTE ( Le ), 105.
PIETRUCCI Aurelia , 470, 475. SANTILI Antonia (sorella di ) , 459.
PIZZELLI Maria , 306. SANVITALI Eleonora, 259.
POLIDORI Irene e sua figlia, 460. SASSERNÒ Agata Sofia , 405 .
POLLA Argentaria, 377, 406, 407. SAVIO-Rossi Olimpia, 404.
POLLUZIA , 53 . SCALA -MARULLO Alessandra, 318 .
POMPEA Paolina , moglie di L. A. Se- SCARNAFIGI ( contessa di ) , 462.
neca , 72. SCARPELLINI Caterina, 304 .
PORTA ( della ) Bianca, o Bianca de' SCOTTI -SANVITALE Costanza, 404.
Rossi , 337, 339, 342. Scotti Marianna , 456.
PORTINARI Beatrice, 213, 261 , 412. SEGURANA ( la) , 286, 451 .
PORZJA , moglie di Bruto , 447 . SEJANA Élia, 41 .
PozzoNI -PERVERSI Teresa, 327. SELVAGGIA Ricciarda. Vedi Vergiolest
Pozzo (del) Modesta, 432 . ( dei) Selvaggia.
Pozzoli Felicita , 405. SEMPRONIA , figliuola di Tito Sempro
Pozzuolo ( da) Maria , 336, 448. nio Gracco, 407 .
PRUDENZANO Teresina , 478. SESTIA , 53 .
QUERINI Elisabelta , 294 . SEVERINA (la), 306 .
QUINTA Claudia, 332. SFORZA Ippolita , 417.
QUINTILLA , mima, 447. SISMONDI Cinzica , 286, 462.
RAMONDETTA FILETI Concettina , 405. SOFRONIA romana, 337 .
RANGONI- GONZAGA Ginevra, 318. SOLARI Anna e Margherita, 421.
DELLE FANCIULLE E DELLE DONNE ILLUSTRI ITALIANE XV

SPINA Anna , pag. 434. TUZIA , pag . 231 .


1, 351, SPOLVERINI Ersilia, 318. UBALDINI Marzia , 462.
STAMPA Gaspara , 426. VALERIA, figlia di V. Publícola, 19.
STAMURA , 462. VALERIA , maggior sorella dei fratelli
STROZZI Alessandra, 318 , 252. Messali , 335.
STROZZI Roberto ( figliuoletta di ) di- VARANO Battista , 414.
pinta da Tiziano, 273. VARANO- SFORZA Costanza , 318, 416 .
SULPICIA , moglie di Lentulo Trusce- VAROTARI Chiara , 373 ,
lione, 72 . VASATURA, marchesa , 455 .
SULPICIA , moglie di Fulvio Flacco, 71. ! VERANIA , 37 .
TACCHINARDI Fanny, 390. VERGINE (la) Massima , 37.
TAGLIONI Maria, 391. VERGIOLESI ( dei ) Selvaggia , 412.
TAMBRONI Clotilde, 436. VERONESE Angela , 441 .
TARABOTTI Arcangela , 326 . VERONESE Camilla Antonia, 382.
TARPEA, Volsca, 9. VERZA Rosa , 469.
TARPEJA , Vestale , 37 . VESTALI (le) , 37.
TERZIA Emilia, 70. VIGANO Teresa, 456.
TIZIANO Vecellio (sua amante ) , 273 . VIGILANTE Maria , 304.
149.
TORNIELLI-BELLINI Giuseppina , 290. VIGNALI Maria e Rosa , 460.
TREVES Elisabetta, 266 . VIGO Agnese, 456.
TRIARIA ( moglie di L. Vitellio ), 74. VIRGINIA , figliuola di Virginio , 332,
61,
TRIVULZI Domitilla (o Damigella ),418 , 333 .
419 . VIRGINIA , moglie di Lucio Volunnio,
TRIVULZI Giorgio (moglie di ), 468. 333.
TRIVILZI BELGIOJOSO Cristina, 471 . VISCONTI Bianca Maria, 414 , 417 .
TULLIA , moglie di Tarquinio il Su - VORDONI Rosa, 266.
perbo, 16. ZAMBUSI -DAL LAGO Francesca , 405 .
TULLIA , Volsca , 9 . ZANETTI Leopoldina, 376.
162. TULLIA d'Aragona, 419. ZORZI DAL Pozzo Modesta , 326, 432.
TULLIOLA , figliuola di Cicerone , 406,
422 .

-81

0
CAMILLA, REGINA DEI VOLSCI.
( Anni del mondo 2700) .

I.

La città di Piperno (1 ) giace appiè di monti ricchi di rigogliosa ve


getazione. I narcisi, i gigli , i leandri crescono spontanei nelle sue
campagne ; copiosissime le acque, mite il clima, ridente il cielo.
In quest'amena situazione, non molto lunge dal fiume Amaseno ,
i Volsci hanno posta la loro capitale ; i Volsci valorosi ed armigeri,
e perciò rispettati e temuti da tutti gli altri popoli del Lazio. Per
chè forti ed agguerriti, Roma non giungerà a domarli se non dopo
lunga ed ostinata lotta (2) .
Chi sa maneggiare una spada e palleggiare una lancia, e non in
fiacchì nell'ozio e tra' piaceri , raro è che subisca il giogo , o vi si
adatta per breve tempo. Venutagliene l'opportunità, si rifà uomo ,
rompe i ferri, e ritorna libero.
Cos) fu de' Volsci .
Approfittando de' pericoli esterni , che da lungi potevano minac
ciare l'indipendenza del suo Stato, Metabo, re, ridusse in sua mano
tutti i poteri, privò i popoli delle loro libertà , ed ogni cosa sotto
pose al proprio arbitrio .
Sotto pretesto di salvarli dall'oppressione altrui, egli assoggettolli
ad una oppressione domestica.
Stolto pensiero ! Egli ingannava sè stesso !
La sua tirannia durò poco, e si rivolse tutta in suo danno.
(1) L'antica Piperno , latinamente Priverno, distrutta per lo sfranamento di
una montagna ; come attesta Cicerone. Altra poi fu edificata sul monte . Vedi
Rampoldi, Corografia d'Italia, e Zuccagni-Orlandini.
(2) è degna di essere menzionata l'altezza d'animo dei Privernali e de'loro
giadici, i Romani , nella causa che si tralto in Senato l'anno 427 di Roma. Di
mandò il console Plauzio ad un Privernate qual pena alla loro defezione si con .
66
venisse . Rispose: « Quella che conviene ad uomini liberi , e che si credono degni
della libertà n . E , richiesto qual pace Roma potrebbe sperare se lasciasse
9

impuniti i Privernali , replico : - Ferma e sincera , se non ledesse l'onore, ma


vana e momentanea, se i patli fossero vituperosi » . E fu condonata ai Priver
nati ogni pena ed anzi concessa la cittadinanza romana .
BERLAN, Le fanciulle celebri .
CAMILLA

II.

Non più corona ,> non più scettro d'oro , non più vesti gemmate
non più sudditi, non più soldati, non più cortigiani.
Cessato nel re il rispetto alle leggi ed a ' diritti altrui, è pure ces
sato nel popolo ogni dovere verso di esso.
Fuggiasco va Metabo dalla reggia , e l'accompagnano gli scherni,
>

le invettive e le minacce d'un popolo insorto.


I parassiti, gli adulatori sono ora i più concitati, i più ardenti a
mormorare contro di lui, perchè la sua stella è tramontata.
Corri , o re , le vie dell'esilio ; malvagio , prova adesso , alla tua
volta, una parte almeno dei dolori , degli stenti, e della miseria che
hai fatto subire a' buoni.
Nulla de' suoi molti tesori ha potuto portare con sè Metabo nella
precipitosa fuga ; nessun altro bene trae seco che l'oggetto del cuor
suo, cioè una tenera pargoletta.
Era padre, e poteva esser tiranno ?
III.

Sotto bianchi e politi marmi giace la spoglia mortale della regina


Casmilla, morta nel dar alla luce quella bambina.
Chiudendo gli occhi all'eterno sonno, ella confortavasi col pensiero
di lasciarla fra le agiatezze della reggia, l'affetto del genitore e gli
omaggi de' sudditi.
Tutto ora è sparito ; e le ossa dell'amorosa madre si conturbano,
e dal sepolcro esce un lungo lamento pel duro e inaspettato disin
ganno.
Per dare la vita a lei io diedi la vita mia : e perchè, alla sua
volta, il padre fu così poco generoso da non sacrificarle parte al
meno della sua ambizione sfrenata ?
Queste voci ed altre consimili, accompagnate da lunghi gemiti,
erano udite dai sacerdoti che avevano in custodia le tombe dei re
trapassati ; però con preghiere e con pie lustrazioni impetravano re
quie quell'ombra addolorata .
IV .

Per i patimenti della figliuoletta s'addoppiano intanto i patimenti


del misero padre che fugge, ed egli ben comprende adesso quanto
sia crudel dolore quello che si è costretti a dividere coi teneri figli.
Camilla ,> che cosi nominasi la bambina, con piccola ommissione
di lettera , in memoria della buona genitrice, è appena entrata nel
cammino della vita, che se lo vede già cambiato in fuga affannosa .
REGINA DEI VOLSCE 3

Fugge il padre con la figliuola in braccio , e non sa ove ridursi,


ove ricoverarsi ; ad ogni tratto impaurisce , o per lo stormire di
fronde scosse dal vento, o per lo scrosciare di acque cadenti , o per
l'alulato di augelli di rapina, o per l'annitrire di cavalle selvagge.
Allora s'arresta, nasconde tra le proprie vesti la bambina , incerto
se indietreggiare o fermarsi o mutare cammino, e teme e trema
non tanto per sè quanto per quel caro peso.
Ma un giorno non può nè indietreggiare, nè fermarsi, nè mutar
cammino : ha dietro a sè i Volsci che gli danno la caccia, e dinanzi
il fiume, che per le pioggie è smisuratamente cresciuto.
Il carico delle armi e della bimba gl' impedisce di passarlo a
nuoto ; eppure ad ogni modo bisogna tragittare all'altra riva.
Allora, nella sventura , e' si ricorda degli dèi ( 1 ) , e , alzando gli
occhi al cielo , invoca Diana.
La sventura gli avea fatto concentrare tutti i pensieri e tutte le
affezioni nella figlia, e la figlia adesso fa che i suoi pensieri si spin
gano fino alla divinità.
Cosi i santi e soavi affetti domestici purgano l'anima e più l'av
vicinano al cielo ; l'uomo non è mai tanto degno d'invocare la di
vinità o di essere esaudito da essa , quanto allora che la invoca per
la prole .
-

O santa Diana, protettrice e signora di queste selve , per le


quali, non più re, ma povero cacciatore, vo ramingando, salvami la
figlia. Se tu la sottraggi all'ira di questi feroci, a te la voto per tutto
il tempo della sua vita. Santa dea , guardala , proteggila tu nel pe
riglioso cammino dell'aria, per il quale io te la confido.
Dice la leggenda che Metabo , dopo la preghiera, come ispirato
dall'alto, prese súbito la pargoletta, fasciolla in una scorza di sughero
alberi di cui erano piene quelle selve, - e , poichè l'ebbe cosi
.

fasciata, la legò all'asta del lanciotto che aveva in mano, e, levan


dola in alto, quanto maggiormente potè , portando lena al braccio,
scagliolla oltre il fiume all'altra riva.
Fu salva la bambina ?
Il lanciotto andò a cadere in un cespuglio, senza farle verun male.
Pareva che una pietosa divinità ve l'avesse mollemente adagiata.
Che miracoli non può fare l'amore di padre, se è fortificato ezian
dio dalla religione ?
(1 ) Si tratta di fatti accaduti assai tempo prima dell'era cristiana ; e , quan
lunque anche prima della religione universale di Cristo fosse noto il vero Dio
presso la nazione ebrea , molti popoli avevano abbracciato il politeismo. Nel
numero di costoro erano i Volsci. Qui si è perciò fatto uso del linguaggio
mitologico, per adattare il racconto alle credenze di quei tempi , benchè false
e bugiarde come direbbe Dante .
4 CAMILLA

V.

Chi non ha saputo reggere una società di liberi cittadini è spinto


a vivere tra le bestie selvagge, e, per affanno maggiore , ad errare
con una bambinella bisognosa di tutto.
Passato a nuoto il fiume Amaseno, e raccolta di terra e sfasciata
la cara figliuola , dopo aver rese grazie all'invocata e propizia di
vinità , Metabo ricoverossi frettoloso sulle alte montagne. Quivi non
case , non tetti ; un' angusta grotta è diventata la sua reggia ; le
cristalline acque scendenti fra sasso e sasso, la sua bevanda ; l'erba
o i frutti degli alberi, il suo cibo.
La sera, sdrajato sotto un folto albero, al tranquillo lume della
luna ed al malinconico canto della capinera o dell'usignolo, e' si ri
membra de' felici tempi passati . Grosse lagrime gli rigano allora il
volto, da cui cadono sull'amato e baciato viso della bambina.
Ella, cullata fra le braccia di lui , sta dolcemente dormendo , ma
di tratto in tratto , nel sonno , le sue piccole mani mostrano di re
spingere cosa che le sia posta davanti.
Nel sogno le pare di aver presso l'ispida giumenta selvatica, che
il padre ha domata, e del cui latte egli la nudrisce.
Dormi, o fanciulla ; il tuo dolce sonno è un ristoro per te ; ed il
solo vederti bianca e vermiglia e spirante salute in mezzo a tante
privazioni, è balsamo soave all'anima esulcerata di tuo padre.
VI .

Cresce la figlia in età, bellezza e vigoria.


Un di , mentr' ella sta specchiandosi nelle limpide acque d'un
fiumicello, sopraviene il padre , che , da lei non veduto , si fa a ri
>

guardarla con ineffabile compiacenza. Pianamente le vien presso, e,


mentre chinasi sopra la graziosa testa di lei , i biondi e inanellati
capelli della fanciulla, leggermente sollevati dal vento, vanno a ca
rezzargli la bocca.
-
Oh il gentile amorino, che pur deve dividere la triste fortuna
dell'esulel dice tra sè Metabo. Ella crescerà, ella si farà sem
pre più avvenente : eppure dovrà trascinare in queste selve i suoi
più begli anni. È un giglio cresciuto sopra un precipizio , che non
olezzerà per nessuno.... E quand'io sarò mortol ... E qui un me
sto pensiero, e quasi un rimorso, lo assale lo fa scuro e triste.
Io ho consacrata costei a Diana ; io ho comandato al suo cuore,
quand' e' non poteva rispondermi, di non infiammarsi mai per amori
terreni ; io le ho imposto un obbligo che forse sarà superiore alle
sue forze ! La nasconderò io sempre ai cúpidi occhi umani ? Ero io
REGINA DEI VOLSCI
in diritto di esigere tanto ? Per salvarla, l’ayrò io dunque perduta ?
Sarò io causa di uno spergiuro ? Dopo aver attirata sulla mia casa
l'ira degli uomini, sarò io così infelice da meritarmi anche la collera
dei numi ?

VII .

L'educazione degl' Italiani di que' di era tutta nelle armi : armi i


campi, armi i teatri, armi le scuole sonavano ; e quelle armi erano
pronte sempre ad offendere e a difendere. Perciò un guerriero ita
liano de' tempi di Camilla avea ragione di cosi apostrofare i Trojani,
che sotto la condotta di Enea erano venuti a conquistare l'Italia :
Qual Dio , qual infortunio , qual follia
V'ha condotti in Italia ? E chi pensaste
Di trovar qui ? Quei profumati Atridi (1 )
E'l ben parlante Ulisse ? In una gente
Avete dato che da stirpe è dura.
I nostri figli non son nati appena
Che si tuffan ne' fiumi. All'onde , al gelo
Noi gl'induriamo e gl'incalliamo in prima ;
Poscia per le montagne e per le selve
Fanciulli se ne van la notte e 'l giorno.
Il lor studio è la caccia, e'l lor diletto
È 'I cavalcare e'l trar di fromba e d'arco.
La gioventù nelle fatiche avvezza ,
E contenta del poco, o col bidente
Doma la terra, o coll'aratro i buoi ,
O col ferro i nemici . Il ferro sempre
Avemo ( 2) per le mani. Una sol'asta
Ne fa picca e pungetto (3).
Ma, più che con vantare ciò che facevano gli altri , Metabo av >

vezzava col proprio esempio Camilla alle armi, nè d' altro ragionava
con lei, nè altro magnificava, nè da altro faceva dipendere la gloria
e la fortuna degli uomini. Consacrata a Diana , ella doveva essere
perfetta cacciatrice ; figlia di re, si ribadisse bene in mente che non
avrebbe potuto acquistarsi un regno che colla spada.

(1 ) Discendenti d'Atreo, re degli Argivi. Ulisse, re d'Itaca , famoso per


la sua astuzia.
(2) Avemo, poeticamente per abbiamo.
(3) Virgilio , Eneide, trad. dal Caro , lib. IX , v. 937 e seg.
>

.
6 CAMILLA

VIJI .

Appena la fanciulla potè fermare i piedi in terra , che súbito il


padre le pose in mano un lanciotto, e le caricò le tenere spalle di
faretra e d'arco .
Vestita di pelle di fiere, ch'egli aveva uccise in sua presenza, e'
la menava a specchiarsi nel cristallo delle acque correnti , e alta
>

mente lodava il suo marziale aspetto , perchè quelle, dicevale, erano


le uniche bellezze che tenevano riverenti gli uomini. E se era sera,
e la luna splendeva sulle armi della fanciulla, affermava, ch'ella
poteva andare superba dell'affetto della dea, perchè que'raggi erano
baci e carezze della divinità , a cui s'era votata (1).
>

Gli esempi e gli elogi paterni, nonchè il pensiero di essere nelle


grazie e sotto la vigile e potente protezione del cielo , l'animavano
e la spingevano ognora più a indurar le membra nella fatica ed
a tenere a vile ogni pericolo.
Fanciulletta , di pochi anni , saettava con frombole le gru , i ci
gni e gli altri uccelli, e, velocissima, gareggiava nel corso coi cervi,
coi capri , e con altri animali silvestri. E , quando coi teneri piedi
non li poteva giungere , ella , che voleva sempre aver ragione di
essi, pur correndo , sbalestrava frecce e coglievali. Allorchè stra
mazzavano a terra , quelle selve echeggiavano delle sue grida di
gioja, ed il padre correva allora presso alla fanciulla a baciarla ed
abbracciarla .
IX .
Cara figliuola , le disse un giorno Metabo; - vedi tu queste
rughe e questi rari e bianchi capelli del padre tuo ? Essi n'avvisano
che poco ancora m'avanza della mia giornata, perchè noi quaggiù non
siamo eterni, e dobbiamo cedere il posto a quelli che sopravengono.
È un pellegrinaggio che per tutti debbe avere il suo termine. Il
mio sarebbe stato infelicissimo se tu non eri , ma tu me l'hai im
paradisato colle tue virtù , colle tue grazie. Ma ricordati del padre
che t'ha educata ne' boschi , non del re che t'ha procreata nella
reggia. Traviato da' cortigiani, e sedotto dalle tentazioni del potere ,
io potei venir meno alla virtù; ma nol farai tu, che spirasti l'aria pura
e libera de' campi, non tu, che crescesti in mezzo alla schietta na
tura. Io ti vendicai della sorte che ti avea tolto un trono , subli
mando i tuoi pensieri fino al cielo ; rejetta dagli uomini , divenuta
sei tutta cosa dei celesti. Il voto fatto di perpetua virginità, che fu
da te ripetuto tante volte a Diana, osserverai fedele. Nè s'inganna,
( 1 ) Nella mitologia Diana è la luna.
REGINA DEI VOLSCI 7

nè si beffa la divinità. Fu la madre tua religiosissima ; e là abbasso,


nel paese da cui fu cacciato il tuo genitore , si onora tuttavia la
memoria della tua genitrice. Che se la fortuna ti sarà propizia , se
mai un giorno avranno ricompensa i pregî tuoi, se tu arrivassi mai
a cingere la corona avita, pensa che fosti educata in modo d'esser
degna del tuo popolo. Io più e più volte dissi a me stesso : Ripara,
o Metabo, all'antico errore : fa che in lei si trovino tali virtù che
eclissino quelle eziandio di tutti i sudditi suoi, ond' essi abbiano ad
averle, piucchè rispetto, una specie di culto. Allora ella non avrà
bisogno di cercare i regni, ma i regni cercheranno lei. Tu sei pia,
tu sei buona, tu sei prode ; ebbene, tale ti mantieni, ed anche pri
vata, sarai regina. In questo duro esilio ho imparato che chi vuol
comandare agli altri , debb' essere non solo più forte, ma anche
migliore degli altri , che questa è nobiltà vera , questa la sola di
stanza che dee correre tra popolo e re, e questi i veri e saldi e si
curi sostentacoli di un trono. Quel giorno si comincia a regnare che
per meriti si sovrasta agli altri.
X.

Metabo non illudevasi per troppo affetto : Camilla era propriamente


un modello delle virtù più rare. Ella non solamente avea imparato
a domare le fiere, ma eziandio a raffrenare e domare sè stessa. Altri
desideri, altre volontà non avea che quelle del padre, a cui amorosa
in tutto e prontamente obbediva, essendo ben persuasa che l'autore
de' suoi giorni non le poteva comandare che il bene. A Diana votava
le prede, e ogni giorno le si raccomandava perchè la fortificasse 1

ne' suoi buoni propositi. Pensiero men che puro non era in lei; nes
suno odiava , neppure coloro che avevano spinto in esilio lei ed il
padre, perchè il padre dicevale che quelli avevano obbedito a un
prepotente bisogno di libertà ; solo odiava il vizio , l'ozio ed ogni
mollezza. Ogni sua parola, ogni suo atto erano adorni di onestà : ed
era un'onestà gentile senza ruvidezza. Se i pastori privernati, o altra
gente di quella città, passavano per que' luoghi , e lei vedevano, e
qualche volta trovavano ospitalità nella sua capanna, tornati a casa
riferivano non di aver veduta una fanciulla , ma tale che avea
l'aspetto e le qualità di dea.
XI.

Il merito è come la luce mattutina : per quanto siano folte e scure


le nubi, quando è venuta la sua ora, ognuno s'accorge ch'è spin
tato il giorno.
La fama della bravura e delle altre rare doti della giovinetta Ga
8 CAMILLA

milla giunse fino ai più cospicui cittadini di Piperno, che non vol
lero più oltre tollerare che tanto lodata virtù rimanesse nascosa fra '
boschi.
- Poniamo, - essi dissero - questo nuovo sole sopra di noi perchè
utilmente risplenda. Quando avremo donna di tanta gagliardia , di
tanto animo e di tanta virtù che ci regga , quale tra noi potrà es
sere fiacco e pusillanime ? Metabo è già vecchio ; Metabo ha scon
tato i suoi falli; Metabo non corse a brigare nelle corti dei prin
cipi per essere colle forze straniere riposto sul trono, ma si ritrasse
a educare virilmente la figliuola e l'ha educata virtuosissima : per
doniamogli adunque in grazia della figlia.
E Camilla fu regina dei Volsci.
Una figlia virtuosa riacquistava co' propri meriti ciò che co' de
meriti suoi aveva perduto il padre, ed il padre vecchio salvava .
Non fu mai giustizia di popolo più degna e più illustre di que
sta (1 ).

( 1 ) Tornata nel regno paterno, Camilla fece prova maravigliosa di coraggio


e di forza . Il suo diletto e il suo studio era sempre in armi ed in cavalli,
ed era si pro' della persona e si valente , che nessun uomo in verun modo
osava venire con lei al paragone. All'esempio suo molte nobili donzelle del
suo regno si diedero a mantenere virginità ed a studiare nelle armi . Essendo
venuto Enea a guerra con Turno, re dei Rutuli , Camilla, che favoreggiava la
parte di Turno contro i Trojani, l'indipendenza nazionale contro l'invasione
forestiera, gli venne in ajuto con molta gente, combattendo più volte contro
i Trojani , con loro gran danno . Così la descrive Virgilio, passando in rasse
gna l'esercito di Turno ( Eneide, lib . VII, secondo la traduzione del Caro) :
L'ultima a la rassegna vien Camilla ,
Ch'era di volsca gente una donzella ,
Non di conocchia o di ricami esperta ,
Ma d'armi e di cavalli ; e, benchè virgo ,
Di cavalieri e di caterve armate
Gran condottiera , e nelle guerre avvezza.
Era fiera in battaglia , e lieve al corso
Tanto che , quasi un vento , sopra l'erba
Correndo, non avrebbe anco de'fiori
Tocco né de l'ariste il sommo appena ;
Non avrebbe per l'onde e per li flutti
Del gonfio mar non che le piante immerse
Ma nè pur tinte. Per veder costei
Uscian de ' tetti , empiean le strade e i campi
Le genti tutte ; e i giovani e le donne
Stavan con maraviglia e con diletto
Mirando e vagheggiando quale andava
E qual sembrava , come regiamente
D'ostro ornato avea il tergo e il capo d'oro ,
E con che disprezzata leggiadria
Portava un pastoral nodoso mirto
Con picciol ferro in punta , e con che grazia
Se ne gia d'arco e di faretra armata.
Ne ' combattimenti dintorno al destriero di Camilla erano donzelle am
REGINA DEI VOLSCI 9

LA FANCIULLEZZA DI CAMILLA.

Metabo, il padre
Di lei , fu per invidia e per soverchia
Potenza da Priverno , antica terra ,
Da' suoi stessi cacciato ; e , da l'insulto
Che gli fece il suo popolo fuggendo,
Nel suo misero esiglio ebbe in compagna
Questa sola bambina, che , mutato
Di Casmilla, sua madre, il nome in parte ,
Fu Camilla nomata. Andava il padre
Con essa in braccio per li monti errando
E per le selve ; e de' nemici Volsci
Sempre dintorno avea l'insidie e l'armi.
Ecco un giorno assalito con la caccia
Dietro , fuggendo all'Amaseno arriva.
Per pioggia questo fiume era cresciuto ,
E , rapido spumando , infino al sommo
Se ne gia de le ripe ondoso e gonfio :
Tal che , per tema dell'amato peso ,
Non s'arrischiando di passarlo a nuoto ,
Fermossi, e poichè a tutto ebbe pensato ,
Con un súbito avviso , entro una scorza
Di salvatico súvero rinchiuse
La pargoletta figlia ; e poscia in mezzo
maestrate in ogni fatta d'arme, le quali la servivano in ciò che si richiede
a battaglia. E specialmente erano intorno ad essa quattro nobili vergini, de
putate alla sua persona e guardia, colle scuri in mano , le quali erano La
rina, Tullia, Acca e Tarpea. Ma una volta , in battaglia , dando la caccia a
Corebo, sacerdote di Cibele, per cupidità di avere le sue ricche armi (e solo
in questo fu femmina), yenne con una freccia ferita in un fianco da un ca
yaliere chiamato Arunte, per la quale ferita , datagli a tradimento , cadde in
terra, spegnendosi fra quegli esercizi ch'ella avea tanto amati . (Boccaccio ,
Frate Guido da Pisa, Virgilio ).

Opere consultate : Giulio Anneo : Dialogo tra Camilla privernate , re .


gina ie' Volsci, e Sezza, colonia antica de' Romani. Roncilione , 1461. Gio .
vanni Boccaccio : Delle donne illustri , traduzione di Giuseppe Betussi . Fio
renza, Giunti , 1596 , Frate Guido da Pisa : I fatti d'Enea. Venezia , Anto
nelli , 1853 . Camilla Paltrinieri- Triulzi : Le illustri Camille italiane , Verona ,
Bisesti , 1818. Teodoro Valle : La regia ed antica Piperno, città antica nel
Lazio. Napoli , Nucci , 1637. Virgilio : Eneide, tradotta da Annibal Caro. Mi.
lano, Sonzogno, 1826.
10 CAMILLA

D'un suo nodoso, inarsicciato e sodo


Telo , ch'avea per avventura in mano ,
Legolla acconciamente ; e l'asta e lei
Con la sua destra poderosa in alto
Librando all' aura si rivolse , è disse :
Alma Latonia virgo, abitatrice
De le selve e de' monti , io padre stesso
Questa mia sfortunata figliuoletta
Per ministra ti dedico e per serva.
Ecco ch' a te devota , all'armi tue
Accomandata , dal nimico in prima
Sol per te la sottraggo. In te sperando
A l'aura la commetto : e tu per tua
Prendila , te ne prego , e tua sia sempre.
Ciò detto , il braccio indietro ritraendo ,
Oltre il fiume lanciolla >, e il fiume e'l vento
E'l dardo ne fêr suono e fischio e rombo.
Metabo, da la turba sopraggiunto
De' suoi nemici, a nuoto al fin gittossi ,
E salvo all' altra riva si condusse.
Ivi d'un verde cespo , ove piantato
Avea Trivia ( 1) il suo dono , il dardo e lei
Divelse , e via fuggissi ; e più mai poscia
Non fu da tetti o da cittadi accolto ;
Chè per natia fierezza legge altrui
Non si fòra unqua additto (2) . Il tempo tutto
De la sua vita , di pastore in guisa ,
Menò per monti solitari ed ermi ;
E per grotte , e per dumi , e per orrende
Selve e tane di fere ebbe ricetto
Con la fanciulla, a cui fu cibo un tempo
Ferino latte e balia una d'armento
Ancor non doma e pavida giumenta.
Ne le tenere labbra il padre stesso
De la fera premea l'orride mamme.
Nè pria tenne de' piè salde le piante ,
Che d'arco, di faretra e di nodosi
Dardi le mani e gli ómeri gravolle.
Non d'ôr le chiome o di monile il collo

(1 ) Trivia , così è chiamata Diana, perchè la sua statua poneyasi ordina


riamente ne ' trivii, cioè dove facean capo tre strade .
(2 ) Si fora unqua additto, poeticamente per si sarebbe mai addetto .
REGINA DEI VOLSCI 11
Nè men di lunga o di fregiata gonna
La ricoverse : ma di tigre un cuojo
Le facea vesta intorno e cuffia in capo.
Il fanciullesco suo primo diletto
E’l primo studio fu lanciar di palo
E trar d'arco e di fromba ; e fin d'allora
Facea strage di gru , d'oche e di cigni .
Molte la desiâr Tirrene madri
Per nuora indarno . Ed ella di me (1 ) sola
Contenta, intemerata e pura e casta
La sua verginità >, l' amor de l'armi
Sol ebbe in cale.
Virgilio , Eneide, trad . del Caro, lib . XI .

(1) Parla Diana dal cielo.


CLELIA .

( Anni di Roma 246 ; avanti Cristo 506).

1.

Lucrezia , Giunio Bruto , Orazio Cóclite , Muzio Scévola, Valerio


Publícola, e Clelia, ecco i bei nomi che attorniano un gran fatto, e,
come cornice di stelle immortali, lo adornano e lo illuminano di
luce fulgidissima.
Quel fatto è la liberazione di un gran popolo dalla fastosa e li
bertina tirannide dei Tarquini ; quel fatto è la gloriosa lotta soste
nuta da esso per mantenersi nella libertà riacquistata.
Lucrezia , moglie di Collatino , donna di rara bellezza , e chiaris
sima per l'onestà dei costumi , per violenza ha patito oltraggio da
Sestó , figliuolo di Tarquinio il Superbo ; ma, perchè non vuole che
il proprio nome possa essere mai citato in esempio dalle donne ro
mane a scusa de’loro falli, punisce in sè stessa la colpa altrui, dan
dosi col coltello nell'innocente petto. Ella muore esclamando : « S'io
m'assolvo dal peccato, non mi libero dalla pena ! » (1).
Giunio Bruto , parente di Collatino , presente a quell'atto di su
blime virtù, poichè ha estratto il ferro , ancora fumante e stillante
di sangue, dal seno di Lucrezia , chiama il popolo a libertà. Ora
sono i moti del sangue che lo spingono a far atto di patriottismo;
ma domani egli si mostrerà doppiamente grande , perchè, soffocando
que' moti, non udirà che la voce della patria, e, console, dannerà a
morte i propri figli. Essi hanno congiurato coi Tarquini contro di
Roma, ed egli dal suo tribunale li giudicherà severamente 9, e im
pavido vedrà cadere le loro teste sotto la scure dei littori.
Orazio Coclite, un solo romano, in testa del ponte Sublicio, s'op
pone a centinaja di nemici perchè nol passino : l'amor di patria gli
centuplica le forze ; e' sostiene l'impeto dei Toscani, finché i suoi
rompono il ponte, e così salva Roma dall'eccidio (2).
( 1 ) Sant'Agostino nella Città di Dio : « Disgustata e impaziente della tur
pezza commessa contro di lei ( Lucrezia ) si uccise .... L'aver adungue uccisa
sė stessa, ancorchè incolpevole d'adulterio , perchè subì la violenza dell'adul
tero, non è amore della pudicizia ma debolezza della vergogna » .
(2) Publio Orazio fu soprannominato Coclite, perchè aveva un solo occhio,
avendo perduto l'altro in baltaglia .
CLELIA 13
Muzio Scévola confonde nel suo odio i tiranni e coloro che li pro.
.

teggono, anzi doppiamente odia questi ultimi. - I Tarquini hanno


perduto il regno ed i loro beni, ma che cosa ha perduto il re Por
senna, che co' suoi Toscani gli ajuta ? E perchè i Toscani, incuranti
della libertà propria , vengono essi ad offendere quella degli altri ?
Muoja dunque Porsenna ; ed i Toscani siano privati del loro re, se
per forza ne vogliono imporre uno agli altri. Nel campo etrusco
va dunque Muzio ; nel campo etrusco, frammezzo agli stessi soldati
etruschi, Muzio apposta la vittima, ma , ingannato dalle splendide
apparenze, uccide invece il tesoriere del re ; onde, avvedutosi dello
sbaglio, castiga la propria destra, cacciandola a crepitare fra il fuoco
acceso pe' sacrifici (1 ).
Valerio Publícola restituisce al popolo que' diritti che gli erano stati
usurpati dal Senato , nelle puhbliche adunanze fa abbassare i fasci
dei littori che lo accompagnano, in segno della riverenza che il ma
gistrato deve alla maestà ed all'autorità del popolo, e fa una legge
che dichiara maledetti i beni e la vita di colui che pensasse mai
d'occupare il dominio della patria (2) .
E Clelia ?
Clelia è una eroina a dieci anni ; e Clelia non affronta il nemico
con pugnali o con ispade, ma vince fuggendo.
Singolare vittoria, che non è frutto di paura , ma di ardimento !
II .

Fuori della mura di Roma, sull'altra riva del Tevere, sono atten
date le agguerrite schiere di Porsenna, re di Chiusi.
Perchè egli è re, combatte pei re; perchè re , teme della repub
plica ; ma nulladimeno è umano, giusto, generoso e apprezzator dei
generosi.
Avendo in sua mano Muzio Scévola, egli non lo sacriica alla ven
detta, non lo vuole vittima della propria paura, ma lo rimanda per
donato e libero .
.
Che posso io contro a quest'uomo, dic'egli - contro que
st'uomo ch'è tanto forte contro a sè stesso ; contro costui che se non
iscusa, ma accusa me, e che mi viene inanzi, in vista di essere temuto ,
più che d'uom che tema? Egli non è uno scellerato omicida, ma il ven
dicatore de'suoi concittadini travagliati o periti per cagion mia ; ese
cutore della giustizia di un popolo, e' si punisce per non averla sa
puta compiere . Ma egli voleva uccidermi perchè mi credeva un re
(1) Scévola , quasi ex vola, cioè senza la palma della mano .
( %) Publicola . Anche qaesto è titolo d'onore, e suona quanto amatore , anzi
cultore, ossequiatore del pubblico, del popolo .
14 CLELIA

volgare : trovi dunque la generosità, trovi la virtù dove era venuto


ad immolar la ingiustizia e la prepotenza. Quando e' mi sappia ge
neroso, gli tremerà l'animo e il braccio, se voglia attentar nuova
mente a' miei giorni.
III.

Lottare contro un popolo che ha giurato difendere fino all'ultimo


e con tutti i mezzi la propria libertà, è cosa piena di pericoli e senza
gloria.
Lo comprende Porsenna, ed invano brigano i Tarquini perchè e '
non desista dalla guerra (1).
Dei Tarquini , egli dice tra sé e sé – i quali diffidano di
noi, non è a fidarsi gran fatto : essi invocano le armi degli amici, e,
mentre le armi si travagliano per essi, quasi sfiduciati di quelle, e
come le non bastassero , si rivolgono alle congiure ed ai tradimenti .
Domani affermeranno di aver vinto coi loro tesori e non col nostro
ferro.
L'intima voce dell'animo continua a consigliarlo : .
Che avrai
tu ottenuto , o Porsenna , quando costoro saranno riposti sul trono,
di cui sono indegni, quando, trionfante, tu sarai entrato nella città
squallida e spoglia di abitatori e divenuta un mucchio di ruine ? I
tuoi guerrieri, se veramente prodi, saranno essi stessi i primi a rat.
tristarsi di quelle macerie, e della loro propria opera , perchè sarà
distrutto un popolo grande e generoso, ed essi non ne avranno rac
colto che odio. A Chiusi saranno oramai sbolliti gli spiriti guerreschi
ed a mente più riposata il tuo popolo comincerà forse a sospettare
di te e per sè stesso. Forse l'ha côlto già il dubbio che tu lo voglia
abbarbagliare cogli splendori d'una sterile gloria in guerre esterne,
mentre intanto gli appresti catene. Perchè, come si può essere fuori
di casa distruttori delle altrui libertà, e in casa propria mantenersi
fedeli e rigidi osservatori dei diritti de' cittadini ? Facciasi adunque
la pace co' Romani , se con onore può farsi.
IV.

La pace proposta da Porsenna è accettata da Roma, perchè Roma


non è già allo stremo della virtù , ma si delle forze.
Ella non aveva aggredito, ma era stata aggredita; e perchè il po
tente assalitore le porge la destra, ella non la respinge imprudente
e temeraria .
Finchè sia dato effetto alle condizioni messe per la pace, i Ro
( 1 ) I Romani avevano eletto Porsenna arbitro delle loro ragioni con Tar
quinio, al che, superbo e diffidente , non volle sottostare costui.
CLELIA 15
mani accordano a Porsenna gli ostaggi domandati ; sono le primaizie
della nobiltà romana : oltre uomini donne illustri , dieci fanciulli
ed altrettante fanciulle.
V.

Nel numero degli statichi è Clelia , giovinetta vispa e leggiadra,


d'una delle più cospicue famiglie di Roma. Sebbene sia in tenera
età, ella sente caldissimo affetto per la patria , perocchè della patria,
delle sue glorie e sventure ode ogni giorno ragionarsi in famiglia ,
come se quelle fossero glorie e sventure tutt' affatto domestiche. Ella
vede inoltre tutti i parenti e congiunti suoi di null' altro premurosi
e solerti che del bene e della difesa di Roma ; e, perchè l'età ed il
sesso non permettono a lei di fare altrettanto e più, se n'affligge e
rammarica.
Un di mentr' ella sta intenta ad apprestar bende e filacce pei fe
riti (1 ), le si accosta il padre, e le dice : - Perché sei tanto pensierosa
-

e rannuvolata ? Eppure sei occupata in opera pia !


- Io penso, -ella risponde che queste bende e queste filacce non
hanno una voce per dire a que' prodi, a cui medicheranno le gloriose
ferite, come io gli ammiri e gli stimi. E' sono fratelli nostri , tutti quelli
che combattono per la patria, non è vero, o padre ? Sono più che del
nostro sangue, se ci danno il sangue loro.... Oh ! io vorrei esser uomo
come essi per istringere una spada ; ma son donna, ma son fanciulla....
e le donne, dopo le Sabine, par che si siano quasi dimenticate di esser
romane (2) . Le Sabine si , quelle erano degne di voi. Chi le spinse
frammezzo alle vostre spade ed a quelle de loro padri e fratelli ? Il
( 1 ) L'uso delle bende e delle filacce non si fece certamente aspettar molto,
anche se non dato subito dalle prime ferite.
(2) Intendi per coraggio , non per le altre virtù più proprie delle donne.
Clelia , in odio ai Tarquini , dovea dimenticare Gaja Cirilla , moglie del re
Tarquinio Prisco , e ciò non solo pe’nuovi sentimenti repubblicani, ma anche
per l'indole affatto domestica delle virtù di quella donna . Costei » , scrive
66

il Boccaccio, parlando di Gaja Cirilla, « essendo donna d'alto ingegno, benché


moglie di un re e avvezza nel palagio reale , non si lasciò mai vincere dal
l'ozio, conciossiache , datasi all'arte di filar lana ( ch'io credo ch'a quel
tempo appo i Latini fosse esercizio onorevole ), diventò intorno a quella cosi
eccellente maestra e così diligente che fino a ' giorni nostri dura la sua fama,
ne a quel tempo se le manco di pubblico dono . Imperocchè, essendo caris
sima a' Romani , che ancora non s'erano lasciati vincere dalle delicatezze
dell'Asia , fu ordinato pubblicamente che tutte le donne ch' andavano a ma
rito, prima ch'entrassero nella casa dello sposo, fossero dimandate e pregale
a dire il lor nome, e cosi rispondevano, benchè avessero altro nome , chia
marsi Gaja, e questo , perchè da tal nome speravano , e giudicavano dover
seguire a quella casa grande abbondanza , e non poco crescimento di roba,
La qual cosa , avvegnachè appo gli animi insolenti de'moderni paja piccio
lissima, niente non dubito che appo i più prudenti del tempo nostro , consi.
derata debitamente questa semplicità, non si faccia giudicio di donna degna
e da essere molto lodata ».
16 CLELIA

solo coraggio ed un affetto che non ha vane lagrime ma forti ar


dimenti. Degenerò la razza. Eccoci una Camilla, sorella degli Orazi (1),
che piange e si dispera perchè il fratello superstite le ha ucciso
l'amante ; ma chi era costui ? Non era forse un Curiazio ? non era
un nemico di Roma ? non era perciò degno di morte ? E Tullia ....
In verità, o padre , che , quando la sera passiamo insieme per la
Via scellerata , io mi sento tutta quanta rabbrividire; quella strada
mi sembra eterna; vorrei volarci sopra , non toccarla neppure co'
piedi, perchè la memoria delle scelleraggini che vi furono commesse
contamina ad un tempo ed attrista. Io le crederei impossibili , se i >

nostri vecchi non le deplorassero ed attestassero. Non so compren


dere come una Romana potesse essere tanto iniqua , ed una figlia
tanto snaturata.... In Camilla troppa pietà per chi è nemico della sua
patria e straniero, e in Tullia nessuna umanità, nessun rispetto per
chi le è buon re e buon padre.... Oh se non ci fosse stata Lucrezia
a rinfrescare e ringagliardire la tradizione gloriosa delle donne ro
mane ! Ohl ... Ma ce ne saranno delle altre. Ti ricordi, o padre, quel
giorno, quando nelle strettezze dell'assedio , e fatti quasi tutti po
veri, tutti eguali per l'eguale bisogno , siamo andati tutti, uomini
e donne, fanciulli e fanciulle, alle case di Orazio Cóclite, per te
stificare al suo eroismo la nostra ammirazione >, e vi abbiamo de..
posta in omaggio piccola parte delle nostre provvigioni ? Ebbene ,
io v'aggiunsi anco una corona d'alloro. In quell'uomo, che ha un
occhio solo, io ho veduto più luce, più maestà , più bellezza che in
tutte le nostre più avvenenti matrone. Insegna anche a me, o padre,
a fare qualche cosa in beneficio della patria.
- La patria , o figliuola mia , ha già messo gli occhi su di te ;
rallégratene ; ma bada ch'ella vuole valersi dell'opera tua come
piace e come conviene a lei, e che devi guardarti bene dall' esigere
ch'ella si giovi di te in un modo piuttosto che in un altro. Non
ispetta a noi scegliere i posti più eminenti : tutti sono egualmente
posti d'onore; perchè sai bene che egli è un onore servire alla pa
tria . I moltissimi commettono le loro sorti ai pochi ; dunque i po
chi sono reputati migliori di tutti gli altri . E ne' posti minori spesse
volte è doppio il merito , perchè vè pur quello dell'obbedienza e
della sommessione. Odi : domattina per tempissimo ti recherai con
altre fanciulle nel campo del re Porsenna....
Sono io mandata a compiere l'opera non riuscita a Muzio Scé
( 1 ) - Tullia, atroce consorte di Tarquinio il Superbo , per farsi regina uc
cise il primo suo marito , e indusse questo secondo a svenare il padre di
lei. Quindi , con trionfo orrendo, passo con la biga sopra lui giacente nella
via, alla quale rimase il titolo di scellerata n. Verri , Notli Romane , Collo
quio V..
CLELIA 17
vola ? Dovrò io di mia mano uccidere l'amico dei Tarquini ?... Dammi ,
o padre, la tua bella spada, quella che hai conquistata nella battaglia
contro i Vejenti.
-

Tu , o fanciulla mia , devi per alquanti di , con altre, restare


come statico nel campo etrusco finchè la pace sia conchiusa.
E questo è il posto d'onore ? Ed io che credeva.... Oh come
sono sfortunata, se non posso dare che si poco alla mia patria !
Non è poco, o figlia, ciò che si richiede da te ; non è poco lo
staccarsi da tutto ciò che si ha caro per andarsene ossequiosi e ri
verenti presso chi cordialmente si odia. Aggiungi che voi altre non
andate a far atto di presenza soltanto, ma ad essere prove e testi
moni viventi della gentilezza, della urbanità e di tutte le virtù do
mestiche dei Romani.. Ci hanno conosciuto in campo ; per voi ci co
l
noscano anche in casa, e veggano l'indegna, la turpe cosa che com
mettevano nell'assalire un popolo tanto civile. Non dimenticarti nes
suna delle virtù che hai apprese dagli insegnamenti e dagli esempi
domestici ; fanne mostra senza che sia ostentazione : non te ne man
cheranno le occasioni ed i modi. Tu e le tue compagne dovete es
sere come un giardino di olezzanti fiori apiantato d'un tratto e
per incanto nel mezzo d'una selva selvaggia. Non ti par bella ;
grande, sublime, questa missione ?

VI.

È assai inoltrata la notte ; pallida splende la luna in cielo , di


quando in quando ricoperta da nubi. Fischia il vento fra le tende
degli accampati Etruschi, immersi nel sonno . Sole vigilano le scolte
all'ingiro del campo, impazienti che spunti il giorno.
Una sentinella, chiusa nell'ampio mantello, s'avvicina ad un'altra,
che le cammina a pochissima distanza.
Il tempo si fa minaccioso, o camerata, e noi potremmo profit
tare dell'oscurità della notte e della bufera per ripararci un poco
sotto qualche albero.
.
· Qui che si fa ?
-

Qui non si fa che guardare una nidiata di tortore e di co


lombelle,> che stanno rannicchiate sotto questi padiglioni . Oh come
tremeranno tutte per lo spaventol ...
Ma come sono belle e graziose quelle tortorel Buon per esse
che re Porsenna sia tanto severo.
-
Al loro contegno le si direbbero altrettante Vestali.
- Le sono figliuole delle più cospicue famiglie di Roma ; vive
vano fra gli agi e le delicatezze.
2
BERLAN. Le fanciulle celebri.
Si, ma frammezzo anche agli esempi di padri e madri vir
tuosissime.
- A me le pajono le Grazie discese in terra moltiplicate , senza
>

perdere per questo dei loro pregi divini.


Dopo aver affrontato in campo Marte e Bellona, in verità ch'è
una gran brutta cosa lo essere costretti a far da carcerieri alle
Grazie. Entriamo in quel casolare disabitato ; già qui non c'è peri
colo che le ci fuggano. E dove , se c'è di mezzo il fiume, e se la
sola paura che hanno è più che sufficiente a far loro buonissima
guardia ?
VII.

Mentre avea luogo questo dialogo tra le due scolte, una testolina
bionda e ricciuta sporgeva fuori da una tenda vicina , nascondendo
dietro le larghe falde di essa il resto della persona. Se la luna li
beravasi dalle nubi, quella piccola testa ritraevasi subitamente.
Colei era Clelia; un sole di notte, direbbero i poeti, un sole che
non degnava mostrarsi al sopragiungere della luna, direbbe qualche
imitatore dei secentisti.
Che si fa qui ? ha detto la scolta ; e noi fanciulle , e noi Ro
mane possiamo alla nostra volta ripetere il medesimo. Che si fa qui ?
Porsenna ci ha vedute, ci ha squadrate, ci ha interrogate ; ha detto
ch'era contento di noi, ma col viso serio , e col viso serio è pas
sato oltre. Se ha guardato e se ha udito bene , avrà pur ricono
sciuto ch'eravamo donzelle di garbo. Dunque la nostra missione è
terminata. Rimanendo più oltre si può correre qualche rischio co'
suoi soldati , che sono piuttosto capi scarichi. E guai se vacilla la
virtù di una sola, perchè allora ne va di mezzo nell'opinione pub
blica anche quella di tutte le altre. Nel sospetto e per la paura di
costoro le mie compagne tremano tutte, poverette, come foglie; alla
presenza di Porsenna si sforzano di far le coraggiose,> ma nel loro
coricino tremano, e desiderano tornare a casa. E se io mi provassi
ad accontentarle ? Ma che direbbe mio padre ? Oh il padre ha pur
detto che noi dobbiamo dar a questi Etruschi saggio non di una ,
nè di due, nè di tre, ma di tutte le virtù nostre ; e noi non abbiamo
ancora dato a costoro prova alcuna di coraggio e d'ardimento. Ep
pure sono virtù romane. L'ho trovato : ecco , ecco, quello che la
patria, il padre e tutti s'aspettano ancora da no
Questi pensieri balenarono d'un tratto alla mente di Clelia, ed ella
subito gli accolse e subito attese a mandarli ad effetto .
Dicesi che i fanciulli amano il pericolo quando si presenta loro
come piacere , ma che, se è imposto loro come dovere, si mettono
subito a piangere per sottrarsene.
CLELIA 19

Ma qui il pericolo come piacere non allettava Clelia, ed ella lo


risguardava ed accettava come dovere.
Clelia chiama in disparte Valeria , figlia del console Valerio Pu
blícola, e con solenne parola le dice: – A te , che per la dignità
paterna sei la prima tra noi , s'addice mostrarti non ultima in
opera degna. Fu la patria che ci ha mandate, e siamo venute ; ora
è la patria che ci richiama, e dobbiamo andarcene. Abbiamo indu
giato anche troppo a mostrare a costoro che le figlie dei Romani non
sono in veruna cosa da meno dei loro padri, e che anch'esse hanno
coraggio ed ardire. Vedi, la bufera minaccia, la notte è scura, i ne
mici superbamente incuranti di noi, perchè ci credono timide e
spaurite colombe ; or non si può desiderare nè cogliere occasione
migliore per insegnare a costoro che noi siamo tali colombe che
sanno ingannare con ardito volo anche i falchi. Non si dirà che
siam fuggite per sottrarci a' pericoli , ma anzi che abbiamo affron
tati i pericoli per non istarcene con costoro . Non ti par egli inde
coroso per la repubblica che siano tenute tante fanciulle in ostaggio
da un re straniero ? Non sei anche tu della mia opinione, ch'è in
decoroso per tante donzelle romane il rimanersene qui a non altro
fine che a farsi mirare e rimirare ? Ohl facciamoci ammirare anche
per virile coraggio.
Valeria è uno di quei freddi caratteri e si scorge anche dal
suo nobile pallore che non si lasciano facilmente accendere ed
infiammare dalle focose parole ; ma, educata dal padre , rigido ma
gistrato, all'idea del decoro e del dovere, abbraccia facilmente que'
partiti che le sembrano convenevoli a buona cittadina, e gli accetta
e li segue senza commenti 9, senza esitanze , senza ostentazione .
Ella è tal candido fiore che si adatta a tutti i terreni,2 ed a cui è
indifferente essere spiantato di là e piantato qua, purchè sia lasciato
crescere ed olezzare.
Clelia e Valeria, la capitana e la caporalessa delle altre fanciulle,
escono dalla tenda senza far motto ; perché sanno bene che senza
più lo seguiranno anche le altre. Dove le due vanno, le altre sono
avvezze ad andare, perché hanno in loro fiducia, perchè in loro com
pagnia si credono sicure. Sono molestate dal vento , impedite dal
l'oscurità, ma pur vanno, obbedendo all' esempio.
Clelia e Valeria, arrivate al fiume rapido e profondo, si fermano.
Le altre donzelle non ancora comprendono perchè si vada cosi
lunge dal campo etrusco e con si buja notte ; ma lo apprenderanno
frå poco .
Clelia adocchia un cavallo, che sta legato al tronco d'un albero
frondoso , che gli serve di riparo , lo scioglie e traggelo vicino a
20 CLELIA

Valeria. Fatto a costei cenno di montarvi sopra, ella ajutala a sa


lirvi e adagiarvisi , poi vi salta su essa pure e co' piè lo urta ne'
fianchi.
Stanno guardando attonite le altre fanciulle, e cominciano già a
dar segni di paura pel sospetto di essere abbandonate in quel bujo
e deserto luogo dalle loro care amiche ; ma Clelia con due sole pa
role rassicura le compagne : -
State qui, aspettatemi !
Era forse quella la prima volta ch'ella montava a cavallo , e la
prima certamente che si commettesse alle infide e vorticose onde del
fiume; ma non tremava per sè , temeva per l'amica. Il cavallo al
l'insolito viaggio, e nell'insolita ora , e per le fredde acque sbuffava,
annitriva, ma , quasi conscio del tesoro di bellezza , d'innocenza e
>

di grazia che gli premeva il dorso, spingevasi pur innanzi, e final


mente toccava la opposta riva.
Due fanciulle sono salve ; ma le altre aspettano trepidanti.
Lasciata dunque Valeria sulla patria sponda, Clelia rimena il ca
vallo per l'acque, e ad una ad una , tolte anche le altre in groppa ,
tacite, tremanti, sbigottite, le adduce in salvo.
Clelia non fu una volta sola, ma dieci volte eroina !
VIII.

Le dieci fanciulle hanno varcato il breve tratto che separa il Te


vere dalle abitazioni romane , ed incontrano di quando in quando
o soldati o coltivatori, che assai per tempo s'incamminano alle guardie
od a' lavori dei campi. Al loro passaggio ognuno stupisce ; nessuno
sa spiegarsi chi siano; ognuno le crede la comitiva degli dêi e delle
dee sante di Roma, che, accompagnate dalla Vittoria, tornino nella
loro città ed a ' loro templi abbandonati .
Ma la verità presto si scopre ; giunte ognuna al tetto paterno ,
sono le madri, sono i fratelli, sono i padri, che spiegano il fatto e
l'inatteso ritorno.
Ma i consoli ed i senatori corrugano la fronte, aggrottano le ci
glia. Si, ardimento e coraggio dimostrarono le nostre fanciulle,
ma è pure un ardimento e un coraggio che può far ragionevol
mente sospettare della nostra fede. Chi non crederà che la fuga sia
stata preparata e ajutata da noi ? Roma non vuol essere vinta in
generosità ed in fede da' suoi nemici.
Valerio Publicola, chiamati tre de' suoi famigli: Súbito a ca
vallo, – dice – pigliate costei (additando la figlia Valeria ), e presto
conducetela al re Porsenna, e ditegli ch' è Publícola, il magistrato,
che gliela rimanda.
E quali per una via e quali per un'altra, tutte le fuggitive sono
rimenate prontamente al re di Chiusi.
CLELIA 21

IX.

Spunta l'alba, e re Porsenna è già a cavallo, percorrendo gli al


loggiamenti. Un cavaliere lo avvicina e gli parla ; ed a'suoi detti
vedesi accendersi d'ira il viso del re. Gli vien detto che durante
la notte scomparvero , non si sa come , le fanciulle romane date in
ostaggio. E' giura vendicarsi della slealtà dei Romani, e spedisce
messi a Roma perchè gli sian resi gli statichi , e tutti e prima di
tutti Clelia; e protesta che vuol dare un memorabile esempio.
I messi già divoran la via, sono scomparsi; quando ad un tratto
lo scalpitare di molti cavalli attrae l'attenzione del re, che volgesi,
e vede arrivare, quali scortate da' parenti e quali da' servi, le belle
disertrici. Discese da cavallo, vengono a prosternarsi a' pie' di Por
senna, e tulle hanno tra mani un ramo d'ulivo , simbolo di pace.
Clelia è alla loro testa : ma , all'alterezza , par che venga a conse
gnare le altre, non già ch'ella stessa sia colle altre rimessa in suo
potere.
È Roma che mi manda, che ci rimanda, cioè dice per tutte
Clelia — noi non ci saremmo venute di nostra volontà , perchè, in
>

vero , dopo l'esperienza dei molti giorni passati nel tuo campo , io
non so che cosa ci sia da imparare tra voi , nè vedo che siate di
sposti a imparar gentilezza da noi , nè capisco perchè vi debbano
essere affidate donzelle bennate. Quale avevate bisogno di noi ? Non
hastava la parola de' padri nostri ? Ma da noi gli uomini , appren
dilo, mancherebbero alle voci della natura piuttosto che alla data
parola. Bella gloria l'operare come gli usurai e pretendere da gente
onesta, oltre la scritta, anche il pegao ! Non dar molestia, o re, alle
mie compagne ; solo di questo io ti prego : fui io che le indussi a
fuggire, ed una per una le trassi, passando a cavallo il Tebro, a
salvamento. Su di me riversa dunque la tua collera ; e, se appo voi,
tale è l'uso dei prodi, inveisсi pure contro un' inerme fanciulla .
Tu se' molto brusca, spedita e franca nel dire.... e nel fare ;
ma vedremo se a lungo saprai serbare la tua audacia.
E volgendosi a ' soldati : Conducete alla mia presenza i giovi
netti e gli altri Romani che rimasero nel campo. Costoro sì, furono
savi; essi non violarono la santità del giuramento de' loro padri, essi
non fuggirono.
Ma sai perchè rimasero ? Rimasero perchè avevano ragione
vole speranza, essendo uomini e in verde età, d'incontrarti un giorno
o l'altro nel campo di battaglia e di farti sentire come abbiano pe
santi le destre ed affilati i ferri. A noi non sorrideva la speranza
di opportunità si felice ed abbiamo afferrata questa prima, furse que
22 CLELIA

st'unica occasione, che ci si presentava. Volevi tu che, per compiere


quest'atto di coraggio e di ardimento, fossimo venute di notte a pic
chiare al tuo padiglione e te ne avessimo chiesta licenza ?
Le altre fanciulle, attonite e sbigottite al risoluto parlare di Clelia,
la guardavano di sottecchi, paurose questa volta più per lei che per
loro stesse.
La generosa voleva salvarle due volte.
In tutta la regia maestà sorse allora Porsenna, e con sonora voce
disse : Dunque tu hai creduto , o donzella , che , per non essere
Romani e per essere Etruschi , non fossimo anche noi Italiani , nè
fossero comuni anche a noi le virtù che sono proprie di tutta questa
grande stirpe ? Se noi possiamo gloriarci e gareggiare nelle armi
co' Romani, i vostri padri il videro ; le nostre città , i nostri monu
menti vi diranno che non vi siamo punto punto inferiori anche nelle
arti. Ora, alla tua volta, apprendi , o fanciulla , ch' io non mi ripu
terei degno del titolo di re, se in grandezza d'animo mi lasciassi
soverchiare da una fanciulla. Tu ti assumi la responsabilità d'un
fatto commesso da tutte ; tal sia , e tu abbine il frutto. Volevi to
gliermi le tue compagne, ed io non solamente te le cedo, ma ti per
metto di scegliere anche fra gli altri ostaggi quelli che più vorrai :
scegli, e menali teco.
Un grido d'ammirazione si levò in tutto il campo.
Clelia arrossiva, vedendosi vinta da tanta generosità inaspettata ;
ma presto ricattossi, perchè, pur allora che sembra esausto, il cuor
femminile ha i suoi tesori nascosti di virtù straordinaria. Tutti già
sanno ch'ella è coraggiosa; ora ella sta per apprendere a tutti che
l'anima sua è pur dotata di sentimenti gentili e delicati.
Lascio gli uomini maturi, -
ella dice C
che debbono essere
provati al dolore, e che nulla hanno a temere da età debole od ine
sperta ; concedimi tutti i giovinetti minori di quattordici anni , perchè
debbesi liberare massimamente di mano de' nemici quell'età che più
che le altre è atta a patire ingiuria .
Sublime fanciulla ! esclamò commossò Porsenna ; abbi tutto ciò
che desideri, ed io v' aggiungo il dono di questo mio destriero (1),
tutto ornato di borchie d'oro, perchè la tua fortezza e il tuo ardire,
resi ancora più preziosi dalla squisita nobiltà de' tuoi sentimenti, ti
fanno degna degli onori che si concedono ai più prodi ed illustri
uomini di guerra .

(1) Plutarco nell'opera De claris mulieribus.


CLELIA 23

X.

In Roma, in mezzo alla Via sacra , presso a'Comizi , poco tempo


dopo s'inalzava una statua di giovanetta a cavallo .
Ammirati e riconoscenti i Romani la erigevano a Clelia .
Insolito onore a insolita virtù !

Autori consultati : Boccaccio, Calrou , Livio, Plutarco , Rollin.

LA FUGA DI CLELIA ( 1 ),

Musa che del Tarpeo (2) sul colle ameno


Pasci la mente di guerreschi carmi,
E che reggi degli anni al corso il freno ,
Dehl vogli nel cammin di gloria alzarmi:
Deh ! tu mi spira tua grand' aura in seno ,
Onde il tempo predace si disarmi;
E di tua possa splenda il canto adorno ,
Como sol che pompeggia a mezzo il giorno.
Tacita Notte le fosche ale intorno
Distese avea sulle toscane tende :
Morfeo (3), de’sogni il multiforme corno
Scotendo, insidia dolce ai sensi tende ;
Ma Clelia invitta , del servile scorno
Impaziente, in riva al Tebro scende ;
In riva al Tebro che flagella il lido,
Rotando le biond'acque in roco strido.
Di voglie e di pensier rigido e fido
Virgineo stuolo ella si trae con seco.
Cosi colombe , senza metter grido ,
Vanno all'asilo di montano speco ,
Quando sparvier vorace , o falco infido
Sfuggono, apportator di fato bieco ;
Ma per tema nel petto il cor non tace ,
Rivolgendo in pensier l'unghia rapace.

ne(1) Dal
l 179 9. saggio di versi estemporanei stampato la prima volta in Pisa
(2) Monte famoso di Roma sopra uno de'cui fianchi sorge il Campidoglio. .
( 3) Dio dei sogni.
21 CLELIA

E si a parlar la vergine si face (1)


Alle compagne del suo reo destino :
Amiche , ne' perigli un'alma audace
Salda è qual rupe all'impeto marino ;
Mostrar debbiam di quanto sia capace
La progenie di Vesta e di Quirino (2) :
Tentiam gran fatti, e il Tosco ne paventi ,
Se all'ardir van congiunti i grandi eventi.
Son nell'etrusco vallo i fochi spenti ,
Nè la vigile scorta or ci rimira ;
Dunque ciascuna al Tebro scenda , e tenti
l'onda , nè tema il suo rigoglio o l'ira :
Saran quest'acque quete , obbedienti ,
Placido il corso che si volve e gira ;
Se libere aure di spirar v'aggrada,
Seguitemi , compagne , ecco la strada.
Si detto, il corridor spronando, guada
Il patrio fiume, e quel scalpita e sbuffa ,
Chè il periglio e la notte il cor gli agghiada , >

E la cervice squassa >, e il crine arruffa :


Né le vergini amiche stansi a bada ;
Van seco , e questa e quella entro si tuffa ;
Sconvolta l'onda ne rimugghia ., e il letto
Torbido fassi, in pria limpido e netto.
L'augusto Tebro (3) emerse infino al petto ,
Di canne e lauro inghirlandato il crine;
E fuori uscîr dall' umido ricetto
L'occhi- verdastre ninfe ( 4) tiberine ;
Meravigliaro all'inatteso obietto ,
E ne dier segno all'itale eroine ;
E l'onda stette, nè sferzò la riva ,
Come tardo licor di pingue oliva.
E il Tebro ei stesso un varco a Clelia apriva
Con quella man che il fato e il mondo doma ;
Mentre Cibele (5), al Lazio amica diva ,
Mettea fulgor dalla turrita chioma ;

( 1 ) Face, poeticamente per fa.


(2 ) Vesta , dea del fuoco . Quirino, nome di Romolo .
(3 ) Qui è personificato il fiume.
( ) Deità, che secondo la mitologia , abitavano i fiumi e le fonti .
(5) Madre degli dei , secondo la lavola.
CLELIA 25
Ed il libero Genio in sulla riva
Le apria le braccia e le additava Roma ;
Roma , che , mentre par che più perigli ,
Vede la gloria sua crescer ne' figli.
Siccome damme , che fuggîr gli artigli
Di crudivoro pardo in selve cupe,
E gli antri di ferin sangue vermigli,
Tornano in salvo alla petrosa rupe ;
O come della mandra i bianchi figli
Lascian digiune le affamate lape ;
Così dal patrio lido , che già afferra ,
Il virgineo drappel minaccia guerra .
« Ecco il giudizio uman come spess' erra ! »
Sognò Porsenna gloria a un tanto ostaggio ;
Ma allor che all'Alba il talamo disserra
Con rosea man il mattutino raggio,
S'accorse dell'errore e vide a terra
Girne ogni speme pel latin coraggio ;
Onde , presago della sua sventura ,
Spettro di Giove, l'assalio Paura .
Donne gentili , che soave e pura ,
Nemica al vizio alma nel sen chiudete ,
In Clelia, cui d'età la nebbia oscura
Non offese finor , donne , apprendete :
>

« Cosa bella e mortal passa e non dura ; »


Ma voi famose all'altra età vivrete ,
Se avvien che la virtù per voi s' onori ,
Che invincibil fe' Roma a' di migliori.
TERESA BANDETTINI -LANDUCCI .
ARMONIA E LE FIGLIE D'ERACLIA .
( 4nni di Roma 538 ; avanti Cristo 214 ) .

I.

Guai se il popolo dopo lungo soffrire insorge contro i suoi op


pressori !
Quel torrente che tollerò per assai tempo che il suo alveo fosse
calpesto da contadini e da buoi, ad un tratto si fa grosso e , mug
gendo, allaga tutt'intorno i campi. La desolazione e la morte l'ac
compagnano ; schianta e involve nella ruinosa piena animali , alberi
e case. Tremante, atterrito lo guarda dall'alto dei monti chi, scher
nendolo, il passava a guado.
Da lunga oppressione destossi il popolo di Siracusa , e fuggano
ben lontani coloro che furono causa de' suoi dolori, della sua mi
seria e de' presenti sdegni, perchè l'ora della vendetta è sonata.
In quest'ora di tremendo furore il popolo distruggerà tutto l'edi
fizio che ad essere innalzato costò fatiche, delitti e lunghi anni al
despotismo.
II.

I congiurati Leontini hanno ucciso Girolamo (1), il perfido tiranno


di Siracusa , che, in mezzo a folta schiera d'armati , era venuto ad
insultarli colla pompa delle sue forze.
Girolamo, succeduto all'avolo Gerone, montando al trono avea di
menticato tutte le virtù di lui, e non s'era ricordato che de' vizi di
tutti i suoi antecessori, e solo ne' vizi gli aveva di gran lunga su
perati.
Egli non aveva rispettato il proprio decoro è la moralità pubblica,
( 1 ) Girolamo, nipote di Gerone, ebbe per padre Gelone, figliuolo di Gerone
e per madre Nerei, donna di stirpe reale; e morendo Gelone innanzi al padre ,
il nipote Girolamo rimase sotto la cura dell'avolo ; il quale nel fine del suo
vivere diede a lui l'eredità del regno , lasciandogli per testamento quindici
tutori , de' quali Girolamo si sbara :zò ben presto. Vedi Fazello , Slorie Sici
liane.
E LE FIGLIE D'ERACLIA 27
avendo fatto sedere sul trono , accanto a sè , la scostumatezza e lo
scandalo ; egli non avea rispettato i beni e le vite de' sudditi snoi,
essendo stato ladro ed assassino de' popoli ; egli non avea rispettato
i patti giurati a' Romani, essendosi volto a favoreggiare apertamente
i Cartaginesi.
Per lui Cartagine valeva più di Roma , i barbari più del primo
popolo del mondo; ed agli ambasciatori romani inviatigli per man
tenerlo in fede, con sarcasmo sanguinoso avea domandato se i Ro
mani avessero avuto buona fortuna nel fatto d'arme di Canne.
Ora egli nuota nel proprio sangue, oggetto di ludibrio, sulla pub-,
blica piazza di Lentini , e il suo serto e le sue vesti d' oro , tutte
grommate di sangue, sono portate a Siracusa a far fede e allegria
della sua morte.
O Siracusani, insorgete ! la maggior fiera è spenta : ecco la pelle
dell'orso ; date ora addosso agli orsacchi , e fatela finita una volta
con queste belve.
III.

Il tempio di Giove Olimpio risuona di preghiere.


Sono i Siracusani, che inermi pregano quel Dio, che li precinga
di forza , nè corruccisi se si armano delle spade e delle lance che
pendono dalle pareti del tempio.
Quelle erano le spoglie de' Galli e degl' Illirici , che il popolo ro
mano avea donate a Gerone, e che Gerone, come cosa sacra, aveva
appese al tempio.
Noi vogliam combattere per la difesa della patria , dei templi
>

e della libertà ; per causa tanto santa non ti sia grave che noi com
battiamo, o Giove, colle armi sacre !
E i sacerdoti univano le loro preghiere a quelle del popolo ; i sa
cerdoti, che intendevano alla gloria del loro dio, nè s'occupavano di
sostenere i tiranni .
IV.

I Siracusani , levati a tumulto ed armati , hanno giurato l'ester


minio della casa reale. Nessuno deve sfuggire alla strage ; perchè i
parenti del morto re non vogliono rinunziare all'abusato potere.
Andranodoro, marito di Damarata , figliuola di Girolamo, è ecci
tato dalla moglie e dall'ambizione propria a resistere alla volontà
del popolo. Ma anche per lui sarà vero ciò ch'era solito dire il ti
ranno Dionisio, e ciò che adesso ripete Damarata : esser convene
vole che il tiranno lasci la tirannia tirato per i piedi e non già
stando a cavallo .
28 ARMONIA

Rotto ogni freno e superato ogni ostacolo, la plebe furibonda ir


rompe nel palazzo reale, invade gli appartamenti, e, trovati, trafigge
Damarata, Andranodoro e Temistio, suo parente.
Ma costoro hanno de' figli,9 ed anche i figli deggiono perire e dap
pertutto si cercano. Il tristo chiaror delle fiaccole penetra anche ne'
luoghi più riposti ed oscuri , perchè nessuna vittima sfugga alla
spada.
Quello è proprio un Mongibello, che erutta fiamme ed investe ed
abbrucia colla stessa lava infocata le superbe quercie che hanno
sfidato fulmini e venti , e i teneri fiorellini che sbocciavano or ora
ad esalar grati profumi.
V.

Armonia è figliuola di Gelone (1) , ed anch'ella è cercata e votata


alla morte , perchè ramo di quell'albero che ha dati troppo amari
frutti ai Siracusani. Un di ella potrebbe vantar diritti alla corona
e, per vendetta de' suoi, soffocare la nata libertà : spengasi adunque,
nè s'abbia riguardo alla sua età ed innocenza.
Cosi aveva pensato il furore ; ma una donna vigilava e attendeva
ad eluderlo.
Allevata insieme con una povera donzella (2) di pari età era Are
monia, e l'una e l'altra s'assomigliavano come i bottoni di due rose.
La bàlia d'Armonia immaginò di nasconder questa e di vestir
l' altra donzella con gli ornamenti regi, perchè gli omicidiari, so
pravenendo, ingannati dalle apparenze, scambiassero l'una per l'altra,
ed Armonia fosse salva.
In donna serva lo ' stratagemma era lodevole , perocchè mostra
vasi per tal modo affezionata e fedele a' suoi padroni ; ma in donna
libera non sarebbe stato del pari commendevole.
Davanti a Dio erano egualmente preziose le due vite, quella della
figlia del re e quella della giovinetta del popolo.
Perchè questo crudele discernimento fra l'una e l'altra ? Perchè
far iscontare alla figlia del popolo la pena dei delitti regî, che i suoi
parenti non avevano consumati, ma forse subiti ?

(1 ) Discordano gli storici circa l'età e la parentela di Armonia. Il Boccaccio ,


nelle sue Donne illustri , cap. LXVI : Alcuni vogliono costei essere morta
66

donzella, altri essere stata moglie d'un certo Temistio . Tolgasi quello che di
questi due più piace, non si levando per la contrarietà delle opinioni niente
della pia sua fortezza » . E più innanzi : 6 facendosi tumuliuoso impeto
dalla moltitudine con l'aime in mano contro Damarata ed Eraclia , figliuole
di Jerone, e Armonia di Gelone, ecc. ».
(2) Il Fazello, Slorie Siciliane : « povera fanciulla »
E LE FIGLIE D'ERACLIA 29

VI.

Se non fu merito esente da biasimo nella bàlia , grande però ed


ammirabile fu la virtù dimostrata dalla donzella che doveva offe
rirsi olocausto in luogo della compagna.
Non occorsero nè lunghi ragionamenti nè preghiere per indurla
al sublime sacrificio .
Io debbo tutto a questi principi , ella disse e la lunga
ee
consuetudine le cure e l'affetto che per me ebbero mi obbligano a
considerarli già come parenti miei: io di politica non so , non so i
torti che possono avere verso altrui , ma non dimenticherò mai i
diritti ch'essi hanno alla mia gratitudine. Se essi trascurarono i loro
doveri, io non voglio per questo sottrarmi ai miei. Dove andrò io
che non porti meco la memoria de' loro benefici e il dolore della
loro fine tristissima ? E come potrò io abbandonare nell'estremo pe
ricolo questa fanciulla che m'è stata affettuosa sorella ? Superstite
alla distruzione di questa famiglia , ovunque io vada, la mia pre
senza desterà schifo anzi che compassione. Mi si potrebbe dire : « 0
fanciulla , dove sono andate ora le tue maniere e quelle tue arie
di principessa ? Adesso ch'è tramontata la stella dei re, adesso che
ti sono mancate le pompe e le agiatezze della corte , adesso vieni
umile tra il popolo , adesso ti adatti modesta al povero deschetto
della plebe , ma il popolo ti ripudia. Pasciuta da principi, debbi aver
col cibo succhiato e assimilato in te stessa l'orgoglio e i sentimenti
rei de' nostri tiranni » . Oh ! no ; non sia mai vero che io, povero
fiore, mi specchi in quelle stesse acque in cui trovarono morte co
loro che ho tanto amati !

VII.

E davanti al sinistro balenar delle spade la virtù eroica della fan


ciulla non venne meno.
Vestita delle regie insegne, ella aspetta la moltitudine furente ; ed
è la prima volta che quelle ricche spoglie siano assunte da creatura
viva per farsi incontro scientemente alla propria fine.
L'istinto della propria conservazione è gagliardo in lei , ma non
le fa tradire il generoso proposito : pallido le si fa il volto, le trema
la voce, il piede le vacilla ; la carne è debole : ma a questi moti ir
resistibili della natura lo spirito è superiore, e pronto li doma.
Ella è da tutti creduta la principessa addolorata e gemente per
l' uccisione del padre e de' congiunti suoi ; per tutti ella è la giova
netta di sangue reale che d'un tratto vede il trono cangiarsi in bara ,
e che ne soffre nel profondo dell'anima , ma senza implorar grazia
per sè, ma senza avvilirsi con lagrime e con preghi.
30 ARMONIA

Non diresti ch'ella abbia tolto per breve ora a prestanza quel
grado, ma che in quel grado sia nata ; tanta è la sua nobile fierezza
anche nel dolore supremo e in faccia alla morte.
I crudeli le sono sopra, la percuotono con coltella , e dalle molte
ferite esce in copia l'innocente sangue; ma in lei non un gemito,
non una parola che faccia neanco sospettar dello scambio.
-
Vattene tu pure, a raggiungere nei regni della morte le cruc
ciose ombre degli scellerati tuoi padri ; alzando il ferro , gron
dante del sangue dell'uccisa, grida uno di quegli omicidi.
Ma la bàlia, la troppo fedel serva , poco lunge mirando il crudel
fato e la straordinaria fede della donzella, sente già rimorso, e non
può rattenere le lagrime.
VIII.

Vieni, o figlia di re, vieni a mirare quale sia il prezzo della tua
vita ; vieni a vedere a che altri soggiaćcia per serbarti una debole
e lontana speranza di regno ; vieni a contemplare quanta virtù sia
necessaria perchè tu possa forse un giorno essere sovranamente
malvagia !
Armonia dal suo nascondiglio spinge l'atterrita faccia, vuole farsi
innanzi ma con altri pensieri. La vista di una straordinaria virtù
l'ha purificata da ogni viltà ; ella, figlia di principe, si vergogna d'es.
sere stata vinta da una figlia del popolo.
- Costei, sì , era propriamente degna del nome e del grado di
>

principessa, non io. In si tenera età non poteva essere maggiore la


fede, nè più sublime la magnanimità . Tacita e quieta ella si sacri
ficava per me; ella, fatta segno di feroci insulti e di mortali ferite,
innocente non accusava me paurosamente nascosta ! Oh viltà mia ,
ob sua generosità e forza d'animo ! Educate ambedue dagli stessi
maestri e cogli stessi insegnamenti, chi avrebbe mai supposta la serva
di tanto superiore alla padrona ? Presto o tardi, scoperto l'inganno,
io sarò il ludibrio delle genti e doppiamente odiosa, perchè agli an
tichi misfatti de' miei parenti ho voluto aggiungere inutilmente questa
morte. Si, inutilmente. A che pro l'ho lasciata io sacrificare ? Avrò
il coraggio , quando che sia, d'affermare esser io la principessa, se
chi operò nobilmente è morta , e se chi s'appiatto come ignobil fan
tesca, vive ? Oh mi sono disautorata ed avvilita da me stessa ! Chi
mi era fedele mori, e quelli in mezzo a cui sarò costretta a vivere
tutti odiano l'anima mia. La stessa bàlia, ella stessa che ha voluto
salvarmi, col suo troppo amore non mi tradiva forse spingendomi
a questo delitto ? Se coloro che ci amano, ci amano così , che sarà
poi di quelli che ci odiano ? È assai meglio morir giovane, è assai
LE FIGLIE D'ERACLIA
31
meglio andar a raggiungere la fedel compagna fra le ombre , di
quello che prolungare nella vergogna e fra l'altrui odio ed abbo
minio pochi anni, e forse soltanto pochi giorni di vita.
La bàlia invano la rattiene , invano si sforza di soffocare le sue
grida . Armonia, abbandonato il nascondiglio, corre, fuori di sè, per
le sale, che rimbombano ancora dei passi e de' clamori degl' insorti
che già s'allontanano. Son io la principessa, – grida – voi foste
ingannati: in me ritorcete i ferri !
Oh triste scena ! Oh cecità del furoret Due grandi esempi di eroi
smo, che così presto l'uno all'altro si succedono, non bastano a di
sarmare, a impietosir quegli efferati !
La punta d'una spada la giunge e le apre una larga ferita nel
seno. Cade la giovinetta poco lungi dalla morente amica ; cade, ma
poi con quelle poche forze che le rimangono si risolleva per andar
a corcarsi più vicina a lei. La fede dell'una ora viene rimeritata
dalla virtù dell'altra. I languidi, gli ultimi sguardi delle due fan
ciulle s’incontrano amorosamente ; e i due spiriti gentili, confusi in
un amplesso, muovono per le limpide vie del cielo.
IX .

Oh ! non cessa qui l'orribile tragedia ; altre atroci scene ci aspet


tano.
Finchè il fuoco trova alimento, esso avvampa terribile ; ma finora
l'alimento manca .
Non fu mai tanto vero come questa volta il proverbio, che spesso
il giusto patisce pel reo.
Di che era colpevole Eraclia, figliuola a Gelone e maritata a So
sippo ? Ella aveva perduto il marito, che, fuggendo la tirannide di
Girolamo, s'era eletto volontario esilio ; ella, lontana da ogni gara e
da ogni ambizione e da ogni pompa di regno, a null'altro avea at
teso che a educare alla gentilezza ed alla virtù due care sue figliuo
lette. In ciò ella avea riposta tutta la sua compiacenza , a ciò data
tutta l'anima sua. Le fanciulle, figliuole di un proscritto, per la me
moria dell'infelice sorte del padre e perchè cresciute nel lutto della
genitrice, avrebbero odiato sempre i tiranni. Se mai donna avea ad
andare esente dall' ira popolare, quella esser doveva Eraclia ; ma
quando mai ha ragionato il furore ?
Sitibondi di nuovo sangue, i rivoltosi si precipitano entro le case
di Eraclia, e grida di « Morte ! » rimbombano in quel placido asilo,
dove non s' era udita mai altra voce che quella della preghiera, de'
buoni consigli e degli insegnamenti .
Il falco piombò sopra il nido della colomba ; i piccoli nati dibat
32 ARMONIA

tono le ali qua e là, esterrefatti; e invano la madre tenta far loro
scudo col suo petto e colle sue ali.
Eraclia, ai primi romori, indovina tosto a che vengano coloro ; e,
scapigliata, in semplice e bruna veste, ripara colle figliuole all'ombra
dei domestici altari, sotto la protezione degli dèi Penati.
« O Mani (1) di Gerone e di Gelone, ombre del padre e del marito,
proteggete la pia donna ! Se vi tocca pietà di coloro che avete la
sciati nel mondo, non permettete che qui, dove ogni sera siete ono
rati ed invocati da lei e dalle sue figliuole, per mano di crudeli
uomini, esse, qui rifuggite , periscano. Tonate contro i crudeli, ri
cordate ad essi i meriti vostri ; ed in nome de' vostri meriti esigete
che siano rispettate e salve queste derelitte. Perchè, gridate loro ,
voler involgere in una stessa fine i rei e gl'innocenti ? Se per la
giustizia siete insorti, com'è che inaugurate la libertà vostra colla
maggiore delle ingiustizie ? »
La voce eterna della giustizia avrà forse parlato in cuore ad al
cuno di que' furibondi; ma i più, accecati e fatti sordi dall'ira non
videro gli altari che contaminavano, non udirono le preghiere delle
infelici e le minacce del cielo.
--

- Uccidete almeno me sola ; rispettate queste tenere creature !


gittandosi a' ginocchi del capo di quella masnada, grida la povera
madre.
Vane lagrime, vane preghiere !
Eraclia è rigettata e respinta e, strappata dagli altari, barbara
mente strascicata fuori del sacro asilo, e appena varcate quelle so
glie, stretta crudelmente nella gola , e di molte ferite piagata. Le
figlie dietro alla madre vengono ululando e implorando misericordia
per lei e per sè stesse ; e, divise da essa , come forsennate corrono
impetuosamente frammezzo a' coltelli, tinte e macchiate del sangue
materno.
O crudi, lasciate che la genitrice abbia le estreme parole, l'estremo
conforto dalla pietà delle figliel rispettate quegli ultimi aneliti, i so
lenni, gli ultimi addio !
Ma ahimèl sulle spoglie insanguinate della madre sono svenate
anche le figlie , che, lottando contro la morte e contro i micidiali,
empiono ogni cosa di sangue.
Barbara iral scellerato furore ! Ma qual fu la prima causa che lo
mosse, che lo destò ? chi provocò l'irrefrenabile furor popolare ?
L'oppressione, il despotismo!
Il popolo è un fuoco che potrà anche riscaldarvi se assiderati. Ma

(1) Mani, le anime de' morti.


E LE FIGLIE D'ERACLIA 33
non ischerzate col fuoco , colle troppe provocazioni non fatelo di.
vampare in incendio ; chè allora non rispetterà neppure ciò che
v'ha di più prezioso, di più puro e di più sacro .
Sciagura a voi , che per lunga stagione opprimeste, non a lui che
non si riserba che una sola giornata , raramente a lui profittevole,
di sommaria giustizia !

Autori consultati: Tito Livio, Boccaccio, Fazello ,

BERLAN . Le fanciulle celebri . 3


CLAUDIA , VERGINE VESTALE (1).
2

( Anni di Ro na 6.0).

I.

La città di Roma è in festa ,9 perchè dal senato, e dal popolo fu


conceduto ad uno de' suoi figli il massimo degli onori, quello del
trionfo .
Le strade, per le quali dovrà passare la sua quadriga, si veggono
già gremite di gente ; alle finestre delle case e de' palagi s'affacciano
vaghe donzelle, vispi fanciulli e venerande matrone.
Chi trionfa è Appio Claudio , vincitor dei Salassi (2) , che negli9

alpestri loro monti aveano sfidato le ire dell'aquila romana .

( 1) Non sappiamo da che storie il Noël, nell'opera Le Fanciulle celebri di


tutte le nazioni, iradotta dal prof. Gaetano Buttafuoco ( Milano , Visai , 1844), si
ritenesse autorizzato a trasportare questo fatto a' tempi del re Jerone di Sira.
cusa (anno di Roma 538 circa), confondendo il console Appio Claudio, che vinse
molti anni dopo i Salassi , con l'altro console dello stesso nome, che riporto
in Sicilia un'insigne vittoria sui Cartaginesi .
Sembra pure poco men che gratuita l'asserzione dell' Orosio che Appio Clau
dio, non avendo ottenuto il chiesto trionfo a spese pubbliche, se lo procacciasse
con infame impudenza, co' propri danari . È cosa fuori di ogni verosimiglianza
che si potesse osar tanto in una città come Roma , e che i Romani si baloccas
sero colle mani alla cintola dinanzi a tanta audacia , anzichè prestar mano
forte al tribuno .
Svetonio ( Vita Tiberii, cap . II) scrive che Claudia era sorella, non figlia del
console , ma contro di lui sta l'autorità di Cicerone (Oratio pro Cælio ) e di
Valerio Massimo ( Memorab . IV, 6) .
Dai passi di questi due ultimi scrittori e da altre storie è lecito inferire che
il tribuno fosse mosso da animosità personale piuttosto che da più nobile mo.
tivo ; chè altrimenti , come s'è detto , e senato e popolo sarebbero intervenuti
ad impedire ,od almeno a punire più tardi , la commedia dell'usarpato trionfo .
E il nome del tribuno sarebbe andato famoso ; laddove non se n'è serbata,
neanco la memoria .
(2) Gli antichi diedero il nome di Salassi ai popoli della Gallia Cisalpina
abitanti la Valle d'Aosta e il territorio eporediese (Ivrea). La città d'Aosta
surse sopra le ruine dell'antica capitale dei Salassi , detta Cordella , che cre
desi fondata quattro secoli prima di Roma I Salassi aveano messo ostacolo
al libero corso della Dora Baltea, per impedire agli Insubri di approfittare di
quelle acque e dell'oro, che in non picciola quantità traerano seco ; da ciò la
guerra contro i Romani .
CLAUDIA , VERGINE VESTALE 35

II.

Il merito ! Ma riconoscono tutti il merito ? Non vi sono forse uo


mini, che chiudono gli occhi dinanzi alla virtù per non vederla, e
poi sono tutti occhi, ed hanno occhi di lince, per iscorgere anche
più piccoli nei ? E , trovati i piccoli nei, non s'armano essi di potenti
microscopi per ingrandirli ?
Appio Claudio, console, ha grandi virtù, ma una macchia le of
fende : è altero co’tribuni della plebe e qualche volta intrattabile,
perchè non può soffrirli così aspri ed accaniti nel censurare ne'trivî
e nelle piazze i magistrati, le leggi ed i condottieri degli eserciti ,
mentre i magistrati ed i guerrieri non istanno ciarlando sicuri nei
crocicchi e nelle piazze, ma si travagliano nelle difficoltà del foro e
ne' pericoli del campo .
Egli non vorrebbe che cessasse l'istituzione del tribunato, perchè
egli stesso riconosce che quell'utile sindacato fa esercitare al popolo
il suo diritto di partecipare al governo della cosa pubblica , a cui
esso ha pure diritto ; ma vorrebbe che i tribuni non portassero nel
l'esercizio del loro officio le grette passioni degli uomini volgari ,
cioè l'inv idia, l'odio degli ordini superiori, e la stolta arroganza di
giudicare in ultimo appello intorno a cose alle quali non giungono
la perspicacia , il sapere e le cognizioni loro.
È perciò ruggine profonda tra il console Appio Claudio e i tribuni
della plebe .
III.

Il trionfo procede con ordinanza pomposa: sonatori in gran nu


mero, e gran numero di soldati, quali portanti le spoglie dei vinti e
quali scortanti i prigionieri incatenati, quindi i littori coi loro fasci,
poi il cocchio trionfale, da cui pendono armi e bandiere tolte ai ne
mici, e sul cocchio il console in piedi, tutto rilucente nell'armi. Die
tro, congratulantisi, i parenti e gli amici del trionfatore e folla im
mensa di popolo.
Io triumphe ! Io triumphe (1 )! Di questi viva risuona da un capo
all'altro la Via sacra.

(1) Io è voce latina esprimenle allegrezza , il nostro Viva : triumphe, da


triamvos, voce greca, sopranome di Bacco ; perchè i soldati reduci col loro
capitano generale ivano allegri gridando in Roma sino al Campidoglio. È
comedicessero :-Oh ! facciamo allegria, facciamo tripudio, facciamo baldoria» .
i vocabolari non ispiegano il primitivo significato e l'origine della nostra escla
mazione di Viva Bacco , che letteralmente corrisponde all’lo triumphe, seb
bene sia ora serbata ad altro senso. Bacco fu pure conquistatore, oltrechè dio,
secondo la favola, del vino e de'poeti.
36 CLAUDIA, VERGINE VESTALE
Ognuno s'alza sulla punta dei piedi, o sporge quanto più può la
persona dalle finestre,, o s'arrampica su pegli alberi per veder me.
glio il trionfatore che viene. Le madri lo additano ai figli, le giova
nette a'loro fidanzati, quasi dicano col non muto linguaggio degli
occhi : Oh, così vi vorremmol
IV.

Jl trionfo era stato decretato dal senato ; nè i tribuni vi si erano


opposti, perchè troppo scarsa sarebbe stata la vendetta. Ma una volta
ordinato e cominciato il trionfo , allora si bisognava interromperlo ,
per avere tutto il popolo testimone della violenza e perchè lo scan
dalo fosse maggiore. Sarebbesi abbassata l'autorità del senato , innal
zata immensamente quella de' tribuni, e convertita la gloria del con
sole in vitupero.
Cosi, col pretesto della giustizia e del ben pubblico, que' tribuni
facevano opera empia, screditando la maestà del nome romano di
nanzi a tutti gli altri popoli.
Perchè, supposto pure che il male vi sia e che vi siano gli abusi,
non conviene aspettare che giungano a tal punto che sia mestieri
reprimerli con uno scandalo.
Quando è trovato necessario che l'improvvisa violenza si sosti
tuisca alle leggi ed al pacato andamento della giustizia , e quando
la giustizia abbandona il suo tempio per correre scapigliata per le
strade, che concetto si può mai farsi della civiltà d'un popolo ?
Il più arrabbiato de'tribuni e il più poderoso per potenza di voce
e di maniere triviali s'è incaricato della vendetta.
Ed a servigio del suo odio implacabile ha raccolto intorno a sè
buona mano di giovani esaltati, gente onestissima ma che non ragiona,
nonchè un centinajo di quegli uomini perduti, che per pochi sesterzi (1 )
sogliono gridar Viva ! e Morte ! secondo la tariffa o la lezione di
chi li paga .
V.

Il tribuno, per interrompere il trionfo, dirà egli al popolo questa


vana ragione, che i tribuni odiano il console perchè il console odia
i tribuni ?
No : scaltro, egli saprà mascherare il proprio livore con più spe
ciose ragioni.
Invocherà la religione non osservata, invocherà l'imperizia militare
di Claudio , per proclamarlo immeritevole e affatto indegno di un
tanto onore .

( 1 ) Sesterzio, moneta d'argento degli antichi Romani,> che valeva circa due
crazie toscane, cioè dieci centesimi,
CLAUDIA , VERGINE VESTALE 37
-
Non trascurò egli, il console, prima di venire alle mani coi
Salassi, il solito sacrifizio agli dèi di Roma sulle frontiere del ne
mico ? Come poteva egli averli propizi, se col suo disprezzo gli offen
deva ? E , cacciatosi inconsideratamente fra burroni e monti scoscesi,
non vi perdeva egli nella prima battaglia cinquemila uomini, il fiore
della gioventù romana ? Quante madri non piansero i loro cari per
la dappocaggine di costui ? Che se vinse nella seconda battaglia, e
se i Romani fecero alla lor volta mordere la polvere ad altrettanti
nemici, che fece egli altro mai se non riparare il primo fallo ? E per
ciò si sprecheranno le corone romane ? e per ciò si vorrà invilire
l' altissimo onor del trionfo ?
VI .

Passa il console, passa festeggiato ed applaudito dalla moltitudine,


e quegli applausi gli scendono più cari e più dolci al cuore, perchè
vede la figlia, la giovinetta Claudia, che assiste al suo trionfo.
Ella è Vestale ; lo mostran le bende a ' capelli e la lunga veste
bianca orlata al basso di color porporino (1) .
In tenerissima età ella fu dedicata al culto di Vesta, al culto del
fuoco sacro istituito dal re Numa .
Quel fuoco simboleggiava l'eternità ; bisognava non lasciarlo
spegnere.
Sei sacerdotesse aveva la dea, tra cui una detta Vergine Massima,
le quali curavano il fuoco sacro e avevano giurato di mantenersi in
virginità per il corso dei trent'anni, durante i quali erano dedicate al
ministero della dea.
Guai a loro, se avessero ' mancato alla custodia del fuoco od al
voto di virginità | Parecchie Vestali furono, orrendo a dirsi I sepolte
vive, per essere venute meno a' loro doveri.
La legge era rigorosa con esse, la legge, che ad esse concedeva
pure molte e splendide prerogative (2).
( 1 ) Giusto Lipsio , De Vesta et Vestalibus syntagma.
(2 ) Le giovinette romane, per essere accettate come Vestali , non doveano
ayér meno di sei anni nè più di dieci . Spirati i trent'anni del loro sacro mi
nistero, potevano ritornare alla vita privata, ed anche maritarsi , il che avve.
niva però di rado . Quando le Vestali uscivano , erano preceduta da un littore ;
i pretori ed i consoli, incontrandosi in esse, facevano abbassare i fasci , ed ogni
reo su cui si fosse posato lo sguardo di una Vestale era subito messo in li
bertà. Ad un tribunale non potera la Vestale essere costretta a confermar la
sua testimonianza con giuramento . I testamenti ed altre carte d'importanza
erano spesse volte dati in custodia alle Vestali .
Il numero delle Vestali istitaite da Nama fu di quattro ; le prime si chia
marono Gegania , Verania, Canuleja e Tarpeja ; a' tempi di Tarquinio Prisco
erano sei, scelte d'infra venti elette verginelle dell'assemblea del popolo.
Rotondo era il tempio della dea Vesta ; la dea non vi avea simulacro alcuno.
Il ritratto di Claudia Vestale, qual'era in vecchiaja , vedesi in Giusto Lipsio ,
38 CLAUDIA , VERGINE VESTALE
Esse rappresentavano le aspirazioni civili, religiose (t) e politiche
d'un gran popolo che, come il fuoco, voleva di sè compenetrare per
petuamente la terra e di sè illuminarla e scaldarla.
E perchè quel fuoco non si spegnesse era necessario che fosse
guardato da una virtù sempre immacolata e vigilante !
VII.

Stanno fra loro discorrendo , alquanto concitati , un popolano ed


un tribuno.
- Non giungerete mai - dice il primo - co' vostri bei paroloni a
- -

farmi credere ed operare come voi. Col mio buon senso arrivo ben
io a comprendere lo scopo delle argomentazioni, anzi de' sofismi vo
stri. Vorreste che collo zampino del gatto si levassero le castagne
dal fuoco, e questo grullo di gatto dovrebbe essere il popolo per ser
vire alle vostre private passioni. Che mi venite a cianciare di pro
digi che si sarebbero veduti dopo la prima battaglia perduta dal
console ? Che colpa ha il console se ad Amiterno una madre ha
messo al mondo un figlio con tre piedi ed una mano ? Che c'entran
le nostre vittorie con tale mostruosità ? Un tripede ! Ma c'è da ri
dere, non da affliggersi. Che sì che il bambino avrebbe dovuto na
scere con quattro piedi,per iniziare così l'èra dei popoli quadrupedi ?
E sono i quadrupedi che vi abbisognano, perchè quelli si , possono
imbrigliarsi, ferrarsi e condursi a mano come e dove si vuole .
Quanto poi a'ruscelli che , secondo voi , furono veduti correr sangue,
non la darete ad intendere a me , che non sono una femminetta . Che
se Appio Claudio fu vinto la prima volta, riparò anche prestamente
quella disfaita e fu doppiamente valoroso e doppiamente lodevole, per
chè non solamente vinse i nemici, ma vinse ancora quello sbigottimento
e quella sfiducia che dopo un rovescio s'impadroniscono facilmente
dell'animo dei soldati. Cinquemila morti dalla nostra parte, e cinque.
mila da quella dei nemici ! E che vuol dir ciò ? Rimasero forse per
questo vincitori i Salassi e vinti i Romani ? Ride bene chi ride l'ul
timo, e gli ultimi a ridere siamo stati noi. Se avete dunque voglia
di gittare il disordine e lo scompiglio nella festa, di cambiar questo
giorno fasto in nefasto , fatelo da per voi, chè lo fate per conto
vostro .

De Vesta et Vestalibus syntagma, vol . V della raccolta del Grevio, Thesaurus


antiquitatum romanarum .
10
(1 ) - Questa, soggiogato il mondo, nobilissima vittoria a' Romani restava,
di snidar le mostruose religioni , e' vinti , assoggettare alla ragione e farli con
dolce forza felici" . (Suppl. al IX libro degli Annali di Tacito , XXVI).
CLAUDIA, VERGINE VESTALE 39

VIII.

Il buon senso de' popolani non incoraggia le male intenzioni dei


tribuni e de' loro cagnotti.
A costoro pertanto non resta che fare da se o rinunziare al mal
vagio proposito.
Rinunziare ? No, dice il tribuno ; perocchè la plebe non vuol co
minciare , comincerò io ; e , una volta destato il tumulto in nome
del popolo, il popolo si troverà compromesso e bisognerà bene che
faccia il resto. Quanto a me, già non corro pericoli: la mia persona
è sacra .
La quadriga del console si avvicina di buon passo ed è già presso al
tribuno, che, rosso per ira, comincia a gridare: - Albasso ! abbasso !
Claudio non lo cura e prosegue il suo cammino ; ma l'altro si
gitta dinanzi a'cavalli, e con una mano afferra i freni, coll'altra
dà di strappo al console per tirarlo giù dal cocchio.
Chi salva il console ?
Non i soldati, non i littori , rattenuti dal rispetto dovuto alla in.
violabile persona del tribuno.
Lo salva la figlia.
L'insolenza e la violenza plebea l'hanno tutta commossa.
Ella non può patire che chi le ha dato la vita, chi l'ha allevata
ed educata, chi l'ha circondata di cure e di carezze ed amata più
di sè stesso, ora sia così vilmente oltraggiato.
Appena entrata nel tempio di Vesta, le hanno detto ch'ella è eman
cipata dall'autorità paterna, per non dover seguire altri voleri che
quelli del cielo ; ma non per questo ella s'è scordata mai di avere
un padre e l'amò sempre teneramente .
I pensieri del cielo non si profanano per venire associati ai pu
rissimi affetti che istillò in noi la natura.
Onde , invasa da quel pietoso dolore e da sdegno irrefrenabile ,
Claudia dimenticasi del sesso , dell'età , degli abiti sacerdotali, e ,
infuriata, facendo impeto in mezzo della moltitudine, che già curiosa
s'accalca intorno al cocchio, con ardita faccia costringe ognuno a
darle il passo .
Ministra della dea del fuoco, par che i suoi occhi avvampino del
fuoco sacro. L'amor filiale ha centuplicato la sua forza, e col braccio,
che par divenuto d'acciajo, afferra il braccio del tribuno, lo scrolla
e lo sforza ad abbandonare il console . Prontissima, quindi, si pianta
ritta fra l'uno e l'altro , e con aspetto terribile , segnando col dito ,
>

impone al tribuno d' andarsene.


40 CLAUDIA, VERGINE VESTALE
Roma non aveva veduto mai lotta eguale: una lotta di due per
sone egualmente riguardate come sacre.
Ma nell' una operava un forsennato odio, nell'altra il santo amore
filiale.
L'odio fremè impotente ; vinse l'amore.
IX.

Il popolo è generoso e si gitta súbito dalla parte dei generosi.


I Romani, stupefatti ed ammirati dello smisurato affetto della fi
gliuola, che veggono opporsi risoluta e forte tra l'arroganza del tri
buno e la gloria del padre, con alte voci e suon di mani l'applau
dono, e da ogni parte scoppia e si confonde in uno il grido : Io
triumphe !
Ed il popolo, dopo avere accompagnato al Campidoglio il vincitor
dei Salassi , festante segue la vincitrice dei tribuni al tempio di
Vesta.
Chi dei due più nobilmente trionfò ?
La figlia ,

Autori consultati : Boccaccio, Catroa , Cicerone, Lipsio 9, Noël , Orosio,


Rollin, Svetonio, Valerio Massimo.
ÉLIA SEJANA (1).
( innt di Roma 781; di Cristo 31 ).

I.

Che cosa è l'uomo per un tiranno ?


È un ostacolo od uno strumento .
S'è ostacolo, viene spezzato ; se strumento, è usato , logorato e poi,
il più delle volte, gittato da un canto.
Morte è serbata all'uno, disprezzo all'altro.
Odio e disprezzo sono le passioni del tiranno ; e l'odio è a cento
doppi maggiore del disprezzo. Col disprezzo vi ponno esser onorifi
cenze e ricchezze, ma coll'odio solmorte.Ed è un odio che non s'ar
resta dinanzi alle tombe che ha scavate , che non s'appaga della
morte del contradittore o dell'emulo, ma che dal padre trapassa ai
figli, ai nipoti, ai propinqui, agli amici suoi, e tutti gl'involge in
una' medesima sorte.
Egli vuole dominar solo, ma odiare in compagnia ; i sudditi deb
bono approvare il suo odio odiando anch'essi.
Non una preghiera s'inalzi sulla fossa della vittima; il tiranno
porrà guardie al sepolcro, o verrà egli stesso a spiare se vi si piange
o prega !
II .

Élio Sejano, tu hai voluto gareggiare in iscelleratezze, in delitti,


in iscaltrezze ed in potere con Tiberio.
Stolto ! non sapevi chi fosse l' imperatore Tiberio : jena per ferocia,
volpe per astuzia.
Egli finse di non accorgersi a quale altissima meta tendevi, lasciò
impunite tutte le tue perfidie e tutti i delitti co' quali ti sbarazzavi
il cammino, godè in segreto vedendo che gli toglievi di mezzo uo
mini ch'erano di pericolo e di paura anche a lui , permise che tu
conseguissi tutti gli onori che la tua ambizione aveva sognati, anzi

(1) Élia Sejana ; cosi chiama anche il Catrou la figlia di Élio Sejano.
42 ÉLIA SEJANA
t'agutò egli stesso ad ottenerli, tollerò , anzi compiacquesi , che tu
dividessi con lui le noje, le fatiche ed i pericoli del supremo potere ,
non s' irritò perchè in teatro i cittadini portassero anche per te ,
come per lui , le sedie dorate ( ! ) , e gli piacque che ivi tu fossi
quasi re di commedia ; ma quando vide che da strumento eri per
cambiarti in ostacolo, e che, in luogo di tenergli su lo strascico della
t
porpora , t'ingegnavi di tirarla a te per ammantarti sempre più con
essa, egli fini d'essere volpe e cominciò ad essere jena.
Stoltol tu giojsci perchè Tiberio s’ è allontanato da Roma e per
chò nell' isola di Capri fa le viste di non pensare ad altro che a
tuffarsi nel piacere e nello stravizzo !
Malaccorto ! egli ti guata, egli ti sorveglia coi cento e cento occhi
di coloro che invidiano alla tua potenza, e t'aspetta al varco .
La fiera spiccò un salto indietro, non per fuggire ma per buttarsi
improvvisa e con maggior impeto sopra di te e con tutto il suo
peso schiacciarti.
III.

Chi è quel brutto vecchio, che, calvo , lungo, sottile , curvo della
persona e col viso chiazzato di margini e di spesse schianze, sale
sulla più alta rupe dell'isola di Capri (2)?
È l'imperatore Tiberio , che , coll'animo tutto in tempesta , ha quasi
>

di furto abbandonato i suoni e i canti della sua villa di Giuve (3 ).


Postosi in cima a quella rupe, egli guarda intorno a sè, e spinge
il suo occhio, injettato di sangue, su per la vasta superficie del tran
quillo mare.
È tutt'occhi, tutt'orecchi.
Talvolta e' si china in verso l'acqua, e par che si ponga in ascolto
e interroghi le onde, che, mormorando vengono a rompersi a quel
sasso, e domandi se hanno le parole secrete che gli mandano i suoi
fidati di Roma.
Egli non ha un sorriso per la bella natura, ch ' è tutta sorriso per
tutti ; ma, colla febbre dell'impazienza , dell'ira , coi brividi della
paura, sta appettando che dai legni schierati lungo il golfo gli ven
gano gli ordinati segnali.
Breve è l'attendere: cominciano a issarsi le bandiere, i colori con
( 1) Dione, Storie , lib . LVIII.
(2) « Cesare , persuaso nulla precauzione essere troppa in sommo rischio ,
fa allestir navi da rifagiarsi a caso disperato alle sue più fide legioni , ed ei
da altissima rupe spiare i segnali ordinati, da uscir per la più corta di
speme o tema “. Brotier , Suppl . agli Annali di Tacito , libro V, XXXV. Vedi
anche Svetonio, Vita di Tiberio.
(3) Una delle sue dodici ville nell'isola di Capri, la prediletta da lui. Vedi
Suppl. agli Annali di Tacito, 1, c.
ÉLIA SEJANA 43
venuti col convenuto ordine si succedono l'uno all'altro ; la delazione
rapida viene per mare e sventola.
Egli intende quel linguaggio ; e nella sua anima que' colori si fon
dono in un solo ; e con un solo, col sanguigno risponde.
È la morte che da quel sasso ruota la sua falce; e la sinistra luce
di quella falce percuotesi sull'onde e , celere come il lampo , è ve
duta insino a Roma.
IV.

Padre, non toglierti cosi spesso e cosi a lungo al nostro amore,


alle nostre carezze. Che cosa vi può esser mai, fuori della tua fami
glia, di tanto dilettoso che a sè ti attragga ? La madre forse ? Oh
quando la rivedremo noi ? Rendici almeno la madre nostra (1) .
Cosi parlavano un giorno due figliuoletti di Sejano al loro padre :
un tenero giovinetto ed una graziosa fanciulla .
Dagli occhi del giovinetto traluce una precoce intelligenza, la quale
pare gli faccia intravedere la ragione delle preoccupazioni e delle
assenze del padre ; ma la fanciulla, ch ' è tutta ingenuità ed affetto,
non s'acqueta alle prime preghiere , e soggiunge:
Padre, non è vero che rimarrai più spesso con noi, che ci ravvi
verai col tuo assiduo affetto ? Io ho bisogno di amore, non di omaggi
e di adulazioni ; e qui non sono altro che adulazioni, che ci assediano
e ci opprimono. Non un guardo, non una carezza, non un bacio, che
mi vada al cuore e lo consoli l ... Le nostre case sono sempre af.
follate di cavalieri, di senatori e di pretoriani ( 2); ma quelle son
faccie finte o cupe, e invano io cerco fra esse la tua o quella della
madre. Per vederti, per essere veduti da te, e'ti si fanno addosso
s'alzano quanto più possono, monta no quasi gli uni sugli altri, e
intanto ci dividono da te ; e ci rubano anche que' pochi istanti della
tua presenza tanto desiderata . Padre, restiamo soli piuttosto , tu , la
madre mia, il fratellino, il fratello maggiore ed io : questa, si, è la com
pagnia che io bramo , tranquilla, soave, senza confusione. I maestri ci
dicono di studiare, e noi studiamo; ma se qualchevolta siamo negligenti,
i maestri ci minacciano del tuo corruccio ; ma dacci il tuo amore,
o padre, e il tuo amore farà più che il timor del tuo sdegno.

(1) Eraro otto anni dacchè Sejano avea ripudiata la moglie sua Apicata,
da cui aveva avuto tre figliuoli, per convivere con Livia, detta anche Lavilla
moglie di Druso, sorella di Germanico. Tacito , Annali IV , 3 , e Dione , Sto.
rie, LVIII.
(2 ) - Tutti s'interessavano per Sejano, é v'era sempre alle porte della sua
casa un concorso grande di persone , le quali a vicenda s'urtavano per es.
sere le prime ad entrare ; imperocchè ognuno temeva non solo di non esser
visto da lui, ma anche di esser vedulo dopo gli altri ». Dione, Storie , l. c,
44 ÉLIA SEJANA
Sejano li guardava, e al loro parlare e al loro chiedere non ri
spondeva. Gli occhi suoi ora si rapguvolavano, ora splendevano di
vivissima luce.
C

Hanno ragione di volere il mio affetto e di chiedermi della loro


madre ! Ben sarebbero lieti, se io non gli avessi tolti alle sue cure
affettuose.... Ma la loro madre non ne avrebbe fatto che de'citta
dini еe de' sudditi. M'occorreva una donna, Livia, che, vicina al trono,
conducesse me e loro speditamente a quello, per le vie tortuose che
a lei sono ben note.... Ma questi fanciulli saranno essi i figli d'un ri
belle dannato nel capo, o i figli del successor di Tiberio ?
Questi contrari pensieri tenzonavano quel giorno nell'anima sua;
quel giorno, che doveva essere o il primo del suo impero, o l'ultimo
della sua vita..
V.

Per le vie e per le piazze di Roma si buccina Cajo successore di


Tiberio, ed è Tiberio che dall' isola di Capri l'ha mandato a dire ai
suoi amici e fedeli.
Popoli, chinatevi dinanzi al nuovo astro che spunta, ma fedeli man
tenete il vostro ossequio e il vostro culto anche al sole di Tiberio,
che brilla ancora. È sul tramonto ; ma guardatelo, che è ancora più
infocato che nel meriggio. Chi regna è Tiberio , chi regnerà è Cajo ;
Sejano è nulla .
Questa parola spaventò, inabissò Sejano. Caduto di speranza , ac
canato, fremente , raccoglie intorno a sè i malcontenti di Tiberio e
i propri partigiani, e li solleva. Nessun timore abbiamo : i pretoriani
sono con lui, e l'imperatore è lontano.
Lontano si è Tiberio, ed anche tuffato fino al collo nel vizio ; ma
bada, o Sejano, ch'egli ha fuori la testa, fuori gli occhi che vedono,
e fuori la lingua che comanda. Si, è lontano Tiberio ,> ma ti sono
vicini e desti e potenti i suoi ministri e i molti che invidiano alla
tua grandezza .e coloro che s' impinguano delle accuse ; e fra gli
stessi congiurati hai un traditore.
Mentre la fiaccola sta per appiccare l'incendio, ecco, il vento im
petuoso. la spegne.
VI.

Circondate d'armati sono le case di Sejano, circondato d' armati


è il tempio d'Apollo, dove Sejano stesso co' senatori si trova.
Sertorio Macrone, segretario di Stato, gli ha fatto credere che Ti
berio lo ha nominato collega nel tribunato e che tanta mostra di
guardie è per onorarlo.
ĖLIA SEJANA 45
Gira gli occhi Sejano intorno a sè , e vede i suoi pretoriani é si
assicura .
Egli è venuto nel tempio a fingere per l'ultima volta , a contar
i suoi amici e portar loro senza sospetto gli ultimi e decisivi suoi
ordini.
Ma Sertorio Macrone, creatura di Tiberio, e Grecino' Lacone, pre
fetto de' Vigili, e Memmio Régolo, console, istrutti delle segrete vo
lontà di Cesare, hanno a tutto provveduto. Le guardie notturne pen
dono dai loro ordini. La vittima disegnata rimarrà senza difesa, non
uscirà libera dal tempio.
.

Mille denari a ciascuno di voi dona la munificenza di Tiberio ;


andate alle vostre case.
Queste parole magiche vengono susurrate alle orecchie dei preto
riani; e prima a due, a tre, a quattro, e poi a venti, a trenta, ab
bandonano il tempio.
Che importa a quelle anime venali che sia imperatore Sejano piut
tosto che Tiberio ?
Fra chi promette e gl'involge in pericoli, e chi paga e li sottrae
ad ogni rischio, e' scelgono chi paga .
VII.

Diserto da tutti, cade l'animo Sejano; nel fatal momento non


lo sorregge quella virtù che non ebbe mai, e coll'animo gli vengono
meno anche le forze del corpo.
Ecco un uomo che voleva sobbarcarsi al peso del mondo, e non
tiene in piedi sè stesso !
Ecco un uomo che i suoi nemici medesimi deggiono sorreggere
per tradurlo in carcere !
Pallido ,> tremante , semivivo , lo legano ; e in mezzo a'magistrati
è tratto in prigione, urtato per via , manomesso, schiaffeggiato (1).
Quella plebe di grandi e di piccoli, di nobili e di plebei, che jeri,
anzi poco fa, era a ' suoi piedi implorando protezione o misericordia,
ora lo segue e lo accerchia motteggiandolo, sbeffeggiandolo. Chi nel
suo passaggio gli si fa 'vicino e , per più infamarlo , gli scopre il
viso (2) , chi per beffa gli s'i nchina, raccomandandosi a lui, e chi con
amaro sarcasmo gli grida : O imperatore di Roma, mille e mille
salati da parte dell'imperatore di Capri !
( 1) A chi per lo innanzi avevano accordato l'onore della pretesta (resti.
mento d'onore, con liste di porpora ) diedero poscia degli schiaffi » , Dione,
Storie, LVIII.
(2) « Gli fu tolto ogni velo con cui aprebbe voluto coprirsi » . Tacito, e Dione,
Storie, LVIII.
46 ÉLIA SEJANA

E mentre gli uni lo scherniscono, gli altri corrono a lacerare le


sue effigie dalle bandiere, o qua e là sfrantumano le sue statue, o
insudiciano le porte delle sue case, baldi, lieti, contenti, come si sfo
gassero sopra la sua persona e vendicassero sé stessi.
Tiberio ha colpito giusto. Viva Tiberio ! Era Sejano che lo con
sigliava perfidamente; era Sejano la causa di tutte le ingiustizie ;
da Sejano erano suggerite tutte le gravezze che ci cascavano ad
dosso ; era Sejano l'autore principale di tutte l'enormità che si com
mettevano in nome di Tiberio. Che ne sapeva Cesare lontano ? Ora
è tolto di mezzo l'aspide che avvelenava ogni cosa : Tiberio gli hai
schiacciata la tesla. Viva Tiberio, morte a Sejano !
VIII.

Viva Tiberio ! Morte a Sejano !


Queste voci echeggiano da un capo all'altro di Roma, e sono per
il popolo un conforto de' mali passati e un augurio di sorte migliore .
Ma, tolto di mezzo Sejano, sarà sradicato anche il mal seme degli
ambiziosi , dei prepotenti , dei cattivi consiglieri , dei nemici del po
polo e dei traditori ?
La sorte di costui trarrà forse il ruzzo del sommo imperio da
capo ad altri, e li tratterrà forse dall'avvilirsi per montare e, mon
tati, dal calpestare ogni convenienza ed ogni legge, dal farsi lecito
ogni libito, per salire sempre più alto ?
Oh come s'inganna il popolo !
Di troppa sozzurra è bruttato l'impero, ed ora per troppe iniquità
bisogna passare per arrivarvi, perchè i sozzi e gli iniqui non v'aspi
rino come a loro meta e retaggio !
Gli ambiziosi non dicono già che Sejano è caduto perchè gli man
cava la virtù, ma perchè gli venne meno l'audacia e la fortuna !
IX .

Oh sventurati figliuoli di Sejano ! Vostro padre più non lo vedrete


vivo ; e, quando spererete che a voi ritorni la madre, vi si dirà che
per dolore s'uccise !
Allo schiamazzar della plebe, alcupo addensarsi dell'ira di Tiberio
sopra la vostra famiglia , le case vostre si sono vôtate degli amici,
de' partigiani , de' parassiti e persino de' donzelli ; e , in loro vece ,
sono venuti porvi stanza la lurida sventura e il pallido terrore.
Nessuno vuol dividere con voi la disgrazia, dopo che pure ha diviso
lungamente con voi la fortuna.
Udite voi quei gemiti, e poi quel ghignare, e poi quei passi .ac
>
ÉLIA SEJANA 47
celerati là abbasso, nel vestibolo delle vostre case ?Sono i sicari di
Tiberio che hanno già cominciato , come cagne magre , destre ed
ammaestrate, a dar la caccia ai vostri.
Hanno trovato , hanno ucciso il vostro fratello maggiore, e poi ,
cadavere, lo hanno strascinato a insanguinare i vostri limitari e la
via pubblica insino al Tevere.
Anche di quel sangue innocente si ritinge e si rinfresca la sco
lorita porpora di Tiberio !
Toglietevi agli sguardi di tutti; non potete fuggire, ma cercate ,
se v'è un angolo oscuro , riposto , di casa vostra ; rannicchiatevi,
fatevi piccini, nascondetevi, perchè gli sgherri non vi trovino, perchè
non suoni anche per voi l'ultima ora !
X.
Vana speranza !
Uccisa, la tigre , non v' ha più schermo, non v' ha più difesa pei
suoi nati.
Vengono nuove guardie , cercano , frugano dappertutto ; salgono ,
scendono , tornano a salire e discendere, sfondano porte, penetrano
ne' luoghi illuminati e negli oscuri ; dappertutto fiaccole, spade, ca
tene, che s'agitano, splendono, risuonano.
Ma sapete voi chi li conduce ?
Li conduce un quotidiano parassito di casa Sejano , pratico Psi
luoghi, e che forse non ha ancora smaltito la lauta cena di jeri (1) .
Egli col tradimento vuol comperare l'impunità non dell' amicizia,
che non ebbe mai , per Sejano , ma dei pranzi che gli ha divorati .
Eccoli ! Eccoli ! - grida esultando.
Perocchè i traditi, credendo venuto il loro ajuto, il loro salvatore,
subito vedutolo, si sono mostrati a lui e sono corsi a stringersi alle
sue ginocchia.
Povera Élia ! scòstati da quel miserabile ,> non toccarlo ! Tu se'
giglio , egli letame.
Ambidue i fanciulli sono legati, tratti dalle loro case, cacciati e
per via spinti innanzi dalle guardie.
La loro innocenza , la loro tenera età , le belle sembianze, le in
genue loro grazie , le loro preghiere , i loro pianti non commovono
>

alcuno .

(1) Brolier (Suppl. al V libro degli Annali di Tacito) ; « Quanti sapeansi


suoi favoriti o soci furon puniti , se non compravan l'impanità a merito di
spie e di accuse atroci » . Colonie e municipi gareggiarono di bassezze e adu
lazioni ridicole per felicitare Tiberio per la morte di Sejano. Una iscrizione
conservata a Terni dice, in latino : Alla provvidenza di Tiberio Cesare Augusto
nato all'eternità del nome romano, per aver liberato Roma da nemico per
niciosissimo .
48 ÉLIA SEJANA
Sono i figli odiati dell'uomo fatto morire dal principe! Sarebbe
crimenlese mostrar compassione per essi ! Non sono stati uccisi o
non s' uccisero perchè amici del padre di que' fanciulli l'Anzinate,
Giunio Bleso , Eudemo, Ligdo, P. Vitellio ? Alla larga dunque , alla
larga !
Solamente qualche femminetta dal cuore pietoso s' intenerisce alla
vista di quelle colombe domandate in sacrifizio dagli dèi infernali ,
e , nascondendo il viso tra le mani , lascia cadere una lagrima fur
tiva ; ma poi raddoppia il passo e s'invola, perchè quella pietà non
le torni funesta.
XI.

Mentre quei due miseri sono condotti in carcere , si presenta ai


loro occhi un orrendo spettacolo.
Dov'è il nostro buon padre e dove la nostra cara genitrice ?
Perchè anche adesso stanno lontani da noi e non corrono in nostro
ajuto ? Voi dite d' essere i soldati di Tiberio , ma nostro padre è
grande amico di lui, e Tiberio non può permettere che i figli di chi
ama tanto siano cosi aspramente trattati. Nulla abbiamo fatto noi ;
ve lo attesterà il padre nostro, e ve lo può intanto certificare questo
signore ch'è venuto a trovarci ; risparmiateci dunque , lasciateci
dunque liberi, in nome di Tiberio, in nome del padre nostro !
Vostro padre ? Eccolo là !
Un cadavere col capestro alla strozza (1) e tirato pel collo con un
uncino dalla plebaglia >, ecco l'orribile scena che viene additata a
que' due fanciulli.
-
Nostro padre ! Oh orrore !
Si, vostro padre, che voleva mostrarsi al popolo dal più alto
trono del mondo (2), e fu mostrato invece or ora sulle Gemonie (3) ;
>

( 1) Sejano fu faticante di corpo , ardito d'animo, sè copriva, altri infanaya ;


adulatore e superbo insieme era ; di fuori contegnoso , entro avidissimo ; e ,
per avere , donava e spandeva ; e spesse industrie usava e vigilanze , che
troppo costano quando sono a fine di regnare ». Tacito , Annali , lib . IV , d .
(2) Forse fu decollato, ma non lo chiarisce Dione con queste parole : « Fu
dunque giustiziatc ; » ně Tacito con queste altre : Caldo , caldo speditovi il
60

boja , da lui morto e gettato solle Gemonie , scolpo gli dèi per la prosperità
de' suoi eccessi , tanto odiati, pel suo rovescio più per la fortun famoson,
(3) « Gemonii gradus, o Gemonice scalæ, o Gemoniæ assolutamente , dicevasi
66

un luogo ripido in Roma, nell'Aventino o piuttosto nella rupe del Campidoglio,


donde si precipitavano i cadaveri uccisi de' rei ·. Vocabolario latino -italiano
di Antonio Bazzarini, Torino, Pomba , 1850. E nelle note al Supplemento del
V libro degli Annali di Tacito : - Ov'erano gittati i giustiziati per farne
pubblico spettacolo. Altri vogliono che fosse nel decimoterzo rione di Roma ,
ove l'Aventino guarda il Tevere ; altri, nel monte stesso Capitolino presso la
carcere mamertina ,
ELIA SEJANA 49

si, il padre vostro, che sognava archi, templi ed apoteosi , ed ora >

invece è strascinato in Tevere .

XII.

Il senato ed il popolo romano hanno decretato e decretano:


<È vietato di compiangere o di commiserare per alcun modo Élio
Sejano. Sia cancellato il suo nome dai fasti e monumenti pub
-

blici . Nel foro sia eretta una statua alla Libertà. Ogni anni
-

versario della morte di lui sia fatto celebrare da tutti i magistrati


con giuochi e cacce. In avvenire non si giuri per altri che per
l'imperatore. D'ora in poi nessuno più s'alzi ad onori eccessivi » .
-

Questo decreto de' Padri pubblicano i banditori in tutta Roma.


Una statua alla Libertà perchè venne freddato un favorito crudele
ed ambizioso ? E una statua alla Libertà finchè vive Tiberio ?
Amara derisione !
Ed abbietta viltà !
I Padri, che ora infamano la memoria di Sejano, sono pure que'
medesimi che lo adulavano, lo piaggiavano e gli decretavano statue (1) !
Il popolo, il vero popolo, numero ahi ben scarso ! deplora e bia
sima egualmente la passata adulazione e la presente onta de' Padri,
l'una e l'altra stomachevoli ed immoderate.
Ma la plebaglia infinita gode , gongola , tripudia , non per la Li
bertà, immobile, di marmo, che le sarà mostra in Campidoglio, ma
perchè le sono cresciuti i giorni di sciopero ' e di festa.
Che parlate di libertà, o liberti, o carnefici, o spie ?
Pane e giuochi e meno impedimenti al vizio, ecco le molle che
fanno scattare gli entusiasmi plebei !
XIII.

Quando furono alle porte delle carceri, e quelle s'apersero e udissi


uno stridere di cardini e un rimenar di catene, e vid esi quasi fitta
tenebra nel fondo, e sentissi un'aria greve , pesante e pregna di
miasmi, come si aprisse un sepolcro , i due poveri fanciulli diedero
in un pianto dirotto. Arretravano, pontavano i piedi in terra , ricu
savano d'entrare.

( 1 ) M. Terenzio , cavalier romano, accusato di aver avuto amicizia con Se


jano, con questo generoso parlare sè difese e svergogno i Senatori che l'ac
casavano . . Considerate , Padri Coscritti , chi fu Sejano , non l'ultimo di , ma

sedici anni : che insino a Satrio e Pomponio c'inchinavamo : che l'esser co


1
posciuti da' suoi liberti e portinai ci pareva un bel che. L'imperarore Cajo
Caligola rinfaciolli egli stesso duramente, a questo modo : " Colla stessa vo
Jubilità metteste Sejano in baldanza, poi in rovina » , Tacito, Annali, libro VI,
vil , Suppl. del vil libro, vill.
BERLAN . Le fanciulle celebri.
50 ÉLIA SEJANA
-- Avanti ! – gridavano le guardie , -o prole di vipere, avanti;
e abbassavano le spade alle reni di quegli infelici.
A che resistere,, e come resistere, o Élia ? – disse il fanciullo,
e rassegnato entrava.
Ma Élia, la povera Elia, pura, ingenua, che non intendeva il suo
male, anche entrando gridava:
Che ho io fatto ? dove mi trascinate voi ? Non lo farò mai più !
No no, in questo bujo ; piuttosto, oh si piuttosto la sferza (1 ) !
Non lo farò mai più ! E che cosa hai tu fatto, povera fanciulla ?
La tua anima innocente non sa immaginare che altri possa punire
senza colpa, e perciò ti chiami rea senza sapere di che !
XIV.
Oh ! non volermi confortare, o sorella ; io veggo vicina la mia
ultima ora ; odo già la voce, piena di singulti, del padre mio, che
a sè mi chiama. Entrando io scôrsi là in fondo la sua ombra, che
colle mani scarne s'allungava sino a me e mi toccava e un freddo
ribrezzo mi faceva scorrere per tutte le vene. E, mentr' egli mi chia
mava , là in quell'angolo , un'altra ombra , la madre nostra , acco
> >

sciata , colla faccia pallida , livida , e col seno squarciato e sangui


nante, piangeva, piangeva. Questa sola parola ella disse : « Anche
luil » e guardava me. Oh ! si , tu sarai salva , me lo dice il cuore.
Salva , dici ? salva senza padre, e colla madre morta e senza
fratelli ? 0. numi , o numi , salvateci , salvate entrambi ; entrambi vi
abbiamo onorato e nel tempio e in casa, ed entrambi qui prostrati
vi supplichiamo d'ajuto !
XV.

Non sono le gravi notizie d'Asia e d’Acaja (2) che facciano pen
soso il console Memmio Régolo : egli studia il modo di dar forma le
gale ad un assassinio.
Gli stanno dinanzi Macrone e Lacone ; gli hanno esposta la bisogna,
ed ora aspettano le sue decisioni .
Che ne facciamo dunque di Élia ? dice Macrone. Ella è fan
ciulla, e non s'è mai udito dare a pulzella il supplizio dello stran
( 1 ) Metodo d'educazione in uso anche a que' tempi : e si vede dalle parole
di Tacito che non era ignoto agli stessi figli delle principali famiglie.
( 2 ) Tacito , lib . V degli Annali , cap IV , scrive che l' Asia e l'Acaja erano
in procinto di far qualche moto per essersi alle Cicladi, e poi in terraferma,
vedulo un falso Druso di Germanico ; e fu un giovane di quella taglia , il
quale certi liberti di Cesare ( Tiberio), quasi riconosciuto , seguitavano ad in
ganno . Il vero Druso era carcerato , essendo stato da Sejano tirato nella
congiura.
ÉLIA SEJANA 51

golo. Ma pur ella debbe correre la sorte del piccolo Si-jano. Tiberio
lo vuole, che ha giurato lo sterminio di tutta questa razza.
Che farne ? Gli esempi non mancano , o Lacone , di fanciulli
legalmente giustiziati ; e voi dovreste ricordarvi che i triumviri >, per
abilitare un giovinetto al supplizio, il vestirono di toga virile (1) . Tro
visi un'industria qualunque, che ci liberi presto e senza scandalo
anche di costei .
- Insolito sarebbe che a fanciulla condannata si stringesse la gola ;
ciò è vero ; ma, se la faremo sposa, ogni legalità sarà osservata.
E chi, o console, vorrà disposarsi a lei ? non comprendo. Era
già fidanzata a Pompeo Druso ; ma il giovanotto colla pera in gola
pensò bene di andarla ad aspettare all' altro moudo (2) .
Non è ella già del carnefice ? A che tanti indugi e tanti par
lari ? A lui si dica sposata !
XVI.

Che fa Amore delle sue freccie ee della fiaccola ? Si tolga la sua benda,
vegga l'infame insulto e lo punisca col ferro e col fuoco. E Diana,
che si vanta protettrice e vendicatrice della virtù pudica, che fa ella
vagabonda pei boschi, e che aspetta per dirizzare l'arco infallibile ?
Amore, Diana, Venere , Giove e tutti gli dèi di Roma, perchè pieni
di turpitudini anch'essi, non ponno difendere l'innocenza così vil
mente schernita.
Di tali numi ha fatto scelta Roma pagana o per coonestare, se vi
ziosa, le proprie bassezze coll' esempio de' suoi medesimi numi, o per
esaltarsi sopra gli stessi dei, se virtuosa !
XVII.

Oh notte d'inferno, oh scena d'orrore !


Fuori pioggia, vento e gragnuola scrosciano, fischiano, battono alle
porte, alle finestre del carcere , ed allo spavento del luogo aggiun
>

gono nuovo spavento.


Dentro al carcere una piccola lanterna , pendente dall'alto , con

fioca luce illumina il cadavere d'un fanciullo, disteso a terra boc


cone e colla strozza serrata da grosso laccio ; vicina , in ginocchio,
spandendo in alto le braccia in atto di disperazione, una fanciulla ,
Élia; coi capelli sparsi, colla faccia pallida, lagrimosa, tutta tremante;
( 1) Dione , Storie, lib. LVII .
( 2) Druso Pompeo, figliuolo di Claudio che fu poi imperatore, mori di quat
tordici anni , ed affogó d'una pera, la quale gittata in aria , per giuoco, egli
riprese a bocca aperta . A costui pochi giorni, innanzi ch'egli morisse, aveva
Claudio fidanzata la figliuola di Sejano . SYETONIO,
52 ÉLIA SEJANA
e in fondo, una figura, dalla grossa testa , da' capelli rossastri , dał
naso camuso, dalle larghe spalle, dagli occhi piccoli ma di guarda
tura sinistra, ritta in piedi, col cappio a cintola, colla destra al largo
coltello e con satanico ghigno sulle labbra.
Ecco la fiera da' cui occhi schizzano gli abbietti e sanguinari istintit
Eccola, si muove, s'avanza ! La fanciulla guarda colui impaurita e
lo riconosce ; è l'uccisor del fratello ; spaventata , ritrae subito gli
occhi da lui, e colle braccia convulse s'aggavigna al cadavere del
germano.
Ombra cara, ombra amata del fratello mio, sorgi, frapponiti fra
me e questo mostro ! Salvami, salvami !
E la poveretta cogli estremi sforzi della disperazione ha già sol
levato di terra il piccolo cadavere e , abbracciatolo stretto , se ne
fa riparo .
Le preghiere e le acute grida vanno commiste alle impazienti
bestemmie, ed al ghignazzare il piangere. E poi silenzio , silenzio
di morte !
Romoreggia il tuono, scrosciano i fulmini: par che la collera dei
numi siasi finalmente desta. Ma essa sperdesi in lampi.
E quella fuggevole luce rischiara ad un tratto due cadaveri.
Oh infelicil la smodata ambizione d'un padre v'ha tratti a cosi
acerbo e miserando fine !
Ma i malvagi vi hanno tolto la vita ; essa non durò tanto che vi
potessero togliere anche la virtù .
Le vostre ombre hanno adesso raggiunto, là nei tetri regni, quelle
del fratello maggiore e della madre, che v' abbracciano imprecando
ai tiranni .
E il padre ?
Anime gentili, perdonate al padre, che fu causa di tutti i vostri
mali, e che adesso sta cogli occhi bassi e lagrimosi e non osa ne
guardarvi nè parlarvi.
Egli ha bisogno del vostro perdono.
Là abbasso vi sarà una giustizia, e quella migliore giustizia porrà
nella bilancia, dalla parte dei patimenti del vostro genitore, anche le
vostre morti, perchè anche le vostre morti ripiombarono nell'anima
sua ; e sarà perciò mitigata la sua pena.
Ma non guardate quassù .
Finchè regna Tiberio è colpa il compiangervi.
Perchè regna Tiberio si niega alle vostre spoglie mortali poca terra
che le ricopra.
Non guardate quassù.
Vedreste i vostri teneri corpi gettati sulle Gemonie.
ÉLIA SEJANA 53

Vedreste i principali magistrati di Roma, consociati alle spie, agli


accusatori ed ai sicari, che contano al carnefice il prezzo contrattato
di tanti assassini !

Autori consultati : Catron , Dione , Fréville , Svetonio , Tacito .


Anche la figlia , che Cajo Cesare Caligola ebbe da Cesonia , subi crudel
sorte . Cosi nel supplemento del nono libro degli Annali di Tacito (cap. VIII,
sotto l'anno di Roma 794, di Cristo 41 ) : « Dopo l'accisione dell'imperatore
Cajo Caligola, a tutto sterpar il germe di lui, Cassio Cherrea spedi il tribuno
Giulio Lupo a tor di vita Cesonia, moglie di Cajo , e la figlia . Era la madre
allato a questa , presso al morto marito, di sangue lorda , e dolente ch'ei
non avesse ascoltato suoi consigli . A vedere il tribuno (cui cercava indarno
far pietoso verso l'ucciso principe) star duro e intimarle morte , intrepida
nudo il collo e , scongiurando terra e cielo , porgerlo al ferro , protestandosi
innocente degli apposti delitti. La figlia fu sbatacchiata al muro » .
Accenneremo colle parole del medesimo Tacito alle sventure ed alla fine di
Polluzia , sebbene maritata, sapendosi da ognuno che le giovinette romane an.
davano a marito anche prima del terzo lustro, come si noterà anche più in
nanzi trattando di Lilia Fundana.
POLLUZIA . ( Anno di Roma 819, di Cristo 66).
« Coraggiosi morirono L. Vetere e Sestia sua suocera e Polluzia figliuola :
66

visi odiosi al principe (Nerone) , che vivendo gli rinfacciavano la morte di


Rubellio Plauto , genero di Vetere. L'occasione fu che Fortunato, suo liberto,
avendo mandato male le facoltà del padrone, si volse ad accusarlo, e prese
per compagno Claudio Demiano, incarcerato da Velere, viceconsole in Asia,
come ribaldo ; e Nerone lo libero in premio dell'accusa. Il che , come Vetere
intese d'avere a stare con suo liberto , a tu per tu , se n'andò in villa a Mola ;
ove gli fu posta guardia di soldati occulta, Eravi la figliuola , oltre a questo
spavento, piena di lungo e rabbioso dolore ; avendo veduto dicollar Plauto,
suo marito : abbracciata la testa, raccolto il sangue, riposti i panni tinti , preso
i vedopili, voluto vivere per pianger sempre ; mangiato solo quanto non la
lasciasse morire . Il padre la consigliò irsene a Napoli . Non avendo da Ne
rone udienza , assediava la porta , ora con donnesche strida, ora con maschie
punture esclamava : udisse lo innocente , non desse chi fu suo console in preda.
a un liberio. Con tutto ciò non mosse il principe à pielà nè a paura d'odio .
Ond' ella rapportò al padre che tagliasse ogni speranza e s'accomodasse ; e
nel medesimo tempo seppe che il senato gli sguainava orribil sentenza . Al
cani volevano ch'ei facesse erede Cesare d'una gran parte per salvare il resto
a'nipoti : non gli piacque, per non macchiare di brutto servaggio la vita sua
tenuta poco meno che libera, e dono alli schiavi suoi tutto il danaro, con li.
cenza di portarsene tutto l'arredo, fuor che tre letti per l'esequie . E , entrati
in una camera , col medesimo ferro si segano le vene , e tosto con una sol
vesta addosso per fuggir vergogna, entran ne ' bagni e guatansi : il padre la
figliuola, l'avola la nipote, ella loro ; e fanno a chi più prega che il suo fiato
esca tosto per lasciare gli altri sopravviventi quel poco . La fortuna al morire
osservò l ' ordine dell' etadi . Dopo la sepoltura furono accusati e dann ati a mo
rir di capestro. Nerone disse : No, muojan pur a loro modo. Così schernivano
per giunta li uccisi - . Tacito , Annali, trad. del Davanzati , libro XVI, 10,11 ,
LILIA FUNDANA.
( Anni di Roma 852 , di Cristo 99 ).

I.

È infelice la condizione di quella delicata rosa che non dura che


il breve spazio di un mattino ?
È infelice la condizione di quel gentile usignuolo di cui sono con
tate le primavere ?
È infelice la condizione di quel delizioso aroma che non vive che
il momento che arde, e di cui la vita e il profumo è, per così dir,
nella morte ?
Dobbiamo noi lagnarci dell'avara natura perchè abbia concesso
così poco di vita a tante e tante bellissime cose ?
Questi pensieri e queste imagini mi passavano dinanzi alla mente
nell'atto di porni a scrivere di Lilia Fundana.
II .

Minucio Fundano ha eredato dagli avi immense ricchezze, ma non


le spreca in banchetti, in gozzoviglie ed in giuochi.
Egli ha fatto della sua casa il tempio delle virtù civili e dome
stiche, ed ha voluto che quel tempio fosse magnifico.
L'architettura, la scoltura, la pittura e tutte le arti belle vi hanno
profusi i loro tesori, ad attestare non solo la ricchezza di lui >, ma
eziandio la colta ed esquisita eleganza dell'animo suo.
Il bello nelle sue forme visibili è eminentemente educativo, e Mi
nucio vuole che quelle artistiche apparenze contribuiscano a educargli
a gentilezza una tenera figlia (1 ).

( 1) Sono ricordate altre figliuole di Minucio ; Lilia sarebbe stata la minore,


ma gli scrittori nulla dicono delle altre, ed è lecito sopporre che fossero ma
ritate e fuori della casa paterna . Sa questa supposizione pare lavorato anche
il racconto di Fréville (Vie des enfaits célèbres, vol I, pag. 57-79).
LILIA FUNDANA 55

III.

Io voglio che Lilia imiti l'ottima madre sua , la mia diletta


Manilia, che mi fu data dagli dêi ad abbellimento, a ristoro, a con
forto della mia vita. Ella è il genio benefico e la provvidenza di
questa casa. Ella sa che esigano i nuovi tempi , lo splendore d'un
gran nome e la gloria della patria. Doppio è il compito che ha ogni
buon cittadino; quello di esser grande per sè, di essere per sè utile
alla patria, e poi quello di educare cittadini non meno grandi e non
meno utili di lui. Dopo che Nerva e Trajano con ispeciale cura si sono
occupati dell'educazione ee dell'istruzione dei figli del popolo (1) , creb
bero a dismisura i doveri delle famiglie nobili e delle ricche. Manilia
ben vide quanto disdoro e danno verrebbe a noi, se per coltura e per
istituzione avessimo figli da meno di quelli de' popolani. In questo
rinato splendor dell'impero già vedonsi gli uomini del popolo ga
reggiar di zelo co' patrizi e le madri ed i padri studiarsi di dar ai
figliuoli un'educazione non inferiore, sibbene superiore a quella dei
nostri (2) . E che ! per distinguerci non ci avranno a rimanere che
le case più ornate o le vestimenta più ricche ? Nobili, che vuol dire ?
Non vuol dire che degni d'esser conosciuti. Forsechè, per un nome
illustre o per ricchezze ereditate per caso e senza merito alcuno,
non ci si contenderebbe il diritto di comandare altrui, avendo noi
anima di servi ed i servi anima e dignità di padroni ? Nobili e pa
droni siamo, ma mostreremo di essere tali per non occuparci che
di giuochi, di cacce, di conviti e di cavalli ? Nobili di questa fatta
si confondono coi mimi co' giocolieri, ed è vergogna per una fa
miglia, se ora non ha altre glorie che queste infelicissime !

( 1) L'imperatore Nerva fece a spese dell'erario allevar fanciulli e fanciulle


di povere famiglie per tutta Italia. Provò Roma l'alta liberalità di Trajano
60

co’fanciulli. – Nulla fa , - seco diceva – all'impero la sua ricchezza ed esten


sione ; ma il numero e la virtù de' suoi figli. Italia è del popolo romano la
sede, la regina del mondo, la madre delle nazioni , dal far questa eterna dipende
far eterno l'impero . Su tali basi quanti fanciulli e fanciulle aveva l'Italia
per miseria soggetti a morte od a vizi , prese a educar del suo ; e perché
questo istituto, sovra ogni altro eccellente , non crollasse mai per negligenza
od avarizia , comperò campi per tutta Italia , i quali allogó a poco prezzo
per assicurarne la rendita, onde a' poveri fanciulli dar alimento in perpetuo ,
nè fuor di patria, che non è economia , ma in propria casa » . Brotier, Ap .
pendice cronologica a Tacito . Nerva e Trajano , LIV.
(2) « Stupenda fu in questo splendor dell'impero la fecondità delle donne,
a

la felicità di educare i figli non a tempi tirannici ma lietissimi , eşimio so


stegno dello Stato , sempre fiorente sotto i buoni principi , per le cure di
Trajano dilatate ed a lunga età diffuso ; perchè nulla omise ad estender vita
e virtù » Ivi, XVII.
56 ' LILIA FUNDÁNA

IV.

L'ottimo padre ha già fissato il termine a cui la figliuola sua deve


giungere mercè un'accurata e diligente educazione.
- Prima di tutto C
egli dice - voglio che la mia piccina faccia te
soro di una solida istruzione ; voglio ch'ella conosca tutti i doveri che
come donna la legano alla società e come cittadina alla patria ; vo
glio che nella sua condotta non vi siano nè balenamenti, nè incer
tezze, nè stonature, nè contradizioni ; voglio ch'ella non si lasci mai
condurre dalla passione ma sempre dalla ragione ; voglio finalmente
che nessuno possa distinguere se siano in lei maggiori i talenti o la
modestia.
Da una figlia nobile, ricca ed avvenente , cresciuta in una città
piena di pericoli, com'è Roma, non era questo un esigere troppo ?
Chi ti dice, o buon padre, che le ricchezze non possano produrre
in lei avversione o disamore allo studio ed al lavoro , de' quali sa
non aver bisogno per brillare e per vivere splendidamente ? Chi ti
dice, che la nobiltà non possa facilmente portarla alla vanagloria ,
alla superbia ed al disprezzo delle altre classi sociali, se appunto
l'alterigia e lo sprezzo, sotto nome di nobile alterezza, sono già con.
siderati come pregi e qualità indispensabili di un grande stato ? Chi
ti dice che l'avvenenza non sia per trarla alla leggerezza ed alla
smanceria ?
Ma Minucio ha detto voglio, perchè conosce bene l'in dole buona,
anzi aurea della figliuoletta , perchè sa avere tra mani oro mallea
bile , perchè sa che Manilia, l' ottima madre , con affettuosa e co
stante cura educò in lei i semi della virtù, che belli e rigogliosi hanno
prontamente poi germogliato. Lilia Fundana non farà torto al pro
gramma paterno, anzi con altri pregi dell'ingegno e dell'animo lo
farà più vario e completo.
V.

Lilia Fundana non avea ancora due lustri, ch'era già l'ammira
zione de' parenti, de'propinqui e degli amici della sua casa. Nè erano
i genitori che, come al solito, buccinassero le sue rare qualità e le
amplificassero ; nè erano gli amici di casa che per piacenteria o per
altri più ignobili motivi la esaltassero ; si veramente le rare qua
lità del cuore e della mente , manifestatesi in lei con ineffabile
spontaneità, che le valevano gli elogi anche de' più difficili o in
differenti.
Ella non conosceva le virtù soltanto per teoria, nè discorrevane,

1
LILIA FUNDANA 57
come altre fanno, per libri letti o per insegnamenti avuti da'geni
tori o da' maestri ; ma le conosceva come amicizia intima e dome
stica, perchè bastava che per praticarle ella seguisse i suggerimenti
del proprio cuore e gli esempi del padre e della genitrice. Onde, per
non essere collerica, stizzosa, volubile, per non avere, in una parola,
tutti i difetti propri di tante e tante fanciulle, avresti detto non fa
cesse sforzo alcuno : nessuna lotta, almeno apparente, era in lei tra
la volontà e il dovere. Il buono era in Lilia come nei grandi artisti
è il bello , cioè senza stento o fatica visibile. Pareva che fossero in
>

lei affatto naturali que' soavi movimenti dell'anima sua, com'erano


naturali i leggiadri atteggiamenti e le graziose movenze del delicato
suo corpo. Ella era d'un candore meraviglioso, d'una cara sempli
cità , di modi gentili, d'un'affabilità e d’un'amabilità senza pari.
Sebbene fosse squisitamente sensibile , pareva che tale sensibilità
fosse in lei solamente pel bello e per il buono e cessasse quasi af
fatto dinanzi alle cagioni di corruccio e di risentimento. I genitori
idolatrava : non solamente era sommessa ed obbediente , ma preve
niva assai spesso i loro voleri; ed amavali non solamente perchè
buoni ed amorosi, chè il suo non era amore per interesse ; ma gli
amava perchè capiva che non intendevano che al bene di lei e che
erano non meno buoni e non meno degni d'affetto cosi nelle ca
rezze come nel rigore. Più che nol portasse la sua età, era istrutta
nella letteratura, nella storia, nel disegno, nella musica e nella danza.
E la danza riguardava come un necessario esercizio del corpo dopo
lo studio per rimettersi al lavoro più alacre e più vigorosa. Per
chè poi le fanciulle, per coltivare le arti liberali, che sono per esse
un ornamento, non deggiono dimenticare quello che per le donne
è una necessità , vale a dire i lavori e gli esercizi donneschi, che le
faranno buone madri di famiglia ed esperte direttrici di casa, ella
con grande impegno aveva atteso a riuscire valente nel cucire, nel
tessere, nel ricamare e in tutti quegli uffici che sono propri di una
buona massaja. E quando la madre voleva farle capire , senza bi
sogno di parole, ch'era contenta di lei, compariva alla mensa od in
pubblico con una vesta lavorata dalle mani di Lilia. Che feste faceva
allora il cuore della fanciulla ! E, se v'era ricevimento di forestieri
o d'amici, lodata da tutti ella faceva gli onori di casa con disinvol
tura e con grazia.
VI.

Anche i più favoriti dalla sorte hanno preoccupazioni e momenti


di tristezza ; perocchè le ricchezze non bastano a far gli uomini fe
lici, nè bastano gli onori e gli affetti di famiglia. Quel baratro che
58 LILIA FUNDANA

si chiama cuore umano , che non mai si riempie , non rare volte
s'attrista senza saperné il perchè e senza poter dire a sè medesimo
ciò che gli manchi o di che si dolga.
Il buon Minucio è côlto anch'egli talvolta da quelle tristezze ; egli
ch'è pur buono, sapiente, ricco, onorato e felice per virtuosissima
prole : ma a dissipargli ogni tristezza ,> a rimetterlo in calma , tosto
viene amorosa l'industre figlia col dolce suono della sua voce o della
sua lira. La queta armonia di un'anima innocente si versa nel
l'anima turbata e ristabilisce l'equilibrio ; scompariscono i nugoli, e
ritorna il sereno .

VII.

Minucio era troppo felice ! Due esseri egualmente cari vivevano


unicamente per lui e nella sua riponevano la propria felicità !
L'invidiosa sventura entrò dunque nelle sue porte ; la sventura ,
che spaventa le anime deboli, ma che il saggio considera come una
occasione di merito maggiore.
Esser buoni nella felicità è poco merito. Perchè molti sono mal
vagi se non perchè vogliono avere ad ogni costo i mezzi qualunque
siano d'una felicità sognata ?
Vediamo alla prova se Minucio meriti l' altrui stima e s'egli sia
quell'illustre uomo ch'è decantato.
La sventura non lo colpi nelle sostanze , chè in esse non ripo
neva la sua felicità ; la sventura non lo privò degli onori, chè non
poteva privarlo della fama di pio ed onestissimo ; colpi adunque
nella famiglia.
Il colpo è grave ; perchè Minucio è tutto cuore per la famiglia.
Manilia cade gravemente malata ; i medici disperano di salvarla.
Alla piena del dolore tenta resistere l'animo del buon marito ; ma
che vale se la sua delicata salute ne rimane prostrata ?
Non piange, non si dispera per questo la tenera Lilia : troppo gran
disastro piombo su quella casa perchè ella voglia aggiungere alle
pene de' suoi genitori anche le proprie lagrime.
Non piange, no, ma s'appresta ad essere l'angelo consolatore di
tutti due.
VIII.

A persuasione di Lilia i medici prescrissero ai due malati di non


occupare la medesima stanza : affinchè il veder aggravarsi la ma
lattia dell'uno non fosse cagione del peggiorare dell'altro.
Cerchiamo destramente di rialzare il morale d'ambedue dando
all'uno buone notizie dell'altro, diss' ella.
LILIA FUNDANA 59
Ed imaginò fino d'allora come dovesse condursi.
Ma il mettere quel modo in pratica fu assai difficile per lei.
Avvezza - a non dire che la verità, e tutta la verità , ella doveva
far forza a sè stessa per non riportare le domandate verità dolorose
e per recar con forzata ilarità liete novelle in luogo delle tristi.
Voi che leggete, non esclamate contro la bugia; badate piuttosto
quanto costi a quell' anima innocente il dirla, a chi è detta e per
qual santo fine è detta.
Come realtà ella riferisce il più santo e il più caldo de' suoi de
sideri e ciò non è colpa, ma prova di bel cuore e di pio accorgimento.
IX.

Tutti i servi, tutta la famiglia dipendono da Lilia ; perchè in tali


casi chi ha più cuore e si assume più cure è volentieri lasciato fare
dagli altri .
Entra Lilia nella camera della madre, ed alla madre reca il solito
messaggio della salute del genitore.
Mamma, il papà sta meglio e meglio assai; ma è ancora assai
debole, e i medici gli hanno ordinato di guardare il letto per altri
due giorni. Ma egli non vuole intendere questo latino. Se, per uscire
dal letto e recarsi fino a te, come vorrebbe, egli avesse a ricadere,
tu ne saresti desolatissima : ordinagli dunque per bocca mia ch' ei
si rimanga nelle sue stanze, perocchè in seguito avrà tempo e modo
di farlo senza pericolo. Già tu vai ristabilendoti, non è vero , o
mamma ? onde fra due o tre giorni potrò venirvi a levare ambedue
e vi menerò nella sala. Ho già ordinato al giardiniere di preparare
i fiori per quel giorno, affinchè ne sia tutto ornato il luogo del vo
stro incontro. Oh ce n'è de' fiori , e quanti ! Par che crescano e si
mantengano belli e freschi più del solito, come se sapessero a che io .
li riserbo. Dunque, vado a dirlo senz'altro a papà e ad ordinarglielo
in tuo nome, e torno súbito.
E la povera fanciulla usciva ; ma fermavasi alquanto nella sala
che divideva i due appartamenti del padre e della madre, e piangeva.
.

Altro che fiori per la festa ! dice tra sè. — Il padre ha una
febbre che l'arde, e la madre, ahi poveretta ! è pallida, pallida, ste
nuata, ed ha appena un filo di vita. Oh Morte, che t'aggiri per questa
casa e cerchi una vittima , vieni a me , piglia me : non sono io più
>

giovane di loro, non ti devo essere preda più gradita ?


E poi dal padre , fermandosi prima sulla soglia delle sue stanze
a rasciugare le lagrime, a ricomporsi i capelli, ad assumere un'aria
d'insolita allegria.
60 LILIA FUNDANA
-

Papà ! la mamma s'è levata dal letto ; potrà uscire o domani


o al più tardi posdomani dalle sue stanze. Ma, aď onta che i medici
assicurino ch'ella è già entrata in convalescenza e che ha bisogno
di fare un po' moto e di respirare un po' d'aria pura, ella si ostina
a volersene rimanere chiusa in quell' afa. Io l'ho indotta a forza di
preghiere ad aprire un po'le finestre; e se tu avessi veduto come
quel poco d'aria balsamica, che viene da'nostri giardini, le faceva
bene ! Già si vedevano soffondersi d'un leggiero color di rosa le sue
guance, e gli occhi le si rianimavano di bellissima luce. E sai per
chè ella s' ostina tener chiuse le finestre ed a non uscire dalle sue
stanze ? Perchè i servi, che vanno su e giù pel giardino, non indo
vinino e non ti riferiscano questo inaspettato miglioramento, notizia
che ti farebbe balzare dal letto e uscire subito anche tu dalla ca
mera, con grande scapito della tua salute. Per ora non dovete nè
vedervi nè incontrarvi, finché non siate ambidue pienamente rista
biliti . Già sai che il male viene a carra e se ne va via ad once ;
perchè dunque arrischiar di perdere ad un tratto per troppo vive
emozioni ciò che s'è guadagnato con tanta e si lunga cura ? Non c'è
più pericolo : lo so, me l'hanno detto i medici e me l'hanno ripe
tuto; ma sai, caro papà, ciò che i medici m'hanno anco detto e ri
petuto ? M'han detto che tu sei delicatino (e già questa tua malattia
n'è una prova) e che bisogna assolutamente risparmiarti tutte le
emozioni un po' vive. Anche la troppa ed improvvisa allegrezza ha i suoi
pericoli, anzi si muore più facilmente di troppa gioja che di troppa af
flizione. Se tu esci, o se la mamma viene a trovarti, la tua gioja, e
cosi quella della mamma, non ha più limiti ; e allora siamo da capo.
Prima un po'di forze, e poi ce la discorreremo. Promettimi, o padre,
per il bene che mi vuoi e per il bene ch'io ti voglio, di non ab
bandonare fino a nuovo ordine la tua camera, e io farò di tutto per
indurre la mamma a mutar aria; ma guarda bene che , se prometti,
devi anco mantenere, poichè ne va della salute di tutti ed anche
della mia. Oh povera me, se dovessi avere il dolore di vedervi ri
caduti ! Siamo intesi : io ritorno da lei colla promessa ; e intanto ec
coti un bacio che ti manda la mamma .
.

E da parte mia cento lei, ed altrettanti a te, o affettuosissima


tra le figliuole !
Esce Lilia , ma nel rinchiudere la porta, voltasi verso il padre :
Guarda, o papà , che non ho fatto che una somma sola, ma
che non ti lascio già soltanto un bacio, ma due, e di quelli che val
gono per cento , uno mandato da lei ed uno per conto mio.
LILIA FUNDANA 61

X.

Dura da quindici giorni la malattia de'suoi buoni genitori, e da


quindici giorni è continua ed instancabile la pia ed ingegnosa cura
della figliuola .
Il cuore e l'ingegno suo faticarono in tutte le maggiori prove di
tenerezza e di accorgimento.
Se mai davanti alla rigida e inesorabil Morte trovassero grazia le
virtù, quelle di Fundana avrebbero dovuto salvare amendue i suo i
genitori.
Ma per quella implacabile le supplicazioni ed i meriti non val
gono ; colei non ode le ragioni del cuore , e , fredda esecutrice dei
decreti della divinità, non si lascia stornare dal crudele suo ufficio.
Ma chi può affermare ch'ella sia propriamente crudele, come noi
asseriamo, e che appunto in quell'ora che ci sottrae dal numero dei
viventi, non ci rechi piuttosto un gran beneficio ?
Ci avverrà meglio o peggio dopo la morte, in una seconda vita ?
Continuando a vivere, la nostra vita sarebbe più o meno invidiabile
della stessa morte ?
Ecco i segreti eterni del pellegrinaggio umano : non arrivare col
superbo intelletto a scoprire l'essenza e la sede della vita, e non
poter bene accertarsi se un bene o un male sia la cessazione di
essa . La sola paura di un avvenire ignoto, che può essere felicissimo
o infelicissimo, è quella che fa terribile la morte, e pregevole, qualun
que si sia, la vita ( 1 ).
E così coll'incertezza e colla paura la natura provvida ingenera
nelle creature il potente istinto della propria conservazione,
La Morte, entrata nella casa di Minucio, non ne uscirà che colla
sua preda.
Delle tre creature che s'amano ella ne torrà di mezzo una , e
schianterà per l'affanno il cuore alle altre due.
E quell'una è Manilia (2).
XI.

Chi può dire le lagrime , i lai e la desolazione di Minucio e di


Lilia, orbati l'uno della cara sposa e l'altra dell'affettuosa genitrice?
Minucio non soccombette al dolore della crudel perdita, poichè lo
( 1 ) La religione cristiana suppli all'impotenza dell'umana ragione, assica
rando ai buoni una seconda, un'eterna vita di gaudio, ed ai malvagi, di pena.
( 2) 11 padre Vanière, antore del Prædium rusticum , ha fatto un centone
sulla giovane Manilia , morta di ventiselte anni . FRÈVILLE.
62 LILIA FUNDANA

tenne in vita il pensiero della figliuola , ora più che mai bisognosa
di tutte le sue cure e di tutto il suo affetto .
Perdere la madrel ma questa è la peggiore delle* sventure, della
quale non sa spiegarsi tutto il danno fuorchè chi l'ha perduta.
· Vivrò per Lilia, – disse Minucio vivrò per questa creaturina ,
che senza di me , come fior senza rugiada , appassirebbe. Io le de
dicherò tutta la vita mia e mi presterò anche a quello che avrebbe
fatto per lei la mia povera Manilia. Anche per la mia povera Ma
nilia io obo erle memore e grato della mirabile sua virtù e
tenerezza filiale . Noi le abbiamo dato la vita, ma se fosse dipeso da
lei, ella ce l'avrebbe ridonata a tutti due. Dal luogo della tua bea
titudine (1), o dolce, o santa Manilia , ispirami: tu, ottima madre, tu ,
affettuosissima sposa, mandami de' buoni pensieri, perchè m' ajutino
a far della figliuola quel modello di possibile perfezione umana che
tu vagheggiavi nella tua mente . Devo all'educazione, che le hai data,
le sue virtù precoci e le amabili e rare qualità della sua fanciul
lezza ; ma fa ch' io debba alla tua memoria ed alla possente efficacia
delle tue ispirazioni ch'ella , progredendo negli anni , si mantenga
in virtù e progredisca eziandio nella perfezione. Ora ella è una vi
vente imagine di te ; dehi non avvenga che gli anni sopravegnenti
àlterino e deformino la delicata bellezza dell'anima sua !
XII.

Perchè, o padre, voler far tanto gentile, graziosa e perfetta la tua


creatura ? Questa massa d'oro che tu lavori così finamente e che
da ogni parte risplende, se veduta dalla società , ti sarà da molti
invidiata . Perchè ella sia il tuo conforto, la tua gioja, il tuo vanto ,
tu la rendi di cosi gran bellezza e di così gran prezzo , ma altri
verrà e la vorrà per sè, e tu non potrai negargliela. Quanti, come
te, dopo avere con gran fatica allevata una figliuola, quando spe
ravano che rimanesse a conforto e sostegno della loro vecchiaja, se
la videro uscire di casa , abbandonar padre , famiglia e paese , per
seguire lo eletto del suo cuore ! Ecco la mercede che anche tu ne
avrai.
Un po' d'egoismo c'è sempre negli affetti umani, ma felice quel
l'egoismo che tende a migliorare , a perfezionare altrui! La pura
gioja che si sente nel fare un'azione buona è certamente un premio,
ma un tal premio non è ambito che dalle anime nobili e virtuose ;
ed è compiacenza generosa e meritoria perchè gode del bene altrui.
( 1) Secondo le credenze degli antichi, gli Elisi erano la stanza degli eroi e
degli uomini virtuosi dopo morte.
LILIA FUNDANA 63

Minució, rendendo sempre più virtuosa e più cara la figlia , non >

solo fa un gran bene allo Stato , perchè gli Stati vengono in onore
pe' buoni cittadini , e i buoni cittadini sono lo specchio e la regola
degli altri; ma procaccia a lei stessa l'intima e soave gioja della,
coscienza , non che l'amore e l'ammirazione di tutti i suoi concit
tadini.
Se qualche virtuoso cittadino , degno di Lilia, venga a chiederla
in isposa, il padre non contradirà. A che altro mai tendono i buoni
padri se non alla felicità dei figli ?

XIII.

Un giorno Minucio disse alla figliuola :


- Tutte queste ricchezze che ti circondano, e tutti gli omaggi
che ricevi dagli amici e da clienti miei, ti diranno, o Lilia , che tu
se' ricca ; e , se ricco vuol dire posseder molta roba , tu invero sei
ricchissima. Ma bada che tutte queste cose che formano tale dovizia,
oltre non esser mai sicure e sempre insidiate dalla frode o dalla
violenza , possono anche ad un tratto convertirsi in occasioni ed
istrumenti d'infelicità e di miseria. Benedette le ricchezze quando
servono al vero bene di chi le ha ed a beneficio altrui , ma non
quando controperano a ciòl Esse ponno dar alimento non solo alla
passione, ma anche al vizio. Sola con esse , e verrà un giorno
ch' io non sarò più che diverrai tu ? buona o cattiva ? Io ho
voluto provvedere a ciò ; e quando non sarò più , quando le mie
ossa riposeranno accanto a quelle della madre tua, ho fatto in modo
che tu oda ancora la mia parola e ch'essa ti ragioni delle virtù e
della santa vita della tua genitrice. Eccoti , o fanciulla , questo vo
lume ; tu vi leggerai anche ne' più minuti particolari chi ella fu da'
più teneri anni fino alla sua morte. Tutto vi è minutamente descritto
con semplicità, dagli innocenti ed allegri giuochi della infanzia fino
all' ultima ora della sua vita . Ella fu figliuola, ella fu sposa , ella fu
madre , e in tutte queste condizioni della vita a tutti sempre cara
ed ammirabile. Ti resta molto ad apprendere, o figliuola ; perchè hai
ancora a percorrere due di questi studî, e quelli che sono i più dif
ficili e pericolosi. Alla fanciullezza succede la giovinezza , al dolce
>

aprile dell'età la fervida e tempestosa estate. Dai nostri sepolcri noi


esulteremo, o figliuola, se non verrai meno a te stessa, se non de
genererai da' tuoi padri.
-

Oh ! io leggerò , caro padre , questo prezioso libro che nella


piena dell'affetto hai scritto colle tue lagrime; e, se tu mi benedirai,
quella lettura fruttificherà in azioni degne di te e della povera madre
64 LILIA FUNDANA

mia. Ma non parlarmi, o padre, come se tu fossi presso alla tomba :


il solo pensiero di ciò mi accuora e mi strazia .
È questo il pensiero, o figliuola, che ci mantiene o ci rimette
sulla buona via ; e noi dobbiamo richiamarlo spesso , non per attri
starci l'animo, ma per fortificarlo . Abituati ad esso, e ti riderai della
morte e delle sue paure ; ed a coloro che la temono potrai chiedere,
come già faceva la madre tua: Oh buone genti , vi spaventate,
guaite voi la sera quando andate al riposo ?
XIV .
Un giorno Minucio, per esperimentare se la fanciulla fosse acces
sibile alla vanità, le fe' brillare dinanzi agli occhi un preziosissimo
anello di diamanti.
- I maestri ed io, - le disse - siamo contenti de' tuoi progressi, e,
C

per farti vedere che il merito non va scompagnato dalla ricompensa,


e che sempre si guadagna ad essere buoni, ho voluto comperarti
questo giojello. Vedi come splende, come brilla da tutte le sue fac
cette. Ponilo in dito, e così ti sia un continuo avviso che tale debbe
pur essere una brava fanciulla : in nessuna parte difettosa, in tutte
perfetta. Tutte le giovinette hanno qualche buona qualità ; ma spero
bene che tu non vorrai farti della turba delle donne volgari.
A me quel giojello ? Ma credi tu ch'io lo meriti ? Sono ancora
ai primi capitoli della vita della mia genitrice, e se sapessi tu quante
volte ho dovuto arrossire nel riconoscere che alla mia età ella mi
sopravanzava di molto !
Su via , ponilo in dito e non far la modesta. Che se è pur
>

vero che non ti sia ancora dovuto pe' meriti tuoi; abbilo come una
anticipazione. Mi sarai debitrice : io ti posso accordare una qualche
mora al pagamento .
- No , no , padre , quell'anello non fa per me. Io prescelgo un
fiore che mi venga da te , un tuo sorriso ,> un bacio. A che portar
sempre in dito un oggetto tanto prezioso ? Io lo perderei ; poi mi
sarebbe di continuo rimprovero dopo le tue parole. Me lo porrò in
dito il giorno che, superati gli studi pericolosi della vita , potrò dire
d'aver imitato mia madre , di aver trionfato delle tentazioni e dei
pericoli.... ma adesso no .
In somma , ti dico ch'è roba tua ; ponilo o no in dito , usane
ora o serbalo per quando sarai vecchia , cio poco m'importa : la
conclusione si è che puoi farne quel che vuoi ; t'ho detto che è
tuo, e sia tuo .
Mio, propriamente mio , e ne posso fare quel che più mi piace ?
Allora felice me ! perchè ti prego subito di portarlo a quel povero
LILIA FUNDANA 65
nostro vicino, vedovo, cieco ed infermiccio , che ha tanti figliuoletti
da mantenere. Vada, signor diamante, vada un poco a brillare negli
abituri dove non è solito andar mai ; vada nella cameruccia di un
povero, dabbene e sfortunato operajo !
XV.
Giacchè colla lettura se'giunta alla felice età de' miei spon
sali con Manilia, e stai per ammirarla come sposa e come madre,
e in ciò ella fu veramente un modello a tutte le altre , io ti pre
gherò di leggere con ancora maggior attenzione quel libretto. Quella
della madre e della sposa è una vita, è una condizione che non an.
cora puoi apprezzare, ma che forse conoscerai tra breve , e im
porta grandemente che con ispeciale cura ed impegno venga da te
considerata. La donna, divenuta sposa e poi madre, non è più la gio
vinetta che vive per sè, la quale, poichè ha atteso ad essere virtuosa
per sè medesima, ha finito il compito suo ; divenuta moglie e madre,
ella, invece, debbe vivere anche per gli altri, e consacrare la propria
esistenza al marito ed alla prole ; ed a nuovi doveri nuove virtù oc
corrono. La pianta che ha dato 'bellissimi fiori, è chiamata a dare
anche saporitissimi frutti. Or dunque l'esempio della madre sia la
tua scuola ; e scolpisci bene in mente com'ella abbia saputo adem
piere ai molti doveri del suo nuovo stato , e che abbia fatto per
adempiervi con lode. Guai a quella giovane che, andata a marito ,
ha ancora bisogno dei consigli o delle rampogne del compagno, per
conoscere ed esercitare i propri doveri ! Ella è la sua compagna ,
ella è la sua eguale; e non sarebbe ne compagna nè eguale, se en
trasse nella nuova casa come alunna ed apprendizia. Non iscolara,
ma deve entrare maestra già istrutta e preparata della prole vegnente.
Ciò che ella fa di bene e di male, tutte le sue azioni non rimangono
più chiuse e circoscritte entro le mura paterne, ma escono fuori e
soggiacciono al sindacato di tutti. Fa male la fanciulla che non
adempie scrupolosamente a tutti i doveri della sua età e del suo
stato, e dovrà renderne conto a Dio ed ai genitori, ma dalle sue
scappatelle la società risente poco danno ; laddove questa riceve
danno immenso, se la giovane sia divenuta cattiva sposa e cattiva
madre. Ella può pervertire il marito, ella può guastare e trarre a
perdizione i figliuoli, dar allo Stato disutili o cattivi cittadini; quindi
anche lo Stato ha diritto di vegliare su di lei, e, se ella non disim
pegna i suoi doveri, chiedergliene strettissimo conto . Delle cattive
spose delle cattive madri ognuno parla con disprezzo ; la loro me .
moria perisce maledetta , o, per maggior castigo, di generazione in
generazione si tramanda coperta d'infamia ; laddove il nome delle
1 5
BERLAN. Le fanciulle celebri.
66 LILIA FUNDANA
ottime spose e delle ottime madri non teme ingiuria di tempo , e >

come quello dei più celebri eroi, valica i secoli, ricordato con vene 1

razione e additato ad esempio dalle età più lontane. Le spose e le


madri illustri acquistano un carattere augusto, e quelle ch'erano
nulla più che madri di famiglia, sono proclamate madri della patria
e benefattrici della umanità. La mia Manilia oh quante e quante volte
dinanzi alle loro imagini stava estatica, e come godeva nell' udirsi
da me ripetere le vicende della loro vita e le loro virtù, perchè ella
poi le meditava in secreto e, occorrendo il caso, imitavale! Non la
trovavi assidua allo specchio, come fanno molte ; il suo specchio erano
quelle imagini, intorno a cui spendeva il tempo che l' era lasciato
libero dall'educazione dei figli. Nelle virtù che insegnava alla prole
ella confermavasi ognora più con quegli splendidi esempi. Oh i santi
ragionamenti che tenevamo insieme là, in quella stanza, nella nostra
galleria, ove sono raccolte le statue e le imagini rappresentanti le
nostre donne famose ! Tra esse Manilia merita un posto, e lo avrà ;
ed io recherommi fedele ogni di dinanzi alla sua effigie, finchè morte
mi ricongiunga finalmente a lei.
E com'è, o padre, ch'io non ci sono stata mai ? E perchè non
mi ci hai condotta ?
Perchè ancora non eri in età di tutto comprendere, e perchè
non era così prossima per te, come è ora, l'opportunità, anzi il bi
sogno di conoscere, per quindi imitare, le virtù di quelle illustri,
che furono per la naggior parte spose e madri. Ma bisogna che tu
sia come ape industre, che sa nello stesso fiore discernere ciò che è
atto alla fabbricazione del miele da ciò che non è, e quello s'appro
pria e s'assimila, e da questo s'astiene. Quelle donne illustri non fu .
rono puri spiriti, ma composte esse pure di materia ; e qualcosa bi
sogna pur concedere alla materia. Ma l'uomo o la donna virtuosa, che
si specchiano e studiano in altri virtuosi che li precedettero nel cam
mino della vita, devono essere appunto come quell'ape, o come il buon
pittore che studia la natura, ma non tutta la riproduce, e ne imita
soltanto il bello, ed il più bel fior ne coglie. Tu stessa, che ti diletti
a coltivare le piante del giardino, sai bene che ogni fiore ha le sue
speciali qualità che lo fanno pregevole , oltre le quali cessa il suo
pregio. In alcuni ti compiaci dell'odore, in altri del colore , in altri
anche della forma.
Andiamo dunque, o papà ; e colla tua guida e col tuo ajuto
la tua piccola giardiniera sarà quell'ape industre e quell'avveduto
artista.

C
LILIA FUNDANA 67

XVI.

In questa piccola galleria non troverai espresse le effigie e le


gesta delle sole donne romane ; perchè alla civiltà nostra contribui.
rono pure gli esempi, le arti ed il sapere di altri popoli famosi, quali
furono, tra gli altri, i Greci e gli Etruschi. Noi gli abbiamo vinti
colle armi, ma alla loro volta e' ci vinsero colle arti belle e colle
scienze loro, che abbiamo studiate , imitate e perfezionate. Qualche
gratitudine dovevamo anche ad essi. Vedi là , per esempio, in quel
primo quadro ? Quella non è romana, ma greca.
Dal quadro non mi è dato comprendere perchè ella sia famosa
e illustre, come tu dici ; la veggo che , seduta presso un telajo, di
notte, al chiaror di una lucerna, toglie le fila ad una bellissima tela
che par quasi terminata. La luce che spandesi sul suo viso me la
mostra sorridente e lictissima di quell'opera di distruzione. Sono
questi i meriti che la fanno allegra e onde va famosa ?
Devi sapere che Penelope era ancora più bella di quella figura
che te la rappresenta , e che alla bellezza sua andava unita molta
grazia e molto spirito ; il che le portò intorno un nugolo di va
gheggini. Essi erano dei principali signori d'Itaca e delle altre
isole vicine. Ma ella, che aveva per isposo Ulisse, uno dei condot
tieri greci e dei conquistatori di Troja , voleva rimanergli fedele.
Una voce, sparsa ad arte forse da coloro, giunse all'orecchio di lei
rapportando come Ulisse fosse naufragato nel ritornare da Troja :
ond'ella, buona sposa, se ne addolorò e pianse assai, ma poi le venne
sospetto che quella voce fosse un tranello ; si rasserenò, ed astuta
inventò un modo semplice e bellissimo di tenere a bada quegli ado
ratori. Disse a ciascun d'essi : « Sarò vostra moglie quando io abbia
terminata questa tela, intorno a cui vedete che stommi assiduamente
occupata. Non mi vorrete voi concedere cosi breve indugio ? » E
quelli credono e s'acconciano al suo desio, e con poca difficolta, pe
rocchè non cessano per questo di venirla a visitare ed importunare
ogni di, e di farla anticipatamente da padroniin casa sua, ordinan
dovi a bacchetta, sciupando in sollazzi ed in festini la sua roba. La
buona donna freme in secreto, ma rattiene l'ira perchè non le av
venga di peggio, non trovandosi appo lei persona di conto che la di
fenda; ma intanto di notte, e ogni notte, viene a disfare ciò che ha lavo
rato durante il giorno ; e la cosa va innanzi a questo modo per qualche
tempo. Ora è un fiore ch'ella cambia >, perchè non le pajono bene
imitati i suoi ramoscelli od il calice , ora è una stella , perchè non
serba le necessarie proporzioni col rimanente disegno, ora è lo stame,
68 LILIA FUNDANA

ora è la materia che non le piace. E intanto coloro si sfogano a


pasteggiare e festeggiare ; finchè finalmente capita Ulisse, che, infor
mato della fede della moglie e degl'inganni di quegli ospiti prepo
tenti e ribaldi, li caccia a furia di sciabolate fuori di casa sua. Ecco
la fede conjugale unita alla prudenza ; chè l' una senza l'altra più
di qualche volta è esposta a pericoli. E nota che Penelope, per fug
gire le importunità e le tentazioni di quegli scapestrati, non trova
migliore spediente che quello di darsi al lavoro ; perchè il lavoro
è un'occupazione santa che preserva l'onestà da molti pericoli. Tutta
intenta al lavoro fu trovata anche la nostra famosa Lucrezia, esempio
di pudicizia, quando Collatino, suo marito, e i figliuoli di Tarquinio,
partitisi dal campo, vennero improvvisamente a trovarla, supponendo
a torto ch'ella, approfittando dell'assenza dello sposo, fosse in feste
ed in giuochi (1).
- Brava , anzi bravissima la signora Penelope e la signora Lu
.

crezia ; ma, senza la tua illustrazione storica, da me stessa non sarei


mai arrivata a capir nulla del quadro. Ma eccone qui un altro che
mi pare un secondo geroglifico. Che fa colei distesa in terra ? È morta
o è viva, che non ci si vede nel suo corpo segno alcuno di ferita ?
Sono forse que' panni chiazzati di sangue che l'hanno fatta andare
in deliquio ? Oh la schizzinosa !
- Non affrettarti a giudicarla cosi leggermente, perchè poi finirai
coll'ammirarla. Ella è Giulia, figliuola di Cajo Giulio Cesare, e mo
glie del Magno Pompeo, la quale tanto svisceratamente amava il
marito che un di, nel sospetto di averlo perduto, o che fosse stato
ammazzato violentemente, essendole state portate le sue vesti insan
guinate, e non indovinando che quello fosse sangue di bestia sacri
ficata, fu soprappresa da cosi gran dolore che subitamente cadde
morta (2).

(1) « Lucrezia, andato Tarquinio .... ad assediar la città d'Ardea , appo il


castello di Collazio, non lontano della città, ando in alcuni palazzi del ma .
rito a starsene. Avvenne che, durante l'assedio , cenando i figliuoli del re ,
tra i quali v'era Collatino, e forse scaldati dal vino, si venne a ragionar del
l'onestà delle mogli . E , inalzando ciascuno la sua, come si conviene, sopra
tutte l'altre, s'accordarono in questo modo , che, messi i pegni egualmente,
tutti così di notte, com'era, insieme montassero a cavallo , e, andando alle
abitazioni loro senza saputa delle mogli , quella che ritrovassero in più lode
vole esercizio e in minore ozio, colei fosse tenuta la più lodevole e la più
degna delle altre. Fatto questo, venendo i giovani segretamente alle case delle
loro donne, ed entrati in quelle, le ritrovarono tra le altre loro pari a gio
care : onde voltati i cavalli, giunsero a Collazio , dove videro Lucrezia, senza
ornamento alcuno, con le sue donne , che ilavano lana ; laonde, per comune
giudicio, fu lodata sopra tutte le altre ; di che Collatino ricevè grandissimo
onore » . Boccaccio , Delle donne illustri; trad. di Giuseppe Betussi.
9

(2) . Essendo andato una volta Pompeo nei comizi, quando si creavano gli
edili, per sacrificare, tenendo nelle mani una vittima che, per essere allora
LILIA FUNDANA 69
Hai ragione, papà : questa donna pel suo squisito sentimento
merita tutta la nostra ammirazione. In questo modo si, amasi dav
vero ! Anch'io, sai, papà, morrei di crepacuore, se pur mi venisse
il crudele sospetto che tu mi dovessi essere tolto ; e, se non morii
per la mamma, deve esser stato un miracolo di quell'amore im
menso che portavo anche a te. Morendo ti avrei fatto doppiamente
infelice ! Ma, se la perdita dell'adorata genitrice non mi diè morte
pronta , súbita, sento però che mi ha lasciata nel cuore una piaga
insanabile. Oh come stavo bene quando vivevate tutti e due !
Se veramente vuoi bene alla mamma, se ti ricordi con pietoso
e incancellabile affetto di lei, non devi affliggerti, perchè non ignori
che ciò mi fa male, e dispiaceva e faceva male anche alla mamma .
Serbiamo una cara memoria dei nostri che più non sono ; ma il
dolore della loro perdita non sia tale che ci faccia troncare a mezzo
e, peggio, troncare sino dal principio la nostra carriera, ch'è tutta
piena di doveri verso i nostri simili e verso la società. Abbiamo
ognuno il nostro compito ; perchè interromperlo, se quelli che ama
vamo hanno già finito il loro ? Altro è ando il dolore ci assale
improvviso e non lascia tempo alla ragione di accorrere in nostro
ajuto; ma, quando esso formasi per gradi, non bisogna permettergli
che a mano a mano ed a sua posta si aggravi e ci covi in seno
la morte. Di’al tuo cuore : « Io voglio essere una donna forte anche
a tuo dispetto : taci dunque quando si tratta di rendermi debole,
quando, per troppo amare ad una volta, mi togli il modo di amar
utilmente e lungamente ») .
Hai ragione, papà : mi ci proverò ; ma questo benedetto cuore ,
che ordinariamente cosi poco ascolta e consulta la ragione , vuole
assolutamente fare a modo suo quando senz'altro crede lui essere
e lui aver la ragione, quando, tutto acceso ed infiammato per ciò
che gli si presenta come vero bene e come virtù, a tutt'altro bada
che a richiedere od ascoltare consigli di chicchessia . I suoi sospiri,
i suoi palpiti sono generosi : ecco la sua ragione ; a che cercar oltre ?
Mia cara fanciulla, questi sono concettini e nulla più ; perchè
è lo stesso che dire : La fiamma fa un bel chiarore, diamo dunque
fuoco alla casa : illumineremo chi passa; che importa se vi bruce
remo tutti ?

ferita in sacrificio , spargeva or quà or là, come si moveva , molto sangue , fu


rono tinte di quello tutte le vesti ch'aveva in dosso, e, rimandandole a casa
per farsene portar delle altre, avvenne che colui che le portava fu prima ve
duto da Giulia , ch'era pregna , che da niuno altro ; la quale , conoscendo le
vesti del marito cosi sanguinose, prima che ne cercasse la cagione, giudicando
che Pompeo fosse stato violentemente ammazzato , come che, morto lui , a lei ,
che molto l'amava, non fosse più lecito vivere dopo di quello , incorsa in paura
sinistra, rivolti gli occhi in tenebre, chiudendo le mani, cadde a terra e su
bito spiròn, Boccaccio, Op . cit.
70 LILIA FUNDANA

Padre, m'interessa molto quella bella donna dall' aspetto nobile,


ma pallida e sofferente. Direbbesi ch'ella fa un sovrumano sforzo
per parere gaja e ridente. Dimmi , chi è dessa ?
È Terzia Emilia , esempio ben raro di amor conjugale , che
> >

giunge a perdonare al marito la incostanza e leggerezza ; sebbene


questi torti le rechino continuamente immenso dolore. Ella non solo
sospetta, ma è certa della infedeltà del consorte, ch'è il primo Sci
pione Africano ; ma cela nel fondo dell'animo l'affanno della cura ,
e non si disfoga nè in parole nè in lagrime con nessuno , anzi in
pubblico ed in privato fa gli elogi dell'affetto costante del marito ,
affinchè non abbia a scapitarne altrimenti il buon nome di lui. Ella
seppe così bene dissimulare, seppe così bene mantenersi verso it
marito carezzevole ed amorosa, serbandogli sempre per parte sua
indiviso l' affetto, ch' egli stesso non s'accorse mai nè mai dubitò
ch'ella si fosse avveduta de' suoi mali diportamenti.
Oh sì, questa lotta sostenuta da lei con si forte e vittorioso
animo me la fa stimare come una grand'eroina. Chi ama vuol es
sere riamato , ed amar molto e continuare ad amar molto chi si
scuopre vostro offensore e tacersi, anzi lodarlo perchè non sia di
sistimato dalla società, è virtù di cui non sono capaci che le anime
grandi (1)
Se non vi fosse lotta nell'esercizio della virtù >, che virtù sa
rebbe ? E in lei fu duplice il merito , perchè dovette non lasciarsi
vincere dai mali esempi del marito e porre tutte le virtù intorno al
proprio cuore perchè l'amor non curato vi rimanesse pur saldo e
non vi subentrassero l'odio e la bramosia della vendetta. S'ella si
fosse lasciata condurre dal risentimento , sarebbesi perduta. I vol
gari l'avrebbero forse scusata , ma noi condannata perchè i falli
altrui non giustificano i proprî, ed alla somma perfezione non si sale
guardandosi addietro. Ed alla somma perfezione giunse pure quel
l'altra egregia donna, di nome Sulpicia , che vedi là dipinta tra nu
mero immenso di femmine in atto di consacrare in pubblico una
statua di Venere Verticordia (2 ). Ella viveva a'tempi dei decemviri,
e fu figliuola di Servio Patricolo e moglie di Fulvio Flacco, uomini
nobilissimi. Non solo costei amò di costante e sempre eguale amore
il marito , ma in ogni atto della sua vita volle che apparisse quanto

(1 ) Boccaccio, l. C. , cap. LXXII : « Un'altra avrebbe gridato e chiamato a


concilio le più vicine e parenti e tutte le donne da lei conosciute, e con lungo
parlare le avrebbe stordite con pianti , lamenti e dicerie , dicendo d'essere
abbandonata, lasciala, sprezzata e tenuta in niun conto dal marito ».
(2 ) Verticordia , da verto, voltare, e cor , cuore (quasi riformatrice dei co
stumi ), se non andiamo errati.
LILIA FUNDANA 71
ell'era perfettamente pudica. Gli occhi vaghi e cupidi raffrenò, e non
permise mai che si rivolgessero più oltre che per intorno a sè me
desima ; non amò di cinguettare, ma parlò considerata , poco ed a
tempo ; fuggi l'ozio ; non s'impinzò di cibi e di bevande ; schivò le
tumultuose feste ed i liberi balli ; attese alla parsimnonia ed alla so
brietà ; ebbe cura delle cose domestiche ; non s'intrattenne cogli
oziosi e cogli sfaccendati; non incoraggiò nè col parlare nè coll' ipo
crito tacere i discorsi men che onesti, ma apertamente li biasimò e
li fuggi; non accarezzò nè permise che germogliassero in lei pen
sieri vani e appetili nocivi, ma scacciolli o schiacciolli appena nati
e dilettossi ognora nelle opere pie e nella preghiera. Con tante virtù,
ella dovea essere la prima tra le virtuose, ed infatti in questa más
sima estimazione fu tenuta da tutta Roma. Perocchè, essendo stato
ordinato dal senato e dai decemviri che la più casta delle donne
romane fosse eletta a dedicare un simulacro a Venere Verticordia,
si fece la lista delle più caste femmine ch'erano in Roma, e da quel
numero vennero cavate fuori cento delle più chiare e pregiate, tra
le quali fu noverata Salpizia ; e poi tra quelle cento furono cavate
solamente dieci, e tra quelle dieci fu ancora nominata Sulpizia, e
da ultimo dovendosi eleggere una sola, che a quelle dieci soprastasse
e quindi fosse la prima di tutta Roma, quell' una fu ancora Salpizia .
Bell'onore e bella gloria, o figlia mia, per le case dei Flacchi e dei .
Patricoli, il poter dire : « Si dovette far capo alle case nostre per tro
vare l'ottima delle romane ! » Queste si sono eredità invidiabili, ere
dità di gloria che non periscono mail
Essere la prima in una cosi grande e nobile città è certamente
il massimo degli onori, ma non è dato a tutte potervi aspirare. Io
non sarò certamente neppure la prima della mia famiglia, perchè è
impossibile superare la mamma.
Certo la povera Manilia non aveva a' suoi tempi l'eguale per
doti d'animo e d'ingegno, ma non per questo tu devi desistere dalla
nobile gara: vi hanno sempre delle qualità o intellettuali o morali
in cui si può riuscire eccellentissimi e andare innanzi agli altri. In
Manilia le virtù erano , per così dire , un gran concerto ; gli era un
coro di perfezioni; ebbene eleggi una fra le tante virtù , e quella
sopra tutte coltiva, in quella sii eminentemente perfetta , e conse
guirai non minor gloria. Vedi, nei teatri si applaude alle sinfonie ed
ai cori, ma si applaude ancora agli artisti che da soli cantano o
suonano con rara perizia. Che se pure non in una sola, ma in pa
recchie virtù giungerai a vincere la madre tua, ella non piglierà il
broncio per ciò, ma gioirà, perchè ciò sarà stato alla fin fine opera
suk. A chi devi l'educazione ? a chi i buoni principi, avvalorati da
72 LILIA FUNDANA

ottimi esempi ? Ma, mentre noi discorriamo della grande perfezione


ch'è necessaria per essere i primi nel proprio paese , oh quanti e
quante, se interrogassero la loro coscienza, e se la coscienza rispon
desse loro sincera, ne avrebbero per risposta che sono gli ultimi !
Non par vero, ma è così : appena uno può dirsi il primo, e moltis
simi invece possono essere gli ultimi. Questi non gareggiano per es
sere tali, perocchè nessuno osa rivendicare apertamente a sè stesso
un così triste primato. Se non che, fra tante donne illustri e fra
tante eroine, qui, non è permesso occuparci di gente malnata, anzi
di gente non mai nata al bene. Guarda piuttosto quell'altra Sulpicia
che le sta vicina, nel quadro a destra .
Ma, papà, quella è una serval Si vede subito alle vesti. E poi
che fa ella tra que'dirupi stendendo le braccia, al primo scorgere da
lunge un uomo ?
Ha le vesti di servente, ma è ricchissima matrona. È la mo
glie di Lentulo Truscelione, proscritto da'triumviri. Ella ha eluso la
vigilanza delle guardie postele intorno da' suoi parenti, e indossò
quelle povere vesti. Superando stenti e pericoli, è venuta a raggiun
gere lo sconsolato marito e a dividere con lui l'esilio, i rischi , la
povertà e il dolore. Eppure ella poteva starsene nel suo palagio, in
vita riposata e piena di delizie (1) !
Padre, chi sono quei due giacenti in uno stesso bagno ? Fra i
leggieri vapori dell'acqua vi scorgo un uomo ed una donna. E che
bagno è che ha colore di sangue ?
Quella donna egregia è Pompea Paolina, moglie di Lucio Anneo
Seneca, precettore di Nerone; ed ella è ben più grande di Sulpizia,
moglie di Truscelione; e ciò valga a confermare quanto ti ho detto
poc'anzi, che non havvi umana virtù che non possa venir superata,
Tu sai di Nerone quant'era scellerato e crudele. Mandare a morte
il suo buon precettore fu per lui, che gavazzava nelle nefandezze e
nelle scelleraggini, un giuoco, un passatempo. Spedi un centurione
a Seneca, e, col pretesto che questo buon filosofo avesse avuto parte
alla congiurazione pisoniana, che non era vero, gli ordinò di togliersi
presto la vita. Allora tali ordini si davano impunemente, e con pron

(1) Il Boccaccio : - Veramente tal giudicio d'una generosa mente, che piut.
tosto ha odore di grand’uomo che di donna. Non è sempre tempo da risplendere
in oro e in gemme: non sempre da compiacere agli appetiti : non sempre da
fuggire l'estivo sole nè le piogge del verno; non è sempre da star nelle ca
mere nè sempre da aversi rispetto, ma co' mariti , secondo le occasioni , da
pigliar le fatiche, seguir gli esili, patir povertà, sopportare con forte animo i
pericoli. Questa è la milizia che s'appartiene alle mogli , queste sono le guerre,
queste le vittorie ; e i chiari trionfi delle vittorie sono aver vinto con costanza
e pudicamente le delizie e ozio , e con onestà le famigliari doglien .
LILIA FUNDANA 73
tezza erano obbediti; perchè il principe aveva per sè migliaja e mi
gliaja di satelliti, e i cittadini, sospettosi gli uni degli altri, nel co
mune pericolo non sapevano nè osavano far causa comune. E poi,
quando al tiranno sfuggiva la vittima , e' vendicavasi coi figliuoli e
co' parenti del condannato ; laddove obbedendo non si schiantava
la casa. Seneca, per amor alla moglie e per tedio della vita servile
non cercò di sottrarsi all'iniquo comando ; e, apprestata una gran
vasca di acqua tepida, segatesi le vene, vi si immerse , aspettando
tranquillo la morte. Anzi nella lunga agonia e' filosofava; ed uscendo
dalla spoglia mortale, il suo spirito ragionava della virtù e delle ve
rità eterne. La moglie non fu intorno a lui con lagrime e con la
menti , nè lo infastidi con inutili conforti, di cui egli , filosofo, non
2 >

aveva bisogno; ma spinta da amore castissimo, volle essergli fedele


compagna nella morte com'eragli stata nella vita. Vedila , è entrata
nella vasca ; ma osservi tu, là nel fondo, il centurione che rientra ?
Gli è ordinato da Nerone di salvare Pompea , non per pietà che
abbia di lei, ma perchè gli cuoce s'abbia aa dire che quella innocente
volle dividere la sorte del condannato e con tal solenne e sublime
testimonianza dimostrare la iniquità della sentenza. Perocchè nes
suno s'interessa in siffatta maniera d'un colpevole ; nessuno per un
reo e con un reo vorrebbe incontrare la morte. A prodigiosi entu
siasmi trae la virtù, non la colpa. Nerone era tiranno , ma anche i
tiranni hanno bisogno di colorire le loro crudeltà col nome di giu
stizie severe ed imparziali: queste incutono timore, ma quelle appor
tano odio.
- È ben feroce quella donna, ch'io veggo dipinta in quest'altra
-

tela! Donna la mostra la capigliatura ondeggiante sulle spalle e le


delicate fattezze ; ma all'ira, al furore direbbesi un'erinni, una fu
ria (1) . Perchè mena a tondo la spada ? perchè incrudelisce contro i
fuggiaschi ? con che cuore calpesta i caduti ?
Costei fu moglie di Lucio Vitellio, fratello d'Aulo, imperator
dei Romani. Tra i Vitelliani :e i Flaviani sai bene ch'era dura e fe
roce guerra ; Lucio Vitellio, assai valente in armi, militava pei primi.
Saputo da spie che Terracina era mal guardata e che i difensori non
usavano scolte e attendevano ai piaceri più che ad altro , a notte >

scura vi fece impeto co'suoi e di quelli fe’strage. Li vedi nel quadro,


quali disarmati e correnti per pigliar l'arme, quali sbatacchiati dai
sopravegnenti nemici, quali sbalorditi dal bujo , dalle grida e dalle
trombe nemiche, la maggior parte stretti dall'improvvisa paura, che
(1) Secondo la mitologia, le farie, dette anche eumenidi od erinni , sono le
dee del furore , che si chiamano Aletto, Tisifone e Megera . Per metafora di
consi íurie anche le passioni, che precipitano l'uomo in tutte le scelleratezze.
74 LILIA FUNDANA

si gittano a scavezzacollo alle navi, ma quivi pure è il terrore e lo


scompiglio medesimo (1 )'. Pochi osano far testa , e in mezzo ad essi
sono Triaria e Vitellio ; Triaria, che ha seguito in armi il marito, e teme
della sua audacia, e colla propria e maggiore audacia vuol fargli
schermo. Più che l'animosa e naturale sua fierezza la fa crudele
l'amore verso il marito ; e tale amore converte in virtù ed in gloria
quella crudeltà che per sè stessa giudicherebbesi colpa e vergogna .
Doloroso a dirsi ! sono Romani contro Romani ; ma ella è moglie :
questa non solo è la sua giustificazione, ma eziandio la sua lode.
Comprendo, o padre, che grandi e sublimi sono i doveri d'una
moglie ; ma a che fine, a che prò mi hai mostrato e spiegato non
altro che tele rappresentanti mogli illustri ?
Perchè, o Lilia ? Il perchè lo udrai stasera , quando fra molti
amici e frequentatori di casa nostra te ne additerò uno, e quell'uno ,
quel modesto giovane, abbasserà gli occhi arrossendo, incontrandosi
ne'tuoi.

XVII.

Il giorno degli sponsali è già stabilito : la giovanetta Lilia è fidan


zata ad uno de' più compiti cavalieri di Roma. Giovane, bello, nobile,
ricco, d'ottimi costumi e di svegliato ingegno , e’la renderà felice.
Ricchissima dote gli porta la donzella, ma, ciò ch'è più, un'educa
zione sceltissima e il fermo proposito di emulare in virtù le più il
lustri donne. A questo attesero sempre i suoi genitori , a questo le
lezioni e gli esempi loro.
Prepari Imene le sue ghirlande di rose e le sue faci (2).
Ma se le ghirlande di rose dovessero convertirsi in corone di ci
presso e le faci in tede mortuarie ?
Non par che di ciò possa temersi : Lilia è allegra , anzi più vivace
del solito, e, domandata e ridomandata , affermasi e protestasi lietis
sima della volontà del padre.
E non può essere altrimenti.
Infatti, perchè Minucio consente darle marito ? Perchè Minucio
annui tosto alla richiesta della sua mano ?
Perchè l'ama, perchè la vuol felice, perchè pensa a'giorni in cui
egli non sarà più, e in cui la figliuola avrà bisogno di una sicura
guida e d’un affettuoso compagno .
Gli sanguinerà il cuore nello staccarsi da lei, tremerà nello affi
darla alle cure d'un altro ; ma è una necessità a cui presto o tardi
conviene pur che si rassegni.

(1 ) Tacito, libro III delle Storie, cap. LXXVII e LXXVIII.


(2) Imene, dio che, secondo la mitologia, presiedeva alle nozze .
LILIA FUNDANA 75
Il buon padre alla futura felicità della figlia sacrifica intanto la
propria . E come la figlia non gli sarebbe grata ?

XVIII.

Ella è grata al padre, ma ne soffre anco assai, pensando che dovrà


abbandonarlo tra breve, e tra breve togliersi a quelle care abitudini
ed affezioni nelle quali fu allevata e cresciuta. E perchè ? Per darsi
ad un affetto nuovo, che non è nato in lei, ma che le fu dall'au
torità e dalla ragione altrui consigliato. I due giovani non si sono
veduti mai, non si hanno parlato, non si sono compresi col linguaggio
eloquente degli occhi ; l'amore non è entrato, come suole , per, sor
presa in ambedue i cuori, ma, entrato nell'uno, s'è presentato come
protettore e come padrone a quello dell'altro. Il fidanzato sarà gio
vane egregio, ma le è indifferente ; e doversi stringere a lui per tutta
la vita e fargli il sacrificio di ciò ch'ella ha di più carol In questo
scambio d'affetti le par di scapitare.
È vero ch'ella avrà un tenero amico, una fedele guida, un valido
sostegno quando il padre non sarà più; ma è appunto quest'idea,
che il padre presto o tardi finirà la sua mortale carriera e l'abban
donerà per sempre, che crudelmente l'affligge.
La sua felicità avvenire ?
Ma questa non va scompagnata da quell'altra idea luttuosissima ;
ma questa felicità avvenire, se non distrugge affatto, certo dimezza
la sua felicità presente.
Nelle stesse condizioni d'animo abbiamo veduto il padre , ed ora
troviamo la figlia .
XIX.

Un'altra fanciulla alla inaspettata proposta d'uno sposo giovane


ed elegante avrebbe esultato di gioja ed affrettato col desiderio il mo
mento di porgergli la destra. Vesti, monili, veli, corone ed altri mu
liebri ornamenti avrebbero subito occupato la sua mente ; ed in
mezzo al tumulto di queste idee, appena un pensiero, non bene di
stinto e difinito, d'un legame duraturo per tutta la vita. Ella avrebbe
pensato più alle gioje che, come festoni di fiori, fregiano e profumano
l'entrata del nuovo stato, che non ai seri e gravi doveri che dentro
l'aspettano.
Ma in quella vece Lilia è tutta preoccupata di questi.
Ella ha letto e riletto il libriccino che scrisse Minucio intorno alle
eccellenti qualità di Manilia, e spesso lo medita , e continuamente
volge in pensiero quegli splendidi esempi di virtù conjugale che le
76 LILIA FUNDANA
furono mostrati dal genitore. Essi non le pajono ora così facili ad
essere imitati. Dopo essere stata ottima figlia, nella sua modestia ella
teme e si domanda con ansiosa incertezza : E potrò essere io ot
tima sposa ?
XX .

Questa paura di non poter adempiere con lode agli obblighi che
le saranno imposti dal nuovo stato questa quasi sfiducia di sè me
desima non sono effetto soltanto della sua modestia e riflessione.
-
Porta con te il santo tesoro delle tue virtù, ed esse ti faranno
buona sposa e buona madre, come ti hanno fatto buona figliuola ;
-
cosi qualche volta le dice una voce interna per rialzarle lo
spirito.
Perchè le virtù sono come l'oro , e a diversi valori possono per
così dire , esser coniate.
Ma Lilia non sa dare ascolto a quella voce e non può seguirla.
Non è sanato in lei il profondo dolore della perdita della genitrice,
non sono rimarginate ancora le ferite aperte nel suo cuore dalle
sofferenze durate dal padre. Ella lo occultò a tutti', ma quelle pene
si riflessero in lei : ella pati ne'patimenti de'suoi genitori ; oltrechè
le istancabili e affannate sue cure durante la loro malattia le logo
rarono la salute. Un sottil malore s'impossesso delle delicate sue
membra; esso serpeggia e lentamente le strugge : le rose dalle guancie
di Lilia sono già sparite.
Avresti detto che la morte si vendicasse di quelle cure, che le
disputavano la doppia preda, e che, mentre la fanciulla versava ge
nerosa il balsamo del proprio affetto per supplire a quel tanto di vita
che veniva sottratto a'suoi genitori, morte stizzita le gittasse in seno
i velenosi semi della distruzione.
Minucio non se ne accorge ancora, Minucio che ad eccessiva sen
sibilità attribuisce la pallidezza di lei; ma Lilia è gravemente malata .
XXI .

Nulla manchi; - dice Minucio al suo maggiordomo - di quanto


.

ho ordinato, e fate premura al giojelliere ed a'mercatanti, affinché non


indugino a mandare le altre gemme, perle e stoffe che ho scelte per
Lilia. E sono stati mandati a tempo gli inviti per domani ?
Si, o signore ; in Roma sino da jeri , e da più giorni a Poz
zuoli , a Baja, a Sorrento ed ovunque ci avete indicato essere pa
renti ed amici di casa vostra.
Siete stati da Plinio Secondo ?
· Appunto, o signore ; e mi parve persona di tal considerazione
LILIA FUNDANA 77

da essere invitato tra i primi e non dall' ultimo de' vostri servi: perciò
mi recai io stesso da lui jeri mattina.
V'ha detto che verrebbe ?
- Me n'ha dato grandi speranze. All'udire degli sponsali e' si
rallegrò assai: perchè egli stima ed ammira grandemente la figliuola
vostra. Disse ch'ella si meritava un Marco Tullio Cicerone, ma che
gli uomini di lettere non pajono destinati a cosi gran fortuna.
Ha veduto la figliuola i primi doni ?
– Si, ma ciò che parve piacerle più , fa quel semplice qua
dretto in cui voi stesso di vostro pugno avete scritto alcune sen
tenze morali.
Ne lesse nulla ?
Si, e al primo verso che dice : Donna buona vale una corona,
parve che la sua faccia pallida si trasfigurasse e colorisse : la com
piacenza dell'animo le si versava fuori per gli occhi scintillanti: ma
durò breve momento , perchè, come si pentisse di quella compiacenza
e si correggesse, si fece seria con se stessa.
Ella è modesta all'eccesso, com'era sua madre; e, cosa singo
lare, direbbesi trovarsi in lei due persone : l'una gentile ch'esercita
la virtù ; l'altra rigida, che la sorveglia. Tali donne non hanno bi
sogno de' riguardi umani per esser virtuose .
Fortunatissimo l'uomo a cui si associerà tanta virtù !
Oh sì, fortunatissimo luil ma egli seppe badare al proverbio,
che dice : Di buona terra to'la vigna, di buona madre to’la figlia.
XXII.

Oh non sarà nulla, non sarà nulla, o padre; sono deliquî che
mi capitano sovente, ma passeggieri. Non te n'ho avvertito mai, ap
punto perchè non sogliono lasciarmi nessuna grave conseguenza : il
calore della sala, i troppo acuti profumi dei fiori e il molto frastuono
spiegano benissimo questa mia improvvisa indisposizione. Perchè mi
avete posta a giacere ? Da qui a poche ore vedrai come starò bene
e come sarò allegra !
- Per troppo affetto , o figliuola , m'inganneresti tu ? Starestu cosi
bene, come dicevi della madre tua ?
E come la madre deve star bene ! Non m'hai tu detto che
a'buoni è riserbata in un mondo migliore altissima ricompensa ? Oh
come desidererei vedere la madre mia , che brillerà di vivissima luce
in que'luoghi, ove è un sole eterno ed ove le stelle servono di ghir
landa agli spiriti beati ! Ma no, le stelle sono altri mondi, di materia
peritura come il nostro ; mentre la luce che cinge quelle anime deve
78 LILIA FUNDANA
essere, come i loro spiriti, eterna. Padre, io sono curiosa di vedere
da me stessa quelle beatitudini ; e, quand' io giungerò là con in testa
la mia corona di bianche rose, vo'correre per quei giardini, e mi .
rare, que'fiori e confrontarli con quelli, di cui sarò inghirlaudata.
Dammi quà quella corona. Ahl deve servire per gli sponsali di do
mani ! Ma non vedi come il corpicino di ognuno di questi esseri
affretta ad esalare l'anima sua in effluvî, come ella gli facesse fretta
di lasciarla uscire ? E dove andranno tutti questi dolci odori che si
sperdono ? e dove la vivezza e la freschezza di questi colori che in
breve ora sparisce ? Si sollevano essi a tingerci, a profumarci, a rin
frescarci gli spazi eterni ? Io non sarò già egoista, o padre ; e, finchè
starai qui abbasso, non mancherò di venire di tratto in tratto a sa
lutarti per me e per la mamma9, ed a portarti novelle della nostra
beatitudine. Io t'avvezzerò alle gioje de'celesti, ti farò pregustare
quella vita, primachè tu ci arrivi.... Dammi , o padre , la tua mano ;
mi par già di mettermi in cammino.... Che strade di luce.... che lunga
fila di spiriti celesti!
La destra di Minucio è nella destra di Lilia, ed ella , appressan
dosela al cuore, ricade svenuta.
XXIII.

Al ritornarle dei sensi, Lilia gira gli occhi intorno, e vede padre,
sorelle e parenti intorno al suo letto tutti lagrimosi.
Che è ciò, papà ? -- gli dice. - Perchè piangi ? Mi sono io lagnata ,
t'ho detto io mai di star male ? Se lo credi, dove è il tuo coraggio ?
e perchè il tuo coraggio è minore di quello di tua figlia ? Ma io sto
bene ; molto bene ; credi a me : anzi dopo questo breve riposo mi
sento tutta ristorata. Non so se mi troverò spesso cosi bene come
adesso : anzi, se tu volessi darmi retta, non dovresti lasciar passare
quest'occasione per farmi fare quel ritratto di cui mi hai parlato
tante volte. Se mai la morte venisse per staccarmi da te, venuta per
una, troverà due Lilie, una delle quali che non si può rubare, e che
rende esattamente la prima, ed anzi aggiunge ai pochi pregi di lei
i molti dell'artel Alla peggio ; non mi prenderesti tutta intera ; e poi
m'avresti sempre giovane e sempre buona....
Lilia fa forza sè stessa ; nel suo dolore s'affatica e si spossa a
trovar argomenti da lenire quello del padre.
XXIV.

Cosi sta bene ; un po'di sorriso aggiungerà molto alla mia fi


sonomia : perchè non vo'che il padre, guardandomi, abbia per la mia
LILIA FUNDANA 79
tristezza cagione d' essere malinconioso . Non è vero, o papà, che sono
stata finora anche troppo seria ? Quando verrai a vedermi non pian
gerai, o papà; non è vero ? Che contraddizione non sarebbe mai
quella, che, mentre io rido, tu piangessi ? Il mio sorriso è il saluto di
chi si trova bene e di chi vuol bene. Un po'di sorriso dunque , o
pittore.... Bravo, bravissimo I qui ci sono proprio io. Ma qui poi mi
fate troppo bella.... Papà, quest'uomo lavora d'incanto, e di un me
diocrissimo originale sa fare una bellissima copia. Oh quanto io sarei
felice, o papà, se tu collocassi questo ritratto vicino a quello della
madre mia !
Ardua era l'impresa di quel pittore : egli doveva arrestare , per
così dire , col suo pennello un raggio di luce fuggente, indovinare
quasi l'argenteo disco della luna mentre fra le nubi - si cela. Erano
appena da lui veduti i lineamenti e le tinte della fanciulla che, men
tre egli accingevasi a riportarli sulla tela, si decomponevano, spari
vano per sempre. V'era una gara tra la morte e l'arte : chè l'una
s'affrettava a distruggere e l'altra a riprodurre una delle più belle
opere della natura. E la figura di Lilia , pontando coi gomiti sul
letto, stava intanto immobile, pareva quasi insensibile ai dolori fisici
e morali che la sfacevano, e sempre colle labbra composte a un sor
riso e cogli occhi rivolti dolcemente al padre struggevasi amando e
mandando raggi d'amore.

XXV.
1

- Carissime sorelle, e voi affettuose amiche , non v'affliggete ; è


legge di natura che ciò che nasce muoja. Fu breve il mio cammino,
ma consolato dall'affetto della genitrice e del padre. Esigere una più
lunga vita sarebbe lo stesso che pretendere una continua felicità ; il
che non è concesso agli umani. La madre ed il genitore m'amarono
teneramente ; ecco le mie gioje, che non sono cessate neppur oggi.
Non v' hanno gioje maggiori di quelle che nascono dall'affetto dei
propri cari. Ora vado a ricongiungermi alla madre, e ricomincerà
quello scambio di affetti che la sua morte avea interrotti. Lascio in
terra il padre, ma la sua tenerezza avrà le ali fino a giungere lassù,
e la mia fino a ritornare a lui. Chi pensa di viver sempre , vive
male ; ma io non l'ebbi questo stolto pensiero; e perciò m'affrettai
ad ogni opera buona, per avere quella somma letizia che scaturisce
dall'esercizio delle virtù . Ecco come io raddoppiai, moltiplicai le mie
gioje. Me dunque non compiangete, ma piuttosto dirizzate tutte le
vostre cure pietose e concentrate tutti i vostri affetti nell' uomo im
pareggiabile che a noi, o sorelle, fu padre, ed a voi, o amiche, be
80 LILIA FUNDANA

nefattore. Egli non ha più sposa, egli non avrà tra breve più figlia :
non gli restate che voi. Consolatelo nel suo dolore, e tale e tanto sia
il vostro affetto che, non soltanto lo compensi largamente della per
dita di me , povera fanciulla , ma gli faccia eziandio parer meno
grave quella della sempre lagrimata consorte. Io mi ci ero provata,
io, ma non ci sono riuscita ; voi, migliori di me, l'otterrete. Padre,
ricordami alle mie piccole amiche, e di' loro che fui sempre obbe
diente, rispettosa ed amante del lavoro e dello studio : così almeno
la mia vita sarà stata di qualche utilità a' piccoli fanciulli.
Al giovane, che m'avevi destinata in isposa , dirai.... Oh ! non dirgli
nulla.... se m'ama; non dirgli nulla di quel po'di buono che ho po
tuto avere in me stessa.... perchè ne sarebbe più desolato. Digli piut
tosto che quel giorno che mi sono promessa a lui , ho tremato pen
sando alla mia insufficienza ed ai gravi doveri dello stato in cui
ero per entrare. Oh padre , la tela della mia vita rimane incom
piuta ; io non potei tesservi tutte quelle virtù che avrei voluto ; monda,
ma troppo semplice fu la veste dell'anima mia ; e, quando mi pre
senterò alla madre, che si parti di quaggiù rivestita delle più belle
qualità, ella forse non mi riconoscerà neppure. La tua benedizione,
o padre, perchè a questo segno ella mi riconosca come figliuola. E
tu che la invochi continuamente, tu le parla per me e dille che non
mi è mancata mai l'operosa volontà di esser migliore. E se glielo
dici, ella mi verrà incontro, mi abbraccerà e mi bacerà , e quegli
amplessi e quei baci mi purificheranno dell'ultima polve terrena.
Oh la madre tua non ha bisogno, o figliuola, delle mie parole
per conoscere tutta la bontà del tuo animo; ma non dirmi che tu
morrai. Questa parola è coltello acuto al mio cuore ; non dirla ! No,
non morrai ; non sei no condannata a sparire per sempre, ma dopo
questa crisi, dopo questa notte di dolore, come fa il sole e come fa
la stella della sera , ti mostrerai più bella , più vivida, più lucente .
Non è mortale la tua malattia ; l'arte medica me l'ha fatto sperare;
ti ristabilirai in salute, raddoppierai la mia gioja, la mia felicità .
.

Se lo vuoi tu, o padre, anch'io lo voglio; il pensiero di restar


teco oh quanto m'è dolce ! Ma, se è pur lontana la mia ultima ora,
perchè mai stommi qui senza fare un po' di bene ? Perchè interrompo
la vita dell'anima col pretesto di non essere ben certa che sia per
continuare in me quella del corpo ? In questi giorni ho troppo pen
sato a me sola, e in ciò il minacciar della morte mi fu veramente
fatale, perocchè mi distrasse dalle consuete opere pie. Ma, sia ch'io
rimanga in vita o n'esca, sarà sempre bello che m'accompagnino o
mi circondino le benedizioni de' miei simili. Padre, ti raccomando la
buona donna che, piuttosto che serva, mi fu sorella ; non lasciarla
LILIA FUNDANA 81
in braccio alla miseria pericolosa ; ella m'ha vegliato queste ultime
notti, tu veglia sempre su lei.
Lilia spendeva l'ultima ora della sua vita in beneficenze.
Così verso sera un gentile augello, ritraendosi in riposo, par quasi
non senta la stanchezza di tutta la calda giornata, ma volteggia al
quanto sopra l'abitato , per deliziare lo spossato viandante co'suoi
armoniosi addio, con un ultimo canto.
.

XXVI .
« Ella visse come il giglio, il garofano, la rosa, dilettosi a vedere
e pieni di fragranza ; gli áliti buoni della sua anima erano i suoi splen
didi ornamenti, e, dopo estinta, passò il buon odore delle sue virtù
in altre anime che trassero gli esempi da lei. Non evaporò il suo
profumo; fu conservato, come quello dei fiori,> in boccette di cristallo
finissimo e d'oro lavorato. Oh Manilia, Manilia, possa l’olezzo delle
tue virtù serbarsi a lungo nell'elegante anima della mia Lilia ! »
Al capezzale della morente sta la fedel bália, leggendole, come ella
ha desiderato, qualche pagina della vita di Manilia.
Il padre si scioglie in lagrime, perchè quella lettura gli esulcera
la recente ferita e gli riapre l'antica.
« Ella trapassò, ella si separò da me, quando io sperava rivederla
risanata, e gli spiriti eterni che l'accompagnavano lassù rattennero
i canti perchè io non mi destassi dalla mia illusione. Quel bacio che
tu mi recavi, o Lilia, in quel dì che ti sforzasti d' essere più lieta del
solito, era il suo ultimo addio ! »
Rialzando lentamente la testa e rianimando d'un tratto gli occhi,
Lilia, stesa la mano, cercò quella del padre suo, e la strinse e se
l'avvicinò al cuore. E , poi, con uno sforzo supremo : Un bacio
disse o padre, un bacio, ch'io riporto alla madre mia !
E fu l'ultima parola, l'ultimo bacio !
XXVII.
Nel meditare la vita di Lilia Fundana ho dovuto dire a me stesso
che non è infelice la condizione della rosa , che vive un sol mat
tino, nè quella dell'usignuolo , di cui sono contate le primavere ,
nè quella dell'incenso, che vive morendo ; poichè tutte queste cose
1
hanno allargata e diffusa al di fuori di sè medesime. l'esistenza
propria.
La brevità della vita ha il suo complemento e la sua compensa
zione nel bene ch'essa ha fatto e nella cara memoria che di sè
lascia. È una voce ripercossa , che due volte risuona . Chi visse
più , il ricco, sia egli pure avaro od epulone , che senza curarsi di
6
BERLAN. Le fanciulle celebri.
82 LILIA FUNDANA

altro o di altri, giunse a vecchiaja increscioso altrui, e poi, rimbam


bito, fu messo sotterra, e con lui il suo nome ; oppure quel giova
netto, o quella giovinetta, che di pochi anni come Lilia , si spense,
ma per le sue rare virtù viene poi celebrata per anni ed anni senza
numero ?

Autori consultati : Bandini , Fréville, Parayia, Plinio Secondo, ecc.

INTORNO A LILIA FUNDANA . LETTERA DI PLINIO SECONDO (1)


A Marcellino .

Ti scrivo angustiatissimo. La figlia minore del nostro Fundano è


morta ; fanciulla della quale io non aveva veduta la più carezzevole,
la più amabile e degna, non che di più lunga vita , quasi dell'im
mortalità. Non aveva per anco compiuti i quattordici anni , e già
era fornita di senile prudenza , di matronale gravità (2) ; nè però
era priva della fanciullesca soavità, congiunta al pudore virginale.
Come serravasi al collo del padre ! Con quale amabilità e modestia
abbracciava noi, amici paternil quanto amore alle nutrici, a' pedago
ghi (3), a'maestri, ad ognuno secondo suo stato ! Con che attenzione,
con quanta intelligenza leggeva ! come poco e con riserbo giocava !
Con che rassegnazione, con che pazienza e costanza ancora sopportò
l'ultima malattia. Obbediva a'medici , facea coraggio alla sorella ,
( 1 ) Le lettere di Plinio il giovane tradotte da Giuseppe Bandini , lib . V, lett. 16.
(2) Secondo le leggi romane , le zitelle potean passare a marito di dodici
anni ; e, per istituzione di Augusto , esser promesse spose a dieci . Questa, pros
sima a compiere i quattordici, era già matura , e non è meraviglia che comin
ciasse ad ostentare il contegno malronale. BANDINI .
(3) I pedagoghi erano di condizione servile, come le nutrici : ma nelle donne
di servil condizione lo sviluppo dell'intelletto non era menomamente curato ;
per cui era d'uopo servirsi degli uomini in tutto quello che eccedeva il ser
vigio puramente personale. BANDINI .
Dei pedagoghi degli antichi, cioè della loro scelta , ufizi, autorità e ripu
tazione , ha dottamente ragionato Gianjacopo Coleti in una sua dissertazione
che sta nel tomo sesto della Raccolta ferrarese di opuscoli, f. 97 e segg. In
fine di essa egli discorre dei pedagoghi delle fanciulle, i quali non erano altro
che custodi del pudore delle donzelle , siccome quel Menete di cui parla Sta
zio : Virginei custos pudoris. PARAVIA ,
LILIA FUNDANA 83
al padre, e sè medesima, già venuta meno delle forze fisiche, so
stentava col vigore dell'animo. Ed il mantenne fino all'estremo ;
nè glielo ha infievolito o lunghezza d'infermità o temenza di morte;
affine di lasciare a noi più numerose e gravi le cagioni del desi
derio e del dolore. O funesta e troppo immatura morte ! Oh tempo
di morte più crudele della morte stessa ! Era già destinata sposa
ad un egregio garzone >, già fissato il di delle nozze , già eravamo
invitati. Quel giubilo in qual lutto cambiato ! Non posso esprimerti
a parole la trafitta ch'ebbi al cuore, quando sentii lo stesso Fun
dano (trovatore com'è il cuore di nuove guise di lutto ) ordinare
che tutto quanto era assegnato per vesti, giojelli, gemme, si spen
desse in incensi, balsami, profumi. Egli è bensi uom dotto e sapiente,
come quegli che fino dalla prima età applicò alle scienze e alle
arti più nobili ; ma ora ha a schifo tutto ciò che tante volte udi ,
tante lesse ; e, poste da un canto l'altre virtù , s'è abbandonato in
teramente alla pietà. Gli perdonerai, ne 'l loderai eziandio, se porrai
mente a quello che ha perduto. Ed ha perduto una figlia che non
solo ritraeva i costumi di lui, ma l'aspetto e le sembianze, tal che
pareva tutto il padre. Il perchè, se intorno a cosi giusta pena vor
rai scrivergli, bada a usar conforti non in certa guisa riprensivi
è troppo austeri, ma dolci ed umani. E , perchè gli conferiscano ,
gioverà lasciar correre un po' di tempo. Imperciocchè , siccome la
ferita ch'è fresca paventa la mano del medico , indi la tollera e la
richiede pur anche , cosi la recente afflizione sdegna e rifugge le
consolazioni , poscia le brama , e , se sono pôrte con dolcezza , si
calma (1) . Sta sano .

(1) Cajo Minucio Fandano, quel medesimo a cui è indirizzata la lettera nona
del libro I, fu console non già nell'anno 804, come scrisse il Panvinio, ma nel
l'anno 855 (di G. C. 102) come ritiene il Tillemont, e come ha provato con un
marmo sincero ed autentico dello Smezio, e molto più coi Fasti delle ferie la
tine il Marini ( Fr. Ary . 129 , 14 ?) . Vedi il dotto Labus (Di una epigrafe an
tica, ecc., f. 24), il quale fa bresciano questo Fundano, e lo chiama Minicio,
è non già Minucio, come reca il testo . PARAVIA.
MARCILLA EUFROSINE .
(Nata in Roma l'anno 116 di Cristo ).

I.

Marcilla Eufrosine è una bella, allegra e coltissima ragazza , ma


ha un difetto che guasta tutti i suoi pregi.
Figlia ad Apollodoro, grande architetto e scaltore dei tempi di
Trajano e di Adriano, ella ha imparato dal padre non solo l'arte ,
ma eziandio a censurare gli artisti.
In tutto e in tutti ella trova difetti; non la ammonisce il padre,
ma la seconda.
Lo fa con tanta grazia e coglie così giusto, - dice Apollodoro
che davvero me ne compiaccio io stesso . Correggerla , ammonirla ?
ma siete pazzi ? Perchè mi toglierei un piacere cosi raro di udire
la verità, e da così bella bocca 9 La mia ragazza critica perchè sa,
e perchè alla fin fine l'arte paterna egregiamente trattata la fa in
dipendente da tutti.
Ed appunto perchè ella è tanto bella e tanto brava, anche gli ar
tisti le perdonano le sue pungenti vivacità, e sono essi che l'hanno
chiamata Eufrosine, ch'è il nome di una delle tre Grazie (1 ).
E se hanno a dipingere od a scolpire una Flora, una Diana, una
Venere, una Pallade, o qualunque delle dee celebri per bellezza, pre
feriscono lei come modello fra tutte le fanciulle.
Bisogna dunque rassegnarsi alla critica del nume, anche se è ca
pricciosetto e dispettosuzzo ; perocchè egli si presta gentilmente a
far nascere, a rivelare, per dir cosi, l'idea più pura e più perfetta
del bello.

( 1) Dicono i mitologi che le Grazie (dette in greco Charites, da charis, gal.


dio ),dee della bellezza, erano figliuole di Giove e d'Autonoe o di Eurinome ;
secondo altri, di Bacco e Venere. Oltre al presiedere ad ogni cosa bella o
leggiadra, sopraintendevano anche alla beneficenza, perchè il beneficio debe
b ' esser fatto in bel modo e con lieta ciera. Ed erano tre : Aglaja , che vuol
dire luce, splendore ; Talia, che significa germoglio, ramo verdeggiante, quindi
freschezza, giovanezza ; ed Eufrosine, che suona letizia. Talora per Aglaja e
Tolia leggesi anche Egiale e Pasitea. Si mostravano di lieto e leggiadro sem
biante ed abbracciate insieme .
MARCILLA EUFROSINE 85
Un po' di pazienza con un bel visino; si soffre pur tanto da certi
brutti ceffi d'aristarchi e di padroni, e si soffre perché hanno po
tenza e quattrini!
II.

Ma non tutte le celie di Marcilla ricadono sugli artisti di Roma ,


i quali, del resto, sanno ricattarsi alla loro volta sopra di altri, se
guendo l'ordinario e triste lor vezzo di lacerarsi a vicenda.
I numi sono superiori anche ai re ed agli imperatori. Quindi Mar
cilla , avvezza a rappresentare le divinità maggiori, più di qualche
volta dimenticasi e illudesi fino a segno di credersi la superba Giu
none e di poter impunemente scoccare epigrammi all'indirizzo dei
Giovi della terra .
Ella dice a Momo, dio del riso e della maldicenza :
Oh ! deve venire quel giorno, caro vecchietto >, che rideremo
insieme alla barba di quella nostra vecchia conoscenza , ch'è Adriano .
Egli fu il primo imperatore che introdusse la moda di portar la
barba (1) , ma noi fra un pelo e l'altro gli troveremo i porri a
grande studio celati.
Ill.

Perchè Eufrosine se la piglia con Adriano ?


Non protegge egli le arti, non è letterato ed artista , anzi gran
>

letterato ed artista egli stesso ?


Adagio con questi elogi, vi risponderebbero Eufrosine ed Apol
lodoro. Ma sapete voi a quale condizione egli protegga le arti ? Ei
le protegge perchè gli artisti cantino in coro l'alta eccellenza de'
suoi lavori e lo mettano sopra Apelle e sopra Policleto. Egli è la
perfezione incarnata, ma la carne, dice Eufrosine, è di bufalo .
Adriano protegge le lettere, ma a patto che i letterati gli accor
dino che Ennio val più di Virgilio, Antimaco più d'Omero (2), Celio
più di Sallustio : a patto che trovino . maravigliosi per eleganza di
stile, per proprietà di lingua e per veracità i fasti ch'egli scrive di
sè medesimo e poi dà fuori sotto il nome de' suoi liberti. Adriano
protegge i letterati , ma a patto che si abbaruffino tra essi in sua
presenza e sbraitino ee s'acciuffino come le trecche per dargli piacere.
Egli protegge le arti e gli artisti, e in che modo !
Rappresenta cose laide collo scalpello e col pennello , imita, anzi
contraffà le opere della natura, e non cerca le più belle ma pre
( 1 ) Brotier, Appendice cronologica a Tacito, in Trajano , nelle note .
(2) Meditó persino di distruggere i poemi d'Omero. Cantù , Storia univer
sale, vol. VI .
86 MARCILLA EUFROSINE

sceglie le più triviali ; lascia le rose per le zucche , per i cocomeri,


e per i poponi, e, per giunta alla derrata, pieno d'invida malignità ,
va per Roma, anzi per il mondo, in traccia dei più magnifici mo
numenti innalzati da Trajano, e li fa abbattere perchè altri sorgano
in quella vece ordinati da lui.
Se letterati od artisti si permettono di non essere del suo parere,
se non si traggono in disparte e non si fanno piccini piccini da
vanti a lui e non gli accordano spontanei ed unanimi la palma, a
cui in tutte le cose pretende, allora si che l'imperial protettore fa
vedere in che stima e in che favore abbia letterati ed artisti.
Bisogna mandar fuori gli elogi a bocca di fiasco, anzi di barile, e
non a bocca stretta, e lodarlo e portarlo a' sette cieli, quando fa qual
cosa di suo o quando critica l'altrui. Siete voi stesso il criticato ? Che
importa ? dovete ringraziarlo della lezione che vi dà, e riconoscere
pubblicamente il vostro torto e la singolare bontà del suo giudizio.
A che torni il non prostrarsi dinanzi a un tanto oracolo e il non
incensarlo per i suoi responsi, lo sa il filosofo Favorino, a cui non
bastò accettare la condanna di una sua espressione dichiarata im
propria da Adriano , sebbene la si potesse ampiamente giustificare
con esempi molteplici. Piegò Favorino la testa, ma non le ginocchia
e non istrinse il turibolo: ecco la sua colpa.
Bene , bene, egli disse avete ragione, o principe ; non la
userò più. — Ma poi andato dagli amici, cosi gli apostrofo : - Per
chè mai , cari signori , vi lavate la bocca de' fatti miei ? Perchè vi
maravigliate se ho dato ragione ad Adriano ? Vorreste ch'io con
tendessi di sapere con chi ha trenta legioni al suo comando ?
Fu riferito ad Adriano come Favorino facesse gran caso della
sua critica per le sue trenta legioni , e Adriano gliene serbò ine
stinguibil rancore.
Adriano l'ha detto già che tra le poche cose che non capisce ,
questa è una, che Favorino viva.
È meglio l'arte abbandonata e povera , che favoreggiata e pro
tetta a questo modo dai principi e dai potenti.
Perchè, dai tesori spremuti a soldo a soldo, dalle fatiche dei popoli
o dei servi, cavate qualche po' di oro per gittarlo all' arte , credete
voi di avere perciò acquistato il diritto di avvilirla ?
Protettori di simil fatta dovrebbero sapere e ricordarselo , ch'e '
sono come le coppie de' buoi, che portano le offerte e le provvisioni
al tempio. È grande onore rimanere alla porta, fiutare da lunge ik
soave odor degli incensi, ma non si passa il vestibolo, ma non si va
a maculare gli altari , ma non si può unire il proprio muggito al
canto dei sacerdoti .
MARCILLA EUFROSINE 87

IV .

Ma, a dir il vero, c'è un po' di esagerazione nella profonda di


sistima che Apollodoro e Marcilla ostentano dell' imperiale artista.
Noi, tardi posteri, dinanzi a' monumenti che ci rimangono dei tempi
di Adriano, dobbiamo avergli un po' più di rispetto (1).
Se v'ha esagerazione, ciò dimostra che c'è della passione.
E quando la passione si caccia ne' giudizi umani, la verità se ne
fugge. E se questa vi lascia l'odio, figliuolo suo (2), è segno ch'ella
c'è stata .
Per la passione fugge la verità. Assai raro è il caso che lo splen
dore del sole assista al romoreggiare ed allo scrosciar dell'atra
procella.
Se si vuol luce, bisogna allora accontentarsi dei lampi.
V.

E la passione c'è nei due artisti.


Come potrebb' essere altrimenti ?
Ma per convincercene, torniamo un po 'indietro a'tempi di Trajano.
Trajano, grande ristoratore della potenza e della magnificenza ro
mana, stette lungamente perplesso prima di adottare Adriano come
suo successore; ma finalmente non seppe resistere alle sollecitazioni
ed ai maneggi della propria sorella e della moglie , che gli posero
un regolare assedio per ottenere quell'adozione. La sorella dell'im
peratore è sposa di Adriano : ciò spiega i suoi sforzi per farlo grande
e più grande di tutti i Romani. Verrà tempo che il marito le sarà
ingrato e scortese ; ma ora , buona ed ambiziosa , ella non pensa a
ciò. Ma più che le istanze della sorella e della moglie poterono su
Trajano le adulazioni di Adriano, perchè alla fin fine erano adula
zioni d'uomo di conto. Egli mostrò valore nella guerra Dacica, go
vernò bene la Pannonia. E le lodi , dice Pindaro , sono il nettare
degli dei ; dunque una bibita forte e generosa da incoronare gli uo
mini coronati. Ma nelle cose d'arte Trajano non si riporta al gusto
e giudica da sè, e quel che trova bello approva e ricompensa. Apol
lodoro è l'architetto preferito da lui, e Apollodoro ha gittato per or
dine di Trajano un magnifico ponte sul Danubio. Tutti lodano quel
l'opera gigantesca e ne fanno le meraviglie; ma non Adriano che,
( 1) Ed anche come letterato ; perchè si ricordano di lui opere di qualche
pregio. È suppositizio il suo dialogo con Epitteto , pubblicato dal Froben
nel 1551 , in cui , tra massime false, ridicole e triviali, dice C. Cantù , ve n'han
di eccellenti . Che cosa è la pace P . Una libertà tranquilla . Che cosa è
la libertà ? Innocenza e virti .
(2) C'è il proverbio : Veritas odium parit : la verità partorisce odio .
88 MARCILLA EUFROSINE

trovandosi alla presenza dell'imperatore e discorrendone coll'artista,


solleva dubbi sulla solidità sua e ne critica il disegno. Apollodoro ,>
che sa fare squisitamente l'arte sua, che ha vegliato lunghe notti e
sudato assai giorni intorno alle cose che s' appartengono alla sua
professione, udendo colui , che non ha altro esercizio che di dipin
gere cocomeri e poponi , giudicare così cattedraticamente di quel
l'opera, non può frenare il proprio risentimento e, voltosi a Trajano,
esclama : -
Perchè se n'immischia costui ?
Apelle con pari franchezza avea potuto mordere una critica di
Alessandro, ed Alessandro, perchè veramente grande, non offender
sene. Ma Adriano si lascierà egli sfuggire l'opportunità di mostrarsi
ancora più grande di Alessandro, aggiungendo al perdono qualche
atto magnanimo, o non piuttosto coverà lunga pezza il memore sde
gno, aspettando il tempo propizio alla vendetta ?

VI .

Trajano è piuttosto dedito al vino (1) ; nè rechi meraviglia in un


grande imperatore questo vizio volgare. E di che più brutti vizî
non furono macchiati lo stesso Giulio Cesare ed Augusto ,> che pur
s'annoverano tra' grandissimi ?
Adriano, per ottenere la sospirata adozione , adula l'imperatore,
persino ne' vizi , ed a quelli s'abbandona che più a Trajano piac
ciono ; onde s'è fatta una legge di tenergli testa anche a tavola sbe
vazzando.
Nelle frequenti e copiose libagioni Adriano tufferà la sua ragione,
non tutta però, nè mai quel tanto che gli si renda necessario per
non essere sincero. Nel vino la verità , è proverbio che si veri
>

fica appuntino nella gente alla buona, ma non sempre, anzi di rado
nelle persone di grande affare. Quel naufragio della ragione in esse
non è mai completo ; vi sopranuotano , vi si tengono a galla , o vi
trovano sempre qualche palischermo o qualche tavola di salvezza ,
l'idea del proprio interesse , la servilità , la simulazione e le altre arti
cortigianesche .
In uno di quei momenti ne' quali l'imperatore vinse in ebrezza il
suo favorito, è lecito supporre che costui gli strappasseun decreto
ch'esiliò Apollodoro.
E come credere diversamente ?
Nè facciamo troppa ingiuria a Trajano. Perché si ha grande mi
sericordia a' principi, quando dei gravi torti e delle spietate ingiu

( 1 ) Crévier, Storia Romana.


MARCILLA EUFROSINE 89

stizie loro contro la nobile e dignitosa virtù si attribuisce il motivo


a un momento di ebrezza (1 ).

VII.

Finchè Apollodoro stette in esilio attese con gran cura all' edu
cazione artistica di Eufrosine, che alla scuola del padre succhiava
ad un tempo l'amore all'arte e l'odio contro Adriano.
E perchè il padre la vide di prontissimo ingegno , volle che di
venisse eccellente anche nelle lettere.
Arti, lettere e scienze si danno la mano ; si giovano , si comple
tano e si abbelliscono a vicenda.
Per questo le Muse furono imaginate sorelle, vanno unite ed in
trecciano insieme carole.
Eufrosine a dieci anni , dotta nel greco e nel latino , gusta già
Omero e Bione, Virgilio ed Ovidio ; e sa ren der ragione a sè stessa
e ad altrui dei pregi di questi eccellentissimi autori. Ella vi spiega
con perspicace discernimento come siasi da essi ottenuta dove la
forza , dove la soavità del dire , perchè qui convenga sia stata
studiata la brevità, mentre in altro luogo si è voluta ed ottenuta la
magniloquenza ; e perchè questa descrizione sia scadente in con
fronto di quell' altra ; e che cosa manchi a quella figura , a quel
personaggio per produrre in voi quell'effetto ch'era pur nella mente
dell' autore ; in una parola ella vi mostra i traviamenti o i progressi
fatti dall'arte per tener dietro fedele alla natura. A produrre in noi
i tali effetti, la natura si vale di tali mezzi ; e degli stessi mezzi più
o meno si valsero quei grandi per destare in noi la maraviglia , il
piacere, il terrore e simili. E non solamente nella letteratura ella è
saputa, ma anche, come dicemmo, espertissima nelle arti e princi
palmente nell'architettura .
Apollodoro pregia tanto i giudizi di lei che ne' propri lavori non
isdegna consultarla.
Vieni quà, piccolo folletto, – le disse un giorno – dimmi un
po' se ti piace questo prospetto che ho ideato di una scuola pubblica.
-

Oh bello, bellissimo, papà ! ma perchè la porta su cui sta scritto


ingresso è più piccola dell'altra su cui hai messo la parola egresso ?
M'hai pur detto che lo studio non ingrassa....
( 1) Alcuni storici , tra'quali Dione Cassio, o non ricordano l'esilio dato ad
Apollodoro , o lo dicono comandato da Adriano già eletio imperatore. Noi
seguiremo il Fréville, che dice : Piqué jusq'au vif de l'apostrophe trop s in
cère, Adrien ne se donna point de relâche qu'il n'eût faii exiler l'architecte
toin de Rome. Quelques années après cette aventure, Adrien fut revêtu de la
pourpre impériale. Anche il Noël: Dissimulò Adriano il suo risentimento ,
ma segretamente tanto poscia s'adopero che Apollodoro venne esiliato . Pa
recchi anni dopo, Adriano sali all' impero.
90 MARCILLA EUFROSINE
.

Dobbiamo entrare in altro ordine d'idee, cara figliuola ; vedi,


io ho pensato al comodo di chi dovrebbe uscire con gran soma di
sapere, ed ho proveduto in pari tempo al caso di coloro che tor
nano a casa più bufali di prima !
VIII.

Adriano, che aprendo a caso l'Eneide di Virgilio, credette di leg


gervi in alcuni versi del sesto libro predetta la sua esaltazione al
l'impero, vede ora avverati i suoi sogni, compiuti i suoi desideri.
Per un altro sarebbe stata cosa molto difficile raggiungere cosi
splendida meta : ma Adriano non volle arrivarvi e non v'arrivò
colle sole sue forze, mia 'sì per avere accumulati e sommati insieme
i.vizi e le virtù proprie , quelli di Trajano , quelli della moglie di
costui e della propria consorte. Indirizzando le passioni altrui a
servigio delle proprie, chi non abbia troppa coscienza e dignità fa
certamente gran cammino anche se dietro gli viene zufolando e fi
schiando l'opinione pubblica. Il primo di tutti non è sempre il più
degno di tutti.
Ma ora che Adriano ha raggiunto il suo intento e che non ha
più bisogno per sè e per gli altri di essere finto e cattivo, vorrà egli
sforzarsi d'essere un modello di principe ? Farà egli come il carbo
najo che va ad annerirsi tutti i giorni feriali per aver modo di com
parire pulito e azzimato ne' giorni festivi alla presenza della sua
amata ?
Non continuate nelle ipotesi, non fatevi illusioni : le reggie impe
riali non sono santuarî di virtù ; ed una volta che l'uomo vi sia
giunto, una volta che l'uomo siasi innalzato sopra degli altri , egli
>

si ricorda subito di coloro che a lui privato fecero subire umilia


zioni o recarono ingiuria. Allora egli sofferse quelle umiliazioni e
quelle ingiurie perchè anche quella pazienza gli giovava, ma ora le
ricorda per vendicarsene.
Osar offendere chi era destinato dal cielo a reggere le nazioni !
cercar d'impedire l'opera del fato o della provvidenza, che lavorava
alla sua esaltazione a beneficio dell'umanità ! Ma questo è delitto ,
ma questo è crimenlese , ma questo è sacrilegio !
IX.

Apollodoro ed Eufrosine sono tornati a Roma nella persuasione


che il nuovo imperatore in mezzo ai grandi affari dello Stato non
vorrà occuparsi de' fatti di loro, e molto meno ricordarsi d'un epi
gramma uscito di bocca ad Apollodoro in un istante di giusto ri
sentimento. Così la pensano essi ; ma gli uomini grandi non credono
MARCILLA EUFROSINE 91
di scendere dalla loro altezza albergando ad un tempo in sè me
desimi le grandi e generose passioni e le piccole e vili. Abramo ,
per effetto di gran virtù, si ridusse a rimandare Agar col figliuolo
Ismaele ; ma i più fanno una sola famiglia di Sara e di Agar, di
Isacco e d' Ismaele, unendo insieme la virtù e la colpa , la legittimità
e la illegittimità, le passioni nobili e triviali.
A separare ciò che v'era di buono e di malvagio negli uomini
grandi decantati dalla storia, ed a riconoscere ciò ch'era prevalente
in essi, grandemente s'è faticata, ma non sempre vi è riuscita la
critica.
X.

Apollodoro colla figliuola abita uno de' più frequentati rioni di


Roma, in una modesta casetta, perchè modeste sono le sue fortune .
' L'arte che giova al lustro di Roma non lo arricchi , come potreb
bero le arti che servono a' piaceri del principe e dell'aristocrazia.
Ma in quella casetta nulla manca che sia necessario alla vita , e
qualche cosa poi v’ha di ciò che la ricrea, una fonte, un giardino,
un laghetto, dove viene a trastullarsi , a folleggiare, à ridere cogli
artisti degli artisti la bella Eufrosine. Ma prima di venir a diver
tirsi all'aperto ella in casa è stata buona e studiosa figliuola , nè
sprecò lungo e prezioso tempo allo specchio, ma lo utilizzo a medi
tare sui grandi scrittori e sulle grandi opere paterne. Perchè dalla
sua finestra ella domina gran tratto di Roma, ella può vedere sparsi
quà e là alcuni de'monumenti grandiosi che per ordine d’Adriano
ha innalzati il padre, i quali sono gloria di Roma e gloria pur di
Apollodoro. E pensare che per un ignobile rancore suo padre è ora
lasciato da un canto, e che a lato di quei monumenti>, se pur Adriano
li rispetta, è costretto a vederne innalzati dei mediocri e degli af
fatto meschini ! L'ingiuria fatta all' arte ed al padre è per Eufro
sine ingiuria a sè stessa; onde più odia Adriano più ha ragione
di sprezzarlo. Amareggiata nell'animo, più di qualche volta ella
esclama : Oh ! fai bene, Adriano, a tener nel fodero la spada, ed ar
restare coi donativi, coll'oro, e non col ferro i barbari. Nelle opere
di distruzione tu temi troppo la loro concorrenza . Ciò che fareb
bero essi, fai tu, antico condottiero della mal nominata legione di
Minerva (1). O Minerva , o Giunone , o Venere , eccovi il barbuto e
pacifico Paride, che vi offrirebbe uno de' suoi cocomeri o delle sue
zucche in luogo del tanto agognato pomo della Discordia !
(1 ) Adriano venne associato da Trajano nella guerra Dacica , datagli la
legione di Minerva. Minerva era tenuta per dea delle discipline liberali non
solo, ma anche della guerra, e appellavasi pure con altro nome Pallade:
Giunone, secondo la favola, era figlia di Salurno e di Oxi, e moglie di Giove.
92 MARCILLA EUFROSINE

XI .
Un pretoriano. Sta qui maestro Apollodoro ?
Apollodoro. Si, e son io ; che domandate ?
Il pretoriano. Il sempre angusto nostro imperatore Adriano vi
manda questo rotolo di disegni perchè vogliate esaminarli ; quanto
più presto possiate, gliene farete sapere l'opinion vostra .
Apollodoro. Dite al vostro angusto padrone che sarà obbedito ; e
voi tornate per la risposta fra qualche ora .
Marcilla . Che vuol dir ciò, papà ? che cosa hai fatto per ritornar
nelle grazie dell'augustissimo ? Lælius Adrianus Apollodoro suo sa
lutem dicit ? Corbezzoli ! ci si manda a consultare, a chiedere il
nostro giudizio !
La madre di Marcilla . Tu scherzi , ragazza , ma io ho un triste
presentimento ; il cuore mi dice che qui gatta ci cova.

XII.
Altro che cocomeri, che zucche e che poponi! Adriano ha di
sertato il regno vegetale cocurbitaceo, per buttarsi alla grande ar
chitettura . Vedi quà : è il disegno d'un tempio. .

Scherzi , papà ? Sarà un disegno di capanne su cui sogliono


arrampicarsi le zucche per depositarvi i loro parti.
No, no, ti dico ; guarda un poco .
È proprio vero , è niente meno che il tempio di Venere.
E che te ne pare ?
A me pare che non ci possa star troppo comoda quella in
clita dea del cielo e della terra .
Ma se anzi ella sta seduta a suo agio sopra soffice cuscino ....
Ma non ci starà mica sempre seduta, o papà; ella è una dea
che ha, come sai, bisogno di muoversi, di essere dappertutto....
Dunque non trovi per essa abbastanza alto, abbastanza vasto
il tempio ?
No, papà ; e si vede subito ; ned è abbastanza alto rispetto
agli altri templi della Via sacra , ove Adriano intende innalzarlo .
E' sembrerà un nano, un pigmeo, e di quei gofi , menato a spasso
da' suoi parenti .
Cosi dirassi che gli è il tempio della Venere pigmea.
Non solamente, o papà, della Venere pigmea, ma della Venere
e di tutti i numi pigmei od artitrici.
Come ? come ?
Vedi quà, papà ; vi sono le statue di Marte, di Giove, di Sa
turno.
MARCILLA EUFROSINE 93
- 0 belle ! o belli e tutti comodi, tutti a loro agio , perocchè
sono seduti .
-
Seduti, si , papà , ma condannati anche a non alzarsi in piedi,
condannati ad una specie di catena corta....
È vero ; e già ne han fatte tante e così grosse che doveano
aspettarsela d' essere una volta o l' altra condannati all'ergastolo.
Che si muovano mo' adesso !
Oh non possono muoversi, papà ! Se Venere s'alza su per fare
un complimento a Paride o per andare a spasso con Marte , urta
colla nuca contro la vôlta del tempio.
Povera disgraziata I Come farà, se deve stare sempre immobile
e seduta, a correre dietro a quel furfantello del suo figliuolo (1) ? E
che sarà di lui e come sarà ricevuto , se si presenterà senza la
madre ?
Papà, e se si muove Marte , guai ! Con quella sua furia egli
ci salta fuori del tetto coll'elmo e colla lancia di ferro.
Nè c'è rimedio !
C

Oh per Venere, c'è rimedio, papà ; le si mettono delle ruote


sotto la sedia, e si prega la compiacenza del marito Vulcano a porsi
di dietro e spingerla di quà e di là, secondo il suo desiderio.
Bel vedere la dea degli amori e del piacere spinta avanti e in
dietro come una vecchia nonna malata !
XIII.

La moglie di Apollodoro. Chi sa che risposta all' imperatore Adriano


vanno preparando padre e figliuola serrati nel loro studio ! Io non
sento che risate, ma voglia Dio che da quel riso a tutti non ce ne
venga del pianto. È inutile consigliarsi a moderare quella loro cau
sticità, a non gittare il disprezzo o il ridicolo sui grandi e sui pic
coli, che non vanno loro a versi. I miei consigli non sono seguiti;
e' non ascoltano che il loro risentimento; l'esilio, anzichè farli più
cauti, gli ha inaspriti. E' dicono che le anime indipendenti acquistano
dalla sventura e dalle immeritate pene forza e gagliardia ; ma io ,
che son madre , io , che sono sposa, deploro tal forza e gagliardia ,
che può rendere infelici i miei cari.... Perchè sputare contro l'alto ?
lo sputo vi ritornerà sulla faccia... Sarà men degno di voi l'uomo
che sta sopra voi ; ma intanto egli ha i piedi dova voi avete la testa,
e può calpestarvi.... Ma ecco che ritorna il messo di Adriano.
Il pretoriano. È in casa maestro Apollodoro ?
La moglie di Apollodoro. È colla figliuola nel suo studio , dove
( 1) Amore o Cupido, figliuolo di Venere.
94 MARCILLA EUFROSINE

sono andati per esaminare con grande raccoglimento le carte che


gli avete portate.
Il pretoriano. Carte preziosissime, madonna; nientemeno che di
segni del nostro augustissimo imperatore.
La moglie di Apollodoro. Saranno piani di battaglie , disegni di
fortezze del nostro invittissimo principe.... E chi meglio di lui può
farne de' bellissimi ? Ognuno nella sua professione, e nella professione
delle armi il nostro imperatore è valentissimo.
Il pretoriano. Che ? che ? trattasi di templi....
La moglie di Apollodoro. Oh !
Il pretoriano. Che ohl non c'è da meravigliare: il nostro prin
cipe è tanto amante della scultura e dell'architettura che , trovan
dosi coll' esercito in Antiochia, quando gli venne decretato il trionfo,
pose sul carro la statua di Trajano.
La moglie di Apollodoro. Non mi maraviglio io; ammiro il vasto
genio dell'imperatore ....
Il pretoriano. Dell' augustissimo imperatore ; e Apollodoro certa
mente non troverà parole bastanti per lodarlo.
La moglie di Apollodoro. Lo credo anch'io che nel suo intimo
sarà pieno di ammirazione per le belle cose dell'imperatore , ma i
pittori sono tanto bisbetici e bizzarri che, alle volte, così per burla ....
Il pretoriano. Coll' imperatore non si scherza : chi comanda fa
sempre bene ; chi paga l'esercito non può aver che ragione , e ci
siamo noi per fargli dar ragione anche dai ribelli.
La moglie di Apollodoro. Oh ! per questo, nella nostra casa siamo
tutti per la maestà dell'imperatore, che il cielo conservi per lunghi
anni; ma io non volevo dir altro se non che vi sono artisti , che
hanno una maniera tutta loro propria di esprimersi , e che ciò che
in essi pare censura è talvolta un buon consiglio , un'ottima parola
per rendere più perfetta anche un'opera bella. La buona memoria
dell'imperatore Trajano gradiva moltissimo i pareri del mio consorte,
anche se dati con una certa ruvida franchezza, e gli stessi eminenti
artisti di Roma ancora apprezzano più le critiche di lui che gli
elogi delle moltitudini. Del resto l'augustissimo imperatore Adriano
sa bene il carattere di Apollodoro, e voi, che certamente per i vostri
meriti siete dei prefetti delle sue guardie , non vorrete per fermo
metter male di questa famiglia.
- Io sono un semplice pretoriano , non prefetto, madonna. Ma
che scrosci di risa sono questi ?
- Oh e la mia figliuola, una pazzerella, signor comandante !
MARCILLA EUFROSINE 95

XIV.

Eufrosine. Mamma, mamma, la è capitata poi la nostra volta ; non


sempre corre il cane....
Apollodoro. Taci, ragazza : tocca a me di far la risposta a questo
signore. Buon uomo, riportate questi disegni al vostro padrone e di
tegli che , dovendo pur esaminarli , non ho voluto ch'egli avesse a
dolersi di essere giudicato da un vecchio barbogio come sono io, e
che ne incaricai la mia figliuola. E questa è la risposta della ra
gazza ; che le fa una gran pena il vedere la povera dea Venere e
compagni obbligati a starsene sempre seduti, perchè il tetto è cosi
basso, e le statue sono poste così in alto, che se a que' numi vien la
voglia di levarsi da sedere, vanno certamente a rompersi la testa
contro la volta del tempio. Altro è far cocomeri, ed altro templi. E
ditegli che chi giudica così non ha che tredici anni.
Eufrosine. Ve', ve', papà, come il pretoriano scappa via ! Se stava
un altro poco, gli avrei soggiunto io che Adriano doveva al fianco
di Venere collocare almeno Esculapio (1), perchè nella disgrazia della
dea fosse lì pronto un cerusico coi cerotti.
La moglie di Apollodoro. Figlia, marito , imprudenti ! Che avete
>

mai fatto ?
XV .

Ricordatevi bene, o fanciulle, che un proverbio dice che tosto si


trova il bastone per dare al cane. Nè , perchè si accenni al cane,
vogliate credere che la gente di qualche levatura abbia il privilegio
dell' impunità ; perocchè nè i grandi possono impunemente mordere
i piccoli, nè i piccoli i grandi. Che v' ha anche quest'altro proverbio
che non si può mordere il cane senz' esserne rimorsi. Sia leggiera o
grave l'offesa, l'offeso se ne ricorda ; sebbene chi ingiuria si dimen
tichi facilmente d'avere ingiuriato. Se è piccolo, potete aspettarvi da
lui ogni bassezza, perchè qualunque mezzo a vendetta gli è buono;
se è grande, peggio, perchè la sua potenza, qualunque sia, o di for
tuna o d'ingegno o di grado , è messa al puntiglio di rendervi più
che la pariglia, pan per focaccia. Suppongasi che l'ingiuriato gene
roso , vi perdoni ; ma altro è il perdono ed altro la dimenticanza
dell'offesa . Quanto meglio acquistarsi e mantenersi le buone grazie
di tutti! Questo sarebbe, se si potesse , l'unico mezzo di essere pa
droni di tutto e di tutti. Infatti la prima industria di chi vuole mon
tare assai alto fu ed è sempre quella di procacciarsi relazioni ed
( 1) Figlio di Apolline e della ninfa Coronide , dio della medicina , adorato
in Epidauro (Pidaura, città dell' Argolide, regione del Peloponneso, in Grecia ).
96 MARCILLA EUFROSINE

amicizie numerosissime; e con tali mezzi pulla è difficile. Mi rispon


derete che a voi, buone e sagge, ripugnano i mezzi dell'adulare e
del secondare le passioni altrui, e che per nessuna cosa del mondo
vorreste encomiare ciò che non è nè vero, nè buono, nè bello ; e vi
si loda altamente di questi santi propositi, ma vi si dice anco di far
in modo che, servendo pure alla santissima verità e giustizia, non
offendiate la carità , e non riceviate nocumento dall'odio altrui. È
aurea questa massima di un antico : « Con tutti fate d'aver pace, e
guerra co' vizi » . Saper distinguere gli uni dagli altri, colpire questi
senza offender quelli, in ciò sta l'arte e il segreto di essere accetti
ad ognuno. Ma è il pomo posto sulla testa del giovinetto Tell ; ci
vuole gran maestria , e affetto di padre e valentia di tiratore per
fetto, per cogliere il pomo senza ferire il fanciullo .
XVI.

- Viva l'imperatore, viva Adriano, protettore delle artil Colmate


i bicchieri, beviamo alla sua salute !
Tutto ciò che di mediocre o d'infimo hanno le arti in Roma tro
vasi raccolto a gozzovigliare nelle sale terrene di un palazzo di
Adriano. E non solo v' hanno mediocri ed infimi, ma artisti anche
di qualche levatura, che non disdegnano abbassarsi fino alla chias
sosa adulazione, per entrar sempre più nelle grazie del padrone del
mondo e far presto fortuna. E i più, anche se valenti , perchè am
biziosi, sono pur troppo a questo modo : coltivano l'arte , ma non
rifuggono dal trescare eziandio colle basse arti, per giungere, assai
più prontamente che coll'arte sola, alla meta agognata. Costoro nel
loro cuore ammireranno l'artista dignitoso, ma nel punto stesso ap
plaudiranno a sè medesimi di saper far meglio il proprio interesse.
Viva Adriano , viva Adriano ! anche costoro a squarciagola ri
petono ; e- chi passa per quella via ed ascolta quelle grida e que'
brindisi, si conferma sempre più nell'opinione che l'imperatore pro
tegga le arti e non il vizio che lo adula,
Ma fra que' viandanti sono due donne , Eufrosine e sua madre.
Come ombre, radendo il muro di quella casa, esse vanno o piuttosto
fuggono.
Perchè sole, perchè non è con esse Apollodoro, e perchè a notte
avanzata vanno girovagando per le vie di Roma ?
XVII .
Bastarono pochi giorni per convertire in pianto il riso di Eufro
sine ; bastarono pochi giorni per gittare un'intera famiglia nella de
solazione.
MARCILLA EUFROSINE 97
Ed a far male per il sovrano di Roma, per il padrone del mondo,
sarebbe stato anche troppo tempo ; ma tanto fu necessario all' im
peratore architetto per architettare, per congegnare una congiura di
cui apparisse capo l'imprudente Apollodoro. Bisognò comperar gente,
vili delatori e falsi testimoni ; bisognò fabbricare un simulacro di
complotto. E quando fu tutto pronto, quando l'iniqua commedia fu
allestita, giudici venderecci ed egualmente scellerati condannarono
Apollodoro come reo di congiura contro la maestà di Cesare. Co
glierlo sulla pubblica via, prenderlo, legarlo, imprigionarlo, proces
sarlo, giustiziarlo, fu allora affare di pochissimo tempo..
Il primo giorno che Apollodoro spari di casa , e moglie e fi
gliuola s'ingegnarono di spiegarsi in vari modi la protratta assenza
di lui : ma il secondo giorno crebbero i timori , e più insistente,
più continua , più fiera fu l'angoscia ; così errarono inutilmente
per la città tutto il terzo di e la seguente notte in cerca di lui ; e il
quarto intesero la crudele notizia della sua morte.
È un reo di stato dicevano nelle pubbliche piazze i cortigiani
di Cesare. E gli artisti di poco conto , ed anche i valenti , ma am
biziosi ed invidi della sua fama, gongolavano,.lieti che fosse tolto di
mezzo chi li svergognava colle parole e gli abbassava colle sue opere
degne.
Oh, egli è reo del mio scherno ! diceva, sospirando e pian
gendo nella sua cameretta, la trangosciata Eufrosine.
XVIII.
C
A che nascondi quel ferro ?
-

Madre ! madrel noi siamo infelici: per eredità non ci resta che
il pianto! Chi lo fa spargere non deve più vivere.
Un orribile pensiero ti passa per la mente , o figliuola ; hai
perduto il padre, e perderesti anche il tuo buon nome. Odii l'omi
cida, e corri ad un omicidio ? E quale poi ? Diranno, se riesci nel
l'opra scellerata, che hai ucciso l'uomo di non altro reo che d'aver
fatto eseguire la legge. È una calunnia che tuo padre cospirasse
contro l'imperatore ; ma come cospiratore fu condannato dai giudici,
nè un delitto può scancellare un giudizio. Oh ! piuttosto preghiamo.
La destra della donna non è fatta per brandire pugnali , nè il suo
cuore per albergare sentimenti così feroci. Tu ti crederai un'eroina,
uccidendo un tiranno ; ma le moltitudini applaudono a questo ti
ranno, lo celebrano, lo lodano, inneggiano a lui : tu il sai, tu il ve
desti ; tu , percossa nel padre, saresti creduta vendicatrice di lui, non
della patria. Restiamo pure, restiamo innocenti ; non ci rimane che
pregare e piangere. Preghiamo che sia lieve la terra al padre tuo ,
BERLAN. Le fanciulle celebri. 7
98 MARCILLA EUFROSINE

e che, placata quell'ombra non imprechi a Roma tollerante e gio


josa de' suoi tiranni e di tanti delitti. L'arte, ecco il tuo asilo, ecco
il conforto unico al tuo dolore >, ecco il mezzo santo della tua ven
detta. Supera nell'arte tuo padre , e Adriano avrà il rimorso d'un
omicidio inutile; perchè le tue opere convalideranno e faranno sempre
più autorevole il giudizio che hai dato di lui. Mira più alto , mira
più lontano. Commetti allo scalpello , non al pugnale, la tua vendetta,
ed alla posterità ti affida .
XIX .

Preghiamo per Apollodoro ; disse la madre ma nella sua


pietà la madre non mi disse : « E prega anche per te stessa » . Infatti io
son rea, io l'uccisi, io che volsi sua perdita quell'arguta vivacità
ch'egli aveva coltivata in me perchè fosse la sua allegrezza. A cor.
reggermi non bastò il lungo esilio patito dalla nostra famiglia , non
bastò l'abbandono in cui era lasciato mio padre , non bastò la de
molizione delle più belle opere di lui ! Io, ch'era testimone e parte
di tutte queste sciagure, non mi giovai dell'ascendente che una fi
gliuola amata ha sul cuore del padre per indurlo a men pericolosa
acerbezza di critiche. Perchè giovinetta , io dovea essere tutta soa
vità di parole e di maniere; fui invece caustica e mordace, come
l’uomo attempato , disilluso , amareggiato , fastidito de' tempi rei e
degli uomini lungamente trovati perversi. Anzi mi compiacqui di
essere più acre e più pungente di lui: Con una mano amorosa io
poteva ajutarlo a trarsi dalla perigliosa via , ed invece con matte
risa lo spinsi a scherzare sull'orlo stesso del precipizio. Perdono, o
padre ; perdono alla mia leggerezza fatale; perdono alla mia stolta
inconsideratezzal Guarda quanto io soffro, mira come il rimorso cru
delmente mi punisce, ed abbimi compassione. Della tua fine, più che
della mia sorte mi dolgo, perchè tu eri la mia felicità e io doveva
essere la tual Padre, non è più il dolce sorriso della figliuola che
aleggia sui tranquilli tuoi riposi , ma è un ghigno infernale, quello
del tuo nemico, che ora schiamazza sulla tua fossa ; ed a quel ghi
guo par che succeda come un terremoto, il quale scuota per Roma
tutti i monumenti innalzati dalla tua mano , sicchè nessuno più ne
rimanga in piedi. Quello strepito mi rintrona all'orecchio, quella ro
vina l' ho sempre sotto gli occhi , come se già fossero presenti. Ma
tu non mi rigetterai , o padre , se io correrò a te ; nei regni della
morte noi saremo salvi da tanta vergogna.
MARCILLA EUFROSINE 99

XX .

Ciò che di più squisito ed elegante possono suggerire l'arte, il do


lore l'affetto, ammirasi in un monumento che Marcilla colle sue
mani inalzò alla memoria di suo padre. Fini i marmi, accuratissimo
il lavoro, gentile il concetto. Vi scorgi steso il padre sulla bara, la
figliuola, sparse le morbide trecce, lagrimosa e china su di lui , e,
più abbasso, sui gradioi del monumento effigiata anche la moglie di
Apollodoro, in cui non bene puoi discernere se maggiore sia il do
lore per la perdita del marito o l'affanno per la disperata angoscia
della figliuola. Vedi in Eufrosine una giovinetta inconsolabile che
fugge i conforti materni. Colla bella persona è abbandonata sopra il
sepolcro paterno, quasi a dimostrare di non essere più cosa di questo
mondo; ha un ultimo sguardo rivolto alla genitrice, e quello sguardo
pieno di lagrime par che implori ajuto nell'affanno che sta per re
carle la vicina morte della figliuola, morte inevitabile per quel do-
lore immenso che viene da quella tomba. Sola la destra della gio
vinetta si distacca dalla bara e protendesi verso la madre ; e, se gli
occhi sono volti alla genitrice per domandarne la pietà e il perdono,
la destra di Eufrosine è in atto d'accennarle di andarsene lontana
dal regno degli estinti , di vivere , di non voler dividere anch'essa
la sorte ultima ed immatura del marito e della figliuola infelicissimi.
Quel monumento ogni giorno è visitato da Marcilla, ed ogui giorno
la Marcilla di sasso , scolpita sul feretro , dinanzi alla vivente , che
viene lagrimosa e scarmigliata, pare di lei più giovane e più bella .
Il dolore consuma ogni di più la sua vittima, e già la vivente non
rassomiglia più alla morte che nel pallore.
Un tetro silenzio invade il luogo ; nè vi ha segno di vita, se non,
qualche volta, di siepi smosse e di passi concitati, quando la povera
madre , dopo aver cercata inutilmente la figliuola delle sue stanze ,
corre nel giardino e la trova presso al monumento. Vorrebbe sgri
darla, e non può, vinta dalla pietà, soprapresa da quella muta scena
di affetto, di lagrime e di morte.
XXI.

Poche sere le tremolanti stelle e la pallida luna , pietose visita


trici , piovvero i loro melanconici raggi sulla tomba di Apollodoro
senza trovarvi in pianto l'addolorata Marcilla. Perchè dopo quelle poche
sere alla madre di lei riusci impedirle d'abbandonare le stanze, tre
pidante ed ansiosa per la sua salute. Vedendola deperire ogni di più,
« Tu non sei padrona , le disse ,> della tua vita : hai una madre ed
>

hai l'arte, e ad ambedue i tuoi giorni appartengono. Voi altre , ra


100 MARCILLA EUFROSINE

gazze , quando un affetto violento vi travolge,> quando una pas


sione v’accieca, non pensate che a voi sole, ed a solo quell'istante,
a quel fatale istante della vostra esistenza ! Perchè disertare il
posto che ti ha assegnato il destino ? Non v'è una legge naturale
che te lo vieta ? Quando ti sarai abbandonata in preda al dolore,
e il dolore t'avrà strutta , credi tu che le tue tribolazioni sa
ranno finite e che , per aver chiuso gli occhi alla luce di questo
mondo, l'anima tua non isveglierassi trasalendo nell'eternità, e non
avrà a inorridire delle tenebre che la circonderanno ? Perocchè
avrai voluta l'eterna notte , ti sarà data. Credi tu che la divinità
voglia permettere e possa tollerare impunemente che tu ti tolga colla
vita le spine che la martoriano, per infiggerle nelle tempie de' tuoi
cari ? Che noi rimaniamo dopo voi, ed ereditiamo i vostri dolori ; e,
se a voi erano insopportabili , pensate che debba essere di noi , i
quali sopracaricate del dolore insanabile e ben maggiore della vostra
perdita ! Con animo costante e forte è necessario sopportare le tri
bolazioni, massimamente allora che si ponno risguardare come pe
nitenza e giusta punizione dei nostri falli. E chi non ha errato ?
Che se la lotta è difficile e dura, bisogna non avvilirsi, non cedere,
ma gloriarsi anzi di dover combattere un nemico potente ; perchè
nella costanza è certa la vittoria . È suicidio questo tuo ostinato do
lore ; è morte certa che ti prepari. A che pro ? Se le lagrime po
tessero far rivivere gli estinti, tutti i buoni piangerebbero per ride
stare dal sepolcro l'antica virtù romana , ed io vorrei che i miei
stanchi occhi fossero fonti perenni di pianto per risuscitare Apol
lodoro ; e , se anco a ciò fosse necessario olocausto la mia vita, la
mia stessa vita non dubiterei un solo istante di sacrificare. Ma i la
menti, ma i singhiozzi, ma le grida, ma le inasprite ed acuite pene
dell'anima a nulla giovano. Il pianto non è rugiada che irrori e
ravvivi l' albero della vita ; corrode anzi e logora la stessa fonte da
cui la vita esce. Il pianto dia sfogo al nostro dolore, non lo perpetui
con nostro irremediabile danno e senza vantaggio alcuno di chi si
spense. La morte non cambia o merca le sue vittime , che tutte le
vuole e sa d'averle tutte a suo tempo ; ed altro non si fa che render
chiara e patente a tutti la nostra debolezza. Dimmi, se , mentre
Adriano passa fastoso per le sale del suo palazzo e ode ioneggiarsi
al suo nome da chi banchetta e carola a sue spese perchè è amico
dell'imperatore , se taluno di que' cortigiani si avvicinasse a lui e
>

gli susurrasse all'orecchio queste parole : « Eufrosine piange, Eufrosine


si dispera » , credi tu che Adriano non gioirebbe ? Ma tu prepari a
lui gioja maggiore, e immensa pena alla tua povera madre ! Io ri
marrò per raccogliere sola il danno e lo scherno che si rovescia
MARCILLA EUFROSINE 101
rono sulla nostra famiglia. Tu non consideri ciò che sarà del tuo
nome, di quello di tuo padre , del mio ; tu rinunzi ad un avvenire
di gloria che ti può esser preparato ; tu ti sciogli da ogni obbligo
che hai verso i tuoi simili e verso i tuoi maggiori e da ogni bene
che puoi far loro ; tu non badi alla tua infelice madre, tu non pensi
che sarà di me, povera vecchia ! »
La madre di Eufrosine, dopo la morte di Apollodoro, rimasta sola
al governo della figliuola , aveva ripreso quell' autorità che , per la
troppo indulgente condiscendenza del marito , non aveva da alcuni
anni saputo esercitare su di lei. Due poteri eguali, perchè operanti in
senso contrario , non si elidevano, non si paralizzavano più ; unico
rimaneva il potere materno , che ha tutta la sua forza , ed è forza
irresistibile, nell' affetto, e di cui ogni parola, ogni atto, ogni cenno,
ogni occhiata mostra chiaramente che non tende ad altro fine che
al maggior benessere della prole. E Marcilla, figliuola affettuosa, ce
deva ai consigli ed alle preghiere della madre, ed a contracuore si,
ma per non recarle dolore, non abbandonava più di nottetempo le
proprie stanze. E poi aveva notato che la genitrice voleva essere
sempre l'ultima ad andare al riposo, e che talvolta lunga pezza le
stava accanto al letto , vigile sentinella. E più di qualche volta la
fanciulla, vinta dalla debolezza, essendosi leggermente addormentata
e poscia ad un tratto svegliandosi, avea veduta la madre china sopra
il suo viso , a studiare i suoi respiri , ad accertarsi se veramente
dormisse. Ma quando gli occhi della madre non erano aperti a ve
gliar la figliuola, costei correva ad una finestra da cui potea scor
gere il poco lontano monumento di Apollodoro. I raggi degli astri
notturni s'incontravano nei grandi e neri occhi della fanciulla, che,
pieni di lagrime, si ergevano al cielo , quasi a chiamarlo testimone
del dolore strabocchevole che per le lunghe ore aveva dovuto con
tenere in sè stessa per non accorare la misera genitrice. E poi gli
abbassava , dirizzandoli verso il sacro deposito paterno ; e , veden
dolo inargentato dalla luna, con soave e melanconico affetto volge
vali nuovamente a quella, come a ringraziarla che venisse ad illu
minare l'ultima e abbandonata dimora del genitore. « Il giorno , i
miei sospiri e le mie lagrime ; la notte lo visitano i tuoi melanco
nici lumi, o mesta e pia viaggiatrice del cielo ! »
Ma una sera, che mancavano le tremolanti stelle e la pallida luna,
non mancò la pietà della figliuola.
XXII.
Un sogno, un orribile sogno ha fatto Marcilla nel delirio della
febbre. Il pensiero di Adriano, che sempre infausto le guizza tra
102 MARCILLA EUFROSINE

verso alla turbata mente, tutto ad un tratto le illumina un brutto


fantasma. Esso non ghigna più come chi medita un delitto che gli
par facile, ma ha quel sorriso di fiera compiacenza a cui si com
pone chi ha già consumata opera rea lungamente studiata. Ella lo
discerne all'imperiale diadema : è questo l'unico segno della sua di
gnità, che, tanto per distinguerlo , gli concede l'odio implacabile della
fanciulla, odio che non cessa neppure mentr' ella dorme. Lo vede
svestito della clamide di porpora a frange d'oro ; egli ha la tunica
scinta, e tiene in mano una pesante zappa. Le punte della corona
mandano su lunghe strisce di cupa luce azzurrognola, che poi rica
dono illuminandogli tristamente tutto il viso e le scarne braccia e il
polito ferro dell'arma. Con quella zappa e' picchia e ripicchia sul
monumento d’Apo : lodoro ; quei rottami cadendo par che mandino
un gemito , e che da ogni capitello o colonna o statua che infran
gesi sgoccioli vivo sangue. Un sordo, un sotterraneo romore muove
dal feretro d'Apollodoro, e, come onda, si spande per tutta la pic
cola selva. I rami a quella scossa, a quel rumore ingialliscono ; ca
dono le foglie, e come sollevate da vento improvviso, foglie ingial
lite e minuta polvere formano un deoso nembo. E in mezzo a quello,
ravvolto nel lenzuol funerario , sogua Marcilla lo spettro paterno ,
che, indignato e fremente, fugge da que' luoghi dove gli sono tur
bati gli ultimi riposi. E Marcilla vede quello spettro protendere le
stecchite braccia verso la casa dov' ell' abita e con grido disperato
dileguarsi .
Troppa impressione fa sulla debole e infermiccia fanciulla il triste
sogno, perchè ella subito non si desti ; ma , destata , delira ancora.
Debole per la febbre, è affralita anche pel lungo digiuno a cui s'è
condannata, perchè dolore e digiuno insieme uniti la fipiscano più
presto. Alla madre, che la sollecitava a ristorarsi, ella aveva risposto
che nol faceva per vincer più prontamente il male che l'avea so
prapresa, ma era invece per accelerare la fine dei mali , la morte.
Così prostrata di forze, ella vuol correre alle sognate ruine , ella
vuol rispondere all'appello del padre che l'ha chiamata. « Dove sei
padre mio ? Non v'è dunque giustizia. laggiù , e la morte non sa
far rispettare i suoi regni ? Ma, derelitto da tutti , io, io ti vendi
cherò, o padrel » E agitando la destra come se stringesse ferro acu
minato: « Dove sei , dove t'appiatti, o profanator delle tombe ? » A
stento, trascinandosi, le riesce di guadagoàre la porta della sua ca
meretta; non avvisata, passa oltre quella della madre e, scapigliata,
scalzi i piè e mezzo ignuda, si precipita nel giardino.
MARCILLA EUFROSINE 103

XXIII.

È pregiudizio volgare che i morti abbandonino gli avelli per re


carsi a turbare i riposi di chi vive. Libera l'anima dalla spoglia
terrena, ha scosso da sè tutta la polvere e il fango di quaggiù ; e,
bella delle virtù che acquistò nella vita, tende serena a migliori de
stini. Od è poverella ed igauda e della propria nudità vergognosa ,
ed allora si rassegna al nuovo e inesorabile ordine di cose a cui è
destinata. Nè odio conserva, nè desiderio di vendetta, nè altre basse
passioni; potrà far il bene, ma non fare o volere o suggerire altrui
il male. A spaventare, ad agitar altrui non verrà ; e, se ella serba
memoria de' suoi cari, se in lei dura l'affetto per essi, lo dimostrerà
nel consolarli , nell' ispirarli al bene. Gli spettri che si presentano
agli scellerati non sono che i loro rimorsi che prendon figura.
Mentre la figlia, delirando , sognava un padre corrucciato e siti
bondo di vendetta, egli forse chetava gli agitati sonni della madre,
dissipando le imagini tetre e spaventose che si succedevano nella
costei mente. Il vagabondo pensiero di lei sotto le ali splendide di
quello spirito benefico rischiaravasi di lieta luce , e il corpo e l'a
nima sua ristoravansi ad un tempo. E forse egli s' era presentato
anche ne' sonni alla figliuola, ma inutilmente, come le stelle che mal
ponno rompere la nera oscurità d'un mare in burrasca. Ma un grido,
un acuto grido desta la madre dormente, che , trasalendo, chiama
la figlia .
XXIV.

In mezzo alla tenebria di quella notte una voce affannosa , un


acuto grido si ripercote nel vasto giardino. Le foglie , agitatë dal
vento, sibilano ; e , quando il vento s'accheta, torna a risonare quel
grido :
Marcilla, Marcilla, dove sei ? Perché ti togli alla madre ? per
chè esci ad affrontar la bufera che mugghiando imperversa ?
Nessuno risponde ; e la madre brancolando giunge alla tomba di
Apollodoro, e, mentre sta per salire i gradini, inciampa in un freddo
corpo .
I lampi le illuminano quella tristissima scena. Alla voce materna
alza alquanto la testa Eufrosine e , -
Madre, madre ! -
mormora

con voce che va mancando, – Madre ! perdono ! Io l'ho fatto venir


qui , e qui l'ho voluto raggiungere !
104 MARCILLA EUFROSINE

XXV.
Perdono ?
Perdono sì , perdono dalla madre , perdono anche dal genitore ,
>

perchè tu ben crudelmente punisti, o povera fanciulla, col sacrifizio


della tua vita una piccola colpa. Ma l'arte non ti perdonerà d'a
verle tolto, oltre il padre, anche te stessa .
XXVI.

Oh il gran malè che può fare uno scherzo !


Gli uomini grandi, cioè quelli posti in alto stato, se ne ricattano
ben crudelmente; ee di piccoli, per troppo cuore, da loro stessi rendono
più fatali gli effetti di quelle ire provocate con troppa leggerezza.
Volevate le lagrime del poveretto : ma ecco, e' vi dà anche la sua
vita.
Quello scherzo fece tre vittime, schiantò una casa e tornò pur in
danno di quell'arte che volea vendicare.
Bellezza, spirito, leggiadria d'ingegno, tutto distrusse un istante
solo di riso !
Oh era meglio il pianto.

Autori consultati: Brotier C. Cantù , Dione Cassio , Freville, Noël, ecc.


LE SANTE .

Questi altri fuochi, tutti contemplanti,


· Panciulle furo, accese di quel caldo
Che fa nascere i frutti e i fiori santi (1 ).

1.

Delle sante ?
Si, care lettrici ; proprio delle sante nell'epoca dei lumi e del pro
gresso . Ned è fuor di proposito,
Perchè, credete voi che per nulla, durante secoli e secoli , la so
cietà, quasi un sol uomo, innanzi ad esse siasi tenuta a mani giunte
ed a ginocchia piegate ?
Al vederle erano pur donne anch'esse, della medesima creta che
le altre.
Quella posizione incomoda all' amor proprio , durata per sì lunga
età, debbe far ragionevolmente supporre che in quelle anime privi
legiate fosse qualcosa di ammirabile, di straordinario e di utile al
l'umanità medesima.
L'orgoglio umano non si piega all' altrui riverenza se non vinto
dalla irresistibile forza del merito altrui e quando vi trova il suo conto.
Nè s'inganna il mondo tante volte e per sì gran tempo.
II .

Parleremo noi di tutte le sante giovinette italiane, e tutte cele


breremo le virtù loro ?
A culto sì generale ed esteso sarebbe necessario un secolo men
pratico e positivo.
Noi non possiamo inalzare che un modesto oratorio, non già una .
vasta e magnifica cattedrale, non uno di quei gran templi gotici, che
colle acute e svelte loro aguglie, staccandosi, anzi slanciandosi quasi
bruscamente dalle abitazioni di quaggiù , come indifferenti o sde
gnosi della terra, si drizzano al cielo.
(4) Uomini furo, dice veramente Dante nel XII del Paradiso , comprendendo
due sessi . Ci sia perdonata la lieve sostituzione.
106 LE SANTE

III .

Il mondo morale ebbe le sue rivoluzioni e i suoi cataclismi come


la terra : quindi uomini, virtù ee vizi diversi dai nostri, e molte volte
ben maggiori dei nostri.
Penetrando un po'addentro negli antichi strati del mondo morale,
troviamo infatti come in que' primitivi del mondo fisico, esseri, sem
bianze e stature che ora ci pajono quasi impossibili.
Dicesi che la salamandra ed altri animali vivessero nel fuoco ; e
ci rimangono avanzi di piante e di quadrupedi di contro a cui i
maggiori che ora abbiamo con nani.
Del pari , negli antichissimi tempi della civiltà cristiana, quando
la terra trovavasi ancora in uno stato di combustione per il fuoco
dell' idolatria, vissero esseri prodigiosi per virtù straordinarie che ora
diremmo quasi affatto perdute.
Rigide penitenze, assidue preghiere, cieca obbedienza, umiltà fino
al disprezzo di sè medesimo, spirito di abnegazione assoluta e di sa
crificio spinto fino agli estremi, abbandono e disistima delle cose e
degli affetti terreni ; l'anima non compagna ma aguzzina del corpo,
e il corpo medesimo fatto da essa ministro di tormenti a sè stesso ;
una vita che si alienava dalle idee , dalle speranze , e quasi anche
dai bisogni comuni : queste e tante altre erano le virtù, e questa
la vita dei santi d'allora .
Epoche geologiche della virtù e virtù fossili, dice il mondo ; ma
esso non deve dimenticarsi che, a lato di quelle virtù, che oggi sono
straordinarie e possono parere anco impossibili a noi, altre non men
belle e sempre vive fiorirono.
Quei fiori del vostro giardino che ora profumano l'aria son nati
oggi : prima d'essi molti altri germogliarono ed appassirono , come
anch'essi appassiranno ; ma quel melo e quel pero sono antichissimi,
e chi sa quante generazioni si ristorarono de' loro frutti e riposarono
all'ombra loro .
Alle sopradette virtù aggiungetene altre ch'erano comuni a que'
santi, e grandi e meravigliose in essi; aggiungete una fede ispira
trice, aggiungete la carità, aggiungete il patriotismo, aggiungete la
dottrina , aggiungete la fortezza d'animo , che per la libertà della
propria coscienza non paventava mai e più di qualche volta disfi
dava tormenti e tormentatori ; aggiungete pure tutte le altre virtù
che ora fanno ammirato l'uomo e ne formano un eroe ; e la tradi
zione fedele e la storia imparziale v'accerteranno che così eccellenti
qualità erano pur accumulate in molte di quelle anime elette.
Ma in tutte era la carità ; una carità ardente, efficace, operosa del
LE SANTE 107

bene altrui; quella carità che in ogni tempo è la base della vera
ed illustre grandezza.
San Paolo avea parlato; egli avea detto in che consistesse la per
fezione vera : « Il parlare le lingue degli uoniini e degli angeli, il
dono della profezia, il penetrare tutti i misteri, l'avere la scienza di
tutte le cose, a nulla giova, se non si ha la carità » .
Santi e sante non erano e non doveano essere possibili che a que
sta condizione.

IV.

Quando alcuni sfogliettano de' leggendari e delle vite de' santi com
pilate dall'ingenua pietà degli antichi, par loro di visitare un museo
dove si trovino vecchi usberghi, vecchi scudi e vecchie spade irrog 0

ginite.
Oh quelle armi non si usano più !
Certamente non si (isano più ; e poi la generazione presente non
saprebbe reggere al loro péso.
Ma molte di quelle spade, di quelle lance, di quelle frecce, anche
senza badare al loro pregio , perocchè sono capolavori dell'arte di
quelle età, voi le potete abbrunire ed affilare, ed abbrunite ed affi
late vi servirebbero pure oggigiorno.
E così vi hanno in que' leggendarî, in quelle vite, esempi che pos
sono farsi utili anche a ' nostri tempi.
Quando Davide, fuggiasco dalle persecuzioni di Saule, riparava in
Nob, nella città de' sacerdoti, vide nel tempio la ben nota a lui spada
pesantissima di Goliat appesa in voto alle sacre pareti. Egli era
inerme ed affamato, frammezzo a pericoli ed insidie : cibo ed armi
gli erano necessari. Ricusò egli i pani di proposizione e il brando
votato a Dio offertigli dal vecchio sacerdote Abimelec ?
T:

Quando la fede era vivissima, quando la religione e in alto e in


basso era non solo elemento, ma base della società e perno della vita,
l'arte ispirossi spesso e grandemente alle vite dei santi . Statue e pit
ture e bassirilievi , che ne ricordano in modo ammirabile i fatti
egregi , sono sparsi ne' palagi , nelle pinacoteche e nelle chiese; e
7

quando pur le lettere congiurassero a tacere di essi , quelle statue,


quelle picture , que' bassirilievi e cento altri oggetti di arte che li
rappresentano, continuerebbero, perchè opera del genio immortale, a
celebrarli altamente. Il bello che l'arte ricevette dalle religioni ag
giunse a queste , anche se non bisognose di ciò, nuove forze per
lottare invincibiti contro il tempo .
108 LE SANTE

Ma quegli scultori , que' pittori e quegli altri artisti sceglievano


un solo punto, un solo fatto di quelle vite, o più culminante, o più
estetico, o più commovente, o più atto a destare la devozione od a
servire alle esigenze di chi commetteva i lavori. Ritratti, episodi
delle vite delle sante giovanette, ecco quanto è concesso di fare an
che a noi.
E per dilettarvi utilmente colle nostre tavole , coi nostri quadri ,
oh avessimo, care fanciulle , l'arte e il colorito dei vecchi pittori
fiamminghi!
VI .

Santa Giustina da Padova.


Entratë meco in questo palagio , nè abbiate paura. Non vi sono
alla porta curiosi famigli che vi squadrino dall'alto in basso, se non
v’annunziate con titolo ed abito pomposi, nè che indiscreti v'asse
dino colle petulanti loro interrogazioni, o vi scher niscano con aria
beffarda. Siete poveri ? Ma questo nome , chè pure è più che ba
stante a farvi discacciare con brutti modi dalle soglie d'altri palagi,
è qui invece la necessaria lettera d'invito e la carta di passo perchè
le porte si spalanchino dinanzi a voi e perchè non vi si faccia far
lunga anticamera.
Non abbiate sospetto dell'opulenza avara , superba e inospitale ;
perchè qui ella non regna , perchè qui la ricchezza è assorellata
alla carità. La Provvideuza vi ha costituita sua tesoriera un'inno
cente fanciulla .
Foste annunziati ; s'apre una porta ; siete introdotti nella camera
della padrona.
Che schietta semplicità in questa stanza , ampia, spaziosa, arieg
giata, inondata dalla viva luce del sole! Una fresca e leggiera fra
granza intorno si diffonde, ma non è di profumi e di essenze stil
late dall'arte, ma di semplici fiorellini colti testè ed imperlati ancora
delle gocce della rugiada. Questo ama la ingenua fanciulla ; questi
sono i suoi vezzi e i suoi diamanti. Preziosi arazzi non coprono le
pareti, nè da esse pendono pitture di gran prezzo ; non dorate ma
bianche e pulite sono le travi ed il muro. Quattro tele rappresen
lanti soggetti di pietà o di religione ornano semplicemente le mura
glie. Su quella che avete dinanzi agli occhi, una Maddalena , china
a' piè del morto Redentore, non cessa di baciarli e di bagnarli con
lagrime. L'anima sua versasi in que' baci ed in quel pianto; e , se
la carità potesse trasfondere la propria vita negli estinti, vedreste
subito che quelle membra squarciate e irrigidite s'integrerebbero e
si rianimerebbero .
SANTA GIUSTINA DA PADOVA 109
Questo quadro predilige la donzella : su questo fisa gli occhi; que
sto è il suo specchio.
Un tavolo , coperto di semplice tappeto, con suvvi due vasi di
fiori, poche scranne all'ingiro, un pulito letticciuolo, un armadio di
noce : ecco di che si completa e si adorna la camera, ma tutto è
mondo, tutto disposto con ordine , proprietà e simmetria. La mon
dezza esteriore è come un'aria pura in mezzo a cui l'oro di quel
l'anima eletta più vividamente e dolcemente splende.
Ma dov'è, e che fa la padrona ?
La padrona vedetela là, presso al letto, china al suo inginocchia
tojo : ha le spalle a noi rivolte : non sapete se preghi, mediti o legga.
>

Ma chi è, e come si chiama ella ?


È Giustina, di parenti ricchissimi, e de' principali di Padova . La
lasciarono orfana in verdissima età (1) , e padrona d'immense dovizie.
In balia di sè stessa, guai se non avesse avuto una bell'anima, una
buona istituzione e ottimi esempi de'suoi cari ! Dal mondo, che per
ingannarla correva a lei, torse il passo ; e si fece incontro, per soc
correrla, a quella miseria ch'era tanto lontana da lei. Senza famiglia,
ella si procacciò presto una famiglia di poveri ; amò le benedizioni in
luogo delle adulazioni ; non conobbe le passioni umane se non per
curare e sanare le piaghe ch'esse aveano fatto in altrui.
Ella si volta. Ohl come all' anima gentile diede leggiadra veste la
natural Il vago di quei suoi occhi neri e le maniere graziose e

(1) Pene infans parentibus orbata, canta la Chiesa nel giorno della sua festa
(lezione IV ). Il Cavaccio , nella sua opera intorno al cenobio di Santa Giu
stina : Vix puellares annos excedebiit. Secondo l'Orsato ( Historia di Padova,
lib . I ), nacque nel 53 e mori nel 70 dell'era cristiana . Giustina, vergine e
martire , fu figliola di Vitaliano Giustino e di Prepedigna, ambedue d'illustre
e nobile schiatta . I parenti la educarono colla parola e coll'esempio alla fede
ed alle virtù del cristianesimo ; e fu battezzata da san Prosdocimo, discepolo
di san Pietro . Viveva dunque ai tempi di Nerone , che imperó dall'anno 54
al 70 di Cristo. Ella attese a superare colla nobiltà delle azioni la chiarezza
dei natali , a tener più conto della bellezza dell'anima che di quella del corpo,
ed a considerarsi ognora non altro che dispensiera al povero delle cospicuo
ricchezze eredate . Dove si soffriva, dove si gemeva ell' era come un'appari
zione inaspettata di beneficenza e di conforto. Pati il martirio in verde età,
come attestano queste parole della lezione V , che si canta dalla Chiesa nel
>

suo anniversario : Justina , moribus priusquam annis matura, nondum con


fugio apta , martirio erat adulta. Elia non si lasciò intimorire da minacce,
nè adescare da promesse, nè piegare da' tormenti , quando in Padova il pro
console romano perseguitava i cristiani, e lei con ogni modo ed argomento
voleva indurre all'apostasia. Crudel lrro le tolse la vita , trapassandole
da banda a banda il pelto . Le fu dedicato un magnifico tempio nella città
di Padova. La chiesa ha figura di croce, ed è sostenula da pilastri quadrati.
Il primo altare è il santuario nel quale, solto la mensa, riposano le spoglie
mortali di Giustina. L'altare, tanto in prospetto quanto dai lati e dalla parte
di dietro, è fatto di rimesso di pietre di paragone , vagamente lavorato con
lapislazzuli, corniole , madreperle, coralli, ecc. In facciata, nel fondo del coro,
110 SANTA GIUSTINA DA PADOVA
sante come bene rivelano la sua interiore bellezza ! Come è bene
disposta ogni sua parte, e come nella semplicità schietta ella mostra
di non aver bisogno dell'arte per esser bella ! Non ha indosso ne
seriche vesti, nè ori, nè gemme, ma pur come risplende la sua bel
lezza !
Chiedete che fa ?
Ella legge un libriccino. Non è uno di quei libri che per la via
di un pericoloso diletto fan nascere e sviluppare le più ardenti pas
sioni , non è di quei libri , su cui , chipato , si duole l'avaro di aver
troppo speso per sostentare magramente la propria famiglia ; non è
uno di quei libri di dare e avere , sui quali si medita e s'impara
molte volte ad ammiserire il prossimo per arrichire sè stessi. Nel
libro di Giustina con cura esattissima e scrupolosa son notati tutti
si vede un famoso quadro che rappresenta il martirio di santa Giustina
opera di Paolo Caliari, detto il Veronese. Questo quadru è fregiato di un gran
dissimo ornamento di legno dorato, d'ordine corinzio, con Vaghissimi intagli,
falto da Giovanni Manetto fiorentino, nel 1576. Il Veronese eseguiva questa
dipintura nel 1576. Lit tavola rappresenta nel piano il mailirio di santa Giu
stina , e all'alto Gesù Cristo con la Vergine, san Giovanni ed angioli che ca
lano dal cielo con palme e corone. Quella gloria, dicono gl'intelligenti, tra'
quali il Moschini nella sua Guida di Padova, è pesantissima e contro lo stile
del pittore , che soleva dare a'suoi quadri yran respiri e campi tutti sfogati
ed ariosi ; ma la colpa si pretende non fosse di lui, ma di chi volle cosi contro
il disegno dell'ariisia. La piliüra è però ammirabile per l'espressione viva
delle figure e il suo forte colorito, per il disegno e per l'architellura. Vedesi
in essa il ritratto del pittore, ed è quel tribuno di soldati che ha un bastone
in mano. Poichè questo quadro doveva essere collocato assai alto , il giudi
zioso pittore ne prese il punto di visla sotto il medesimo, collocando le prin
cipali figure nella prima linea del piano, mancando per tal modo la veduta
delle più lontane, siccome accade nella maniera naturale di vedere.
MARTIRIO DI SANTA GIUSTINA. Quadro in tela di Paolo Veronese, nella
R. Galleria di Firenze. Sta genuflessa nel mezzo la santa vicina a spirar l'a
nima per mano di un manigoldo africano, che le immerge un pugnale nel seno.
Ella è regalmente vestita, e con la destra stesa e la sinistra raccolta, rivolge gli
occhi moribon ii al cielo in atto di offrirsi, piena di affetto e di rassegnazione,
in olocausto al Signore . Alla sua dritta due presidi , in abito orientale, si mo .
stran compresi di meraviglia e stupore a tanta fortezza ; mentre al lato op
posto , due gentiluomini di diversa età , con le facce meste e dimesse espri .
mon dolore e commiserazione. Non si vuol guardare scrupolosamente in que
sta pittura a qualche difetto nell'andamento delle linee della composizione ,
o nel disegno dei corpi , che non è già cosa studiata e perfetta , sibbene uno
di quegli esperimenti , in parte abbozzato , coi quali il Caliari si andava aca
cingendo alla grand' opera ch- poi condusse nella chiesa di Santa Giustina
di Padova , intagliata da Agostino Caracci . È abboziato a tempera ; metodo
frequentemente abbracciato da Paolo , e che , aggiunto alla facilità del pen 1

nello, produce quel brio, trasparenza , freschezza di tinte in che consiste il


sommo pregio di questo dipinto : gui molta lode ancora proviene dall'espres
sione degli affetti onde è animata ciascuna figura , e sopratutto la princi
pale » . - G. B. ZANNONI .
Il governo della repubblica di Venezia nel 1571 inalzó sulla gran porta del
l'arsenale la statua di questa santa , in memoria della vittoria ottenuta dal
l'armata Veneta contro i Turchi alle isole Curzolari a'di 7 otiobre , giorno
della festa di Santa Giustioa. Coniò pure una nuova moneta, il cui nome volle
SANTA GIUSTINA DA PADOVA 111

coloro che soffrono : il poverello che non ha di che cibarsi , l'orfa


nello , la vedova , il prigioniero , l'oppresso ; nè bada se siano suoi
concittadini o forestieri, degni o indegni de' suoi benefici, perocchè
non vede in essi che l'umanità afflitta e bisognosa e perciò avente
diritto al soccorso altrui. A tutti chiede informazione de' poveri, de'
malati, di coloro che patiscono persecuzione , a ' servi , a' parenti, a'
magistrati, a qualunque ella possa avvicinare.
Giustina sta in lunga meditazione su quel libro, perchè, pur troppo,
i nomi sono molti. Ella, leggendo e rileggendo, nella memoria i nomi
di coloro che assottiglieranno ognora più il già ricco patrimonio. Se,
per dimenticanza, ella omettesse una sola persona bisognosa, avrebbe
in quel di una gioja di meno, sentirebbe anzi un dolore, un rimorso
indescrivibile. E , quando quelle persone beneficate non hanno più
che fosse Giustina, avente per motto : Memor ero tui, Justina virgo. La statua
è opera di Girolamo Campagna.
Abbiamo a stampa alcune ottave sull'Adolescenza di santa Giustina , di
Benedetto dell'Uva. A saggio diamo le quattro seguenti :
Là nel ferace e dilettoso piano ,
Ove nobil cillà fondar già piacgue
E riposarsi ad Antenor trojano ,
Lodati i campi , i dolci colli e l'acque , .

Questa donna gentil. pregio sovrano


D ' Europa lulta , e più d' Italia , nacque ;
E nacque in que' felici di , che ancora
Della fe ' di Gesù splendea l'aurora.
L'uno e l'altro fiarente origin ebbe
Di stirpe illustre , e fu di Cristo amico :
Quel che vie più pregiar , qurl che si debbe
Lodar in lor sovr'il lugnaggio antico,
Sotto il fren d'ambidue Giustina crebbe
Schiva d'ogni atto di viriù nemico ,
E col latte bevea quanto richiede
Di speme e carità la nostra fede.

Pietate ed onestà van seco ognora ,


E guardia fan che nolia le si tolga ;
. Ovunque torca i piè , la terra infiora ,
Riziono i colli , ove le luci volga ;
Ed il suo portamento ad ora ad ora
Par che negletto maggior grazia accolga ,
E la divida da lutte alire in modo ,
Che , per molto diri'io, poco ne lodo.

Ma quanto altrui fu placida e cortese ,


Tanto a sè stessa fu rigida o dura ,
Di cilizio e digioni armala , atiese
A sollecita aver de'se si cura ,
E cosi servo il corpo all'alma rese .
E serva alla ragion l'anima pura ,
Che non mai l'uno all'altra, o questo , o quella
Al re del ciel si dimostró rubella .
112 SANTA GIUSTINA DA PADOVA

bisogno di lei, ella scancella i loro nomi , perocchè non crede che
nessuno abbia contratto debito con lei , ma si unicamente di avere
essa adempito al proprio dovere. Si sussidi la memoria a fin di bene,
ella dice, non a scopo di vanità. Chi pensa al prossimo al suo ben
s'approssima : il servizio torna sempre a casa con guadagno ; ma a
lei basta che delle buone azioni che fa sia pago il suo cuore ; le
basta sapere che , s' ella scancella que' nomi , v'è un potente , v'è
Iddio che li registra indelebilmente a fianco del suo dare e avere
nel libro della vita.
Con le sue chiavi d'oro oh quante volte ella dischiuse la prigione
al debitore ; oh quante volte riscatto dalla pena colpevoli che si di
cevano ravveduti e pronti a cambiar vita ; ed oh quante volte corse
a somministrare all'infermo e porse colle sue stesse mani i farmachi
salutari ! Se le tenete dietro, quand'esce di casa, voi la vedete pal
lida, sbigottita, affrettata ; ma, quando ritorna, sebbene stanca, ha le
rose sulle guance , è ilare e contenta. Perchè ? Perchè quand' esce
ella teme che i suoi soccorsi giungano troppo tardi ; e quando ri
torna è sicura, è lieta del bene che recato ad altrui.
Care fanciulle, non vi par bello, santo e delicato il pensiero della
nostra Giustina, che col suo libretto costringeva la memoria a non
far torto al cuore ?
Ditemi, se sapete, il nome di qualche eroina che facesse altrettanto.
VII.

Sant' Agata
Forsechè la Chiesa ha sofferto tante e così accanite persecuzioni
perchè gl'idolatri tenessero molto a' loro iddii, e perché il politeismo
greco - romano fosse radicato nel loro cuore ?
Nol crediate; l'antica religione di Roma era giunta a quello stadio
da cui ogni istituzione volge a decadenza non solo, ma anche a pros
sima ruina; e quello stadio era l'indifferenza e le sprezzo quasi ge
nerale dei dogmi e delle cose del culto. Per alcuni queste non erano
più che abitudine, per altri riposo nelle commozioni e ne' tumulti
profani, per altri divagamento e sollazzo nella monotonia della vita.
Quella religione aveva finito il suo compito; se ne vedeva l'insuf
ficienza , se ne sindacavano le dottrine, se ne criticavano gli errori ;
poca o nessuna considerazione godevano i suoi ministri ; essa avea 1

perduto ogni fascino ; non se ne additava più che il lato brutto o


ridicolo. Il fulmine di Giove , non più di creta o di legno ma fat
tosi d'oro, non mettea più paura, ma tirava a sè cupidi gli occhi
>

o le mani del ladro. Cicerone aveva invocato la causa delle cause, 1


1
SANT'AGATA 113
che non era nè Giove, nè il Fato (1); e gli scritti di Seneca spiravano
già del profumo della sapienza cristiana (%) .
A reagire contro le nuove dottrine e la nuova fede erano pronti
quasi più i mondani, imperatori, consoli ed altri magistrati, di quello
che la casta sacerdotale (3). Poca importanza , poca influenza sulle
cose del mondo concedeva la costituzione dell'impero agli uomini
esclusivamente dedicati al culto ; ed essi pare non si dessero gran
pena della caduta di questo, sebbene nella sua ruina si potesse pre
vedere che sarebbe travolto anche l'impero ; speravano forse miglior
ventura e più autorità dalle cose nuove, qualunque fossero .
Religione e sacerdozio si sfasciavano da sè ; non li teneva in piedi
che l'abitudine e l'interesse dei vecchi credenti , l'interesse di co
loro principalmeate che scorgevano dalle nuove dottrine d'egua
glianza minata la propria grandezza soverchiatrice.
Si aveva la fede degli avi e degl' imperatori e non la propria.
Perchè si perseguitavano i cristiani ? Perchè perseguitare i cristiani
era intanto un buon affare per gli idolatri. Non solamente con quelle
persecuzioni non pochi credevano tutelati e preservati i loro inte
ressi dal diverso ordine di cose che li minacciava, ma moltissimi lo
trovavano eziandio ottimo mezzo di aunghiare gli altrui patrimoni,
confiscando e appropriandosi i beni de' professanti la nuova fede. Il
cristianesimo manifestavasi in buon punto per molti gentili, che nel
piacere e nel vizio avevano dato fondo a' loro averi : tuffavano il
braccio nel sangue de' martiri, e n'uscivano fuori col pugno pieno
di oro .
Come chiamar zelo religioso quello che li faceva ladri dei beni
de' privati, e quello che sbrigliava impunemente altre malvagie pas
siopi ?
Oh ! di molte sante giovinette la maggiore e vera colpa, agli occhi
dei tiranni, furono non la nuova religione abbracciata, ma le grandi
ricchezze possedute e l'onestà scrupolosamente e intrepidamente
difesa .

( 1) Giove ( lat. Jupiter ), figliuolo di Saturno e d'Opi , re degli dèi e degli


uomini . Dice Cicerone che l'etimologia del suo nome era juvo ( giovo) e pater
( padre ) ; ma fu padre che giovo poco a'suoi figli essendo piuttosto dedito ad
ingannare le povere fanciulle. Giunone , sua moglie , era il più orgoglioso , te
stardo e vendicativo pavone del cielo. Sopra la volontà degli dei c'era il
Fato : una misteriosa forza irresistibile , per la quale alcuni eventi doveano
accadere necessariamente ed in modo immutabile . A che riducepasi la on
nipotenza di Giove ? Falı s'appellavano anche le Parche .
(2) Più tardi , l'imperatore Severo ( che regnò dal 222 al 235 di Cristo) era
solito ripetere la massima cristiana : Non fare agli aliri quello che non vor
resti che fosse fatto a te ; ed in ogni occasione la praticava.
(3) Grande invece era stata la resistenza della casta sacerdotale coniro l'in
troduzione del culto d'Iside .
BERLAN, Le fanciulle celebri. 8
114 SANT'AGATA

VIII.

Curia di Catania. Edifizio quadrangolare, a pezzi di lava, nell' in


terno del quale gira un portico , con aperture che mettono a di
verse stanze. Il portico è sostenuto da colonne scanalate , che
nell'imo scapo e nel centro sono rafforzate con mattoni cilin
drici. Lo spazzo è selciato con pietre colorite , che sembrano
9

come di mosaico. Il sole con deboli raggi investe la statua dorata


della Giustizia , che sta nel mezzo ; sotto al portico , dirimpetto
alla maggior porta d'ingresso, il simulacro di Giove. Al lato de
stro del portico, una gran sedia di marmo e , sopra , una statua
in bronzo dorato rappresentante l'imperatore Decio. Una porta ,
di rincontro alla statua medesima , dà in un'ampia piazza , in
cui vedesi il tempio di Giove. Quinziano, proconsole, meditabondo,
chiuso nella sua toga, passeggia su e giù pel lato destro del por
tico. Pretoriani e littori, in due piccoli gruppi, taciturni e quasi
immobili, occupano parte del quadrato di mezzo. S'odono gli ul
timi colpi di martello d'un artefice che nella curia sta riparando
il fulmine di Giove. Pochi popolani quali escono e quali entrano.
Quinziano si ferma, e volgesi al liberto.
QUINZIANO , un LIBERTO , poi AGATA.
Quinziano. Che ne hai fatto di quella cristiana ?
Liberto. Quanto ordinaste , o proconsole ; nessuna blandizie , nes
suna promessa , nessun mezzo, nessun'arte fu intralasciata per ri
durla a' desideri vostri. Venne data in mano a colei che ci avete
designata, maestra di vizi, come sapete , la quale , postala in com
pagnia di parecchie giovani vane e sfacciate, le fece brillare innanzi
agli occhi tutto ciò che il lusso , l'oro ed il piacere hanno di più
seducente. Nessuna delle nostre vestali avrebbe potuto resistere. Ma
invece.... invece poneste la luce in luogo oscuro, e la luce non s'o
scurò , ma rischiarò e svergognò le tenebre.
Quinziano. Traducimi in buon volgare i tuoi arzigogoli.
Liberto. Volevo dire che gli esempi delle altre non la perverti
rono punto , e che anzi il suo esempio poco mancò non facesse
cambiare a taluna propositi e vita. È strano che la virtù vera abbia
questo privilegio d'incutere rispetto anche alla gente di mal affare,
che, se non la segue, incontrandola pur l'ammira.
Quinziano. Virtù I virtù ! per noi è nome vuoto di senso. Che
rende, quanto rende codesta virtù, ch'è sogno e vantato patrimonio
dei miseri e degli oppressi ? Virtù per noi è la forza , quella forza
ch' è necessaria per giungere ad arduo scopo ; e perciò più di qual
che volta noi chiamiamo virtù anche l'utile violenza. Dunque la
SANT'AGATA 115
ribalda Afrodisia, con tutti i suoi vanti, con tutte le sue promesse
e con tutto l'oro che mi ha cavato di mano , non riuscì a nulla ?
Eppure la strada del vizio è lubrica ; basta saper dare la prima
spinta.
Liberto . In verità, era impresa difficile, perchè la giovinetta, bene
istituita e bene educata, trovava in sè stessa troppi mezzi di resi
stenza. È difficile piegare un albero se sia cresciuto diritto . Stan
chereste la vostra forza senza ottener nulla .
Quinziano. Ma non tutti i mezzi furono esauriti.
Liberto. Se li cambierete, forse... perchè gli usati finora .... Mi è
permesso parlare schiettamente al mio signore ? ( Quinziano accenna
col capo di si). Si, perchè i mezzi usati finora non furono al certo
i migliori ed i più acconci.
Quinziano. Oh udiamo il nuovo Ovidio Dell'arte di amare (1) !
Liberto. Ma se vi spiace....
Quinziano. Parla, ti dico.
Liberto . Signore, volete amore da lei , e la strappate alla vita di
Palermo , a cui fu avvezza sin da piccina, alle sue dolci abitudini
ed a' suoi cari ? Volete amore da lei, e credete con promesse e con
doni poterlo conseguire da una fanciulla che non ignora di essere
ricchissima , e che sa di non godere per causa vostra delle agia
tezze domestiche ? Volete amore da lei, e vi mostrate acerrimo osteg
giatore delle sue credenze, chiudendola, appena giunta in Catania, in
oscuro carcere ? Or questi modi non conciliano affetto , ma attirano
odio ; anzi, l'affetto stesso convertirebbero in odio mortale. Liberata
di prigione la date in balia di donna scostumata, supponendo che il
giglio non continuerà più ad olezzare perchè gittato sopra un im
mondezzajo. Questi balenamenti, questi bruschi passaggi dalle pro
messe alle minacce, dalle carezze ai maltrattamenti, non solo non
possono conquistarvi l'affetto bramato, non solo vi procacciano l'odio
di lei, ma potrebbero essere anche interpretati come segni certi di
debolezza. Ora vi siete acquistato ad un tempo odio e disprezzo ;
ecco a che termini siete.
Quinziano. M'odi e disprezzi ella pure, purchè mi tema ; sia l'una
o l'altra la forza che la leghi alla mia esistenza, poco importa .
1
Liberto. Allora volete una vittima; e che affetto può nutrire una
vittima per chi la sacrifica ?
Quinziano. Non ho detto l'ultima parola. Quando l'adocchiai vidi
a un tempo la sua bellezza e la sua ricchezza . Erano due gli ar
cieri che miravano al mio cuore, non il solo, il cieco Amore.
( 1) Publio Ovidio Nasone , poeta dei tempi di Augusto, scrisse infatti, fra gli
altri molli, un libro di tal titolo.
116 S'ANT'AGATA
Liberto ( fra sè). Non è costui il primo dell'ordine patrizio che la
pensi così. Oh come ce n'è di molti, che a guisa delle belve feroci,
quando hanno affissata la preda, con moto simultaneo brillano negli
occhi e sentono un non so che nelle unghie !
Quinziano. La bellezza e la ricchezza sono forse indivise e indi .
visibili in lei ? Ella è cristiana,' ) sai pure. S'io tion potrò avere la
rosa fresca ,9 odorosa , col suo verde ramoscello , la schiaccierò per
cavarne la preziosa essenza. Tu, đel volgo, pensi e ragioni da volgo;
voi altri vi appagate delle apparenze , noi conchiudiamo, tendiamo
alla sostanza.
Liberto (fra sè). Non era forse mal detto : alle sostanze.
Quinziano. Vapne, traggila alla mia presenza; vedrai che, se non
basta il braccio per piegare i rami di questa quercia superba, ver
ranno all'uopo'quelle scuri (additando i littori. Il liberto esce).
Quinziano. A maggiori conquiste dovresti aspirare, o Quinziano ;
mi dice più di qualche volta una voce dentro di me. Non sei tu
ambizioso ? Non ambizioso io ? Eccessivamente anzi ; ma non sono
nè ricco, nè stolto come Pertinace o come Giulio Dedo , che prodi
garono a' soldati ed a' pretoriani milioni e milioni di sesterzi per il
vano titolo imperiale . Poco tempo dopo la loro elezione furono as
sassinati ; questo raccolsero dalla loro prodigalità . Dare per essere
eletto, poi dare per non essere ucciso , e dare più di quello che altri
darebbe perchè foste gittato cadavere giù dal soglio ; ecco la vita di
chi regna oggi. Meglio è ricevere, meglio è pigliare, meglio essere
proconsole . L'imperatoret L'imperatore ! Chi ci pensa ? Egli pensi
piuttosto a tenere in freno i Goti ; per lui le fatiche e i pericoli , per
noi le ricchezze e il piacere . (Recasi vicino alla statua della Giu
stizia . Tra sè) : Ecco qui Astrea , fatta mercantessa (!) , che vende
le derrate della giustizia della qualità e del peso che vogliamo noi.
Il popolo ha un bel dire : La Giustizia , la Giustizial Si , ma quella
che vogliamo noi, perchè l'altra , la vera Astrea >, fino dall'età del
>

ferro ha pensato bene di levarci l'incomodo e di ritornarsene fra


gli dèi. S'inquietava la schizzinosa , perchè il mondo non andasse
secondo le sue idee. Buon viaggio ; senza neanco augurarvi , cara
signora , un felice ritorno ; chè già lassù i numi vi daranno abba
stanza da lavorare , se non avete cambiato mestiere , e se non chiu
dete un occhio, anzi tutti e due. Ma ecco il liberto colla mia cri .
stiana . Ricomponiamoci, torniamo il terribile proconsole , il custode
e il vindice delle ragioni dello Stato e della religione . Attento Quin
ziano, chè, difendendo gli interessi della religione, curi i tuoi ! (Entra
( 1) Astrea, nome della dea della Giustizia , presso i gentili ; ed anco uno dei
segni dello zodiaco, detto anche la Libra.
SANT'AGATA 117

Agata nella curia , guidata dal liberto . Trilustre appena (1) , è per
fettamente bella, alta della persona e di leggiadre forme, ma nei li
neamenti e nelle movenze nulla ha di leggiero. Il suo incedere, al
suo guardare, il modo con cui erge la testa ha qualche cosa che ri
vela la giovane altamente compresa della propria dignità. Non è vana
superbia, ma santo decoro ; tutto mostra in lei, anche nel dire, che
ella pensa che ognuno le debba rispetto, non per i suoi natali, non
per le sue ricchezze, ma per la nobiltà del costume e del contegno.
I suoi grandi occhi sono ornati di due sopraciglia delicatamente ar
cuate, che aggrottansi ad ogni altrui minima sconvenienza di parole
o di sguardi, quasi archi che si restringono alquanto, mentre gli occhi
saettano sguardi di santo sdegno. Ma quando una tenera e benigna
impressione viene a rasserenare, a raddolcire quegli sguardi, irre
sistibile è il loro potere. Il liberto lascia per un istante Agata, giunta
a pochi passi di distanza da Quinziano ; ed a costui s' avvicina ,
parlandogli con voce sommessa. Intanto Agata , volgendo le spalle
a' soldati, butta un'occhiata sprezzante sulla vecchia statua di Giove,
di cui è riparato alla meglio il fulmine, Quinziano accenna al li
berto di far che Agata yli s'accosti. Patrizi e popolani, quali sono
già entrati e quali entrano nella curia. Il proconsole, in gran sus
siego, va ad occupare sotto alla statua di Giove un alto seggio di ala
bastro forito con teste di tigre ne' bracciuoli.
Quinziano. Di che gente sei, o fanciulla ?
Agata . Tutti sanno chi io mi sia e in Palermo e in Catania, e tu
per il primo, che, incontratami non è gran tempo in Palermo, cu
rioso del mio essere e del mio stato, assiduo t'eri messo a frequen
tar la mia casa.
Quinziano. T'interroga il magistrato ; rispondi. Di che schiatta sei ?
Agata. Che importa ch' io sia di nobile lignaggio ? Vuoi ch'io lo
ripeta in pubblico , per avvilirmi forse , e perchè , ricordando quale
io fossi, ognuno vegga a che condizione infelice tu m'hai ridotta ?
T'inganni però ; nella forte sicurezza della coscienza, la mia anima
gode combattendo le battaglie a cui l'hai disfidata.
Quinziano. Tu stessa confessi di avere sortito nobili natali ; or
com' è che, nobile, fai opere da schiava ?
( 1) . Sono chiari al mondo cattolico i martiri catanesi , fra i quali primeg
gia la patrona sant'Agata, che in età appena di quindici anni, seppe resi
stere ai più crudeli tormenti e confondere l'orgoglio dell'empioQuinziano ,
in quel tempo proconsole solto Decio, uno dei più ostinati perseculori della
Chiesa, ( Descrizione di Catania , Catania , Giuntini, 1841 , in -8 ). La santa
mori nel 251, essendo Decio console per la terza volta. Sant' Isidoro ' di Sivi
glia , cantando di lei, in due suoi inni la chiama Chris i puella, nobilis puella,
fortis puella . (cristiana fanciulla, nobil fanciulla , forte funciulla ).
118 SANT'AGATA
Agata. E quali sono codeste opere servili ?
Quinziano. Il non sacrificare agli dèi e tenere la superstizione dei
cristiani sono ben opere da servi.
Agata. Io non giudico opera da servi il servire la fede che più
ci piace. Opere da servi chiami tu l'esercitare quel naturale diritto
che ha ognuno di professare quelle credenze che più crede conformi
al retto modo di vedere di ragionare ?
Quinziano. Si, opere da servi ; il tuo cristianesimo ha i suoi pro
seliti nella vile moltitudine.
Agata. E sai perchè ? Perchè la moltitudine è oppressa ; ed alla
moltitudine oppressa s'affaccia ee conviene una religione consolatrice ,
di amore, di giustizia, e di eguaglianza .
Quinziano. Ti ribelli allo Stato ed alle sue leggi; lo Stato non $

vuol conoscere che la propria religione ; tu devi ubbidire, tu devi


sacrificare agli iddii.
Agata. Io non so chi abbia dato diritto a quello che tu chiami
Stato d'intervenire nelle cose dell'anima mia. Voi disponete delle
nostre persone e delle nostre robe, e non vi basta abusare di esse ?
Che vantaggio ha lo Stato dal non lasciarci riposare in quella fede
che ci ristora nelle miserie nelle pene ch ' esso per mezzo vostro
c'infligge ? Dovremo avere e cuore e mente soltanto per andarvi a
grado ? Vi fa torto o vi fa paura che noi crediamo in un Eote per
fettissimo, che ci amò creandoci , che ci ama conservandoci , e che
non mostrò mai la sua potenza nel far patire l'umanità , ma che
lasciò che il figliuolo suo a salvezza dell'umanità sofferisse ; in un
Dio che ci compenserà delle pene durate e delle tribolazioni patite
con animo fidente in lui ?
Quinziano. L'hai pur manifestato il tuo pensiero; hai pur con
fessato che t’incresce e rinneghi l'antico culto, e che ami le novità
religiose. Ma il tuo nuovo Dio fu crocifisso, e non ti darà che do
lori. Che vaghezza ti prese per una religione che insegna e vuole
il perdono delle offese, l'umiltà e la rassegnazione ? Queste non sono
le virtù delle tue pari.
Agala. Non sono, ma saranno, quando le anime farannosi più ge
nerose, quando non si seguirà una fede, quando non si praticherà
un culto per abitudine o per servire unicamente ai propri interessi
ed alle proprie passioni . Se ti par tanto dura a praticarsi la religione
che combatti, combattila pure, chè già è del tuo uffizio, ma rispetta
coloro che volonterosi la seguono , e onora in essi quel disinte
resse delle cose di quaggiù , quell'abnegazione, quella generosità ,
che non hai.
Quinziano. Che ! non sono io generoso teco ? Per ricondurti sulla
SANT'AGATA 119

buona via , ti trassi pur da Palermo , dove avevi succhiate le false


dottrine, e dove una severità pietosa non interveniva, per colpa della
debolezza de'tuoi parenti, a correggerti salutarmente. Nella mia
stessa severită devi scorgere un argomento di generosità verso di
te : appena ti seppi cristiana, potevo dannarti nel capo, e invece colla
reclusione ho tentato ridurti a migliori consigli..

Agata. E che speravi, o uomo generoso , col sequestrare i miei


beni e col mettermi in balia di donna di cattivi costumi ?
Quinziano. Ci sei corsa tu ; non ti ho mandata io.
Agata. Non mi curo di ribattere questa calunnia: ecco là il tuo
complice ( additando il liberto ), che a forza mi vi ha tratta , e che
ora me ne fece uscire. Tu mi ci avevi mandata , perchè la troppo
libera vita di quelle donne mi traviasse ; ed io, appena giunta, cre
detti invece di poter fare qualche cosa a beneficio di quelle povere
anime, richiamandole al bene ed alla virtù. Voi altri, che giudicate,
che condannate iniquamente, avete bisogno di rovinare il buon nome
delle vostre vittime perchè l'opinione pubblica , stomacata de' fatti
vostri, non si sollevi contro di voi. Se io non fossi di costumi im
macolati , Quinziano sarebbe mio amico , e io non mi troverei qui
nella curia alla sua presenza .
Quinziano. Male, se non hai fatto senno, se , giovane, non hai com
preso la tua stoltezza nell'abbandonare quanto vi ha di meglio al
mondo, cioè una vita accetta agli dèi e nel tempo stessa infiorata
dalle gioje e dai piaceri. Ma ancora sei in tempo ; rinsavisci, ama
chi t'ama veramente, chi ad ogni costo vuole la tua felicità, chi si
dorrebbe come di propria sventura, della tua perdita. Sei fiore gen
tile ed olezzante, e perchè ti chiudi alle carezze dello zeffiro che
amorosamente ti aleggia intorno, e perchè preferisci di crescere fra
i dumi e le ortiche ? Tu saresti l'ornamento, la gioja e il vanto del
fortunato mortale , a cui concedessi il tuo affetto. Sei tanto desiosa
di novità nelle cose del culto ? Per soddisfarti, quell' uomo , vedi ,
quell'uomo sarebbe capace di trovare un qualche partito : a te, non
contenta della nostra religione, egli stesso ne indicherebbe un'altra.
Vuoi proprio un nuovo calto ? Eccoti la deità del Sole, che Elioga
balo introdusse dalla Siria. È una religione comoda, che non s'op
pone al culto di Giove e di Venere , che concilia tutte le esigenze
delle umane passioni.
Agata. Tu ragioni come se non avessi un'anima, e come se l'a
nima non avesse i suoi propri bisogni anch'essa e ben diversi da
tutto ciò ch'è ribellione dei sensi alla dignità umana ed alla ra
gione. lo vi lascio i vostri fradici dêi, vecchi e nuovi; io ne ho tro
vato uno che tutti insieme li vale e li supera.
120 SANT'AGATA

Quinziano. Bada, o donzella, a quel che dici e a quel che fai. An


zichè inchinarti alle divinità della nostra patria, tu le oltraggi nuo
vamente, e allo spergiuro ed alla ribellione aggiungi la bestemmia.
Io ti porgo una mano pietosa per sottrarti al pericolo dell' ira ter
ribile dei numi e degli uomini.
Agata. Dammi una mano per salire al cielo , non per discendere
teco negli abissi. Coloro ch' io dovrei adorare, in sè raccolgono quanto
d'immondo, di putrido e di pestifero ha l'universo. Non v'ha scel
lerato che non possa invocarli a fronte alta , senza vergogna di sè,
anzi con fiducia ; che non possa patteggiare con essi, mercè più o
meno abbondanti offerte; che non possa comperare il loro patrocinio ,
e non solo la remissione ma la glorificazione eziandio delle sue colpe.
S'io debbo adorare qualcuno , egli deve essere migliore infinita- .
mente di me , non peggiore. Persino i più vili ladroni hanno appo
voi il loro protettore.... in Mercurio.
Quinziano. Abusi della mia bontà e stanchi la mia pazienza. Inu
tile il tuo garrire e doppiamente sacrileghe le tue parole, perchè
ripetute sfacciatamente nella pubblica solennità della curia, davanti
al magistrato ed al popolo, e in faccia all' augusta divinità di Giove .
Od abjura le male accolte credenze , od appréstati a subire atroci
tormenti. Quando l'ira celeste ti percoterà, allora comprenderai, ma
troppo tardi, che gli dèi, da te sconosciuti e bestemmiati, regnano
pure, e i malvagi puniscono.
Agata. Alle vostre crudeli e forsennate vendette io sono già pre
parata ; e, quando schiusi le labbra dinanzi a te, sapevo già che le
mie parole , quali si fossero , m'avrebbero fatta tua vittima. Voici
condannate, ma il vostro furore medesimo attesta la vostra ira im
potente. Voi fate scorrere il sangue cristiano a torrenti , ma vedete
un po' come quel sangue inaffia e feconda la pianta del cristiane
simo e la fa più rigogliosa ! La nostra religione è un miracoloso
fanciullo, che, appena respirate le prime aure vitali, brava la morte
e la stanca, rinnovandosi e risuscitando ognora più forte e gagliardo.
E le vostre persecuzioni sono effetto della vostra paura , perchè è
proprio delle nazioni degeneri e delle istituzioni decrepite lo impau
rire delle idee nuove e de'fatti che avvengono senza il loro con
corso. Cercate pure di svisare gli uni e di perseguitare le altre ; ma
non impedirete perciò che gli uni appariscano finalmente nella loro
vera e luminosa luce, e che le altre facciano il loro glorioso cammino.
Invano indurrete i pusillanimi a mentire ; e, se la morte farà tacere
i coraggiosi, i tormenti da loro sofferti, la costanza e l'intrepidezza mo
strate parleranno più alto e più efficacemente di qualsivoglia altra voce .
Quinziano. Dunqne ad occhi chiusi, spinta da cieco fanatismo, ti
SANT'AGATA 121
getti nel precipizio ? Bada a Quinziano, che ti può condannare, non
a Fabiano, al tuo vescovo di Roma , ed a' suoi miserabili seguaci ,
che colle loro fanatiche dottrine hanno sedotta e travolta la tua ra
gione : essi non ti ponno difendere, chè la spada della giustizia già
fischia anche sul loro capo .
Agata. Con te si perde l'anima e il corpo , o tutti due insieme;
io prescelgo serbar pura , innocente l'anima mia. Non temo il tuo
sdegno ; e, se temessi di qualche cosa, sarebbe della tua pietà.
Quinziano. Udite, massimo Giove ! Ella insulta, ella provoca numi
ed uomini, ma perdonatele, perchè non sa come pesi il vostro brac
cio e come fulmini.
Agata. Non temo la morte, a cui potete condannarmi voi ; chè voi
siete quelli che condannate e colpite, non i vostri falsi numi, i quali
'non possono togliere altrui la vita ch'essi medesimi non hanno. Eb
bene, venga pure la morte.
Quinziano. La morte si , ma dopo lunghi spasimi. Sai bene ciò
che Decio, il nostro felice ed augusto imperatore, serba a'cristiani.
A Cartagine , dopo che sono ridotti tutti una piaga dalla testa alle
piante, vengono esposti al pungiglione delle api ; in Alessandria, sono
bruciati vivi ; nella Tebaide, immersi , unti di miele , nell'olio bol
lente ; in altri luoghi, stesi su graticole iufocate; altrove, dati a la
pidare; altrove crocifissi; altrove, gettati vivi alle fiere. Io ho pote
stà di ucciderti, e il modo è in mio arbitrio.
Agata. Uccidi pure ; l'alba della religione è annubilata da vapori
di sangue, ma attendi il meriggio , e vedrai come sarà limpido e
>

sereno il cielo . Ogni grande idea fu sempre fatale a coloro che la


divolgarono ; ma come è mai grande la gloria di coloro che pos
sono dirsene i primi apostolil Scegli e inventa pure tormenti ; ma ,
nell'incrudelire contro altrui, bada anche a te stesso. Delle tue sevizie
contro un' innocente renderai conto al cielo, che non lasciò impunito
Eliogabalo, il tuo modello ed eroe. Invidieresti anche al suo fine ? Ma
cosi dee avvenire a chiunque si crede arbitro delle esistenze altrui,
e che, arrogandosi gli attributi della divinità, osa disfare ciò ch'ella
ha creato. Non vuoi render conto al cielo di troppa misericordia,
ebbene esso ti chiederà ragione della tua crudeltà eccessiva.
Quinziano. Per l'ultima volta, e pel tuo meglio, sacrifica a' miei
numi , a' nostri numi , ai numi della patria , dell'impero.
Agata. E tu chiami tuoi numi Giove e Venere ? Ma ne' tuoi af.
fetti domestici ti crederesti tu beato, avendo una moglie come Ve
nere (1), ed essendo tu un marito come Giove ?
( 1 ) Venere , sposa a Vulcano , non gli fu'guari fedele , e Giove non ebbe
molto a lodarsi di Giunone . Tutto il resto dell'Olimpo non era niente meglio
di costoro . Il Bracciolini scrisse un poema intitolato: Lo scherno degli dèi.
122 SANT'AGATA
Quinziano. Nulla ha più costei di sacro ; non gli dổi, non la pa
tria, non il magistrato, che insulta ! Tradirei il mio dovere se più
oltre l'ascoltassi. Si purifichi, si smorbi dalla sua presenza il san
tuario della giustizia, ch'ella ha profanato. In carcere, e poi all'an
fiteatro costei. (I giustizieri sono addosso alla vergine Agata , e ,
strappatile i reli e gittatole lunge il peplo , le annodano le braccia,
e la strascinano fuori dalla curia. Ella volgesi verso Quinziano, e
quasi ridendo ):
Agata. Mi danni a morte ? m'affretti danque i gaudi eterni ? Gra
zie, o Quinziano.
Quinziano. Si, a morte , ma a morte lunga e dolorosa. Intendete,
o giustizieri : a morte langa e dolorosa. Le tue bestemmie , i tuoi
insulti siano espiati con atroci dolori.
Agata. Non adirarti, o Quinziano; vicina a perire , non ti serbo*
rancore nè odin ; anzi pregherò per la tua conversione.
Quinziano. Mi deride costei ! Non s'indugi più al popolo lo spet
tacolo di questa giustizia. Andate (ai giustizieri).
Agata. Un'altra parola. Chi l'avrebbe mai detto, o Quinziano, che
un tuo pari , che pur si dà le arie di un uomo savio , mostrasse
pubblicamente di offendersi perchè gli si domanda se desideri pro
prio per sè la beatitudine domestica degli dei che adora ? Se meri
tano di essere adorati, non ti crucciare all'idea di essere quando
che sia pareggiato ad essi. Che se non sono degni della tua stima ,
perchè pretendi che abbiano il mio culto ?
Quinziano (con voce tonante, guardando verso la porta maggiore
della curia , da cui esce trascinata Agata) : In carcere , nella più
tetra carcere costei, e poi all'anfiteatro.

Anfiteatro di Catania. Ha forma ovale. Le mura sono a fabbrica


robustissima con pietre di lava compatta ed abbondante malta ,
rivestite di pezzi della medesima lava riquadrati, a fila orizzon
tali, di svelto lavoro. Gli archi sono di grossi e solidi mattoni, ed
i pilastrisu cui si svolgono, di fabbrica simile a quella delle mura,
decorati eziandio di pezzi di lava, perfettamente lavorati. Questi
pilastri hanno un solo zoccolo senza base, e le imposte degli ar
chi una gran cimasa , di un solo pezzo di lava , modinato alla
dorica. Calca di popolo, che , sbigottito , urtandosi e spingendosi,
esce dalla porta dell'anfiteatro. Due popolani, che volevano entrare,
a quel tafferuglio si traggono in disparte. Uno degli usciti s'acco
sta loro.

L'uscito. A che venite ? A farvi schiacciare dalle ruine dell'an


fiteatro ? Non sentite che per terremoto traballa la terra sotto i piedi ?
SANT'AGATA 123
Sprofondò anche parte del serraglio delle fiere, e gli ululati, i bra
miti e i ruggiti delle belve, che fra esse si feriscono e schiacciano,
aggiungono nuovo spavento.
1.º Popolano. Si deplorano molte vittime ?
L'uscito. In tanta confusione se ne ignora il numero : le due prime
vittime furono Silvino e Falconio .
2.° Popolano. I due grandi amici del proconsole Quinziano ?
L'uscito. Dessi appunto , che ruinarono tra i rottami della prima
scossa , tratti giù col precipitare di parte della gradinata superiore.
2.º Popolano. E Quinziano ?
L'uscito. È sparito dopo le ripetute battiture2che
2 fece dare a quella
cristiana che si chiama Agata. E fu allora che s'udi la prima e più
violenta scossa . Ma prima di partire aveva già ordinato a' giustizieri
che dilaniassero le carni alla vergine e le aprissero il petto.
2.° Popolano. E un nato di donna non si vergognò di far tormen .
tare una delicata donzella così crudelmente ? E che ! forse costui sa
rebbe nato dalle uova di qualche serpente ?
L'uscito . Parliamo cauti ....
1.º Popolano. Ma la paura del terremoto avrà rattenuto i mani
goldi dal dare esecuzione a quegli ordini ....
2.° Popolano. Che mai ? Coloro sanno che ordinariamente le pub
bliche disgrazie non colgono che il popolo minuto, e che quasi sem
pre rimangono superstiti coloro che lo tiranneggiano , i quali, pas
sata la prima paura , trovano súbito il coraggio di domandare se
furono eseguiti puntualmente i loro comandi a dispetto del lutto
pubblico.
1.º Popolano. E il popolo ?
L'uscito . Urlava di paura e di rabbia nel tempo stesso.
2. Popolano. Superstizioso , avrà forse incolpato di quell'infortu
>

nio l'eccessivo rigore di Quinziano....


L'uscito. Ma prevaleva la paura , e disperatamente ognuno correva
verso le porte, come avete veduto. E , per accrescere spavento, su
surravasi pure che l'Etna eruttasse già fiamme e lava. Si temeva
per la propria vita , si temeva per quella dei propri cari. È troppo
pieno di paura il ricordo di quell'eruzione dell'Etna, che cinse tutta
intorno la città di lava, arrestandosi appena intorno alle mura , e
alluminandole tutte come una sola fiaccola .
1.0 Popolano. La paura , come al solito , esagerava ed accresceva
il pericolo. Ora siamo perfettamente sicuri ; non sento alcuna scossa,
nè l'Etna, vedete, dà il più piccolo segno di eruzione.
0
2.° Popolano. I lamenti dei feriti e le strida dei fuggiaschi si sa
ranno confuse colle grida di dolore e coi gemiti della martoriata.
124 SANT'AGATA
L'uscito. Tutt'altro. Le erano addosso due manigoldi , che facevano
fischiare colle nerborute e ignude loro braccia le verghe, e forte
mente la percotevano; eppure ella, intrepida, faceva forza a sè stessa
perchè il dolore non la facesse piegare e cadere a terra. La forza
dell'anima visibilmente appariva in lotta colla delicata sensibilità del
corpo ; vinceva. Le cadevano a brano a brano le carni, ed ella, vol.
gendosi a Quinziano , guardandolo imperturbata , diceva: Nella di
struzione del corpo s'affina l'anima mia. Il grano del frumento non
può rimaner mondo, se prima non è molto battuto , acciocchè esca
dalla paglia e dalle reste.
1.º Popolano. Null'altro vedeste , null'altro udiste ?
L'uscito. Null'altro ; un'onda di pupolo m'avvolgeva e traevami
seco , quasi pigiato o soffocato, fuori dell'anfiteatro .
2.° Popolano. Avevate già veduto abbastaoza ; a certi spettacoli
di sangue un animo sensibile non può lungamente resistere.... Alla
fin fine trattasi di un nostro simile che soffre ....
1.° Popolano. I rettori della cosa pubblica ci prodigano questi spet
tacoli per fortificarci, dicono essi , l'animo....
2.° Popolano. Per che fare poi di codesta forza selvaggia ? Ella
non c' impedi d'avere nè Commodo, nè Caracalla , nè Eliogabalo, nè
qualche altro, che, come Commodo, come Caracalla e come Elioga
balo, non fu ancora ucciso dai pretoriani. Dai pretoriani, capite voi ?
L'uscito . Volete proprio compromettere voi stesso e coloro che
sono in vostra compagnia ? Le persecuzioni di Decio e de'suoi pro
consoli finalmente non hanno altro scopo che di mantenere inviolata
e rispettata la religione ....
2.° Popolano. Ohl io la penso altramente ; io penso che la reli
gione non si difende nè coi ceppi, nè coi roghi , nè colle mannaje;
che la violenza non è prova, ma indiretta confutazione di qualsivo
glia credenza ; e che è perduta la causa di coloro che, non potendo
convincere gl'intelletti , inveiscono contro i corpi. Che cosa prova
l'uccisione d'un cristiano ? Che noi abusiamo della nostra forza, non
già che sia falsa la sua fede. E per ogni cristiano ucciso sorgono
a migliaja altri cristiani. Noi potiamo la vite , che per ciò appunto
>

darà a suo tempo più rigogliosi i nuovi germogli ; noi tagliuzziamo


le estremità dei ramoscelli d'un albero, che ha il tronco e le radici
nel cielo.
L'uscito. Addio, buon uomo ; ho detto che Quinziano è sparito per
il momento dall'anfiteatro , ma non dal mondo ; ho famiglia e po
deri , e per difendere i martiri , non vorrei correre la loro sorte.
Altro che cielo ! Sono troppo attaccato alla terra io !
2. Popolano. Nessuno vi obbliga a dividere le mie opinioni. Ma
SANT'AGATA 125
a casa ci aspetteranno con molta ansia e trepidazione. Addio, ad
dio . (I tre popolani si dividono e s'avviano per direzioni diverse).
Sito campestre fuori di Catania. Il sole è sul tramonto.
IL LIBERTO & QUINZIANO , conducendo a mano un cavallo ,
che di tratto in tratto s' impenna.
Liberto . Non volete scorta ?
Quinziano. Ho lasciato i soldati al di là delle mura ; non ne ho
bisogno. Le possessioni di quella cristiana non sono molto distanti;
prima che annotti spero di esservi arrivato. Mandai già innanzi ar
migeri ed uomini fidati.
Liberto. Vi fu detto che la vittima mori in carcere in seguito ai
tormenti ?
Quinziano. Mi fu detto; del resto era cosa da non dubitarsene.
Ma dimmi tu ora, chi vinse la partita ?
Liberto. Ella resistè alle vostre lusinghe ed alle vostre minacce.
Quinziano. Aggiungi che resistè alle battiture....
Liberto. Ed allo stiramento delle braccia e dei piedi, ed ai graffi
di ferro che barbaramente le dilaniavano il petto (1).
( 1 ) Nel centro dell'altare maggiore della chiesa del monastero di Sant'Agata
in Catania y ' ha una statua di marmo in suo onore . Nel duomo della stessa
città molte reliquie e ricchi oggetti d'arte ricordano la santa , da papa Ur
bano II proclamata cittadina catanese ; fra essi un mezzo busto d'argento
dorato è sovracarico d'oro , perle e gioje , donate in gran parte da vari so
vrani. La corona che contiene le pietre più preziose e rare, dicesi esser stata
presentata da Riccardo Cuor di Leone, allorchè, in viaggio per la Palestina,
volle venire in Catania a venerare sant'Agata ; il ritorno dal quale viaggio
somministrò materia di romanzo a Gualtiero Scott. Nell'abside maggiore vege
gonsi, sulle spalliere degli stalii del capitolo , scolpiti in legno il martirio e
tutti i fatti che precedettero e seguirono la morte di lei , opera cominciata
nel 1592. Sopra uno degli altari , a sinistra , dello stesso duomo, sla dipinta
sant'Agata nell'atto che le si strappano le carni ; opera pregevolissima di
Paladino, dell'anno 1605. Anche l'antichissima chiesa detto il Santo Carcere
possiede un quadro che rappresenta sant'Agata che cammina al martirio fra
carnefici ed una gran folla di popolo. Si yede in fondo l'anfiteatro che crolla.
E amuirabile per la espressione onde le figure sono animate e per la forza
del colorito . È di Bernardo Niger , fratello forse o almeno parente al Niger
3

palermitano, valente dipintore e scultore del secolo XVI . Nelle sale della
Biblioteca Ambrosiana di Milano si conserva una tavola del celebre pittore
Ercole Procaccino, milanese (n . 1596 , m. 1676). Essa esprime il martirio di
Agata. Mentre un aguzzino con una tanaglia dilacera la vergine cristiana ,
l'altro si sporge a guardarla in viso . Commovente è l'espressione della sanſa
maestosa e ispirata Certo Maniace trasporto il corpo di Agata da Catania
a Costantinopoli ; ma nel 1027 da un calabrese, detto Giliberto , e da un fran.
cese, chiamato Goselino, fu involato e riportato in Catania Le loro immagini
si veggono dipinte a fresco nell'interno della Santa Cameretta , nel duomo
della predetla città. Anche il pittore veneziano G. B. Tiepolo (0. 1692 ,
m. 1796 ), ai Santo di Padova , espresse mirabilmente in una tela il martirio
di sant'Agata .
126 SANT'AGATA
Quinziano. E , certamente , senza guaire, senza imprecare, pre
gando anzi pe' suoi uccisori, chè cosi sogliono morire i cristiani;
io lo so che la fede li fa eroi.
Liberto . Vi confessate vinto ?
Quinziano. Stolto ! è il vinto o il vincitore che rimane padrone
del campo nemico de' suoi tesori ? È il vinto o il vincitore che
entra a cavallo (monta sul destriero) nelle tende nemiche per por
tarvi il saccheggio ed il fuoco ?
Liberto. V'intendo .... gl'immensi suoi beni....
Quinziano. E chi non capisce che fra breve ora saranno miei ?
( Sprona il cavallo ; poco dopo una folta macchia lo toglie alla vista
del liberto ).
Sito boscoso a poche miglia da Catania. È notte buja , di quando
in quando rischiarata da lampi. In quegli intervalli di momenta
nea luce veggonsi due grigi lupi, sulla riva di gonfio e spumoso
torrente, affrontati e intenti a disputarsi un curcame di quadru
pede. Di tratto in tratto i loro ululati rompono que' tristi silenzi.
Comincia a cadere la pioggia , fischiando tra le foglie degli alberi.
In questo s’ode il lontano scalpito d'un cavallo ; poi più distinta
mente se ne distinguono i passi. Un lampo di luce rossastra illu
mina improvviso la figura di Quinziano , che , scoperto il capo e
coi capelli sparsi sulla faccia , a mala pena può reggere le briglie
al destriero che , aombrato , s' impenna. La faccia del proconsole
è pallida ; egli fa gli estremi sforzi per non essere gittato di sella.
Un tuono fragoroso copre il calpestio del cavallo, lo scroscio della
pioggia e il mugghiar del torrente . Poi un grido. Nella direzione
da cui è venuto Quinziano, ad un tratto cominciano a scorgersi,
in lontananza , molte faci, che , agitandosi nel nero aere , lo ri
>

schiarano debolmente, senza lasciar però ben discernere coloro


>

che, correndo, le portano. Uomini e faci sono presso alla riva del
torrente ; si fermano ; chi è loro capo , tenendo alla colla sinistra
una fiaccola , addita colla destra il mezzo del torrente vorticoso ,
e dentro una massa che s'agita. Quella guida è il liberto ; egli
accenna a'suoi compagni Quinziano che, sbalzato dal cavallo ,
affoga fra quelle onde spumose.
Liberto. Noi c'eravamo affrettati al suo soccorso , ma una ineso
rabile divinità ci ha prevenuti. A chi basta il coraggio di strap-
parle la propria vittima ? Vedete come s'accavallano que' flutti, udite
come mugghiano ! Pajono orsi dai lunghi e bianchi velli che, azzan
nata la preda, ululano di gioja feroce ! 0 Quinziano, ti vantavi d'an
dare al possesso delle immense ricchezze di Agata ! I suoi avanzi
mortali avranno altari e templi ; mentre il tuo cadavere sarà ribut
tato tra breve da quelle stesse onde, che ora avide lo inghiottiscono.
SANTA LUCIA 127
IX .

Santa Lucia .
Lucia , giovinetta siracusana , è nata di nobili e doviziosi parenti.
Fanciulla, non l'allettano i trastulli , i passatempi e le vanità, ma
ama i poverelli.
Ella è così potentemente inclinata a far altrui del bene, che sti
mola a ciò la stessa sua madre, ch'è pur caritatevole.
Padre non ha ; egli in età verdi ima lasciolla orfana sotto la tu
tela amorosa della genitrice.
Lucia cresce negli anni, e cogli anni in leggiadria, grazia e spi
rito, ma, più che in altra cosa , nella carità verso il prossimo.
Questo è il suo amore, tutto il suo amore, dopo l'affetto ingenuo,
obbediente e rispettoso verso la genitrice.
Madre mia, io non isposerò mai quel giovane pagano a cui in
età ancora acerbissima mi prometteva il padre. Non siamo più pa
gani noi. Inoltre, perchè arricchire co' miei beni un uomo già ricco
e che non pensa a me se non per le mie ricchezze ? Con la dote
compererei la infelicità della mia vita; dispensiamola invece ai po
veri , ristoriamo con essa tanti afflitti e tanti tribolati. Rimarremo
forse per questo meno agiati ? Non rimarrai tu , madre mia , abba
stanza ricca ? Perchè è a te ch'io penso, essendo a me più che suf
ficiente un rozzo sajo e un tozzo di pane.
E la madre : Figliuola mia, lasciami prima chiudere gli occhi
all'eterno sonno ; poscia farai quel che ti piace.
Madre mia, desidererei che le elemosine che voglio fare fos
sero profittevoli non solo a me, ma a te pure, e che non solamente
io, ma tutte due fossimo benedette. Chi dà al povero, non dà forse
al Signore, e il Signore non è egli generoso così da renderci il cento
per uno ? Quando mai andarono perdute per l'eredità eterna le be
neficenze fatte in questa vita ?
Si >, figliuola, farai il bene, lo farai anche per me, ma dopo la
mia morte. Mi dorrebbe vederti , anche per quel po' di tempo che
mi resta a vivere, priva della considerazione del mondo : e sai bene
da che il mondo faccia dipendere la propria considerazione.
No, no, mamma ; quelle elemosine, se si facciano dopo la tua
morte, non ti gioveranno più cosi efficacemente. Le elemosine sono
come torce accese, le quali ci rischiarano il cammino acciocchè
non inciampiamo; bisogna dunque portare la torcia avanti, e non
farla venire dietro a noi. Perocchè, quantunque sia bene lasciar la
limosina ai poveri dopo la morte, è meglio e più meritorio darla
mentre si è in vita. Dopo morte la ci casca da sè quasi di mano ;
128 SANTA LUCIA

laddove in vita la diamo noi con moto spontaneo, e ne sente soave


compiacenza il cuore. Ed essa è luce che ci rischiara ed allegra .
Che importa che il mio mortorio sia sfarzosamente illuminato, se ,
chiusi , i miei occhi non potranno godere di quella luce ?
2

Figliuola mia, non si tratta che di aspettare un poco....


Ma intanto, o madre, molti bisognosi aspetterebbero .... ee io non
voglio che nessuno vegga e desideri nella tua fine il principio della
sua salvezza.
Fin d'ora mi dico contenta che tu disponga a tuo piacere della
dote quando sarò io morta ; se tale permissione mi è salutare , il
merito non l'avrò solo dopo morte , ma fin d'ora , o figliuola.
No, no, madre mia : fiuchè sei in tempo di fare il bene, fàllo
tu stessa; non fidarti che altri lo faccia per te. Chi ti assicura ch'io
mi mantenga in queste buone disposizioni ? Vuoi che il tuo merito
dipenda, non dalla tua, ma dalla mia volontà, che può mutare ? Le
insidiose arti del mondo hanno già pervertito più ben saldi propo
siti. E poi tu , mia guida e consigliera nella carità , m'insegneresti
a far bene il bene, e colla tua esperienza a distinguere le vere dalle
false sventure, a fare un beneficio duraturo, non un'elemosina che
passa .
C

La tua ambizione, il tuo supremo desiderio è dunque di fare


il bene e di non farlo sola ? T'ho detto perchè io resistessi; ma ,
poichè riponi la tua felicità non già nell'avere molto, ma si nel be
neficar molti , nel togliere le sofferenze altrui, nel godere le conso
lazioni che puoi procurare a' tuoi simili e nel sentir divise fra te e
me le benedizioni dei poveri e del cielo, ebbene, sia come tu desideri.
Oh ! buona e cara madre , tu mi colmi di giubilo. La gioja
che ora sento non l'ho provata che un'altra sola volta, e fu allora
che, recateci in Catania, tu ricuperasti prodigiosamente, si può dire,
la tua preziosa salute ; ora, che sei saua , colle opere di carità ti fai
anche santa.
-

Ma colui al quale tu fosti fidanzata, o figliuola ?... Egli è amico


del governatore Pascasio, di quell'acerrimo persecutore de' cristiani.
Oh non sai di che possa essere capace l'avarizia delusa d'un uomo,
che crede già di aver diritto non solo alla tua mano, ma anche alla
tua roba , e che l'una e l'altra vede fuggirsi! Cristiane , ci denun
zierà, ci farà perseguitare... Di te poveretta mi duole, che sei ap
pena sul mattino della vita !
E tu ti dai affannoso pensiero di tal uomo ? Per timore d'uno
sciagurato dovrei io togliermi l'allegrezza di fare il bene ? Tu mi
hai insegnato, o madre, che il mondo è pieno di tristi ; eppure, ad
onta della loro moltitudine, non indugiasti giammai ad esser buona
SANTA LUCIA 129
e generosa con tutti. Mi farà perseguitare ? Ma allora mi darà oc
casione di altri e maggiori meriti. Patire perchè non volevo far pa
tire ? Morire, forse, perchè non mi reggeva l'animo di vedere acca
sciata l'umanità sotto gli stenti e la miseria ? Ma allora sarò bene
detta non solo per la mia vita , ma anche ammirata per la mia
>

morte .
- V'hanno peggiori tormenti, o figliuola , appetto a' quali sono
un nonnulla quelli che torturano il corpo. Quell' uomo, per vitupe
rarti non rifuggirà neppure dalla calunnia. Se, in luogo della gloria ,
ti toccasse, o figliuola, l'infamia dinanzi agli occhi del mondo ?...
Madre , il mondo ? Ma nulla chieggo da esso , e tutto gli do ,
se bisognosa, senza pretendere ch'egli mi sia grato o che non si
mostri meco sconoscente .
Dunque sull'altare della carità vuoi che si consumino i nostri
beni , la nostra vita e forse anche il nostro buon nome ?...
No , non si consumeranno , cara madre, si convertiranno in
soave incenso, grato all'umanità e a Dio (1).
X.

Sant'Eugenia .
La vanità d'un titolo inebria certe zitelle per siffatto modo che
nè la bruttezza , nè la tarda età , nè la miseria e neppure la non
>

morigerata vita di chi le ha chieste in ispose, purchè sia nobile, le


rattiene o spaventa .
E vi son parenti così male avvisati che, per impancarsi tra l'or
dine patrizio,2 per trarsi fuori da quel popolo a cui forse devono
pure la presente loro fortuna e considerazione, acconsentono al sa
crifizio delle figliuole, e talvolta eziandio lo impongono ad esse.
Finché non si son fatti i danari si disprezzano i titoli , ma fatti

(1 ) Il giovane a cui Lucia era stata destinata era pagano. Com'egli seppe
ch'ella volea rimaner vergine e che vendeva i suoi beni per distribuirli ai
poveri , montò in furore e accusolla per cristiana al governatore Pascasio. La
persecuzione di Diocleziano infieriva allora contro i seguaci di Gesù Cristo.
Il giudice con pensiero infernale la espose alle più pericolose tentazioni; ma
Iddio vegliò sopra di lei e nessuno ebbe ardimento di farle sfregio. I tor
menti usati per vincere la sua costanza furono egualmente senza successo ;
dopo di che venne rimessa in prigione , tutta coperta di piaghe , ove morì
5

circa il 304 ( secondo altri nel 305). – Vedi il BUTLER .


In una delle cappelle, poste a destra della chiesa di santa Lucia in Venezia,
ammiransi tre dipinture del Palma relative a santa Lucia : 1.° una tavola con
la santa che sale al cielo e co' ritratti della famiglia di Donato Baglioni , no
bile florentino, che nel 1590 fece edificare quella cappella ; 2.º un quadro alla
destra, esprimente la traslazione del corpo della santa dalla chiesa di San Gior
gio Maggiore della stessa città 3.º un quadro, alla sinistra , colla santa che
sul sepolcro di sant'Agata prega per la salute della inferma sua genitrice.
BERLAN. Le fanciulle celebri .
130 SANT'EUGENIA

che siano , cominciano quei titoli a venir in pregio , massime alla


genterella, anche se non lo dice, e talvolta quando pure lo contraddice.
Costoro, perchè vedono da lontano il fumo, credono che arda un
aroma di soave odore. Ma novantanove volte su cento quando gli
siano vicini, succederà presto il disinganno.
Seguito il matrimonio , il leone in campo d'oro potrà convertirsi
in pavone in campo nero, o in asinello al verde, o in avoltojo che
sbrana un'agnelletta !
Se bene educata da' parenti , se saggia, non dovrebbe esservi don
zella che s'innamorasse del pinto blasone dell'uomo , ma si delle
belle qualità del suo animo.
Queste sì , sono oro massiccio e di coppella.
Dalla virtù, dal sapere, dall'ingegno, dall'amore al lavoro, anche
se siano soli , anche se scompagnati dalla fortuna, si hanno conforti,
ma dalla nobiltà sola che si guadagna mai se non umiliazioni ed
epigrammi ?
Se il nobil uomo, che sconsiderate avete tolto, impoverisca a ca
gione d'improvvisa sventura o per aver dissipato le vostre sostanze,
a cui mirava per rimpannucciarsi , con che cuore voi , per sosten
tare la vita, vi rimetterete al lavoro, con che fronte ritornerete tra
que' popolani che superbamente lasciaste ?
Una santa giovinetta, fino dal secondo secolo dell'era volgare, vi
insegnerà, o fanciulle, che conto dobbiate fare dei vani titoli, e qual
nobiltà vera sia da ambire, quale nobiltà in ogni consorzio civile ed
in ogni tempo abbia credito e riverenza.
La fanciulla, di cui vi parlo , chiamavasi Eugenia ( 1) e viveva ai
tempi di Commodo imperatore (2).
Il padre di lei , durante il settimo consolato di quel principe, re
candosi prefetto ad Alessandria d'Egitto, condusse con sè la figliuola.
Alessandria era allora città ricca non solo, ma piena di mollezze
e dedita grandemente a' piaceri.
Un'altra fanciulla, meno savia di Eugenia, sarebbe stata facilmente
traviata dai cattivi esempi o, per lo meno, malamente impressionata
da que' miasmi di depravazione morale che tutta ammorbavano quella
città.
Ma lei preservó la sua buona indole e l'ottima educazione avuta
dal genitore ; anzi non solo si mantenne buona e pura, ma progredi
vie più nel cammino della virtù .
(1 ) Altre sono le sante del nome di Eugenia ricordate dal Butler ; noi ca
vammo le notizie intorno alla nostra dalla bella Raccolta delle vite dei santi
pubblicata dal Manni .
12) Regnò Commodo dal 180 al 192 di Cristo .
SANT'EUGENIA 131
Il padre , molto scienziato , l'ammaestrò perfettamente , nelle arti
liberali e nelle belle lettere , la erudi nel linguaggio greco e nella
filosofia, e , ciò che più importa , le insegnò colle parole e le istillò
coi proprî esempi la sana morale.
+
Era Eugenia di nobilissimo ingegno, ed aveva memoria si tenace
e pronta che ciò che pure una volta avesse potuto udire a leggere,
giammai non lo dimenticava.
E le lezioni e le letture che non dimenticava mai non erano già
unicamente quelle delle scienze e delle arti belle , ma sì ancora e
specialmente quelle relative alla virtù.
Di queste ella apprezzava la suprema importanza.
Perchè le arti belle e le scienze non hanno , per così dire , che i
loro giorni solenni, ne' quali si è chiamati a far pompa di esse, lad
>

dove l'esercizio della virtù è necessario ogni di, e d'uso quotidiano.


Quelle sono ornamento, questa è veste necessaria.
Siccome ell'era bellissima di viso' e gentile nel corpo , non andò
guari che attrasse gli sguardi e fe' palpitare il cuore di molti gio
vani ricchi ed eleganti.
Pervenuta all'età quasi di quindici anni , Aquilone, figliuolo di
Aquilino, console, la dimandò per isposa.
Il buon padre, che non voleva far forza alle inclinazioni della fi
gliuola, udita la richiesta del giovane, tratta Eugenia in disparte,
con molta amorevolezza le disse :
-

Dimmi francamente, figliuola mia, vuoi tu acconsentire al po


tente e ricco giovane Aquilino, nato di nobile schiatta ?
A cui la figliuola : – Padre, non t'hanno informato che di que
ste sole qualità di lui ; ma io ne conosco altre, e, come vuoi, fran
camente ti rispondo che nello scegliere marito bisogna preferire la
nobiltà dei costumi a quella dei natali.
XI.
Sant' Agnese.
Il genio della religione e quello delle arti belle rendono immor
tale la gloria di una giovinetta.
Perocchè il grande arcivescovo della chiesa milanese , sant'Am
brogio, e uno dei più grandi maestri della scuola pittorica bolognese,
il Domenichino (1), l'uno coll'ispirata parola, l'altro col maraviglioso
pennello, attendono a glorificarla anche quaggiù nel modo più degno.
( 1) Domenico Zampieri, detto il Domenichino , nato in Bologna nel 1582,
morto nel 1641 , fu figliuolo di povero calzolajo e scolaro del fiamingo. Cal.
vart e dei Caracci . Altri pittori valenti trattarono lo stesso tema , tra'quali
Pier Francesco Mazzucchelli, detto il Morazzone , nato nel villaggio di tal nome
132 SANT'AGNESE
Ella è Agnese (1), fanciulla romana, che, appena tredicenne, ebbe
forza e intrepidezza d'animo non solamente superiori agli anni, ma
singolarissime.
Vittima d'insensati e crudeli tiranni, anche cadendo mostrossipiù
di essi vigorosa . #

È fanciulla , ma nel regno di Dio e nelle schiere della fede non


>

v'hanno infanti o minorenni.


Quelle mani non sono troppo piccoline per afferrare e per istrin
{ ere le palme della vittoria.

presso Varese, nel 1626. Il suo pregiato dipinto conservasi nella R. Galleria
di Torino. Sono due mezze figure : un manigoldo che con fredda crudeltà im
merge il coltello nel petto della vergine. « Le arti , scrive il ch. sig. Filippo
De Boni , trassero molte ispirazioni dalla storia di questa santa ; la bellezza
delle membra e dell'anima , il coraggio degli eroi e la gracilità femminile
infiammò la splendida fantasia del Tinioretto (Giacomo Robusti, an. 1512, in
1594) e l'anima soave del Domenichino n.
( 1 ) Agnese seppe trionfare della fralezza di sua età , com'anco della cru
delià del tiranno, e coronò la gloria della castità con quella del martirio ....
Roma fu il teatro di sue vittorie, poco tempo dopo il cominciamento della per
secuzione di Diocleziano riaccesa nel 303. Non aveva che tredici anni quando
soggiacque a'tormenti . Le ricchezze e l'avvenenza d'Agnese trassero molti
giovani delle primarie famiglie di Roma a domandarla in isposa , ma ella si
ricusò a tutti costantemente. Quindi , veggendo vani i reiterati loro sforzi, la
denunziarono al giudice come cristiana ; con ciò speravano che la sua riso
luzione non istarebbe ferma contro le minacce, e l'apparecchio de' tormenti .
Il giudice adoperó, innanzi tutto, le carezze e le promesse più lusinghiere;
ma, avendo essa ripetuto che non voleva sposo terreno , egli si pose in sul
minacciare credendo di spaventarla. Ma s'inganno ; imperocchè Agnese fe'
mostra , in un corpo debole e delicato , di an animo intrepido il quale non
agognava che al martirio. Finalmente si accese un terribile fuoco, si recarono le
unghie di ferro , i cavalletti e tutti gli strumenti che servivano a' supplizi . La
verginella si fe ' a mirare questo spaventevole apparecchio senza esserne punto
scossa ; in mezzo ai carnefici che le erano d'attorno conservò sereno il volto.
Ella non istava aspettando che l'ordine del magistrato per darsi loro in balia .
Questo non fa ancora tutto : ella diede in segni manifesti di gioja al veder
le torture che stavanle preparate e si presentò da sè stessa per sofferirle . Ale
lora fu tratta innanzi agli idoli per isforzarla ad offrire loro incensi , ma ella
non alzo le mani che per fare il segno della croce. Il governatore , vodendo
tornare inutili i suoi disegni , minacció Agnese di esporla, in mala compagnia,
agli insoli di una gioventù libertina. E perchè ella non si spavento , ma ripose
la sua fiducia nell'ajuto divino, il giudice corracciato fece eseguir la minaccia.
Ma i più dissoluti furono compresi da tal rispetto alla vista della giovane
donzella che non osarono neppure farsele presso. Frattanto il principale ac
cusatore d'Agnese aizzava sempre più il magistrato contro di lei e, infuriato
perchè la sua preda gli era uscita dalle agne , non dava ad altro retta che ai
trasporti della più impetuosa vendetta. Ma il giudice non aveva bisogno di
stimoli : indispettito egli stesso di vedersi sprezzato e provocato da una gio
vinetta, la condanno ad esser decapitata. La vista del carnefice incaricato
dell'esecuzione di questa sentenza riempi di gioja Agnese. Il carnefice tento
egli pure di farla rimotar dal suo proponimento, secondo le secretė istru
zioni ayute : ella rispose costantemente che non avrebbe mai tradito la fede
giurata a Dio. Dopo ciò si pose per poco ad ora re , indi chinò la testa , si
per adorar Dio , come per ricevere il colpo che compì il suo martirio . Gli
spettatori non poterono rattenere le lagrime, veggendo una tenera giovinetta
carica di catene spirare intrepida sotto il ferro del carnefice. -
(Estr . dal
BUTLER ).
SANT'AGNESE 133
Ella pugnò contro spietati e potenti uomini per la libertà del suo
cuore e per la sua libertà di coscienza e di culto ; ella , spinta a
battaglia contro i sensi, pugnò contro sè stessa, battaglia più ardua
e pericolosa d'ogni altra ; ed i più atroci tormenti non fiaccarono e
neppure smossero la sua ferrea volontà, la sua virtù ,.il suo eroismo.
Mostri umani, quali sono la feroce idolatria e l'empia avarizia,
hanno reso freddo e dilaniato cadavere una leggiadra e vivace fan
ciulla ; ma a che pro ? Stanchi e svergognati, fremettero di rabbia ,
stringendo vuote ed inutilmente insanguinate le loro ugne.
Dove e qual è la vostra preda, o persecutori delle credenze ee della
virtù d'Agnese ?
Ella, cogli occhi levati al cielo, vi lascia confusi e con un nuovo
ed orrendo delitto , e corre beata alla santa estasi delle armonie
eterne.
O voi , la cui intelligenza non arriva a comprendere i sublimi
concetti del grande maestro sant'Ambrogio (1), accostatevi almeno
alla tela ammirabile del Domenichino ( 2 ).
L'istruzione non sarà scompagnata dal delitto, il buono dal bello.
Esamivate, e dite poi se l'arte moderna sa darvi opera più espres
siva e compita.
Un cortile dominato da una gran loggia , nella quale a vedere
stanno molte persone , è il luogo delle ultime battaglie e della vita
9
toria di Agnese .

(1) Stupisce a ragione sant'Ambrogio nel considerare il grande eroismo di


Agnese. È maraviglioso spettacolo mirare una fanciulla non anco di tredici
anni nella pietà superare l'età, nella virtù la natura ; sedere in luogo infame
come maestra di purità chi appena si crederebbe discepola ; convertire in tem
pio lo stesso luogo di peccato ; fissare ardita gli occhi in volto al tiranno ,
laddove le sue coetanee non ponno sofferire nemmeno la faccia sdegnata de'
genitori ; preferire a' baci le ferite , a'fanciulleschi trattenimenti il sangue ;
9

vincere il ferro prima d'aver imparato a maneggiarlo , anzi porsi bersaglio


alle sue fierezze , sebbene per la piccolezza delle membra non ne sia quasi
capace; incontrare coraggiosa le spade, mentre tante altre fancialle piangono
inconsolabili, anche per le punture d'un ago ; non paventare gl'incendi lad
dove anche i più forti temono le faville ; prendersi giuoco de ' carnefici ; re
putarsi nelle carceri libera, fra le catene sciolta ; portarsi cosi allegra al sup
plizio come se andante a nozze ; cavare dagli occhi degli spettatori le la
grime e , quasi arida selce, non ne trarre por una da'propri ; prodiga donare
quella vita che appena ha ricevuta ; confessare col sangue quella eterna
verità che non si sa quasi colla bocca nominare ; sollecitare i tormenti ; aiz
zare a'suoi danni i crudeli ministri, far che tremino, impallidiscano a' peri
coli di lei, come se propri fossero, mentr' ella, più d'una rupe salda, immo
bile, insensibile, punto non li cura ; non sapere ancor vivere, eppure essere si
pronta al morire; trovarsi immatura alla pena e ad ogni modo mostrarsi si
matara a' trionfi ; incapace, insomma, di combattere e tuttavia più che capace
di vincerel ...
( 2) Il quadro trovasi nella pinacoteca dell'Accademia di Belle Arti in Bo
logna. Per la descrizione delle figure , ci serviamo, in parte , delle opere dei
signori Gaetano Giordani e prof. Francesco Rosaspina.
134 SANT'AGNËSE

Sopra una catasta di legna la santa verginella è afferrata per i


capelli da un manigoldo.
Desta raccapriccio la immane e imperturbata atrocità di costui ,
che , freddamente crudele e soltanto per ufficio di mestiere infame,
si è assicurato della sua vittima e l'ha ghermita e la tiene per modo:
che non può fare sforzo alcuno per evitare i suoi colpi.
Egli le spinge l'acuta lama nella gola.
Nel volto , in tutti i movimenti di lui , vedi il genio della distru
zione, che tutte raccoglie insieme le forze per disfare d'un tratto la
più bell'opera di Dio.
Grande è il contrasto fra tanta forza spiegata dal sicario e la te
nera e gentile complessione della sacrificata.
La giovinetta, aprendo le braccia e piegando un ginocchio , con
lo sguardo converso al cielo, è presso a rendere l'aniina a Dio.
Nel delicato suo volto non iscorgi la pallida rassegnazione , ma
una nobile fierezza, che impone al dolore di non alterarle neppure
i lineamenti .
La vittoria dello spirito sulla carne vuol essere intera e debbe ap
parire anche al di fuori.
Da un lato, alla destra di chi guarda , sta un gruppo di tre donne.
La prima , ginocchioni , sul davanti , tutta commossa , ritraesi in
dietro, raccogliendo un fanciullo che grida spaventato.
Stanno in piedi le altre due femmine : l'una giovane, l'altra vecchia .
Alla più giovane ( chè l'età giovanile, per l'inesperienza della umana
nequizia , è più generosa) non regge il cuore di mirare la tragica
scena , e si volge alla vecchia , per leggerle negli occhi che effetto
produca in lei la vista dell'uccisione atroce.
Dall'altro lato, Astasio , pretore di Roma, avvolto nel manto, sem
bra confuso nel far eseguire la barbara sentenza.
Cosa singolare ! chi soffre ha la sicurezza nel volto ; chi fa soffrire
è titubante e impallidisce.
Ma perchè, o giudice, quella incertezza e quella confusione ?
Forse perchè la sentenza è ingiusta ?
Si, la tua sentenza è ingiusta, perchè serve a disfogare l'odio di
chi non ha potuto averla in isposa, di chi non ha potuto imporsele.
marito e padrone.
La tua sentenza è ingiusta, perchè per essa eserciti violenza sulle
aninie libere.
Non è ella libera di sé e della sua coscienza ? Non è ella romana ?
La tua confusione, o giudice, mostra in te un abietto strumento ,
uno scellerato vile.
Accanto ad Ascasio stanno i suoi ministri.
SANT'AGNESE 135
Perocchè è bisogno che vi siano tutti gli animati utensili della
giustizia per far passare l'ingiustizia.
Quel soldato di guardia che sta vicino al pretore è impassibile ;
esso offre la vera idea della forza materiale che non ha alcuna pas
sione propria e serve impassibile a chi la paga.
È coraggio in quell'uomo ?
Quel soldato che s'adatta a far da sgherro, ponetelo dinanzi al
nemico, e vigliacco tremerà come foglia.
Nessuno si muove in ajuto della infelice giovinetta ; il dolore di
due donne e le grida di un fanciullo non la salvano .
Ma la scellerata oppressione rimarrà in questo mondo sempre im
punita ?
Ecco due figure che ci liberano dallo sconsolante dubbio , ravvi
vando in noi la lieta speranza della giustizia di quel Dio, che tal
volta chiude gli occhi per indulgente pietà , ma che non s'addor
menta mai .
Ecco, presso al rogo, due uomini che giacciono a terra colpiti da
una forza sopranaturale.
Si aggravò su quei due manigoldi la pesante destra di Dio.
Ed ecco . in alto altre ed altre figure, quali snelle leggiadre , e
quali rivestite di sovrumana maestà , che ci appariscono in tempo
per ricordarci che le virtù ed il sacrificio non vanno perduti.
Un'eternità di gioja compensa breve ora di angoscia.
Nelle nubi, mirate, risplende la Divinità ; vedete Cristo, simbolo
dell'umanità sofferente e vittoriosa , che porge ad un angelo la co
rona e la palma per la santa martire.
Altri angeli , che sono gli spiriti eletti e le intelligenze superiori,
seduti , cantano e suonano .
XII .

Beata Panacea .
Nell'immagine bellissima di una giovinetta della Valsesia , il gran
pittore Gaudenzio Ferrari (1) glorificò il lavoro e la preghiera,
( 1) Gaudenzio Ferrari, celebre pittore e plastificatore , nacque in Valduggia
nel 1484 , mori nel 1550 circa. Il Lomazzo non dubito di annoverarlo fra i sette
principali pittori del mondo, omettendo , con troppa manifesta ingiustizia , il
Coreggio. Volle sempre dipingere argomenti sacri ; parve unico in esprimere
la Maestà dell'Essere supremo, gli affetti religiosi e talvolta anche l'ira di
vina. Sono di una sublime eleganza i suoi angeli. Nel convento dei Minori
Osservanti a Varallo viene mostrato un suo fresco esprimente la Pieta ( Cristo
morto, in grembo alla Madre). È tradizione che Gaudenzio facesse questo la
voro a quattordici anni , quando aveva appena aitinto i primi elementi del
l'arte da Girolamo Giovenone di Vercelli. Quand ' anche si considerasse come
un'imitazione di qualche disegno del maestro, reca però meraviglia che l'ese
136 BEATA PANACEA

Avvezzo a indovinare coll' ispirato pennello le sovrumane bellezze


degli angeli, egli, il pittore della religione, oh come fece bella quel
l'angelica creatura !
Chi era quella giovinetta, e come è da lui rappresentata ?
Vi dirò un nome non comune .
Ella si chiama Panacea (1) : la sua patria è Quarona ; i suoi pa
renti, un Lorenzo de Mutiis ed una Maria, nativa d'Anghemio .
Forse crederete ch'ella sia qualche principessa , o qualche mar
chesana, o almeno una gentildonna qualunque.
No : anche il popoletto ha le sue virtu , e talvolta grandi virtù ,
senz'avere per sè il privilegio o l'impunità delle grandi colpe.
Ma le virtù del popolo una volta erano monete senza stemma, e,
perchè non uscivano dalle zecche principesche, non avevano corso.
Ora si ragiona meglio : si loda , si ammira , si imita la virtù in
qualunque luogo e in qualunque persona si trovi.
Ella non è una principessa , non è una marchesana, non è una
gentildonna qualunque e nemmeno una ricca cittadina ; ella è una
villanella .
Ed oh come nel suo stato modesto ella sarebbe stata felice, e come
felice con lei suo padre , se questi, rimasto vedovo della buona ed
affettuosa Maria, non fosse passato a seconde nozze !
Dio aveva dati loro sufficienti beni di fortuna : a chi non molto
desidera, poco basta ; qualche campicello, poca greggia, il frutto del
proprio lavoro, in quel luogo e in mezzo a quella società poco esi
gente sarebbero bastati all' agiatezza della loro vita.
La ragazza sotto gli occhi paterni sarebbe cresciuta in grazia, in
virtù ed in sapere (2); perchè anche le villanelle , le persone degli
ultimi gradi sociali, qualcosa è necessario che sappiano, se non altro
ciò che debbono a sè stesse, alla famiglia, a' loro simili, alla patria
e a Dio ; e questo non è poco.
Hanno un'anima anch' esse , e quest'anima bisogna alimentarla ,
nutrirla; e nutrirla , se si può, con cibo più sustanzioso di quello
ch'è dato al loro corpo.
Solo il corpo di chi non ha >, sia considerato dal mondo avaro

guisse in si tenera elå ; è una felice primizia da cui traspariscono evidenti


i segni del suo futuro valore. La tavola a cui sopra accennammo esisle presso
l'erede di Gaudenzio Bordiga in Varallo.
(1 ) Panace o panacea è una pianta odorosa dalla cui radice e gambo in
cisi stilla l'oppoponaco , gomma resina di color giallo.
(2) In questo senso usò la parola sapere anche Francesco Rondinelli : 66“ Presso
a Barberino di Mugello , luogo detto Låtera, abitava una buona donna chia
mata Lisabetta, di circa venticinque anni ; la quale, sebbene contadina , era 7

molto diligente e saputa " .


BEATA PANACEA 137
come macchina produttrice ad uso di chi possede ; non l'anima. L'a
nima non è unicamente e soltanto la forza motrice di quella mac
china.
Ma il padre volle una nuova compagna ; forse pensò di dare alla
figliuola una seconda ed amorosa madre, ma ebbe per sè, in quella
vece, una falsa amica e procacciò alla figliuola una tiranna.
Ecco la giovinetta , debole per iscarso cibo, mal riparata da logori
vestimenti, condannata a filare tutto il di, a menare alla pastura le
pecore, a far legna nel bosco e ad affannarsi ne' più faticosi e vili
offici; eccola ad ogni tratto obbligata a correre trafelata alla città
vicina per cambiar presto in danaro il suo lavoro e versare tutto
quel danaro in grembo all'avida matrigna.
Quella casa è come l'arca del Vecchio Testamento, ove si trovava
la manna e la verga, cioè sopra la matrigna stendesi la mano ac
carezzevole dell' indulgente marito, e sopra la figliuola pesa il pugno
della matrigna armato di flagello.
Se poco è il danaro, o se il lavoro pare scarso all'ingorda e in
discreta donna,> ella batte, crudelmente la giovinetta ; e più s'irrita
perchè costei tollera paziente sfregi e percosse.
A tanto strazio chi può dire qual sia il cuore della misera gio
vinetta , che , non già rassegnata , ma volonterosa e di buon animo
lavora ?
Vedersi rimproverata di non amare il lavoro , cui invece ama
grandemente, e sentirsi per ciò crudelmente punita !
Per le frequenti battiture, la poveretta è qualche volta resa ina
bile al lavoro ; e allora ne geme e guarda alla conocchia, come ad
amica' che per poco tempo deve abbandonare , ma a cui spera di
tornare fra poco.
Ma nessuna pietà ha la scellerata donna; sgrida e maltratta la
giacente , l'obbliga ad alzarsi dal letto, a strascinarsi per casa , e
cosi le raddoppia il male.
Oh snaturata, che colpa ha la fanciulla se cade malata?
Tu stessa guasti lo stromento de' tuoi guadagni, tu stessa lo spezzi !
Ma ella non ode la voce della ragione , e , accecata dall'ira , non
>

dà retta neppure ai consigli del proprio interesse.


Un di, mentre la matrigna sta assisa fuor della porta di casa sotto
un pergolato di viti , le si avvicina un povero cieco guidato da un
fanciullino.
Il vecchio, avvertito a bassa voce dal ragazzo che non vi è la
giovinetta , ma che nel cortile trovasi qualcuno della famiglia di lei,
con grande interessamento dimanda : Buona gente, ditemi in grazia,
C

è forse malata la fanciulla? Ambedue preghiamo, e ogni giorno pre


138 BEATA PANACEA

ghiamo Dio per lei ; facciam quel che possiamo ,> concambiando con
auguri cordiali e con preghiere fervorose il pane che ci dà in ele
mosina.
-
Ella vi dà del pane ? -
facendosi di bragia in viso, grida la
matrigna . E s'alza da sedere, e gli urta , e li caccia fuori dal cor
tile, esclamando : Via di qua, gente inutile ed oziosa ; via di qua,
gente senza principi , che colle vostre finzioni sorprendete la pietà
dei figli di famiglia e li spingete a metter le mani sulla roba di
casa ....
E dice cosi, perchè ha subito pensato : Come può mai la ragazza
far elemosina del pane che dò a lei, s' è tanto poco ?
I cattivi non pensano che male, e sono ben lontani dal supporre
capaci gli altri di generose azioni.
Cavarsi un tozzo di pane dalla bocca per isfamare il povero ? Ma
essi piuttosto lo caverebbero di bocca al misero e gli trarrebbero
perfino i denti, se potessero venderli.
La fanciulla si levåva proprio di bocca il cibo per darlo altrui ;
povera ella pure, soccorreva un povero.
La giovinetta non si ristabilisce mai perfettamente in salute : è
sempre in lei un alternarsi della sanità e della malattia, perchè ella
continua ad essere bersaglio degli stessi maltrattamenti.
Dove sono, o sventurata fanciulla, i gigli e le rose delle tue guance ?
dove il corallo delle tue labbra ? dove l'oro de' tuoi capelli ?
La poveretta è tutta una lividura.
Ella più di qualche volta lascia tra le scarne palme della matrigna
i propri capelli ; ella più di qualche volta fa rosse del proprio san
gue le mani di quella furia ; ed una volta, ahi sventura ! vi abban
dona la vita (1).

L'illustre pittore Gaudenzio Ferrari dipinge la verginella nella sua


grandezza naturale.
Essa tiene nella destra una conocchia ed un fuso , modesti sim
boli delle sue fatiche e de' suoi patimenti ; e, perchè spendeva tutta
la vita filando e orando, nella sinistra , piegata al petto , mostra un
libro di preghiere.
Ed oh come sta bene la mano dell'ingenua e pia contadina posta
vicino al cuore !
Non era la vecchia pinzochera , la quale ha fatto della chiesa e
della preghiera un'abitudine e un passatempo ; era il suo cuor che
pregava, e non il labbro solo.

(1 ) Mori nel 1383; aveva 15 anni come scrive il Bascapè, nella sua Novaria ,
seu de Ecclesia Novariensi, libri duo. Novariæ , apud Sessalam, 1612 , nel li
bro I , a pag. 103.
BEATA PANACEA 139
Ma perchè la conocchia non le sta invece nella sinistra e il de
voto libro nella destra ?
Non è più nobile, non è più santa del lavoro la preghiera ?
Dite piuttosto ch'è santissimo e per ii bisognosi più meritorio il
lavoro ; dite che l'uomo non fu condannato ma destinato da Dio a
lavorare, a sviluppo e perfezionamento maggiore delle sue forze e
delle sue facoltà (1) ; dite che non il lavoro ma il sudore, cioè la fa
tica venne data in punizione ; dite che chi lavora si santifica (2) ;
dite che chi prega e sta inerte e non provvede a sè ed alla famiglia,
non può dire al Signore ed alla società : « Ho tentato ogni mezzo, ho
cercato ogni via di salvezza, ma inutilmente : ora ajutatemi voi (3) » ;
dite che costui non merita e non avrà le benedizioni degli uomini
e del cielo ( 4) .

Per osservare più fedelmente il costume, Gaudenzio avrebbe do


vuto dare alla fanciulla vesti più povere e succinte ; ma la figura
sarebbegli venuta troppo esile e non atta a riempiere di sè gentil
mente lo spazio nel quale dovea collocarsi.
Perciò, oltre al bianco velo che le gira intorno alle spalle, ed alla
veste di color verde col lembo ricamato in oro , ei le aggiunse un
largo pallio, che, cadendole sino al pie', viene raccolto con acconce
9

pieghe sotto il braccio sinistro (5).


Vedete come Gaudenzio fu largo donatore di seta e d'oro alla
villanella .
Ma il Signore le è stato ben più generoso del pittore !
Raccoltala nel raggiante zaffiro del cielo , egli l'ha chiamata ai
premi eterni.

(1 ) Benissimo un proverbio : Lavoro è sanità.


(2) La fanciulla valsesiana lavorava e pregava ; pregava dunque più delle
altre ; pregava dunque una volta e mezzo, per così dire ; poichè il proverbio
dice : Il luvorare è un mezzo orare. Un altro proverbio pode bellamente in
sieme la preghiera e il lavoro , dicendo : Lavora come avessi a campare
ognora. Adora come avessi a morire allora .
(3) Il proverbio dice : Chi s'ajuta, Iddio l'ajuta e Ajutati ch' i t'ajuto.
(4 ) Oltre i citati , molti altri proverbi lodano il lavoro e lo raccomandano.
Ne ripeteremo alcuni : Chi fugge fatica , non fa la casa a tre solai. Chi
non vuol durar fatica in questo mondo , non ci nasca. -- Lavoro fatto da
nari aspetta . Chi si vergogna di lavorare abbia vergogna di mangiare.
La fatica genera la scienza, come l'ozio la pazzia. Lo stare indarno
non è il fatto nostro. - L'ozio è il padre di tutti i vizi. L'ozio è la se
poltura d'un uomo vivo . – L'ozio non fa con la rirtú lega . - Quel che non
-

ha mestiere e va a spasso, se ne va allo spedale passo passo. Affaticati per


sapere, e lavora per avere. A gloria non si va senza fatica . - Di povertà
la chiave è lu p grizia. – Niente facendo, s'impara a far male. Un uomo
ozioso è il capezzule del diavolo.
( 5) Questa santa, di cui parlò fra gli altri, il Bascapè , ha una dipintura anche
pella chiesa maggiore di Novara .
140 BEATA PANACEA

E noi ammiriamo in lei il modello della devozione non iscompa


gnata dall'amore indefesso al lavoro.
Del lavoro ella fu uno de' santi affermatori e de' martiri !

XIII.

Santa Cristina.
La Pinacoteca dell'Accademia di Belle Arti in Venezia serba tre
magnifici quadri di Paolo Veronese (1) esprimenti il martirio di santa
Cristina .
Colla scorta de' migliori scrittori di cose d'arte (2), daremo a co
noscere due delle predette pitture , quella cioè che rappresenta la
santa vergine mentre nega d'adorare gli idoli, e quella che ce l'ad
dita spinta nel lago di Bolsena.
Il soggetto del terzo quadro è la stessa vergine confortata dagli
angeli nella prigione.
Ma, prima di tutto dobbiamo dire in che tempo la giovinetta visse,
di che patria fu , quali genitori ebbe, quali vicende la trassero al
>

martirio, e quali virtù ve la prepararono .


Tutto ad un tratto non s'acquista la forza necessaria per lottare
vittoriosamente contro scaltri e poderosi nemici.
Quella forza si può averla anche fanciulli,> ma allora dev'essere
frutto di un anticipato esercizio della virtù .
E' giunsero più presto alla meta, perchè alacri si misero in cam
mino prima degli altri.
Cristina, secondo alcuni, nacque nella città di Bolsena ; secondo
altri in Tiro, città che il lago di Bolsena avrebbe inghiottita (3).
I migliori agiografi la dicono nata nel 285 e morta nel 297 , du
rante la persecuzione dell'imperatore Diocleziano (6).

(1 ) Paolo Caliari, detto il Veronese.


( 2) Vedi Francesco Zanotto : La pinacoteca della R. Accademia di Belle Arti
in Venezia .
(3 ) Vedi i Bollandisti e Batler. L'Adami nella sua storia di Bolsena, li
bro III : . L'antichissima tradizione, che ancor vive in Bolsena , vuole che
cotesta celebre fanciulla da'genitori nomata fosse Tiria, ma non v 'ha alcuno
degli antichi autori che lo attesti » Ma Tiria poteva essere un sopranome
non dato dai genitori di Cristina, ma da qualche suo biografo , per indicare
la patria di lei .
(4 ) Secondo il Leggendario del Villegas, sarebhe morta il 24 luglio 285: ma
quell'epoca ribocca di errori di cronologia. L'Adami nel sopracitato libro III
della sua storia, vol. II, pag. 14 : « Chiuse le pupille a questa luce mortale,
.

ed al giorno eterno le aperse a di 24 di laglio dell'anno 297, durante la per


secuzione dell'imperatore Diocleziano, sendo ella in età d'anni dodici ». Dun
que era nata nel 285 e non nel 275 , come, forse per errore tipografico, è stam
pato a pag. 4, vol. II della stessa Storia. -
Diocleziano regoò dal 284 al 305,
nel quale anno rinunziò all'impero.
SANTA CRISTINA 141
La nostra fanciulla non ha dunque più di undici o dodici anni (1).
All'insaputa e contro la volontà del padre, ella abbracciò la fede
cristiana, e ad ogni costo vuol mantenervisi.
Perchè di retto animo, ella riconosce che gli dei vecchi hanno fi
nito il loro tempo , ed è necessaria una nuova fede che rialzi la di
gnità e la morale umana.
Ma il padre non è del suo avviso .
Accortosi delle mutate credenze di lei, sulle prime usò molta di
ligenza per ricondurla all'idolatria abbandonata .
Un di le parlò a questo modo : Figliuola, non offerire sacrificio
a un Dio solo, acciocchè non si corruccino contro di noi e contro
la nostra casa.
Ma, più che il timore degli dêi dell'Olimpo, poteva in lui la paura
del padrone di Roma, da cui teneva l'ufficio cospicuo e lucrosissimo
di governatore di Bolsena.
Ma la fanciulla, che credeva non si dovesse praticare l' una reli
gione piuttosto che l'altra per mondani interessi o per vanità d'o
nori, ma quella che si riconoscesse per buona e per vera , rispose :
Padre mio, sappi ch' io adoro le tre divine Persone.
A cui Urbano, chè così chiamavasi il padre di Cristina : -
Tu ti
condanni e ti contradici da te stessa. Se adori questi tre, e perchè
non adorare Giove ed Apollo e gli altri iddii che hanno solenne e
pubblico culto dal popolo e dall'imperatore ?
E Cristina : Allora tu non sai che quelle tre Persone non sono
che un solo Dio.
.
Altro non voglio sapere , riprese Urbano -
se non che tu
devi tenere bene a mente che Diocleziano e i suoi ministri sono
molto rigorosi con coloro che non vogliono adorare i nostri numi.
Bada a me ; pel tuo meglio , ritorna alla religione degli avi.
Il Dio che adoro non vuole compagnia d'altri ; il vero non può
far comunela col falso . Lascia, o padre, che l'anima mia s'affisi in
ciò che le si presenta come grande, bello e santo .
Obbedisci all'autorità paterna ; e bada , o ragazza , che >, se ti
veggo ostinata e pertinace nel tuo proposito, non aspetterò che l'im
peratore provegga, forse con mio disdoro e pregiudizio, ma ci porrò
' rimedio io stesso, in modo che forse non ti piacerà. Non avrò punto
riguardo che tu mi sii figliuola. - E tra sé e sè : Perchè i padri
sono molti, e i governatori sono pochi.
(1) Nei Bollandisti (sottoli 24 di luglio) , riportandosi le testimonianze di
parecchi scrittori , in un luogo è detto : Sicque martyrii cursum consummavit
anno ætatis suæ undecimo ; e in un altro luogo : Cursum sui martyrii com
plevit ætatis suæ anno XII .
142 SANTA CRISTINA

I genitori hanno certamente grande autorità sui figli, ma non tale


da poter senza biasimo violentare le loro credenze ed inclinazioni.
Dopo queste minacce usci Urbano ; ma la donzella non diè segno
alcuno di turbamento o di timore per le irate parole del padre.
Lo sapeva capace di mandar ad effetto la minaccia ; ma anco si
sentiva forte ed era pronta a tutto soffrire piuttosto che cedere.
Mi domandi il sangue, ella fra sè diceva
.
e lo darò, se ne
-

cessario al suo bene ; ma non esiga il sacrificio delle mie credenze


a irreparabile ruina dell'anima mia.
E, da quel momento si preparò al sacrifizio d'ogni suo avere,
alla perdita dell' affetto de' suoi e persino a far getto della vita.
-
Io vergognerei di me stessa, — ella tra sè diceva -

se facessi
torto a’miei convincimenti, se, corsa volontaria tra le file dei cristiani,
al primo allarme, al primo pericolo le disertassi. Il bell'esempio che
darebbe la fanciulla istruita, ricca e patrizia ! M'avevano pur detto,
essere la religione loro quella de' forti. E non solo detto, ma l'hanno
anche confermato splendidamente colla loro intrepidezza incontro
a morte. Io stessa co' miei occhi vidi cadenti vegliardi e teneri fan
ciulli bravare i tormenti. Sarò io debole, e la sola debole, in mezzo
a tanti gagliardi ? Può cogliermi, può ferirmi una scheggia dell' al
bero decrepito che stiamo abbattendo. Ma che perciò ? Non dobbiamo
noi abbatterlo per affidar quindi alla terra, di cui esso è ingombro
e danno, un'inutile semente ? Or se prevale in me la paura del mio
pericolo alla speranza dell'utile comune , perchè mi son messa in- .
sieme agli altri operai, e perchè mi son fatta credere com'essi, ge
nerosa ? Oh no , non sarò vile a tal segno. I genitori.... Oh Dio ! i
genitori ! Ma se con serena fronte m'assoggetterò alle pene che m'in
fliggeranno , ciò varrà a persuaderli che sono profondamente con
vinta di seguire l'unico vero, e forse sospetteranno finalmente e si
pentiranno di errar nelle tenebre. O Giustina, e voi altre sante gio
vinette, che m'avete preceduta nelle battaglie per la fede di Cristo,
guardatemi, guardate se io sono abbastanza forte e generosa ; pre
cingetemi della vostra costanza e del vostro coraggio.
Era nella ricca casa d'Urbano una stanza piena di preziosi simu
lacri, quali d'oro, quali d'argento, che rappresentavano i principali
numi del paganesimo.
Il pregio di quelle divinità era nella materia; per isplendere, per
valere qualche cosa avevano bisogno dell'oro e dell'argento.
Era passato il tempo che Giove era rispettato e temuto nella sua
figura di creta e col fulmine di legno.
Non potendosi parlare alla ragione, si parlava ai sensi; abbarba
gliavasi la vista.
SANTA CRISTINA 143

In quella stanza, non a caso ma a fine generoso , entra Cristina.


I soliti poveri aspettano le sue elemosine, e in quel giorno nulla
può dare ad essi >, perchè nulla ha potuto chiedere all'adirato ge
nitore.
Entra in quella stanza e dice ai poveri: Abbiate pazienza , o
-

fratelli ; aspettate un poco laggiù in piazza : io penso a voi; anche


oggi il Signore provvederà.
Un'idea rapida come il lampo l'è passata per la mente ; e s' ap
presta a tradurre subito in tto quell'idea.
Chiama un' ancella, le ordina di portarle un pesante martello , e ,
dando giù sulle statue dei numi, le riduce in frantumi.
Poi apre la finestra e , chiamati i poveri che attendevano, grida :
-

Pigliate, pigliate, o fratelli ; ma badate bene che costoro , anche


spezzati e cadendo, non vi facciano del male. Badate che questi pezzi
non vi caschino addosso, badate che quest'oro e quest'argento sia
ristoro della bisognosa virtù e non fomite al vizio.
I giganti di Flegra, che con poderose forze avevano lottato contro
gli dèi pagani, erano stati vinti ; ma una debole fanciulla di pochi
anni senza paura dei loro fulmini, li gittava a pezzi dalla finestra .
>

E quella era favola, e questa è storia....


Come era bello il vedere que' poveri, che in gran fretta portavano
via, l'uno la testa di Giove tonante , l' altro una gamba di Venere,
un terzo le ali e la faretra d'Amore, un quarto lo scudo di Marte,
chi la cetra del biondo Apollo, e chi il tridente di Nettuno !

Resiste Cristina all'autorità del padre? Ebbene ceda al rigore del


giudice. Non vuole adorare e spezza gli dèi dell'impero che hanno
culto privato nella mia casa ? Ebbene , sia tratta e costretta a chi
narsi in pubblico alle loro imagini e sacrificare ad essi.
Cosi dice e così ordina Urbano.
Onde nel tempio a forza è condotta .

Paolo Veronese nel primo dei tre accennati quadri rappresenta


appunto la verginella di Bolsena nell'atto che le viene imposto di
adorare pubblicamente i numi bugiardi.
L'azione ha luogo, secondo la dipintura del Caliari, nel tempio di
Apollo citaredo.
Nel lato sinistro sorge il simulacro del nume in figura intiera,
sopra alto basamento di marmo , ed a'lati di esso quattro donzelle,
in atteggiamento di abbracciare l'altare, o di contemplare il vago
sembiante di Apollo, di mescere colla coppa in mano le libazioni
volute da quei riti.
144 SANTA CRISTINA

Esse , tenendo ciascuna un lato dell'altare e volgendosi verso di


Cristina, mostrano d'invitarla a seguire il loro esempio.
Sta la giovinetta sul davanti del quadro, ed ha intorno a sè , in
>

semicerchio, un gruppo di sei donne, ed alle spalle il padre, coperto


di alto berretto a cono, con faccia barbuta, scura ed accigliata.
V'è pure dal lato opposto la madre.
Una melanconica ma decisa resistenza è nel volto di Cristina e in
tutta la sua persona ; si vede ch'ella soffre per la violenza inutile
che le fanno i genitori.
E padre e madre le additano col gesto il loro dio, curvandosi ed
aggravandosi su di lei onde pieghi le ginocchia e lo adori.
Per la forza maggiore, che, standole sopra , la costringe, ella deve
piegare alquanto il ginocchio sinistro, ma , volgendo languidamente
gli occhi verso la madre , che dovrebb' essere più pietosa , sembra
pregarla, nella sua fortezza, a non violentarla più oltre a quell'ab
borrito sacrificio .
Ma il padre, inesorabile, dal lato opposto la incalza più fieramente.
Nulla lascia supporre ch'egli speri d’indurla a' suoi voleri , ma
non per questo cessa dal minacciarla e dal premerla.
Le altre sei donne la pressano ad eseguire il comando de' suoi
genitori, e, fra esse, due si distinguono principalmente, l'una che si
effonde in preghiere ed esortazioni, l'altra che fa cenni imperiosi.
Cristina , il padre e la madre , sono le tre figure che spiccano e
grandeggiano su tutte, ma anche le altre insieme contribuiscono ad
animare e compiere mirabilmente il quadro.
V'è l' intrepidezza, la forza, la pertinacia, la dolcezza, la compas
sione e la preghiera ; i dolci e santi, ma indomabili affetti della fan
ciulla eroina, quelli dei parenti che moralmente la torturano, e quelli
diversi delle persone circostanti.
Dinanzi a un dio citaredo, a un dio che mostra disposti i piedi e
tutta la persona alla danza, si dà battaglia a un'anima libera ; ma
quella battaglia finisce colla sconfitta de' violenti.

Gli antichissimi filosofi e legislatori credevano impossibile del pari


tanto che il padre uccidesse la propria prole, quanto che i figliuoli
attentassero alla vita di quelli a cui doveano l' essere.
Perciò in alcune repubbliche, ne' vetusti tempi , famose per sa
pienza di leggi e severità di costume, non v'era pena determinata
contro tali scellerati.
Lasciavano forse alla natura ed al cielo la cura di punire tali
eccessi, se per avventura fossero venuti a contaminare e riempiere
d'orrore la società civile.
SANTA CRISTINA 145
i E s'è veduto che tali orridezze, abbandonate alla giustizia celeste,
non rimasero mai inulte, anzi in modo terribile furono castigate.
Il padre di Cristina è uno di tali mostri.
Per non perdere le grazie del perfido Diocleziano, egli soffocherà
tutti i sentimenti di natura e immolerà persino la figlia.
La jena, la tigre e la leonessa difendono pure i propri nati; ma
coloro che hanno il cuore di Urbano sono snaturati e gettano i figli
preda insanguinata tra le zanne di altre tigri, di altre jene, di altre
leonesse.

Assistiamo alla dolorosa tragedia di Cristina e troveremo propria


mente Urbano, il genitore di lei , che nella sua ferocia impassibile
ordina ch'ella sia in più modi barbaramente tormentata .
Alla sua presenza egli la fa battere , poi strascinare in carcere ,
poi con graffi di ferro stracciar nelle carni e poi esporla ai carboni
accesi.
Ma ottiene egli per ciò il proprio intento ? Per tanto strazio rin
nega forse la fanciulla la fede abbracciata ?
No; ella chiede al cielo la forza di poter sino all'ultimo resi
stere a tante e cosi atroci torture ; e di tanta e prodigiosa forza è
assistita.
Tutto acceso di rabbia, allora esclama Urbano : - Ebbene, costei,
con un grandissimo peso attaccato al collo, sia gittata nel lago !

Una corona di monti, a forma d'anfiteatro, cinge il lago di Bolsena.


Qua e colà quei monti verdeggiano d' alberi e di vigneti, ma in
alcune parti sono ignudi, scabri e dirupati.
Priva di vegetazione in generale è la bassa sponda.
Noi siamo nel sito più settentrionale e più vedovato d'erbe e di
arbusti, e volgiamo gli occhi verso le acque.
In alto, dietro a noi , a qualche distanza , sorgono le mura della
città di Bolsena.
Spingiamo ora lo sguardo verso il mezzo della commossa e on
dosa superficie .
A questo punto ci richiama il secondo quadro del pittore Caliari.
Vedete voi quella barca, che nel mezzo appunto del lago è giunta,
dopo che il rematore ha dovuto lottare con le acque ed i venti ?
Guardate, entro vi sta inginocchiata la vergine Cristina , che si
mostra serena ed impavida in mezzo agli irati flutti ed alla truce
compagnia di due sgherani.
La fanciulla tiene aperte le braccia e levati in alto i languidi
occhi .
BERLAN. Le fanciulle celebri. 10
146 SANTA CRISTINA

Nubiloso è il cielo ; ma , se chiuso per gli altri , è aperto per lei,


e per lei sfavillante di luce.
Ella vi si affisa ; lieta e beatifica visione le fa, non dimenticare,
ma parer dolce ciò che ha patito, e desiderabile ciò che s'appresta
a patire.
Voi già sapete a qual pena è condannata.
Mentre da poppa il nocchiero spinge col remo la barca, perchè giunga
ove sono più alte e perigliose le acque , due manigoldi sollevano
da un lato il ponte per capovolgere da quello la vergine nelle acque.
E' bestemmiano perchè non si reggono in piedi sul mobile ele
mento, che senza fatica non li lascia consumare un assassinio.
Ma è solo testimone il cielo di quest'opera scellerata ?
Ed i sicari scelgono forse questo sito lontano per non essere ve
duti da' cittadini ?
Ed i cittadini , per la paura dell' imminente bufera o per pietà
verso la vittima , si sono essi trattenuti alle loro case o nel sicuro
asilo della città ?
No; v'ingannereste credendo che i grandi scellerati ed i volgari
ed abbietti loro strumenti siano capaci di vergogna ; e mal giudiche
reste la plebe, vaga di commozioni e pronta a comperarle anche a
prezzo del proprio pericolo.
Da quella tragedia par che rifugga la natura, e lo mostra sapien
temente il pittore coll'aria fosca e col cielo annuvolato ; ma non ri
fugge l'uomo .
Il quadro ha , dal lato destro, sulla sponda alcuni spettatori, e
non sono tutti dell'infima plebe.
Ma guardatene le fisonomie , cercate se v' ha alcuno che abbiate
veduto altra volta.
Si, c'è un uomo che avrebbe dovuto per la vergogna nascondersi,
se fosse stato possibile, nel centro della terra.
Egli è il padre di Cristina !!
Egli non è nè vergognoso, nè impietosito, nè turbato .
Egli guata con perfido animo lo atroce spettacolo , e, più che gli
altri, spinge gli avidi occhi verso la barca !
Mirate quel fanciullo che presso alla sponda attende alla pesca.
Poco lunge da lui sta per essere immolata una cara giovinetta,
una sua concittadina, forse una sua benefattrice ; ma egli , indiffe
rente , le volta le spalle, tutto intento a un misero guadagno. Una
lagrima di compassione gli avrebbe fruttato di più, assai di più ; gli
avrebbe meritato un benigno sguardo di Dio.
Ma egli attende a ' fatti suoi.
SANTA CRISTINA 147

E cosi è il mondo ; cosi gli uomini in generale. Sfaccendati, o di


mal animo, è per essi grato e caro spettacolo l'infortunio e la ruina
altrui : hanno trovato un'occupazione ! 0 , affaccendati e tutti pen
sierosi di sè medesimi, dicono : Che ce ne importa ?
Rallegratevi , o buoni : le acque del lago di Bolsena non furono
che un nuovo battesimo per la santa fanciulla .
Non trionfò il delitto.
La giovinetta è salva.
.
Ma quel Dio che preservò lei dai gorghi delle acque, fulminava
poi nella sua collera il perfido Urbano.
Poco tempo era passato dopo il suo atroce delitto , quando una
mattina i famigli, maravigliati di non vederlo, di non udirlo coman
dare con la solita burbanza, si domandarono :
E che quest'oggi il governatore non si sveglia ?
E, trascorsa senza sue nuove gran parte della giornata , risolsero
di entrare finalmente nella camera di lui, e lo videro pallido, pallido
nel letto .
Era immobile e gelato ; da più ore era cominciato per lui il sonno
eterno.
Sonno, ma non sogno ; egli stava in faccia alla terribile realtà (1 )
XIV .
Sant' Asella .
Si può vivere nel mondo appartati da esso , senza per ciò esone
rarsi dai carichi e dai doveri che a tutti incombono.
Chè nessuno può ribellarsi a quella legge provvidenziale che lega
tutti gli esseri insieme.
Di lassù, nel cielo, la luna commuove e suscita le acque del pro
fondo mare ; e gli umori della bassa terra si sollevano e si formano
in nubi per quindi ricadere in pioggia benefica.
E v è una virtù che sa tenersi lontana dallo strepito mondano ,
senza farsi straniera alla società donde è uscita e in mezzo a cui
vive; che sa segregarsi dal male, ma che vuol partecipare alle opere
del bene ; e che, come i lontani astri luna e sole, ricomparisce per
fugare le tenebre.
Quella virtù vive separata, ma al primo gemito de' fratelli si pre
senta angelo consolatore; assoggetta sè stessa ai digiuni , ma non
tollera che il poverello soffra la fame; si veste poveramente , ma ,
(1) Altri persécutori e tormentatori successero al padre di Cristina. Le fu .
strappata la lingua, venne spinta nell'ardore di una fornace e finalmente posta
bersaglio ad acuti dardi .
148 SANT'ASELLA

liberale, copre l'altrui nudità ; non ama il vano cicaleccio, ma si af


fretta a dare ottimi consigli ; non corre ad inframmettersi al riso
altrui, ma s'accosta per piangere all' altrui pianto; è severa con sé
stessa, ma indulgente cogli altri ; è dedita alla contemplazione ed alle
pie opere , ma accudisce diligente alle cose domestiche ; prega , ma
lavora ; non circoscrive le sue tenerezze alla cerchia de' propri pa
renti , ma considera come sua famiglia tutta l'umanità : e questa
sola è virtù, e questa sola è la virtù vera.
Quando usiamo della nostra libertà senza recar pregiudizio al pros
simo, anzi giovandolo , chi può rimproverarci, chi può chiamarci
egoisti ?
Chi ci può condannare se ci siamo recati ih alto, per vedere di lassù
meglio e più oggetti intorno a noi, per esser pronti a discendere ove
il bisogno richiegga ?
La virtù che noi descriviamo, o fanciulle, fu propria di una santa
giovinetta che viveva nel secolo quarto, di una giovinetta romana,
di sant' Asella.
Quale fanciulla, tale fu donna .
E fu santa ?
Si, perchè dice un gran filosofo cristiano, che la santità non con
siste unicamente in visioni , in rivelazioni e in altre cose straordi .
narie, ma nell'applicazione al lavoro ed alle faccende domestiche e
nel condurre una vita, per quanto è possibile , uguale ed uniforme
e sempre intenta alle opere buone (1).
( 1 ) San Girolamo scrivendo d'Asella a Marcella : « Si esplicherà da noi bre
vemente la vita della nostra Asella , alla quale prego che non vogli leggere
questa lettera, perciocchè le grava sentirsi lodare , ma piuttosto dégnati di
leggerla alle giovinette, acciocchè, instituendosi ad esempio di lei , l'abbiano
per una norma di perfetta vita .
Avendo appena finiti dieci anni , era consecrata in onore della futura
beatitudine ....
» ... Ora vengo alle cose che dopo il dodicesimo anno con il proprio su
dore elesse, prese, tenne e incominciò e forni . Rinchiusa adunque nella stret
tezza d'una piccola celletta .... il medesimo spazio di terra le servi per luogo
da orare e da riposo.... Quando primieramente si diede a questa vita, l'oro
del collo suo , che il volgo chiama murenula.... lo vendè senza sapala de
parenti, e, vestitasi d'una tonaca di color fosco, che non aveva potuta otte.
nere da sua madre, con pio auspicio di sua negoziazione, in un subito si con
sacrò al Signore, acciocchè tutta la cognazione e parenti suoi sapessero non
si poter più avere altro da lei , la quale nelle vesli avesse già dannato il mondo.
Quello che più è da essere ammirato , una sua sorella, ancora fan
ciulla , piuttosto amò che vedesse . Operava con le sue mani , sapendo esser
scritto : Chi non opera non mangia .
Quello che è forse impossibile a credersi agli uomini, in maniera per
venne all'età quinquagenaria che (a malgrado de ' lunghi digiuni e dello scarso
cibo che s'accordava) non mai lo dolse lo stomaco, non fu cruciata dall'in
giuria delle viscere; non la secca terra ne franse le giacenti membra, nè l'e
sasperata pelle del sacco contrasse mai alcun fetore, nè sito cattiyo. Ma, sana
SANT'AGNESE DA MONTEPULCIANO 119

XV.

Sant'Agnese da Montepulciano.
Il proverbio dice che « bisognerebbe essere prima vecchi e poi
giovani » per poter avere i vantaggi delle due età, l'allegro gaudio
e la forte esperienza.
Ma tutte le regole hanno la loro eccezione , ed anche questa ha
la sua .
Uomini si videro in verdissima età , maturi per senno , come se
ne videro altri rimbambiti in tarda età .
Allora il comando appartiene ai primi, non agli ultimi : perchè la
senile ipettezza , danneggiando gli altri , fa sì che sia vergogna in
sopportabile la dignità di colui che non la merita.
I vecchi, perchè maggiori di età, voi li rispetterete , gli onore
rete anzi , perchè chi sa per quante dure prove dovettero passare
prima di giungere a quella loro vecchiezza ?
Ed è mai a supporsi che dalla lunga pratica della vita nulla ab
biano appreso più di voi ?
Ma , per rispettare e onorare gli uni , non vorrete far torto col
vostro giudizio ai giovani, a quelli cioè dotati di precoce senno.
Ogni età ha le qualità sue ; e quell' età è doppiamente rispettabile
e degna d'onore che aggiunge alle qualità proprie anche le buone
dell' altra .
Come anco in fanciullezza si possa avere l'utile senno, ch'è pro
prio generalmente dell'età matura, fu veduto in non pochi, e lumi
nosamente nella giovinetta Agnese da Montepulciano.
Leggete , e stupirete a quel che ne dice un suo biografo , Raf
faello delle Colombe .
Agnese da Montepulciano nacque nel 1268.
Le date giovano per potersi trasportare alle idee, agli usi, ai fatti
ed anche ai pregiudizi di altri tempi : senza di ciò il soggetto di cui
si tratta rimarrebbe al bujo o come una dipintura senza i chiaro
scuri.

di corpo e più sana dell'anima , aveva la solitudine per delizie e nella lor
bida città trovò un eremo di monaci .
Niuna cosa era più gioconda della severità di lei , niuna più santa
della giocondità, niuna più trista della soavità, nè niana più soave della tri
stezza . La pallidezza del volto è si fatta che mostra continenza, ma non per
tutto ciò si vede ostentazione. Il parlare tace, e il silenzio favella. L'andare
non è nè presto nè tardo ; e il medesimo abito sempre. Negletta mondezza e
incalta veste è il culto senza culto . Sola, ha meritato per le qualità della sua
vila che nella citlá , tutta piena di pompe , di lascivie e di delizie , e nella
quale è miseria essere umile, i buoni la predichino ei cattivi non ardiscano
biasimarla, che le vedove la imitino , le maritate l'onorino, le cattive la le
>

mano, e i sacerdoti la ragguardino ». Razzi Silvano , Delle vite delle donne


illustri per santità. Firenze, Volemar Timar Germano (volumi sei) 1606 .
150 SANT'AGNESE DA MONTEPULCIANO
Agnese aveva quindici anni solamente quando fu eletta priora d'un
monastero fondato dagli uomini di Proceno (1) >, perchè alla pietå vi
fossero educate le loro figliuole.
Ecco il supremo bisogno, la suprema cura di que' tempi : la pietà;
perciò chiese e spedali in gran numero, e.chiese magnifiche e spe
dali sontuosi .
Lo sviluppo delle facoltà intellettuali veniva in terzo o quarto
luogo ; v'erano uomini grandi, ma in generale si formavano da loro
stessi.
Come faceva il povero , l' uomo senza mezzi di fortuna , che non
avea nulla da portare al monastero , ad acquistare l'istruzione , il
pascolo desiderato dalla sua anima ?
Interveniva l'ajuto celeste ; ma sarebbe stato assai più meritorio
per la società ch'ella stessa ne avesse avuto , come fece più tardi,
diligente cura.
Ma perchè venne scelta a direttrice la quindicenne Agnese ?
Perchè la gente dabbene sarà stata molta, ma la istrutta era al
lora pochissima.
Un uomo che sapesse leggere e scrivere era in quei tempi poco
men che l'araba fenice.
Persino dei sovrani , non sapendo neanco fare il loro nome , po
nevano invece una croce.
La croce di quel Gesù che aveva insegnato nel tempio e per le
vie, s'usava in servigio della crassa ignoranza.
Si dirà forse : Non potranno gl'ignoranti servirsi della croce , se
Gesù non faceva distinzione d'ignoranti e di sapienti , ma tutti li
considerava egualmente come suoi figli ?
La risposta è pronta, che, cioè, la gran bontà di Gesù non dispen
sava, nè dispensa però gli uomini dal dovere di dirczzare sè stessi.
1
Un padre ama egualmente tanto il figlio sano quanto l'ammalato,
ma li preferirebbe ambedue sani.
Della bontà, della bravura e del sapere della giovinetta Agnese si
contavano dappertutto meraviglie ; è perciò che fu scelta a quel
l'ufficio .
Ma perchè il vero merito è modesto, ella ricusava un tanto onore.
E chi sa in quali mani sarebbe caduta la direzione di quel con
vento, se ella avesse perseverato nel rifiuto ?
Chè spesso l'eccessiva modestia de' buoni e dei valenti rende au
dace e fortunata l'immodestia dei cattivi e dei nulli, con pregiudizio
della cosa pubblica.

( 1 ) Nel contado di Orvieto, non lungi da Acquapendente.


SANT'AGNESE DA MONTEPULCIANO 151
E, perchè appunto ne va di mezzo il pubblico bene, la troppa mo
destia de' buoni, anche se non perde del suo merito , viene però a
privarsi di molta lode.
Per obbedienza fu costretta Agnese a reggere quella pia opera ;
e , a tal fine , richiedendosi la dispensa di poter essere priora in
>

quella tanto giovanile età, i più abbienti del luogo gliela impetra
rono dal papa .
Martino IV per carità la diede , come la verginella dovette per
umiltà riceverla . 1

Ecco dunque Agnese da Montepulciano , la giovinetta dal volto


angelico, dalle maniere gentili e dall'umile apparenza, che siede al
governo di una casa di educazione.
Nessuno può dire che la dignità sia in vergogna di lei , perchè
della dignità è meritevole.
Quelle che deggiono obbidirle non le sono inferiori di età , poche
le sono eguali, e la massima parte superiori ; ma tutte la rispettano
non solo, e non solo l'amano , ma anche l'ammirano , perchè non
leggiera in quella tenera età, non insipida nell'inesperienza, non su
perba nel favore , ma priora col titolo , madre con la pietà, serva
con l'opera, e maestra con la saviezza (1 ).

XVI.
Santa Francesca Romana.
Disse l'Aretino (2) che la carità senza roba è un tizzone verde e
spento.
Or come possono gli assiderati riscaldarsi al vostro fuoco, se non
l'accendete e se non dà fiamma ?
La carità a parole è uno scherno.
Voi mandate con Dio la povera gente che vi domanda soccorso ;
ma che strana confidenza avete voi col cielo , ma che libertà è la
vostra con Dio, come s' egli fosse un pagatore al vostro ordine ?
Nè voi, nè alcun altro ha conti d'avere con Dio.
Pregare è dolore , dice il proverbio ; e se sapeste quanto soffre
(1) Sant'Agnese da Montepulciano morì nel 1317. Il sopracitato suo biografo
Raffaello delle Colombe ( Firenze , Giunti 1603) : Sono stimate mollo in un
66

giardino quelle piante fruttifere che crescono in alto, che distendono per l'a
ria intorno intorno i gran rami , e par che , quanto si solleva il tronco, ianto
vogliano allargar le braccia : nondimeno sono più ammirali quei frutti che
nani si appellano ; imperciocchè son piccioli di statura e grandi di perfezione,
ma tutti eguali e aggiustati e dirilti , di ordinarie frondi ma di pregiatissimi
pomi ; onorevoli presenti di principi e re. Lodinsi pur quelle che di anni molti,
di esperienza grande, di presenza autorevole son preposte al governo , ma >

ammirisi questa, ecc . " .


(2) Lo Ipocrito , allo 5, scena 3.
152 SANTA FRANCESCA ROMANA

colui che stende la mano, forse per la prima volta , in atto suppli
chevole !
Se egli, innocente, domandasse a Dio, non patirebbe , non vergo
gnerebbesi, ma leverebbe in alto gli occhi fiduciosi, perchè Dio è il
padre di tutti , perchè Dio non ha la vostra superbia e durezza di
cuore .

Ma, uomo, colle debolezze e coi difetti degli altri uomini, egli, il
meschino, si rivolge a voi, perchè non siete suoi giudici , perché
avete dei doveri da compiere verso i vostri simili : e voi perchè lo
respingete e perchè vi ricusate al debito vostro ?
Peggio , quando non date , ma sindacate severamente la povertà
altrui ( 1 ) .
Fanciulle, alla carità , e meglio alla beneficenza, quanto sta in voi,
siate pronte .
Perchè l'avere non è solamente di chi l'ha ;
Perchè la limosina, dice il proverbio, è fatta bene anche al diavolo ;
Perchè nega a sè l'ajuto chi ad altri il nega ;
Perchè la limosina non fa impoverire ;
Perchè chi fa al povero la limosina presta ad usura e non dona ;
Perchè quel che si dona luce, e quel che si mangia pute.
La carità è la sovrana delle virtù; essa è come il calore nell'u
niverso, senza di cui non v'ha né moto nè vita .
Onde non vi dispiaccia, o fanciulle, che agli altri esempi di filan
tropia s'aggiunga per noi anche quello di Francesca Romana.
Ella è modello appropriato a tutte le età ; essendo stata benefica
del pari fanciulla e sposa, cosi nel mattino come nel meriggio e nel
tramonto della sua vita .
Teniamo dietro ai passi di lei, fanciulla e donna.
Francesca Romana, della nobile e ricca casa de' Bussi , fanciulla ,
è cara a' parenti per le sue belle doti , fra le quali sono specialis
sime l'umiltà e la carità.
Non tocchi per anco i tre lustri d'età >, andata sposa a Lorenzo
de' Ponzani, di cospicuo e facoltoso legnaggio, ella non è cúpida di
ornamenti di seta e d'oro, ma vuole ed ha l'animo ornato di soavi
costumi.
Ella non cerca le allegre, spensierate e leggiere compagnie , ma
vestita di poveri panni di lana, va in cerca del povero.
Acqua lontana non ispegne il fuoco, dice fra sè ; e perciò non si
fa desiderare da lunge, ma s'avvicina al bisognoso.
(1 ) Santa Caterina da Siena : Spesse volte gli uomini del mondo, sotto co
lore di compassione, caggiono nella mormorazione.
SANTA FRANCESCA ROMANA 153
Ecco, ella va alla sua vigna fuori di porta san Paolo a raccogliere
fasci di legna, e, raccolti, in testa li porta a distribuire ai meschini
e se, per la quantità della legna, il peso eccede le deboli forze fem
minili, caricatone un somarello , gli va dietro per la città a piedi ,
scaricandole alle porte di quei miseri che lottano non solo colla fame,
ma anche col freddo .
Ecco che, per sovvenire ai meschini, ella s'unisce a Vanozza, sua
cognata, donna molto principale e prudente, e insieme va per Roma
questuando, acciocchè, oltre quello che dà del suo, più largamente
possa soccorrere i bisognosi .
Ecco ch' ella visita gli spedali e dispensa a ' malati quel che di nu
trimento o di medicine ha seco portato , esortandoli con dolci ma
niere a sopportare il male, con paziente costanza.
Eccola, finalmente , che, per sedare i litigi >, per acchetare le dis
sensioni, per comporre le controversie , per rimettere sulla buona
strada i traviati, non perdona a fatica.
E iu tutte queste opere di beneficenza, Francesca Romana fa da
sè ; non si affida a' servigi ed al ministero altrui , perchè sa bene
che troppe volte chi è delegato a far la carità al povero comincia
a considerarsi poverissimo fra i poveri e finisce col fare la prima
carità a sè stesso. Inoltre Francesca è sempre ilare, perchè « chi dà
per cortesia dà con allegria » (1).
Dar di mal garbo è offrire un fiore che puzza.
La carità, la beneficenza sono medicine al dolore fisico e morale ;
ed oh come è benedetto quel medico che porge un farmaco che, non
soltanto giova, ma anche solletica soavemente i sensi (2) !
( 1) Socrate disse che più allegrezza era il dare che il ricevere , perciocchè
il dare viene da benavventuranza : cosi un trecen:ista ; ma anche i poveri
sogliono avere quest'allegrezza , chè, quando danno , danno di cuore .
( 2) Santa FRANCESCA ROMANA, quadro di Francesco Barbieri detto il Guer
cino , nella Reale Galleria di Torino, descritta dal marchese Roberto d'Azeglio .
“ Questa insigne matrona , che fioriva in Roma nel secolo XIV , apparisce
nella storia fra quegli esseri eletti , i quali sembrarono suscitati dal cielo a
consolazione dell'umanità. La beneficenza di lei fu ingegnosa ad accrescere
colle proprie privazioni la dote degl'indigenti, contracambiando sovente i cibi
di sua mensa col tozzo di pane de' mendici, del quale faceva poi il suo ali
mento. La più sublime fra le viriù dettate da un a religione, cui è base l' a.
more , il cui Dio è carità , ha ispirato il Guercino nel presentarci l'immagine
di questa venerabile benefattrice del misero, della quale egli si era mostrato
sovente non solo ammiratore ma imitatore .
» Le ruvide lane che l'ammantano sono le vesti prescelte per elezione da
quella, a cui le avite ricchezze potevano largamente fornire il bisso , la seta
e l'oro. La cesta di pane situata a' suoi piedi è ivi come l'emblema della ca
rità, la quale fu il carattere dell'intera sua vita . Nel libro dei Salmi , che ha
fra le mani, è indicato un passo in cui con umile affetto ella attribuisce a Dio
i più generosi di lei sacrifici. Infatti , nell'accennare a tali parole , il volto di
lei, ov'è trasfuso un raggio di gioja , si volge al cielo e sembra penetrato di
154 SANTA MICHELINA DA PESARO

XVII.

Santa Michelina da Pesaro.


Il pittore urbinate Federico Barocci (1) vuol presentarvi una gen
tile figura, perchè vediate come la virtù sia uno dei più vaghi or
namenti della bellezza.
Una bell'anima si riflette anche al di fuori colla sua dolcezza ,
soavità e tranquillità, laddove un uomo malvagio mostra anche nel
viso la tetra burrasca delle ree passioni che lo agitano. Onde assai
acconciamente la voce tristezza tanto esprime ciò che in noi è ef
ſetto dell'afflizione, quanto ciò ch'è cattivo ; il non lieto aspetto e la
ribalderia.
La faccia del giusto è come un calmo e sereno specchio d'acque
che riflette la luna e le stelle, mentre la faccia dell'uomo dannato
a' rimorsi è mare scuro e minaccioso.
Il malvagio pigli pure la maschera, ma anche quella maschera, a
chi ben miri, lascierà scorgere le contrazioni e le tracce della colpa .
La colpa non è solamente tarlo dell'anima , ma anche del corpo.
>

Oh ! v'hanno pur facee di bronzo , facce impassibili , ma come il


bronzo ed il marmo dure, impietrite, non visi carini, amabili e delicati.
Il Barocci prese a ritrarre la giovinetta , di cui ora vi parliamo ,
che è la Beata Michelina da Pesaro , non quando ella era innanzi
negli anni e nella santità, ma proprio nella prima sua giovinezza.
quella ineffabile dolcezza che un cuore alto e sensitivo prova nel consolare
gl'infelici .
D
Il cielo è aperto . Un coro di cherubini , simbolo del divino amore , dimo
stra la presenza di Quello che ispirò virtù si rara. Uno degli spiriti celesti ,
disceso accanto alla pietosa donna, cui sembra aver pôrto il mistico volume ,
ascolta attentamente quelle parole e ne esulta. Il sorriso ingenuo di quel fan
ciullo è una delle primarie bellezze del quadro .
20
Egli riveste la dalmatica dei diaconi , perchè quelli appunto erano , nei
tempi della primitiva chiesa, stati istituiti dagli apostoli ministri delle elemo
sine nell' ecclesiastica gerarchia. Ed è , quanto poetico , altrettanto religioso
il concetto del Guercino , d'aver adombrata con si ingegnosa allegoria la so
vrumana beneficenza della virtuosa donna.
» Il partito di pieghe semplice e largo ben si conviene alla dignità matro
nale. Il vestiario è quello delle monache Oblate Collatine , di cui fu fonda
trice . L'atto della persona è maestoso ; la massa del chiaroscuro grandiosa ,
il tuono del colorito severo . Tutto concorre ad ispirare modestia, compo
stezza , maestà.
» Nel piedestallo d'una colonna , alla sinistra dello spettatore , è rappresen
lato uno stemma , il quale appartiene probabilmente all'antica famiglia dei
>

Ponzani di Roma , in cui erasi accasata santa Francesca (noi lo crediamo


piuttosto, considerate le pezza che lo compongono , lo stemma del monastero
a cui Francesca apparteneva ).
( 1 ) Nato nel 1528, morto nel 1612. Il quadro del Barocci rappresenta in mezza
figura la beata Michelina da Pesaro , morta nel 1356 , di cinquantasei anni ;
conservasi nella Reale Galleria di Torino. Ci atteniamo qua e colà alla de
scrizione del marchese Roberto d'Azeglio.
SANTA MICHELINA DA PESARO 155
A quella cara vergine, qual'è dipinta, se voi date tredici o quat
tordici anni, in verità che gli è molto.
Eppure, sapete voi che dicono de' suoi fatti, quand'era tredicenne,
i biografi di lei ?
Dicono che in quell'età, ed anche assai prima, cioè appena giunta
all'età dell'uso del libero arbitrio , ella avanzava nelle virtù e nei
santi costumi tutte le sue compagne.
Con quella faccia che arieggia la stessa bontà, non solo è impos
sibile esser cattivi, ma bisogna esser buoni per eccellenza.
Gli angeli stessi la scambierebbero per una del loro coro.
E gli uomini ?
Gli uomini, che scorgevano in lei congiunte alle grazie dell'età e
ad una rara bellezza la gravità di saggia e prudentissima donna e
gli ornamenti costumati e virtuosi degli uomini sapientissimi, erano
rapiti da eccessiva meraviglia (1) .
La gioja del far il bene le raggiava dal viso e da tutta la persona .
L'innocenza è certamente una gran bella cosa ; ma, se su questo
candido strato di neve si gittino i rubini e gli smeraldi della carità
oh come senza paragone sarà cosa più bella !
E tutto angelica è la figura che alla vostra ammirazione presenta
il Barocci.
Mirate come il guardo di Michelina è sereno e vôlto al cielo con
mirabile sentimento !
« In essa il pittore ha raccolto quanto l'innocenza ha di più puro ,
l'amore di più divino, la santità di più aggraziato (2) ! o .

( 1 ) Cosi Pietro Ridolfi nella vita della santa Michelina da Pesaro. Rimini ,
Simbeni , 1585. E soggiunge : « Le lingue venivano meno e mutole , gl'intel
letti confusi, le memorie languide e quasi fuori di sè stesse ; per il che mo
veva tutti gli occhi umani a rimirarla , ed i voleri ad amarla ed onorarla **
E toccando di lei già adulta : « Stava per lo più in mezzo de ' poveri ed ella
curava le piaghe loro con le proprie mani , e li soccorreva in tutti i bisogni
loro, ed era convalso tanto il nome di Michelina per queste nove e pellegrine
imprese , che, sentendo il plauso del volgo, ne prendeva dispiacere, non vo
lendo in ciò onore alcuno di mondana lode , ecc. » . Il Butler, più brevemente
ma anche più insufficientemente , così parla di lei :
« La beata Michelina, nata a Pesaro , di una illustre famiglia, fa maritata in
elà di anni dodici ad un signore della casa Malatesta, una delle più antiche
d'Italia. Ella non avea che vent'anni allorchè perdelte lo sposo e , poco dopo,
l'unico figlio. Questa doppia pérdita, che la commosse vivamente, la distacco
affatto dal mondo e la spinse ad entrare nel terzo ordine di san Francesco . La
sua pietà parve tosto una follia a'suoi genitori , i quali la fecero rinchiudere
in una torre e caricar di catene . Ma, rimessa in libertà, Michelina se ne giovo
per darsi alla pratica delle opere di misericordia e per fare un viaggio in
Terra Santa. Mori nella sua patria, in età di 56 anni , li 19 giugno 1356 » ,
( 2 ) . All'ammirazione che desta l'opera (soggiunge il marchese Roberto
d'Azeglio ) è giusto che in caor di chi la considera s'aggiunga senso di pietà.
verso il pittore, pensando che in mezzo alle più crudeli angosce (di un av
156 SANTA ROSA DA VITERBO

XVIII .
Santa Rosa da Viterbo.
Fuori della collegiata di sant'Angelo in Spata, nella città di Vi
terbo, giace un sarcofago etrusco a bassi rilievi , in cui si dice se
polta una celebre fanciulla .
Essa è la bella, l'avvenente Galiana, decantata dalle cronache ro
mantiche del duodecimo secolo .
Nuova Elena, la dicono stata cagione di guerra tra Roma e Viterbo.
E additasi tuttora la finestra di una semidiruta torre presso l'an
tica porta di sant' Antonio , da cui vuolsi che la contrastata bellezza
fosse mostra per l'ultima volta agli assedianti.
Vederla un'ultima volta, e poi andarcene !
A questa condizione i Romani avrebbero acconsentito di riti
rarsi (1 ),

Meraviglierete, o fanciulle, che quei Romani fossero così diversi


dagli antichi e così effeminati. Ma forse più ancora stupirete che co
desta Galiana sia posta qui da noi ove non dovrebbero trovar luogo
che pie e sante donzelle.
Ma, come l'ombre in un quadro, anch'ella sta qui ; perchè la fan
ciulla capricciosa e mondana alcun tempo, dopo doveva essere eclis
sata da una santa fanciulla , perchè il futile vanto della città delle
belle fontane e delle belle donne (2) dovea tramutarsi, circa un secolo
dopo, nella vera invidiabile gloria di una santa patriota.
Le fiabe dell'infanzia cessano di piacere col progredire dell'età ;
ed anche i popoli hanno la loro infanzia.
Questa santa fanciulla patriota fu Rosa, vero miracolo di bellezza,
di santità e di coraggio in una vita poco più che trilustre (3).
velenamento, a cui, malgrado le cure prestategli, dovette soccombere) nasceva
sotto all'inferma sua mano questa celestiale idea, come fiore germogliato fra
le spine o qual perla nata fra le procelle
(1 ) Zuccagni -Orlandini , Corografia d'Italia . Cosi una cronaca : “ Avevano
i Viterbesi una giovine chiamata Gagliana bella , la quale non trovava pari
di bellezza ; e molte genti venivano da lontane parti per vederla. E l'eser
cito dei Romani venne in asse lio di Viterbo per averla per forza , a petizione
d'un loro signore ; e vi stettero gran tempo . Infine, non potendola avere, do
mandarono in grazia che lor fosse mostrata sopra le mura di san Clemente ,
ove furono scaricati tre merli : e , di questo contenti , se ne ritornarono in
Roma. E, quando detta Gagliana mori, fu messa in un deposito di marmo in
tagliato e posto avanti la chiesa di sant'Angelo in Spata » .
Secondo due iscrizioni ivi poste , la sua morte fu nel 1138.
(2) Cosi è chiamata la città di Viterbo .
(3) Rosa nacque in Viterbo nel 1240 ; mori nel 1258. Cosi, secondo la mag .
gior parte dei suoi biografi ; ma il sacerdote palermitano Bastiano Sbigatti in
una sua dissertazione afferma che mori prima del 1252. V'ha pure chi la dice
nata verso il 1230.
SANTA ROSA DA VITERBO
157
Fu detta Rosa, e meglio non poteva nominarsi, perchè tutta spi
rante di soavissimo odore e quasi perfusa di rugiada caduta dal cielo
stellato.
Vissůta a'tempi delle lotte tra la Chiesa e l'Impero , tra Inno
cenzo IV e Federico II, ebbero campo grandissimo le sue virtù di
esercitarsi gagliardamente e di utilmente brillare.
Fra la Chiesa e l'Impero non poteva esser dubbia la scelta : tra
la Chiesa, che, democratica, faceva di quando in quando tonare la
grata parola di uguaglianza umana e d'indipendenza dei popoli , e
>
tra l'Impero, che, straniero, e macchiato di eresia (1) era per giunta
oppressore.
Ad alienargli molti de' popoli italiani, come già fossero poca cosa
le sue origini e le dottrine che diffondeva , contribuivano pure il
costume e il tenore di vita di Federico, andando egli a ritroso de'
tempi e abbandonandosi alla sensualità senza ritegno (3 ).
Per essere superiore alla Chiesa o almeno suo eguale anche nelle
cose spirituali , Federico, che conosceva l'alta importanza dell'eser
citare dominio anche sulle coscienze ma che non conosceva il
suo secolo s'ingeri nel dogma ; ma, mentre cercava inutilmente
di sollevarsi sopra i mortali toccando alle cose del cielo , s' abbas
sava poi e impicciolivasi meno che uomo tuffandosi nel vizio.
Inoltre pieni di crudeltà furono i mezzi ed i ministri di cui si
valse per consolidare ed estendere la sua potenza.
Onde la candida e pudica fede, assorellata all'ardente patriotismo,
attraeva a sè più facilmente generosi seguaci di ogni età, sesso e
condizione.

Eroina della fede e della patria fu la vergine Rosa .


Ella voleva la sua patria libera , e nulla a lei importava che lo
straniero allettasse insidiosamente i popoli , dilatando lo spirito di
esame e l'indipendenza delle opinioni.
La prima libertà che debbe volere ogni onesto è quella del pro
prio paese ; la prima indipendenza è quella dallo straniero : al co
noscimento della quale verità non sono necessari acuti sillogismi ,
perchè è sentita da ognuno, uomo o femmina, giovine o vecchio ,
dotto o indotto, ricco o povero.
La libertà d'esame! La filosofia del dubbio !

( 1) Dante pone Federico II ( Divina Commedia, Inferno, canto X, v. 919) nel


l'inferno fra il numero di coloro che mossero guerra alla divinità colla Alo
sofia del dubbio e perciò scontano la pena in sepolcri infocali. Il dubbio
agghiaccia ogni santo entusiasmo .
( 2 ) Giorgio Weber, Compendio di Storia universale.
158 SANTA ROSA DA VITERBO

Ma Federico avrebb' egli permesso che si discutessero i suoi di


ritti all'impero o se ne dubitasse ?

Rosa ancora bambina, al dire de' suoi biografi, non solamente ap


pariva bella nel volto , ma dolce eziandio nei tratti e d'una bontà
rara.
Anche fanciulletta era una rosa senza spine ; quindi non ritrosie,
non dispettucci, non lagrime per sottrarsi all'obbedienza.
Se v'ha qualche cosa di forte e di superiore nel suo carattere,
tale forza e superiorità ella avrà campo di esercitare contro le au
torità illegittime, non contro a quelle che le sono date dalla natura
e da Dio .
Verrà tempo che il piccolo virgulto incendierà tutta la selva; ma
ora docile si piega all'aure benefiche e carezzevoli.
Epperciò Rosa, ben sapendo quali e quanti siano gli obblighi che
legano i figli a'genitori , ad altro non pensa che obbedire a' loro
cenni, tutta affabile, tutta modesta, umile pia.

Crescendo negli anni e nella bellezza del corpo , non avviene di


lei come di molte altre fanciulle che, coll'avanzarsi dell'età, pérdono
di quella graziosa soavità' di modi che le faceva tanto care.
Questi poveri fiori al soffiar del primo vento rimangono sì coi
ramoscelli verdi e coi calici colorati, ma ahi ! che si lasciano portar
via gran parte del delicato profumo.
Diventano dispettosette, bisbetiche, caparbie, puntigliose ; non hanno
più le innocenti grazie di prima.
Son rose, ma colle foglie piuttosto arruffate e con tanto di spine.
Rosa giovinetta si mantiene qual era infante ; buona, gentile, gra.
ziosa, affabile, modesta, attenta a' suoi doveri, affettuosa a' parenti;
nulla perde del suo buono, anzi ciò che acquista è in virtù e per
fezione maggiore.
Eppure un cambiamento, se cosi si può dire, è successo in lei.
La grazia dell'infanzia è ancora ne' suoi tratti, e la naturale ga
jezza di lei, anima ancora la sua fresca tinta ; ma il sereno e lim
pido sguardo s'illumina talvolta di rapida fiamma, e allora l'allegra
cera mutasi in riflessiva e severa, e da tutto il suo aspetto irraggia
qualche cosa d'ispirato che attrae l'altrui maraviglia e rispetto.
Ella sospende allora per breve momento lavoro o la lettura e
in sè stessa raccogliesi .
In quel raccoglimento ferve dentro a lei un santo entusiasmo, che
l' osservazione e la meditazione le hanno già acceso e le alimentano
nel cuore .
SANTA ROSA DA VITERBO 159
di- . Ella vide l'oppressione e l'insania de' suoi concittadini , che, ma
laccorti e spinti da municipale antagonismo, per antico odio ai Ro
mani, si gettarono due volte in braccio a Federico ; ella udi le pa
ap role infocate de' ministri dell'altare, stimmatizzanti l'eretico e fore
Jnta stiero tiranno ; ella lesse nelle sacre carte i forti esempi di Giuditta
e di Debora, e sa che il Signore non isdegna di valersi, com'egli
osie, ha dichiarato, di umili strumenti per le sue giustizie ed a vendetta
-

dei calpestati diritti de' popoli : e domanda a sè stessa : E potrei


tere, io essere mai, e vorrai tu, o Signore, ch'io sia quell' umile ma fe
au : lice strumento ?
tura
Quelle sublimi aspirazioni la struggono internamente, perchè senza
; ma sfogo, e perchè rimangono celate ad ognuno.
E la sua modestia ciò le comanda.
che Perocchè, sebbene siasi meritata l'approvazione della propria co
loro scienza e la stima de' genitori, ciò non basta.
Chi crede di avere una gran missione da compiere, è mestieri che
di tali e tante virtù sia fornito che la loro piena, traboccando, per
ze d così dire, dall'angusto ricinto della famiglia, vada a versarsi, non a
dono gocce ma a torrenti, nella via pubblica.
Egli dev'essere un pregiato, peregrino ed acuto odore, che in tempo
i coi di fetidi miasmi pestilenziali da sè stesso spandasi fuori , sicchè gli
ortar esilarati viandanti se ne compiacciano e cerchino cogli occhi a questa
ed a quella finestra la cara pianta da cui emana.
hanno Non basta dunque che Rosa sia di consolazione e di giubilo a'
genitori , ma le bisogna ancora essere oggetto di ammirazione a' .
spin.e concittadini.
€, gta
arenti Per venire in rispetto ed in istima presso le moltitudini occorrono
e per virtù affatto nuove e affatto diverse da quelle della famiglia ?
Ed è forse vero quel che dicono ialuni , che si può essere buon
] lei. patriota, quantunque non siasi buon figliuolo , buono sposo o buon
padre ?
ale si
No ; non sarà mai buon cittadino chi sia uomo tristo in casa
е propria.
allero
rat
Epperciò, quando gli uomini politici sorgono a dire : - Rispettate
il santuario domestico , non vogliate sindacare la nostra vita pri
etto. vata , costoro , facendosi scudo delle libertà individuali ,> tentano
tura 1
aggredire sicuramente le libertà pubbliche, e quasi tutti , s'accin
che gono a tradire il paese, a trattare la patria al modo stesso con cui
70, an trattano la famiglia.
ent
Ma noi, o signori, vogliamo vedere che cuore avete, ma noi vo
. 160 SANTA ROSA DA VITERBO

gliamo sorprendervi nel tempo e nel luogo in cui, credendo di non


averne bisogno, lasciate cadere la maschera.
Avreste voi, per avventura , due coscienze , l'una sudicia per la
famiglia, l'altra candida per la patria ?

Per aver diritto a regolare le altrui volontà e infrenare le altrui


passioni, è necessario avere imparato a domare le proprie.
E Rosa ciò sapeva ; Rosa , che , ancora fanciulletta , non permet
teva che il corpo insorgesse co’suoi ribelli appetiti, e insorgente
domavalo.
Male argomenta chi, per trarre a sè l'altrui considerazione, crede
che bastino le apparenze, l'abito signorile o il portamento grave.
Queste sono vecchie arti per accalappiare le povere ed ignoranti
plebi, ma non valgono a traviare il buon senso della gran massa
dei cittadini .
E Rosa fu sempre amante della semplicità e nemica d'ogni su
perba ostentazione.
Semplici, anzi grossolane, eran le sue vesti , e i capelli portava
sciolti e scarsi, chiamando gran pazzia quella delle donne, che pro
fondono le loro cure intorno ad una leggiadria naturale , che per
mantenersi, non ama cultura assidua, ma quotidiana nettezza.
Benissimo formata di corpo , mostrava di non accorgersene ; nè
colle parole nè coi gesti nè cogli occhi per parte sua faceva che
se ne avvedessero gli altri.
Studiare di farsi scorgere soltanto per doni gratuitamente ricevuti,
quali sono la bellezza e l'avvenenza della persona , è leggerezza e
vanità di chi non ha altro merito, se così si può dire, o, meglio di
chi non ha altro pregio.
Molti altri poi, per farsi ricercare dal mondo , si gittano in seno
ad esso ; nè v' ha tempo o luogo in cui risparmino al pubblico la
loro presenza .
Vogliono imporsi, vogliono diventare necessari, come una specie
di fatalità che vi insegua dovunque.
Ma la giovinetta Rosa amava la ritiratezza ; piena di virtù e di
meriti : appunto perchè non andava in cerca del mondo , il mondo a
suo tempo l'avrebbe cercata.
Ed alla ritiratezza accoppiava umiltà profonda.
La quale punto non nuoce, perocchè non genera l'altrui disistima
per l'abbassamento che l'uomo fa di sè volontariamente ; ed anzi
giova, perchè attrae la considerazione e l'affetto altrui.
Ed in vero, l' umiltà, incontrandosi coll'altrui alterigia e col sen
timento esagerato che altri ha di sè — il quale, è ombroso e sta
SANTA ROSA DA VITERBO 161

sempre sulle guardie non cozza con essi , non gli irrita , ma anzi
colla propria mansuetudine li sorprende e talvolta gli ammansa (1).
Come spiace e come indispettisce la superbia e l'immodestia di
taluni che si credono e si proclamano superiori agli altri , lodando
a cielo i propri fatti e deprimendo gli altrui !
Raro è il merito in essi, ed a lodarsi rimangono soli ; che è ve
rissima quella sentenza che l'orgoglio non ha nè padre, nè madre.
Ma se non ha nè padre nè madre, ha però in tutti quelli, ch'egli
disprezza e tratta con insolente dispregio, altrettanti nemici, perchè
siffatti superbi e immodesti lottano contro quel legittimo amor pro
prio che è innato in ogni uomo , non essendo altro che la dignità
della sua coscienza .
Volete proprio essere considerati dal mondo ?
Fategli del bene .
La fiaccola della carità illuminerà il viso di chi la porta .
E Rosa anche fanciulla era senza pari nel soccorrere l'altrui mi
seria, e caritativa a tal segno verso i poveri che, non il superfluo,
ma tutto il suo faceva comune con essi.
Ed oh come le doleva di non esser ricca per poter sovvenire a
tutti !
I suoi genitori l'amavano teneramente ; perocchè vedevano ger
mogliare in lei rigogliose quelle virtù che avevano seminate ; ma,
parendo loro che fosse troppo liberale , e temendo danno dalle non
troppo misurate elemosine della figliuola, la riprendevano non già
del dare, ma del dar troppo ed a troppi.
Che fece allora la fanciulla per obbedire nel tempo stesso a'geni
tori e soccorrere ai meschinelli senza recar danno alla casa ?
Dimezzò quel po' di cibo che le toccava di sua parte, serbandone
appena la metà per sè stessa, e l'altra distribuendola di nascosto a’
mendici .

Un giorno, mentre Rosa usciva per recare in elemosina alcuni pezzi


di pane a tale effetto posti in serbo, viene a scontrarsi nel padre.
Sulle prime ella non se ne accorge , perchè tutta fissa in questo
pensiero: – Che diranno i miei poverelli, che da tre giorni non mi
C

videro, perchè trattenuta in casa dalle faccende domestiche ? Questo


pane ch' io reco , secco e duro, potrebbe mai far sospettare che il
mio animo fosse cambiato a loro riguardo ?
Ma il padre la richiama, il padre che, vedendola carico il grem

( 1 ) Santa Caterina da Siena nelle Lettere : « La pazienza non è mai vinta ,


nia sempre vince e rimane donna (padrona) .
BERLAN. Le fanciulle celebri. 11
162 SANTA ROSA DA VITERBO
biule, sospetta subito di quello ch'è, e comandale di scoprire ciò che
nasconde con tanta cura.
Alla voce del padre volgesi Rosa e, abbassati gli occhi, tutta rossa
in viso e tremante apre il grembiule.
Che vede il genitore di Rosa ?
Dicono i leggendisti che il padre di Rosa vi scorse entro fiori di
varie sorti e rose.
Un miracolo !
Ma non è abbastanza ' meraviglioso che una fanciulla di sei anni
togliesse il cibo a sè medesima per isfamare altrui ?
Senonchè, quei pani erano proprio rose e proprio fiori, erano fiori
e rose fragranti di carità sublime.

Rosa ha già varcato il settimo anno ed è giunta a quell'età in cui


richiedesi che ognuno cominci a far buon uso della propria ragione,
Questo è il sole che senza eclissi dovrebbe sempre illuminare
quel picciolo mondo che si chiama uomo ; questa la face che gli è
supérnamente data a rischiarare il bujo e sconosciuto labirinto della
vita.
Ma Rosa è gran tempo che ragiona ; è gran tempo che sa distin
guere il male dal bene, e non lasciarsi ingannare dalle false appa
renze, in una parola che conosce il mondo.
Il mondo reale , intendiamo ; non l'immaginario, non quello di
fatti e di passioni straordinarie dipinto da più di qualche scrittore
con troppo accesi e seducenti colori, e conosciuto pur troppo da qual
che incauta fanciulla, che non sa che certe letture sono miasmi che
alterano ed ammorbano l'anima.
Uscendo da quell'atmosfera dei romanzi ed entrando nel campo
della realtà, le povere illuse cercano e vogliono quei grandi ardori
a cui s' è avvezzata la loro fantasia, e, non trovandoli , se li formano.
Onde, ciò ch'era puramente fantastico, o eccezionale, o straordi
nario, diventa, pur troppo, realtà e regola , e finisce coll' esser co
mune .

Abbiamo detto che Rosa viveva ritirata, ma ciò che importa ?


La ritiratezza non significa già ignoranza e indifferenza delle cose
umane ; anzi è principalmente la ritiratezza che dà il raccoglimento
necessario per meditarle.
Quando la realtà vi circonda e vi stringe da ogni parte ed entra
dappertutto, come si fa ad ignorarla ?
Onde , considerando la giovinetta Rosa quanto pieno di miserie
fosse il mondo , e vedendo che la sua patria , afflitta dalla peste,
SANTA ROSA DA VITERBO 163
dalla fame e dalla guerra, era ricaduta nelle mani di Federico im
peratore, risolse di dedicarsi a vita religiosa .

Rosa è alle porte di un monastero , del monastero di Santa Ma


ria; picchia, ripicchia, prega che le aprano.
Che vuoi quì ? Sei troppo fanciulla , nè sei abbastanza fornita
di beni di fortuna.
E s'ode la voce della priora, che dice : Mandatela via.
E le si chiude in faccia la porta.

Dunque Rosa voleva chiudersi in un convento e rinunciare a


tutto ciò ch' era di mondo ?
No ; chiudersi in un convento non era un disertare dalle cose del
mondo .
Le istituzioni bisogna considerarle nei loro principi, non quali per
avventura divennero talvolta nel loro declinare.
I chiostri erano allora, massime quelli dei Francescani e dei Do
minicani, campi trincerati della Chiesa e presidio dei deboli contro
la prepotenza di Federico. Chiudervisi non valeva quanto fuggire
il combattimento, ma sì pugnare entro ben solide torri o da barricate.
- Non mi vogliono, disse rassegnata la fanciulla, non mivogliono
perchè non sanno che fare di me ! E in verità io fui troppo leggera
e vanerella nel credere di essere cosi presto degna del loro con
sorzio e di fare il bene con esse. Io sono ancora verde pianta ; im
maturi , acerbi sono ancora i miei frutti ; ed avevo la pretensione
che fossero riposti in serbo nella credenza , come cosa eletta e gu
>

stosissima ! Oh ! io ho bisogno di diventar migliore e di farmi ricca


di quelle virtù che mi mancano.... Però i loro buoni esempi mi avreb
bero potuto giovare ; e come farò adesso, dovendomi stare in mezzo
a prepotenze, a delitti, a viltà, ad apostasie ?
Ma non iscoraggiò ; e, fattasi in un angolo della casa una specie
di piccolo romitorio, postovi un letticciuolo ed un altarino, quivi si
ritrasse .
Rejetta dalle monache, pur sentivasi chiamata à qualche cosa di
grande.
Onde si chiudeva in quel pio raccoglimento per meditare e poter
distinguere, lontana da ogni frastuono e da ogni confusione mon
dana , che si volesse da lei .
Spesso nella solitudine è l'inspirazione del bello non men che del
buono .
E nella contemplazione l'uomo che sale fino a Dio, da Dio mede
simo è spinto a discendere migliore e più utile fra gli uomini.
1
164 SANTA ROSA DA VITERBO

Volete essere angeli ? Ebbene eccovi la scala biblica ; angeli, ma


in aspetto e coi doveri degli uomini, bisogna che la ascendiate e di
scendiate continuamente.

Nella tranquilla meditazione del domestico ritiro, non andò guari


che alla giovane Rosa venne fatto d'accorgersi come fosse cosa mi
gliore, anzi necessaria, ch' ella si desse alla vita attiva e più diretta- ,
mente ed efficacemente partecipasse alla fiera lotta che la Chiesa so
steneva contro Federico.
Eruditasi da sè nelle sacre carte, da qualche tempo per più ore
del di raccoglieva nel suo romitorio alcune altre fanciulle, istruivale
nelle cose che si pertengono a cittadino ed a cristiano , ed infiam
mavale del proprio zelo.
Ma per lei era troppo ristretta la cerchia del bene entro cui operava.
Cereo ardente >, Rosa aveva comunicato ad altre faci la propria
fiamma ; era dunque tempo di uscire con esse e diffondere anche al
di fuori il calore e la luce.
Rosa, che non aveva potuto essere accettata nell'esercito dei mo
vaci e delle religiose, eccola farsi capo di una compagnia di gio
vinette volontarie, combattenti in ischiere loro proprie.
Le pecorelle sono uscite dall'ovile e vanno per l'aperto senza cu
stodia di fedeli cani o di vigilanti pastori.
Che vi rattiene , o lupi , dal piombare sulla facile e desiderata
preda ?
In fatti, alla vista di non poche fanciulle avvenenti che, condotte
da un'altra non inferiore in bellezza >, si spandono per la città , in
molti nascono men che puri desideri e folli speranze.

Volete proprio , o libertini, o eretici, o, ministri della prepotenza di


Federico , udire la voce di Rosa ? Volete proprio ch'ella usi delle
sue armi ?
Ebbene, ella parla , ma dalla sua parola rimarrete confusi; ella
impugna uno scudo, brandisce una spada, ma questo scudo e questa
spada è il Crocifisso.
Vedete, qui sopra sta confitto un Uomo-Dio , che venne tra noi
per redimere l'umanità, non per mantenerla schiava, egli vuol del
pari liberi le anime e i corpi.
Servi d'un uomo mortale come voi , potrete forse scherzare coi
dardi d'Amore, ma non colla croce di Cristo.
Oh sì una fanciulla ! Che potrà fare, che potrà dire una fan
ciulla ? Una causa che si difende con si puerili mezzi come può mai
rimaner vittoriosa ?
SANTA ROSA DA VITERBO 165
Voi disprezzate il sassolino, ma sapete voi da che altezza cade ?
Questo sassolino cade dall'altezza del cielo ; e lo scaglia giù la
forza irresistibile del giusto e del vero.
Giunto da sì alto, esso centuplica la sua forza.
Badate a voi, o colossi dai piedi d'argilla.

Rosa sale i pulpiti delle chiese, ascende i seggi nelle piazze pub
bliche, infiammando i popoli all'esercizio delle virtù cristiane e cit
tadine, e smascherando le ipocrisie degli eretici, che, mentre si van
tano di emancipare il pensiero dell'uomo, fanno forza alle libere
credenze coll'autorità e coi mezzi che dà un supremo potere abu
sato ; e così assoggettano a indegna servitù anime e corpi. Ella spa
venta le moltitudini coll' idea dei castighi preparati agli empi, e degli
amari pentimenti, che aspettano anche quaggiù coloro che si lasciano
adescare dalle proteiformi arti dello straniero .
Che vi dà costui ? ella esclama, alludendo a Federico.
Costui vi dà parole di riforma, di libertà religiosa; ma guardate un
poco a' suoi fatti,> che sono di servitù e d'oppressione. È arte di
regnare come un'altra ; ma egli non deve regnare nè a questo nè
ad altro modo su di noi, egli straniero, egli barbaro. Ecco chi vuol
riformare la Chiesa : uno scomunicato che mostra più che propen
sione verso i seguaci dell'islamismo e verso i costumi orientali (1) ;
ecco chi vuol imperare su di noi: un alleato, anzi il patrono di quel
furibondo mostro, che si chiama Ezzelino. Sapete voi chi vuol darci
la libertà, chi dice che la Chiesa ora non rappresenta bene la de
>

mocrazia ? Un uomo che accatta ajuto dai Saraceni della bassa Italia,
un uomo che minaccia ai Lombardi, se non rinunzino ai loro diritti,
di rinnovare le stragi di Barbarossa. Codesti barbari si copiano e
si emulano fra loro , e par ad essi una gran cosa quando abbiano
detto : « Noi vogliamo pareggiare in iscellerata crudeltà questo o quel
l'altro predecessore » . Ma perchè Federico II, che con tanto orgoglio
rinnova la memoria e la minaccia della distruzione della metropoli
lombarda, perchè non ricorda pure la rotta toccata ne' campi di Le
gnano all' avolo suo ? Per vantamenti codesti barbari non hanno chi
li pareggi; basta lasciarli dire, ed a parole conquisteranno il mondo .
E Federico II a parole sarà papa re, se gli piaccia, da un polo al
l'altro ; ma quando verremo ai fatti, quando egli trovi resistenza ,
quando abbia di fronte popoli e non greggie, sfumeranno i vanta
menti suoi e non resteranno che le sconfitte. Chi mi sa dire dove
trovisi il suo braccio destro, quell'Enzo , suo illegittimo figliuolo e

(1 ) Weber, Compendio di Storia Universale.


166 SANTA ROSA DA VITERBO

più illegittimo re ? Si afferma che i Bolognesi gli facciano le spese


e gli usino di gran riguardi, ma tenendolo chiuso nelle loro carceri .
E voi avete veduto quando questo stesso Federico II corse con
grosso esercito sopra Parma ( 1) che gli si era ribellata ; voi avete
veduto come egli la stringesse duramente con assedio e con blocco.
La vinse per ciò ? Egli lo credeva, e n'era tanto sicuro che di con
tro a Parma costrusse un'altra città e chiamolla anzi tempo col
nome di Vittoria. Ma era una vittoria colle ali al piede.... per fug
gire. I cittadini un bel di uscirono a furia delle porte, misero sos
sopra le squadre imperiali e distrussero tutti i loro alloggiamenti.
La città di Vittoria, data alle fiamme, col suo falò compieva il trionfo
dei Parmigiani, che non vi lasciarono poi pietra sopra pietra (2) . Per
chè la virtù contro il furore prese l'armi, fu il combatter corto (3).
Cittadini, non è natural cosa che noi Italiani siamo mancipii de'bar
bari, nè che costoro impunemente presumano d'illuminarci e di reg
gerci (4). Ciò che potè Parma nol potrebbe Viterbo ? Il prisco va
lore dorme soltanto in voi o è propriamente morto ? Nol vorrete far
credere voi, che pochi anni sono, nel 1243, gittaste di dosso il basto
imperiale, cacciaste in fuga dalla vostra città le masnade tedesche,
e lo stesso imperatore costringeste a levare l'assedio ? Davanti alla
vostra eroica costanza ed al vostro valore indomato che poterono
mai le minacce, le macchine militari e tutte le poderose forze ne
miche? Le nostre stesse donne si convertirono in eroine (5) . Io era
assai piccina ahora , non contavo che tre anni circa, e, congiunte
le piccole mani, ed alzati gli occhi al cielo, potevo appena pregare
per voi ; e le mie preghiere , unite a quelle della buona genitrice ,
ascendevano al trono di Dio. Di quei giorni mi ricordo ancora ;
mi rimembra tuttavia che non ero spaurita, ma sentivo un segreto
orgoglio di esservi concittadina. Interrompendo di tratto in tratto la
preghiera, ricordo che la madre m'indicava le macchine militari che
voi incendiavate, voi che alla luce di quell'incendio mi parevate più
che uomini. La buona donna mi diceva : Ringrazia Dio che ti ha
(1 ) Anno 1247-1248 .
(2) Muratori , Annali.
( 3) Petrarca , Canzoniere .
(4) Petrarca : “ .... Il furor di lassú, gente ritrosa Vincerne d'intelletto ,
Peccato è nostro, e non natural cosa » . Peccato più che colpa , peccato con
tro le leggi di Dio . Risposta a coloro che esaltano goffamente il genio ger
manico sopra l'italiano.
(5) . Si segnalo eziandio in questa circostanza ( anno 1243) il coraggio delle
donne viterbesi , le quali per sino tanto che durò il descritto assedio , non
cessarono giammai di somministrare a ' loro uomini e sassi ed armi , siccome
anche diverse sorte di rinfreschi, affinché più vigorosi potessero resistere alla
difesa » . Bussi , Storia di Viterbo, parte I, lib . III.
SANTA ROSA DA VITERBO 167
data una patria di uomini fortissimi. Or voi siete quei medesimi di
allora, nè i leoni possono mutarsi in conigli. La vostra insegna mu
nicipale rappresenta appunto un leone coronato, che simboleggia la
vostra antica potenza fra le città etrusche ; e perchè ora gli fate voi
portare il vessillo d'un imperatore straniero e scomunicato ? perchè
caricate il patrio gonfalone d'un'aquila imperiale ? I leoni generosi
non furono mai servitori delle aquile rapaci. Cambiate animale , se
degeneraste ; mettete , in suo luogo , una pecora od un agnello . Chi
non vuole il rossore della vergogna mostri il fuoco santo dell'en
tusiasmo.
Rosa non solo commoveva e rinfiammava i suoi concittadini , ri
destando e ravvivando in essi il sentimento nazionale , ma persua
devali e meravigliavali eziandio colla sua dottrina , con potenti ra
gioni, con copia di Scritture e con erudita esposizione dei Padri.
L'eresiarca non meno che il filosofo , propugnatore di massime li
>

berticide, se venivano a disputazione con lei , ne uscivano sempre


svergognati e confusi.
E la santità della sua vita aggiungeva autorità molta e peso grande
alle verità che predicava.
Come è mai possibile si domandavano i suoi concittadini
che sappia tanto una fanciulla di dieci anni ? È certamente la
Divinità che si rivela a noi col suo mezzo ! E come la Divinità par
lasse colla bocca della innocente giovinetta , il popolo obbediva a '
detti di lei, non badando a pericolo o danno.
Dice la tradizione che sotto a lei la pietra, sopra cui ponevasi a
predicare , si eresse : simbolo del frutto delle predicazioni di Rosa
anche sui cuori impietriti. La pietra elevavasi , perchè in sè acco
glieva il seme sparso crescendolo in ispiche.
Che gran vergogna sarebbe - dicevano pure i cittadini che gli
uomini maturi e robusti sentissero di sè e della propria dignità meno
altamente di una debole giovinetta ! S'ella ha parlato coraggiosamente
noi dobbiamo operare fortemente , da uomini , da patrioti. Ella pur
dice bene : In fine, non siamo noi gli stessi uomini del 43 ?
E la città si riempiva di commozioni e di tumulti. Non era che
una voce : Fuori gli scomunicatil fuori i barbari (1) !
( 1) Ci piacque stare nei limiti della storia ; avremmo potuto rendere più
poetica la figura di Rosa, rappresentandola non solamente come patriota ma
anche come guerriera, se ci fossimo ispirati a quanto scriveva, seguendo una
leggenda popolare, il ch . sig. Giuseppe Sacchi nel Cosmorama Pittorico, Anno I..
Milano, 1835, pag. 397.
Ecco le sue parole :
66
Ma un altro culto, e ben più meritato, professano quei di Viterbo ad un'
altra loro concittadina, che visse nel secolo XIII . È questa santa Rosa di Vi.
168 SANTA ROSA DA VITERBO
L'avete voluto voi, gridano i principali Ghibellini al governa
tore di Viterbo ; ed ecco per la vostra indolente bonarietà a che
siamo giunti. Oggi si fa tumulto per la piazza contro di noi, domani
si 'verrà agl' insulti, e dopo gl'insulti saremo nuovamente cacciati . E
chi ci rimetterà ancora una volta espulsi ? Ritornammo nel 47, non
per nostra fortuna d'armi, ma per l'orrenda carestia che infieriva
nella città (1). Non isconficcammo le porte, ma ci furono spalancate.
Chiameremo Federico ? gli diremo che per la nostra imperizia, per
la nostra fiacchezza abbiamo, bisogno ch'egli tenga continuamente
obbligato intorno a queste mura quell'esercito, ch'è pur destinato a
maggiori imprese ? Voi siete solito dire che nulla avete a temere da
una fanciulla, ma uom che governa dovrebbe sapere che poca fa
villa gran fiamma seconda . Codesta fanciulla rappresenta un'idea
pericolosissima per noi, la libertà contro la schiavitù, il cielo contro
la terra. Ora corriamo pericolo tutti, e, se vi è cara la vostra me
desima sicurezza e la grazia dell'augusto imperatore, dovete subito
provvedere. Sarebbe troppo brutta cosa che il governatore ed il pre
sidio imperiale fossero assediati e poi catturati dal popolo, come av
venne nel 43. Qualcuno deve uscire dalla città , qualcuno dev' es
sere scacciato : 0 lei o noi.
O lei o noi ? soggiunse il governatore, come destandosi da un
lungo sonno e facendo tutto ad un tratto scorgere la sua vera in
dole ferina.
Perchè costoro sanno fingere la pecora assai bene e per lungo
tempo, ma poi capita la volta in cui buttano giù la maschera della
bonarietà simulata .
Anche il despotismo ha i suoi finti stupidi, la sua falsa specie di
Bruti .

terbo. Andate a visitare il suo convento, e vi mostreranno , entro una cassa


d'argento, il cadavere essiccato di questa fanciulla, a cui tre gran doni con
cesse Dio quando visse, la santità, la bellezza ed il coraggio . Allorchè fu Vi.
terbo assediata da Federico II , questa fanciulla , che non avea sedici anni ,
radunò il popolo, prese un vessillo e, nuova Puicella d'Orléans, si recò a bat
tere l'inimicu fuori delle mura : il suo coraggio rianimò quello de'suoi con
cittadini , la sųa intrepidezza raddoppiò il valore dei combattenti , e Federico
dovette sgombrare, vinto ed avvilito. Rientrava Rosa in città vincitrice, e la
città volea portarla in trionfo: ma l'umile ancella si ritraeva e andava a na
scondersi in un cenobio di vergini, ove un anno dopo moriva come un an
gelo di purità . Il Pontefice santificó quella vergine , ed ora il nome di santa
Rosa è l'invocazione più cara dei Viterbesi . V'ha persino a Viterbo un'ac
cademia letteraria ad essa consacrata, ed anche in quest'anno (1835), nel suo
di anniversario, fu celebrato il suo nome con una solenne adunanza , in cui
in prosa e in verso si celebrarono le sue lodi ».
( 1 ) o Orrida carestia ivasi ogni giorno più avanzando con tanta oppressione
di questa gente che i fanciulli e le fanciulle si trovavano frequentemente nelle
chiese morti di fame » . BUSSI .
SANTA ROSA DA VITERBO 169

Costoro fanno come certi serpenti che dormono lungo tratto del
l'anno, e intanto condensano quel veleno che si va formando in essi
e che perciò sarà più fatale.
-
O lei o noi ? Ma lei e tutti i suoi, perchè i padri sono respon
sabili per i figliuoli, ed i figliuoli per i padri ; cosi fu, cosi è, e cosi
sarà la giustizia dell'impero. Autorità paterna , sommissione filiale,
tutti gli affetti, tutte le passioni umane, buone o cattive , devono es
sere agli ordini nostri, tutte servirci, tutte cospirare con noi e per
2

noi. Quando parla l'imperatore, non sono chiamati a rispondere che


dei sudditi, non dei figli o dei padri, delle spose o dei mariti. Si
gnori, chiedevate che la fanciulla Rosa fosse allontanata da Viterbo ;
ed io esilio non solamente lei ma anche tutti i suoi, e gli esilio per
sempre. Siete contenti ? vi basta questa giustizia ? o devo costei,
come agitatrice del popolo e come ribelle, dannare a morte ?
Basta l'esilio ; troppo rigore non ricondurrebbe alla ragione il
popolo, ma lo ecciterebbe anzi contro di noi. Allontaniamo la causa
del disordine , e saremo sicuri. Ricorrendo noi a mezzi estremi , il
popolo ci crederebbe in estremi pericoli e imbizzarrirebbe.
Siamo ai primi giorni di dicembre del 1250.
Rigida è la stagione; tutto il suolo è coperto di ghiacci e di nevi.
Monti e colline hanno una veste bianca che mette freddo ribrezzo
al solo riguardarla.
Chi oserà porsi in viaggio per que' monti, dove non è più trac
cia di sentiero, dove si nascondono precipizi profondi, e bestie affa
mate stanno in agguato, ansiose di preda ?
Eppure quei monti dovranno essere superati da Rosa e da tutta
la sua famiglia.
Non vale che i parenti della fanciulla supplichino il governatore
perchè temperi l'ordine crudele , rimandando alla non lontana pri
mavera l'epoca del loro esilio ; non valgono le ragioni, non le pre
ghiere, non le lagrime.
La ragione di Stato non ha cuore.
-

Voi dite che, mettendovi ora in cammino, correte risico di pe


rire. E che ! soggiunse con irato animo il governatore , credete voi
ch ' io vi mandi ad una gita di piacere (1 ) ?
Esiliare, non condannare a morte , può forse parere pietà , cle
menza .

Ma coloro che, per essere dispiaciuti ai despoti , sono andati ra


>

(1) Il p . Ercolani (nelle sue Eroine della solitudine sacra , parte II) dice che
il governatore ordinò pure che si prendesse la parte più alpestre e difficile
della montagna .
170 SANTA ROSA DA VITERBO
mingando fuori di casa propria , possono ben dire quante volte, senza
finir di penare, si muoja nell'esilio.

Salve, o giovinetta Rosa ; te invocano patrona i fuorusciti patrioti.


Tu sul cammino dell'esilio seguivi Alessandro III ( 1 ) ee precedevi
Giovanni da Procida (2) e Dante Alighieri (3).
Fu breve il tuo esilio, ma dignitoso , ma operoso del bene , ma
giovevole ad una santa causa.
Fuori della tua patria tu non ti vantasti di aver sofferto molto :
non lo consideravi che come un dovere.
Quell'odio, che avevi fatto nascere in Viterbo contro lo straniero,
senza tregua lo propagasti a Soriano ed a Vitorchiano, e quella luce
del vero e' del giusto, di cui avevi irradiata la tua città natale, la
spandesti vivissima nelle altre terre e castella .
Calasti dietro a’monti Cimini, ma come il sole che, quando è al
l'occaso per gli uni , diventa alba per gli altri.
Quella carità che ti stringeva a' tuoi concittadini tu non mutasti
o diminuisti o mercanteggiasti ; uscita , non li hai dimenticati per
ricordarti troppo di te stessa , per correr dietro , avara , lasciva od
ambiziosa, alla roba, ai piaceri od agli onori.
Le ovazioni non t'insuperbirono, le contraddizioni non ti scorag
girono , e le tentazioni della povertà non ti vinsero.
Fosti angelo di consolazione alla tua famiglia, e fosti sempre scuola
ed esempio delle più belle virtù cittadine a coloro frammezzo a cui
passasti.
O Rosa, oh tu non perdesti la bellezza e l'olezzo per essere cac
ciata tra le nevi e per essere trapiantata sotto altro clima !

Può durare uno stato che si fondi sulla negazione della naziona
lità e dei diritti dei popoli, e che sia così odiato da tutti da temere
persino delle donne e dei fanciulli ?
Esso deve cadere , e chi lo rappresenta , scomparire dalla faccia
della terra.

( 1 ) . Abbiamo.... un Alessandro III ramingo dentro e fuori d'Italia per es.


sersi messo a capo della nazional resistenza contro le usurpazioni di Fede
rico I 99 CESARE BALBO .
(2) Giovanni da Procida esule napoletano , recandosi or qua or là presso i
principi d'Europa , attizzò gli odi e gli sdegni contro Carlo I d'Angiò, la cui
dominazione fu rovesciata in seguito ai Vespri Siciliani (anno 1282 ).
( 3) - Nel 1265 nacque in Firenze Dante Alighieri , somma gloria d'Italia. In
gioventù combatte contro i Ghibellini: poi tenne in patria i primi uffici. Nel
1301 ne fa bandito da una fazione contraria . Indi per 20 anni esulò qua e là .
Bramava ardentemente di rimpatriare , ma rifiutò con isdegno un perdono che
gli venne offerto a patti vergognosi . Nel 1321 morì in esilio. » - RICOTTI .
SANTA ROSA DA VITERBO 171
Il soffio dell'ira di Dio schianterà le poche salde radici che quel
l'albero ha messe sul terreno usurpato, e foglie e frutti ee rami darà
in preda ai venti, a terrore d'ognuno che regni con iniqua violenza.
Rosa ha prenunziato la fine del regno di Federico e la morte di
costui ; e la fine è venuta, e la morte ha ghermita la imperiale sua
vittima .
Quell'incendio che Federico ha attizzato contro gli altri, divam
pando si ritorse contro di lui.
Ecco l'orgoglioso monarca terminare i suoi di stanco e scorato ( 1 ). ·
Egli ha detto che Corrado e Manfredi si divideranno l'eredità pa.
terna, ma le sue parole non sono raccolte dagli angeli che scrivono
su pagine incancellabili i destini umani.
Corrado muore inaspettatamente, Manfredi perisce in battaglia, e
il suo cadavere ignudo è gittato sulle sponde del fiume Verde (2)
senza un po' di terra che lo ricopra , e Corradino , figliuolo di Cor
rado ed ultimo rampollo della casa di Svevia, lascia la testa sul pa
tibolo nella piazza del Mercato di Napoli.

Mente e studi aveva Federico forse superiori al suo secolo, ma


alla mente elevata non corrispondevano i costumi , corrotti e cru
deli; non era santo lo scopo delle sue imprese, com'era forte la sua
destra ; nè le sue idee erano divise dai popoli, stanchi d'essere man
cipi d'una larva d'impero, che s'era spento sul Tevere e non po
teva risuscitare in Germania.
Chi voleva spegnere la libertà , chi voleva germanizzare l'Italia,
con tutti i suoi fu spento .
Contro le nazioni si può lottare, ma si soccombe.

Uscite festanti, o Viterbesi , incontro alla fanciulla Rosa che ri.


torna fra voi ; spargete di fiori le vie per cui ella passa ; con canti
e con suoni rallegrate la sua venuta.
Una moltitudine di uomini, di donne , di fanciulli di Vitorchiano
e de' luoghi vicini l'accompagnano ; una selva di verdi arbusti o un
giardino tutto fiorito par che discenda giù dai monti Cirnini, tanti
sono i rami d'ulivo e di quercia e tante le corone di tiuri portati
ed agitati dal corteo che con lei viene al basso.
Ecco Rosa , ecco la vergine desiderata; ed ella che viene è la
stessa fanciulla che parti , è piena dello stesso tenero amore per i
suoi parenti , per la patria e per la fede.
( 1 ) La Farina , Storia d'Italia .
(2 ) Fuori dei confini del regno di Napoli : la battaglia ebbe luogo nelle yi
cinanze di Benevento.
172 SANTA ROSA DA VITERBO

L'esilio l'ha fatta più grande di merito ; ma ella è sempre umile


e modesta.
A' cittadini di Viterbo porgete la mano e date l'abbraccio fra
terno, o uomini dei comuni e delle terre vicine che mi seguite. Io
ravvicino de' fratelli, de' figli di una stessa patria. Nella concordia
sia la vostra forza, e nella vostra unione la mia allegrezza. Ricor
datevi ciò che avete patito , se volete che questa concordia e que
st' allegrezza duri.

La fanciulla del popolo ha combattuto strenuamente per il popolo ;


ma l'eroina della democrazia non vuole per sè nè festeggiamenti, nè
onori .
All' umile celletta della casa paterna ella ritorna, a studiare, a in
segnare, a meditare, e pregare per i suoi concittadini.
Il tiranno non è più, ma altri possono, e d'altra peggior tempra,
venire .
Ed è necessario che un'ara di virtù sorga in sito eminente, per
chè la sua pura fiamma ed i suoi profumi soavi attraggano le com
piacenze del Signore, arbitro delle nazioni, ed allontanino gli sguardi
di quel punitore dalle follie dalle ebbrezze delle smemorate mol
titudini.
Chè i risorti , ahil troppo spesso e troppo presto, si dimenticano
di essere già caduti, di essere stati calpesti ; ed coloro che li cal
pestavano tornano a porgere fidenti la mano ed a curvare ossequiosi
la schiena .
Rosa da quella serena altezza, in cui s'è posta, vuol continuare ad
essere lume di salute a' suoi, come la stella che nei deserti spazi
del cielo si rifà benefica guida al marinajo che, dimentico dei corsi
perigli, baldanzoso e cantarellante torna a commettersi al già impre .
cato mare (1) .

( 1) Il prof. Fabio Nannarelli dettava in onore di santa Rosa un' Ode che
con altre sue poesie venne pubblicata dal Le Monnier di Firenze ; egli accom
pagnavala colla seguente nota :
“ Una delle più ammirabili donne che fossero mai . La tradizione ce la pre
senta vergine parissima , ricca di fortezza e d'amore ; splendida figura che
grandeggia e si spicca dalla plebe onde nacque e che vivifico del suo spirito.
Nel predicare a questa >, si dice che la pietra, su cui era ritta , si alzasse dal
.

suolo per elevarla alla vista di tutti, A Viterbo si sente ancora qualcosa del
l'anima sua ; nè la sua memoria per volger d'anni è men viva e cara ai cit
tadini . I seguaci di Federico II, contro cui adoprò la spada della parola , la
spinsero in esilio , dove le fu rivelata in visione la morte del tiranno , che
prenunzió . Ritornata in patria, vi mori giovine ; e il suo corpo incorrotto, che
ha resistito anche ad un incendio , è esposto alla venerazione di tutti nella
chiesa che da lei ha nome ».
SANTA CATERINA DA SIENA 173

XIX .

Santa Caterina da Siena .


« Piacesse a Dio che gli uomini imitassero i laudabili fatti delle
donne , e la grinzosa vecchiaja rendesse quello che spontanea offre
la fanciullezza ! »
Così dobbiamo esclamare col gran dottore san Girolamo (1 ) dinanzi
ai meravigliosi esempi di virtù e di eroismo che delle fanciulle ci
hanno dato finora .
Abbiamo evocato delle sante giovinette, le quali non ci appresero
soltanto la pietà, ma ad essere eziandio uomini grandi e grandi cit
tadini,
Ci piacque schiudere un antico forzieretto, e si presentò a' nostri
sguardi una magnifica coilana di smeraldi, carbonchi e diamanti.
Antica è la legatura , ma le gemme non hanno però perduto di
prezzo.
Che valore, che ricchezza inestimabile !
Eppure non abbiamo discorso per anco della più grande e più
sublime tra le sante vergini.
Oltre la collana, c'è un vezzo di una sola perla di valore infinito ;
i è santa Caterina da Siena.
Infra tutte ella ha una grandezza , una sublimità eminente ; pe
rocchè, tenendo pure assorti in cielo e mente e cuore, stampò tut
tavia gigantesche orme sulla terra e pose mano poderosa e rispettata
negli affari della Chiesa e degli Stati.
Lei, povera monachella delle Mantellate, onorano e obbedirono del
pari pontefici, principi e repubbliche.

Caterina nacque in Siena dalla famiglia popolesca dei Benincasa.


Correva l' anno 1347 .
Plebei ma agiati erano i suoi genitori ; il frutto del lavoro ed i
risparmi davano loro di che sostentare non solo, ma educare ezian
dio decentemente, secondo il loro stato, la numerosa prole.
Caterina non era la primogenita, nulladimeno in casa poteva dirsi
la prediletta.
Nè ciò dipendeva dalla cieca affezione dei genitori, la quale d'or
dinario si rivolge piuttosto ai più viziatelli (2).
Perchè , dopo avere i padri e le madri guastate colle troppe ca
rezze i figliuoli, si lasciano alla lor volta guastare dalle moine di
questi.
( 1 ) Epistola X.
( 2) Anche questa è forse legge provvidenziale , perchè spesso sono quelli che
hanno più bisogno di affettuose cure per non pigliar mala piega .
174 SANTA CATERINA DA SIENA

Caterina non aveva quest'arte per cattivarsi l'affetto de'suoi, non


parole melate , non lezi; anzi , contro il costume de' fanciulli, com
>

piacevasi di taciturnità e serietà.


Se non che la serietà e la taciturnità di lei non escludeva un'ope
portuna e giudiziosa giocondità , ch'era nel suo carattere , ma ella
sapevala governare in modo che non fosse continua e lasciasse spic
care meglio le altre belle qualità del suo animo.
Onde il suo contegno serio e taciturno, rallegrato a tempo dal sor
riso delle sue grazie innocenti, la faceva a tutti grata ed amabile.
In casa e fuori la chiamavano Eufrosine, ma era un' Eufrosine
non leggiera, un' Eufrosine che colla sua gajezza rendeva più accette
le parole e gli atti suoi tutti pieni di ponderatezza e di sentimento.
Era una pianta gentile che dava nello stesso tempo frutti e fiori;
o un albero di prugne che mostrasi carco di frutti accanto ad una
spalliera di verzura e di gelsomini.
A fanciulla bella ed aggraziata come lei molte cose anche un po'
leggiere o troppo vivaci si sarebbero potute perdonare od anche in
terpretare benevolmente , ma ella nulla perdonava a sè stessa, ed
anzi esigeva che ogni suo detto e fatto procedesse da riflessione.
La bell'anima non voleva dover nulla alle belle sembianze e fat
tezze del corpo ; non voleva che si pregiasse l'edifizio , ma si chi
l'abitava .

Non è raro che si lodino ad una madre i suoi figli; ma è più raro
che le s'invidino ; rarissimo poi che i parenti e i vicini facciano
gara di averli seco e di portarseli a casa per godere lungamente
della loro compagnia.
La vivacità dei ragazzi piace fino a un dato segno ; sarà un buon
odore, ma anche il buon odore alla lunga cagiona il mal di testa.
Ed ogni padre ed ogni madre , in generale , s'accontenta dei tesori
che possiede , cioè ne ha abbastanza dei propri figli.
Ma cosi non avveniva di Caterina , i cui genitori si rammaricavano
di poterla tenere poco in casa , perchè i parenti e gli amici se la di
sputavano continuamente.
Ella era la compiacenza , la gioja, l'ammirazione di tutti ; ed en-
trata dove fossero altri fanciulli, era una maestra che piaceva, che
tornava graditissima.
Ed era la maestra più utile di qualunque altra .
Perchè coi fanciulli, piucchè le lezioni degli adulti, ponno gli esempi
di altri fanciulli, come quelli che fanno nascere l'emulazione.
Al dolce solfeggiare d'un usignuolo, gli uccelletti che l'odono s'in
gegnano anch'essi di cantare.
SANTA CATERINA DA SIENA 178

La prediletta lettura di Caterina era quella delle vite dei santi


Padri del deserto , piene di fatti maravigliosi.
E quelle letture alimentavano in lei la disposizione che aveva na
turale e il suo segreto e vivissimo desiderio di segregarsi dal mondo
per darsi tutta alle cose del cielo.
Ella voleva allontanarsi da quel mondo che pur tanto l'accarez
zava e la ricercava !
Piena di una fervente pietà, istillata in lei da' genitori , le pareva
allora che non si potesse amar bene e degnamente Dio che lunge
dagli uomini , in una cella romita , in una vergine foresta , sopra un
>

monte isolato.
Un labirinto da perdervisi entro le pareva il mondo ; falsi i suoi
amori , livide le sue carezze (1) , prevaricatrici le sue gioje; la sola
schietta natura essere scala per salire fino a Dio.
Nella solitudine ella sperava abbandonarsi tutta ai piaceri d'un
regno invisibile e farne imperturbata la sua delizia.
Ma gli eventi e quella che chiamano predestinazione non permi
sero ch'ella facesse paghi i suoi desideri.
Senz'accorgerci, noi giriamo col mondo, ed a quel moto non pos
siamo resistere .
O innocente fanciulla , le città frequenti di popolo reclamano la
potenza della tua parola e del tuo esempio.
Tu sei uno di quegli esseri privilegiati che di tratto in tratto su
scita la Provvidenza e manda quaggiù per risollevarci se abbattuti , e
per dirigerci a buon cammino se traviati.
Frati e monaci del tuo tempo non sempre hanno quelle virtù , non
sono sempre di quel bello ideale che ti sei formato conversando in
ispirito cogli antichi Padri del deserto.
La Sede romana trasportata ad Avignone è di pericolo a sè stessa,
d'impedimento alle fede, di perturbazione all'Italia .
E le inimicizie delle città italiane, rinfocolate dalle malvage am
bizioni dello straniero , trarranno la comune patria a rovina.
La Chiesa, la patria, l'umanità aspettano dunque chi la soccorra,
e tu sei destinata ad essere il loro ajuto.
Tu nol comprendi ancora , e , se lo comprendessi , non te lo lasce
rebbe credere la modestia ; ma , per segni che non potrai nè fran
tendere nè revocare in dubbio , ti sarà noto.
Quello stesso misticismo, che ora ti fa tanto desiosa della solitu
dine, ti ravvierà esso stesso in mezzo alle moltitudini.
(1 ) Santa Caterina da Siena nelle Lettere : « Il misero uomo servo del mondo
rode il prossimo co' denti dell'invidia e dell'odio, e con ira e dispiacere di
vora le carni sue ( proprie) con appetito di vendetta ».
176 SANTA CATERINA DA SIENA

Perchè , e tu stessa lo dici , « i santi che sono a vita eterna, tutti


sono andati per la via di carità , ma in diversi modi , chè l'uno non
è simile all'altro » .
.

E per praticare la carità bisogna essere in mezzo a noi ; e il modo


ch'è prescritto per arrivare alla vera beatitudine è appunto quello
di passare consolando e beneficando tra coloro che soffrono.
Uccello del paradiso , agita pure le belle e rilucenti penne nei
campi del cielo ; ma ti sarà forza posare co’i piedi sui rami dell'al
bero di questa vita , dove la religione e la carità ti additano che
hai de'fratelli.

Caterina non há che sei anni , e , tutta assorta ne'suoi pensieri


di cielo e volando coll'immaginazione all'eremo desiderato , passa un
di col fratellino Stefano per le popolose contrade della città nativa .
Ella non s'accorge della faccenda e del frastuono ch' è intorno
a lei , e neppure del fratellino che la conduce per mano.
Macchinalmente lo segue taciturna, meditabonda ; ma ad un tratto
s'arresta .
Perchè non mi segui, o Caterina ? perchè ti fermi ? Sai bene
che mamma e babbo ci attendono ; già abbiamo indugiato anche troppo
e potrebbero angustiarsi del nostro ritardo. Su via, che fai li ferma
e cogli occhi in aria ?
I due fratellini si trovavano nella contrada chiamata allora Val
lepiatta.
.

Ma vieni, o non vieni ? soggiunse Stefano.


E in così dire la trae a sè.
Destata bruscamente dal suo rapimento, la fanciulla dà in sin
ghiozzi e smanie.
Oh ! lasciami qui, ella esclama colle sue lagrime che mo
strano a un tempo preghiera e rimprovero ; e, a più riprese portata
innanzi, a più riprese o finge inciampare o tenta resistere a quella
mano che seco la trae importuna.
Oh ! tu non hai gli occhi, o fratello ? Non vedi ? Perchè di qua
mi rimuovi, se qui aperto è il cielo ?
- Caterina, vuoi proprio farmi immattire ? O vaneggi....
Io farti immattire ? io vaneggiare ? Ma se hai gli occhi veggenti
e se sei buon cristiano, perchè vuoi togliere a me ed a te stesso la
dolce vista di questi insoliti splendori celesti ? Oh ! quando mamma
e papà sapranno ciò che noi abbiamo veduto....
Ma io più guardo e meno vedo quello che tu dici.
E io vedo qui in alto, sopra la chiesa di san Domenico, fra le
nubi Gesù Cristo benedicente, in compagnia degli apostoli Pietro e
SANTA CATERINA DA SIENA 177
Paolo e dell'evangelista Giovanni . E Cristo non ha il solito aspetto,
ma è in maestà di sovrano pontefice, colla tiara papale....
Oh sì che tu sei una santa da veder queste cose ! Orsù , an
diamo a casa. Non vuoi venire ? E io corro subito da mamma e
papà a dir loro che sei pazza e farnetichi per le strade.
Aveva torto Stefano ?
Egli, avvezzo a riguardarsi, anche in tutto il resto, com'era nel
l'età, uguale e fors'anco superiore alla sorella ; egli, distratto dagli
esercizi e dai trastulli propri della fanciullezza, era ben lontano dal
supporre e dall'ammettere, anche solo umanamente parlando in Ca
terina cosi sublimi le facoltà dell'anima, nè arrivava a comprendere
la forza creatrice che può avere la fantasia di chi lungamente s'è
esercitato in profonde meditazioni ,
A chi ha profondamente meditata e vagheggiata l'idea del bello
e del perfetto avviene talvolta che le vagheggiate cose come belle
e perfette si presentino alla sua mente con sembianze , movimento e
vita di cose già in realtà esistenti. E s'è familiarizzato tanto con
esse e così ben le ha vedute (1) in tutte le loro parti che può, an
che materialmente, rappresentarle. Caterina non avrebbe saputo, in
quella tenera età , formolare con linguaggio scolastico le sue idee
sulla natura e sui doveri del papato ; ella non sapeva definire scien
tificamente la luce, ma vi mostrava ed accoppiava insieme tulti gli
elementi che son necessari a comporla ; e quelle idee le aveva cosi
chiare, e con tanta forza agivano su di lei, come se fossero vere e
reali sensazioni. Perchè quelle idee medesime, dopo avere di sè me
desime invasa la parte spirituale, invadevano e compenetravano, per
così dire, anche la materiale.
A giudicare adunque da quella visione, la sapiente fanciulla, me
ditando sulla vita dei Padri virtuosissimi del deserto, in mezzo alla
corruzione del suo secolo , in mezzo alle contraddizioni, ai conflitti,
alle guerre ch'erano suscitate alla Chiesa, e che la Chiesa sosteneva,
s'era formato questo grande concetto del capo visibile della Chiesa,
perchè fosse di gloria a Dio, di vantaggio all'umanità, di salute alle
anime :
Che il rappresentante del Salvatore stesse elevato sopra le cose
terrene, non attendendo che a spargere luce e benedizione ;
Che lo accompagnasse san Pietro, cioè l'intuizione e la coscienza
del vero e la forza di affermarlo ; ed oltre a ciò la schietta integrità
dei costumi , la saldezza nei santi principi abbracciati , e nel punto
stesso il pronto rialzarsi dalle cadute proprie dell'umana fralezza ;
Che gli fosse presso san Paolo, che, da centurione fatto cristiano,
(1) Idea è visione, come dice il suo vocabolo greco.
BERLAN. Le fanciulle celebri.
178 SANTA CATERINA DA SIENA

rimise la spada nel fodero per non isguainarla mai più, per non con
· Vertire che coll'arma della parola ; cioè , che lo soccorresse la sa
pienza delle cose divine ed umane ; e che finalmente il Vangelo
fosse portato innanzi a lui da san Giovanni , cioè dalla carità , dal
>

l'amore .

Perchè avrò io avuta quella bella visione ? A che scopo ? Come


posso essere io degao strumento a far sì che la Chiesa venga a
quello stato di perfezione che vidi espresso nelle quattro figure ce
lesti ? Oh sì , io sono pure immodesta solamente in pensarlo ! Fug
>

giamo le tentazioni.
Cosi dice fra sè la vergine, e torna ai primi pensieri, ai primi de
sideri dell'eremo, perchè questo la salvi non solamente dal mondo,
ma anche dal troppo alto sentire di sè stessa,
Guidata da quell'ardente aspirazione, ella, sola , soletta, esce una
>

mattina fuori della porta d'Arsano (1) col proposito deliberato di non
più ritornare in città, e null'altro portando seco che un sol pane.
Avendo alquanto camminato, nè vedendo più intorno aa sè nè abi
tazioni nè persone, ella arguisce essere arrivata nel deserto bramato
o in parte vicina ad esso ; e, andando alquanto più oltre, per esserne
più sicura e per addentrarsi bene nella solitudine, trova finalmente
una grotta sotto una rupe .
Tatta allegra ella vi entra allora; e, veduto il sito riposto e fatto
più occulto da alberi frondosi che, come sentinelle, sorgono dinanzi
all'entrata, coi rami e colle foglie coprendola quasi affatto, quivi si
propone di passare in preghiere , in mortificazioni e in santa con
templazione tutta la vita.
Piegate le ginocchia, ella ringrazia Dio che dopo così breve cam
mino abbia fatti paghi i suoi desideri.
Ma, mentre ella sta in orazione, si narra che, una nuvola candida
la solleva di terra , la toglie come in braccio e la depone a quella
porta della città donde poco fa è uscita.
Quella nube era il pensiero dell'improvviso abbandono dei pro
pri cari , del dolore che, ingrata, avrebbe ad essi recato colla pro
pria lontananza, e del dovere che la richiamava al lavoro, ai peri
coli ed alle lotte comuni.
Pensare alla propria salute sta bene , ma non fuggendo quando
la battaglia ferve o sta per cominciare , si bene armandosi e com
battendo virilmente.

Ma a qual lavoro, a qual pericolo, a quali lotte poteva allora par


tecipare e attendere Caterina, ch'era ancora in età verdissima ?
( 1 ) Ora detta Porla di san Marco.
SANTA CATERINA DA SIENA 179

Che può fare una fanciulla di otto o nove anni ?


Può fare assai , può quel molto che abbiamo veduto operarsi da
altre sante fanciulle .
Le quali , raccogliendo intorno a sè delle altre minori od eguali,
si facevano loro maestre e educatrici .
Venivano le piccine per giocare, per trastullarsi, e partivano istruite
ed edificate.
Senza l'apparato scolastico , v'era la scuola ; non v'era la serietà
o il pedantesco sussiego del maestro, ma invece l'amabile e insinuan
tesi familiarità dell'eguale.
Dite à uno : « Voglio che mangiate )» ; e sarà comando di cosa non
discara, ma sempre comando e, come tale, per sè stesso increscioso.
Voglio che impariate ) ; dicono i maestri , i precettori, ii pedago
ghi ; e , sebbene sia cosa utile quella che viene ingiunta , pure chi
>

deve obbedire, perchè è comandata, vi si mostra assai spesso ritroso


o riluttante.
L'alunno nelle scuole ordinarie tenute da adulti deve accettare
l'insegnamento, deve subirlo quale gli vien dato : non v'ha discus
sione o contestazione; non v'ha un solo momento in cui il suo amor
proprio rimanga soddisfatto ,> se non forse quando lo scolaro arriva
subito a comprendere quel che , forse, in modo non ben chiaro, il
maestro gli insegna : ma anche questo è un dar ragione al maestro ;
laddove la discussione e la contestazione non solo è possibile , ma
naturale tra eguali , e quindi viene lasciata almeno la speranza
che venga la sua volta all'amor proprio dell'ammaestrato di poter
ricattarsi, d'aver qualche volta ragione. Non si sta attenti al correre
od al cantare d'un solo, ma si corre o si canta tutti, ed è gara di
chi più corra o di chi meglio canti.
Più sono le passioni umane abilmente poste in movimento , ee mag.
giore è il prodotto.
Dalla giocondità, dal sapere e dagli altri rari pregi di Caterina al
lettate, molte giovinette della sua età vengono a lei per udire i pia
cevoli e salutari suoi ragionamenti, per comunicarsi le proprie idee,
per discuterle insieme, per perfezionarsi a vicenda : la sua casa s'è
fatta una scuola di mutua educazione d'istruzione.
Ciò che non ponno , o tardi o male , maestri e genitori , fanno e
compiono tra essi facilmente i fanciulli.
E da noi ciò avviene pel male; chè l'un ragazzo travia l'altro :
ma non potrebbe avvenire anche pel bene ?
Ecco le sante giovinette che agli stessi educatori insegnano qual
Che cosa .
180 SANTA CATERINA DA SIENA

Ma in casa la luce delle parole savie e della virtù singolare di


Cateriva non si spaude soltanto sopra le sue coetanee ed amiche.
Con quell'affettuoso rispetto cli' è proprio di tenera ed amorosa
figliuola, ella Versa il mile raggio di quella luce eziandiu Supra i
suvi genitori.
I quali , buoni e ragionevoli , nè lo sdegoano, nè lo respingono.
Auche la trcia ha bisogno del cerino per accendersi, e l'aquila,
che pur vula da un mare all'altro , cala qualche volta, per togliersi
l'ardeute sete, all'umile ruscello.
Nun era Caterina ' per anco al suo decimo anno, quando una mat
tina veune mauduta da sua madre per una facrenduola.
Lapa, chè così chiamavasi la sua genitrice, le disse d'andare nel
tal luogo, e dire in suo nome che si facesse la tal cosa.
La fanciulla non sulo atiese ad eseguire prontamente l'imbasciata ;
ma , compitala , auziché turnarseue subilo , indugiò finchè ne vide
l'effetto .
Ciò dispiacque alla madre, che attribui l'indugio a poca pre
mura, auzi a glig, nza.
Della quale seco stessa gravemente dolevasi.
E perchè era la prima volta, e perchè le premeva trorpo che la
figliuola non si guastasse, gliene volle fare salutevole rimprovero.
Chi ha lasciato passare, diceva Lapı, la prima mancauza senza
riprensione, ha meno diritto di correggere la seconda.
Viene a casa , tutta lieta, Caterina e spera, che annunziando alla
madre l'esito dall'imbasciata, udrà dirsi, come il solito : Brava ra
gazza, hai fatlo a duvere.
Ma Lapa, che sta aspettandola all' uscio di casa >, appena la vede
tornare, subito le si fa incoutro accigliata.
Ha già deciso di apostrofarla con dure parole, ma quali abbia ad
usare non ha pensato : ciò le è indifferente ; perchè, pur troppo, dai
genitori non si considera che altro è il linguaggio da tenersi coi
servi ed altro quello co' figliuoli .
Ogni parola è buona all'uorno del popolo per esprimere non solo
la sua ira, ma anche la sua tenurezza ; e v'hanno, massime nei dia
letti, espressioni e tenerezze , le quali, in verità, sono un po'laide.
Secondo un certo modo di dire allora indecente, L : pa accolse Ca
terina con queste parole : « Siano maledette le lingue, le quali dice .
vano che tu non torneresti ! »
Appena udite queste parole, la savia fanciulla si fece tutta rossa
in viso, ma, abbassati gli occhi non fiatò e, sopravenuti il padre ed
i fratelli, con aria umile e rassegnata entrò in casa.
Ma poi, tratta la madre da parte, con gravità più propria di
SANTA CATERINA DA SIENA 181
donna matura che di fanciulletta, e con modestia conveniente a fi
gliuola, cosi le parlò : Oh ! cara madre, quando mi vedete negli
gente nelle cose impostemi, non ri-pirmiatesui rahbuffi, castigatemi
pure severamente ; rhè cosi vuole il giusto e l'onesto ; ma, di gra.
zia , per cagione delle mie colpe, non maledite mai ninno Imperoc
chè ciò riprgna al vostro bel cuore , non conviene all'età vostra , ed
à me reca gran disnjacere.
Veramente ( disse tra sé la madre) maledire è un po' troppo ;
e questo brutto vizio di sconce parole e d'imprecazioni, che , sebe,
bene non si rovescino sopra nessuno , pure off..ndona le.or crbie di
cui dovremmo educare a gentilezza , avrebbe ad essere una buona
volta shandito .
Pur ammirando la savia ammonizi, ne di sì pircola figliuola , e
facendone suo pro', non volle per alıro che di ciò ella s'accorgesse ;
onde saggiunse :
E perchè hai tanto balorcato ?
Madre , ho avuto bisogno di quel tempo per vedere co' miei
occhi che si desse subito mano a ciò che desideravate prontamente
eseguito ; e pui subito me ne sono toruata a casa ed affrettai anzi
il passo.
Quando è cosi, sta bene, riprese la madre ; perchè sono ben lon
tana dal supporre che tu voglia giustificare la culpa dell'indugio
con colpa maggiore, come sarebbe una menzogna.
Dop , ciò Lapa tarque , dei fatti e delle parole di Caterina rima
nendo però ancora più edificata.
E, tornato a casa il marito, per filo e per segno gli raccontò ogni
cosa con sua gran meraviglia, e ludarono l'uno e l'altra Dio per la
grazia di cosi luuna figliuvla.

S'erano sgagliardite le sue veementi aspirazioni alla solitudine, ma


però ella ancora ardentemente d siderava di chiudersi in un ritiro .
Surridevale molto l'idea della vita tranquilla e santa che avrebbe
potuto condurre in compagnia di altre religiose.
Ma nella tranquilla meditazione della sua anima, una voce pritente,
quella della riflessione , sorse a dimostrarle che nè la libertà asso
luta dell'eremo, nė la chiusura del monastero le convenivano.
Se non puoi ritrarii in lu go solitario, e perchè i chiuderesti
in un chiostru , iu che non ami il fasto , la potenza temporale e i
godimenti umani, che forse son celati, e mal dis imulati, da le mura di
un convento ? Nou è sempre vero che i monasteri siano baluardi e
fortezze della fede ; nè sempre vi fanno guardia le rigide virtù d'una
volta . La puveria dovrebb' essere ricchezza e gloria delle religiose ,
182 SANTA CATERINA DA SIENA

lo dici tu pure ; e in stessa affermi ch'è gran confusione ch'elle


abbiano che dare (1 ). Or sarà ella tolla codesta confusione, per non
parlare di confusioni peggiori, se, vincolata a' voli, entrerai fra quelle ,
e se entrata dovrai obbedire ciecamente ed aver occhi per non ve
dere che i cenni altrui, orecchi per non udire che gli altrui comandi
e bocca per non far altro che lodare i superiori ? Dove la riforma
dei costumi monastici, dove quel più santo e sicuro e glorioso stato
della Chiesa che tu vagheggi ? Il cielo ti vuole , ma ti reclama an
che la terra ; e, se ti è tolto di volare sublime sopra gli astri , ti è
pur vietato d'imprigionarti da te stessa entro piccola cerchia. Vuoi
essere veramente benefica ? Sii come la nube, che non si solleva al
tissima, ma ricinge appena le montagne di mediocre altezza, e, non
mirando alle sommità inabitate e tendendo al basso, prepara ai campi
assetati la pioggia ristoratrice.
Ecco Caterina , senz'accorgersi, a passo a passo dilungarsi dall'e
remo, in prima tanto desiderato , ed avvicinarsi sempre più a quel
mondo, in mezzo a cui ha da compiere una grande missione.
Oh ! io non mi chiuderò in uno di quei conventi, ella esclama ;
ma non tutti son come quelli , e in molti s'esercitano ancora le
grandi virtù : sceglierò tra questi.
Ed orando le par di vedere i santi fondatori delle diverse comu
nità religiose venirle innanzi ad uno ad uno e fermarsi e interro
garla dolcemente quale della loro schiera ami seguire.
Era in lei lo spirito d'esame che tutti passava in rassegna gli or
dini religiosi di que' tempi, e scrutava quali e in quali cose fossero
i migliori , i più opportuni ed i più utili.
Quale ha scelto ?
Le piacque la religione di san Domenico, il cui scopo era di con
servare la fede e di estirpare con sapiente predicazione ogni mas
sima eretica , e i cui voti erano di assoluta poverià e di alistere
pratiche di devozione.
Ella ne vedeva , ne vagheggiava il lato bello e splendido che le
avevano rivelato i libri ; ma non vedeva ancora l'altro lato brutto e
cupo che le avrebbero mostrato molti fatti ignorati da lei.
Non è forse, diceva, sopra ogni cosa degnissimo di una crea
tura di Dio addivenire peccatrice di religione per chiamare a co
scienza eretici e peccatori ? In che può mai la carità esercitare me
glio l'attività propria ?
E con questo nobile pensiero , indizio del suo grand'animo, sotto

(1 ) Quasi colle stesse parole santa Caterina nelle Lellere.


SANTA CATERINA DA SIENA 183

mentite spoglie abbandonava una seconda volta il tetto paterno, per


ridursi in un convento di Domenicani .
Ma il suo buon confessore la trasse di là.
La donna, - egli disse, – non ha bisogno di accattare le ap
- -

parenze dell'uomo per aver modo di essere utile all'umanità. S'ella


può operare qualche cosa di veramente grande, questa parrà più
straordinaria ove tutti veggano che chi la compie è una donna....

Ma Caterina debbe lottare non solamente contro sè stessa.


Anche il mondo fa le sue prove , e gagliarde ed ostinate , per
isviarla da quella meta , a cui supernamente sentesi chiamata .
Esso studiasi di trarla a sè colle lusinghe delle beatitudini del
l'amor terreno, e coll'affetto e colle carezze de' genitori.
– Già l'approssimi al terzo lustro, le dice Lapa ; e bisogna pen
sare ad accasarti . In questi tempi torbidi e pericolosi è nostro sa
cro dovere di provvedere che , dopo noi , tu non rimanga senz'ap
poggio. I fratelli tuoi e le sorelle, chi per una via e chi per un'al
tra , volgeranno ad altra parte, e tu rimarrai sola. Ringrazia il cielo
dei doni che generoso t'ha largiti, perocchè per quelli sei ricercata
in isposa da savio giovane. Amabile, sei amata . Non dire che vuoi
rimanere perfettamente zitella, che non ti curi di accompagnarti.
Vuoi tu essere un frutto maturo, che marcisce sull'albero della vita ?
Vuoi tu essere egoista ? Locata quaggiù fra le creature, le une bi
sognose dell'altre , e create le une per le altre , devi pensare non
solo a quella che ora credi tua felicità, ma anche a non intorbidire
la nostra e a non frustrare l'altrui. Poniti bene in mente che noi
non apparteniamo esclusivamente a noi stessi e che ciò ch'è in noi
di buono e di bello ci fu dato perchè ci compissimo e ci perfezio
nassimo a vicenda. Nessuna creatura animata, nessuna cosa di quag
giù è per sè stessa ; niuna è indispensabile , ma tutte insieme son
necessarie. Perchè, non per anni, ma per secoli si può far senza di
uomini straordinari in questa o in quell' arte ? Perchè le infinite me
diocrità si fondono insieme e si compiono, e unite danno , in gene
rale, pressochè le medesime risultanze dell'uomo di genio. Ciò che
farebbe un solo gigante fanno molti nani ; ma quei nani è necessa
rio che contribuiscano ciascuno una parte della loro forza. E que
sto dico perchè ti sia chiara la necessità e il dovere che incombe
anche a te di concorrere al benessere comune. Non è vero, non de
v'essere vero ciò che i più dicono, ogni femmina amare per amore
di sè medesima. Tu procurerai dunque di piacere al giovane che ti
abbiamo scelto in isposo. Egli merita del pari il tuo affetto e la tua
stima. Oh come ne soffrirebbe, se tu lo rigettassi! Ma, buona, tu
184 SANTA CATERINA DA SIENA

non ti compiacerai delle sue pene. Che se , per avventura , avessi


posto il tuo sguardo sopra altro garzone, parla liberamente, chè noi
non ci opporremo certamente al tuo desiderio, ove la persona amata
da te sia degna del nostro parentado. Ma ad ogni modo devi an
dare a marito : questa è la nostra volontà ben decisa.
Piacere ad un uomo ? fare la sua felicità ? Ma non è forse
meglio essere benedetta da tutti ? non è forse meglio attendere alla
salute di tanti, che pericolano nell'anima e nel corpo ? È troppo ri
stretta la cerchia in cui mi si vuol costringere ad esercitare la ca
rità. Ohi non posso fare, o madre, il tuo desiderio.
Ma alle sollecitazioni materne s'aggiunsero quelle d'una pia donna,
di Bonaventura , sua sorella maggiore ; la quale per obbedienza ai
materni voleri la indusse a vestirsi intanto più ornatamente .
Io sono buona cristiana, le disse, nè ti consiglierei cosa
che non fosse onesta. Maritata , so bene ciò che si conviene alle zi
telle , nè ti suggerirei mai veruna leggerezza. A ciò che ti è ordi
nato devi esser pronta , nè a te spetta giudicare , meno poi trasgre
dire , i comandi de' tuoi genitori , che qui sulla terra fanno le veci
di Dio. Supponiamo che fusse pur grande la tua virtù, ma ella sce
merebbe d'assai, anzi non sarebbe più nulla, anzi sarebbe il contra
rio della virtù, se andasse scompagnata dall'obbedienza. I ragyi rac
colti danno utile luce, non già quelli che non obbediscono a veruna
direzione, i quali vápno dispersi. Obbedisci , e se altra è veramente
la tua vocazione , lasciane la cura a Dio ; saprà ben egli rimetterti
su quella via a te predestinata , da cui per santa e meritoria ob
bedieuza ti fossi allontanata .

Finchè intorno a lei furono assidue le amorose eccitazioni della


sorella maggiore , cui pregiava grandemente e teneramente amava,
Caterina usciva in pubblico abbligliala con qualche ricercatezza.
Ma poichè morte le tolse quell'affettuosa consigliera , ella si cre
dette libera, ella credette vedere in ciò un segno non dubbio della
volontà di Dio, il quale , pago dell'obbedienza da lei dimostrata , le
togliesse dinanzi ogoi ostacolo al suo ardentissimo desiderio di mo
pacarsi.
Si finisca una buona volta, disse, di far prevalere le false
.

apparenze alla realtà. Io non amo questi vani ornamenti , io non


pregiu quella che gli uomini chiamano mia bellezza , io non sento
per quel giovane, che mi fu destinato in ispuso, inclinazione di amante;
ma solamente affetto di sorella. Perché dovrò lasciargli credere che
gli corrispundo di pari amore ? Perchè dovrò nutrire una fiamma
SANTA CATERINA DA SIENA 185
che non potrei mai dividere, e che per ciò appunto formerebbe non
la felicità, ma la infelicità di lui ? A suo conforto, se di conforto ha
mestieri , mostrisi che , se io nin amo lui , non amo neppure altri ;
e che non è vanità, non è crudeltà, non è capriccio il mio, ma che
la mia indifferenza inuove da un amore più puro, il suo ch'io sento ,
il solo che possa riempiere il mio cuore, il sulo che m'è necessa
rio, l'amore di Dio e delle anime .
E, prendendo consiglio da quel suo vivissimo desiderio di far ve
dere sè affatio aliena dagli affr-tti e da tutte le cose terrene per loro
istesse, e che non rigetta va l'una per aver l'altra, data mano alle
forbici, si recise i capelli che aveva bellissimi, e coperse il capo con
umile velo .
Come in casa la videro così sfigurata, grande fu l'ira, non men
che il dolore de' suoi genitori.
Ah ! vuoi parere meno che fantesca ? Ebbene , vattene a' ser
vigi più abbietti della cucina; e quivi starai a falicare nei più igno
bili esercizi, finchè non abhii mutato proposito.
Ma Caterina rimaneva salda nel suo pensiero , anzi con somma
tranquillità di spirito supportava i rabbuffi de'suvi e con serena pa
ziedza atiendeva a'comandati servigi .
A' fratelli ed alle amiche, che maravigliavano di quella sua ilare
più che tranquilla rassegnazione , era solita rispondere: « Non vidi
mai che imp: zienza ci levasse alcuna fatica, ancu le cresce ; perchè
tanto è fatica, quanto la volontà la fa fatica ( 1 ) » .
E di que' vulgarı servigi anzi gioiva nel suo secreto, perocchè le
valevano di potersi pui dare liberamente alle sue preghiere e ad al
tre opere di devozione.
Grazie, o madre, ella diceva , de'rigori vostri , della con
dizione che avete posta ai miei gaudi celestiali ; da più basso si
muove per arrivare a Dio, e più si vula, e maggiore è il piacere e
l'allegrezza.
La madre di Caterina volle provare se potesse staccarla dal suo
propositu conducendola a' bagui , convegno anche allora di sollazzi
e d'innamoramenti.
Quelle acque, anzichè smorzare o temperare gli ardori del corpo,
soglion') ordinariamente suscitare od accrescere quelli di ll'anima.
E Caterina per obbedienza v’andò, ma non si lasciò svagare dai
piaceri; fu scoglio sorto fuori improvvisamente in mezzo a lago ameno,
fu areulito caduto dentro un' isula incautata .

( 1 ) Cosi nelle sue Lettere . In altro luogo : « La reale virtù della pazirnza ,
virtù dolce, non si scandalizza, non si turba , nè då a terra per alcun vento
contrario, nè per alcuna molestia d'uomini " .
186 SANTA CATERINA DA SIENA
si dicevano i bagnanti ,
Costei , è cosa venuta di cielo ;
nulla ha di comune con noi .
E, per dimostrare alla madre la fermezza della propria volontà ,
ella più e più volte tuffossi nelle acque calde solfuree.

--- Datemi lo specchio , - disse un giorno Caterina, – levandosi


dal letto, dove per malattia era giaciuta più giorni.
Guardandosi in viso, alla sua inchiesta borbottarono tra loro le
donne che l'assistevano: Ella domanda lo specchio ! È pu vero
che un momento o l'altro trionfano le passioni del nostro sesso!
Datemi lo specchio , tornò a dire Caterina.
E, poichè le fu presentato, vi si guardò a suo bell'agio e con in
solita compiacenza , poi da sè lo respinse , dicendo :: - Questa sola
volta ebbi bisogno di te per accertarmi della mia vittoria. Madre,
cosi tempestata dal vajuolo mi direte ora che io cerchi di piacere
agli uomini ? Essi si faranno da parte, e mi schiveranno finalmente ;
felice me, chè così mi sarà sgombra la via d'andare a Dio !

A tante prove è forza pur confessare , dissero , consultan


dosi tra essi, i genitori di Caterina , .
che è verace vocazione la
sua, e dinanzi alla volontà divina bisognerà piegare il capo.
-

Si rimetterà ella ? Ce ne dà speranze il medico ? e che dice ?


--- Le solite parole; e che le ricadute son gravi, ma che farà il
possibile.
Le solite lusinghe a mezza bocca ! Ma Caterina ?
Caterina dice che dipende da noi la sua guarigione, e che, se
appaghiamo i suoi desideri, non andrà guari che la vedremo ri
sanata.

Per me, o Lapa, la lascerei arbitra del proprio stato : nessuno


ci accuserà certamente di troppa condiscendenza o di mollezza ;
nulla lasciammo intentato per indurla a fare a modo nostro. Ma ora
è ammalata, e, dandole questa consolazione, si rialzerebbe senza più
il suo spirito , e chi sa che, tranquillato e soddisfatto l'animo , non
rifiorisca anche la sua salute ? Rialzare lo spirito d'un infermo è il
primo e principale farmạco. Che se pur tornasse inefficace, se Dio.
volesse toglierci questa figliuola , non avremmo almeno il rimorso
di avere contristati gli ultimi suoi giorni. Che ne dici, Lapa ?
Cerchiamo un mezzo termine, o Jacopo ; sentirei troppo dolore
s'ella ci abbandonasse per chiudersi in un monastero. Diciamole che
le perinettiamo di dedicarsi tutta al Signore, ma in casa nostra, in .
mezzo a noi. Sia pur gioja del cielo, ma sia anche allegrezza nostra ..
Ben pensato, o moglie ; e cosi facciasi.
SANTA CATERINA DA SIENA 187

Si, rialzate lo spirito, fatevi ingegnosi nella vostra carità, per ac


cumulare intorno a quello tutti i conforti, tutte le gioje possibili, o
voi che attendete alla cura degli infermi. Poichè s'ignora persino.
in che lo spirito consista, e dove l'anima abbia sede, mal v'appor
reste presumendo conoscere tutte le sue relazioni colla materia , o
come esso spirito operi e quanto possa nella sua forza.
Raro è che sotto un cielo stellalo mugghi il mare per burrasca.
Ecco Caterina , che , quasi per incanto, a quella consolazione ri
cevuta, s'alza dal letto e prontamente va racquistando le forze perdute.
Poichè Caterina ebbe licenza di menar vita religiosa tra le mura
domestiche , ella attese subito a mostrare di saper signoreggiare e
domare sè stessa e di non aver punto bisogno delle regole e degli
esempi del monastero per governarsi con rigida austerezza.
Eccola privarsi della comodità del mangiare ch'ella aveva alla
tavola di suo padre ; eccola lasciare il vino, poi le carni , quindi il.
pane , e da ultimo ridursi a vivere solamente di erbe ; eccola for
marsi un letto di due tavole , sopra cui coricarsi vestita e dormire
pochissimo ; eccola vestirsi di ruvidissime lane ; ed eccola discipli
narsi più volte al giorno.
Talvolta la madre la sorprende dormendo su quello scabro lettic
ciuolo, ed allora con affettuosi modi la trae seco e la pone a ripo
sare sul proprio letto ; e la fanciulla obbedisce.
Avrei pur rinunziato interamente alla mia ' volontà , ella
dice, se mi fossi rinchiusa in un monastero; e perchè ora mi
torrei io il merito dell'obbedienza e le altre virtù, appagando in pari
tempo me stessa e coloro che m'amano ?
Ma la madre era tutt'altro che contenta ; la madre, che origliando
alla porta della sua cameretta e speculandovi per entro , vedeva i
duri trattamenti che la figlia infliggeva a sè stessa ; la madre , che
più di qualche volta l'aveva sorpresa in atto di disciplinarsi.
Un di, non potendo più contenere il dolore , diè Lapa in un di
rotto pianto e , stracciandosi i capelli , corse a chiamare il marito ;.
e, recatisi insieme nella camera di Caterina : - Mirate, -
esclamò
Lapa, – come questa nostra figliuola si vuole uccidere con le proprie
sue mani ! Ci vorrebbero occhi indifferenti, cuori crudeli per assi
stere impassibili a così dura vista, non gli occhi, non il cuore d'una
madre. Oh ! si, piuttosto vada lontana e compia in tutto il suo desi
derio, ma non ci faccia testimoni e complici delle sae crudeltà con
tro sé stessa.
E il giorno stesso fu trattato colle monache dette le Mantellate
di san Domenico, perchè ricevessero nella loro religione una giovi-
188 SANTA CATERINA DA SIENA

netta di appena qnindici anni, per nome Caterina, nata a Siena, fi


gliuola di Jacopo Benincasa e di madonna Lapa.

Noi ci fermiamo, o Caterina, alle porte del convento che s'aprono


dinanzi a te ; e, dobbiamo lasciarti appunto ora , che sta per comin
ciare lo straordinario splendore della tua vita santa ed operosa in
beneficio della religione e dell'umanità.
Quindicenne, eccoti non più fanciulla, ma sposa di Cristo ; e non
più fra le fanciulle celebri , ma prossima a collocarti da te stessa
fra le sante illustri e fra le dunne immortali.
Ma, prima di lasciarti, una parola.
E perchè ti chiudi fra le Mantellate , e perchè entri in quel ter
ribile ordine di san Domenico ?
Ci pare che la fanciulla risponda :
Perchè le Mantellate non sono strette da voto di perpetua chiu
sura , perchè in questi ordini non si tarpano le ali alla carità , ed
essa può muvversi ed esercitarsi secondochè è inspirata . Io non volli
stringermi al chiostro, che nasconde la donna al santuario, ma star
mene unita in carità con altre pie donne (1). Entro dell'ordine di
san Domenico, perchè trovo che appunto quì la carità è necessaria,
e perchè, se Dio m'ajuti , farò di mostrare che la persuasione che
viene dalle convinzioni proprie e da profundi e santi studi , quella
si è la vera spada e il vero fuoco che atterra e strugg- i nemici
del vero. Lasciatemi'; lasciate ch' io mi raccolga in Dio, lasciate che
io entri nelle tende del Signore dei popoli e degli eserciti , perchè
mi sia appreso da quel supremo duce contro cui debba combattere
e cui vincere.

GESTA DI SANTA CATERINA DOPO LA SUA ADOLESCENZA .

Giovanni Visconti , arcivescovo di Milano, chiamato a render conto


dell'acquisto da lui fatto di Bulogna ia danou della Chiesa , rispon
deva che si sarebbe presentato al papa con dodicimila fanti e sei
mila cavalli (2 ).
Cola da Ri-nzi, invaghito dell'antica libertà e piena l'anima della
potenza del nume romano, proclamava Roma ancora regina del mondo ;
( 1 ) Capecelatro, Storia di santa Caterina da Siena .
( 2) Verso il 1349.
SANTA CATERINA DA SIENA 189
intimava al papa di abbandonare Avignone e di restituirsi all'antica
sede; e chiamava i due contendenti all'impero a rendergli ragione
delle loro pretensioni (1).
Imprigivbato e spento Cola da Rienzi , la democrazia , che s'era
levata contro l'aristocrazia , il papa e l'impero ; ella , che pareva
avesse disertata la propria causa, abbandonando in Cola il proprio
campione, non faceva che mutar di luogo e progredire, poichè da
un uomo del secolo passava ad infiammare di sè un frate , Jacopo
Bussoları, che, oratore erudito ed eloquente, e grande amico di li
bertà, tonava in Pavia contro i tiranni, sia che brandissero la spada
o il pastorale (2).
Tutto lo Stato della Chiesa trovavasi in mano di tirannelli , e il
cardinale Egidio Albornoz, legato del papa , era costretto, per vin
cerli mercè le insurrezioni popolari, a promettere, sapendo bene di
non poter mantenere , amplissime libertà e governi repubblicani.
Avignone era divenuta la nuova Sibari, tutta piena di abatini pro
fumati, di avventure galanti, di corruzione e lascivie (3).
Tutta l'Italia era piena di discordie , di sedizioni , di guerre ; le
corti principesche fogne d'immoralità , antri d'assassini; i cittadini
d'una stessa città armati gli uni contro gli altri.
Ma in tutto questo tumulto e tramestío , in tutto questo agitarsi
e rimescularsi, in questa esuberanza di vita e d'azione , erano pur
evideuti gli sforzi deila dignità umana per rivendicare se stessa ,
della libertà per costituirsi, e della forza brutale per continuare ad
opprimere il mondo.
Bisognava che una virtù rispettabile e rispettata da tutti compa
risse, sedesse arbitra fra i contendenti e, senza cozzare direttamente
contro si smisurata mole di odi e di ire, giudicasse dove era la giu
stizia e dove la violenza.
E questa virtù ebbe Caterina, e in tempi così fortunosi visse.
Ella ricondusse in Roma l'errante sede apostolica dopo settant'anni
dalla sua traslazione in Francia , ed a ciò seppe indurre un papa
straniero, Urbano V, francese ; perchè la carità la faceva più elo
quente del Petrarca, più autorevole di Cola da Rienzi e più stimata
dei signori italiani. Ed era carità , carità somma della patria, nel
>

( 1 ) Anni 1347-54 .
( 2 ) 1356-1359.
(3) Il Petrarca in uno de'sonetti contro la corte romana :
L'avara Babilonia ha colmo ' l sacco
D'ira di Dio e di vizii eupi e rei ,
Tanto che scoppia ; ed ha fatti suoi déi
Non Giove e Palla, ma Venere e Bacco.
190 SANTA CATERINA DA SIENA

ridonare a Roma il Pontefice, perché la nazione italiana, attorniata


da nemici esterni, oppressa dagli interni, aveva bisogno d'un cen
tro intorno a cui raccogliersi ; e questo centro , questo ajuto , que
sto scampo pareva a molti che potesse essere quella grande isti
«tuzione che si chiamava papato , purchè avesse voluto ritemprarsi
a'suoi principi gloriosi e nazionali, e rappresentare nuovamente lo
spirito, l'idea, il mondo morale, in una parola, la libertà umana e
l'eterna giustizia. Allora sussisteva tuttavia il terribile dilemma , la
fatale alternativa : o papato o impero ; e l'impero, invocato da Dante
e dal Petrarca, la signoria forastiera , che voleva rimaner barbara,
aveva fatto mala prova con gli invocati Arrigo VII e Carlo IV.
Ella osò toccare con le dita i mali che affliggevano la grande
istituzione del papato e , con coraggio sorprendente in monaca e
straordinario in donna, non dubitò di eccitare , di spronare Grego
rio XI a gettare dalla barca di Pietro la zavorra delle cure mondane,
per salvare dal naufragio il prezioso carico delle anime (1) .
(1 ) Santa Caterina da Siena nelle Lettere, a Papa Gregorio XI : « La vostra
indegna figliuola Caterina, serva e schiava di Gesù Cristo, scrive alla vostra
Sanijlà .... con desiderio di vedervi giunto alla pace , pacificalo voi , e li fi
gliuoli con voi . La gaale pace Dio vi richiede , e vuole che ne facciate ciò
che potete . Onimé! non par che voglia che noi attendiamo tanto alla signoria
e sostanza lemporale che non si vegga quanta è la distruzione dell'anime e
il vitupero di Dio , il quale séguita per la guerra ; ma pare che voglia che
apriate l'occhio dell'intelletto sopra la bellezza dell'anima e s pra il sangue
del Figliuolo suo, del quale sangue lavò la faccia dell'anima nostra : e poi
ne siete ministro. Invitavi dunque alla fame del cibo delle anime. Perocchè
colui che ha fame dell'onore di Dio e della salute delle pecorelle, per rico
verarle e trarle dalle mani del demonio, egli lascia andare la vita sua cor
porale, e non tanto (cioè solamente) la sostanza . Benche, potreste dire, Santo
Padre » ; « Per coscienza io sono tenuto di conservare e racquistare quello
della santa Chiesa. » « Ohimèi io confesso bene che egli è verità , ma parmi
che quella cosa che è più cara si debba meglio guardare. Il tesoro della
Chiesa è il sangue di Cristo, dato in prezzo per l'anima : perocchè il tesoro
del sangue non è pagato per la sostanza temporale, ma per salute dell'umana
generazione. Sicché, poniamo che siate tenuto di conquistare e conservare il
tesoro e la signoria delle città la quale la Chiesa ha perduto , molto maggior
mente siete tenuto di racquistare tante pecorelle , che sono un tesoro nella
Chiesa, e troppo ne impoverisce quand'ella le perde. Non , che impoverisca
in sè, poichè il sangue di Cristo non può diminuire ; ma perde un adorna
mento di gloria, il quale riceve dai virtuosi e obbedienti e sudditi a lei . Me.
glio c'è dunque lasciar andare l'oro delle cose temporali che l'oro delle spi
rituali . Fale duoque quello che si può ; ę , fatto il potere , scusato siete di
nanzi a dio e agli uomini del mondo. Voi gli batterete più col bastone della
benignità , dell'amore e della pace, che col basione della guerra , e verravvi
riavalo il vostro spiritualmente e temporalmente.... Aprite, aprite bene l'oc
chio dell'intelletto con fame e desiderio della salute delle anime a riguardare
due mali : cioè il male della grandezza, signoria e sostanza temporale, la qual
vi par essere tenuto di racquistare ; e il male di veder perdere la grazia nel
l'anime e l'obbedienza la quale debbono avere alla Santità Vostra. E cosi
vedrete che molto maggiormente siete tenuto di racquistare l'anime . Poi ,
dangue , che l'occhio dell'intelletto ha vedato quale è il meno male , voi .
SANTA CATERINA DA SIENA 191
Ella procurò che fosse riformata di buoni pastori e di santi co
stumi la Chiesa, perchè dai cattivi ministri venivano alla fede mag
giori pericoli che dalle dottrine dei novatori e dalle declamazioni
dell' inglese Giovanni Wiclef (1), i quali avrebbero ammutolito di
nanzi alla santità ed alla dottrina del sacerdozio romano, se la san
tità e dottrina di questo non fossero state in quei tempi'un'eccezione
o un desiderio .
Ella insegnò a' prelati rivestiti di poter temporale a non levare il
capo, o enfiar per superbia, ma a governar con amore anzichè con
timore, con mansuetudine e nel tempo stesso con zelo ; a farsi aju
tare dalle mani dei poveri a porgere e recare la grazia divina (2),
a non curarsi nè di vita , nè di morte , nè di persecuzione ,> nè di
veruna altra pena , perchè il vero fosse onorato ed esaltato.
Ella con maschia vigoría apostrofo Bernabò Visconti , signore di
Milano, che, sè chiamando pontefice ne' propri Stati ( 3), aveva usata
frode e violenza contro Innocenzo VI, Urbano V e Gregorio XI, ed

esigendo indipendente lo Stato dalla Chiesa, ma non ammettendo


l'indipendenza della Chiesa dallo Stato , aveva confuse ed usurpate
le due potestà (4).

dunque, santissimo Padre, che siete in mezzo di questi due così grandi mali ,
dovete eleggere il minore , e , eleggendo il minore per fuggire il maggiore,
perderete l'uno male e l'altro; e ambidue torneranno in bene;cioè che avrete
in pace racquistati i figliuoli, e avrete il debito vostro. Mia .colpa ! chè io non
dico questo per insegnarvi , ma son costretta dalla prima dolce Verità , dal
desiderio ch'io ho, babbo mio dolce, di vedervi pacificato e , in quiete l'a
nima o il corpo . Perocchè con queste guerre e malavventure non veggo che
possiate avere un'ora di bene. Distruggesi quello dei poverelli ne' soldati ,
i quali sono mangiatori della carne e degli uomini . E veggo che impedisce
il santo vostro desiderio , il quale avete della riformazione della Sposa vostra .
Riformarla, dico, di buoni pastori e rettori. E voi sapete che con la guerra
malagevolmente il potete fare ; chè, parendovi aver bisogno di principi e di
signori, la necessità vi parrà che vi stringa di fare i pastori a modo loro e
non a modo vostro ... Oh quanto sarà beata l'anima vostra e mia , che io
vexga voi essere cominciatore di tanto bene, che alle vostre mani quello che
Dio permette per forza, si faccia per amore ! ... Chè sono due cose perché la
Chiesa perde e ha perduto i beni temporali ; cioè per la guerra e per lo man.
camento delle virtù » .
In altra lettera allo stesso pontefice ..., . Non ci manca se non virtù e fame
della salute dell'anima. Ma a questo c'è il rimedio, Padre : cioè che noi le
viamo l'amore detto di sopra da noi e da ogni creatura faori di Dio. Non
s'attenda più ad amici , nè a parenti , nè a sua necessità temporale, ma solo
alla virtù e alla esaltazione delle cose spirituali . Che per altro non vi ven
gono meno le temporali , se non per abbandonare la cura delle spirituali m .
( 1) Egli attaccava a un tempo il dogma e la disciplina.
(2 ) Frase di sunta Caterina nelle sue Lettere. Nola il Tommaséo : « Bello
che la pietà verso i poveri li faccian degai d' essere sacerdoti ».
(3) Tommaséo.
(4) Nella lettera diretta a Bernabò Visconti cosi s'esprime Caterina : « Oh
quanto sarebbe sconvenevole che il servo volesse torre la signoria di mano
al giudice, volendo fare giustizia del malfattore ! molto sarebbe spiacevole ,
192 SANTA CATERINA DA SIENA

Ella confortò alla concordia le repubbliche toscane, perchè la guerra


non è sì dulce cosa che tanto si debba seguitare, potendola levare ,
essendo portatrice di danno all'auime ed ai corpi.
Ella, per pielà delle inique guerre e per amore alla concordia, fu
negozialrice tra Firenze e il pontefice, s'juterprise tra Rima e Ve
nezia , ed eccitò i magistrati della sua terra natale a far in modo
che fisse pare decorosa tra essi e la Chiesa.
Ella fu veduta, durante la peste del 1474, che successe alla fame,
recar continuamente cousolazioni ed elemosine negli spedali.
El'a scongiurò i ministri dell'altare aa levarsi visibilmente dal sonno
della nugligenza, a crescere io fame dell'unore di Dio ee della salute
delle anime, e ad attendere alla riformazione della Chiesa, cui di
ceva venuta in molta wenebra e ruina , e non sulo perseguitata da
cristiani, ma anche da membri putridi.
Ella si rivolse a' principi seculari, esortandoli a considerare che
poco o nulla è siguoreggiare tutto il mondo), quando abbiasi perduta
la sigooria di sè medesimi e data balia alle passioni proprie ; avver
tenduli ancora che non si deve pugire per piacimento di creature
nè per odio, ma per giustizia, e che i grandi operatori di miseria e
d'iniquità devono convinciare dal punire sè stessi.
Ella esuriò i cittadini a smettere le inimicizie e gli odi , a saper
>

portare e sopportare i difetti altrui, ed a non far cume gli stolti e


malli , che col percuotere altrui percuotono sè . « Egli è il primo
mortol esclama. Perocchè colui che sta nell'odio mortale, volendo
uccidere il suo nemico, egli s'ha dato prima per lo petto a sè, pe
rocchè la punta dell'odio gli è fitta per lo cuore » .
Ella patrocinò sempre a causa dei bisognosi e dei derelitti, rim
brottando amaramente coloro che non servono se non quando e in:
quanto ne traggono utilità ; proclamò la forza invincibile della ve
rità, da cui sarebbe venuta la liberazione comune (1 ) ; s'adirò san
tamente contro il timore servile, che è effetto soltanto d'egoismo ed
è l'egoismo degli individui quello che cagiona il malessere e la ruina
della libertà di tutti ; eccitò i gementi ed i tribolati a sperare, a non
perdersi mai d'animo, perchè Dio non dispregia le lagrime , i su
dori e i sospiri gettati nel suo cospetto (2); e colla parola , cogli

perocchè non tocca a lui : e'l giudice è quello che l'ha a fare . E se dices .
simo : « Il giudice nol fa ; è beo fáttu che il faccia io ? " ; no. Chè ogni volta
ne sarei ripresu : Dė più pè meno ti caderà la sentenza addosso ( se iu ucci
derai ) d'essere murio lu Non iseuserà la legge la tu- buona intenzione , che
hai fatto per levare il malfattore di terra » . Quest'argomento del servo e del
giudice, dice il Tommaséu , vale eziandio contro la pena di morte.
( 1 ) Nelle Letture : “ La verità è quella cosa che ci libere à ».
(2 ) - L'anima del dolore gi de eu esulia, perocchè tra le spine sento l'odore
della rosa che è per apriren,
SANTA CATERINA DA SIENA 193

esempi, coi fatti e cogli ammirabili suoi scritti intese sempre a


istruire, a giovare (1).
Ella, in una parola, fu una gran donna, una gran cittadina, una
gran santa, una gran letterata , una gran maestra di governanti e
di governati .
( 1) - Caterina nella breve giornata della sua vita intese di culto potere a
giovare di opere, di esempi e di consigli la Chiesa . Chiamare a coscienza i
malvagi : riformare il costume: porre nella buona via il reggimento di Siena
e d'altre terre d'Italia : vincere le ire fraterne, interponendosi paciera dovun
que bollissero più ardenti : pericolare assai spesso la vita pel pontefice: prov
vedere alla crociata ; impedire che lo scisma non nascesse , furono i frutti
dell'accesissima carità della vergine sanese n. CAPECELATRO .
-

Mori nel 1380. Molti pittori fecero soggetto de’loro quadri la vita di
questa santa. Non sappiamo citarli tutti , nè qui sarebbe il luogo . Nell'altar
inaggiore della chiesa di Santa Caterina in Venezia , ammirabile è la tavola
5

esprimente le mistiche sposalizle della santa con G. C.: è opera di Paolo Ve


ronese. « Vero è il paradiso qui dischiuso in esclama il Paoletti, che descrive
il quadro. “ La leggerezza delle tinte, tutte soavi , eppure contrastate ; e l'ar
monia di quel coro, che discende dolcemente all'animo, è una ispirazione;
e , senza sentire una festa interna , la mano non potea palesarsi a si leggia
dri effetti ». Altre dipinture sulla vita della santa , eseguite da Palma il gio
vane e da Jacopo Tintoretto, si conservano nella stessa chiesa.

Autori consultati : Adami , Anonimo ( Vite dei santi Padri, edite dal
Manni), Bascapè, Bollandisti, Bussi, Butler, Capecelatro, Cavaccio, D'Azeglio
Roberto , De Boni , Delle Colombe , Dell'Uva, Ercolani, Giordani Gaetano , Mu
ratori, Noël , Orsato, Razzi, Ridolfi Pietro , Rosaspina, Sacchi Giuseppe , santa
Caterina , sant'Ambrogio , san Girolamo , sant' Isidoro di Siviglia, Tommaséo
Zannoni, Zanotto, Ville Weber, Zuccagni-Orlandini, ecc,

BERLAN . Le fanciulle celebri. 13


MARCHESELLA DEGLI ADELARDI.
( Nata nel 1178 ; morta verso il 1190 ) .

DIALOGO ,

AUSONIO , TERESA e Lucia , sue figliuole.

Ausonio . Adagio , adagio , figliuole mie ; non istà bene che trattiate
con tanta severità gli uomini e le cose del passato. Esaminate , o ter
ribili giudichesse , prima di condannare.
Lucia . È il signor maestro che c'insegnò, o papà, ad essere senza
misericordia coi Guelfi e coi Ghibellini.
Ausonio. E il signor maestro ha fatto benissimo a dipingerveli con
tetri colori , perchè infatti quelle fazioni non riuscirono ad altro che
a mistificare per assai tempo l'umanità e trassero a mali passi questa
povera Italia .
Teresa . Dunque convieni anche tu , o papà , nel nostro giudizio ,
ch'erano ben dissennati o cattivi quegli uomini, nel fare per tanto
tempo così gran male ?
Ausonio . Qui appunto vi volevo , o figliuole ; aspettavo appunto
che accennaste ai funestissimi effetti di quelle divisioni , per soggiun
gere alla mia volta che il male, che noi vediamo essere provenuto da
quei partiti, si mostrò in quelle età sotto ben altro aspetto , e preci
samente in sembianza di bene e di gran bene. Vi dirò di più che
non tutto il male viene per nuocere , e che nella vita dei popoli vi
hanno de' mali che sono come gli uragani, le procelle e le nevate
nell'ordine fisico, le quali finiscono coll'essere utili. Ma perchè , o
Lucia , di sottecchi guardi la sorella , come per ispiare nella sua fi
sionomia s'ella , come te , dubiti delle mie parole ? Stammi attenta ,
e verrai anche tu nella mia opinione.
Teresa . Oh ! si, spiegaci ,> papà , interamente il tuo pensiero: tutto
non si può imparare alla scuola , nè tutto può essere insegnato
e sviluppato dal signor maestro , ch'è costretto ad accomodare le
sue lezioni a tante scolare, le une diverse dalle altre per intelli
genza e profitto. Vedi , sorella,> da quel poco che ha già detto, papà
MARCHESELLA DEGLI ADELARDI 195
e'mi pare di cominciar anch'io a capire che , appunto perchè er
rarono tanti uomini e per tanto tempo , vi doveva essere una grande
illusione ne' loro intelletti, e che il male di quelle divisioni non fu
un male assoluto , ma relativo. Dice bene papà che esso fu come
il vento e l'uragano , i quali danno molestia momentanea , ma la
sciano purificata l'aria e distruggono tanti miasmi e tanti insetti
nocivi .
Ausonio . Teresa comincia ad aver ragione , perchè usa del suo
buon senso ; e tu , Lucia , come puoi ostinarti a supporre che uomini
di gran sapere , gente di toga e di spada , artisti valentissimi non
in una sola ma in più arti diverse , e letterati di gran conto fossero
così goffi da ostinarsi nell'errore, e in errore cosi funesto, se come
tale si fosse subito manifestato ad essi ? E' fecero una prova, che pel
bene dell'umanità doveva essere fatta; si doveva passare per essa,
prima di giungere all'esperienza presente. Non malediciamo l'in
verno, ch'è benefico ne'suoi stessi rigori e che è il necessario pre
cursore della primavera.
Lucia. Giacchè Teresa è più avanti di me in questa materia , mi
spieghi ella un po'qual sia stata l'illusione potentissima che s'im
padroni di quelle generazioni e valse a tenerle divise e nemiche.
Vorrei io vedere le poma le frutta di quell'inverno.
Ausonio. Teresa non s'incomodi a mondarti quelle poma e quelle
pere ; ti dirò io qualche cosa , e spero che crederai a me più che
a Teresa.
Lucia . Quanto a te , o papà , io ti credo sulla parola >, nè ti chieggo
dimostrazioni. Anzi ricordati che ci hai promesso un raccontino. Chi
era quella ingenua giovinetta, nomata Marchesella degli Adelardi, la
cui imagine è in uno dei quadri della nostra sala ? Te ne ho do
mandato pure un'altra volta , e tu m'hai delto che a suo tempo
avresti soddisfatto al mio desiderio .
Ausonio. E il tempo è venuto , e il tempo è questo : poche parole
ancora di preambolo, e poi ti farò paga . Bisogna montar le scale per
giungere agli appartamenti. Non vorresti certamente ricevere una
gran signora , come è la Marchesella degli Adelardi,> al piano ter
reno o nel bugigattolo del portinajo . Capisco che, in luogo di
queste idee preliminari , ameresti piuttosto ch'io saltassi a piè pari
entro il racconto , ma un po'di pazienza , cara figliuola , e sarà me.
glio. Io vi faccio a tutte due come il lampionajo del teatro , prima
che cominci la rappresentazione: v'illumino l'entrata , le scale, i cor
ridoi, la sala e il palco scenico , la quale illuminazione aggiungerà
molto all'effetto ed all'illusione. Che cosa godresle al bujo ?
Lucia. Si, bene , papà , ma fa presto , ti prego , a fare l'illumi
196 MARCHESELLA DEGLI ADELARDI

nazione ; ti sono tenuta de’lumi , ma non illuminare più del bisogno , >

perchè....
Ausonio . Perchè la troppa luce ti farebbe male alla vista ? perchè
quei tuoi occhietti ne soffrirebbero ? Ma farò l'illuminazione che
più mi piacerà , e ,> se sei tanto debole di vista , Teresa andrà a pren
derti i miei occhiali verdi.
Lucia. Papà , buon papà , papà mio , vieni alla Marchesella il più
presto possibile. Gli esordi troppo lunghi non mi dispongono all'at
tenzione .
Ausonio. Se non garbano a te , non dispiacciono forse a Teresa
( o lettore) . Perchè gli esordi sono lunghi , non crediate che vi sia sem
pre sproporzione tra essi e il resto del componimento. Hai tu veduto
le famose Cene del Caliari e di altri famosi pittori ? hai fatto atten
zione ai paggi ed ai nani che servono a quelle mense ? Ebbene, quei
paggi dalle teste grosse e colla personcina piccola sono gli esordi
e i preliminari che ministrano al convito della storia.
Teresa . Cara Lucia , lascia fare a papà : s'egli vuole darci un'il
luminazione a giorno e i paggi colla esta grossa , noi dobbiamo ac
contentarcene , perchè solo a questa condizione egli poi ci divertirà
co' suoi racconti.
Ausonio. I raccontil i racconti ! Ma che cosa sono essi , e che cosa
>

sarebbero i fatti e i personaggi passati e presenti , se non ci offris


sero materia d'istruire e d'istruirci ? Se non atti a ciò , sarebbero
curiosità inutili. Tutte le cose si apprezzano pel vantaggio che si può
cavare da esse : altrimenti la nostra sarebbe idolatria vana. Piuttosto
favole , piuttosto romanzi che verità insipide o storie aride, dalle
>

quali non si possa cavare un'istruzione, una morale. E perciò starei


quasi quasi per assolvere coloro che tirano fuori dai cimiteri delle
cronache certe magre figure e , per renderle accette alle moltitudi
ni, le regalano di facce posticcie e le vestono a capriccio. Perocchè
prima a nulla , e adesso sono diventate buone qualche cosa. Ma ,
tornando al nostro argomento , vera , come dicevo , una ragione che
scusava quelle divisioni, que' partiti , massime ne'loro primordi. I
nostri antichi potrebbero ripetere quel celebre detto di Catone : « Dif
ficile cosa è far capire agli uomini, che saranno in altro secolo, cio
che giustifica la nostra vita » , Má se è cosa difficile e soggetta alle
altrui contradizioni , non la è però impossibile. Ricostruire l'impero
romano nella sua grandezza e gloria antiche non vi pare che fosse
un bel disegno ? Ed a questo tendevano quelli che più tardi si chia
marono Ghibellini, i quali parteggiavano per l'imperatore. Per altra
parte, opporsi allo straniero dominatore , e in mezzo alle ingiustizie
ed alle oppressioni degli imperatori e de'loro aderenti far tonare la
MARCHESELLA DEGLI ADELARDI 197
voce della giustizia , ed a coloro, che non credevano di avere eguali
in terra, additare un supremo dominatore dei dominatori, un giu
dice inesorabile e incorruttibile dei grandi e dei piccoli , e ricordare
che a questa breve vita tien dietro un'eternità di gaudî o di pene ;
anche questa non vi pare che fosse una grande e una santa missione ?
Ed a questo mirava nei suoi principi l'istituzione del papato , e dal
secolo duodecimo in poi si chiamarono Guelfi coloro che la sostene.
vano (1). Or che colpa ebbero i popoli se l'uno e l'altro principio
controperarono o vennero meno alle loro promesse e deviarono da
tanto scopo ? In quelle illusioni irretirono , come v'ho detto , uomini
sommi ; lo stesso Alighieri prima sperò nel papato , poi , da quello ,
si rivolse all'impero e fu ghibellino. Ma l'Alighieri, e guelfo e ghi
bellino, attese sempre al bene dell'umanità e della sua travagliata
patria , l'Italia.
Teresa . Era stato bene scaltro l'imperatore ed aveva saputo va
lersi d'un buon mezzo per giungere a capo de' suoi ambiziosi di
segni e per farsi tollerare dagli Italiani. Egli a sè creava una specie
di legittimità nel servirsi del nom romano e nel proclamarsi erede
e continuatore delle gloriose tradizioni di quelle.
Ausonio. Scaltro fino a un dato segno. Egli dovea capire che ,
professando e facendo professare la religione medesima di cui era
supremo rappresentante il suo fiero antagonista , da cui doveva per
>

ciò necessariamente dipendere , era costretto a lasciargli un grande


vantaggio. L'emulo suo parlava non solamente in nome dell'uma
nità e della patria, ma anche di Dio. Vedete adunque che immenso
vantaggio aveva il papato sopra l'impero ! E quando gl' imperatori
tentarono di togliere e di scemare al loro avversario così potente mezzo
di superiorità , abbracciando e sostenendo l' eresia >, furono male av
visati , perchè in luogo di accrescere il proprio partito e di levar
( 1) Weber, Compendio di storia universale . « Allorchè l'imperatore Lotario,
nel suo ritorno d'Italia (anno 1137), morì in un tugurio delle Alpi nei din
torni di Trento , il suo genero Enrico il Superbo stimò di poter vantare più
che ogni altro diritti al trono imperiale . Ma si per la gran possanza della casa
Welf, cui obbedivano la Baviera e la Sassonia , e i cui possessi si estende
vano dal Mediterraneo al Ballico , e si per l'alterigia del duca , s' indussero
parecchi principi ad eleggere ad una dieta in Coblenza, Corrado della casa
d'Hohenstaufen. Enrico indugiò a riconoscerlo e ricusò il chiesto omaggio .
Perciò Corrado lo mise al bando dell'impero e lo dichiarò decaduto da am
bedue i suoi ducati . Questi fatti rinnovarono la lotta fra gli Hohenstaufen e
i Welf, e diedero origine ad una rovinosa guerra civile. All'assedio del ca
stello di Weinsberg , che apparteneva a questi ultimi , si udi per la prima
9

volta il grido di « Welf ! Waibling! » che diede origine alle due setle dei
Welfen ( in Italia Guelfi) e dei Waiblinger (Ghibellini). Il castello doveite ar
rendersi all'imperatore, ma il presidio fu salvo per astuzia e fedellà delle
donne ſanno 141 ?) . 19 -- Waibling era il luogo dove corrado aveva avuto i natali .
198 MARCHESELLA DEGLI ADELARDI
potere al papato , essi stessi perdettero partigiani e diminuirono d'in
fluenza. Non fecero che spaventare le timide coscienze , cioè i più ,
che allora credevano fermamente.
Teresa . Sta tutto bene , o papà ; ma , quando le moltitudini s'ac
corsero che non v'era più antagonismo fra i due partiti , quando vi
dero che il campione dell'umanità era divenuto signor temporale (1)
ed alleavası talvolta coll'antico suo emulo per mantenere soggetta al
proprio dominio questa o quella città che lo aveva invocato custode
o protettore delle libertà proprie , perchè continuare esse a mante
nersi divise ? I Guelfi dovevano ben vedere che allora non ispal
leggiavano più la causa della giustizia , ed i Ghibellini accorgersi
che la ristaurazione dell'impero romano era un'utopia , un inganno.
Perchè ci vollero tanti secoli prima che quei nomi di Guelfi e di
Ghibellini sparissero ?
Ausonio . Perchè ....
Lucia. Papà , per conto mio la illuminazione è più che sufficiente:
veniamo al dramma , manda fuori i tuoi personaggi.... La Marche
selli aspetta ....
Ausonio. Che aspetti un altro poco. Bisogna pur fare i preparativi
per accoglier bene una signora della sua qualità. Dunque, cara Te
resa , ci volle tanto tempo , perchè le moltitudini sono lente a disil
ludersi , e perchè non s'accorsero che tardi, che s'erano raddoppiate
le loro catene , e perchè intorno all'impero ed al papato , divenuto po
tenza anche temporale, s'erano formati ed aggruppati molti interessi,
nati dalle divisioni, ed aventi bisogno delle divisioni per sussistere. Ed
a conservare ed a mantenere più lungamente in vita quei partiti e le
illusioni delle maggioranze valsero non poco i dissidi che di quando in
quando nascevano tra gli antichi due emuli, che, incontrandosi sul ter
reno degli interessi materiali , s'urtavano e collidevano ; onde allora,
per avere vittoria l'uno dell'altro , il papato tornava in nome del cielo
a predicare la libertà de' popoli , e l'altro a risuscitare gli antichi diritti
e prestigi dell'impero. Ballottata a questo modo, ne andò di mezzo l'u
manità ; ma i furbi ed i prepotenti , senza fede a nessuno dei due partiti
e in nessuno dei due principi , non attesero che a trarre profitto per
sè medesimi dalle lotte , dalle paci e dalle alleanze di quelli. Ora pos
siamo ordinare al macchinista di alzare la tela , perchè l'illumina
zione è compiuta .

( 1 ) Ai papi Costantino I , eletto nel 708 , e Gregorio, nel 715, una sola corona
attorniava la berretta d'argento ; Bonifacio VIII, nel 1300, ne volle due a di
mostrare anche la sua potestà temporale ; Benedetto XII, nel 1334, tre , per sia
gnificare la sua autorità sulle Chiese militante, sofferente e trionfante. Questa ,
in breve , è la storia del triregno.
MARCHESELLA DEGLI ADELARDI 199
Lucia . Bravo , papà, finalmente ....
Teresa . Ma un po'di sinfonia ....
Lucia. Adesso anche la sinfonia !...
Ausonio. Non bisogna far torto a'buoni usi : Teresa ha ragione ;
una la musica sarà breve. Per sinfonia abbiatevi queste due ottave :
Era nel tempo che l'Etruria bella
Aveva in verità troppi padroni ;
E tutto il giorno in questa parte e in quella
V'eran da disputar giurisdizioni:
Allor tutte le terre e le castella
Armavan baloardi e torrioni :
E ogni porta sconnessa e rovinata
Scriveva Libertà sulla facciata.
E da Pisa a Firenze erano allora
Più piazze che non son nell' Ungheria ,
Armate tutte di dentro e di fuora ,
Che facean magistrato e signoria :
Onde in quel tempo in manco di mezz'ora
Ogni bandito fuor di Stato uscia :
Si vedeva il confin dalla finestra ,
E passar si potea colla balestra (1 ).
Lucia. Siamo dunque in una città della Toscana , e l'azione ha
luogo nell'anno....
Ausonio. No veramente , non siamo in Toscana , ma ciò che il
poeta dice di quella regione può applicarsi a tutte le altre d'Italia :
perocchè dappertutto v'erano repubblichette in sessantaquattresimo.
Quanto all'epoca , corre il periodo dall'anno 1178 al 1190 circa.
È una rappresentazione scenica alla moderna : non c'è unità di
tempo.
Lucia. S'alza la tela; è vietato al pubblico di parlare,
Ausonio. Spero che non vorrai imporre silenzio al suggeritore, che
sono io, senza del quale i personaggi rimarrebbero muti e non fa
rebbero che una pantomima. Attente dunque,, o ragazze.
Teresa. Ma , papà , questo brano di storia avrà esso la forma pro
pria del racconto o quella del dramma ? Bisogna decidersi o per
l'una o per l'altra.
Ausonio. Per me è indifferente ; come volete voi.
Teresa. È più semplice e men lunga la forma del racconto.

( 1 ) Ippolito Neri, La presa di Samminiato , c . I , str. 5 e 6.


200 MARCHESELLA DEGLI ADELARDI

Lucia . Fa più effetto e diverte più la forma drammatica.


Ausonio. È un bell' impiccio se debbo accontentarvi tutte e due !
Non prometto di soddisfarvi nè l'una nè l'altra ; verrà quel che
verrà. E state attente. Siamo nella ricca camera d'un potente si
gnore : vaghi arazzi ne adornano le mura ; il baldacchino del letto
è di velluto azzurro , su cui sono ricamate qua e là delle corone
marchionali (1) ; corone consimili si veggono pure trapunte sulle por
tiere e sulle tende. Quali dorati e quali intarsiati di lapislazzuli, di
onici e di diaspri sono i mobili, cioè un armadio , un tavolo e un
inginocchiatojo ; quattro ampie seggiole a bracciuoli, imbottite e co
perte di cuojo scuro , sono disposte una per lato della camera. So
pra un tappeto damascato giaciono un elmo , una corazza , una lo
rica, uno scudo ed una spada di forbito metallo. Uno scudo colle
insegne degli Adelardi è appeso ad una delle pareti, e sotto sta pen .
dente una mazza di ferro massiccio terminante in una gran palla a
punte . Una croce potenziata d'argento , smaltata nelle estremità de ':
bracci, e reliquiarî cesellati e tempestati di gemme, e candelabri di
purissimo oro sorgono sopra il tavolo ; e, frammezzo ad essi, un af
filato pugnale con impugnatura d'oro tutta a rilievo . Conoscete voi
i personaggi che sono in questa camera ? E prima di tutto sapete
chi sia quello che, smunto e pallido, sta coricato ? Dal sacerdote che gli
è vicino e legge con voce sommessa la preghiera della chiesa , do
vete arguire che quell'uomo ha ancora poco di vita. E' si chiama
Guglielino degli Adelardi , vecchio venerando , guelfo, signore assai
potente e guerriero intrepido e valoroso. In battaglia e’si acquistò
grande rinomanza , fu alla difesa di Ferrara , in Palestina, ed all' as
sedio di Ancona fatto da Federico Barbarossa. Il più vicino al letto
di lui è suo fratello Adelardo che soltanto di qualche anno gli è mi
nore d'età. Questi colle braccia solleva fino al giacente una fanciullina ,
la Marchesella , sua propria figliuola , che ha appena cinque anni,
bella di fini e delicati lineamenti. I suoi capelli d'oro si confondono
colla prolissa barba bianca di Guglielmo , che , ergendosi un poco sul
fianco e ponendo le mani scarne sopra il capo di lei , la benedice.
Vedete : ella , ingenua , colla bionda testolina si volge al padre ; e par
quasi maravigliata interrogarlo perchè tanta mestizia sia intorno a
lei. Essendo ella sul primo fior della vita, non può darsi ragione che
pur si muoja, e che si possa morir senza guaire e con aspetto così
sereno com'è quello dello amato zio. Ella non sa che i frutti, pas
sata la maturità , da sè cadono fradici dall'albero della vita; e crede
( 1 ) La corona marchionale è fatta d'un cerchio d'oro , rialzato di quattro
fioroni, e, nel mezzo di essi, di tre punte dello stesso metallo, in tutto dodici ,
sormontate da altrettante perle.
MARCHESELLA DEGLI ADELARDI 201
che sia necessario che il vento e l'uragano con istrepito gli strappi
via dai rami. Par quasi impossibile all'infanzia che si debba propria
mente finire e che quei medesimi che ora sono vecchi siano stati
fanciulli vispi com'essa. Ma Dio, che creò i generi e le specie diverse ,
non creò le età ; e viene il tempo , e non tarda molto , in cui anche
l'infanzia ciò impara. Ella tormenterà , strazierà un insetto , un uc
cellino ; ma , posciachè lo vegga morto , se ne mostrerà stupita non
meno che desolata. Le altre persone presenti sono Giocolo de' Gio
coli e Salinguerra Torello , uomini ambedue attempati e di grande
considerazione in Ferrara. Il primo ha in moglie la sorella di Gu
glielmo : il secondo >, sebbene di partito contrario , da qualche tempo
gli si è fatto amico. In viso ad ambedue si scorge un'ansiosa aspet
tazione. È l'impaziente desiderio di udire le ultime volontà del mo
rente. Sono parentil sono amici ! Si attristano , piucchè altro , perchè
>

le convenienze sociali lo esigono ; e , più che sperare per lui , spe


rano per sè stessi !
Lucia . Papà , la prima scena del tuo dramma è molto tetra ; tu
cominci da dove gli altri finiscono.
Ausonio . Io comincio la vita di molti , la cui importanza data dal
tramontare di altre esistenze. Ma Guglielmo vuol parlare ; ed ecco
che più s'avvicinano e si stringono intorno al suo letto le persone
che ho nominate. Cessano le preghiere del pio sacerdote ; e un re
ligioso silenzio si fa nella camera , perchè sacre sono le parole di
chi è prossimo a rendere lo spirito a Dio. Sopravvenuta nell'uomo
che muore la certezza del proprio fine, le passioni umane lo ab
bandonano , ed ei non ha più le traveggole , e dentro alle porte del
l'eternità, che gli si spalancano dinanzi, comincia a scorgere la ve
rità vera che gli si fa incontro. -0 fanciulla, dice Guglielmo con ferma
-

voce, non dimenticarti i consigli della saviezza che io con amorosa


cura ti ho dati , e che da tuo padre e da questi savi uomini con
tinuerai a ricevere. Tu , giovanissima, ci vedrai discendere ad uno
ad uno nel sepolcro , e un giorno rimarrai sola , sola affatto e de
serta , se le virtù non avranno in - te messo profonda radice. Finchè
è tenera la pianta ha bisogno delle cure incessanti del cultore; poi
da sè debbe saper lottare contro le intemperie ed i venti. Adelardo,
io pongo in tue mani tutte le mie ricchezze, perchè tu le amministri
in vantaggio di questa fanciulla. Prima di chiudere anche tu alla
tua volta gli occhi al sonno eterno, tư la disposerai a Jacopo To
rello , figliuolo di Salinguerra qui presente. Una potente casa di
Guelfi, com'è la mia , debbe imparentarsi ad una pur cospicua , ma
di Ghibellini , qual' è quella di Jacopo ; perchè voglio , per quanto
sta in me , che cessino finalmente codesti partiti , che non hanno più
202 MARCHESELLA DEGLI ADELARDI
ragione di essere , non servendo ora che di scandalo e di ruina ai
popoli. Questa innocente fanciulla sia l'angelo di riconciliazione; ed
ella è un angelo che ha le penne d'oro. Con tale maritaggio, se a
Dio piaccia , si legheranno con vincoli indissolubili d'amicizia e di
parentela i due avversi partiti , ed a questa città travagliata si ri
donerà finalmente la pace. Io provvedo a voi, o voi provvederete
all'anima mia , o Adelardo e Marchesella. In queste guerre civili ,
nelle quali io stesso fui travolto , non sempre la mano fu pura come
voleva il cuore ; anch'io avrò commesso e crudeltà e ingiustizie
quasi senza accorgermi, accecato dallo spirito di parte. Io ne chieggo
perdono a Dio ; ma voi unite alle mie le vostre preghiere , e consa
crate parte dei tesori ch'io lascio in opere pie a suffragio della mia
anima. Voglio che approvigioniate di convenienti rendite e di quanto
possa aver bisogno la chiesa di Ognissanti, che ho fatta rifabbricare
e dove desidero essere sepolto. Le mie stanche ossa godranno final
mente riposo in que' sacri silenzi , non rotti che dalle devote sal.
modie. Che se la nipote dal matrimonio con Jacopo non avesse fi
gliuolanza , è mia volontà che si divida l'eredità in due parti , l'una
per i figliuoli di mia sorella, cioè di tua moglie , o Giocolo ; e l'altra
per l'ospitale di san Giovanni Gerosolimitano, da me fondato in
questa città. Io penso , vedete, non solo all'anima mia , ma a' miei
parenti ancora ed ai poveri. Nel fare il bene non sono un egoista;
perchè è egoismo il non pensare che a sè stessi e dire come fanno
taluni : Tutto per l'anima mia ; tutto per me , tutto alle chiese , nulla
ai parenti ed a' poverelli. Non deggio dimenticarmi che molto debbo
al mondo che abbandono: esso ci dà molti dolori , ma spesso siamo
noi che li cerchiamo. Vogliamo le dignità ,> e poi non ne vorremmo
i pesi e gl'incomodi che ne sono la conseguenza ? Vogliamo le corone,
e ben massiccie , d'oro e cariche di gemme , e poi ci lagnererno
>

se ci pesano sulla testa ? E te prego istantemente , o Salinguerra ,


>

che insieme ad Adelardo abbi cura della educazione di questa fan


ciulla che ti debb' essere nuora : la felicità di lei deve starti a cuore
come quella di tuo figlio : le sarai dunque secondo padre. E , prima
ancora che il maritaggio abbia luogo, avverrà questo di bene , che
le relazioni d'amicizia , di stima e di protezione di una famiglia ghi
bellina verso un'altra guelfa comincieranno a disporre le due fazioni
alla intera riconciliazione bramata. Tu dirai : « Lo ha voluto un mo
rente che amava di caldo affetto il proprio paese , e che dichiarò di
compiere un gran dovere , sforzandosi di mettere concordia e pace
fra noi » . Più vicino a Dio che a voi , in questo supremo momento
io vi dichiaro che niun partigiano va in paradiso , il quale , essendo
MARCHESELLA DEGLI ADELARDI 203
unità divina , non accetta che uniti e amatori di unità ( 1). E chi
muore non mente.
Lucia. Papà >, e dov'è il medico ? Che dice del malato ? Muore o
non muore ? Fammelo guarire , o diciamogli un De profundis; per
chè , in verità , questa scena è un po' trista e deve finire. Quando
>

vado a teatro mi piace divertirmi; e quegli eterni piangistei , e quelle


>

querule parlate e quei sermoni dei drammi e delle tragedie mi met


tono addosso un' indescrivibile tristezza e mi inducono al pianto.
Non ci sono nella vita reale abbastanza disgrazie, che abbiamo an
che da affliggerci delle immaginarie ? Non bastano il presente e il
futuro che ci tengono in pena ed in sospetto, che abbiamo anche a
rammaricarci del passato e di un passato che non ci riguarda ?
Ausonio. Il passato non ci riguarda ? ma che dici mai , se anzi
è la nostra istruzione ? Bada all'istruzione più che al diletto : quella
è lo scopo, questo non può essere che un mezzo ; perocchè buon
mezzo non è solo il riso, ma anche il pianto.
Lucia . Si , si, sarà vero ; ma io prescelgo il riso : i delitti non si
fanno ridendo.
Ausonio. Ma nel pianto si veggono gli effetti di quei delitti ! An
che il rimorso è pianto dell'anima ; e pianto è pure la tenera com
passione che prorompe alle altrui disgrazie , vere o immaginarie ,
presenti o passate. Ridendo, qual sentimento gentile si rivela in te ?
Perchè tu godi , ridi : ma il pianto mostra meglio la bellezza del
l'anima ed è più educativo.
Lucia . Allora andiamo ad assistere anche ai funerali di Guglielmo,
se ti decidi a darcelo morto ; e piangiamo, piangiamo, come le pré
fiche.
Teresa. O come i parenti e gli eredi , che hanno il pianto del
coccodrillo. Ma si dee piangere propriamente, o papà ?
Ausonio . Nossignore : cala il sipario e vi risparmio la scena di
una seconda morte , di quella di Adelardo. Passati pure i giorni di
questo altro lutto , voi siete chiamate a vedere la feroce lotta di
quelle passioni, che parevano chetate nella mestizia. Così è la com
media umana, che ne' suoi effetti si cambia poi in tragedia. Adelardo
mori tre anni dopo Guglielmo , cioè nel 1186 ; ed ecco la Marche
sella, fanciulla in età di otto anni non ancora compiuti, che si trova
tra mostri aventi l'ipocrita maschera delle umane sembianze.
Teresa . Questa povera orfanella, senza padre, senza madre, senza
nessuno che la difenda, mi fa tornare alla memoria i melanconici

( 1 ) Cosi anche Giovanni Dominici in una prosa che tratta dell'educazione


civile .
204 MARCHESELLA DEGLI ADELARDI
versi di Emilio Frullani che appunto dall'Orfana s'intitolano. Quel
l'ottava....
Lucia. E adesso capitano fuori nuovamente dei versi per indugiare
più a lungo il termine del racconto ! Siamo ancora al primo atto, e
la mia curiosità cresce a dismisura....
Ausonio. È appunto dopo il primo atto , anzi dopo ogni atto , che
ci vuole un po' di musica. Di’ su, Teresa, alcune di quelle ottave.
Teresa . Eccone due che fanno al caso :

Misera pargoletta, ancor non sai


L'amarezza che il tuo viver governa !
Ancor tu ignori che quaggiù non hai ,
Che ti difenda , la pietà materna;
E sol quel caro nome imparerai
Sovra la pietra della pace eterna ;
E solo avranno i tuoi baci d'amore
Una povera croce e un mesto fiore.

Orfanella infelice ! Oh di natura


Ti fu rapito il più sublime affetto !
L'angel non hai che suscita la pura
Favilla dell'amore all'intelletto ;
Che l'anima rattempra e rassecura
Nei tumulti del duolo e del diletto ;
Che per lei soffre e prega, onde in un pio
Pensier poi torni dalla terra a Dio (1 ).

( 1 ) E queste altre per conto nostro :


Tra giovinette amiche , a cai nel volto
Ride serenità di paradiso,
lo col pensier ti veggo e dir l'ascolto ,
Umida gli occhi, con pallido viso :
ohi non a voi, dolci compagne , è tolto
Sentir la gioja del materno riso ;
Condur la giovinezza è a voi concesso
Nella soavità d'un santo amplesso .
Avventurose ! Il cielo a me rapia
Queste dolcezze onde la vita è cara .
Nata appena, perdei la madre mia
E vicino alla culla ebbi la bara ;
Non mi guardò nell'ultima agonia,
Ch'ella passava del suo fato ignara :
Ma, destatasi in cielo angelo santo,
Credeami seco, e non rattenne il pianto.
MARCHESELLA DEGLI ADELARDI 205
Lucia . Pensandoci un po' su , e ' mi pare che tu non ci abbi detto
se Marchesella era il nome proprio della nipote di Guglielmo e fi
gliuola di Adelardo, o se era un suo titolo.
Ausonio . Finalmente , piccolo folletto , hai fatto una buona osser
vazione : e dicesti bene: a pensandoci un po' su ») , il che dovresti
fare un po 'più di spesso. Ecco , o Lucia , quel che mi dicono le
storie . Finchè gli attori si preparano fra le quinte , noi possiamo
-spendere qualche parola su questo argomento. Affermano adunque
alcuni storici che Guglielmo, dopo avere prestato insieme col fratell
Adelardo soccorso agli Anconitani (a. 1174) e pugnato valorosamente
contro l'armata dell'imperatore Federico, sia stato, per ricompensa
di ciò, creato marchese dall'imperatore greco d'Oriente Emmanuele
Comneno , che aveva fatto ogni sforzo perchè fosse difesa quella
>

città eroica. Della qual cosa, soggiungono i medesimi storici, essere


un grande indizio il nome, che si dava a Guglielmo, di Marchesello,
quasi che egli non avesse o non potesse esercitare in quel d'Ancona
tutta l'autorità di marchese . Per tal modo la fanciulla avrebbe ere
ditato non solo i beni del padre e quelli dello zio , facoltà grandis
sima , che eccedeva la fortuna di qualsivoglia famiglia privata , ma
eziandio il diritto al marchesato d'Ancona ; ma intorno a quest' ul
timo punto io faccio le mie riserve, ed accetto l'eredità dei vecchi
storici col beneficio dell'inventario .
Teresa . Mi figuro che Salinguerra Torello , tutto contento dell'ot
timo partito di ammogliare il proprio figliuolo alla Marchesella , lo
vedremo attendere all'educazione di questa e cercare ogni via per
conciliare i due partiti guelfo e ghibellino. Che bel matrimonio do
velte essere quello e come benedetto da' buoni , se veniva a metter
pace tra le città italiane !
Ausonio. I partiti sono testardi, incorreggibili : non si domano che
colla forza ; non v'ha ragione, non v'ha convenienza che li persuada.
Dio scampi ogni galantuomo dall'appartenere a qualcuno di essi .
Quando vi tirano dentro , voi dovete vendere l'anima e il corpo ;
dovete servire agli interessi della fazione, o subirne le ire tremende.
E perchè i partiti posseggono molti mezzi, hanno braccia lunghe e
vi raggiungono anche lontani, se , onesti o ravveduti , disertate da
Oh ! non sperar pietà sovra la terra ,
Povero fiore abbandonato ; in tanto
Deserto della vita, in tanta guerra ,
Non avrai le dolcezze del compianto .
Sol dietro al gaudio l'uom vaneggia ed erra,
E mal s'asside alla sventura accanto ;
Non ha conforti pei caduti in fondo
La simulata carità del mondo !
206 MARCHESELLA DEGLI ADELARDI
essi. E ciò che dico dei partiti si può applicare anche alle consor
terie , le quali , per maggior vergogna , non servono già a principi
>

buoni o cattivi, ma solamente a vili interessi. Le compone uno sciame


di nullità individualmente impotenti, ma per l'unione poderose: qua
lunque capo è buono a dirigerle , maschio o femmina, dotto o sapu
tello , purché abbia la bozza dell' intrigo , e purchè in bene od in
male abbia fatto parlare di sè. I pappataci, gli adulatori e i cicisbei
della fortuna appartengono naturalmente a questa schiera. La quale
dice: 0 con noi , o noi tutti contro di voi. Essi dispensano gl' im
pieghi e la fama a mezzo di giornali affigliati alla loro confraternita,
danno il gambetto a coloro che non vanno loro a versi, e affamano
o vituperano il merito indipendente. Di qua escono tronfie e pet
torute quelle notabilità improvvisate che occupano i più cospicui
seggi del paese ; di qua quegli arlecchini finti, principi della lette
ratura, delle scienze, delle arti e della politica, degni di brandire la
spatola e non lo scettro. Miserie umane , figliuole mie , miserie da
commedia, anzi da farsa !
Teresa. Fanne una, o papà, di tali commedie o farse ; e scolpisci
i caratteri, e sfregia in viso, come erano comandati di fare i soldati
di Cesare, coloro contro cui volgi le armi.
Ausonio. Ho ben altro da far io che drizzar il becco agli spar
vieri o le gambe ai cani ! ... Ma chi sa ?... Siamo al secondo atto del
nostro dramma.
Lucia . La protagonista sarà la Marchesella.
Ausonio. Protagonista l'innocenza , l'ingenuità ? ma credo bene
che tu scherzi ! Invece della Marchesella, buona, pura, ingenua ,ma
piccolissima di età, ma debole, sebbene provveduta d' immense ric
chezze, ci sarebbe voluta , per essere vera protagonista, la figliuola
di Uberto della Croce, che colla mano destra alzava di terra un vaso
pieno di tre staja di vino (1) , E perchè la forza materiale non basta,
ci avrebbe anzi voluto un altro carattere ben più vigoroso e più
maschio del suo, per saper usare a tempo e ne' modi opportuni, si
della forza materiale che de' partiti, che suggerisce un sottile ingegno.
Ella non era una contessa Matilde (2) , la povera Marchesella ! Ella
fu il segno delle ambizioni astute e delle rapaci cupidigie altrui ;

( 1) Giulini, Memorie spettanti alla storia , ecc., di Milano , libro XLVIII,


vol. VII, pag. 245. Gli annali citati dal Giulini dicono che questo Uberto, fatto
prigioniero, si liberò dalle mani de' Pavesi , mentre era ancora fanciullo , nel
l'anno 1236. Narrano pure altre prove di sua forza .
( 2) Donna d'alti spiriti, signora di vaslissimo dominio, nata nel 1046 da Bo
nifacio III duca Ferrara e da Beatrice di Lorena ; mori quasi ottaagenaria.
Fu costantemente guelfa ; Gregorio VII le dovette molto nella sua lotta contro
Enrico IV di Germania .
MARCHESELLA DEGLI ADELARDI 207
non fu che il punto di mira delle altrui passioni . Le quali se la con
tesero , e se la tirarono e di qua e di là, e finirono coll' impadro
nirsi di tutto il suo . E come ne potremo noi farne una protagonista ?
Lucia. Ecco a che maledette opere venivano que'' partiti....
Ausonio. Oh ! non è necessario essere partigiani per giungere a
tali scelleratezze. Noi vediamo gente, che pur si professa cristiana e
civile, non aver riguardo alcuno quando si tratta di spogliare i pu
pilli e le vedove. Ma tu hai giurato guerra a morte, me l'hai già
detto , ai Guelfi ed ai Ghibellini; e tutti i mali e pubblici e privati,
che travagliarono individui e popoli, gli attribuisci con molto piacere
a que' partiti. Io non ti negherò che agli individui ed al nostro
paese abbiano recato gravi danni , ma ti ripeto che quella era una
prova che doveva farsi per l'utilità delle generazioni avvenire. I
principi, dietro cui cammina l'umanità, fanno anch'essi i loro espe
rimenti : molti uomini ne risentono pregiudizio, ma ciò è necessario ;
bisogna che si veda il bene ed il male di cui i detti principi sono
capaci perchè siano accettati o respinti. Ma ecco Salinguerra Torello
che co' suoi cagnotti trae a forza la Marchesella dalla casa avita, e
prima ancora di darla sposa al figliuolo , adunghia le grandissime
sue ricchezze. Egli bada non a conciliare i due partiti ed a mettere
pace tra essi , ma ad aggiungere forza al proprio : al matrimonio
del figliuolo nulla ci pensa , anzi ne ride in cuor suo , beffandosi
della dabbenaggine del Guelfo che morendo lasciava ai Ghibellini
mezzi cosi potenti di rialzarsi. Costoro già dominano la città e con
ducono a mali passi cacciano le famiglie di fazione contraria. Per
essi l'infelice Marchesella non è che un ostaggio, anzi una nemica
che venne disarnata , e che a suo tempo si farà scomparire dal
mondo. Jacopo Torello ha vile l'animo come il padre ; e nulla fa a
difesa della sua fidanzata . Egli non ha le passioni generose e le
virtù ardenti de' giovani. L'odio e l'interesse gli agghiacciano il
cuore ; non è giovane, non è uomo, non ha davanti a sè una cara
fanciulla verso cui lo stringano dei doveri; è semplicemente ghibel
lino, e non vede nella Marchesella che uno strumento ed una vittima
delle passioni del suo partito.
Teresa. Ah costoro , questi due miserabili, la devono finir malet
Spergiuri, hanno avuto cuore di mentire dinanzi alla morte, ed ora
osano tradire chi si è commesso alla loro fedel Altro che suffragare
l'anima del povero Guglielmo con beneficenze ai poverelli ed alle
chiese ! Alla cote delle ricchezzé di lui essi aguzzano il coltello
omicida !
Ausonio . Non precorriamo gli avvenimenti: lasciamo che Salin
guerra Torello creda di aver fatto un buon affare , lasciamolo cre
/
208 MARCHESELLA DEGLI ADELARDI

scere in superbia ; più sarà alto e grosso l'albero della sua potenza,
e più , una volta reciso, sarà romorosa la sua caduta.
Lucili . Dunque, atto terzo, scena prima....
Ausonio. V'ho detto che questo dramma non ha unità di tempo ;
ora soggiungo che gli manca pure quella di luogo : da Ferrara dob
biamo passare a Ravenna ; ma sarà poco disagio per noi, perocchè
in un teatro gli è affare del macchinista. E col pensiero noi giun
giamo ancora più presto nell'antichissima città degli esarchi. Qui
si presenta un personaggio nuovo ; nientemeno che Pietro da Tra
versara, cittadino potentissimo e capo de' Guelfi. Eccolo in una delle
sale del suo palazzo, che ragiona coi principali della sua fazione.
« Ma bravissimo messer Torello ! voi ce l'avete accoccata , e coi
mezzi de' Guelfi , siete arrivato a farvi potente sui Ghibellini ed a
combattere i Guelfi: ben pensata, bene eseguita ; e fate benissimo a
scorazzare in armi di quando in quando fino entro ai nostri confini.
Le frequenti visite sono come i regali che intrattengono le amicizie.
Voi siete maestro d'astuzie e meritate che le vostre lezioni non va
dano perdute. Che se gli scolari giungessero a superare il maestro,
non abbiatevelo a male , anzi attribuitelo alla eccellenza dei vostri
insegnamenti ed alla buona volontà dei vostri discepoli . Ma fate
buona guardia, messer Salinguerra alla vostra Marchesella, chè ella è
tutta per voi e voi senza di lei non siete nulla » . Cosi in un accesso
di rabbiosa invidia esclama Pietro da Traversara, e non si limita già
ad esclamazioni, ma studia tutte le vie per nuocere all'avversario.
Quando gli parve che i suoi disegni avessero probabilità di riuscita,
egli spedi secreti messi al marchese Obizzo d'Este e ad Almerigo
de' Giocoli. All'uno mandò a dire : « Signor marchese; sareste con
tento d'acquistare pel figliuolo Azzo V la signoria, che sopra Fer
rara avete perduta ? Io ve ne offro l'unico mezzo ,> purchè accon
sentiate che il figliuolo vostro impalmi la Marchesella. Ne posso
disporre io : non cercate altro. S'intende da sè che vi dovrete far
capo del partito guelfo , al quale per lo passato i marchesi d' Este
furono contrari. Ciò ch'è passato è passato ; io non me ne ricordo
più: anzi, come vedete , pel bene della buona causa, non dubito di
>

cedere a voi quella supremazia, che sui Guelfi nessuno mi ricusa in


Ravenna » . E ad Almerigo de' Giocoli: « Almerigo, voi ed i vostri
avete un bel lagnarvi di essere stati ingannati dal Torello e frodati
dell'eredità degli Adelardi. Ghibellino, chiedete a' Ghibellini ciò che
deesi fare ? E lo domandate voi, che siete in Ferrara, a noi che siamo
in Ravenna ? Pure y'ajuteremo con buona mano de' nostri, se, gio
vandovi della parentela che vi stringe alla Marchesella e vi lascia
modo di avvicinarla, farete in maniera che gl' inviati da noi possano
MARCHESELLA DEGLI ADELARDI 209
recarle personalmente i nostri ossequi. Tutta la vostra famiglia la
pensa come noi, e comune è il desiderio di vendetta ; ma perchè ne
segua qualche effetto, bisogna che tutti voi qualcosa operiate , qual
cosa osiale. Le case dei Giocoli e degli Adelardi non avrebbero forse
più amici ed aderenti tra' Guelfi di Ferrara ? Sono diventati cosi
onnipotenti i Ghibellini ? Lo vedremo alla prova, alla visita, che vo
gliamo dovere a voi, e che aspettiamo della vostra Marchesella. E
cosi disponevasi di questa orfanella: le si dava e le si cambiava fi
danzato ad arbitrio dei capi delle fazioni ; chi la traeva da una parte
e chi dall'altra, per poter valersi poi del suo nome e delle sue im
mense ricchezze. « Si» , dissero il marchese Obizzo ed Azzo V , 6
« Si » , Almerigo de' Giocoli; chè gli uni agognavano imparentarsi a
grandi ricchezze , a gran diritti , a grandi aderenze ; e l'altro ven
dicare la famiglia ed il proprio partito.
Lucia. E andrà poi la cosa com'è ideata dal Guelfo di Ravenna ?
Io non so se debba desiderare che a costui fallisca il disegno : ambo
son tristi , il Torello e il Traversąra , e per costui non migliorerà
certamente la condizione dell'infelice fanciulla .
Ausonio. La cosa andò appunto a quel modo : e se a questo dramma
voleste un quarto ed ultimo atto , comincerebbesi dal ' vedere Sa
linguerra Torello che, scornato ed avvilito, fugge dalla città di Fer
rara co' suoi Ghibellini più fidati; ed assistereste all'ingresso quasi
trionfale dell' Estense , che vi è accolto onorevolmente dalla plebe ,
dai nobili e dal clero .
Lucia. Manco male che la cosa termina alla meglio per la Mar
chesella: ma la fine del dramma, cioè un buon matrimonio , è piut
tosto da commedia. Gli sposi si danno la mano ; Giocolo ed Almerigo
pagano le corone di fiori, e poi le nozze.
Ausonio. Eh ! eh ! quanta furial Sponsali ? Altro che sponsali !
Obizzo ed Azzo non aspettarono il tempo opportuno da celebrare il
matrimonio della Marchesella per andare al possesso de' suo beni ;
l'anno stesso , cioè nel 1187 >, il marchese Obizzo si fece investire
d'un feudo di ragione di Guglielmo. La fanciulla intanto , che non
aveva più di otto anni , si teneva gelosamente custodita da Azzo ,
perchè non succedesse un terzo ratto , che avrebbe forse spiantato
nizovamente da Ferrara il dominio estense.
Teresa. Aspettarono forse ch'ella fosse uscita di fanciullezza, per
maritarla ad Azzo....
Ausonio. L'ultima scena del dramma, poichè volete proprio sapere
per filo e per segno ogni cosa , rappresenterebbe un corteo, che in
nere gramaglie e in baja notte , con pochi ceri e mormorando le
preci degli estinti , esce da una porta del palazzo degli Estensi e
BERLAN. Le fanciulle celebri.
210 MARCHESELLA DEGLI ADELARDI
lien dietro ad una bara , dentro cui giace la Marchesella, morta di
non si sa qual malattia, prima di toccare l'anno duodecimo dell'età
sua e prima di essere imparentata a quelli d' Este.....
Teresa. Povera fanciulla , prima la derubarono e poi la assassi
marono !
Ausonio . E rubando ed assassinando , molte case sovrane posero
la base delle loro grandezza.
Lucia . E già tutto ciò per quei maledetti partiti di Guelfi e Ghi
bellini ! Oh perisse anche la loro memoria !
Ausonio. Continua pure a pensarla a modo tuo, ma quei medesimi
che sono del tuo avviso , quanto alle memorie, la pensano ben di
versamente , perchè si vantano di conservarle e di esporle come
trofei del progresso o come reliquiari.
Teresa . Papà, nesciunt quid faciunt.
Lucia. Come può essere ciò ? come può essere che non sia ai giorni
nostri scancellata ogni traccia di quei partiti, anzi che si tenga
molto alle loro memorie ?
Ausonio . Epr è così ; non isventolano forse ancora nelle nostre
città le insegne di quei partiti ? Andate a toccarle, mo ! Nessuna le
smette : si deride la blasoneria, che non si capisce, ma pur si tiene
a que' blasoni. Non si studiano come geroglifici della storia , ma si
tengono in mostra. Abbiamo centinaja e centinaja di aquile e di croci,
che appunto non sono che memorie di quelle fazioni. Quanto , alle
croci , vi si ciancerà di crociate (1) , ma quanto alle aquile non so
che se ne possa dire ; e , come non bastassero le croci guelfe e
le acquile ghibelline, abbiamo anche molti gigli di Francia (? ) ! In
( 1 ) Alcune croci potrebbero essere del tempo di Costantino imperatore .
(2) « I Guelli si distinguevano nell'arme dai Ghibellini per le figure e per
gli smalii diversi , Il colore azzurro fu loro comune, ed usarono parimenti il
bianco ; ma siccome in Toscana andarono i Guelfi uniti a quelli di parte Nera,
che si contrassegnavano col nero, cosi alcuni di essi ne presero un tal colore
invece del bianco . E gli animali nell'arme de ' Guelfi erano ordinariamente
diversi dalla natura loro. Portarono essi nello scudi le bande e fasce ondate
o caricate delle pezze di cui erano soliti caricare i capi dell'arme, cioè di gi
gli, lambelli, stelle, chiavi , tiare, croci , ecc. Ed in Toscana alzarono il giglio
allargato e bottonato di rosso in campo bianco, ch'era l'insegna de' Fioren
tini . A detta del Ciacconio, per concessione di Clemente IV papa, portarono i
Guelfi ancora in campo d'argento un'aquila col volo abbassato, e la testa ri
voltata di rosso, osservante un drago di verde . Ma gli ordinari loro contras
segni furono i giglied i lambelli, nel capo dell'arme o nelle pezze caricate.
per concessione di Carlo o di Roberto re di Napoli , grandi protettori de'Gaelfi,
I Ghibellini si vollero distinguere dai Guelfi non meno con le pezze che
con gli smalti . L'oro o giallo fu loro proprio, come ancora il rosso ed il verde ;
e portarono negli scudi i pali, le sbarre o le branche d'animali rapaci e fieri :
caricarono i capi dell'arme loro a'aquile , di draghi , di basilischi ; e gli ani
mali nell'arme dei Ghibellini erano ordinariamente di colore al naturale , o
MARCHESELLA DEGLI ADELARDI 211
nome del cielo, se vi sono le cose nuove, perchè conservate i segni
vecchi ?

rivoltati , massime il leone. A detta del Bombacci, portarono essi in Romagna


tre stelle nel capo ; ed in Toscana, al riferire del Borghini , alzarono il giglio
allargato e bottonato di bianco nello scudo di rosso . Ma il contrassegno or
dinario de' Ghibellini fu l'aquila spiegata di nero nel capo d'oro per conces
sione di Federico II imperatore n. Ginanni , Arte del blasone.

Autori consultati : Maresti , Muratori, Sardi, Ritratti di donne illustri.


LE ISPIRATRICI.

LETTERE .

1. Cecilia alle sorelle minori Angelica ed Ernestina .

Dunque voi altre, piccoli folletti, avete proprio deciso ch' io non
lasci in pace questo buon vecchietto di nostro zio, e che ogni giorno,
ogni santo giorno gli faccia scartabellar volumi sopra volumi ed
empiere fogli sopra fogli per soddisfare alla vostra interminabile cu
riosità ? Oh ! care signore, noi siamo in campagna , e venimmo per
divertirci, non già per isgobbare ; ci siam fatte contadine, ma non
per far comparire le signore cittadine e le gran dame della metro
poli. Se vi premono tanto le ricerche storiche e bibliografiche, fate
vele voi, e andate a Brera od all'Ambrosiana, chè vi sarete le ben
vedute e le bene accolte. Perchè non ci andate ? Vi vergognereste
forse ? Le biblioteche non sono stabilimenti soltanto maschili , veh ,
ma anche femminili. Vergognarsil ma' di che ? Forse di andare ad
imparare o di essere vedute ? Paura di essere vedute ? Oh ! questa ·
poi dico di no ; perchè non vi vergognate d' andare a' teatri, e fram
mezzo ad un'abbagliante illuminazione godete anzi nel vedervi fatte
segno di curiosi occhialetti e di più indiscreti cannocchiali. Alle bi .
blioteche non v'ha questo pericolo : non regoano che microscopi ed
occhiali adagiati sopra nasi piuttosto rispettabili. Oh ! allora , direte
voi, vi sarebbe un gran concorso di giovani, disertati dai caffè e dai
bigliardi, per istudiare proprio Dante e Petrarca ! Ma chi vi ha detto
ch' io non griderei tanto da farmi sentire sino a Roma , perchè i
conservatori delle biblioteche pubbliche avessero a preparare per le
giovani una bella stanza a parte ? Insomma bisogna far qualche cosa,
e le figlie di mio padre dovrebbero darne esse l'esempio. Si ciarla
tanto di emancipare la donna , e poi è la donna stessa che schiva
d'emanciparsi dall'ignoranza , e si fa schiava di certi sciocchi ri
guardi o di più sciocchi pregiudizi . Lo dice anche lo zio.
Finora il buon vecchio appagò prontamente le vostre domande,
ma ho l'onore di dirvi che voi abusate un po' troppo della sua com
LE ISPIRATRICI 213

piacenza. Egli è disposto a darvi anche questa volta le notizie che


bramate , ma dopo lasciateci un po' di vacanza. Se dobbiamo inse
goare, vogliamo anche noi il nostro giovedi e la nostra domenica .
Parlo in plurale e dico noi , come i decreti e le bolle , perchè la
fatica tocca anche a me , che debbo stare delle lunghe ore sotto la
dettatura dello zio e , per giunta sulla derrata , ridurre ad usum
Delphini le sue lezioni, che rasentano molte volte la predica. Perché
vi vuol bene, egli non lascia passare occasione alcuna di raccoman
darvi la virtù, l'amore allo studio ed al lavoro e la subordinazione
a' parenti. Se la sapesse tutta , oh i predicozzi e le omelie che mi
toccherebbe di scrivervi ! Ma egli vi crede due santerelle e che ab
biate fatto anche dei miracoli. Ora il buon uomo è come un san Gio
vanni Battista che predica al deserto , e nel nostro caso alla cam
pagna, perchè delle sue parole io non vi trascrivo che la parte pu
ramente relativa all'istruzione storica che domandate. Ma non so
se potrò fare sempre cosi ; guai se dalle lettere di papà e mamma
gli fosse fatto sapere , care signore mie , che non siamo poi quelle
beate ch' egli ci crede.
Colla prima lettera vi capiterà la notizia della vita , morte e mi.
racoli della Beatrice Portinari. Intanto ci occuperemo di questa.
Quante alle altre che voi chiamate ispiratrici, si vedrà e si farà quel
che si potrà. Infatti, fra le ispiratrici potrebbero andare comprese
migliaja e migliaja di donne e di ragazze che per un modo o per
l'altro indussero l'altra metà del genere umano, la metà forte, come
dicono, a quel bene che da se non avrebbe mai fatto. Oh ! noi siam
deboli, ma poi facciamo fare a modo nostro i signori forti.
Dunque ci siamo intese : non tempestatemi addosso con nuove
lettere per istimolarmi a far presto.
Addio, in fretta , perchè bisogna che abbandoni la penna e pigli
la spazzola , per pulire il nostro buon vecchietto, che, tutto coperto
di ragnatele, vedo già uscire dalla biblioteca.
Un'altra parola , e che preme di più. Non dimenticate , veh, di
dire a babbo e mamma che io li ho continuamente nel cuore, e che
mattina e sera nell'oratorio di questa villa vi è un vecchio ed una
ragazza che pregano per loro e per voi. Oh, care sorelline, che pia
cere è quello d' avere un papà , una mamma ed uno zio come il
nostro, e sorelle cosi affettuose come voi ! Ma eccolo qui impolverato
che pare un muratore, con pergamene e libracci fra le mani e sotto
le ascelle.... Vengo, vengo, o barba.... Oh bellal adesso vi scrivo an
che quello che dico a lui.... Sorelline, addio addio.
214 BEATRICE PORTINARI

Il .
Cecilia alle sorelle Angelica ed Ernestina .
Scrivi, dice lo zio, e non lasciar fuori nulla ; scrivi à tue sorelle
che non voglio impicciarmi nè punto nè poco dei fatti di quelle
giovani, che ne' tempi passati, e massime nel medio evo, non ispira
vano ma ispiritavano i loro amanti, inducendoli ad attaccar briga con
mezzo mondo, a dare e pigliare botte da orbi. Que' cavalieri erranti,
che per amore cercavano imprese guerresche, duelli e bastonature,
oggi , anche se scansassero le pene statuite dal codice criminale
contro i malviventi e gli accattabrigbe, sarebbero però certamente
interdetti e passerebbero per don Chisciotti. La donna fu dotata di
bellezza eе di grazia perchè potesse spingere facilmente e soavemente
l'uomo ad ingentilirsi, a perfezionarsi, non a fare per ogni nonnulla
il gradasso. Ella debbe essere come la Beatrice di Dante , e come
lei essergli compagna e scorta nel cammino verso al cielo , che è
quello della virtù . La donna fu detta la metà dell'uomo ; e sta bene,
perchè lo compie . Nel Paradiso perduto del Milton, accennandosi ai
primi giorni della creazione, è tratteggiato un leone la cui creazione
non è ancora terminata : si vede uscire mezzo dalla terra che lo parto
risce : l'occhio scintilla, la giubba s'agita, ma il corpo è una massa
inerte, immobile , che fa 'ancora parte del suolo e aspetta con impa
zienza l'ultima scintilla di vita per islanciarsi. Ebbene, questa, anche
se non è, può essere una bella immagine, un bel simbolo dell'uomo,
che da sè ha viva soltanto la testa, ed ha bisogno che amore di donna
gli scaldi il cuore e gli dia moto . Scrivi, soggiunge lo zio, scrivi a 7
tue sorelle che la Beatrice Portinari fu al cuore del divino poeta
codesta animatrice favilla, e che s' egli potè 'stamparé orme' gigan-
tesche nel mondo , lo dovette, com ' egli medesimo confessa , a quel
sublime amore. Ora le tue sorelle, fermandosi dinanzi al quadro di
Hary -Scheffer (1 ) sapranno chi sia quella bella fanciulla — Bianco
vestita, e nella faccia quale - Par tremolando mattutina stella
che ritta leva gli occhi al cielo ; e chi sia ancora quell' altra figura
che, più al basso ritta essa pure, fissa gli occhi in lei. Quella dipin
tura, a due sole figure, è sublime nella sua semplicità, come quella
che m' ostra la ' spiritualità , la procedenza divina del vero amore , e
come le ' virtuose bellezze della donna siano proprio la scala che
dalla terra conduce a Dio. È vero che molti a' primi gradini sdruc
ciolano giù, ma non fu cosi dell'amore di Beatrice. Anzi-le mie ni
potine faranno un inchino a quella cara signora e la ringrazierando.
Si, dobbiamo ringraziare la Beatrice , perchè, riflettendosi la luce
(1 ) Pittura grandemente diffusa per incisioni e fotografie .
BEATRICE PORTINARI 215
delle sue virtù sopra l'Alighieri, questi divenne poi quel fulgido
sole che ammirato c'illumina e ci scalda anche oggi. La sua Divina
Commedia è come una rivelazione per noi, e quella rivelazione venne
a lui dall' amore puro , santo , sublime. Scrivi, Cecilia, alle tue so
> >

relle anche questo , e poi fa punto . Che differenza tra l'amore della
Beatrice e quello della maggior parte delle nostre donnel Per l'uno
si diventava più che uomini, per l'altro s'imbarbogisce.
Fin qui ho scritto quel che ha voluto lo zio : è poco, ma per ora
accontentatevene, anzi rallegratevi che sia così poco ; perocchè voi
stesse vi sarete già accorte che il buon vecchio era lì lì per montar
in pulpito a predicare.
Dato a Milano , li tanti del mese tale dell'anno tale. Io Cecilia
scrissi sotto dettatura e poi copiai fedelmente il dettato dello zio, e
mi sottoscrissi.
E il bollo ?
Eccolo : esso è formato dal sigillo delle labbra che ricevono più
che non danno, e consiste in dieci baci che vi mando, otto per papà
e mamma, e due per voi. Anzi all'Angelica dovrebbe darsene meno,
perchè mi tiene celato un secreto , che tu , o Ernestina, sai. E io ,
buona ragazza, vi debbo mandare notizie de' fatti altrui, persino di
quelli de' morti , per essere poi tenuta al bujo anche delle cose di
mia famiglia ? Ma me la lego a un dito. Addio, sorelline.
III. Cecilia alle sorelle Angelica ed Ernestina . '
Il barba andò sulle furie per quella pappolata che, per parere dotte,
gli avete scritta, piena affatto di cose comuni é, come dice lui, vera
polenta da contadini. Per tre capi d'accusa egli vuole trarvi davanti
alle sue Assise e farvi condannare : 1.º perchè non vi dichiarate
apertamente contro le male lingue, che osano far materia di dispu
tazione la somma virtù di Beatrice; 2. perchè inchinate a supporre
quasi un sogno , una fantasia , una cosa non mai esistita , l'amore
di Dante; 3.9 perchè a proposito di Dante e della Portinari , vale a
dire a sproposito e fuori di luogo e con un fare da dottoresse lau
reate in politica, ve la pigliate con Firenze e in generale con tutti
i vecchi Comuni d'Italia. Ante omnia , dice lo zio (ed io questa
volta per sua espressa volontà, non deggio farvi compendi o rias
sunti, ma ripetervi testualmente le sue parole) ; ante omnia , vediamo
un po' che moralità ci sia nel cercar d abbattere gli splendidi mo
delli di virtù, che l'antichità ci ha lasciati ? Si ha forse bisogno di
credere che non vi siano stati e non vi siano dei tipi reali di per
fezione, per non avere a vergognarsi de' propri difetti ? O vuolsi
216 BEATRICE PORTINARI

distruggere i modelli per poter dire che non si sapeva come fusse
fatto il bene ? Mettiamo in ridicolo le Lucrezie ed i Catoni ; ma chi
resterà ? resteremo noi a farci ammirare, noi poveri nani e figure
da ventagli ? Ma questo è l'andazzo e il vanto di alcuni tra' mo
derni ; i quali , non contenti di scrollare gli antichi prototipi della
perfezione morale, s'adoprano eziandio a confondere ed a falsare le
idee del giusto e dell'ingiusto. L'antichità aveva lodato, essi biasi
mano; l'antichità aveva punito colla sua riprovazione: essi assolvono.
In barba ai vecchi oggi si fa l'apoteosi di Giulio Cesare perchè di
strusse la repubblica romana e le libertà della sua patria, e Catilina
stesso diventa un fior di galantuomo : laddove , secondo i medesimi
signori , Pompeo , Cicerone e Bruto non sono che de' mariuoli. Ma
sapete voi quando Bruto fu un vero mariuolo ? Quando negli ultimi .
suoi momenti , vedendosi abbandonato nella lotta generosa ch'egli
>

sosteneva per far risorgere la repubblica romana, ebbe a disconoscere


sè stesso, a negare la virtù , a domandare che cosa ella fosse mai.
Demolendo gli antichi eroismi ed assolvendo i grandi colpevoli, sa
* pete voi che cosa facciamo ? Noi scoraggiamo la virtù dei presenti,
noi promettiamo l' impunità anzi la gloria a' grandi scellerati; pe
rocchè che cosa è la gloria, che cos'è l'infamia se non sia duratura,
se non si rinnovi continua attraverso i secoli, e se anzi l'infamia
un momento o l'altro possa cambiarsi in gloria ? Che prove avete
voi, o Angelica ed Ernestina, contro quella fanciulla ? Voi dite che
s' è disputato se Beatrice sia stata sposa o no di un certo Simone
de Bardi. S'è disputato ? Dunque , per lo meno , la cosa è contro
versa . Ed è forse decisa la questione ? No, garbatissime signore mie,
ed importa poco che si decida, perchè quando il nostro gran bardo
Dante s'innamoro di Beatrice, ella non era certamente maritata al
de Bardi e non aveva che otto anni circa, e Dante non ne contava
che nove. Ma, supposto pure che più tardi ella siasi maritata , che
ne risulta egli da ciò ? Le si può forse dar carico perchè, dopo es
sersi insinuata colle sue grazie fanciullesche e giovanili nel cuore
di lui, siasi poi anche colla soavità dei costumi e colla rara bellezza
delle proprie virtù tanto addentrata nell'animo suo da indirizzarlo
ad altissima meta e da farlo più che uomo mortale ? Perchè dirò
male dell'angelo che mi presta le sue ali, non per calare in fondo
all'orrido precipizio , ma per ascendere fino ai cieli ? Tu vedi , o
Cecilia, continua lo zio, che a proposito della Beatrice altre notizie
biografiche potrei aggiungere a quelle già date alle mie nipoti : e
qui già ho notata l'epoca del suo innamoramento ; ma basta e stra
basta, perchè meritano di essere tenute a stecchetto in punizione
della loro maldicenza. Io le regalo d' una bella rosa, perchè delica
BEATRICE PORTINARI 217
tamente la fiutino e se ne adornino il seno ; ed esse , al vedere le
piccole spine , gridano che ho mandato dei coltelli , e sfogliano la
rosa e la gittano in terra e la calpestano. Ah ! si fa così col barba ?
Ma egli ve la fa pagar cara , e vi corre dietro collo spadone de'suoi
argomenti per vedervi confuse e umiliate a' suoi piedi. Chiamami
Dante -

ripiglia lo zio. - Ma s'è morto ?


. -
Non capisci ch' io do
mando le sue opere ? Dammi le sue opere minori, Eccole quà.
Io apro, - soggiunge lo zio , - la Vita Nuova , e ne cavo un fascio
di citazioni da scaraventare contro le ribelli mie nepoti. Vedi, Ce
cilia, che fedine, che certificati autentici di virtù più che umana ri
lasciati da messer Dante degli Alighieri alla nominata madonna
Beatrice dei Portinaril Dite un po' su , Angelica ed Ernestina, – grida
con voce stentorea lo zio, – quando andate a scuola e quando il do
-

mestico v'accompagna a spasso, che contegno è il vostro ? Cecilia


qui presente mi assicura che avete parole e modi da santerelle, ma
informazioni e rapporti ufficiali, quelli del babbo, della mamma, del
servitore , mi dicono invece che siete dei serpentelli. Udite ora mo'
>

quali erano i diportamenti della Beatrice. È Dante che parla ; fategli


di cappello , cioè cavatevi la cuffia. Egli dice nella Vita Nuova :
« Questa gentilissima donna venne in tanta grazia della gente che,
quando passava per la via , le persone correvano per vederla ,
onde mirabile letizia me ne giugnea e , quando ella fosse presso
d'alcuno, tanta onestà veniva nel cuore di quello ch' egli non ardiva
di levar gli occhi nè di rispondere al suo saluto ; e di questo molti,
siccome esperti, mi potrebbero testimoniare a chi nol credesse . Ella
coronata e vestita d'umiltà s'andava , nulla gloria mostrando di
ciò ch'ella vedeva ed udiva. Dicevano molti , poichè passata era :
Questa non è femmina , anzi è uno dei bellissimi angeli del cielo .
Ed altri dicevano : Questa è una meraviglia; che benedetto sia il
Signore che si mirabilmente sa operare ! Io dico ch'ella si mostrava
sì gentile e si piena di tutti i piaceri che quelli che la miravano
comprendevano in loro una dolcezza onesta e soave tanto che ridire
non la sapeano ; nè alcuno era il quale potesse mirar lei che nel
principio non gli convenisse sospirare. Queste e più mirabili cose
procedeano da lei mirabilmente e virtuosamente. » I quali pensieri
ed affetto di Dante si ponno dire tradotti da lui iu versi o posti in
musica nel seguente sonetto :
Tanto gentile e tanto onesta pare
La donna mia, quand' ella altrui saluta,
Ch' ogni lingua divien tremando muta,
E gli occhi non l' ardiscon di guardare.
218 BEATRICE PORTINARI

Ella sen va, sentendosi laudare,


Benignamente d'umiltà vestuta (1),
E par che sia una cosa venuta
Di cielo in terra a miracol mostrare .
Mostrasi si piacente a chi la mira
Che dà per gli occhi una dolcezza al cuore
Che intender non la può chi non la prova .
E par che da la sua labbia si jquova
Uno spirto soave e pien d'amore
Che va dicendo all' anima : Sospira.
Ma gli effetti si può dire miracolosi della sua vista e compagnia
sono anche più particolarmente descritti in quest' altro sonetto :
Vede perfettamente ogni salute
Chi la mia donna tra le donne vede ;
Quelle che van con lei sono tenute
Di bella grazia a Dio render mercede,
E sua beltate è di tanta virtute
Che nulla invidia all'altre ne procede,
Anzi le face ( 2) andar seco vestute
Di gentilezza , d'amore e di fede.
La vista sua face ogni cosa umile,
E non fa sola sè parer piacente,
Ma ciascuna per lei riceve onore.
Ed è negli atti suoi tanto gentile
Che nessun la si può reoare a mente
Che non sospiri in dolcezza d'amore.
E sempre uguale a sè stessa , sempre piena di perfezione gentile 1

fu la Beatrice ; e come tale venne celebrata dall' Alighieri anche


morta ,9 cioè diciott'anni dopo dell'innamoramento di lui , quando
il bollore giovanile era passato, e posciachè a mente fredda l'aveva
potuta considerare in tutti i movimenti e passi della sua vita . Dante
dice che quella morte gli cagionò tanto dolore che n'ammalo, e che
nello smarrimento prodotto dalla febbre parvegli vedere una molti
tudine d'angeli i quali tornassero in su e avessero innanzi una nu
voletta bianchissima, e quegli angeli cantassero graziosamente: Osanna
in excelsis ! E in una canzone cosi torna ad esaltarla :
Ita se n'è Beatrice in l' alto cielo,
Nel reame ove gli angeli hanno pace,
E sta con loro; e voi, donne, ha lasciate.
( 1 ) Vestuia anticamente per vestita ; labbia per faccia .
(2 ) Face per fa .
BEATRICB PORTINARI 219
Non la ci tolse qualità di gelo,
Nè di calor, sì come l'altre face ,
Ma sola fu sua gran benignitate :
Chè luce della sua umilitate
Passò li cieli con tanta virtute
Che fe' maravigliar l'eterno Sire,
Sì che dolce desire
Lo giunse di chiamar tanta salute,
E félla di quaggiuso a sè venire,
Perchè vedea ch' esta vita nojosa
Non era degna di si gentil cosa.

Dio voglia, signore nipoti , che alla vostra dipartita da questo


mondo, che vi auguro lontana perchè possiate fare delle belle cose
e molte belle cose, si possa dire la metà, e sarei contento anche il
quarto e il decimo del bene che Dante lasciò scritto di lei , nè si
abbia mai a temere che qualche bello spirito venga a scrivere in
vece sulla vostra lapide sepolcrale, col carbone o col gesso, mutatis
mutandis, questi versi di Luigi Alamanni:
Questo marmo, Luisa alma e gradita,
Non memoria è di te, ma tu di lui,
Perchè solo il tuo nome il tiene in vita .

Care sorelle, lo zio continuava a dettare, ed io , povera ragazza ,


m'affaticavo a scrivere senza potergli neanco tener dietro, perchè,
preso l'abbrivo, egli è solito andare come il vento . Gli tirai la veste,
come fanno i cherichetti al predicatore se vada troppo per le lunghe;
ed a quel segnale, ch'è convenuto tra noi, smesso il tono declama
torio ed il sussiego del quaresimalista , sorrise. Ma mi fece promet
tere che stasera mi presterei a mettere in carta il resto. E , povera
mel siamo ancora all' ante omnia ; e la predica è divisa in tre punti.
Ora si può respirare e tossire ; onde approfitto dell'occasione per
raccomandarvi un' abbondante elemosina di belle parole, di carezze
e di baci , che darete per me a mamma e babbo.
IV . Cecilia alle sorelle Angelica ed Ernestina.
Eccomi al tavolo nuovamente per causa vostra , ed ecco lo zio ,
che come un leone, ma adesso è senza giubba, mi gira attorno e ,
tutto invasato nelle sue idee , straluna gli occhi e fa le boccacce.
Gran tempesta, sorelle mie, si prepara ; perchè, di solito, quando gli
scrittori si mettono a fare qualche cosa di grosso , storcono in più
220 BEATRICE PORTINARI

guise la bocca e stravolgono gli occhi. Ecco il primo ruggito del


leone ; io abbasso gli occhi , piglio la penna in mano e , santa pa
zienza ! mi metto a scrivere .
- C

- Secondo punto, - dice lo zio. -- Ahi le ornatissime signore Ange


lica ed Ernestina pongono in dubbio che Danle non abbia mai amato
una donna chiamata Beatrice ; ma chi hamesso loro questa idea per lo
capo ? Dei parolai, della gente inetta a comprendere la possibilità
d'un amore sublime , degli eruditi di professione che a forza di sbrin
doli di citazioni s'arrogherebbero di provare persino che Adamo ed
Eva sono due miti e che il genere umano non ha nè padre nè ma
dre. Costoro dovrebbero dubitare della propria esistenza, non di quella
di Beatrice , ch'è comprovata dalla testimonianza non solo di molti
e molti scrittori contemporanei , ma eziandio da' versi medesimi del
l'Alighieri. Un amore imaginario non avrebbe potuto dar vita a
quelle poesie potenti per verità e sentimento. Oh ! noi vediamo quanto
possa , cioè quanto possa poco l'ipocrisia letteraria, che pure a'no
stri giorni ha raggiunto la maggior possibile raffinatezza ; noi ve
diamo che ciò che si finge è frutto insipido, perchè lo produce il
calore artificiale della serra e non il vivido sole. Che Dante in più
luoghi facesse della sua Beatrice un simbolo (1) (perchè le qualità di
lei erano , per così dire, tutle spirituali anche nella materia ), è cosa
ammissibilissima; ma è poi strano il pretendere ch'ella stessa non
fosse che un simbolo. Simbolo una donna cosi virtuosa ? Ma dunque
voi, signori eruditi >, supponete che tutte le donne siano volgari, o
poco meno, e che non si provi proprio e non siasi mai trovato
sulla terra nessuno di quegli angeli d'amore e d' ispirazione de'quali
le anime ben fatte sentono pure il bisogno ed a cui anelano , e che
( 1 ) Simbolo della filosofia e della teologin . Secondo il professore lonocenzo
Frigeri, Dante avrebbe assunto Beatrice non quale simbolo della teologia ,
ma piuttosto quale rappresentazione dell'anima umana, tendente a Dio colle
ali dell'amore e del pensiero, o, in altri termini, come un siwbolo dell'uma
nità tendente al suo supremo fine e glorificantesi in esso . (Vedi il giornale
La Gioventù , anno II , vol . V, pag. 209 e 220. Firenze, lip . Galilejana 1863).
In ocasione del sesto centenario di Danie, il chiar. sig . Perez pubblicava
on liso intitolato : La Beatrice svelata. Secondo lui, la Beatrice è l'intelli
genza attiva. Intorno a che, scrive in un suo articolo l'egregio sig. Giorgio
Canneti (La Civiltà italiana, 14 maggio 1865), - Sebbene vi concediamo che
scopo principale a Dante fusse la scienza, non per questo vorrenmo esclusa
la cara imagine di una beatrice terrena. Fossilizzare l'anima nelle astruserie
e senza ricorrere mai al palpito di un cuore gentile, che intenda le estrinse
cazioni dell'anima nostra, e che divida i nostri desideri, noi non possiamo ,
nè crediamo che Dante, il quale diceva l' amore cosa -
Che al cor gentil
ratto s' apprende – non volesse a quello ricorrere per temperarsi gli scora
menti e infrancare lo spirito . - Si , due bealrici ci permette il polisen 80 , e
le accettiamo, e poi stesso forse direte che in fondo in fondo questo conce
pimento viene ad onore del poeta che tentava di rinnovare la scienza n.
BEATRICE PORTINARI 221
furono in così splendido modo celebrati dai maggiori poeti ? Oh ! se
supponete questo , male per voi ; e. siete degni d'incappare in una
moglie che somigli a quella nobile signora Gemma dei Donati, fem
mina senza poesia alcuna , bisbetica , caparbia e riottosa, che, come
moglie (1), fu il tormento e la disperazione del povero Alighieri. Ecco
una di quelle donne la cui esistenza fareste benissimo a revocare in
dubbio, di quelle donne che sarebbe buono avvedimento proclamare
impossibili , perchè si avesse a ritenere dal bel sesso che le buone
e le gentili sono la regola , e che le cattive e le sgraziate sono ec
cezioni rarissime e solecismi. Vogliamo simboli ? Ebbene facciamo la
donna simbolo dalla carità , della consolazione; perocchè ella per
qualche cosa ha un cuore più sensibile , più tenero del nostro. Anzi
>

facciamo che tutte le cose belle e gentili siano immagini e simboli


di lei. In un dipinto di Bernardo Strozzi (2) detto il Prete genovese ,
alcune pie femmine levano le frecce a san Sebastia no martire. Quella
pittura esprime una gran verità. Si , uno dei principali uffici della
donna è quello appunto di consolare , d'alleviare i dolori dell'uomo.
Fuori di casa la società in assai modi lo saetta , lo trafigge : in casa
abbia dunque chi con soavi balsami gli medichi le ferite, lo risani
e ravvivi. È pure nella missione della donna ch'ella temperi i troppo
focosi impeti dell'uomo e , cingendolo colle rose delle proprie grazie ,
umanizzi quelle sue forze spesse volte selvagge , e le indirizzi soa
vemente a grandi fatti. Ella debb'essere come que'graziosi puttini che
si vedono in alcune decorazioni da teatro , i quali con un leggiero
cordoncino di seta a vivaci colori o con un vezzo di perle tengono
imbrigliate delle jene e delle pantere , e le conducono, appajate ad
un cocchio d'oro , dentro magnifici e splendidi palagi ( 3).
Ma veniamo al terzo punto , dopo un breve respiro. Sono recrimi
nazioni vecchie e strambe, appena tollerabili nelle scuole dei bimbi,
ciò che voi , Angelica ed Ernestina , mi scrivete a proposito delle
antiche divisioni e ambizioni dei nostri municipi. Sarebbe tempo di
smetterle. Noi ce la pigliamo col cuoco , noi lo sgridiamo perchè ha
mani e faccia annerite dal fumo e dal carbone stando al fuoco per
ammannirci un lauto pranzo. Senza che , non capisco perchè, vi scal
diate tanto il fegato e schizziate tanta bile contro i Comuni , se qui
non si tratta che degli amori di Dante Beatrice. Forse perchè Fi
(1) Dopo morta la Beatrice.
(2 ) Si conserva nella chiesa di S. Benedetto in Venezia .
(3) Nel poema La Tentazione di G. Montanelli :
d'amore atteggiata e di preghiera,
All'uom, che solo, ramingava in pianto
Dell'Eden fra l'eterna primavera ,
Ti vedemmo apparir serenatrice,
222 BEATRICE PORTINARI

renze fu ingrata verso l'Alighieri e lo spinse in esilio, e poi goffa


mente pretese che , per essere liberato dal bando , s'adattasse a pa
gare una certa quantità di danaro ed a recarsi colla processione
municipale per la città sino alla chiesa di san Giovanni Battista e
quivi essere offerto in voto al santo ? Ma questo v'entra come i
cavoli a merenda. Per parer dette , uscite dal seminato . Del resto,
>

è falsa ed ingiusta quella critica che da fatti parziali cava conchiu


sioni e sentenze generali contro i popoli e contro le istituzioni, Boezio,
Pier dalle Vigne e Cecco Simonetta, non trovarono ingratitudine ,
non patirono persecuzioni e morte dai Comuni, ma da principi e re.
Il giudicare poi troppo severamente i Comuni perchè rinfucolarono
de ambizioni delle singole città è ragionare con una critica da cui
trassero finora tutto il vantaggio i nostri nemici , con una critica che
gli studi moderni modificano, se non ripudiano affatto. L'Austria
aveya bisogno di far vituperare i vecchi Comuni, perchè le libertà
comunali erano le uniche che conservassero una cara e gloriosa tra
dizione in Italia e che potesşero innamorare gl' Italiani d'una libertà
non importata dall'estero e quindi non ayariata. Quelle ambizioni
logicamente non si possono chiamare infauste , perchè riuscirono dap
prima ad accentrazioni ed unificazioni parziali, e quindi a racco
gliere le forze di centinaja di repubblichette in pochi centri di vita
e d'azione nazionale. La rivalità di Pisa, di Firenze, di Genova e
di Venezia , per non parlare di quelle dei centri minori , movevano
dal desiderio che tutte quelle città avevano di costituirsi sopra le
altre, di aggregarsele e di fondere con convenzioni o colla forza ciò
che voleva rimanere diviso. A quelle lotte noi dobbiamo se , avendo
potuto costituirsi de'grandi centri , non rimase lunga pezza sboccon
cellata l'Italia in minime frazioni, se fu reso impossibile allo stra
niero di abbattere l'uno dopo l'altro i piccoli Comuni , se si evitò
la perpetuazione dei loro dissidi e guerricciuole , e se per lunga
stagione non fu permesso al forastiero didilatarsi in Italia, la quale
gli opponeva qua colà gagliardi impedimenti. Per conseguenza , si
può dire che i Comuni colle loro medesime rivalità e colle loro lotte
abbiano gradatamente, educati gli Italiani a farsi un'idea , ad accor
gersi e convincersi del supremo bisogno della unificazione nazionale,
di quella unificazione a cui Carlo Magno avea dato il colpo di grazia .
E sarebbe negare la storia se si negasse che Venezia Firenze non
abbiano mai coltivato l'idea e cercato tutti i mezzi , buoni o cattivi,
di tirare a sè tutte le altre parti della nazione e di fondare in Italia
una grande repubblica. In nome dell'Italia e delle sue libertà furono
strette molte leghe , e non solamente nel secolo XII , ma anche nei
secoli successivi e più vicini al nostro . Codeste erano le grandi e
BEATRICE PORTINARI 223
legittime ambizioni della nazione , le uniche che essa potesse avere
in quei tempi ; e, sostenere che l'istituzione comunale ( tradotta in
municipalismo) le soffocasse, è sostenere un assurdo. Cosi a me pare
che debba giudicarsi il passato , quando non vogliasi studiare la storia
sui drammi francesi, sui romanzi e sui libretti d'opera. Non è certo
ora al cospetto di tanta e si splendida unione dei Comuni italiani,
mentre non havvi città che abbia osato sollevare una questione me
ramente municipale,7 che sia lecito di far acerbe recriminazioni sul
passato dei Comuni,> di sconvolgere in loro danno la storia , d'ac
cagionarli di tutti i mali che afflissero l'Italia ,> di calunniare l'es
senza dell'istituzione comunale, e di voler responsabili i Comuni e
i loro rappresentanti dei difetti'introdottivi dallē arti austriache, che
li hanno snaturati (1). E qui , o Cecilia , discendo dal pulpito, perchè
i tre punti sono sufficientemente svolti e trattati.
Auf, auf, che lettera ! ed altro che lettera, è una pastorale bella
e buona e di quelle coi fiocchi. E i fiocchi, li sento io sulle spalle,
io che ho portato fin qui il peso della dettatura. Ma ci vuole pa
zienza , e abbiatene anche voi : e un'altra volta tacete piuttosto che
dire spropositi. Amen, amen ;'cosi sia fatto >, e cosi sia. E qui si
sottoscrive la vostra affettuosa Cecilia , segretaria generale del mini
stero dell'istruzione privata del signor barba .
V. - Cecilia alle sorelle Angelica ed Ernestina.
-

Eccovi il contadin colla raccolta , eccovi questa buona ragazza >,


la vostra sorella, che, per farvi piacere , per soddisfare alla vostra
>

erudita curiosità , viene innanzi curva sotto un monte di libri e di


pergamene. Me li ha dati lo zio , che dico avere per parte sua esau
rita tutta la parte istruttiva dell'argomento , e che , vecchio com'è,
non ha nè voglia nè tempo di raccontare come e quando una bella
fanciulla s'innamorò di un bravo ragazzo. E il buon uomo ha ra
gione , chè egli è in età di non più vedere o non ammettere
più la grande importanza che hanno per noi giovinette siffatti par
ticolari. Il brumoso inverno non ha Zeffiri per educare le rose.

( 1) E la storia, per parte saa, può esclamare: Oh felice colpa ! Imperocchè


que'tanti centri di vita nazionale lasciarono ne ' loro arrhivi copia di docu
menti che si completano gli uni cogli altri e si riscontrano a vicenda . Par
lando poi della scienza delle leggi , essa avrebbe potuto grandemente avvan
taggiarsi degli antichi codici, specialmente d - gli statuti civili , senza dovere,
con sua vergogna , per unificare anche in questa parte la pazione italiana ,
ricorrere a'codici forestieri , i quali in alcune parti mostrano lo studio già
fatto su' nostri statuti . Ne è una prova l'opera del Pardessus sul diritto ma
rittimo. Ma la roba nostra non ci è preziosa se non quando sia passata al
l'estero e ritornata a noi come merce straniera .
224 BEATRICE PORTINARI

Egli mi ha detto : Fa tu invece mia ; ti dò carta bianca , anzi


tutta questa carta manoscritta e stampata da pescarvi dentro le no
tizie che desiderano quelle ragazze. Ed ecco che , s'io fossi vendi
cativa , mi sarebbe offer ta l'occasione di farmela pagare da Erne
stina, che mi tacque fino ad oggi quel che sapeva persino il barba ,
cioè che con licenza d'approvazione de' superiori ella guarda di buon
occhio una perla di giovinotto e che si sta già lavorando per i con
fetti. Ella ringrazi il cielo , primo che il sia una pasta di zucchero,
e secondo che io non possa scrivere ad una di voi due senza che
anche l'altra legga. Voi siete indivisibili , voi altre, e fate bene, care
sorelle ; perchè cosi dev'essere tra buone e virtuose fanciulle, senza
misere gare , senza invidiuzze l'una dell'altra, Siete rose d'una
stessa pianta , d'uno stesso ramo ; e vi fa belle lo stesso sole.
Ma eccomi colle carte relative alla Beatrice. E prima di tutto un
po'di fede di battesimo della signorina . Questo grosso libro , che con
tiene la Divina Commedia di Dante col commento di Benvenuto da
Imola, vi dà la sua parola d'onesto quattrocentista che la ragazza
nacque in Firenze nel 1266 e che aveva ventiquattro anni, nè più
né meno, quando vi morì. Ella abitava colla sua famiglia presso al
canto dei Pazzi , vicino al quale era la casa degli Alighieri , in porta
san Pietro, gli uni e gli altri del popolo di santa Margherita. Nessuno
ci sa dare precise notizie di sua madre , ma, a giudicare dalla fi
gliuola e dal marito , perchè anche dal marito si può giudicare la
moglie (1), ella doveva essere una donna garbatissima , diligente delle
>

cose domestiche , e zelantissima dell'educazione della buona figliuola.


Già si sa che nelle figliuole riverberano i costumi delle madri ; ed
è proprio vero quel che dice un proverbio scozzese che « se la madre
non fosse mai stata nel forno , non vi cercherebbe la figlia. » Folco,
padre di Beatrice , è detto eminentemente buono dall’Alighieri nella
>

Vita Nuova. Sappiamo pure ch'egli era assai caritatevole verso i


poveri; bonissimo segno , perchè la carità è una virtù che non va
mai sola : non è una luna , ma un sole con calore e luce. Fu opera
sua l'istituzione in Firenze dello spedale di santa Maria Nuova. Tene
ramente egli amava la figliuola , ma quell' amore non limitavasi alle
carezze, che guastano più che educare ; ma valevasi d'ogni modo
e diogniargomento per ingentilire sempre più quella cara sua crea
turina. Egli era il buon operajo, che affaccettava il diamante e lo
rendeva doppiamente prezioso.

( 1 ) Se la donna esce da’termini, questo è (chiamiamolo per lo pome suo )


dappocaggine del marito . - Tacito, Annali, lib. III, cap. XXXIV. Ma la donna
resta sempre colpevole, e non dev'esser tale, nè più né meno.
BEATRICE PORTINARI 223

Dopo aver ringraziato messer Benvenuto d'Imola , bisogna che


cambiamo di compagnia e di guida. Lasciatevi condurre da messere
Giovanni Boccaccio , il quale è pentito de' suoi trascorsi e , se non
fosse il Petrarca che ne lo dissuade , brucerebbe già il poco morale
suo Decamerone. Egli non avrà che parole e maniere decenti e gen
tili con voi. Chè qui non si tratta d'intrattenere con lubrici racconti
delle sfacciatelle, ma di dar conto a due brave ragazze della su
>

blime fanciulla amata di purissimo amore dal suo maestro (1) Dante
Alighieri. Ecco le parole del Certaldese. Vedrete che i suoi periodi
sono piuttosto rotondi e voluminosi , ma allora era moda di farli col
guardinfanti. L'epoca dell'innamoramento di Dante , come vi dissi ,
fu circa l'anno 1274. Così dunque scrive il Boccaccio : « Nel tempo
nel quale la dolcezza del cielo riveste di suoi ornamenti la terra e
tutta per la varietà dei fiori mescolati tra le verdi frondi la fa ridente,
era usanza nella nostra città e degli uomini e delle donne nelle loro
contrade >, ciascuno indistintamente e in distinte compagnie festeg
giare ; per la qualcosa , infra gli altri , per avventura Folco Porti
>

nari , uomo assai orrevole in quei tempi tra' cittadini, il primo di di


maggio aveva i circostanti vicini raccolti nella propria casa a festeg
giare; infra li quali era il giovane nominato Alighieri , il quale ,
siccome i fanciulli piccioli , spezialmente a luoghi festevoli, sogliono
li padri seguitare , Dante , il cui nono anno non era ancor finito ,
seguitato aveva. Avvenne che quivi, mescolato tra gli altri della sua
etade, de' quali cosi maschi come femmine erano molti nella casa
del festeggiante , servite le prime mense, di ciò che la sua picciola
età poteva operare puerilmente si diede con gli altri a trastullare.
Era infra la turba de' giovanetti una figliuola del sopradetto Folco ,
il cui nome era Bice (comechè egli sempre dal suo primitivo nome,
cioè Beatrice , la nominasse ), la cui età era forse d'otto anni , assai
leggiadretta e bella secondo la sua fanciullezza , e ne'suoi atti gen
tilesca e piacevole molto , con costumi e con parole assai più gravi
e modeste che'l suo picciol tempo non richiedeva ; ed oltre a questo
aveva le fattezze del volto delicate molto e ottimamente disposte e
piene, oltre alla bellezza , di tanta onesta vaghezza che quasi una
angioletta era reputata da molti. Costei dunque tale e quale io la
disegno , o forse assai più bella , apparve in questa festa, non credo
primamente, ma prima possente ad innamorare agli occhi del nostro
Dante; il quale,> ancorchè fanciullo fosse, con tanta affezione la bella
immagine di lei ricevette nel cuore che, da quel giorno innanzi , mai

( 1) Non maestro di scuola ; maestro come sono tutti gli scrittori che vissero
prima di noi e ci lasciarono ammaestramenti di varia indole nelle loro opere .
BERLAN . Le fanciulle celebri . 15
226 BEATRICE PORTINARI

mentrechè visse , non se ne diparti (1). Quale ora questa si fosse


>

niuno il sa , ma , o conformità di complessioni o di costumi , o spe


ziale influenza del cielo che in ciò operasse , o , siccome noi per ispe
rienza veggiamo nelle feste, per la dolcezza dei suoni , per la ge
nerale allegrezza , per la dilicatezza de' cibi e de’vini , gli animi
eziandio degli uomini maturi non che de' giovanetti ampliarsi e di
venir atti a poter leggermente essere presi da qualunque cosa che
piace , è certo questo esserne divenuto , cioè Dante nella sua par
goletta età fatto d'amore ferventissimo servidore. Ma , lasciando stare
>

il ragionare dei puerili accidenti, dico che con l'età multiplicarono


le amorose fiamme, intanto che niun'altra cosa gli era piacere, o
riposo ,> o conforto , se non vedere costei. Per la qual cosa ogni altro
affare lasciando, sollecitissimo andava là dovunque potea credere ve
derla , quasi dal viso e dagli occhi di lei dovesse attingere ogni suo
bene e intera consolazione (2) » .
Queste ultime parole del Boccaccio non devono essere pigliate alla
lettera : perocchè Dante non ci farebbe mica troppo bella figura se
le volessero dire che si diè a trascurare i suoi doveri come uomo
e come cittadino per istarsene tutto il santo giorno e con tanto d'oc
chi fissi e imbambolati sulla Beatrice. Sotto la scarica elettrica di
quegli sguardi amorosi egli scotevasi anzi ed esaltavasi in sè stesso (3),
cioè ne'suoi pensieri e nelle opere. Ciò vuol dire che negli uni e nelle
altre diventava sommo. Voi medesime v'annojereste a lungo an
dare se un giovinotto stesse in perpetua contemplazione e adora
zione dinanzi a voi senza sapere interpretare e seguire col suo mi
glioramento morale ed intellettuale i suggerimenti ed i comandi della
vostra virtuosa bellezza.
Ma come ha fatto alla sua volta ,> domanderete voi , Dante a inna
morare Beatrice ? Date un'occhiatina al suo ritratto dipinto da Giotto
e vedrete subito ch'egli era tale da innamorare anche quell'angio
letto : e badate di ringiovanirlo alquanto, perchè venne dipinto quando
non era più tanto giovanetto , e di togliergli anche parte di quella
( 1) Emiliani- Giudici . « Un gran poeta, martire di veementi passioni , lascio
scritto che gli affetti della fanciullezza sono veri ma fuggevoli. ( Byron, Hours
of Ildleness ). L'osservazione, giustissima ove venga applicata alla natura or
dinaria , non è ammessibile in quegli animi di tempra maschia e d'indole
leonina che, difficili a ricevere impressioni, le ricevute serbano quasi imme
desimate con la propria esistenza e le portano seco al sepolcro. Lo amore di
Dante per Beatrice col progredire degli anni diveniva più intenso, più ardente,
e in quell'età in cui il cuore vola leggiero sulle ali della speranza, nè ha pur
anche provate le fredde , mute , strazianti furie del disinganno , fu l'unico
punto luminoso cui dirigevansi i moti tutti dell'anima sua a traverso il bujo
del terreno peregrinaggio ».
(2) Vita di Dante , edita da B. Gamba . Venezia, tip . di Alvisopoli , 1825 .
( 3) di vederli in me stesso m'esalto . DANTE .
BEATRICE PORTINARI 227
mestizia che era propria si del suo carattere , ma che le vicende po
steriori accrebbero molto in lui. Il proverbio dice : « Un cuor gen
tile con poco canape 's'allaccia » ; e Dante del merito ne avea non
per una ma per dieci fanciulle d'allora, se avesse voluto fare il pro
fumino. Maschia bellezza , figura snella, squisitezza di maniere, in
gegno straordinario , entusiasmo per la virtù e per ogni cosa bella
e generosa. E poi era poeta, il che voleva dire qualche cosa a quei
tempi. Ogni condizione sociale può dare degli amatori degni , ma il suo
era sopra gli altri degnissimo. Amor, ch' a null'amato amar perdona ;
Amore e'l cor gentil sono una cosa, dice lo stesso Alighieri; ed a
quelle dolci sue catene non potè nè volle nè pensò Beatrice sottrarsi.
Oh noi fortunate se ci toccasse un uomo che somigliasse a Dante
nella parola e nelle azioni! Ma più di qualche volta dopo avere
sprezzato questo e quello , dopo aver trovato difetti in tutti , ci ap
>

pigliamo al peggior partito e scegliamo una stupida bellezza, o ci


struggiamo per mascheroni da carnevale o per gente cosi priva di
buone qualità intellettuali o morali che meriterebbe , non la nostra
slima >, perchè l'amore dovrebbe nascere da stima e da simpatia , ma
appena la nostra compassione. Eccoci allora in compagnia di chi fi
nisce col ridurci presso a poco al suo proprio livello , anzichè al
zarsi lui fino al nostro. Sarebbe una gran bella cosa che la donna
sapesse sceglier bene e ch'ella non perdesse mai di vista la sua
missione incivilitrice. Ma quante v' hanno oggi che sappiano ee pos
sano dire: Quest'uomo diventerà migliore con me ? o : Di questo
cittadino fiacco, di questo artista o di questo letterato mediocre metto
pegno che ne farò un cittadino benemerito della patria o un artista
o uno scrittore eccellente ?
« Che ! che ! Ella 2, signora Cecilia , la si dimentica di non essere
lo zio e che questi soltanto ha il privilegio de' predicozziļ? Oh la
smetta. La ci risparmierebbe, per caso, le omelie del buon vecchio
per regalarci poi le sue pappolate ? Scenda mo' dal pulpito e non la
ci faccia la missionaria » . Così m'aspetto udirmi dire da voi, o so
relline.
Infatti io sono entrata un po'troppo nelle provincie dell'Oratoria ,
e ne ho percorso , mi pare, più di qualche distretto . È per voi un
viaggio nojoso neh? Vi do ragione; nè , abusando de' pieni poteri
datimi dallo zio , voglio obbligarvi a seguirmi più oltre. Già queste
cose le sapete al pari di me, ed al pari di me , se Dio mandi a tutte
due uno sposo perbene , siete disposte e decise , senza bisogno di
esortazioni di terzi , a far di casa vostra un istituto di perfeziona
mento. Ma per ciò dobbiamo studiare prima di tutto noi e far acqui
sto , non al minuto ma in digrosso, di tutte le virtù più belle.
228 BEATRICE PORTINARI

Dalle tue lettere , o Ernestina , io scorgo che vai studiando il tuo


Nanduccio , e che non t'arresti a' suoi pregi , ma che gli trovi an
che qualche difettino , ch'è un po'troppo collerico , per esempio ; e
>

godo che fin d'ora ti sii messa nell'impegno, senza dirlo punto a
9

lui, di correggerlo di quei troppo pronti e vivaci suoi sdegni. E tu,


o Angelica , che vedi cosi bene addentro nel bello dell'arte , se ti
tocca un Perugino , ne farai un Raffaello. Per me , sarei molto con
tenta se, toccandomi in isposo, puta caso , un negoziante, lo potessi
indurre a rispettar la legge sui pesi e le misure. Qui ci rubano due
o tre once per libbra , ed a man salva.
Questa è prosa del presente e non poesia dell'avvenire, ma anche
la prosa del presente ha i suoi diritti belli e buoni; e il mondo non
per altro si lagna se non perché la è una prosa sgrammaticata.
Sorelle care, correggiamone noi gli errori , almeno i farfalloni più
grossi, se non possiamo far altro, e faremo molto.
Mi limito a desiderare un mercatante , perchè la sarebbe troppa
grazia o troppa disgrazia se dovessi imbattermi in un poeta. I buoni
poeti oggi si contano sulle dita , ed io non m'impegno e non mi
sento in forza di ridurre le cicale ad essere usignuoli. Piuttosto che
musa senza potenza o possibilità d'ispirazione è meglio essere buona
ed utile massaja .
Oh ! oh ! mi dimenticava i documenti. E che documenti ! Non
iscritture in pergamena, sbiadite dal tempo , o corrose in parte dal
tarlo, ma sì delle ottave di quella gentile poetessa, ch'è la siciliana
Giannina Milli. Una donna illustre loda una donna celebre , e que
gli elogi sono dati a leggere per edificazione a donnine gentili come
siete voi. La cosa va in tutte le regole. È una poesia tutta per la
Beatrice , per la Beatrice, che ispirò a Dante le grandi cose e
>

i versi immortali della Divina Commedia, e che alla sua volta fu


da quelli resa immortale. E che immortalità ! Più di quella della
contessa Matilde. Di costei i soli dotti sanno chi sia stata e che ab
bia fatto ; laddove della Beatrice anche il popoletto parla e ragiona
e ve ne sa dire la storia dall'a alla zeta. Ma questo è un docu
mento ? Sì >, e uno dei più conclusivi. Un documento consolante , o
mie care, per la gente di buona volontà, come quello che dimostra
che questo mondo , di cui si dice tanto male , ha pur delle qualità
buone , e che per volgere di tempi non perde la riconoscente me
moria delle grandi virtù ispiratrici. Dopo secento anni la Beatrice è
più viva di prima.
Vi ho parlato di nonne, di sposi , di poesia , tutte cose avvenire ;
>

ho precorso i tempi : ma i tempi verranno , come è già venuto e


stravenuto il tempo di finire questa lettera, di sottoscriverla, di chiu
derla e di mandarla a voi con cento baci, o care sorelle.
BEATRICE PORTINARI 229

LA BEATRICE DI DANTE
Versi di Giannina Milli.

O gran padre Alighier, se mai da quella


Beata sede, ove s'insempra amore ,
Volgi lo sguardo a questa Italia bella
Che ti crebbe alla gloria ed al dolore,
Se cosi dolce ancor della favella
Materna il suono ti discende al core,
Tanto or mi reggi che in non basso stile
Dir possa della tua Bice gentile.
E tu , pia crëatura avventurosa ,
Non ti sdegnar se in disadorno verso
Invocata sarai , tu cui famosa
Fe' chi descrisse fondo all'universo.
Nell'ora più gentil , silenzïosa ,
Che schiaran gli astri il ciel limpido e terso,
Io di te penso e canto , e nelle rime
Ti vagheggio del tuo vate sublime.
E così viva e vera ivi tu sei ,
V celeste beltà, pinta o scolpita,
Che alla mente non sol , ma agli occhi miei
Ti mostri quale esser dovesti in vita.
L'onesto altero portamento, i bei
Lumi amorosi io veggo , e alla rapita
Alma, qual suon di musici concenti ,
Suonano i casti tuoi graditi accenti.
In quella età che ancora uom non intende
Della vita le doglie amare e tante ,
Amor , che a cor gentil ratto si apprende,
Per te si apprese al cor del sommo Dante.
Come la stella che più vaga splende,
Gli apparve il dolce tuo vergin sembiante,
E nell'ardor dell' innocente affetto
Sublimarsi ei senti l'alto intelletto . ·
Ah ! giunto appena al caro april degli anni
Spari dal mondo il tuo suave raggio ;
Fra civili tempeste e trame e inganni
Quasi smarría la sua costanza il saggio.
230 BEATRICE PORTINARI

Ma tu già tratta agl’immortali scanni


Sostenevi del tuo fido il coraggio,
E al mezzo della vita infausta e rea
Del gran poema ebbe per te l'idea :
Il gran poema, che bastar potria
Solo alla gloria della terra nostra ;
In che a note indelebili scolpia
Dell'età sua la lunga orrenda giostra .
Di santo sdegno cittadin bollia
Quel cor pingendo la tartarea chiostra ;
Ma solo amore lo ispirava allora
Ch'ei dipingea la celestial dimora.
Sopra candido vel , cinta di oliva,
Tu gli apparisti sospirata amica,
Vestita di color di fiamma viva,
Del sacro fiume sulla sponda aprica ;
Fissa in te appena la virtù visiva,
Conobbe i segni della fiamma antica,
E nelle luci tue serene e liete
Potè sbramarsi la decenne sete .
Teco al supremo ciel di stella in stella
Poggiò l'alma dai sensi peregrina,
E ogni animata eterëa fiammella
La salutò futura cittadina.
Ivi alla dolce angelica favella
Armonizzò la sua mente divina,
E qual per opra tua col guardo affisse
La portentosa visïon poi scrisse.
Di te dunque, o gentil , la cui virtute
All'arduo volo gli reggea le penne,
Mai non saranno itale lingue mule
Eccelso in tributarti onor perenue.
Dehl... mira come della sua salute
Questa terra, a voi cara, in forse or venne (1 ),
Questa terra per cui lagrime tante
Esule sparse il tuo fedele amante .
Deh ! con lui prega fine agli odi , al lutto
>

Che ai colpi del destin l'han fatta segno.


Prega rinverda e glorioso frutto
Porti la pianta dell'ausonio ingegno.

(1 ) Queste ottaye furono dettate dalla Milli in Roma nel maggio del 1857
BEATRICE PORTINARI 231
Prega che quell'amore ond'arse tutto
Dante , de' nostri cor si tenga il regno ;
Ch'ove gentile e verecondo è amore ,
Ivi tornan le genti al prisco onore .
VI . Cecilia alle sorelle Angelica ed Ernestina.
Eravamo intese che vi sarebbe bastata la Beatrice, ed ora mi sal
tate fuori colla Laura, colla Eleonora, colla Alessandra e colla For
narina ! No, care gioje, questi non sono cibi per voi, non sono roba
per i vostri denti ; ed io non ho nè tempo nè voglia di ridurvela in
panatella per accomodarla ai vostri stomachi. Lo potrebbe forse lo
zio, ma nol vuole, almeno per ora; giacchè , prescindendo pure da
altre considerazioni di assai momento , egli dice che tutti abbiamo
bisogno di meditare sulle cose lette più che di leggere continua
mente. Vedete, in mezz'ora voi avete desinato ; ma la natura im
piega ben più del triplo di questo tempo per separare quei cibi, per
lavorarli nello stomaco, per trasmutarli in sostanza di sangue, carne,
ossa , ecc. A quest'ora v'ho già date notizie di molte brave ragazze :
adesso avete la Beatrice su cui meditare. Dovrò io disturbare nei
loro eterni riposi tanti morti, perchè i loro esempi non tornino poi
in vostro vantaggio ed anzi ne facciate una flogosi o una gastrite
morale ? Prima digerite, poi discorreremo.
E prima della Beatrice, seguendo l'ordine de' tempi, non vi porsi
io contezza di quella fanciulla romana chiamata Tuzia (1) ch'era di
tanta bontà ed onestà di costumi da meritare di essere contro la
calunnia miracolosamente protetta dal cielo ? Voi non m'avete detto
se credevate o no che il miracolo fosse realmente avvenuto a quel
)
1
(

TUZIA .
Sonello di Faustina Maratli -Zappi.
Questa che in bianco ammanto e, in bianco velo
Pinse il mio genitor modesta e bella ,
È la casta romana verginella
Che il gran prodigio meritò del cielo .
Vibró contr' essa aspra calunnia il telo
Per trarla a morte inonorata ; ond' ella
L'acqua nel cribro a prova toise, e quella
Vi s'arresto, come conversa in gelo .
Di fuor traluce il bel candido core ,
E dir sembra l'immago in questi accenti
A chi la mira e il parlar mnto intende :
Gli eroi latini forza di valore
Difenda pur ; che a forza di portenti
Le vergini romane il ciel difende.
232 LE ISPIRATRICI

modo. Può l'acqua rimanersene tutta nel crivello senza spandersene


fuori neppure una goccia ? Vi servireste voi d'un simile paracqua ?
Quale divinità può essersi occupata a turarne i buchi ? Vi furono
forse dei geni invisibili e piccioletti che, postisi sotto il crivello, ab
biano chiuso que' fori colle dita ? Voi , sebbene richieste dallo zio,
non vi siete ingegnate a cavare una qualunque morale significazione
da quell'ajuto soprannaturale , avvenisse pure in quello o in altro
modo. Se ci avete pensato su , non vi par egli che si possa con
chiuderne che la Divinità non abbandona mai i buoni nelle difficili
prove e ne' pericoli, e che anzi, quando meno e da dove meno e da
chi meno si crederebbe, viene aperta alla virtù una via di salvezza?
Voi altre , che pur v'interessate alle cose dell'educazione fami
gliare, perchè non avete neanco fiatato e vi siete accontentate delle
magre notizie che vi mandai sulla educazione delle fanciulle vene
ziane ai primi tempi della repubblica (1) ? Eppure l'argomento im
portantissimo esigeva sviluppo maggiore, massime a' questi tempi,
ne'quali si giunse finalmente a capire che l'educazione della donna
è la pietra angolare della società e che la prima scuola è la casa.
Ma volevate forse ch'io parlassi piuttosto delle Marie , che , ornate
di preziosi monili, mentre nel tempio di San Pietro in Olivolo sta -
vano per essere benedette e congiunte spose a bravi giovanotti, fu
rono improvvisamente rapite da avidi, brutali e feroci corsari, i quali
senza rispetto alcuno alla loro innocenza ed alla chiesa, se le piglia
rono e le condussero sui loro legni insieme con la cassettina che
ognuna di esse portava contenente la propria dote ? La descrizione
di quel parapiglia vi sarebbe piaciuta di più , lo capisco anch'io ;
ed avreste provato interessamento anco maggiore nel leggere che
i Veneziani corsero subito alle armi ed alle navi , ed inseguiti e
raggiunti i ladroni, liberarono le giovinette e gittarono a' pesci i
corpi di quei ſurfanti. Ma da questo racconto che insegnamento ve
ne sarebbe venuto ? Avreste saputo che il porto in cui furono rag
giunti e vinti que' ribaldi prese allora il nome di Porto delle Don
zelle ; ma queste non sono le infeconde lezioni che si devono cer
care dalla storia (2).
(1 ) « La virtù e la semplicità erano i maggiori pregi delle fanciulle , nelle
quali il cambiar dell'età riconoscevasi per lo sviluppo delle membra e non
per quello dei desideri . Le loro giornaliere occupazioni erano le faccende
domestiche, di cui facevano parle colle vigilanti lor madri , che in tal modo
addestravanle a procacciarsi quella dole ch'elleno medesime recata avevano
ai loro mariti, civè un cuore puro in corpo sano , mani laboriose e industri
ed una scrupolosa esattezza nell'adempiere i doveri dei loro stato » – Giu
stina Renier-Michiel , Le feste veneziane.
(2) Il fatto avvenne nel 930 circa di G , C. Vedi Giustina Renier-Michiel ,
Le feste veneziane.
LE ISPIRATRICI 233
Una volta , mi pare nella settimana santa , epoca in cui si rego
lano i conti con nostro Signore, avete scritto allo zio che desidera
vate conoscere la vita di qualche santa fanciulla , che vi ajutasse
col suo esempio a diventar più buone. Ed egli vi ha subito soddi
sfatte. Anzi abbiamo ritardato d'un giorno la nostra partenza per
costà, affine di pescare nei libri le notizie domandateci; e, come ci
scrivevate, v'abbiamo mandate due sante Chiare, quella d'Assisi e
quella di Pisa, e, per giunta , anche santa Caterina di Bologna. Ma
pare che dopo la quaresima sia venuto per voi il carnevale ; chè
delle sante non avete discorso più, e ci resta ancora a sapere se le
virtù di quelle ottime fanciulle siano state proprio di vostro gusto ,
e se vi sia venuta l'ispirazione d'imitarle. Avete voi detto : Anche
senza aspirare all'onor degli altari, ma solo per fare il nostro do
vere ed essere benedette dalla società, noi attenderemo a beneficare
il prossimo, facendo come nella sua infanzia la vergine d'Assisi, che
toglieva al proprio corpicino i delicati cibi e, con quel miglior mezzo
che poteva , per un fidato servitore ne soccorreva qualche biso
gnoso (1 ) ?
E l'altra Chiara , quella di Pisa (2), non vi parve ella degna di

( 1) S. Chiara d'Assisi nacque nel ( 193 e mori nel 12 :2 . Vedi la sua vita
scritta da fra Valerio Veneziano (Venezia, 1590) .
LA MORTE DI SANTA CHIARA D'Assisi . Tuvola di Murillo , nella collezione
del marchese Aguado de las Marismas a Parigi . Murillo , a cui fu commessa
questa tavola pel convento di s . Francesco d'Assisi di Siviglia ( Spagna) , vi
ha spiegato tutta la fecondità del suo genio, tutti i tesori del suo sapere. La
tavola ha due parti ben distinte : nell' una si riflettono tutti gli splendori ,
tutte le beatitudini celesti ; nell' alira l'umanità si mostra sotto il suo più
triste aspetto , quello della morte . Là è un corteo di belle giovinette 9, d'una
leggerezza quasi aerea, portanti in testa una corona e nella destra una palma,
che s'avanzano condolte da Gesù Cristo e dalla Vergine Madre coronata di
regal diadema , per assistere alla suprema ora di santa Chiara , raccogliere
la sua anima e trasportarla in cielo ; quà i pii religiosi del convento di san Da .
miano che recitano preghiere. V'ha tutta la pompa divina é sacerdotale ,
terrestre da una parte , sopranaturale dall'altra ; in quella è un misto perfetto
di esseri che appartengono alla terra , in questa di altri che abitano ne' cieli ;
gli uni colle lagrime al ciglio , gli altri col sorriso de'beati sulle labbra.
(2) Santa Chiara di Pisa nacque nel 4362, mori nel 1420. Servivasi delle ric
chezze di cui sovrabbondava la sua casa per essere liberalissima coi poveri,
ben sapendo che non merita lode chi possiede le ricchezze , ma chi ben le usa ;
e che i poveri , se mancbi loro il mezzo di onesti guarlagni , hanno diritto al
nostro superfluo. Godeva conversare con innocenti fanciulle , intrattenendosi
con le quali in utili esercizi di studio e di pietà, dava a divedere che anche
le case de'secola :i ponno convertirsi in iscuole di costumi e di sapere e che
la casa è veramente un santuario. Non aveva che quindici anni quando le
nori il marito ; e quando, per seguire la sua inclinazione, ella abbandono il
mondo e si chiase in un convento , l'accompagno il rispetto e la venerazione
d'ognuno, né la società potè rimproverarla di essersi esonerata dai pesi co
muni a talli , perchè ella generosamente gli aveva come gli altri e meglio
degli altri portati . E bench'ella si fosse rinchiusa , non tolse però altrui gli
effetti della sua carità , continuando a spargere anche al di fuori le sue be
234 LE ISPIRATRICI
amplissima lode ? Vi sentireste voi il coraggio all'occasione, di far
come lei ? Vi ricorderete avervi io scritto che ancora fanciulla, cioè
nel suo duodecimo anno, uscita dalla casa paterna dei Gambacorti
per andare sposa al nobile Simone da Massa, ella non fu donna che
di nome ed angelo in tutto il resto. Come stiamo a carità ? Avete
voi spinto la vostra fino a vincere , come lei , il naturale ribrezzo
che viene dal curare piaghe schifose negli spedali ? Voi invece fate
le smorfiose quando la povera nonna sbruffa o sbava più dell'or
dinario.
E santa Caterina di Bologna (9) come la trovaste ? Vi par egli che
ne siano molte delle ragazze come lei , che , piuttosto bruttine, non
invidiino alla bellezza delle loro compagne, e non se ne vendichino
coll'essere fastidiose, brontolone e mordaci ? Se non poteva dirsi di
Caterina che ell'era la più bella, dicevasi però ch'era la più brava
ed anche la più buona , perocchè mostravasi con tutti piacevole e
di graziose maniere. Dal contatto coi grandi ella non contrasse la
loro albagia; fu modesta, fu umile ; ed amò la obbedienza, sebbene .
convivesse con gente usa a comandare.
Libere da pregiudizi, avete voi dato ragione in tutto e per tutto
alla Cecilia Gonzaga di Mantova (2), che, fanciulla, abbandona padre,
madre e fratelli, e, contro il loro espresso volere , si chiude in un
monastero ? Ella sapeva molto: aveva studiato lettere italiane e la
tine da Vittorino da Feltre , ma le mancava d'imparare un'altra
cosa importantissima, cioè che per diventare santi non occorre niente
affatto abbandonare il mondo, e ch'esso vi dà modo di esercitare
qualunque virtù, e, gli viene il ghiribizzo, oltre che santi vi fa an
che martiri. Il proverbio che dice : « È meglio obbedire che santifi
care » , quello si ha ragione.
Trattandosi d'una nostra concittadina, della brava ragazza Emi
lia Lampugnani, speravo che m'avreste almeno ringraziata di aver vi
Darrato il suo eroismo, grande in vero, se per salvare il fratello non
dubitò di chiudersi in prigione e di essere tratta al patibolo in sua
vece (3).

neficenze col mezzo di un suo fedel servitore, a cui era permesso di visitarla
ed a cui dava di quando in quando qualcheduno de' suoi giojelli perchè li
vendesse e ne dispensasse il prezzo a'poveri . Veggasi il Villegas.
(1 ) Nacque nel 1413, mori nel 1463. Suo padre fu Giovanni Negri di Ferrara ,
lettore nell'università bolognese : sua madre , Bonaventura Mammolini . Il
Negri fu agente, poi ambasciatore del marchese di Ferrara presso i Veneziani .
(2) Visse dai 1425 ai 1451. Vedi Vespasiano Bisticci , Frammenti d'un trat
tato storico-morale , e notizia d' alcune illustri donne del secolo XV.
(3) Nel secolo XVI, poco tempo dopo che Giangiacomo Trivulzio era stato
governatore di Milano, avvenne che Filippo Lampugnani , giovane ventenne , di
spiriti bollenti e piattosto rissoso, accidesse in duello an amico del nuovo
LE ISPIRATRICI 235

Vedete quanta roba non digerita avete ancora sullo stomaco ? ve


dete quanti problemi avete tuttavia a risolvere e quante risposte a
mandare ? Ma voi avete il mal della lupa ; ma voi siete come la
buca della Posta, che per ricevere sempre, state colla bocca aperta
e non date mail
Nè andate in collera, signorine mie, non isforzate la voce per gri
dare che qualunque pretesto m'è buono per farvi gli esercizi spi
rituali . Guai se date segno della più piccola impazienza ; perchè al
lora subito vi domando : Che ne avete fatto degli esempi dativi nella
sua fanciullezza da Angiola Cimini, marchesa della Petrella (1) ? V'ho
mandato pure un estratto del panegirico che ne scrisse l'illustre
Giambattista Vico. Che avete fatto di quella ricetta contro le eru
zioni dell'ira ? Quando l’Angiola (dice il Vico in due de' suoi pe
riodi che non hanno le solite trenta o quaranta linee di superficie
quadrata ) non era compiaciuta di qualche fanciullesco suo talento,
si crucciava a tal segno che, gelfatasi lunga a terra, tutta vi si af
fliggeva, fino a percuotere sul duro pavimento il tenero capo . Que
sto era il suo male , e mal serio ,9 perchè accompagnato , come ve
dete , da violente convulsioni; ma il recipe ? Il recipe , lo specifico
>

infallibile , ve lo dirò io, se ve lo siete dimenticato , ed era quello


delle astinenze (8), delle mortificazioni, dei digiuni e degli ottavari.
governatore , da cui era stato provocato . Preso, fu condannato nel capo. Men
tr'erli'era carcerato , riuscì alla sorella di lui, Emilia, che aveva appena di
ciott'anni e lo amava teneramente , di entrare nella sua prigione, ed a forza
di preghiere e di lagrime lo indusse a vestirsi de ' suoi abiti femminili ed a
mettersi in salvo. Ella rimase. Che ne avvenne ? Da tanta virtù non commosso
ma istizzito il feroce governatore , ordina che sia tratta a morte. Non regge il
cuore a Filippo che la sorella si sacrifichi per lui e presentasi . Ma a morte
ambedue sono condannati , e già ambedue s'incamminano al supplizio . Si fa
allora bisbiglio e tumulto nella folla ; e i principali cittadini intervengono , e
tanto pregano e tanto s'adoprano che viene sospesa l'esecuzione della sen
tenza fino a tanto che ne sia informalo il re Francesco I di Francia. Il quale ,
maravigliato dell'eroica virtù della donzella, assolve e libera ambedue . Assai
più diffusamente il De-Cristoforis nell'Antologia italiana , Cremona , Otto
lini , 1859, pag . 137.
(1) Nacque in Napoli nel 4707, morì nel 1727. Il suo elogio, scriito da G. B.
Vico trovasi nel volume che ha per titolo : Ultimi onori di letterati amici in
morte di Angiola Cimini, marchesana della Petrella . In Napoli, Mosca 1827.
(2) Il Vico, I. C. Incominciò costei da tene a fanciulla a combatiere que
sto rabbioso, fiero nemico, e a domarlo in uso della virtù ; perocchè avend !
ella lo stomaco di una stravagante ferocia o risentimento , perchè peccando,
>

pur troppo nella collera il suo temperamento, doveva ben anche in lei essere
di tal indole indomita ed orgogliosa qaelia parte delle nostre viscere dove
essa collera fa le sue principali funzioni; onde gli autori del greco favellare ,
che fa la lingua dei filosofanii, con voce eroica e presso che naturale, chia
marono stomaco l'iracondia ; quindi come di si fatto morbo ammalata , non
potendo indursi in sua casa a patto veruno neppur a gustare alcune vivande,
quantungue delicate e laute, che non l'annojassero, i genitori commisero la
guarigione alla maestra della fanciulla : la quale perciò o a desinare o a cena
236 LE ISPIRATRICI

Adunque vigilia a pane ed acqua per tre giorni , care sorelle , se


andate in collera.
Ah ! voi volete delle ispiratrici ? Eccovene una che v’inspirerà a
flagellarvi ed a non mangiare quando sentite accendervi dagli ar
dori dell'ira, anche per evitare le coliche e l'itterizia.
Lo zio m'aveva raccomandato di non dirvi nulla, proprio nulla
di ciò che richiedevate; l' ho obbedito, e, per non dirvi nulla, ho
già empiuto sei buone pagine di roba. V'ho fatto un po' di ripeti
zione : ma ve ne avrete perciò a male voi che siete così buone ? E
tutte le parole mie le prenderete voi sul serio ? Avete troppo spi
rito per non farlo.
E colla presente lettera vi giungeranno quattro mazzi di fiori che
io ho raccolti posti insieme colle mie stesse mani. Non avrete bi
sogno del professore d'aritmetica per dividerli tra mamma, papà e
voi. Addio, sorelline, addio.
VII . Cecilia alle sorelle Angelica ed Ernestina.
Lo zio , ricevuta la vostra rispettosa istanza , dopo mature rifles
sioni, come buon ministro dell'istruzione privata si è finalmente de
ciso di promulgare la seguente Grida :
Vista la supplica delle nominate Angelica ed Ernestina degli Ita
lici, domiciliate in Milano, nostre dilettissime nipoti ;
Udito il nostro Consiglio privato in persona dell'amatissima gio
vane Cecilia, nostra f. f. e consiliaria a secretis ;
Considerando che in casa Italici , oltre il quadro della Beatrice,
vi sono pendenti dalle pareti della sala quelli pure che rappresen
tano Laura, Eleonora; Alessandra e la Fornarina;
Considerando che le suddette petenti nulla sanno di queste quat .
tro signore , più o meno fanciulle, più o meno ispiratrici e più o

ponendole non altro innanzi che alcune delle mal viste vivande, la fanciulla,
trista ed in grave mestizia rassegnata e composta, non d'altro che di abbon .
danti lagrime si cibava, disposta di morir dalla fame piuttosto che di legger
mente assaggiarle . Così ella , quantunque con vano effetto di emeudare siffatto
vezzo, che cagionolle poi gravissimi dolori e finalmenie la mo le , cominció
con penitenze si gravi a rompere l'orgoglio di quel fiero leone che pascono
dentro i loro petti i collerici, e molto più il fiacco e vinse con gli studi delle
letiere e sopratutto con gli esercizi della cristiana pietà : co' quali a tal segno
addimesticollo che, divenuto donna , chiunque non l'avesse innanzi mai cono
sciuta, se non fosse egli stato sperto filosofo de ' caratteri degli umani costumi,
il quale dagli agili e presti movimenti del capo di lei e dallo svelto e spedito
por amento avvertito avesse un certo spirito e fuoco, alle piacevolissime e non
mai in suono alterate, non mai in tempo affretlate parole, ed a’sensi altera
mente umili e pieni di sigaorile mansuetudine , l'avrebbe ce·tamente creduta
flemmatica anzi che no " .
LE ISPIRATRICI 237
meno italiane: perocchè ci sta di mezzo la suddetta Madonna Laura ,
ch'è di nascita francese ;
Considerando che il padre delle medesime postulanti, signor Paolo
degli Italici, ne sa in proposito di ciò nulla più delle figliuole , de
dito com'è totalmente alle speculazioni di borsa , all'alzare e all'ab
bassare dei fondi ed alla coltivazione dei bachi da seta ;
Considerando che le ragazze sopradette, figliuole del detto Paolo
e nostre amatissime nipoti, si struggono della gran voglia di saperne
qualcosa per far buona figura in società, ove correrebbero risico di
essere messe io canzone, se, interrogate, non ne sapessero dir verbo ;
Considerando che la curiosità del sesso femminino è ne' suoi ef
fetti come il fuoco sotto una caldaja vuota ;
Considerando ch'è meglio dire le cose come stanno anzichè ta
cendo stuzzicare la detta curiosità , che fantasticando sogna ed in
venta sempre il peggio :
La quale cusiosità data sino dai tempi di Eva, quando questa no
stra buona arcavola piantavasi sotto gli alberi onde udir quel che
dicevano le bestie per farsi poi infinocchiare da quell'indiavolato
serpente -papagallo ;
Considerando che anche al giorno d'oggi le bestie parlano, non
più fra le foglie degli alberi, ma si coi fogli e coi libri cattivi e li
cenziosi, che rivolgono a male, a scandalo ed a perdizione della in
cauta gioventù anche le cose più pure ed innocenti;
Per togliere di mezzo questo pericolo ;
Per soddisfare al sopradetto bisogno ;
Per esaudire benignamente le umili supplicazioni sporte dalle so
pranominate petenti;
Di nostra piena autorità e certa scienza ;
Abbiamo ordinato ed ordiniamo :
Art. I. Le sopradette signore Laura, Eleonora, Alessandra e For
narina, ciascheduna per la propria parte, sono invitate a dar buon
conto di sè alle nominate Angelica ed Ernestina;
Art. II. Le sopradette signore Laura, Eleonora, Alessandra, e For
narina, avendo a parlare della Beatrice, la chiameranno sempre col
nome di nostra principessa e di nostra imperatrice, e non conside
reranno sè stesse che come ispiratrici di secondo ordine;
Art. III. Le medesime signore Laura , Eleonora, Alessandra e For
narina non saranno ammesse a far pomposi elogi della loro bellezza,
e si ricorderanno sempre e poi sempre che sono famose soltanto pel
gran bene che della loro virtù hanno detto i rispettivi loro amanti,
poeti , pittori od artisti;
Art. IV. Madama Laura de Sade, già amante del Petrarca na
238 LE ISPIRATRICI

tiva d'Avignone, olim città pontificia, parlando della sua patria non
si darà l'incomodo di sprezzare la nostra , e si risparmierà i chez
nous che ci regalano al solito i suoi connazionali ; tenendosi bene a
mente che per giungere all' immortalità nessuno del suo paese l'ha
ajutata, e ch'ella ha avuto bisogno delle ali di un Italiano ;
Art. V. La signora Cecilia , nostra amatissima nipote , segretaria
>

generale e consigliera intima, è incaricata dell'esecuzione del pre


sente decreto .
Dato ecc., ecc.
Angelica ed Ernestina, foste ben fortunate ; la vostra lettera trovò
lo zio in un buon momento ; onde umoristicamente, per dirvi di si,
egli ha adottato la forma dei decreti. Vi parrà forse strano ed ori
ginale quel suo volere ch'io evochi le ombre di quelle signore e
che ad una ad una ve le faccia parlare. Crudel barba, così giovane
convertirmi in istrega, in pitonessa ! Ma egli vuole così , ed anche
ridendo vuole . Ed è forza obbedirlo, perchè bisogna vedere con che
maestria, se io non obbedisco, e' mi fa passare' ad un tratto dal riso
al pianto. Allo un mago anche lui, ma a sole parole e senza la
bacchetta. Abbassate adunque la testa a'suoi voleri e preparatevi a
ricevere la visita delle quattro signorine. Non fatevi belle veh, per
non iscomparire dinanzi ad esse : ora non le sono che pelle ed ossa,
e sarà molto se pur vi giungeranno in questo stato di cartapecora .
Addio, buone sorelline, addio.
VIII . Cecilia alle sorelle Angelica ed Ernestina.
Voi non lo crederete, ma jersera, messami a dormire colla testa
9

piena ed invasata delle cose che avevo letto di Madonna Laura, ho


sognato tutta notte di lei. Mi pareva di essere in giardino , presso
al portone che dà sulla strada maestra >, sotto il pergolato di viti.
Languido era il raggio della luna, perchè velata da nubi. Senza fia
tare io me ne stavo tutta intenta di sotto alla gabbia dell'usignuolo
che la mattina m'era stata regalata dallo zio , aspettando che in
quei silenzi , non vedendosi disturbato e non credendosi veduto
da alcuno , per la prima volta cantasse. E guardavo ora il cielo,
ora verso la parte dei monti , per osservare se nuovi e più grossi
nuvoloni minacciassero temporale ; chè in tal caso pensavo ritirare
la gabbia e portarmela in camera. Lo zio di tratto in tratto mi chia
mava dal salotto del pian terreno ; ed io facevo quattro passi verso
il salotto, poi tornavo indietro, insieme desiderosa del canto dell'u
signolo e impensierita del tempo. Quand'ecco parmi d'udire un ru
more di pesanti ruote sulla strada maestra e poi una musica >, ma
LE ISPIRATRICI 239

triste, lugubre: avreste detto che passasse qualche mortorio. Come


mai a questora ? dico fra me ; e, vinta dalla curiosità, apro lo spor
tello e mi affaccio alla grata. Che vedo io mai ? Un postiglione, anzi
una postigliona di nuovo genere , che non imbrandisce uno scudi
scio ma una falce , e , magra, secca , stecchita , guida due scheletri
di cavalli tirantisi dietro un carro. E' mi pareva uno di quei carri
del giovedi grasso che noi chiamiamo barconi, ornato esternamente
di drappi e festoni bianchi e neri. Dentro v'era gran quantità di
persone, anch'esse pallide, sparute, lanternute, cogli occhi infossati
e colle facce incadaverite. La banda, cioè il corpo de' sonatori, ve
niva a piedi ; e tutti aveano visi da cimitero , pareano scappati da
qualche museo anatomico : chi era livido , chi rosso , chi nero , chi
verde , chi pieno di pustole giallo - verdognole nel volto ; e sonando
facevano contorsioni e visacci da spiritare. Erano tutti coperti, fuor
chè viso e mani colle quali tenevano gl'istrumenti , di lunghe len
zuola bianche con sopra in banda una stola ; ed ogni individuo nella
sua stola nera aveva un diverso nome in caratteri di fiamma. E per
entro quella luce fiammea ma trasparente nulla si vedea ; dentro era
affatto vuoto : ed io mi meravigliava che potessero camminare teste
e braccia senza corpo e gambe. I caratteri di ognuna di quelle stole
dicevano l'uno vajuolo, l'altro polmonite, un terzo coléra, un quarto
tetano , un quinto tifo , ecc., ecc. Oh ! è la mascherata della Morte,
dissi io, cominciando a tremare ; ma una forza irresistibile non mi
permetteva di togliermi di là. E testa e mani, colle quali stavo ap
poggiata alla grata, mi parevano inchiodate anzi impiombate ad essa
e che il resto del corpo cascasse giù a penzoloni. In quella passava
il carro proprio davanti al portone, e cessava la musica. Io fiso gli
occhi per vedere se fra tanta gente vi fosse un amico o alcuno di
mia conoscenza : e scorgo la Lisetta , appena decenne, morta jeri
mattina di encefalitide. Non s'avvide ella di me , perchè , toltasi di
capo la corona di rose bianche, macchinalmente le sue mani la vol
tavano di qua e di là mentre un raggio di luce che le usciva dalle
occhiaje tendeva al cielo. Ma una donna di quel numero , da me
non mai veduta , facendosi largo fra quella gente e venendo al ci
glio del carro, mi faceva segni. Mi pare che io gridassi: « Mamma,
babbo , barba, ajuto ! ajuto! mi vogliono portar via » ; e, tutta spa
ventata, chiudevo gli occhi . Riapertili, vidi alla grata quella donna,
che col suo viso pallido quasi sfiorava il mio. Tornai io allora a
chiudere prestamente gli occhi, ma ella con dolci accenti, cercando
rassicurarmi , diceva : « Alle fattezze conte non mi riconosci? Son
Laura, quella Laura che tu volevi mandar a visitare le tue sorelle
Angelica ed Ernestina, e che invece viene ella stessa a far visita
240 LE ISPIRATRICI
a te. Tu dirai ad esse come io son fatta , cioè come sono sfatta ; nè
ci vollero anni o secoli per ridurmi a tale >, ma bastarono pochi
giorni posciachè fui sotterra. O giovinetta , la bellezza passa e non
dura, e passa assai rapidamente, e sovente molto prima che venga
la morte ; la virtù sola dura, quella si è eterna » . È brutta an
<<

coral pensava io tra me e me ; parla bene , ma è uno scheletro ; oh !


non riapro certamente gli occhi ; e con voce sommessa e pau.
rosa le rispondevo : Si , si , buona signora , è vero .... purtroppo !»
Ond'ella , che s'accorse di spaventarmi tanto , si staccò alquanto da
me. Poco dopo , credendomi sola , apersi un po' alla volta gli occhi,
e mi fu grata sorpresa il vedere che si era posata vicino a me un '
altra , ma bellissima ragazza . Mi rassicurai allora , e mi tornarono
tutte le forze e la curiosità di sapere chi ella fosse e la voglia di
interrogarla ; perchè tra ragazze c' intendiamo presto e facilmente .
Ma quale stupore fu il mio quando , facendosi ella a parlare, io udii
la stessa voce , un po' più argentina , ma pur la stessa voce dirini
soavemente : « Sono madonna Laura » , Mi posi" allora a guardarla
ben bene, e la luna che faceva capolino dalle nubi e rischiarava i
nostri volti rese più facile e più pronto il mio esame. Confrontan
dola colle fattezze di quella che avevo veduto prima , scorsi infatti
gli stessi contorni e gli stessi lineamenti , ma tutto il resto oh quan
t'era diverso ed oh quant' era bello ! Alla memoria mi ricorrevano
le bellezze che io avevo letto di lei e fors’ era quella rimembranza
che ora me la tramutava affatto . Un angelico volto sovrastava ad
un candido collo ; gli occhi sfavillavano dolcemente ; la bella bocca
sembrava sparsa di rose e racchiudeva candide perle ; una candida
e sottil mano ; dita schiette ; un piede breve , leggiadro ; una voce
chiara , soave , angelica , divina ; tutto , insomma , concorreva a for
mare una beltà che al mondo non ha pare (1 ), Poi non so com'ella

( 1 ) Cosi in una descrizione del Levati, a cui le rime del Petrarca diedero
i colori per formare questo ritratto. Nel sonetto LX il poela cosi dipinge le
celestiali
bellezze della sua donna :

Erano i capei d'oro a l'aura sparsi ,


Che in mille dolci nodi gli avvolgea :
E'l vago lume oltre misura ardea
Di que' begli occhi ch ' or ne son si scarsi ;
E’l viso di pietosi color farsi ,
Non so se vero o falso , mi parea :
l ' , che l'esca amorosa al petto avea ,
Qual meraviglia se di subit’arsi ?
Non era l'andar suo cosa mortale ,
Ma d' angelica forma; e le parole
Sonayan altro che pur voce umana.
LE ISPIRATRICI 241
entrasse nel brolo, perchè il portone era chiuso ; nè so come dalla
grata, ov'ero quasi avviticchiata , tutto ad un tratto io mi trovassi
a passeggiare ed a ragionare con lei. Mi pareva che quindi entras
simo nel salotto, e, fatteci presso alla finestra , ella mi parlasse con
con molta umanità dell'esser suo. Lo zio era in un angolo della
stanza , tutto assorto in non so qual lettura , ma di quando in
quando alzava gli occhi verso di noi , come fosse colpito da al
cune parole della Laura ; allora stava alcun po' come in attenzione
e ci guardava attraverso de' suoi grandi occhiali, poi si riponeva a
leggere, come indifferente a tutto il resto che discorrevamo noi. - È -

proprio vero disse Laura, che il vostro gran poeta rappresentò coi
suoi amori le simpatie degl'Italiani per la nazione francese. Nessuno
dei grandi italiani si vantò d'amare donne tedesche. Torquato Tasso
non usci d'Italia ma dalla sua condizione, amando una principessa.
Dante amò un'italiana , una sua eguale , ed anche per questo , se
2

nell'amore vi potesse essere elezione ed il bello non avesse un ca


rattere di universalità, sarebbe preferibile agli altri. Quanto alle re
lazioni dell'Ariosto colla vedova Strozzi non val la pena d'indagare se
fossero cosa affatto platonica e tutto spirituali, e se lo levassero troppo
di terra. Circa a' miei amori col Petrarca >, e direi piuttosto a' suoi
con me, credetemi che, se tutti gli stranieri avessero corrisposto alle
vostre più o meno ragionevoli simpatie per essi come io risposi al
l'affetto di Francesco, non ne avreste avuto vergogna e danno ma
gloria e vantaggio. Egli avea ventitrè anni quando vide me giovi
netta in una chiesa (1) : era, me ne ricordo bene , il venerdi santo ;
ma la santità del luogo e del giorno non fu profanata da quegli
sguardi amorosi , perchè non era un amore che stornasse la crea

Uno spirto celeste , un vivo sole


Fu quel ch'i'vidi : e, se non fosse or tale ,
Piaga per allentar d'arco non sana .
Da Simoneda Siena fu dipinta Madonna Laura col Petrarca nella gran cap
pella di Santa Maria Novella di Firenze da altri non da lui , fu scolpita in
marmo verso l'anno 1314. Casa Nani di san Geremia , in Venezia , possedeva
il ritratto da lei dipinto da Gentile Bellini . L'effigie che vedesi nelle vite e ri .
tratti delle donne celebri d'ogni paese, opera della Duchessa d'Abrantes, con
appendice italiana, Milano , Stella , 1836 , è cavata da un dipinto della casa
Piccolomini di Siena. Antonio Meneghelli nel suo opuscolo Sul presunto ri
tratto di madonna Laura, Padova , tip . della Minerva , 1822, offerse i contorn
di due ritratti : l'uno è preso dalla stampa del Canzoniere, edizione del G
glio, 1953, ed è perfettamente conforme alla miniatura del codice Laurenziano
di Firenze ; l'altro dall' intaglio che adorna quella del prof. Marsand.
( 1 ) Nell'anno 1327 , alli 6 di aprile , all'aurora , in Avignone nella chiesa d
santa Chiara ; cosi secondo una lettera attribuita al Petrarca e da lui , di
cesi , scritta in un suo Virgilio.
9

BERLAN. Le fanciulle celebri. 16


242 LE ISPIRATRICI

tura da Dio, anzi più ve l'avvicinava (1). Io aveva a mia guardia la


coscienza del dovere , il sentimento della mia dignità ed il rispetto
eziandio per l'uomo che sapevo dotato di sublime intelligenza. La
sua ammirazione per me io argomentava non dovesse aver nulla
di basso e volgare. Io era tal fiore che sarebbesi vergognato di non
avere fragranza pari alla sua ammirata bellezza. Non lo ingannai nè
lo traviai. Io preferii l'adorazione dell'ingegno a quella dell'uomo;
volli ispirare il poeta, senza perdere me stessa. Stavo per dirle :
Ma voi , signora Laura, eravate sposa già da due anni del cava
Ma ella prevenne la mia osser
liere avignonese Ugo de Sade (2), — Mà -

vazione ; del che io sentii piacere, perchè in verità provavo rincre


scimento a darle simile mortificazione. — 10, soggiunse Laura,
per volere de'miei parenti, per convenienze di famiglia, m'ero acca
sata con Ugo ; senza inclinazione vera per lui, non ti dirò se io fossi
felice : ma t'assicuro che mi feci una legge, una religione, e sempre
( 1) Il Petrarca ( Canzoniere, parte I , canzone VII ) afferma che dagli occhi di
Laura innalzavasi a contemplare il cielo :
Gentil mia donna, i' veggio
Nel mover de ' vostri occhi un dolce lume
Che mi mostra la via ch' al ciel conduce ;
E per lungo costume
Dentro là dove sol con Amor seggio
Quasi visibilmente il cor traluce .
Questa è la vista ch'a ben far m’induce
E che mi scorge al glorioso fine ;
Questa sola dal vulgo m'allontana :
Nè giammai lingua umana
Cantar posia quel che le due divine
Luci sentir mi fanno.

E nel libro de contemptu mundi : « Lo amore della mia donna mi persuase


e insegnò il modo di amare Dio r.
Nel sonetto CLII egli propone Laura a sè stesso come un modello di virtù
da doversi imitare :
Anima, che diverse cose tante
Vedi , odi e leggi e parli e scrivi e pensi :
Occhi miei vaghi ; e tu, fra gli altri sensi,
Che scorgi al cor l'alte parole sante ;
Per quanto non vorreste o poscia od ante
Esser giunti al cammin che si mal tiensi ,
Per non trovarvi i duo bei lumi accensi
Ne l'orme impresse dell'amate piante ?
Or con si chiara luce e con taj segni
Errar non dessi in quel breve vïäggio ,
Che ne può far d'eterno albergo degni .
Sforzali al ciel, o mio stanco coraggio,
Per la nebbia entro de ' suoi dolci sdegni
Seguendo i passi onesti e'l divo raggio.
(2) Ed era figlia di Audeberto di Noves , cavaliere e sindaco di Avignone .
LE ISPIRATRICI 243
la rispettai , di essere degna di lui e di non far onta al suo nome.
Vinsi la debolezza del sesso , misi a guardia intorno al cuore tutte
le virtù ; nè i mali esempi altrui mi sedussero, nè il continuo scan
dalo che veniva a lutti dalla corte romana, che avea allora sua
sede in Avignone, mi rese corriva ed indulgente verso me stessa.
Per tranquillare la mia coscienza io non ebbi mai bisogno d'invo
care nessuno dei trentuno articoli del Codice d'Amore (1), che allora
era in uso ed osservanza; il quale ci affidava che il matrimonio non
ostava all'amore, avvegnachè nell' uno tutto sia necessità, nel secondo
inclinazione, e però ogni donna poter essere moglie casta ed irre
prensibile di un uomo ed amante fervidissima d'un altro. Io ripu
diai quella comoda filosofia, la quale, piuttosto che a mantenere in
tatto, serviva, come fu detto benissimo, a ritessere o rattoppare il ve
nerabile manto platonico. Io non fui amante di Francesco nel senso che
comunemente si dà a questa parola, fui piuttosto la suora di carità del
l'anima sua e, come sorella, usai pel suo bene ora di una dignitosa soa
vità, ora di dolci durezze. Io raffrenai e diressi i moti del suo cuore, e
in lui potei più io che l'ambizione e più che il suo naturale ingegno e
più che ogni cosa creata onde spingerlo a volare diritto alla glo
ria (8). De’miei rigori ebbe a lagnarsi, e poi , rinsavito, a rallegrar
sene, ma non si vantò mai di avermi fatta uscire anche d'una sola
linea dal muliebre decoro (3) . Io era quel nocchiero che salva sè
stesso salvando in mare infido e burrascoso la nave onusta di pre
zioso carico. La prova era pericolosa , la missione difficile ; ma io
non venni meno. Tu però consiglierai le tue sorelle e le amiche a
non perigliarsi in amori platonici, a non dividere con ispeciosa teo
ria l'amore in corporeo e spirituale , perchè questa divisione non
serve il più delle volte che a ingannar il dovere ed a soddisfare la
passione. L'amore platonico, perchè si mantenga puro, esige una virtù
che non è da tutte le donne. Allora i tempi lo concedevano, seb
bene non tutti gli uomini lo tollerassero : ora no, e debbesi non solo

(1) Emiliani Giudici : « Nessuno finora ha osato affermare se il famoso Co


dice d'Amore fosse dettato da una o da un congresso di_dame; certo è che
fu conceputo con profondo intelletto di politica ; e, comeche parecchi dei tren
tuno articoli che lo compongono si contradicano apertainente , pure chi vi
guardi addentro scoprirà che non uno ma due sono gli amori , e che il per
petuo ufficio dello spirituale ( in quel codice ) di coprire con la sua ombra
il corporeo, più impetuoso e meno bello a vedersi .
(2 ) Emiliani Giudici .
(3) Petrarca, Canzoniere, Parte II, sonetto LXXXVI :
Dolci durezze e placide repulse,
Piene di casto amore e di pietate ;
Leggiadri sdegni , che le mie infiammate
Voglie tempraro (or me n'accorgo ) ensulse.
244 LE ISPIRATRICI

seguire in tutte le azioni il sentimento del dovere , ma aver anche


rispetto all'opinione pubblica , che non ama le posizioni equivoche,
e ch'è facile à condannare, difficile ad assolvere e più difficile an
cora a rivocare i proprî giudizi , anche se mal fondati od ingiusti.
Le incaute non avranno un Petrarca che le difenda co' suoi versi
immortali, un Petrarca che insegua, a così dire, i secoli per costrin
gerli a rispettare ed onorare la donna rispettata ed onorata da lui (1).
Dicendo quest' ultime parole il viso di Laura illuminavasi di vi
vissima luce , ed ella tutt'altra pareva nell'aspetto e nel guardo. I
suoi lineamenti, le sue fattezze gradatamente si scomponevano come
cera al fuoco , per diventar fuoco e luce anch'essi. In quella face
vasi udire il canto dell' usignuolo, che deliziosamente gorgheggiava.
Laura non era più meco ; erano scomparsi quei chiarori, era tornata
la notte con appena un debole raggio di luna ed io non so come, 2

( 1) Il Petrarca nell'opera De contemptu mundi : « Non ho addetto l'animo


mio a cosa mortale ; non ho amato il corpo quanto l'anima sua ; innamorai
ne'suni sovrumani costumi , lo esempio de' quali mi è scorta a non farmi
deviare dal sentiero che conduce alla patria degli elelti . Nel mio amore
niente fu turpe , niente osceno , niente colpevole fuorchè la sua veemenza....
Donne mortali erano Taide e Livia , non questa mia, la cui mente , scevra di
tutte le sollecitudini terrene , arde di celeste desiderio. Nel suo aspetto rifulge
un raggio della bellezza di Dio : i suoi costumi sono specchio di perfetiissima
onestà ; la voce , il muovere degli occhi, lo incesso di lei non sono da creatura
mortale .... Quel tanto ch'io mi sono, a lei solo lo debbo ; nè sarei giunto a
conseguire quel po'di nome e di gloria che ho , s'ella co'suoi nobilissimi
affetti, non avesse alimentato e fatto germogliare quella piccula semente di
bene che natura mi avea posta nel seno. Ella ritrasse l'animo mio giovanile
da ogni turpitudine , ella si me ne ritrasse , come suol dirsi , con l'uncino,
9

forzando i miei sguardi a più nobile meta. Non vi fu lingua cotanto spieta
tamente mordace che abbia avuto ardimento di addentare la fama e trovare ,
non dico negli atti , ma nelle stesse parole di lei la menoma cosa a ripren
dersi . Anche laluni , dalla cui maldicenza non campò mai nessuno , furono
costretti ad ammirare e riverire quest'una . Dopo ciò, è ella maraviglia se una
fama sì bella mi accendes se in petto il desiderio d'innalzarmi anch'io a più
illustre rinomanza e mi rendesse meno dure le durissime fatiche a conseguirla ?
Negli anni miei verdi quale altro pensiero ebbi mai se non quello di piacere
a lei sola, a lei, che fra tutte mi era sola piaciuta ? E, a fare ciò, tu sai come
io spregiassi mille lusinghieri diletti, ed a quante cure, a quanti travagli anzi
tempo mi sottoponessi . Debbo io dunque dimenticare non che amar meno colei
che mi trasse dalla volgare schiera e, fattasi guida a tutti i miei passi , libero
il mio ingegno dal pondo che l'opprimeva e desiò il sonnacchioso mio spi
rilo ?... Che più ? quando anche ella mi precedesse al sepolcro , vivrei inna
morato della virtù sua, la quale non fia estinta giammai . Ma ripeto , e giuro
in nome della verità che m'ispira , e chiamo in testimonio la mia coscienza ,
che non amai il corpo di Laura al pari dell'anima sua . Già il vedi , ella pro
gredisce negli anni, e il tempo , fatale alla bellezza corporea , la incalza ; non
per ciò il fuoco d'amore mi arde meno vivo nel seno : e come quel fiore che
splendeva sì bello nella primavera de' giorni suoi va mancando , la beltà dela
l'animo si accresce . E perchè questa , non quello , mi fu cagione ad amare , così
m'insegnò a perseverare . Che se mi fossi invaghito del corpo , avrei già da
lungo tempo mutato proposito .... Però neanco straziato dalla tortura dirò mai
del mio amore che fosse stato meno che puro ».
LE ISPIRATRICI 245
non ero più nel salotto , ma mi trovavo al medesimo portone di
prima, alla medesima grata, sotto la medesima gabbia , e dalla in.
ferriata dello sportello vedevo come prima e come se mai non mi
fossi staccata di là , il carro della Morte colle stesse figure , collo
stesso corteo, cogli stessi cavalli. Ma la figura della Laura, che era
tornata ancora presso al ciglio del carro, non mi faceva più segni;
ridivenuta pallida all'estremo, ma bellissima e lo stesso suo pal
lore aveva dell'argenteo chiaror della luna ell'andava buttando
corone di fiori a questa ed a quella finestra. A quali finestre, o so
relle ? A quelle nell'abituro della povera Lucia, morta di crepacuore
l'anno scorso, quando seppe ucciso nelle battaglie dell' indipendenza
il proprio fidanzato , ch'ella stessa aveva eccitato ad arrolarsi tra i
volontarî ; alle finestre della Teresa , povera ma affettuosa moglie ,
che a forza di pazienza, d'affetto e di cure aveva ritratto dalla vita
scapestrata il giovane e troppo giovane marito, e poi per lento morbo
cessava di vivere ; ed alle finestre di Guglielmina, che, quando era
viva, compiacevasi d'istruire ne' giorni festivi le ragazzine del po
vero, tantochè era chiamata la maestrina del villaggio. Voi le avete
conosciute queste tre buone creature , che abitavano poco lungi da
questa villetta dello zio e precisamente nel punto dove la strada si
restringe e misura appena dai quattro ai cinque metri. Quando erano
vive e si affacciavano alla finestra, le parevano tante madonnine
dentro la loro nicchia, perocchè ogni contadino passando si scopriva
il capo dinanzi ad esse e con grande riverenza e, dirò quasi , con
grande venerazione le salutava. Sotto a’ loro balconi cessavano gli
acuti canti ed i soliti poco graziosi urli de' villani. Ma il carro della
Morte andava lentamente sì, ma andava ; e quando ebbe fatti pochi
passi e fu presso al cimitero, vidi o parvemi vedere al rastrello di
questo, accalcata una folla di scheletri che venivano a prestare omag
gio alla loro sovrana, alla Morte che passava. Tutti tacevano, nessuno
chiedeva nulla , perchè tutti sapevano ella essere una regina che
non ha il diritto di grazia. Ma, cosa che a me parve strana, quella
regina, la Morte , qua e colà fermavasi, smontava dalla sua caval
catura e coglieva ella stessa de' fiori e ne faceva di quelle corone
che, come ho detto, erano gittate ora a destra, ora a sinistra della
strada. Che è ciò ? perchè ciò ? dicevo fra me. Ma poi, pensatoci su,
rispondevo a me stessa : Perchè è pur troppo vero che il più delle
volte bisogna che avvenga la morte di questo o di quell' uomo, af
finchè ne sia riconosciuto ed apprezzato il merito. L'invidia scom
parisce quando quella falciatrice sdegnata si presenta.
Parmi, e questo non è sogno, che Angelica dica a te, o Ernestina :
Va a svegliare la Cecilia che dorme e sogna già da un pezzo. Ne
246 LE ISPIRATRICI

abbiamo abbastanza de' suoi sogni per cavarne un terno secco. Che
numero fa usignuolo che canta di notte ? Che numero morto risu
scitato ? Che numero zio che al bujo , cioè prima della trasforma
zione di un'ombra in luce elettrica , guarda la nipote attraverso di
grandi occhiali ? Morte fioraja debbe poi fare un gran bel numero,
e vuolsi mettere a parte e primo estratto.
Oh crudelaccel mi porreste anche in ridicolo ?
Che cosa si deve fare per indovinarla , per andarvi a versi ? Pel
vostro bene poteva io fare di più che imitare parecchi istitutori chia
rissimi, mettermi cioè a dormire e far de' bei sogni ?
E, sfregandomi con una mano gli occhi per convincermi di es
sere ben desta nel supporre in voi tanta ingratitudine , con questo
dubbio orrendo passo.... in sala a far la colazione. -
Poscia più
che il dolor potè il digiuno !
Care sorelle, addio.
P. S. Mi raccomando di non parlare colla vecchia Apollonia di
questo mio sogno, perchè ella sarebbe capace di prenderlo sul serio
e di giocarvi sopra mezzo il suo salario. Oh la povera gente è pro
prio povera perchè spera dalla fortuna ciò che dovrebb' essere frutto
del suo lavoro !

FRANCESCO PETRARCA
CHE VEDE PER LA PRIMA VOLTA LAURA .
Versi di Giannina Milli .

Era quel dì che il lucido


Sole oscurossi in cielo,
Quando, del Cristo all'ultimo
Spiro, del tempio il velo
Squarciossi , e da'suoi cardini
La terra vacillo ;
Quel dì che i bronzi tacciono
Dell'ardue torri in vetta ,
E , come donna vedova
In suo dolor negletta,
Cinto di veste lugubre
Stassi il devoto altar.
Al mesto suon degli organi
Che feano invito al pianto,
Fra turba supplichevole,
Presso al delubro santo ,
Stava di Sorga il flebile
Cantor prostrato al suol.
LE ISPIRATRICI 217
Disconfortato ed ansio
Smarriasi il suo pensiero
Ne'fini imperscrutabili
Dell'immortal mistero,
E a sè medesmo inchiedere
Sommessamente ardi :
Come, se scadde il misero
Mortal per proprio errore
Da sua superna origine,
Come con santo amore
Sua nera ingratitudine
L'alto Fattor pago ?
Così pensava, e il dubbio
Serpea nella sua mente,
Quando si scosse a un tenero
Sospir che dolcemente
Qual tocco d'arpa eolia
Da presso gli suonò.
Si volse, e vide un angelo
Di amore e di bellezza,
Una soave e candida
Faccia , cui pia tristezza
Cresceva indefinibile
Incanto sovruman.
Fissi sull'ara i ceruli
Leggiadri lumi avea,
E di umiltà ineffabile
In atto al sen premea
Le belle mani eburnee
Del priego nel fervor.
E tanto amor , tal semplice
Fede in quell'atto stava ,
Tanta celeste grazia
In quel volto brillava ,
Che di Petrarca il dubbio
Repente dilegu).
Egli crede. - L'angelica
Alma di un sì bel frale
Lasciar poteva il Massimo
Preda all'autor del male ?
Si degna opra redimere
Dovette il suo Fattor !
248 LE ISPIRATRICI
Egli credé. Dai vividi
Azzurri occhi partio
Un raggio suavissimo
Che il ricondusse a Dio,
E di novelle imagini
La mente gli arricchi.
E amò colei dell'unico
Amor, santo , indomato ,
Che per età non mutasi ,
Che non soggetto è al fato ,
Che non aspetta premio
Nel mondo dell'error .

ULTIME ORE DI PETRARCA


E SUO INCONTRO CON LAURA IN CIELO .
Ottave di Giannina Milli .

Era la notte ; solitaria e mesta


Colorava del cielo innamorato
La bianca luna la magion modesta
Onde Arquà s'ebbe onore invidiato.
Tutto intorno tacea : dalla foresta
Sol venía d'un augello addolorato
La nota, che mesceasi al mormorio
Dell'aura e al lento sussurrar d'un rio.
Gli occhi, già lassi dal continuo pianto,
Figgea sovra le rime armoniose
Il gran cantore, che di Laura il vanto
Alzò su quante fûr donne famose ;
« E tanto il suo pensier levossi, e tanto »
D'idee s' inebriò caste , amorose ,
Che nello slancio dell'immenso affetto
L'alma fuggi dal suo mortal ricetto.
Poichè d'un guardo appena ebbe il suo frale
Degnato, e il loco ove tanto soffrio ,
Alteramente si levò sull'ale ,
La nuova eletta ad esser lieta in Dio :
Così la fiamma all'etra aspira e sale,
Così s'affretta ver la foce un rio,
Com'ella, sciolta dal terreno incarco,
Dell'eterno piacer si spinse al varco .
LE ISPIRATRICI 249

Ed ecco fra l'angelica armonia,


Che le azzurre ricrea volte del cielo,
Cinta di luce tal che non potria
Mai sostener umano sguardo anelo ,
Tutta nel volto affettuosa e pia ,
Qual non la vide nel caduco velo,
Gli appar colei che gli diè tanta guerra ,
E anzi sera compiè suo giorno in terra .
Ma tanto sembra la celeste amica
A' suoi sguardi più bella e meno altera,
Che solo ai segni della fiamma antica
La riconosce in sua letizia vera.
All'incontro degli occhi, alla pudica
Parola, ond'ella salutò primiera
Il suo fido cantor, la luce e il riso,
Parve accrescersi allor del Paradiso.
Ben giungi alfine, ella parlò, nel loco
Ove s'insempra e si diffonde amore ,
Dove, appurato per divino foco,
Degno si rende dell'eterno Autore.
Or ti parrà pur troppo vile e fioco
Quel che per me s'accese umano ardore ;
Ora soltanto, come un di bramai ,
Nel sorriso di Dio tu mi amerai !
Oh me beata che non schiusi il petto
Alle dolcezze ingannatrici e corte !
Beato te, cui del mio dolce aspetto
Reser vago laggiuso amore e sorte !
Chè non avria spiegato il tuo intelletto
Si largo volo, se men saggia e forte
Io fossi stata, nè famosa andrei
Nel tuo verso immortal de' pregi miei .
Vieni a prender tuo loco a lui vicino
« Che scrisse fondo a tutto l'universo » :
Entrambi sull'italico giardino
L'amico sguardo avrete ognor converso ;
Chè non scorda del cielo il cittadino
La terrena sua patria, anzi , converso
Per essa in angel tutelare e pio ,
Vénia implora a'suoi falli innanzi a Dio.
250 LE ISPIRATRICI

Iscrizione del prof. Pietro Contrucci :


MOLTE GENTILI
FIORIRONO IN PREGIO D'ONESTA BELLEZZA ;
LA FAMA LORO PERIVA
PER SILENZIO DEI VATI .
TU , O LAURA ,
SORTIVI DESTINO MEGLIO AVVENTUROSO.
L'ESULE ILLUSTRE
TOLSE DA TE LA CARA IDEA
1
DEI CARMI PURISSIMI
CHE LUI PORTARONO AL CAMPIDOGLIO
FRA GLI APPLAUSI DEL MONDO .
FELICE L'ETA'
IN CHE LE DONNE
DESTAVANO ALLA GLORIA GL'INGEGNI .

IX. Cecilia alle sorelle Angelica ed Ernestina.

Ha ragione il proverbio : « Dimmi con chi pratichi e ti dirò chi sei » .


E nel caso nostro si può dire : Fammi sapere i tuoi amori e ti dirò
quali sono le tue migliori poesie. Capirete, e se non lo capite, ve lo
dico adesso , che voglio parlare dell'Ariosto , il quale ne' suoi versi
si mostra poeta assai elegante, immaginoso ed appassionato del bello
della natura e dell'arte, ma quà e colà mi fa un po' troppo lo sca
pestratello. Il bravo uomo avrà , se vogliamo, un eccellentissimo
cuore, sarà anche un purissimo giglio delle convalli ; ma è un gig!io 1

che spande i suoi odori negli orti di Armida. Avvezzo a volare co'
suoi cavalli alati dove lo trae la fantasia , egli entra alle volte per
la finestra in casa di certe femmine che non sono specchi di pudi
cizia e con un fare da pazzerello strombazza fuori tutto quello che
vede e ode. Egli fa il male forse senz'avvedersene : ha questa cir
costanza attenuante. E senz'avvedersene, perchè va soggetto ad astra
zioni e distrazioni straordinarie. Figuratevi che una mattina uscendo
dalla sua camera per fare un po' di moto su e giù per le stanze
vicine, discese invece le scale, venne in istrada e da Carpi, indovi
nate mo, care sorelle,... andò fino a Ferrara senz'accorgersi che era
ancora in pianelle. Ce lo attesta il suo figliuolo Virgilio, il quale poi
si è dimenticato di schiarirci sopra un altro punto, se cioè egli fosse
ancora in berretta da notte. Fra l'Ariosto e gli altri due grandi poeti
che lo precedettero, cioè Dante e Petrarca, c'è un gran punto fermo ;
egli appartiene ad un altro periodo , ad un altro senso : il soggetto
della sua proposizione non è amor platonico ; e s'egli, per contra
dirmi, ve lo asseverasse, state un poco prima di credergli sulla pa
rola. Il fatto si è, e da qui non ci si scappa, che mentre la Divina
LE ISPIRATRICI 251
Commedia dell'Alighieri e il Canzoniere del Petrarca ,> questi capi
d'opera poetici , mostrano a chiare note di essere ispirati dal più
puro e dal più santo amore, l'Orlando Furioso invece, che è il vero
capolavoro dell'Ariosto, quello per cui lo conoscono tutti, non rivela
ciò e potrebbe anzi far supporre il contrario. Bisogna rivolgersi ad
altre rime del poeta ferrarese per vedere l'amore incensato da lui
con puri profumi; ma queste altre poesie non sono quelle che l'hanno
fatto immortale. E poi si finge tanto e tanto bene a questo mondo,
e l'Ariosto, fino diplomatico, oltre che poeta fantastico, era peritis
simo anche nell'arte di darla ad intendere al prossimo ! Sfido io a
non credere di trovarsi proprio in que' suoi palagi incantati e in
tutte le imprese de' suoi paladini ! Il signor Lodovico ha un bel
cantare :
La verginella è simile alla rosa
Che, in bel giardin su la nativa spina
Mentre sola e sicura si riposa ,
Nè gregge nè pastor se le avvicina :
L'aura soave e l'alba rugiadosa ,
L'acqua, la terra al suo favor s'inchina :
Giovani vaghe e donne innamorate
Amano averne e seni tempie ornate ;
egli, ripeto, ha un bel cantare tutto ciò, ma questo pudore verginale
delicatissimo non fu la sua passione. E poi gli piacque la pluralità
delle amanti ; perocchè non trattasi soltanto di un'Alessandra, ma
anche d'una Ginevra, cioè d'amori di città e di campagna. E quelli
di campagna furono i primi. Non è ben certo se la Ginevra fosse
fiorentina della famiglia Lapi e dimorasse nei dintorni di Mantova,
ma egli è ben certo che l'amò non solamente in età assai giovanile
e per quattro anni consecutivi (1), ma che anche dappoi gli si aper
(1 ) Rivolto all'amica, così le dice in una canzone che non è delle sue più
belle :
Ginevra mia , dolce mio ben , che tale ,
Ov'io sia 'n poggio o 'n riva ,
Mi stai nel core , oggi ha la quarta estate ,
Poichè ballando al crotalo e alla piva
Vincesti il speglio alle Nozze d'Iole,
Di che l'Alba ne pianse più fiate ;
Ta fanciulletta allora
Eri , ed io tal che ancora
Non sapea quasi gire alla cittate ;
Poss'io morir or qui se tu non sei
Cara vieppiù che l' alma agli occhi miei .
E in un suo madrigale edito da monsignor Beccadelli :
Quel foco ch'io pensai che fosse estinto
Dal tempo , da gli affanại, ed il star lunge,
Signor, pur arde, e cosa tai yi aggiunge
252 LE ISPIRATRICI

sero quelle care antiche piaghe , vale a dire nel tempo che amava
già l'Alessandra. L'una sul Mincio, l'altra sul Po ! Ma pare che la 1

preferita fosse l'Alessandra , figliuola d' un Francesco Benucci, che


per alcun tempo aveva abitato in Barletta , vedova di Tito Strozzi .
Egli celebrava le verginelle rose, ma preferiva le viole vedovelle e
senza spine. Dicesi ch'egli la ritraesse nelle ottave 93 , 94 e 95 del 1

canto XLII dell'Orlando Furioso I descrivendola tra le otto donne il .


lustri le cui statue sono date a vedere al paladino Rinaldo nel pa
lazzo sul Po. Se siete curiose, eccovi quei versi : ma prima figgetevi
bene questo in mente , che fra le statue innalzate al merito delle
donne illustri, anzi la prima statua, è quella di Lucrezia Borgia,
La cui bellezza ed onestà preporre
Debbe all'antiqua la sua patria Roma.
Passi per la bellezza, chè se ne può convenire ; ma quanto all' one
stà è cosa molto controversa e, perchè troppo dibattuta , poco invi
diabile. Ma il vedere la Lucrezia fra le illustri e il darla per mo
dello alle Romane è forse un effetto delle solite distrazioni del nostro 1
1
poeta. In secondo luogo notate che i versi che , secondo i biografi
dell'Ariosto , si riferirebbero all' Alessandra, non celebrano che una
donna anonima .
Adesso eccovi le ottave :

Fra questo loco e quel della colonna


Che fu scolpita in Borgia, com'è detto ,
Formata in alabastro, una gran donna
Era di tanto e si sublime aspetto
Che sotto puro velo , in nera gonna ,
Senza oro e gemme , in un vestire schietto ,
Fra le più adorne non parea men bella
Che sia tra l'altre la ciprigna stella.
Non si potea , ben contemplando fiso,
Conoscer se più grazia e più beltade
O maggior maestà fosse nel viso
O più indizio d'ingegno o d'onestade.

Ch'altro non sono mai che fiamma ed esca.


La vaga fera mia, che pur m'infresca
Le care antiche piaghe ,
Acciò non mai s'appaghe
L'alma del pianto che pur or co nincio ,
Errando lungo il Mincio
Più che mai bella e cruda m'apparve
Ed in un punto, ond'io ne muoja , sparve .
LE ISPIRATRICI 253
Chi vorrà di costei (dicea l'inciso
Marmo) parlar quanto parlar n'accade ,
Ben, torrà impresa più d'ogni altra degna ,
Ma non però che a fine mai si vegna.
Dolce quantunque e pien di grazia tanto
Fosse il suo bello ben formato segno ,
Parea sdegnarsi che con umil canto
Ardisse lei lodar si rozzo ingegno,
Com'era quel che sol, senz'altri accanto ,
(Non so perchè) le fu fatto sostegno.
Di tutto il resto erano i nomi sculti :
Sol questi due l'artefice avea occulti.
Indovinala, grillo ! Manco male che la statua della pretesa · Ales
sandra è formata d'alabastro , sostanza tenera e piuttosto fragile ;
manco male che non passò per la mente al poeta di farla di por
fido, pietra dura , che non sarebbe convenuta che alla salda virtù
della Beatrice. Lodatela , lodatela, dice l'Ariosto , che non la finirete
più ; ed è perciò che nessuno ha cominciato. C'è chi dice che Lo
dovico abbia poi contratto con lei occulto matrimonio ; e può essere :
ma a questo modo si onora degnamente colei che dev'essere la com.
pagna della vostra vita e la madre dei vostri figliuoli?
In somma, io l'ho con messer Lodovico Ariosto, e starebbe fresco
se vivesse a' nostri giorni e frequentasse la nostra casa. Gli farei
un fervorino io, e se non mi'volesse ascoltare , lo farei correr via
colle sue pianelle. E di lui e di lei e di loro, cioè della cittadina e
della forosetta, tanto basti ; e vi saluto di cuore, buone e care sorelle .
X. Cecilia alle sorelle Angelica ed Ernestina .
Chi è questa 'superba che vuole e disvuole amore e fa impazzire
un povero poeta ? Ella è l'eccellentissima signora Eleonora d'Este (1 )
che rimase ghiaccio fino all'età di venticinque anni , e poi , veduto
il bello e garbato uomo ch'era Torquato Tasso, parve per un mo
mento che cominciasse a squagliare. Ma è un'illusione, garbatissime
mie signore : ella è cristallo di monte : avrà, che nessuno gliele niega,
tutte le bellezze del cristallo di monte, ma ne ha pure la rigidezza :
non si fonde, non si liquefà, rimane sempre la stessa. E sapete per
( 1) Eleonora nacque nel 1537. Fu figliuola di Ercole II da Este , marchese
di Ferrara , e di Renata , figlia di Lodovico XII di Francia . S'innamorò a
venticirque anni di Torquato Tasso , ed « gli di lei a ventano. Ella mori
d'anni 45 .
254 LE TRE ELEONORE

chè ? Perchè è di monte o di rocca , se vi piace meglio ; perchè è


nata , educata e vissuta in alto e come ordinariamente si vive in
quelle regioni delle nevi e del ghiaccio perpetuo, cioè con niente o
con assai poco di cuore. E che bisogno c'è lassù di questo viscere
che si ribella tante volte alle leggi dell' araldica, che non distingue
sangue bleu da sangue rosso e che se ne infischia dell'aritmetica
dell'interesse ? Lassù non si ha forse tutto il resto, anche se non si
ha cuore? Vedetela, ella accoglie gli omaggi e le adorazioni del poeta,
e se ne compiace , ma in segreto : troppa degnazione sarebbe per
sua eccellenza, non dico serenissima, ma certamente troppo serena,
se la scendesse fino a confessare quella compiacenza e fino a divi
dere il sentimento ch'ella inspira. Figurarsi ! una principessa amare
un poeta ? Farsi celebrare da lui, fargli andare in processione il cer
vello, dandogli occasione di gelosie con trattative di matrimoni che
sono li li per essere conchiusi, oh, questo sì ; ma, quando si tratta
d'incoraggire, di consacrare quell'amore e di affrontare gli sciocchi
pregiudizi umani , dicendo a Torquato una buona volta : Io sono
stufa di tenervi sulle spine , eccovi la mia mano col mio cuore ; e
voi, signor duca fratello, e voi, signori parenti, sappiatevelo che sono
in età di essere padrona di me stessa e che vo' disporne a mio modo,
oh ! questo no e cento volte no. Ella è soddisfatta di avere nel poeta
il suo usignuolo – anzi quello è un fringuello accecato , perchè
canti meglio ed appagato il suo capriccio, la sua vanità, non pensa
ad altro. « Tutte le donne hanno il loro damo » ; cosi ragiona « avrò
anch'io il mio ; una donna della mia qualità non può farne senza ,
perchè si direbbe ch'ella non ha in sè di che essere amata , e sa
rebbe quindi inferiore alle altre ; ma amarlo daddovero gli è un altro
affare, e io me ne dispenso » .
Questo, carissime sorelle, è il mio avviso intorno alla signora Eleo
nora ; che se la pensaste diversamente, fate ·la grazia di discorrerla
un po' meco. Amore in lei ? Ma se quella pulzellona avesse sentito
questo nobilissimo affetto, se fosse stata leale seguace di quello che
chiamano Cupido, il quale ha dardi per i propri seguaci e fiaccola
ardente per abbruciare gli ostacoli chè l'incendiare è il modo
più spiccio di distruggere gli impedimenti - credete voi che avrebbe
lasciato languire per tanto tempo e in continue incertezze e senza
speranza il misero Torquato ? Ella gli fu croce ma non anco delizia
al core, come l'amore dev' essere, e come si canta anche in teatro .
Dove e come e quando si mostrarono i miracoli del suo amore ? Ep
pure in corte d'Alfonso e fuori, e vicino a lei e lontano da lei , il
poeta ebbe pericoli e traversie da superare, nelle quali ella avrebbe
potuto mostrarglisi angelo consolatore. Invece ? Invece lo lasciava
LE TRE ELEONORE 255

rodersi , penare e lamentarsi. Eccovi quì un fatterello che mostra


bene che cuore ell’avesse. Dopo la fuga di lui dalla corte di Alfonso,
ella gli scrive di non poterlo ajutare , e a lui tornato a Ferrara fa
9

chiudere da' camerieri la porta in faccia. Dicesi che lo amava ; se


poi lo avesse odiato ! Almeno un'altra eccellentissima d'Este, cioè
la Marfisa , principessa di Massa , che non si sospetta neppure che
avesse relazioni amorose con lui e che non apprezzava che il suo
ingegno, almeno, dico, costei mandò a visitarlo in prigione ed una
volta ottenne di averlo un intero giorno in sua casa e di fargli buona
compagnia con altre donne egregie. Eleonora lo onorava della sua
grazia, è detto tutto : e quando le piaceva e le pareva bene , gliela
toglieva. Onorando il poeta che altro mai faceva la signora Eleonora
se non quello che si credevano in dovere di fare con lui anche i
briganti? Nella sua biografia v' ha infatti un capitolo che dice qual
mente Torquato Tasso fosse una volta trattenuto ed onorato da ban
diti. Eppure il mondo in quella fiamma amorosa dell'Eleonora, per
servirmi d'una frase del Tasso, poteva ardere ; ma l'Eleonora per
parte sua ci volle tenere al bujo e assiderati il).
In somma delle somme, care sorelle, la non mi piace punto ; e dico
e sostengo che, se ella fu ispiratrice di Torquato, bisogna supporre
che le grandi anime per essere ispirate non abbiano bisogno di molto
e che per esse una candeletta faccia una grande illuminazione : quod
esset demonstrandum .
- Tu ce la butti proprio a terra ! - esclamerete voi. Se fu rigo
-

rosa con lui, ella fece il suo dovere ; e rigorose furono la Beatrice
e la Laura. - Rigorose si, care sorelle, ma non vane, ma non capric
ciose, ma non crudeli. E poi la bella differenza fra due maritate ed
una zitellona che o non doveva amare alcuno o amare chi avesse
ad esserle marito ! Ma voi non vi date per vinte e soggiungete :
– Non aveva forse Eleonora delle bellissime qualità ? Mentirebbero
forse lo stesso Torquato e gli altri illustri contemporanei che dopo
averla avvicinata, la portarono a' sette cieli ? - Chi vi dice, care mie,
ch'ella non avesse i suoi pregi ? (2) Io no : Io non le nego altro che ·
(1) Deh ! sarà mai quel giorno
Che in que' begli occhi le lor fiamme prime
Raccese jo veggia ? e che arda il mondo in loro ?
Anch'io purgherò l'alma e le mie rime
Foran d'augel canoro ,
Che or son vili e neglette, se non quanto
Costei le onora col bel nome santo .
(2) Così il Tasso pennelleggiava le bellezze della sua amata :
Sull'ampia fronte il crespo oro lucente
Sparso ondeggiava, e de' begli occhi il raggio
Al terreno adducea fiorito maggio
E luglio ai cori oltre misura ardente.
250 LE TRE ELEONORE

il cuore ( 1) ; piccola bagattella ! Si, non altro che il cuore ; volontieri


concedo tutto il resto . Ma per me il cuore non è molto : è la forza
motrice del bene : il resto se non macchinismo , se non effetto di
amore di sè, di educazione, di convenienze sociali, è però qualcosa
che a tutto questo somiglia. Ma già quando fui informata ch'ella
aveva per compagnia la Lucrezia, sua sorella maggiore, e che, come
si suol dire, non vedeva che per i suoi occhi , subito mi sono for
mato un non troppo buono ed alto concetto di lei. Fate un po' di
esame alla sua amica. La eccellentissima signora Lucrezia , giunta
alla pur rispettabile età di quarantun anno, non avendo potuto avere
figliolanza dal duca Francesco Maria d'Urbino suo sposo, buon uomo
che le lasciava tenere il capo un po' troppo alto (2) , un bel giorno
me lo saluta tanto e poi tanto, si separa da lui e si reca a vivere

Nel bianco seno Amor vezzosamente


Scherzava, e non osò di fargli oltraggio :
E l'aura del parlar cortese e saggio
Fra le rose spirar s'udia sovente.
Io , che forma celeste in terra scorsi ,
Rinchiusi i lumi e dissi : Ahi come è stolto
Sguardo che 'n lei sia d'affissarsi ardito !
Ma del rischio minor tardi m'accorsi ,
Che mi fu per l'orecchio il cor ferito ;
E i detti andaro ove non giunse il volto.

E in una sua canzone così descrive il proprio innamoramento :


E certo il primo di che 'l bel sereno
Della tua fronte agli occhi miei s' offerse
E vidi armato spaziarvi Amore ,
Se non che riverenza allor converse
E meraviglia in fredda selce il seno,
Ivi peria con doppia morte il core :
Ma parte degli strali e dell'ardore
Sentii par anco entro 'l gelato marmo.
Il Tasso parla di forma celeste e di doppia morte del cuore : ma ce ne sa
remmo consolati con lui della sua buona fortuna, se ci avesse parlato piut
tosto di spirto gentile o celeste e di una doppia vita che per quell'amore
avesse sentito in sè stesso.
Il ritratto che sta nel vol. V delle vite e ritratti delle donne celebri d'ogni
paese, opera della duchessa d'Abrantés, con appendice italiana , è cavato da
un dipinto ad olio di Darif.
( 1 ) Torquato Tasso :

Molle è in lei quel di fuori ,


Dentro ha marmi e diaspri .
(2) Un proverbio scozzese dice : “ Una cattiva moglie ed una candela n00
vamente accesa debbono essere tenate col capo basso ». Certamente, e questa
perchè s'accenda , e quella perchè non incendi .
LE TRE ELEONORE 257

in casa della sorella. Contenta lei , contento lui, contenti tutti; ma


non sono contenta mica io, che non credo che i matrimoni si pos
sano sciogliere, almeno di fatto, con tanta facilità. Perchè non sono
venuti i doveri di madre, se ne sono forse per questo andati anche
i doveri di sposa ? Chi è ammogliato e si butta alla vita dello sca
polo , o vuole scappucciare o si mette nel pericolo di commettere
degli scappucci. Se non altro si dà un buon pretesto al mondo ma
ligno di mormorare. Andava ella in un convento ? No, ma ad una
corte piena di lusso e di tentazioni : la si faceva romita in mezzo
agli uomini , ai piaceri ed alle occasioni venir meno ai doveri
propri. Elevnora colla sorella letterata si sarà occupata di scienze ,
di lettere e che so io ; saranno state le due preziose ridicole della
corte , ammetto anche ciò; ma sarebbe stato assai meglio che Lu
crezia fosse rimasta ad Urbino col marito. Era una gran signora :
amici e cortigiani avranno quindi detto ch'ella avea tutte le ragioni
del mondo ; ma noi , che non abbiamo nulla a sperare o a temere
nè dal duca di Ferrara nè da quello d'Urbino, noi non ci pensiamo
due volte per ripro la. La libertà, la libertà ! bella parola cer
tamente , ma non è una cosa che le donne ammogliate debbano vo
lere. E chi sta col lupo impara a urlare. Questo, già s'intende , al
l'indirizzo della signora Eleonora .
Il Serassi , che scrisse una vita di Torquato Tasso e dedicolla a
una Maria Beatrice d'Este, arciduchessa d'Austria , per gratificarsi
i vivi , non dubitò di adulare i morti, metodo vecchio e sempre nuovo;
e andò a pescare in non so quali memorie una di quelle fanfaluche
che da sè medesime si rivelano per le goffe che sono. Egli dice che
l'eccellentissima signora Eleonora per la integrità della sua vita, sa
via e piissima, era in tanto concetto presso tutta Ferrara che si at
tribuì in gran parte alle preghiere di lei che quella città non rima
nesse sommersa dal Po e rovinata interamente dal terremoto da cui
fu scossa alcuni mesi dopo con incredibile spavento di ciascuno.
Ecco una beatella che opera miracoli, e fa restar con tanto di bocca
aperta tutti gl'ingegneri di acque e pontil Abbiate una pia , una>

savia, una inseņsibile, una crudele come la signora Eleonora, e po


trete far chiudere bottega, cioè studio, a tutte le compagnie assicu
ratrici! Ma quali prove adduce il Serassi di tali miracoli ? Un di
cesi. Ma dicesi pure, o caro signore, che voi siate un pochino adu
latore.
In breve, chi non si sente il coraggio e forza d'amare per bene,
non lusinghi : sia uomo o donna, e sia pure in tutto il resto un an
gelo, io lo metto senza remissione nel novero , e lo condanno alla
pena degli incendiari.
BERLAN. Le fanciulle celebri. 17
238 LE TRE ELEONORE

E Torquato ſu così buon uomo da rimanere lunghi e lunghi


anni nella pania ? Non sarebbe stato il primo ; ma è permesso sup
porre che la sua vera cattività non sia durata gran tempo e che
dinanzi all'altalena , alle alterigie , ai capricci , alle repulse d'Eleo
nora, in somma , dinanzi alla realtà si siano un po' alla volta dile
guate le sue illusioni. Ecco infatti un bel giorno egli te la pianta
li sue due piedi e gira d'una in altra città d'Italia, senza mostrarsi
quasi ricordevole di lei ; poi, invitato a tornare alla corte , dichiara
a lettere di scatola che ci torna quasi per forza. Era passato il tempo
in cui egli aveva potuto cantare :
E hasta ben che i sereni occhi e il riso
M'infiammin d’un piacer celeste e santo.
Al piacere, che, come la forma, non dice pur molto, era succeduto
il disgusto, all'adorazione un rispetto imposto dalla condizione della
donna alto locata, 0, se vogliasi pure, l'ammirazione ch'egli poteva
avere ed ebbe infatti anche per altre donne fornite di bellezza, d'in
gegno e d'altre qualità egregie. Ma l'amore bendato, che non vede
nulla, che non sospetta di nulla, avea già spiccato il volo (1) .
Fu chi revocò in dubbio i suoi amori coll'Eleonora , perchè egli
stesso pubblicamente li disconfessò quando , avendo saputo che un
gentiluomo ferrarese s'era espresso con taluno di saper qualche cosa
di quegli amori, egli lo chiamò a rendergliene stretto conto e , non
avutane soddisfacente scusa, l'oltraggiò nella sala medesima del duca ;
oltraggio che rese necessario un duello , che l'avversario vilmente
convertì in agguato (2).
(1) Nel poema egli l'avea dipinta sotto la persona di Sofronia , vergine di
verginità già matura, d'alti e reali pensieri , di gran bellezza , ma da lei non
curata se non quanto se ne pregiasse la sua onestà , di maniere soavi e ge
nerose , e che godeya di starsene ritirata, involandosi alle lodi ed agli sguardi
altrai : cosi dice il Serassi ; ma venne la volta che Torquato riconobbe che
il ritratto non era una copia esatta dell'originale e che questo gli era di gran
lunga inferiore ; o, se piaccia meglio, volle punire la donna insensibile, rese
9

cando l'episodio medesimo dalla Gerusalemme liberata. In una lettera a Sci


pione Gonzaga egli scriveva : " Io ho già condannato alla morte l'episodio di
Sofronia perchè in vero era troppo lirico, ecc . » . Ah ! troppo lirico ? Ma poi si
penti, ed in altra lettera a Luca Scalabrino : « 10 mi vo risolvendo di lasciare
l'episodio di Sofronia, mutando alcune cose in modo ch'egli sia più caro ai
Chietini , cioè, più caro o men caro alla principessa Eleonora ?
( 2 ) Manso, Vita del Tasso : « Costui (un gentiluomo ferrarese), o per malva
gità di natura o per discorrimento di lingua o che che se ne fosse la cagione,
ridisse un giorno alcune particolarità degli amori secreti di Torquato ; ond'e
gli , risaputolo e venulone con esso a parole , non apportando colui in soa
.

difesa nè ragione nè scusa che valesse, nè mostrando pentimento nè ammenda


della commessa fellonia , commosso Torquato da giusto sdegno , gliene diede
perciò nella stessa sala del duca colla mano una gran percossa sul viso .
Hi'ingiuriato, non osando in corte di por mano alle armi , cheto si diparti , ma
incontanente marido a sfidar Torquato, ch'uscisse fuor della porta di san Lio
LE TRE ELEONORE 259
Ma questo fatto non prova altro se non che era amatore discreto,
e che sacri gli erano i desideri e le convenienze della donna amata,
a cui giustamente non poteva piacere di andar per le bocche degli
uomini (1). Anzi questo fatto , collegato co' successivi avvenimenti,
potrebbe essere una riprova di quanto vi sto finora cantando su
tutti i toni, che cioè ella non sentiva vero e profondo amore per
lui ; infatti, posciachè egli ebbe perigliata la sua vita per lei, ella si
mostrò più fredda e indifferente al suo amore.
Ma ciò che prova poco intenso l'affetto del Tasso per Eleonora
era la simultanea pluralità degli amori di lui. Infatti, nel momento
stesso che egli dice di andare in visibilio per essa , trova modo di
ammirarne delle altre e di stare in estasi dinanzi a quelle. Non si
tratta nè di una o di due, ma forse di quattro, e scusate s’è poco.
Prima a comparire è la signora Lucrezia , duchessa d'Urbino, a
cui il Serassi ci assicura egli consacrasse le primizie de' suoi af
fetti (2), Viene in seguito la Eleonora , sorella di Lucrezia . Ma con
9

temporaneamente eccone altre due che occupano più o meno il suo


cuore : e queste sono la Eleonora (3) Sanvitali, contessa di Scandiano,
nardo a mantenergli l'offesa che fatto gli aveva. Accetto Torquato l'inviti, ed
amendue andarono nel luogo determinato e , tratte fuore le spade , comin .
ciarono a tirarsi l'on contro l'altro fierissimi colpi . E mentre la zuffa peri
.colosa per amendue , in questi termini stava, vi accorsero altri tre fratelli del
perfido amico, che, intesa l'ingiuria ch'egli aveva ricevuto, e da cui, e come
e dove s'erano sfidati, vennero luiti e tre armati a favoreggiarlo. I quali veduti
da Torqualo venire , e crescendo in lui per lo manifesto pericolo l'ardire (il
che è proprio del valore ), strinse per si fatto modo il nemico che gravemente
il feri ; la qual cosa cagione che con tanto maggiore impeto tutti gli altri
fratelli gli fossero atlorno per ucciderlo ; ma egli cosi valorosamente si difese
da tutli e qualtro che non pure non fu da loro nè morto nè ferito nè fatto
ritrarre nè meno un passo addietro , ma anzi egli ne percosse un altro e pia
gollo, quando, sopravenuta molta gente al rumore, gli dipartirono " .
( 1 ) T. Tasso : Vuol ch'io l'ami costei , ma duro freno
M'impone ancor d'aspro silenzio....
(2) Per la Lucrezia, non per l’Eleonora d'Este, è questo sonetto del Tasso :
Già solevi parer purpurea rosa ,
Ch'a'caldi raggi , a lo spirar de l'ora
Rinchiude il grembo, e nel suo verde ancora
Verginella s'asconde, e vergognosa :
o mi sembravi pur ( chè mortal cosa
Non s'assomiglia a te) celeste aurora ,
Che le campagne imperla, e i monti indora,
Lucida in bel sereno, e rugiadosa.
Ma nulla a te l'età men fresca or toglie ;
Nè te, benchè negletta , in manto adorno
Giovinetta beltà vince, o pareggia.
Così più vago è 'l fior poi che le foglie
Spiega odorate , e'l sol nel mezzogiorno
Vie più che nel mattin luce e fiammeggia.
(3) Altri vuol chiamarla Olimpia.
1
260 LE TRE ELEONORE

e una terza Eleonora, ancella dell'Eleonora estense. Leggete questo


sonetto, e vedrete come l'ingegnoso poeta s'industri a provare che
si possono amare tre donne per volta. E la ricetta è facile : ama
questa per le sopraciglia, quella per gli occhi, una terza per i ca
pelli, una quarta per la bocca , una quinta per i denti, una sesta per
il collo, ecc., ecc.; e quando sei giunto all'undecima e la tieni, se
ti piace, fa punto, e trova, per fare la dozzina, una duodecima che
raccolga in sè le belle qualità sparse in quelle undici . Sapeva il
poeta far le cose sue per bene : procedeva dall'analisi alla sintesi e
voleva l'una e l'altra.
Ora abbiatevi il sopracitato sonetto , in cui si fa la corte a tre
donne per dichiararsi amatore poco fedele di una :
Tre gran donne vid' io che in esser belle
Mostran disparità ma somigliante.
Sicché negli atti e’n ogni lor sembiante
Scrive natura : Noi siam tre sorelle.
Ben ciascuna io lodai , pur una d'elle
Mi piacque sì ch ' io ne divenni amante ;
Ed ancor fia ch'io ne sospiri e cante,
E’l mio foco e 'l suo nome alzi alle stelle.
Lei sol vagheggio ; e se pur l'altre io miro,
Vo cercando in altrui quel c'ha di vago,
E negli idoli suoi vien ch' io l'adore.
Ma cotanto somiglia al ver l'imago
Ch'erro, e dolce è l'error : pur ne sospiro
Come d'ingiusta idolatria d'amore (1).
Adesso capisco perchè il Tasso potesse scrivere ad un suo amico
che in una festa ov'erano raccolte parecchie belle donne aveva ten
tato di farlo invaghire d'altra dama ; sì , adesso capisco perchè gli
rispondesse con certe argute e sentenziose parole che la sua era su
periore alle altre. Credo bene io : era una, ma in tre persone.
Da ciò si vede che il celebre poeta Giambattista Guarini (2) era
(1 ) Le tre gran donne di questo sonetto non sono da tutti i biografi del
Tasso ritenute per le tre Eleonore dette di sopra. Nella Vita di Tasso scrive
il chiar. sig. Giuseppe Sacchi : “ Alcuni versi amorosi egli faceva pubblicare
nell'anno 1567 nella raccolta accademica degli Eterei . In questo egli appale
savasi adoratore di tre dame gentili . Era la prima una giovinetta di Mantova
per nome Laura Peperara, le alire due erano le sorelle del duca Alfonso » .
(2) Il Tasso , gelosissimo , diffidava anche di G. B. Guarini , una volta suo
amico. « Una siffalta rottura », dice il Serassi , “ era stata cagionata non da
emulazione di lettere , ma da gelosia di donne ; e il Guarini fu anzi il primo
ad essere provocato con un sonetto ove cercava di metterlo in diffidenza
della sua donna , dipingendolo per. amante instabile ed infedele. Il Guarini
LE TRE ELEONORE 261
male informato quando, volendo rendergli pan per focaccia e far
che perdesse l'amore della donna amata, scriveva del nostro Torquato :
Di due fiamme si vanta, e stringe e spezza
Più volte un nodo ; e con quest'arte piega
(Chi'l crederebbe ?) a suo favore i dêi !
E, chi nol sapesse , codesti dệi erano i principi e le principesse
d ' Estet
La prima Eleonora ora la conosciamo sufficientemente ; veniamo
adesso alla seconda ; poi passeremo alla terza: perchè il nostro poeta
amava non solamente le belle somiglianze ma anche le omonimie.
La seconda Eleonora, come vi dissi già, care sorelle, era del casato
dei Sanvitali; e di lei non si professò già semplicemente ammiratore
ma anche amante. Infatti i seguenti due versi mi pajono una dichia
razione d'amore in piena regola ;
Se tu non sei , tu santa ed immortale ,
Non pur vital, ma vita ond'amor vive, ecc.
Se guardo, dice il Tasso, nel sonetto che vi ho sopra citato , che
male fo io ? È certo che non c'era male se egli si fosse limitato
a guardare, come quando scriveva della seconda Eleonora :
Non potea dotta man ritrarre in carta
De'suoi lumi e de' crini i raggi e l'oro ;
ripeto, allora non c'era male alcuno ; ma ci spingiamo un po' troppo
avanti quando trapassiamo ai desideri , come fate voi , signor Tor
quato, in questi altri versi :
Quel labbro così vago e colorito
Molle si sporge e tumidetto in fuore ,
Spinto per arte, mi cred'io, d'amore
A far de' baci insidioso invito.
rispose al Tasso per le rime ; ed è notabile il primo terzetto della sua rispo
sta ove dice . Di due fiamme si vanta, ecc . » . D'allri illustri poeli fu scritto
che avessero più amanti , ma l'una dopo l'altra . Una volta per carità ! Preste
remmo poca fede a quanto il Boccaccio asserisce di altre donne amate suc
cessivamente dall'Alighieri dopo morta la Beatrie , se appunto la Beatrice
nella Divina Commedia won rimproverasse a Dante le sue infedeltà . Queste
sono le parole del novellatore certaldese : Nè fu solo da questo amore pas
M

sionato il nostro poeta, anzi inchinevole molto a questo accidente , per allri
soggetti in più m . tura età e massimamente , dopo il suo esilio , dimorando
in Lucca , per una giovane (la Gentucca ? ) la quale egli nomina Pargoletta ;
ed oltre a ciò, vicino allo siremo di sua vita, neil'alpe di Casentino, per una
alpigiana , la quale , se mentito non m'è , quantunque bel viso avesse , era
>

gozzula. La Genlucca è nominata nel canto XXIV del Purgatorio . Cosi lo in


Lerpreta anche il Blanc nel suu vocabolario Dantesco . Nel commento del Tom
maséo : “ La Gentucca. La pargoletia , nobile fanciulla amata da Dante, forse
nel 1314. Tra le sue rime abbi.amo questi versi : - Chi guarderà giammai senza
-

paura. Negli occhi d'esta bella pargolelta . L'Oliimo qui vede Alagia , di
cui nel XIX del Purgatorio " . Alagia dei Fieschi fu moglie di un Malaspina .
262 LE TRE ELEONORE

C'è una gradazione, come vedete : prima una principessa , cioè due
principesse, e prima la principessa regnante, quindi una gentildonna .
Ora in questa scala discendente viene quarta pel numero delle amanti,
e terza pel nome di Eleonora, una damigella. A lei sono dedicati i
seguenti versi, ne' quali egli si professa non solamente apprezzatore
delle sue bellezze , ma anche sempre dispostissimo a'suoi comandi
ed umilissimo ed ossequiosissimo servitore :
O colle grazie eletta >, e con gli amori
Fanciulla avventurosa
A servire colei , che dea somiglia 9,
Perchè 'l mio sguardo in lei mirar non osa
I raggi e gli splendori
E il bel seren degli occhi e delle ciglia ,
Nè l'alta meraviglia
Che ne discopre il lampeggiar del riso ,
Nè quanto ha di celeste il petto e'l volto ,
Io gli occhi a te rivolto ,
E nel tuo vezzosetto e lieto viso
Dolcemente m'affiso.
Bruna sei tu , ma bella
Qual vergine viola ; e del tuo vago
Sembiante io sì m'appago,
Che non disdegno signoria d'ancella.
Chiudiamo un occhio, direte voi ; passi la signoria : nel resto siamo
in pienissima regola. – In pienissima regola ? No, vi rispondo: anzi,
sorelle mie , io casco dalle nuvole al leggere un sonetto scritto da
Torquato per questa terza Eleonora , il quale con tutti i piedi di
ciascheduno de' suoi versi dà calci quanti mai ne può dare ai primi
santi propositi del nostro poeta. Udite, udite :
Pera il mondo e rovini : a me non cale
Se non di quel che più piace e diletta ;
Chè , se terra sarò , terra ancor fui.
Se l'acqua parlasse così , non diventerebbe mai perla o diamante.
Oh ! faccia come il sole che passa sopra il fango e non s'imbratta .
Ma credete voi che questi veramente fossero i pensieri e i senti
menti del nostro buon Torquato ? Oh no certamente ! erano null'al
tro che l'espressione del suo animo disilluso , esulcerato ed irritato
a ragione contro l'altéra insensibilità della principessa Eleonora (1 ) .
(1 ) Il Bembo, ch'era pur cardinale : Non vi mando quaggiù l'eterna cura
Affinchè senz'amor tra noi viveste : - Non vi diè si spiacevole figura - Per
C.
LE TRE ELEONORE 263
Altro che ispiratrice ! Quelle sue qualità negative ad altro non riu
scivano che a disamorarlo delle sante delizie del puro amore ed a
spingerlo a volgari affetti. Perchè passa egli da una ad altra amante,
e perchè d'una sola non si compiace ? Perchè nè quell'una nè tutte
le altre insieme compiono il vuoto del suo gran cuore. Eccellentis
sima principessa, voi volete per amante un grand' uomo , e poi vi
divertite quando a negargli e quando a concedergli in dosi omeo
patiche l’ affetto vostro e dargli anche quel poco e poi toglierglielo,
come si fa lle ciambelle bambini. Ma voi si pazza ! E voi
altre siete ben corte d'intelletto se co'vezzi e colle vostre frali bel
lezze credete di far breccia in quell'anima sublime , di riempierla e
di appagarla . Ci vuol altro, mie care ! Vi troverete nel vostro ele
mento con qualche incettatore di grano turco e con qualche ciam
bellano della corte ducale , ma non con Torquato Tasso, che ha anima
per tutte voi.
Care sorelle, così la penso io degli amori dell'illustre poeta di Sor
rento ; la mia opinione è questa, ma voi siete libere di pensare di
versamente. Io ho giudicato, ma in prima istanza ; e poi non ho il
potere esecutivo a ' miei comandi per far eseguire la sentenza pro
nunciata contro la signora Eleonora d'Este. Che se volete far rive
dere il processo o intercedere per lei, ricorrete al barba, ch'è il tri
bunale supremo di cassazione. Qui abbiamo tutti i ministeri, e senza
la più piccola confusione immaginabile. Il signor barba potrà assol
vere lei da tutte le imputazioni che io le ho date ed eziandio con
dannare me nei danni e nelle spese del processo. Basta che non mi
condanni ad imitarla ; questo poi no : voglio aver cuore io , nè lu
singare chicchessia a cui non possa corrispondere o cui io non vo
glia o non mi sia dato avere in marito. E in questo è convenuto
che voi, buone e gentili, siate dell'avviso di questa onorevole, anzi
onorevolissima preopinante.
Finis coronat opus ; fo punto. I soliti baci, ma i più cordiali che
potete a mamma e papà, ed una bella riverenza, alla debita distanza,
anche alla signora nonna.
Ma sospendete i baci , sospendete gl’inchini , care sorelle ; e per
donate alla mia smemorataggine. Vi avevo promesso di darvi no
tizia anche d'un quinto innamoramento di Torquato Tasso ; ed ogni
promessa è debito. Manco male che non ve n'ho promesso anche
un sesto, che del resto non mi sarebbe niente affatto difficile scovar
fuori. Difficile ? Ma anzi eccovelo quà : e questa sesta amante è la
chè in tormento altrui la possedeste. Pompeo Litta scrisse che l'Eleonora
mori ( nel 19 agosto 1581 ) per sanomarico delle disgrazie del poeta. Quel ram
marico potrebbe rassomigliare un poco al rimorso.
64 LE TRE ELEONORE

mantovana Laura Peverara (1) . Ma non voglio andar troppo per le


lunghe , e bastino i cinque amori (2). La quinta dunque amata da
lui era la signora Lucrezia Bendidio : la quale sia la ben venuta e
la ben mandata dal cielo, se voi sapete che valga qualche cosa più
della principessa d'Este ; perchè , a dirvela schietta , io non so che
il suo nome , e questa notizia la cavo di pianta dal Serassi. Ella
viene adunque a far il pajo colla signora Lucrezia , principessa di
Este e duchessa d'Urbino : e ci viene , senza fallo , per la suddetta
legge dell'omonimia che stava tanto a cuore al nostro Torquato.
Tre erano le Eleonore ; e come poteva esservene una sola delle Lu
crezie ? Ma pazza ch' io sono a ridernel Debbo dire piuttosto : Po
vero Torquato , mi fai compassione ! Come ape , tu voli di fiore in
fiore senza trovare nè rose, nè garofani, nè gigli degni di te da cui
poter cavare il miele prezioso. Si, care sorelle, egli è costretto a ca
var tutto dall'anima sua. L'universo tutto gli parla, e sola l'anima
degli umani gli è muta. È quindi , secondo me, doppiamente crea
tore (3).
Ora replicate i baci, rinnovate gl’inchini , care sorelle.

XI . -

Cecilia alle sorelle Angelica ed Ernestina.

Supponiamo, care sorelle , che vna Cristina , una giovinetta qua


>

lunque , dotata di rara bellezza o di altre egregie qualità , arrivi a


( 1 ) Il Tasso, in un madrigale :
« Felice chi raccoglie
Pepe del Lauro tra le verdi foglie " .
(2 ) Vuol essere consultata l'opera di Giovanni Rosini , Saggio sugli amori
9

di Torquaro Tasso e sulle cause della sua prigionia . Pisa, Capurro , 1832.
( 3 ) Così scrivevamo nei Fanciulli celebri : “ Fu detto che nella sua epopea
della Gerusalemme liberala non parla mai o raro dell'Italia ; ma Torquato
fece più, onorò l'Italia colla sua epopea meravigliosa , e lenió volgere la sua
patria e i principi cristiani delle corti italiane a santa ed utile impresi : pe
rocchè gli è poco o nulla parlare o ciarlare della patria , se non la si illu
stri colle opere , e se non si cerchi la gloria e il giovamento di lei . A' tempi
cantati dal poeta la religione animava e ispirava il valore ; trattar di reli
gione, consociata a viriú militare , era lo stesso che rimproverare alle stirpi
degenerate la mancata fede e il dimenticato od abusato valore . Grande scopo
morale e politico aveva il poeta ; e lo dichiara egli stesso fin da principio ,
ove dice che gli occorre l'a monia e il lenocinio del verso per significar ve
rità amare ma salutari , assomigliando . la generazione tra cui vive a quei
bimbi che, ingannati dalla madre affettuosa, bevono succhi amari , se il vaso
che li contiene abbia gli orli aspersi di licor soave. Egli diceva poeticamente
ciò che i pubblicisti , anche dei nostri di , proclamarono in umile prosa, e rio
che i Veneziani più volte tentarono mandar ad effetto , che ci è per la salute
e la gloria della patria nostra bisogna ritorre al Turco la grande ingiusta
preda, e cacciarlo d'Europa, e rivendicare l'allo imperio dei mori . Dal lato
religioso il suo poema era universale, cattolico ; dal lato politico, italiano.
LA FORNARINA 265
innamorare di sè qualche gran letterato o scienziato od artista. Da
quel momento , s'ella capisce la sua fortuna, quella fanciulla può
compiacersi d'una vittoria , che conseguirà sulla stessa Morte ; pe
rocchè costei non potrà condannarla all'oblio, non potrà più distrug
gere il suo nome. Chè il letterato o lo scienziato o l'artista lo cinge
tosto dell' aureola dell'immortalità , associandolo alle proprie opere
sublimi , o chiamando con esso qualche utile invenzione , qualche
nuova pianta o qualche astro nuovamente scoperto, od effigiando la
cara immagine di colei che lo porta in qualche pittura o scultura
di squisito lavoro. Vedete, la Morte ha sì messo sotterra la fanciulla
amata da un grand’uomo ; già i mortali avanzi della giovinetta giac
ciono senza moto nell'umida fossa : ma ecco un di una locomotiva;
a cui è dato il nome di lei, passar vicina al cimitero, trasportar ra
pidissima migliaja di persone e col suo fischio mandare un saluto
a quelle ossa e beffarsi nel tempo stesso della Morte !
Ma v'ha fama e gloria, care sorelle ; ed una buona fanciulla bi
sogna che non s'accontenti dell'una , ma voglia l'altra. E perciò è
necessario ch'ella non sia soltanto bella e brava, ma anche savia. La
bellezza , l'ingegno , la bravura sono doni gratuitamente dati : non
possono recare che fama e celebrità ; laddove la sola saviezza , che
dipende da noi , ch'è merito nostro , può dar gloria. Chè la gloria
non è altro che una fama di cui uno può onestamente legittima
mente vantarsi.
Ha gloria o fama la Fornarina ?
Quando abbiate letto le promessevi notizie intorno a lei , vedrete
che a questa simpatica ragazza, a malgrado di tutte le nostre buone
intenzioni , non possiamo accordare altro che fama.
Non c'è bisogno ch'io vi ricordi a che tempi ella visse , perchè
scorgo dalla vostra letterà che voi già sapete che ella era coetanea
o di qualche anno minore di Raffaello d'Urbino, suo innamorato ( 1),
Onde vi son noti benissimo gli anni che aveva. Anzi, perchè le bio
grafie non precisano la sua età, farete bene a supporla più giovane
che sia possibile: così sarà meglio scusata la sua debolezza. La quale
debolezza , come vi si farà evidente dalle cose che andrò dicendo,
non si manifestò in lei sulle prime, ma fu effetto, pare, dell'abban
dono a cui si lasciò andare dopochè si convinse d'essere propria
mente amata. O troppo rigore o troppa accondiscendenza , ecco
come siam fatte noi : e l'uno e l'altro estremo ha i suoi inconve
nienti ; l' uno specialmente per chi ci ama, l'altro per noi.
Non credo che quella che noi chiamiamo Fornarina ricevesse al
(1 ) Raffaello nacque in Urbino nel 1483 ; suo padre fu Giovanni de Santi.
Mori di trentasette anni.
266 LA FORNARINA

sacro fonte il nome di Anastasia, di Bartolomea 0o di Bernarda : non


ammetto neppure che avesse nome Policarpa : ma queste non sono
che mere supposizioni; perchè , a dirvela schietta , io ignoro il suo
nome di battesimo e il suo casato. Leggi di qua , leggi di là , non
m'è avvenuto di trovarlo. Ella non è conosciuta che pel mestiere
di suo padre, fornajo a soccida : del resto è anonima come il For
naretto di Venezia. Ma il Fornaretto , povero giovinotto ! lavorava ,
sorgeva coll'alba e andava attorno colla cesta del pane sopra la te
sta; mentre la Fornarina non lavorava il pane, a tanto pare, colle
sue belle manine , ma bello e fatto , colle sue belle manine se lo
metteva in bocca.
Della sua abitazione e del come Raffaello innamorasse di lei ne
sappiamo qualche cosa più, e lo dobbiamo , cioè lo devo io, ad una
lettera di Melchiorre Missirini diretta a Renato Arrigoni (1) .
Che cosa avete voi , che al nome del Missirini fate il bocchin da
ridere ? Non vi pare egli un valentuomo ? Oh ! adesso ci arrivo : voi
sorridete perché siete corse subito col pensiero a quelle epigrafi,
piuttosto barocche, che in lode delle donne venete egli inseriva nel
Poligrafo. Voi godete delle censure e delle crudeli epigrafi che gli
cascarono addosso (2) perchè, con tutto il suo buon volere, non riu
scì a lodare il nostro sesso come avremmo voluto noi donne. Ma un
po' di carità e di giustizia , care sorelle !
( 1 ) Quatremère de Quincy, Storia della vita di Raffaello , con appendice
italiana.
(2) Il prof. Melchior Missirini pubblicava nel Poligrafo , novembre 1853, fa
scicolo X, alcune epigrafi italiane in onore di alcune donne illustri delle pro
vincie v - nete . La critica ne fece strazio . Il Gondoliere, a. 1854, n . 7, scri
veva : « Il difetto principale di queste epigrafi consiste nell'uso di frasi che
sono o stranamente affettate o equivoche bizzarramente. Da queste due qua
lità dominanti deriva naturalmente il ridicolo .... Veggasi per esempio se sia
affettazione il dire d'Isabella Albizzi che Vinegia l'abbraccia per sua ; di Silvia
Verza, che, con canto perturbato e soave, nella flebile elegia ad una ingente
vocatura conforto trovò ; di Marianna Pascoli , che, dalle geniali stelle alle
arti inclinata... , nuova via di pingere ritrovò ; di Elisabetta Treves , che
l'anima sua innocente, come un bel fiore, tutta si versů nella botanica.... e
della Teresa Vordoni , che, cultrice delle classiche muse, al genio della nuova
scuola si scalda e ne cansa con fino giudizio i difetti ( a proposito di scal
darsi !). L'articolo terminava con questa canzonatura :
O Melchiorre Missirini
professore
sebbene per lunga usanza colle classiche Muse
ad ogni grande prova accomodato
poco dalle geniali stelle inclinato
a sentire dell'epigrafico stile la forza e l'effetto
le donne illustri delle provincie venete
vi pregano
a desistere dallo scaldarvi al genio di questo nuovo studio
pel quale non avele mostrato
una ingente vocatura.
LA FORNARINA 267

Lo mio duca vo'che sia il Missirini , perchè, più accurato d'ogni


altro biografo e più paziente, mi sa dire quasi quasi anche il nu
mero vecchio e nuovo, nero e rosso dell'abitazione della Fornarina .
Ma, prima di tutto, in che paese siamo ? Siamo in Roma , ove tro
vasi Raffaello, che dal celebre architetto Bramante, suo concittadino,
vi fu chiamato a fregiare de' suoi lavori il Vaticano. Ora che ci è
noto il nome della città, rechiamoci alla casa della Fornarina e, ar
rivatici, troveremo ch'essa sorge, ma non sorge troppo, oltre il Te
vere, verso Santa Cecilia. In quella casa ha un orticello , cinto da
muro, il quale , per poco che l'uomo si levi sui piedi , è sopravan
>

zato così che colui che guarda domina tutto l'interno. Che non
sia nè più alto , nè più basso il muro , ve lo assicura il Missirini ,
>

che ne ha prese ben le misure. Nell'orto che testè vi ho fedelmente


descritto, e che l'Aleardi (1) un poco alla volta allarga , aggiungen
dogli poeticamente un prato di erba ondeggiante e folta , era solita
venire a diporto la fanciulla, a godervi l'aria fresca e, se badiamo
a'suoi biografi, anche qualche cosa di più , cioè la vista e la con
versazione di quelli che, attratti dalla sua bellezza, andavano a porsi
sul muricciuolo per contemplarla. Non dico che vi fosse un andi
rivieni , ma a certe ore si era certi di trovarsi in compagnia , pe
rocchè chi attendeva che la ragazza venisse e chi non voleva muo
versi di là se prima non fosse rientrata in casa. Anche costoro cer
cavano il fresco.... fra gli ardori amorosi. Già voi lo sapete che una
bella donna è come un lume acceso `che attira a sè le farfalle ; e se
quel lume non ha intorno a sè il tubo di vetro, quelle incante far
falle risicano di rimanere arrostite. Poichè la fama della sua bel
lezza , dice il nostro buon Mentore >, era sparsa e traea la curiosità
de' giovani e massime degli allievi dell'arte, che vanno in cerca della
beltà, tutti desideravano di vederla. Tutti ? Dunque che processione !
E il padre di lei, fornajo, non avea occhi da veder ciò ? Od era cosi
occupato nell'impastare o nel far cuocere il pane da non poter
proprio por mente alla figliuola ? Doveva far almeno rialzare il muro
o un bel giorno venirsene fuori con una buona pala e mostrarne
il grosso del manico a quegli indiscreti vagheggini , e così far ces
sare le loro visite e sedute. La virtù della figliuola non ci guada
gnava : le batterie dell'amore tiravano troppi colpi da quel comodo
bastione. Or avvenne che amici e scolari riferirono la cosa a Raf
faello . Questi avrebbe fatto trenta o quaranta miglia a piedi per ve
dere un bel visino. Egli non se lo fa dire due volte e, deposti i pen"
nelli e copertosi il capo del caratteristico suo berretto , s'avvia a
quella volta. È un bel giovane davvero, un angelo maschio che va
( 1 ) Canti di Aleardo Aleardi . Raffaele e la Fornarina.
268 LA FORNARINA

in cerca d'un angelo femmina, di cui gli son narrate maraviglie.


Quali fossero le sembianze di lui vi dicano i ritratti che di sè ese
gui egli medesimo. Così lo tratteggiava l'Aleardi :
la testa
Gli pendea , per natio vezzo ,
9 chinata
Sopra la tenue spalla , quasi cedro
Troppo grave al picciuol che lo sostiene ;
Ondoleggiando su le vesti elette
In brune anella gli scendea la chioma
Nitida ; e l'occhio .... oh ! chi ridir volesse
La delicata poesia , la forte
Poësia di quell'occhio glorioso ,
Di tutte cose belle innamorato ,
Dovría parlar come si parla in cielo.
Vedete che bellezza ! Ma, intendiamoci bene, non vorrei che, inter
pretando troppo pedantescamente i primi versi, credeste che Raf
faello avesse la testa grossa.
Arrivato sulla faccia del luogo, come dicono gl'ingegneri, il no
stro cacciatore di belle ragazze fa come gli altri e si mette a ca
valcioni del muricciuolo aspettando l'apparizione. Non viene.... Chi
sa che il suo buon angiolo non abbia questa volta suggerito al pa
dre di mandarla al molino, e ch'ella per ora non ritorní, o ritorni
infarinata, tanto che Raffaello non possa discernere la sua rosea bel
lezza. Sarebbe stato meglio per entrambi ; massime per la virtù della
Fornarina. La quale , invece nella sua schietta bellezza ed ornata
appena di qualche fiorellino al crine, ad un tratto, saltellando, fece
la sua apparizione nell'orto. Fino allora l'Urbinate non s'era accorto
se la giornata fosse nuvolosa o serena , se calda o fredda, ma al
mostrarsi della bella fanciulla disse : « Questo è il più bel sole che
io m'abbia visto ! Oh che caldo ! » Sì, è sole d'estate ; ma nes

suno gli susurrò all'orecchio : « Guardati dai sollioni » .


Per dipingervi la Fornarina ho poco da lavorare : metto insieme
quanto sparsamente ne fu detto da quelli che descrissero i bei ri
tratti che lasciò di lei Raffaello ( 1 ) . Ma voi per rendermi ancora più
(1 ) LA FURNAPINA . Quadro in tavola di Raffaello nella R. Galleria di Fi
renze . Fu dipinta nel 1512. Parlando di qu - sto quadro, il Vasari dice che « di
essa sua donna ... fece un ritratio bellissimo, che pareva viva , viva » . Egli
aveva allora 29 anni .
oli si ammira congiunta alla sublimità dello stile una esecuzione preziosa
tanto che il colore par fuso più che dipinto . La testa , ove chiaramente si
ravvisa il modello della famosa Madonna della Seggiola, è piena di soavità ;
la bocca animata oltremodo e graziosa ; e le pupille volutluose e umidette ,
quali pingersi dovean quelle della bella d'Anacreonte , sembrano languida
LA FORNARINA 269
facile il compito , interrogatemi come se aveste a scrivere de' con
notati in un passaporto. Occhi ? Vivaci . Non basta : Chiari o scuri ?
Bruni-oscuri. Bocca ? Oltremodo graziosa ed animata. Ma grande o
piccola ? Piccola, piccola ; non si domanda neppure. Denti ? Bianchi
come alabastro, meglio anzi, come zucchero candito. Capelli ? Bruni
oscuri, morbidissimi. Colorito della carnagione ? Brunetto ; e il bruno
il bel non toglie. Espressione e aria del volto ? Passionata e sensi
tiva e che ha del romano e del greco. Corpo ? Ben disposto e pro
porzionato. Mani e piedi ? Candidi , ben torniti e piccolini . Figura ?
Mollemente piegantesi come quella d’un tiglio. Andatura agile e
snella come quella di una ninfa. Marche particolari ? Nessuna. Men
tre Raffaello è tutto intento a guardarla , ella , che non se n'ac
corge , va dritta dritta , cioè senza fermarsi, all'orlo del Tevere
che scorre presso quell'orto , si adagia sull'erba e canticchiando
nudasi i piedi e li immerge nell'acqua (1). Leváti per caso gli oc
mente affissarsi nell'amante che la ritrae. Dorati , conformemente allo stile,
sono gli ornamenti del capo, del collo e della veste. Vera è la pelle di pan
tera che le pende dall'omero sinistro , la quale ricavata apparisce dallo stesso
modello servito pel san Giovanni del Gabinetto denominato la Tribuna , per
l'altro san Giovanni introdotto nel quadro della Madonna detta dell'Impruneta
e per il ritratto ch'ei fe'di sè stesso ( che fu intagliato in rame da Paolo Pon
zio ). Il tuono generale è vigoroso , ma arancino , come negli altri quadri da
Raffaello dipinti in quel tempo in cui non aveva ancor principiato ad abu
sare del, negrofumo, che ha Oscurate le sue ultime pitture ad olio n. G. B.
ZANNONI .
RITRATTO DELLA FORNARINA esistente in Verona presso gli eredi di Cri
stoforo Laffranchini. Alcuni lo altribuiscono al pennello di Giulio Romano.
6
Questo quadro rappresenta una giovane di grandezza quasi al naturale,
seduta accanto d'una finestra “ perta , e che volgesi per tre quarti della faccia
verso lo spettatore. Sorge dal quadro metà della persona . Tiene colla sinistra
in mano un canestro di frutta diversa , e colla destra, appoggiata al petto, si
sostiene un ricco manto, di velluto cremisi , guarnito di pelli di lupo cerviero,
che le scende dalla spalla sinistra . I capelli bruno -oscuri , divisi alla metà
della fronte ed annodati in trecce , avvolte in una bianca benda opaca, le ca
dono dietro le spalle e lasciano scorgere il viso ed il collo affatto scoperti .
Una veste larga, di colore rosso pallido , fermata sulla spalla sinistra, le cuo
pre la metà superiore del braccio, l'altra metà delle braccia è coperta da una
larga veste bianca in forma di camicia , che le scende e che si annoda presso
la mano . Fuori della finestra si vede un paesaggio montuoso , d'una tinta
piuttosto cupa , con altri fabbricati rustici , e vi pare annunziato il cominciar
della sera ... " Il colorito della carnagione è brunetto, vivaci sono gli occhi
bruni-oscuri . L'età della donna mostra di già oltrepassato il quarto lustro.
Michelungiolo Bovio. - “ Hanno preteso alcuni che il pittore, col paniere delle
frutia , posto in mano a questo ritratto e cogli umili casolari della villetta
in lontananza , abbia voluto forse alludere alla modesta origine della sua
amica , il cui viso è d'un'aria semplicissima », - Appendice italiana alla
Storia della vita e delle opere di Raffaele Sanzio del Quatremère de Quincy.
(1) Cosi la descrive l'Aleardi in uno de' suoi canti :
Una fanciulla
Vie più del tiglio flessüosa e bella
Qual essere dovea da giovinetta
La Venere di Milo, assicurata
270 LA FORNARINA

chi verso il noto muricciuolo , la Fornarina s'accorse che Raffaello


la spiava ; o, se vogliamo dire il vero, non se l'ebbe troppo a male
ch'egli la considerasse attentamente, ma le spiacque , cred' io, ed è
una mera supposizione, di essere veduta co' piè nudi. Per l'una
considerazione per l'altra, il fatto sta che, prese in mano calze e
scarpette , in fretta abbandonò la riva e rientrò in casa. Ma tutti i
giorni non s'assomigliano ; e il domani e il posdomani ella tornò al
fiume e , come i giorni precedenti , si cavò scarpette e calze e non
badò più che tanto, o finse di non accorgersi che Raffaello fosse li a
riguardarla. Ed egli era sempre là ; e gli altri artisti ed i suoi sco
lari , per rispetto all'amico ed al maestro, lo avevano lasciato, come
si dice , libero del campo. E meglio sarebbe stato che glielo aves
sero conteso , chè forse , forse non si sarebbe innamorato così per
dutamente di lei ! Trovata gentile la ragazza e sulle prime vergo
gnosetta e ritrosa più di quello ch'egli avrebbe creduto convenire
alla condizione di lei (osservazione che fa il Missirini e che non

Ne la fidanza di non esser vista ,


Folleggiando venía per pometo
Domestico con piè di danzatrice .
Nel lieve corso ella spiccava a caso
Il sommolo dell'erbe e l'odorose
Teste dei fiori : un libero favonio
Le avea disciolto il vel trasteverino,
Tal che , simile a Galatea pei golfi
Siculi spinta dai sospir del mare,
Pareva anch'ella che vagasse a vela
Sull'ondeggiante e folta erba del prato :
E le molli scopría nevi del collo
Intemerato e il pomo delle spalle
Tinte di giglio . Su l'argentee spille
Fitte al volume de le trecce nere
Batteva il sol di Roma , irradiando
Quella testa fidiaca , ove era impresso
Un sigillo di ciel da parer cosa
Nell'angelica cella immaginata
Dal Fiesolano estatico . Cotanto
D’in su la calma de la pura fronte
Si rivelayan le innocenti idee :
Al par che de la tersa onda del Garda
L'alxhe e i la pilli puoi notar nel fondo
Tutti ricinti d'iridi dorate .
Ella venía dicendo un suo rispetto :
Mesto era il verso, ancorachè gioconda
La cantatrice ; e , come giunse all'orlo
Del Tevere, sedette, ivi immergendo
Il piè sottil ne la volubil acqua,
Simile a tremolante ala di cigno
Che festevole guazza, In quel momento
Cantava un capinero in su la cima
D'un olëandro ; e a lei la giovinezza
Canta va in core,
LA FORNARINA 271
vale un bagattino, perchè anche le operaje e le figlie del popolo
sanno farsi rispettare, e la virtù non istà di casa solamente al piano
nobile) non è a dire se il suo amore non andasse di gran corsa.
Ecco Raffaello diventato un roveto ardente ; al soverchio ardore si
strugge la delicata sua salute , ma non il suo ingegno ; anzi quelle
fiamme fanno sì ch'egli aggiunga nuova luce e nuovi splendori al
l'arte.
Io vi fo grazia del primo abboccamento e dei successivi colloqui
amorosi tra Raffaello e la Fornarina,> intorno a' quali bisognerebbe
che io lavorassi di fantasia ; ma basterà dirvi che quelle due anime
s'intesero presto. Raffaello non cercava più le donne a schiere per
farsi una sufficiente idea del bello (1 ); gli bastava la Fornarina : ella
era tutto per lui, ella, senza volerlo, senza saperlo, perchè era piut
tosto idiota, gli rivelava un mondo intero di nuove bellezze. Quella
bellezza, in sè stessa pur così poco spirituale, era il suo caleidosco
pio ; egli aveva la bravura di vedervi cose sempre nuove , sempre
belle, sempre stupende. Insomma, la passione di Raffaello per la For
narina giunse a tale ch'egli non sapeva applicarsi all'arte , se non
aveva lei d'accanto. E se Agostino Ghigi, che allora faceva operare
Raffaello alla villa Farnesiana, non lo volle vedere disoccupato, inerte
ed ingrognato, gli fu mestieri far in modo che la Fornarina venisse
a starsene col pittore (2).
(1 ) Egli era già avvezzo a dire che da'bei volti imparava la bellezza nella
sua arte, e che per dipingere una bella gli bisognava vedere più belle donne .
(2) RAFFAELLO CHE SOGNA LA FORNARINA.
Versi di Giannina Milli .
O sorga l'alba rosea Ohi non stupire : all'italo
Dal mar con lieta fronte , Genio tributa onor ;
O schiari l'astro argenteo Basta un soi figlio a cingergli
Il limpido orizzonte , Dell'arti il sacro allôr.
Sempre una cara immagine Oh ve'l Una fiamma súbita
Di Sanzio nel pensier Tinge al dormiente il viso ,
Sta in cima, e norma ed arbitra I labbri suoi dischiudonsi
Fassi del suo voler. Ad un gentil sorriso ....
Eccolo : a sonno placido Sogna.... un sospiro fervido
Chiuse poc'anzi gli occhi ; Dal petto gli fuggi ....
Abbandonato pendegli Qual nome soavissimo,
Un braccio sui ginocchi; Sognando, proferì ?
Dell'altro al vago e nobile E lei che invoca, è l'angelo
Fronte si fa puntel ; Bello di etereo lume
Ai piedi suoi ravvisasi Che di terrena vergine
L'avvivator pennel . Per lui le forme assume ;
Tele e alberelli ingombrano È lei che nell'estatica ,
La taciturna stanza ; Ansia del suo pensier
Vedi incompiuta efigie Sogna , e sognando sembragli
Di angelica sembianza .... Innanzi a sè veder.
272 LA FORNARINA

E il padre della ragazza ? Per la salute dell'anima sua , voglio


supporre che, quando sopravenne tanta dimestichezza tra la sua
figliuola e Raffaello, egli fosse già tra i più. Dunque non parliamo
più di lui, borbottiamogli un De profundis, e requiescat in pace.
Durò più anni l'estasi di Raffaello . Quell'amore operava in lui
come una scintilla elettrica, che gli passava dal cuore alla testa , e
dalla testa alla mano , onde lavorava e continuamente lavorava, e
col pennello faceva prodigi. Delle Fornarine ne ha fatte non so quante,
e tutte bellissime : egli la introdusse nel gran quadro (li Eliodoro,
in quello della Trasfigurazione, nel Parnaso sotto l'aspetto di Clio (1),
e poi ne fece più ritratti a parte. Mi dimenticavo la Madonna della
Seggiola e la Santa Cecilia, per le quali figure non dubitò di avere
a modello la Fornarina. Delle purissime verginelle rappresentate da
lei ? Ciò non vi deve recar meraviglia, perchè non fu solo Raffaello
a dare a'suoi santi le arie e le fattezze della propria innamorata,
ma anche altri pittori prima e dopo di lui (2). E fino ad un dato
Lieve , qual soffio placido Pingimi , e niun tra gli emuli
Di aurelta mattutina, Di questa o d'altra elà
Ecco che a lui s'approssima La fama tua raggiungere ,
La vaga Fornarina, O mio pittor , potrà .
E con accento tenero Disse , e una vaga aureola
Sembra così parlar : Di luce la ricinse ;
« Volto del mio più amabile Ma come lampo , rapido
Sapresti immaginar ? » Poi quel fulgor si estinse .
Pingimi ; Iddio creavami Tende ei le braccia , sgombrasi
Solo per te si bella : Dai sensi il sonno allor ;
De' sogni luoi l'immagine, Ei sorge , e acceso sentesi
Di tua gloria la stella Di sovrumano ardor.
Son io , son io , ravvisami , Stringe il pennello , e rendere
Che nel leggiadro archetipo
vel Cerca quel vago aspetto ;
T'offro del bello Ma non è fuoco fatuo
L'idea rapita al ciel . Quel.o che gli arde in peito ;
Pingimi; e il mondo attonito Chè tra i frequenti baititi
Alle tue tele innante Del suo commosso cor ,
Nell'arte tua mirabile Misto dell'arte è il palpito
Ti appellerả gigante ; Ai palpiti d'amor.
Chè amor di gloria è stimolo
Sempre a bennato ingegno
Di poca fiamma accendesi
Chi poltre in ozio indegno.
( 1 ) Missirini , l . C. , - .... e la ritrasse a parte in magnifica tavola porta in dono
2 Taddeo suo amicissimo, in Firenze ; e finalmente la collocò nel Parnaso
sotto il titolo di Clio : e questo fu veramente il ritratto più vero sì del volto ,
si della persona della Fornarina ..
(2) I più gran pittori ritrassero le donne amate da essi . Nel museo di Pa
rigi si ammira la pellegrina bellezza dell'amante di Tiziano. Fu tra le più
stupende d'Agostino Caracci l'effigie della propria amica . Il Domenichino in
namorato dipinse con mirabil magistero la sua Frascatana. L'Allori ci lasciò
uno de'suoi capolavori nel ritratto della Mazzafiora . Il Rubens dipinse la rara
bellezza della figliuola de ' Ludens. Il Vandick, ad imitazione dell'antico Arel
lio (celebre in Roma a'tempi di Augusto ), che daya alle dee le sembianze
LA FORNARINA 273
segno non facevano male : molti poi erano a ciò costretti dalla
necessità, che non tutti potevano avere la ispirata fantasia di frate
Angelico da Fiesole , che creava nella sua cella ,> senza modello
alcuno sotto gli occhi, schiere d'angeli , l'uno più bello dell'altro e
tutti veramente celestiali. E dico che non facevano male ; perocchè
quel bello , dicasi pure profano, quel bello era per molti non sola
mente santo, ma anche santificatore. Le sembianze d'una bella donna
a cui era dato rappresentare una santa , parmi potessero significar
questo : Grazie, o Signore, dell'avere largito a una vostra creatura,
alla donna amata da me , tanta bellezza; perchè questa bellezza mi
9

ispirò santamente, e mi fece giungere lassù , ove da me stesso o sa


rei giunto tardi o non mai. Mercè sua io salsi dritto fino al sommo
bello , non mi fermai a nessuna stazione intermedia , neppure alla

luna, neppure al sole : nessuna cosa creata me lo fece perdere di


vista .
Ma non tutti gli artisti, pittori o scultori, la pensarono o la di
scorsero a questo modo, e ve n'ebbe molti , affatto materiali , che,
privi dell'attitudine, non a tutti concessa , di tradurre le bellezze
corporee in celestiali , popolarono chiese ed oratori di figure che
nelle fattezze e nelle movenze non hanno spiritualità alcuna. To
delle più belle e più vagheggiate donne del suo tempo, si fe'lecito collocare
il ritratto della contadina di Savelthem in uną Sacra Famiglia da esso di
pinta nella chiesa di quel villaggio.
Tiziano ci diè il ritratto di Cornelia , sua figliuola, e di una fanciulla Strozzi :
quadri di meravigliosa bellezza. Cosi ne parla il Ticozzi nelle Vite dei pit
tori Vecellii :
06
Troyavasi in Venezia del 1542 Roberto Strozzi , il quale , teneramente
amando una sua figliuola , che bellissima ed amabile fanciulla era di nove in
dieci anni , commise a Tiziano di farne di grandezza naturale il ritratto in
tero , onde avere presso di sè un quadro che, ancora fatta grande , gli ram
mentasse le grazie e la vivacità della fanciulletta. Nella qual opera tanto
amor pose il nostro artefice, siccome colui che compiacevasi di ritrarre una
così vaga e gentil bambina, che tutti giuravano di non avere fino allora ve
dato di mano di Tiziano nè di altri alcuna cosa che a questa potesse para
gonarsi. Questo quadro , conservandosi in Firenze dalla famiglia Strozzi, ve
niva esposto il giorno della festa sotto le logge di san Giovanni decollalo.
Nella quale circostanza vedutolo Lorenzo Magalotti, che fanciullo era di quat
tro in cinque anni , ne fa in modo preso che non gli usci più di mente quella
cara bambina. E , venutogli sett'anni dopo sott'occhio una cattiva copia di
cosi eccellenle originale , gli si rinfrescò con tanta forza quella prima im
pressione avuta da bambino, che non trovo pace finchè non n'ebbe una bella
copia in suo potere ” , – È una ragazzetta bionda , che sta in piedi , vestita
di bianco , con un oriuolo pendente da una catena d'oro che ha in cintura ,
il quale le arriva quasi insino ai piedi . In manu ha un pezzo di ciambella
in atto di romperla per darne al cagnolino bianco e rosso che si serra al petto
col braccio manco. Cosi il Magalotti nelle sue Lettere.
Lo stesso Ticozzi ; loco cit., pag. 235 : - La più pregevole cosa che Tiziano
facesse per messer Nicolò Grasso , fu il quadro d'una gentil giovinetta avendo
in mano dao panierini di frutti , nella quale si vuole che ritraesse Cornelia
sua propria figliuola ».
BERLAN. Le fanciulle celebri. 18
274 LA FORNARINA

gliete a quelle figure l'aureola che hanno intorno al capo, e vedrete


che cosa resta !
Mossi dalla grande amicizia e dalla stima che gli avevano, alcuni
uomini cospicui di Roma cercarono ogni via per indurre Raffaello
a sciogliersi da quelle catene amorose che egli non pensava di san
tificare col matrimonio : e tra quelli fu il cardinale Bibiena, che per
sino gli : offerse in isposa la propria nipote, bella, contegnosa e ricca
fanciulla (1). Un principe di santa Chiesa non trovava inferiore alla
propria altezza un pittore : ma questo pittore colla propria arte in
modo maraviglioso esercitata, aveva procacciato a sè una nobiltà senza
pari, quale re e imperatori non potevano e non potranno mai dare
co’loro diplomi. Quelle premure del cardinale riuscirono a vuoto,
perchè Raffaello era troppo invischiato nell'amorosa pania e, giovane,
sperava forse che non gli sarebbe mancato il tempo di provveder
meglio a'casi suoi ed al buon nome della Fornarina. Ma non sem
pre l'avvenire è quale se lo promettono i nostri desideri. Raffaello
non prevedeva che in età ancora verde egli avrebbe lasciato questa
vita. Egli forse l'avrà amata platonicamente, spiritualmente: ma gli
uomini , che credono aver diritto di essere severi anche ne' loro
giudizi superficiali, fanno colpa alla Fornarina di aver abbandonata
la casa paterna , di aver ambito agiatezze e piaceri superiori al
suo stato e di averli ottenuti con un mezzo che non tra il lavoro,
e di essere convissuta troppo famigliarmente con un giovane che
non le era nè parente , nè sposo. La morale anzi tutto , e in tutto,
dice il mondo, ed anche le apparenze son parte di decoro. I biografi
ad una voce gridano all'indirizzo della Fornarina : « 0 il più bello
dei vampiri , tu suggesti il sangue dell'angelo » ; nè la voce di
qualche gentile poeta basta a coprire quel grido. Lasciate anzi , si
dice, che la colpa trovi la sua pena ; noi abbiamo bisogno di ciò,
ciò domanda la morale pubblica ad esempio altrui, delle nostre fi
glie e delle nostre sorelle ; e voi ringraziate anzi l'opinione pubblica
che a quella misera colpevole abbia avuto de' riguardi, perocchè non
trasse in pubblico il suo nome ad essere lacerato e vilipeso , ta
cendolo se lo sapeva, non indagandolo se lo ignorava.
Far l'ammirazione dei posteri per la propria bellezza o per l'in
gegno e nel tempo stesso non cessare mai e poi mai , non cessare
in eterno di subire le censure altrui, non è certamente ventura in .
vidiabile , o care sorelle. Anzi io credo che voi imprechereste a
quella bellezza od a quell'ingegno che servisse a perpètuare il bia
simo delle vostre non buone opere. In tal caso le qualità fisiche o

( 1 ) Fila inedita di Raffaello d'Orbino, illastrata con note da Angelo Comolli.


LA FORNARINA 275

intellettuali sono il peggior castigo che la Divinità possa anticipare.


Quante belle donne, più vane e più deboli della Fornarina, cansa
rono la riprovazione dei posteri perchè non s'imbatterono ad un
uomo di genio che le traesse fuori dalla folla volgare e le circon
dasse di luce !
Finchè si vive quaggiù, l'amor proprio può essere solleticato an
che da quella specie di rinomanza, ma quando si è morti, oh come
deve spiacere all'anima, che non muore, quel perpetuo tormento del
biasimo altrui ! Ella vorrebbe esser fatta sorda per non udire ad
ogni momento da questo e da quello , in tutti i secoli e in tutti i
luoghi: « Come era bella ! com'era bella ! peccato che non fosse vir .
tuosa ! » .

E il non soddisfatto amor proprio della donna dove lo mettete voi ?


Colei stessa che si lusinga di andare all'immortalità per le opere
del celebre pittore che l'ama qua e là riproduce le belle fattezze
di lei, bisogna intanto che si assoggetti a servire alle materiali esi
genze dell'arte. Che figura faceva, vediamo , la Fornarina con Raf
faello ? Il genio di lui ora ascende l'Orebbo, ora il Parnaso ; ma ella
sempre discende, ella s'abbassa sempre dinanzi agli occhi proprî ed
a quelli degli uomini. Ed anche se non s'abbassa, è però una scala
che sta infissa sul suolo, mentre l'artista sale.
Noi abbiamo fatto bene, o sorelle, a non levare a troppo sublime
altezza i nostri sguardi , come fanno tante che s'innamorano della
fama degli uomini. Quegli uomini grandi e quella loro fama sono
pericolosi. Dico pericolosi , in primo luogo , quegli uomini, perchè
sono ordinariamente lunatici e il più spesso imperiosi. Essi non hanno
già preso in moglie una uguale, ma un'inferiore : la donna non è
la loro giusta metà, ma un terzo, un quarto od anche una frazione
infinitesimale . Di che può ella lagnarsi vedendosi trattata come in
feriore ? Ma, prescindendo anche da ciò , converrete meco che ,
> in
secondo luogo, e' sono pericolosi per quella fama che aggiungono
non pure alla vostra virtù ma anche ai vostri difetti. Abbiano pure
la miglior volontà del mondo a vostro riguardo : che importa ? Per
quanto siano potenti , non arriveranno mai a darvi gloria piuttosto
che fama. Que'grandi sono come i fili del telegrafo, che possono
trasmettere a grande lontananza un dispaccio , ma lo trasmettono
quale è ad essi presentato , senza correggerlo per via. Il nome ce
lebrato da essi trapassa i secoli, giunge alle tarde generazioni sulle
ali della Fama, ma, insieme alla Fama, a far lo stesso cammino tro
vasi un'altra perpetua ed instancabile viaggiatrice che si chiama
l'Opinione pubblica. Costei , mentre della Fama è sonata la tromba
>

e vengono pronunziati i nomi degli immortali , fa intorno a questi


le sue spiegazioni , i suoi commenti e le sue riserve .
276 LA FORNARINA

Ma se la Fama suona la tromba, io odo il corriere che suona la


sua trombetta, che coll'acuto linguaggio mi dice : « Termina, o ra
gazza mia, la predica ; finisci il tuo quaresimale, e dà la benedizione
papale , perchè già le tue sorelle ne avranno abbastanza di queste
tue lezioni morali » . E, oltre la trombetta, sento anche i campanelli
dei cavalli e lo scudiscio del postiglione . Faccio appena tempo di
smontare dal pulpito per consegnargli la lettera. Addio , in fretta ,
care sorelle, addio.

XII . Angelica ed Ernestina alla sorella Cecilia.

Una volta per sempre, grazie, o Cecilia, delle tue lettere ; grazie
in nome dell'Angelica che ti scrive, e dell'Ernestina che rivede la
presente. Chè quelle lettere non furono trovate così lunghe come tu
temevi, perchè non è veramente lungo che ciò che annoja. E come
avremmo potuto annojarci noi delle parole affettuose di una buona
sorella che toglie a sè stessa la libertà ed i piaceri della campagna
o per raddrizzare i nostri torti giudizi o per arricchirci di nuove
cognizioni ? Cosi potessimo far noi e concambiare alla tua cortesia,
mandandoti le biografie che desideri intorno all'Onorata Orsini, alla
Laura Ciceri, alla Rosa Govone, ed alla Tornielli-Bellinil D’una no
stra visita alla Biblioteca nazionale, son frutto i magri cenni che ti
mandiamo in fretta, cavati di qua e di là, che troverai qui acchiusi
in altrettanti pezzettini di carta ; perchè già sai bene che qui in casa
non abbiamo neppure ombra di libreria. Qualche ufficio della setti
mana santa, il libro delle sette trombe, Paris e Vienna e la cabala
del lotto, e quest'ultima proprietà dell' Apollonia ; ecco tutti i nostri
libri .
Si, credimi, cara sorella, che papà, mamma, nonna, il cugino Carlo
e tutta la conversazione, abbiamo letto con piacere le tue lettere ; e,
se ti accontenti dell'approvazione di questo cosi ristretto ma scelto
pubblico, tu l'hai. Non vi fu che uno solo che facesse qualche smorfia,
e tu indovini bene ch'egli è quell'ex-chericone del tempo degli
austriaci che si crede il più bello, il più amabile e il più dotto uomo
del nostro stivale. Una volta tutti lo ritenevano per un gran coso ,
ma ora ha perduto le penne di pavone. Bazzica in casa nostra per
certe convenienze sociali a cui papà e mamma sono legati; ma Er
nestina ed io non lo possiamo digerire , prima per il suo orgoglio
da Lucifero e poi perchè con quella sua smorta faccia si dà aria
di bel Narciso. Immaginarsi che s'era messo a fare il cascamorti
anche coll'Ernestina ! Ma tu gliene devi aver fatta qualcheduna di
grossa, tu, perchè questo gallo di monna Fiore, quando può ti becca.
LE BENEFATTRICI 277
Adesso, per esempio, dice che da' tuoi giudizi sulla Eleonora si vede
bene che inclini alla demagogia ed al disprezzo delle autorità, e ciò
ch'è peggio, che non rispetti neanco le fosse. A' morti egli non per
mette che si dica le verità, quando e' siano principi e colle antiche
code. Vedi che esagerazioni e che idee sono le sue ! Ma già tu sai
che questo è il suo modo di ragionare e di criticare. In passato noi
gli davamo sulla voce, ma ora abbiamo smesso ; e ci troviamo gusto
a ridere tra noi della sua goffa presunzione, ed anzi lo secondiamo
per burla quando dice male di tutti e di tutto e persino del paese
che gli dà i mezzi di farla grassa. Io vorrei che avesse il doppio
di quello che ha, ma non so spiegare a me stessa come vi possano
essere paesi che siano ricchi sfondolati quando si tratta di tenere
ben pasciuti i propri nemici, e poveri quando viene la volta di dare
un pane agli amici. Ma questi saranno segreti di politica ed alte ra
gioni di Stato, che noi donne, col nostro cuore, non arriveremo mai
a comprendere e spiegarci.
Ma a te importerà poco di conoscere gli oracoli di quest'ipercri
tico de' miei stivali. Si dà peso al giudizio d'un uomo qualunque
se non è conosciuto ; ma una volta che lo si sappia una nullità , è
da pazzi scaldarsi il fegato.
Vengo a qualche cosa di meglio, ed è ciò appunto che mi fece
prendere la penna in mano. Gran novità in casa , e buone no
vità, anzi gran fortuna ! – Abbiamo forse guadagnato il premio di
-

centomila lire della lotteria civica ? Ci andarono forse bene i bachi ?


Abbiamo forse venduto a prezzi favolosi tutta l'uva che ha ancora
da nascere ? No , cara Cecilia, nulla di tutto questo. La novità
e la fortuna è un grande acquisto che abbiamo fatto. La famiglia
cresce : non siamo più in cinque ma in sei. -

Oh ! Angelica, li sei
sposata .... senza neanco avvisarmi delle tue nozze.... si capisce su
bito D.
Oh no, cara mia, non si fanno di queste cose dalla figlia
di tuo padre. Ecco di che si tratta. Tu sai che babbo attende tutto
il giorno agli affari, e che non gli avanza tempo da stare intorno
a noi. Mamma, pensa all'ordine ed all'economia della casa , ed ha
per giunta l'amministrazione di quel po' di bene che, col lavoro e
co'risparmi abbiamo potuto acquistarci in campagna . Il babbo, quando
sposò la mamma, era asciutto come la palma della mano : nè suo
padre nè suo zio nè suo nonno avevano lavorato o rubato per la
sciarlo ricco. Or bene , papà e mamma , trovandosi al presente in
qualche larghezza pecuniaria, da que' buoni genitori che sono , per
compiere la nostra educazione, ch'era abbozzata piucchè altro, tira
rono in casa una buona donna , d'un'età di mezzo , sui trenta , se
non li ha passati. Essa da poco tempo è vedova d'un maestro di
278 LE BENEFATTRICI

scuola . Maestro di scuola suona a' nostri giorni quanto fatica e mi


seria ; e quest'ultima egli ha lasciato in eredità alla moglie. La quale,
piena di bontà, di talento ee di cognizioni, paga assai largamente l'o
spitalità che le diamo educandoci come tante principesse. Che dico
io ?' e che vado a tirar fuori ? Altro che principessel Ella c'insegnò
ad andar avanti noi ed a far andar avanti il nostro secolo ; ella ci
educa ci forma alla vera missione per cui fu creata la donna . Oso
dire che quando ritornerai a Milano, e t' aspettiamo non più tardi
della fine di questo mese, ti convincerai da te stessa de' suoi meriti
e de' nostri progressi. Ella ha già una buona opinione di te, e gliele
hanno formata le tue lettere ; sicchè m'aspetto che al tuo arrivo
sarai subito proclamata sua ajutante. Siamo impegnate tutte e due,
Ernestina ed io, perchè tu non perda i tuoi gradi accademici, o si
gnora segretaria del signor ministro dell'istruzione privata.
Papà e mamma sono molto sorpresi che , a differenza delle altre
maestre, la brava donna ci faccia comprare pochi libri e che tut
tavia c'insegni molto. Appena appena ci ha fatto acquistare il voca
bolario e quella grammatica italiana che i nostri barbassori sapien
tissimi quasi riuscirono a sbandire dalle scuole. Noi dobbiamo, di
cono essi, imparar a parlare ed a scrivere correttamente a forza di
pratica. Che pratica d'Egitto ? Quella forse del meneghino che par
liamo tutto il giorno ? O quella che ci viene da' buoni libri che non
possiamo leggere continuamente ? L'aja ci ha fatto comperare un
vocabolario grosso, e ci ordina di studiarlo , proprio di studiarlo ;
perocchè ella dice che noi dobbiamo imparare la nostra lingua come
se fossimo stranieri. Ed ha ragione ; chè infatti ci mostriamo igno
ranti come gli stranieri, quando occorra di esprimerci con proprietà
di vocaboli e di chiamare le cose col loro nome. Metti un toscano,
un bergamasco e un siciliano a discórrere, puta caso, delle diverse
parti dell'abito che hanno in dosso, e sentirai che confusione e che
diversità di vocaboli. Ma chi nelle scuole pubbliche o private insegna
il vocabolario e ne prescrive lo studio ? Che noja , che fatica fu la
nostra sulle prime ! Perocchè ella ci obbliga pure a trovare esempli
per quelle trenta o quaranta parole o frasi che si allontanano dal
l'uso e dalla forma del dialetto, le quali siamo costrette ad impa
rare ogni giorno a memoria. Ma questa noja ora non c'è più ; e
cominciamo"anzi a trovarci gusto : poichè a tavola , in cucina , in
sala, al passeggio, parlando con proprietà di vocaboli , vediamo re
stare colla bocca aperta gli stessi mamma e babbo. La nonna poi,
la povera nonna, quando le parliamo della sua calzetta, prima inarca
le ciglia per lo stupore, poi ci guarda come trasognata e dice che
anderà tutto bene, che parleremo anche benissimo, ma che il nostro
LE BENEFATTRICI 279
non è linguaggio italiano. Vedi a che ci hanno condotte le nostre
secolari divisioni e suddivisioni : a non conoscere neanco ed a chia
mare straniero ciò ch'è patrimonio di tutti !
Senti come la istitutrice ci fa passare la domenica e in generale
tutte le feste. Non aspettarti però ch ' io ti parli delle nostre devo
zioni, perocchè le sono cose che riguardano esclusivamente la mamma,
la quale non permetterebbe d' essere in ciò sostituita da chi che sia.
E la nostr'aja le dà ragione e dice ch'ella fa benissimo e che nessun
maestro od altro estraneo dovrebbe occuparsi di simili materie de
licatissime. Tornate colla mamma a casa delle consuete pratiche re
ligiose, si fa colazione, poi ci svestiamo del modesto abito bruno ,
perchè non siamo state in chiesa a portarvi il figurino della stagione,
e, messeci un po' in gala, usciamo coll'istitutrice. Non andiamo per
via cogli occhi bassi bassi , come le pinzochere , anzi teniamo alta
la testa e tiriamo dritto per la nostra strada, senza farci nè rosse ,
nè bianche se qualcheduno nel nostro passaggio dice : « Oh che bei
diavoletti! » . Noi vediamo tutto e tutti, ma non guardiamo nessuno :
senza essere rospi, non siamo civette. Qualcheduno alle volte ci tiene
dietro; e noi non ci volgiamo e lasciamo che faccia il suo comodo :
perchè, se non ha le migliori intenzioni del mondo , egli stesso ad
un tratto si sbanda, e, buona notte, ci libera dalle sue persecuzioni.
È un segreto tutto nostro che ti sarà chiaro quando più innanzi ti
dirò dove andiamo e dove ci fermiamo.
Le cantonate sono ordinariamente tappezzate di cartelloni in ca
ratteri grossi, cosicchè ti saltano sotto gli occhi a quasi mezzo miglio
di distanza. La buona donna comincia di là le sue lezioni ; e perchè
gli avvisi sono di cose relative a mestieri, ad arti e scienze, le quali
c'entrano o per bene o per male anche nei divertimenti, ella c’in
trattiene della utilità , della applicazione e dei progressi di queste.
Gli avvisi teatrali ci hanno offerto il destro d'imparare più storia
di quello che avessimo potuto fare in un anno di scuola conversando
in ispirito cogli Oschi, cogli Umbri, coi Tirreni e coi Pelasgi , gente
poco nota eziandio a quelli che ne parlano ex - professo. Molti fatti
compassionevoli o per altro modo interessanti, abbiamo imparati in
tal guisa ; perchè la nostra buona istitutrice ha l'arte di raccogliere
in poche parole l'essenziale d'un fatto e ce lo presenta di tal ma
niera che bisogna vederne subito il lato morale. Ma che confusione
in quegli avvisi teatrali e quanta diversità di mezzi per raggiun
gere il diletto ! Quando vediamo che si tratta di salti moriali o di
qualche domatore di fiere, viriamo bordo ; perchè le son cose che
ci ripugnano. Ci par impossibile che in un secolo che vanta d'es
šere eminentemente civile, un pubblico sedicente colto, trovi piacere
280 LE BENEFATTRICI

nel pericolo altrui. Ed arrischiare la vita per un po' di danaro che


brutta cosa ! E quegli sciocchi applaudono e domandano il bis , e
fra quegli sciocchi vi è anche qualche scioccherella che ha un cuore
con tanto di pelo ! Gli avvisi della commedia ci danno doppio diletto,
perchè non avendone sott'occhi che il titolo, siamo costrette a fan
tasticarci sopra, a indovinare dalla divisione degli atti o dal nome
dei personaggi se titoli e personaggi vi sono l'andamento
della commedia e la catastrofe. Molte volte ci avvenne poi di leg.
gere cuna di quelle commedie di cui non avevamo veduto che il
titolo, e ti dirò, cara sorella, che ci siamo accorte che l'autore nel
comporla aveva badato alle convenienze dell'arte e del pubblico
assai meno di noi . Annunzi di drammi storici oh quanti ne abbiamo
letti! ma tutti pieni di veleni, di stili, di tromboni scavezzi , ecc.,
cose da mettere i brividi . Ma non abbiamo veduto mai nessun car
tellone che ci annunziasse una serie di drammi che nel loro insieme
e per punti salienti dessero la storia d'Italia o di Milano. Eppure
in un abbonamento di venti o trenta recite , il popolo , ch'è tanto
vago della storia del proprio paese , e de' grandi fatti de' suoi avi ,
potrebbe istruirsi nelle patrie cose. E questo, dice la istitutrice, sa
rebbe l'unico modo di rialzare la letteratura e l'arte drammatica ;
proponendo, ben s'intende, premi per i più eccellenti lavori. Il go
verno, che stampa pure i suoi programmi con le norme per questa
o per quell'opera messa a concorso , dovrebbe fissare il punto di
partenza e quello di arrivo di ciascuno di tali drammi : così non
mancherebbe l'ordine e la progressione necessarî, nè le epoche im
portanti sarebbero dimenticate o sagrificate all'arbitrio del capo co
mico, che per economia di vestiari e di scene sarebbe capace di
sopprimere i Vesperi siciliani o Masaniello. Quello si sarebbe un teatro
nazionale e un'istituzione degna della tanto vantata nostra civiltà.
Al quale teatro drammatico potrebbe far riscontro, essere il dessert,
la tavola bianca del teatro, una serie di commedie e di farse che
mettessero in rilievo, secolo per secolo, tutti i pregiudizî , le strane
usauze e le ridicolaggini della vita privata de' nostri avi insino a noi.
Dice l'istitutrice che per l'istruzione pubblica il solo governo spende
un quindici milioni circa di lire all'anno : in proporzione assai più
della Francia ; eppure abbiamo una letteratura pitocca , che va a
zonzo col suo casottino d'imitazioni, di riproduzioni ed anco di stra
nezze proprie , ed un'arte drammatića , che , incoraggita dal falso
gusto del pubblico, si sciupa trattando le più arruffate questioni so -
ciali senza scioglierne utilmente mai una. Or questi due gravi fat
tori e rappresentanti della civiltà d'un popolo non potrebbero essere
meglio indirizzati all' educazione pubblica e più incoraggiti e più
LE BENEFATTRICI 281

giovati. Si ha più in mira, parmi, dice sempre la nostra buona aja,


si ha più in mira l'istruzione che l'educazione; o mal si crede che
l'una sia l'altra. Ad ogni modo la parte si prenderebbe pel tutto : il
che può essere una figura retorica, ma in uno Stato è cosa sconcia e
che ci fa fare assai brutta figura. Io credo che basterebbe che un solo
de' principali municipi, il nostro, per esempio, proponesse premî per
la storia sceneggiata del proprio comune, ad uso del popolo, che non
tutto sa leggere, che non tutto si diverte a sfogliettare il Corio, il Giu
lini, il Verri, ed il Rosmini, perchè subito fosse imitato da altri comuni
e da questo o da quel ricco signore che, per fare il bene, non altro
aspetta se non che gliene sia indicato il modo migliore. E ve ne sono,
grazie a Dio , di tali. Nessun governante allora dormirebbe della
grossa ; in questa nobile gara vergognerebbesi di venir l'ultimo , e
farebbe prontamente per l'Italia ciò che i municipi per le singole
città, perchè non si avesse a dire : Chi mancò alla festa, o l'ultimo
a comparir, fu Gambastorta !
Ma se io avessi a dirti tutte le impressioni che ci vengono dalla
lettura di quegli affissi, ne farei un volume. Perchè noi, vedi, prima
si osserva, poi si pensa, quindi si parla : e la istitutrice porta nel
l'argomento un copioso corredo di cognizioni e di idee già messe
in serbo.
Ora supponi che dietro all' Ernestina o dietro a me voli qualche
moscone o zanzerino : noi siamo giunte al luogo a cui eravamo di
rette, entriamo , ed eccoti il moscone o lo zanzerino che subito spa
risce. E sai perchè ? Perchè le nostre visite sono agli orfanotrofi, agli
spedali ed alle carceri. Queste sono opere di misericordia : credo che
non ci manchi che di seppellire i morti. Che andate voi a fare
agli orfanotrofi ? È storia un po' lunga, cara sorella , ma farò di
spicciarmi con poche parole. Devi dunque sapere che l'Ali, il nostro
cagnolino, non è più in casa nostra: lo abbiamo mandato all'erba ,
a Seregno, perchè non faccia più il mestiere del michelaccio ed an
ch'esso si guadagni il pane e goda della sua libertà. Che diritto
avevamo noi d'inceppare la sua libertà di locomozione ? per parlare
come i pubblicisti; e che diritto aveva esso alle nostre tenerezze, ai
biscottini della nonna ed alla zuppa del papà ? Se abbiamo qualche
cosa di superfluo non vi sono forse i poverelli a cui darlo ? Non è
meglio avere le benedizioni di un nostro simile che gli abbajamenti
d'un cane ? A conti fatti, Ali costava alla famiglia, tutto compreso,
eziandio la tassa ed il bollo, perchè da ultimo pagava anche le im
poste come qualunque cittadino; a conti fatti, dico, e' ci costava su
per giù una lira al giorno. Or quel danaro , per consiglio dell' i
stitutrice , lo spendiamo meglio. Quando abbiamo messa da parte
282 LE BENEFATTRICI
una trentina di lire che avremmo dovuto spendere per la be
stiola, li portiamo alla direzione dell'orfanotrofio femminile perchè
un po' alla volta vengano a formare una piccola dote a beneficio
della più brava e buona allieva dello stabilimento. E quei danari
sono depositati subito da quella benemerita direttrice presso la cassa
di risparmio . Abbiamo calcolato che tra capitale e interessi, quella
ragazza si troverà da qui a cinque anni padrona di circa un mi
gliajo di franchi. E così facciamo un po' di bene ed evitiamo un
gran male: perchè il cane in una casa ed in una città è un peri
colo continuo. Si suol dire che il cane è fedele; ma andategli a par
lare delle sue belle qualità quando è idrofobo ! Ecco com'esso paga
l'ospitalità ai paesi che tollerano la sua inutile presenza : co'morsi !
Morde a destra ed a sinistra ; e le sue morsicature sono insanabili
novantanove volte su cento, non bastando il ferro e il fuoco a gua
rirle. E quel povero gramo che fu addentato da un cane, anche se
la porta fuori, vive per tutto il tempo che campa in sospetto ed in
paura che gli si sviluppi o gli si rinnovi la rabbia. Che orribile morte
è quella di chi è morso da un cane ! Il medico di casa ce ne fece
tale una dipintura da rabbrividire. E pel capriccio d'una vecchia
matta o di altra donna che forse ha più premura pel cane che per
i figli, un'intera città tutto il tempo dell'anno dovrà rimanere espo
sta a cosi grave pericolo ? Nell'abitato non si ammettono pantere o
leoni ; pagassero un doppio, triplo o quadruplo testatico, non si vor
rebbero: or perchè si fa grazia ai cani, che per la incurabile ma
lignità de' loro morsi sono dieci volte più pericolosi di quelli ? Il
cane , e non raggrinzi il naso per questo ravvicinamento il sesso
forte, è come l'uomo : questi ha delle buone qualità , ma guai se
diventa fiera, perchè allora è la peggiore di tutte. Per tale somi
glianza cred' io che il cane sia tollerato nelle città e non ne venga
una buona volta sbandito. Ma tu, per carità , non riportare queste
mie parole al barba, perchè allora si ch'egli sarebbe capace di as
somigliare noi povere donne alle vipere o alle tarantole !
Uscite dall'orfanotrofio , andiamo allo spedale maggiore. Che bella
casa, massime al di fuori, hanno i poveri ammalati ! Non lo sappiamo
positivamente, ma ci vien detto ed assicurato che anche il servizio ,
come si suol dire, corrisponde alla magnificenza esterna, e che i santi,
i benefattori dell'umanità non sono solamente al di fuori, sulla fac
ciata, e di pietra, ma anche nell'interno dello stabilimento e vivi e
di carne. Quivi tutti pensano al bene del povero , non al proprio :
chè sarebbe troppo brutta cosa che, chi amministra, o serve, non si
considerasse come servo e amministratore del pubblico, ma si piut
tosto come assoluto padrone. È vero che i maggiordomi ed i gastaldi
LE BENEFATTRICI 283
dei gran signori finiscono spesse volte col diventar essi i padroni di
tutto, e intanto mangiano a due palmenti ; ma altro è, o dovrebbe
essere, un palazzo di ricchi oziosi ed altro uno spedale che ricetta
l'uomo del popolo che, pur lavorando, non ha potuto fare risparmi,
co' quali curarsi al bisogno in casa propria. Dico così perchè la
maggior parte dei ricoverati sono buoni operai. Ma se discendiamo
ai particolari, quante storie in quei letti, quante virtù e quanti vizi!
Perocchè allo spedale mena tanto la incolpevole povertà, quanto la
meritata miseria. Molti v’hanno per i quali lo spedale non è che una
stazione per passar di quivi al carcere. La giustizia umana, e non
diciamola crudele, vuole che la sua spada non tagli altra carne che
la sana. Le parrebbe d' essere inumana, se colpisse un ammalato.
Ed allo spedale, quando v' andiamo, noi facciam da fattorine, rice
viamo le commissioni di questo o di quell'infermo, e scrupolosa
mente le adempiamo. E benedetto sia l'omnibus che ci serve a me
raviglia, giacchè non potremmo andare da porta Vittoria a porta Te
naglia, e da porta Tenaglia, puta caso , a porta Ticinese , senza pi
gliarci qualche seria infiammazione. Ed ecco che facciamo anche un
po' di moto in carrozze. Utile dulci! Che cosa spendiamo poi ? Una
trentina di centesimi per ciascheduna; facciamo relazione con della
brava gente, e non ci annojamo, come avverrebbe, spendendo anzi di
più, se ci recassimo a qualche sala di spettacolo. Ora si paga tutto
caro , anche la noja.
Se poi andiamo a qualche ricovero di vecchi , là ce la godiamo
ancora più , perchè gli estremi si toccano. La primavera , condotta
dall'autunno , va a trovare l'inverno. Come ci fanno piacere que'
buoni vecchietti, che non sono niente brontoloni , anzi piuttosto al
legri e che col progredire dell'età diventano sempre più loquaci!
Ei sono là ! E dire ch'essi avranno avuto cura, e gran cura forse ,
de' loro figli, ma, perchè costoro sono o morti o poveri od ingrati ,
interviene la carità pubblica che dà a quei padri un pane e un asilo !
Ma, con tanta generosità, com'è, cara sorella, che la carità pubblica
ha voluto che indossassero un uniforme, una livrea, quando vanno
a spasso ? Tutte le livree sono pesanti , anche quella della benefi
cenza. Che bisogno ce n'è? Quei vecchi'non debbono già raccogliersi
intorno ad una bandiera , od occupare una posizione strategica , o
fare tutti la stessa manovra, perchè abbiano anche nel loro esteriore
a figurare come le parti di un tutto omogeneo. Quando se ne vede
per istrada uno di tali si dice subito : Ecco il tale è soccorso : il
tale è un pitocco ! - È nobile, è delicata questa carità ?
Veniamo alle carceri. Basta rasentarle , basta guardare dalla strada
alle inferriate, basta mirare in faccia gli aguzzini, basta veder le
284 LE BENEFATTRICI
rigide sentinelle, basta udire il cigolare delle porte ferrate e lo squas
sar delle catene ; e le lezioni, che vengono dal vedere e dall' udire
ciò, equivalgono bene a qualsivoglia sermone. Qui si vede la puni
zione che raggiunge il reo mentre è ancora in vita : lo scellerato
credeva che ella fosse zoppa , e invece fu abbastanza sollecita per
raggiungerlo e ghermirlo : la supponeva cento e cento miglia lontana
da lui, e invece se la vede innanzi e seduta. E quella punizione non
lo lascia dubitare della giustizia di Dio , perchè questa intanto si
serve del braccio della società per atterrarlo e punirlo anche qui
in terra.
E i manicomi ? Ci andiamo qualche volta : e stanno molte volte
pei loro offici fra gli spedali e le carceri ; chè non tutte le pazzie
sono originate da malattie naturali, ma alcune da infermità morali.
E di non poche di queste , l'uomo è egli stesso la causa , e n'ha
colpa. Il giusto Iddio ha spinto le passioni , nella loro corsa sfrenata,
a dover metter capo ad un bivio : « 0 per di quà , o per di là » , ha
detto : « adesso l'una strada 0o l'altra dovete scegliere ; l'una o l'altra
è la strada del castigo : al manicomio od all'ergastolo ! » .
Lunedì di questa settimana, ch'era festa di precetto, per la visita
d'un solo monumento abbiamo dovuto spendere quel tempo che ci
basta ordinariamente per visitarne tre o quattro. Trattavasi dell' in
augurazione del monumento al conte Cavour, che fu innalzato nella
piazza del suo nome, opera dei signori Tabacchi e Tantardini. In
piazza v'era calca, e prima di arrivare sotto la statua ce n'è vo
luto. Non si dirà più che l'Italia sia ingrata verso i suoi illustri
figli: questo monumento ce n'è una prova, perchè sui gradini del
basamento si vede questa buona madre che , per correre presto a
pagar il suo tributo di riconoscenza, è uscita di casa, anzi dal letto,
senza porsi in dosso neanche un po' di camicia, e coprendosi ap
pena dalle reni in giù con una qualche cosa che le è venuta alle
mani , pare con una delle coperte del letto o con un tappeto. Di
quella nudità non c'è pericolo che Cavour si scandalezzi, perchè è
miope e gli hanno tolto gli occhiali. Il termometro deve segnare uno
o due gradi sotto lo zero , perchè vedesi il conte ben riparato da
pesante pastrano ; ma ella non sente freddo negli ardori del suo en.
tusiasmo. Alcuni dicono che sia invece la Storia (o piuttosto la Cro
naca o la Cronologia, perchè la Storia è semplice, ma non ignuda) ;
ed altri che sia la Filosofia , appoggiandosi questi ultimi al noto verso
che dice : Povera e nuda vai, Filosofia ! Ma qualunque delle tre ella
sia, ha certamente una gran premura, e glie ne dobbiamo in verità
esser grati. Aggiungi che, avendo essa nella mano sinistra una co
rona, che vorrà certamente deporre sopra la testa del conte e non
LE BENEFATTRICI 285
sulla gradinata, alla mercè di qualunque passa, non essendo questo
un monumento sepolcrale , io credo che sarebbe nostro dovere di
non lasciarla arrampicare su pel basamento nello stato adamitico in
cui la si trova, ma che dovremmo farci piuttosto consegnare la co
rona'e coll' ajuto di una scala andar noi , cioè qualcheduno man
dato da noi, a porla al suo posto. E se Cavour, come Sem, gittasse
il suo pastrano sulla nudità della madre comune, credo non farebbe !
niente più che il suo dovere.
La visita del monumento di un uomo celebre si, ma sempre d'un
uomo, è stata per noi cosa straordinaria e fuori della regola adot
tata ; dappoichè è convenuto che prima di tutto si vada a vedere
quelli che furono eretti al merito delle donne. I quali, in verità , e
sono troppo pochi e bisogna cercarli col lanternino. I signori uomini,
non so perchè, quando si è trattato di alzare monumenti agli indi
vidui del loro sesso hanno voluto l'aria libera ed hanno anche fatto
a bella posta delle piazze; ma per noi, le poche volte che se ne sono
ricordati, ci hanno cacciate nei cortili dei teatri , delle accademie.o
degli spedali . L'Agnesi, in un busto di marmo, sta nel cortile, sotto
il porticato , a destra, del palazzo nazionale di Brera ; e aggiungi che
s' ella non fosse tutta assorta ne' suoi calcoli matematici, nelle sue
radici cubiche e nelle sue ennesime potenze, dovrebbe chiudere gli
occhi per non veder Napoleone I che, tutto nudo, sta in mezzo del
cortile. Questi benedetti scultori e pittori l'hanno proprio col nudo
e ti spogliano persino lo stesso Napoleone I pur avvezzo a spogliare
popoli e re ! Che direbbero, se potessero parlare, tutte le statue che
stanno in giro sotto il porticato , le quali sono senza cappello ? È
forse per rispetto alla visita imperiale, che non aspettavano ? Manco:
male che son vestiti d'inverno e bene ingabbanati! Se non che, a
giustificazione degli scultori che espongono nudi e crudi a tutte le
intemperie i loro eroi >, si dirà che non possono tener dietro alla
moda, ch'è volubile ed assai spesso barocca ed antiartistica. Non per
portare il nostro sesso , ma per la giustizia , non ti par egli , cara
Cecilia, che l'Agnesi avrebbe meritato qualcosa più di quel busto ?
Que' dotti che hanno statue gigantesche nel cortile, sono tutti di tal
valore da poter dire : « 0 buona Gaetana , voi dovete accontentarvi
(

che vi si veda la faccia (perchè è una bella faccia ); noi invece siamo
degni che ci si vedano anche gli stivali » . E per la storia della moda,
che correva quando vennero scolpiti, avrebbero forse ragione.
Io non perdo di vista il mio soggetto , o cara Cecilia ; nè mi di
mentico che ti devo degli appunti sopra alcune benefattrici dell'u
manità. E, per tornare subito a bomba, dico che la nostra istitutrice
ha ragione di affermare che , se noi donne non promoveremo una
286 LE BENEFATTRICI

sottoscrizione nazionale per un monumento alla Cinzica Sismondi ,


alla Segurana (1) od alla Govona , non ne verremo mai a capo di
núlla, e che i signori uomini per omnia sæcula, continueranno a re
legare la memoria delle più belle glorie dell'umanità ne' siti più
fuori di mano e più ombrosi; e questo per non farci l'onore d'una
pubblicità piena ed assoluta . Ma i signori uomini, che parlano sem
pre di Roma, perchè fingono poidi non sapere o di dimenticare che
il merito muliebre era ricompensato in modo solennissimo da quella
regina del mondo ?. Clelia non ebbe ella una statua equestre nella
via Sacra ?
Il giro che abbiamo fatto ai monumenti delle donne benemerite
di Milano si compi in breve: tre o quattro corse in omnibus basta
rono . Del monumento dell'Agnesi t'ho parlato, vera meschinità per
una donna del suo merito. E poi esso sta lì senza neanco un'iscri
zione che dica ciò che ella ha fatto di bene. Varrà per i sapientis
simi, i quali, per gli studi che professano , sono obbligati a sapere
chi ella fosse e quanto valesse, ma non per chi ne' primi passi della
sua educazione ha bisogno di apprendere dall'epitaffio le gesta ed i
meriti dell'Agnesi. Se non c'era la istitutrice che ci narrasse la vita
di quella brava nostra concittadina, noi avremmo dovuto acconten
tarci di esclamare alla vista di quel busto : - Che bella e simpatica
-

.
giovane! - Ma questo non è il profitto che si dee cavare dai monu
menti pubblici, esposti non solo al guardo dei dotti, ma eziandio degli
indotti, che sono la massima parte.
Nell'atrio dell'ospedale dei Fate-Bene-Fratelli, posto nello stradone
di S. Vittore, vedemmo due monumenti, l'uno in onore della vec
chia marchesa Luigia Castelli Visconti-Modrone , l' altro della gio
vane Maria Sacchini. Ecco due signore che amarono i figli del po
polo, e di cospicue rendite provvidero quello spedale. Brave ! elle
mostrarono non essere sempre vero ciò che dice il proverbio , che :
« Martello d'oro non rompe le porte del cielo ; > 0, per dir meglio,
che bisogna saper interpretare bene quel proverbio. Infatti, se esse
non avranno rotte quelle porte tanto da entrare per la breccia e
non ne abbisognavano avranno però con quel martello che non
si spezza, picchiato così forte da farsi udire dal portinajo celeste
anche s' egli si fosse trovato alquanto lontano ad accompagnare ne'
più eccelsi luoghi del paradiso altre anime più sublimi arrivate poco
prima alla sua porta. Benedetto chi si ricorda del povero ! benedetto
chi, spogliandosi del manto della ricchezza per comparire quale usci
dalle mani della natura , lascia caderne lo strascico sulla povertà

( 1 ) Veggasi in questo volume il capitolo delle Patriote.


LE BENEFATTRICI 287

nuda e vergognosa! Egli avrà forse più mite o più munifico il giu
dizio di Dio.
Ma'il monumento della Laura Ciceri , che trovasi nell'atrio del
>

l'ospedale delle Fate - Bene- Sorelle, più che ogni altro ci riempi di
ammirazione e di santa gioja. Chi era Laura ? Se la consideriamo
nell'età giovinetta, la vediamo struggersi di carità e rammaricarsi
perchè, sebbene ricca, non potesse disporre che di qualche soldo in
elemosina al povero. Il suo bel cuore la spingeva in traccia de' bi
sognosi , e poi come s'affliggeva, come diventava rossa , neldover
d
dire : « Perdonatemi, non ho di più » , o nel dover ritrarsi da quella
miseria a cui s'era avvicinata per soccorrerla dimenticando di non
averne i mezzi ! Oh se avessi uno scudo o un napoleone d'oro !
dicono i ragazzi, e credono che con quello scudo o con quel napo
leone d'oro potrebbero comperare mezza la città ! Ma , se avessi
-

uno scudo o un napoleone d'oro -, diceva la fanciulla Ciceri , -oh


quanti poveri potrei far contenti ! Infatti a due soldi per ciasche
duno ella avrebbe potuto far la carità a molti. Ma Laura presto
comprese volerci ben altro per chi soffre la povertà ; e che il soldo
o i due soldi non servono il più spesso che a favorire l'accatteria
divenuta mestiere. I primi aventi diritto a' soccorsi sono i malati :
e bisogna che chi assiste al loro letto non ne faccia alla sua volta
un mestiero : bisogna che lå beneficenza diventi come una specie
di religione la quale abbia i suoi sacerdoti o le sue sacerdotesse.
Questi furono i pensieri di Laura, ed a compier questo attese, finchè
nel 1823 potè nel sobborgo degli Ortolani instituire uno spedale per
le donne, affidandone la cura ad una società delle Fate-Bene-Sorelle.
La donna che dà l' esempio della beneficenza pubblica forse sulle
prime trova de' cattivi che col loro soffio maligno vorrebbero spe
gnere la lampada della carità ch'ella porta in mano : ma, se quella
donna è costante ne' suoi generosi propositi, l'invidia stessa si cam
bia poi in ammirazione, i sarcasmi in elogi e gli ostacoli in ajuti.
E così fu, cara sorella, della Ciceri, la quale tredici anni dopo po
>

teva porre la prima pietra di quello stabilimento che sorge elegante


nella sua semplicità a Porta Nuova (1 ),
Laura, la Ciceri, e sempre Laura e sempre la Ciceri ! E perchè
" non dire : la signora contessa Laura, la signora contessa Ciceri ?
Se taluno mi facesse questa domanda, risponderei : Perchè la Laura,
la Ciceri non ha bisogno di questo titolo per essere rispettata ed

( 1) La Ciceri, nel tempo ch'era giovinetta, abitava nella parrocchia del Car
mine. Mori li 29 ottobre del 1841, di 74 anni. Altri monumenti di benefattrici
del pio luogo stanno nell'atrio medesimo .
288 LE BENEFATTRICI
onorata , e perchè il titolo di madre dei poveri è maggiore di quello
di reginà e d'imperatrice (1).
Per giungere al monumento della Ciceri bisogna entrare nell'atrio
dell' ospedale, o bisogna contentarsi di vederne qualcosa dai cancelli,
sempre per quella benedetta ragione che dicevo poc'anzi, che cioè
si vuole che paja quasi contrabbando la giustizia resa al nostro
sesso .

Ma se non voglionsi erigere nelle pubbliche piazze i monumenti


alle illustri donne, si pongano pure in luogo appartato, dice la no
stra istitutrice, ma in tal luogo che sia aperto al pubblico. Anzi l'e
sposizione che nel gran cortile dell'ospedale maggiore si fa ogni
anno de' quadri rappresentanti i benefattori di quel filantropico sta
bilimento, suggeriva alla medesima nostra istitutrice un'idea che mi
par degna di essere meditata. Quegli amministratori la sanno lunga,
ella diceva, e fanno benissimo a darci quella mostra, primo perchè
essa pel fascino che la virtù ha in sè stessa, ispira ad essere bene
fici, in secondo luogo, perchè alletta colla prospettiva d'una lode pe
renne. Or, soggiungeva l'istitutrice medesima, non si potrebbe fare
in ogni città, in edifizio appositamente eretto, un'esposizione perma
nente non solo delle immagini delle donne ma e degli uomini più
benemeriti della città e dello Stato e farne come il panteon delle
glorie nazionali ? A dati tempi bisognerebbe stabilire la commemo
razione de' più illustri e celebrarne la festa, tessendone il veritiero
elogio, senza esagerazione e senza declamazioni rettoriche. Tali so
lennità ad istruzione delle crescenti generazioni dovrebbero essere
pubbliche e gratuite, ed inoltre ricreate da tutto ciò che le arti belle,
l'architettura , la pittura , la scoltura , la poesia e la musica vocale
ed istrumentale hanno di più attraente e peregrino. Vi sono le ac
cademie del bello ; vi siano anche quelle del buono. — Degli uomini
-

e delle donne illustri non pretendiamo già farne degli dei o de' beati,
ma intendiamo che la società si decida finalmente a mostrare ch'ella
piglia sul serio il grande affare dell'educazione delle moltitudini, e
che almeno dopo morte renda giustizia a'suoi benemeriti. Finora
non ha concesso loro che una sepoltura comune. E la maestra vor
rebbe che le glorie raccolte nel suddetto panteon non fossero esclu
sivamente municipali ma italiane, onde anche in questo sentimento
di doverosa riconoscenza fosse unificata tutta la penisola. Nello stesso
tempio dell'Agnesi e della Ciceri avrebbero onorata e ispiratrice si
cordanza la Rosa Govona di Mondovì, donna del popolo, benemerita
istitutrice di ritiri di abbandonate fanciulle, che da lei si appellarono

( 1 ) Il proverbio : Il titol di più onore È padre e difensore.


LE BENEFATTRICI 289
Rosine ( 1) ; la Vittoria Bracelli di Genova , donna di alto legnaggio
e di ricco censo , che raccolse, educò e disciplinò alla più affettuosa
carità centinaja e centinaja di angioletti- femmine (2) ; e la contessa
( 1 ) Nella chiesa dell' ospizio da essa fondato in Torino, la Rosa ha questo
epitafio :
QUI GIACE
ROSA GOVONA DA MONDOVI '
CHE DALLA GIOVINEZZA DEDICATASI A DIO
PER LA GLORIA DI LUI
INSTITUI ' ERESSE
IN PATRIA QUI ' E IN ALTRE CITTA'
RITIRI DI ABBANDONATE FANCIULLE
PER FARLE SERVIRE A DIO
CON DAR LORO OTTIME REGOLE
PER CUI S'IMPIEGANO NELLA PIETA ' E NEI LAVORI
NEL SUO GOVERNO DI ANNI PIU' DI TRENTA
DIEDE PROVE COSTANTI
D'ESIMIA CARITA' ED INVITTA FORTEZZA
PASSO ' ALL'ETERNO RIPOSO IL DI ' 28 FEBBRAJO
L'ANNO 1776 DELL'ETA' SUA 60
LE FIGLIE GRATE ALLA BENEFICA MADRE
HAN POSTO QUESTO MONUMENTO .
Fino da fanciulletta Rosa fu un vero miracolo di carità . Non avea ancor
quindici anni , quando, mossa a pietà d'un povero vecchio monta naro, ella,
non ricca, anzi poverissima, chè traeva sottili guadagni dal prestare servigi
a questo od a quel vicino , non dubitò di adottare per sorella la piccola fi
gliuola di quell'infelice .
ROSA GOVONA
Versi di Niccolo Tommaseo .
Delle sue man col santo Caddero e quercie e rupi ,
Lavor vivrà felice ; Vive il tuo fiore, o Rosa :
E, povera , nutrice Non è terrena cosa
Di poveri sarà. Il fior di carità .
Oh ! madre pia d'ignote Scintillerà il tuo nome ,
Anime , in te sorelle, Sublime poverella ,
A Dio nel mondo ancelle Fida e pudica slella
In queta libertà ; Sulle volgenti età .
Oh ! meglio che regina , E delle opranti in terra
D'onor tu lasci a loro , Difese dal tuo velo,
Di preci e di lavoro E delle oranti in cielo ,
Perenne eredilà. Un coro si farà .

(2) Vittoria Bracelli , di Genova , di ricca e cospicua famiglia , a controvoglia


dei parenti esercitava la sua carità verso i poveri popolani. Ma ne sentiva
un bisogno irresistibile . Verso il 1630 si diè a raccogliere zitelle sparse qua
e là nella sua città nativa per educarle alla religione ed alla pietà . Nel 1641
erano quattrocento, nel 1650 cinquecento . Le ricoverale venivano impiegate
da lei in diverse opere pie, negli ospizi, negli orfanotrofi, negli spedali e nei
manicomi di Genova e dello Stato. Narrasi che , fanciulla appena di dodici
anni , volle seguire a piedi il feretro d'un muratore che lungi dalla sua fami .
glia , non lasciava eredità d'effetti e per ciò, pur troppo , neppure d'affetti.
BERLAN . Le fanciulle celebri .
290 LE BENEFATTRICI

Giuseppina Tornielli-Bellini (1), che fondò in Novara una scuola di


arti e mestieri per i fanciulli, dando cosi a quell'età facilissima ad
>

essere traviata 'e perduta dai mali esempi un'arma potentissima, il


lavoro, contro la miseria e contro il vizio. Una povera popolana tra
due nobili e ricche ! Si ; e come sta bene ! e come ben fa vedere
che ogni condizione sociale non solo può far dei miracoli di carità
ma che li ha anche fatti! E vi dovrebbero trovar luogo anche le
virtù private, quelle che fioriroņo ed olezzarono chiuse nel modesto
ricinto della casa, perchè la patria ha bisogno appunto di tali virtù
casalinghe, essendo queste e le radici e la base delle altre. Non ve
drassi carica la pianta di fiori e frutti se non siano cresciute e ben
distese sotterra le sue radici. E fra queste elette sarebbe l'Onorata
Orsini , che , in tempi di corruzione e in casa principesca, fu fan
2

ciulla, fu sposa, fu madre degna di essere additata in esempio (2 ) .


Se finora credevi di avere tu sola una decisa vocazione per i
sermoni, a quest'ora devi esserti accorta e convinta ch’eri in errore,
perchè io ti supero. Infatti, se tu se' lunga senza noja altrui, io sono
prolissa sino a stancare me stessa. Ma v’ha di più : io non fo come
te, che t'affatichi intorno a un soggetto per approfondirlo, per isvi
scerarlo ; perchè io invece , dopo aver dato un titolo qualunque ai
miei componimenti, te lo pianto li e batto la campagna. Io mi servo
dei titoli come altri d'un itinerario, d'una guida : l' ho sotto il brac
cio, ma non me ne valgo se non quando mi pare e piace , amando
di voltarmi e di girare qua e là senza che nessuno mi prescriva o

( 1 ) La Giuseppa Tornielli nacque a Vergano li 4 settembre 1776 da gente


patrizia novarese ; andò sposa a Marco Bellini di Gargarengo ;morì li 21 giu
gno 1837. Per un figliuoletto ch'ella aveva perduto volle divenir madre di ca
rità di tutti i figliuoli del povero.
(2 ) Onorata nacque nel 1435 ed ebbe a padre il Danese Orsini , principe di
Mugnano . Giovinetta si maritò a Giacomo de'Saraciri di Siena . Morì nel 1457.
Bisogna vedere ne'suoi biografi con quali parole savie e piene di soave af
fetto a dieci anni ella confortasse la sua genitrice desolata per la morte dello
sposo, che lasciava l'Onorata ed altri due figli in tenera elà esposti a grandi
pericoli .
Il sanese Bernardo Ilicini nella Vita di lei ( pubblicata e commentata da
Giuseppe Vallardi , Milano, 1843) cosi la celebra :
60
Si vedeva in costei tanta venustà , modestia, gravità e continenza che ve
ramente si poteva credere alla mortalità sua essere ammista grandissima parte
di natura celeste. Per queste adunque sue singolarissime virtù, per le bellezze
immense ed eziandio per la ricchissima eredità, era ogni giorno e meritamente
onorata da tutti i giovani da bene di Siena e con grandissima istanza alla
madre sua fatta addomandare per isposa....
- Essendo alcuni dotti uomini insieme congregati e ragionando 'di fare ad
, Onorata uno conveniente epitafio , conchiusero alfine, ciascuno esplicandone
parte dei versi , sopra il suo sepolcro scrivere queste parole : “ Onorata degli
Orsini , gloria delle fanciulle , splendore delle matrone, onore delle maritate,
Tempio di castità , luce di santimonia, sacello di virtù, specchio di ogni bela
lczza " .
LE BENEFATTRICI 291

mi conti i passi. E poi e poi, ognun può far della sua pasta gnocchi .
Che se i critici dell'avvenire non sono contenti, e se dicono ch'io
comincio a fare un orciuolo e poi n'esce un'anfora , all' opposto di
quell'artefice censurato da Orazio , tanto meglio per chi l'ha ordi
nata, e tanto meglio per chi deve servirsene , perchè l'anfora tiene
più che l’orciuolo . Ma sento che tu mi dici all'orecchio : Non cer
car d'infinocchiare il colto pubblico : sei lunga, perchè non hai tempo
d'esser breve . Piano , sorella , che non t'oda neppur l'aria. Starei
fresca io, se t'udisse l'ex -chericone !
Ernestina, papà , mamma , la nonna , la maestra e Carlo , nostro
cugino, m'incaricarono de'loro più cordiali saluti per te e lo zio, ai
quali Ernestina ed io aggiungiamo i nostri ; e ti preghiamo tutti ad
una voce , in coro , di tornare il più presto possibile tra noi. Non
dire come Dante : « Se io vo, chi rimane ? Se rimango, chi va ? - Se

vieni, rimarrà Carlo, che parte quest'oggi stesso per tenere compa
gnia alcuni giorni allo zio ; e se rimani, verremo noi colle corde e
colle catene per istrascinarti via da codesta benedetta biblioteca, che
va scolorando le belle rose delle tue guance. Le sappiamo le tue
lunghe e troppo lunghe conversazioni con quei libracci ; ed è tempo
di finirla . Domandavamo qualche breve notizia , ma tu ci mandavi
dei trattati. D'ora in poi, se vorremo qualche cosa, ci servirà Carlo,
il brevissimo, il laconico Carlo , che potrebbe scrivere cento lettere
al giorno , e non ne scrive una. Accetta il cambio , dagli la parola
d'ordine, e rientra in quartiere, cara sorella.

Autori consultati: Aleardi, Alighieri , Ariosto Lodovico e Virgilio , Ba


ruffaldi , Bembo , Bisticci , Blanc , Boccaccio , Bovio , Cantù Ignazio , Comolli ,
D'Abraniès, De-Cristoforis, Emiliani-Giudici , Ercolani , Gamba, Gandini, Illi
cini , Levati , Manso, Milli , Missirini , Perez , Petrarca , Quatremère de Quincy,
Renier Michiel , Rosini , Sacchi Giuseppe , Serassi , Torquato Tasso, Ticozzi ,
Tommaséo, Vasari , Vico, Villegas, Zannoni , ecc .

6
LE SCIENZIATE .

Lo scrittore francese Amedeo Achard , rendendo conto nel Gior


nale dei dibattimenti di un'opera recentemente pubblicata a Parigi
dal sig. Armengaud col titolo : Le regine del mondo , nella quale si
danno le biografie ed i ritratti delle più famose donne di Francia ,
esordiva colla seguente storiella :
« Era non so dove un certo giudice a cui la grande rinomanza
non permetteva il riposo , imperocchè dalle cento leghe d'intorno
accorrevasi a pigliar consiglio da lui. Non si tosto una grave emer
genza , o qualche arruffato negozio , poneva le famiglie non pure ,
ma talora anche le città e le provincie in impiccio , i meglio avvi
sati gridavano con voce concorde : Andate a consultare il gran giu
dice! Il quale però , non fermandosi alle minuzie del fatto , allé ra
gioni apparenti ed alle conseguenze atte a trarre in inganno gli
sciocchi, con un ghignetto ironico risolutamente chiedeva : E la
donna ?
» Che se a quel giudice, esperto in ogni sorta delicate materie, a
quel savio , a quel Minosse , veniva risposto nè sottana nè cuffia
aver parte alcuno nella bisogna : non d'altro trattarsi che d' una
eredità , per la quale due famiglie oneste erano sul punto di spro
fondare nel cupo abisso delle liti; e non trattarsi che d'un molino,
il possesso del quale poneva in trambusto comuni che già vivevano
in amore e concordia ; o , meglio ancora d'una contesa che teneva
due città in armi, egli , senza punto scomporsi, crollando il capo e
.

col medesimo ghignetto, - Capisco, ripigliava : ma la donna ?


» In ciò teneva duro , e questo era il suo ritornello. Allora ben
bene cercando , le buone persone che avevano bisogno d'un savio
parere si rammentavano finalmente che un tal.di una tal donna
aveva parlato coll' uomo del testamento ; che del mulino in antico
era stata padrona una mugnaja ; e che una principessa, viaggiando
a diporto, aveva un dì ballato in una delle città bramose di sparare
il cannone. Di che il giudice , facendo un certo suo risolino e pi
>

gliando una presa di tabacco, - Ci siamo, diceva; la donna è tro


vata !
LE SCIENZIATE : 293

» Da quel momento egli aveva posto il dito sul bandolo della ma


tassa e sapeva il modo acconcio a sbrogliarla e dipanarla per bene.
Imperocchè era sua massima che in fondo a tutti gli avvenimenti
si scopre una donna, e che nulla si fa al mondo di cui una donna
non sia la cagione o lo scopo. E ci sembra ,> per verità , che quel
giudice avesse ragione,, e di più aggiungeremo che il mondo non
ha torto » .
Ma le donne avrebbero poco da gloriarşi se fossero soli i giudici
e gli uomini di toga a cercarle dappertutto. Dovunque la donna c'è,
non solamente ne' búi labirinti delle controversie e dei processi ci
vili e criminali, ma anche negli splendori bellissimi della virtù , della
scienza e delle arti utili e belle. Diogene colla sua lanterna non cer
cava che l'uomo, il vero uomo, perchè forse avea trovato la donna,
la vera donna .
Nè questo è un complimento al bel sesso.
Facciamoci accompagnare da uno scienziato pratico e positivo, ed
egli ci condurrà anche ne' più settentrionali regni e perfino nelle
steppe della scienza per farci trovare anche là delle gran donne.
Per ora in quei regni. Quanto poi alla così detta repubblica delle
lettere , repubblica che ora è senza presidente e senza governo , re
pubblica in cui tutti comandano e nessuno obbedisce, repubblica in
cui vi sono uomini del passato e del presente e larve dell'avvenire,
entreremo un'altra volta con compagnia più allegra.
Lo Scienziato. Poichè il volete , eccoci nell'impero di tutte le
scienze, di cui è czarina la vergine Verità. Mirate sulla carta geo
grafica di questo itinerario , che Stato ; guardate quante provincie !
>

E poi vi è la Siberia, i luoghi non ancora coltivati, e l'interno che


peranco non è conosciuto. Questa dove siamo adesso è la vastissima
provincia della Filosofia.
L'Autore. Ho sentito dire che gli uomini di questa provincia hanno
fama di fabbricare e sfabbricare sistemi ora sui disegni d'Aristotile ,
ora su quelli di Platone >, e che cambiasi spesso di linguaggio , ma
che sono sempre gli stessi morti che qui dirigono la cosa pubblica.
Scienziato. Voi intendete parlare certamente della Metafisica, che
è un distretto assai nebbioso di questa provincia ; ma anche nella
Metafisica si è perfezionato grandemente il linguaggio.
Autore. Grazie tante. Ho pur sentito dire che in alcuni distretti
di questa medesima provincia v'è una colonia di Tedeschi che stanno
sulle più alte cime dei monti e saltano, saltano con in mano pietre
e calce per fabbricare in aria .'
Scienziato. C'è qualche cosa che a ciò somiglia ; ma non prestate
intera fede a tutto quello che vi si dice , perchè nei discorsi della
gente volgare è molta esagrazione.
294 LE SCIENZIATE

Autore. È molta caligine in quella filosofia. Ma fateci trovare la


donna.
Scienziato . Le donne volete dire, perchè sono a migliaja, in questa
provincia. Onde mi permetterete ch' io ne citi per ora soltanto qual
cuna delle più famose tra le passate e le presenti, senza che l'omis
sione delle molte altre abbia a recar pregiudizio alla fama delle
taciute.
Autore. Vorrei vederne delle giovani e fresche: rispetto le vecchie,
ma, a dirvela schietta, preferisco la primavera all'inverno.
Scienziato. Fate bene a non dire l'estate : perchè son troppi gli
ardori di questa stagione. Ma tutto a suo tempo, buon signore. Pre
sentiamo prima i nostri ossequî alle vecchie, poi alle giovani.
Autore. Che processione è questa di gente blasonata che mi fate
venire dinanzi ?
Scienziato. Volevate delle giovani , ed ecco delle giovani delle
vecchie, appartenenti tutte alle più cospicue famiglie venete. Queste
hanno la loro accademia (1), ove non solamente trattano di musica
e di poesia, ma anche di scienze. Fra esse è la Elisabetta Querini,
onorata dell'amicizia di Pietro Bembo e di Giovanni della Casa .
Autore. Meno mi si parla di accademie meglio sto. Ordinaria
mente gli accademici sono come i pendoli o come le lancette degli
oriuoli : queste si muovono , ma girando sempre intorno al qua
drante. Prima che ammettano le idee nuove oh ! ce ne vuole. Passi
per l'accademia delle donne , massime se in questa ve n'ha , come
dite voi, di giovani e di belline.
Scienziato. Che vorreste dire ? e dove avete il giudizio parlando
di giovinezza e di beltà, anzichè di scienza ?
Autore. Oh ! la scienza, io la rispetto per i suoi frutti, non per le
sue foglie, cioè per le sue chiacchiere. Figurarsi se in quell'acca
demia quelle nobili signore non avranno chiacchierato fino alla rau
cedine ! Che rompimento di testa per i poveri uomini condannati
dai riguardi sociali ad assistere alle loro interminabili dissertazioni !
O siano dotte per accurati e lunghi studi , o niente ; le semidotte,
quelle che fanno pompa di scienze che conoscono appena superfi
cialmente, sono più insopportabili delle stesse campane. Il Puricelli
>

in un suo sonetto le fa uscire dalla testa rotta di Giove ( 2). E se il


Tonante ne ha la testa rotta, che cosa sarà poi di noi ?
(1 ) Nomayasi Accademia delle donne nobili.
(2) Rime dell'ab. Francesco Puricelli, Nizza , Società Tipogr. 1781 , pag. 17 .
SONETTO .
Il regnator degli altri dëi sovrano,
Invogliatosi un dì di partorire,
Disse al gagliardo fabbro suo Vulcano :
- Prova se il capo tu mi possa aprire » .
LE SCIENZIATE 295
Scienziato. Io spero che le donne vi daran pane per focaccia, inca
ricandosi di rispondervi coll'apologo il Delfino e il Letterato del
Bertola. Dite , care donnine , questo bisbetico come andò l'affare
di quel presuntuoso che, per parere dotto , confuse un golfo detto
Zuidersée con un giornalista , del quale si vantava pure amicis
simo ( 1 ),
Autore. Per carità , non ispingetemi contro ad un gineprajo : non
mettetemi a rischio di farmi cavare gli occhi....
Scienziato. Silenzio adunque e non malignate sulle signore acca
demiche, poichè sarà sempre meglio che le donne discorrano di fi
losofia , anzichè si divertano a mormorare delle loro comari. Del
resto, guai se si dovessero atterrare tutte le piante che non danno
frutti! E la stimate poco l'ombra che vi porgono certi alberi tutti
foglie ? E le foglie del gelsi non alimentano i bachi da seta ?
Quei di temprata scure armò la mano ,
E pronto gli vibro , per obbedire ,
Un colpo si pesante e si villano
Che 'l cervel quasi in due gli ebbe a artire .
Ed ecco , ob maraviglia ! allor prodotta
Fu la saggia Minerva, e ardita e lesta
Spuntò di Giove dalla testa rotta .
E credo poi che la ragion sia questa
Onde ogni donna che vuol far la dotta
Un rompimento chiamasi di testa .
(1) A. BERTOLA .
Il Delfino e il Letterato.
Sorse tempesta , e un legno A un naufragio fu presso
Carco di varie genti Che di letteratura
Per lo nettunio regno Facea suo posto e cura .
Volser sossopra i venti : A lui cammin facendo,
Entro i gorghi vicini Leggi tu, lo dimanda,
Albergo avean Delfini, Le gazzette d'Olanda ?
Che corsero, e più d'uno -
Bella ! s'io le distendo :
Tolsero all'Orco bruno . Oh ! di te parleranno ,
Un di quei pesci avea Amico, almeno un anno,
Uom che ritorno fea Vedrai sovente, io credo
Dal ricco indico mondo Lo Zuidersée ? Se il vedo !
Condotto un giorno a riva ; Quell'uom che brio ! che mente !
Politico profondo, Gli è mio gran confidente ....
Che vie d'industrie intatte In udir tal discorso
Mentre in sua mente apria Scotesi il condottiere
A Batavia, a Suratte, E l'impostor del dorso
Sulla poppa seduto, Lascia nel mar cadere ;
Era nel mar caduto . Tanto fin anche a un pesce
Nel tragitto , cortese Un impostore incresce i
Di più cose il richiese , La moda il vuol ; millántati ,
Onde il capo s'empiéo Cita l'autore, il tomo ;
Di commercio europeo . Che importa se confondasi
Ora il Delfino stesso Un golfo con un uomo ?
296 LE SCIENZIATE

Autore. Capisco che avete ragione , molto più che vi sono alberi
che danno frutti come le quercie , cioè delle ghiande , buone quasi
unicamente per ingrassare gli animali immondi.
Scienziato. Lasciate le ghiande, e di eletti fiori componete invece
corone per inghirlandare le illustri scienziate che io ora vi mostro.
Ma facciam presto, perchè siamo ancora nella provincia della Filo
solia.
Autore. Perdonate una domanda ; qual'è la capitale di questo va
stissimo impero ?
Scienziato. La capitale chiamasi con doppio nome, come Costanti
nopoli, che dicesi pure Stambul ; ora la chiamano Logica ; ora Ra
gionamento ; del resto è una vastissima città con due gran sobbor
ghi denominati l'uno Buonsenso , l' altro Senso comune. Però gli
>

abitanti di questi sobborghi sono ritenuti dagli abitatori della capi


tale niente più che gente alla buona ; in città si ride della sempli
cità loro. Diranno delle cose giuste , ma siccome non usano delle
formole scientifiche, nè si curano d'Aristotile o di Platone o di Kant
o di Hegel o di Rosmini o di Gioberti , e non sanno neppure che
sia sillogismo o dilemma cornuto, cosi si fa poco conto delle verità
che pur loro escono di bocca. Qui la Verità ha sudditi fedelissimi,
ma, perchè la onorino , bisogna che sia presentata dal cerimoniere
di palazzo.
Autore. Son tutte filosofesse queste signore che s'avanzano verso
di noi ?
Scienziato. Tutte filosofesse e parecchie eziandio letterate , artiste
e poetesse di vaglia. Chè la vera filosofia comprende tutto il sapere :
Badate però a non usare la parola filosofessa , perchè i vocabolari ,
e vi cito quello del Fanfani, accanto a questa voce pongono la se
guente noticina : femminile di filosofo : ma forse non si direbbe se
non in ischerzo.
Autore. Bello quel forse !! E filosofa , ch'è senza noticina, si dice
per burla o sul serio ?
Scienziato. Caro mio, non saprei.... L'ardua sentenza ai posteri....
Autore. Veggo che ciascuna di queste signore viene accompagnata
da certi puttini alati di vario sembiante , i quali pare le intratten
gano così che non si curino d'altro .
Scienziato. E vedete bene . Quelli che voi chiamate puttini sono
i varî pensieri, i vari concetti , e le diverse e continue occupazioni
della loro mente : la quale non è inerte giammai , ed ora ad una
cosa s' applica ed ora ad un'altra ; onde fu detto benissimo , e si
dice anche per proverbio, che « Il savio non è mai solo » .
Autore. Po' este interrogare, di grazia , taluna di queste signore ,
CASSANDRA FEDELE 297

quella, per esempio , che è complimentata da un doge (!), mi pare ,


e da una moltitudine di senatori e procuratori di san Marco ?
Scienziato. Ci vorrà giudizio a parlare con lei, perocchè è guar
data a vista da quel venerando vecchio tutto coperto di vesti d'oro
e con in testa un corno tempestato di gemme, e da quegli altri il
lustrissimi signori in cappa magna colla stola d'oro. Avete ricono
sciuto bene il primo pel doge di Venezia e gli altri più cospicui
personaggi di quella città. Costoro hanno sempre paura che con
isplendide offerte si cerchi allettarla ad uscire dal dominio della se
renissima, e hanno dichiarato pubblicamente che non permetteranno
mai che la patria resti orba di così strenuo ornamento . Se sospettano
soltanto ch' io da qualcuno m' abbia secreto incarico di avvicinarla
per indurla chetamente ad abbandonare le lagune , questi eccellen
tissimi sono capaci di farmi pigliare senza tante cerimonie pel col
larino e chiudermi fino a ragione conosciuta in un'umida secreta.
Quell'avvenente signorina filosofessa o filosofa, come vuole il vostro
Fanfani , è una preziosa proprietà nazionale ; e li stimo io se sono
tanto gelosi. Ella è la nobile Cassandra Fedele che a sedici anni
era già famosa ; a quest' età venne ritratta dal celebre Giovanni Bel
lino. Altri vi dirà ch'ella era dottissima nelle lettere greche e latine,
e primeggiava nella eloquenza ,> che valeva assai nella storia , che
>

cantava sulla lira versi latini con singolare bravura da lei medesima
improvvisati, e che in giovanissima età formava co' suoi versi can
tati la delizia dei festini del doge e l'ammirazione dei patrizi e degli
illustri forestieri ammessi alle feste del palazzo ducale ; ma io , per
la parte mia, non posso tacervi ch'ella con maraviglia di tutti attese
pure alla filosofia ed alla teologia e , per mostrare , come dice il
Domenichi , più chiaro testimone del valore e della dottrina sua ,
compose un libro dell'ordine delle scienze. Il Poliziano si recò a
bella posta a Venezia per conoscerla di persona e , vedutala e udi
tala, dovette confessare ch' egli rimanevasi in dubbio se a confronto
di Pico della Mirandola che nell'infanzia era stato un prodigio di
sapere , dovesse concederle il primo seggio. E Giulio Scaligero in
uno de' suoi epigrammi latini non dubitò di cosi esaltarla : Nunquam
tu fueras femina, sed vir eras ( 2).
Autore. Va tutto bene, ed anch'io ammiro questa illustre filosofa
e poetessa ; ma come stiamo a ' costumi ? perchè alle volte il sole
o la luna del sapere ha certe macchie, massimamente se brilla dentro
le corti, e non vorrei....
Scienziato. Ma che andate fantasticando ? Costei, ottimamente edu
(1 ) Agostino Barbarigo.
(2) Non ti mostrasti mai femmina, ma eri uomo.
298 ELENA CORNARO PISCOPIA

cata da' suoi nobili parenti e andata sposa a Giovanni Maria Mapelli
medico , dopochè nel 1524 perdè il marito , rimasta sola e senza
prole , non in altro pose il suo conforto e le sue delizie che nello
studio e nelle opere di pietà. Credete forse che sia morta ballando
o giocando ? No, mie care signore, ella mori superiora delle ospita
liere di san Domenico in Venezia ( 1 ) . Ora inchinatevi a lei insino a
terra .
Autore. E con molto piacere, garbatissimo signor Scienziato, perchè
è giorno di festa per me quello in cui ritrovo qualche grande virtuoso .
Scienziato. Se la è cosi, ed avendo io il mezzo di porgervi notizia
di tre o quattro centinaja di scienziate virtuose, rallegratevi, peroc
chè potete far festa tutti i giorni dell'anno , anche se bisestile.
Autore. Per uno scienziato io vi credevo più ruvido ,> col bel
sesso .
Scienziato. Che idee strambe avete voi mai ? Io non so perchè
debba far ruvidi e misantropi.
Autore. Avete ragione da vendere , ma non mi negherete che
anche voi propendete più per le giovani che per le vecchie ; peroc
che dovevate presentare anzi tutto i vostri omaggi a quelle, e siete
andato invece a trovarne una di sedici anni .
Scienziato . Bella ! una giovinetta di 93 anni....
Autore. Non se ne impatta una con voi ! Oh come sapete far bene
le conversioni a destra ed a sinistra ! Via.... vorrei vederne qualche
altra .... vecchia, già s'intende.
Scienziato. Non avete che l'imbarazzo della scelta ; e per farvi
piacere e per ricordarvi la vostra bella patria, eccovi qua una no
bile , gentile , eloquente e dottissima signora , che viene anch'essa
dalle lagune per salutarvi. Ella è l'illustre Lucrezia Elena Cornaro
Piscopia, onore del secolo XVII. E perché voi, pesce d'acqua salsa ,
diguazziate nel vostro elemento, eccovi qua l'elogio che fa di lei un
altro veneziano, Bartolomeo Gamba. Cito a memoria, ma, spero, con
esattezza : « Nobilissima schiatta , molta avvenenza, vastità di sapere,
non fucata modestia, irreprensibil costume, pietà singolare resero
questa giovane la maraviglia delle donne del suo tempo. Nella più
( 1 ) Cassandra Fedele nacque in Venezia nel 1405 , vi morì nel 1558 : visse
novantatre anni; esempio, scrive il Levati , che lo studio non abbrevia la vita
ma la fa gloriosa.
Maria Petrettini , corcirese , scrisse la Vita di Cassandra Fedele ( Venezia ,
1814) . Le epistole e le orazioni della Cassandra sono citate nella Biblioteca
femminile italiana, raccolta, posseduta e descritta dal conte Pietro Leopoldo
Ferri padovano, Padova, Crescini, 1842. Alla stampa delle lettere ed orazioni
postame di lei, edizione curata da monsignor Filippo Tommasini (Padova ,
Pasquati
cenne .
, 1636), è premesso il ritratto dell'autrice quand' era appena sedi
LAURA BASSI 299
tenera età le erano famigliari, oltre ad alcuni idiomi viventi, l'ebraico,
il greco e il latino ; ed il gran numismatico Carlo Patin , nel dedi
>

carle una sua opera, esclamò : Tu Romam , Athenas, Hierosolymam


que vehis ! (1 ). Le più astratte materie della filosofia, delle matema
tiche, dell'astronomia, persino della teologia, erano suo alimento ; e
quando sentivasi ispirata a far versi, sapeva con molta dolcezza ac
compagnarne il canto colle dita sui tasti , perchè anche la musica
le era assai famigliare.... Per consentire al paterno volere, l'anno 1678,
nel duomo di Padova , fra la pompa più solenne ottenne laurea in
filosofia, dopo di che sì nell'università come nelle accademie si fece
alcuna volta ascoltare con grande ammirazione ; nè era a quei giorni
straniero di alta nascita o di molta stima che non amasse di visi
tarla e che non restasse preso sia del suo sapere , sia della nobiltà
e urbanità del suo tratto.... Massimiliano Deza, suo biografo, osservò
che di due miracoli può dirsi ch'Elena andasse adorna, l' uno di es
sere dotta senza paragone , l' altro d'essere donna senza vanità (2).
Autore. Vi ringrazio , perchè procediamo sempre di bene in me
glio nelle conoscenze che facciamo delle donne illustri. Già è con
venuto che siamo tra celebrità annose, e, che anche questa ne' primi
tempi della sua fama, cioè nel terzo lustro appena, era vecchia come
l'altra....
Scienziato. Oh ! ma adesso vengono proprio le vecchie ; e se l'a
vete, fuori subito la scatola da tabacco per offrirne a queste rispet
tabili signore .
Autore. Credo invece che occorrerà del mirto e delle rose.
Scienziato. È una bolognese costei che si fa innanzi, chiamata per
nome Laura Bassi , fu grande negli ardui studi scientifici assai più
che nelle cose poetiche o linguistiche. Ella fu arcidotta nella logica,
metafisica e filosofia naturale ; conosceva assai bene anche l'algebra.
Disputare in pubblico alla presenza di nobili letterati era per lei
cosa facile, un trastullo quasi. Fu laureata in filosofia, ascritta tra'
professori dell'università bolognese, in cui ebbe facoltà di dare quelle
lezioni che più le piacessero.
Autore. E voi osate annoverare la Bassi tra le vecchie ?
Scienziato. Sfido io : non mori di 67 anni ? È una bambinella
forse ? (3) .

(1 ) Tu traggi teco Roma, Atene e Gerusalemme.


(%) Elena Cornaro Piscopia nacque in Venezia nel 1646 ; morì nel 1684. Per
le sueopere, vedi la Biblioteca femminile del Ferri più sopra citata. Nel mezzo
del grande scalone dell'università di Padova vedesi in marmo scolpita la sua
effigie. L'edizione delle opere di lei , procurata da D. Benedetto Bucchini, è
ornata del ritratto dell'autrice .
(3) Laura Bassi nacque in Bologna nel 1711 , morì nel 1778. Nel 1738 si fece
sposa del professore di medicina Giuseppe Verati : da questa unione ebbe
molti figliuoli, Le fa coniata una medaglia .
300 LAURA BASSI

Autore. Ma, caro mio , quando si fece primamente conoscere ed


applaudire era giovanissima. Mentre piace alla maggior parte delle
donne, di farsi credere più giovani , io non so perchè v'industriate
a far più vecchie di quello sono realmente le illustri donne che voi
ed io intendiamo onorare. Non facciamo somme, per carità, ma piut
tosto sottrazioni all'età delle femmine, siano o no cospicue. Sottraendo
non si risica di far torto a nessuna. Infatti le volgari hanno ragione
di voler essere ritenute sempre giovani, perchè le si trovano sempre
alla stessa esperienza, agli stessi meriti di quando erano fanciulle, e
non hanno di più che le qualità negative sopravvenute dappoi : in
questo modo non si può dire che siano vissute molto perchè vege
tare non è vivere. Le donne illustri poi, che non si curano troppo
di passare per vecchie o per giovani , sono realmente giovani , ma
per altro motivo, perchè cioè aggiunsero alla giovinezza naturale
quella perpetua delle scienze da esse professate, e quando se ne andò
l’una giovinezza, rimase l'altra....
Scienziato. Mi pare, mio caro signore, che voi v'arrampichiate su
per gli specchi per sostenere un paradosso. Oh ! il vecchio è vecchio....
Anzi la scienza incanutisce gli uomini prima del tempo. Questo è,
e nessuno può dire che non sia. E poi c'è ilproverbio : « Chi acqui
sta sapere acquista dolore » ; e il dolore certamente non ringiova
uisce.
Autore. Ah ! ci sono tante belle cose ! Ma c'è, colendissimo signor
Scienziato, anche l'autorità di un gran dotto di nome Gian Giacomo
Bruckero, che nella sua Biblioteca degli scrittori illustri s'incarica di
confutare ricisamente la vostra opinione , o insinuazione, che la Bassi
fosse vecchia nell'epoca de' suoi primi trionfi. Udite mo , pregiatis
simo signore, le parole di lui : « Fra i primissimi ornamenti dell'età
nostra, annoverar conviensi ed ai miracoli del secolo XVIII aggiun
gere Laura Bassi, la quale in tenera età una insolita dottrina, spe
cialmente filosofica, avendo mostrato, sommi onori nella patria acca 1
4
demia consegui ; e parve degna , non senza altissima gioja ed am
mirazione di tutti , che all'uffizio d'insegnare filosofia con annuo
stipendio venisse chiamata » . Non giochiamo ai bossolotti: non cam
biamo l'età tenera in età avanzata. Ed oh ! confessiamolo , anche se
costa qualcosa al nostro amor proprio , che ne' passati tempi donne
giovani e belle diedero lezioni e che lezioni ! di filosofia e di altre
scienze ai signori uomini. Ma che dico io nei passati tempi ? Oggi
stesso che vi parlo, v'hanno ragazze di sedici o diciassette anni che
farebbero la barba di stoppa a molti maestri. In alcune scuole ma
schili chi insegna ? Delle donne. E perchè ? Perchè fra venti o trenta
concorrenti maschi non se n'è trovato uno degno di star a paro con
MARIA PELLEGRINA AMORETTI 301
quelle signorine. Ah ! le donne, le donne un po' alla volta , adagino,
a bel bello, se volete, ma pur ci mettono la conocchia in mano !...
Scienziato. Per questo poi c'è tempo, e non bisogna far il dia
volo più brutto di quello ch'è. Le signore donne prima di affidarci
la conocchia penseranno bene se convenga loro pigliare il fucile in
vece nostra , ed assoggettarsi per noi alla coscrizione ed agli eser
cizi della guardia nazionale.
Autore. Amazoni no in truppa regolare , ma parecchi vorrebbero
ch'esse, anche facendo la calzetta, sedessero presidentesse delle As
sise o giurate ; perchè il loro bel cuore non s'indurrebbe mai a con
dannare a gravi pene i rei , molto meno poi alla morte. Se fossero
state consultate le donne, le madri, in luogo dei rispettabili avi della
patria, cioè i senatori del regno , io credo che la legge per l'aboli
zione della pena di morte avrebbe avuto miglior fortuna in parla
mento.
Scienziato. Ma non divaghiamo tanto , per amore del cielo ; altre
antiche matrone aspettano d'esserci presentate.
Autore. Farò le mie scuse. È lei, signora, la filosofessa Maria Pel
legrina Amoretti d'Opeglia ? Perdoni , sa 9, se l'abbiamo fatta aspet
tare : ma non per ispregio , veda , del suo raro merito , ma perchè
appunto andavamo in visibilio parlando delle virtù e delle rare doti
di quel sesso ch'ella tanto onora. Ma com'è , che questo scienziato
me la dava piuttosto come attempatella, ed ella invece mi si mostra
di un'età che appena appena può essere di tre lustri ?
L'Amoretti. A voi mi presento giovanissima, perchè tal ero quando
nell'agosto del 1771 per due giorni sostenni una disputazione filo
sofica in una chiesa della mia città natale .
Lo Scienziato. La quale disputazione parve a tutti miracolosa ; e
non avevate allora che quindici anni.
L'Amoretti. E nel 1777, di ventun anno, fui laureata in Pavia (1 ).

( 1 ) Mori nel 1787. Le sue Tesi, stampate nel suddetto anno 1777 , stanno
alla pag. 1 del libro intitolato : Laurea della signora M. Pellegrina Amoretti,
cittadina d ' Oneglia. Pavia , presso gli stampatori Forro e Bianchi , in -4.
Oltre le Tesi, si leggono in detto libro lulte le rime in onore dell'Amoretti ,
dai più distinti poeti dei nostri giorni dettate , fra guali brillano quelle di
Gian Carlo Passeroni , di Giuseppe Maria Pagnini , di Giuliano Cassiani, del
cav. D'Elci , di Giuseppe Parini e del latinista cardinale Angelo Maria Due
rini , Il ritratto di Maria P. Amoretti orna da principio la bella raccolta. -

FERRI .
L'Amoretti & pure autrice dell'opera : De jure dotium apud Romanos Liber
singularis ( Milano , Galeazzo , 1788). Quest'opera postuma venne pubblicata
per cura dei cugino di lei Carlo Amorelli , il quale la dedicò al commendatore
Nicolò Pesci , aggiungendovi un discorso ai lettori, nel quale dà brevemente
le nolizie degli studi e delle opere della cugina sua. In principio vi sta il
ritratto dell'autrice . FERRI .
302 MARIA PELLEGRINA AMORETTI
Lo Scienziato. E ben a ragione foste detta la Bassi genovese.
Autore. Mi vien detto , pregiatissima signora , che ella non abbia
domicilio legale unicamente in questa provincia, ma anche in altra.
L'Amoretti. Foste bene informato, dappoichè ho casa e poderi an
che nella provincia delle scienze legali ; e se nella vostra escursione
filosofica passerete anche di là, mi ci troverete e vi farò lieta acco
glienza. Ma non posso trattenermi più oltre con voi ; addio .
Autore. Ella monta in carrozza , e non potremmo, caro Scienziato,
approfittare dello stesso veicolo per trasportarci anche noi in quella
provincia ? Dicono che la regione delle leggi abbia strade poco pra
ticabili, campagne molte aride , e molti boschi : andarci con troppo
disagio mi peserebbe.
Scienziato. Se c'è un posto disponibile nella diligenza, noi ci ono
reremo della vostra compagnia, illustre signora Amoretti, perchè an
che noi siamo diretti alla volta di quella gran metropoli che chia
masi Giure o Diritto.
L'Amoretti. Fate pure il piacer vostro, ma licenziatevi prima con
bel garbo da queste altre brave signore filosofesse , che già s'avvi
cinano per salutarvi. Così v'augureranno anche il buon viaggio.
Scienziato . Oh le conosco tutte io ....
Autore. Chi sono ?
Scienziato. La più vicina a noi è la Giuseppa Eleonora Barbapic
cola di Napoli, che divolgò, da lei tradotti , i principi della filosofia
di Renato Des Cartes (1) ; la seconda, che le sta quasi presso, è l'Anna
Gentile Gagliani di Palermo, autrice lodata di alcune Lettere filoso
fiche (2); la terza è la famosa Cecilia Folliero de Luna , la quale ,
meglio che alla filosofia speculativa attese alla pratica, ed all'educa
zione morale dei giovani delle donne. Ve lo dicano i seguenti ti
toli di alcune sue opere : Mezzi onde far contribuire anche le donne
alla pubblica felicità ed al loro individuale benessere (3) ► Saggio
filosofico sopra il mezzo di migliorare i giovani, ragionato sugl'in
timi rapporti fra la sapienza, la religione, la morale ee la felicità (4)
La vita è un bene ; uopo è di saperne usare (5) I benefizi del
dolore congiunti a quelli della filosofia (6).
(1 ) Furono stampati in Torino , pel Mairesse , nel 1722. V'ha il ritratto della
traduttrice inciso dal napoletano F. de Grado . Nella prefazione la Barbapiccola
mostra come in ogni tempo le donne italiane non solo coltivarono con onore
gli ameni studi ma anche le più gravi scienze.
(2) Napoli , stamperia della Società Letteraria e Tipografica; 1780 .
(3 ) Napoli , presso Marotta e Vanspandoce, 1826 .
(4) Napoli, stamperia del Fibreno, 1834.
(5) Nel giornale la Favilla . Trieste, Marenghi , 1837.
(6) La Folliero de Luna è autrice di bellissimi versi recitati da lei nell'Ac
cademia Pontaniana e pubblicati colle stampe.
MARIA ANGELA ARDINGHELLI- CRISPO 303
Autore. Brava, bene, signora Cecilia ! così devono essere le donne,
se vogliono insegnarci qualche cosa, e possono insegnarcene molte ;
ma non perdersi in astruserie, nelle quali assai spesso gli stessi uo
mini perdono la bussola. La vostra missione, o donne , è di educare
il cuore, più che istruire di peregrine cognizioni la mente, ed ella,
illustre signora Cecilia, lo ha ben compreso, e ne la ringrazio tanto
e poi tanto.
Scienziato. Adagio , mio caro , con queste espansioni : non allar
mate l'Amoretti, con cui dobbiamo viaggiare in compagnia.
Autore. Mi credete pazzo o libertino ? So distinguere io. Adesso
che queste tre ultime signore ci hanno riverito, e sono andate via,
posso dirvi liberamente che a baciare la Folliero s'acquistava in
dulgenza , perchè ella è vecchia come le altre sue due compagne.
>

Le vecchie ce le volevate ad ogni costo introdurre, e non man


carono. Ma montiamo in carrozza ; chiacchiereremo insieme sulla
panchetta del postiglione per lasciare tutti i suoi comodi alla signora.
Ci vorrà molto prima di arrivare a codesta provincia delle leggi ?
Scienziato . Partendo all'alba e andando di buon trotto non ci si
arriva che di notte.
Autore. Abbiamo tempo da ciarlare. Qual è la provincia che toc
cheremo per la prima ?
Scienziato. Quella delle scienze fisiche, ch'è amplissima e divisa
in più distretti : ma la diligenza non vi si arresta che quel tanto che
occorre per cambiare i cavalli. Una più lunga fermata ci consenti
rebbe di andare a trovare la dottissima Maria Angela Ardinghelli
Crispo di Napoli, che, amante del domestico ritiro, si lascia difficil
mente incontrare per via. È assai modesta ee di carattere melanconico.
Autore. Ho sentito dire che ama far versi ....
Scienziato. È un divagamento, una distrazione, un riposo per lei :
null'altro.
Autore. Ma in quali studi brillo principalmente ?
Scienziato . In età di quattordici anni già intendeva il latino , ne
gustava i classici autori e già componeva latinamente in prosa ed
in verso. Ebbe poi maestri nella filosofia e nella geometria : ma fu
nell' algebra e nelle esperienze fisiche dove ella pose maggior cura,
e ne diede luminosa prova leggendo nel fior degli anni pubbliche
tesi sulla forza dall'elettricità (1). A lei dobbiamo la traduzione delle
opere di Stefano Hales sulla statica degli animali, su quella dei ve
getabili e sull'analisi dell'aria, volgarizzamento che contiene eziandio
dotte prefazioni della traduttrice (2) .
( 1 ) Leyali e De-Boni .
(2) Volumi tre, Napoli , Raimondi , 1750-1776 . L'Ardinghelli nacque in Na
poli nel 1730, mori nel 1825.
304 LE SCIENZIATE

Autore. Mi piace questa donna che scherza, per così dire , col
fulmine e che insegna alle altre donne di non aver paura della
elettricità e di farla servire agli usi della scienza e della vita. In
quegli uffizi telegrafici in cui si preferisce l'opera delle femmine a
quella degli uomini , la Ardinghelli dovrebbe avere un busto , un
ricordo.
Scienziato. Io non dico di no, ma sapete quante cave di marmo
ci vorrebbero per innalzare una sola lapida od un busto in onore
di tutte le donne che si segnalarono nelle scienze ? Volete voi ve
dere una donna egregia con le mani impiastricciate nei cerotti e
negli unguenti delle farmacie ? Ebbene , quando saremo nella pro
>

vincia della Medicina , se non vi ripugna passarvi qualche ora , fa


tevi condurre alla signora Isabella Cortese di Venezia, e sono sicuro
che tornerete tre o quattro volte da lei per le sue ricette (1). Le
donne non si arrestarono dinanzi a nessuna difficoltà per gareggiare
cogli uomini e superarli . Corsero loro dietro persino ne' cieli, e fe
cero a gara a chi scoprisse più astri. Senza pur bisogno che distur
biamo la pace degli estinti ed evochiamo le morte illustri, come sa
rebbe, p. e ., la Maria Vigilante di Napoli, che tradusse la geografia
e l'astronomia d'Isacco ·Watts, arricchendola di sue aggiunte origi
nali intorno ai meridiani ed altre cose astronomiche nel nostro se
colo, a questi nostri giorni, non abbiamo noi la Caterina Scarpellini
che nella sua stazione metereologica in Campidoglio osserva e de
scrive le stelle filanti e le fisse ? Gli stessi stranieri confessano che le
sue opere sono degne dei più grandi elogi. Il giornale Il Cosmos ( 1),
nel settembre dell'anno 1864, le dirigeva questo bel complimento :
« Le meteore luminose potrebbero avere predilezione per la loro am
miratrice ed arrestarsi, posandosi innanzi a' begli occhi che si at
tentamente le osservano » .
Autore. Quasi a dire, mi pare che la Scarpellini ci vede lassù me
glio di qualche astronomo del nostro sesso.
Scienzialo. Eh già le donne hanno certi occhi.... da indurre in
tentazione e condursi a'loro piedi anche le stelle ! Voi dovete cono
scere quel bel poemetto di Moore sugli Amori degli angeli....
Autore. Lasciamo gli amori ; e poichè alla capitale della Giustizia
si giungerà di notte, nè potremo ad ora cosi tarda far la visita alle
signore più cospicue di quella città, mi fareste somma grazia infor
mandomi alcun poco dei fatti loro. Che figura farei io se mi pre
sentassi a congratularmi con esse di meriti da me non conosciuti ?
(1) È autrice dell'opera : I segreli , ne' quali si contengono cose mirabili,
medicinali, arteficiose ed alchimiche, e molte dell'arte profumatoria , appar
tenenti a ogni gran signora. Venezia , Cornelii, 1581 .
LE SCIENZIATE 305
Scienziato . Avete ragione ; ma parliamo sottovoce, per non distur
bare la signorina che non so se mediti o dorma. Per ora vi intrat
terrò di due bolognesi e d’una padovana : tre visite bastano pel primo
giorno. Ma badate che non sono troppo bambine. L'una è Giovanna
Bianchetti, che fioriva nel secolo XIV ( 1 ). Suo padre, Matteo, l'am
maestrò nelle lettere e nelle arti liberali, nelle quali diede frutti pre
coci ; e , perchè dotata di meraviglioso ingegno , apprese non sola
mente la lingua latina, ma la tedesca e la slava, e in tutte parlava,
leggeva e scriveva di maniera che pareva le fossero native ; poi si
diede allo studio delle leggi, ed in esse fece tal profitto che dispu
tando e leggendo e scrivendo in jure si poteva uguagliare a'primi
maestri di tale scienza (2) .
Autore. Imaginarsi che lingual donna ed avvocata !
Scienziato . La seconda è la Bettina Calderina , figliuola di Gio
vanni d' Andrea , nato in Firenze di famiglia oscura e non molto
provveduta di beni, ma famoso giureconsulto,chiamato vaso de'ca
noni. Ella attese alle lettere, professò leggi e fu maritata a Giovanni
da San Giorgio, bolognese, dottore famosissimo in diritto canonico .
Questi fu condotto a leggere, a Padova ; e quando per infermità o
per altro impedimento non poteva andar a leggere , le Bettina lo
suppliva pubblicamente leggendo con grandissimo concorso di sco
lari (3).
Autore. O faccio confusione io , od ella è quella medesima men
zionata anche sotto il norge di Novella Andrea, di cui leggo (4) che
supplisse non il marito ma il padre, Giovanni d' Andrea , nella cate
tedra di diritto canonico. Ma voi mi avete taciuta una circostanza
veramente curiosa , ed è che , modestissima, dando lezioni , teneva
>

avanti di sè una cortina onde la sua bellezza non fosse di distra


zione agli scolari.
Scienziato . Allora io gli ammiro, se ad onta della tenda andavano
tuttavia a scuola ....
Autore. Ma ci saranno andati per la bella voce, e poi la sua cor
tina non sarà stata che un velo e poco fitto . Passando tra i micro
scopi de'secoli, le notizie ingrossano a' nostri occhi .
Scienziato. Par quasi che accusiate di confusione ed esagerazione
la storia della giurisprudenza... Ve ne farò vedere una quarta , e
senza sipario.... e che non ha paura di confondere o di confondersi,
( 1 ) Fiori intorno al 1314 .
( 2 ) Serdonali .
(3) La Calderina mori nel 1355. Noi seguiamo il predetto Serdonati , nella sua
appendice alle Vita delle donne illustri del Boccaccio .
(4) Donne illustri d'Italia. Milano , Ubicini , 1827, e Levali , Dizionario delle
donne illustri.
BERLAN . Le finciulle celebri . 20
306 LE SCIENZIATE
sebbene giovanissima. Ella non ha che sedici anni ed è la Maria Vit
toria Delfini-Dosi di Bologna, che nel 1722 sostenne pubblicamente
e con rara prontezza di spirito tesi scelte dalle leggi allora vigenti,
perchè versatissima nelle scienze legali. Volevano laurearla , ma vi
furono degli sciocchi, ignari di ciò che s'era fatto in altri tempi, i
quali s'opposero, urlando a squarciagola che sarebbe stata sconcor
danza grammaticale il dire una femmina dottore.
Autore. Poveri goff ! e non si dice anche , come di santa Catte
rina, una femmina autore ? Ma voi, signor scienziato, siete passato
dalla seconda alla quarta ; e la terza ?
Scienziato . È la infelice Severina ricordata dal Domenichi con que
ste parole : « Io mi ricordo aver udito che in Padova , pochi anni
sono, fu una femmina, se ben mi ricordo del nome chiamata la Se
verina, la quale avvocava dinanzi ai tribunali e difendeva le cause
ed i clienti, ed era tollerata; la quale parmi aver inteso che fosse
poi ammazzata. Vedete che pure la invidia degli uomini non può
sofferire la grandezza e reputazione delle donne » .
Autore. Scusi il signor Domenichi, e se l'abbiano in pace le sue
candide ossa, se io mi permetto di rettificare la sua troppo assoluta
sentenza ; perocchè sola è l'invidia degli uomini cattivi quella che
non tollera la grandezza e la reputazione delle donne; laddove i
buoni la desiderano e lodano. In un paese dove le donne sono grandi
e stimate, gli uomini diventeranno grandissimi e famosi. Io la penso
cosi .
Scienziato. E la pensate bene. Che ne dice la signora , che pare
non dorma , ma piuttosto rifletta sulle nostre parole ?
Amoretti. Dico ch'egli la pensa bene, e -lo assicuro io che le donne
di questo e dell'altro mondo gli danno ragione e gli son grate.
Autore. Postiglione : sferzate i cavalli, onde scalpitando e scotendo
i campanelli facciano strepito >, perchè non voglio sentire ringrazia
menti (1).

(1 ) Ben lunga sarebbe la lista delle scienziate, anche limitandoci alle prin
cipali . Fra le rinomate nella giurisprudenza non citammo la Battista Gozza
dini , addottorata in legge nel 1236, i cui pareri erano cercati dai più valenti
leggisti ; nelle matematiche, la romana Maria Pizzelli (nata nel 1735) ; -

nella medicina, la Dorotea figlia del celebre medico bolognese Giovanni Bucco .
nell'anatomia , l' Anna Morandi di Bologna ( nata nel 1717 , morta nel
4774 ) , ecc.

Autori consultati : Amoretti Carlo e Maria Pellegrina, Ardinghelli M. A. ,


Barbapiccola A. G., Bruckero G. G., Cornaro Piscopia, De Boni , De Lana Fol.
liero , Deza, Domenichi, Gagliani A. G. , Gamba, Levati 3, Petrettini M. , Renier.
9

Michiei G., Scaligero G. , ecc .


MARIA PELLEGRINA AMORETTI 307

IN LODE DI MARIA PELLEGRINA AMORETTI .


Sonetto .

Scritto fu che , per amena


Metamorfosi inaudita ,
L'uom si cangia in colorita
Molle donna , e onor nol frena .
Questa favola , che piena
È di critica , ci addita
Quell’agiata inerte vita
Dilicata che or si mena.
Ma non è favola o sogno
Che la donna i più bei pregi
Tolga all'uom , che anch'io rampogno .
Ponga mente di costei
Al valore e ai fatti egregi
Chi non crede a' detti miei.

GIAN CARLO PASSERONI.

Canzone.

Quell'ospite è gentil che tiene ascoso


Ai molti bevitori
Entro ai dogli paterni il vino annoso ,
Frutto de'suoi sudori ;
E liberale allora
Sul desco il reca di bei fiori adorno
Quando i lari di lui ridenti intorno
Degno straniere onora ;
E, versata in cristalli , empie la stanza
Insolita di Bacco alma fragranza ( 1).
Tal io la copia che dei versi accolgo
Entro a la mente , sordo
Niego a le brame dispensar del volgo ,
Che vien di fama ingordo.
308 MARIA PELLEGRINA A MORETTI
In van l'uomo che splende
Di beata ricchezza in van mi tenta ,
Si che il bel suono de le lodi ei senta ,
Che dolce al cor discende ;
E in van dei grandi la potenza e l'ombra
Di facili speranze il sen m ' ingombra.
Ma quando poi sopra il cammin dei buoni.
Mi comparisce innanti
Alma che ,> ornata de'suoi propri doni ,
Merta l'onor dei canti ,
Allor da le segrete
Sedi del mio pensiero escono i versi
Atti a volar di viva gloria aspersi
Del tempo oltra le mete ;
E donator di lode accorto e saggio
Io ne rendo al valor debito omaggio.
Ed or che la risorta insubre Atene ,
Con strana maraviglia,
Le lunghe trecce a coronar ti viene ,
O di Pallade figlia,
Io , rapito al tuo merto ,
Fra i portici solenni e l'alte menti
M'innoltro e spargo di perenni unguenti
Il nobile tuo serto.
Nè mi curo se ai plausi onde vai nota
Pinge ingenuo rossor tua casta gota .
Ben so che donne valorose e belle ,
A tutte l'altre esempio ,
Veggon splender lor nomi al par di stelle:
D'Eternità nel tempio :
E so ben che il tuo sesso
Fra gli uffizî a noi cari e l'umil arte
Puote innalzarsi , e ne le dotte carte
Immortalar sè stesso :
Ma tu gisti colà , vergin preclara ,
Ove di molle piè l'orma è più rara.
Sovra salde colonne antica mole
Sorge augusta e superba,
Sacra a colei che dell'umana prole ,
Frenando , i dritti serba.
MARIA PELLEGRINA AMORETTI 309
Ivi la dea s'asside
Custodendo del vero il puro foco ;
Ivi breve sul marmo in alto loco
Il suo volere incide :
E già da questo stile aureo , sincero
Apprendea la giustizia il mondo intero.
Ma d'ignari cultor turbe nemiche
Con temerario piede
Osaro entrar nelle campagne apriche
Ove il gran tempio siede ,
E la serena piaggia
Occuparon cosi di spini e bronchi
Che fra i rami intricati e i folti tronchi
A pena il sol vi raggia ,
E l'aere inerte per le fronde crebre
V'alza dense all'intorno atre tenebre.
Ben tú , di Saffo e di Corinna al pari
O donne altre famose ,
Per li colli di Pindo ameni e vari
Potevi coglier rose :
Ma tua virtù s'irrita
Ove sforzo virile a pena basta ;
E nell'aspro sentier che al piè contrasta
Ti ciinentasti ardita.
:

Tal già vide ai perigli espor la fronte


Fiere vergini armate il Termodonte.
Or poi tornando dall'eccelsa impresa
Qui sul dotto Tesino
Scoti la face al sacro foco accesa
Del bel tempio divino ,
E dall'arguta voce
Tal di raro saper versi torrente
Che il corso a seguitar della tua mente
Vien l'applauso veloce ,
Abbagliando al fulgor de' raggi tui
L'invidia, che suol sempre andar con lui .
: Chi può narrar qual dal soave aspetto
E da'verginei labbri
Piove ignoto finora almo diletto
Su i temi ingrati e scabri ?
310 MARIA PELLEGRINA AMORETTI
Ecco la folta schiera
De' giovani vivaci, a te rivolta ,
Vede sparger di fior , mentre t'ascolta ,
Sua nobile carriera ;
E al novo esempio de la tua tenzone
Sente aggiungersi al fianco acuto sprone.
Ai detti , al volto, alla grand'alma espressa
Ne' fulgid' occhi tuoi
Ognun ti credería Temide stessa
Che rieda oggi fra noi :
Se non che Oneglia , altrice
Nel fertil suolo di palladi ulivi,
Alza ai trionfi tuoi gridi giulivi
E fortunata dice :
a Dopo il gran Doria, a cui died'io la culla,
È il mio secondo Sol questa fanciulla » .
E il buon parente, che su l'alte cime
Di gloria oggi ti mira ,
A forza i moti del suo cor comprime
E pur con sè s'adira.
Ma poi cotanto è grande
La piena del piacer che in sen gli abbonda,
Che l'argin di modestia alfine inonda
E fuor trabocca e spande ;
E anch'ei col pianto , che celar desia ,
Grida endo : « Questa figlia è mia » .
Ma dal cimento glorioso e bello
Tanto stupore è nato
Che già reca per te premio novello
L'erudito senato.
Già vien su le tue chiome
Di lauro a serpeggiar fronda immortale ;
E fra lieto tumulto in alto sale
Strepitoso il tuo nome ;
E il tuo sesso leggiadro a te dà lode
Dei novi onori onde superbo ei gode.
O amabil sesso, che su l'alme regni
Con si possente incanto ,
Qual alma generosa è che si sdegni
Del novello tuo vanto ?
MARIA PELLEGRINA AMORETTI .311
La tirannia virile
Frema e ti miri agli onorati seggi
Salir togato e delle sacre leggi
Interprete gentile ,
Or che d'Europa ai popoli soggetti
Fin dall'alto dei troni anco le detti.
Tu sei che di ragione il dolce freno
Sul forte Russo estendi ;
Tu che del chiaro Lusitan nel seno
L'antico spirto accendi ;
Per te Insubria beata ,
Per te Germania è gloriosa e forte :
Tal che al favor de le tue leggi accorte
Spero veder tornata
L'età dell'oro e il viver suo giocondo ,
Se tu governi ed ammaestri il mondo.
E l'albero medesmo onde fu côlto
Il ramoscel che ombreggia
A la dotta donzella il nobil volto
Convien che a te si deggia.
In esso alta reina
Tien conversi dal trono i suoi bei rai :
Tal che lieto rinverde e più che mai
Al cielo s'avvicina.
Quanto è bello a veder che il grato alloro
Doni al sesso di lei pompa e decoro !
Ma già la fama all'impaziente Oneglia
Le rapid ' ali affretta
E gridando le dice : « Olà ti sveglia
E la tua luce aspetta .
Insubria , onde romore
Va per mense ospitali ed atti amici ,
Sa gli stranieri ancor render felici
Nel calle dell'onore » .
Or quai , donzella illustre, allegri giorni
Ti prepara la patria allor che torni ?
Pari alla gloria tua per certo appena
Fu quella onde si cinse
Colà d'Olimpia nell'ardente arena
Il lottator che vinse ,
312 MARIA PELLEGRINA AMORETTI

Quando tra i lieti gridi


Il guadagoato serto al crin ponea
E col premio d'onor che l'uomo bea
Tornava ai patri lidi ,
E , scotendo le corde amiche ai vati ,
Pindaro lo seguia cogl’inni alati.
GIUSEPPE PARINI ,

( 1 ) Bacco , dio del vino ; insubre Atene, Pavia, per la sua università ;
Pallade, dea della guerra e del sapere : -
colei che dell'umana prole, ecc. ,
la Giustizia ; Saffo e Corinna , antiche poetesse greche ; · Pindo , monte
della Tessaglia, ove convenivano le Muse ; Termodonte, fiume della Cap
padocia ; Tesino, Ticino : qui nel senso di Pavia ; - palladi ulivi, perchè
dell'ulivo si facevano corone pe' vincitori ne' pubblici spettacoli o per gli
illustri nelle arti belle ; Temide o Temi , dea della giustizia ;
5 il gran
Doria, Andrea Doria , ammiraglio genovese nel secolo XVI , detto il padre
della patria ; - l'erudito senato, il consesso dei professori dell'università di
Pavia ; sul forte Russo estendi, ecc, allude con lode alle sovrane allora re
gnanti di Russia, Portogallo, Lombardia, Austria, ecc.; Olimpia, città del
Peloponneso nella Grecia, ove si celebravano i famosi giuochi olimpici ;
Pindaro , celebre poeta tebano.
MARIA GAETANA AGNESI.
(1718-1799 ).

I.

Spariscono gli ultimi raggi del di, e un concerto di luce e di


suoni esce dal giardino di casa Agnesi.
Alcune carrozze sostano quivi presso , e ne discendono, non gio
vani azzimati o donzelle in leggiero abito da ballo, ma uomini gravi
per età e per portamento.
A che si recano costoro ?
Don Pietro Agnesi e donna Anna Brivio, sua moglie, non danno
questa sera nè balli, nè cene, nè giuochi per divertire la loro fami
glia o per rallegrare gli annojati ozi dei loro pari ; ma hanno invi
tato ad un'accademia letteraria gli uomini più saputi della città.
La sapienza, che s'è formata con diuturni studi viene ad ammi
rare una sapienza quasi spontanea , l'età vecchia ad essere testi
mone dei meravigliosi progressi della nuova.
La nobile famiglia Agnesi non fa sfoggio d'eleganza o di ricchezza ;
le sue gemme, i suoi tesori sono gli stessi che vantava Cornelia : la
prole ; l'invito è in un giardino, che tra breve avrà un fiore di più
e il più fragrante di tutti.
II .

Maria Gaetana Agnesi è quel fiore : fanciulletta che ha appena


nov'anni, capelli e occhi nerissimi, labbra sottili e rubiconde, linea
menti, moveuze e parole tutte graziose.
Se tu la interroghi, non ti risponde ingrognata o con sbadatag
gine ; ma anzi cortese ; risponde riflettendo, chè ella ben sa che la
cortesia è propria delle belle anime e che l'attenzione obbliga le idee
ad ordinarsi ed a porre le parole in assetto decente.
La soavità delle maniere la porteranno alla pietà , e quella sua
>

pensatezza la avvierà ai più gravi e più ardui studi.


Ella con ilare ciera si fa incontro a tutti quelli che arrivano ; ma
314 MARIA GAETANA AGNESI

le sue maggiori feste sono pe' suoi maestri, a cui, dopo Dio e i ge
nitori, sa di dovere osservanza e gratitudine.
Che saresti, o caduco fiore, se non ti avessero educato le rugiade
e i miti zefiri benefici ? Or faresti mai così leggiadra pompa di te
stesso ?
JII .

La gentile giovinetta va a porsi sotto fronzuta pergola ; e, cessati


i suoni ed il vario conversare della brigata , da quelle ombre con
fresca ed argentina voce parla sicura.
Tutti pendono dalle sue labbra.
Non è un parlare comune, non è la usata favella de' suoi concit
tadini .
È l'idioma del Lazio ch'ella parla; e voi vi credete trasportati
negli orti d'Augusto, o che quella verginella sotto quegli ombrosi
rami sia un'apparizione d' altri tempi.
Ella ha voluto imparare il latino , perchè la scienza dev' essere
l'amore e la compagna della sua vita', e perchè i grandi co ' quali
vuole quind' innanzi conversare e da cui apprendere, hanno rivelato
quella scienza nella lingua dei conquistatori del mondo.
Cadde la spada di mano a Roma, Roma perdette anco lo scudo ;
ma le rimase la parola , colla quale ottenere un trionfo maggiore
d'ogni altro, quello dell'incivilimento dei popoli.
Quintiliano disse che, se i celesti parlassero , nella lingua latina
>

parlerebbero. Ed ecco un angelo di beltà, d'innocenza e d'ingegno


che usa di tale linguaggio.
IV.

Che parole dice la giovinetta nel maestoso idioma latino ? Parla


essa dei doveri dei figliuoli verso Dio, verso la patria , verso i pa
renti e verso sè stessi ? Chè queste sono le prime idee, le prime co
gnizioni che un giovinetto bennato e ben educato debbe mostrar di
avere prima e più d'ogni altra cosa.
Appunto ella parla dei doveri, ma non de' soli fanciulli, si bene
di una metà del genere umano, cioè della donna, da cui è necessario
si apprenda l'alta sua dignità perchè possa misurare tutta la portata
de' doveri suoi, della sua missione.
La donna non è inferiore all'uomo. Non l'ha fatta inferiore ne
Dio, nè la natura ; anzi, se l'uomo fu tratto dalla terra inanimata ,
ella venne cavata dalla carne di lui organata, animata e palpitante.
E fu creata, non per essere all' uomo serva, ma socia e compagna ;
nè vi può essere stabile società e compagnia, che tra eguali.
MARIA GAETANA AGNESI 315
Contro un vecchio e stolto e sempre rinascente pregiudizio tuona
la gentile fanciulla, dimostrando che le arti liberali non furono e
non sono punto estranee alle femmine (1).
Ed ella non lo dimostra solamente colla parola, ma eziandio in se
stessa.
V.

Il suo maestro, abate d. Nicolò Gemelli , nella prima educazione


di lei, avea voluto di due cose pienamente persuaderla : che, cioè, le
donne in ogni tempo valsero quanto gli uomini per virtù , per let
tere, per iscienze, per coraggio e per patriottismo ; e che Dio avea
dotata lei di molte belle qualità per gareggiare colle più illustri.
Il buon precettore, per ispingere all' emulazione la giovinetta, ha
magnificato prima il sesso di lei, poscia lei stessa.
La fanciulletta dunque, coltivando i preziosi doni ricevuti da Dio,
avrebbe aggiunto nuovo splendore al proprio sesso, e sarebbesi resa
benemerita dell'altra metà del genere umano. Ella avrebbe fatto il
suo cammino glorioso dall'una parte tra il plauso delle donne, e dal
l'altra fra l' ammirazione degli uomini.
Questi erano stimoli più che possenti a spingerla nella via della
virtù e del sapere.
VI .

Non bisogna dimenticarsi che , quando l'Agnesi discorreva della


dignità e dei meriti delle donne, correva un tempo in cui gli uomini
stessi parevano dimentichi della dignità propria.
Gli uomini non avevano che il triste merito della pazienza, della
rassegnazione, della tolleranza con cui subivano le oppressioni fore
stiere , lasciandosi baloccare prima dagli Spagnuoli, poi dagli Au
striaci.
È quella un'epoca in cui troviamo i Borboni di Spagna, le case
Medici e Farnesi, la casa di Savoja e gli Austriaci, tutti occupati a
far baratto e mercato dei popoli ; ma non un'Italia , ma non Italiani
(1) Oratio qua ostenditur : Arlium liberalium studia a femineo sexu neu
tiquam abhorrere. Habita a Maria de Agnesis Rhetoricæ operam dante anno
ætatis suæ nono nondum exacto , die 18 Augusti 1727 , ac adm. , Rev. Patri D.
Augustino Tolote C. R. literatissimo viro ac præclarissimo concionatori
dicata. Mediolani, in Curia Regia, per Joseph Richinum Malatestam Regium
Ducalemque Thypografum , in-4. L'orazione è preceduta da una dedicatoria
latina al Tolota. Alla pag. 19 cominciano alcune poesie italiane, latine e gre
che in lode dell'Agnesi .
Una ristampa di quest'orazione sta nel libro intitolato : Discorsi accade
mici di vari autori viventi intorno agli studi delle donne, ecc . Padova ,
stamperia del Seminario, 1729, in - 8 .
316 MARIA GAETANA AGNESI

aventi coscienza di sè medesimi. È molto se non inneggiano a'nuovi


.

dominatori, se non plaudono, se non s'allegrano delle tirannie nuove


succedute alle decrepite.
Mentre una fanciulla mostrava di stimare altamente il suo sesso,
ivi presenti doveano essere uomini non chiusi affatto al pudore , e
vergognantisi del sesso proprio, del sesso fortel...
Per essere qualche cosa, e individui nazioni hanno bisogno di
cominciare dallo stimare se stessi .

VII.

Nuovo non era il soggetto trattato dall'Agnesi, perchè nuove non


erano le accuse dall'ignoranza o dalla superbia portate contro le
femmine.
L'uomo che si ostina a credere che tutto il mondo , anzi tutti i
mondi siano stati creati per lui solo, a sua utilità e per suo diletto, non
vedeva nella donna che un leggiadro fiore, e ricusava ammettere
che quella bella pianta andasse pur carica di frutti squisiti. Per ciò
in molti la tirannica pretensione di strappare quel fiore, di fiutarlo,
di sfogliarlo e di gettarlo da sè , posciachè lo avessero sciupato
quello si fosse avvizzito.
Uomini illustri aveano protestato contro questa ingiustizia : il Boc
caccio, il Betussi, il Serdonati, il Domenichi , il Bronzino ed altri
>

parecchi avevano celebrate le femmine egregie : ma il sesso femmi


nile , che s' era reso illustre colle proprie azioni, voleva non esser
creduto bisognoso di quell'elemosina degli uomini; e provò da se ,
di saper parlare di sè , come di sè avea saputo far maravigliare
il mondo. Modesta Zorzi del Pozzo di Venezia , Lucrezia Marinella
pur di Venezia, Lucrezia Pico -Rangoni di Mirandola, Arcangela Ta
rabotti di Venezia, Laura Maria Montecuccoli-Foschiera di Modena,
Aretafila Savina de' Rossi di Siena (1) avevano già prevenuto l'A
gnesi e in difesa della donna umiliato l'uomo con dure verità.
Ma quelle erano donne avanzate negli studi e nell' età , e si va
levano d'un linguaggio comune ; laddove l'Agnesi, fanciulla , difen
devale nella lingua dei dotti.
Per vincervi, o sapientissimi, ella stessa venne nei vostri arsenali
(1) Libro di M. Giovanni Boccaccio, Delle donne illustri, tradotto di latino
in volgare per M. Giuseppe Belussi, con una giunta , fatta dal medesimo
d'altre donne famose . E un'altra nuova aggiunta, fatta per M. Francesco
Serdonati, d'altre donne illustri antiche e moderne. In Fiorenza, per Filippo
Giunti, 1596.
La nobiltà delle donne di M. Lodovico Domenichi, corretta e di nuovo ri
stampata in Venezia appresso Gabriel Giolito de' Ferrari e fratelli, 1551.
Pel Bronzino vedi la nota in fine a questo capitolo.
MARIA GAETANA AGNESI 317

e si armò delle vostre pesantissime armi. Vedete come ha piena la


faretra di esempi e di citazioni classiche !
Dev'essere poderoso , terribile quel braccio , che osa palleggiare
l'asta di Achille !

VIII .

Bello è apprendere le lingue dotte, ma dopo conosciuta bene la


propria. È poi degno di beffa chi, ignorando questa, attenda ad im
parar lingue forestiere. Egli sarà cittadino presso le altre nazioni e
forestiero in casa propria.
Perchè il maggiore , più proficuo, più sollecito insegnamento è
>

quello che viene dalla famiglia, il padre dell'Agnesi intese fino dal
primo ad erudirla egli stesso nella lingua italiana , ed a mano a
mano che la mente della fanciulletta aprivasi a nuove idee , avea
cura di rendergliele ben chiare e distinte e di suggerirle i vocaboli
più acconci e propri ad esprimerle.
Poche regole bastano quando è continuo l'esercizio, quando il pre
cettore non debbe faticare a distruggere ciò che per un lungo mal
uso ha messo già profonde radici.
I maestri hanno quasi sempre doppia fatica : quella di sbarbicare
le male erbe e quella di seminarvi il buon grano. Infatti, quanto è
mai diverso il dialetto municipale dalla lingua nazionale !
Perchè l'Agnesi non avea mai parlato male la propria lingua, fu
facile al padre suo d'insegnargliela prestamente e bene.
IX .

Se a nove anni questa cara fanciulla recita e scrive con eleganza


il latino, e se non l'apprese che dopo aver imparato il nostro idioma,
è pur mestieri conchiudere ch'ella sapesse bene la materna favella
prima di aver raggiunto il quinto anno della età sua.
Perchè al quinto anno parlava già perfettamente anche il francese !
E dire che oggi sono scarsi per i più, non quattro anni di vita,
ma anche quattordici , de' quali dieci di scuola, per giungere a par
lare con qualche proprietà la propria lingua .
Se quello era un prodigio, questa è una mostruosità !
X.

E come potè attendere a sì svariati esercizi d'italiano, di latino, di


francese, una fanciulla, una ragazzina di così breve età ? Come non
nasceva confusione nelle sue idee, e come la tenera sua mente reg
geva senza danno a sì diversa fatica ?
Fu in gran parte opera della sua prodigiosa memoria , e n'ebbe
>
318 MARIA GAETANA AGNESI

non picciolo merito anche il padre ; perocchè una delle principali


sue cure fu quella di assuefare fino dai più teneri anni la figlioletta
a scompartire con ordine le ore del giorno , per guisa che quelle
del sonno, del cibo, del passeggio e dei fanciulleschi trastulli rica
dessero pressochè in egual tempo, e nulla usurpasse il lavoro al ri
poso, e nulla l'un lavoro all'altro, e nulla il riposo o il passatempo
al lavoro. Regolari succedevano le stagioni nell' ubertoso campicello
di quella mente, e ogni stagione dava i suoi frutti.
E chi divisatamente (dice un biografo dell'Agaesi) sa far uso del
tempo arriva a tanto d'applicarsi, se vuole, a molti e svariati eser
cizi, da far credere di aver addoppiati gli anni del vivere.
XI .

Il discorso dell'Agnesi aveva strappato il plauso degli uomini più


freddi e più restii ad ogni ammirazione ; e quali ne lodavano alta
mente i concetti e quali la donna.
« Costei » , sorse a dire un buon prete , entusiasta dell'aurea lati
nità e che vedeva tutto e tutto trovava in Marco Tullio Cicerone ,
« costei può andare in ischiera colle più famose donne dell'antichità
che mostrarono eccellenza nell'arte oratoria. Io la stimo più di Or
tensia ; perocchè questa grande oratrice romana parlava la lingua
propria, e la pongo in pari grado d'onore con la Battista Malatesta
di Montefeltro, colla Costanza Varano -Sforza di Camerino, colla Car
lotta Caterina Patino-Rosa di Padova, e più su della Ersilia Spolve
rini di Verona, dell'altra padovana Felicita Pace e della Issicratea
Monte di Rovigo. Ella scrive il latino come Cassandra Fedele-Ma
pelli di Venezia, come la Veronica Gambara - Correggio di Brescia,
come la Caterina Landi-Triulzio di Piacenza , come l'Alessandra
Scala -Marullo di Firenze, come la Ginevra Rangoni-Gonzaga di Mo
dena, come la Isotta Nogarola di Verona, come la Lorenza Strozzi
di Firenze , come la Fulvia Olimpia Morati-Grunthler di Ferrara ,
come la Tarquinia Molza-Porrino di Modena.... ) . E stava il buon
uomo per annoverare con dilettosa compiacenza della propria eru
dizione, altre celebri latiniste de' secoli XV e XVI, per venire poi
alla Eleonora Lucrezia Cornaro-Piscopia , e mano mano sino alla
Lucrezia Bebbi-Sassatelli di Reggio , alla Luisa Bergalli-Gozzi ed a
Maria Aurora Bragadino, queste due ultime di Venezia, che dottis
sime nel latino fiorivano appunto a que' giorni.
Ma nuovi e più fragorosi applausi interruppero le troppe citazioni
del prete; e videsi la fanciullina circondata da' suoi buoni genitori
da' maestri e da' fratellini suoi, che la coprivano di baci di fiori.
Quando un vecchio dai bianchi capelli, che appena si reggeva sulla
MARIA GAETANA AGNESI 319

persona , trattosi innanzi e pigliando per mano la ragazzina , fece


segno di voler parlare. « Mentre , o Agnesi » prese a dire , <« io mi
compiaccio nel celebrare le tue lodi , alcun può dire a ragione
ch' io celebri le mie. Imperocchè , avendo io dato al tuo maestro i
precetti del bel dire, ricevo io stesso gloria della tua eloquenza. Ma
quanto quegli apprese a superare il suo maestro , tanto tu stessa
vinci il tuo. Adunque superi entrambi. Non fu mai vittoria più dolce
ai vinti, nè più illustre (1 ) »
Egli era stato il maestro del maestro dell'Agnesi ; era dunque , >

per così dire, il venerando avolo della sua coltura intellettuale.


XII .

Attenzione, o fanciulle, a quanto è insegnato a voi ed a quanto


udite insegnare altrui. Non è mai perduto ciò che l'animo con rac
coglimento riceve e ricevuto medita.
Era un giorno l' Agnesi intenta a' suoi donneschi lavori, quando
uno de' suoi fratellini, per nome Giuseppe, seduto ad una scrivania
vicina, dava segni d'impazienza e di stizza. Picchiava colla penna
sul tavolo, pestava i piedi >, inveendo contro gli autori della gram
matica che l'avevano fatta così nojosa e difficile.
Perchè t'adiri, o Giuseppe ? gli diceva l'Agnesi.
Perchè questo benedetto latino mi fa impazzire ; io non mi ci
raccapezzo , e tra breve sarà qui il signor maestro , e correranno
rimproveri. Dalli, dàlli, ma è inutile , perchè dopo una buona ora
sono ancora alle prime di questa traduzione. Io non capisco perchè
i barbari non abbiano distrutto anche la lingua latina, ch'è il tor
mento e la befana di tutti gli scolari, come i Romani, dice il signor
maestro, hanno fatto della lingua etrusca. Viva i Romani e morte
ai barbari !
Via, non andare in furia ; farò io il tuo latino , ma solamente
questa volta , ve', perchè non voglio avvezzarti male. Vedi io che
non devo studiare il latino, io che accudisco a' miei ricami mentre
il signor maestro ti spiega le conjugazioni, le concordanze e i reg
gimenti , io , perchè non sono distratta dall' idea dei balocchi , che
non possono mancare al loro tempo, quando abbiamo fatto il nostro
dovere, ho udito quelle regole, e quelle regole non mi sono entrate
per l'una orecchia ed uscite per l'altra.
-
Brava la dottoressa ! vediamo : prova un po'....
E l'Agnese in pochi minuti tradurgli in buon latino due dei più
rotondi e sonori periodi del Boccaccio.
( 1) Da un epigramma latino che con altre poesie è aggiunto in fine all'ora
zione dell'Agnesi nell'edizione precitata di Milano .
320 MARIA GAETANA AGNESI
Brava, brava, sorellina !
E il maestro maravigliarsi degli improvvisi progressi del ragazzo ,
finchè potè scoprire chi era stata la sua ninfa Egeria.
L'Agnesi non aveva allora che otto anni circa. Gli elementi del
latino entrati in lei spontanei , crebbero poi rigogliosi ,> ed ecco la
fanciulla in pochi mesi atta a comporre una bella orazione latina.
XIII.

Che cosa è mai il sapere senza la modestia ?


È un bagliore irrequieto, è un riflesso di luce che dà fastidio alle
umane pupille , le quali si volgono prestamente ad altra parte ed
amano piuttosto riposare al bujo.
Eppure anche quel sapere è luce !
Il merito dell'Agnesi fu modestissimo non solo nell'ora di cui
parliamo, ma sempre anche dappoi. « È la benevolenza altrui, è una
esagerazione dell'altrui cortesia , non è il mio merito che mi pro
caccia queste lodi » , soleva dire; e, quando annunziò alcune poesie
italiane, latine e greche, poste in fine alla stampa della sua orazione
e composte dagli amici di casa in sua lode, non fece intendere già
che quelle fossero testimonianze imparziali del suo precoce sapere ,
non le oppose già alla malevolenza della critica puntigliosa, ma di
chiarò pubblicarle perchè servissero ad alleviare il tedio degli os
servatori del suo ancor nascente ingegno, soggiungendo che in esse
null'altro era a desiderarsi all'infuori della verità. E nelle poche
parole premesse alle poesie medesime : « Eccoti , erudito lettore , le
dotte, leggiadre poesie che furono recitate nell'accademia non senza
mio rossore e confusione » .
Ecco il rossore dell'aurora, ecco il lume del crepuscolo che colle
dita rosee vi tocca leggermente gli occhi perchè si schiudano allo
spettacolo del nuovo mattino.
XIV.

Poco pareva all' Agnesi il parlare e lo scrivere perfettamente tre


lingue, se non apprendeva anche il tedesco ed il greco. Quest'ul
tima lingua le era già familiare all'età di tredici anni circa ,> e la
parlava con tanta franchezza, dice il Mazzucchelli, che nulla meglio
avrebbe potuto fare adoperando la natia sua favella. E di tutte le
cinque lingue diede un solenne saggio voltando in italiano, francese ,
tedesco e greco i supplementi del Freinsemio al Quinto Curzio.
MARIA GAETANA AGNESI 321

XV.

Ma voi state per passare dall'ammirazione alla pietà.


Non s' affatichi tanto la tenera giovinetta, o noi dovremo vc
derla inchiodata in un leito od assistere a'suoi funerali. · La can
dela alluma , e sè stessa consuma. Quasi quasi staremmo per
darvi ragione, vedendo l'Agnesi appunto sui tredici anni assalita da
una malattia, causata, secondo i medici, dalla troppa applicazione e
dalla vita sedentaria . Ma i medici non vedono il cuore : la giovi
netta è malata di cuore, non per il troppo studio, ma per il soprag
giunto dolore della perdita della sua cara genitrice. Quel dolure la
preoccupa troppo. Dolore e studio non s'accordano bene insieme ;
perchè la mente ha soltanto metà delle sue forze quando non è tran
quilla e serena. Era nata allo studio ; ma nessuno è nato al dolore
e il dolore logora e fiacca le forze del corpo.
Consigliata a divagarsi e dotata di spirito vigoroso e intrapren
dente, eccola darsi al ballo ed al cavalcare. Per rinforzare, per in
gagliardire quel servo dell'anima che si chiama corpo, ella lo sforza
a muoversi e ad esercitarsi. Ma fu un troppo rapido e brusco pas
saggio quel ch'ella fece: prima nessuno, ora troppo moto ; uno strano
male convulsivo la colse , pel cui impeto era obbligata a saltellare
da sè, e non potevano trattenerla se non a stento i servi.
Ma il male durò poco ; direbbesi quasi che vergognoso se n'an
dasse da sè , perché la fanciulla non dava impaziente in ismanie ,
ma ne rideva.

XVI .

Oh adesso la fanciulla ne sa abbastanza ; nella società umana


pensi ora a trar vantaggio de' suoi talenti, e, giovinetta e bella e ricca,
a godere la vita.
Una voce di tentazione le veniva d'ogni parte dicendo :
Coronati di rose, prima che appassiscano . Ma l'Agnesi non
porse ascolto a quella voce insidiosa.
Adesso è tempo, - ella disse, di giovare a'miei simili , come
ho professato essere la missione della donna : ma prima di tutto
quadriamoci la testa. –
E attese prima alla filosofia, poi alle matematiche, mercè le quali
è possibile ottenere anche la quadratura di quella specie di circolo
che chiamasi testa umana .
Si è belato abbastanza in Arcadia ; - ella soggiunse. — Oh quante
furono troppe le agnellette e le pecore, e come a' loro belati il mondo
BERLAN, Le fanciulle celebri. 21
322 MARIA GAETANA AGNESI
non ha badato e non ne ha cavato profitto alcuno ! Forse l'uma
nità è giunta all'età sua virile, e le si addicono altri studi più seri.
Quando stampò le sue Proposizioni filosofiche , ell' era sui venti
anni, e gran parte di quelle tesi avea sostenute in vari tempi nelle
accademie della casa paterna :' ma le matematiche dovevano essere
il campo della sua gloria maggiore ; e le sue Istituzioni analitiche,
ad uso della gioventù italiana, celebrata dai dotti e dalle più famose
accademie del mondo, non furono saggi o tentativi o prodigi d'in
gegno nascente, ma passi giganteschi che correvano nuove vie negli
intricati labirinti di quella scienza. Frammezzo alle irte cifre, fram
mezzo a’segni algebrici 2, che sembrano cabalistici a' profani, ella
corse sicura a cogliere l' alloro dell'immortalità (1 ).
XVII.

E la corona imperiale di Maria Teresa , la corona reale di Gu


stavo III e la tiara papale di Benedetto XIV si chinarono dinanzi
a quell'alloro ; perchè sfavillava di più luce che tutte insieme le
gemme delle corone del mondo.
L'università di Bologna offerse all'Agnesi la cattedra di matema
tiche ; ed ella, prima d'accettarla, volle scriverne a quel dottissimo
pontefice.
- Son contentissimo , - le rispose egli, - di vedere che venga
-

impiegato il bel sesso ai progressi delle scienze e dei talenti. Vi esorto


a formare delle compagne che vi somiglino; affinchè ognuno resti
persuaso che voi valete quanto noi quando volete studiare. L'anima
diventa frivola quando non pensa che a nastri ed a pennacchi, ma
è sublime allorchè sa meditare. Vi accerto che avrei gran piacere,
scartabellando nelle librerie, di trovare donne stimabili che avessero
velato il saper loro colla modestia. In questo modo potrebbero le
donne abitare nel palazzo dei papi e mi sarebbe occasione di richia
marvi sovente alla memoria (2).
XVIII.

Da che l'Agnesi fu tratta agli studi ? Forse dal desiderio di bril


lare nel mondo e di eclissar le sue pari? No, non fu mai ambizione
nè vana gara in lei , perchè sempre pensò questo solo, aver la donna
( 1) Sull'opera delle Istituzioni analitiche dell'Agnesi cosi il Goldoni nella
commedia intitolata Il medico olandese :
Stupitevi piuttosto che con saper profondo
Prodotto abbia una donna un si gran libro al mondo.
E italiana l'autrice , signor, non è olandese ,
Donna illustre , sapiente, che onora il suo paese.
(2) Vita del Pap ? Benedetto XIV, Venezia , 1782, presso Simone Occhi, pag. 85.
MARIA GAETANA AGNESI 323

una santa missione ed essere uno degl'istrumenti più certi e più


efficaci d'incivilimento dati all'umanità dalla Provvidenza. Per que
sto ella esordi la sua carriera parlando della dignità della donna ;
per questo anche nelle Proposizioni filosofiche ella s'annunziò nova
mente al mondo con parole che rivelavano com'ella sentisse alta
mente del proprio sesso ; e per questo indirizzò i suoi studi ad uti
lità della gioventù , com'ella dichiara nella famosa opera delle Isti -
tuzioni analitiche. Onde giustamente in età matura potè così espri
mersi : Finora spero che il mio studio sia stato di gloria a Dio , >

perchè giovevole al prossimo (1). E com'ella rifuggisse da ogni osten


tazione dimostrò fino da giovinetta ; quando , sebbene circondata da
omaggi e lodata in privato ed in pubblico , voleva chiudersi in un
monastero. Perchè è insipido quel sapere che non ha il saper di Dio,
ella domandava al chiostro le inspirazioni e l'alta notizia delle cose
divine.
- Tu amareggeresti i giorni del padre tuo, -- le disse allora l'amo
-

soso genitore ; senza di te com’acqua stagnante sarebbe la mia vita.


Se ami la virtù , non è mestieri che ti chiuda fra quattro mura per
aver modo di esercitarla ; grande , anzi maggiore sarà il bene che
potrai fare alla società in mezzo a' poveri ed afflitti" da soccorrere,
da consolare. Perchè, gentile usignuolo, vuoi tu ritirarti nei boschi,
dove orecchio umano non t'oda, mentre qui tutti sono desiosi delle
tue care armonie ?
E la giovinetta , per non recar dolore al padre , cedeva , a patto
però di non essere obbligata a far pompa de'suoi talenti in quelle
ragunanze che ancora si tenevano nella sua casa .
XIX.

Il sole è già alto sovra l'orizzonte , e noi non volevamo salutar


che il mattino. Lasciamo adunque che l'Agnesi , accompagnata dal
suo angiolo durante la lunga sua carriera di 81 anni,> sparga intorno
a sè luce di sapere e calore di carità . Seguitandola nel suo splen
dido cammino, noi l'avremmo trovata, più che sorella, tenera madre
de' numerosi figli che il padre suo avea avuti da tre mogli ; la avremmo
trovata soccorritrice di povere famiglie e salvatrice di pericolanti
fanciulle, e negli ultimi vent'anni della sua vita, direttrice affettuosa
e intelligente dell'Ospizio Trivulzi, destinato a raccörre vecchi in
fermi e indigenti d'ambo i sessi. Dopo aver illuminato l'emisfero del
sapere, ella nascondevasi allo sguardo mondano per risplendere be
nefattrice sull'altro emisfero della carità. Glorioso mattino, più glo
rioso meriggio e gloriosissimo tramonto !
( 1 ) Frisi, Elogio dell'Agnesi, pag. 71 .
374 MARIA GAETANA AGNESI

Quando una legione d'angeli , scelti tra coloro che avevano ispi
rata santa Caterina da Siena e Caterina Fieschi-Adorni ( 1), fu man
data da Dio per condurla al gaudio eterno dei giusti , trovolla in
tenta a dar consigli e ordinamenti, suggeriti dalla sua grande espe
rienza e carità a pro' dell'ospizio. Quell'anima fra una spalliera di
spiriti celesti saliva a Dio , beata , ma pur supplicante. Perchè nel
l'atto stesso che drizzava e fissava gli occhi in cielo , colla destra
abbassata accennava e raccomandava a Dio quelle povere creature
ch'ella abbandonava in questa valle di lagrime (2) ! '
( 1 ) Scrisse alcune opere spiritu li .. Madonna Catarinetta Adorna fu figlioula
66

di Giacomo di flisco, vicerè di Napoli per il re Raniero, e fu moglie di Giu


liano Adorno , col quale visse molti anni in castità masilale , e la vita sua 9

poichè la benignità divina le toccò il cuore negli anni della sua gioventù, è
stata tutta carità, mansueludine , benignità , pazienza , astinenza ndicibile e
specchio d'ogni virtù , tal che si può comparare a santa Caterina da Siena »
Giustiniani , Annali di Genova . Caltaneo Marabotto ed Ettore Vernazza ne
scrissero la vita .
(2 ) Un bel ritratto ad olio dell'Agnesi è posseduto da casa Verri di Milano.

Opere consultate Agnesi Gaetana , Betussi , Boccaccio , Frisi , Mazzu


chelli, Serdonati, ecc .

IN LODE DI MARIA GAETANA AGNESI.


Alla nobil fanciulla D. Maria Gaetana Agnesi, milanese, che nel
l'età di anni cinque parla mirabilmente il francese.
I.
Sonetto.

In quell' età che di passaggio appena


Le cose apprende e nella voglia (1 ) imprime ,
Che dal natio parlar le sole e prime
Forme ritien , ma con fatica e pena ;
Con vezzo tale e con si pronta vena
Il franco dir gentil fanciulla esprime
Che in più dolce maniera e più sublime
Ninfa forse non parla in su la Sena (!).
Perchè il tempo arrossisca , e si lamenti
Che in lei l'ingegno i voli suoi preceda ,
E comparir li faccia ognor più lenti :
MARIA GAETANA AGNESI 395
Ed io quasi non so quel che mi creda ,
Posto in dubbio fra gli anni e fra gli accenti ,
Se più quello che ascolti o quel che veda (1 ).
II.

Sol nato all'ozio é a trattar l'ago e 'l fuso


Io credei sempre il più leggiadro sesso.
Vaga fanciulla attonito e confuso
Oggi d'error m’ha tolto e di me stesso.
Lei di sua mente appena giunta all'uso ,
Veggio d'alto saver giunta al possesso :
O a lei da'nami oltre natura infuso ,
0 a lei dall'arte , io non discerno , impresso .
Odo le dolci angeliche parole :
Odo i gravi pensier , che meraviglia
Farieno invidia alle più dotte scuole.
Truovi chi può l'eguale, e a questa figlia
Altra pareggi o donna e dea chi vuole ;
Chè sol sè stessa e null'altra somiglia (2).
Del P. S. C. R. S.

III .

Vivace ingegno è nella donna accolto ,


E pari all'uomo d'eloquenza abbonda ;
Anzi avvien che più forza ai detti infonda
Iu lor la grazia e la beltà del volto.
Roma lo sa , che in pien senato e folto
Vide .la saggia Ortensia in treccia bionda
Per le matrone perorar faconda ;
Onde il censo gravoso a lor fu tolto .
Or del Lazio in la pura alma favella
Gran difesa del sesso udir ne face ,
D'etade acerba , tenera donzella.
Coprasi di rossor chi disse audace
Che sol nell' uomo la facondia è bella ,
Ed ha in pregio la donna allor che tace.
Dell'ab . P. P. A.

( 1) Stampato in Milano , presso i fratelli Sirtori nel 1723. Vale come testimo
nianza , non come poesia .
(2) Petrarca .
326 MARIA GAETANA AGNESI

IV .

Anche in tenera età virtù matura


A te, saggia fanciulla , il ciel concesse ,
E a' nipoti esporrà l'età futura
A quali pregi il valor tuo giungesse.
Dirà a' nipoti tuoi con qual coltura
Preser tue doti a raffinar sè stesse ;
Anzi che non dirà ? se ogn'ardua cura
Lieve a te potrà dir che si rendesse.
Fia poi che lor ti mostri in su la cima
Dell’erto monte ove la gloria regna ;
Monte ove rado v'è chi l'orme imprima.. /

Già vêr esso il tuo piè franch’orme segna


In sin da' più verd ' anni, e già la prima
Corona al tuo bel crin la gloria assegna.
Del sig . A. B.

NOTA DI ALCUNE OPERE SCRITTE O TRADOTTE DA DONNE


in lode o in difesa del loro sesso .

Il merito delle donne. Scritto da Moderata Fonte ( Modesta Zorzi dal Pozzo ,
di Venezia) , in due Giornate , ove chiaramente s scuopre quanto siano elle
degne e più perfette degli uomini. Venezia , 1600, presso Domenico Imberti , in-4.
Opera postuma .
La nobiltà e l'eccellenza delle donne e i difetti e mancamenti degli uomini .
Discorso di Lucrezia Marinelia , di Venezia, in due parti diviso, Venezia, 1600,
per Giovanni Battista Ciotti , Sanese, in-4 .
Lettera di Lucrezia Pico -Rangoni, di Mirandola , a Violante Galassone in
difesa del suo sesso . Neli' opera : Dignità e nobiltà delle donne , di Cristoforo
Bronzino . Firenze, 1624. Settim . I, Giorn . IV, pag. 69.
Arcangela Tarabotti , di Venezia. Antisatira in risposta al Lusso donnesco,
satira menippea del signor Francesco Buoninsegni , ecc. Venezia , 1644 , per
Francesco Valvasense , in-12. Difesa delle donne, contro Orazio Plata . No
rimberga , per Cherchenbergher, 1651 , in - 12. L'autrice pubblicò questa difesa
sotto il finto nome di Galerana Baratotti .
La galleria delle donne forti, del P. Pietro Le Moyne, della compagnia di
Gesù , trasportata dalla lingua francese nell'italiana dalla M. L. M. F. (Laura
Maria Montecuccoli-Foschiero , di Modena). Modena , 1701 , per Antonio Cap- ,
poni , stampatore vescovile , in -4 .
Aretalla Savina de'Rossi , di Siena . Apologia in favore degli studi delle
donne, contro il discorso del signor Giovanni Antonio Volpi: Che non deb
MARIA GAETANA AGNESI 327
bono ammettersi le donne allo studio delle scienze e delle belle lettere . Siena
20 dicembre 1723. Leggesi a pag. 50 dei Discorsi accademici di vari autor
viventi, intorno agli studi delle donne, ecc . Padova , 1729, nella stamperia del
Seminario. Questi discorsi furono la maggior parte recitati nell'Accademia
de ' Ricoverati di Padova .
Posteriormente all'Agnesi , scrissero sullo stesso argomento, fra le altre : La
Marchesa di Sanival . La difesa delle donne , ovvero Risposta apologelica al
libro intitolato : Lo scoglio dell'umanità di Diunilgo Valdecio , falta dalla
marchesa di Sinival, detta fra gli Arcadi Africa Melpea. Livorno, 1786, presso
Carlo Giorgi, in - 12 .
Rosa Califronia, d'Assisi . Breve difesa delle donne. Assisi , 1794, in -8.
Camilla Paltrinieri- Triulzi . Le illustri Camille italiane. Narrazioni storiche .
Verona, 1818, tip . Pietro Bisesti , in-8.
Ginevra Canonici - Facchini , di Ferrara. Prospetto biografico delle donne ita.
liane rinomate in letteratura del secolo decimoquarto fino ai nostri giorni,
con una risposta a lady Morgan , risguardante alcune accuse da lei date alle
donne italiane nella sua opera : L'Italia. Venezia , dalla tip . di Alvisopoli ,
1824 , in -8.
Cittadina Discorso agli italiani. La causa delle donne, 1797, per Giu
seppe Zorzi , in - 8 (stamp . in Venezia).
Anna Pepoli -Sampieri, di Bologna. In ogni età le donne italiane hanno col
tivato le scienze. Nell'Antologia femminile, Anno I, Torino , 1840, presso Gian .
nini e Fiore , lip . Canfari , e nel vol . I del Florilegio femminile, compilato di
Emmanuele Rossi . Genova, 1840, presso G. B. Ferrando, in- 8.
Isabella Rossi- Gabardi, di Firenze. Le donne fiorentine. Le donne sanesi.
Le donne pisane . Le donne aretine . Nel vol . II e III del Florilegio femmi.
nile , compilato da Emmanuele Rossi , Genova , 1840-44 , presso G. B. Fer
rando , in-8.
Teresa Pozzoni-Perversi , che può mai fare una donna ? Ivi , vol . I.
Eleonora Reggianini , di Modena. Delle lettere italiane. ( Poemetto in canti
tre ). Modena, 1826, presso G. Vincenzi e Comp . , in -8.
Cecilia de Luna-Folliero , di Napoli . A' dispregiatori del sesso femmineo ;
libero sunto poetico della lettera di Melchiorre Delfico : Salla preferenza dei
sessi . Nell'Iride , Napoli , 1836 , tip . nella Pielà de' Turchini , in-12. Mezzi
onde far contribuire le donne alla pubblica felicità ed al loro individuale
ben essere . Napoli , 1826, presso R. Marotia e Vaspandoce , in -8.
Livia Comi . Il trionfo delle donne . Discorso accademico , traduzione dal
francese. Bergamo, 1839, Mazzoleni , in-8.
La Donna. Ottave. Padova, 1835, coi tipi della Minerva , in -8.
In questi ultimi tempi a rivendicare i diritti della donna sorse la egregia
signora A. Maria Mozzoni coll'opera : La donna e i suoi rapporti sociali,
in occasione della revisione del codice civile italiano , Milano , 1864, tip. So
ciale.
Nella prefazione vi è detto : La donna , per vieto costume esclusa dai
consigli delle nazioni , ha sempre subito la legge senza concorrere a farla , ha
sempre colla sua proprietà e col suo lavoro contribuito alla pubhlica biso
gna , e sempre senza compenso .
» Per lei imposie , ma non per lei l'istruzione ; per lei i sacrifizi, ma non
9

per lei gl'impieghi ; per lei la severa virtù , ma non per lei gli onori ; per lei
la concorrenza alle spese nella famiglia, ma non per lei neppure il possesso
di sè medesima ; per lei la capacità che la fa punire , ma non per lei la ca
pacità che la fa indipendente ; forte abbastanza per essere oppressa sotto un
cumulo di penosi doveri, abbastanza debole per non potersi reggere da se
stessa .
" Ora, se la donna è impossibilitata dalle vigenti istituzioni a rivendicare
il suo diritto in quel parlamento che in qualità di rappresentanza nazionale
taita dovrebbe rappresentar la nazione ne' suoi indispensabili e reali elementi ,
essa lenta almeno di farlo per quella via che non lo può essere preclusa, per
guella cioè della stampa ; e possa la sua voce, che chiede uguaglianza vera
323 MARIA GAETANA AGNESI
di tutti i cittadini innanzi alla legge , esser raccolta colà dove il solenne
mandato dalla nazione impone o ni equità ed ogni giustizia.
9
Strappare all'oscurantismo uno de ' suoi più poderosi elementi, generaliz
zare l'istruzione donde un potente movimento alle libere istituzioni , creare
un nuovo impulso alle scienze ed alle arti , duplicare le forze della nazione
duplicando il numero de'suoi cittadini e raccogliendo tutti gi'interessi nel
reggimento di un unico scopo , crearsi fama d'illuminaio e generoso sopra
ogni popolo civile, ecco i vantaggi che debbono naturalmente scaturire dalla
redenzione della donna nella nostra Italia , ecc . " .
LE EROINE DELLA CASTITÀ.

Che voglion importar quelle due frondi ?

Palma e vittoria ; ed io giovine ancora


Vinsi il mondo e me stessa
Mercè di quel Signor che mi diè forza .
PETRARCA .

Voi vedete nel Genesi (1) un angelo, un essere soprasensibile, che


lotta con Giacobbe. Questa singolare tenzone della umanità colla di
vinità , a detta anche de' Padri della Chiesa (2), può essere un sim
>

bolo bellissimo del combattimento interiore che sostiene lo spirito


cogli appetiti sensuali. Nella notte di questa vita terrena, noi , come
Giacobbe, lottiamo colla divinità, ed anche prevaliamo ad essa, per
chè gl'istinti brutali talvolta soverchiano la ragione e le passioni, le
leggi del cielo ; ma in quella vittoria infelice non è la divinità che
rimanga zoppa, ma siamo noi. Giacobbe vincitore è ferito alla coscia
dell'angelo vinto.
Nella battaglia che dà il senso è raro che gli uomini n'escano
gloriosamente vittoriosi . Senza che , bisogna venire giù giù fino ai
tempi del cristianesimo per vedere esaltata e consacrata la castità
dell'uomo, cioè di mezzo il genere umano ! Per mille ee mille donne
di celebre onestà v’ha un casto Giuseppe ! Gli dèi e gli uomini in
questo s'assomigliavano : la potenza sopranaturale degli uni e la
forza superba degli altri erano deboli al pari contro gl'incentivi della
carne. La donna sola pareva destinata a riporre la sua maggior glo
ria nell'opporle resistenza e nel domarla, e dalla debole si richiedeva
quella virtù di cui non si sentiva o non voleva essere capace il
forte. Ma v’ha di più : per una strana contradizione , che s'è per
petuata, l'uomo , che pur altamente proclamava e proclama la fra
lezza della femmina, con lei congiungendosi in matrimonio, la fa de
( 1 ) Bibbia Sacra , Genesi, cap . XXXII , v. 24-32.
(2) Vedi le opere di san Paolino e Calmet .
330 LE EROINE DELLA CASTITÀ
positaria, anzi arbitra del proprio onore. Dunque bisogna dire , a
gloria della donna, che, se l'uomo commette ad essa la cura di ciò
che ha di più caro e prezioso senza che abbia perciò gran fidu
cia nella forza di lei , egli nulladimeno lo fa per la gran fiducia che
sente di poter avere nell'alta idea ch'ella si è formata del dovere.
Il che è negare ed ammettere nel tempo la forza delle donne.
La società ha detto alla femmina, sia pur essa fanciulla o sposa
>

o vedova : « I diportamenti dell'uomo ed i suoi costumi non deggiono


servir di regola a’tuoi ; e tu non devi mai dire ch'egli ti sia pietra
di scandalo : io non ti voglio fior di bellezza senza l'olezzo della
virtù. C'è mal odore all'intorno ? E perciò appunto debb'essere acuto
e soave il tuo profumo. Anche se tu cadessi vittima dell'uomo, non
isfuggiresti alla severità del mio giudizio. A qualunque costo tu
devi essere onesta » .
Onesta ! piccola parola, ma che inchiude molti obblighi. Chè l'one
stà riguarda e comprende tutte le virtù che danno e conservano
l'onore. La pudicizia, la verecondia , la castità , la continenza, la
compostezza, il contegno, la decenza, la modestia debbono stare con
essa, perchè essa sia : e' sono i colori che compongono la sua luce .
E parrà luce di paradiso, ove meglio che castità, sia purezza.
Il progresso umano e la religione di Cristo emanciparono a mano
a mano la donna da quello stato d' inferiorità e di schiavitù in cui
era tenuta da lunghi secoli ( 1 ). Datale una dignità , riconosciuti in
(1 ) Le tendenze generose dell'umanità protessero la donna. Il cristianesimo
la rialzò , vietando la poligamia e gli amori inonesti, ed offerendo , dopo l'uomo
Dio, per prima creatura umana , superiore a tutti i santi ed agli angioli stessi ,
una donna l ...
'La società moderna sentì l'influsso di questo spirito di gentilezza. In mezzo
alla barbarie, la cavalleria fu abbellita dal culto elegante dell'amore ; e noi ,
cristiani inciviliti , noi , figli della cavalleria, non teniamo per educato se non
l'uomo che onora il sesso della mansuetudine, delle casalinghe virtù e delle
grazie .... Allontana i tuoi passi da coloro che non onorano nella donna la
madre loro . Silvio Pellico : Dei doveri dell'uomo, cap . XIX,
Nel poema La tentazione, di G. Montanelli , l'angelo del Pudore, annan
ziando l'emancipazione della donna :

Nè il più crudele fu de ' tuoi martiri


La catena di ferro onde t'avvolse
Quei che promessa te l'avea di fiori....
Schiava a barbaro carro incatenata ,
Sposa in geloso letto,
A vedovanza marital dannata ....
Madre vegliante il figlio ,
Col guardo ora al diletto ,
Ora al lavoro delle scarne mani .
In sue catene d'oro
Boria viril ti serra ,
E ayvolta in fasce aurate
LE EROINE DELLA CASTITÀ 331

lei de'diritti, fu ad essa men difficile e men duro il compiere i gravi


obblighi suoi . Ma ella non aspetto questi tardi ma propizi tempi della
sua abilitazione, anzi molte volte attese neppure che quei doveri le
venissero insegnati, perocchè da sè gl’indovinò e spontanea e ge
nerosa osservolli fino al sacrifizio di sè medesima . Senza che altri
glielo dicesse, ella più 'volte comprese che le era stata data bellezza
ed amabilità soltanto per far amare, ammirare ed onorare la virtù
dagli uomini .
Lunga schiera di eroine della castità noi troveremmo, se le chie
dessimo all'evo antico e al moderno (1). I limiti impostici non ci
permettono però di cercare di tutte e di tributare a tutte od alla
maggior parte i nostri encomi. Ma toccheremo d'alcuna fra le più
celebrate .
Fin dalla culla a vanilà t'accende ;
E , ingemmandoti adulta il vergin crine,
Idolatra ti fa della beltate
Che indarno un giorno piangerai perdula ....
Oh quante volte , tra la danza accesa ,
Come la gemma che sul sen ti brilla ,
Rilucer tremolante e non compresa
La lacrima vedemmo in tua pupilla !
( 1) IL PETRARCA ; NEL TRIONFO DELLA CASTITA.
Io non poria le sacre benedeite
Vergini ch’ivi fûr, chiudere in rima ;
Non Calliope e Clio con l'altre sette .
Ma d'alquante dirò che 'n su la cima
Son di vera onestate ; in fra le quali
Lucrezia da man destra era la prima.
L'altra Penelopè : queste gli strali
I la faretra e l'arco avean spezzato
A quel proterpo e spennacchiate l'ali :
Virginia appresso il fiero padre armato
Di disdegno , di ferro e di pietate ,
Ch'a sua figlia ed a Roma cangiò stato ,
L'una e l'altra ponendo in libertate.
Poi le Tedesche che con aspra morte
Servâr la lor barbarica onestate .
Giudit ebrea , la saggia , casta e forte ;
E quella Greca che saltò nel mare
Per morir netta e fuggir dura sorte .
Con queste e con alquante anime chiare
Trionfar vidi di colui che pria
Veduto avea nel mondo trionfare .
Fra l'altre la vestal vergine pia
Che baldanzosamente corse al Tibro
E, per purgarsi d'ogni infamia ria,
Porto dal fiume al tempio acqua col cribro ;
Poi vidi Ersilia con le sue Sabine ,
Schiera che del suo nome empie ogni libro.
332 LE EROINE DELLA CASTITÀ
E prima venga Claudia Quinta, romana, come quella che fu do
tata di così straordinaria virtù che non solo parve maravigliosa , ma
fu creduta eziandio taumaturgica. Narra il Boccaccio che, nel con
solato di Marco Cornelio e Publio Sempronio , cioè l'anno decimo
quinto della guerra africana, essendo la madre degli dei portata da
Pessinunte a Roma pel fiume Tevere, le andò incontro Nasica, esti
mato uomo santo da tutto il senato, insieme con tutte le donne ro
mane sin dove era giunta la nave, ma quanto più a quella si vole
vano accostare, tanto più la nave su cui era il simulacro dilungavasi
dal fiume; e , tuttochè fosse cinta di corde dalla moltitudine delle
giovani, non si poteva tirare a riva. Onde Claudia , ch'era in com
pagnia di quelle altre donne, confidando nella virtù propria e nella
benignità della dea, alla vista di tutti, messi i ginocchi in terra, as
sai devotamente cominciò a pregarla che , se la giudicasse casta e
pudica, seguitasse il suo legame. E incontanente levandosi con fede
Poi vidi , fra le donne peregrine ,
9

Quella che per lo suo diletto e fido


Sposo, non per Enea , volse ir al fine :
Taccia 'l vulgo ignorante : i'dico Dido ;
Cui studio d'onestate a morte spinse ,
Non vano amor, com'è ' l pubblico grido .
Alfin vidi una che si chiuse e strinse
Sopr'arno per seryarsi , e non le valse,
Chè forza altru'il suo bel pensier vinse.
Cilli pe e Clio con l'altre sette, cioè le nove muse . – Lucrezia . Vedi pag. 70.
- Perielopė ; Penelope, moglie di Ulisse , che resistè lungamente alle insidie e
prepotenze dei proci per seryare marital vedovanza , sempre aspettando il suo
sposo diletto (vedi p.ig. 69. – A quel protervo . Ad Amore Virginia . Virgi
nio , suo padre , per la ingiusta e del lutto miserabile sentenza d'Appio Clau
dio , uno dei decemviri , la qual disponeva che Virginia dovesse esser serva
d'un Marco Claudio , che, a petizione d'Appio , essendone innamorato, l'avea
rapita , uccise la figliuola , non vedendo alira via da restituirle la libertà e
serbarle l'onore , alla qual morte ella manifestamente si vide consentire. — Le
Tedesche ; quelle che avevano seguitato i loro mariti , parte uccisi e parte fa
gati da Mario : le quali tutte, di comune accordo, per tema di violar la loro
castità, s'appiccarono per la gola. Giudit ; Giuditta, che, sempre sapiente
mente governandosi e la sua castità serbando , recise la testa ad o oferne,
insidiatore della sua onestà e nemico degli Ebrei . – Quella Greca; Ippo, ver
gine greca, la quale, essendo presa da un'armata de' suoi nemici e condotta
via per mare, cunoscendo non poter allramente che per morte conservar in .
violata la sua verginità , sal !ò di su la nave , sulla quale era montata , per
annegarsi, come fece , in mare. Il suo corpo fu poi trovato nel lido eritreo e
sepolto in una prossima villa. I Greci l'ebbero in quel tempo in molta vene
razione , e fu celebrata da loro. La vestal vergine e pia ; Tuzia , (vedi
pag . 231 ) . — Ersilia ; moglie di Romolo. Le Sabine, guidate da essa , non du :
bitarono di mettersi fra le sanguinolenti spade dei padri e dei fratelli per
salvare i loro mariti , i Romani, di cui erano divenute spose. – Dido ; Didone ,
che per amor del suo sposo, Sicheo , non volendosi arrendere agli amori de
barbaro Iarba , re dei Mori , sè stessa spinse a morte . Una che si chiuse
strinse sopr'Arno ; Piccarda Donati . Vedi più avanıi e i versi in fine a que
sto capitolo.
LE EROINE DELLA CASTITÀ 333
e sperando che dovesse seguir l'effetto conforme a' preghi , comando
che la sua cintura fosse legata alla nave , e da quelle si levassero
gli altri , giovani e donne. Nè prima fu fatto questo che , tirandula
Claudia, agevolmente fu mossa e in presenza di tutti i riguardanti
ſu condotta dove si desiderava ( 1 ),
Dirassi che i tempi non.consentono di credere o di spacciare cosi
fatti miracoli. Ma tale osservazione non sarebbe veraniente il pro
fitto che da questo racconto, anche se favoloso, dovrebbero ricavare
donne e fanciulle. Tolto anche il miracolo, non rimarrebbe forse tut
tavia intatta l'alta riputazione dell'onestà di Claudia ? Se non si cre
dette sufficiente la lode comune, ciò vuol dire che anche la virtù di
lei era straordinaria.
È ciò tutto ? No. Voi non leggeste, ancora quale opinione di Clau
dia Quinta avessero gli uomini di Roma prima di quel prodigioso
avvenimento. Eccola : non eccellente sopra ogni altra , perchè, bella
e vistosa, pareva a' più severi ch'ella avesse troppa cura della sua
avvenenza . Or non vi sembra egli che sia istruttiva in sommo grado
la nuova e di gran lunga migliore riputazione fattale in seguito a
quel portento ? Intendiamo dire che , se questa è favola , adombra >

però un giudizio severissimo. Anche se onestissime, non sarete cre


dute degne di un'ampia lode di onestà, se troppo attendiate, o gio
vani, all'acconciatura ed agli ornamenti, in una parola, a parer più
belle. Ed a far ricredere il mondo, i savi antichi vi avvertono che
occorrerà un miracolo !
Della Lucrezia , sposa a Collatino, abbiamo in queste pagine già
parlato ; e della Virginia , figliuola del popolano Virginio , in molte
parole mal si potrebbe dire quel che benissimo il Petrarca in soli
quattro versi. Ci gioverà quindi parlare piuttosto di una seconda
Virginia, cioè della moglie di Lucio Volunnio.
Chi direbbe che anche le virtù si picchino di aristocrazia e di
democrazia ? Eppure ciò fu ne' tempi antichi, quando le principali
matrone di Roma avevano nel foro Boario un proprio tempio sacro
alla Pudicizia. Non potevano recarvisi a far sacrifizio che le nobili :
le plebee n'erano respinte. Vedersene bruscamente rejetta toccò an .
che a Virginia , moglie di Lucio Volunnio, uomo plebeo , sebbene
l'anno avanti fosse stato console. Con qual diritto pretendi , o
donna, pareggiarti a noi ? -- dicevano le patrizie a Virginia . -

Perchè, - ella rispondeva – la nobiltà vera non viene dai na


tali, ma dalle illustri azioni, e le azioni di mio marito sono un pre
gio ed un merito ch'egli non deve che a sè stesso, e superano per
( 1) In questo caso aveva torto il proverbio che dice : Val più una berretti
che cento cuffie. Ma altri proverbi esagerano , invece , la muliebre fotenza .
334 LE EROINE DELLA CASTITÀ
ciò qualsivoglia nobiltà ereditata. Ed altro non rispose, giacchè
il molto garrire è spesso indizio che si dubiti quasi della propria
ragione. Ma ella che non andava a quel tempio per la vanità di
farsi vedere, ma si perchè, avendo la pudicizia propriamente nel
cuore, desiderava che anche il proprio esempio servisse ad aggian
gere seguaci a quella santa dea ; tornata a casa, non assordò il ma
rito lagnandosi vanamente dell'arroganza patrizia , ma chiamò in
torno a sè le principali donne pleblee. E loro disse : - Queste case
ch'io abito bastano a far un piccolo tempio alla dea Pudicizia, che
noi tutte veneriamo; del mio v'innalzerò un altare : e quando teni
pio ed altare siano eretti, venite a far vedere a Roma che nel culto
della castità, come di qualsivoglia altra virtù, non abbiamo bisogno
di prendere normà dalle nobili. E in breve sursero il tempio e
l'altare ; ed allora, congregate nuovamente le plebee , parlò ad esse
in questo modo : Gli uomini hanno tra essi continua gara di va
-

lore o di gloria ; or sia lodevole contrasto tra le donne, cioè contra


sto di pudicizia e di onestà tra le nobili e le plebee. Giudichi Roma
su questo tempio e questo altare che , presenti voi , io dedico alla
Pudicizia plebea saranno più santamente e da più caste donne uffi
ziati ed onorati ( 1).
Poco non era per la donna , circuita da tante lusinghe e tenta
zioni , servare castità e darne splendide prove frammezzo ai mal
>

esempi dell'uomo. Ma ella volle fare di più , aggiungendovi pure


una virtù sublime, piucchè umana, la virginità perpetua. L'antichità
ebbe le sue vestali, il cristianesimo le sue monache. Tanto non pre
tendeva , per altro , la società : ciò non solamente superava le esi
genze e l'aspettazione dell'uomo , ma le contrariava eziandio ; onde
spiacquegli e contradisse e spesse volte si oppose. La giovinetta Pic
carda Donati è per forza trascinata fuori del chiostro e data a ma
rito ; e, prima della Piccarda , tante e tante illustri donne e giovi
nette, in ispecie le sante , che soffersero persecuzione e martiri per
la virginità, e meritarono l'onor degli altari dalla Chiesa cattolica.
Nel suo cruccioso dispetto disse l'uomo alla fanciulla ed alla donna
che s'era dedicata a verginità perpetua: « Tu hai il cuore di dias
pro ! sei insensibile » . E spesso l'uomo s'ingannava. Perchè , se
quella donna obbediva alla santa missione di spandere il buon odore
della purità in mezzo ad una società ammorbata e fradicia ,9 ella
bene operava : era un esempio necessario. Infatti, se una debole
femminetta mostrava poter tanto, come l'uomo avrebbe osato affer
mare che a lui era troppo difficile od anco impossibile la costuma
( 1) Vedi Boccaccio , l . c .
LE EROINE DELLA CASTITÀ 335

tezza e la continenza ? E quella verginità era alle volte necessaria


per altri effetti; perchè, cioè, la donna, non più occupata di sè e de
gli affetti terreni , potesse consacrarsi esclusivamente a beneficio al .
trui. Quella virtù, spogliata d'ogni impedimento umano, era , per cosi
dire, il gas che per convertirsi in pronta e vivida luce ha bisogno
di sprigionarsi dalla sostanza fossile.
La vergine non sente ? Ma quante artiste, e delle famose, non fu
rono specchi di virginità purissima ? Chi vorrà dire insensibile al
bello Marzia figliuola di Varrone, eccellente pittrice e scultrice ? Ella
non solo fu diligentissima in custodire la sua pudicizia , ma volle
mantenere eziandio intero il candore della virginità , scrupolosa al
segno da non voler mai formare alcuna figura virile (1).
Nessun ostacolo di condizione, di tempi o di fortuna valse contro
la donna quando volle serbarsi casta. Antonia minore (2), figliuola
di Marc' Antonio triumviro , dopo la morte del marito suo , Druso ,
fratello di Tiberio Nerone, sebbene fosse in età assai giovane e molto
bella, e tra mille non buoni esempi domestici, e tra gli ozi e le de
lizie, non solamente non si lasciò indurre ad un secondo matrimo
nio (3), ma visse costante nella virtù non per un poco di tempo ma
fino alla vecchiezza, superando per famosa vedovanza tutte le altre
donne ( ).
Nè l'onestà maritale fu mai termine equivalente a mancanza di
cuore. La dite fredda pietra, ma non è, od è pietra focaja che non
aspetta che il bisogno altrui per dare faville di carità. E la Violan
tina, genovese, della famiglia de’Giustiniani, ce lo dimostra. Ella, che
in leggiadria superava Elena e Faustina, delle cui bellezze fin oggi
dura grande la fama, non solamente in ciò fu a quelle superiore;
perocchè fino dai più lontani paesi grandi signori e principi non
per altro si recavano a Genova che per vederla e per avere un suo
ritratto ; ma le superò eziandio di gran lunga in quella pudicizia
ch'esse non conobbero mai. E quella pudicizia albergava in un
cuore tenero e gentile. Ed in vero , sopravenuta grave sventura
al marito, con tanto amore lo segui, e tanto s'attristò delle sue pene
che ne ammalò e, consunta dal dolore , lasciò la vita (5 ).
( 1 ) Boccaccio e Domenichi .
(2) Minore, perchè avea una sorella maggiore d'anni e del suo nome.
(3) « La marital fiamma ispirò prudenza ancora ad Annia Romana . Essendo
confortata che giovane e vedova si maritasse di nuovo, essa rispose che non
voleva, accadendole aver buon marito , com'era stato il primo , stare in con
tinuo affanno e sospetto di perderlo ; e, se, per lo contrario, si fosse abbat
tuta in cattivo marito , che troppo le sarebbe paruto grave quel male che da
sé stessa, senza che alcuna occasione la sforzasse , s'avesse procacciato. Di
cesi ancora che Valeria maggior sorella dei fratelli Messali , in simil termine
rispose quasi nel medesimo modo ma con altre parole » . DOMENICAI .
(4 ) Boccaccio .
(5) Betassi e Levati . La Violantina fiori sul finire del secolo XV .
336 LE EROINE DELLA CASTITÀ
Se la Violantina ci dimostra esservi per lo meno grande esagera
zione in quella sentenza dei più che la bellezza suole aver gran lite
colla pudicizia e ne' gran litigî è anche il danno v’ha un'al
tra illustre, la Bianca Collalto, che col proprio esempio ci prova che
v'ebbero donne, sebbene bellissime e per la propria condizione po
ste in vista altrui , che non ebbero bisogno di combattere per vin
cere quella gran lite , avendola saputa cansare per prudenza mira
bile. Grandi sono gli elogi che della Collalto fa il Betussi, chiaman
dola esempio di pudicizia , lume di bellezza, specchio di generosità ,
e proclamandola fornita d'acutissimo ingegno , sufficiente a reggere
e ridurre a buon fine ogni difficile impresa. Ma il maggiore e più
particolare elogio sta nelle parole ch'egli soggiunge, che cioè « in
tutte le sue azioni ella saggiamente e cosi onestamente s'è portata
che non le fu mai bisogno di venire ad alcuno di que' cimenti per
cui altre donne virtuose dovettero passare » . Che se non vi è an
cora ben chiaro il suo concetto, e' ve lo spiega più ampiamente così :
Queste cose, al giudizio di chi dirittamente considera, sono molto
più da stimare che gli esempi di quelle che sono state costrette
farne prova ; conciossiache per lo più a nessuno mai non occorre
far esperienza di sè >, se con qualche cenno non provoca o incita
terza persona a muoversi con isperanza di conseguir l'intento suo ;
vale a dire che una donna tutta pudica e tutta casta di sorte sem
pre si regge , sì nelle azioni apparenti come in quelle che sono lo
cate nel cuore, che ognuno continuamente è costretto di farle rive
renza , senza immaginarsi , non che sperare , alcuna cosa men che
9

virtuosa ed onestissima » . Straordinario miracolo della virtù gli


questo , che la bellezza operi come la testa anguicrinita di Medusa,
petrificando cioè, se non gli uomini, certo le loro ardenti e audaci
passioni !
Ma questo miracolo, o un più stupendo forse, operollo anche Ma
ria da Pozzuolo ( 1), che di corpo bellissima , e meravigliosa per co
raggio e valore, sebbene praticasse di continuo con soldati e vivesse
nell'arme in gran libertà, conservossi sempre pura, sempre dignito
samente altera della propria virtù, e tolse altrui per sino il coraggio
di tentarla , riportando vittoria per tal modo nel tempo stesso dei
nemici , degli amici e di sè stessa.
« Chi vuol salvar l'onore, sdegno in fronte e foco in core » , dice
il proverbio ; ma quello sdegno e quel fuoco avviene talvolta che
non si possano con effetto rivolgere contro il miserabile che insidia
all'onor femminile . Allora la donna ha coraggio e virtù bastante per

(1) Fioriva nella prima metà del secolo XIV . Vedi Fulgos , Egnazio e Belussi .
SUFRONIA ROMANA 337
ritorceli contro sè stessa : ella non aspetta la morte dell'anima sua
e, come la fenice, per risorgere in un mondo migliore abbruciasi da
sè stessa. Ecco mutata in poca e fredda cenere quella leggiadra
bellezza che inconsapevole aveva destato ardenti pensieri ; e l'uomo
che stava per profanare una cosa tutta santa è costretto a chinarsi,
rinsavire forse, dinanzi a una tomba ! La storia è piena di così il
lustri esempi ; e tra le molte che , poste in un bivio inevitabile, tra
una morte volontaria e il disonore, si gittarono in braccio a quella ,
ricorderemo una Sofronia romana, una Bianca de' Rossi, una Lucre
zia Mazzanti ed una Belisandra Meraviglia.
Chiamiamo le cose col loro nome : la via di salvezza prescelta da
tali eroine fu il suicidio, che ordinariamente non è che un'ostenta
zione di forza che fa la debolezza in un momento di delirio ; ed in
tal caso esso è riprovato dalle leggi divine ed umane : ma noi non
oseremmo dire il medesimo dell'azione di quelle pudiche che affret
tarono la propria fine per non bruttarsi d'infamia. Saremmo noi più
rigorosi degli stessi Padri della Chiesa , degli stessi teologi e dottori,
che non vollero su tale argomento portare decisivo e inappellabile
giudizio ? Presentandosi al tribunale di Dio, esse diranno : Ecco l'a
nima nostra quale uscì dalle tue mani : e questo corpo , che c'era
d'inciampo, eccolo là, che l'abbiamo gittato da noi : non poteva se
guirci a volo per giungere sino a te, e noi l'abbiamo lasciato sulla
via : tu, o Cristo, che volesti per madre una vergine, tu ne giudica .
Sofronia romana viveva a' tempi dell'imperatore Massenzio. Sol
lecitolla costui a tradire i suoi doveri di sposa, e talmente astrinsela
ch'ella ben vide che le sarebbe stato impossibile di resistergli più
a lungo. Il marito di lei, prefetto e cortigiano, per vigliacca paura e
per altro non meno abbietto motivo, non osò, e non tentò neppure,
com'era suo dovere , di sottrarla in qualche modo al pericolo. On
d'ella, vedendosi nell'imminente rischio di perdere quella virtù che
con tanta gelosa cura guardava , dopo essersi con breve orazione
scusata presso Dio perchè uscisse di questa vita anzi il giorno or
dinato, bella, giovane e piena ancora di vita s’uccise da sè stessa ( 1 ).
Bianca della Porta , figliuola di un Antonio Rossi di Bassano, era
giovane non solo bellissima di corpo e d'animo, ma dotata pure di
straordinario coraggio. A persuasione di suo marito Battista della
Porta , i Bassanesi avevano chiuso le porte della città al crudelissimo
Ezzelino da Romano, parati a difendersi o piuttosto a far pagar caro
( i ) Il Domenichi: “ In una cosa merila ella d'essere preposta a Lucrezia
romana ; perchè essa , per non imbraltar d'alcuna macchia il corpo nè l'animo ,
i quali risplendevano ambidue di chiarissimo candore d'onestà, s'accise di
propria mano . Ma quella per iscusare la già offesa pudicizia volle spandere
il sangue insieme con vita » .

BERLAN . Le fanciulle celebri .


338 BIANCA DE'ROSSI
la loro vita ; chè Bassano, città poco munita , non avrebbe a lungo
potuto resistere alle poderose forze di Ezzelino. Costui per più giorni
percosse e tempestò con macchine le difese mura e , fatta la brec
cia, spinse i soldati, inferociti dalla inattesa resistenza, all'assalto. Il
sangue a torrenti, i cadaveri a mucchi , e, in mezzo a quell'eccidio,
la figura di Bianca che rotava in giro la spada a preservare non
solo- sè stessa ma anche il marito , cui ardentissimamente amava,
dai fanti e dai cavalli che come onde si rovesciavano loro addosso .
A tanta furia, e mentre tutti cedono, come quei due osano resistere ?
L'uno e l'altro, presi, vengono incatenati, tratti innanzi ad Ezzelino,
il quale fa l'uno tosto ammazzare alla sua presenza ; e l'altra serba
in vita, sperando, dic'egli, che di tanto beneficio le sarà grata. La
qual gratitudine, secondo gli uomini prepotenti, suole consistere nel
tradire i propri doveri per far paghe le brame di uno scellerato che
non s'arresta dinanzi a nuove atrocità se non perchè gli si affaccia
e sorride l'idea del piacere. Egli cambia il modo di essere crudele,
non altro; egli non fa grazia altrui, ma compiace a sè stesso . Lorde
le mani del sangue dello sposo di Lei, Ezzelino osa parlare di amore
a Bianca ; ma nè per preghiere nè per minacce gli vien fatto di
ella
smuoverla dal suo castissimo proposito. – Piuttosto la morte ,
dice a sè stessa ; piuttosto la morte , ella grida al tiranno ; e
quella cerca. La vista medesima del sozzo amatore acuisce que'fe
rali desideri . Dall'aspetto di lui esce qualcosa di tanto sinistro che
rende disameno, tetro e intollerabile tutto ciò che la circonda, per
sino la stessa bella natura. E tutto par che si copra a'suoi occhi
di nere gramaglie per chiamarla, per affrettarla al suo ultimo fine.
Un dì che Ezzelino sta per giungerla e bruttarsi d'impura brama,
ella , non vedendo altra via per fuggirgli di mano , si getta da
un'altissima finestra . Si franse il corpo cadendo al basso , si che
l'anima volasse in cielo ? Ed Ezzelino si divora egli di rabbia ,
perchè colla morte la bella Bianca siasi a lui sottratta ? No ; ella
non è morta , s'è fiaccato un braccio ed una spalla ; ed Ezzelino
la fa raccogliere e medicare. È il domatore delle fiere che, incon
tratosi a cacciar la lionessa , la vuol prigioniera , ma non morta :
che ne farebbe egli della pelle ? Ma la camera , le sale , i corridoi,
le scale ed i cortili, tutto il palazzo è guardato da soldati : ee la Morte
debbe riderne , poichè in quella casa vede imprigionata e resa im
potente la Disperazione, e coloro , que' propri satelliti, que' ministri
di strage, comandati ed attenti ad impedire che una giovine donna
ponga fine a'suoi giorni. Risanata Bianca, si riaccendono più ardenti
in Ezzelino le ree voglie ; e , poichè le preghiere non valgono , bar
baro non risparmia la violenza. – O mostro, permetterai tu almeno,
BIANCA DE'ROSSI 339
ella grida ad Ezzelino, ch'io renda gli estremi onori alle mor
tali spoglie del consorte 9 Mandami pure dietro i tuoi sgherri , per >

chè, entrando nel regno della Morte, io non m'accosti troppo a lei.
Saresti geloso anche d'un cadavere ? » . Concede Ezzelino, e falla
scortare da'suoi cagnotti , in ora tarda , ne' sotterranei , ove fu se
polto lo sposo di lei. Dov'ella , appena giunta , furiosa battendosi il
petto , e graffiandosi il volto e stracciandosi i capelli , si mette a
chiamarlo per nome. - O Battista, o Battista, dove sei ? - ella grida ;
e le sue voci sotto le volte di quel bujo luogo tristamente si ri
percotono . Una tomba si scoperchia ; la grave pietra che la copriva
è rialzata , e tenuta su con puntelli . Bianca afferra allora la torcia
di mano a una delle sue guide , e per brevi istanti contempla im
mobile e silenziosa quelle inanimate spoglie ; poi ad un tratto , gittata
da sè la face, si slancia dentro la fossa, e s'abbranca al morto corpo
e, come se fosse vivo, toccandogli carezzevolmente il viso e bacian
dolo e bagnandolo di lacrime , lo supplicà a volerle permettere di
venir a posare accanto ad esso.
La innocente colomha trovò sul suo cammino il rapace nibbio ;
ella subi il danno, non ebbe la colpa ; grazia, o sposo ! — iteratamente
ella grida ; non mi avrai tu pietà ? — continua a dire : e voi da
.

temi un ferrol e perchè non mi date in ferro ond’io m'uccida ?


Perchè questo mio diletto mi risponda, èè necessario che il caldo mio
sangue ravvivi queste irrigidite sue membra ; è necessario che il
mio spirito, libero da queste funeste bellezze del corpo, s'alzi a volo
ed aleggi col suo. -
Ma nessuno le dà un'arma , anzi tutti ten
tano di levarla dal suo fiero proposito, e già si dispongono a trarla
là per forza. Ond' ella, rizzandosi, risoluta e rapida rimovendo
i puntelli della pietra sepolcrale che sopra le pende, intrepida tutto
ne riceve il grave peso che, discendendo, le schiaccia la testa (1).
( 1 ) Vedi Domenichi e Pietrucci . Il canonico Giammaria Sale ne fece una
tragedia col titolo Bianca de' Rossi. Venezia , 1775 , in-8. Per una fredda di
squisizione su questo fatto può vedersi il Gamba , ne'suoi Bassanesi illustri
« Onoria d’Aquileja similmenie , temendo dell'onestà sua, per ischivare l'em
pie mani dei barbari Unni fuggi alla sepoltura del marito morto alcuni giorni
prima e quivi si nascose ; ed essendo da quegli empi trovata , non si lasciò mai
quindi nè per lusinghe nè per minacce spiccare , risoluta di perdere piuttosto
la vita che l'onore ; e quei barbari , non potendo torle l'onestà , le tolsero la
vita . SERDONATI.

BIANCA DE ' ROSSI .


Versi di LEGOUVÈ, nel poema Il merito delle donne, tradotto da G. Bettoni.
Bianca è più grande ancor. Bassano s'ange
Con assedio crudel. La spoglia muta
Dell'ucciso consorte ella ognor piange ,
Ed ogni di sul mausoleo tributa
340 LUCREZIA MAZZANTI

Affrontare la morte e , vedutala così brutta e lurida , ghermirla


tultavia perchè non vi scappi , e stringersi a lei novamente due e
tre volte è eroismo di cui ben pochi uomini diedero prova ; ma ne
fu capace la toscana Lucrezia Mazzanti. Ricordano gli storici (1) che
nel 1528 , presa ella dai soldati dell' Orange e vedendosi prossima
vittima della loro licenza , senza far mostra di paura seguilli , ma
quando fu sopra il ponte dell'Ancisa si gettò di tratto a capo fitio
nell'Arno, e quante volte dall'acqua era respinta in su a galla tanto
ella , mettendosi la mano al capo, s'attuffa va giù nel fondo (2).
Allo sposo il dolor, nè fia che cange
Con altri l'amor suo, Cade e saluta
Bassano il vincitore ; ei fier s'aranza
Sin dove Bianca afflitta ha la sua stanza .
La rimira Ezzelin , l'ama, l'adora ;
9

E il vincitor da sua bellade è vinto :


Cade vile a'suvi piè , prega ed implora
Un più dolce trionfo, e vien respinto ;
Freme il tiranno e la minaccia. Allora
Bianca , guardando dello sposo estinto
La tomba in pria com'uom che non paventi ,
Piorompe in questi memorandi accenti :
.6Ferma , non insultar un cener sacro
A questo cor. Ohimè! quivi riposa
Quell'uom al quale lulli i dì consacro
Il tributo del pianto io che fui sposa.
Lascia ch'io abbracci il freddo simulacro
Senza alcun testimon : indi ritrosa
Bianca più non sarà pe' yoti turi ,
E di me disporrai come tu vuoi » ,
Cede Ezzelin di bella donna al pianto,
Rispettando il dolor : anzi la pietra
Ei medesmo fa smovere , ed intanto
Inosservato e tacito s'arresta.
Poich'ella il vide retrocesso alquanto,
Alza al cielo i be’rai , perdono impetra :
Quindi nell'urna celere si spinge
E il cadavere freddo al sen si stringe.
Coll'una mano tenta sulla tomba
D'altrar la pietra, mentre l'allra abbraccia
L'estinta salma. Oh Diol ecco già piomba
il sasso , che la stritola e la schiaccia .
Un cupo suono lugubre rimbomba,
Che penetra nel core e il sangue agghiaccia
Bianca l'onor salvo, Bianca non vive :
Cosi virtude e fedeltà prescrive.

( 1 ) Varchi, Repetti ed altri .


(2) Secondo il Varchi, « s'arrovesciò la veste in capo e cosi coperla e invi .
luppala si gittò nel fiume e annegò » . Ad ogni costo voleva dunque la morte ,
se togliendosi di poter fare alcun movimento che la salvasse , consegnavasi
in potere di quella.
Alcudi storici affermano che la Mazzanti fosse maritala ; il Serdonati dice
invece ch'ella era una bella fanciulletta e che, accostatasi - destramento alla
BELISANDRA MERAVIGLIA 341
Belisandra Meraviglia è una giovane colta e leggiadra che da poco
tempo forma la felicità di Pietro Albino, gran cancelliere del regno
di Cipro per la Repubblica veneta. In quella lontana isola deliziosa
egii tragge seco la diletta sposa , ed ambedue per la bontà de' co
stumi e per la soavità dei modi son cari a quegli abitanti. A Ni
cosia, capitale dell'isola, han posto sede , là, dove il leone di san
Marco concentrò le sue forze, non per tener bassi i cittadini, ma per
avere il suo arsepale , la sua piazza .di guerra contro i Turchi . I
Cipriotti amano Venezia come una seconda patria , perchè , anche
comandando fuori di casa sua, essa ha l'arte o l'istinto di farsi non
solamente rispettare, ma anche amare. Del resto, che potrebbero spe
rare dalla mezzaluna ? Ma i Turchi hanno giurato di ripigliar a qua
lunque costo quell'isola, e, raccolta grossissima oste, preceduti dagli
incendi e dalle stragi, scorrono di luogo in luogo fin sotto le mura
di Nicosia. Cittadini e Veneziani resistono , forte e lungamente re
sistono; decimati dalla fame, dal ferro e dal fuoco, non si contano
mai, combattono sempre. Vinceranno ? Si, se la sorte delle armi non
dipendesse che - dal valore , anzichè dalla forza e dal numero. En
trati gli Ottomani vedono dappertutto cadaveri e rovine ; ma il mi
serando aspetto di que' luoghi, se gli spinge a meraviglia del valore
dei difensori, non gl’induce peró a pietà verso i pochi superstiti .
Chi non è morto è fatto schiavo ; e le più belle tra le fanciulle prese,
legate e poste sopra una nave, che con altre, onuste di prezioso bot
; tino, faranno vela per Costantinopoli. Sono un presente che Mustafà
manda a Selimo. Belisandra è tra esse ; Belisandra, che , dopo aver
mostrato coraggio più che virile durante l'assedio e nel fiero as
salto della città, ha legate le mani, ma non istretto da paure il cuore .
Sul legno la legano. In compagnia delle altre, rida, folleggi; la bar
barica gazzarra la invita : le giovani prigioniere tripudino : non de
sponda del ponte, si gettò di voglia nel fiume, e , tuttochè fosse dalla forza
dell'acqua mandata a galla, e corressero soldati alle rive per ajutarla, ella ,
schivando ogni loro ajuto, si tufo giuso, volendo piuttosto morire che patire
d'essere da flere genti violala. La cui onestà fu da Benedetto Varchi cele .
brata con un epigramma latino ». Nella nostra lingua l'epigramma dice :
Per conservar la vergine toscana
L'onestà vera, nelle rapid'onde
Precipitarsi elesse e , benchè il fiume
Tre volte al chiaro sol la ritornasse,
Altrettante nell'onde rituffare
Volle l'ardita testa. Che diremo ?
La Romana, privata dell'onore ,
Una volta morì . Ma la Toscana
L'onor conserva e tre volte si muore .
Intorno alla Lucrezia Mazzanti veggasi anche la poesia di Giannina Milli
ne'due volumi stampati dal Le Monnier di Firenze .
312 BELISANDRA MERAVIGLIA
vono forse essere la gioja del sultano ? Quando costui sarà stanco
di fiutar umano sangue si compiacerà di queste rose. Ma nè al riso
nè alle lacrime s' abbandona Belisandra : ella vede l'imminente pe
ricolo che sovrasta a lei ed alle sue compagne ; medita, e studia il
modo di cansarlo. - Ci gitteremo noi nell'acqua ? Ma periremo poi
tutte e senza lamento, e in quel supremo istante nessuna si pentirà
del generoso sacrifizio ? Questa non è via sicura di schifare l'aremme,
e poi il forte che cade , se può , deve mirar a schiacciare sotto di
sè col proprio peso colui che l'opprime. E noi lo possiamo. -
La gazzarra cessa, sopravviene la notte, e quando tutto è silenzio
nella nave, una giovinetta ginocchioni sulla tolda prega , guar
dando al cielo tempestato di stelle. Breve il suo pregare ; come ispi
rata s'alza, rapida discende la scala che mette nell'interno del le
gno. Pochi istanti passano, e là dove era il legno par che un igni
vomo vulcano improvvisamente sia sottentrato. Belisandra Meravi
glia, giovane veneziana , ha dato l'esempio a Pietro Micca : posta
mano a una miccia , e recatasi coraggiosamente al luogo delle pol
veri da guerra, ella vi ha posto il fuoco (1 ) !
Le giovinette che finora ci tennero dietro in questa rassegna delle
donne illustri per onestà , alcuna delle quali non dubitarono di far
getto anche della vita pur di avere salvo l'onore , potranno forse
richiederci perchè fra le citate orrevolmente non brilli nessuna fan
ciulla. Noi potremmo rispondere che pur taluna ce n'è, poichè que
sto vocabolo fanciulla , ha senso piuttosto lato e, sia detta la ve
rità, per cortesia dell'uomo esprime non solo colei che non ha
varcati i dodici o quindici anni , ma anche la giovane , siasi pure
vedova o maritata. Fareste strillare i poeti se osaste richiederli della
fede di battesimo delle loro fanciulle ! Tra le giovani maritate ab
biamo già la Bianca de' Rossi, che era andata sposa in assai fresca
età . Infelice! il primo anno del suo matrimonio fu pure quello del
( 1 ) - Belisandra Meraviglia (nel dialetto veneto Maraveggia), moglie di Pie
tro Albino , gran cancelliere del regno di Cipro , quando da'Turchi fu presa
Nicosia , fatta prigioniera con molte altre donne , temendo non in mano dei
barbari dovesse venir posta a cimento la religione e l'onestà loro, una notte ,
prima che le navi partissero per Costantinopoli , diede fuoco al luogo delle
munizioni ed arse non solo la nave ov'ella era, tutte le genti e sè medesima
ancora , ma fu motivo che il fuoco s'appigliasse ad altri due vicini legni , e
che tutti perissero i prigionieri ivi raccolti " . (Cicogna, Iscrizioni veneziane ).
. In tempi posteriori ad Anna Erizzo si rese notabile il coraggio di un'altra
donzella veneziana, Belisan ,Ira Maravegia, la quale , fatta prigioniera de ' Tur.
chi , incendió la nave dov'era tenuta cattiva, morendo colle compagne prima
che fossero vendute come bestie al mercato . ( A. Sagredo, Storia civile
e politica, nell'opera Venezia e le sue lagune ) . L'egregia signora Erminia
Fuà- Fusinato, gentile poetessa , pubblicava in Venezia un bel canto su questo
argomento, che venne inserito in una bella strenna del 1865 che appunto tratta
delle illustri donne venete.
DOGNA EGELDRUDA 343
suo martirio (1). Giovane pure era la Belisandra Meraviglia. Ma noi
vogliamo più ampiamente compiacere alle nostre buone lettrici , e
soddisfar meglio alle esigenze del titolo di questo libro. Onde , la
sciando a malincuore di fare speciale menzione anche della Lucrezia
degli Orologi, eroina degnissima , per la sua forte castità , del monu
mento che le fu eretto in Padova (2), verremo a quelle che propria
mente si ponno chiamare fanciulle ; fanciulle perchè in verde età ,
fanciulle perchè non maritate . Non abbiate paura , o ragazze, di es
sere costrette a portare gli orecchini e le maniglie delle nonne o
delle madri : la virtù è una ricca signora che ha vezzi ed ornamenti
per tutte le età.
Al nome di Attila e de' suoi barbari Unni chi non raccapriccia ?
Costui, piombato con grossa oste sopra Aquileja, non l'ebbe in suo
potere che dopo lunga lotta ; della quale resistenza indignato, la diè
in preda alla crudeltà ed alla licenza de' suoi soldati. Bellissima e
ricca donzella era Dogna ; per essa passava come un lieto e conti
nuo sorriso la vita, e, blandendo quei feroci, forse avrebbe potuto
serbarsi lungamente alle gioje della sua verde età e alle delizie della
ricchezza: ma non volle e , piuttosto che appannare anche legger
mente il candore della sua anima innocente, decise morire. Vedete
quest'angelo di purità sul terrazzo di un'alta torre ; sotto , da una
parte, stanno i neri demoni della lussuria che sozzamente la invitano
a sè ; dall'altra, il fiume Natisa , che roco mormora anch'esso .... ma
inviti di morte. Bell'angelo , dagli occhi infiammati, a cui badi ? Dogna,
coprendosi il capo, si getta arditamente nel fiume e v'annega ( 3 ).
Tu pure sei degna, o Egeldruda, vergine fiorentina, d'insegnare
alle giovani quella santa fierezza che debbe mostrarsi armata a cu.
stodia degli onesti costumi . Trovavasi costei il giorno di san Gio
3 vanni nel tempio dedicato a questo santo, ove molte donne stavano
radunate e molto popolo, essendo quella solennità grande e princi
pale. L'imperatore Ottone IV, ch'era allora in Firenze , v'assisteva
pure in luogo alto, sotto ornato baldacchino ; ma, più che alla sacra
funzione ed al maggior altare, e' volgeva gli occhi intorno a consi
derare la magnificenza del tempio, la frequenza dei fedéli e la rara
(1 ) Domenichi.
(2) - Lucrezia degli Orologi, padovana, moglie del marchese Obizzo, fu la
vera Lucrezia del secolo XVII . Mentre suo marito era assente , un gentiluomo
di Padova, di lei invaghito, entrò all'improvviso nella camera dov'ella tro
vavasi con un suo figliuolo di cinque anni , e, trasportato il bambino in una
camera vicina, cercò per ogni modo di piegare la marchesa al suo amore.
Veduto inutile ogni tentativo, ogni minaccia, accecato dal ' furore, la trafisse a
colpi di pugnale . L'assassino subi quindici anni di prigione, ed appena uscito
fu dal giovine marchese degli Obizzi ucciso con un colpo di pistola. La città
di Padova eresse alla memoria di quella donna incomparabile una statua che
anche al presente si vede. » Le donne illustri, Milano, Ubicini, 1827.
(3) Leandro Alberti e Serdonati.
344 EGELDRUDA

beltà delle donne. A un tratto i vaghi suoi sguardi s' arrestano so


pra una fanciulla ; s' umanizza il suo volto irradiato dalla bellezza
di lei, bellezza che meglio spicca per la schietta semplicità dell'ac
conciatura e del vestire e per la non affettata modestia del conte
gno. Il principe guarda e riguarda la fanciulla ; ma ella , tutta in
>

tenta alle preghiere, non se ne accorge. Terminato il sacro rito, Ot


tone scende dal trono ; e tutti sorgono in piedi : ma egli rivolge an
cora di tratto in tratto gli occhi alla donzella e, nell' uscire, a bello
studio s'avvicina al luogo ov ' ella si sta tutta ancora raccolta, pre
gante e cogli occhi bassi . Ilizione, della famiglia de' Ravignani, ch'è
uomo di grande autorità in Firenze , con altri signori e cortigiani
gli tiene dietro. Egli ha notato quel continuo saettio degli sguardi
imperiali sopra la fanciulla, e par non gliene incresca, anzi ne goda
in suo cuore. Lasciati i suoi Tedeschi da una parte , l'imperatore ,
che sa Ilizione essere fiorentino e suppone perciò possa conoscere
Ja donzella , a lui s'accosta e chiede : Sai tu chi sia quella giovi
netta che testè sempre cogli occhi bassi , era dinanzi a noi ? A
cui Ilizione : - Serenissimo imperatore, qualunque ella sia, credo non
oserebbe negarti un bacio se io gliene facessi comando e tu il de
siderassi. – A tanto pretendeva giungere l'autorità paterna per ser
vire agli stolti capricci d'un potente straniero ! perchè colui era il
padre d'Egeldruda. Udillo la fanciulla , e prima guardò come traso
goata fiso Ilizione, poi, abbassati gli sguardi, e fatta tutta rossa in
viso, con addolorata ma ferma voce disse: Oh ! non andar più oltre
con tali parole inconsiderate, o padre ; chè altra opinione debbi pur
avere della fermezza e del pudor verginale della tua figliuola : im
perocchè, se libera e senza violenza altrui, non ciò che tu così leg
germente prometti io concederei a chi non mi fosse sposo, ma nep
pure una dolce parola . Stupi Cesare , e, dice il Boccaccio , « non
togliendogli il vedere l' essere barbaro nè tedesco » , giudico dalle pa
role l' animo santo e il casto proposito della donzella » . E , poi
chè dinanzi a tanto popolo gli conveniva far di necessità virtù
lodò l'indignazione e le parole della vergine. Ma non fece amaro
rimprovero ad Ilizione nè lo cacciò della sua presenza come do
veva ; temendo forse di non fare intorno a sè il vuoto , se in ser
vigio della virtù si fosse mostrato troppo severo col vizio. Inoltre ,
fatto chiamare certo Guidone, giovane e nobile, gliela diede per mo
glie. « Così ‫ »ܕ‬, ripiglia il Boccaccio , « quella fanciulla entrata ver
gine nel tempio , per la integrità dell'onestà tornò con sorma al
legrezza del genitore e de' suoi sposata in casa del padre (1 ) » .
( 1) Il fatto è del secolo XII , nella prima metà . Secondo il Domenichi , ella
si chiamava Gualdrada Berta, e dal suo matrimonio discese quella gran, fa
miglia che si domando dei conti Guidi .
LE EROINE DELLA CASTITÀ 343
Quando la storia del popolo , la sola veramente necessaria , sarà
fatta con quella premurosa cura. con cui vennero finora dettate le
storie dei principi chè con altro nome non si possono chiamare
le farragini più o meno elaborate di racconti e di descrizioni , di
amori, di battaglie, di paci, di successioni, di permutazioni di ter
ritori, di trattati e d'altre finzioni o scelleratezze diplomatiche ,
non avverrà che l'uomo, leggendo di qualche grande e straordinaria
azione ed ammirandola, abbia poi a deplorare di non conoscere chi
l'ha compiuta. È questa una giustizia che si deve alla virtù ed una
delle condizioni perchè la storia sia utile. Quella famiglia , da cui
usciva l'eroe o l'eroina d'un gran fatto, ora si dibatte forse tra le
spire della miseria ed è li li per cadere vinta e cedere al vizio ; un
nome, un gran nome da conservare illibato, da tramandare coll’au
reola della gloria alla posterità, la ratterrebbe forse dal precipizio :
ma quel nome è ignorato, onde l'oblio che nasconde la vecchia glo
ria può ben coprire anche la recente vergogna. La storia non è al
gebra e non s' acconcia, com'essa, agli X ed ai K, ma ha bisogno
di nomi di persone realmente esistite. Imperocchè un fatto anonimo
non par quasi vero, o almeno perde la massima parte del suo pre
stigio. Senza che, il volgo ragionerà male , ma col suo grossolano
giudizio parla così : « Oh date, date pure in servigio della virtù an
che la vita , se occorre, chè ne avrete un bel merito ! Chi vive con
voi, chi vivrà dopo voi ed avrà forse per voi migliorata la propria
esistenza, non si curerà neanco di conservare il vostro nome ! » . A
paragone di tale dimenticanza fu gran ricompensa il tozzo di pane
dato alla famiglia di Pietro Micca in mercede del generoso sacri
fizio che egli avea fatto di sè medesimo ; perchè la rimunerazione
vera, la provvisione vera che ebbero i suoi figliuoli e tutta la sua
discendenza fu nel nome incancellabile e imperituro di lui.
Ben più degno dei nomi della Lucrezia d'Alagna (1) o della Fran
( 1 ) Costei per vanità e per ambizione di comando si compiacque di perse
verare nel quotidiano pericolo che la sua virtù ricevesse nocumento . Viveva
nel secolo decimoquinto . Così di lei il Sismondi : . L'ultima amata da Alfonso
d'Aragona , re di Napoli , fu Lucrezia d'Alagna , figlia di un gentiluomo na
politano. Pio II, di già papa, quando scriveva i suoi commentari , li vide in
sieme e si senti commosso dal loro amore e dalla loro virtù . Stava, dic'egli ,
60

a Torre del Greco, Lucrezia , donna o piuttosto vergine gentilissima, nata di


nobili ma poveri parenti napolitani . Ainolla il re perdutamente a tale da sem
brare fuori di sè alla presenza di lei . Altro egli non vedeva , altro non udiva
che Lucrezia ; i suoi occhi stavano sempre fissi in lei ; ne lodava le parole ,
ne ammirava la saviezza ed applaudiya a tutto quanto ella faceva . Soleva
colmarla di doni , e voleva che venisse onorata come una regina ; e lalmente
da lei dipendeya che piano potesse ottener udienza senza assenso di l - i ....
Pure, se dobbiam presiar fede alla pubblica voce , essa si mantenne sempre
pura . Si assicura aver ella detto più volte che avrebbe saputo prevenire la
propria vergogna colla morte , invece di punirsi troppo tardi come l'antica
346 UNA GIOVINETTA ROMANA

cesca Bentivoglio (1 ), per non citar che questi due, era quello di una
giovinetta morta difendendo il suo onore nelle grotte di San Seha
stiano in Roma, la quale, non col proprio nome, ma con quello ge
nerico di giovane o donzella romana è menzionata dal Castiglioni.
Quelle , perchè gran signore , vennero celebrate co' loro nomi da
gravi storici , e, perchè gran signore , fu anzi esagerata la loro
virtù, se tale anche può dirsi ; laddove questa, perchè popolana, seb
bene veramente virtuosa, anzi vera eroina dalla virtù , dovette ac
contentarsi anonima degli elogi d' un precettore di cortigiani (2).
Defraudata della gloria d'un nome immortale fu pure quella con
tadinella di Gazzuolo mantovano, di cui parla il medesimo Casti
glioni . Essendo costei andata con sua sorella a raccörre spiche ne®
campi, spinta dalla sete, entrò in una casa per ber dell' acqua, dove
il padrone del luogo, giovane libertino, vedendola assai bella e sola,
prima usò le buone parole, poi le minacce, e da ultimo la violenza.
Lucrezia . Alfonso aveva per assai tempo sperato di sposare Lucrezia d'Alagna
ed aveva perciò domandato a Calisto III un breve che gli desse facoltà di
far divorzio da Maria di Castiglia, a cagione della sterilità di lei ; ma il papa,
benchè fosse stato primo ambasciatore di Alfonso, ajo di Ferdinando, suo figlio
e suo confidente, mai non volle concedere al re quella domanda » .
( 1 ) Dice il Domenichi che fu senza dubbio animoso studio di pudicizia
quello che a'tempi di lui usò Francesca Bentivoglio , la quale, avendo saputo
che Galeotto Manfredi prima di sposarla aveva contratto un altro matrimonio
e glielo teneva occulto , per disperazione del suo onore offeso, mandò in ca
mera al marito due sicari perchè lo uccidessero, e , vedendo ch'egli si difen
deva con gran forza , armatosi di acuto pugaale con animo piuttosto virile
che donnesco s'aggiunse terza agli assassini e lo uccise.
( 2) Baldassare Castiglioni, che scrisse il libro del Cortigiano , nacque nel
66
1478 e mori nel 1529. · A' miei di ancora in Roma, " egli dice , intervenne un
simil caso : e fu che una bella e nobil giovane romana, essendo lungamente
seguitata da uno che molto mostrava amarla , non volle mai, non che d'altro,
ma d’uno sguardo solo compiacergli; di modo che costui per forza di denaro
corruppe una sua fante : la quale .... la condusse in una di quelle oscure groue
M

che sogliono visitar quasi tutti quei che vanno a San Sebastiano ; e in questa
lacitamente s'era nascosto prima il giovane ; il quale, ritrovandosi solo con
quella che amava tanto, cominciò con tutti i modi a pregarla più dolcemente
che seppe che volesse avergli compassione e mutar la sua passata durezza
in amore ; ma , poi che vide tulli i preghi esser vani , si volse alle minacce.
Non giovando ancora queste , cominciò a batterla fieramente ; ma non potè
tanto fare ch'essa consentisse ; anzi e con parole e con falti , benchè poche
forze avesse , la meschina giovane si difendeva , quanto le era possibile , di
modo che tra per lo sdegno conceputo , tra per la paura che non forse i pa
renti di lei , se risapevano la cosa , ne gli facessero portar la pena , questo
scellerato, ajutato dalla fante, la qual del medesimo dubitava, affogo la mal
avventurata giovane e quivi la lasciò . La fante, dall'error suo medesimo ac
cecata , non seppe fuggire; e , presa per alcuni indizi , confessò ogni cosa ;
onde ne fu, come meritava, castigata . Il corpo della costante e nobil donna
con grandissimo onore fa levato di quella grotta e portato alla sepoltura in
Roma con una corona in testa di lauro , accompagnata da un numero infinito
d'uomini e di donne . Tra' quali non fu alcuno che a casa riportasse gli occhi
senza lacrime : e cosi universalmente da tutto il popolo fu quella cara anima
non men pianta che laudata ..
UNA CONTADINELLA DI CAZZUOLO 347
«
« Ella, scapigliata e piangendo , » dice il Castiglioni, « ritornò nel
campo alla sorella, nè mai, per molto ch'ella le facesse istanza, dir
volle che dispiacere avesse ricevuto in quella casa ; ma tuttavia cam
minando verso l'albergo e mostrando di racchetarsi a poco a poco
e parlar senza perturbazione alcuna , le diede certe commissioni:
>

poi, giunta che fu sopra Oglio, ch'è il fiume che passa accanto Gaz.
zuolo, allontanatasi un poco dalla sorella, la qual non sapea nè im
maginava ciò ch'ella si volesse fare , subito vi si gittò dentro. La
sorella dolente e piangendo l'andava secondando, quanto più poteva ,
lungo la riva del fiume, che assai velocemente la portava all'ingiù ;
ed ogni volta che la meschina risorgeva sopra l'acqua, la sorella
le gittava una corda che seco avea recata per legar le spiche e, ben
chè la corda più d'una volta le pervenisse alle mani , perchè era
pur vicina alla ripa, la costaute deliberata fanciulla sempre la ri
fiutava e dilungava da sè : e così, fuggendo ogni soccorso che darle
poteva vita, in poco spazio ebbe la morte ( 1 ) » .
Nè la storia fu più giusta con quelle donzelle capuane ricordate
dal Sabellico, da Leandro Alberti e dal Serdonati come martiri vo
lontarie della propria virtù. In seguito ai perfidi accordi tra Luigi XII
re di Francia e Ferdinando il Cattolico di Spagna , truppe francesi
assalirono ed invasero nel 1301 il regno di Napoli, mentre gli Spa
gnuoli facevano le viste di difenderlo. Capua, non osando resistere,
nè potendo contro le armi da una parte e contro il tradimento dal
l'altra, aperse le porte agli invasori, sperando per tal modo di an
dar immune dal furore della soldatesca. Ma, entrati i soldati in città
senza aver riguardo alcuno all' amorevolezza degli abitanti, si fecero
lecito ogni libito e s'abbandonarono al saccheggio, agli incendi ed
alle uccisioni. Visto in pericolo il loro onore, alquante nobili donzelle
insieme si raccolsero e, ritrattesi alle mura della città verso il fiume
Volturno, si consigliarono insieme di quello che in tanto caso do
vessero fare. Giudicavano immenso male e superiore a qualsivoglia
altro, quello di perdere il tesoro del loro onore, ma quale il rimedio ,
quale la via di scampo ? Come e dove fuggire, se que' ribaldi dentro
e fuori della città scorazzavano spargendo dappertutto la desolazione
ed il vitupero ? Breve momento stettero perplesse, silenziose ; quando
una voce si fe' udire alta, sonora, di mezzo ad esse. « E non c'è il
fiume? » disse. Non fu posto il partito , non si richiese il voto di
ciascuna ; e non l'una dopo l'altra, non le une vinte dall'esempio
delle altre, ma tutte insieme si gittarono nel fiume.
La verità, la verità l ecco lo scopo della critica , degno scopo ia
( 1 ) Anche questo fatto è dei tempi del Castiglioni, poichè egli scrive : Non
molli mesi fa .
318 MARIA PÉDENA
vero ! ma ella per la verità non bada se gl'idoli che distrugge sono
quelli della virtù. Ma i personaggi che voi scancellate dalla storia
v'erano furse stati per sè stessi e perchè noi sapessimo che anche
essi furono di passaggio in questo mondo ? Che c'importava ciò ? E
che c'importerebbe se si fosse tenuta nota dei frutti caduti da un
albero dacchè fu piantato ? Quei personaggi erano nella storia per
chè servissero di lezione e d'esempio altrui. Noi non neghiamo i
suoi diritti alla critica ; solo prendiamo nota de' suoi effetti. Ed alla
critica dobbiamo se la bella figura di Anna Erizzo fu sbandita dai
regni della storia e condannata a vagare senza lume di sole nei
campi immaginari della tradizione (1) .
Ma non sono mito, viva Diol o simbolo di forte e pugnace pudicizia
nè la Piccarda Donati, nè la Maria Pédena, ne tante altre che ser
barono e difesero , anche a costo della loro vita , il fiore purissimo
dell'innocenza. Seppelliscasi pure nell'oblio questa o quella fra le
grandi figure , ed altre siano pure abbattute dalla critica ; ma elle
sono tante e tante che il mondo morale ne rimarrà sempre popo
latissimo. I simulacri della virtù, che sorgono sparsi qua e colà, non
permetteranno al vizio di percorrere senza impedimento , dal prin
cipio alla fine, la sua carriera, senza dover piegare quando a destra
quando a sinistra per non dar del capo , a così dire , in qualcuno
che lo rimproveri e svergogni delle sue ribalderie.
Maria Pédena ! Eccovi una santa giovinetta trilustre , di cui con
pia riverenza si ricordano ancora i nostri padri . Del suo caso infe

( 1 ) Secondo la tradizione, fu figliuola dell'invitto Paolo Erizzo , bailo per


la repubblica veneta in Negroponte ( a . 1470). I Turchi , guidati da Maometto II ,
assallarono con poderosissime forze quell'isola . - Le piazze , le vie , irte di
barricate, videro miracoli di eroismo e di sublime carità di patria . I Turchi
non ipoliravano che calpestando mucchi di cadaveri di entrambe le nazioni .
Molte donne pugnavano al fianco dei loro mariti e dei loro fratelli ; altre lan .
ciavano dai terrazzi tegole e calce o versavano olio ed acqua bollente . Con .
Irastata la vittoria a palmo a palaio, costava agl'infedeli più che quaranta
mila vittime. Anche Paolo E'izzo , che dopo la presa di Negroponte, s'era
chiuso in un castello per far le ultime difese , fu costretto a capitolare, pro
messagli da Maometto salva la testa . Ma non ebbe salvo il corpo , che gli fu
segato a mezzo . Restava la povera fanciulla Anna, orfana , in balia dei bar.
bari, Maometto s'invaghi di lei , la volle sua ad ogni modo , dicesi le pro
mellesse persino la mano di sposo. Ma ella gli resistè sempre ; non la pie .
garono nè le sedussero nè le promesse , né le terribili minacce accompagnate
sovente dai supplizi de ' propri concittadini . In luogo di parlargli amore, Anna
lo rimproverava della sua ferocia, della mancata fede verso l'infelice Paolo
di lei padre, e scherniva la sua potenza , che fra non molto , diceva ella, sa
rebbe stata fiac.ata dalle armi della Repubblica e della Cristianità. Vedendosi
disprezzato, Maometto montò in furore e , sultano - carnefice , con un colpo di
scimitarra le tronco la testa . · L'egregia signora duchessa Felicita di Be
vilacqua La Masa descrisse questo fatto in suo bel racconto inserito nella
Strenna vereta pel 1865 .
MARIA PÉDENA 349
lice fu già piena tutta Italia , tutta Italia , che ne ammirò l'eroica
virtù e deplorò il tragico fine ( 1 ).
Modena diè nel 1812 i natali a questa cara vergine. Educata Ma
ria da buoni e onesti parenti, ebbe pregi non solo di corpo ma an
che d'animo veramente ammirabili . Ella innamorava altrui colle
belle fattezze, coi vaghi occhi e colle gentili parole: non si poteva
non amarla , e amando bisognava amare la virtù. Ma la vide un
uomo perduto, un infame.... Malagoli, che, incapace per la sua mala
natura di essere ispirato e tratto al bene da quell'angelica bellezza ,
ciò ch'era per gli altri mezzo di salute fece per sè via di danna
zione. L'ape e il calabrone suggono agli stessi fiori, ma con che di
versi effetti !
Deliberato di averla ad ogni costo , e fallitogli ogni altro mezzo,
e'ricorre agl'inganni , ne' quali è maestro. Costretto a condurre in
isposa altra fanciulla da lui sedotta , finge per qualche giorno di non
pensare più a Maria, e fa in maniera che la propria sposa contragga
amicizia con essa. E in ciò è giovato anche dallo abitare l'una e
l'altra lo stesso ceppo di case, di essere come si suol dire porta con
porta. Perciò si scambiano inviti e visite tra l'una giovane e l'al
tra ; e sempre Malagoli si mostra prudente e riguardoso. Se nell'a
nimo della madre di Maria erano in prima nati de' sospetti sul ca
rattere e sulle intenzioni di lui, ora sono affatto scomparsi ; ed ella
non fa che magnificare i buoni effetti del matrimonio ; che suole, in
fatto, trasmutare gli uomini da buoni in migliori ed anche da me
diocri in buoni, ma non da pessimi in ottimi.
È il giorno primo di luglio del 1827. La giovinetta Maria sorse
prima dell'alba. I primi raggi di quel di col profumo de' fiori che
si schiudevano al nuovo mattino portarono al cielo le sue purissime
preci. Ahi doveano essere le ultime ! Ella sta osservando il sole che
nasce e restituisce mano mano i colori , il calore ed il moto alle
cose , che parevano già averli perduti col sopravenir della notte. -
Oh come tutto riacquista la vital come tutto può dormire, perchè
sa di potersi svegliare il domani ! Non è cessazione ma riposo. L'a
nima stessa ha il suo domani, il giorno del suo risvegliamento, della
sua risurrezione, ma non lo ha l'innocenza : una volta perduta , è
notte e prostrazione eterna. O Dio ! conservami ella esclama , CO

desta innocenza, ch'è la mia bellezza, la mia gloria , la mia salute,


la mia vita ; non permettere che le tenebre del vizio possano sover
chiarla. Mentre ella prega , e le sue preghiere tornano accette
lassù, Malagoli è desto, e nella sua camera , non illuminata ancora
(1) A sua lode furono stampate prose e poesie a Lugano, Modena, Venezia
ed altre città.
350 MARIA PÉDENA
da raggio di luce, sta assorto in altri pensieri. .
E mi sarò io le.
gato eternamente a questa catena ? dice tra sè, intendendo della
moglie. — Ecco una monachella ch' io ho rapita al chiostro , a cui
S

ella già col pensiero volava, ed a cui ora volontieri la ridonerei. Che
felicità può aspettare costei che mi fu imposta ? Questi quindici giorni
di matrimonio che sono passati mi pajono quindici anni ; mi par di
essere diventato già vecchio. Come mi dà fastidio questa vita di con
tinua finzione ! Io ipocrital io bacchettone ! io in adorazione davanti
alla moglie ! Sei ben stolta, o donna, se credi e speri ch'io non mi
abbia occhi che per te sola ! » Ma non dimostrare -
gli sugge
riva un cattivo démone, questa indifferenza per lei, anzi ostentale
affetto : se la trascuri , sarà gelosa , e con lei gelosa come andrà il
tuo amore per la Maria ? , Per la Maria ? - pensava Malagoli .
OS -

È buon pensiero questo che mi viene : sì , continuiamo a circondare


di apparenze affettuose lasposa; facciamo queste smorfie, giacchè
è mestieri ; compiacciamola di conviti e sollazzi : ella chiamerà a
parte de' suoi piaceri la Maria, ed a me un momento o l'altro sarà
dato di sorprendere sola costei » ,. - Il suo piano è già stabilito ; ed
oggi stesso darà un desinare per accomiatarsi da' suoi ospiti , do
-

vendo, - egli dice, — questa sera stessa o domattina partire per la


campagna ; la moglie senza dubbio inviterà Maria , e Maria verrà
sola, perchè suo padre per affari urgenti è uscito dalla città, e sua
madre , per aspettarlo e per accudire alle bisogne di casa , intorno
a cui è sempre occupata, non s'accompagnerà alla figliuola. Che one
sto pretesto avrebbe ella di non accordargli per poche ore Maria ?
Andò pur troppo la cosa com'egli avea desiderato .
Durante il pranzo Malagoli sforzavasi di essere vivace ed allegro ;
ma un tetro pensiero, suo malgrado , gli si dipingeva di tratto in
tratto in oscuro carattere sulla fronte ; e allora cessava la sua ver
bosità ; taceva, e le giovani lo riguardavano mute. – Ma che cosa
avete diss'egli ad un tratto, che non siete allegre .... come me ?
Lasciate agli uomini avere de' pensieri , agli uomini che portano il
carico della famiglia ; ma voi, giovani, divertitevi : c'è lo sposo o il
genitore che pensa per voi. Siete nonne prima di essere madri e,
per la signora Pédena, prima ancora di essere mogli ! Senti , sposa
mia ; e' mi viene un pensiero : tuo padre non potrebbe egli procac
ciarci dai signori marchesi Cazzola la solita chiave di palco ? Il di
vertimento sarebbe compiuto ! Non ti pare ? Si dà appunto questa
sera quella rappresentazione che ti piace tanto.... I signori marchesi
Cazzola l'hanno vista tante volte ! Oh adesso vado io da tuo padre ... »
– Non so se lo coglierai in buona luna, – soggiungeva la sposa ;
- già sai che sei stato mezzo perdonato , e che ci vorrà qualche
MARIA PÉDENA 351

anno di penitenza con me -

e lo diceva sorridendo – prima che tu


ritorni come prima nelle sue grazie. Sarà meglio che vada io colla
serva; è presto fatto: egli abita a pochi passi di qua. Mi aspetterai
qui o al teatro ? » Qui , se non tardi molto ; altrimenti io accom
pagno la signora Pédena da sua madre, che è affare di pochi mi
nuti e poi ti raggiungo. Bada di non lasciarmi solo per troppo tempo :
godiamocela tutta questa luna di miele » E l'incauta sposa al
l'esca del divertimento si lasciava cogliere e partiva.
Rimasta sola Maria con Malagoli , come costui ebbe certezza es
sere ben lontana la sposa, si pianto ritto davanti alla fanciulla, e coi
capelli irti e cogli occhi infiammati d'un ardore d'inferno gridò :
- L'una e l'altra siete due stolte ; e tu sei in mia mano finalmente !...
Chi ti salva ora ? La sorpresa e lo spavento resero per un breve
istante muto e scolorato il labbro della fanciulla ; e , non potendo
sofferire lo sguardo di quel mostro, ella abbassò gli occhi, ma poi,
levandoli arditamente in faccia a colui, – Quello – disse – mi sal
verà — additando l'immagine del Redentore Crocefisso che pendeva
da una parete » . Tu hai visto l'imagine che ha voluta quì porre
questa bigotta di mia moglie, rispose egli ; ma non hai ancora
visto quest' armi » ; e in così dire, traeva di sotto al giustacuore
un pugnale e due pistole e li facea balenare a'suoi occhi .
Satana è penetrato in un angolo remoto del paradiso ed ha sor
preso un angelo di cui Dio vuol mettere a prova la forza . Maria ,
angelo dalle belle fattezze e dai gentili costumi , vincerai tu , o ri
marrai soccombente ?
Non v'ha cuor così duro che possa resistere allo spettacolo della
lotta micidiale del feroce lupo coll' innocente agnella. Da quelle
zanne e da quei denti che si può aspettar altro che morte ? Ogni
animo gentile si rivolterebbe se ci facessimo a descrivere questo
atroce conflitto tra un vil uomo armato ed un'innocente yerginella
inerme. Il paradiso già si spalanca per lei ; le sante vergini con in
mano gigli candidissimi escono ad incontrarla. Ma il ladro che avea
allungato la mano per rubare la lampada dell'altare di Dio, la vide
scossa non ispegnersi, e farsi maggiore la fiamma, e in fiamma tutta
convertirsi, e nel suo liquefarsi e distruggersi cadergli addosso e
abbruciarlo. Due corpi giacciono distesi a terra : il cadavere della
santa vergine Maria Pédena, tutta lacerata e trafitta, ma che ha vinto
e ha serbato incolume la sua verginità ; e il corpo dell'infame Eu
leterio Malagoli, che per rabbia di avere sprecato inganni e forza
e di essere stato debole anche colle armi in pugno, ha inveito con
tro sè stesso, e per evitare la pubblica infamia ha rivolto contro di
sè quelle armi . Al vile però è mancato il coraggio di replicare con .
tro di sè i colpi; giace pericolosamente ferito , non morto.
352 MARIA PÉDENA
Ma gloria, perpetua gloria alla Pédena, infamia, perpetua infamia
al Malagoli !
Tutta la città di Modena si commuove all'annunzio dell'orribile
fatto ; tutti ammirano e celebrano la virtù della santa donzella, tutti
imprecano all'assassino.
Ai 3 di luglio , due giorni dopo, la città è coperta di gramaglia ;
non v'ha pompa funebre (1) che possa pareggiarsi per sontuosità di
arredi, per frequenza di popolo e per lagrime vere con queste ese
quie spontanee che vengono coll'obolo del popolo fatte in onore della
popolana donzella Maria Pédena. Ogni ordine di persone ed ogni
età vuol essere rappresentata. Lunga schiera di giovinette segue il
feretro, spargendo fiori e inneggiando all'eroina (2).
( 1 ) Il padre Antonio Cesari nella sua poesia intitolata Il funerale di Maria
Ledena :

Tingea la notte il ciel del suo colore ,


Quando il corteggio funebre si mosse
Di mille faci al tremulo splendore.
In ricca coltre e rense all'avra mosse
Venia levata la bella eroina ;
La prima vista quai lagrime scosse ! -
Candida in veste come neve alpina
Avea di rose una corona in testa
E bocca in atto al suo dormir vicina .
Fea croce delle mani , a cui s'innesta ,
Posalo al petto (oh segno al vivo espresso ! )
Un giglio, tremulando con la testa.
Avea di verginelle uno stuol messo
Le spalle , invidiando, al casto letto ,
Quel dolce carco tramutando spesso :
Delle quali altre , a gran numero , sirelio
Teneano un torchio rilucente in mano,
Con dimessi occhi e verecondo aspetto.
(2) Il padre Antonio Cesari , I. c.:
Ma quando furo a por quest'angioletta ,
In sen di quella madre onde più bello
Ella suo fral di rivestir s'aspetta,
Di fanciulli e di vergini un drappello,
Inionär quinci e quindi inno di gioja ;
Se tacea questo a lui rispondea quello :
Riposa , o luculenta e cara gioja
Di castitade ; e al tuo dolce dormire
Belva nè passegger non faccia noja.
A questo nido tu vedrai venire ,
Sebben pover , le caste anime e pie ,
Ad onorar col pianto il luo martire.
Ma forse avrai (nè si lontano è ' l die
Del valor luo più degno un monumento
Che altesti il ver dell'altrui rime e mie .
MARIA PÉDENA 353
Ed ai 18 di luglio, diciassette giorni dopo, la città medesima smette
per brev'ora d'occuparsi delle proprie faccende per accertarsi coi
propri occhi se fu fatta giustizia. La morte aveva nel carcere gher
mito l'assassino e slanciatolo nell'eternità ai piè del giudice supremo
perchè lo rotolassero giù nell'abisso. Ma giustizia fu fatta anche
quaggiù : il corpo di Malagoli aveva evitato il patibolo, ma non lo
evitò la sua anima. Ecco dalla forca pende sfregiata ed insultata
un'iscrizione col suo nome ; e la scuote il vento , che ha schifo di
trovarlo nel suo cammino (1).
Rispondea l'altro : Or quale è il tuo contento ,
Anima eletta ! e come or tu ringrazi
Il ferro che lua yita al mondo ha spento !
Qual corona di lacidi topazi
Torna le tempie, anzi di raggi eterni !
Quant'è la pura gioja onde ti sazi !
Mirando esta tua spoglia , in cui lu scerni
Di tua vittoria il testimon verace ,
Le arridi , e ' l tuo trionfo sempiterni .
E l'allro : 0 salma invitta , in quella pace
Ove l'anima tua beata or gode,
Già della tua conquista non si lace ;
Ma on eterno osannar per tutti s'ode
Que’nove cori , dalle laudi tue
Traendo a Dio cagion d'eterna lode.
Nè già per sempre oscura stara'tue
Nella tua tomba : altra vita l'attende
Con la sorella , ch'a te , stretta fue,
Ella verrà per te ; vedila : scende ,
E, teco al primo nodo ricongiunta ,
Con te divide il lume ond' ella splende.
Dalla cui gloria to, gran parte emunta ,
Raggerai lulta, come crisial suole
Per fiamma ch'egli fascia a lui congiunta.
Ma come ogni virtù di mie parole ,
Così ogni altra virtù che l'uom più smaga ,
Fia che sorvanzi , simile ad un sole,
Quella onde l’alma uscì fulgida piaga.
( 1 ) Parecchi ritratti di Maria Pédena furono pubblicati , e trovansi nella
maggior parte degli opuscoli stampali nel 1827 in Venezia e Modena . Vedi in
fine a questo capitolo i titoli delle opere da noi consultate.
Nell'ex-ducato di Modena e Reggio il 13 luglio 1537 era avvenuto altro
falto tutto simile nell'atrocità a questo . Fu allora Anna Becchesini , d’anni 16,
in vicinanza di Reggio, che per difendere la sua purità lasciò la vita sotto
il pugnale d'un barbaro zio . Della quale illustre vergine fu stampato in Reg.
gio dai Torreggiani una memoria storica .
Fra i martiri della rivoluzione milanese del 1848 furono anche delle don
zelle, per aver voluto resistere alla sfrenatezza de'soldati austriaci . Leggiamo
nelle memorie edite dal Visconti.Venosta , sotto la data del gennajo di quel
l'anno : - Nella via dell'Orso Olmetto due soldati inseguivano un onesto cit
tadino : questi fuggi entro in una casa , oltrepassò la dimora della portinaja
BERLAN. Le fanciulle celebri. 23
357 PICCARDA DONATI

PICCARDA DONATI ( 1 ).

Io fui nel mondo vergine sorella :


E , se la mente tua ben si riguarda ,
Non mi ti celerà l'esser più bella ;
e sali la prima scala che gli si offri. I due persecatori fecero per inoltrarvisi
anch'essi ; la portinaja s'oppose all'invasione e chiuse in pari tempo l'uscio
che metteva nel cortile. Apri, Taliana , gridarono que' feroci: ma quello si
tenne saldo . Di repente essi si arrestano a guardarla con disonesto sogghi
gno . Era una bella giovinetta di 18 anni . I malandrini vollero bruttarle la
faccia con baci puzzolenti di fumo e d'acquavile ; ma perciocchè ella oppo
neva loro viva difesa , l'arrestarono e via la trascinarono come ribellata alla
legge . Di quella sventurata non si seppe più notizia : la derelilla madre era
corsa dal parroco, il parroco alla polizia : un Che vuole ? furono tutte le sod
disfazioni che quella madre potè avere ».

Autori consultati : Alberti Leandro , Alighieri, Bandettini-Landucci , Boc


caccio , Calmet, Castiglioni Baldassare. Cenni storici sulla vita di Maria Pė
dena. Venezia , librajo al ponte di san Moisè , 1827. Cesari , Cicogna , Cio
nacci. Circostanziata istorica narrazione dell'orribile omicidio nella
persona della donzella Maria Pėdena, ecc. Venezia ,, Rizzi , 1827. Compo
nimenti poetici in lode di Maria Pėdena . Modena , G. Vincenti , 1827 e Vene
9

zia , lip . d'Alvisopoli , 1827 . Domenichi Egnazio , Franceschi - Ferrucci C. ,


Fulgoso , Gamba B. La donzella modenese Maria Pėdena , ecc. Venezia ,
Molinari , 1827 . Legouvè , Levati , Milli G. , Montanelli , Muzzi, Peruzzini ,
9

Pe:rarca, Pietrucci . Poesie ed epigrafi di dotti italiani all'invitia onestà di


Maria Pėdena . Lugano, Veladini, 1828 . Reggianini E , Repetti, Sagredo A. ,
Silvio Pellico , Serdonati, Sismondi, Tommaséo, Varchi. Vita e morte di Ma
ria Pėdena. Milano, Pirotta, 1827 , ecc .

( 1 ) Piccarda Donati fu consanguinia della moglie di Dante Alighieri .


Rodolfo di Tossignano ( Hist . Seraph . vol . I. 138 ) : • Corso, il fratello , prese
seco Farinata, sicario famoso , e altri dodici masnadieri, e , scalate le mura,
entrò ne'chiostri: e , presa la sorella, di forza la trasse alla sua casa, e strap .
patole l'abito religioso, vestitala alla secolare , l'ebbe forzata alle nozze . La
sposa di Cristo davanti a una immagine del Crocifisso la verginità propria
raccomandò a Cristo sposo ; e ben presto il suo corpo fu percosso di lebbra ,
e dopo alquanti di , ella passò al Signore con ghirlanda di vergine » .
Anonimo : Li suoi fratelli l'avevano promessa di dare per moglie ad un
66

gentiluomo di Firenze , nome Roselino della Tosa ; la qual cosa pervenuta


alla notizia del delto M. Corso , ch'era al reggimento della città di Bologna ,
ogni cosa abbandonali , ne venne al monisterio, e quindi per forza (contro al
volere della Piccarda e delle suore e badessa ).... la trasse e la diede al detto
marito : la quale immantinente infermo , e finì li suoi di » .
Tommaséo : Piccarda Donati , sorella di Forese e di Corso ,2 figliuola
Simone, bellissima . Falta monaca di santa Chiara, perchè Corso l'avea pro .
messa a un della Tosa, fu tralta a forza di convento da lui , venuto a ciò da
Bologna, dov'era podestà , e data moglie ; ma ella infermò sull'atto e mori .
Cionacci, Vita della B. Umiliala » ,
PICCARDA DONATI 335
a riconoscerai ch'io son Piccarda ,
Che, posta qui con questi altri beati ,
Beata son nella spera più tarda.
Li nostri affetti, che solo infiammati
Son nel piacer dello Spirito Santo ,
Letizian , del su’ ordine informati.
E questa sorte , che par giù cotanto ,
Però n'è data , perchè für negletti
Li nostri voti , e vôti in alcun canto.

Perfetta vita ed alto merto inciela


Donna più su mi disse), alla cui norma
.
Nel vostro mondo giù si veste e vela
Perchè 'n fino al morir si vegli e dorma
Con quello sposo che ogni voto accetta ,
Che caritate a suo piacer conforma.
Dal mondo , per seguirla , giovinetta
Fuggi'mi , e nel su' abito mi chiusi,
E promisi la via della sua setta.
Uomini poi , a mal più che a ben usi ,
Fuor mi rapiron della dolce chiostra ;
Dio lo si sa qual poi mia vita fusi.
Dante, Paradiso , c . III .

BELISANDRA MERAVIGLIA .
Romanza storica di Giovanni Peruzzini .

In grembo a turca nave


Sei venete donzelle
Eran tradotte schiave.
Quanto più vaga , altera
Una splendea tra quelle , >

E Belisandra ell'era.
Fulminei gli occhi; come
Ala di corvo avea
Nerissime le chiome.
356 BELISANDRA MERAVIGLIA

La fronte imperturbata
Dai prodi la dicea
Di Negroponte nata.
Alta la notte ; in fondo
Al vïaggiante legno
Silenzio era profondo.
E Belisandra un fiero
Magnanimo disegno
Medita nel pensiero.
Sorge ed in cor sicura ,
Le sue raccolte intorno
Compagne di sventara ,
- Quale (prorompe), quale
Onta ci attende e scorno
A voi ridir non vale.
Figlie agli stessi eroi
Fra vituperio e morte
Che sceglieremo noi ?
Represso ma feroce
Il grido alzâr di morte
Sei voci in una voce.
E Belisaudra al petto
Strinse le generose ,
E lagrimò d'affetto.
Come ispirata parve ,
Parola non rispose,....
Un bacio a tutte..... e sparve .
Passò un istante ; rôco
Scoppio s'intese , e l'onde
Brillar d'immenso foco.

Fra gli urli della nave


Un grido si confonde:
Martiri , ma non schiave !
MARIA PÉDENA 3:37

IN LODE DI MARIA PÉDENA.

Sonetto .

Al freddo sasso ove colei si giace


Che onesta morte a reo viver prepose ,
Traggon le meste vergini pietose
E si ascoltan gridar mentre il sol tace :
O diletta compagna , abbiti pace;
Vedi , il tumulo tuo spargiam di rose ;
Vedi, in pianto quì siam di te pensose ,
Chè desio di lua vita il cor ne sface .
Deh ! se questa pietà non prendi a vile ,
Danne , bella angioletta , il tuo candore ;
Danne un costume al par del tuo gentile.
Deh ! per la patria innanzi a Dio ti prostra ,
E a Lui fa prieghi onde in eterno onore
Serbi la gloria della terra nostra.
CATERINA FRANCESCHI- FERRUCCI.

ode .

Oh! fiorellino del ridente aprile ,


Orrendo turbo te sorprese e colse ,
E della spoglia candida e gentile
Crụdo ti sciolse.
Oh ! immacolato e placido agnellino ,
Lieto pascevi nell'erboso prato;
Ti giunse , t’investì dente ferino,
E t'ha sbranato .
Là dal supremo coro ove risiedi >,
Ove gioisce l'Intelletto santo ,
Volgi lo sguardo , o verginella , e vedi
Il nostro pianto.
Il nostro pianto che si amaro scorre
Al rimembrar la tosta dipartita ,
E il desire e il delitto in uno abborre
Che t'ha rapita.
358 MARIA PÉDENA
Rapita a un mondo ed alla mesta gente ,
Che in te smarrîr vero splendor di cielo ,
Onde piegavi a lui , non che la mente ,
In mortal velo .
Piegavi a lui la graziosa vesta
In cui ridea l'immaginato bello
Che a tutta altezza d'arte manifesta,
Stile o pennello.
La bella vesta, funesto argomento
Quaggiù di tua terribile sventura,
E colassù faustissimo strumento
D'alta ventura.
Che per serbarla nel primiero onore ,
Per toglierla vincente a impuro oltraggio ,
Volgesti , nel pudico tuo valore ,
>

Al bel viaggio .
Fra crudi strazi e angosciosa morte
T'ebbe una furia il vago fral diviso ;
Monda salisti alle superne porte
Del paradiso.
Monda salisti al ciel , cara angioletta ,
E i vergin spirti e la Donna superna
Sorella d'opra ti chiamar , sorella
Di vita eterna.
Intra i festanti suon d'ogni vaghezza
Con loro avesti glorioso scanno ,
E ringraziavi per tanta dolcezza
Lo scorso danno .
Godi or colà della perpetua pace ,
Di quella pace che senno mortale
Pur lieve parte di corne è incapace ,
Perocchè frale.
Mentre alla nostra mente innamorata
Spesso verrai gradita rimembranza ,
E pregheremo all'anima beata
Che in cielo ha stanza ;
Al tumulo verran lo madri amanti ,
A mano a man guidando le figliuole ,
Tributo ti daran di fiori e pianti
E di parole.
MARIA PÉDESA 359
Esse diran : Mirate alla virtude ,
O giovinette , al tumulo mirate ,
E, prima che restar d'onore ignude ,
Laggiù posate.
ELEONORA REGGIANINI .

Terzine.

0 vïator, che da straniera riva


Movesti, e riedi affaticato e lasso
Alla sacra al tuo cor terra nativa ,
Per poco arresta il frettoloso passo ;
Se udir storia tu vuoi, storia di pianto ,
Volgiti e mira quel funereo sasso.
Ivi è sepolto il cenere compianto
Di verginella tal che non le increbbe
Morire onde servar suo pudor santo.
.

Ella a virtude in sua modestia crebbe ,


Bella nel viso , e più nell'alma pura ;
Nullo pensier che casto in sè non ebbe.
Nell'innocenza sua così secura
Colomba, al sol mentre si abbella e liscia,
Non presaga di prossima sciagura ;
Su per lo tronco in che si asside , striscia
Tacitamente , ad avvinghiarla intesa
E farne pasto , la malvagia biscia.
Tal si credea su questa pia , che illesa
Pure restò , sbramar protervo amante
D’impudico desio l'anima accesa.
Non io potria ridir l'acerbo istante
In che si vide in sua balia costei.
Pallida, fredda e sovra i piè tremante
Volse supplice al ciel lo sguardo ; ed ei ,
Ebbro d'ira e d'amore , il ferro ignudo
Sul ciglio balenar facea di lei.
Ma d'invitta onestà sotto lo scudo
La fanciulla pugnò, nè al fero aspetto
Smarrì di morte intempestivo , crudo.
Già il caro volto di beltà ricetto ,
Sformato sangue stilla , e sangue gronda
Il niveo collo e l'impiagato petto.
360 MARIA PÉDENA
Così , segno alla destra furibonda ,
Vittima giacque, lacera la veste
E , della fronte onor , la chioma bionda.
Del trionfato rischio sulle preste
Ali , paga di sè , l'anima bella
Scioglieva intanto alla magion celeste ;
E l'angiolo di Dio di stella in stella
Le segnava il cammin sparto di luce ,
E d'angelici rai fulgeva anch'ella.
E tanta e tale in lei dolcezza adduce
De' circostanti gigli il casto olezzo
Che il calcato sentier nutre e produce ,
Che val tal gaudio del suo sangue il prezzo ,
Perchè aggiunta alle vergini che faro
Salde all'insidie de' tormenti in mezzo .
E quì >, come nocchier che nel securo
Porto le vele lacere raccoglie ,
Il nembo vinto procelloso , oscuro,
Di Dio s'inoltra sull’aurate soglie ,
Ove di cherubin fiammante schiera
All'increato Amor sacr'ioni scioglie.
Oh lei beata ! chè perenne, intera
Letizia la circonda nella stanza
Ove non verna mai , nè giugne sera .
Oh ben riposta in Dio tutta fidanza !
Or che , di ros 20 caduche ornata ,
Larga mercede ottien di sua costanza .
Ma quando a' quattro venti la chiamata
Dell' angelica udrá squillante tromba
La gente al gran giudizio convocata ,
Sall'ali al par di rapida colomba ,
L'antico a ripigliar leggiadro velo,
Verrà l'anima bella alla sua tomba .
O di tremendol quando, terra e cielo
Conversi in fiamma, giù ne' regni bui
Piomberanno i dannati in caldo e in gelo.
Dello stolto che pia ? Che fia di lui
Che la vergine uccise ?... Ah la divina
Faccia vedran soltanto i servi sui....
MARIA PÉDENA 361

Ma già il sole s'affretta alla marina ,


Caggion l'ombre da' monti, e al tergo il giorno
Sente la sera omai che si avvicina.
O peregrin , se d'ogni bene adorno
Il disſato tuo paterno ostello
Veder tu possa , or ch' ivi far ritorno ,
Ti prostra e onora il lacrimato avello.
TERESA BANDETTINI-LANDUCCI.

Elogio scritto in pergamena, o chiuso in tubo di rame e messo appo


il corpo (1 ).
P

CORPOXOEPOSTO
di Maria Pedena, vergine modenese, per castità
in perpetuo memoranda.
« Questa ebbe i natali in Modena nel vigesimo di luglio dell'anno
MDCCCXII da Felice Pédena, neofito modonese, e da Barbara Gigli
di Castellino di Brocco nel territorio N. Tiburzio Cortese , vescovo
N. la lavò al sacro fonte, e fosse alla pietade e ad ogni virtù edu
cata studiosamente curò ; il quale volere dell'ottimo e piissimo pre
lato, bene in lei collocato, fiorendo per continente innocenza di co
stume, a bellissimo aspetto congiunta , sin presso al compiere del
l'anno quindicesimo giustificò; fornita d'ingegno prontissimo e d'in
dolė soavissima, nei donneschi lavori per l'eccellenza sua lodatissima,
le maestre e le compagne con uuica amorevolezza fece sue ; Dio ,
sempre presente fra sè stessa rimembrando , datagliene occasione, 9

solea ripetere nulla giammai voler commettere di che non potesse


onestamente innanzi a tutti parlarsi : i discorsi sulla istituzione del
retto vivere, e primamente la commendazione della continenza e
della modestia intesa e volente udire e profondamente chiudere nel
l'animo, costumò. Quasi ogni di colla madre sua di buon mattino
al sacrificio santo intervenire , poi sulla sera davanti all'altare di
Nostra Donna lungamente pregare e quanto più spesso potè , tre
giorni continui innanzi con devote esercitazioni apparecchiatasi , con
fessata il pane eucaristico assumere , ebbe solito. Il custode della
gioventù e del santo pudore Luigi Gonzaga scelse a celeste suo pro
teggitore. Accesa dal perfetto amore della virtù , andava dicendo
alla madre, in ispecialità presso al termine inopinato di vita, fra sacre
vergini di rifuggirsi sommamente desiderare .
( 1 ) Dal latino ; traduzione di quel tempo di Mario Valdrighi.
362 MARIA PÉDENA
« Ma certo di quanta fusse la virtù non fu più segnalata mani
festazione di quella , allorchè nel primo luglio del MDCCCXXVII,
mancando il giorno, con insidie da uomo perduto, perfidamente or
dinate , sorpresa ed a lasciare la pudicizia con immensa scellera
tezza indarno sollecitata , da spesso percosse ancora con pugnali
punta, straziata, per la bella verginità, con Dio, non timida di mo
rire , sempre riluttando, ultimamente da mortale ferita nella gola,
.con un fiume di sangue versando l'anima, cadde sotto il colpo in
corrotta . Della uccisione di lei levato il rumore coll'alba, fu un af
frettarsi di tutti i cittadini , e pel caso orridissimo nei due giorni
seguenti uno sdegnarsi, un piangere.
« Il terzo di luglio , in sul tramonto del sole , l'autorità urbana
concedente, fu quasi a modo di trionfo levata, e dall'atrio dello spe
dale ; girando a destra per quanto s'allarga la via fino alla pros
sima porta della città, fu entro la chiesa di Santo Agostino ricon
dotta . Quasi LXXXX fanciulle bianco-vestite, con torchi accesi, al
cune portanti il feretro, tutto a fiori,, inviarono la pompa ; il prepo -
sto ed i canonici della d. collegiata di S. Maria Pomposa in forma
ed i confratelli del Sacramento augustissimo ee di S. Luigi seguitando ;
la banda ancora dei -sonatori alla milizia , perchè non mancassero a
decorare la vergine le musicali onoranze, spontaneamente la accom
pagnò. Quindi al catafalco, per festivo apparato di fiori e lumi ri
splendente, sul quale IIII fanciullini, in portatura d'angeli, sostenenti
corone di fiori, stavano agli angoli estremi , fu sopraposta ; e , desi
derata dai circostanti, sublime, decente, appari ; poi con esequie ed
orazioni fu pubblicamente onorata. Il giorno dopo alla stessa i fu
nerali con frequenza non interrotta di clero e di popolo si celebra
rono, e in sull'imbrunire, la processione di nuovo in parte riordi
nata, fu al cimiterio trasportata e in singolare conditorio avanti alla
chiesa di San Cataldo deposta , sinchè nella città, fattane licenza, sic
come è nei voti di tutti i buoni, le si segni con monumento la tomba.
L’una e l'altra giornata i più dei cittadini tutti concorrendo per
poco, veneranti, quando, mentre l'enorme misfatto e la perdita di
quella vita fiorente, considerano, sciolti in lagrime, quando per tanta
figlia della religione esultanti , ornarono , frequentarono . Gli stessi ,
con pietà comune contribuito danaro, di gran cuore alle spese sov
vennero .
Salve , anima innocentissima ,
Salve , o gloria delle donzelle ,
O più bella per l'ottenuto trionfo ,
Teco ci rallegriamo, ti facciam plauso ,
Fanciulle eguali.
MARIA PÉDENA 363
« Ma tu, poichè dal concento lietissimo degli angeli accolta e mag
giore del tempo, al coro delle celesti vergini aggiunta , com'è cer
tissima speranza , godi della sempiterna beatitudine, i casi nostri,
non ignara dei mali, ed i travagli commiserando, prega da Dio che
gli esempi di tua pietà e costanza propizio e felice sempre ci con
ceda imitare » .

IN LODE DI MARIA PÉDEN A.


Iscrizioni di Luigi Muzzi.
Invitatoria prima :

FANCIULLE
O. MENO , TRILUSTRI
PIU '
ACCORRETE . AL . TEMPIO
A. INGHIRLANDARE . DI . FIORI
L'ESTINTA . VOSTRA COMPAGNA
MARIA . PÉDENA
CHE.SANTAMENTE . MAGNANIMA
GITTANDO . LA , DOLCE . VITA . AL . SUO . TRADITORE

PORTO' . AGLI . ANGELI , INTATTA


.

LA . PIU ' . DOLCE


VERGINAL PURITA' .

Inritatoria seconda :
0
CUORI . BENIGNI
AMICI .. DELLE . RARITA' . DELLA . VIRTU'
AFFRETTATEVI . AL , TEMPIO .

DOVE . CON . FUNEBRE . POMPA


SI . SOLENNIZZA . LA . MEMORIA
DI
MARIA . PÉDENA
CHE . A .· PERDITA , DELLA ,. VITA . NON . ANCO . TRILUSTRE
GUADAGNO ' . LA , PALMA . ED . IL . GIGLIO
.

NEL . I.º. DI . LUGLIO . DI . QUEST'ANNO


A. LA . PATRIA . NOSTRA
PER . LUNGHE . ETA'
MEMORABILE .
Sopralliminare al tempio :
A
DIO , PERDONATORE
DEPRECAZIONI . SOLENNI
E. ALL'ANIMA
DI
MARIA PÉDEVA
GLORIOSISSIMA
FUNEBRI . OMAGGI .
364 MARIA PÉDENA
Frontale al catafalco :
IDDIO . PIETOSO
NE . CONCEDA
LA · REQUIE . SEMPITERNA , DIVINA
.

DELLA . INCOMPARABIL . DONZELLA


CHE
PER . MANTENERE . IL . VIRGINEO , CANDORE
INTREPIDA . CEDETTE
L'INNOCENTISSIMA . VITA .
.

Frontali al catafalco :
A VERGINI . DEL . PÅNARU
IL . PRIMO . DI . LUGLIO
.

VI . SIA . TUTTI . GLI . ANNI . FESTIVO

B FORTE . SESSO
IMPARA . DAL . DEBOLE
.

IL . PREZZO . DELLA , VIRTU '

C CORTESE . STRANIERO
RACCONTA . ALLA . TUA . PATRIA
L'AMMIRABILE . ESEMPIO

() . MADRI
FATE . OSSEQUIO
DI , LAGRIME . E. DI , SOSPIRI .

Sepolcrale :
QUI . GIACE
.

MARIA , PÉDENA
L'INVITTISSIMA
PER . DIFESA . DI . SUA , TRILUSTRE ,. C'ERGINITA'
UCCISA LE . CAL . . DI . LUGLIO . DEL . MDCCCXXVII
.

ETERNALMENTE . VIVA
NEGLI , ONORI . DEDICATI
A. TANTA . VIRTU '.

Sopralliminare alla camera :


QUì
MARIA . PÉDENA
MODANESE
NON . TUTTA . TRILUSTRE
SPIRO ' . L'ANIMA , AFFATICATA
DA , LUNGHI .. STRAZI
E SANGUINOSISSIMA , LOTTA
LA . PRIMA . SERA : DI LUGLIO
DEL . MDCCCXXVII
VINTĂ . DAL RIBALDO LA , VITA . .

NON . LA . PUDICIZIA
ONORATE . L'ALTISSIMA , EROINA .
MARIA PÉDENA 365
Il simulacro :
MARIA . PÉDENA
MODANESE
PER , VIRGINALE . RIFIUTO
UCCISA . TRILUSTRE
NEL . VENTISETTESIMO
ANNO DEL . SEC. XIX .

Le rime :
ALLA . MEMORIA
DI
MARIA PÉDENA
VERGINE , MODANESE
FATTA . IMMORTALE
TER ALTISSIMA . VIRTU '
NELLA . CORRUTTELA . DE' TEMPI
.

INASPETTABILE
QUESTE . PIETOSE . RIME
ALCUNI . ITALIANI
DEVOTAMENTE . CONSACRANO .
LE ARTISTE.

I. .

Ebbe ragione chi disse che il bel sesso con grande facilità comu
nica all'arte quelle grazie delle quali natura lo ha largamente for
nito. E come potrebbe essere altrimenti ? come la più bella e gentile
opera della creazione non avrebb' ella una simpatia, una disposizione
ed una attitudine particolare per le arti, se le arti non sono che
una manifestazione appunto del bello ?
E in tutte le arti a cui pose mano fu la donna eccellente : nella
pittura, nella scultura, nell'architettura, nell'incisione, nel ricamo,
ne' suoni, nel canto, nella drammatica nella danza .
Non domanderemo ai templi , ai palagi , ai teatri ed agli stahili
menti pubblici del nostro paese e degli estrani contezza di tutte le
gloriose cultrici delle arti belle ; perocchè sarebbero in tanto numero
da riempiere coi soli nomi più di qualche volume, mentre noi non
abbiamo che poche pagine e queste da consacrare alle più giovani
artiste (1). E nelle artiste non comprendiamo per ora nè le letterate
nè le poetesse, a cui daremo un capitolo a parte.
O ragazze , che per farvi più avvenenti seguite un po' troppo il
proverbio che dice : Ove manca natura, arte procura, vedete come
in vece molte e molte altre della vostra età venissero esse medesime
in ajuto ed ornamento dell' arte vera. Quelle davano, non ricevevano
bellezza, chè non ne avevano bisogno ; e l'arte, riconoscente, le ri
meritava col premio dell'imperitura stima degli uomini.
Quanto dura la bellezza del corpo ? Pochi anni, e per molti casi
è soggetta a perdersi anche in età giovanissima. Ma quanto dura la
bellezza d'un quadro , d'una scultura e di qualsivoglia eccellente
opera d'arte ? Quanto la materia di cui è formata, quanto nell'uomo
il sentimento del bello, quanto la storia delle arti, quanto il mondo .
Ecco come la donna può perpetuare l'interiore sua bellezza ,
( 1 ) Per le donne che si segnalarono nelle arti veggansi il Levati , il Vasari ,
il Rovani , la D'Alirantés, il Vaperau, e un riepilogo nelle Donne illustri d'l
talia . Milano, Ubicini , 1827 , e nelle Gesta delle donne . Milano, Trufli, 1828.
MARZIA 367
mentre quella del corpo le dura sì poco, ed ella è incapace d'arre
starla.
E la donna artista , nell'atto che immortala sè stessa , aggiunge
pure una vita senza fine a quei fatti egregi od a quegli uomini e
donne illustri che col pennello o collo scalpello o col bulino o col
l'ago ha rappresentati. Nè solo i fatti egregi o le persone degne di
memoria , ma anche le cose più leggiere e caduche , che per sè
stesse non avrebbero che poche ore di esistenza 2, sono da lei pre
servate dall'oblio.
L'angelo dagli splendidi colori non è più , ma dove i suoi piedi
impressero un'orma o dove le sue ali profumate agitarono l'aria
son nati de' fiori, che non appassiranno mai. Il sole s’ è nascosto
dietro ai monti , ma la luna è il suo grande specchio in cui , du
rante la notte , farà vedere riflessa la propria luce.
II .

Per prima cosa vi diamo , o fanciulle , una breve notizia di pa


>

recchie giovinette che attesero alla bell'arte della pittura, ma non,


come fanno talune , impiastricciandosi di lisci o di belletto il viso .
Perocchè, se anche questa è arte, non è però arte bella.
I. – Marzia, figliuola di Varrone, voi la conoscete, perchè già vi
fu additata come modello di pudicizia ; ma ella è famosa pure come
pittrice, e non solamente come pittrice, ma come scultrice eziandio.
E chi la fece perfetta in queste due difficili arti ? Nessuno ve lo
può dire, e il Boccaccio (1) , non sapendolo , è costretto a dichia
rare ch'è dubbio s'ella imparasse sotto maestro o avesse questo
dono dalla natura. E , perchè la natura non si sveglia tutto ad un
.
tratto, ma sin dal primo suole manifestarsi, puossi arguire dalle pa
role del Certaldese che la figliuola di Varrone assai giovane desse
opera al dipingere ed allo scolpire. Un'altra cosa poi che non dice
il Boccaccio ve la possiamo dir noi , cioè che senza più ella era
bella ; altrimenti non avrebbe eseguito fedelmente il proprio ritratto
« Coll'ajuto dello specchio ella con tanta perfezione di linee e di co
lori ritrasse sè stessa che, risguardandola ciascuna persona, benchè
vicina, in uno specchio, difficilmente discerneva quale fosse la vera
e quale la dipinta (2) » . Vi par poco ? Anzi questo sarebbe qualcosa
più delle uve dipinte da Apelle e beccate dagli uccelli, che non si
sa se fossero tordi. Quanto tempo avrà Marzia impiegato per ridurre a
siffatta perfezione la sua effigie ? - Pochissimo ; e ve lo accerta il
medesimo autorė , affermando ch' ella ebbe le mani si preste a di
( 1 ) Nell'opera : Le Donne illustri.
( 2 ) Boccaccio , I. c .
368 ONORATA RODIANI . SOFONISBA ANGUISCIOLA

pingere che niuno l'ebbe mai simili. « Presto e bene tardi avviene » ,
dice il proverbio , ma ciò significa che a giungere a felice prontezza
nell'operare vuolsi lungo esercizio. E Marzia l'aveva.
II .-
Onorata Rodiani, cremonese, per valentia nell'arte pittorica e
per grande studio di pudicizia merita di venire lodata. Ebbe i natali
in Castelleone verso il principio del XV secolo. Giovane e bella e
d'assai nella sua arte, ella fu chiamata a dipingere nel palazzo di
Gabrino Fondulo , tiranno di quella città ; dove , perchè donna ed
artista, taluno di quella corte osò offenderla con disonesti propositi.
Era un cortigiano che non rispettava nè il gentil sesso nè l'arte,
e che, non avendo egli stesso dignità, credeva che tutte le donne
fossero Messaline e tutti gli artisti saltimbanchi. Ma la giovane per
propria difesa gittava il pennello e brandiva un ferro. Il temerario
cortigiano è ucciso. Costretto a fuggire , ella non si rimpiatta, ma ,
raccolta la bella capigliatura sotto rilucente elmetto, milita come ca
valiere nella compagnia di Oldrado Lampugnani, e poi dello Sforza .
Dicono gli storici che tanto era valorosa che capitani e soldati l'am
miravano. Per difesa del proprio onore ella aveva impugnato un'ar
ma, e per difesa della propria vita e per vaghezza di gloria poi non
la deposé. Saputo che per le vicende della guerra Castelleone peri
gliava , quando lo Sforza corse co' suoi prodi in difesa di quella
terra , ella fu tra' i primi, e benedisse quasi il suo crudo destino
che le avesse strappato di mano i pennelli per porle in pugno l'ac
ciaro. Onde , se prima come pittrice è stata d'ornamento alla sua
patria, ora come guerriera le vuol essere di difesa . E questo è ben
più utile. Ai pericoli non bada : vola ov'è più micidiale la mischia ;
ma rimane mortalmente ferita. Toltale l' armatura, è riconosciuta ;
e a tal vista non si può dire se sia maggiore il compianto o l'am
mirazione de' suoi conterranei. « Onorata vissi, onorata muojo » ; fu
rono gli estremi suoi detti .
III. -- Sofonisba Anguisciola (1 ) fu un'altra pittrice cremonese, vanto
( 1) A lode di Sofonisba Anguisciola il Vasari scrive : - Sofonisba , cremo
nese,... ha con più studio e con miglior grazia che altra donna de' tempi
nostri faticalo dietro alle cose del disegno ; perciocchè ha saputo non pure
disegnare , colorire e ritrarre di naturale , e copiare eccellentemente cose
d'altri; ma da sè sola ha fatto cose rarissime e bellissime di pittura , onde
ha meritato che Filippo re di Spagna, avendo inteso dal signor dura d'Alba
la virtù e meriti suoi , abbia mandato per lei e fatiala condurre onoratissi
mamente in Ispagna, dove la tiene appresso la reina con grossa proyvisione
e con istupor di tutta quella corte , che ammira come cosa meravigliosa
l'eccellenza di Sofonisba. E non è molto che M. Tommaso Cavalieri , genti
Juomo romano , mandò al signor duca Cosimo , oltre una carta di mano del
divino Michelagnolo , dove è una Cleopatra, un'altra carta di mano di so
fonisba , nella quale è una fanciulina che si ride di un putto che piagne per
chè, avendogli ella messo dinanzi un canestrino pieno di gamberi , uno di
SOFONISBA ANGUISCIOLA 369

ed onore del secolo XVI. Bella d ' aspetto , graziosa nelle maniere ,
abilissima nella pittura e nell'arte dei suoni, impreziosi maggior
mente tutto ciò coll'animo grandemente virtuoso. Il Lami poetica
mente, ma senza esagerazione, cantò che in lei scese la più onorata
alma del cielo . Ma la sua fu virtù che si compiacque delle gioje
domestiche e delle tranquille delizie dell'arte. Ed alla famiglia s' i
spirò giovinetta : una delle sue prime opere fu un quadro in cui
ritrasse al vivo Asdrubale, suo fratellino, e Minerva, sua sorella, e,
fra l'uno e l'altra, suo padre. Com'è bello che le primizie dell’in
gegno siano date in onore di quelli che hanno avuto il merito di
educarlo 0o di spargere qualche fiore sui primi suoi passi ! Quell'opera
piacque tanto e le diè tanto nome che i principali cittadini vollero
di sua mano il proprio ritratto. Mosso dal desiderio di conoscerla
da vicino, Annihal Caro si recò a Cremona nel 1558, nè seppe stac
carsi da lei - prima d'averla pregata di accordargli la sua effigie
.

per poter in un tempo stesso mostrare due meraviglie , l'una del


ľ opera , l'altra della maestra. E l'ottenne ; ma poi gli fu ridoman
data, temendo forse il padre di lei ed ella stessa che non fosse cosa
degna di tanto uomo. Ma egli soggiungeva invece : Oh lo so che le
son cose da principi (1) ! Dopo avere mostrato nell' età giovanile e
nella provetta , fanciulla e donna, co' proprî esempî, in che consistesse
e come s'ottenesse l'eccellenza dell'arte, divenuta vecchia e perduto
il lume degli occhi, attese a giovare agli artisti coi suggerimenti
della sua grande e felice esperienza . Lo stesso Antonio Wandick ,
che aveva usato molto in sua casa , era solito dire che i maggiori
lumi della pittura gli erano venuti da una donna cieca (2 ).
IV. — Irene da Spilimbergo, nacque nel 1548 nel castello di questo
nome , feudo de' padri suoi. In assai verde età perdette il padre e
essi gli morde un dito ; del qual disegno non sipuò vedere cosa più graziosa
nè più simile al vero. Onde io in memoria della virtù di Sofonisba, poichè ,
vivendo ella in Ispagna , non ha l'Italia copia delle sue opere , l'ho messo
nel nostro libro de' disegni . Possiamo dunque dire col divino Ariosto e con
verità che
Le donne son venute in eccellenza
Di ciascun'arte ov' hanno posto cura " ,

( 1) Il Caro in una lettera ad Amilcare Anguisciola : « Cosi si mostrano le


eiliege ai bambini, come voi avete fatto a me del ritratto della signora vostra
figliuola , tre volte me lo avete destinato , ed alla fine ora con una vostra
lettera me lo avete mandato e ritolto . Mi direte che ve ne son parso indegno,
perchè le sue cose sono da principi : son contento , ma per questo voi non
vi dovete pigliar giuoco di me .... Io non me ne risento per altro che per non
parere un'oca ; nè per questo resterò di ammirare la virtù di vostra figliuola ,
voglio
e (2) anche per i meriti di lei aver rispetto alla vostra imperfezione " .
L'Anguisciola , che trovasi scritta anche Anguissola e Auguissoli , mori
al principio del secolo XVII.
BERLAN. Le fanciulle celebri. 24
370 IRENE DA SPILIMBERGO
fu dalla madre abbandonata. Mani rapaci la privarono pure de' suoi
beni; ed ella avrebbe dovuto starsi alle prese colla miseria , se be
nevolo , l'avolo suo materno , un da Ponte , non l'avesse accolta
>

presso di sè in Venezia e largamente assistita. Ebbe maestri di ri


camo , di lettere , di musica e di pittura. Nella quale ultima arte
acquistò tanta perizia che le sue opere si confusero talvolta con
quelle del famoso Tiziano Vecellio , da cui apprese il dipingere. Fa
anche poetessa, come ci fa sapere Apostolo Zeno, narrandoci d'aver
letto de' sonetti che la buona e gentile discepola indirizzava al gran
maestro dei pittori veneziani come tributo della propria riconoscenza .
Giorgio Vasari la chiamò vergine bellissima, lodolla come letterata
e musica, e scrisse che a tanta fama era salita da venir celebrata
dai più illustri scrittori d'Italia. Ed attesta il Lanzi, nella storia
pittorica dell'Italia, che i suoi dipinti -- alcuni de' quali si conser
-

vano in Maniago « son colorati con una maestria ch'è degna


del miglior secolo della pittura » . Superare l'Anguisciola, questo era
il supremo dei suoi desideri, e perciò non risparmiava studio o fa
tica. Ma , se pronto lo spirito , troppo debole e delicato avea il
corpo. Non era ancora giunta al suo quarto lustro , quando reo
morbo la tolse dal mondo nel 1539 (1) . Le cadevano di mano i pen
nelli, ma a raccoglierli chinavasi Tiziano; e mentre Morte distruggea
>

e schiantava quel tenero fiore di bellezza, d'ingegno e di virtù, egli


lo perpetuava coll'arte ( 2 ).

( 1 ) Il Carrer nell'Anello di sette gemme : « Spettacolo veramente di sommo


dolore : una mano di appena vent'anni che si lascia sfuggire i pennelli , men
tre l'occhio moribondo, con più desiderio di quello comune a tutti i viventi,
va cercando pel cielo un ultimo raggio di luce fuggitiva ; parenti ed amici
costretti a vedere l'esequie di quella, onde auguravano a sè lunghi gli anni
per vederne i trionfi ; valletti in faccenda per torre alla vista de'suoi cari le
tele appena abbozzate , troppo evidente emblema d'un ingegno immatura
mente rapito ; una grande cillà , i letterati e gli arlisti tutti di que' giorni ,
come già fino a quell'ora soprafatti di meraviglia , subitamente attoniti di
costernazione e di rammarico.... Non sarebbe concorsa tulla Italia nel pen
siero di deplorare solennemente la sua morte, se compiuto non fosse stato il
suo merito , e tale da far credere giustamente che ove in lei nessuna parte
desiderabile era mancata, nessuna guisa di possibile lode dovesse mancarle.
Ritratta dal Tiziano , compianta dal Tasso , pittura e poesia le diedero il
meglio che potevano a quell'età » .
Il Porcacchi in una lettera a Bianca Aurora d'Este (in fine delle lettere del
Giovio ), dice dell'Irene : - Rarissima signora, la quale, essendo per le sue virtù
degnissima di vivere, morendo in età d' anni diciotto, s'ha acquistato eterna
vita per le penne de' più celebrati scrittori del nostro secolo n.
L'Atanagi nel 1561 , pubblicò una raccolta di rime e versi latini di diversi
scrittori in morte d'Irene da Spilimbergo .
(2) Al conle Fabio Maniago debbesi lo scoprimento del ritratto della Irene
fatto da Tiziano . Vedutolo, Torquato Tasso cosi esclamava in un sonetto :
Or dipinta (oh nobil meraviglia I)
E di cure d'onor calde ed ardenti
E d'onesti desir par che ne invoglie !
MARIA ROBUSTI 371

V. Marietta Robusti fu figliuola dell'illustre pittore di questo


nome, detto più comunemente il Tintoretto, ed ebbe i natali in Ve
nezia, correndo l'anno 1560. Come il padre, ella attese all'arte pit
torica e riusci mirabile ne' ritratti , in un tempo ed in una città in
cui i lavori di tal genere usciti dalle mani d'un Tiziano Vecellio ,
d'un Paolo Veronese e d'un Leandro Bassano facevano la mera
viglia di tutti. Chi la istrui nell'arte fu il padre suo, il quale, avendo
saputo studiar bene , potè anche insegnarle bene e speditamente.
Ell'era di belle fattezze, ma piuttosto maschie : il suo bello era qual
cosa di greco e di romano insieme. Onde il padre compiacevasi di
vestirla ancora piccioletta come un fanciullo, e se la conduceva li
beramente dovunque andasse. Per tal modo in età ancora fanciul.
lesca molte cose e molti uomini ella vide e udi, ed ebbe frequenti
occasioni di ammirare tutto che di vago e di peregrino dava la
scuola veneziana. Ma non solo ebbe del genitore l'arte, ma sì anche
l'indole piacevole , vivace ed arguta, e quel nobile sentimento della
propria dignità che fa che l'uomo si rispetti e sia rispettato dagli
altri. Scorgendo in lei trasfuso tutto sè stesso, anzi in lei rabbellito
sè stesso per quelle grazie che son proprie dell' età infantile e del
sesso donnesco , il genitore svisceratamente l'amava ; perciò non
sapeva staccarsi da lei. L'amore paterno fu la sua musa ispiratrice (1).
Doppia gloria veniva a quella casa : felice casa , non una di quelle
sfortunate che ricevono lustro dai genitori ed onta dai figliuoli! La
fanciulla poi, oltre le belle doti finora accennate, aveva pure grande
perizia nell'arte del canto e dei suoni, in cui era stata erudita dal
l'illustre Giulio Zacchino, napoletano. Quando il padre, affaticato dal
lungo lavoro , riposava , la cara fanciulla, anch' ella deposti ii pen
nelli, lo deliziava colle sue armonie, da cui nuovi pensieri e nuova
poesia egli traeva per l'arte. Come Giacomo , il padre , doveva es
sere geloso di tanto tesoro ! Ed era ; a tutt'occhi lo guardava , so
spettoso che altri glielo toccasse o rapisse . Guai se l'Aretino , per
cui non era sacra la riputazione di nessuna persona, guai se costui
si fosse permesso ne' suoi scritti qualche accenno men che rispettoso
à Maria ! « Il mascalzone offenda impunemente imperatori e re ;
non già noi , noi artisti » , diceva il Tintoretto ; « e perchè è più vile
con noi, che non abbiamo oro da dargli, noi non lasceremo impu
(1 ) Narra il Ridolfi che Maria lavorò anche ad opere d'invenzione e che
alcune ne trasse dal padre .
Se non vero , è ben trovato, perchè verisimile, quanto asseri il compianto
signor Ignazio Cantù nel suo Libro d'oro, che la Maria ancora fanciulla facesse
per sorpresa il ritratto paterno. Ciò che non può ammettersi è che lo sposo
di lei si chiamasse Mario Robusti : Robusti era il nome del padre , che fu
detto Tintoretto perchè di padre tintore .
372 MARIA ROBUSTI

nita la sua maldicenza sfrontata » . E il pittore lo aveva già mi


surato una volta con una gran pistola, perchè aveva osato sparlare
di lui per esaltare Tiziano ! Ma nessuno osò dir della fanciulla od
alla fanciulla parole che non fossero di rispetto e di stima >, anzi tutti
la onorarono altamente e tutti conobbero e attestarono che la sua
virtù come donzella e come artista era superiore ad ogni elogio.
Era invidiata, non malignata. Cospicui partiti di matrimonio le si
offersero, ma ella ricusolli per non uscire dalla sua modesta condi
zione di popolana e per non abbandonare il padre. Nè tampoco la
sedussero le splendide promesse fattele dall'imperatore Massimiliano
e da Filippo II re di Spagna, per indurla a recarsi come pittrice alla
loro corte. In casa propria ella era regina e l'idolo del padre : in palazzi
di sovrani e di principi avrebbe invece dovuto servire alle costoro esi
genze e capricci, cercata o lasciata da un canto, accarezzata o bis
trattata secondo il loro umore. Gran numero di ritratti ella fece,
ma parecchi sono di popolani. « Fai bene » , le disse il padre un
giorno, á ad effigiare di preferenza uomini della nostra condizione,
che non banno i begli abiti ricamati in oro, ma un bel cuore ; e
farai la mia allegrezza se a qualche buon operajo ti vedrò dar la
mano di sposa. Se ci lusinga il desiderio della gloria, non abbiamo
noi l'arte che ci può far paghi ? Questa , si , è gloria vera » .
> E
Maria , che pensava giusto come il padre , e che non aveva altra
ambizione che quella della felicità di lui e della gloria dell'arte, ad
ambedue comune, per soddisfare ai paterni desideri, scelse tra i molti
che avevano richiesta la sua mano un onesto giojelliere, certo Mario
Augusta. Della quale obbedienza e della quale scelta non ebbe a
dolersi mai, perchè egli fu sempre buono ed affettuosissimo sposo.
Il padre fu tanto contento e lieto di ciò che, aprendosi cogli amici,
benediceva sino alle lagrime quel matrimonio, che non vedovava la
città e la sua propria casa di cosi gentile ornamento. -- « Ella mi ha
aggiunto dieci anni di vita ! » diceva il buon vecchio ; « altri figliuoli
affrettano la fine de' loro genitori , la mia invece me l' allontana » .
Ma ahi come fu breve il gaudio di lui, e come si convertì in do
lore la sua felicità l Egli aveva avuto troppo quaggiù , in questo
basso mondo aveva troppo goduto della compagnia d'un angelo :
l'angelo fu richiamato in cielo. L'affettuosa figliuola , la buona
sposa, la egregia artista, non ancora compiuto il suo trigesimo anno,
còlta da fiero morbo, serena, come quella che tornava a Dio, spirò
tra le braccia de' suoi cari. Non fu gran perdita solamente per una
famiglia, ma per Venezia, per l'Italia, per l'arte (1).
( 1) Il cav. Carlo Ridoli , nelle Meruviglie dell'arte. Padova , Cartellieri , 1835,
a pag. 259, facendosi a parlare di Maria Robusti ; · Veggiamo vergate le carte
ARCANGELA PALADINI LUIGIA CAPOMAZZA 373

VI. - Arcangela Paladini, nata nel 1599 da Filippo, pittore pisano,


fu nella sua più verde età (1) valente del pari nella pittura, nella poesia
e nella musica. I quali rapidi progressi ella dovette non solo allo
squisito sentire ed al vario e forte ingegno di cui natura l' aveva
dotata, ma anche alla istituzione datale dal padre. Chè gl' insegna
menti che si ricevono in famiglia sono ben d'altra portata che
quelli delle scuole comuni. E dell'arte ella non fu soltanto semplice
cultrice , ma v' aggiunse pure novità col proprio genio ; chè in ciò
massimamente il genio si manifesta . Nella storia della pittura ella
ha un posto onorevole , ma , più che per le dipinture ad olio, nelle
quali era stata superata dalla Lavinia Fontana (2) , fu impareggiabile,
e il Lanzi la loda e la dichiara eccellentissima , nel ricamo. Non
visse che ventitrè anni, « e, dopo aver cantato i regi etruschi » , come
dice il suo epitafio, « ella sali a cantare il re dei regi, Iddio ! » Non
falli il presagio , onde il padre aveva voluto chiamarla Arcangela (3 ).
VII. — Luigia Capomazza, napoletana, ricca, leggiadra e valente nella
pittura, fiori nella prima metà del secolo XVII. Ne' suoi teneri anni
spregiando i balocchi ed altri puerili trastulli, sopra questa o sopra
quell'altra sedia vedevasi, tutta intinta le piccole mani di carbone ,
copiare su per i muri questo o quel quadro della sua casa. Secon
data la sua disposizione e datile de' buoni maestri, tanto e così ra .
pido fu il suo progresso nell'arte che , non ancora quadrilustre , si
fece ammirare per pregevoli quadri. Benchè ricercata, assediata anzi
da' giovani delle principali famiglie napoletane , che aspiravano alla
sua mano, e benchè tutto promettesse di arriderle nel mondo (4), ri
nunziò agli uomini ed al secolo, chiudendosi in un chiostro, per de .
dicarsi unicamente a Dio ed all' arte. Ma la troppa applicazione la
logorò anzi tempo , spegnendola nel 1646. L'arte vanta alcune pit
>

non solo del valore d'Ippolita , di Camilla , di Zenobia , di Tomiride, illustri


nell' armi, di Corinna , di Saffo , di Arretta, di Cornelia , d’Ortensia, di Lu
crezia Marinella, e d'altre eziandio chiare nelle lettere ; ma di vantaggio de
gli onori di Timarete , d'Irene, di Marzia , d'Aristarete , negli antichi tempi, ce
lebri nella pittura ; e nei moderni ancora di Lavinia Fontana e d'Irene dei si
gnori di Spilimbergo, discepola di Tiziano, la quale facoltà viene di presente
illustrata da Chiara Varotari e da Giovanna Garzoni " .
(1 ) il Levati : “ Giunse perciò in età ancor tenera alla gloria di possedere
con eccellenza le tre arti indicate » .
(2) Lavinia Fontana , bolognese , n. 1552 , m. nel 1602. Ritrattista famosa ,
fu dichiarata pittrice del papa Gregorio XIII e di tutta la casa . Boncompagni.
Per farle onore , era ordine del pontefice che alle porte della città si schierasse
la milizia al suo passaggio . Divenuta sposa a un Paolo Zappa, mediocre di
pintore , vedendolo sempre impacciato nel disegnare , gli disse un giorno
• Paolo mio, giacchè il cielo non vuole che tu sia pittore , accontentati di fare
il sarto, vestendo solamente i miei ritratti » .
(3) Le fu posto un epitafio nella chiesa di Santa Felicita in Firenze .
( 4 ) Questa fugge il matrimonio ; un'altra, invece, muore etica perché il pa
dre nega di maritarla ad onesto giovane. Tale fu la Veronica Fontana di
Parma, egregia intagliatrice in legno .
374 ROSALBA CARRIERA

ture di lei che si conservano in Napoli nella chiesa di Santa Chiara.


Visse e passò non solo ammirata dagli artisti ,> ma anche benedetta
per la sua carità dai poveri, a ' quali lasciava tutto il suo avere.
VIII. — Rosalba Carriera è gloria veneziana ; ebbe i patali nel 1675,
di padre legista, avente scarse fortune, ma devoto all'arte. Fanciulla,
ella copiava i capricci e gli sbozzi del padre, qua e colà aggiungendo
qualche cosa di suo, che li migliorava o compiva. Per secondare le
felici disposizioni della figliuola , l'ottimo genitore si diè gran cura ,
nè si risparmiò alcun sacrificio perchè ella avesse de' buoni maestris
come furono Antonio Nazari, il Diamantini, il famoso pittor Balestra
e Antonio Pellegrini. Ma i maestri non fanno che dirigere la fiamma
del genio : il ghiaccio non lo possono convertire in fuoco ; ed ab
bandonata la scuola , guai allo scolaro se con ciò che vi ha impa
rato crede di poter essere qualche cosa nel mondo o di farsi illustre !
Le lezioni altrui saranno, a conceder modo, la locomotiva ; ma, chi
deve aggiungervi il fuoco , e il proprio fuoco , debb ' essere l'uomo
che vuol far gran cammino nelle arti, nelle lettere o nelle scienze.
La fiamma del genio illuminò sempre la carriera artistica della Ro
salba : fu grande miniatrice , insuperata a' suoi tempi , e massima
dipintrice a pastello , insuperabile forse anche a ' nostri. Ben a ragione
Antonio Maria Zanotti la chiamò la grande amica delle pittoresche
muse, l'onore del sesso e della veneziana pittura (1). E dire che la
natura, che avea messo nell'anima sua cosi grande e squisita l'idea
del bello, glielo aveva poi ricusato nelle fattezze del volto ! Non era
bella ; ma tanto più doveva essere stimata , poichè i suoi pregi non
li doveva al caso, ma tutti a sè stessa. S'ella non avesse coltivato
l'ingegno , avrebbe forse dovuto resistere alla tentazione , perchè
brutta, di essere cattiva e più cattiva d'ogni altra ; invece fu buona,
gentile , eccellentissima in una grande arte. Perciò dobbiamo dire
che Carlo VI imperatore, della casa d’Absburgo, volle proprio par
lare e trattare da Tedesco quando, essendogli in Vienna presentata
dal Bertoli , letterato friulano , la Rosalba Carriera, si rivolse a lui ,
-

ein modo da essere udito anche dalla pittrice, gli disse : - Bertolimio ,
sarà valente questa tua pittrice, ma ella è pur brutta ! - Ma l'anti
quario non ebbe il coraggio di rispondere : - Sire, non v'ho creduto
un sultano e non ve l'ho presentata come un'odalisca ! Tacque la
povera Rosalba ; ma, come quelle parole dovessero trafiggerle il cuore ,
più che ogni altro lo indovineranno le donne. Un'altra forse avrebbe
riso in sè stessa ; non lei , che da natura matrigna aveva ricevuto
un grande ingegno >, ma sempre chiuso dentro una fosca nube di
(1 ) Nel Trattato della veneziana pittura.
CAMILLA LAUTERI -
ANGELA AIROLA ELEONORA MONTI 375
mestizia. Essendo in preda a tetre melanconie, quando prese i pen
nelli per fare il proprio ritratto , effigið sè stessa col capo coronato
di scure foglie. Domandata che ciò significasse , rispose che quella
era una tragedia , e che ella doveva terminare i suoi giorni tragi
camente (1). E fu pur troppo cosi ; chè non sappiamo concepire per
un'artista più tragica fine di quella di diventar cieca e maniaca.
Colla ragione stravolta, senza il lume degli occhi, che solo le davano
il modo di rivelare la bellezza dell'anima sua , allora soltanto era
brutta. Ma la cecità e la pazzia durarono pochi mesi : morte la to
glieva alle miserie insopportabili della vita nel 1747.
IX . Camilla Lauteri, bolognese, non ebbe che soli ventidue anni,
di vita, ma anche così pochi le bastarono per lasciare un nome im
perituro. Trattò argomenti sacri : Un transito di san Giuseppe nella
chiesa di San Gregorio dei padri del ben morire in Bologna (2) e
un sant'Antonio di Padova in altra chiesa della stessa città. Mori
nel 1681 .
X. - Angela Airola, genovese di nobile schiatta, dal principio alla
fine della lunga sua mortale carriera si dedicò interamente alle cose
della . religione ed a quelle dell'arte. Prima ancora che di questa
conoscesse le regole e potesse pur sospettare le grandi difficoltà che
incontra in suo cammino chi vuole diventare perfetto artista, corac
giosa , se non sempre felice, trattava la matita ed i pennelli. Ebbe
poi a maestro Domenico Fiasella , il quale , non perchè fosse donna
e ricca, ma perchè in vero avea ingegno mirabilmente operoso, non
dubitò d'affermare ch' ell era tra' suoi allievi la più capace di so
stenere il decoro della sua scuola. Fatta monaca, riempi ed ornò
de' pregevoli suoi dipinti il suo convento di San Bartolomeo del
l'Oliveto ed alcune chiese di Genova . Fini di vivere ottuagenaria
nel 1760.
XI. - Eleonora Monti, figlia al pittore Francesco, nacque in Bologna
nel 1727. Esercitandosi anco nei lavori donneschi, ne' quali era pure
abilissima, mostrò fino da' più teneri anni un'inclinazione speciale
ed irresistibile alla pittura ; e in tutto il tempo consentito a' suoi
trastulli vedevasi qua e colà scarabocchiare , ora col gesso ora col
carbone , teste e figure. Nessuno della sua famiglia potè cansare di
vedersi rappresentato da lei in millefogge , proporzioni e spropor
zioni. Ebbe maestri, ma dovette la propria educazione piuttosto a sè
stessa ; perchè a formare il sentimento del bello ed il gusto non ba
stano i precetti altrui. Lesse molti e buoni libri; osservò e medito
(1 ) Le donne illustri. Milano , Ubicini, 1827.
( 2) Questo quadro fu descritto nel Passaggiero disingannato, Bologna, 1866 ,
pag. 113.
376 LE SCULTRICI

molto. A dodici anni copiava con esattezza e facilità ammirevole


alcuni rami e perfettamente imitava storie e figure dipinte. Prege
voli più che ogni altra sua cosa sono i ritratti , de' quali fece un
>

numero stragrande. A renderla più cara a quanti la conobbero con


tribuivano la sua modestia, gentilezza, vivacità, spirito, erudizione e
tutte quelle virtù che in famiglia ed in società fanno la donna sti
mata. Non visse che sette lustri ( 1).

III .

Non rimane forse alla donna che di ridurre il ferro in macchine


industriali o in locomotive, dopo averlo già brandito valorosamente
foggiato a spada od asta ; perocchè non vediamo qual altro minerale
essa non abbia come artista eccellentemente trattato. Dall'ago o dal
punteruolo colla stessa facilità e con pari gloria ella passò al bulino
ed allo scalpello ed alla mazzuola. Ecco li un masso di granito : ella
vi picchia e ripicchia su , e sotto le sue mani la natura , per dir
così , e come potrebbe dire un secentista , cambia di natura ; e là
>

dove non era che informe materia, per miracolo dell'arte sopraviene
lo spirito , che ne invade tutta la superficie e perpetuamente vi si
aggira dintorno. Dal seno dei monti fu cavata e destata quella ch'è
fra le più inerti e dormigliose opere della creazione e venne obbli
gata a rappresentare le passioni più ardenti . Ma che costanza di
lavoro e che continuità d'ispirazione fu necessaria nell'artista ! Pe
rocchè quella dura materia non obbedisce pronta, e pronta non ri
ceve, come la tavola o come la tela, le creazioni dello scultore. L'ar
tista non è Decaulione o Pirra : non gli basta gittarsi dietro alle
spalle i sassi per convertirli in uomini , bisogna che prima li batta
o poi li lisci e quasi li accarezzi e , sebbene potente mago , evochi
pazientemente molte e molte volte lo spirito prima che se lo vegga
comparire davanti.
Non ritesseremo gli elogi della giovinetta Marcilla Eufrosine (2) ,
che, ispirata dall' amore filiale, mostrò ai romani quanto ella potesse
nell'architettura e nella scultura ; ma, quasi colle parole d' uno che
( 1 ) Non possiamo fare nè un trattato, nè un dizionario di tutte le donne che
si segnalarono nell'arte pittorica : non è questo il nostro compito. Qui, per
an di più , accenniamo l'Anna Piccardi , di Venezia , ch'era giudicata da' suoi
contemporanei pictura ac moribus incomparabilis, come dice la sua lapide
sepolcrale . Mori nel 1794 ; aveva ventitrè anni . Sarebbe poi scortesia ed in
giustizia imperdonabile in concittadino , se , accennando alle donne ch'ebbero
fama di valenti anche nella loro verde età , non ricordassimo la gentile si
gnora Leopoldina Zanelli , veneziana , da molti anni artista ed ora donna
provetta.
( 2) Vedi pag . 84-104 .
PROPERZIA DE'ROSSI 377

fu ad un tempo grande artista e grande scrittore, faremo menzione


d'altra scultrice illustre di meno antichi tempi. Ella è la Properzia
de' Rossi , bolognese (1) , di cui giustamente può dirsi che fu segno
ď immensa invidia e di pietà profonda . Il Vasari (2) ce la dipinge
giovane , virtuosa non solamente nelle cose di casa ma e in molte
scienze , di capriccioso e destrissimo ingegno , del corpo bellissima
e che nel cantar e sonare non aveva tra le femmine chi l'egua
gliasse. La sua anima era tutto fuoco ; eppure , per una di quelle
apparenti contraddizioni che si veggono di tratto in tratto negli
uomini di gran valore, il suo ingegno dilettavasi in quelle difficoltà
che per essere vinte addomandano lunga pazienza. O volando o
strascicandosi, il genio vuol raggiungere quella perfezione, quel bello
( 1 ) Altri la dice modenese .
( 2) Nella Vita della Properzia de'Rossi così il Vasari loda le donne che si
acquistarono gloria nelle armi,9 nelle lettere e nelle arti . È gran cosa che
in tutte quelle virtù ed in tutti quelli esercizi ne quali in qualunque tempo
hanno voluto le donne intromettersi con qualche studio , elle siano sempre
riuscite eccellentissime e più che famose , come con una infinità di esempi
agevolmente potrebbe dimostrarsi . E certamente ognun sa quanto elleno uni
versalmente tutte nelle cose economiche vagliano , oltrachè nelle cose della
guerra medesimamente si sa chi fu Camilla, Arpalice, Valasca, Tomiri, Pan
tasilea, Molpadia, Orizia , Antiope, Ippolita , Semiramide , Zenobia, chi final
mente Falvia di Marc'Antonio , che, come dice Dione istorico, tante volte si
armò per difendere il marito e sè medesima. Ma nella poesia ancora sono
state maravigliosissime, come racconta Pausania. Corinna fu molto celebre
nel versificare ; ed Eustazio , nel catalogo delle navi di Omero , fa menzione
di Saffo , onoratissima giovane (il medesimo fa Eusebio nel libro de ' tempi ),
la quale in vero, sebben fu donna, ella fu però tale che superò di gran lunga
tutti gli eccellenti scrittori di quella età. E Varrone loda anch'egli fuor di
modo, ma meritamente , Erinna, che con trecento versi s'oppose alla gloriosa
fama del primo lume della Grecia >, e con un suo piccol volume chiamato
Elecate equiparò la numerosa iliade del grand'Omero ; Aristofane celebra
Carissena nella medesima professione per dottissima ed eccellentissima fem
mina ; e similmente Teano, Mirone , Polla , Elpe , Cornificia e Telisilla , alla
1

quale fu posta nel tempio di Venere per maraviglia delle sue tante virtù una
bellissima statua. E per lasciar tant'altre versificatrici, non leggiamo noi che
Arete nelle difficoltà di filosofia fu maestra del dotto Aristippo ? E Lastenia
ed Assiotea , discepole del divinissimo Platone ? E nell'arte oratoria Sempro
nia ed Ortensia , femmine romane , furono molte famose. Nella grammatica ,
Angallide (come dice Ateneo) fu rarissima , e nel predir delle cose future, o
9

diasi questo all'astrologia o alla magica, basta che Temi e Cassandra e Manto
ebbero nei tempi loro grandissimo nome : come ancora Iside e Cerere nella
necessità dell'agricoltura , ed in tutte le scienze universalmente le figliuole
di Tespio . Ma certo in nessun'altra età s'è ciò meglio potuto conoscere
che nella nostra, dove le donne hanno acquistato grandissima fama non so.
lamente nello studio delle lettere , com' ha fatto la signora Vittoria del Vasto,
la signora Veronica Gambara, la signora Caterina Anguisciola , la Schioppa,
9

la Ungarola , madama Laura Battiferra , e centr'altre sì nella volgare come


nella latina e nella greca lingua dottissime , ma eziandio in tutte l'altre fa
coltà . Nè si son vergognate, quasi per torci il yanto della superiorità, di met
tersi con le tenere e bianchissime mani nelle cose meccaniche , e fra la ru
videzza de' marmi e l'asprezza del ferro per conseguire il desiderio loro e
riportarsene fama » .
378 PROPERZIA DE'ROSSI
che gli sorrise in idea : di tutto e' può fare un capolavoro, sia pur
la cosa piccola o grande. La Properzia , scrive il Vasari, a si mise
ad intagliar noccioli di pesche, i quali si bene e con tanta pazienza
lavoro che fu cosa singolare e meravigliosa il vederli , non sola
mente per la finezza del lavoro , ma per la sveltezza delle figurine
che in quelli faceva e per la delicatissima maniera del compartirlo .
E certamente era un miracolo veder in su un nocciolo cosi piccolo
tutta la passione di Cristo fatta con bellissimo intaglio, con una in
finità di persone, oltre i crocifissori e gli apostoli » . Ed a passare da '
nòccioli ai marmi non mise gran tempo in mezzo ; perchè, vedendo
ornarsi a figure marmoree le prime tre porte della facciata di San
Petronio, e venutale vaghezza di farvi anch'essa le sue prove , ciò
le fu acconsentito da quegli operai , alla condizione però che mo
strasse qualche opera di marmo condotta di sua mano. Postasi al
l'opera, in breve tempo compi un ritratto in marmo del conte Guido
Pepoli cosi somigliante, cosi perfetto, ch' eccitò la meraviglia e l'in
vidia anche dei più provetti artisti. Ecco quindi lavorare anch'essa
intorno alla facciata di quella fabbrica ed attrarre l'ammirazione
di tutti con un « leggiadrissimo quadro rappresentante la moglie del
maestro di casa di Faraone che , innamoratasi di Giuseppe , quasi
disperata del tanto pregarlo, all'ultimo gli toglie la vesta d'attorno
con una donnasca grazia e più che mirabile » . Ma questo basso ri
lievo , che faceva onore all'artista, danneggiava la donna; ella non
toglieva il mantello a nessuno, ma metteva a nudo la povera anima
sua , martoriata e disperata per amore infelice. Il giovane amato ,
idolatrato da lei, era insensibile all'ardente suo affetto, non curan.
dosi delle smanie della bella artista. Le lodi andarono perciò com
miste ai biasimi, e l'umana malignità e l'invidia degli emuli, fecero
strazio del suo nome. Ecco un uomo che fa provare a giovane gen
tile que' rigori che piuttosto le giovani sogliono usare verso gli
uomini ; ed ecco la stessa giovane che in un'opera che poteva es
sere destinata a fare le sue vendette, perpetua invece la memoria
della propria debolezza ed esalta la virtù del giovane che l'accuora.
La passione la faceva ben cieca se non vedeva ciò ; e se lo vedeva
da sè ella punivasi ben duramente. A onore del sesso forte, che di
tali esempi di pudicizia ha pur troppo gran bisogno, e perchè quando
non vi sono prove in contrario, bisogna supporre piuttosto la virtù
che la colpa, inchineremo a credere alla castità pudica del giovane
amato dalla Properzia ; e a difesa di costei non diremo ch'egli le
resistesse per durezza di cuore o per crudele vanità, ma ci limite
remo a domandare perchè mai la storia non ci conservasse il nome
di questo casto Giuseppe. Affinchè poi fosse colma la misura delle
LE ARTISTE DI TEATRO 379

amarezze dell infelice Properzia , ed ella ne' suoi affetti e nelle sue
ambizioni d'artista venisse ferita crudelmente , tale , che il Vasari
chiama ' maestro Amico (Aspertino), con sì reo accanimento la per
seguito da non lasciarle mai requie , con velenose censure scredi
tando lei e le sue opere presso gli operai e presso coloro che le
commettevano i lavori. Fu per cagione di costui che del basso ri
lievo rappresentante la detta figura del Vecchio Testamento le fu
dato un vilissimo prezzo. Offesa nell'anima ed esulcerata nel cuore,
ella voleva gittare lungi da sè gli scalpelli ; ma la trattenne il pen
siero, non si credesse che lo sfortunato suo amore terreno le avesse
tarpate fiaccate le ali così da non potersi più levare alle bellezze
immortali, e fece due grandi angioli di bella proporzione , che fu
>

rono, sebbene contro sua voglia, posti nella medesima fabbrica . Poi
si diede ad intagliare stampe di rame, forse perchè quel paziente e
minuzioso esercizio la distraesse da'suoi atri pensieri. « Ciò fece » ,
soggiunge il Vasari, « fuor d'ogni biasimo e con grandissima lode....
Alla povera innamorata giovane ogni cosa riuscì perfettissimamente,
eccetto il suo infelicissimo amore » . Che cosa ella avea avuto nella
sua vita ? qual bene ? quale felicità ? Nessuna. E quando la fortuna
parve accostarsele, quando papa Clemente VII ricercò di lei per im
piegare ed onorare la stupenda sua abilità, ell'era morta, ell'era stata
seppellita nello spedale della Morte, com'ella aveva ordinato per te
stamento. Nel 1529 fini di crepacuore quella ch'era stata « grandis
simo miracolo della natura ne' suoi tempi » .
IV .

Al teatrol al teatro ! Scacciamo da noi i lugubri pensieri dell'in


gratitudine della società e delle sue tarde giustizie ; accostiamoci ad
artiste che anche durante la loro vita mortale ebbero ovazioni e
veri trionfi. Il mondo è abbastanza splendido , e sempre ricco >, per
pagare i suoi piaceri .
Diremo noi per questo che tutti gli artisti di teatro non siano
utili strumenti di civiltà, e che il mondo non faccia bene ad essere
generoso con essi ?
Dio ce ne guardil molto più che codesta specie di meriti è con
dannata a non aver la cara soddisfazione di lasciare dietro a sè ve
stigio alcuno, e le vecchie celebrità mano mano s'eclissano e si di
leguano, incalzate dalle sopravegnenti. La società è facile a tributare
agli artisti di teatro la sua ammirazione ed anche il suo oro, ma è
altrettanto facile a dimenticarli ed a’vecchi idoli sostituirne de' nuovi ;
perchè ella non ha bisogno e vaghezza della loro memoria e del loro
culto, ma si del suo presente diletto.
380 ARTISTE DRAMMATICHE

Ben pochi artisti teatrali de' tempi greci e romani, massime del
bel sesso , sopravissero all'oblio ; i superstiti giunsero insino a noi
con nome piuttosto equivoco, con quello d'istrioni.
Lascieremo ad altri dar ragione perchè gli uomini cerchino con
tanta avidità il diletto nelle finzioni teatrali , senza indagare se ciò
dipenda, per avventura, dall'arida e monotona e spesso ingrata realtà
della vita, ovvero sia dal bisogno che ha l'anima umana di spaziare
in mondi imaginarî dove possa creare od assistere a nuove crea
zioni. Tali studi ci dilungherebbero troppo dallo scopo e dall'indole
della presente operetta.
Ma, senza tema di errare fantasticando , possiam dire che fra le
arti che hanno per loro tempio la scena, la drammatica è certamente
quella che per utilità morale di gran lunga sopravanza tutte le altre.
È una storia che assume carne, che s'atteggia al riso od al pianto,
che dà corpo visibile a tutte le passioni , buone o cattive , che le
mette in movimento, in azione ed in contrasto , per farci amare la
virtù ed abborrire il vizio. Le altre, non com'essa educatrici, ponno.
dirsi sue ancelle. Ma codeste ancelle come vestono splendidi e ric
chi mantil Senza contrasto l'aquila è la regina degli uccelli , ma i
pavoni ed i pappagalli hanno più belle piume.
I veri artisti drammatici, quelli cioè che, dando opera alla com
media, al dramma od alla tragedia , considerarono la propria arte
come mezzo di civiltà e si persuasero d'avere una missione educa-
trice, quelli si non furono indegni del nome già troppo usurpato ed
abusato, di virtuosi..
Non bastò ad essi lo avere da natura doti rare d'ingegno , ma
con lunghi studi, con attenta osservazione e con diligente esercizio
e' dovettero compiersi e perfezionarsi, sotto pena di una mediocrità
povera ed oscura. Pochissime cantanti seppero di lettere ; laddove
delle artiste drammatiche molte, tra le maggiori, furono letterate. Era
letterata Vincenza Armani (sec. XVI) , l'Antonia Isola (sec. XVII),
l'Elena Balletti, soprannominata Flaminia (sec. XVIII), e letteratis
sima la Elisabetta Caminer-Turra (sec. XVIII).
Se tanto costa diventare eccellenti nell'arte drammatica, se tanti
studi richieggonsi, e se, oltre a ciò, domandasi un'esperienza della
vita ed un'età ,che possa sentire le passioni che deve esprimere, ri
nunzieremo noi alla speranza di trovare delle artiste, che, anco ado
lescenti, suscitino l'ammirazione delle moltitudini ? Se discreti ci ac
contenteremo di un merito relativo, di un merito pure straordinario
per la poca età, per la poca esperienza e per i pochi o nessuni studi,
ci sarà fatto d'incontrarne un'eletta schiera. Non sarà oro lavorato
e monetato, ma sarà oro .
ISABELLA ANDREINI 381
Isabella Andreini, nata in Padova nel 1562, fu una di quelle ar
tiste drammatiche che aggiunsero pregio all'arte cogli studi poetici e
filosofici e con una maravigliosa bontà di costume ( 1 ), « Ella » , scrive
il De Boni, « fino dall'infanzia mostrò quell'amore allo studio, quella
verecondia negli atti, quella vivacità nel parlare, che produssero la
celebre artista , l' illibata donna e la riverita poetessa. Dicesi che ,
udendo sempre parlare della Sofonisba Anguisciola , siasi accesa
di tanto amore per la gloria e per il bello che non sognasse se non
il modo di sorgere e di dimostrarsi rara al suo secolo. Quindi sa
peva appena leggere che concepi il disegno della sua favola pasto
rale la Mirtilla (2). Poco dopo, capitato a Padova Francesco Andreini,
celebre comico e, vista la Isabella, ch'era fanciulla di sembianze ol
tremodo leggiadra, se ne innamorò perdutamente , e tanto fece che
vinse la ripugnanza che i genitori di lei aveano di darla cosi gio
vinetta a marito. E nel 1577 si celebrò il matrimonio ; poi l'An.
dreini seco condusse la sposa a Firenze e ammaestrolla nell'arte
comica. Nella quale subito riuscì meravigliosa ; e, siccome tanta ec
cellenza accompagnava, per così dire, il profumo de' suoi innocenti
costumi, il vederla fu un vanto per molti, e il Chiabrera tra i primi
lodolla. Bella di persona, soave nella voce, dotta nel canto, profonda
nel recitare e nel gesto, ogni suo passo era un nuovo trionfo. Par
tita di Firenze, s'applicò alla filosofia, che poi abbandonò per darsi
tutta a poetar volgarmente (3). Mori a Lione nel 1604 nel dar alla
luce un figlio. Fu lungo il compianto per la sua morte ; e nel 1606
comparve a Milano un volume che raccoglieva l'ultimo saluto dei
poeti all' Andreini, intitolato il Pianto d' Apollo (4) » .

(1 ) Un secentista , parlando dell'Andreini : Isabella portava sulle labbra


l'oliva di Pallade, nella faccia gli orti di Adone , nel seno il convito degli
Dei , nel petto il cinto di Venere, tra le braccia il castissimo Amore . Ad
una povera donna si poteva far portare di più e tutto in una volta ?
(2) Scrisse pure un libro di lettere e dialoghi di amoroso argomento , de
dicato a Carlo Emanuele, duca di Savoja. Nella dedicatoria del quale ella cosi
si esprime : - Appena io sapea leggere, per dir cosi , che, il meglio ch'io seppi ,
mi diedi a comporre la mia Mirtilla, favola boschereccia , che si fece vedere
nel teatro del mondo molto male in assetto , per colpa di proprio sapere (io
nol nego ), ma per mancamento ancora di altrui cortesia » .
(3) A Parigi esercitando l'arte comica col marito , fu ricolma di lodi e di
onori , “ trionfando ” , come dice il suo biografo, « eziandio della nazionale ri
valità » .
( 4) La loda grandemente il Crescimbeni perchè esercitò l'arte con castita
somma e con costumi innocentissimi . Merito i litoli di decoro delle muse ed
ornamento de' teatri. Torquato Tasso ed il cavaliere Marini scrissero de ' versi
in suo onore . Nella iscrizione in bronzo che fu posta sul suo sepolcro è detto :
Di gran virti fornita — D'onestà ornamento Di marital pudicizia decoro
- Di labbro faconda, di mente feconda Religiosa , pia , amica alle muse
- E della scenica arte capo , ecc .
382 GIACOMA ANTONIA VERONESE CARLOTTA MARCHIONNI

Camilla, ovvero Giacoma Antonia Veronese , nacque in Venezia


nel 1735 , di padre comico. Non ebbe la grande celebrità dell' An
dreini, perchè non congiungeva in sè tutte le belle qualità di lei ;
ma non per questo dev'essere dimenticata, come quella che sino da
fanciulla esercitò l'arte paterna non solamente con molta, anzi gran .
dissima lode, ma eziandio con costumi, meglio che commendevoli,
esemplari. Non ebbe da contentare un pubblico poco intelligente o
facile alle lodi , non visse in una città dove i piaceri mancassero
d'oceasioni e d'attrattive e dove la virtù di giovane e bella donna
corresse pochi rischi ; avvegnachè ancora bambina fu condotta in
Francia, e visse e si fece ammirare e stimare dai Parigini. Di nove
anni esordiva , come altre sue pari, in un balletto ; ma con tanta
grazia e maestria da ottenere, come dicono le memorie di quel tempo,
un prodigioso successo (1) . Dodicenne, cioè nel luglio del 1747, me
ritavasi anco maggiori applausi come attrice nelle Due sorelle ri
vali, e nella graziosa commedia I ritratti. Aveva naturalezza e sen
sibilità di attrice perfetta. Mori a Parigi nel 1768.
Carlotta Marchionni, nata in Pescia, nel 1798 , fu gloria vera del
teatro italiano. Non può dirsi che, passando lei di questa vita, tutto
di lei siasi perduto ; perocchè alla sua scuola si formarono altre va
lentissime artiste, che anche presentemente onorano l'Italia. Le altre 1
per avventura le andarono innanzi, ma ella ha certamente il merito
d'essersi posta e d' averle poste sul vero cammino . L'arte con fa
scino irresistibile la trasse a sè fanciulla, anzi bambina . Seguendo i
diari di quel tempo e i giudizi di scrittori autorevoli , così di lei il
Regli : « Era appena in sui due anni quando i suoi genitori, comme
dianti di professione, la condussero per la prima volta al teatro ; e
tale fu l'impressione che n'ebbe che, tornata a casa, si fece a con
traffare davanti ad uno specchio le cose vedute. Fanciulla venne
educata dalle Orsoline di Verona, ma il mutato albergo e i diversi
esercizi non cambiarono punto quelle naturali sue inclinazioni ; anzi,
colta un di dalla direttrice e dalle compagne a recitare dinanzi una
statua di sant'Orsola, elleno ben lungi dal fargliene rimbrotto o dal
pigliarne scandalo , le furono dattorno perchè nelle ore di ricreazione
volesse per amor loro ripetere quella scena. L'accorta madre, ve
duto come dal silenzio del chiostro balzasse fuori quel suo genio
drammatico, non istimò d'avversarla , e, toltala di là, avviolla nella
carriera teatrale. Or nell'una or nell'altra compagnia prese ella a
far da paggetto ; assunse poi le parti di seconda donna, sinchè, al
(1 ) E il Regli : A lei fu debitrice la commedia italiana della voga de' suoi
balli figurati. Suo padre sosteneva le parti di Pantalone .
ADELAIDE RISTORI 383
l'età di quattordici anni, fu ricevuta come prima attrice nella com
pagnia Pani. Nei teatri di Milano, Torino, Bologna, ecc., fu salutata
come una delle più grandi attrici del secolo. La Marchionai erasi
formata un'alta e vera idea dell' arte sua : essa riguardavala come
un ajuto e un supplemento all'invenzione del poeta e all'opera dello
scrittore ; epperciò , o le parti ch'ella dovea sostenere erano con
maestria colorite, ed ella , internandosi nel concetto dell'autore , vi
dava l'ultima mano, o si dilungavano troppo da quella verità , da
quel calore, da quel moto che si richiede nelle situazioni dramma
tiche, ed allora vi lavorava ella d'ingegno e di cuore per recarle alla
perfezione » . Mori sessagenaria. Le vennero erette lapidi e busti mar
morei, coniate medaglie e dedicati componimenti poetici (1).
Adelaide Ristori, celebre artista dramınatica, ebbe i natali in Ci
vidale del Friuli nel 1821. Commedianti, aggregati alla compagnia
Cavicchi, furono i suoi genitori. La natura, che si compiace di ral
legrare di quando in quando l'arida solitudine degli immensi de
serti con oasi e l'asprezza delle rupi con fiorellini ed erbe aroma

( 1) Il prof . Giuseppe Barbieri , lodandola in vita, scriveva : E cor ti diè na


tura alto e profondo A gustar degnamente i grandi affetti. La Marchionni
avrà ella riso di queste misure del cuore che darebbero all'anima il senti
mento del bello ? Del resto si poteva aggiungere anche la larghezza, trattan
dosi di grandi affetti.
Quando la Marchionni recitava in Padova venne celebrata coi seguenti persi :
Come puoi , del cuor sirena, Se ti struggi dall'affanno,
Tante forme rivestir Teco ognun piange cosi
E portar incendio o piena Che non crede un finto inganno
Or di gioje or di sospir? Quanto vide e quanto udi.
L'armonia di mille affetti E agli accenti che tu tempri
Chi l'insegna ad alternar, Mestamente alla pietà ,
E , discorde in tutti i petti , I più rigidi distempri
Tutte l'anime inondar ? D'ineffabil voluttà.
Or crudele e faribonda , Ah ! se puoi negli atti e in viso
Or amabile e gentil , Accordar gioja e dolore,
Come avvien che ti risponda Se destar sa il pianto e il riso
Nuovo sempre il raro stil ? Quel tuo labbro e quel luo cor,
Chè , ove l'ira e il terror finge, Certo un dio, donna sublime,
Il tuo fremito tal é , In te parla e ti educo ,
Ch'ogni volto si dipinge Se quell'arte tutto esprime,
Dell'orror che spira in le . Tutto vince e tutto può .
Il ritratto della Marchionni è premesso all'opuscolo di Poesie varie dette
nel solenne convito di commiato offerto alla somma attrice italiana Car
lotta Marchionni dalla compagnia drammatica al servizio di S. S. R. M. il
di 24 febbrajo 1840. Torino, tip . Baglione .
Negli sciolti di G. B. Gottardi , che si leggono in quelle Poesie :
Giovin eri ta pur, ma il nome tuo
Vecchio era fatto, e ti segnava ognuno
Qual miracolo d'arte e di patura.
384 ADELAIDE RISTORI

tiche, pose appunto la Ristori in mezzo a quella compagnia, che era


una di quelle accozzaglie di gente nomade che va di città in città,
traendo una vita di avventure e rinnovando troppo spesso gli epi
sodi del Romanzo comico dello Scarron (1) . Quegli attori , per non
dire artigiani, come mai avrebbero potuto sospettare di avere tra
essi nella Ristori bambina la futura emula della Rachel ? Per farne
in ogni parte un'artista perfetta la natura accordavale non solo bel
lezza di volto e grazia della persona, ma intelligenza e quel senti
mento del bello che sa potentemente esplicarsi, comunicarsi, imporsi
altrui , e che gli artisti chiamano anima. Bambina di due mesi si
mostrò per la prima volta sulle scene adagiata in un cestello, nella
commediola intitolata il Regalo del capo d' anno. Era una presenta -
zione, secondo il rito antico, al tempio dell'Arte : alla quale offeri
vasi la gentile creaturina, fin d'allora e per sempre dedicandosi alle
speranze, ai dolori, alle gare ed alla gloria dell'Arte medesima. Per
il pubblico poi era una vera strenna, un bel regalo del capo d'anno;;
e migliore non potea farsene in un tempo; in cui la prepotenza stra
niera non faceva lecite all'Italia altre glorie od altre conquiste che
quelle delle arti belle. Cinquenne appena, la Ristori cominciò a re
citare in quelle parti che appellano ingenuissime, e a dodici anni
nelle amorose ; ma allora fortuna, per lei non cieca , non bizzarra ,
non ingiusta , l'avea già tratta dalle compagnie di gente che tutto
avea da imparare e nulla da insegnare, ed aggiuntala a quella del
famoso Giuseppe Moncalvo. All' arte ella dava di sè sino d'allora
grandi speranze; e quell'egregio artista, che in eminente grado pos
sedeva la vera vis comica , la educò alla commedia ; alla scuola poi
della Marchionni ella perfezionossi nel dramma e nella tragedia. Ma
prima di far parte della compagnia sarda, nella quale primeggiava
la Marchionni, ella interpretò con potenza di poesia e d'affetto la
Francesca da Rimini di Silvio Pellico e fecesi ammirare in un com
ponimento drammatico tradotto dal francese , dato per sua benefi
ciata e intitolato I due fantasmi. Ella compiva il suo quindicesimo
anno quando, dato un addio a' teatri diurni e secondarî, e rompen
dola affatto coi capricci e col cattivo gusto di quel pubblico che non
li frequenta se non quando sono a suo modo, si arrolò tra gli ar
tisti del re di Sardegna, diretti dal capo -comico Gaetano Bazzi. Quivi ,
fortunata e degna di tanta fortuna, trovò in quell' uomo l'affezione
d'un padre e l'intelligenza abile del migliore capo-comico di quei 1

tempi, e pella Marchionni le lezioni di un'eccellente maestra e gli


esempi di una grande artista. Molti e molti altri ebbero gli stessi
( 1 ) A. Curti e F. Regli.
PIANISTE E VIOLINISTE 385
sussidi ‫و‬, ma non l'ingegno della Ristori , ma non il suo merito : e
non solo fu degna scolara, ma alla sua volta superò gli stessi suoi
maestri. Tale è il giudizio di tutta Europa (1 ).
L'arte de' suoni non ha certamente la bontà e l'importanza mo.
rale della drammatica : ella non eccita per sè stessa all'amore della
virtù e all' odio del vizio ; ella non può adempiere che metà del
programma che l'arte drammatica , bene intesa , ha comune colla
letteratura, non può cioè servire egualmente bene e direttamente al
bello ed al buono , deve accontentarsi del bello ; ma nondimeno
dobbiamo riconoscere in essa grandi e peculiari meriti, e noverarla
fra le grand’arti ispiratrici. Se le è negato di farvi il massimo de'
beni, non vi farà però il massimo de' mali : se non vi educherà il
cuore e la mente, ella per altro non ve li trarrà a perdizione come
possono fare le lettere e le arti imitative della scena. Non è materia ,
è spirito, è spirito solo, che ha regni a sè, commozioni e delizie pro
prie. La sirena, non perchè dotata di dolcissimo canto giungeva ad
ammaliare ed a perdere i marinari , ma sì perchè aveva ancora
sembianze di bella femmina .
Nel tempo passato e nel nostro, non poche donne ebbero celebrità

( 1 ) Il Vapereau nel suo Dizionario degli illustri contemporanei: „ Potente


e raro è il talento della Ristori , ma senza analogia con quello della Rachel .
L'altrice italiana ha altrettanta vivacità ed espansione quanta concentrazione
e profondità aveva l'artista francese. Al suo esordire mostrò particolarmente
quella simpatica sensibilità che gl’Italiani chiamano affetto . Ditata soprat
Tutto d'ingegno versatile, ella può passare nella medesima sera del dramma
dalla commedia e dalla tragedia alla farsa » .
La Milli , ne'suoi improvvisi Ad Adelaide Ristori ( Poesie , Firenze, Le Mon
nier ) :
Donna , che, all'arduo culmine Da lungi sol mi appresero
Di tua bell'arte ascesa , Mille vergate carte ,
Di quanti li precessero Che te regina appellano
Tanto maggior sei resa, E nuovo onor dell'arte ,
Quanto per luce vivida • Che finti case e favole
Maggior d'ogni astro è il sol ; Pingendo è scuola al ver » .
A le, di cui si splendido
Il grido intorno suona , Di trionfali plausi
Poichè sul crin t'intrecciano Ti fea Lotez'a omaggio ;
Doppia gentil corona O che rendessi l'inclita
Le dee che il socco e il tragico Sembianza e il pio coraggio
Colurno t’impartir. Della S ! üarda , vittima
Di femminil livor ;
Te non vid’io, la magica O che pingessi amabile
Del gesto tuo potenza, Donna che scherza e piace
L'accento irresistibile , Del veneziano Plauto
La sovrumana ardenza Interprete verace ;
Del guardo tuo che affascina O Sofonisba intrepida
E gioja infonde e duol, Che a Roma insulta e muor.

23
BERLAN . Le fanciulle celebri .
386 MARIA BRIZZI GIORGI

nell'arte de' suoni , alcune pure fanciulle. Noi non parleremo che
>

della Giorgi, delle sorelle Milanollo e delle sorelle Ferni.


Miglior elogio non potrebbe farsi di quello che in morte della pia
nista Maria Brizzi-Giorgi dettò il Giordani : perocchè egli la consi
derò e la celebrò come donna, come cittadina e come artista. Tali
qualità la facevano ben degna di essere lodata dall' ornata parola
d'un uomo illustre. Ma noi non possiamo dar pregio alle nostre
carte che con una piccola parte di quella lode. « Quando » , scrive il
Giordani (1) , « altre morti appena sogliono avere privato pianto, que
sta fu di lutto comune ; e, laddove il nome dei più suole col cada
vere insieme seppellirsi, il nome di Maria Giorgi , bella , ingegnosa,
amabile, di bontà sincera , da quanti in Bologna e fuori nella sua
fine si dolsono ricordato , lungamente vivrà.... Alla fama precorse
di buon' ora un privilegio notabile della natura : la quale , a grado
eminente nella musica destinando costei, donolle temperamento di
complessione e di spirito a quella perfezione abilissimo, o sortille di
nascere da una famiglia che da quest' arte avesse vanto e fortuna...
Di lei presto apparve a quanto dovesse riuscire : chè, fanciulletta di
nove anni, fu con molto stupore ascoltata pubblicamente sonare ; ed
aveva pur dodici anni quando le suore di san Bartolomeo in An
cona la domandarono a regolare la musica del monastero. Dopo tre 1

anni ritornata , fu appresso altrettanti data a marito; e di averla


meritò Luigi Giorgi. Nella quale giovinezza e libertà era pericolo
che i più facili piaceri seducendo vincessero l'amore dell'arte ; la
quale appena con fatiche lunghe si guadagna. Ma l'indole buona e
il sano accorgimento prevalse .... In quel fiore di cosi freschissima
bellezza, la Giorgi, nel frastuono delle novità lusinghevoli di quel
tempo, non per tanto dimenticò di quale ingegno colla natura e con
sè medesima avesse debito ; e, stimando l'avvenenza , comunque si
ambita, esser caso, volle poter esser lodata di cosa la quale conte
nesse alcuna parte di virtù. Seguitò studiosamente nella sua musica ;
e con virile animo non ispaventossi , nè per quattro anni si stanco
d'imparare il contrappunto, sapendo che all' invidiato ma fuggitivo
pregio del corpo aggiungeva ornamento non meno caro e più du
rabile. Avea voce e animo per ottener lode parimente rara nel canto :
ma, il dilicato petto non sostenendo la fatica , sperò ed ebbe pure
eccellenza di fama dal re. La quale si acquistò on solamente
per agilità di mano , destrissima ad appianare le difficoltà , in che
l'arte a' di nostri ( forse troppo ambiziosamente) si compiace ; ma per
iscienza profonda, cui non possono dare impaccio le malagevolezze
( 1 ) Nell'Elogio recitato nel dicembre del 1812 nell'Accademia Filarmonica
di Bologna .
LE SORELLE MILANOLLO 387

onde il mezzano sapere si tarda o si spaventa » . Di musica divenne


.

la Giorgi peritissima , e ci rimangono molte sue composizioni, non


come di donna ma come di artista lodate. « Bello » , esclama lo stesso
Giordani, « bello a vedere fu per due anni l'armata gioventù bolo
gnese muoversi a passi militari colla musica d'una bella giovane
di vent'anni ; bello a udire che la musica di lei salutasse le prime
prodezze della milizia italiana (1) » .
Un ammiratore delle sorelle Milanollo, violiniste piemontesi (2), nel
suo entusiasmo ricorreva alla mitologia ed alla Bibbia. Immaginatevi,
egli diceva, due di que' geni, di quei cherubini a cui i poeti pon
gono in mano la cetra e l'alloro sul capo, e forse vi avvicinerete a
siffatti portenti . Ed in vero chi le ha udite , chi ha potuto bearsi
delle soavi ed angeliche melodie che cavavano dal violino, non trova
nè troppa esagerazione nè troppa enfasi in tale elogio. Bisogna in
gegnarsi di surgere da terra per parlare di ciò che par venuto dal
cielo. A Teresa , alla maggior sorella , bastò un a solo di violino ,
.

udito nella chiesa del suo paese natale , per innamorarla della mu
sica : que' suoni furono un invito all'anima sua di destarsi, di spa.
ziare per gl'immensi campi dell'armonia , pe' quali ella era stata
creata. Ed appena entratavi , ne indovinò e ne scorse i più riposti
secreti. Ad otto o nove anni, sonando in pubblico , strappava gli ap
plausi anche alle anime più sorde. Ed alla sua scuola si formò la
sorella ; ed angeli appajati, tra breve camminarono insieme più liete
e più sicure, e poi si avvezzarono a sfere più sublimi. E come ne'
loro suoni, così era celestiale armonia ne' voleri di queste due anime.
Nelle loro musicali peregrinazioni in Italia, nella Francia, nel Belgio
e nella Germania, Teresa e Maria non dissero mai : Oh come siamo
giunte a grande altezzal ora possiamo fermarci ; chè tale è già la
distanza che ci separa dalla comune degli artisti, e tanto siamo in
nanzi che nessuno potrà più giudicare se continuiamo ad andare o
se stiam ferme: ma, in quella vece, si esortarono sempre l'una
l' altra ad innalzarsi vieppiù, e diventar sempre più perfette. Ma la
infelice Teresa di ventun anno era arrestata nel suo glorioso cam

(1 ) Nella dedicatoria dell'Elogio della Giorgi al conte Ferdinando Marescal


chi , in nome degli editori è detto che l'orazione del Giordani , « deducendo
l'encomio di quell'amabil donna dal suo valore in una pregiatissima arte , di
mostra come la Giorgi adornò colla musica la sua bellezza, adornò i costumi,
si compose la fortuna ; perciò che , facendosi graziosa ai signori , dalla bene .
volenza loro, acquisto facoltà per esercitare il suo pietoso desiderio di gio
vare chiunque fosse in bisogno e farsi amica a lutti : di che divenne tanto
cara all'universale , che viva e morta fa con raro esempio amata ed onorata.
Così l'elogio della Giorgi ci riesce veramente un encomio dell'arte, che fu
orima radice ad ogni suo merito, ad ogni suo bene ,
(2) Nacquero in Savigliano di Piemonte , Teresa nel 1827, Maria nel 1832.
388 LE SORELLE FERNI

mino ( 1). La simpatica Teresa era, si può dire, più spirito che materia,
e spirito mesto soavemente ; ma la morte non vide che l' eleganti
forme, e volle la propria preda. La sorella Maria, continuò, angelo
solitario, la sua via, e coll'impetuoso ed ardente suo ingegno non la
sciatasi piegare dalla sventura, trasse dallo stesso dolore nuova forza.
Eccovi due altre fanciulle a cui pareva che il bisogno avesse or
dinato di rader terra. Ma solo le anime volgari dal bisogno si la
sciano comandare ed arrestare. Trovato sul loro cammino questo
mostro , che per le sue qualità può ben dirsi ippogrifo o centauro ,
e visto che si proponeva di barricar loro la strada , le fanciulle di
cui ora vogliamo parlare, gli saltarono prestamente in groppa e, co
mandate, gli comandarono alla loro volta di condurle molto avanti,
di portarle molto alto. Elle sono le sorelle Ferni (2) , che si dedica
rono all'arte nei giorni delle più dure necessità , ed anzichè com
passione, destarono entusiasmo co' suoni che ancora fanciulle trae
vano dal violino. Primi ad applaudire a' loro talenti non furono i
grandi maestri di musica , ma il popolo , da cui erano uscite ; e i
>

primi applausi non furono loro dati in grandi ed eleganti teatri, ma


all'aprico . E ad affrettare i lor progressi valse grandemente l'emu
lazione, posciachè udirono a Ginevra le Milanollo. Si schiuse allora
innanzi ad esse un mondo nuovo di armonie, e videro ciò che loro
mancava per raggiungere il sublime, per esser perfette. Onde con
diligente e continuo studio educarono il sentimento del bello, nè le
lodi a cui eran fatte segno le illusero fino a credere di sapere ab
bastanza , ma invece le stimolarono a studiar sempre più. Solo a
questa condizione si può sperare di giungere all'eccellenza in un'arte
qualunque sia. E non bastò ad esse il sentimento, ma lo educarono,
lo perfezionarono collo studio, e riuscirono. Perchè poi il Campido
glio non dispensa più allori, e l'Italia fa più conto delle corone che
sono presentate dallo straniero , le Ferni , dopo viaggiato l'Italia, il
Belgio, la Svizzera e l'Olanda , cercarono in Francia il loro batte
simo di gloria e lo ebbero dalla Senna. Nelle lunghe e diverse loro
peregrinazioni onorarono l'arte, sè stesse e la patria. Chi le udi dice
( 1 ) La Teresa Milanollo vuol essere riguardata e lodata anche qual compo
sitrice di musica . Così di lei il Regli , nel Dizionario degli artisti : « Teresa
aveva sortito un ingegno privilegiato , l'ingegno più grande, più profondo più
nobile , più individuale ed originale che abbiano mai registrato i fasti della
musica ; ella brillo precipoamente nell'adagio , nel canto largo, vibrante, ele
giaco, Maria era dotata di maggior facilità, di maggior impeto , di maggior
brio, di maggior ardore . Teresa era elegantemente chiamata Madamigella
Adagio o Madamigella Elegin ; Maria era detta Madamigella Staccato o Tre
molo » .
(2 ) Virginia e Carolina , oriunde di Como, in Lombardia. La Carolina è pure
cantante di vaglia . La Virginia nacque nel 1840, la Carolina due anni dopo.
Vedi il Regli , Dizionario degli artisti.
LE CANTANTI E LE DANZATRICI 389

che « Virginia è la dolcezza e la tenerezza che geme, la melanconia


che piange e sospira ; Carolina, l'ardore della passione, l'energia , il
calore, la fantasia, la vigoria e il fuoco del cielo d'Italia, come sua
sorella n'è la voluttà seducente , la grazia tenera o insinuante. La
sua vena poetica comprende e fa comprendere la lingua universale
del violino, e comincia a sentire quel santo amore dell'arte, quella
passione di cui Pigmalione ardeva per la sua statua. Virginia invece
rappresenta la scuola classica. In poche parole : Virginia è lo stile
personificato, la correttezza, il sentimento squisito. Carolina s'ispira
al capriccio senza freno, è la forza indomabile e febbrile. L'una è
l'angelo del suo istrumento, l'altra il demonio » .
Per la grande efficacia che hanno le arti del canto e della danza
a produrre il diletto, cantanti e ballerini furono, se mal non ci ap
poniamo , chiamati per antonomasia virtuosi. In ciò i cultori delle
predette due arti non hanno colpa ; ma piuttosto il mondo ,> il quale
per tal modo fa vedere le sue ignobili aspirazioni e come nel pia
cere dai più si riponga quaggiù il fine delle azioni e delle fatiche.
Ed a questo modo cantanti e ballerini continuano ad appellarsi, a mal
grado delle proteste di que' vecchi barbassori che sono i vocabola
risti, i quali vorrebbero riserbata una tal voce a indicare soltanto
coloro che hanno l'animo disposto a fare il bene ed a fuggire il
male. « Virtuoso ! virtuoso ! » esclamano essi : « questa parola do
vrebbe usarsi per esprimere persona dotata di molta virtù o che
cagiona virtù : or invece, guardate tempi e costumi ! virtuoso si dice
comunemente a persona dotta nella musica de' teatri e nel ballo o
simile ; ed in questo significato s'usa per lo più in forza di sostan
tivo, ma è pessimo abuso di nobile parola » . Gli è però un gridare
al deserto : ed anche se non fosse vero che questa parola ha la ra
gione di essere nella generale disposizione degli animi , resterebbe
però sempre vero che le lingue hanno i loro capricci e le parole la
loro fortuna.
La voce che s'eleva e s'inflette con modulazione sopra differenti
toni ed i piedi che si muovono secondo il misurato tempo dell'armo
nia non sono certo i più potenti ad ispirarci al bello morale ; i piedi
in ispecie, che battono ordinariamente tale strada che non è quella
che mena dritto dritto alla virtù : con tutto ciò non bisogna lasciarsi
andare a sentenze troppo generali e ad esagerazioni ed effondersi
in declamazioni contro due arti che pur sono noverate fra le belle.
Chè il bello col buono può mettersi in intime relazioni (1 ), In molti
( 1 ) La celebre cantante Banfi, cremonese , canticchiava ancor giovinetta in
un caffè di Parigi nel 1778. Ebbe fama di costumi onestissini , tanto da essere
chiamata la virtuosa del secoli. Mori nel 1806 .
390 CATALANI TACCHINARDI ALBONI

e bellissimi quadri si vede le beate virtù dei santi più austeri starsi
fra canti e suoni angelici : e Davide ballava pure dinanzi all' arca.
Noi siam fortunati perchè, dovendo parlare di note e di salti , ci >

viene innanzi una schiera eletta non di donne ma di fanciulle , le


quali almeno per l'età, non c'è pericolo che nella opera serio - buffa
o nella pantomima danzante della vita facciano note o passi falsi.
Elle non hanno che le grazie innocenti dell' età e i rari doni della
benigna natura ; il mondo le guarda, ma ancora le ammira da lunge,
e non per anco si è accostato ad esse per attossicarle pure col pro
prio soffio .
Angelica Catalani, nata in Senigallia nel 1783, venne educata sino
quasi a' quindici anni nel monastero di Gubbio , ov'ella colle sante
vergini scioglieva i divoti inni a Dio. Tanto soave era la sua voce
che, quando nel coro della chiesa cantava, i fedeli, inebriati, illusi
e trasportati da quella canora delizia, facevano rimbombare il tem
pio d'applausi. Pareva un angelo che a pregare si fosse meschiato
con gli uomini. Eppure non udivasi che la voce di lei , tolto agli
occhi di vedere l'avvenenza della sua personal Anche abbandonato
il chiostro, ella conservò nel mondo i suoi puri costumi, che fecero
spiccare maggiormente le splendide doti che in lei avea poste na
tura (1) .
Francesca ( Fapny) Tacchipardi, moglie al compositore di musica
Giuseppe Persiani , ebbe i natali in Roma nel 1818. A quattordici
anni non ancora compiti esordiva a Livorno nella Francesca da
Rimini. Mirabili furono quelle prime sue prove e decisero della sua
vocazione. Aveva voce di soprano molto esteso, che non abbracciava
meno di due ottave e mezzo. Fecesi notare particolarmente per una
flessibilità di voce invero straordinaria che permettevale le fioriture
più ardite. Al suo talento confaceva meglio l'opera elegiaca di quello
che le parti tragiche.
Marietta Alboni , di Forli , ora contessa Pepoli , nacque nel 1824.
Tra coloro che la sorressero ne' suoi studi con suggerimenti e con
( 1 ) La Maria Garcia-Malibran , francese per nascita , spagnuola per genitori ,
italiana per educazione artistica ( n . 1808 ; m . 1836) di soli anni quattro com
parve nel teatro detto i Fiorentini a Napoli , ed ivi sciolse la prima volta la
voce con coraggio senza esempio e con un esito sorprendente. Erano suoi
compagni, nell'opera del maestro Paër la Nina , gli artisti Chabran, Monelli ,
Casacello e Pellegrini per cinquanta sere di seguito .... Essendo di un tempe
ramento vivo assai , quantunque ancora bambina, suo padre, onde tenerla
nel freno necessario , imaginó un castigo , e la volle stretta le mani e piedi
da una catena di carla colla minaccia di ucciderla nel caso ch'ella si mo
vesse ; al qual rigore, quantunque vivace , ella rispose con tutta l'obbedienza ,
non arrischiando ji romperla ( Cenni Biografici di mad. Maria Malibran. Ve
nezia, Molinari , 1835).
ADELINA PATTI MARIA TAGLIONI 391
sigli fu il grande Rossini. Cantò la prima volta, giovinetta di sedici
anni appena, nel teatro comunale di Bologna ; poi alla Scala di Mi
lano. Di lei , come di tante altre egregie cultrici dell'arte del canto,
può dirsi ch' ebbe non solo le voci, ma anche le noci : perocchè al
suono della sua voce, che ottiene effetti meravigliosi senza sforzo e
quasi per giuoco, le cadde sempre in grembo una pioggia d'oro. In
una stagione, come gli artisti chiamano uno o due mesi di lavoro,
cantanti e ballerini fanno ricolti e vendemmie quali i letterati d'I
talia, anche più famosi, non osano sperar di conseguire neppure la
vorando per un mezzo secolo . Quelle sì le sono stagioni benedette,
in terra promessa , senza grandine e senza crittogama l « Ma sarebbero
bene stolte le giovani se credessero essere a tutte le artiste serbato
tanto . Bisogna essere eccellentissime e fortunate. E a dissipare af
fatto le dannose illusioni, diano un'occhiata al popolo ed alla plebe
delle artiste di teatro. Quanti amari disinganni , quanta poveraglia
vergognosa ! Sopra un'artista ricca ed onorata , a migliaja le me
schine ed avvilite. Rarissime finiscono i loro giorni in palagi dorati
o in luoghi di delizie in riva ai laghi , moltissime invece , sfiatate ,
sfiaccolate, allo spedale.
Adelina Patti è una delle più precoci artiste ; figlia di padre sici
liano e di madre romana, cantanti, nacque a Madrid e, bambina, fu
portata da essi in America. Fino dalla infanzia mostrò meravigliosa
attitudine alla musica ; onde si può dire che imparasse prima a can
tare che a parlare : di ott'anni cominciò a farsi udire pubblicamente
in concerti , di tredici anni cantò in un'opera ; per lo che ebbe ce
lebrità prima in America che in Europa. Come di nuova stella ful
gidissima fu il suo apparire in Inghilterra, in Germania, nel Belgio,
in Francia ed in Ispagna. Ella in breve divenne celebre anche in
Europa per la soavità della voce , per la meravigliosa sua agilità e
per uno squisito sentimento d'artista , non avendo chi la superasse
>

nella Sonnambula , nella Lucia , nel Barbiere, nel Don Giovanni.


Bellini, Donizetti , Rossini , Mozart non avrebbero potuto desiderare
> >

migliore interprete della Patti.


Maria Taglioni vide la luce in Stoccolma nel 1809. Karsten , suo
avo materno, era il Talma della Svezia. Le fu padre il milanese Fi
lippo Taglioni , che dirigeva le danze al teatro reale di Stoccolma.
Nel 1822, chiamato a Vienna come primo ballerino e coreografo, vi
presentò la figliuola , ancora fanciullina , in un balletto da lui com
posto espressamente per lei e intitolato : Réception d'une jeune nym
phe au temple de Terpsichore. Ed ella fu subito trovata una cara
ninfa per la sua grazia e leggerezza. Un suo ammiratore scriveva
di lei : « Ciò che rende inimitabile la Taglioni è quella leggerezza
392 FRANCESCA CERRITO

eterea, quel fluido indefinibile che appartiene a lei sola : ella vi av


volge in un'atmosfera poetica ; è un'ombra dell'Ossian, un fiore mosso
dolcemente dai zefiri, un' idealità, un sogno fantastico, eppur reale.
Le altre danzano materialmente , terrenamente, se cosi può dire ;
laddove Maria resterà il tipo della danza celeste con tutto ciò che
ha di vaporoso e di poetico (1) » . Ma ella dovette i suoi trionfi ar
tistici e , ciò che è più , la stima del mondo in gran parte eziandio
alla coltura dello spirito ed a quelle amabili doti che facevano sti
mare altamente il suo carattere. L'originalità dell'ingegno coman
dava l'ammirazione, e le belle qualità dell'animo la stima (2).
Francesca (Fanny) Cerrito, nacque a Napoli nel 1821. Fanciullina
brillava per grazia e vivacità naturali. Quattordicenne esordi sulle
scene del san Carlo nel balletto intitolato l' Oroscopo, eccitando , più
che ammirazione , entusiasmo. La chiamavano la quarta Grazia.
L'Italia, la Germania, l'Inghilterra e la Francia misero a' suoi piedi
copia d'oro lavorato e monetato e l'incenso de' loro encomi. « A
Roma » , scrive il Regli , « il fiore della nobiltà >, a cui non era le
cito di occuparsi di cose più serie , la donò d'una corona d'oro
tempestata di pietre preziose , del valore di venticinque mila fran
chi. A Firenze Ibrahim pascià, fattele per mezzo del suo interprete
le proprie congratulazioni in modo orientale, le propose di seguirlo
in Egitto. La Cerrito, che aveva molto spirito, quantunque ballerina,
e che sapeva di essere avvenente , gli rispose che stavale troppo a
cuore di mostrare il suo viso per recarsi in un paese in cui è alle
donne vietato di comparire in pubblico se non interamente velate » .
« Per questo poco importa , le disse Ibrahim pascià ; farò
un'eccezione per voi e chiamerovvi la sultana dai begli occhi » .
« Ma ho paura del mare, e morrei nel tragitto » . « Chi ha delle
( 1 ) Un poeta francese scriveva sull'albo della Taglioni che da Parigi andava
ai teatri di Berlino :
Poichè seguirti non c'è dato , o silfide,
Poichè partir tu vuoi ,
Oh ! dietro all'ombra tua cosi non correre ,
Lascia almen quella a noi !
Proprio come il cane della favola , che voleva anche l'ombra della carne.
( 2) Fu scritto di lei ; La Taglioni non è solamente nostra per diritto pa :
terno , ma ella è artista italiana per l'indole della sua danza , per la calma
soave delle sue pose . Questo è il carattere principale dell'arte nostra, che
non subordina sè stessa all'effetto, e l'ottiene più sicuro quanto meno sacri.
fica a quello . L'artista italiano, sia pittore , scultore , poeta o musico le noi
aggiungeremo, o letterato) produce quasi spontaneamente l'opera sua, come
il fiore spande il suo profumo , come l'usignolo i melanconici accordi. Ed
anche allora che il pensiero matara l'idea, ed escono alla luce quei capola
vori che sfidano il tempo , e sui quali altre nazioni meditano e apprendono ,
l'artificio non apparisce al di fuori , come voleva il Tasso, quando cantava :
L'arte, che tutto fa , nulla si scopre",
PROPERZIA DE' ROSSI 393

ali, come voi, non ha nulla a temere dagli elementi : l'aria è il vostro
regno, ed io sarò il vostro suddito » . La sua danza era piena di fa
scino e di poesia ; il suo ingegno precipuamente splendeva per gra
zia, leggerezza e spontaneità. Danzava come la rondine vola e come
la gazzella salta, perchè natura avevala creata per danzare (1) » .
( 1) È degna di menzione anche la Carolina Rosati , bolognese, nata nel 1827,
che nel 1836 esordi a Firenze , raffigurando Amore fanciullo , in un ballo mi
tologico .

Autori consultati : Abrantés ( D' ), Albano Avogadro L., Andreini I , Ata


nagi , Barbieri G. , Boccaccio, Caro, Carrer, Chiabrera, Crescimbeni . Donne ile
lustri d'Italia. Gesta delle donne utili ai popoli. – Giordani , Levati ,
Milli , Regli , Ridolfi C. , Rovani, Tasso 1., Vapereau, Vasari , Zanotti, ecc .

PROPERZIA DE' ROSSI.


Versi di Giannina Milli.

Se del valor femmineo Nè già del facil cantico


Alcun trofeo ne mostra Farò quell'una io segno ;
Ogni cittade , ogni umile Ma te, gentil Properzia ,
Terra d'Italia nostra , Te di bellezza e ingegno
Ove dell'arti il genio Nel patrio suol ' miracolo ,
La sede sua fermò; Gemendo invocherò .
Tu sovra tutte , o Félsina , Nei dì che giunta al culmine
Dritto hai di girne altera ; Del suo vigor, del bello ,
Chè dal tuo sen di nobili Per man di Michelangelo ,
Donne un'illustre schiera Per man di Raffaello ,
Ad emular la gloria L'arte soltanto d'itali
Del viril sesso uscì. Lauri si ornava il crin ;
Nè sol di miti studi E Roma e Flora empivano
Le figlie tue far paghe ; Il mondo di portenti ,
Udîr le genti attonite Tu , fisa a quei magnanimi
Donne severe e vaghe Stupor di tutte genti ,
Astrusi veri ed ardui Non di sconforto e dubbio
Dal pergamo dettar. Tremar sentisti il cor ;
Perfin dell'anatomico Ma con viril proposito
Coltello apparve armata L'arduo scalpel stringesti ,
Una ; ma ohimėl fuggirono E vere e vive immagini
Certo , alla vista ingrata , Dai marmi tuoi traesti ,
Da lei le ingenue Grazie, Onde onorata Félsina
Che han verecondo il cor. Con Roma e Flora andò.
39 PROPERZIA DE' ROSSI
Alto correa per l'itale Miseral ah quel tuo gemito
Il tuo nome intanto, Per te risponde assai !...
E l'arte che in te crescere Ah ! se la forza vincere
Vedeasi un novo vanto , D'un folle amor non sai ,
Già tra i più degni e splendidi Se del dover dimentica
Nomi il volea segnar ; Svelarlo ardisti un dì ,
Ma ohimėl che, mentre il plauso Piangi sul tuo delirio ,
Per te crescea repente , Ma la ripulsa onesta
Tu , fatta scarna e pallida , Non render , no , nel candido
Col crin sparso , e languente Marmo , ch'eterno resta ,
L'occhio , ove pria si vivido Del pio garzon che l'empia
Degli astri era il balen, Sposa d'altrui fuggi.
Nell'affilata e candida Iddio perdona ai strazi
Man lo scalpel reggevi, D'un combattuto core ;
Ma spesso stanca , immobile Ma il mondo no , che irridere
Jananzi rimanevi Suole a spregiato amore ,
All'opra eccelsa ed ultima E in suon beffardo ai flebili
Che ardevi ansia compir. Lagni risponder suol.
Perchè , perchè di lagrime Ma tu soccombi , o povera ,
Quei freddi marmi inondi ?... D'amore al rio veleno !...
Ahl d'improvviso tremito Sia pace a te , Properzia , >

Ti scuoti e non rispondi , Pace nell'urna almeno !


Mentre in vivace porpora Se acerbo troppo il súbito
Si cangia il tuo pallor. Carme sono per te ,
Perdona ! adoro Italia ,
La gloria sua vagheggio ;
E , quando un lampo estinguerne
Miseramente io veggio ,
Piango , ma il pianto al biasimo
Sgorga commisto ognor !

IL TINTORETTO CHE RITRAE LA SUA FIGLIUOLA MORTA .


Versi di Giannina Milli.

Ah ! vorrei l'immortale pennello


Che famoso rendea Tintoretto ;
Vorrei pinger sul funebre letto
La figliuola del sommo pittor.
Vorrei pinger lui stesso allorquando ,
Delle faci funeree al chiarore ,
La contempla nel cupo dolore
Che parole , che pianto non ha .
IL TINTORETTO CHE RITRAE LA SUA FIGLIUOLA MORTA 395
Cinta ancor della candida vesta
Che indossava nel dì che fu sposa ,
Bianca , fredda, la faccia vezzosa
Che l'ingegno animava e l'amor ;
Come in placido sonno raccolta ,
Fra le mani serrando la croce ,
Par che aspetti a destarsi la voce
Cui dagli anni primieri obbedi.
Tal la mira ; ed illuso un istante
A baciarla egli curvasi anelo ,
Ma al toccar quella fronte di gelo
Balza indietro , ricolmo d'orror....
Ahi ! ben tosto di mano crudele
Fin dagli occhi paterni sottratta ,
Quella cara sembianza disfatta
Della tomba nel gelo sarà !
Ed ei ch' ebbe a eternare di tante
Le fattezze col divo pennello,
Soffrirà che distrugga l'avello
Di sua figlia la rara beltà ? ! ...
Ah ! nol puote l... a una nitida tela
Ei distende la destra tremante ;
Dell'angelico immoto sembiante
Gli stupendi contorni segnò.
Quello è il fronte , è ben quello il suo crine ,
L'atteggiar della vaga persona ;
Odi , quasi l'accento sprigiona
Dalla bocca dischiusa al sospir.
Ma quegli occhil... Ahil quegli occhi velati
Più l'antico linguaggio non hanno ;
Mentre addoppian del padre l'affanno ,
Più non posson l'artista ispirar.
Ve'ch'ei sosta , il pennello abbandona ,
Il riprende , alfin lungi lo scaglia ;
Quale oh quale tremenda battaglia
Di quel misero rugge nel cor !
L'ideal de' suoi vaghi dipinti ,
Di sua gloria la erede e seguace ,
L'angel suo di speranza e di pace ,
Il sostegno de' tardi suoi di ;
396 IL TINTORETTO CHE RITRAE LA SUA FIGLIUOLA MORTA
Tutto ell'era per esso , e perduto
Seco ha tutto che al mondo il legava;
Ahi ! la morte che a lui la strappava
Perchè seco rapito non l'ha ?
Al blasfema esecrando la bocca
Quasi schiude insensato e feroce....
Ma , la figlia mirando e la croce
Che , morendo , si strinse sul cor ,
Cade al suol genuflesso e prorompe :
« Deh perdona a un demente , o Signore !
Tu mi desti quest'angel di amore ,
Tu mel togli e il riponi nel ciel !
Io mi acqueto al giudizio tremendo
Che i miei falli quaggiuso han mertato ...
Ma quel volto , oh quel volto adorato
Dammi forza, o Signore, a ritrar !
Fra i portenti che ammira l'estrano
In quest'itale piagge leggiadre,
Fia portento l'immago che un padre
Della estinta sua figlia compi.
E a colei che a te presso si allieta
Più .felice parrà la sua sorte ,
Se pel duol che mi costa sua morte
Può di un vanto la patria arricchir » .

IN MORTE DI IRENE DA SPILIMBERGO.

I.

Morte si lagna , che , troncar pensando


Lo stame della bella e casta Irene ,
Lei già , senz'aspettar sue dure pene ,
Vede girsene al ciel lieta volando.
Si lagna il Tempo , che dove girando ,
Sepolti in Lete gli altri nomi tiene ,
La mira che immortal fatta ne viene ,
Più ad alto ognora il bel volo spiegando .
Nè meno il Mondo si lamenta e duole
Che al Paradiso ancor farsi simile
Sol per costei non poca speme avea.
IN MORTE DI IRENE DA SPILIMBERGO 397
Sola fra dèi li godi , alma gentile , 9

Teco spoglie portando altere e sole ,


Il Mondo, il Tempo vinto e Morte rea.

II.

Quella che contemplando al ciel solea


Poggiar si spesso con la mente altera ,
Onde a noi col pennel mostrò quant'era
Di perfetta beltà nella sua idea ;
E col cantar pura , celeste dea
Sembrando , facea fede della vera
Angelica armonia che in alta spera
Si cria , membrando il bel che l'alma bea ;
Poscia che le bellezze ebbe gustate
Ben mille volte dell'eterno amante ,
Quanto più gustar puote alma ben nata ,
Disse sdegnando: – A che più la beata
Sede lascio, per girne al mondo errante ?
Così fermossi in quel felice stato.
LUCIA ALBANA ( 1 ).

LODOVICO DOLCE A TIZIANO.

Pon , Tizian , ogni maggior tua cura ,


Ed unisci i color , l’arte e l'ingegno
Per ritrar viva in vivo almo disegno
Lei che ne tolse morte acerba e dura :
Chè , come non formò giammai natura
Cosa più bella in questo basso regno ;
Così il soggetto è solamente degno
Della tua man , ch’i più famosi oscura.
Rappresenta il divin celeste aspetto,
L'oro , le rose e il terso avorio bianco,
E splendan gli occhi suoi veri e non finti:
Chè non pur vincerai que' ch' hai qui vinti ,
Ma di quanti lavor facesti unquanco
Questo sarà il più raro e più perfetto.
( 1 ) Lucia Albana di Bergamo , maritata Avogadro di Brescia , fiori verso
il 1560.
398 IN LODE D' ISABELLA ANDREINI

IN LODE D'ISABELLA ANDREINI .


Sonetto .

Quando v'ordiva il prezioso velo


L'alma natura e le mortali spoglie ,
Il bel cogliea , si come fior si coglie ,
Togliendo gemme in terra e lumi in cielo :
E spargea fresche rose in vivo gelo ,
Che l'aura e 'l sol mai non disperde o scioglie ,
E quanti odori l'Oriente accoglie ;
E , perchè non v'asconda invidia o zelo ,
Ella , che fece il bel sembiante in prima ,
Poscia il nome formò ch'i vostri onori
Porti, e rimbombi , e sol bellezza esprima.
Felici l'alme , e fortunati i cuori
Ove con lettre d'oro amor l'imprima
Nell'imagine vostra , e'n cui si adori.
TORQUATO TASSO.

GABRIELLO CHIABRERA ALL'ANDREINI .

Sonetto.

Nel giorno che sublime in bassi manti


Isabella imitava alto furore ,
E stolta con angelici sembianti
Ebbe del senno altrui gloria maggiore ;
Allor saggia tra 'l suon , saggia tra i canti ,
Non mosse piè che non scorgesse Amore ,
Nè voce aprì che non creasse amanti ,
Nè riso fe' che non beasse un core.
Chi fu quel giorno a rimirar felice
Di tutt'altro quaggiù cesse il desio ,
Chè sua vita per sempre ebbe serena.
Oh di scena dolcissima sirena !
Oh di tëatri italici fenice !
Oh tra' coturni insuperabil Clio !
ISABELLA ANDREINI AL CHIABRERA
399

ISABELLA ANDREINI AL CHIABRERA .


Sonetto .

La tua gran musa or chè non può ? quand'ella


Me stolta fa dell'altrui senno altera
Vittrice ; ond'è ch'ogni più dotta schiera
Furor insano alto saver appella .
Queste mie spoglie , il canto , la favella,
Il riso e 'l moto spiran grazie , e , vera
Fatta (per sua mercè) d'Amor guerriera,
Avendo mille ai cor faci quadrella.
Ma s'ella tanto con lo stile adorno
Ha forza , in me col suo valor accenda
Foco onde gloria ne sfavilli intorno .
Per lei mio carme a nobil fama ascenda ,
Chiabrera illustre , ed avverrà che un giorno
Degno cambio di rime anch'io ti renda .
LE LETTERATE E LE POETESSE.

LETTERE .

Carlo alle cugine Cecilia , Angelica ed Ernestina.


I. Passi, con licenza de' superiori , che siamo noi , la dura parola
che avete detto di Napoleone I. Vi si accorda, in vista del suo ma
trimonio con l'austriaca e del trattato di Campoformio , che fu la
controdote, vi si accorda , diciamo , che lo chiamate soldataccio tre
volte . Affermare che la donna più utile alla società è quella che dà
più figliuoli alla caserma. Ma questo è proprio linguaggio degno
d'un bano della Croazia e delle beccherie militari ! Almeno egli
avesse detto che le donne più benemerite della società sono quelle
che meglio educano i loro figliuoli! Ma se, care cugine, conveniamo
in una cosa con voi , non siamo però d'accordo in tutte , e nella
vostra ultima lettera vi sono cose che non possono reggere. Non
dite male del Giusti ; e pensateci ben bene, pensateci tre volte prima
di disapprovare gli ottimi consigli ch'egli dà alla sua nipotina in
particolare ed alle donne in generale, affinchè si attengano all' ago
ed al ferro da calze, piuttosto che imbrattarsi le dita di quell' atro
umore, che si chiama inchiostro, per fare discorsetti e sonettucci (1 ) .
(1 ) Gius. Giusti a Guglielmina Nencini , sua nipote , che, bimba ancora , gli
scriveva la lettera del capo d'anno , rispondeva cosi :
Nipote, nipote ! Voi cominciate troppo presto a raspare colla penna. Che ?
Volete andare sulle pedate del signor zio ? Badate, la penna è un certo arnese
che quanto più si sa tener in mano e più scotta. Tenetevi all’ago e al ferro
da calze , che sono arnesi che non danno noja a nessuno .... » .
E nella chiusa : « State bene e, se siete quella fanciulla di garbo come ho
in testa che dobbiate essere , smettete d'insudiciarvi le dita con quella brutta
cosa che si chiama inchiostro, e da suddita obbediente e morigerata impa
rate a fare la calza » .
Il medesimo Giusti nell'Illustrazione dei proverbi toscani : « La donna è
nata per le cose di casa , l'uomo per quelle di fuori ; ognuno stia al suo posto :
le liti di supremazia fra i calzoni e la gonnella son liti di cenci , lili da fan . ?
tocci, indegne di noi.... Fu fatta una lunga litania di poetesse, ecc., ecc.: e , .
buttandola in faccia agli avversari, fu gridato : Dite ora che l'Italia è al di
sotto degli oltramontani anche riguardo alle donne. E cos' hanno a fare i
versi e le prose con una buona fanciulla , con una buona madre di famiglia ?
LETTERATE E POETESSE 401
Voi già sapete le mie idee sulla missione della donna. E con istima
ed affetto non mi resta per ora che salutarvi .
II. Ah non lo capite il latino ? Ebbene , ve lo spiegheremo noi.
Non si vuole che gareggiate coll'uomo in far le letterate e le poe
tesse di professione, e ciò per centomila buone ragioni. E la prima
si è che anche all'uomo s'è già detto a lettere di scatola : Non sap
piamo che farci di voi , se non v'occupate meglio. Ma voi repli
cherete : Non può egli l'uomo ed anche la donna essere utile alla
società dedicandosi alle lettere ? Chi vi dice di no ? Ma perchè
egli raggiunga questo scopo, a ' giorni che corrono, a questi lumi di
luna , ci vogliono , care signorine , troppe cose, le quali ben pochi
>

hanno. Letteratura ? Ma essa, bene intesa e come debbe intendersi,


comprende tutte le arti e tutte le scienze e n'è , per così dire , la
quintessenza. Poesia ? ma, come dice il suo vocabolo , essa è crea
zione ! Ora dove sono codesti creatori , e che cosa mai creano a’
giorni nostri ? Omero e Dante erano i maestri de' loro tempi, i fat
tori della civiltà di quelli. E più che indietreggiamo, e più troviamo
in testa alla processione del progresso un poeta, un vate, un indo
vino, un preparatore cioè di tempi migliori , che in sè concentrava
tutto il sapere. Ma ora, ma ora ?... La capite adesso ? E vi par egli

Quando dall' Alpi all'ullima punta della Sicilia non s'incontrasse altro che
Mase , Muse anco le lavandaje, potremmo dire d'aver donne migliori delle ol
tramontane ? Dio ce ne liberii lo credo che la donna italiana , anco com'è,
abbia poco o nulla da invidiare alle forestiere , ma in ogni caso qui non si
tratta neppure di saper leggere , ma di sapere essere prima figlie , poi madri
e spose , e per questo sono più necessari i ferri da calze che l'alfabeto ....
Che importa che onorino la cosidetta repubblica delle lettere , che arricchiscano
le biblioteche, se disonorano o impoveriscono il marito ? Se per aver saputo
lisciare un sonnettuccio, non si degnano di pulire i figlioli, se a conto di un
diploma di Arcadia ti mettono il diavolo per la casa ? Sappiano infilare le
rime se la natura ce l'ha chiamate, ma non cessino d'infilar l'ago : e, delle
due, meglio l'ago che le rime.
» Il biasimo nel quale incorrerebbe quel padre di famiglia che , invece di
badare ai suoi beni , stesse chiuso nel suo stanzino a belare delle canzoni ( fosa
sero anco all ' Italia ) è comune alle versificatrici abili a tavolino, monche alla
calla . Ecco (gridano ) il solito orgoglio, le solite tirannie , le gelosie solite di
questi uomini ! Vogliono arrogarsi tutto , toglierci tutto, essere tutto e noi nulla.
No , l'impero delle cose gentili , degli affetti soavi, è vostro, e nessuno VA
To loglie . Dio stesso intese ad innalzare nel nostro cuore il trono della vostra
potenza quando vi formò della costa d'Adamo . Che credete voi che sia mi .
gliore, la bravura o la bontà ? Eh tenete conto di questa , che è pace beata
dell'animo, e lasciate a chi la pretende l'altra , piena di gravi sollecitudini .
Dov'è al mondo una cosa più bella, più commovente , più solenne , d'una sposa
iutta occupata nella cura dei figli e delle più minule faccende di casa ; o d'un
marito che non muove passo che non sia in pro della famiglia , non ha pen
siero che lo svii dalle persone partecipi delle cose e dell'essere suo ? Venga
il poeta , il filosofo solitario a vantare le sue glorie ! glorie grandi senza dub
bio, ma di luce pallida e sbiadita a petto al raggio sereno che mandano le
domestiche virtù n.
BERLAN . Le fanciulle celebri . 26
402 LETTERATE E POETESSE

che una donna possa fare ciò che è negato all' immensa maggio
ranza degli uomini ? Se aveste di queste idee, comunicatecele , svi >

luppatecele, di grazia, perchè abbiam voglia di ridere. E siamo sem


pre il medesimo vostro cugino affettuosissimo.
III. — Siete proprio ostinate, e i discorsi dell'aja servono senz'altro
a mantenervi nella vostra testardaggine. Perchè ella pizzica di let
teratura, pare siasi fissa in capo di fare di voi delle professoresse e
delle dottoresse in lettere e sillabe. A che pro poi ? Non per umi
liarla, ma mi dica un po' la signora : che cosa l'è valuto il suo pro
fessar lettere ? e che cosa è giovato a suo marito, e che cosa fruttó
e frutta a tanti altri ? Non vi basta di avere in famiglia una vit
tima della detta letteratura in questo vostro devotissimo ed ossequio
sissimo cugino scrivente ? Egli non ha potuto co'suoi studi giungere
certamente a fare una seconda Divina Commedia e nemmeno un'A .
minta, ma, se pur si trovasse a tant'altezza, il mondo non gliene
avrebbe la più piccola gratitudine. Chi sa ? forse i posteri dopo sei .
cento anni dalla sua nascita , nel suo sesto centenario. Ma ciò che
intanto è reale ed esistente e urgente e doloroso e miserabile si è
la condizione fatta a' letterati ed a' poeti, che della loro arte hanno
bisogno di far un mestiere. Sono essi indipendenti ? Peggio che peggio.
Non vogliono far parte di consorterie ? Ma allora bisogna che por
tino pazienza se sono derisi, umiliati e perseguitati. Oh non invidiate,
inconsapevoli o malaccorte, agli uomini letterati le illusioni, i livori,
le ignobili guerricciuole e la miseria! Avreste voi la forza e la po
destà di reagire ? Oh ! uscite , uscite , voi che siete fiori gentili , da
>

questo campo d'ortiche.


IV. - Ora cominciate a far giudizio. Visto e considerato che, a di
ventar eccellentissime poetesse e letterate di professione, ci vuol molto ;
visto e considerato che, anco eccellentissime, c'è più risico di dan
neggiar sè, che probabilità di essere accette ed utili all'universale ;
visto e considerato, per altra parte, che le lettere sono un grande
ornamento dell'animo, voi, chiamati a capitolo tutti i vostri buoni
pensieri , avete deliberato per la quale deliberazione vi diamo
lode – di attendere alla letteratura, non per piantarvi come dotto
resse dell'umanità e come sibille del progresso , ma per esornarvi
l'animo e per farla servire come mezzo di educazione. Non sarà ,
dite, la nostra professione, ma una delle principali condizioni della
nostra professione o uno dei più veraci ornamenti del nostro stato .
Ob adesso ci siamo ! Adesso sì vi battiam le mani e gridiamo : Brave !
Si, questa è la vostra missione ; la missione appunto di educare , e
di educare non solo i fanciulli, ma anche gli uomini . Attendete voi
all'istruzione pubblica o privata ? Ecco le lettere che sono di ciò
LETTERATE E POETESSE 403

una condizione necessaria; istruite le giovinette e i giovanetti afli


dati alle vostre cure. Siete invece in buono stato di fortuna, che vi
oiſra l'occasione frequente di conversare cogli uomini? Ecco le let
tere che rendono varia , animata , piacevole , profittevole , la vostra
conversazione. Credetecelo , che i letterati italiani dei secoli passati
poca utilità trassero dai libri delle signore poetesse e letterate dei
loro tempi , ma molta dalla conversazione di quelle. L'uomo non
solo v’imparava quella facilità di parola, che a lui manca ordina
riamente, ma apprendeva eziandio a giudicare bene le cose proprie
e le altrui, perocchè la donna colta aveva parlato , la donna che a
ricevere le impressioni del bello o del brutto ha fibre più pronte e
delicate. Bis ! domandiamo il bis , la seconda lettura della vostra
deliberazione; e perchè a noi piace e perchè onora voi . E questa
volta, non un semplice addio, ma un bacio in fronte, puro , puris .
simo, all'inglese e, ciò ch'è più, alla distanza di trenta miglia.
V. - Ma se la natura ci avesse create perfetti usignuoli , e noi
cantassimo senza quasi accorgerci ? dite voi. Ma che dubbi, ma che
obbiezioni son queste ? Se la natura v'ha fåtto usignuoli o merli ,
cantate alla buon'ora. Quando la natura è quella che dà l'impulso,
non si domanda parere o consiglio ad alcuno per seguirla : la si ob
bedisce. Se siete Saffo (1), toccate pure la cetra, andate pure di città
in città a farvi ammirare ed applaudire ; ma nelle vostre peregrina
zioni, nel vostro montare e discendere, guardatevi bene del salto di
Leucade.
-

VI. - Passo dal noi all'io, perchè voglio farmi più umano con voi.
Capisco, capisco che non parlavate per voi stesse, le quali non am
bite d' essere che buone massaje e brave donne di famiglia ; e l'a
vevo già indovinato che tutte le vostre domande, dubitazioni ed ob
biezioni erano per una terza persona, cioè per quella benedetta fi
gliuola della portipaja, che crede di poter mandare a spasso il giu -
dizio perchè ha un po' d'ingegno. Dove si va a cacciar l'ira , cioè
z fisime letterariel nella figlia della portinaja. Disgustata , non so
perchè, della scuola magistrale, ella s'è fitta in capo d' essere una
Sand, e invece di far la calzetta, invece di soccorrere la sua povera
madre e di aver cura dei fratellini , sta assidua lavorando intorno
ad un romanzo alla Cooper. Che mare vide io non so , a che peri
coli ed a che fatti navali ell'assistesse io ignoro : a Bergamo, di cui
è nativa, non è ancora giunto il mare : e casa vostra non ha nè laghi,
nè canali, ed appena appena c'è il pozzo. Non dico che in ogni con
( 1 ) Saffo, celebre poetessa lisica di Eresso , città dell'isola di Lesbo , che
.

inventò il carme da lei appellato saffico, dal promontorio di Leucade gittossi


in mare per disperazione d'amore .
404 LETTERATE E POETESSE

dizione non si abbia il diritto , anzi il dovere di tentare ogni via


per migliorar la propria sorte, ma bisogna sapere scegliere i mezzi.
Con la testa stravolta da quelle chimere e tutta piena d'un mondo -
immaginario e nuova affatto al mondo reale, chi sa quante tenta
zioni e quante delusioni l'aspettano ? Oh ! se l'amate , se vi sta a
cuore il suo bene, se non volete che queste stolte fisime la traggano
piano piano, ma infallantemente, nella via delle amarezze , dello in
fortunio e della perdizione , richiamatela a sè con tutti i migliori
modi che sono in poter vostro. Povera illusal povera cieca ! Essa
non farà un romanzo, ma sì la sua vita sarà un romanzo e di que'
più tristi, di quelli che non si leggono, cioè a cui non si bada, per
chè l'eroina, cioè la vittima, è una oscura donna del popolo. Mi par
di vederla ne' suoi primi passi, quando, tutta piena di sè e credendo
che basti quel suo po' d'ingegno per essere indipendente, ella pre
senterassi in mezzo alla società , sdegnando o non curando o non
sapendo blandire, adulare, servire le altrui passioni ! Per primizie
ella avrà i titoli di pazza , di goffa , di presuntuosa ; e qualunque
sfacciatella si crederà in diritto di ridere e di malignare sui fatti
suoi. E questo non è che il prologo : il peggio verrà dopo. Santi
numi ! Romanziera ? Ma s' ella sente d'avere dell'anima e dell'in
gegno, non li sprechi, e non si sprechi così , ma consacri sè stessa
a beneficio dell'educazione. Sento che ella non fa altro che citare
le grandi letterate e le grandi poetesse che fiorirono in altri tempi ;
ma poichè conosce,così bene la storia letteraria, non dovrebbe igno
rare che ne' passati tempi non solo fiorirono , ma fruttificarono anche
delle donne non meno illustri, le quali, con lode de' buoni, attesero
alla gran bisogna dell'educazione, disdegnando i sonettucci, le can
zonette e le altre filastrocche in prosa o in versi (1 ). La vostra Ar
(1 ) Dalla fine del secolo XVII alla metà del XIX molte donne pubblicarono
libri di educazione . Tra queste : l'Orsola Benincasa di Napoli , l'Elisabetta Ca.
miner-Turra di Venezia, l'Augusta Piccolomini-Petra - Vastogirardi, la Costanza
Scouti - Sanvitale di Parma , la Maria Petrocini- Perretti di Firenze , la Maria
Fulvi- Bertocchi , la Cecilia Barbỏ da Soncin-Carburi di Padova , la Orintia
Romagnoli - Sacrati, la Maria Emilia Casella di Firenze, la Isabella Fantastici
Kiriaki di Firenze, l'Antonietta Ferroni -Tommasini , la Flavia Frangipani di
Udine, la Rachele Mantica - Raspi di Milano , una Mattei , che scrisse un di
scorso sull'Educazione che si deve alle donne, l' Anna Mels di Udine, l'An
gela Merici di Desenzano , la Bianca Milesi-Mojon , l' Anna Pepoli -Sampieri di
Bologna , la Luigia Petazzi- Piola di Milano, ecc . ecc.
Dobbiamo retribuire di pienissima lode , e ringraziare in nome della patria ,
le gentili signore che danno opera all'ottimo giornale di educazione e d'istru
zione di Genova intitolato : La donna e la famiglia. Fra le collaboratrici di esso
( e quali diedero, e quali promisero lavori).già notammo la Rosina Muzio
Salvo, la Giulia M. Colombino, la Caterina FranceschiFerrucci, l'Amalia Pa
ladini, la Caterina Percoto , la Marianna Giarré , la Luigia Codemo-Gester
brandt, l'Olimpia Savio Rossi , la Felicita Morandi , l'Erminia Fuà-Fusinato ,
LETTERATE E POETESSE 405

cadia, o donne, debb' essere la casa, e non un'Arcadia che insegni


a voi ed a noi a belare in cadenza, ma ad esser buoni cittadini. Una
volta gli uomini s'occupavano d'alchimia , e le donne di freddure
poetiche e letterarie ; ma ora è passato quel tempo si per gli uomini
che per le femmine. Volete gloria di letterate? Abbiatevi quella di edu
catrici : le Bortolotti-Ghedini, le Codemo, le Percoto, le Bentivoglio,
valgono bene un battaglione di ridicole preziose petrarchesche ! A
quelle benemerite farei tanto di cappello, a queste disutilacce porrei
invece tanto di conocchia in mano. E colla testa scoperta in segno
di riverenza m' inchino anche a voi, mie buone e care cugine.
VII . Chi non la intende e chi non la vuole intendere; e voi siete
nel numero di questi ultimi, e cercate di mettermi in contraddizione
con me stesso , perciocchè , ammettendo l'opportunità delle donne
scienziate , escludo quasi affatto quella delle letterate e delle poe
tesse. Ma siete voi che confondete la parte col tutto, il cerchio con
uno de' suoi raggi , l'ora col secolo. V'ho pur detto in che senso
>

io usi e i più usino la parola letteratura, e come ciascuna scienza


non sia che un piccolo ramo di questo grand'albero. L'avete ca
pita adesso, o fate ancora le indiane ?
VIII . - In un museo di Parigi, se non mi fa sbaglio la memoria ,
vidi, anni sono, una completa raccolta di paracqua disposti crono
logicamente , cioè ordinati in modo da mostrare le successive mo
dificazioni a cui andò soggetto questo necessario, ma incomodissimo
arnese. Mi ricordo che tra ’ visitatori qualcuno del popolo alla vista
di quelle anticaglie di tela incerata, non si stava dal ripetere : « Oh
le belle reliquie ! che se ne fa di questa roba ? Meritava essa di ve
nire conservata e qui raccolta ? » . Ma gli fu replicato : « Caro mio ,
questa serie di ombrelli serve benissimo alla storia di tale ramo di
industria » . Lo stesso io dico a voi, non a proposito di ombrelli, ma
di quelle raccolte di prose e poesie che si scrissero da donne dal
secolo XIII in poi ; sebbene quelle prose e poesie siano state di un'
utilità forse più problematica e più controversa di quella dei sud
detti paracqua. La storia letteraria del nostro paese non ha potuto
ricusarsi di far memoria di esse ; e questo è quanto.
IX. E chiedete a meuna nota, un catalogo delle donne che nella
loro infanzia o giovinezza ebbero celebrità nelle lettere ? Adagio :
se volete delle disquisizioni e dei trattati come quelli che lo zio vi
mandava a mezzo della Cecilia, care mie, vi siete rivolte a un santo
la Felicita Pozzoli , la Luisa Grace-Bartolini, la Vittoria Mazzi-Mochi , l'Ange
lica B. Pali , l'Agata Sofia Sassernò, la Marianna Coffa -Caruso , la Laura Di
gerini-Nuti , la Concettina Ramondetta Fileti , l'Anna Mander-Cecchetti , la
Francesca Zambusi-Dal Lago, l'Eva Catermolle, la Teresa Bernardi , l'Antonietta
dal Copolo -Mestre, ecc.
406 LETTERATE E POETESSE

che non vi farà il miracolo. Chè è il solito delle signore di chieder


poco per aver molto. Se però vi accontentate di nomi e date, un po'
per volta e un po' per lettera vi servirò della buona voglia. Fin
gete dunque di accostar il naso e gli occhi ad una lente del mondo
nuovo ; ed io vi mostrerò, diviso in più tavole , l'una dopo l'altra,
il firmamento letterario femminile co' suoi soli, colle sue lune, colle
sue stelle erranti e fisse, colle sue comete e co' suoi areoliti. Se i
pianeti e gli astri non vi paressero così grandi e lucenti come ve
gli aveva dipinti la fantasia, datene pure la colpa a me, a questo
Alfesibeo ,> che quando
Alza la verga bruna
Fa pallida la luna
E pien di granchi il mar (1).
X. - Va da sè che le prime nominate siano le antiche, le romane.
Da' sepolcri di Roma dobbiamo muovere per arrivare a Roma, vale
a dire ch'è duopo inspirarci alle vetuste glorie di quella gran città
per tornare all'antica grandezza. Fino da' suoi tempi il Petrarca, to
scano, aveva chiamato Roma il nostro capo (2). La schiera delle donne
romane, letterate e poetesse, che vi presentiamo , o cugine amatis
sime, componesi di Cornificia, di Sempronia , d'Ortensia , d'Argen
taria Pola , di Calpurnia, di Sulpizia ; e chi conduce la brigata è la
Cornelia , madre de'Gracchi. Non badate che sieno commiste gio
vani a vecchie , e non v'incresca di vedere nella loro guida una
vostra antica conoscenza. Costei non era certamente la donna più
utile secondo il cuore del primo Napoleone, che voleva carne e
molta carne da cannone, piuttostochè giovani educati alla libertà e
che potessero essere d'imbarazzo alla tirannide. Ed ella viene fra
le letterate per la sua grande eloquenza. « Il bel parlare delle ma
dri » , dice il Domenichi , a ciascuno impara : e quell'eloquenza che
negli oratori regoa fu prima dalle donne insegnata. Cornelia romana
fece i suoi figliuoli, chiamati Gneo e Cajo, della famiglia de'Gracchi,
tanto eloquenti ch'essi voltavano il popolo dove a loro pareva. » Ma
ravigliose nell'arte del dire furono pure Tulliola, Sempronia ed Or
tensia. La prima fu figliuola di quel lume d'eloquenza , che ebbe
nome M. Tullio Cicerone; e se non s' ecclissò affatto al confronto
del padre , bisogna pur dire che ben più che comune fosse il suo
merito. La seconda poi, cioè Sempronia, dotta nelle lettere latine e
nelle greche, versatissima nella poesia, a era ornata di tanto e cosi
( 1 ) I primi tre versi sono d'un'anacreontica del Vittorelli e dipingono la
polenza del mago, non la sua attitudine a togliere bellezza alle cose.
( 2 ) Nella canzone a Cola da Rienzo .
LETTERATE E POETESSE 407
elegante parlare che, volendo , poteva persuadere modestia , incitar
riso, eccitar morbidezza e asprezza , e , quello ch'è più , fu di cosi
dolce costume nel parlare, che, ragionasse di ciò che volesse , por
geva agli ascoltanti una dolcezza e soavità molto eletta » . Parlar
molto e persuader la modestia a voi, care cuginette mie , deve pa
rere un gran miracolo ; ed anch ' io stenterei a crederlo , se non ci
fosse di mezzo l'autorità del Boccaccio. Segnate dunque questa Sem
pronia col carbon bianco ed aggiungete al suo nome l'appellativo
di romana , come fanno gli storici , per distinguerla da quell'altra
sua omonima, figliuola di Tito Sempronio Gracco , la quale fu tipo
di ferma volontà e di non capricciosa ostinatezza (1). E d’Ortensia
chi non parla, chi non la loda per la sua veemente e mirabile fa
condia ? Andale a perorare dinanzi a' triumviri , affinchè le donne
fossero liberate da certo grave carico pecuniario che pareva loro
insopportabile, non solo ottenne una gran diminuzione di quello, ma
lasciò attoniti e stupefatti tutti coloro che la udirono , ai quali pa
reva ch'ella fosse trasmutata in maschio , o che Quinto Ortensio ,
padre di lei e grande oratore , fosse tornato in vita. « Oh ! le
donne hanno molta scioltezza di lingua : e non è poi gran mira
colo che riescano eccellentissime nell'arte oratoria ! » Così forse
potrebbe dirvi taluno, ottime cugine; ma , a chi vi facesse si im
pertinente osservazione, vi prego di rispondere che appunto il mi
racolo grande quasi incredibile sta in ciò di parlar molto senza
dire delle sciocchezze. Com'è rara la facondia non iscompagnata
dalla logica ! Non ho la fede di nascita di nessuna delle sullodate
signore romane ; mi duole quindi di non poter verificare la loro età.
Ma ciò che non potrebbesi revocare in dubbio senza appiccare il
fuoco alle biblioteche, si è la gran dottrina di Sulpizia, perocchè è
attestata da molti gravi autori ; la quale Sulpizia , buona cittadina
e buona poetessa, con bei versi eroici deplorò i tempi di Domiziano
imperatore, e non solo per l'ingegno e per l'erudizione, ma sì an
cora per la rara semplicità della sua virtù meritò gli elogi di quel
terribile balestratore di epigrammi che fu Marziale. Ed Argentaria
Pola, moglie del poeta Lucano , e Calpurnia , moglie di Plinio Se
condo, dove le lascio io ? Ebbero ambedue tanto ingegno, buon gusto
e sapere da compiere alcuni lavori poetici o letterari dei loro ma
riti ; la prima in ispecie, che scrisse inoltre elegantissimi epigrammi.
Finora non vi ho parlato di letterate giovinette, ma lo farò ora : il
dolce sta in fondo. E lo zucchero viene a galla : eccovi Cornificia,
( 1 ) Il Boccaccio : - Sono alcuni che vogliono costei essere stata così ostia
nata che non avrebbe voluto , se le fosse stalo dato potere , alcuna cosa ese
sersi fatta oltre il suo volere, e che, facendosi, desia va di vendicarla n.
403 LETTERATE E POETESSE

veramente giovinetta, se non le fa la corte il Domenichi (1), la quale


a' tempi dell'imperatore Ottaviano Augusto fu poetessa non meno
eccellente e famosa di Cornificio suo fratello. A' giorni di san Giro
Jamo, gli epigrammi di lei erano in gran pregio ; ella tanto risplen
dette di dottrina poetica, dice il Boccaccio, che fu giudicata nodrita
non di latte italiano ma di bevanda castalia. La quale , se non sa.
pete, è bibita eccellente, forse un'acqua minerale, gasosa o jodurata,
o solforata, o magnesiaca , o ferruginosa ,> come quelle di Recoaro ,
ma per fatalità non se ne conoscono i principi, non se ne fece l'a
nalisi chimica , e, peggio ancora , s'è perduta l'acqua stessa e con
l'acqua anche la ricetta.
XI . Prima che torniate a porre gli occhi alla lente del mondo
nuovo, ho bisogno che vi dichiariate persuase e convinte d'una ve
rità, anzi di due, anzi di tre, anzi di molte insieme. Credete voi che
sia poca cosa educare la nuova generazione ? Credete voi che la sia
missione poco importante ed onorevole ? Voi nol credete , anzi con
molto buon criterio dite sempre il contrario. Ebbene, noi uomini si
vuole che voi donne non abbiate altro scopo nè altra ambizione
che questa : la quale poi si traduce nel merito sommo di essere le
vere madri della patria, di non partorire solamente dei figliuoli, ma
di farne anche de' buoni cittadini. Se la è così, che bisogno avete
di mettervi in lizza cogli uomini, concorrendo a far maggiore la fa
lange degli illusi, degli afflitti e dei malcontenti ? Che bisogno c'è
che vi logoriate la vita in istudi che hanno fatto il loro tempo e
che la società poco o nulla apprezza e ricompensa ? Un'altra con
siderazione, care cugine: finora, cioè fino a quest'ultimo lustro, la
gioventù per abitudini di mollezza e d'inerzia era debole , fiacca ;
eravamo, diciamolo pure, mezzo uomini, e questi mezzo uomini, al
lampanati per improfittevoli studi, se non autorizzavano la frase del
Lamartine, essere Italia la terra dei morti, avrebbero però fatta le
cita quest' altra espressione, che noi, gente studiosa, eravamo un po
polo di malaticci. Ora gli uomini si fortificano cogli esercizi ginna
stici , colle armi e in altri modi ; e la crescente generazione pro
mette già bene di sè. I nostri figliuoli non saranno giganti, ma per
quanto le viti di questa nostra terra promessa siano per dare grap
poli immensi, non avverrà mai che occorraño due dei nostri figliuoli
per portarne uno. Or, mentre gli uomini si fortificano, perchè le
donne vorrebbero indebolirsi, assottigliarsi le forze e la salute? Noi
abbiamo non solamente bisogno che ci diate de' bravi marmocchi,
ma anche de' validi e robusti figliuoli. Capite dunque che, se si viene

( 1 ) Domenichi , La nobiltà delle donne.


LETTERATE E POETESSE 409
a pigliarvi per una manina ed a togliervi dal tavolo e dai rimati
scartafacci, non è già perchè si voglia strapparvi una corona , ma
perchè si ama la vostra salute, e nella vostra salute le generazioni
avvenire. Noi non vinceremo i nemici della nostra indipendenza e
unità nazionale con giambi, fossero pur quelli d'Archiloco (1), ma con
buoni soldati, armati di buoni fucili. Siete ora contente , cuginette
dolcissime ?
XII. Perchè vediate che non sono vani pregiudizi, ovvero misere
invidie, quelle che ci muovono a desiderare che coltiviate le lettere
e la poesia solamente per ornarvi l'animo e non per farne una pro
fessione, e perchè vi convinciate che i buoni uomini vorrebbero ve
dere onorato ed esaltato il merito delle donne meglio ancora di
quello che ora è, io farò una istanza, un memoriale, una petizione,
tutto ciò che vorrete voi, affinchè il ministro dell'istruzione pubblica
onori col nome di alcuna tra le illustri letterate e poetesse italiane
le scuole superiori femminili ed i collegi reali delle fanciulle . E gli
dirò : Illustrissimo, non parlo per me, non fate orecchie di mer
cante : perchè avete voi eseguite le cose a metà ? Il genere umano
non si compone forse di maschi e di femmine ? E perchè non avete
pensato che ad onorare i soli maschi illustri ? Non avete madre, non
avete sorelle, non avete sposa , non avete figliuole ? Pensate anche
alle donne celebri : fate codesti matrimonî mistici della civiltà ; li re
clama la giustizia distributiva. Parini e Beccaria senza un po' di
donnetta s'annojano ; date per compagne a questi due bravi signori
la Maria Gaetana Agnesi e la Domitilla Trivulzi. Che della grazia ,
se non sarete sordo, ecc. ) . Posso fare di più per mostrarvi il mio
buono , e diciamolo pure , cortese animo verso di voi e del vostro
sesso, care cugine ?
XIII . Il passato è passato ; il che vuol dire che non torna e
non deve tornare più ; possiamo quindi senza scrupolo e senza pe
ricolo lodare i meriti letterari e poetici di quelle donne che vissero
prima di noi, aspettando però di celebrare quelle del nostro tempo
per qualche cosa di meglio . Allora non v'era una patria da fare ;
allora il mondo credevasi come una sfera armillare che sta ferma
sopra un piedistallo ; allora l'idea dell'individuo prevaleva a quella
dell'umanità : si poteva quindi senza troppo biasimo baloccarsi. Per
la maggior parte delle letterate o poetesse erano un grande affare
le cose d'amore : le loro poesie, le loro lettere, i loro componimenti,
in generale , si limitavano a trattare di quel cieco fanciullo alato ,
della sua benda, delle sue frecce e della sua mamma. Per tal modo
( 1 ) Poeta di Paros ai tempi di Romolo ; era ne'suoi versi cosi mordace che
in Isparta era proibito di leggerli .
410 NINA SICILIANA

gli affetti privati si usurpavano carattere ed importanza di avveni


menti pubblici. Ma ora chi venisse a contare in pubblico i suoi amori,
chi venisse a mettere in sonetti o in madrigali o in selve i begli
occhi di Melibeo, la bella mano di Titiro, o lė graziose maniere di
Menalca, non desterebbe ammirazione ma pietà o riso. Dunque, care
cugine, se per compiacervi, io mi fo a tessere l'elogio di alcune tra
le poetesse e letterate de' secoli andati che scrissero e poetarono
nella nostra lingua volgare, è necessario che ad ogni elogio - meno
il caso rarissimo di un contrordine non rispondiate colla parola
amen, o con un per omnia sæcula sæculorum, ma sì colle quattro
paroline che ho poste in testa a questa mia, col bellissimo ritornello :
il passato è passato, ovvero sia colle parole : in illo tempore.
XIV. Nou so, cara Cecilia, perchè fra le ispiratrici non abbiate
annoverate la Nina Siciliana e la Ricciarda Selvaggia, ambedue poe
tesse, l'una amante di Dante da Majano, l'altra di Cino da Pistoja.
Parmi che a vostra discolpa non vi sia altra buona ragione da ad
durre, se non che volevate encomiare soltanto le ispiratrici, quelle
cioè, che colle loro virtuose bellezze, colle leggiadre maniere e cogli
innocenti costumi ispirarono de' grandi uomini al bello ed al buono;
laddove quelle che ho testè nominate furono ad un tempo ispiratrici
ed ispirate, perchè autrici esse medesime di versi. Questo è, ripeto,
l'unica ragione che vi salvi ; e se vi difendete cosi, dovrò riporre
le pive nel sacco. La Nina non fu per tempo la prima poetessa ita
liana : il Crescimbeni (1) parla di lei sotto l'anno 1290 , laddove la
Gaja, figliuola di Gherardo da Camino, fioriva verso il 1254. Era la
Nina giovinetta bellissima, gentile e leggiadra , e leggiadre per la
sua età e per i suoi tempi erano le poesie ch'ella dettava ; ma in
lei i buoni costumi pareggiavano la bellezza e di gran lunga supe
ravano il valore poetico. I poeti di quel tempo non erano in quello
stolto dispregio in cui sono caduti oggidi, ondechè l'amore di Dante
da Majano, uomo a quei di celebre, avrebbe potuto lusingare grande
mente la Nina ee farla scivolare facilmente a relazioni meno che oneste.
La gloria, dicono alcuni, ha si gran splendore che ci può ben com
pensare di quella poca luce di virtù che perdessimo nei nostri sforzi
per conseguirla. Ma non così la pensava la buona Nina. S'ella volle
che niuno si vantasse dell'amor suo fuorchè un poeta (2), volle però del
pari che nessun poeta avesse a vantarsi di aver trovato in lei poca
virtù . Per rime richiesta d'amore , per altre rime rispose a Dante
che un brav' uomo potea benissimo innamorare d'una onesta gio
( 1 ) Crescimbeni : · Bellissima sopra tutte le altre del suo tempo e della sua
nazione n .
(2) Crescimbeni, Commentari alla Storia della volgare poesia.
NINA SICILIANA 411

vane, ma che bisognava essere in due per andare d'accordo , cioè,


che s' egli era pago di lei , conveniva pure che alla sua volta ella
fosse persuasa di lui, ed essere necessario che anche per le qualità
morali egli fosse degno di lei. Presentatevi,> parlate , chè , prima di
risolvermi ad accordarvi il mio affetto , voglio scrutare , esaminare
l'animo vostro e vedere se
La vostra penna ha bona consonanza
Con vostro core , od ha tra lor resía.
Si videro, si trovarono degni l'uno dell'altra e s'amarono tene
ramente e virtuosamente ; e con tanta espansione la giovane amò il
poeta, che si faceva chiamare la Nina di Dante. Che bello spetta
colo in quei tempi d'ire e di discordie civili ! Che cari colombi !
Ma lasciandoli pigolare in libertà, mi dichiaro, come sempre, vostro
Sirvitore devotissimo .
XV . Avete un bel dire voi e la vostra maestra, ma io non ho
SU

quell'acqua miracolosa che fa scomparir le rughe della vecchiaja.


Le vecchie non ve le posso dare per giovani. E le altre che il tempo
ha imbacuccate nel suo tenebroso velo, sicchè pajono tante musul
mane al passeggio , come posso io discernere se le siano giovani o
vecchie ? Chiedete notizia dell' Ortensia di Guglielmo da Fabriano ,
vissuta a' tempi del Petrarca (1) >, e dell' Eleonora Genga che visse
alcun tempo dopo ? Ma io non ne so un ette della giovinezza di
queste signore, e per quanto abbia frugato nella biblioteca di que
sto buon vecchio di vostro zio , non ho trovato nulla. Anzi alcuni
bei versi della prima è assai dubbio che siano suoi. Io ve li tra
scrivo (2), perchè, suoi o non suoi, veggiate che anche ai tempi del
( 1 ) Al dire del Tassoni , l'Ortensia di Guglielmo da Fabriano superava nel
pregio poetico i migliori vati del suo tempo.
( 2) Io vorrei por drizzar queste mie piume
Colà, signor, dove il desio m’invita ,
E dopo morta rimaner in vita
Col chiaro di virtute inclito lume ;
Ma il volgo inerte, che, dal rio cosiume
Vinto, ha d'ogni suo ben la via smarrita ,
Come degna di biasmo ognor m'addita
Ch'ir tenti d' Elicona al sacro fiume.
All’ago, al fuso, più ch'al lauro al mirto,
Come che qaì non sia la gloria mia,
vuol ch'abbia sempre questa mente intesa.
Dimmi tu omai , che per più dri :ta via
A Parnaso ten vai , nobile spirto ,
Dovrò dunque la ciar sì degna impresa ?
Il Petrarca le avrebbe risposto colle medesime rime e col sonetto :
La gola , il sonno e l'oziose piume
Hanno dal mondo ogni virtù sbandita.
412 SELVAGGIA DE'VERGIOLESI
Petrarca l'opinione pubblica, che la signora Ortensia si compiace
chiamare inerte, biasimava le donne che volevano andare alle acque
d'Elicona , piuttosto che -
attendere all'ago ed al fuso. « Oh !
siamo alla vecchia canzone ? , – No, care cugine, mi pento anzi di
questo cenno sfuggitomi, e per far ammenda onorevole , vi mando
in regalo due terzine di un sonetto dell'altra signora, cioè dell'E
leonora Genga , lodato dallo Zeno e dedicato alle glorie del gentil
sesso. Ci sono baci e carezze per voi e pizzicotti e sberleffi per noi :
che volete di più ?
Sanno le donne maneggiar le spade ,
Sanno regger gl'imperi , e sanno ancora
Trovare il cammin dritto in Elicona.
In ogni cosa il voler vostro cade ,
Uomini , appresso loro : uomo non fora
Mai per torne di man pregio o corona » .
Uhl che furia ! che furia ! non toccate la regina !
XVI . - La Selvaggia de’Vergiolesi, più conosciuta sotto il nome di
Ricciarda Selvaggia , fu l'amante amata del poeta Cino da Pistoja (1).
>

Ch'ella medesima fosse poetessa dedurrebbesi da un suo madrigale


che trovasi a stampa fra le rime di Cino (2); se non che alcuni im
pugnano l'autenticità del medesimo, al pari di quella de’sonetti che
vanno sotto il nome di Madonna Laura (3). Il Petrarca nel Trionfo
d' Amore (cap. IV), mette Selvaggia in ischiera colla famosa Bea
trice di Dante :
Ecco Dante e Beatrice : ecco Selvaggia :
Ecco Cin da Pistoja.
Nelle guerre civili che travagliavano Pistoja nel principio del se
colo XIV, ella, graziosa, bella, colta e virtuosissima , fu l'angelo, e
l'unico angelo che le ispirasse e rasserenasse (4) . Più che dalle sto
( 1 ) Cino da Pistoja , di parte bianca o ghibellina , nacque nel 1270 e mori
nel 1336 od ai primi del 1337.
(2) Cosi comincia quel madrigale o piuttosto ballata :
Amor che ha messo 'n gioja lo mio core,
Di voi , gentil messere ,
Mi fa in gran benignanza sormontare ;
Ed io nol yo ' celare
Come le donne, per temenza, fanno.
(3) Le poesie attribuite a Laura furono stampate in Venezia nel 1552 .
( 4) Il Ciampi ( Vita e poesie di messer Cino da Pistoja. Pisa , Capurro 1813) :
- Sia che in realtà ne fosse grandemente appassionato, o che, per una specie
di poetica cavalleria , tale dimostrarsi volesse , il fatto è che Selvaggia fu
9

l'unico soggetto delle sue rime.... Dopo di messer Cino e di Petrarca , cam
pioni e maestri presso di noi in questo genere di cayalleria o piuttosto ga.
lanteria poetica , niun poeta nostro seppe quasi far versi se gli sdegni , gli
SELVAGGIA DE'VERGIOLESI 413
rie letterarie possiamo rilevare dalle rime dello stesso Cino quanto
cara e quanto buona fosse questa giovinetta.
Udite com ' ei la celebra in una canzone :
Quando Amor gli occhi rilucenti e belli ,
C'han d'alto foco la sembianza vera ,
Volge nè' miei, si dentro arder mi fanno
>

Che per virtù d'amor vengo un di quelli


Spirti che son nella celeste sfera ,
Ch'Amor e gioja ugualmente in lor hanno.
Nel sonetto VI :
Questa donna, che andar mi fa pensoso ,
Porta nel viso la virtù d'Amore ,
La qual fa disvegliare altrui nel core
Lo spirito gentile che v'è ascoso.
C

E s'avvien poi che quei begli occhi miri ,


Io veggio in quella parte la salute ,
U’l'intelletto mio non puote gire.
Nel sonetto XV :
una piacevol giovinella
Adorna vien d'angelica virtute.
E nel sonetto XVII , alle donne del suo tempo :
Vedeste mai così nuova figura ,
O cosi savia giovine piacente ?
Ella per certo l'umana natura
E tutte voi adorna similmente.
Ponete agli atti suoi piacenti cura ,
Che fan meravigliar tutta la gente.
Spinto in esilio dalle civili discordie, Cino dovette staccarsi dal
amori e le bellezza di vera o immaginaria amante non avesse cantato e de
scritto. Messer Cino dunque, lutto occupato nelle sue rime dall'idea dei pregi
di Selvaggia, or ne celebra i meriti si fisici che morali ; or all'uso degli ap
passionati amanti, duolsi dell'infedeltà di lei e sì sdegna ; or torna a far pace,
dimenticate le passate vicende ; ed infine ne piange la morte, non isperando
di trovar più cosa alcuna che di perdita tanto grande lo rinfranchi e consoli....
Dalla canzone XXII della parte quarta della mia edizione se ne deduce che
vivesse nel 1313. Quantunque rimaste ci siano pochissime memorie di questa
donna, basta però alla gloria di lei l'essere stata celebrata da messer Cino :
perocchè ella è del bel numer'una delle quattro donne salite in grido presso
di noi per la celebrità dei loro amanti ed encomiatori , cioè Selvaggia, Bea
trice , Laura e Fiammetta » .
Fiammetta è il nome che il Boccaccio diede alla propria amante, che fu una
Maria di Napoli , della famiglia d'Aquino. Non fu giovane di sì puri costumi
da poter essere consigliatrice di virtù.
414 LA COSTANZA E LA BATTISTA VARANO
l'amata Selvaggia, per girsene errabondo in Lombardia ed in Fran
cia : ma lungo il cammino lo veniva almeno consolando il pensiero
che qualche bell'anima pensava a lui con tenero affetto , e che al
suo ritorno, sbolliti gli odi delle fazioni, avrebbe potuto finalmente
stringersi a lei per tutta la vita. Ma la sorte gli fu nemica : la sorte
gli aveva divisi per sempre ! Tornato di passaggio in Toscana e re
catosi al monte della Sambuca , nell'Appennino , dove la Selvaggia
s'era rifugiata col padre, egli non la rinvenne piú : non vi trovò
che una tomba col nome amato.
Io fu'n sull'alto e'n sul beato monte
Ov'adorai , 'baciando il santo sasso ,
E caddi’o su quella pietra, ohimè lasso !
Ove l'onesta pose la sua fronte.
Ma poi che non m'intese il mio signore ,
Mi dipartii pur chiamando Selvaggia ,
L'alpe passai con voce di dolore.
XVII . Due sono, non una, le Varano che vogliono essere citate
tra le fanciulle celebri : la prima è la Costanza, la seconda è la Bat
tista. La prima nacque nel 1428 e fu una meraviglia a' suoi tempi
perchè, appena quattordicenne, cioè nel 1442, recitò innanzi alla
Bianca Maria Visconti , moglie di Francesco Sforza , un'elegante ora
zione latina, pregandola de'suoi buoni uffici presso il duca Filippo
Maria affinchè il proprio fratello Rodolfo fosse rimesso nella signoria
di Camerino. Ed all'orazione poi aggiunse due lettere in latino sullo
stesso argomento , le quali mandò l'una al duca di Milano , l'altra
al re di Napoli. A lei , principessa , bella , giovane e ricca , i rapidi
progressi e gli studi sulle opere di Marco Tullio Cicerone valsero
la consolazione dolcissima di vedersi esaudita. Ma poco potè godere
del fasto e degli onori del principato e poco delle sue nozze con
Alessandro Sforza , signore di Pesaro ; poichè morte la rapiva nel
suo diciannovesimo anno. Anche la Battista Varano visse poco,
ed ella pure, mentre stava presso il duca Francesco Sforza in Mi
lano, ottenne celebrità per un'orazione latina che recitò adolescente,
cioè in età non maggiore di quattordici anni. « Ed a quella prima
altre orazioni latine tennero dietro ; perocchè, ritornata tra'suoi a
Camerino, non veniva a quella corte ambasciatore, principe o car
dinale ch'ella non accogliesse ed onorasse in simile maniera » . Dicono
le storie che, divenuta duchessa d'Urbino, arringasse un giorno con
eloquenza dinanzi al pontefice Pio II , e che questi , benchè uomo
eloquente e dottissimo, si dichiarasse inetto a risponderle colla stessa
facondia. La si conta ; e, se ci credete, vi farò il piacere di crederci
ISOTTA NOGOROLA CASSANDRA FEDELE 415
anch'io. Il proverbio che dice le donne avere lunghi i capelli e
corto il cervello , vi calunnia ; dicesse almeno , senza farvi torto e
per dire solamente la verità, che la lingua l'avete ancora più lunga
de'capelli ! E quell'altro proverbio che pare accordarvi molto di.
cendo che ne sapete un po' più di Lucifero, dovrebbe ricredersi , poi
chè ecco la Battista Varano saperne anche più del papa !
XVIII . Nel paradiso terrestre chi fu più gran peccatore, Adamo
od Eva ? Ecco una gran quistione teologico -umanitaria, trattata, care
cugine, dalle vostre illustri antenate. Prima, fra le donne, a metterla
sul tappeto fu la Isotta Nogarola di Verona, e non fu l'unica a scio
glierla, già s'intende , a gloria e trionfo del bel sesso ed a totale
beneficio della nostra prima madre. Non mi dimentico il meglio,
cioè l'anno in cui ell’è nata e ciò che fece per aver rinomanza an
che nella sua età più giovanile. Ecco, nacque nel 1438 (1), mori nel
1466 ; seppe di greco , di latino , di teologia , di eloquenza ; fu bella
della persona, esemplarissima ne' costumi ; e Tobia da Borgo, il pre
detto cardinale Bessarione ed altri uomini di egregia dottrina si re
carono espressamente a Verona per conoscere da vicino giovane cosi
mirabile . Ella fu , dice il Gamba, l'astro più risplendente della fami
glia Nogarola (2)
XIX . Ho veduto il dialogo che tratta delle donne e fanciulle
scienziate (3), il quale , se non fosse un discorso fatto in viaggio fra
lo scampanellio de' cavalli ed il fischio delle scudisciate del postiglione,
mi permetterei di dire che lascia a desiderar qualche cosa. Ma in
viaggio non si possono avere tutti i suoi comodi e una biblioteca
da consultare . Se c'era testimonianza da non omettere in favore
della Cassandra Fedele, era certo la lettera che le indirizzò il Poli
ziano (4), ammiratore dell'ingegno di lei quand'era ancora fanciulla .
(1) Secondo il Noël , Fanciulle celebri ; altri la dice nata sul principio del
secolo decimoquinto e che compisse i suoi giorni verso il 1466, in età d'anni
cinquanta .
( 2) Altre donne celebri uscirono dalla casa Nogarola , in tutto sette , com
presa l'Isotla , cioè Laura, Giulia, Lucia, Antonia , Ginevra, Isotta ed Angela.
( 3) Vedi pag. 292 a 306.
(4) Il Poliziano in una lettera alla Cassandra Fedele : « Tu detti, o Cassan
dra , lettere piene di sottigliezza, d'ingegno e di latina eleganza , e non meno
leggiadre per una certa fanciullesca e verginale semplicità che gravi per pru
denza e per senno. Ho letto ancora una tua orazione erudita , eloquenie, ar
monica, maestosa e piena di acome. Nè ti manca l'arte di arringare e im
provvisamente ; al che non giungono talvolta i più eccellenti oratori . Mi vien
detto inoltre che nella filosofia e nella dialettica sei inoltrata per modo che
avvolgi gli altri in gravissime difficoltà e sciogli con felicità ammirabile
quelle che a tutti erano sembrate insolubili , e che difendi e combatti secondo
il bisogno le proposte questioni , e , fanciulla qual sei , non temi di venire a
contrasto cogli uomini di tal maniera , che nè dal sesso ti si sminuisce il co
raggio, nè dal coraggio la modestia , nè dalla modestia l'ingegno . E mentre
ulli ii esaltano con somme lodi , tu li confondi e ti umilii per modo che, ab
416 CASSANDRA FEDELE
Io ve la mando , cara Cecilia , perchè la leggiate alle vostre buone
sorelle. Le lodi di chi era stato fanciullo prodigioso dovevano tor 1

nare alla Cassandra ben più care e preziose di qualsivoglia altra . E


come spendevano bene i loro encomî gli uomini grandi d'una volta !
Non andavano già a cercare delle mediocrità o delle assolute nul
lità per avere poi ad usura, se non in qualità certo in quantità, l'in
censo che consumavano !
XX. È giustissima l'osservazione che fa la vostra signora mae
stra, ma bisogna distinguere ciò che si fa col danaro pubblico da
ciò che è effetto di munificenza privata. Certo è che nella nuova
galleria che ora si fabbrica qui in Milano ( 1 ), meglio che specchi ad
uso del pubblico, come sono quei due della galleria De -Cristoforis,
converrebbe porre agli angoli qualche lapide in onore delle più il
lustri donne e dei più famosi uomini milanesi ; ma torno a dire che
ciò che può richiedersi dagli amministratori della cosa pubblica non
era lecito attendere od esigere da signore privato. E vale pure quel
l'altro suggerimento della stessa signora maestra, che cioè nella sud
detta nuova galleria abbia ad introdursi ciò che in nessun luogo
pubblico ancora si trova, vale a dire, oltre un grande oriuolo, anche
un buon termometro e un buon barometro in grandi proporzioni.
Sono istrumenti che d'inverno e d'estate, in tutte le stagioni, ven
gono ricerchi e consultati ; e ve lo attestano le botteghe degli ottici
che per tirar gente e compratori a'loro costosi gingilli mettono fuori
la civetta de'suddetti termometri e barometri. Prima ci accontenta
vamo di misurare tutti i passi del tempo , ora , per interesse della
nostra salute e per quelle precauzioni che si possono pigliare anti
cipatamente , vogliamo di più , conoscere tutte le piccole variazioni
a cui esso va soggetto e che fa subire anche a noi nella sua corsa.
Quando gli ornamenti de’pubblici luoghi possono tornare, senza troppo
maggiore spesa , a comodo pubblico , non so perchè si voglia osti
narsi a provvedere soltanto all'eleganza e non pure alla utilità loro.
Ma, se si pongono le suddette lapidi , spero che l'incaricato di scri
verle non lascerà , per troppa concisione ,> di , segnare l'anno di na
scita e di morte di quegli illustri. Vedete che strana cosa ! Per sa -
pere l'epoca in cui nacque il cardinale Federico Borromeo , il pub
blico gira inutilmente intorno alla base del monumento che venne
inalzato nella piazza di San Sepolcro, mentre la detta statua ha fra
bassando a terra i verginali sguardi , sembra che abbassi ancor la stima in
cui ti hanno. Oh ! chi mi conduce costà perch'io possa , o Cassandra , cono
scerti di presenza e rimirare il tuo portamento , il tuo abito , i tuoi gesti , e
udir le parole che a te sembrano deltar le Muse ? » .
( 1 ) Badi il lettore che quando la prima volta stampavansi queste righe , era
vamo nullameno che nel 1865. Molti degli appunti quì fatti vennero a quanto
pare, accolti non senza frutto, e il resto si vedrà a Galleria compiuta .
IPPOLITA SFORZA 417
le mani e sotto i piedi la data della fondazione della Biblioteca Am
brosiana. Ma che età aveva l'eminentissimo cittadino quando fece
quel beneficio a Milano, e quanto tempo fu concesso a quella illu
stre esistenza per farne degli altri ? Non s'impara forse niente dalle
date ? O codeste dimenticanze non rivelerebbero piuttosto che la ri.
conoscenza verso i nostri grandi uomini è una virtù quasi insolita
e nuova per noi e che, dovendola mettere in atto, ci troviamo im
pacciati e mal pratici ?
XXI. La Ippolita Sforza e la Domitilla Trivulzi, ecco due nomi
che avrebbero ad essere incisi sulle tavole di bronzo che sono pro
poste da voi. Ambedue son glorie milanesi, ambedue nella più verde
età, miracoli di letteratura ; ambedue altamente lodate dall'Ariosto (1).
L'Ippolita nacque nel 1445 da Francesco Sforza e Bianca Maria Vi
sconti. Ella conosceva assai bene la lingua latina e la greca ; ma per
giungere a tale perfezione, s'era fino da ' più teneri anni applicata a
quelle lingue , non risparmiandosi la grave ma però utilissima e rac
comandabile fatica di trascrivere non solo brani ma intere opere di
classici greci e latini (2). Cara primizia dell'ingegno suo, fu un elogio
latino scritto in ossequio ed onore della propria genitrice, le cui virtù
ella dice di aver voluto dipingere per tener sempre presente a sè
stessa un eccellente modello da imitare come si conveniva ad ot
tima figliuola (3). Soddisfatto l'obbligo verso la buona autrice de'suoi
giorni , poco dopo , trasferitasi a Mantova , mostrò di quali nobili e
generosi sentimenti fosse animata verso la religione, verso la patria ,
e verso l'umanità, componendo e recitando con molta grazia e di
sinvoltura dinanzi a Pio II un'orazione latina (4 ) per confermare i
principi italiani nel buon proposito di collegarsi contro il Turco. Ne
maravigliò siffattamente il pontefice che, voltosi alla giovinetta, così
le disse : Tu , o diletta figlia , hai recitato alla nostra presenza
un'orazione elegante , tersa e degna d'un grande oratore. Noi am
miriamo il tuo ingegno e la tua virtù. Ne vada pur lieta la tua ge
nitrice presente e tuo padre lontano, che di tali doni fornita ti ge
nerarono . Non è del mio assunto parlare d'Ippolita uscita d'ado
lescenza e di vent'anni andata sposa a don Alfonso d'Aragona, duca
di Calabria , nè del culto delle lettere ch'ella non abbandonò mai
durante tutta la sua vita, che si spense nel 1448 ; ma questo sì credo
( 1 ) Orlando Furioso , canto XLVI , 4.
Veggo Ippolită Sforza e la notrita
Damigella Trivulzia al sacro speco.
(2) Lo attesta l'Accademico Intronato nel trattato degli studi delle donne.
( 3) Noël ,
(4) Fa pubblicata dal Mansi.
BERLAN, Le fanciulle celebri. 27
418 DOMITILLA TRIVULZI

che non sarà inutile nè inopportuno aggiungere, cioè ch'ella fu sem


pre un vero modello di affabilità e di modestia. Ciò è necessario a
sapersi perchè ognuno si persuada che nè la nascita , nè il grado,
nò le ricchezze, nè l'ingegno, nè l'esempio di chi fu veramente il
lustre possono concedere a chicchessia di farsi aspro e superbo .
XXII. Eccoci alla mistica sposa che, aspettando il consenso mi
nisteriale, abbiamo destinata al Parini, perocchè l'altra, cioè l'Agnesi,
grave filosofessa e scienziata, propende certamente pel Beccaria (1).
La Domitilla Trivulzi, lodata, come più sopra fu detto, dall'Ariosto,
ella merita di essere annoverata fra quelle di cui il gran Ferrarese
scriveva :

Le donne antique hanno mirabil cose


Fatte nell'arme e nelle sacre muse (2).
Nata dall'illustre prosapia dei Trivulzi, milanesi, nel 1482, ella ag
giunse nuovi splendori alla propria famiglia , già famosa per eccel
lenti uomini di guerra , brillando nella sua giovinezza per sapere,
erudizione, fino discernimento ed eleganza di versi e prose. In età
di soli dodici anni sapeva già comporre eleganti orazioni nella lin
gua di Cicerone. Ma questi soli studi giovanili non le avrebbero pro
curato che fama passeggiera, se altre belle e peregrine doti non l'a
vessero ornata. Aveva, dicono i suoi biografi, una memoria prodi
giosa, era benissimo istrutta delle cose filosofiche e dottissima nella
lingua e letteratura greca. Nè ella attrasse la stima e l'ammirazione
degli uomini solamente quand'era in età giovanetta. I molti egregi
(1 ) Dicesi che del nome dell'Agnesi si fregerà una delle nuove contrade di
Milano ; ottima occasione per dedicarle sol luogo un monumento degno di
lei . Aggiungiamo a quanto fa detto per noi dell'Agnesi che nella Biblioteca
Ambrosiana trovasi un busto dell'Agnesi somigliantissimo, opera dello scal.
tore Giuseppe Franchi . Ella ha pure una lapide nel luogo pio Trivulzi , que
sta lapide dice :
A . MARIA , GAETANA . AGNESI
.

TESORO . DI . DOTTRINA
FIORE . CANDIDISSIMO . DI . VIRTU '
CHIARA . IN . TUTTA . EUROPA
QUI'
DOVE . RIPUDIATI . GLI , AGI . E. GLI . ONORI , DEL . MONDO
. .

CONVISSE . XV , ANNI . COI . POVERI . DI : CRISTO


BEATA , SINO . ALL' . ESTREMO . SUO . GIORNO
NE ' . GAUDI . DELLA . CARITA '
.

QUESTA . MEMORIA
ERGEVA , UN , CONCITTADINO
L'ANNO M. DCCC . XXXIII .

(2 ) Orlando Furioso , c. I.
DOMITILLA TRIVULZI TULLIA D'ARAGONA 419
uomini che scrissero di lei (1) tutti ad una voce attestano che, sem
pre dedita a coltivarsi ne'diletti suoi studi letterari e scientifici, non
trascuro, siccome a saggia e prudente donna conviensi , l'economia
famigliare e la sollecita educazione dell'unico figliuolo avuto dal suo
matrimonio con Francesco Torello di Montechiarugolo . E , perchè
nulla mancasse ad una lode piena, si aggiunge ancora dai medesimi
scrittori ch'erasi fatta vero esempio e modello delle più splendide
virtù religiose , morali e sociali. Eccovi la letterata come la voglio
io; e questa volta, senza far torto alla consegna datavi colla mia let
tera che porta il numero XIII, potete dir Amen e per omnia sæcula
sæculorum . Ora posso ben felicitarmi dell'ideato matrimonio della
Domitilla col Parini, avvegnachè, per quanto sia questo scrittore de
mocratico ed abate, nè la democrazia , nè l'abazia in partibus infi
delium gli torrà il discernimento dei meriti rari della nobile lette
rata Domitilla Trivulzi. V'hanno individui e famiglie patrizie cui non
possono ferire i versi che il lombardo pungean Sardanapalo.
XXIII . Voi mi avete fatto chiacchierone e prolisso più del bi
sogno. Dov'è lo bello stile stringato che mi faceva tanto onore ? Par
lando con femmine e di femmine sono diventato anche più verboso
di esse. Cosi bisogna, care cugine, ch'io dica per salvare, in qual
che modo, quella riputazione di laconico che, non so perchè e con
quali prove, la cugina Angelica si compiacque di farmi nel mandare
alla Cecilia i suoi scartabelli sulle donne benefattrici. Altro che la
conismo ! Anzi io non l'ho amato mai e meno l'ho seguito scri
vendo a donne o per donne, perocchè so che ad esse non garbano
certe stiracchiature e che per intrattenerle senza noja ci vuole fa
condia ed espansione. Dirò che voi amate piuttosto il superfluo, e
che la vostra figura prediletta è il pleonasmo , non l’ellissi. Oggi do
vrei far da cavalier servente alla nobile letterata Tullia d'Aragona,
ma non mi so decidere alla gita di piacere che con questa ardente
canicola avrei a fare con lei, e sapete dove ? Non già sino alla Tre
mezzina , ma sino agli alberi del sole !
9

XXIV. Perdonate se io credeva che voi, cugine amatissime , sa


peste che la Tullia d'Aragona , nobile signora romana , che fioriva
nella prima metà del secolo decimosesto , ha scritto in ottava rima
un poema cavalleresco intitolato Guerrino detto il Meschino , nel
quale conduce questo illustre trovatello di qua e di là , da laggiù
nell'inferno fino lassù nelle sorgenti della rugiada e nei regni del
(1) Fu lodata dal padre Iacopo Filippo da Bergamo (che fiori nello stesso
secolo XV ) da Giuseppe Betussi , da Francesco Saverio Quadrio, dal Levati , ecc.
Si citano alcune memorie intorno alla -Domitilla scrille da Nicolò Pacediano,
che starebbero manoscritte nella Biblioteca Ambrosiana : le abbiamo doman
date ma non trovate .
420 TULLIA D'ARAGONA
l'aurora, in cerca de' suoi genitori. Ora gli uomini sono figli delle
loro azioni , ma una volta pareva ad essi di non essere quasi nati
se non sapessero o credessero di essere discesi da nobile prosapia.
Adesso però che v'ho detto il titolo e l'argomento del poema della
Tullia, m'accorgo d'avere cominciato non dal principio ma dalla fine.
Non rifaccio però per questo la lettera, stantechè o prima o dopo quella
notizia già bisognava darvela ; cosi il buono sarà in fine. Per con
tinuare quindi come ho cominciato , cioè per camminare a ritroso,
dirovvi che fu assai burrascosa , a onde anzi a cavalloni d'amore,
la vita di questa signora , e che quanto a costumi , a detta della
maggior parte de' suoi biografi, ell'andava piuttosto zoppicando . Ci
sarà entrata , se vogliamo , un po' d'invidia e di malignità umana,
ma qualche cosa di poco buono ci deve pur essere stato, se la stessa
Tullia, facendo la sua confessione generale al cardinal Bembo, ma
in un sonetto per altro (1), si pente di aver tenuti gli occhi serrati

SONETTO DI TULLIA D'ARAGONA AL CARDINAL BEMBO .

Berbo, io che fino a qui da grave sonno


Oppressa vissi , anzi dormii la vita,
Or dalla luce vostra alma infinita ,
O sol, d'ogni saper maestro e donno ,
Desta apro gli occhi , sì ch'aperti ponno
Scorger la strada di virtù smarrita :
Ond'io lasciato ove il pensier m'invita
Della parte miglior per voi m'indonno ;
E quanto posso il più mi sforzo anch'io
Scaldarmi al lume di sì chiaro foco
Per lasciar del mio nome eterno segno .
Ed oh non pur da voi si prenda a sdegno
Mio folle ardir ! chè, se il sapere è poco
Non è poco, signor, l'alto desio .
Quest'altro sonetto pare accenni a sventure di famiglia :

La nobil, valorosa, antica gente


Che di nuovo i fratelli ancisi vede ,
Ed in acerbo esilio a pianger riede,
Signor, a te s'inchina umilemente.
E, potendo vendetta arditamente
Gridar de'morti , e piaghe e mille prede,
Mercè sola e pietate a te richiede
Di comune voler piétosamente .
O sanator delle ferite nostre ,
Mira la velenosa e cruda rabbia
Che il sangue giusto ingiustamente sugge .
Cosi tosto avverrà che in te si mostri
Come a gran torto tanti danni or anbia
La gente cui pietate e doglia strugge .
LA SOLARI 421
troppo gran tempo e quindi di avere smarrita la strada della virtù.
Bella, ricca e valentissima nell'arte de' suoni e del canto, in mezzo
ad un nugolo di adoratori, adulata da cortigiani oziosi e da letterati
che avevano molta virtù in bocca e poca in cuore , s'ella cedette
qualche volta alla tentazione , non aggraviamola di rimbrotti , ma
piuttosto compiangiamola. Certe splendide condizioni sociali che sono
tanto invidiate dal volgo , hanno pure di gran pericoli ed anche di
gran nemici ; e, più facilmente che nelle altre, si corre risico di per
dere per fatto proprio o per malignità altrui la buona fama. Invece
quand'era fanciulla e giovinetta, tutti l'amavano di schietto amore ,
tutti la stimavano, e miracolo di bellezza e d'ingegno la decantavano.
Udirla in fanciullesca età disputare , scrivere e poetare come pochi
sapevano fra gli uomini del suo tempo, era proprio una meraviglia.
Ma poi ?... Povera donna !
XXV. Siamo proprio al caso del famoso giudizio di Salomone.
Se volete vedere una fanciulla fatta in due , badate a ciò che della
Solari dicono il Sismondi ed il Levati (1 ) . La Anna Solari del Sismondi
diventa nel Levati una Margherita Solari , e secondo l'uno abitava
col padre a Chieri, mentre secondo l'altro in Asti. Liberatemi , per >

carità , da questo dubbio : a chi debbo credere ? Le Soleri o le So


lari sono una o due ? Se vi pare che, per decidere questo punto im
portantissimo, sia necessario radunare un concilio, chiamate tutta la
famiglia, compresi pure la nonna e quell'ex -chericone, che aspirava
alla mano di Ernestina, ed anche quell' altro coso che per ischerzo
voi chiamate ser Decisore , il quale suole spiattellare sentenze ed
oracoli su tutti e su tutto, cavando le sue decisioni già belle e for
Cosi nel poema : il Meschino ella dipinge l'orrore dell'Averno e le pene dei
dannati :
Venti crudeli e lempestosi sente,
Caligin cala é puzzolenti odori ;
Gran rumor sente far d ' armata gente ,
Tuoni , lampi e balen, strida e rumori .
Batter sopra la testa immantinente
Sentissi il cavalier da i trasgressori
Moll'arme insieme, il cui suon si tempesta
Ch'esser gli par restato senza testa .
Fumi fastidiosi e d'ogni sorte,
Pestilenziali odor, di zolfo accesi ,
Neri, rossi , ferrigni , che la Morle
Farian fuggir con tutti i suoi arnesi .
In questo rio terren vid ' egli sorte
D'anime fille, d'uomin d'ira presi :
Chi mostra 'l capo sol, ch'il petto e ' l busto ,
Chi i flanchi, chi le cosce e tutto il fusto .
( 1 ) Levati verso la fine del secolo XV ; Sismondi , sotto l'anno 1495.
422 LA SOLARI E LA VERONICA GAMBARA
mulate dall'enciclopedie tedesche ! Peccato ch'io non conosco enci
clopedia che mi dipani questa matassa delle due Solari ! Torno a
dire : una o due ? Gli scrittori precitati però convengono in due cose,
cioè in un fatto per me capitale e nel tempo in cui sarebbe avve
nuto ; di modo che, sino a ragion conosciuta, delle due Solari io ne
fo una sola, per soggiungervi, anzi per ripetere coi non troppo sul
lodati signori che la Solari coltivò con tanto profitto le lettere che,
essendo ancora fanciulla, teneva ragionamenti di letteratura co’più
chiari uomini del suo tempo , che sapeva di poesia e che nell'arte
oratoria era una Tulliola 0, se vi piace.meglio, un'Ortensia. Aggiun
gete a ciò un bel visino ed una bella figurina, ed avrete il suo ri
tratto. All'età di undici anni, in nome della città, secondo il Levati,
d'Asti , e secondo il Sismondi , di Chieri , ella recitò un'orazione in
lode di Carlo VIII, re di Francia, reduce dall'impresa di Napoli , il
>

che ella fece con tanto bel garbo che da quel punto, dice lo storico
delle repubbliche italiane, il re credette di non dover accudire a mi
glior faccende che a quella di convertire l'ortensia in una camelia.
Andava perciò e veniva del continuo da Torino a Chieri senza cu
rarsi delle angustie in cui trovavasi il duca d'Orléans, il quale, per
giunta, batteva i denti sì per la febbre e si per la rabbia di veder
crescere ogni di più il numero dei nemici che lo assediayano. Ora,
che di costei conoscete qualche cosa , scommetto che , come buone
cittadine e brave ragazze, esclamerete in coro : Magari che ella non
fosse stata nè due , nè una , nè mezza ! Meglio che ella non fosse
nata , piuttosto che compiacersi delle smorfie di un re straniero !
Stolta ! dopo che Pier Capponi aveva minacciato a Carlo VIII di far
gli più che di fretta alzare i tacchi al suono delle campane di Fi
renze, perchè ella tratteneva costui in Asti o in Chieri e lo ninnava
co' suoi canti ?
XXVI. A consolarci della leggerezza della Solari presentasi la
Veronica Gambara , uscita da stanze principesche tutte parate a nero,
vestita d'abiti neri, e che viene in carrozza verniciata di nero e con
cavalli tutti neri. Che cosa è questo mortorio ? Se nol sapete , ella
scelse questo estremo de'colori per le sue tappezzerie , per le sue
vesti e per la sua carrozza , onde far solenne e pubblica dimostra
zione dell' immenso dolore da cui fu soprafatta alla morte del pro
prio consorte, Giberto principe di Correggio, da lei tenerissimamente
amato. Tutta intenta alla felicità de' suoi sudditi , a cui non dava
già belle e ben sonanti parole ma procacciava i preziosi e veri
beni della tranquillità e dell'abbondanza, tutta dedita all'educa
zione de' suoi due figli, ella fu una chiara prova della grande in
fluenza che hanno sulla vita i buoni esempi e la buona istituzione
VERONICA GAMBARA 423
ricevuti nella fanciullezza. La bontà dell'indole e la perspicacia del
l'ingegno in lei fecero il resto. Anche fanciulla ell'era in fama, e
in fama non solo per le belle sue doti morali, ma anche per mira
bili progressi negli studi della filosofia , della letteratura e della poe
sia. Non leggeva romanzi , care cugine; ma prediletta sua lettura
erano le opere dei Santi Padri greci e latini, che ella gustava assai
non in dimessi volgarizzamenti ma nella loro potente originalità. A
diciotto anni circa fu degna de' più grandi elogi del Bembo, col quale
poi mantenne una continua corrispondenza letteraria. Al sonetto
ch'ella per la prima volta gli scrisse e che comincia : S’a voi da me
non pur veduto mai, egli rispose colle stesse rime, lodando la virtù
di lei, che dal volgo la dipartiva, e commendando i suoi nobili sensi,
che potevano di mille alme scacciar fora Desir vili e ingombrar
d'alti e cortesi. E che grandi virtù fossero veramente in lei chiaro
si manifesta alla lettura delle sue rime, dalle quali apparisce il suo
grande amore al marito ed ai figliuoli, ed un ardente zelo pel bene
della religione , della umanità e della patria. I suoi versi possono
con diletto e utilità essere letti da voi. Troverete, fra l'altre sue belle
cose, una viva esortazione ai due rivali Carlo V e Francesco I re
di Francia perchè cessassero dal tenere in pianto Non pur ľ Ita
lia ma l'Europa, ed un eccitamento a' Fiorentini a mantenersi colle
armi degni degli avi gloriosi. Di belle apparenze non l'aveva dotata
natura , ma sì compensata largamente co' doni più eletti dello spi
rito ( 1)

( 1) Era nata in Pratalboino, nella Bresciana , nel 1485 : mori nel 1550.
SONETTI DI VERONICA GAMBARA ,
IN MORTE DEL BEMBO.

Riser gli spirti angelici e celesti


E più luce mostrò cias :una stella ,
Quando dal grave incarco, anima bella ,
Sciolta dinanzi al tuo Fattor giungesti ;
E tutta umile, ecco, Signor, dicesti ,
La lua devota ubbidiente ancella
Ti rende, al tuo voler non mai rubella ,
Doppi i talenti tuoi che già le desti .
Ed ei rispose : 0 mia fedele e cara,
Entra a godere il mio beato regno ,
Anzi che il mondo fosse , a te promesso .
Tal ebbe fin la gloriosa e chiara
Tua vita, o Bembo, e sì com'eri degno,
Ti fu pregio immortal lassù concesso.
IN MORTE DEL MARITO.
Quel nodo in cui la mia beara sorte
Per ordine del ciel legommi e strinse
Con mio grave dolor sciolse e discinse
Quella crudel che il mondo chiama Morte.
.‫ܝ‬
424 VITTORIA COLONNA

XXVII. - Quest'una ha pur sè fatta immortale


Col dolce stil di che il miglior non odo ;
Ma può qualunque di cui parli o scriva
Trar dal sepolcro e far ch'eterno viva.
Cosi nel canto XXXVII dell' Orlando Furioso l'Ariosto cantava
della Vittoria Colonna , famosa poetessa , nata nel 1490 nel castello
di Marino e morta nel 1547. Pel valore poetico ella superò tutte
quelle che l'avevano preceduta. Di quattr'anni fu fidanzata a Fran
cesco figlio d'Alfonso d'Avalos , marchese di Pescara , fanciullo di
pari età. Durante la sua prima giovinezza tante cosi peregrine ap
parvero le doti del cuore e dell'ingegno di lei, e tanto era piacente
e vezzosa che molti altri principi e signori, invidiandola al Pescara,
agognavano alle sue nozze . Ma la fanciulla amava lui sviscerata
mente, e niun altro che lui voleva, perocchè lui solo credeva degno
di sè e perfetto. A diciassette anni andò sposa, e per tutto il tempo
ch'ella visse con lui, che fu spazio di più che vent'anni, in lei non
E fu l'affanno sì gra so e forte
Che i miei piacer tutto in un punto estinse :
E, se non che ragione alfin pur vinse,
Falle avrei mie giornate assai più corte .
Ma il timor sol di non andar in parte
Troppo lontana a quella ove il bel viso
Risplende sopra ogni lucente stella ,
Mitigato ha il furor ( chè ingegno ed arte
Far nol potea) , sperando in paradiso
L'alma vedere oltre le belle bella .
FIRENZE A' SUOI CITTADINI .

La bella Flora , che da voi sol spera,


Famosi eroi, e libertale e pace,
Fra speranza e timor si strugge e sface ,
E spesso dice, or mansueta or fera ; .

o de' miei figli saggia e prima schiera,


Perchè di non seguir l'orme vi piace
Di chi , col ferro e con la mano audace,
Vi fe ' al mio scampo aperta strada e vera ?
Perchè si tardi al mio soccorso andate ?
Già non produssi voi liberi e lieti
Perchè lasciaste me serva e dolente .
Quanta sia in voi virtù dunque mostrate ,
E col consiglio e con la man possente
Fate libera me, voi salvi e queti .
La Gambara introduce Firenze a parlare a'suoi valorosi cittadini , accioc
chè vogliano liberarla dai danni delle armi di Clemente VII e di Carlo V, che
circa il fine dell'anno 1529 vennero ad assediarla . Molte furono le uscite che
fecero i Fiorentini per dar addosso ai nemici , e qui potrebbesi forse accen
nare la famosa di Stefano Colonna , che segui di notte e fu chiamata dal Var
chi incamiciata .
VITTORIA COLONNA 425
si diminui ma s'accrebbe ognora quel tenero affetto. Nè era un amor
debole , una passione cieca : perocchè ella sapeva all' uopo farsi al
marito consigliere di ciò che riputava virtuoso. Il Pescara aveva
giurato fedeltà a Carlo V, di cui era generale ; e , sebbene valoro
sissimo , sebbene a merito suo principalmente gl' imperiali avessero
guadagnato la battaglia di Pavia , con tutto ciò pari al suo valore
non erano state le ricompense. Mossi da ciò i principi italiani, pro
posero all’Avalos di eleggerlo re di Napoli se avesse abbracciato il
loro partito. Ma Vittoria, che del dovere s'era formata un'idea as
sai rigorosa, poichè ebbe sentore di quelle pratiche,> ne sconsiglio
vivamente il marito e mostrogli che l'onore era da preferirsi alle
dignità. Ma infelici quei tempi ne' quali reputavasi onore il serbarsi
attivo strumento dello straniero ! Ella scriveagli si ricordasse della
virtù, costanza e generosità dell'animo suo , mercè di cui a nessun
re egli non era inferiore, stesse fermamente attaccato al suo dovere,
al suo principe ; non coi titoli , ma colla virtù procacciarsi il verace
onore ; ch'ella non desiderava già di essere chiamata moglie di un
re ma sì di quel grande ed onoratissimo capitano che col valore e
colla liberalità dell'animo aveva superato i più grandi monarchi. Le
pratiche furono rotte ; ma perchè forse, quando prevalsero i consi
gli della moglie , il Pescara aveva troppo ascoltato o troppo pro
messo, non gli fu risparmiata dagli Spagnuoli . La storia non dice
che Carlo V , aombrato di quelle trattative, gli facesse propinare un
sottile veleno ; ma si che il Pescara morì delle ferite ricevute pu
gnando per l'imperatore nella battaglia di Pavia. La morte di lui
mise il lutto, un perpetuo lutto nell'anima e nella casa di Vittoria ;
ella non ebbe occhi che per piangerlo ed ingegno che per cantare
mestamente di lui. Dedicossi per tutto il resto della sua vita alle
cose della pietà e della religione (1).
.
(1) La Vittoria Colonna fu lodata dal cardinal Bembo , Contarini e Polo, dal
Guidiccioni, dal Molza, dal Flaminio , dall'Alamanni , da Paolo Giovio e dal
Castiglioni ; il cardinale Pompeo Colonna le dedicò la sua Apologia pro mu
lieribus .

SONETTI DI VITTORIA COLONNA ,


Qual digiuno angellin che vede ed ode
Batter l'ali alla madre intorno, quando
Gli reca nutrimento , ond'egli , amando
9

Il cibo e quella, si rallegra e gode,


E dentro al nido suo si strugge e rode
l'er desio di seguirla anch'ei volando ;
E la ringrazia in tal modo cantando,
Che par ch' oltre il poter la lingua snode :
Tal io qualor il caldo raggio e vivo
Del divin Sole , onde nutrisco il core ,
Più dell'usato lucido lampeggia ,
426 GASPARA STAMPA

XXVIII. -
Ecco un'altra sfortunata in amore come la Properzia
de' Rossi, ma di lei più prudente e savia. Questa infelice giovinetta
nomasi Gaspara Stampa, nata in Padova nel 1523 da nobili genitori.
Dal suo ritratto dipinto dal famoso Quercino si vede ch'ell'era assai
avvenente e leggiadra . Sino da fanciulla con maestria sonava il liuto
e la vivuola, e con grande amore attendeva allo studio della poesia
e delle lingue latina e greca. Affettuosa ingenuità e dolce mestizia
spirano i suoi versi : ne' quali la sua bell'anima non mostrasi ca
pace di fele peppur allora che rimprovera il crudo amante Collal
tino de' conti di Collalto di averla abbandonata . Derelitta, fa un fa
scio di tutti i suoi componimenti in prosa e in verso, e glieli manda,
· scrivendogli : « Perchè le mie lettere e rime non han potuto una per
una non pur farvi pietoso verso di me, ma farvi nè anco cortese
di scrivermi una parola, vedrò se io possa per tutte insieme otte
nere almeno un sospiro, il quale rinfreschi la memoria della vostra
Movo la penna , mossa dall'amore
Interno , e, senza ch'io stessa m'avveggia
Di quel ch'io dico, le sue lodi scrivo .

Talor l'umana mente , alzata a volo


Con l'ali della speme e della fede
( Mercè di lui che 'l fa ), sotto si vede
L'aere e la terra e l'uno e l'altro polo,
Poi, sormontando, e questo è quello stuolo
Degli angeli abbandona, perchè crede
Esser di Dio figliuola e vera erede,
Onde vola a parlargli a solo, a solo :
Egli , pietoso, non riguarda il merto
Nè l'indegna natura ; e solo scorge
L'amor ch'a tanto ardir l'accende e sprona ;
Tal che i secreti suoi nel lato aperto
Le mostra , e la piagata man le porge
Soavemente, e poi seco ragiona .

Beata l'alma che le voglie ha schive


Del mondo , e nel suo vil breve soggiorno
Misera quella a cui sembra ei si adorno
Ch'a uopo suo non l'usa, anzi a lui vive .
Tutte al Padre celeste andremo prive
Del manto che ne copre il vero intorno
Quel primo amaro o dolce ultimo giorno
Chè morte o vita eterna a noi prescrive.
Oh quanti piangeran le perdute ore,
Avute in pregio per la breve gioja
Che gli lusinga a lor perpetuo danno !
Poichè 'l mal per natura non gli annoja,
E del ben per ragion piacer non hanno,
Abbiano almen di Dio giusto timore.
OLIMPIA MORATI 427

dimenticata ed abbandonata Anassilla (1) » . Gaspara , dice il Varchi ,


« era degna d'andar del pari co' poeti più illustri » ; e ne avrebbe
forse superati molti se in acerba età non si fosse spenta. Mori nel
1554 ( 2 ) .
XXIX. Non fatevi il segno della croce udendo il nome del
l'Olimpia Morati, vissuta nel secolo XVI, la quale professo. le idee
della Riforma. Non abbiamo dinanzi a noi la donna ma la fanciulla,
non la maestra ma la scolara ; più in là non vogliamo nè la pos
siamo seguire. E come fanciulla e come scolara l’Olimpia fu un vero
prodigio. Nata in Ferrara nel 1526, furono maravigliosamente rapidi
i suoi progressi nella letteratura, nella filosofia , nella poesia e nelle
lingue greca e latina. Ell'era per ciò la gioja e il vanto del padre
suo, Fulvio Peregrino Morati, uomo doctissimo . Questi, come scorse
in lei i germi del singolare suo ingegno, con affettuosa cura li col
tivo non solamente da sè ma anche a mezzo di abilissimi precettori.
Non avea l'Olimpia che pochi anni quando già faceva maravigliare
di sè Lilio Giraldi, Bartolomeo Riccio, i fratelli Giovanni e Chiliano
Sinapi, uomini per vario sapere famosi. Ma Celio Calcagnini, poeta,
archevlogo e matematico, era il più caldo de' suoi ammiratori . Egli
godea nell' ascoltare a questa musa infantile » , nell'interrogarla , nel
seguirne con uno sguardo di compiacenza i progressi , e salutava
sotto i tratti della giovane adolescente una Diotima novella , un' A
spasia più pura di quella adorata dagli Ateniesi , che ne avevano
poi fatto a pezzi l'imagine: « Il favore delle muse » , egli le scriveva,
« fu per te un domestico retaggio ; col latte che ti nudri succhiasti
l'amore alla poesia , e , per un incomprensibile mistero , attingesti
alla sorgente stessa la vita dello spirito e quella del corpo » . E in.

( 1 ) Nome assunto dalla stampa , perchè il fiume Piave , anticamente delto


Anasso, scorre presso le terre dei conti Coll'alto .
(2) GASPARA STAMPA AL CONTE COLLALTINO .
Mentre, signor, a l'alte cose intento,
V’ornate in Francia l'onorala chioma ,
Come fecer i figli alti di Roma,
Figli sol di valore e d'ardimento ;
lo qui sovr'Adria piango e mi lamento,
Si da martir, sì da travagli doma
Gravata si dall'amorosa soma
Che mi veggo morir, e lo consento ;
E duoimi sol che, siccome s'intende
Qui ' l suon da noi de' vostri onor, che omai
Per lulia Italia si chiaro si slende ,
Non s'oda in Francia il suono de'miei lai,
Che così spesso il ciel pietoso rende,
E voi pietoso non ha fatto mai .
428 OLIMPIA MORATI

altra lettera : « Le giovanette della tua età amano cogliere qua e


fiori primaverili e comporne variopinte corone; ma tu tieni a vile
quei fiori di un giorno , e côgli nel giardino delle muse serti im
mortali , che mai non disseccano e che per celeste privilegio più
belli e più verdi diventeranno cogli anni » . I quali encomi spinge
vano Olimpia a correre sempre più alacremente nel cammino del
sapere. Non ancora compiti tre lustri, ell' avea già dettata un' apo
logia di Cicerone e dedicatala al proprio maestro. La fanciullezza di
Olimpia passò tra gli affetti domestici , la coltura delle lettere e la
stima degli uomini più rinomati ; ma non crediate che , sentendosi
irresistibilmente tratta a gran cose, ella avesse per questo a sdegno
le cure proprie della modesta condizione in cui era nata e trascu
rasse i suoi doveri. Scorrendo la sua biografia, voi la vedreste di
scendere dalla sublimità de' suoi studi all'umile e affacendata realtà
della vita, perchè le strettezze della sua condizione non affliggessero
le sue tre minori sorelle ed un suo fratellino od ostassero alla loro
educazione. Di tre lustri appena , venne animessa come donzella di
compagnia nella corte di Ferrara presso la giovane principessa Anna
d'Este, e da quel tempo cominciò per lei quell'intellettuale esistenza
a cui sentivasi nata . E tutto il tempo ch'ella stette in quella corte,
non traviata dai piaceri e dalle lusinghe che la circondavano , nè
dagli encomî onde l'esaltavano uomini di gran nome, si dedicò in
defessa agli studi e dagli studi ebbe onori singolarissimi (1). Ma si
mantenne fedele sempre a'consigli che Celio Calcagnini quando ella
entrò in quel palazzo di principi le avea indirizzati. « Ecco » , costui
le avea detto, a che finalmente ti è dato volgere intero l'animo a '
cari tuoi studi, cangiare nella penna la conocchia , le stoffe di lino
coi libri, e gli strumenti del cucire con quelli del pensiero. Ecco
che, per agevolarti mutamento siffatto, la sorte si fa compagna alla
tua gloria, e per distintissimo favore la duchessa ti chiama alla corte,
onde tu viva con Anna sua figlia, il cui raro merito promette a'suoi
(1) Bonnet, Vita di Olimpia Morato : « ll circolo domestico che più riuni.
vasi a lei d'intorno e che applaudiya a'suoi saggi poetici non solo compo•
nevasi della duchessa (Renata di Francia) e dei letterati che questa aveva
chiamati alla propria corte ; vi si contavano eziandio gl'illustri personaggi
di passaggio a Ferrara, dopo aver visitato Venezia e Firenze, e vi si notava
sopralutto un uditorio di fanciulli , che già parlecipava a quei piaceri dello
spirito. Eran questi Alfonso e Luigi , fratelli d'Anna d'Este, Lucrezia ed Eleo
nora , sue minori sorelle, che dalla più tenera elà furono istruiti nelle lettere
per cura della madre stessa . Taiti i doni della mente e della beltà vedeansi
siunili in quella nubile famiglia n. « Le tre figlie della duchessa , dice Bran
tome ( Dames illustres, disc. VI ), furono, bellissime , ma la madre le abbelli
ogaor più col nutrimento che lor diede, facendole ammaestrare nelle scienze
e nelle lettere , che esse appresero perfettamente da superare i più dotii ;
laonde, se bello avevano il volto, non meno bella era l'anima loro n.
OLIMPIA MORATI 429
un onore eguale a quello che ne ha ricevuto. Ora sia tua sollecitu
dine di osservare incontaminato il tesoro che avesti da' tuoi parenti,
il pudore, la modestia, i santi ammaestramenti , e di accoppiarvi pru
denza, eleganza, magnanimità e disprezzo delle cose volgari.... » . Ma
qui fo punto e punti , cugine amatissime , perchè la giovinetta co
mincia a diventar donna (1 ), e non mi regge il cuore di vederla an
dare sposa a un medico tedesco , che se la conduce in Germania ,
frammezzo a' pericoli, confusioni ed infortuni pubblici e privati. Voi,
pietose, come resisterete alla descrizione delle sue sventure quando
insieme col marito e con un fratellino per mano fugge dalla città
incendiata di Schweinfurt, e a stento si salva dalla furia de' soldati,
non avendo indosso che appena la camicia e scarmigliata e co' piè
nudi va poi errabonda di terra in terra mendicando un asilo (2) ?
XXX . Richiamo me e voi, garbatissime cugine, ai termini del
mio programma ed alla osservanza dei patti. Io non vi avevo pro
messo che un catalogo più o meno ragionato e ragionevole delle mag
giori poetesse o letterate, ed a ciò avevate dichiarato di starvi con
tente ; ma ecco invece che nomi e date si sono cambiati in biografie
belle e buone. Appena, appena, per servire alle vostre inchieste ed
a ' punti interrogativi delle vostre lettere, mi sono fermato alle porte
della vecchiaja delle femmine illustri . Chi sa quanto mi sarei avan
zato , e chi sa quanı' oltre le avrei accompagnate , forse a portare
persino l'un de' fiocchi del loro drappo mortuario (3), se non ci fos

( 1 ) Saggio di quanto ella valesse nel suo sedicesimo anno è il seguente


inno in greco, che letteralmente tradotto dice così :
“ Non mai avviene che l'oggetto medesimo seduca il cuore de ' mortali ; non
mai gli stessi gusti vennero da Giove distribuiti agli uomini . Castore è ec
cellente nel domare i cavalli , Polluce nel mineggiare il cesto , e nati sono
pur ambedue dallo stesso uccello divino . Ed io , benchè donna , abbandonai
ciò che è proprio del mio sesso; tela , fusi, fili e canestri . Solo mi diletto nei
prali smaltati di fiori e consacrati alle muse ; amo solo il Parnaso, colla du
plice velta coronata di festeggianti cori! Altre donne sceglieranno forse più
vaghi piaceri , ma la poesia è mia gloria, è mia felicità ! ».
I versi greci alla memoria del Bembo chiudono, dice il Bonnet, un impor
tante periodo della vita d'Olimpia . Suonano così nel nostro linguaggio :
Bembo , la gloria delle suore immortali , il sole di Venezia , signora dei
mari , Bembo non è più. Non havvi tra i figli di questo secolo chi nguagliar
lo possa nella gloria delle azioni o nella soavità del parlare . Egli muore , e
con esso scomparisce il bel genio dell'eloquenza, e par che Cicerone sia per
la seconda volta disceso alle tetre rive dell'Acheronte ! » .
(2 ) Mori nel 1555.
(3) Come curiosità letteraria e come riscontro alle Fanciulle celebri, po
trebbesi fare un'opera sulle centenarie celebri e sulle nonne illustri . Tra le
poetesse vi troverebbe luogo la Beatrice Papafava , nata nel 1626 e morta di
102 anni e 7 mesi . Donna coraggiosissima e d'animo virile , anche in età de
crepita teneva appese al letto le sue armi da fuoco per dar la caccia ella
stessa ai banditi che infestavano la città di Padova , dov'ella abitava. Com
piuto il suo centesimo anno , scrisse an sonetto che intitolo secolare. Pochi
430 GIULIA GONZAGA D'ESTE

sero state le date, che vigili sentinelle, fortunatamente mi gridavano


il chi va là ? e mi barricavano il passo. E poi per far che? Delle
notizie pallide, magre, tisicuzze . Ai termini del programma ed alle
condizioni adunque ; e perchè alle parole tengano dietro i fatti, ecco
che in poche righe vi darò una manata anzi una mano di notizie
biografiche: una notizia per dito. Supponete pure che le siano al
trettanti anelli di pietre preziose , opali , smeraldi , zaffiri orientali,
ma il castone ed il cerchiello sono semplici e di poco prezzo. I primi
cenni risguardano tre signorine della famiglia Gonzaga d'Este : la
Giulia, l'Ippolita e la Lucrezia. La Giulia lodata da Bernardo Tasso
nelle sue poesie e maritata di tredici anni al vecchio ed acciaccoso
duca di Trajetto, Vespasiano Colonna, era dotata di straordinaria bel
lezza e, ciò ch'è più d'ingegno e vivacità singolari. Fanciulla, era
maraviglia di quanti la avvicinavano. Rimasta vedova in freschis
sima età, ricusò le nozze de' più potenti signori , rispondendo a chi
la incitava a rimaritarsi col seguente dilemma : 0 il marito che pren
derò sarà buono , ed allora mi travaglierà continuamente il pensiero
di perderlo ; o sarà cattivo, e tanto più grave mi riuscirà il soppor
tarlo dopo averne avuto un buono (1 ). È un dilemma per altro contro
giorni prima di morire , riavendosi da an profondo deliquio, quasi ell'avesse
placidamente dormito , pronunció questi due versi :
La parca è sorda e il mio chiamar non sente
o nel tormi di là forse si pentė !
(1 ) L'Ortensio Landi pubblico sotto il nome di Giulia Gonzaga, contessa
d'Arco, la seguente lettera, che per l'alta sua moralità riproduciamo (Lettere
di molte valorose donne, nelle quali chiaramente appare non esser né di elo
quenza nė di dottrina agli uomini inferiori. Vinegia , Giolito, 1548) : “ State,
fanciulla mia, quanto più potete dalli uomini nascosta : celatevi a tutte l'ore
dalli occhi de' belli ed impudichi amanti , i quali , a guisa di basilischi e ca
toblepi , sol con l'aspetto uccidono le semplici e mal accorte fanciulle : non
vi curate che si sparga fama della vostra corporal bellezza : curatevi sol che
di voi si dica che savia e pudica siate e che proposto vi abbiate l'onestà da
vanti alli occhi per uno scopo di tutte le vostre azioni. Io non saprei mai
darvi il miglior rimedio, nè porgervi la più singolar cautela , che di star lon.
tana dal fuoco , non volendo abbruciare; attenetevi a questo medicamento
che fedelmente vi dimostro , poi che d'altro migliore non vi so provvedere,
colpa veramente della miseria umana , c'ha si scarsi rimedi a'suoi mali ....
noi soli nel riparare alli danni che n'arrecano le facelle d'amore siamo prive
di ogni consiglio e d'ogni argomento . Contro qualunque vizio si puo viril
mente contrastare, ma con la lussuria non con altre armi conviensi combat
tere che con prestissima fuga ; quà bisogna volger le spalle se vincer si vuole :
nè crediate già che disonorevole sia cotal fuga. Se avviene, carissima figliuola,
che pungere vi sentiate il cuore da stimoli amorosi, recatevi subitamente per
la memoria quelle pungenti spine che trafissero il cervello del Redentore del
mondo ; recatevi per la memoria quegli acuti chiodi co' quali fu confitto sul
Jegno della croce il Fattor del cielo e della terra ; forse che con simili con
templazioni raffredderete i riscaldamenti della carne : miglior consiglio non
vi saprei io dare se del mio corpo uscita foste ; accettatelo adunque con quello
affetto che io vel porgo , e ponetelo in esecuzione senza farvi sopra aicona
indagia ; e me amate " .
IPPOLITA E LUCREZIA GONZAGA D'ESTE 431

cui protestano due buoni terzi delle donne vedove se loro si offra
opportunità di rimaritarsi. Sua divisa era un amaranto col motto :
Non moritura ; alludendo forse, più che al suo primo amore, al fermo
proposito di meritarsi un nome immortale. Anche i lontani furono
presi alla ridente sua giovinezza ed alle altre sue belle doti, e l'im
peratore dei Turchi , come uom per fama s' innamora, senz'averla
veduta ma soltanto udendola celebrare per la sua rara bellezza e
pe' suoi talenti s’invaghi siffattamente di lei che per amore o per
forza la volle in sua mano. Ella era per diventare proprio una tur
chese da fregiare la mezza luna ; perocchè quel sultano, saputo che
ella trovavasi a Fondi, non guardata che dal rispetto e dalla stima
universale, mandò una flottiglia di notte tempo per rapirla e con
durla a Costantinopoli. Que' pirati s'erano già impadroniti di Fondi
già stavano per irrompere entro al palazzo della principessa, quando,
avvisata al loro schiamazzo , del pericolo che le soprastava , senza
porre tempo in mezzo e in un costume che non era da ballo, si getto
da una finestra. Un vecchio sì, ma un sultano no ; perchè il vecchio
era suo sposo e l'amava e se l'erà presentato pregando, laddove
l'altro, temerario avventuriere, le s'imponeva. – La seconda Gon
zaga è l'Ippolita, nata nel 1531 ; ella a undici anni mandava al pa
dre don Ferrante, duca d'Ariano, lettere così gentili e sensate, quali
pochi scolari delle nostre università saprebbero comporre. Quindi
cenne ebbe l'onore di una medaglia, da una parte della quale ve
devasi la sua effigie, e sul rovescio Urania con un libro in mano e
varî strumenti di matematica e musica , col motto : Nec tempus
nec ætas. E bene stava, chè , giovanissima, era dotta nella musica,
nelle scienze esatte , ed oltre ciò ricamatrice eccellente . Fu lodata
da Bernardo Tasso, da Giulio Bidelli e dal Crescimbeni. Quante me
ritano l'elogio che di lei fece Bernardo Tasso : la bella Gonzaga
Ippolita , d'onor , non d'altro vaga ? Mori poco più che trentenne.
.

La terza Gonzaga, cioè la Lucrezia, nata nel 1537, ebbe sino da


fanciulla ingegno svegliatissimo e rara avvenenza di forme. « Fu
costei » , dice Ortensio Landi, « per la vivacità del suo ingegno posta
sotto la disciplina dell'ottimo Padre (il Bandello), tenuto da tutti non
men dotto che religioso e santo : per la cui opera tanto profitto e
nelle umane e nelle sacre dottrine fece che ne rimase ognuno at
tonito » . Seppe di filosofia, di astronomia, di lettere greche e latine,
e fu elegante poetessa. Maritatà all'età di quattordici anni a Giam
paolo Manfrone (1) , gli fu sempre sposa affettuosa , e bene apparve
(1 ) Il citato Landi : « Ancora tutta tenerella fu data per moglie al più
spiacevole, al più ritroso , al più folle , al più bizzarro uomo che nascesse
giammai ».
432 MODESTA DEL POZZO

in lei, allorchè per vendetta di Ercole II duca di Ferrara , egli fu


gittato in un carcere, quanto ell'avesse l'animo nobile e fortificato
dagli studi e dalla virtù , e com'ella sentisse e praticasse la vera
missione della donna, ch'è di ispirare al bene e di confortare. Eroica
si può dire la lettera ch'ella indirizzò al marito che gemeva nel
carcere (1). – Eccovi, care cugine, il quarto anello, la quarta gemma,
-

ch'è la Modesta del Pozzo, conosciuto pure sotto il nome di Mode


rata Fonte. Quando saprete tutti i meriti suoi e chi abbia difeso, voi
1 ) Mori nel 1756. Alcune poesie della Lucrezia Gonzaga sono a stampa,
altre ancora inedite ; molte sue lettere, lei viva, furono pubblicate. Togliamo
i seguenti brani della sopracitata lettera al marito, perchè nel suo stile sen
tenzioso senza affettazione , si rivela l'anima sua nobile e piena di dignità :
Felice fu sempre riputato coluiil quale non dalla sorte lasciossi governare,
ma esso governò la sorte, in sè solo fidandosi e da sè stesso pendente stando....
Niuna cosa può avvenire ad un animo costante che mala sia. Piglinsi , signor
mio, le perturbazioni della vita , la quale , senza la contesa delle molestie ,
c'infracidisce nell'abbominevole ozio, Porrete sotto il giogo della vostra for
tezza questa calamità ; calcatela con i piedi del vostro sapere , poichè albero
alcuno non ha salde e ferme radici se non quello che lungamente ha con
trastato con la rabbia de' venti. La virtù consiste nelle difficoltà, e allora gli
uomini savi e forti mostrano più il viso alla fortuna quando ella ha il viso
più turbato . Sostenete arditamente le sue stravaganze , e sovvengavi che ,
siccome la buona costituzione del corpo ci rende facili à tollerare il freddo
ed il caldo, così anche la buona educazione dell'animo ci può fare costanti
a sofferire l'ira dei principi col rimanente degli affetti umani . Se voi , signor
mio caro, sopporterete con maggior pazienza l' essere stato imprigionato che
non sopporta la vittoria colui che nella prigione vi fa guardare, sarete repu
tato più di lui forte. Accordatevi alla qualità de' tempi , temporeggiate con
sofferenza la presente fortuna, alla quale non vi potreste opporre con forza
alcuna. Difendetevi con le sue armi , e, se quelle non bastano , aggiungetevi
quelle dell'umiltà, chè , non accomodandosi gli avvenimenti delle cose alla
volontà nostra, è di necessità che noi accomodiamo la volontà agli avveni
menti ; chè già questa nostra vita è simile al giuoco de'dadi , dov'è neces .
sario accomodarsi a quel che porta la sorte n.
IN LODE DI LUCREZIA GONZAGA.
Sonetto.
Quest' è il nido gentil , quesl'è l occaso
Ove si cerca quel beato sole :
Qui gli amaranti , i gigli e le viole
9

Fanno un piú vago e più lieto Parnaso.


Queste son l’acque sagre , e quest'è il vaso
Cui d'intorno le muse allegre e sole ,
Dolce cantando , i balli e le carole
Menano , abbandonando il lor Pegaso.
Qui le membra leggiadre e il chiaro viso
Dolce passando s'addormenta e giace
Che rischiara la terra e'l paradiso .
Da quest'albergo , oimè , che sì mi piace ,
Esser non vorrei io giammai diviso,
Poi ch'altrove non ho riposo e pace .
ANTON FRANCESCO GRAZZINI detto il LASCA ,
MODESTA DEL POZZO 433
certamente la proclamerete non un'amatista, ma almeno almeno un
topazio, di color d'oro o celeste. S'intitolava Modesta, aveva assunto
per bizzarria il nome di Moderata, ma la sua modestia le permetteva
e la sua moderazione le consentiva di imboccare la tromba e di far
rimbombare a' quattro venti le lodi del suo sesso. E da ciò non le
parve sufficiente un'opera ma due : cioè tredici canti del Floridoro
e un libro, commisto di prosa e versi, intitolato il Merito delle donne.
Se le femmine non riescono in tutto e per tutto , sapete voi di che
e di chi è la colpa ? Dell'educazione e degli uomini, che per invidia
le tengono lontane da certe carriere in cui il nostro sesso suole ota
tener gloria (1). Per tal modo , s'esse non riescono navigatrici fa
mose , e se per causa del mal di mare non ponno dar dei punti a
Marco Polo ed a Colombo, la colpa è degli uomini, i quali per tempo
e ragazzine non le hanno messe su di un bastimento e mandate a
fare il giro del mondo. Dico ciò perchè veggiate come l'esagerare

(1 ) OTTAVE DI MODESTA DEL POZZO


tratte dal Floridoro, canto IV.
Le donne in ogni età fur da natura
Di gran giudicio e d'animo dota te
Nè men atte a mostrar con studio e cura
Senno e valor degli uomini son nate ;
E perchè, se comune è la ſigora ,
Se non son le sostanze vaiïate,
S'hanno sirnile un cibo e un parlar, denno
Differente ayer poi l'ardire e ' l senno ?
empre s'è visto e vede ( pur ch'alcuna
Donna v'abbia voluto il pensier porre )
Nella milizia riuscir più d'una ,
E'l pregio e'l grido a molti uomini törre ;
E cosi nelle le! lere e in ciascuna
Impresa che l'uom pratica e discorre
Le donne si buon frutto han fatto e fanno
Che gli uomini a invidiar punto non hanno .
E benchè di si degno e si famoso
Grado di lor non sia numero molto,
Gli è perchè ad atto eroico e virtuoso
Non hanno il cor per più rispetii volto.
L'oro che sta nelle miniere ascoso
Non manca d'esser ôr, benchè sepolto,
E quando è tratto e se ne fa lavoro
È così ricco e bel come l'altr'oro .
Se quando nasce una figliuola al padre,
La ponesse col figlio a un'opra eguale ,
Non saria nelle imprese alte e leggiadre
Al fratello inferior né disuguale ;
o la ponesse in fra l'armate squadre
Seco, a imparar qualch’arte letterale ;
Ma perchè in altri affar viene allevata ,
Per l'educazïon poco è slimata .
28

BERIAN . Le fanciulle celebri .


434 MODESTA DEL POZZO
noccia alla difesa anche di una buona causa. Nel convento la nostra
Modesta non si occupava unicamente di confetture, di gramolate e
di dolci, ma sì ancora, molto anzi, di belle lettere. E quelle mona
chelle , che l'istruivano , non avevano che parole d'elogio per lei ;
>

e tanto ell'era attenta a'suoi studi, e si rapidi progressi faceva, che


più di qualche suora s'era arrischiata di profetare che una ragazza
di quel merito doveva certo finire coll'essere badessa. Ma quelle
predizioni fallirono. Inoltre la Modesta le faceva strabiliare per un
singolar dono avuto da natura e che rare volte suole accompagnare
l'ingegno, quello cioè di una prodigiosa memoria. Ella potevasi dire
il taccuino del convento, che conservava fedele memoria de' più mi
nuti particolari d'un fatto qualunque, senza sbagliare d'un ette.
Avendo imparato assai prestamente quel che le potevano insegnare
quelle buone monache , ella fu tratta di là e richiamata in casa di
una sua avola, che a lei orfana fino da bambina faceva le veci di
madre. La buona vecchia, credendo che per donna ella avesse im
parato abbastanza, non si curava di darle altro maestro ; ma il grande
e spontaneo amore della fanciulla agli studi le procurò da sè un
nuovo precettore ; perocchè ascoltando le lezioni che davansi a un
suo fratellino ella ne fece suo pro, e in breve tanto seppe, giovata
anche da una continua e meditata lettura, da potere in età ancora
assai tenera scrivere picciole composizioni in latino ed in italiano.
Bello era udire il fratello dir alla sorella : Come fai a sapere tanto ?
ed ella : E tu come fai a non imparar nulla ? Ma è tempo , ca
rissime cugine, ch'io lasci andare da sè la Modesta del Pozzo, che
che ha già sedici anni e più che cento ragioni di non voler essere
quindi innanzi accompagnata che dal suo sposino Filippo De-Zorzi,
avvocato fiscale. V'assicuro poi, per vostra regola e quiete, ch'ella
fece un bellissimo matrimonio, perchè non portò in dote solamente
le lettere e la poesia , ma un grande affetto allo sposo e il santo
proposito di essere , come fu, buona moglie e buona madre. Una
poetessa che dà ella stessa l'educazione a' suoi figliuoli è cosa pro
digiosa ; ma tale miracolo lo operò la Del Pozzo ! Ora siamo al
dito mignolo della mano, cioè all'ultima signorina di cui vi ho pro
messo parlare. E lo chiamo dito mignolo, non perchè: sia di poca
importanza, ma perchè mi vo'cavar presto d'impaccio, ed era ben
tempo, dicendovi asciutto asciutto ch'ella si chiama Anna Spina, ro
mana , e che , quantunque morta nella verdissima età di quindici
anni, lasciò opere che le procacciarono il nome di terza Corinna (1 ).
Fate qualche cosa anche vui , cercate quando è nata. Non rileggo
( 1 ) Gesta delle donne utili ai popoli , e alcune sentenze e delli di celebri
autori, Milano , Trufi 1827, pag. 36 .
LETTERATE E POETESSE 435
la lettera per non vedere le sproporzioni che avranno queste cinque
diverse figure, delle quali però, notate bene, non v'avevo promesso
che il nome, l'arte e la patria. E sempre disposto a maggior brevità
e sprofondandomi ne' soliti inchini, mi dico, ecc., ecc.
>

XXXI. -
Scorgo dalle vostre lettere , ma non dal vostro modo di
scrivere, che voi andate in visibilio per lo stile di parecchi tra’mo
derni. Ma, con vostra buona grazia, io non sono del vostro parere,
e mi meraviglio che voi, dotate di buon gusto, non l'appelliate piut
tosto, anzichè stile, contrafazione e scimiotteria . E doppia e tripla e
quadrupla scimiotteria ell'è, perciocchè una volta si toglieva almeno
ad imitare uno scrittore solo, il Petrarca, p. es., 0 il Boccaccio ; ma
ora se ne imitano dozzine per volta, tanto che un periodo, un solo
periodo, si può dire una vera olla podrida, non avente un odore e
un sapore a sè, ma tutti insieme gli odori ed i sapori. Ne'quali pa
sticci sono tutte le droghe , ma non il sale. E perchè ciò ? Perchè
non si vuol accogliere parola o frase che non sia bella o luccicante
in tutti i suoi lati ; e perciò si va alla questua di qua e di là , da
questo scrittore ee da quello, di vocaboli e maniere di dire tra le più
ricercate e peregrine : onde ciò che parcamente usato era ornamento
e fregio negli antichi, diventa ne' moderni barocchismo . Perchè poi
le parole, quali più, quali meno, coloriscono le idee, avviene perciò
che lo scrivere de' medesimi signori sia una vera tavolozza, un con
trasto di colori smaglianti che abbarbagliano e quindi stancano . Ne
risulta eziandio , per lo sforzo che si fa di chiudere molte idee in po
che parole, che regni negli scritti medesimi un'irrequietezza continua
d'immagini , che bene spesso cozzano insieme. Tali scrittori non ri
posano essi , nè lasciano riposar noi, ma sono sempre in convulsione.
Non è il mormorante rivo che a suo tempo si faccia grosso torrente
è poi real fiume; non v'è sorgente o foce : non v' ha distanza fra
le alpi e il mare ; tutto è flutto e cavalloni, e sopra vi passeggia con
molta prosopopea una pazza, che ha la sfrontatezza di chiamarsi arte.
Che se questi sono gli effetti del genere di scrivere che piace a voi,
genere che vive tutto di piccoli furti , e se dal più al meno tali
effetti s'incontrano in tutti gli scrittori di tale fatta , direte voi che
hanno stile, cioè un modo proprio di vestire e di presentare le loro
idee ? Sfido io a vedere l'anima di questa gente quand' ella scrive ;
sfido io a conoscere che hanno un'anima propria e a distinguere
l'un'anima dall'altra ! Bisognerebbe ammettere la metempsicosi, in
senso non del passaggio di anime intere ne' corpi , ma dell'incontrarsi
delle molecole d'infinite anime in un corpo solo . Per sorprendere
l'anima di tal gente, per vedere le vie che corre il loro pensiero e
come la parola lo segue, sapete voi ciò che rendesi necessario ? È
436 CLOTILDE TAMBRONI

necessario che sieno vinti dalla stanchezza o che non diano grande
importanza a ciò che fanno ; perocchè allora si lasciano andare se
guendo non gli altri ma la propria natura, ed allora, solamente al
lora, siatene certe, sebbene essi non l' ammettano, valgono qualche
cosa. Che ha da far tutto questo colla vita e coi meriti delle donne
e fanciulle letterate ? Ci ha da fare benissimo, se le signore donne
e fanciulle letterate desiderano dare alle cose loro un carattere pro
prio, un'originalità, piuttosto che fare esse pure, alla loro volta, delle
stentate contraffazioni. Se non isbaglio, le donne, forse a motivo della
loro grande loquela che bene spesso le trae a parlare senza consi
derazione alle conseguenze di quel che dicono , se non isbaglio, dico,
le donne sono assai meno adulatrici degli uomini e parlando ma
scherano assai meno il loro pensiero : ora perchè vorrebbero masche
rarsi scrivendo ? Voi dunque se siete persuase che la parola non fu
data all'uomo per nascondersi o per farsi pigliare in iscambio, par
late e scrivete come la vostra anima vi detta , e gridate con me :
Giù l'abito tutto a pezzetti di diversi colori che vi siete composto
colla roba altrui, o signori arlecchini od arlecchine !
XXXII . La Clotilde Tambroni è una Vittoria Colonna d'altro
genere : anch'ella aveva il suo modo di pensare e di agire negli af.
fari della così detta politica. Ma, se chiedeste il mio parere, con tutto
il rispetto che professo per quella signora professoressa di lingua e
letteratura greca nell'università di Bologna, direi che ella ha fatto
malissimo a ricusare nel 1797 di prestar giuramento d'odio alle de
crepite e tiranniche monarchie che erano state rovesciate, e che operò
benissimo andando in Ispagna a cercarvi le beatitudini dell'assolu
tismo. Per ingegno e studi che uomo o donna abbia, e' non può im
porsi alla volontà nazionale e chiamar ordine ciò che gli altri di
cono disordine e viceversa. La libertà ! ma chi la deve amare più
del letterato ? So che pur nell'età sua fanciullesca era valentissima
nei lavori donneschi, so che sapeva condurli a perfezione ammirata,
so pure che in quei verdi suoi anni seppe di matematiche, di lettere
e di filosofia ; ma se questo importa grandemente a voi, è per me
affatto secondario. Anche quando parlo di femmina letterata penso
sempre alla donna ed alla cittadina. Questa è de' retti giudizi, care
mie, una condizione sine qua non (1).
XXXIII . Ancora di altre due o tre letterate e poetesse, e poi 1
mi ritiro ; perchè , a dirvela schietta, mi pare che ci resti a dir ben
poco di nuovo su questa materia e che le cose da imparare siano
( 1 ) La Tambroni nacque in Bologna nel 1768, morì nel 1817. D'Anse affermo
che tre soli erano capaci in Europa di scrivere come lei , e quindici soli ca
paci di ben intendere i suoi scritti !
LA MANZONI, LA MORELLI -FERNANDEZ E LA BANDETTINI-LANDUCCI 437
ancora meno. Per compiere dunque questi fuochi artificiali, accendo
un triangolo luminoso, composto degli splendori poetici della Manzoni,
della Corilla Olimpica e della Bandettini-Landucci : e , signore mie
attente perchè dura più la detonazione che la luce. La Francesca
-

Manzoni (1) , nativa di Barsio, in Valsassina, a dodici anni trovava un


gran piacere nel latino, ch'ella intendeva e gustava ; ed oltre a ciò
scriveva con proprietà ed eleganza rare per la sua età prose e versi
nella propria lingua. — La Corilla Olimpica, nata in Pistoja , si chia
mava veramente Maddalena Morelli-Fernandez, ma siccome, entrando
in Arcadia donne e uomini cambiavano di nome, i più cessando di
essere utili cittadini, anch'ella assunse il nome fastoso di Corilla
>

Olimpica, ch'è quanto a dire celeste , se non significa piuttosto ap


partenente a' giuochi olimpici o montanara d'Olimpo. Ragazzetta im
provvisava versi che per la sua età erano trovati una gran cosa ; &
in vero, sempre per l'età e pel sesso, si levavano dalle poesie co
muni per nobile e immaginosa fantasia . Io le avrei regalato un mazzo
di fiori; ma i Romani, dov'ella poscia andò a recitare еe declamare,
non avendo più eroi e conquistatori da coronare , ed avendo desi
derio di fare qualche incoronamento , la grassero in Campidoglio e
le accordarono quegli onori che aveva meritato il Petrarca, dopochè
c'era stato un Cola da Rienzo , ma che più tardi non era giunto a
conseguire il Tasso. Senza tanti arzigogoli vi dico che in età di tren
lott'anni , con grande solennità fu coronata d'alloro fra l'entusiasmo
di cardinali, letterati e poeti e fra le risa di Pasquino (2). Non aveva
ella merito poetico ? Si, e vl'ho detto ; ma, care mie, ci vuol altro
per meritar l'alloro ! Leggete il primo sonetto del Petrarca e poi
tutte le poesie dell'Olimpica, stampate dal Bodoni, e vedrete che tutte
insieme non valgono quell'uno (3). — Se la Morelli-Fernandez ebbe le
risate di Pasquino, la Bandettini-Landucci trovò invece un bellissimo
elogio dell'Alfieri. È vero che questo grand'uomo lodandola confessa
di essere più al di là che al di qua e che le sue facoltà non sono
più all'altezza di quando era giovane ; ma, perchè parla sempre un
grand'uomo, dinanzi lui bisogna stare col berretto in mano. Ag
giungasi che non è sola l'autorità dell'Alfieri ma s'unisce pure quella
del Mascheroni, che non dice d'andar con lei al limbo dei santi pa
dri, ma di aver trovato nella Bandettini un Virgilio che lo condusse,
nuovo Alighieri , a far seco pissaggio – Ne' regni dell'oscura onda

(1) Nacque nel 1710, mori nel 1770.


( 2) Pasquino e Marforio sono due statue in Roma , celebri per le arguzie e
gli epigrammi popolari che si appiccicano ad esse .
(3 ) La Maddalena Morelli- Fernandez nacque in Pistoja nel 1728 , fu coronata
il 31 agosto 1766, mori nel 1800.
438 LA BANDETTINI - LANDUCCI

letéa. Se due così poderosi mi urtano e mi spingono, come posso re


sistere ? Ond'è ch'io m’inchino al merito raro della Bandettini , mi
maraviglio co' suoi ammiratori che di cinque anni sapesse leggere
(cosa che non è però un miracolo a' nostri giorni) , che settenne colla
>

madre improvvisasse delle ottave di giusto senso e misura e rico


nosco nelle sue poesie date alle stampe originalità, immaginazione e
sentimento ; ma ciò che me la rende sopra ogni cosa stimabile è il
saperla dotata di bellissime qualità d'animo . Povera e costretta a
darsi all'arte della danza , ella non abbandona i diletti studi , non
corrompe il suo cuore, ma col proprio lavoro sostenta la povera ge
nitrice e vive ottima sposa e diligente madre. Tutto questo nella bi
lancia dell'umanità pesa ben più che un tomo in foglio di terzine o
di ottavel Nè m'allontano da lei perchè sia diventata vecchia, e plau
disco al suo spirito quando, vacillando e tremandole le membra, ella :
trova ciò naturalissimo, dicendo che, essendo venuta al mondo bal
lando, ben le si conveniva anche ballando partirsene (1).
( 1 ) La Bandettini di Lucca nacque nel 1763; mori nel 1837. In Arcadia le
fu dato il nome di Amarilli Etrusca .
AD AMARILLI ETRUSCA .
Deh come dietro al buon cantor d'Enea
Fece Alighier tra l'ombre il gran viaggio ,
E si l'assicurò lo duca saggio
Che umil Caronte il varco a lui cedea ,
Or sembra a me , nova sibilla o dea ,
De ' tuoi carmi lucenti al vivo raggio
Calar laggióso e far teco passaggio
Ne' regni dell'oscura onda letéa !
lo veggo la Francesca , i'veggo il Conte
Che rode il teschio misero e favella
Dalla buca ghiacciata d'Acheronte.
Ah non si presto il ciel tolgami il duce !
Tu sola mi puoi rar, Bice novella ,
Dall'atra selva alla superna luce .
LORENZO MASCHERONIO

Ed io pure , ancorchè de' fervid'anni


Semispenta languisca in me la foga ,
Io pur la lira, ond'alto cor si sfoga
Chieggo, e fremendo sciolgo all'aria i vanni ,
Quali in me si adoprâr magici inganni ?
Chi tal poter sul canlo mio si arroga ?
Donna , il cui carme gli animi soggioga ,
Rimar mi fa, benchè tai rime io danni .
Ma immaginoso poetar robusto,
Pregno di affetti lanto odo da lei
Scalurire improvviso e in un venusto
Ch'or di splendida palma i'mi torrei
Pe' suoi versi impensati andarne onusto
Più che mai speri da' pensati miei .
VITTORIO ALFIERI .
POETESSE E LETTERATE 439

XXXIV . Kaccomandatevi a Diana cacciatrice, se volete correr


dietro per monti e per valli a tutti i selvaggi della panna che hanno
osato più o meno apertamente mettere in dileggio le foroseite e le
pulzellone letterarie. Io stesso forse non andrei esente dai vostri
dardi. Di que' selvaggi ve n'ha in tutti i luoghi e di tutti i tempi ,
perchè in tutti i luoghi e in tutti i tempi l'opinione pubblica ebbe
degli interpreti più o meno cortesi e discreti. Ma non bisogna d'un
fuscellino fare un trave, e molto meno dare importanza a cose che
non la meritano. V'accorate forse voi perchè il Bondi e l'Adimari
canzonassero le donne saccenti e le dottoresse ? Se non si trattasse
che di questo dovreste invece desiderare che tutti gli uomini aves
sero scritto com'essi delle cose vostre. Quelle loro poesie in biasimo
delle donne che attendono alle lettere ed alle poesie, non altro pro
vano se non ch'essi pure erano poeti fiacchissimi e giudici incoin
petenti, se in modo assai volgare dicevano male della creatura più
gentile. Vi par che l'Adimari potesse esser più falso e volgare di
quello fu ne'seguenti versi ?
Palustre augello osa tentar le stelle ,
Fabbrica nel suo cor macchine vane ,
Inventrici di ciance e di novelle.
VERSI DELLA BANDETTINI LANDUCCI
ALLA CELEBRE CANTANTE GRASSINI .
Fonte di neltare , E la settemplice
Cara armonia , Luce riflessa
Per quale incognita Agli occhi è imagine
Scorrevol via Di suoni anch'essa ,
A' sensi rapida Se liela l'iride
Porti il piacer ? Si affaccia in ciei .
Ah sil ta regola Voce han le tremule
D'ogni opra bella , Onde marine ,
Quanto circondami L'aure che aleggiano
Di le ſavella , In vette alpine ,
E lutto s'anima Ed ha terribile
Al mio pensier. Favella il tuon .
Han l’erbe e gli arbori Tutto nell'ordine
E voce e mente , Dispose il fato ;
Quando sussurrano Del suol , dell'etere
Al sol nascento Armonizzato,
E scoton l'umido Tutto simmetrico
Nolturno gel . Concorda il suon .
Altri versi della Bandettini abbiamo dali , (Vedi l'Indice alfabetico) .
LA MILLI NEL SUO SALUTO AD AMARILLI ETRUSCA.
Monti , Parini , il rigido Nè disdegnâr di volgere
Sommo Astigian, le ciglia Un suono a lei del canto
Serene in lei conversero , Che con civil magnanimo
E affello e meraviglia Scopo sciogliean solianto
Per la gentil spontanea I rei costuroi a mordere
Musa sentiro in cos . Dell'infiacchita elà.
40 POETESSE E LETTERATE

Che gentilezza palustre è mai questa ? E poi che ne dite dell'au


gello macchinista ? Fosse almeno un castoro ! Quando poi critica La
donna saccente che spiega il fenomeno terribile del terremoto , ed
entra perciò nei domini della fisica , egli si mostra più ignorante e
più goffo della medesima saputella di cui si beffa . Da che deriva il
tremuoto secondo il detto signor Adimari ? Dal vapore concentrato
in grembo al suol più vuoto, che racchiuso vuole uscir fuori. Del
globo sublunare egli se n'è fatta una pentola col coperchio. E poi
il fiume Sava che per i suoi bisogni poetici è diventato il Savio ?
Nè più gentile ed elegante è il Bondi negli sciolti intitolati La dot
toressa . Dopo aver detto che segno a'suoi sarcasmi è Logistilla, Che
già da tempo il frale ingombro e il peso Più non sentè delle ter
rene membra - E spirito divenne, la rassomiglia a pappagallo rauco,
gonfio e pettoruto ; e poche righe dopo , smemorato , le toglie ogni
raucedine e gonfiezza per farle ricordare ad ogni ora con modesto
rossore le opere ch'ell'ha pubblicate (1). Ci vuol altro che dar il ti
tolo di anitroccoli o di pappagalli alle donne saputelle! Non basta
dir loro : fate male , ma bisogna dire : e questo è il bene che do
vreste farci; ma per ciò bisogna avere qualche idea , non già mo
strarsi solo pieni di boria maligna. Confortatevi però, chè nè l'iino
nè l'altro ha avuto il coraggio di negarvi le ali : nell'uno e nell'altro
siete tuttavia augelli, mentre l'uno e l'altro con quelle loro bubbole
poetiche fanno la figura dell' uccello di S. Luca.
XXXV. -- Mi richiamate al mio programma ? Ma io ho bello e
terminato il mio compito, ed ora vado a zonzo. Come ? come ? E
-

la Cicci, e la Caminer-Turra, e centinaja e centinaja d'altre tra morte


e vive ? Non furono celebri queste giovinette in letteratura ed in
poesia ? - E che perciò ? le sono gemelle che si assomigliano. - -

Quando avessi detto di ciascuna che nacque, visse e morì, che nac
que e crebbe poetando, che fu la meraviglia del suo tempo, su per
giù parlando di una avrei parlato di tutte le altre. Che solco lu
minoso lasciarono ? dalle loro poesie e dalle loro prose che beneficio
ha ricavato il mondo ?
( 1 ) Clemente Bondi : LA DOTTORESSA .

Vuoi più ? bramosa di più largo grido,


Picciol volume di cucite rime ,
Tutto di vario stil , fidando assai
E forse troppo sui segreti ainici ,
Ai torchi espose del suo nome impresso.
Uscio appena , curïuso il lesse
Il pubblico da prima, indi ne rise,
Poi l'obliò ; nè più memoria alcuna
Ne resterebbe omai , s'ella ad ogni ora
Con modesto rossor nol ricordasse .
MARIA SELVAGGIA BORGHINI LUIGIA CICCI 441
XXXVI. Darmi del mancator di parola ? Ma allora non posso
resistere al vostri comandi e debbo proprio schiccherarvi le biografie
domandate. Ma badate che non vi è legge che non si arrivi a elu
dere. Ne volete altre tre delle biografie ? Ebbene : secondo i termini
del mio programma, eccovele. Numero uno : la Maria Selvaggia
Borghini nacque in Pisa, nel 1654 ; mori più che settuagenaria. Nel
suo undecimo anno d'età scrisse con qualche eleganza il latino e più
che mediocremente il greco, studiò la logica e matematica ; diedesi
anco al verseggiare ; ma la memoria di tutto ciò sarebbe appena ap
pena giunta sino a' nostri giorni se non si fosse attaccata alle falde
d'un Santo Padre della Chiesa, cioè di Tertulliano , di cui tradusse
>

le opere cattoliche ( 1). Numero due : la Luigia Cicci, poetessa, è


-

un'altra pisana , nata nel 1770, morta nel 1794 : scrisse versi prima
dell'età legale dell'uso della ragione , e tanta fu la sua inclinazione
ed il suo amore alla poesia che dagli acini dell'uva seppe cavare
penna e calamaio; da ciò ch'era venuto a Noè la vergogna e la de
risione di Cam, a lei venne la prima gloria (2). Numero tre : la

(1) SONETTO DI MARIA SELVAGGIA BORGHINI .

Apiche selve , oh come in voi soave


E fido spiega il venticel le piume ,
Come nel seno vostro il picciol fiume
Limpido corre , e di velen non pave !
Dell'empie cure, onde va infermo e grave ,
L'uom in voi di spogliarsi ha per costume ,
Che , gli occhi aprendo a più verace lume ,
3

Di speme e di timor guerra non have .


Come nocchier che su la patria sponda ,
Già del mar sazio e fastidito , giace ,
Non si move al soffiar d'aura seconda ,
Nè allor che il vento lusinghier, fallace ,
Si cangia e trista la già placid'onda
Perde la dolce racquistata pace .

(2) Luigia Cicci, nala in Pisa il 4770, passionata del bello , vinse i divieti
del padre che le interdicevano i libri; e scriveva versi con penna di legno
intinta in un chicco d'uva. Di dieci anni sapeva il Dante a memoria. Poi si
diede alla filosofia , alla fisica e ad altro . Fu nondimeno accademica. Visse
nubile ed amorosa de' suoi. Mori nel 1794 e s'involo in tempo ai clamori e
alle sozzure del secolo moribondo. ( Dizionario esteticu di N. Tommaseo ,
parte antica).
Aglaja Anassillide , cioè Angela Veronese , nata nel finire del secolo XVIII
nel castello di Biadene ( Veneto ), scrive di sè che verso i quallordici anni si
destò in lei la brama d'imparare assolutamente a scrivere. Una vecchia ta
bacchiera dismessa da suo padre fu il suo primo calamajo. E soggiunge :
Li primi versi ch'io modulai ( di tredici anni, senz'aurea cetra , a col solo
entusiasmo dell'età prossima a svilupparsi , furono diretti all'Aurora e inco
minciayano cosi :
442 ELISABETTA CAMINER -TURRA
Elisabetta Caminer-Turra, veneziana, nacque nel 1751 , usci di que
sta vita nel 1796, dopo essersi imbrattate le mani, non l'anima, d'in
chiostro da scrivere e da stampa. Sino all'età di quattordici anni
compose le cuflie, poi divenne compositrice di stamperia , copista, >

traduttrice, rimatrice, comica e giornalista (1). Morì d'un pugno al


petto datole da un soldato, che in istato d'ubbriachezza propugnava
forse le opinioni di Napoleone I. Il Parini disse di lei che, spiegando
l'ali fra le muse con fortunato ardire, vaga e bella, giunse ad otte
nere le glorie del miglior sesso (2) . Miglior sesso ! capite ? Anche nel
lodarvi, i poeti e gli uomini , in generale , non vogliono rinunziare
all'idea della loro supremazia ! E perchè ? Perchè volete entrare nei
loro domini e prendere in affitto gli abituri nelle muse canore in
luogo di farla da sacerdotesse e da regine nel vostro tempio, nella
vostra reggia, che è la casa.
XXXVII , Non è irriverenza , care signore , la mia , ma desi
>

derio di farla finita con quest' enumerazione , con questa rivista


di persone del vostro amabile sesso, che io credo avrebbero potuto
meglio impiegare il loro tempo altrimenti che colla poesia. Che se
questo non fosse il vostro avviso, siete pregate a considerare che
ognuno è padrone della propria opinione, e, inoltre, ciò che importa
più, che nessuno è giudice in causa propria. Quando cercate di farvi
belle, badate forse di andare a versi a voi stesse, piuttosto che a noi ?
Dunque, se volete volare, volate a modo nostro e dove le tenere co
lombe, che siete voi, non ci sia pericolo che incontrino le aquile o
i falchetti, che siamo noi. In certe cose , credete a me, non ci fate
la più bella figura del mondo : gli uomini hanno certi aloni che pa
jono vele ; e quando le movono e le distendono c'è l'eclissi per voi.
Già sorta era la rosea
Diva che il ciel colora ,
Che gli astri rende pallidi ,
Che l'orizzonte indora .
Vedi i Versi di Aglaja Anassillide, aggiuntevi le notizie della sua vita scritte
da lei medesima. Padova, Crescini, 1826. E versi e prose della poetessa di Bia
dene non si cavano fuori dalla mediocrità bettinellesca e frugoniana .
( 1 ) Fu educata ad una scuola di lavoratrici di biancherie e di cuffie sino
ai quattordici anni , ed ivi , tratta da ignota forza, lasciava a quando a quando
i donneschi lavori , per leggere o per iscarabocchiare . Tornando dalla scuola
alla casa , fu visto chi , sfacciato le susurrava all'orecchio ; del che la madre
la sgridò e, per punirla , la collocò tra i copisti che tenea il padre , Domenico
Caminer , estensore d' un giornale . Elisabetta da quel materiale ministero
trasse buon costrutto , apprendendo di per sé la facilità del comporre e l'i
dioma francese . Attese quindi alla compilazione di giornali , alla traduzione
di drammi francesi, e degli idilii di Gesoer.... Staya assistendo a' preparativi
di una rappresentazione in Vicenza, nel teatro de' dilettanti , per sua solerzia
fondato, quando, rivoltosi a lei an soldato ubbriaco , le colpì il petto con per
cossa tale che poco dopo n'ebbe a morire . ( B. Gamba) .
(2) Nella Magistratura, ode in encomio del provveditore di Vicenza Gritti .
LETTERATE E POETESSE 443

Foste lodate dal Tasso, dal Bembo, dal Chiabrera, dal Parini, ecc., ecc.,
ma chi di voi li superò nell'alto volo ? – Oh adesso non ci saranno
più letterate nè poetesse per far piacere a voi , garbatissimo cugino ?
-- Non adulatemi, nè calunniatemi ; ma io so quel che mi dico , e
.

so che nelle precedenti lettere non ho esclusi i casi in cui potreste


essere utili anche colla letteratura e colla poesia (1). Eravate pur di
ciò persuase. Fate a modo mio, leggete il sensatissimo discorso di
Anna Pepoli, il quale prova non doversi le donne nel modo stesso
educare che gli uomini, e meditate, più che leggere, le profonde ve
rità che dice il Tommaséo in un suo trattatello sugli studi conve
nienti alle donne (2) . Ci mandate a leggere ? Oh abbiamo altro
da fare ! Capisco, non volete leggere la vostra sentenza ; ma io
ve la chiudo nella presente, e , perchè siate ad un punto assaltate
da fanteria e cavalleria, e sia inevitabile la vostra resa a quella della
vostra riserva , cioè di quella ostinata veterana ch'è la vostra aia ;
quì subito faccio tonare l'artiglieria. Non abbiate paura, non sono

(1 ) Vedi anche il capitolo Vi nelle Eroinë e patriote.


(2) Tommaséo, I. C. • Studino le donne nei libri tanto quanto bisogna a
dire con proprietà e chiarezza parte di quel che sentono in cuore e imparino
a fare interi i concetti propri, non a rubare gli altrui .... Se il più grande av.
versario dell'ispirazione è l'orgoglio, forza è dire che douna letterata non sia
veramente ispirata mai se non quando una grande scossa di dolore la vuoti
di sè stessa e la faccia riessere donna .... La donna dotta o troppo si nasconde
o troppo poco ; si maschera o s'ignuda , s'appialta all'insidia o si sfronta
all'assalto ... La donna ad altro mestiere che di letterata è messa nel mon
do .... Lo stato di moglie , da tante mogli e da tanti mariti riguardato come
il fine e l'uffizio della vita , non è che mezzo e preparazione al ministero di
madre . Questo titolo che fa la donna venerabile nella gioventù e rinnovella
nella vecchiaja l’anima sua di giovanili speranze , e la incorona di non so
quale perpetua verginilå ; questo titolo, caro e sacro, può dare non solo al
l'affetto, ma all'ingegno femminile altresi forza e sanità e tenerezza ed im
peli generosi . Dall'accento de' suoi bambini la madre apprenderà suoni che
i libri non danno. E dal suo stato augusto, nel quale è vicenda continua di
timori e di speranze, di gioje e d'affanni, e le gioje e gli affanni insieme
misti si fondono in lagrime ; dal suo stato le verranio continue illuminazioni
di bontà e aliti di bellezza. Quella ch'educherà il proprio ingegno a fin d'e
ducare i propri figli, e, se propri non ha , quelli de' congiunti e dei poveri :
con ciò solo avrà fallo innocenti gli studi e levatili d'ogni pedanteria . Donna
tale non leggerà nè tanti giornali letterari nè tanti romanzi , ma libri semplici
di religione , di morale , di storia , e, laddove manchino al suo bisogno , ne farà
modestamente da sè, o dalle opere degli uomini sceglierà que' tratti che al
l'occorrenza sua e de'suoi bamboli si confacciano . E, cercando l'utile vero ,
s'incontrerà, senz'addarsene , nel piacente e nel nuovo . E la soavità dell'a
nima sua sarà forte soavità : perchè lo gracili Abre della donna siccome re ,
sistono al dolore , cosi rispondono valentemenle all'amore . Osserverà in ogni
cosa la verità schieita , e schietta in parole la renderà . In ogni suolo ricer
cherà la vena dell'affetto ; e il pur cercare l'affetto è un crearlo. A lei gli
studi non saranno balocco o pericolo, ma dovere e salvezza. Salvezza dal
l'ozio tentatore, consolazione dalle calunnie crudeli e dai dolori indicibili
fortemente repressi , cantico segreto e preghiera " .
444 LETTERATE E POETESSE
cannoni rigati, ma i versi del Leopardi. Al loro rimbombo cadreb
bero non una, ma dieci Gerico :
Donne , da voi non poco
La patria aspetta : e non in danno e scorno
Dell'umana progenie al dolce raggio
Delle pupille vostre il ferro e il fuoco
Domar fu dato. A senno vostro il saggio
E il forte adopra e pensa ; quanto il giorno
Col divo carro accerchia, a voi s'iuchina.
Ragion di nostra etate
Io chieggo a voi . La santa
Fiamma di gioventù dunque si spegne
Per vostra mano ? attenuata e franta
Da voi nostra natura ? e le assonnate
Menti, e le voglie indegne,
E di nervi e di polpe
Scemo il valor natio, son vostre colpe ?
Madri d'imbelle prole
V’incresca esser nomate. I danni e il pianto
Della virtude a tollerar s'avvezzi
La stirpe vostra, e quel che pregia e cole
La vergognosa età condanni e sprezzi ;
Cresca alla patria, e gli altri gesti e quanto
Agli avi suoi deggia la terra impari.
Qual de' vetusti eroi
Tra le memorie e il grido
Crescean di Sparta i figli al greco nome ; )
Finchè la sposa giovanetta il fido
Brando cingeva al caro lato, e poi
Spandea le negre chiome
Sul corpo esangue e nudo
Quando e' reddia nel conservato scudo.

Autori consultati . Accademico Inironato , Adimari , Aglaja Anassillide,


Altieri , Ariosto , Bandellini -Landucci Teresa , card . Bessarione , Bondi , Bor
ghini Maria Selvaggia, Brantôme, Ciampi, Chiabrera, Cino da Pistoja, Colonna
card. Pompeo , Colonna Vittoria , Crescimbeni , Da Bergamo Iacovo Filippo,
Dal Pozzo Modesta, Domenichi, Gamba B., Giusti G., Gonzaga Lucrezia , Landi
Ortensio , Leopardi Giacomo, Mansi, Mascheroni, Milli Giannina, Morati F. 0. ,
Noël , Parini Giuseppe, Petrarca, Poliziano , Quadrio Francesco Saverio, Sis .
mondi, Stampa Gaspara, Tasso Bernardo, Tassoni A., Tullia d'Aragona, Vit
corelli , Zeno Apostolo, ecc .
LE EROINE E LE PATRIOTE.

I.

Tutte le donne forti e valorose che in difesa della virtù e del


buon diritto impugnarono un ferro, tutte quelle che per rendere te
stimonio della verità e della giustizia bravarono l'odio e le persecu
zioni dei prepotenti e dei tiranni, tutte quelle che soccombettero alla
violenza piuttosto che rinnegare il vero, tutte quelle che, vittime in
nocenti , furono involte nello sterminio dei popoli generosi, tutte co
storo di lassù guardano alle prodezze, all'eroismo ed al martirio delle
giovinette patriote.
Quando una fanciulla , per la propria virtù, fatta maggiore degli
anni non dubita di offerire sè stessa e la propria vita sull'altare
dell'indipendenza e della libertà della patria , allora escono quelle
gran donne dalle porte eternali e, di stella in stella volando, la in
coraggiano e l'applaudiscono ; e , s'ella cade, le più elette vengono
a lei agitando le ali splendide, e raccolgono l'anima sua cospargen
dola di luce e di fiori immortali. Le altre, rimaste in giro sul set
templice arco del cielo, che diventa un giardino di verdi palme, di
allori e di coruscanti spade, fanno cadere sulla strada ch'ella deve
percorrere , al suono di canti e di arpeggi divini , una pioggia di
semprevivi e di amaranti .
II .

Volete conoscere, o care fanciulle, i nomi almeno delle più gio


vani eroine, che assistono di lassù alle prodezze di una giovanetta
quand' ella combatte e vince o quando combatte e muore per la
patria ?
Appagheremo il vostro desiderio , sebbene lunga, interminabile e
ad ogni nuova generazione sempre più numerosa si faccia quella
sacra falange. Ma , prima di fissare gli occhi in alto , guardate in
torno' a voi : guardate un popolo di schiavi che per l'esempio del
l'eroismo di quella ammirata fanciulla rompe più risoluto le proprie
416 LUCREZIA PORZIA

catene; guardate milioni e milioni d'uomini che, da sparuti ed av


viliti trasfigurandosi quasi ad un tratto all'aria di libertà che soffia
da lei, vanno acquistando quasi nuova bellezza; e udite il plauso che
da tante migliaja e migliaja di bocche si volge a quella gloriosa.
Che se ne' suoi momenti estremi ella stringe fra le tenere mani il
Crocifisso, prima di guardare al trionfo che in alto la aspetta, mi
rate il suo volto che s'imparadisa contemplando quella santa testa
che lentamente si rianima, che la guarda soave e che divinamente
le dice : 0 fanciulla, fatta a immagine di Dio, anche tu ad imitazione
del Redentore hai voluto dare il sangue a riscatto de' tuoi fratelli !
III .

Se a chi molto amò è anche molto perdonato, come credere che


la eterna giustizia ricusi d'essere indulgente verso coloro che die
dero la vita per immenso amore alla patria ? Non è questo il più
generoso di tutti gli amori ? Se quelli ebbero macchie , le lavo , le
scancellò il loro battesimo di sangue.
IV.
Fate tesoro, o giovinette, delle parole che ciascuna di queste gio
vani eroine dice di sè non a proprio vanto ma a vostra istruzione
ed esempio. Queste illustri operando sapevano di avere dinanzi e
dopo di sè chi stava in aspettativa delle loro azioni, gli uni per averne
subito materiale utilità, gli altri per ricavarne ammaestramento (1) .
I. Tutti come modello di fedeltà conjugale additano me, Lucre
zia, sposa di Collatino, ma anche il genio della libertà mi reclama tra
la sua luce : fu il ferro tinto e stillante del mio sangue che Bruto
strinse per destare ed eccitare a vita libera il popolo romano. Que
sto avea diritto a forti esempi ; ed io non mi sarei creduta degna del
nome di romana, se, spinta giù nel precipizio e prossima a soggia
cere all' infamia, non avessi saputo dal fondo stesso dell'abisso sol
levarmi non solamente, ma salire a tant'altezza di virtù da aggiun
gere la gloria. La mia virtù fece spiccare maggiormente l'abjezione
altrui : dov'era una giovane tanto gelosa del proprio onore non vi
poteano essere uomini tanto codardi da perseverare in ischiavitù
obbrobriosa (2 ) .
II. -

- Perchè era entrata nella mia casa col padre e col marito la
carità della patria, io, Porzia, non volli ch'ella venisse meno o si
dipartisse da me quando rimasi orfana e vedova (3 ). Bruto , il mio
( 1 ) Di Camilla e Clelia fu già discorso a pag. 1 e 12 .
(2 ) Tito Livio e Boccaccio.
(3) Porzia fu figliuola di Catone Uticense e moglie di Bruto.
QUINTILIA 447

sposo, perchè conosceva la mia fermezza , non dubitò d' aprirmi il


>

segreto della congiura contro Giulio Cesare ; ed io, a provargli che


sapevo resistere al dolore e che non mi avrebbe spaventata la morte
se fosse fallita la divisata vendetta , da me stessa mi ferii con un
rasojo, fredda e impassibile rimanendo al sangue che spicciava dalla
ferita, tra le strida e nello spavento delle mie donzelle, Cesare fu
morto ; ma non era rinata Roma ; il popolo che dormiva si sdegno
contro cui l'aveva svegliato ; l'un despota successe all'altro. Ohimè !
allora anche Bruto fu alla sua ultima ora. Schiavi degni delle vo
stre catene ! all'annunzio della morte dello sposo, esclamai io. Si, o
Romani, voi siete degni dei vostri ceppi ; e possiate trovare chi ve
li aggravi, affinchè un dì al peso insopportabile si stanchi la vostra
pazienza e s'irriti il vostro dolore sino a farvi correre , come ad
unica salute , alle armi ; ma ora io non mi vo' stare in compagnia
di gente sì trista come siete voi. E, non avendo un ferro alla mano
diedi a 'carboni di piglio che affocati mi stavano vicini , e, gittatili >

in bocca, gl'inghiottii. Fu morte lunga e piena di spasimi, ma la scelsi


perchè non dubitavo della mia forza (1 ).
III. Fra nobili e cospicue matrone viene una mima, vengo io ,
Quintilia , perchè ognuno impari che nessuna condizione sociale può
sottrarsi al dovere che ha verso la patria . E chi l'ama veramente, al
l'uopo la difende o la vendica . Il carattere cosmopolitico che si dà
agli artisti non gli esonera da tali doveri . Perchè Caligola era un
tiranno , io congiurai con Pompilio , senatore , e con altri patrizi con
tro di lui, e, scoperta e menata al luogo de' tormenti , intrepida nulla
confessai e nessuno nominai de' tremanti miei complici ( 2) .
( 1 ) Boccaccio .
PORZIA .
Sonetto di Faustina Maratti.
Per non veder il vincitor la sorte
Calon squarciossi il già trafitto lato ;
Gli piacque di morir libero e forte
Della romana libertà col fato .
E Porzia, allor che Brulo , il fier consorte ,
Il fio pago del suo misfatto ingrato ,
Ingbiotti il foco, e riunissi in morte
Col cener freddo del consorte amato .
E chi dovrà destar più meraviglia
Col suo crudel , ma glorioso scempio ,
L'atroce padre o l'amorosa figlia ?
La figlia più ; prese Catone allora
Da molli e a molti diede il forte esempio ,
Ma la morte di Porzia è sola ancora .
(2) Domenichi.
448 ARRIA MARIA DA POZZUOLO
IV. -
Giovani , certo voi gli animi avete
Donneschi, e il cor le donne hanno virile.
Cosi potevo io, Arria, dire ai Romani de' miei tempi che si lascia
vano calpestare da un balordo e da un aborto di natura qual era
Claudio. Non al ferro degli uomini ma ai funghi di rea moglie andò
l'umanità debitrice della morte di quello non so se più ridicolo o più
infame imperatore. Io, Arria, giovinetta ancora (1), collo sposo, Peto,
entrai nella congiura scriboniana per liberare il mondo da quel mo
stro; scoperti, riparammo nell'Illirico, da cui Peto fu tratto e con
dotto in Roma per subire severo giudizio. Gli schiavi, che avevamo
voluto far liberi , ci dovevano giudicare e condannare come ' rei di
fellonia ! Di me, donna , non si volle credere che avessi avuta si gran
forza d'animo da pormi con mente deliberata a quella rischiosa im
presa, e fui lasciata libera ; ma io sdegnai di cansare il pericolo del
diletto mio consorte e , poichè mi fu negato di essere menata con
lui, in piccola barca gli tenni dietro fino a Roma. Egli voleva vi
vere, e preghiere furono spese perchè gli venisse risparmiata la vita ;
ma non valsero. Dovevo io attendere che le guardie gli fossero sopra
col ferro o, ponendogli in mano un'arma, gli dicessero : Da te stesso
frèddati, o miserabile , alla nostra presenza, dappoichè per morire
aspetti forse gli ordini di chi tu odiavi a morte ? E, per altra parte,
una giovane e tenera sposa avrebb'ella potuto trovare parole da consi
gliarlo a ciò ? Io non ebbi parole, ma fatti: e, quando fu certo e ine
vitabile ch'egli dovesse morire, non volendo sopravivergli, con furia
corsi a dar del capo nel muro ; ma i famigli, indovinata la mia in
tenzione, furono pronti a impedirne l'effetto. Se non che morir si
doveva e morendo bisognava insegnare al marito l'ultimo dovere
che gli rimaneva a compiere. Ond' io, afferrato un pugnale , mi tra
passai il petto. Che hai fatto ? — disperatamente gridò il tenero
sposo ? – Ti precedetti, – risposi io cavando animosamente il pu
gnale dalla larga e profonda ferita , e porgendolo a lui con queste
ultime parole : Prendi, non fa dolore !
- -

V. Sono detta Maria da Pozzuolo. Io non avrei mai saputo ne


potuto credere per me stessa che il nostro sesso fosse debole se coi
loro fatti non me lo avessero appreso le altre donne. Giovinetta, ve
dendo tutto intorno me ardere il paese di cittadine discordie, git
tai gli abiti muliebri e mi vestii d'arme per correre là ove mi pa
reva fosse la ragione e il diritto . Prima ad entrare in battaglia , ero
l'ultima ad uscirne. Fame, sete, caldo, freddo tollerai meglio che uomo ,
( 1 ) La annovera tra le illustri giovinette anche Ignazio Cantà nel suo Li
bro d'oro .
BUNA ORSINI GINEVRA E LUCREZIA 419
e di poco sonno mi sono sempre contentata . Nella guerra non cer
cai la ricchezza o gli onori ; mi s'allietava l'animo quando potevo es.
sere utile ad una buona causa. Nata al combattere , morii combat
tendo ( 1 ).
VI . - Io sono Bona, di Valtellina, meglio conosciuta sotto il nome
di Bona Lombarda . Ragazza , pascevo le pecore. Vedutami Pietro Bru
noro, parmigiano, valoroso molto nell'armi, gli piacque molto la mia
vivacità e quella gagliardia che appariva da lutta la mia persona.
Al suo invito aderii, l'ho seguito ; ma non voglio che nessuna giovi
netta creda che ciò sia degno d'imitazione : non perciò fui lodata . Potrei
vantarmi d'avere colla mia amorevolezza ammollito l'animo fiero del
l'uomo da me adorato e d'averlo sconsigliato più volte dal far ve
nali ora a questo ed ora a quello i servigi della sua spada . Con lui
anch'io come soldato vestii arme e combattei . Ma di questo posso a
.buon diritto vantarmi, che tutta la mia vita fu intesa a far in ma
niera che sempre nuove e stabili ed ammirevoli virtù scancellassero
in me ogni traccia dell'antica colpa. Amata, compianta forse da chi
mi aveva tratto seco , volli conquistarmi non solo la sua stima ma
la sua ammirazione eziandio. Quando Brunero ed io , divenuta sua
moglie, offrimmo la nostra spada alla repubblica veneta, ciò fu mia
ispirazione, mio consiglio e opera mia ; e dopochè, volte le spalle ai
tiranni ed ai tirannelli d'Italia, nella battaglia presso Brescia ed a
Negroponte difendemmo la buona causa e la civiltà, allora sì fummo
veramente prodi e gloriosi (2).
VII. -- Io, Bartolomea Orsini, lasciata da Virginio mio fratello a
guardia di Brecciano, minacciata dai pontifici, non mi lasciai sgo
mentare dai pericoli della guerra. Raccolsi tutti i soldati degli altri
miei fratelli, che tornavano fuggiaschi dal regno di Napoli, li prov
vidi di nuove armi e di cavalli , ristaurai le guaste artiglierie , ri
parai le fortificazioni,> feci ammaestrare nell'esercizio delle armi i..
contadini e, quando fu bisogno combattere, con maschio ed intrepido.
coraggio fui innanzi a tutti (3).
VIII. - Figliuole della gran patriota Paola de' Buti siam noi due,
Ginevra e Lucrezia. La madre ci disse: « La patria nostra , Pisa ,
periglia per mancanza di braccia che facciano riparazioni alle mura .
Gli uomini, che non sono in gran numero, bisogna che stiano sem
pre pronti al combattere . Volete voi ch'io offra me e voi al senato
per tale bisogna ? Se il senato accorderà quanto domandiamo e in .
viterà le altre donne a imitarci, la città diverrà inespugnabile. Ba
( 1 ) Petrarca, Fulgoso, Egnazio, Betussi : anno 1340 circa.
(2 ) Domenichi , Noël , Cantů .
-
Bona mori nel 1468 .
(3) Sismondi : anno 1497.
BERLAN. Le fanciulle celebri. 29
450 DUE FANCIULLE PISANE CATERINA SEGURANA
date che, durante il lavoro delle mura e delle fosse , potremmo es
sere assalite e che ci converrebbe allora difenderci. Andate su
bilo, o madre, rispondemmò noi ; andate al senato e ditegli che an
che noi abbiamo spalle per portare i gabbioni e mani per impugnare
una spada a difesa della patria ( 1 ) .
IX . Intorno ai lavori delle mura di Pisa anche noi due fummo
fanciulle sorelle ; ed insieme a noi erano molte e molte altre giovi
nette e fanciulle. Mentre Paolo Vitelli, generale de' Fiorentini, batteva
in breccia la muraglia, noi innalzavamo dietro a quella un gagliardo
parapetto sotto un continuo grandinare di projettili nemici. Noi due
stavamo lavorando insieme, quando una palla di cannone colse que
sta cara mia sorella ; ma io, raccolte le sue sparse membra , senza
cessar punto dal lavoro, con lagrime e singhiozzi la composi e sep
pellii nello stesso gabbione che stavo riempiendo. Muggivano, vome
vano allora più adirate contro di me i loro fuochi, le avverse arti
glierie; chè era irritata la Morte , veggendo che delle sue vittime
stesse io mi valevo per barricarle il cammino (2).
X. - Dov'è la mia patria ? Che n'avete fatto ? Erano forse conna
zionali miei, o non piuttosto forestieri e nemici della mia gran pa.
tria italiana , que' Francesi contro cui io, Caterina Segurana, ho va
( 1) Domenichi. Egli scrive : . Un altro bello e valoroso esempio vi voglio
66

raccontare ch'io lessi nel libro di Benedetto Mastiano della guerra di Pisa , il
quale mi fa mostrato dal molto eccellente M. Pietro Orsilago, dicui era avola
la donna di cui son per ricordarvi .... Si presentó al senato e promise di vo
lere salvare la città con le ceste , se l'erano dale mille asine simili alle sue
mostrando loro Ginevra e Lucrezia , figliuole sue » .
(2) Nardi , Sismondı ; anno 1499 .
Soggiunge il Sismondi che , avendo il Vitelli perduta l'opportunità di dare
un nuovo assalto, i cittadini , de ' quali un grandissimo numero erano andati
a nascondersi nelle proprie case, furono dalle loro mogli confortati a tornare
contro il nemico e corsero di nuovo a difendere la breccia ; tanto che il Vi
telli poco dopo dovelle levare l'as -edio .
E il Domenichi : « Il conte Baldassar Castiglione racconta nel suo Corlegiano
di molte singolari e valorose donne antiche e de' suoi tempi, e fa lor grande
onore. Egli fece un bellissimo epigramma latino per una giovane pisana, la
quale difese la sua patria ; che, iradotto in lingua nostra , dice cosi :
Mentre abbracciava la pisana madre
La valorosa e quasi morta figlia,
E l'ampia piaga il tener petto apriva
or Questa le nozze fian, questo il marito » ,
66
Diss'ella, “ che tu avrai da queste mura
Difese col valor della tua mano ? " ,
Cui la donzella : - Ed altre già non voglio
Pompe o marito aver dal patrio nido.
sola io ' l difesi col mio proprio sangue :
Copra ei , difeso, dunque il corpo mio .
Che se mai torneranno a queste mura
I nimici Francesi , un'altra volta
L'ossa mie prenderan l'arme per lui » .
LUIGIA SANFELICE 451
lorosamente combattuto in Nizza ? I gigli di Francia s'erano alleati
colla mezzaluna ottomana per rapire questa perla del mare , questo
giojello della corona d'Italia ; e, soprafatti, sbigottiti pel numero im
menso e ognora crescente de' nemici, gli scarsi difensori, non ve
dendo altra via di salute , fuggivano ; ma io riunii , coll'autorità di
chi comanda il dovere, tutti i fuggitivi , li riannodai, e non più pa
vidi conigli ma terribili leoni gli spinsi contro il nemico. Ecco il
barbaro Mussulmano colle sue assordanti urla sul parapetto ; ma io
impugnata una scure, sono sopra a que’ feroci, mi gitto sul primo
che fa sventolare l'abborrita insegna, gliela strappo di mano ed esa
nime lo rovescio giù dalle mura ( 1 ).
XI . All'aspetto marziale, allo sprezzo delle fatiche e dei pericoli,
.

al valore con cui pugnavamo, a fianco de' Piemontesi nella battaglia


presso il colle Roger, nella contea di Nizza , tutti i commilitoni e i
capitani, credevano che noi due giovinette , fossimo provetti guer
rieri ; ferite a morte, e toltoci l'abito di soldati, solo allora fummo
riconosciute. Come la Segurana, anche noi sentivamo di non essere
francesi !
XII. – Il despotismo borbonico , anche dopo aver proclamato il
perdono di quelli che avevano sentito e compito il dovere d'insor
gere contro di esso, ch'era la vera negazione di Dio, sitiva di san
gue e volle il mio. Che colpa avevo io , Luigia Sanfelice , d'avere
amato con tutta l'anima mia la patria , d'aver voluto la libertà....
( 1 ) Ricolti : anno 1545. V'ha chi la dice nata verso l'anno 1518, e chi alcuni
anni dopo. Il Dr. Augusto Montanari, in un suo scritto che leggesi nell'Illu
strazione Universale, Milano 1865, la chiana giovane animosa e valorosa gio
vinetta. E, parlando di lei , soggiunge : « Simile alla mano della beneficenza
che appar solo ne ' solenni momenti del bisogno , alla mano della potenza di .
vina che si appalesa unicamente ove trattasi di segnare pel reprobo una ter
ribile e meritata sentenza , in un'ora solenne ebbe solo a svelarsi alla luce
del mondo la modesta popolana.... Un anno di poi nel luogo stesso dell'av
venimento i suoi concittadini le eressero un busto, sul cui piedestallo fu scol .
pito : Nicæna amazon, irruentibus Turcis, occurrit, ereptoque vexillo, trium
phum meruit – la nizzarda amazone, irruendo i Turchi , si fe 'innanzi, e strap
pata una bandiera , meritò il trionfo » . Il cav. Francesco Gonia in un magni .
fico suo disegno, che vedesi nel sopracitato giornale rappresentó questo fatto.
CATERINA SEGURANA .
Versi di Niccolò Tommaséo .

Caterina è sallo spalto : Della donna il pio consiglio


Manda un grido , i suoi rafida : Come un'iride risplenda ,
Nizza è salva : il fiero assalto Ma nell'ora del periglio
Ella apparve è sperso già . Scenda fulmine il valor .
Nel suo cenno , la vittoria ; Bella d'umile preghiera ,
Il suo passo ai duci è guida ; Nel silenzio insegni, e apprenda
D'an'umil plebea la gloria Sostener con fronte altera
Vola e valica l'età. Le battaglie dell'onor .
452 ELEONORA FONSECA -PIMENTEL

ma non il disordine ? Scopersi l'infame congiura di Baker, serbando


con ciò la città di Napoli dagli incendi e dalle stragi. Ma queste
erano appunto nei desideri dell'empio Borbone. Appena i feroci m'eb
bero in mano, volevano sacrificarmi al loro odio : non li trattenne
che la mia gravidanza. Mi chiusero in carcere , aspettando che il
primo giorno di vita per la prole fosse l'ultimo per la madre. Fra
gli splendori e le pompe della reggia, ed anche fra gli spettri delle
vittime che, invendicate, ne’silenzi della notte vi apparivano, la gio
vane regina di Napoli ella pure diè alla luce un figliuolo. Per istor
nare l'ira di Dio dal capo di quello e per attrarre piuttosto sopra di
esso le sue benedizioni , ella pregò il marito per me : una madre
pregò per un'altra : ma il Borbone a quel pio supplicare, come Sa
tana che udisse un angelico concento, imbestiali, infuriò, si fece più
crudele, volle, subito la mia morte. Nella piazza infame del Mercato
innanzi a popolo impietosito e invano fremente, una donna giovane
bella, chiara di sventure e di sangue, coll'anima che voleva innal
zarsi a Dio ma ch'era ritenuta quaggiù dal pensiero della patria e
del figliuolo , insanguinava la mannaja del carnefice , e quell'una
ero io (1)
XIII . - I despoti ci fulminarono col loro piombo, ma noi lo ri
mandammo indietro ad essi foggiato in altra maniera, ma non meno
pernicioso e funesto. Noi di quel metallo sterminatore femmo i ca
ratteri da stampa. Io, Eleonora Fonseca -Pimentel, per avere scritto
il Monitore napolitano durante la repubblica partenopea, fui al Bor
bone più infesta di quello che se gli avessi sparpagliati e rotti dieci
de' suoi battaglioni. In me lo stolto volle gastigata , decapitata la
stampa che metteva a nudo le sue ignominie. Tratta al supplizio ,
non impallidii all'aspetto della imminente morte : io aveva compito il
mio dovere ; fidente, sicura, ilare, m'abbandonavo quindi tra le brac
( 1 ) Colletta ; anno 1799.
LUIGIA SANFELICE .
Versi di Francesco Dall'Ongaro .
Nè beltà, nè favor, nè gioventude
Nė preghiera di madre onnipossente
Ti tolsero, Luisa, al rio fendente ;
Amor di libertà , maschia virtude
Son periglio e delitto
Dove la man d'un re soffoca il dritto .
Ma la tua vita , e la giovine testa
Dalla scure borbonica recisa,
E il sangue onde fu intrisa
Per te la tua natal terra funesta ,
Susciterà da quella una coorte
Sacra alla libertà ed alla morte,
ELEONORA FUNSECA- PIMENTEL 453

cia di Dio, che ha promesso di far beati coloro che patiscono per
secuzione per la giustizia. Molti piangevano : io domandai e bevvi
caffè; quindi m'avviai in sembianza di chi è maggiore della sven
tura. Dall'alto della scala fatale, negli estremi momenti, tra la terra
e il cielo, io volevo parlare : ma i carnefici, temendo che le mie pa
role potessero sommuovere la moltitudine, con le loro corde, prima
di decollarmi, strinsermi la gola. Non le ha udite il popolo, ma quelle
parole le ha udite ed esaudite Iddio ( 1).
( 1 ) Noël, Fanciulle celebri ; Bolta , Storia d'Italia ; anno 1799.
ELEONORA FONSECA-PIMENTEL.
Versi di Luigia Grace.
Nel giardin di natura appena un fiore
Vergine si dischiude, invido nembo
L'agita, lo percuote, e di squallore
Tristo lo abbatte sul materno grembo.
Ahil chi d’un raggio non ombrato un lampo
Godè lunga stagion ? Chiuse le porte
Stanno dei fati , all'uom strepita in campo
Con l'iono trïonfal grido di morte.
Anco fra gli agi d'una vita imbelle
Surse il genio talor che l'uom solleva :
Ma la scure percuole, e sulle belle
Nascenti rose il turbine si aggreva.
Là sul Sebeto vedi Elionora ,
Angiol di cor, di mente e di favella,
Che generosa il popolo ristora
Con aurei detti , a libertà novella .
Ma virtule che val se dei tiranni
Al barbaro furor la sorte arride ,
E al ciel rivolge Libertade i vanni
Da quelle rive sanguinose , infide ?
Oh Fonseca, Fonseca ! la melode
Che lu beesti nell'età precoce,
Ti sunò mai la nota della frode
Ond'eri sacra a tirannia feroce ?
No : che i fervidi voti disvelavi
Con ingenuo candor, ferma e sicura
Di fabbricar sul cenere degli api
Di libere città libere mura .
E quando il piede incatenato all'ora
Del tuo martirio trascinavi in gola ,
Tornar li fece la bipenne avara
Una solenne ed ultima parola .
Di lontano avvenir forse presaga,
Vaticinar volevi i dì che sono ;
Sorge dal sangue degli eroi la vaga
Pianta di libertà che aduggia il trono.
So dicesti ch'esempio era di vita
La tua morte a' nipoti, allor che l'alma
Nuda rifulse di gloria infinita
U ' già di Corradin cadeo la salma ,
454 ALCUNE MONACHELLE NAPOLETANE
XIV . -

I dolori, i patimenti, gli sforzi audaci e gli errori me


desimi del passato prepararono l'indipendenza e la libertà del se
colo XIX. Nessun ordine, nessuna età mancò, a suo tempo, alla lotta
e se taluno svagò o n'usci , i demeriti nuovi non deggiono far di
menticare affatto i meriti antichi . Noi siam le monachelle del con
vento di sant'Elia di Messina, che, accorteci avere i Borbonici rotto
il muro che divideva le caserme di San Girolamo dal convento di
Santa Chiara, e ch'erano entrati in questo per poter a miglior agio
tirare sul popolo, invitammo alla nostra volta i patrioti ad entrare
nel nostro monastero, per rispondere più sicuri a quel fuoco mici
diale. Essi combattevano ; noi, esposte al pericolo com’essi, pregavamo
vittoria non alle armi di colui che si vantava re legittimo e per la
grazia di Dio, ma al popolo (1).
E parve l'ombra dello Svevo il ciglio
Bagnar di pianio e salutarti , quando
Mirò tuo volto impallidir, qual giglio
Reciso al colpo di villano brando.
Deh ! non sdegnar che da straniera sponda
Deponga io pur su quella terra un serto
Ove già corse del tuo sangue l'onda :
Ē cittadin dell'universo il merio.
Il ch. sig. Enrico Nicolini, abruzzese, pubblicava nel 1852 de'bei versi col
titolo L'angelo della consolazione, relativi all'infelice Eleonora Fonseca- vi
mentel, decapitata in Napoli nel 1799. Ecco alcune quartine di quel componie
mento :

Confórtati , o diletta : angel son io ;


Dilungarmi non seppi ungua da te ;
Renderti deggio immacolata a Dio ;
0 dolce suora mia , li stringi a me ,
Pensi invan che il terror geli tra poco
Per sempre il sangue che tu déi versar ,
Dal mio nappo il vedrai siccome foco
Sul capo dei tiranni traboccar.
Quando del sangue tuo l'ultima stilla
Sotto l'onda d'oblio disparirà,
Ricadendo dai cieli un dì tranquilla
Sterminate catene infrangerå .
Sali, ti dico, avanza : il palco orrendo
Scala a trono immortale ecco è per te ;
A invisibil supplizio più tremendo
Verran qui l'alme di codardi re .
( 1 ) La Farina ; 1 febbrajo 1848 .
Il precitato La Farina:. In quel conflitto .... dette prova di somma arditezza
Rosa Donato, che i bullettini officiali di quel giorno pareggiano alle messi .
nesi Dina e Clarenza , nomi famosi nell'istoria del Vespro Siciliano.
» Rosa Donato era una povera donna del volgo messinese che viveva to
sando cani ; sotto luridi cenci avea cuore per audacia ed abnegazione su
blime : schivo sempr- , nonché i compensi , le lodi ; non mostravasi ne' trionfl,
e nei perigli era la prima » ,
LE FANCIULLE DI MESSINA VASATURA GIOVINETTE LOMBARDE 453
XV. Il giorno 7 settembre del 1848 avrà una delle più splen
dide pagine nella storia di Messina e dell'umanità. Quel giorno fu
la nostra festa : in quel di noi fanciulle di Messina , dimentiche del
lusso e degli agi, e immemori anco degli studi , che il più spesso
sono un nulla o sono afflizione di spirito senza la libertà, emulammo
le donne gloriose del Vespro e, miste al popolo, alzammo barricate
e ripari, e combattemmo ( 1).
XVI. -- Un'infelice giovinetta napolitana son io, di tredici anni ;
-

il mio nome é Vasatura, nobili i miei natali. De' soldati borbonici


vidi cose orribili.... e ne patii . Que' miserabili nelle terribili giornate
di maggio del 18/48 esigevano danaro per rispettarci, per non ucci
derci ; poi ci straziavano e ci davano a cruda morte. Mentr'io sul
l'uscio chiedevo pietà ebbi trapassato il ventre da cinque bajonette (2).
XVII . - Toglietemi d'attorno i panni gai ,
-

Voglio vestirmi di bruno colore.


Vidi correre il sangue ed ascoltai
Il grido di chi fere e di chi more ;
Altri ornamenti non porterò mai ,
Sol che un nastro vermiglio sopra il core .
Mi chiederan : Dove quel nastro è tinto ?
Ed io : Nel sangue del fratello estinto.
Mi chiederap : Come si può lavare ?
Ed io : non lo potrà fiume nè mare.
Macchia d'onore per lavar non langue,
Se non si lava nel tedesco sangue .

Questo era il canto di noi, giovinette lombarde, e questo il canto


delle nostre madri, prima della rivoluzione di marzo. Già vendetta
gridava a Dio l'oppressione austriaca , ma non era per anco piena
>

la misura della scelleraggini di quell'abbominata razza : a far traboc


care la coppa ci voleva anche il nostro sangue innocente, e noi lo
demmo. Oh dolci terre nostre , lontananza di tempi e prosperità o
avversità di casi, deh non vi facciano mai dimentiche di quel santo
odio che vi rese libere e che vi sarà sempre titolo d'onore e pegno
di salute !
XVIII . Noi tutte siam giovinette milanesi : alcune di noi ven
dicarono i fratelli, altre furono consce vittime del dispotismo , ed
altre, senza saper quasi balbettare il nome di patria, diedero il san
gue per essa. Io , Albina de' Bernardi , parlerò per tutte e di tutte,

( 1 ) La Farina .
( 2) Aito Vannucci.
456 ALBINA DE' BERNARDI LE FANCIULLE MILANESI
io, fioraja, che non compongo più lassù corone di fiori caduchi ma
aureole di luce immortale (1). Di me vi parrà poco se vi dica che
da' barbari venni spietatamente e per sola feroce avidità di sangue
trafitta a morte nelle cinque giornate ; ma che potevo io più, debole
fanciulla ? Anch'io colla mia acerba e dura fine attestai della rab.
bia austriaca (2) ; anch'io vi debbo rimanere perpetuo ricordo che non
vi può essere nè patto nè conciliazione giammai tra l'un popolo e l'al
tro. Su noi, popolane, esposte come i fiori del prato al nembo nemico,
imperversò maggiormente quella rea bufera : noi dunque più che le
altre abbiamo diritto di raccomandarvi e comandarvi quel santo odio.
Vi sarà chi con occhi di lince possa trovare in quegli stranieri de'
rari pregi, ma noi non vi trovammo e subimmo che le più ree e
brutali qualità : non vedemmo gli uomini ma le fiere. Se il bisogno
ne venga, oh! imitate , care fanciulle, la Giuseppina Lazzaroni, che
nel petto delicato racchiudeva anima fortissima. Arde micidiale la
mischia, ed ella imbraccia un fucile, s'accompagna al fratello , sola
alla porta Comasina affronta le fucilate nemiche e con altre fucilate
risponde (3) . Il patriotismo e il dolore, irritato dalle stragi , traevano
a vendetta anche le anime le più miti . Ecco a San Marcellino due
giovani donne che in una delle più esposte barricate bersagliano il
nemico (4), ed ecco, altrove, un' egregia donzella , emula dell'antica

( 1 ) Alto Vannucci . « Ecco i benefizi fatti a noi dal tedesco : madri che scen
dono nel sepolcro uccise dagli sgherri che rapiscono loro i figliuoli : spose
che nel fiore degli anni e della bellezza uccide il dolore dei mariti perduti e
della patria oppressa da schiavitù ignominiosa ! » Per una strana aberrazione
che speriamo non si tradurrà in troppi fatti , si proclama e si pretende per al.
cono che gli antichi nostri carnefici diventino oggi nostri precettori ! Ma i nuovi
Dionigi , fatti maestri di scuola, c'insegneranno a disprezzare il nostro paese ,
a perdere la dignità di noi stessi , a proclamarci con insensata tracotanza
l'ultima delle nazioni . Per maturare i nostri frutti ci basta il nostro sole ; non
abbiamo bisogno dei calori dell'inferno !
Nell'opera dell'egregio signor Felice Venosta 1 martiri dell'indipendenza
lombarda, a pag. 377 ci è dato un lungo elenco dei morli nelle cinque gior
nale di Milano, ma non sempre vi è indicata l'età delle gloriose vittime. Noi
ne caviamo i nomi di quelle la cui età non è indicato superare i venti anni ,
e che furono ferite nelle cinque giornate e morte subito o nei di successivi : Al
bonio Maria , cucitrice, d'anni 12 ; Bernardi Alcina (?), fioraja , d'anni 17 ; -
Cagnoni Francesca , cucitrice, d'anni 17 ; – Cagnoni Teresa, d'anni 6 ; Can
diani Maria , d'anni 12 ; Fiocchi Maria, contadina, d'anni 12 ; Scott: Ma
rianna, cucitrice d'anni 20 ; Vigo Agnese, cucitrice, d'anni 19 ; Viganò
Teresa, d'anni 8. Sono nove sopra le cinquantatré donne nominate dal sullo
dato sig. Venosia. E minor vumero , cioè sole trenta , la nota che ne dà il
ch. sig. Alto Vannucci . Con patriotico divisamento il Municipio milanese fece
fondere in bronzo alcune lapidi con suvvi i nomi de ' morti delle cinque gior
nate , fregiandone la colonna che sorge nella piazza del Verziere .
(2) Venne ferita in via di Brisa ; ne morì il 16 agosto .
( 3) Venosta, pag. 92-93.
( 4 ) Ivi , pag. 115.
LE FANCIULLE MILANESI 457

veneziana Giustina Rossi (1), che scaraventa addosso ad un ufficiale


un pesante vaso di fiori, che gli rompe una spalla (2). Ma le colombe
possono esse lottar vittoriose contro gli avoltoi ? Per una goccia del
sangue nemico che abbiamo sparso noi ne versammo del nostro a
torrenti. Ecco la figliuoletta di Antonio Castelli, bimba di non ancora
un lustro, che cade col padre sotto le sciabolate dei granatieri Freinsuf,
i quali hanno fatto irruzione nell'osteria della Foppa ; invano il ge
nitore fa schermo del proprio corpo alla povera fanciulletta (3). Ecco
la figlia di Carolina Fossati , nel vicolo del Sambuco, all'osteria della
Palazzetta, da un'orda di soldati assassini gettata colla madre e col
padre sul fuoco (4). Ecco da altra masnada di quegli inumani una
tredicenne giovinetta scannata nel setificio del Fortis (5). Ecco al
l'osteria delle Alpi fuori di Porta Tosa , una madre incinta, legata
al banco colle mani dietro al tergo, e il marito cacciato in mezzo al
fuoco, e in mezzo al fuoco gittate anche le piccole figliuole (6). Ecco
una sposa a cui si trucida sotto gli occhi il marito, ed a cui s'in
sulta quando, stringendo al seno una stridente bambina , ella non
supplica per sè ma per quell'innocente frutto delle sue viscere. Le
si risponde ghignando e scaricando un colpo di fucile sulla povera
bimba (7). Ecco.... ma che dirò di più ? se codeste jene, avventandosi
entro le nostre case, avevano spesso il barbaro diletto di farci pro
vare lunghissime le pene dell'agonia, e, mentre alcuni di que' mici
diali appuntavanci le bajonette ai petti, e noi inginocchiate, aspet

( 1 ) Nel 1310. Mentre i seguaci di Bajamonte Tiepolo tumultuavano in armi


vicino alla piazza di San Marco, gli abitanti accorsi alle finestre, comincia
rono a gettare dall'alto pietre , tegole e sassi e quanto loro si presentava alle
inani sopra quella furibonda orda di armati ; ed ana donna di nome Giustina
( in alcune carte è pur chiamata Lucia) , dato mano ad un grosso mortaro di
2

pietra, lo rovesciò addosso a Bajamonte , il quale trovavasi sotto la sua fine


stra , e che, non poco smarrito, uscì illeso dal pericolo , rimanendo invece more
talmente colpito il suo portastendario. Domata la rivolta, venne la Giustina
chiamata davanti al doge ed alla signoria, che voleva premiarla ; ed ella prima
d'ogni altro domandò di poter esporre nel di di san Vito ed in ogni solenne
giorno della città a quella finestra d'onde avea precipitato il mortaro uno
stendardo o bandiera colla insegna di san Marco. Sollecitata poscia a do
mandar altro, subito rispose che quello avea fatto non l'avea fatto per premio
nè per mercede ma come veneziana per amore dell'eccellentissima Signoria .
( 2 ) Nella ritirata Austriaci ; in Melegnano. Venosta, pag. 235.
(3) Venosta, I martiri della rivoluzione lombarda ; 3 gennajo 1848.
Nella sera del 21 marzo 1848, nell'appartamento abitato dalla famiglia Car
pani . Venosta , pag. 214.
14) Atto Vannucci , e Venosta, pag. 223 .
( 5) Venosta , pag. 118.
(6) Ivi , pag. 305 .
17 Ivi ,pag. 105. Uno di quei mostri le dice : « Guarda per piccolina come
mi fal e scarica contro la bimba un colpo di fucile, che la Dio mercè non le
dislacca che per metà un orecchio n.
458 EROINE E PATRIOTE

tavamo la morte, altri per aggiungere lo scherno all'atrocità, si po


nevano ridendo e ghignazzando al fortepiano a sonare dei valtzer ! (1).
XIX. - Ingegno , bellezza, giovinezza , affetto di carissimo sposo
tutto sorrideva a me ; ma nulla mi fece obliare ch'io ero italiana
anzi tutto e che la mia terra natale, Brescia, è stata sempre madre
d'eroi. Io contro l'orde di Nugent e di Haynau combattei alle bar
ricate di Torre Lunga , e non fui ritratta di là che bianca ed im
mobile come una statua di marmo e tinta le vesti del mio sangue,

( 1 ) Nelle cinque giornate di Milano furono tra i trucidati altri bambini .


Quali furono già spiccicati , quali inflzati e portati sulla bajonetta, quali se
polti vivi e quali bagnati d'acqua ragia e poi infiammati.
La mattina del giorno 6 aprile celebraronsi nella cattedrale solenni esequie
in memoria ed onore delle vittime delle cinque giornate . Fra le varie iscri.
zioni poste intorno al catafalco leggevansi le seguenti :

OH IL CARO SPETTACOLO DI UNA SANTA COMMOZIONE !


TREGUA AL PIANTO
VEDOVATE SPOSE E DESOLATE MADRI
CHE A GRAMAGLIA VESTITE
ASSISTETE AL SACRO RITO FUNEBRE
IDDIO
VOLLE CON SÈ GLORIOSI
QUE ' CARI VOSTRI
CHE SPENTI PEL SOCIALE COMUNE PROSPERIMENTO
DELLA RIGENERATA ITALIA
VIVRANNO IMMORTALI
NELLE VENTURE GENERAZIONI

ANIMOSE DONNE
NEL VOSTRO CUORE DI MADRI
NELL'ESEMPIO DELLE VOSTRE SORELLE
CHE POSERO PER LA PATRIA LA VITA
VOI TROVERETE IL CORAGGIO
DELLE FORTI VIRTU ' CITTADINE
EMULATRICI DELLE SICILIANE
101 CANCELLERETE TRE SECOLI
DI C ) DARDA MOLLEZZA
E RITEMPRATE A SEVERI DOLORI
A GIOJE SEVERE
VI FARETE DEGNE COMPAGNE D'UOJINI LIBERI .

E su di una delle bandiere laterali :

PARGOLETTI INNOCENTI
MARTIRI DELLA PATRIA
IGNARI ANCORA
DEL SUO NOME DOLCISSIMO
IL VOSTRO SANGUE
LAVACRO ALLE NOSTRE VITTORIE
È PEI BARBARI MACHIA NON CANCELLABILE .
EROINE E PATRIOTE 459

cogli occhi che, anche morti , erano rivolti al cielo , mostrando che
nel punto stesso pugnavo e pregavo per la patria (1 ) !
XX. - Giovine sposa appena di vent'anni, io, Colomba Antonietti,
di Fuligno, col dolce compagno de' miei giorni per la patria indi
pendenza affrontai i rischi delle battaglie a Velletri ed a Roma. A
chi mi voleva allontanare da que' pericoli ho sempre risposto all'I
talia essere da gran tempo consacrata la mia vita e non aver que
sta prezzo per me se non potesse giovare alla patria sventurata. Oh
quanta era la mia gioja vedendomi vicino lo sposo , tutto intento a
riparare le breccie fatte dai projettili nemici alle mura dell'eterna
città, e com'egli mi pareva bello in quell'atto e come sentivo orgo
glio di esser sua ! Una fiamma di contento mi saliva al viso quando
per le sue cure miravo rinnovarsi e rinforzarsi le difese. Non ero
serbata a vedere i nuovi fati di Roma e il sangue italiano finalmente
vendicato : una palla di cannone mi percosse : caddi inginocchiata ,
e, levando le mani e gli occhi al cielo, l'ultimo ed unico mio grido
fu : Viva l'Italia (2 ) !
XXI . Il bastone ! Ecco lo scettro del selvaggio e dell' Austria
finchè non fu vinta ! E a colpi di bastone, come si trattasse dei più
abietti animali, i proconsoli austriaci punivano le donne e le giovi
nette che liberamente biasimavano gli stomachevoli omaggi che gente
perduta tributava all'aquila grifagna. Per aver biasimata una ita
liana rinegata che faceva pompa, sul davanzale d'una sua finestra,
dei colori giallo-Deri , noi due , giovinette , l'una cremonese , di 20,
l'altra fiorentina, di 18 anni , fummo pubblicamente sulla piazza Ca
stello di Milano condannate a' colpi di bastone . All'esecuzione sorri
deva non la plebaglia , ma tutto ciò che di più insigne vantavasi tra
gli ufficiali austriaci . E , per maggiore scherno , i bastoni con cui
fummo torturate vennero fatti pagare alla città di Milano (3) !
XXII . Per ispergiurare la costituzione data, il Borbone aveva
bisogno di mutare le dimostrazioni legittime del popolo napolitano
in carnificine; onde sguinza gliò contro di esso la furia soldatesca.
Il mio povero fratello, Angelo Santili , era a letto, preso da febbre
ardentissima , mentre la città rintronava delle cannonate e tutta lin
gevasi di sangue. Egli era solito per le vie di Napoli erudire la povera
ed ignorante plebe nella vera dottrina di Cristo, dottrina di libertà ;
questa davanti agli oppressori fu la sua colpa , e nella sua colpa e
nella vendetta di quei feroci fui involta anch'io. Gli assassini attér.
rano la porta, irrompono furiosi nelle stanze , spianano i loro fucili
( 1 ) Li 31 marzo 149 ; Venosta , pag . 459 .
( 2 ) Li 13 giugno 1849, Venosta : I martiri di Roma.
( 3 ) Li 22 agosto 1849. Venosa, pag . 481 .
460 EROINE E PATRIOTE

contro il letto del febbricitante, e lui, e me, e i fratelli ee tutti coloro


che lo assistevano, freddano in un punto solo ( 1 ) !
XXIII . Ecco l'aquila austriaca >, che ha steso le nere ali so
.

pra Bologna, e che non la lascerà senza avervi insanguinati gli ar.
tigli. Per respingere i barbari s’armano i cittadini, tutte le campane
suonano a stormo, si disselciano lo strade, dappertutto sorgono bar
ricate. Alla fucilata , in mezzo al fischiare delle mitraglie ed allo
scoppiar delle bombe, a que' baleni, a quella luce sinistra, vedi com
misti uomini, donne e fanciulli, che tutti mandano all'aggressore,
unite alle fucilate , delle maledizioni per esso e dei viva all'Italia !
Sull'alto delle case stanno fanciulli e vecchi e donne pronti a get
tare sull'abborrito invasore sassi, tegole e masserizie. Oh ! l'aquila
>

spennata e insanguinata raccoglie il volo : fugge stridendo di dolore


e di rabbia; ma nel fuggire sfoga l'ira feroce sugl' inermi , sui de
boli, sui fanciulli, sui vecchi ee sulle femmine che incontra nella sua
fuga . Della città che li aveva cacciati, si vendicano sulla indifesa e
impaurita campagna. A Rosa Monari, moglie di un macellajo , spa
rano il ventre e poi ne strappano fuori le viscere : me , Rosa Vi .
gnali, contadina colla mia povera madre Maria, in ginocchio ora in
vocante Dio, ora chiedente pietà per me, abbrancate con gioja cru
dele come fa il lupo delle disperse agnelle , spietati crivellano di
ferite (2 ) !
XXIV. Oh lasciateci! Che volete da noi >, che cosa potete vo
lere 'da povere crestaje ? Vi tenta questa poca cosa de' nostri orec
chini ! Oh eccoveli, pigliateli ; ma lasciateci salva la vita ! Cosi noi ,
esterrefatte, gridavamo ai soldati svizzeri che a Perugia minacciosi
erano entrati in casa della nostra maestra Palmira Pieri . E tende
vamo le mani offrendo anche tutto il po' di danaro che avevamo ,
oltre i piccoli oggetti preziosi che ci adornavano . Ma non erano ve
nuti soltanto per rapinare , ma sì anche per far istrage. Dell'aggres
sione non era scopo la rapina , ma essa doveva essere il premio .
All'Irene Polidori , donna di età avanzata , per unica risposta uno di
essi scaricò a bruciapelo il fucile nel ventre . Un grido , un urlo sol
levammo tutte d'orrore . Bocconi cascammo come corpi morti a terra .
Le altre fanciulle poi si risollevarono, non io : una seconda fucilata
mi aveva stesa cadavere (3) !
XXV. Di quella povera vecchia Irene Polidori, assassinata in
Perugia, io sono la figliuola. Disperata per la crudele uccisione della
>

madre, come fuor di senno fuggii di casa, vagando qua e là e riem


( 1 ) Atto Vannucci , 15 maggio 1848.
( ? ) lvi ,. 7 agosto 1848 .
( 3) Gennarelli , 20 giugno 1839 .
EROINE E PATRIOTE 461
pendo l'aria di strida. M'accostano due ufficiali, mi ravvisano ed a
casa mi riconducono a forza, obbligandomi ad apprestar loro il man
giare (1)
XXVI . Sono una suora del conservatorio delle Derelitte di Pe
rugia. Al tristo rullo dei tamburi , al tumulto che sentii farsi sulla
pubblica via, m'affacciai alla finestra , e vidi l'orrida carnificina in cui
si dilettavano que' feroci mercenari . Quelle infelici vittime erano git
tate ad un tratto dalla vita alla morte, dal mondo a Dio : io mi at
teggiai allora a preghiera .... per esse e per me ; perocchè il furore
soldatesco nella sua ebrezza non ha nulla di sacro. Fui veduta dalla
finestra , mentre tenevo congiunte ambedue le mani in atto di pre
gare, ed una palla, entrata dalla finestra, me le trapassò da parte a
parte ( 2) !
XXVII . Noi tre giovinette siam di Carini, e la vita obbrobriosa
di schiave rassegnate ci era incresciosa. Nell'insurrezione del 1860
ci rinchiudemmo nella nostra abitazione, decise colle armi a difen
derci . A che pro lasciarci sgozzare senza resistenza quando v’hanno
soldati il cui vanto non è già di combattere ma di uccidere ? Contro
di noi mosse un intero drappello di borbonici : ma', prima che una
selva di bajonette c'impedisse ogni difesa, a cinque di quegli sgherri
noi abbiam fatto mordere la polvere. Cademmo : otto cadaveri per
più giorni giacquero insepolti nella medesima stanza : poi confusi
vennero sepolti nella stessa fossa. Ma le nostre anime, quando s'in
contrarono con quelle dei morti uccisori dinanzi al giudizio di Dio,
le videro avvilite, di sè stesse vergognose e che invano cercavano
di evitare lo sguardo di lui (3) !
V.

O fanciulle, noi fummo sino ad ora tra giovani eroine, non poche in
vero e più che bastanti ad illustrare ed onorare una gran nazione.
Ma credete voi che non siasene per noi dimenticata veruna ? Oh
quante ne abbiamo omesse, e di quante la storia medesima non ha
fatto esplicita menzione ! Assai volte questa notaja della posterità nel
nome generico di donne ha insieme comprese fanciulle , giovani e
vecchi, perocchè ella non dovea parlare di una o due, ma di cen .
tinaja e centinaja di femmine dello stesso paese. Onde quando la
storia favella di donne gloriose e di fatti eroici compiti collettiva
mente da esse, possiamo noi supporre che la metà almeno di quelle
non si componesse di fanciulle e di giovani ? Dell'età verde , fresca
( 1 ) Gennarelli .
( 2 ) Lo stesso .
( 3 ) La Farina .
462 EROINE E PATRIOTE

e piena d'entusiasmo e d'alti spiriti può farsi il torto di credere che


la si mostrasse men degna della virile età, o della cadente vecchiaja (1 ) ?
Non a tutte le donne la natura concesse gagliardia di membra e
coraggio virile; non tutte ponno essere mosse dall'impavido animo
ad affrontare gli estremi pericoli delle battaglie. Ma , se non tutte
son chiamate ad imitare le eroine testè nominate , od a fare come
alcune di esse il sagrifizio della vita in pro della patria ; se a tutte
non è dato di emulare la Marzia Bronchia, o la Cinzica Sismondi ,
o la Stamura, o l'Ippolita degli Azzi, o la Marzia Ubaldini, o la Eleo
nora d'Arborea, o le contesse di Luserna e di Scarnafigi (2), donne
(1 ) La storia registra col nome della città cui appartenevano moltissime
donne che si perigliarono ne ' pericoli e combattimenti guerreschi a difesa della
patria, tra le quali, oltre le sabine : – le donne di Cremona , nella guerra tra
Flaviani e Vitelliani , anno di Roma 822 , di Cristo 69, Tacity, Annali ; - le
9

donne di Vigevano , nel 1273, contro i proscritti milanesi e loro alleati , Giu
Jini , Memorie ; - le donne messinesi , nel Vespro Siciliano , a . 1282, Boccaccio,
Fazello, Belussi ; - le donne milanesi , quando fu minacciata la città dalle
armi del marchese di Monferrato , a . 1289 , Giulini ; -- una seconda volta , le
5

donne messinesi , per avere dal re , che la ricusava , giustizia de'nemici e tra.
ditori del paese , a. 1352, Fazello , Serdonati; - le donne di Mugello, contro
i Fiorentini , a . 1352, Villani , Serdonati ; – le donne di Signa, contro le genti
di Giovanni Galeazzo Visconti , a. 1396 , Serdonati ; le donne di Forli , per
levarsi di dosso l'oppressione del governatore pontificio , a . 1433, Marchesi ;
Je donne di Longiano , cootro il Piccinino, a 1442, Marchesi ; -le donne di Piom.
bino nell'assedio posto da Alfonso e suoi Catalani , a. 1448, Sismondi e Poema
dell'assedio di Piombino , nel Muratori ; – una seconda volta le donne di Vi
-

gevano contro gli Sforzeschi, a . 1449, Sismondi ; le donne di Fojano, con


tro le armi di Fernando , figliuolo di Alfonso d'Aragona , re di Napoli , a. 1449,
Sismondi ; - le donne di Colle di Valdelsa, contro Alfonso duca di Calabria,
a . 1452, Platina, Serdonati ; - le donne fiorentine, nell'assedio della città, a . 1530,
Storie fiorentine ; le donne di Cuneo, contro a' Francesi , a . 1542, Bugatto,
Adriani , Serdonati, Ricolli ; le donne di Siena, quando gl’imperiali mi
nacciavano di assaltarla, a. 1553, Guasco, Cronaca ; - le donne di Civitella del
Tronto , contro a' Francesi , a . 1557, Muratori , Annali ; le donne di Malta ,
contro i Turchi, a 1565, Serdonati ; – le donne di Liesina e quelle di Curzola
contro a ' Turchi, a . 1571 , Morosini ; – le donne di Picerno , contro i Borbonici
a . 1799 , Colletta , ecc .
(2) Marzia Bronchia, di Pisa. Essendo stati nottetempo introdotti per tradi
mento Liguri Appuani nella città di Pisa , che già da lungo tempo l'assedia.
vano, essi misero a ferro ed a fuoco tutta la città in mezzo allo scompiglio
ed allo sgomento generale. « Tra' fuggiaschi , scrive il Domenichi , vi fu ancora
9

quel Marco Bronchi il quale aveva ruinato Biracchio . Il quale veggendo Mar.
zia, sua moglie, lanciare un'asta, fattasigli incontro, gli disse : -
Che c'è , dol
cissimo marito ? - Ed egli, appena potendo trarre il fiato, le rispose : - Gl'ini
mici hanno preso le mura : noi siamo tutti morti . Ma se tutti siamo morti
diss'ella, – perchè cerchi tu fuggendo ni sali arti la vita , essendo cosa da Pi
sani il saper morire ? Misera me , chè ben voglio morire io , acciocchè il mio
onor non ne muoja , e sforzerommi ancora di non lasciar morir senza vendetta
con esso meco la patria e i figliuoli ». - Dette queste parole e lasciatisi an.
dare i capegli giù dalle spalle, si mise in testa l'elmo del marito, cinsesi la
spada , prese un'asta in mano e furiosa passò fra i nemici .... Allora molti al.
tri soprapresi da vergogna, si diedero a seguirla.... Altaccossi una crudelis.
sima battaglia , dove i Liguri erano molto malconci dei sassi tratti dalle fi
nestre , unde , già tolti in mezzo da ogni parte , furono forzati fuggirsi.... Il
EROINE E PATRIOTE 463

celebratissime per animo e fatti guerreschi, tutte però possono egual


mente meritarsi l'ammirazione e la gratitudine degli uomini coll'e
sercizio di altre virtù non meno utili e più proprie del loro sesso.
E nelle medesime guerre e rivoluzioni le donne senza brandire una
spada, senza cacciarsi in mezzo alla mischia, oh come furono le tante
volte di ajuto, di conforto e di salvezza a' fratelli ed agli sposi pe
ricolantil Roma ed Aquileja , assediate da' nemici , vennero una
volta ridotte a tanta necessità che mancavano persino di corde per
gli archi. In tal frangente che fanno alcune donne ? Si taglian le
lunghe trecce e sacrificano uno dei principali ornamenti della propria
bellezza a difesa della patria. E Roma, riconoscente, in onore delle
proprie donne per quel fatto, consacra un tempio a Venere calva .
popolo pisano , per non parere ingrato di tanti benefici a lui fatii , fece pub.
blicamente una statua alle porte del palazzo, in memoria e onore ci Marzia
Bronchi , liberatrice sua .
Cinzica Sismondi , di Pisa, ( annoverata dal ch . sig. Ignazio Cantù tra le gio
vinette celebri) lungi dal fuggire con gli altri , percossi da subito spavento per
essere stata la città sorpresa dai Mori ( a . 1005) , raccolse intorno a sè i fug.
gitivi e, fattasi loro capo , li condusse contro il nemico. Terribile fu lo scontro
ma la vittoria rimase ai Pisani . Riconoscente, la città innalzò a Cinzica una
slatoa, denominò da lei un borgo ed istitui un'annua festa ( primo gennajo)
affinchè rimembrasse ai cittadini il coraggio dell'ardita patriota . La egregia
poetessa Isabella Rossi su questo patrio argomento compose un bel canto .
Stamura di Ancona , dopo la fuga di Federigo Barbarossa , durando tuttavia
l'assedio di quella città a . 1174 per opera di Cristiano, arcivescovo di Magonza,
che stringevala sempre più da vicino con torri mobili ed altre macchine guer
resche, prese prestamente un tizzone e materie incendiarie e , spintasi sotto
a quelle torri , a malgrado del continuo saettare che facevano i difensori con
Tro di lei , non si rimosse di là finchè non fu ben certa che tutte ardessero .
Ippolita degli Azzi , d'Arezzo , versando in gran pericolo quella cilià, assal .
tata da' Fiorentini , avendo impugnata l'insegna d'Arezzo , seco trasse la mol
titudine che già disperava della propria salvezza , ed alla testa di una nume.
rosa frotta di donne da lei addestrate , respinse vittoriosamente gl'iterali as
salti nemici. Essendo caduto prigioniero il suo figliuolo , Azzolino, il feroce
duca di Narbona mandò per araldi a porle il partito o di cedere le chiavi
della città o ch'ei le avrebbe ucciso il figliuolo : ma ella gli fece rispondere
che prima di esser madre era stata cittadina, e che per un fanciullo non gli
ayrebhe mai dato il dominio su migliaja di vite . Stupefatto e commosso il
Narbona di tale costanza: risparmio il fanciullo e con esso ritirossi alle sue
tende . Ma la notte , Ippolita assalto improvvisamente il campo nemico , e lo
riempi di confusione e di strage. Ad Azzolino riusci di faggire , e il duca scor
nato ed atterrito da cotanto valore, levò l'assedio a. 1289.
Marzia Ubaldini . Di essa il Marchesi , nel Supplemento storico della città di
Forli : « Non contento di tanti acquisti , l'Ordelaffo , mando l'anno seguente li 27
d'aprile il figliuolo Lodovico ad occapare li castelli del conte di Chiazzolo ed
altri luoghi della montagna. Ma nel tentare il 10 maggio 1354 l'espugnazione
di Dovadola, posseduta allora da Carlo de' Guidi , conte di quel castello e ca
pitano per la Chiesa , lanto vi s'imbarazzò che fu ridotto a mal partito dal
conte Carlo II che saputo da Marzia Ubaldini , madre del medesimo Lodovico,
donna di valore maschile, vestita si incon tanente d'armi , con que' pochi pre
paramenti che potè fare in quell'imminente pericolo, imbracciò con grande
ardire lo scudo e portossi a soccorrere il figliuolo , mettendosi all'affronto del
l'inimico, ed attaccandosi con esso in sanguinosa zuffa , in cui fu ella la prima
464 EROINE E PATRIOTE

Emule delle femmine romane delle due epoche nefaste di Brenno e


della battaglia di Canne furono le veneziane, perocchè gareggiarono
nel portare al pubblico i loro monilli affinchè fosse spinta ad ol
tranza la guerra contro i Genovesi (a. 1379). Onde la patria rima.
nesse vittoriosa nel conflitto, e lo spettro della dura schiavitù non
apparisse gigante sulle libere acque della laguna, esse facevano con
vertire i loro ori e giojelli , in armi omicide ; sitivano del sangue
nemico, erano crudeli in beneficio della patria; ma quando Venezia,
poco tempo dopo, fu salva, quando la vittoria venne a posarsi appie
della bella sposa dell'Adriatico, quelle medesime donne, magnanime
verso i vinti prigionieri, facendo tacere ogni rancore verso coloro
ad insanguinare la spada, e con tanto impeto che mise in iscompiglio le genti
del conte Carlo, ed esso medesimo vi restò prigione . Di maniera che non solo
restò libero del pericolo Lodovico per il valor della madre, ma restò anche
in man sua li 26 di maggio la vittoria , con la presa del castello, onde con
dusse trionfante li prigioni in Forli ... Della stessa, assediata in Cesena, cosi
il prof. Contrucci nelle sue iscrizioni :
MARZIA UBALDINI
CON VALORE ESTREMO
SOSTENUTO LUNGO ASSEDIO IN CESENA ,
CEDENDO ALLA FAME NON AI NEMICI
PATTUIVA LA SALVEZZA DE ' SUOI :
MAGNANIMAMENTE
DAL BARBARO CHE DISERTAVALE IL CARO NIDO
E DI OGNI BENE LA FACEVA MISERA
RIFIUTATA OGNI GRAZIA
ANZICHÈ VIVERE IN DISDORO
SCELSE MORIR CATTIVA ,
SOPRA L'USO COMUNE
GRANDE NELLA FELICITA '
IMMORTALE NELLA SVENTURA
SUPERASTI GLI ESEMPI DI GRECIA E DI ROMA .

Eleonora d'Arborea. Vedi l'articolo in fine di questo capitolo, a pag. 476.


La contessa di Luserna . Durante l'assedio della città di Caneo a. 1542 ,
scrive il Ricotti che « le donne si armarono altresì e s'incaricarono della di
fesa di una parte delle fortificazioni. La contessa di Luserna, moglie del go
vernatore, le guidava. Il generale francese offerse ad esse libera l'uscita dalla
città. Ma tutte ricusarono la proposta, affermando esser loro dovere di re
starne a guardia. Il generale francese minacciò il governatore di uccidergli
il bambino , ch'era in campagna a bålia , ov'egli non cedesse la piazza . Il
conte di Luserna rispose al messaggero come conveniva a forte guerriero. Sua
moglie ch'era presente, soggiunse : Dite al vostro generale ch'io sono dello
stesso parere di mio marito .
La contessa di Scarnafigi. Cesare di Saluzzo, ne' suoi Ricordi militari : . La
contessa di Scarnafigi, moglie del barone di S. Genis, piemontese, nella guerra
fra Genova e Piemonte , all'insaputa del marito aveva riunito un piccolo corpo
scelto di cento uomini e , messasi alla loro testa , era partita per la frontiera
nel settembre del 1672. Essa ebbe l'onore di sostituire degnamente il marito
fra i pericoli della guerra e di essersi meritata gli omaggi de' suoi concitta
dini n .
EROINE E PATRIOTE 463
che pur le avevano orbate de' padri degli sposi e de'figliuoli, mosse
da solo impulso di pietà, discesero nelle carceri a prestare a quegli
infelici ogni migliore conforto. Ecco , elle contribuirono a far dop
piamente gloriosi i loro concittadini, perchè i nemici furono due volte
vinti, prima dalle armi e poi dalla generosità de' Veneziani !
Fra le donne che cinsero le armi e per il loro valore andarono
famose, gli storici rammentano una Rosa Salimbeni che nel 1217 si
recò in Terra Santa alla crociata (1 ) ; ed una Lucia Delitala, di Nulvi,
la quale nelle guerre civili della Sardegna dava l'esempio dello stare
immota in sull'arcione , del lanciarsi a cavallo fra i balzi , dell'im
broccare da lunge collo schioppetto e dell'affrontare gagliardamente
l'inimico ( 2 ). Ma di codeste quanto son più meritevoli di essere ad
ditate ad esempio le donne di Viterbo, che, in luogo d'aizzare le ire
insensate delle fazioni, supplicavano Dio e pregavano i loro concit
tadini e in ogni modo s'adoperavano perchè pace e concordia tor
nasse nella città partita (3) ! La Terra Santa delle buone figliuole ,
delle buone spose e delle buone madri di famiglia è il loro paese
natale, è la loro patria, che racchiude tante e tante memorie di re
Jigione, di gloria e d'affetto , e che molte e molte volte è tenuta in
miseria ed oppressione da nemici ben più pericolosi e terribili degli
stessi Mussulmani ! Allora anche le donne si muovano, e, se ad esse
non è concesso di dar di piglio alle armi, troveranno ben altre ma.
niere di effondere utilmente la loro sublime carità di patria.
Durante l'assedio messo dagli imperiali alla città di Monopoli, la
storia ricorda come nelle femmine spiccasse il generoso fervore del
l'animo con cui dalle mura eccitavano i guerrieri e li ristoravano
col proprio vitto, e coi materassi e guanciali dei propri letti offeri
vano materia per far ripari (4). Ma i nostri padri e noi stessi abbiam
potuto vedere di che tesori di virtù sia capace il cuor della donna
se il santo amor, della patria la ispiri. Ella non si ricorda quasi più
di essere madre o sposa, per ricordarsi anzi tutto di essere cittadina,
ella vede il pericolo de' propri cari, ma ciò non toglie il vedere an
che il dover loro, e da quello non li rimuove ma piuttosto li spinge.
Chi può ricordare senza un sentimento di profonda ammirazione la
Teresa Gonfalonieri, che, amantissima dello sposo suo, Federigo, gran
patriota e martire della nostra indipendenza, soccorse con l'opera e
partecipò con l'animo a' moti liberali italiani del 1821 , e se fu mai
( 1 ) Ghirardacci ; e cita Giovanni degli Arienti , poeta e storico .
(2) Botta, Storia d'Italia ; sotto l'anno 1738.
(3) Nel 1503 le donne di Viterbo fecero affiggere alla cappella della Vergine
della Trinità una lamina d'argento per la pace ottenuta fra i partiti che stra
ziavano la città. Vedi Coretini , Brevi notizi: di Viterbo .
(4) Morosini ; a. 1529.
BERLAN . Le fanciulle celebri. 3)
466 EROINE E PATRIOTE

bisogno, riconfermò e rianimò il coraggio del consorte e fece tutto


- quello che può ispirare ingegno d'amore per salvarlo quando fu pri
gioniero (1) ? E la Enrichetta Castiglioni-Bassoli allo sposo, che , per
non accorarla, quasi furtivamente la lasciava , nell'atto ch'egli 'si
disponeva a raggiungere i generosi suoi compagni per iniziare il
movimento insurrezionale del 1831 ,> non gli diss’ella : Va , segui
il dovere di cittadino ; non tradirlo per me , perchè forse t’amerei
meno ? Eppure quanto l'amaval Infatti, dopo avere in Ancona con
fortati i traditi e fatte tutte quelle parti che la carità della patria e
della sventura persuadono ad anime gentili, nella stessa prigione dello
sposo ella seppellivasi per dargli quel maggior conforto che per
lei si potesse, e vi moriva (2) !
Di pari animo furono in tempi a noi più vicini altre donne mi
lanesi. Quante madri, stemperandosi pure in lagrime, non dissero a'
loro figliuoli nel 48 e nel 59 : Andate, la vostra madre è oggi la
patria ? - E quante donzelle, comandando al loro cuore di esser forte,
di non tradirle , non accommiatarono esse medesime i loro amanti
e fidanzati dicendo : Non è tempo di molli affetti; rendeteci una
-

patria e allora saremo felici ( 3) ? » Avevano certo la coscienza di non


aver partorito degli schiavi anche le eroiche Bresciane, quando, plau
dendo alla coraggiosa risoluzione de' cittadini di resistere ai batta
glioni di Nugent, e benedicendo i figliuoli,, - Andate, — dicevano ,
-

compite il debito vostro e viva l'Italia (4) 1 — E che più generoso


delle parole che scriveva la vecchia madre di un esule romagnolo,
avendo appreso dalle sue lettere ch'egli ardeva del desiderio di vo
lare a lei per riabbracciarla prima di farsi soldato nella guerra del 48
contro l'Austria ? « Ti ho desiderato » , ella gli rispondeva, a tanti anni....

per rivederti prima di morire, ma se tu venissi adesso, come avrei


la forza di lasciarti partire ? Va, combatti per la patria. Se muori
per lei, ci rivedremo in cielo. Dio mi terrà conto del sacrificio (5) » .
Quando il demone della guerra infuria e quando, tinto e stanco
di sangue, si ritrae, la donna è quell'angelo di consolazione che com
parisce a lenire od a medicare le ferite, ch'esso ha fatte nelle anime
o nei corpi. Benedette dall'umanità passeranno pure ai più tardi ne
poti i nomi delle due sorelle, la duchessa di Cassano e la duchessa
di Pepoli, che non amarano già di sterile amore la patria, ma bra
( 1 ) Atto Vannucci e lettera di Gabrio Casati .
(2 ) Giuseppe Mazzini , in un suo scritto pubblicato nel 1833.
( 3) Venosta , pag. 261.
(4) Ivi , pag. 454 .
( 5) Ivi, pag. 400. Nei Fanciulli celebri abbiamo già ricordato con me
ritata lode il forte animo della signora Danzetta di Perugia e d’una povera
pecoraja di Sicilia .
EROINE E PATRIOTE 467
varono il pericolo degli esilii e della morte, che ogni giorno più s'av.
vicinava, per soccorrere la languente repubblica partenopea, andando
di casa in casa per raccogliere vesti, cibo e danaro per i soldati o
per i poveri che negli spedali languivano. Sapevano di esporsi alle
ire della corte ed alle vendette della regina Carolina, a cui gli ajuti
stranieri assicuravano già il ritorno in Napoli ; ma esse perciò non
vennero meno alla loro santa missione. Dopo l'arrivo dello spietato
cardinal Ruffo esse furono strascinate nelle prigioni della Vicaria ,
spogliate de' loro beni e titoli, ma nessuno potè toglier alle due ma
gnanime sorelle il titolo assai più onorifico e prezioso di madri della
patria ( 1).
E col medesimo nome noi dobbiamo salutare quelle cinquantadue
signore milanesi che dopo la carneficina del 3 gennajo 1848, s'uni
rono in comitato per raccogliere soccorsi in pro de' feriti. Dal loro
quartier generale di beneficenza, qual era il palazzo Borromeo, per
chè un nome illustre e benedetto s'accompagnasse ad una generosa
azione ; esse moveano per andare di porta in porta , di bottega in
bottega, accolte dappertutto con plauso e benedizione dei cittadini (2).
Non dimentichi la nuova generazione questi magnanimi esempi ,
anzi interroghi solerte la generazione che sta per passare e che gli
ha compiuti, perchè l'eredità di tali memorie è proprietà, è sacro di
ritto de' figli. Quando lo straniero rinfaccerà ad essi che i loro padri
per quasi un mezzo secolo si lasciassero schiacciare , per difetto di
energia e di virtù , dall'Austriaco, essi gli potranno opporre non un
altro mezzo secolo di lento risorgere, ma un destarsi improvviso di
tutto ciò che di più nobile e generoso è nell'uomo. Dalla profonda
e accorata meditazione dell'avvilimento dei nostri padri e nostro, sorse
ad un tratto armata di tutte le virtù la rivoluzione, come Minerva
dalla testa di Giove .
Se il bisogno ritorni , oh quante e quante benemerite e quante
sante della patria potrete invocare perchè v'ispirino a sublimi fatti,
o fanciulle! La Giuseppina Beretta sarà tra le prime; ella che non
si limitò già a comporre coccarde tricolori ed a spanderle in mo
menti in cui potevano caderle di mano tinte dal suo sangue ; ma
con audace carità qua e là disputò alle palle nemiche i caduti e fe
riti difensori delle barricate, e dove non balenava che il furore contro
il nemico, fece che splendesse ravvivatrice la carità verso i fratelli (3) .
(1 ) Colletta, e Alto Vannucci ; a. 1799 .
(2) Venosta.
(3, Ivi : « Un giovinetto , che abbatteva lo stemma austriaco esposto al
botteghino, n . 19, di contro alla chiesa di Sant' Eufemia, ebbe la gola forata
da una palla di moschetto. Niuno de ' cittadini che abitavano attorno alla piazza
usciva a raccogliere il ferito fanciullo. La Beretta , veduta quella titubanza ,
468 EROINE E PATRIOTE
Non perdevano certamente di loro bellezza e grazia le donne mi
lanesi quando, infiammate in viso, soffiavano nei fornelli per lique
fare il piombo da convertirsi in palle, o quando dalla strada racco .
glievano i ciottoli e , depostoli in ceste , li portavano sui balconi e
sulle terrazze, dicendo che quelli erano i fiori ch'elle avrebbero sparse
sulle teste di legno ; ma come più belle ancora e più leggiadre e tutta
cosa celestiale apparivano quando si adoperavan in opere di carità
fraterna, quando , gittati da un canto i già tanto ambiti ornamenti
della loro persona, preparavano bende e filacce od assistevano con
affetto di madri i poveri malati ed i feriti! Al letto di quegli in
felici allora non era solo l'angelo custode , che ha avuto ordine da
Dio d'accompagnare e di proteggere ogni uomo in questo pellegri
naggio, ma un altro angelo veniva da sè, spinto dal suo bel cuore
e non comandato che dalla sua carità; e la terra non aveva nulla
da invidiare al cielo ( 1 ) !

pregò chi l'avvicinava non lasciassero il misero senza soccorso : promise un


premio a chi desse primo esempio di coraggio. Le palle fischiavano , e le pa
role della pietosa donna non trovavano eco veruna . Se alcuno non si muove,
andrò io , esclamò la Beretta , e alle parole stava per raggiungere l'atto,
quando quattro animosi, presa una scala a piuoli , attraversarono la via , acco
standosi al ferito. Egli fu trasportato in casa Beretta " .
(1) Venosta , pag. 92 : “ La marchesa di Lajatico- Rinuccini e la sposa di
Giorgio Trivulzio con altre signore , non risparmiarono disagi e mostrarono
sempre animo caritatevolissimo verso i feriti. E privilegio nalurale della donna
di addolcire le umane sofferenze . Allora quél ministro d'amore erasi tramu
lato in patria carità, in nuovo vincolo di fratellanza » .
Non meno della carità brillò il coraggio delle donne milanesi nelle famose
cinque giornate . Troppo lungo sarebbe ricordare particolarmente le eroiche
gesta di tutte ; ci limiteremo quindi a riferire quanto di tre fra esse dice il
Venosta :
La moglie del falibro Natalino Aquati . • Va sommamente ricordata la
moglie del fabbro Natalino Aquati detto il Romano, quello che teneva la pro
pria officina sul Terraggio di Porta Vercellina , in prossimità al suo sbocco
verso il Corso . Molti degli abitanti di quella località si ricordano tutto giorno
di aver veduto quella donna del popolo, educata in ogni disciplina, amabile
e gentile, stare vicina ai combattenti a masticare il piombo ch'ella stessa aveva
tolto dalle finestre della propria abitazione e foggiarlo a mo' di palle , ed a
porgerlo a quanti ne abbisognassero per i loro schioppi . Tetragona fra il gran
dinare del nemico, qual vecchio soldato, nè prece nè consiglio avevano po
tenza di farla ritirare. sdegnosa di qualunque riparo, stava ritta della persona
guardando agli assalitori con piglio di maschia fierezza . Le palle le fischiavano
attorno ; pur non desistette mai dal nobile assunto. Generosa della propria
vita , faceva largo censo alla patria di abnegazione e di sacrificio » (I martirá
della rivoluzione lombarda, pag. 239).
Luigia Battistotti . Luigia Battistolti nativa di Stradella, moglie di Sassi
lavoratore in oltone, abitanto alla Vetta bbia , n . ° 3615, d'anni 24 ; fa la prima
a fare barricate nel suo quartiere. Strappata una pistola di mano ad un sol
dato , intimò ad altri cinque d'arrendersi, i quali , presi , fece condurre pella
caserma de' Finanzieri. Quindi, deposti gli abiti femminili, si vesti dell'assisa
della compagnia de'fucillieri volontari sotto il comando di Bolognini. Dapprima
Dessu30 sospettò che sotto quelle vesti si nascondesse una donna. Ella era
EROINE E PATRIOTE 469

Roma e Venezia ! santi nomi di dolore e di speranza che devono


far palpitare ogai cuore italiano pensando a ciò che con grande
animo esse hanno lungamente sofferto ! Quali città più degne della li
berià ? Quegli uomini e quelle donne non hanno forse rinnovati gli
antichi esempi della virtù romana e veneziana ? Non mai la missione
della donna era stata più nobile di quello che apparve nell'assedio
di Roma nel 1849, nè virtù maggiore aveva brillato nel sesso gen
tile, chiamato da Dio a dividere i destini dell'uomo. Vedevi le donne
gareggiare fra esse e cogli uomini in carità di patria, fanciulle cin
gere le armi ai loro fidanzati, sorelle accompagnare i fratelli al campo,
assistere i feriti, vegliare le notti al capezzale dei moribondi, spose
e madri affrontare i projettili nemici per cercare sul luogo del com
battimento i figli od i consorti inutilmente aspettatil E quante volte
li trovavano mutilati dal ferro nemico o fatti cadaveril Ma non ve
niva meno per questo la loro virtù ; chè i lamenti si convertivano
in imprecazioni contro il nemico e in commiserazione della patria
più che di sè stesse !
L'austriaco medesimo fu costretto a riconoscere l'abnegazione, la
costanza e l'energia di Venezia, che per quattordici mesi lottò sola
contro un impero e bravò ad un tempo la guerra, la fame e la pe
stilenza : tutti i suoi difensori furono grandi , tutti s'adoprarono a
scancellare la viltà de' loro antenati che aveano dannate a schiavitù
le generazioni avvenire; ma sublimi apparirono le donne. Son piene
le storie delle loro gesta ; la loro carità di patria in mille modi e
sotto mille forme rifulse , e sempre con una santa ilarità , come fra
i tormenti le antiche martiri. Erano inchiodate in una tomba , ad
ogni tratto si vedeva cader gente, che non sarebbe risorta più , ep
pure nella giustizia e nella santità della causa nazionale, generose !
non disperarono mai. O fanciulle, non accenneremo che ad una sola
di quelle magnanime. Erano giorni di orribile carestia ! Una povera
donna, fuggita dal suo abituro in Cannaregio, il cui tetto era stato
sfondato da una bomba austriaca, riparando insieme a due suoi bimbi
ardente alla zuffa e mostrava forza insuperanile di braccio e meravigliosa in
trepidezza d'animo . L'amore alla libertà e l'odio all'Austriaco le moltiplica
vano le forze . Si avventuraya furiosamente contro il nemico , e colla sua ca.
rabina in modo terribile lo fulminava ; era sempre in prima fila, ove maggiore
appariva il pericolo . Per cinque giorni non lasciò mai le armi , e fu instanca
bile nel ferire , nell'incoraggiare e nel correre a prestar soccorso di viveri a
quelli de ' suoi che , chiusi dal nemico , erano a rischio di morire di fame » .
li martiri della rivoluzione lombarda, pag . 92).
Rosa Verza . - « Al Crocifisso la signora Rosa Verza , trovandosi abbando
nata in causa dell'assenza del consorte , con due suoi figliolelli , intrepida ,
sotto il fragore della mitraglia e degli archibugi, innalzò le barricate , con
1

certo pericolo , in quanto che a pochi passi da lei scoppiò un obizzo .. ( lui,
pag . 115) .
470 EROINE E PATRIOTE

nell'interno di Venezia, si era strascinata sino in piazza San Marco.


Essa aveva in braccio un bambino di circa due anni, ne conduceva
per mano un altro in età ancora più acerba 9, ed appariva in volto.
estenuata, emaciata per lungo digiuno e per patiti disagi. I due bimbi
piangevano, chiedendo alla madre pane. Nè pane nè altro poteva la
povera donna dare in quelle sue angustie. Pane , gridava sin.
ghiozzando il maggiore de' figliuoli ; ed essa, con volto alquanto se
vero, gli rispondeva : -- Non ti lamentare , o figlio ; lascia che pianga
il tuo minor fratello, giacchè esso è troppo piccolo per comprendere
il motivo per cui tanto patiamo (1 ).
VI.

È il buon genio dell'umanità quello che pone in mano la penna


alle donne quando il genio del male e dell'oppressione cerca diffon
dere intorno la tenebra dell' ignoranza e della superstizione. Si può
dire che la creazione del mondo della libertà sia allora al suo primo
giorno : la donna vi crea la luce. Allora la stessa debolezza della
donna è quella che la rende forte ; i desposti sulle prime non la cu
rano, ma intanto ella ha parlato, intanto gli uomini si sono vergo
gnati; e, quando gli oppressori, frementi, vogliono turarle la bocca,
quelle voci si sono già diffuse e propagate, ed hanno evocati gli uo .
mini alla nuova vita. Prosatrice o poetessa, allora la donna è im
mensamente benemerita della patria , sia che a concordia inviti i
popoli tra loro discordi e perciò deboli , sia che rimembri le glorie
antiche perchè servano di riscontro alle presenti abiettezze, sia che
tratteggi le tristi condizioni che il mal governo o la prepotenza fo
restiera ha fatte alla patria. A queste si il Campidoglio dovrebbe
decretar l'alloro, e la patria riconoscente erigere la pidi. Voi, o fan
ciulle, sarete vaghe di apprendere i nomi di alcune che, per siffatti
modi , si resero benemerite dell'Italia , ed io fra le molte , antiche
e moderne, degne di memoria, oltre la Fonseca - Pimentel, che, se
non per il secolo , nel quale visse , va certamente innanzi a tutte
perchè suggello col proprio sangue la verità testimoniata contro gli
oppressori, vi ricorderò l'Aurelia Pietrucci (2), l'Eleonora Reggia

( 1 ) Celestino Bianchi , Venezia e i suoi difensori.


(2) La Pietrucci nacque di famiglia sanese nel 1511 ; si spense nel 1542. 11
seguente sonetto mostra com'ella amasse l'Italia e sentisse la necessità che
la patria italiana fosse una buona volta unita in un corpo solo . Così ella scri
veva nel 1540 :

Dove sia il tuo valor, patria mia cara,


Poichè il giogo serpil misera scordi ,
E solo nutri in sen pensier discordi ,
Prodiga del tuo mal , del bene avara ?
EROINE E PATRIOTE 471
nini (1), la principessa Cristina Trivulzio -Belgiojoso (2), la Caterina
Franceschi -Ferrucci e la Giannina Milli (3).
All'altrui spese, poco accorta, impara
Che fa la civil gara , e in te rimordi
Gli animi falsi e rei, fatti concordi
A tao sol danno e a servitude amara.
Fa delle membra sparse un corpo solo,
Ed un giusto voler sia legge a tutti ;
Chè allora io ti dirò di valor degna .
Così tem'io, anzi vegg'io, che in duolo
vivrai misera ognor, piena di lutti :
Che cosi avvien dove discordia regna.
( 1 ) Eleonora Reggianini , cadula la rivoluzione del 1831 , fu costretta ad esu.
lare col padre (condannato dal governo di Modena come carbonaro) in Fran
cia, per aver composto un inno patriotico.
* ( 2) La principessa Cristina Trivulzio- Belgiojoso nacque nel 1808; fu del pari
benefica alle lettere ed alla patria col suo ingegno e colle sue ricchezze . E
autrice di pregiali lavori d'argomento politico e storico . Nel 1848 formava a
sue spese un battaglione di volontari. Vedi Vapereau, Dizionario degl'illustri
contemp oranei.
(3) Caterina Franceschi -Ferrucci pubblicò prose e versi patriotici . Citeremo
il suo scritto Della repubblica in Italia . Milano , Pietro e Giuseppe Vallardi ,
1848, e il canto Le donne italiane agli Italiani redenti. Ivi , nello stesso anno.
A saggio del sgo robusto poetare diamo le segaenti strofe :
Ah ! fortunati voi , coi nobil ira
E magnanimo ardor tra l'armi appella ;
Voi , cui l'età novella ,
Quasi raggio di speme e di salute
Desrosa rimira !
A voi s'inchini il fato , e la pudica
Verginella amorosa a voi sospiri ;
E il vostro nome, onde la gloria antica
Rivive alfin nell'itala virtute,
Dalla terra dell'etra agli ampi giri
Spieghi securo il volo.
Ma se alcun fia che nella serva faccia
Impallidisca, e tremi
Ne' fraterni perigli ,
E gitti il ferro, paventoso, al sitolo ,
Fin la pia madre a lui chinda le braccia ;
Al suo orecchio , de'figli
Sia rampogna la voce , e maladetto
Varcar non osi le paterne soglie.
.

Quando, o prodi, per voi possente e forte


Torni l'ausonia donna , e alla ruina
Del barbarico impero
Libera sorga e come un di reina ,
Quale d'amor, di lode
S ' udrà per l'aria pura
Correr dolce per voi cara melode !
Al rinnovar dell'anno
A voi molli ghirlande e prieghi e voti
Darả l'età futura ;
E i più tardi nipoli
472 EROINE E PATRIOTE

VII .

In luogo di condur vi fra le delizie e la fragranza d'un gentile


giardino , dove non fossero che rose , gelsomini , garofani ed altre
specie di fiori e di odorosa verdura, noi vi traemmo in aperta cam
pagna, dove sorgevano insieme ai fiori ed all'erba folte macchie ed
alberi annosi. Fummo in luogo ove presso i gigli sorgevano gli al
lori e, poco lunge dal cheto ed argenteo rivo, torbida rumoreggiava
la fiumana. Ma per questo vi lagnereste , o fanciulle, di noi ? Nol
crediamo ; perciocchè, oltre al buon numero di giovinette celebri, vi
femmo conoscere anche molte donne illustri . E ce ne dovete anzi
saper grado, e perchè cosi aveste la giunta sulla derrata, e perché
nuovi ed imitabili esempi di famose virtù vi furono posti innanzi .
Fra le donne che abbiam celebrate , parecchie di voi avranno rav
visato quali le madri , quali le sorelle ; or vista cosi cara non può
che far liete e santamente altere anime gentili come le vostre. E se ci
piacesse abbandonare l'imagine de' fiori e degli allori , diremo che
voi foste fortunate, poichè avete goduto d'uno spettacolo negato
agli occhi umani , cioè di tutti gli astri , maggiori e minori, raccolti
e rifulgenti sotto la medesima volta di cielo.
VIII.

E di grandi e differenti e numerosi esempi di virtù il vostro sesso


a' nostri giorni abbisogna, o fanciulle , si per la sua propria gloria
che pel nostro bene. Noi in altro scritto vi abbiamo già detto , ed
or vi ripetiamo , che voi dovete essere come le sante imagini che
si pongono sui navigli di lungo corso : parete ferme, ma benedite,
ma tranquillate il mare burrascoso che noi valichiamo. Noi abbiamo
il coraggio di affrontare il flutto infido ; ma altre qualità che non
abbiamo noi, e che sole voi avete, ci ponno condurre a buon porto.
Con la favella del pensier diranno :
Nelle miserie estreme
Languiva Italia ; ei la campâr da morte .
Ma udite ? Incerto s'ode
Rumor confuso . È forse il mar che freme ?
Mormora forse nelle selve il vento ?
È il lontano concento
D'inni concordi ? ... É suon lieto di carmi ?
Ah ! no : grido è di guerra . All'armi ! All'armi !
La Giannina Milli , siciliana , nata di colta famiglia e città, ebbe in sorte di
essere nutrita di buoni studi , E, con forte volere l'eletto ingegno di fino gu.
sto temprando , caldissima il cuore d'affetto all'Italia , co'suoi improvvisi,
anco in difficili tempi , di patriotici sensi informati , ovunque fu udita e fu .
rono letti i pensati suoi versi , infervoro e dispose gli animi alla grand'opera
dell'italico risorgimento ( Tigri). - La biografia della Milli fu scritta con
molta verità dall'egregio Frassi di Pisa e stampata in quella città con alcuni
improvvisi della medesima.
EROINE E PATRIOTE 473 1

IX .

Anche in pace noi vi vogliamo guerriere ; noi soli non bastiamo


a debellare molti gravi errori e pregiudizi che per la lunga durata
si legittimarono quasi presso le moltitudini. La guerra a cui v'in
vitiamo, ed a cui vi preghiamo di prepararvi, è appunto, o fanciulle
contro tali errori e pregiudizi funesti : nè vi chiediamo cosa che sia
superiore alle vostre forze nuova per voi ( 1 ). Come furono molte
delle vostre antenate, siate anche voi amazzoni del progresso. Ed a
voi ci dirigiamo, perchè alle cose nuove occorrono generazioni nuove.
I vecchi mal s'adattano o mal ponno lottare contro quegli errori e
pregiudizi in mezzo a' quali sono cresciuti e che si sono quasi im
medesimati con essi ; chè loro parrebbe quasi, combattendoli ad ol
tranza, di offendere sè medesimi. Ed uno, e forse il massimo, degli
errori e pregiudizi contro cui dovete armarvi , e non potete che
voi sole, siede in trono a fianco di quella regina che chiamasi opi
nione pubblica. Spinti dall'amore di patria, noi pugniamo contro gli
stranieri ; istrutti dalla necessità della concordia , imponiamo, se è
necessario, pace tra l'una e l'altra città del nostro paese : ma poi l'un
contro l'altro spesso per futili motivi, disnudiamo la spada od impu
gniamo altro strumento di morte. Col pretesto di servire all'Onore,
assai volte ci ribelliamo alla Ragione. Perocchè è stolta, assurda ee di
sumana cosa che l'offeso non possa reclamare il diritto di punire
l'offensore se non coll'esporre sè stesso alla pena che a quello pre
para (2). Ed alla legge ci ribelliamo eziandio, perchè, quasi ella non
esistesse, ci facciamo giustizia da noi. Voi intendete , o buone fan
ciulle, che noi parliamo del duello, vero mostro a due capi, peroc .
chè ha in sè la perversità e la bruttezza del suicidio e dell'omici
dio (3). Questo avanzo di barbarie, che spesse volte è omicidio pre
meditato e vero assassinio, quest'idra che ha ogni anno, ogni giorno
si può dire, un'ecatombe di umane vittime ; questo mostro, che, brutto
di sangue, va baldanzoso a braccetto della Moda, questo ebro Polifemo
che non ha già un occhio solo ma è privo di tutti due, non troverà
nessuno che lo espella dalla società ? Gli uomini nol possono ; l'hanno
tentato, ma l'impresa era maggiore delle loro forze; si vergognavano
di vincerlo. Lo riprovò la Chiesa , lo condannarono la logica e la
morale, lo minacciò e lo colpi spesso con severissime pene la legge ;
( 1) Baldassare Castiglioni nel Cortegiano , libro III : “ Se il tempo mi bastasse ,
vi mostrerei forse ancor le donne spesso aver corretto di molti errori degli
uomini m .
(2) Bentham, Trattato di legislazione civile e penale.
(3) Debreyne, Considerazioni filosofiche e morali, ecc .
474 EROINE E PATRIOTE

ma a tutta questa guerra egli resistette, perchè l'Opinione pubblica


ed un malinteso sentimento d'Onore lo rendevano invulnerabile. E'
riderebbe e renderebbe ridicolo in società l'uomo che lo combattesse :
in ciò è la sua forza. Ma voi, voi sole potete e dovete rompere l'in
canto della sua armatura. Lo dovele ; perchè dei duelli il più delle
volto siete pretesto o cagione, più o meno innocente, voi stesse. Lo
potete ; perchè codesto figlio dell'odio non ha che un solo ed irresi
stibile avversario, l'amore. Non siete chiamate a costituirvi in giuri
d'onore, come una volta vi raccoglievate in corti amorose ; non si
vuole che vi facciate schermitrici per l'uomo; quest'arte, non ignota
pure ad alcune ( 1), è l'ultima che vi si consiglierà ad imparare , ma
siete invece consigliate e pregate a dettar le vostre leggi, a fare an
che voi il vostro codice. L'uomo ha bisogno del vostro amore : con
giurate dunque insierne a porre al conseguimento di tale amore una
condizione indeclinabile; perchè l'uomo ne sia giudicato degno, esi
gete ch'egli non vi si presenti innanzi coll'anima sitibonda o tinta
del sangue altrui. Non si dirà di voi che per paura vogliate abolito
il duello ! Chè avete pure mostrato che sapete spingere i giovani alle
battaglie, se santificate da una giusta causa ; nel 48, nel 59 e nel 66,
non pochi volarono al campo trasportati dalle ali del vostro amore.
Or voi, moderatrici delle passioni dell'uomo, con quella medesima
parola che gli eccitava alle pugne gloriose, ai combattimenti voluti
alla difesa della patria, tratteneteli ora, allontanateli da codesti altri
conflitti senza gloria e che sono anzi cagione di lutto e di sventura
a tante famiglie. Unitevi in società, raccoglietevi in congressi ; il pio
desiderio di poche diventi la volontà di tutte e la legge per tutti.
Nei palagi dei principi era fellonia incrociare le spade : e nella so
vietà, di cui voi siete necessità ed ornamento, sarà ugualmente delitto
di ribellione il duellare contro la volontà vostra. Voi comanderete,
e gli uomini, se la vostra autorità sia ferma e risulti dal volere di
tutte, e se vi farete solidali l'una per l'altra, obbediranno. E chi più
di voi ha diritto di comandare che le creature umane fra loro non
si distruggano ? Volete emanciparvi ? Eccovene il destro : il primo
atto di emancipazione sia questo patto, questa legge d'amore.
(1) Le sorelle Colombo, piemontesi, schermitrici , in tenera elà si diedero
alla scherma , e fino dalla fanciullezza in privali convegni ed in pubbliche ac
cademie mostrarono valore e destrezza. Brio , forza e intrepidezza avevano
superiori alla elà loro ed estranee al loro debole sesso. In un'accademia data
al teatro Carignano in Torino, nel dicembre del 1857, esse furono fatte segno
di meritati applausi clamorosi. A vedere come quelle due leggiadre sapessero
trattare la spada, ognuno stopiva , ognuno rimaneva come affascinato da quelle
piccole Clorinde .
EROINE E PATRIOTE 475

X.

O fanciulle non vogliate permettere che l'uomo faccia il bene senza


di voi: siate come il sole, di cui tutto il creato ha bisogno e che tutto
il creato aspetta per farsi bello. Non v'abbiamo accennato che un
solo de' pregiudizi che dominano e fanno insanguinato il mondo, ma
ben altri e non men gravi pregiudizi ed errori e bisogni, studiando
la costituzione e le condizioni della società presente , vi si manife
steranno. Voi, col delicato e squisito sentimento del bello e del buono
che vi concesse natura , additate all' uomo ciò che di brutto o di
malvagio v'offende, e sarà tolto. Siate come il vento che fa cadere
dagli alberi le ingiallite foglie d'autunno, e come il dolce zefiro pri
maverile che desta i nuovi germogli. Suggerite, consigliate, pregate,
e i vostri suggerimenti, i vostri consigli, le vostre preghiere , illeg >

giadriti e rafforzati dall' affetto vostro , saranno veri comandi. Nel


mondo morale il vostro affetto ,> il cui potere è disconosciuto dalla
leggerezza dei più , sarà come quel punto che Archimede doman
dava per trasportare il mondo fisico .
XI.

Se chi combatte e vince o chi combatte e muore per la patria, ha


lassù e in terra chi gli fa animo, l'ammira e lo ricompensa, pensate
o fanciulle, che sarà poi di quella anima eletta la cui vita sia stata
un continuo beneficio all'umanità ! Tutti gli angeli del cielo, tutte le
virtù saranno obbligate di prestarle assistenza ; essa non farà un passo
senza sentire le fragranze e l'armonie del cielo ; e quando ella abbia
compiuta la sua mortale carriera, la sua fine sarà proclamata una
sventura pubblica e mondiale, e non a schiere ma a legioni, ma a
miriadi ad incontrarla voleranno l'anime beate e le podestà del cielo !
Mirate : ella s'innalza, e dinanzi alla sua luce diventa pallido anche
il sole.

Autori consultati : Adriani, Bentham , Betussi , Bianchi Celestino, Boc


caccio, Bugalto, Cantù Ignazio, Castiglioni Baldassare, Colletta, Coretini , Dal
l'Ongaro, Debreyne, Domenichi, Franceschi. Ferrucci Caterina , Folgoso , Gen.
narelli , Ghirardacci, Giulini , Grace Luigia , Guasco T. Livio, Maralli Faustina ,
Mazzini Giuseppe , Montanari Augusto , Morosini , Muratori , Nardi , Nicolini
>

Francesco, Noël, Petrarca, Pietrucci , Aurelia , Platina , Ricotti , Cesare di Sa


luzzo, Serdonali, Sismondi , Tacito , Tigri , Tommaséo, Atto Vannucci, Venosta ,
Villani .
476 ELEONORA D'ARBOREA

ELEONORA D'ARBOREA .

« Un comitato promotore, presieduto dall'avv. G. Satta-Musio, si è


costitaito non ha guari a Cagliari, onde raccogliere i mezzi neces
sari per elevare un degno monumento in Oristano ad Eleonora d'Ar
borea, all'eroina, che in quella città gittò tanto sprazzo di luce fra
la tenebria del medio evo.
» La storia provinciale della Sardegna è generalmente cosi poco
nota nella restante Italia che è opera non inopportuna dare un ra
pido cenno biografico di questa principessa, di cui l'illustre milanese
Carlo Cattaneo scrisse : - Certo è questa la figura più splendida di
donna che abbiano le storie italiane , non escluse quelle di Roma
antica .
Eleonora, figlia di Mariano IV , giudice (ossia sovrano) di Ar
borea, sorti i natali in Oristano verso la metà del quattordicesimo
secolo, e giovinetta ancora sposò il genovose Brancaleone Doria . La
corte avita, sede d'ogni gentil costume, ove già avevano poetato in
lingua italiana sin dal secolo XII Bruno da Toro, cagliaritano, e Lan
franco de Bolasco, di Genova, fu propizio terreno allo sviluppo mo .
rale della giovinetta. La quale , bella di forme a temprata a virili
sensi, diede a divedere quanto valesse, appena succeduta al padre suo
nel dominio di meglio che un terzo dell'isola, chè a tanto era giunta
la gloriosa casa d'Arborea, facendosi propugnatrice dei diritti nazio
nali e lottando costante contro lo straniero.
» Domata una rivolta, Eleonora, postasi a capo delle sue schiere,
combatté gli Aragonesi, già signori della parte più meridionale della
Sardegna, e non ismise sino a tanto che non consegui una pace ono
revole. Il suo singolar valore è attestato non solo da documenti pre
ziosi, ma anche dal popolo, che ne ha serbata tutta la poetica tra
dizione attraverso il passaggio di tante generazioni e il trascorrere
di tanti eventi.
» Ritrattasi quindi alle cure della pace, dotò la sua terra di un
codice completo di leggi civili e penali , intitolato Carta de Logu ,
ove, percorrendo i tempi, proscrisse i giudizi di Dio, il duello e la
tortura, aboli l'ammenda pecuniaria invece delle pene corporali, ed
istituì i giurati, ed oltre a ciò sanci l'uguaglianza nelle successioni
e non ammise i così detti diritti di primogenitura. E tutto ciò nel 1395 !
Lo Sclopis, giudice competentissimo nella materia, non si périta per
tanto di asserire che il medesimo è chiaro segno di un perfeziona
ELEONORA D'ARBOREA 477

mento sociale dal quale allora erano ancor lontane le più vaste con
trade del continente italiano. Le genti dell'isola non soggette all'im
pero d'Eleonora lo vollero anch'esse adottare, di modo che diventò
la carta generale del paese, ad eccezione di poche città rette da sta
tuti speciali.
» Ma ad accrescere la maestosa figura di questa principessa non
hasta la duplice aureola di strenua propugnatrice dei diritti nazio
nali sul campo di battaglia e di sapiente legislatrice del suo popolo !
conviene aggiungere altresì il serto della carità, di quella carità di
cui fu vittima compianta. Nel 1404 infatti una fiera pestilenza deso
lava la sua terra, la moría ne mieteva terribilmente gli atterriti abi
tanti. Eleonora però in queste scene di lutto rivela tutto quanto di
adorabile si contiene nella missione della donna. Moltiplica sè stessa
soccorrendo i miseri appestati , ne ricovera i derelitti figli nel suo
palagio, è l'angelo che terge ogni lacrima , che lenisce ogni dolore,
finchè non la colpisce il fiero morbo, e spira fra il generale com
pianto. La sua salma ebbe un glorioso lenzuolo funerario le tante
bandiere da essa conquistate agli Aragonesi » .

( Da lettera di un Oristanese).
(
VARIETÀ

TERESINA PRUDENZANO .

Sull'altare domestico , tra lumi accesi , tra veli e fiori, la posano


morta, la offrono i suoi genitori a Dio, come Abele le primizie del
campo ; egli lieto, essi in lagrime, che irrorano il fiore caduto , e
rendono accetto il dolore come preghiera.
Nè la morte , nè il lungo patire scompose l'armonia delle tenere
forme, più pietosa la fece e più eterea : come l'artista che con lento
lavoro infonde nell'opera sua spirito più delicato.
Nove mesi, portandola, o madre, nel tuo seno, gioisti del tuo sof
frire nella speranza d'una vita novella : altri nove mesi fecero la tua
figliuoletta matura alla vita degli angeli. Quante gioje affannose in si
breve spazio raccolte , quanti affanni soavi !
Del suo placido e mesto sorriso consolò per sei mesi la madre;
per tre lunghi mesi più non sorrise , ma pati senza piangere, quasi
per risparmiare ad altri le ambasce, quasi presaga del cielo.
A testimone e consolatrice de' tuoi dolori, posasti a capo della tua
figliuoletta l'imagine della Vergine Addolorata, e su quella imagine
ella si reclinò, e al far dell'alba volò da questa notte di angoscia ,
volò nell'immenso della luce che mai non si spegne .
Ivi l'attendeva lo spirito del suo fratellino , in questo mese mede
simo da due anni tolto alla terra , dove passò un mese solo, la
sciando a' suoi genitori, con meno memorie, meno materia di pianto. 1

Ah le memorie nutricano e l'amore e il dolore !


Tua madre e tuo padre , Teresa , ti veggono , negli spasimi delle
convulsioni, tendere senza grido le mani a loro, più in segno d'af
fetto che di lamento, men per chieder soccorso che per incorarli ;
sentono l'estrema tua languida voce , non più cosi armoniosa come
nei primi di che arridesti alla luce ; più a fondo però la sentono
VARIETÀ 479

dentro all'anima, non come suono che viene di sotterra , ma quasi


mesto canto fra le ombre ondeggianti a un raggio di luna, e un ven
ticello leggiero le commuove, e consente che si ricompongano, e so
spira sommesso con esse.
Del tuo velo terreno non resta a' tuoi che una ciocchettina de '
tuoi nascenti capelli ; i quali la madre sognava veder nereggianti sul
candore del vergine seno ; sognava posarvi la nuziale ghirlanda :
ma più fragranti e men caduche ghirlande serbavansi, Teresa, a te.
Resta l'imagine che si ritrae composta nella tua baricina, vivente
nella morte, con gli occhi velati come per dolce sonno . E il sonno
era a te, viva, negato ; e la vigilia delle tue notti era tacita e queta,
come pensosa tra degli altrui dolori e del cielo.
Ora tu vegli su' tuoi genitori , tacita me presente : che non veg
>

gono te nel tormento del male, ma con gli occhi della fede amorosa
ti contemplano beata ; e nelle lagrime loro la luce degli occhi tuoi
si rinfrange.
Vegli sulle tue sorelline : che certo sarebbero state dalla voce di
te viva, non meno che dalla voce materna educate ; perchè gli af
fetti e gli esempi fraterni s'imprimono potenti nell'anima e memo
randi. Ma le tue ispirazioni dal cielo , e le ricordanze pie che sul
labbro de' tuoi genitori soneranno di te a temperare colla mestizia
armonicamente ogni gioja , a santificare colla religione il dolore, le
educheranno.
Dio buono t'assunse a sè ; e la Grazia che t'ha nel battesimo fatta
consorte ai redenti nella libertà dello spirito, l'Amico dei parvoli e
degli afflitti volle che fosse a te confermata nel secondo de' suoi sa
cramenti. Sublime società che fa essere partecipi d'una comune vita
il vecchio e l'infante, il dotto e il semplice, il potente e il mendico
la donna fiorente di giovanile bellezza e l'epilettico, a cui la vita è
fitta di rinnovate agonie, il mortale che piange pentito delle sue in
numerabili colpe e l'immortale che ascende di quaggiù per aggiungere
alle stelle la luce della sua immacolata innocenza !
Or chi sa quanto in culla quest'anima novella sentisse ne' suoi
pensieri ? quanto avvertisse delle cose e di sè ? Se nel germe invisi
bile è il vivente intero , nell'infante non è egli già tutto l' uomo ?
Chi conosce l'infanzia, altri che quel Dio che l'ha creata si bella ?
La madre un poco : e anche perciò la madre ama tanto. Chi penetra
negli arcani d'un anima ? Chi può tener dietro a' suoi svolgimenti ,
come l'occhio, acuito dal microscopio, segue nella tenera pianticella
il palpitare incessante e il succrescere della vita ?
Quand'ella aveva lo sguardo lungamente intento nella lampada ap
pesa dinanzi al Redentore bambino, badava ella soltanto al lucicare
480 VARIETÀ
di quella fiammella ; e nessuna impressione spirituale da quell'ima
gine le veniva ? Di sottilissime quasi fila componesi la gran tela de
gli affetti e delle idee onde s'intesse la vita.
Se non all'infante, sarebbero le ispiratrici le imagini sante a chi
circonda di quelle la culla di lui, che , posando in esse lo sguardo
innocente, v'imprime, più che una memoria, un vivente ritratto di
sè ; come il raggio della luce di Dio, raccolte in un foglio, vi disegna
in un tratto i lineamenti di quelle sembianze che gli anni muteranno ,
che il dolore e la morte sfigurerà .
Come la rondinella, invigorita dall'amore le gracili penne, racco
glie le piume più morbide e le filolina più fine per assettare a' suoi
piccini provvida il nido ; e cosi voi raccogliete, o genitori, pe' vostri
figlioletti le più pure imagini, i suoni più miti, le parole più elette,
i più belli esempi e più generosi. Raccoglieteli sin dalle prime; che
non sapete quand'eglino incominceranno a giovarsene ; e l'anima in
nanzi ancora che il corpo esca dal grembo materno, principia il suo
divino lavoro.
La madre vive nel dolce peso affidato alle sue viscere; la madre
e il padre nell'infanzia del loro bambino sentiranno com'alito di pri
mavera rinnovellato lo spirito degli anni innocenti ; ringiovaniranno
nel figlio giovinetto, ne' primi virginei affetti di lui risentiranno l'a
more forse più puramente che mai ; a' nati dalla propria figliuola sa
ranno genitori più esperti e forse più teneri che lei stessa ; mori
ranno benedicendo , consolati di vivere nelle generazioni superstiti ,9
che conservino il nome loro le memorie e le fattezze ; e i lontani
nepoti rappresenteranno il ritratto e risoneranno l'idioma degli an
tenati le cui spoglie il sepolcro da secoli chiude.
Pensiero consolatore e tremendo ! Riviviamo, e, come piapte mol
tiplicate dal germe, dal tallo, dal frutto, moltiplichino gli esempi de
gni; i men degni siano come nuvola che dilegua e si converte in
rugiada o in pioggia quieta .
Il tesoro dei figli confidatoci da Dio e dalla patria , temiamo di
perderlo ; ma del non lo saper degnamente custodire e far che frut
tifichi, ancora più, o genitori, temiamo.
N. TOMMASÉO.

FINE.

3 8
33
si
0
li
a

i
i
spediranno
affrancata
Margherita
GIACOMO
AGNELLI
diretta alsente
sMilano
lettera
DELLO STESSO AUTORE :
vaglia
Ditta
,vialla
o*
Vinia
in ,2S.erso

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