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1
Tiziana de Rogatis, Montale e il classicismo paradossale, Roma, Iepi, 2002.
2
Daniela Baroncini, Ungaretti e il sentimento del classico, Bologna, Il Mulino, 1999.
3
Giuseppe Ungaretti, Saggi e interventi, Milano, Mondadori, 1986, pp. 824-5.
(Si sta
come d’autunno
sugli alberi
le foglie),
4
Angelo Jacomuzzi, «Incontro». Per una costante della poesia montaliana, in La poesia di
Eugenio Montale. Atti del Convegno internazionale (Milano- Genova 13-15 settembre 1982), Milano,
Librex, 1983, p. 158. Il saggio di Jacomuzzi costituisce un punto di riferimento costante del mio inter-
vento.
Siamo evidentemente di fronte a un testo sul tempo, a uno anzi dei te-
sti sul tempo più intensi ed emozionanti che la lirica europea moderna ci
abbia consegnato. E la percezione del tempo che l’autore evoca è incerta e
sospesa, incapace di accedere a una cronologia unidirezionale (e unidimen-
sionale): per indicare l’alba, il v. 2 nomina la «notte»; per collocare l’azione
alla fine dell’inverno, il v. 3 parla della «primavera». Il «ponte» sul quale si
svolge la fulminea fusione dei due destini individuali taglia e blocca prov-
visoriamente lo scorrere del tempo-fiume. La «nostalgia» richiamata dal
titolo è questa incertezza e questa sospensione della freccia temporale, la
possibilità di rendere reversibile l’esperienza della perdita. Le «malattie si
fondono» perché si compie ciò che Proust chiamava «estasi metacronica»:
i due interlocutori vivono un’emozione che li trascina altrove senza farli
muovere. La pienezza è questa emozione: restare sospesi in un tempo (e in
uno spazio) multidimensionale.
Sappiamo bene come alle spalle di questa raffigurazione del tempo e del
suo legame con il mondo emotivo dell’interiorità abbia agito il pensiero di
Henri Bergson, le cui lezioni Ungaretti aveva seguito a Parigi prima della
guerra, non diversamente da quanto era accaduto anni prima a Proust, pro-
ducendo risultati in parte somiglianti. E tuttavia il modo nel quale il tema
della sospensione temporale – e diciamo pure il tema del tempo in generale
– viene evocato utilizza uno stilema dantesco ricavato da uno dei luoghi
emblematici del poema, l’attacco del racconto di Ulisse: «… “Quando/ mi
dipartii da Circe…”» (Inf. XXVI, vv. 90 sg.). Diciamo anzi che la prima
strofe di Nostalgia raccoglie e amplifica il mirabile effetto di sospensione
presente nei versi di Dante, staccando la proposizione subordinata tem-
porale prolettica dalla frase reggente con la forza del bianco interstrofico
e facendo così diventare assoluto, cioè strappandolo al continuum tempo-
rale, l’attimo in bilico tra la notte e il giorno e tra l’inverno e la primavera;
facendo del tempo fluido e della successione di attimi un tempo cristalliz-
zato e diffuso. Questo effetto specifico della lirica ungarettiana accoglie,
amplificandoli e rimodellandoli, il motivo temporale e il tema stesso della
sospensione temporale già presenti nel testo dantesco.
Dal punto di vista storico-culturale, potremo ben dire che Ungaretti ri-
colloca nell’orizzonte modernista e bergsoniano il conflitto di valori impli-
cito nel racconto di Ulisse; ma nella prospettiva gadameriana della «fusione
di orizzonti», cioè dentro la poetica della tradizione e della continuità del
canto abbracciata da Ungaretti, quella appropriazione è vissuta e intesa
quale rigenerazione verticale di una verità che tiene insieme, nell’autunno
del Medioevo come nella modernità industriale, la percezione umana del
tempo e l’universalità delle sue contraddizioni. Per Ungaretti, cioè, la mise
en abyme che la potenza dell’enjambement spalanca sul folgorante incipit
del discorso di Ulisse è già, anche, la sua stessa emozione moderna e, ap-
punto, bergsoniana.
Dal punto di vista storico-filologico, l’enjambement che sospende la pri-
ma parola gittata faticosamente fuori da Ulisse, «quando», è al tempo stesso
un modo narrativo folgorante per rievocare le peregrinazioni dell’eroe ome-
rico, il suo essere prigioniero di una maledizione che ne ostacola il ritorno
in patria, prolungando indefinitamente il tempo vuoto e intenso del nostos,
e l’anticipazione formidabile della sua colpa, che corrisponde anche a una
concezione laica e mondana del tempo, all’idea di poterne fare liberamen-
te uso: non solo Ulisse insisterà ripetutamente, parlando, sull’articolazione
temporale della propria vicenda («più di un anno», «prima che sì Enea la
nomasse», «cinque volte racceso e tante casso…», ecc.), ma, soprattutto,
sulla disponibilità del tempo come orizzonte della scelta individuale e come