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STORIA DELL’ARTE MODERNA IC – CURZI

03/03/2022

LE ARTI A VENEZIA NEL SETTECENTO

Gli anni scorsi tenuto un corso sulla Roma nella prima metà e nella seconda metà del ‘700,

Roma e ci dobbiamo disancorare da quella città neoclassica che scopre improvvisamente la

classicità a partire da Mengs e Winckelmann e rileggere la città in un percorso di

continuità per cui quella tradizione classicista viene recuperata e traghettata nel XVIII

secolo attraverso Bellori e Maratti che si fanno portavoce dell’interesse che la città da

sempre coltiva per al tradizione classicista e sin dai primi anni del secolo definiranno la

Roma come patria dell’antico che significa anche Roma patria del disegno, gli artisti a

Roma a partire dalla scuola marattesca si formano nella tradizione dell’importanza del

disegno che non è un esercizio della mano quanto uno strumento che serve ad educare lo

spirito e che serve nella ricerca dell’idea che è un assunto che Bellori aveva portato in voga

nella produzione degli anni ’70 del ‘700 quando racconta cos’è l’idea e tutto questo si lega

all’uso del disegno, quindi Roma nel ‘700 è la patria del disegno, il luogo dove l’artista si

forma attraverso il disegno e a questo si collega un altro aspetto fondamentale e cioè

l’istituzione nel 1790 dell’Accademia dell’Arcadia, una vera e propria istituzione pubblica

nuova per la città, dove si pratica l’unione delle arti. Elementi che rinnovano radicalmente

il contesto artistico romano, in sintesi. Ma perché partire da questo? L’unica scuola che

contrasta l’autorevolezza delle arti a Roma è Venezia e non è un caso che nel corso del ‘700

la scuola veneziana rivendichi una propria autonomia con dei caratteri che alimentano una

contrapposizione andando incontro a quella dicotomia che risale a chi? A Vasari, il primo

a creare la giustapposizione tra la pratica del disegno (Firenze) e quella del colore

(Venezia), era lui che aveva fatto dire a Michelangelo che andando a visitare il Belvedere

videro la Venere di Capodimonte di Tiziano ma peccato che i veneziani non sappiano

disegnare. Nel ‘700, quando la scuola veneziano vuole contrastare la scuola romana c’è

questa rivendicazione da parte dei veneziani della grande abilità dell’uso del colore. Ma

c’è un altro elemento: la legittimità della fantasia, la scuola veneziana sin dall’inizio del
secolo rivendica la libertà creativa dell’artista quando a Roma l’artista viene ricondotto alla

norma, codificata dall’Accademia e dall’Accademia di San Luca in particolare e non è un

caso che in Italia una delle ultime accademie ad essere istituite è proprio quella di Venezia,

per comprendere resistenza verso questa istituzione che nel ‘700 vuole scegliere la norma e

formare gli artsti secondo questa norma. Nel ‘700 le accademie diventano le istituzioni che

formano gli artisti, a differenza di ciò che accadeva prima.

Cantiere del Palazzo Reale di Madrid, quando vengono chiamati per affrescare Mengs e

Giambattista Tiepolo perché in questo cantiere alla fine degli anni ’60 del ‘700 si volevano

mettere a confronto queste due scuole. Tiepolo muore nel 1770 a Madrid, e il figlio

Giandomenico Tiepolo, che neppure lui torna a Venezia e fu aiutante del padre in tutti i

cantieri europei, diventa un punto di riferimento importante per Venezia anche se rimane

un po' in ombra del padre ma è momento di dargli l’importanza che merita: è un artista

che si colloca in un momento cruciale della storia europea, anni della rivoluzione francese,

protagonista di quelle richieste dell’ancien regime ma chiude la sua carriera con una presa di

coscienza di una realtà storica in trasformazione che poi analizzeremo (serie di affreschi

della sua casa di campagna a Zianico dove lavorerà tornato dalla Spagna per circa 20 anni

e decorerà il portego con un dipinto intitolato “il mondo nuovo” e dedicando una delle

stanze più belle a Pulcinella (dedicare a questa figura la dice lunga se consideriamo che nei

cantieri del padre gli eroi erano stati i grandi protagonisti della storia).

Importanza di Venezia con Luca Carlevaris e Canaletto che sono i massimi rappresentanti

del vedutismo: pittura di paesaggio che ha come soggetto la città, che non è così scontato.

Chi è che introduce il genere in Italia? Vanvitelli che si trasferisce a Roma negli anni ’80

del ‘600 portando con sé un oggetto sconosciuto al contesto italiano: la camera ottica o

camera oscura, una sorta di antenata della macchina fotografica, ma quello che è

importante è che lui seleziona una serie di riprese di Roma ed è importante perché questa

selezione che riguarda le piazza più importanti, vedute del Lungotevere e dei fori romani,

rimarrà costante fino alla fine dell’800, scelta la cui fortuna rimane incontrastata, verrà

ripresa addirittura dai fotografi (Alinari, Caneva, ecc.) quindi questo è molto importante

perché al vedutismo si lega la possibilità di riconoscere la città attraverso delle immagini


iconiche che hanno a che fare con delle epoche che hanno reso celebre la città (campo

vaccino – foro romano, Colosseo, grandi piazze barocche come piazza del popolo, san

Pietro, piazza navona). Chi sono i destinatari di questi? All’inizio quando Vanvitelli inizia

a dipingere questi temi sono le famiglie aristocratiche soprattutto romane che amano avere

questo repertorio che si presta ad essere anche usato su formati differenti (piccoli quadri o

quadri da cavalletto ma anche fino a 150 160 cm di larghezza). Poi a partire dalla fine del

‘600 questo genere trova l’interesse dei GRANTURISTI (coloro i quali effettuano il Grand

Tour, soprattutto attecchisce in Inghilterra e la classe dirigente inglese si pone il problema

di educare i rampolli destinati a diventare figure autorevoli della politica inglese, con

un’idea altissima della politica e cioè che prima di amministrare un paese c’è una necessità

di educare lo spirito, di diventare una persona di qualità da un punto di vista intellettuale,

sensibilità al bello quando ancora il bello ha a che fare con l’etica e la morale). Quando poi

questi granturisti arrivano a Roma intendono tornare in Inghilterra portando una memoria

di Roma e i dipinti di Vanvitelli sono importantissimi ed adeguati, sono soggiorni lunghi,

dai 15 anni di età ai 20. Cosa succede a Vanvittel? Questa fortuna del vedutismo è una

fortuna legata al Grand Tour e che quindi altre città possono rientrare nel repertorio,

prima fra tutte Venezia, che all’inizio del secolo anche per i rapporti diplomatici e politici

con l’Inghilterra è una città importante e nel 1795 Vanvittel se ne va a Venezia, e raccoglie

una serie di disegni tramite la camera ottica da tradurre poi in dipinti. Cos’è la camera

ottica?

uno strumento ottico

portatile che inquadra il

soggetto e attraverso un

sistema di lenti questo

soggetto viene ribaltato

su un foglio quadrettato
che dà la possibilità di ricalcare il perimetro della veduta, sistema puntuale della ripresa

della veduta.

disegno d’insieme che

ha le misure di un

quadro di cavalletto e

riportare poi il disegno

sulla tela e realizzare

poi ad olio. Diversi

esempi nel powerpoint.

Cosa abbiamo in più

rispetto alla città

monumentale? Carattere antropologico della città, a questa rappresentazione dei

monumenti della città (in questo caso imbocco di Canal Grande e la chiesa di Santa Maria

della Salute) c’è poi la città della vita sul canale, le gondole, le attività della città.

Quando si parla di pittura di paesaggio le dimensioni sono fondamentali:

dimensioni di un

quadro di storia e c’è

anche la data e la

firma e questo ci fa

capire l’importanza

che ha assunto questo

genere, un quadro che

si è allargato a tal

punto da avere le

dimensioni di un quadro di storia perché se è vero che l’Accademia detiene il controllo

della formazione degli artisti, rivendica l’importanza dei generi pittorici stabilendo una

graduatoria e in cima c’è il quadro di storia e all’ultimo gradino la natura morta e non va
molto meglio la pittura di paesaggio e quella di veduta e tanto più se l’artista si serve di

uno strumento come la camera ottica, perché? Perché passa per essere uno strumento

meccanico che identifica il pittore come un artista meccanico, in un discorso fondamentale

che è quello di rivendicare le arti del disegno come arti filosofiche, intellettuali, tutta la

storia dell’arte e tutta la critica d’arte del ‘700 tende ad elevare il livello dell’arte e del

disegno alle altre arti speculative e in questo Roma fa un lavoro straordinario perché è la

prima e l’unica che chiede all’arte del disegno di dialogare con le altre arti (poesia,

letteratura, storia, musica – quadri di Batoni). Vediamo nel powerpoint alcuni dipinti di

Vanvitelli per ricordare le sue prime prove romane. Chi erediterà il suo testimone?

GIOVANNI PANINI, stesso soggetto, stesso punto di vista, ma negli anni ’40 succede una

capacità più straordinaria e spinta di studiare la luce e di trasformare queste vedute in

vere e proprie vedute atmosferiche. Ricordare Panini rivedendo una coppia di quadri

celeberrimi di cui esegue diverse repliche, all’inizio commissione dell’ambasciatore di

Francia a Roma che gli chiede nel 1754 due grandissime tele dove viene rappresentata

Roma antica e Roma moderna dove diversi monumenti vengono messi a fuoco con l’idea

di una galleria dove dipinti rappresentano il patrimonio straordinario della città, Roma

moderna in pendant con la Roma antica dove i monumenti sono facilmente individuabili.

Ricordiamo che Venezia all’inizio del ‘700 è una città dove è viva la tradizione dei libri a

stampa e della cartografia:

città marinara che ha fatto la sua

fortuna nel commercio marittimo

ma che nel ‘700 si esaurisce e c’è

una volontà di promuovere

l’immagine nel momento in cui la

città perde la supremazia e il

vedutismo è uno strumento utile

per far conoscere la città e

accanto alla carta geografica c’è

una guida che esce nel 1700 e che racconta la città. Cerca di incentivare quella che noi oggi
definiremmo l’aspetto turistico della città, la peculiarità della città si presta a promuoverne

l’aspetto turistico con tutto quello che comporta: importanza crescente del carnevale nel

corso del ‘700, che durava settimane e settimane che era un momento di festa dove tutti i

teatri erano aperti e la città si proponeva da un punto di vista culturale. In questa

situazione si colloca LUCA CARLEVARIS, un pittore udinese che si trasferisce a Venezia

dove morirà nel 1730, abbiamo un ritratto giovanile attribuito a Fra Galgario in cui non

viene rappresentato come un pittore. In un ritratto successivo di Nazari, abbiamo

iconosgrafia incosueta per un artista, non lo idintificheremmo mai come un pittore perché

qui viene rappresentato come una sorta di geografo, di cui ha gli strumenti tipici, quale il

compasso, il globo, il goniometro e a ricordare l’attività di incisore è il matitatoio messo in

primo piano. Capiamo che questo ritratto ha a che fare con quello che dicevamo prima:

Carlevarijs rivendica la statura di studioso e intellettuale, forse anche contro quella pratica

della camera ottica che forse lui non usa, è lo studioso di matematica, di prospettiva, è

l’artista intellettuale. Una delle sue prime opere è una serie di incisioni, 101 acqueforti

tornato da un viaggio a Roma 1703. Il dedicatario è Luigi Mocenigo, il doge di Venezia

anche in questo caso ci sono

strumenti del mestiere del

geografo, compasso,

goniometro, testi di matematica

e geometria. Dopo tutta questa

propaganda il risultato non è

che sia eccezionale, pensiamo ad

un confronto con Piranesi, qui

abbiamo una scatola prospettica

rigida ma la raccolta ha un certo successo anche perché è la più completa che si possa

mettere a disposizione del mercato degli stranieri. Ci sono delle figure, repertorio di

monumenti e com’era nelle suite di stampe dalla metà del ‘500 in avanti i monumenti
erano suddivisi tematicamente, in questo caso le chiese ma c’è anche una VOLONTA’ DI

AMBIENTAZIONE, raccontare la città e la gente che la abita.

riflessione attuale: le città

ad oggi non sono più

abitate, i centri storici non

sono più abitati dalle

persone (aneddoto di

Venezia del viaggio del

professore), centro di

Roma nei mesi della

pandemia e questo doveva

portare a delle riflessioni

della parte politica ma

questo non è avvenuto.

Abbiamo una serie di disegni di Carlevarijs che sono dei veri e propri ritratti della città.

altro ritratto di Nazari è il ritratto del più famoso cantato dell’epoca, castrato, Farinelli

rappresentato con abiti ricchissimi, fortuna straordinaria e poteva disporre di finanze

ingenti che si è fatto rappresentare come una sorta di aristocratico. Abbiamo un altro

quadro che lo rappresenta in forma allegorica, incoronato dalla Musica:

L’allegoria è fondamentale per

l’arte del ‘700, se la pittura deve

concorrere con la poesia allora

l’allegoria è la cifra principale

della pittura, perché la rende

parlante (ne parlerà anche

Winckelmann). Può entrare anche


in un quadro che di storia non è, ovvero il ritratto che attraverso l’allegoria finisce per

diventare un quadro di storia.

Pallavicini aveva aperto

un’Accademia privata di

cui Maratti è una sorta di

nume tutelare e qui si

rappresenta mentre

disegna, Apollo

accompagna il

committente indicando

sullo sfondo il tempio

della Gloria, ci sono le Tre

Grazie (Grazia cara alla

pittura del ‘700) e c’è anche la Storia, l’arte è in grado di tramandare la memoria, in questo

caso la memoria di un committente celeberrimo come Pallavicini ma al tempo stesso la

fama dell’artista.

Altro pittore del contesto romano è Domenico Corvi:

quadro che già allora venne criticato

perché venen giudicato presuntuoso

perché l’artista si raffigura a figura

intera, in vesti da camera, dimensione

domestica ma di livello alto, intento a

dipingere un dipinto di Ercole (nume

tutelare dell’arte e degli artisti, grazie

alle sue fatiche aveva raggiunto

l’Olimpo e in questo rispecchiamento

in lui c’è la vicenda di tantri artisti che con l’impegno raggiungono una posizione sociale

elevata). Corvi sullo sfondo rappresenta la Venere Medicea (celebra famiglia Medici) e i
fogli in cui si vede una testa proporzionata e due volumi di prospettiva e anatomia,

conoscenza di due discipline fondamentali per un artista.

Vediamo Carlevarijs all’opera, nel 1703 realizza un dipinto che rappresenta la Riva degli

Schiavoni e la piazzetta che è la memoria dell’ingresso solenne dell’ambasciatore francese

De Charmont, un quadro che racconta la città in questo rapporto diplomatico con il resto

dell’Europa e quindi un attestato dell’autorevolezza della città dal punto di vista politico

(anche se stava venendo meno)

la città è una presenza

fondamentale e non sappiamo se

l’interesse del nostro sguardo è più

rivolto alla folla o alla “bellezza”

della città.

Anche un altro quadro che riprende la trafizione dei teleri e ricorda la regata su Canal

Grande del 1709 in onore di Federico IV di Danimarca. Carlevarijs si presta anche a

raccontare in queste immagini rappresentative della città e del suo contesto l’entrata degli

ambasciatori veneziani a Londra:


Poi comincia l’attività di pittore vedutista che in alcuni casi produce dei veri e propri

capolavori.

mettere in controluce la colonna che

regge il San Michele e restituire la

profondità di questa immagine con

la folla impegnata nelle sue attività.

Dà l’idea di quanto fosse vivace la

città, piena di movimento, di attività.

Sguardo rivolto al lato opposto di

Canal Grande. A questo fa da

pendant un altro quadro:

punto di vista ribaltato,

lo sguardo è rivolto sull’ingresso di

Canal Grande.

Raccolta che si chiama “I mestieri per strada di Venezia”, una serie di incisioni che

raccontano i mestieri che si potevano trovare a Venezia lungo le strade e ci sono dei

mestieri improbabili, ad esempio addestratore di marmotte, di cani, serie di personaggi

che stavano a Piazza San Marco e affittavano i palchi del teatro sia in occasione di

spettacoli teatrali e dove ci si poteva appartare con le prostitute (mestiere particolare

quindi), raccolta degli anni ’60 – ’70 del ‘700 di cui i quadri di Carlevarijs anticipano alcuni

aspetti, il caleidoscopio della città.


Carlevarijs è anche un pittore di CAPRICCI, che prevede paesaggi di fantasia che sono il

risultato dell’assemblamento di monumenti noti, luoghi reali che vengono riassemblati

L’artista più amato di capricci è Panini che produrrà centinaio di capricci dove il tema è

quello delle rovine romane, capriccio rovinista potremmo dire

campo vaccino fuori dalla città, alcuni

artisti lamentano il fatto che alcuni tra

i monumenti antichi più impirtanti

sono in un’area di pascolo e occupati e

trasformati in stalle. Per cambiare

questo aspetto dovremmo aspettare i

francesi nel 1808 che trasformeranno

quest’area nel parco archeologico che

noi oggi conosciamo.

08/03/2022

Riprendiamo il discorso: nel ‘700 vige ancora l’idea della gerarchia dei generi, per cui

l’Accademia stabilisce una graduatoria che mette al primo posto la pittura di storia, fino ad

arrivare all’ultimo genere che è quello della natura morta. Ma se è vero che questa

gerarchia rimane salda anche nella considerazione dell’artista (un pittore di storia è di più

alto livello – Pompeo Batoni rimane fuori dall’Accademia di San Luca perché ad un certo
punto era diventato il ritrattista per diletto dei granturisti e questo in una città come Roma

veniva considerato come qualcosa che screditava l’artista), il successo di generi come la

pittura, il ritratto e la pittura di paesaggio è un successo mercantile straordinario anche

perché si deve tenere conto di un aspetto fondamentale: che il mercato delle arti a Roma,

come a Venezia, come a Napoli, viene alimentato dai granturisti nel ‘700 e dagli inglesi che

essendo una nazione protestante non ha in grande simpatia la pittura sacra e non ama la

pittura di storia. C’è da fare una premessa: il contesto inglese del ‘700 vede mancare una

scuola e una pittura nazionale fino al ‘700, perché il fatto di essere stata una nazione

protestante l’ha tenuta lontano dalle arti, ci si volge ad artisti stranieri, solo quando

diventano uno strumento di promozione politica e rivendicazione della civiltà di un paesa

che l’inghilterra si pone il problema di avere una Accademia e l’artista è William Hogarth,

ma è verop che gl iingelsi continueranno a rivolgersi a pittori stranieri, soprattutto italiani,

e i pittori di paesaggio sono quelli a cui più facilmente ci si rivolge. Il primo grande

paesaggista inglese, Hogarth, si formerà proprio in Italia, a Roma anche , in cui raccoglierà

un repertorio sterminato di paesaggi, vestigia antiche, che saranno fondamentali per i

pittori di paesaggio che si formano nella sua celeberrima scuola a Covent Garden e che

vedrà il passaggio anche di Turner. Reynolds è invece il supremo ritrattista

dell’Inghelterra e questo ci fa capire che quando si parla di aeti nel ‘700 bisogna avere uno

sguardo aperto sul mondo, il ‘700 è un momento di scambio reale tra la nazione italiana e

le altre nazioni, Roma è la città cosmopolita nel ‘700, ma anche Venezia.

CANALETTO è il più amato forse tra i pittori veneziani, soprattutto dagli inglesi, tant’è

che si trasferirà in Inghilterra. Abbiamo un unico ritratto di Canaletto, benchè fosse molto

noto e molto ricco: ritratto che è il frontespizio di una raccolta di incisioni, la prima

raccolta delle opere di Canaletto, incisioni di traduzioni, che riproducono quadri ad olio.

Nella foto abbiamo la camera ottica che si pensa che sia stata proprio la sua (opera con la

camera ottica) e vediamo anche nella slide una incisione di una camera ottica portatile che

ci fa capire come funziona. Molta della critica si è soffermata a descrivere la TECNICA

usata da Canaletto, perché usare la camera ottica non è così semplice, si tratta di avere una

grande capacità nella ricomposizione dei pezzi dei paesaggi inquadrati e c’è l’importanza
del PUNTO DI VISTA e della capacità di creare delle FUGHE PROSPETTICHE, che nei

suoi quadri non corrispondono quasi mai alla realtà: nelle fughe prospettiche

dell’immagine inquadrata lui si prende delle grandi libertà. Abbiamo una mese piuttosto

consistente di disegni perché il modo di usare la camera ottica è anche questo: riuscire a

riprendere il disegno che poi viene elaborato a mano libera. La collezione di Joseph Smith

è quella a cui appartengono i suoi disegni e collocata a Windsor Castle. Smith è

inizialmente un inglese che si trasferisce a Venezia in un lungo soggiorno che diventa il

mediatore tra il mercato veneziano e i suoi connazionali, è colui che mette in contatto gli

artisti veneziani con i granturisti, è un vero e proprio mediatore d’arte come ce lo

possiamo immaginare anche oggi, è uno dei primi casi che noi ben conosciamo e diventa

l’agente artistico di alcune personalità che si muovono nel contesto artistico veneziano, in

primo luogo Canaletto, ma anche una ritrattista come Alba Carriera e Francesco Zuccarelli,

paesaggista. Come tutti gli agenti, Smith aveva una collezione privata, raccoglieva le

opere, idisegni, le incisioni degli artisti che proteggeva perché erano materiali utilizzati

nella vendita di opere d’arte dei suoi artisti. Nel 1760 Giorgio III manda un agente a

Venezia chiedendo di acquistare la collezione di Smith e due anni dopo la collezione viene

acquistata (Giorgio III d’Inghilterra era un grande estimatore ed appassionato di arte, cosa

insolita se consideriamo che l’Inghilterra non aveva grande passione per le arti –

consideriamo anche la vicenda della collezione Gonzaga acquistata da Carlo I, ma cosa

succede quando viene spodestato? Che tutta quella collezione viene dispersa attraverso

un’asta ed è il motivo per cui ad esempio la Morte della Vergine di Caravaggio finirà in

Francia). Giorgio III rivendica la necessità di circondarsi di opere d’arte e l’acquisto della

collezione Smith è significativo della sua politica.

Ciò che possiamo notare nei disegni di Canaletto è la libertà del segno, che si ritroverà

anche nelle incisioni, grande tecnica di Canaletto a cui poi guarderà Piranesi (idea delle

incisioni su grande formato inaugurata da Canaletto e poi la libertà del segno, perché se

guardiamo le incisioni del ‘500 e del ‘600 i tratti sono sempre lineari, qui invece c’è una

libertà in questo). Vediamo la qualità dei disegni, l’idea di raccontare la città, la vita, i

lavori, le imbarcazioni (come Carlevarijs) e in questi disegni viene fuori un doppio registro
perché ci sono le riprese delle icone figurative della città ma c’è anche la città meno nota,

dove l’interesse è quello di scoprire punti di vista differenti, che si potrebbe mettere in

rapporto con Van Vittel (i primi acquirenti sono le famiglie aristocratiche di Roma – la

stessa cosa non succede per Canaletto, che lavora principalmente per gli inglesi e i

granturisti, più che per i veneziani). Gli acquirenti stranieri cercheranno le vedute più note

nei dipinti di Canaletto, trovare delle vedute di luoghi meno noti è cosa piuttosto rara e

oggi fa il fascino delle opere di Canaletto dove avvertiamo quando il soggetto è un

soggetto raro.

Ci sono anche disegni, come quello di Berlino, che ci fa capire come Canaletto prende tutta

una serie di appunti riguardante il colore ad esempio. Il rapporto del pittore di paesaggio

con il naturale è molto importante ed è un rapporto che si modifica nella seconda metà del

‘700 quando una serie di artisti, soprattutto inglesi, decideranno che il pittore di paesaggio

deve lavorare nel contatto stretto con il naturale, con il paesaggio, osservando

direttamente la natura, senza la traduzione del disegno che viene utilizzato nella bottega,

ma sono quadri di piccolo formato o acquerelli, non una pittura di cavalletto. Disegni

pronti per essere venduti, piccoli capolavori di veduta, esempio l’allestimento a Piazza San

Marco il giovedì grasso, come anche la Veduta dei Cantori di San Marco che ci ricorda un

dipinto della collezione di Smith dell’interno della basilica di San Marco.

Come comincia la carriera di Canaletto? È il figlio di uno scenografo teatrale ed è evidente

che questo rapporto lo mette subito in grado di usare la prospettiva e lo mette in rapporto

con il tema della veduta e del paesaggio perché le quinte avevano come soggetto o vedute

architettoniche o paesaggistiche e nel 1720 Canaletto è a Venezia con il padre e il fratello.

Di questo soggiorno abbiamo una serie di disegni, oggi al British Museum (esempio i fogli

di un taccuino che ci raccontano di un giovane incuriosito soprattutto dalle antichità

romane, quidni la veduta del Colosseo con l’arco di Costantino, l’arco di Tito, ecc.). Questi

disegni furono tradotti in incisione nel 1780 dall’incisore Brustolon.

una delle primissime opere di Canaletto si deve ad un gruppo di dipinti il cui mediatore è

un agente teatrale, Mc Swiney, che aveva per un granturista inglese una trovata: incaricare
alcuni celebri pittori bolognesi e veneziani di eseguire delle grandi tele che sarebbero

dovute essere in una camera da pranzo che hanno ocme soggetto tombe allegoriche di

personaggi illustri inglesi, che hanno reso celebre l’ascesa degli wig (partito politico che è

quello che riesce a spodestare i toryes, si presentano come una classe politica nuova che

istaura la prima monarchia parlamentare in Europa, fondamentale per l’idea del potere

che cambia, non più monarca assolutista, ma circondato da un Parlamento, nuovi anche da

un punto di vista culturale, amano le arti e si circondano di artisti, saranno i protagonisti

della chiamata in Inghilterra non solo di Canaletto ma anche dei Ricci, Arrigoni, ecc.). Una

serie di tombe allegoriche che vedono all’opera 3 artisti: pittore di figura, di architettura e

di paesaggio. Pittoni per le figure, Canaletto per le architetture e Cimaroli per il paesaggio

per la tomaba di Tillson; altra opera con gli stessi compiti nella tomba allegorica di Lord

Somers. Abbiamo delle lettere che ci parlano di queste commissioni e Mc Swiney parlando

al committente, duca di Richmond, ci fa capire che nel 1727 è già l’artista più amato per il

vedutismo nel contesto veneziano. Dobbiamo notare in questi dipinti degli anni ’20 i colori

più scuri e più terrosi, che appartiene al carattere dell’artista, adesione ad un senso

atmosferico, immagine molto polverosa ma anche una pennellata mossa. Le cose poi

cambieranno e nelle slide vediamo come. È la capacità che ha la città di restituire

autorevolezza all’evento attraverso la straordinaria qualità dei monumenti e non

dimentichiamo che il ‘700 è anche il secolo in cui si inizia a ragionare sulla necessità della

tutela e della protezione del patrimonio (a Roma quel famoso spoglio dei monumenti

antichi si interrompe nel ‘700, quando si vieterà tassativamente di spogliare i monumenti

antichi dei travertini, delle lastre di marmo, che per secoli vengono utilizzati per fare della

calce) e i quadri di Canaletto possono essere una testimonianza perché all’uomo si

sostituisce l’autorità della storia, storia che si ricava proprio dai monumenti. Emblema del

potere politico e sede della repubblica è il palazzo ducale, davanti a cui viene

rappresentata la scena dell’arrivo dell’arrivo dell’ambasciatore bolognese Giuseppe

Bolagnos a Venezia nel 1729.


Quando si tratta di illustrare gli edifici sul canale, Canaletto apre la veduta per far vedere

la facciata del palazzo come anche una porzione della facciata della chiesa, questo è quello

che fa Canaletto quando usa la camera ottica.

Vediamo la residenza di Smith che si fa costruire una residenza su Canal Grande come un

vero aristocratico e si fa costruire anche una villa a Mogliano, in terraferma, dove ospita gli

aristocratici inglesi e dove tiene la gran parte della sua collezione e non è un caso che una

figura importante come Robert Adam sia ospitato a Mogliano e nel 1757 Adam si trova a

scrivere che “è una delle più notevoli collezioni che io abbia mai visto”. Ecco i quadri che

Canaletto tiene in casa e che poi saranno quelli che passeranno alla Royal Collection e

capiamo come appunto probabilmente è una richiesta di Smith, come cambia lo stile

dell’artista: schiarirsi progressivo delle tinte fino a diventare brillanti e una idea di veduta

quasi fiamminga, con quella volontà meticolosa di rappresentare il singolo dettaglio, nel

primo come nel piano ultimo della veduta. Se vediamo una veduta del ‘600 e una del ‘700

le riconosciamo per lo spazio che viene dato al CIELO: in quella del ‘700 viene data la metà

se non più dello spazio al cielo, diventa fondamentale. Constable dedicherà centinaia di

studi al cielo e alle nubi.

Canaletto è un pittore straordinario, ha una tale capacità anche di restituire luci, ombre,

cielo, materia delle pareti, restituisce il genius loci di un contesto. Procediamo

cronologicamente e andiamo di fronte alla Sala da pranzo a Bedford House del duca di

Bedford che commissiona ben 24 vedute di Venezia, dove ancora oggi sono esposte. Altri

dipinti sempre legati ad acquirenti inglesi, come Harvey e poi un quadro documentario

anceh molto importante: occasioni pubbliche per conoscere gli artisti contemporanee ma

anche le collezioni storiche della città, il giorno della festa di San Rocco che cade in agosto,

davanti alla scuola di San Rocco, le più importanti famiglie aristocratiche esibivano i loro

capolavori posseduti e gli artisti esponevano le loro opere (occasioni di presentare anche

opere che poi entrano nel mercato internazionale per famiglie aristocratiche in cattive

acque).
La prima raccolta di incisioni di Canaletto: Antonio Visentini incide le opere in realtà,

Venezia 1735, 14 incisioni e nel 1742 una seconda edizione fino ad arrivare a 40 tavole.

Perché le incisioni? Si sta sviluppando un mercato “borghese” che non può attingere al

quadro ad olio e si accontenta delle incisioni + nel ‘700 le incisioni hanno uno spazio

fondamentale nelle case aristocratiche: le BIBLIOTECHE, si sfogliano spesso i repertori

incisi, memoria visiva. Caterina II di Russia scrive raccomandandosi di essere tenuta

aggiornata sui repertori di incisioni che escono a Parigi ed in Italia e dice che il suo più

grande diletto è sfogliare questi grandi album di incisioni. MA nel 1744, dopo la seconda

edizione visentiniana, Canaletto decide di fare da solo, sarà lui ad incidere le sue incisioni,

non una terza persona e non saranno più le traduzioni di opere ad olio ma la veduta come

strumento di osservazione del contesto (il frontespizio non parla “Da Antonio Canal” ma

di vedute studiate nel contesto geografico di Venezia e della sua terraferma, alcune ideali

tra l’altro) e il dedicatario è Joseph Smith. “Veduta fantastica di Venezia” è un capriccio,

cos’è diventato il segno del bulino sulla lastra nella mano di Canaletto? Osserviamo il

dettaglio del terreno, grande capacità tecnica, utilizza il bulino come se fosse una matita.

“Torre di Malghera” uno dei massimi capolavori incisori di tutti i tempi (preferito del

prof), intanto per il soggetto che è una torre medievale che sta nella laguna veneziana e lui

rappresenta questa torre con intorno una serie di pescatori con il dettaglio della gondola

ripresa per metà che sembra uscire o entrare nell’inquadratura con un occhio quasi

fotografico e poi guardiamo il segno dell’acqua che sembra far avvertire il tremolio della

superficie dell’acqua (collezioni della Calcografia Nazionale che ha un repertorio di

incisioni veneziane unico).

Canaletto è costretto a trasferirsi in Inghilterra perché è scoppiata la guerra di secessione

austriaca che taglia in due l’Europa dal 1740 al 1748 e finisce il flusso di granturisti

dall’Inghilterra e allora Canaletto nel 1746 decide di trasferirsi a Londra, dove rimane fino

a molti anni dopo, nel 1755, ha trovato una serie di committenti che fanno la sua fortuna, è

ricevuto come il Grande Maestro della pittura internazionale e questo gli dà fortuna ed

agio. Abbiamo una serie di disegni magnifici e le sue opere più celebri sono quelle

dedicate al Tamigi, non a caso, in quanto era abituato a rappresentare Canal Grande.
Vicenda di grande fascino perché permette a Canaletto di entrare in contatto con l’alta

borghesia (Inghilterra nel ‘700 è l’unica vera nazione che ha una borghesia

imprenditoriale, con grandi patrimoni) che non era abituata al Grand Tour e la presenza di

Canaletto a Londra gli darà la possibilità di entrarci in contatto, che è interessata ad altri

tipi di vedute, per esempio una rappresentazione che celebrasse la CITTA’

CONTEMPORANEA E NON LA CITTA’ MONUMENTALE. Costruzione del ponte di

Westmister, ritenuta l’operazione più straordinaria dell’Europa intera ingegneristicamente

parlando, ma cosa lo rendeva straordinario? L’ampiezza delle arcate che erano frutto di

calcoli straordinari e Canaletto nel 1747 col ponte ancora in costruzione esegue disegni ed

opere ad olio e il suo quadro più celebre ed originale è quello che riprende la city vista da

un’arcata del ponte quando ancora ci sono le cèntine che sorreggono l’arcata e il secchio

appeso ad una corda che poteva essere uno spunto reale del momento della costruzione

del ponte ma che in questo caso ha la funzione di rendere evidente la monumentalità

dell’arcata, è uno strumento di confronto (il quadro è La city di Londra vista da un’arcata del

ponte di Wenstminster, 1747).

Il personaggio che vediamo nel busto all’antico è il busto di Thomas Hollis che G. B.

Cipriani descrive come [“Faccia rotonda…occhio chiaro e brillante…bocca ridente..largo

di petto e di spalle”]ed era un imprenditore che aveva avuto un’idea straordinaria, ovvero

quella di dotare la città di uno spazio di ritrovo, un palco dove si esibiscono cantori,

orchestre, dove suona per la prima volta una giovanissimo Mozart.

Non va dimenticato un altro aspetto ovvero che la presenza di Canaletto in Inghilterra è

fondamentale per avviare il genere del vedutismo in Inghilterra stessa. Committenza che

non può arrivare a Canaletto e che si accontenta di Scott o Marlow, di cui abbiamo un

quadro che documenta un edificio importanteper la storia urbanistica (Veduta di Adelphi

dalle rive del Tamigi, 1789 ca.,): l’Adelphi, un edificio costruito dal grande architetto Adam,

con suo fratello, che si inventa una cosa che avrà un successo straordianario del corso

dell’800: edificio con appartamenti di lusso da dare in affitto o da acquistare, non più il

palazzo aristocratico di ubicazione urbana ma un grande edificio dove sono ubicati degli

appartamenti di gran lusso per cui chi non si può permettere la residenza aristocratica ha
la possibilità di distinguersi attraverso un’abitazione di lusso che non ha i costi di un

palazzo aristocratico (Gerryc, attore shakespiriano che acquisterà qui il suo appartamento).

Capriccio con edifici palladiani che appartiene alla collezione Algarotti, possessore di una

grande collezione ben nota ai suoi tempi, come Smith. Panini aveva fatto del capriccio un

genere celeberrimo.

Nel 1742 sarà da quei disegni che abbiamo visto inizialmente giovanili di vedute romane

che Canaletto realizzerà una serie di dipinti che avranno come soggetto la Roma di Campo

Vaccino che finiranno poi nelle collezioni reali: quando Smith capisce quanto fosse grande

il successo di Roma, immagina di poter proporre ai visitatori di Venezia questo stesso

soggetto ma non gli riesce questa trovata commerciale perché questi quadri rimangono

testimonianze uniche e rimangono nella collezione di Smith perché nessuno si sognerebbe

mai di comprare una veduta di Roma a Venezia, perché a Roma c’era una gran

disponibilità di pittori di vedute.

Negli stessi anni a Pavia, il nipote di Canaletto Bernardo Bellotto si servirà di quei disegni

per presentarsi sul mercato del Grand Tour.

Successivamente anche altre città acquisiranno importanza e diventeranno meta e tappa

del Grand Tour come ad esempio Verona.

Trovare appunti mancanti

15/03/2022

Ricordiamo che avevamo parlato del gruppo di incisioni ricordando come nel ‘700 si faccia

strada l’interesse per le scene di genere che vede rappresentato il popolo nelle sue attività

e in questo tipo di rappresentazioni (ed è questo l’aspetto inedito) i soggetti diventano non

tanto e non solo soggetti popolari ma questo interesse per i mestieri di strada che sono una

sorta di declinazione antropologica che guarda da un lato al popolo e dall’altro al carattere

della città, che emerge in queste stesse rappresentazioni. Di questo genere di

rappresentazione esiste una serie celebre che è quella di Bouchardon che si forma a Roma

e non è da escludere che questo interesse possa nascere dalla conoscenza delle traduzioni

in incisioni dei disegni di Annibale Carracci. Bouchardon è uno scultore e nei suoi disegni
c’è uno sguardo inedito per Parigi. Questo tipo di rappresentazioni lo troviamo anche in

Inghilterra, ma qui ci stupisce un po' di meno perché questa necessità di allontanarsi

dall’arte occidentale e la ricerca di una declinazione anche di soggetti nazionale diventa

uno sguardo sulle condizioni sociali della città e di Londra in particolare. Alla metà del

secolo Sandby fa una serie di disegni che vengono tradotti in iscrizioni. La stessa cosa

avviene anche a Venezia ad opera di Gaetano Zompini che eseguirà un vasto numero di

disegni usati poi per una serie di incisioni che verrà intitolata “Le Arti che vanno per Via”

con in particolare la raffigurazione dell’ammaestratore di cani (in Tiepolo c’è uno sguardo

critico verso questa pratica dell’ammaestratore perché è sensibile nei confronti degli

animali) e il mondo novo (diorama che attraverso questa piccola finestrella si osservavano

le proiezioni con paesaggi ed animali esotici oppure i paesaggi che venivano proiettati

nelle diverse ore del giorno ed era uno spettacolo molto apprezzato al punto che da questa

immagine uscirà fuori un’immagine più urticante del ‘700 che questo famoso mondo

nuovo che Tiepolo eseguirà nel portego della sua villa di campagna).

La strada, la piazza diventano il soggetto e torniamo a Pietro Longhi con il dipinto Il

Cavadenti, che era anch’esso un mestiere di strada e questa è l’occasione per rappresentare

alcuni caratteri della città, quidni la coppia aristocratica, due donne di servizio e una serie

di figure che rendono questo quadro un quadro di CARATTERE. Nella produzione legata

al tema della città e dei divertimenti ci sono il Rinoceronte di Longhi (documentato dai

giornali veneziani) e Il gigante Magrat sempre di Longhi (diventa una sorta di occasione di

richiamo del popolo): pubblico affabulato attraverso visioni inconsuete.

Entriamo all’interno di uno dei tanti palazzi nobiliari di Venezia e troviamo i passatempi

degli aristocratici: La moscacieca e il Gioco della pentola di Longhi entrambi; poi a metà

del secolo abbiamo di nuovo i mestieri, in questo caso non di strada ma i mestieri

particolarmente diffusi e legati alla committenza di cui abbiamo già parlato (La Crestaia che

si occupa di parrucche di Longhi, la giovane aristocratica che ha ricevuto una lettera di un

amate probabilmente e c’è l’idea di raccontare in maniera leggera, strizzando l’occhiolino a

chi osserva il quadro, la società dove la seduzione e il gioco amoroso diventano i

protagonisti. Nel quadro Donne che lavorano di Ceruti c’è tutt’altro, ricerca di riscatto
sociale. I quadri di Longhi diventano dei preziosi documenti di interni, ad esempio una

farmacia con un aloe in primo piano, e l’indovino che diventa l’occasione di rappresentare

una scena di intrattenimento. Qualche volta Longhi esegue delle serie con un impegno

diverso, forse con una finalità differente, come il caso dei Sette sacramenti cosa che abbiamo

visto nei dipinti del bolognese Cresti che hanno una forza morale, qui nella pittura di

Longhi tutto assume un po' il carattere “frivolo”, di scenetta, diventano quasi degli ex voto

dove c’è il gusto narrativo ingenuo, c’è anche un po' di questo nella pittura di Longhi.

Altro quadro importante, una serie in realtà, è la rappresentazione del RIDOTTO (una

sorta di casinò, la più importante sala da gioco di Venezia ed era un luogo molto amato

dai granturisti) ed era anche il luogo dove proliferava la prostituzione, per questo spesso

veniva chiuso e riaperto. Il Grand Tour guarda alle città riconoscendo alcuni caratteri delle

città, diventa occasione anche per acquisti e Roma diventa un serbatoio di acquisti, dove

dalle collezioni romane escono i quadri più amati dal Grand Tour, nel corso del ‘700

spariscono dalle collezioni tutti i quadri di Lorrain che diventa il maestro del passato

legato al genere del paesaggio che più viene amato e amato a tal putno che ci sono dei

giardini in Inghilterra costruiti guardando i quadri di Lorrain (il ponte, il ruscello,

l’ondulazione del giardino)b ed è come se il giardino dichairasse che è una riproposizione

del passato, quadri che rappresentano una sorta di Arcadia. Roma significa fare anche

incetta di sculture antiche. A Venezia invece non c’è un grande interesse per la pittura del

passato, quindi è principalmente la città del divertimento (per ascoltare la musica, per il

Carnevale che sarà sempre più lungo fino a durare anche due mesi), nel ‘700 le città

incrementano i loro guadagni proprio sul turismo, che comincia ad essere una

fondamentale fonte di guadagno.

Ancora Francesco Guardi con il Parlatoio delle suore di San Zaccaria, convento dove

venivano monacate le figlie delle famiglie aristocratiche e qui si capisce come anche il

parlatoio delle suore può diventare un luogo ameno dove i bambini aristocratici vengono

intrattenuti da un teatrino di marionette. Questi due ultimi quadri non sono di Longhi ma

di Francesco Guardi, di cui abbiamo un ritratto eseguito da Pietro Longhi: artista che nasce

nel 1712 e muore nel 1793 ed è un pittore di paesaggio e iniziamo a vedere una serie di
dipinti che si legano ad un doge, Alvise IV Mocenigo, che celebrano fatti storici (abbiamo

visto anche i casi di Canaletto e di Carlevarjis). Capiamo bene come la sua pittura sia

diversa da questi due pittori, è una pittura meno lenticolare, più materica, più di

impressione, quello che interessa a Guardi è fissare con una velocità straordinaria che è

anche velocità di segno quello che lui vede di fronte a sé, è un pittore che non va incontro

a grande successo soprattutto tra i Granturisti: siamo distantissimi dalla pittura

smagliante, lenticolare di Canaletto. Nel ‘700 non hanno una gran fortuna i suoi quadri ma

questa immagine un po' sfaldata, qualcuno ha scritto che Guardi è un pre-romantico, e

l’impressione che dà è che il suo sguardo è uno sguardo che dialoga con il paesaggio,

l’anima è nel paesaggio (Leopardi). Il quadro più “romantico” di Guardi è Gondola sulla

laguna di cui capiamo la suggestione di questa laguna, con la città sullo sfondo,

immersione nel paesaggio che sarà poi una caratteristica della pittura romantica. Altro

artista simile è TURNER, il più importante paesaggista inglese che nel 1840 fa un viaggio a

Venezia, sebbene sia stato già in Italia, eleggerà Venezia come la sua città, a Roma aveva

fatto una mostra ed era stato aspramente criticato perché in una concezione del paesaggio

che si aveva a Roma un’immagine di luce come quella di Turner non può essere concepita.

I disegni del viaggio a Venezia verranno tradotti in dipinti ad olio ed è indubbio che i

quadri di Guardi possono essere stati osservati con interesse dallo stesso Turner. Nel 1842

un quadro come Battello a vapore nella tempesta di neve era un qualcosa di impensabile e

nonostante questo venne eletto come maestro dagli inglesi. Non sono immagini inventate,

non sono immagini oniriche ma sono solo il frutto della sensibilità che Turner ha nel

restituire ciò che vede. È un paesaggio in cui l’elemento acqua spesso prevale, elemento

della natura che contribuisce a creare la suggestione dell’immagine. Esempio del

professore su Ferrara nel ‘700 che era odiata da tutti per l’atmosfera e poi negli anni di

Turner diventa amatissima, luogo che prende l’animo del visitatore, sensibilità differenti.

Gregorio Lazzarini (1655 – 1730), Giudizio di Paride

E la PITTURA DI STORIA? Da dove partiamo per raccontare la pittura di storia a Venezia?

Ha selezionato 2 pittori principalmente: Gregorio Lazzarini in questo caso con il Giudizio

di Paride ma anche la Battaglia di Enea e Mezzonio e Niccolò Bambini (1651 – 1736).


Galleria Bonaccorsi di Macerata nella volta affreschi di Niccolò Ricciolini (autore della

volta della Galleria Spada): i Bonaccorsi che allora erano una famiglia danarosa e

intendono promuovere la loro immagine nello stato pontificio decide di allestire il nuovo

palazzo con la galleria mettendo a confronto artisti dello stesso periodo, veneziani,

romani, napoletani. Idea di mettere a confronto le diverse scuole e per la scuola veneziana

si scelgono Bambini e Lazzarini, rappresentati di quella scuola. Qual è il carattere di questi

due pittori? Pittori che da un lato guardano alla tradizione (ricordo dei chiariscuri

tintorettiani) ma sono anche pittori la cui pittura ha un carattere fortemente disegnativo,

non rinunciano all’idea del colore ma si sente anche la tradizione del disegno, la pittura di

inizio ‘700 a Venezia è una pittura che non rinuncia alle qualità disegnative di un disegno

accademico sentite come necessarie. In questo contesto si innesta un pittore che ha altre

ambizioni e altre qualità da un punto di vista artistico: SEBASTIANO RICCI, passa tutta la

vita dietro alle donne, mette incinta due ragazze, poi fugge, condannato a morte per tutte

queste vicende ma aveva i Farnese come protettori. Autoritratto con aria sprezzante da

nobiluomo, orgoglio della professione.

1671 è a Venezia, scappa a Bologna nel 1681, dopodichè nel 1687 – 88 esegue una serie di

tele che ha come tema i fasti farnesiani (uno dei pittori prediletti dai Farnesi tanto che ce lo

troviamo a Roma con una patente ch elo definisce pittore di casa Farnese), poi va a Milano

nel 1694, a Vienna nel 1701, torna in Italia e nel 1706 – 07 va a Firenze e poi c’ è una lunga

stagione in Inghilterra, nel 1711 va a Londra (stipendi da star) ed è chiamato dal nipote

Marco Ricci che era lì come pittore di paesaggio, successivamente rientra a Venezia, si

ferma a Parigi, entra nell’Accademia di Francia e torna a Venezia nel 1718. Alcuni passaggi

critici di Zanetti che è lo storico dell’arte di Venezia e nel 1771 scrive una storia pittorica di

Venezia, dalle origini ai giorni contemporanei che registra un fatto importante: legittimità

di un artista del ‘700 di alienare il proprio sguardo sulla tradizione, guarda al passato

come ad un serbatoio (Zanetti dice che il suo sguardo ha un non so che di troppo forzato).

Mariuz, critico contemporaneo, scrive invece che Ricci è colui che all’inizio del ‘700 apre la

scuola veneziana a delle assolute novità e stabilisce la supremazia del colore sul disegno e

questo lo emtte in assonanza su quanto stava accadendo a Parigi e il rococò aveva scelto la
supremazia del colore (partito dei rubensiani). Campaspe e Alessandro nello studio di

Apelle, di cui abbiamo un disegno, che è una cosa impressionante, linea spezzata,

velocissima, che è il contrario della tradizione accademica. Pascoli lamenta che sia un

artista poco attento al naturale ma soprattutto questa libertà fantastica che riguarda lo stile

e Lacombe parla dei quadri di Ricci come quadri spiritosi e tutto fuoco anche se sottolinea

la poca aderenza alla natura; tutto fuoco perché le figura di Campaspe sembra quasi una

fiamma. Altri elementi sono la facilità di invenzione, di inventarsi storie, soggetti, ecc., la

facilità esecutiva, la forza del colorire.

Vediamo ora un dipinto, il Ratto di Europa di Ricci con il dipinto di Veronese in Palazzo

Ducale a Venezia (1575 – 80): c’è il richiamo ma c’è una sostanza diversa, cambiano i colori

che non sono quelli brillanti e vivaci di Veronese (viene dopo la pittura tonale che era stata

la grande scoperta di Venezia) e qui il colore si attenua, diventa quasi pastelloso e il

cambio evidente è che non c’è volontà prospettica in Ricci, tutto è in primo piano (nel caso

di Veronese c’è una sorta di imbuto prospettico che dà profondità alla scena) e cambia il

paesaggio, cambiano le essenze, le querce di Veronese vengono sostituite con i pioppi,

essenza del paesaggio che compare solo nel ‘700 soprattutto nel contesto veneziano che lo

predilige forse per il tronco chiaro e per il fatto che alleggerisce la scena, vedremo una Via

Crucis di Tiepolo dove la croce è realizzata con dei rami di pioppi. Apertura sul passato

che in questo continuo spostarsi ha possibilità di vedere diversi pittori ed autori, a Firenze

Pietro da Cortona, a Roma sono gli anni in cui si costruisce lo spettacolo della visione

barocca, la chiesa del Gesù che è una sorta di manifesto conclusivo della stagione barocca

romana.

Facciamo un passo indietro per ricordare Ricci a servizio dei Farnese di Parma: ciclo di

dipinti in collaborazione con altri artisti in cui vengono presi a soggetto i Fasti Farnese (il

tema dei Fasti è una invenzione iconografica della metà del ‘500, promossa a Roma dai

Farnese che raccontano le glorie familiari all’interno del palazzo di città e a Firenze dei

Medici nel palazzo della Signoria, raccontare i fatti contemporanei che celebrano potenza e

impegno della famiglia) e viene rappresentato Paolo III Farnese che indice il concilio

Tridentino, poi Paolo III che nomina il figlio …, poi Paolo III che riconcilia Francesco I e
Paolo V, strizza l’occhio alla pittura manierista e non è un caso perché siamo a Parma dove

c’è la tradizione viva di Parmigianino. A Roma, nella sagrestia della Basilica dei SS.

Apostoli, nella volta affresca un’Ascensione di Cristo (dove è presente la memoria di

Tiziano ma anche le volte del barocco romano – capacità di reinventarsi con un risultato

straordinario), dove si porta dietro una serie di esempi che reinterpreta. Quando si

trasferisce a Firenze e comincia a lavorare in Palazzo Pitti il suo stile cambia di nuovo e qui

possiamo dire che questo è una sorta di quadro rococò, Commiato di Venere e Adone,

anche dal punto di vista cromatico, leggerezza del tono rosato. Ma soprattutto a Firenze,

Ricci è noto per gli affreschi in un palazzo che oggi è la sede dell’istituto di storia dell’arte,

Palazzo Marucelli, con affreschi dedicati a diversi temi con ad esempio l’episodio di Ercole

al bivio, [scavalca il modello trasformando il soggetto in un soggetto tipicamente rococò,

soggetto del modello in cui questa figura muscolosa e queste allegorie del Vizio e della

Virtù hanno un carattere disegnativo forte, potenza muscolare che è un tutt’uno con la

volontà di recuperare la classicità in Carracci]

, il Vizio e la Virtù sono due fanciulle che starebbero bene nel ridotto di Venezia. La volta

della sala di Ercole con il trionfo di Ercole, immagine di Ercole e Caco di cui abbiamo

anche il bozzetto, è consapevole che c’era la celebre scultura dell’Ercole Farnese tanto che

nel progetto originale dell’affresco c’era una copia dell’Ercole farnesiano ma quando poi

realizza l’affresco cambia e c’è una rinuncia a questo modello. Ercole e Nesso è una delle

immagini più belle e probabilmente si ispira al gruppo del Gianbologna che ancora oggi si

trova nella Loggia dei Lanzi. Punizione d’Amore in cui ricompare la forza del disegno,

nudi che sembrano nudi accademici, ed è questo il motivo per cui Zanetti sottolinea la

grande prensilità dell’artista nei confronti dell’antico, è un grande artista ma con una

abbastanza non comune e consueta reinterpretazione dei soggetti antichi.

17/03/2022

Ricci con il ciclo del Palazzo Marucelli è il

suo ciclo affrescato più famoso almeno in

Italia; il tema dell’afresco è molto


importante, i veneziani sono dei grandi freschisti. Qui abbiamo visto che i soggetti

utilizzati da Ricci sono soggetti che fanno riferimento al mito, il ‘700 è un secolo dove il

mito torna di frequente ma va tenuto presente che il mito nel ‘700 è associato al tema

allegorico. Winkelmann dopo il suo arrivo in Italia nel 1752, una delle prime cose che

scrive riguarda l’allegoria e ricorda come l’allegoria sia fondamentale perché è il modo che

gli artisti hanno per esprimere dei pensieri. Il mito diventa uno strumento che quando

viene associato all’allegoria diventa uno strumento che apre un dialogo con chi guarda e

apre un dialogo con la celebrazione del committente. La figura di Ercole è una figura

molto utilizzata sia in ambito veneziano ma soprattutto in ambito romano, in un certo qual

modo è l’emblema di quella fatica e di quella scelta virtuosa che poi dà la possibilità ad

Ercole di presentarsi al cospetto degli dei ed è una figura adatta ad esprimere il senso di

un percorso virtuoso che sebbene estremamente faticoso porta ad un successo. Figura che

celebra l’impegno, la scelta virtuosa. Il tema di Ercole al bivio è stato raffigurato anche da

Annibale Carracci. Ercole è una figura amata nel contesto romano, spesso associata agli

artisti, quando si dipingono le allegorie delle arti non è raro che si presenti la figura di

Ercole, perché si cerca di dichiarare la fatica nel praticare le arti in un contesto dove il tema

della formazione artistica ha a che fare anche con il tema della formazione intellettuale

dell’artista, che usa la mano ma anche la storia, i soggetti, con una serie di strumenti che

rendono difficile il percorso di un artista. MA c’è un altro tema nel ‘700: LA STORIA, ED

IN PARTICOLARE LA STORIA ROMANA, il cosiddetto exemplum virtutis che non è una

tema nuovo (pensiamo alla figura di Lucrezia che già compare nel ‘400 quando viene

associata ai cassoni nunziali, exemplum virtutis al femminile: a Lucrezia si lega

l’istituzione della repubblica, viene violentata dal figlio di Tarquinio il Superbo e si uccide

e Bruto porterà il cadavere di Lucrezia nel Foro e chiederà ai Romani di sollevarsi contro la

tirannide – figura a cui si associa anche la virtù femminile, pur di mantenere fede al voto

del matrimonio, subita quest’onta si dà la morte, personaggio per celebrare la fedeltà

coniugale). Storia luogo di rispecchiamento dei contemporanei per celebrare le proprie

virtù, Roma ha un’assoluta centralità in un discorso come questo, qui “la storia è di casa”,

dal 1702 sono istituiti i Premi Clementini che premia artisti giovanissimi che si cimentano
in una prova di disegno e per molto tempo i soggetti scelti per la prova sono legati a Tito

Livio, e questo allena i giovani artisti a mettersi a confronto con le fonti antiche. Ma questo

tema della storia non è un tema solo romano, Roma rivendica questo processo ma non

succede solo qui, succede anche a Venezia. I tre quadri in foto (sopra) devono essere

riferiti al soggiorno romano di Ricci che entra in contatto con una città dove la storia era

uno strumento da utilizzare il più possibile. I soggetti sono Cincinnato che lascia la

campagna, la continenza di Scipione (uno dei temi + frequenti nel ‘700) e poi Mario Curo

Dentato che rifiuta i doni dei Sanniti (inizio storia di Roma quando tentano di corrompere

questo Mario e tradire Roma portando nella sua casa povera tutta una serie di doni). Il

soggetto più frequente è la CONTINENZA DI SCIPIONE, Scipione l’Africano che è un

comandante romano, vive fra il 234 e il 183 a.C., pone fine alla Guerra Punica con una serie

di vittorie in Spagna ed in Africa e ricompare presto nella storia moderna quando è

ricordato da Petrarca; il soggetto che vediamo si lega alla sua clemenza, riportato da Tito

Livio nell’Ab Urbe Condita, che dopo aver conquistato Nuova Cartagine ricevette anche una

bellissima fanciulla come bottino e venuto a sapere che era promessa ad un giovane la

restituì al fidanzato senza aver profittato di lei, pronunciando un discorso sull’integrità

morale dei Romani. Scipione è rappresentato qui e ai piedi ha una serie di oggetti di

bottino e di fronte a lui la fanciulla ed il fidanzato sono inginocchiati e sarà questo gesto a

rendere evidente la moralità dei Romani. Invece, il nostro CINCINNATO chi è? Vissuto ai

tempi della Prima Repubblica Romana (personaggi come questi non sempre funzionano

quando si tratta di una committenza reale dove è più facile cercare personaggi di età

imperiale, i personaggi sono legati a ciò che si vuole esprimere), cerca di conciliare vita

militare e potere politico conducendo una vita semplice. Celebrare etica morale e virtù che

celebrano il committente di questi dipinti e non è raro che il mito e la storia si mescolino:

da una parte la storia celebra le virtù etiche e morali, e il mito è uno strumento di

esaltazione del committente e in questo c’è una grande differenza tra Roma e Venezia:

Venezia quando si tratta di celebrare famiglie aristocratiche preferiscono ricorrere al mito

piuttosto che alla storia, troveremo Olimpi, figure di Giove, di Apollo soprattutto.
Il dipinto di Ricci Cincinnato, troviamo il giogo, il bue e ci ricolleghiamo a quanto

raccontato dal testo di Tito Livio, dipinto di ambito parmense eseguito piuttosto tardi,

oggi nella Pinacoteca di Parma. Ancora un Ratto delle Sabine datato al 1709, committente un

personaggio della famiglia Barbaro, che appartiene all’aristocrazia di vecchio stampo

veneziana e faceva pendant con un dipinto di Balestra con Coriolano e le donne. Confronto

con il contesto romano si tiene vivo, ancora una volta vediamo la Continenza di Scipione

ma siamo nel 1768-70 e capiamo che la complessità del tema che si arricchisce nelle mani

di Batoni di quello che è un elemento molto caro nel contesto romano, cioè l’espressione

degli affetti, questi soggetti tanto più sono complessi tanto più diventano un’occasione per

indagare il sentimento e l’animo umano, attraverso l’espressione dei volti e la gestualità.

Gestualità espressa per indagare i

sentimenti. Il quadro di Batoni, Alessandro

Efestione e la famiglia di Dario, è spesso

associato al tema della continenza di

Scipione. Alessandro è il fondatore di un

impero e il soggetto vede i familiari di

Dario dinnanzi all’imperatore, in questo

caso come fonte abbiamo Plutarco e Valerio

Massimo. Dario riuscì a fuggire ma la madre e la moglie Statira e le due figlie vennero

catturate da Alessandro, la sua clemenza nei loro confronti è simile a quella di Scipione.

Presenti alcuni servi, soldati e altri spettatori. Diadoro siculo e altri raccontano che la

madre di Dario si prostrò davanti ad Efestione per errore e Alessandro sorvolò

benevolmente sull’errore. Qui troviamo una serie di figure utilizzate per la volontà di

esprimere i diversi sentimenti, ma quello che rimane fondamentale è voler illustrare un

episodio di benevolenza.
dipinto commissionato da una

famiglia di avvocati perché qui si

esprime un concetto

fondamentale cioè il diritto

privato di fronte al diritto

pubblico e non è un caso che un

giuriconsulto possa ricorrere a

questo tema per affrescare la sua

villa di campagna (villa

Cordellina) e si accompagna alla rappresentazione della Continenza di Scipione. Utilizzare

la filologia della storia, in Tiepolo c’è ben poco di filologico perché i personaggi indossano

addirittura abiti cinquecenteschi, mentre Ricci ha una volontà di ambientare tutto nel

periodo corretto grazie anche alla rappresentazione di vestiario, armature ed insegne

militari.

Stesso soggetto, introduciamo Antonio

Pellegrini di cui vediamo diversi

soggetti, anche Alessandro e la famiglia

di Dario e Alessandro davanti al corpo

di Dario. Quadri destinati ad una

galleria. Il tema della storia è il tema

econmiastico per eccellenza anche se

nel contesto veneziano è più facile

ricorrere al mito per celebrare soprattutto le famiglie aristocratiche. Ma qui siamo a

Monaco di Baviera, nel nuovo castello di Schleissheim dove viene chiamato JACOPO

AMIGONI, veneziano, che rappresenta le

storie di Enea.

La decorazione è concepita con una serie di

episodi storici ai lati con le storie di Enea e al

centro una serie di figure allegoriche, che


nobilitano il tema. Volta che ci fa capire perché i veneziani piacciono: per il COLORE, in

primo luogo per questo, anche se siamo in un momento in cui l’aspetto disegnativo

dell’opera non viene meno.

Capiamo che nell’Incontro di Enea

con Didone c’è una forza

disegnativa potente, perché Venezia

fa i conti in quel tempo ancora con

Maratti, sarà solo Giambattista

Tiepolo che si libererà di questa

sorta di sudditanza nei confronti

della scuola romana. Parliamo di

GUSTO perché in questo momento in quell’area della Germania a ridosso delle Alpi, dove

si è diffusa con rapidità lo stile rococò (decorazione in stucco di uno degli ambienti), la

pittura dei veneziani si sposa particolarmente bene, funzionano bene a livello di gusto

l’ariosità delle composizioni e le brillantezza dei colori. Se guardiamo dipinti come Flora e

Zefiro e Venere e Adone di Amigoni, in questa seduzione, erotismo seduttivo e nella grazia

leggera c’è una adesione anche dei pittori veneziani anche al rococò.

Certamente capiamo bene che se prendiamo due ritratti come questi i veneziani fanno

delle meraviglie, la leggerezza, la cromia, la capacità di inventarsi dei soggetti così

seduttivi hanno la meglio e trovano un fronte aperto sulla committenza internazionale.

A Schonbrunn, a Vienna, troviamo Ricci con l’Allegoria della virtù con al centro la figura

celebrata e le figure allegoriche che vanno dalla Fama ad altre figure per raccontare le

Virtù del ritrattato. Composizioni ariose e

suggestive.

Ad un certo punto, nel 1711, Sebastiano Ricci si

trasferisce in Inghilterra, a Londra, al servizio

di Lord Burlington, pesonaggio al quale si lega


la promozione del classicismo soprattutto in architettura nel contesto inglese del ‘700, sorta

di teorico del recupero della classicità in Inghilterra. Si rifà a Carracci. È evidente che in

questo dipinto di Ricci c’è un’impostazione disegnativa marcata, un affievolirsi delle tinte

verso toni meno squillanti che probabilmente è una richiesta dettagliata del committente.

Nella scala di accesso tema mitologico di Diana e le Ninfe dove ritorna la memoria della

Galatea di Raffeallo, Ricci quindi pittore al quale si può chiedere di essere un po' meno

veneziano e un po' più romano. Sebastiano collaborerà con il nipote Marco all’opera

Resurrezione di Cristo nel catino della cappella del Chelsea Hospital e la collaborazione dei

due la ritroveremo anche in quel ciclo di tombe di uomini illustri, il ciclo Mexuini (?)

realizzato con l’idea di individuare maestri veneziani e bolognesi in una serie di tele che

dovevano celebrare personaggi illustri della storia inglese (24 tele).

Abbiamo visto l’iconografia e i soggetti e ora andiamo su un altro tema partendo da questi

2 disegni sempre di Sebastiano Ricci:

attribuire disegni è molto difficile

ma questo è il modo di disegnare

dei veneziani nel ‘700, libertà di

segno quasi incontrollata e volontà

di ombrecciare attraverso

l’inchiostro acquerellato che è

lontano anni luce dai disegni di

Maratti e la sua scuola che sono

disegni perfetti con chiaroscuri

sapientissimi. Definire 2 scuole: una

che si affida alla fantasia e alla libertà (“tutto fuoco”) e l’altra alla sapienza e alla

conoscenza della natura attraverso un esercizio calibratissimo del disegno dal naturale.

Bozzetto del dipinto di Ricci con l’Ercole al Bivio, affrontiamo il discorso del BOZZETTO

partendo dalla lettera di Ricci al conte Giacomo Tassi nell’agosto e novembre del 1731 (il

conte è un committente).
bozzetto oggi a Berlino, il

committente è la Congregazione del

Suffragio ma il tramite è il conte

Tassi. Qui dobbiamo introdurre il

tema della FORTUNA DEL

BOZZETTO, molto importante nel

‘700. Si abbozza un quadro per

presentare quale dovrebbe essere il

risultato finale dell’opera, nel ‘700

spessissimo segue il MODELLETTO al bozzetto, ovvero un dipinto più grande del

bozzetto (miura di 15 cm di base x 30 e il modelletto base di 80 cm e altezza di 100/110 cm)

ed è un dipinto più finito, molto vicino anche nel ductus pittorico alla pala d’altare.

Torniamo alla lettera in cui Ricci dice che quello piccolo (il bozzetto) è l’originale e quello

grande è la copia: successo del collezionismo dei bozzetti nel ‘700, si è detto ecco che il ‘700

prende atto del bozzetto come di un momento fondamentale della creazione artistica

perché è lì che si è di fronte al momento creativo dell’artista. Le cose non stanno come è

stato sostenuto dalla critica: ancora nel ‘700 la pratica artistica ha un grande per cui il

bozzetto può essere uno strumento interessante, tant’è che abbiamo nel ‘700 un grande

numero di bozzetti a differenza del ‘600, ma è l’opera finale che rimane il prodotto più

importante, c’è solo una sensibilità differente per cui il bozzetto è un’opera che vale la

pena conservare (non più solo materiale di bottega come negli anni precedenti).

Assunzione di Vienna del 1733 in cui non c’è una grande differenza tra il bozzetto e la pala

d’altare, la liberà di Ricci sposa questa idea di una identità più libera della scuola

veneziana e anche lui perde il carattere disegnativo che abbiamo visto in alcune sue opere.

Esempio altro: BOZZETTI DI CANOVA, vediamo i due bozzetti che sono la fase

progettuale del gruppo dell’Amore e Psiche del Louvre, cosa succede a proposito di quello

che abbiamo detto adesso nella storia critica di Canova? Arriva a roma negli anni ’80 del

‘700, si forma nel contesto romano e diventa artista celebrato in tutta Europa. Poi cosa

succede? Ha fortuna nel corso dell’800, riferimento per la scultura purista dell’800 ma poi
inizia ad essere guardato con un certo disappunto a cominciare da quando verso gli anni

’70 dell’800 macchiaioli e impressionisti guardano all’arte come un qualcosa che esprime

una libertà anche espressiva e formale (pensiamo a Medardo Rosso e capiamo che Canova

era un esercizio di stile poco congeniale alla sua sensibilità e al suo gusto), poi con le

Avanguardie Canova diventa lo scultore da “bruciare”. Come viene recuperato?

Attraverso i bozzetti perché si capisce che era necessario rivalutarlo e a questo punto, nella

seconda metà del ‘900, l’unico modo per rivalutarlo è recuperare i bozzetti, dove si trova lo

spirito libero e la forza espressiva dell’artista. Questo per sintetizzare il rapporto

complicato col bozzetto.

[se andiamo a vedere Jago, dove c’è la Pietà vediamo il bozzetto in terracotta ed è

interessante da guardare perché è molto diverso rispetto all’opera finita, è più simile alla

fotografia che viene presa a ispirazione ovvero quella del padre che tutto chiuso sta a

proteggere il corpo del figlio morto. Nell’opera finita, tenendo conto della Pietà di

Michelangelo, la posizione chiusa scompare e la figura diventa più rigida e c’è la volontà

di mostrare il corpo morto del bambino e c’è la volontà di presentazione e non più un

qualcosa di intimo.]

Questo ci riconduce ad un passo più indietro, per arrivare addirittura a Filippo Lippi, di

cui vediamo il disegno preparatorio per la Madonna col Bambino che oggi si trova agli

Uffizi. Il disegno ha una impostazione simile al disegno per Maratti, ovvero il disegno è

una elaborazione finita dell’idea. Con chi cambia? Con Leonardo, che concepisce il

disegno in un modo diverso, è il momento della sperimentazione, della messa in forma

dell’idea, è lì che nasce il discorso sul bozzetto, è questo il luogo in cui si può seguire la

fase inventiva e la messa a punto dell’idea e i due disegni per la Madonna del Gatto fanno

capire il tormento di un artista come Leonardo nella fase progettuale (sperimenta

continuamente la sua idea, non dipinge ad affresco l’Ultima cena ma piuttosto un olio

sulla parete per poter cambiare in corso d’opera). Contemporaneamente Michelangelo fa

bruciare prima di morire tutti i suoi disegni perché si conoscesse “solo la perfezione

dell’arte sua” (Vasari ce lo dice), non è importante la fase tormentata dell’elaborazione ma

il risultato finale.
Il dipinto di Carlevarijs è da questo arrivo che cominciano a spostarsi in Inghilterra i

pittori. Nel 1708 Pellegrini si sposta a Londra e rappresenta le figlie dell’ambasciatore che

abbiamo visto nell’arrivo di Carlevarijs. Pellegrini si mette a disposizione dei committenti

inglesi (storie dalle Metamorfosi di Ovidio con un linguaggio simile a quello di Sebastiano

Ricci). Vediamo un’altra residenza

inglese, Kimbolton Castle, dove sulle

pareti è rappresentato il Trionfo di Cesare

che ci ricorda Mantegna, non ce la fa a

rispondere alla richiesta di un soggetto di

storia romana che non è nelle sue corda.

Non a caso due anni dopo Pellegrini

andrà via dall’Inghilterra perché si inizia

a diffondere il fatto che è necessario rifarsi alla storia romana per celebrare il momento che

l’Inghilterra sta vivendo (l’unico che riesce a soddisfare le richieste è Sebastiano Ricci, che

Roma l’aveva vista). La libertà della pennellata, i colori dei dipinti di Pellegrini sono

affascinanti, dà il meglio di sé quando abbandona il tema storico per trattare temi diversi,

ad esempio I Musicisti, Venere e Cupido (pittura rococò a tutti gli effetti).

Pellegrini, La pittura e il disegno educano Amore, giustifica il soggetto: la pittura e il

disegno che educano Amore, due figure femminili (una la Pittura che ha in mano la

tavolozza, l’altra il Disegno che ha in mano il fanciullino che tiene la penna e disegna), le

due allegorie dell’arte che in quel momento detiene il primato seduce ed educa Amore, il

tema dell’Arte è ricondotto nel tema della seduzione amorosa, il gioco amoroso che è tanto

caro al rococò.

Qualche anno dopo nel contesto romano a proposito di Pompeo Batoni troviamo Mercurio

incorona la Filosofia madre delle Arti (se nel quado precedente le arti sono a servizio del

contesto amoroso, nel contesto romano le arti sono arti filosofiche, hanno un ruolo ben +

prestigioso, attraverso due esempi iconografici vediamo una concezione diversa delle arti

e della professione artistica).


Gli inglesi capiscono che c’è un’altra strada che può essere più esemplare: L’ANTICO.

Vediamo l’ingresso della country house di Cooke, Holkham Hall (esempio calibrato

sull’antico e questo linguaggio sarà portato avanti da altri architetti ingelsi come i fratelli

Adam che sono gli artefici di Syon House e Newby Hall dove il richiamo all’antichità e in

particolare al Pantheon è una presa di posizione). Gli inglesi nella ritrattistica a mezzo

busto si liberano delle parrucche e diventano generali romani (Raysbrack con Daniel Finck,

o Roubiliac con Philip Dormer Stanhope). A Roma contemporaneamente a questo si sentirà

la necessità di bloccare la fuoriuscita di numerosi ritratti romani che appartenevano ad

Alessandro Albani, che cerca di vendere la sua collezione di ritratti, questo non gli riesce

perché il papa lo blocca e sistema la collezione nel Palazzo Nuovo del Campidoglio dove

apre nel 1733 un Museo, fino a diventare il museo più copiato dell’Europa intera. A

proposito del punto dove siamo partiti nel 1781 il dipinto di Zoffany, Charles Townley nella

sua biblioteca, ci fa capire cosa era divenuto l’antico per gli inglesi ed è la prova schiacciante

che non è Venezia ad aver avuto la meglio ma è Roma, che diventa punto di riferimento

per la contemporaneità e i primi a fare questa scelta sono gli INGLESI.

[ascoltare gli ultimi minuti della registrazione]

Vasari mette in bocca a Michelangelo che di fronte alla Danae di Capodimonte di Tiziano

dice “bel quadro peccato che i veneziani non sappiano disegnare”, ovviamente è di sua

invenzione.

22/03/2022

Oggi parliamo nel pittore che vediamo nell’immagine che forse è stato identificato come il

suo autoritratto: Piazzetta, di cui Zanetti scrive “gran maestro d’ombra e di lume” con cui

intende un pittore che sceglie questa idea del colore, ripristina la brillantezza di colore che

aveva caratterizzato in qualche modo per esempio la pittura di Veronese e la scuola

artistica del ‘500 (scelta insolita). Noi abbiamo già visto che alcuni pittori che si muovono

tra la seconda metà del ‘600 e la prima del ‘700 che scelgono una pittura tenebrosa,

chiaroscuro elemento importante dell’espressione pittorica. Con l’avvio del ‘700 questo

indirizzo stilistico va scomparendo, fatta eccezione per Piazzetta ed è questo che vuole
sottolineare Zanetti. Piazzetta è un pittore veneziano che nasce nel 1683 e muore nel 1754

che non si muove da Venezia, stagione artistica prettamente veneziana, non è un freschista

e questo non favorisce la chiamata in altri contesti. È un allievo di un maestro che si

chiama Antonio Molinari e ad un certo punto si sposta a Bologna (Venezia nel ‘600

esaurisce l’idea di una scuola autonoma e ha bisogno di guardare ad altri contesti che

hanno portato avanti una sperimentazione artistica e questo guardare altrove significa

guardare a Bologna o guardare a Roma), che si presta ad essere una città dove ci si può

aggiornare da un punto di vista storico artistico e per Piazzetta essere qui significa mettersi

a confronto con la pittura di Crespi (pittura tenebrosa che avevamo presentato attraverso

due dipinti che appartengono alla serie dei sette sacramenti); nel 1711 si iscrive alla fraglia

dei pittori (associazione dei mestieri che raduna i pittori, considerando che non esiste una

accademia a Venezia fino al 1769 mi pare, a differenza di Roma, con tutto ciò che ne

consegue. L’Accademia di Venezia si inizia a cercare dagli anni ’20 del ‘700 e si impiegano

circa 40 anni per aprirla e questo significa aprire una istituzione pubblica che venga posta

sotto la tutela dello stato, un punto di riferimento per gli artisti. Il secolo delle Accademie è

il ‘700, quando non c’è stato che pensi che un’Accademia non sia necessaria: arti strumento

legato al potere, strumento di cui lo stato si serve per promuovere se stesso, le proprie

scelte e per rappresentare il proprio potere. Tutto questo a Venezia trova molti ostacoli,

con il risultato che in Italia l’Accademia di Venezia è una delle ultime ad essere fondate.);

nel 1722 è presente nella galleria di quadri di una chiesa che si chiama San Stae; dal 1750

direttore della Scuola del Nudo (perché l’Accademia viene aperta dopo, ma viene aperta

una Scuola del Nudo).

Giambattista Piazzetta, Autoritratto (?), cm. 39,4x31,3 Madrid, Museo Thissen Bornemisza

Antonio Molinari (lavora molto per il collezionismo privato e lo capiamo dal formato delle

opere, quadro rettangolare dove le figure sono quasi rappresentati a mezzo busto. Venezia

ha una grande tradizione dal punto di vista collezionistico, ed è qui che ci si rivolgerà per

acquistare opere d’arte dalle collezioni private) era il suo maestro e vediamo 2 dipinti, un

dipinto con il Convitto di Baldassarre e un dipinto con il Testamento di Catone l’Uticense:

storie bibliche e storia romana. Che tipo di pittore è Molinari? Che noi oggi lo
definiremmo barocco, c’è una grande gestualità, un grande movimento, capiamo bene che

è un barocco che trova una sorta di declinazione secondo una impostazione più classica

(nel panneggio non è un panneggio di un Pietro da Cortona, interesse per il corpo di

Catone che è quasi un interesse di accademia al quale corrisponde una libertà di

pennellata nella testa della figura di spalle), è un pittore di mediazione, che mette insieme

l’idea di un cortonismo purificato dall’indirizzo classicista che andrà per la maggiore a

partire dagli anni ’80 grazie alla presenza di un pittore come Carlo Maratti (presenza e

insegnamento di Maratti che è un pittore di fama internazionale e la cui importanza viene

intesa dagli stessi artisti che sanno che a Roma esiste un pittore considerato una sorta di

Raffaello redivivo).

All’inizio del ‘700 Venezia vede una particolare fortuna per quello che riguarda la

costruzione di nuovi edifici religiosi, che diventano delle gallerie di dipinti e San Stael è

una di queste, è una chiesa che viene ristrutturata su progetto di Domenico Rossi nel 1706

grazie ad un lascito testamentario della famiglia del Mocenico e la facciata che vediamo è

del 1706 e il linguaggio architettonico si capisce bene, una sorta di recupero del modello

palladiano ad indirizzo classicista ma la ricchezza scultorea della facciata ci fa capire che si

tiene presente della fortuna della scultura nel corso del ‘600 (sculture a tutto tondo e

bassorilievi in cui c’è un recupero dell’altorilievo all’antica): facciata all’antica. Negli anni

successivi al completamento dei lavori della facciata cominciano ad essere eseguiti i

corredi pittorici che riguarda le pale delle cappelle laterali (vediamo Bambini con una

Madonnna in gloria e santi e dall’altra parte Antonio Balestra con un Sant’Osvaldo in

gloria, artisti che sono stati a Roma nella bottega del Maratti e quindi c’è una scelta precisa

in questa cronologia – Venezia nel primo decennio del ‘700 sposa l’inidrizzo classicista che

fa di Roma un punto di riferimento – apertura del secolo con un schieramento preciso che

non dura moltissimo, poco più di 15 anni). Vediamo due pale celeberrime presenti a

Roma:

- Maratti, Immacolata Concezione, Santa Maria del Popolo, 1675 circa

- Maratti, Madonna con Bambino e santi, Santa Maria in Vallicella, 1675 circa
Linguaggio raffaellesco ma in tutto questo c’è una volontà di recuperare come modello

Raffaello, in alternativa alla fortuna che negli anni ’70 del ‘600 aveva la pittura cortonesca e

la pittura barocca. Stella Rudolf ricorda che Roma è caratterizzata dal fatto che ogni

pontefice fa una scelta di artisti, attorno al pontefice c’è una cerchia di cardinali e di

famiglie aristocratiche che si serve più o meno degli stessi artisti; morto il papa la corte

cambia artisti e capita che possano favorire artisti connazionale (i Rezzonico vanno

incontro al desiderio di sempre di un artista come Piranesi che per una vita si era firmato

come “architetto” e la chiesa dei Cavalieri di Malta sull’Aventino e la piazzetta accanto è

l’unica opera costruita da Piranesi grazie alla committenza di un papa che è un Rezzonico,

che dà spazio ad un artista che viene da Venezia). La fortuna degli artisti è una fortuna

sempre degli stessi artisti, fondamentalmente Bernini e Pietro da Cortona, perché? Perché

la fortuna incredibile di Bernini a Roma nel ‘600, cosa incarna Bernini?perchè

fondamentalmente Bernini interpreta fin dall’inizio l’idea della chiesa trionfante, dopo la

Controriforma c’è bisogno di un artista che celebri la chiesa, che è effettivamente la chiesa

trionfante che ha avuto la meglio sulle critiche mosse dai Protestanti (cos’è San Pietro se

non il trionfo della chiesa). Ma se tutto questo è vero, come è vero, la committenza

comincia a considerare che il linguaggio di pittori come Maratti possa essere adeguata a

recuperare il senso di decoro e di armonia, pittura più moderata; Maratti guarda a

Raffaello (è il grande restauratore di Raffaello, gli viene chiesto di restaurare le stanze

vaticane e la loggia della Farnesina), ma nel quadro della Vallicella vediamo anche il

recupero del ‘600 bolognese: Maratti guarda all’antico, a Raffaello ma anche agli artisti

vicini a lui (spiccato naturalismo, pala che va incontro a tutto il dibattito sull’idea per cui

Bellori ad un certo punto aveva detto che si parte dalla natura per poi idealizzarla) e se

notiamo le teste vediamo una pittura molto simile a Guercino (guardare alla natura,

diventato un pittore che selezionava il meglio dalla natura). Così capiamo che artisti come

Bambini e Balestra risentono del linguaggio di Maratti, anche se è una pittura un po'

debole, si capisce che c’è alle spalle una tradizione classicista (è evidente soprattutto in

Bambini) ma sono artisti che guardano anche a Correggio, che è il tramite per cui si entra

dentro quella “leziosità” che è tipica di certa pittura del ‘700. Nel contesto veneziano la
fortuna di questo tipo di pittura è soprattutto dell’inizio del secolo, poi si riprenderà solo

negli anni ’70 quando personaggi come Zanetti si lamenteranno che la scelta che ha fatto

Venezia ha funzionato bene intorno alla metà del secolo ma che alla fine del secolo non è

stata una scelta che ha favorito la fama dei pittori veneziani e Zanetti si lamenterà del fatto

che i pittori veneziani si sono allontanati troppo dalla realtà (Venezia ha rivendicato un

proprio stile e una volontà di autonomia rispetto a Roma che in quel momento ha

contrastato la scuola di Venezia).

Nella stessa chiesa di San Stael troviamo anche un quadro di Jacopo Amigoni, Santa

Caterina e Sant’Adrea, 1719. Come dicevamo prima la cosa importante di questa chiesa non

sono tanto le pale quanto un’occasione di committenza che finisce per essere una

straordinaria occasione per capire cos’è la pittura a Venezia nel 1722. Cosa succede?

Andrea Stazio commissiona 12 tele con i 12 apostoli, oggi nelle pareti laterali del

presbiterio, 12 tele affidate ognuna ad un artista diverso e che intendono mettere a

confronto le diverse generazioni di artisti che stanno operando in quel momento a

Venezia, scegliendo pittori della “Vecchia scuola” e pittori giovanissimi che portano avanti

un linguaggio diverso. Gregorio Lazzarini (stesso linguaggio di Bambini e Balestra,

impostazione classicista, quadro di ambito marattesco) e tra l’altro in questi stessi anni c’è

una committenza simile per il cantiere di San Giovanni in Laterano a Roma, diretto da

Maratti (chiesa restaurata da Borromini durante il ‘600 ma le nicchie nelle navate erano

rimaste vuote e vengono realizzate statue a ‘700 iniziato sotto il controllo di Maratti, in un

momento in cui gli artisti francesi sono molto considerati nel contesto romano, che poi

perderanno questa considerazione a causa della Guerra di Secessione con l’Austria in cui

la Francia si pone in una posizione scomoda per la Chiesa) e poi vengono commissionate

una serie di tele che sono le tele che stanno sopra la navata a chiudere gli oculi che

Borromini aveva lasciato aperti per lasciare intravedere il muro della basilica costantiniana

(come se fosse una pietra preziosa in un castone). Questa commissione di Stazio va

incontro a quel tipo di cantiere, figure di apostoli (Sebastiano Ricci con San Pietro liberato

dal carcere e Pittoni con Martirio di San Tommaso) e capiamo bene che questi sono quadri

diversi, ci sono già 2 diversi indirizzi: libertà della pennellata filamentosa, con una
costruzione animata (Sebastiano Ricci) e dall’altra parte con Pittoni che sposa la pittura

tenebrosa, rivedere con una maggiore libertà di pennellata la pittura dei tenebrosi

guardando al modello che abbiamo visto per esempio nella pittura di Molinari. Poi ci sono

artisti come Bambini in cui c’è una dichiarazione di adesione al dettato marattesco, poi

Pellegrini che sente la necessità di una pittura più libera, che schiarisce i toni, dove l’idea

della fantasia è già in qualche modo declinata (si tratta di generazioni diverse). Poi c’è

anche un giovane Giovanbattista Tiepolo che aderisce per pochissimo alla pittura dei

tenebrosi ma soprattutto c’è Piazzatta con San Giacomo condotto al martirio che potrebbe

essere benissimo un quadro caravaggesco, artista che si rifà alla pittura di Crespi,

guardiamo cos’è la rappresentazione del corpo nudo del santo con questa

rappresentazione così vicina al reale, potenza della pittura e dell’espressione del santo in

questa capacità che il pittore ha di rappresentare la potenza morale del personaggio

rappresentato e poi c’è il dettaglio nell’angolo (che poi ritroveremo molto nella pittura

veneziana) e cioè la volontà di inventarsi questa prospettiva, pittura portata in primo

piano con protagonisti san Giacomo e un altro personaggio, tutto emerge da uno sfondo

scuro e poi in basso a sx cogliamo il senso spaziale dell’opera.

Nel 1750 il Fonteghetto della farina è sede di una scuola pubblica di Disegno e poi sarà

sede dell’Accademia, abbiamo un disegno di Tiepolo con una seduta di studio

all’accademia del disegno. Vediamo una serie di due nudi accademici dello scultore

francese Edme Bouchardon a Roma dal 1723 al 1732 (accademia di Francia) e del pittore

Domenico Corvi maestro del nudo nella scuola del nudo in Campidoglio (matita e

sanguigna). Studi del nudo di Pompeo Batoni, maestri romani grandissimi disegnatori. Se

andiamo a vedere come Piazzetta disegna il nudo capiamo che siamo su un altro fronte,

intanto nella posa: le pose del modello messo in posa a Roma spesso si rifanno agli ignudi

delle volte di Carracci e di Michelangelo, ma spesso sia che si tratti di una posizione più o

meno diversa si guarda a tutta quella serie di nudi che erano stati dipinti da Michelangelo

nella Sistina o da Carracci nella galleria di Palazzo Farnese e capiamo che quel ricorso di

un modello che è già tradizione in Piazzetta è abbandonato: qui c’è un naturalismo in

questo corpo abbandonato. Quando arrivano a disegnare un modello al naturale, che è


l’ultimo stadio del loro percorso formativo, hanno già la mano e l’occhio addestrato

all’antico, tradizione della copia idealizzata, cosa che non c’è in nessun modo nei disegni

di Piazzetta, dove c’è un aspetto fondamentale, che è la volontà di studiare quegli effetti di

luce e di ombra (nudo maschile di spalle). C’è anche una copia del modello femminile,

cosa molto rara nel ‘700 e che non avveniva nella Accademie pubbliche ma si faceva in

privato (nudo femminile in cui il soggetto è probabilmente la moglie di Piazzetta – così

come è la moglie di Subleyras la protagonista del nudo femminile in Galleria Nazionale di

Palazzo Barberini, un rarissimo olio con questa figura meravigliosa di spalle e questo

studio sensibilissimo alla luce e c’è una cosa che sicuramente ci fa capire che non è una

cosa nell’800 in ambito di attribuzione: i piedi, che un pittore dell’800 non farebbe in

questo modo, qui c’è una sorta di ingentilimento della forma proprio in memoria di quella

grazia che non c’è e non ci sarebbe in un pittore dell’800, necessità di ingentilire la forma e

questa cosa la troviamo solo nel ‘700). Non è il soggetto che cambia le cose tra romani e

veneziani ma una maggiore attenzione nella scuola veneziana per l’idea del calare la

figura in un contesto in cui la luce ha un sua importanza vitale (pensiamo ai disegni di

Tintoretto che è il pittore della luce vediamo che fa la stessa operazione e quando studia il

nudo è sempre un tratto tormentato che restituisce l’idea di un corpo immerso nella luce e

il perimetro della figura non è un perimetro chiuso ma un perimetro mosso.

Veniamo ora a questa incisione del 1728 che è una traduzione di un disegno di Maratti

eseguito intorno al 1680-82 che è una sorta di disegno programmatico che va in coppia col

disegno successivo nella slide. Il disegno porta un titolo “ai giovani studiosi del disegno”

che devono essere degli artisti che conoscono alcune discipline: la matematica e la

geometria quanto basta, l’ottica, l’anatomia, lo studio dell’antico che qui è rappresentato

attraverso le sculture (Apollo Farnese) e poi queste 3 figure “senza di noi ogni figura è

vana” che sono le Grazie e già Maratti indica nella Grazia un elemento fondamentale delle

arti. La successiva “agli amatori delle belle arti” è un’allegoria dell’ignoranza che insidia la

pittura e fa scempio delle arti (cosa rappresenta? È la rappresentazione di Maratti ai

committenti perché richiedano quadri con soggetti importanti, il dichiarare la necessità

della scelta dei soggetti colti.


Piazzetta è forse uno dei più grandi disegnatori che siano mai esistiti e vediamo alcuni

disegni e si tratta di carboncino e gessetto bianco, altri disegni con delle teste a confronto o

quello con due ragazze e un ragazzo con un gioco di seduzione e poi vediamo come questi

disegni sono stati tradotti in incisioni a partire dal 1743 da parte di Giovanni Cattini.

Troviamo in questi disegni quell’amore per il popolo che avevamo visto in Pietro Longhi

(si capisce che non sono semplicemente studi, ma sono disegni che vengono messi sul

mercato, sono una produzione autonoma). Alcuni di questi disegni possono essere stati

utilizzati per realizzare dei piccoli disegni ad olio, probabilmente dovuti al successo che i

disegni avevano avuto. Naturalmente quello studio legato al popolo si presta poi ad essere

utilizzato anche per disegni che diventano qualcosa d’altro, come questa testa superlativa

ritratta dal vero che finisce per essere individuabile come una Santo Stefano (palma del

martirio) oppure come il San Simone con la sega che ricorda il suo martirio.

Entriamo dentro il catalogo dei dipinti di Piazzetta e faremo un excursus dove vedremo

prima le prime opere legate a pale d’altare, la sua pittura ha una produzione di soggetti di

genere, pittura di pale d’altare e una produzione di quadri da collezione. La Madonna col

Bambino è un dipinto che potrebbe essere una piccola pala d’altare ma forse un quadro da

collezione, siamo nel 1715-20 ma già c’è quell’interesse ad una pittura chiaroscurale e

quella dimensione in cui c’è una attenzione al popolo e al quotidiano finisce per avere una

ricaduta sulla sua produzione sacra e badiamo bene che non è un fatto scontato perché nei

pittori che osserveremo c’è una tendenza opposta, la pittura sacra esalta l’aspetto

mondano del soggetto sacro, invece Piazzetta sceglie di tradurre il messaggio religioso in

un quotidiano (un po' come Caravaggio) e lo vediamo nella Madonna che ha un aspetto

un po' popolano e del bambino accanto che è uno di quei ragazzi di strada che abbiamo

visto nei disegni. Questo dipinto è stato fatto probabilmente per una pala con la Madonna

col Bambino e l’Angelo custode. Lo stile dell’artista: scompare qualsiasi riferimento, come

in Caravaggio, agli elementi soprananturali, non ci sono aureole, volontà di recuperare il

senso del quotidiano in dettagli che sono delle vere e proprie nature morte (piatto di

asparagi, fiasco di vino). Stessa datazione circa una Susanna e i Vecchioni, pittura sporca,

con questa pennellata terrosa. Unico affresco che abbiamo di lui è del 1727 con la Gloria di
San Domenico, concorso pubblico per la cappella di San Domenico nella chiesa di San

Giovanni e Paolo, abbiamo un bozzetto del 1723 che presenta al concorso e in cui ci sono

delle differenze: in particolar modo il gruppo di figure in primo piano che fa capire come

l’artista voglia dimostrare la sua capicità nella resa prospettica dal sotto in su. Ecco poi una

delle prime pale d’altare nel 1724 circa dove in una grande pala rappresenta

L’Apparizione della Vergine a San Filippo Neri (volti bruciati dal solo come dovevano

essere i volti dei popolani veneziani che magari lavoravano all’aperto o sul mare, un po'

quello che emoziona quando si guardano le sculture di Donatello in cui è come vedere i

fiorentini dell’epoca che si acconciano in modo da essere identificati come Profeti ma altro

non sono ch efiorentini che Donatello vede per strada – parliamo del campanile di Giotto)

che è messo a confronto con un quadro di Tipolo di due decenni più tardi (colori

squillanti, bellezza idealizzata). Vediamo le due opere successive del 1725 e l’Estasi di San

Francesco del 1729 che è il suo massimo capolavoro nelle pale d’altare, è un quadro che ha

la forza dell’estasi di Santa Teresa di Bernini, angelo che tira su il santo con questo

abbandono ma al tempo stesso capiamo che è una pittura profondamente naturale ma

dove c’entra anche un po' l’artificio se guardiamo i panneggi o la resa della testa (non si

dimentica di essere artefice di una immagine dove dettagli come il panneggio o la ciocca di

capelli mossi dal vento sono degli esercizi di bravura e di tecnica pittorica). Uno dei lavori

che finiscono all’estero è l’Assunzione della Vergine oggi al Louvre in cui vediamo come la

sua pittura si schiarisce, come studiare una gamma cromatica nei diversi toni. Chiesa dei

Gesuati di Venezia in cui troviamo una pala di Sebastiano Ricci, una pala di Piazzetta e poi

un superbo capolavoro di Giovanbattista Tiepolo.

Dopodiche ci sono una serie di quadri di grande fascino in cui trasporta quei disegni in

soggetti di genere, oli e dipinti piuttosto importanti anche nelle misure, come

nell’Indovina dove il tema è un po' la dimensione rococò ma la dimensione del naturale è

ancora importante, Scena pastorale oppure stessa declinazione di soggetto, personaggi ecc.

ma trasportata in scene di argomento biblico (Pellegrini). A Roma troviamo due dipinti di

Piazzetta: Giuditta e Oloferne nell’Accademia di San Luca e una Giuditta in Palazzo

Corsini. Il tema di Giuditta e Oloferne si trova anche in una grande tela che si trova a
Venezia e siamo arrivati al 1748. Raramente troviamo nel catalogo di Piazzetta l’exemplum

virtutis e quando lo troviamo il risultato è spiazzante: morte di Dario in Ca’ Rezzonico in

cui è un tema che lascia sconcertati, corpo di Dario abbandonato con questo cavallo che in

qualche modo è presentato come un corpo morto, quadro quasi inspiegabile ed è un

quadro di 240x480 del 1745 assai difficile da capire come possa averlo eseguito, potrebbe

essere uno di quei dipinti da ‘800, è un dipinto un po' alla Fattori, di quei pittori che nella

seconda metà dell’800 registrano il dramma delle battaglie e delle guerre. Chiudiamo con

un ritratto, anch’esso sorprendente, di un’amica del pittore, una donna pittrice veneziana

che si chiama Giulia Lama di cui sappiamo molto poco, ritratto con una sensualità

sorprendente. Giulia Lama che a sua volta riprende il tema di Giuditta e Oloferne

producendo un capolavoro assoluto con questa idea di questo corpo contorto con una

testa riversa in primo piano con una pennellata velocissima.

24/03/2022

GIOVANNI ANTONIO PELLEGRINI (1675 – 1741) lo avevamo

incontrato in Inghilterra tra quegli artisti che all’inizio del

secolo riscuotono un particolare successo, quando ancora

l’Inghilterra non ha bene identificato Roma come unico punto

di riferimento per il discorso sulle arti che è prima di tutto un

discorso politico – quando mette a fuoco la necessità di un’arte

nazionale, Venezia può essere la città di riferimento per la

chiamata di artisti. Sottolineare l’internazionalità dei pittori inglesi, che sono adatti a

coniugare il loro linguaggio con lo spirito e il gusto rococò che muove dall’inizio del ‘700

dalla Francia. Se dovessimo spostare lo sguardo sul ‘700 veneziano ci interrogheremmo su

uno studio approfondito instaurando un confronto su quanto accade in Francia (Rosalba

Carriera aveva legami in Francia ed era apprezzata lì). Anche Pellegrini verrà ammesso nel

1730 all’Accademie Royale di Parigi, c’è una autonomia della pittura veneziana dalla

pittura francese? Se è vero come è vero che a Venezia si frequenta il mito e la storia,

nell’arte francese dello stesso periodo quel tema della seduzione e dell’arte erotica è un

tema che da un certo punto di vista è l’elemento che caratterizza il rococò dei primi
decenni del ‘700 e già qui c’è una prima differenza. Quello che mette in rapporto Venezia

con il rococò è il gusto, lo stile, e in particolar modo non c’è artista che + di Pellegrini

elabora uno stile veloce, dove la pennellata è molto fluida, è una scelta di colori brillanti, è

una pittura libera, soprattutto libera dai precetti accademici (coltivati in Italia, dove si

voleva che il disegno fosse alla base di ogni progetto artistico). L’interesse della Francia è

quello di istituire uno stile nazionale che possa fare scuola e non è un caso che i Veneziani

cerchino e ottengano l’iscrizione all’accademia parigina, perché era importante in quel

momento entrare in quell’accademia e non è un caso che quasi nessuno o nessuno dei

pittori veneziani entra nell’Accademia di San Luca.

Riprendiamo il discorso si Pellegrini dal suo autoritratto (foto) conservato alla National

Gallery di Londra per ricordare l’importanza di questo pittore in Inghilterra che è ancora

alla ricerca di uno stile nazionale. Ad un certo punto l’esigenza di uno stile nazionale

spazzerà via tutti questi artisti che avevano rivestito un ruolo importante, perché

l’Inghilterra cerca un proprio linguaggio e cerca di tenere a distanza la tradizione italiana

che per molto tempo era stato un punto di riferimento. L’idea dell’autoritratto è di un

aristocratico, gli strumenti del mestiere sono messi in ombra così che ci si possa

concentrare sull’aspetto mondano dell’artista più che su quello professionale e qui si

potrebbe stabilire un confronto su quanto accade a Roma 20 o 30 anni dopo quando

l’artista celebra non il suo aspetto mondano ma l’aspetto professionale che qualifica

l’artista come intellettuale e uno degli elementi cardini è l’idea di segnalare la qualità di

una prassi che è quella del disegno (Mengs in un ritratto mangifico si rappresenterà con la

cartella dei disegni, Corvi fa delle dichiarazioni di scuola con accanto testi che possono

essere di prospettiva, di anatomia, storici).

Soggiorni all’estero: viaggi in Europa attestati tra il 1696 e il 1695, Londra post 1709,

Dusseldorf 1713, Anversa 1716, Aja 1718, Parigi 1719, Dresda 1725, Vienna 1725 e 1730,

Mannheim 1736.

Libertà di interpretazione della pittura, libertà dello stile che nell’ottica del pittore

identifica la scuola veneziana per una sua specifica identita. Peraltro cosciente il pittore di
muoversi in un contesto dove la scuola veneziana negli stessi anni guarda a Roma e

intende uniformarsi al linguaggio marattesco. Pellegrini ha tutta un’altra idea, necessità di

una autonomia che va ricercata in quella straordinaria capacità che i veneziani hanno

sempre avuto nell’utilizzo del colore. Sembra una scelta programmatica la sua. Biblioteca

antoniana di Padova dove opera nel 1702 con Ferdinando Fochi che è l’autore delle

quadrature (si servono sempre di quadraturisti, è un’altra peculiarità dei frescanti

veneziani), che non sempre si adeguano alla libertà del pittore figurista, quella struttura

con la finta architettura risponde ad una tradizione ancora seicentesca che potremmo

definire un po' barocca ad inquadrare al centro della volta quella libertà e quel colore che

si schiarisce e una libertà nell’impaginazione della scena con le nuvole che creano un senso

di movimento e di leggerezza della rappresentazione, dove le figure (a differenza della

tradizione dell’affresco romano dove c’è una pittura che sente molto l’aspetto didascalico

della comunicazione, è importante che chi osserva veda chiarezza didascalica della

rappresentazione – pensiamo a Maratti a Palazzo Altieri) sembrano essere un elemento

secondario rispetto alla capacità del pittore di creare il vortice e di creare in maniera

fantasiosa gli elementi che diventano in qualche modo una regia della visione, dove la

Vergine diventa un punto quasi in questa leggiadra rappresentazione.

Ma un ciclo che si ricorda di

Pellegrini è nel Salone della

Foresteria nella Villa Alessandri a

Mira (1704 circa) dove assistiamo

ad un impaginato compositivo

assolutamente nuovo, sia nella

concezione generale della

rappresentazione (libertà nel

costruire l’impaginato dei soggetti scelti – il modello che aveva fatto scuola nella

decorazione della villa fuoriporta nel Veneto risaliva al Veronese, soprattutto nella Villa

Barbaro a Maser che è assolutamente diverso da quello che propone Pellegrini) e una

leggerezza che è anche un improvviso schiarirsi dei colori, sono colori pastello (una delle
pittrici più amate di questi primi decenni del ‘700 a Venezia è Rosalba Carriera che è la

maestra dell’utilizzo del pastello in Europa), cambio di passo. Cosa viene rappresentato?

In questo salone, che è il cosiddetto portego ovvero il salone principale, tornano le

Metamorfosi di Ovidio (2 – 8 d.C.) e torna quindi la fama di un testo fondamentale in cui è

raccolta la tradizione mitologica greca attraverso una narrazione unica che parte dal caos

primordiale fino ad arrivare ai tempi di Ovidio, per celebrare Augusto ed è un testo con

una concatenazione di episodi che ha come cardine della narrazione l’idea della

TRASFORMAZIONE (all’inizio delle Metamorfosi Ovidio dice che canta la trasformazione

in corpi nuovi, che risponde all’ottica del mito greco di trovare nella natura quel rapporto

stretto con la storia dell’uomo, si ritrova l’anima della natura ritrovando negli elementi

naturali il rapporto fra l’uomo e la divinità e quindi questo senso panico tipico della

Grecia). Vediamo alcuni soggetti: Apollo e Dafne, Venere e Adone è forse una delle

realizzazioni più straordinarie intanto nell’impaginato (a prescindere dai colori che sono

una dichiarazione di stile) con Venere che è una donna “smaterializzata”, la leggerezza del

panneggio crea un senso di smaterializzazione del corpo (tutto il contrario di ciò che

avviene a Roma in cui il corpo è proprio l’elemento su cui lavora il pittore).

Vediamo lo stesso tema realizzato da Sebastiano Ricci nel 1714 in

Chiswick House, già Burlington House, grazie a cui possiamo

capire la profonda differenza tra lo stile dei due. Stile dove l’aspetto

disegnativo non viene mai meno e questo lo rende profondamente

differente da Pellegrini di cui osserviamo i colori, lo scomparire

della forma, la languidità della forma e del colore che è un altro

elemento tipico del rococò. L’affresco di Ricci è uno studio di nudo,

la grazie della Venere è considerabile settecentesca ma una grazia

tutta correggesca, è quindi il risultato del suo apprendistato a

Parma, che è il luogo fondamentale di formazione dell’artista. Anche Pellegrini è stato a

Roma, ma qui entra in contatto con Luca Giordano quindi un pittore della tradizione

barocca e non si lascia sedurre dalla pittura di Maratti. L’affresco di Pellegrini è un

capolavoro dal punto di vista compositivo, perché questo giovane abbandonato nel punto
della morte con la testa riversa. [Tiepolo ad un certo punto userà composizioni inedite,

romperà l’immagine lasciando a chi osserva il compito di ricomporre l’unità delle

immagini (soprattutto nei soffitti affrescati)]. Ricomposizione dell’unità dell’immagine,

drappo che disorienta in Pellegrini, cosa che non c’è assolutamente in Sebastiano Ricci

dove la figura di Venere crea una sorta di Z che è un tema tipico e caro alla pittura

manierista. Se dovessimo definire con una parola chiave Sebastiano Ricci useremmo il

termine NEOMANIERISMO.

Endimione di Pellegrini: il bellissimo giovane che cadde in un

sonno eterno, simbolo della perpetua bellezza (tema del bello

e dell’amore sfortunato che in un certo qual modo si lega

bene al melodramma), sonno eterno che gli preserva l’eterna

bellezza.

Pan e Siringa: differenza tra le due figure, lei con i capelli

scompigliati nella fuga (c’è qualcosa che ci fa pensare

all’Apollo e Dafne di Bernini) e c’è il canneto che Siringa

attraversa e dietro Pan che la insegue. Per sfuggire alle

brame del Dio la fanciulla pregò di essere trasfermata, così

Pan si trovò a stringere delle canne e il suono di queste

canne con il vento gli piacque così tanto che ne tagliò alcune

e ci fece il famoso flauto, che porta il suo nome (ci ricorda il

tema di Dafne che sfugge da Apollo). Le protagoniste sono le canne che si muovono al

vento – rappresentare la natura.


Il Ratto di Deianira: raffigurazioni frontali nella parete ma sceglie l’idea del sotto in su

proprio per animare la scena e dargli un senso di movimento straordinario. La resa degli

incarnati, incarnato perlaceo per Deianira e per il personaggio che cerca di rapirla, Nesso,

un incarnato bruno. [C’è un altro quadro con lo stesso tema, che è di Guido Reni, eseguito

intorno al 1620 e oggi al Louvre in cui vediamo il senso di una pittura classica in cui tutto è

risolto in primo piano, studio di nudo quasi accademico]. Ercole e Deianira giunsero ad un

fiume in cui si doveva farsi trasportare il centauro Nesso che cercò di far violenza alla

donna e Ercole gli scaglia una freccia e lo uccide (nell’affresco di Pellegrini non vediamo

Ercole che scaglia la freccia, come se l’interesse del pittore fosse quello di rappresentare il

movimento, il senso della natura – non dimentichiamoci che siamo in una villa di

campagna). In una rappresentazione come questa c’è esattamente la natura.

Accanto alla galleria troviamo la Stanza di Cleopatra,

affrescata sempre da Pellegrini in Villa Alessandri:

torna la storia. Cambia l’atmosfera a partire

dall’impaginato architettonico, più vicino al Veronese e

cambia la rappresentazione che diventa più classica e

potremmo dire che qui Pellegrini adatta il soggetto

(forse richiesta del committente) alla necessità di una

retorica e di una espressione più controllata e più

tradizionale, si perde la libertà e la leggerezza della stanza precedente per entrare in una

dimensione più canonica e controllata. La qualità degli affreschi non è la stessa,

dimostrando come Pellegrini si senta a suo agio quando gli si chiede di rappresentare con

libertà e di reinvenzione delle immagini, quando deve entrare in canoni e modelli

figurativi perde di forza. Questo tema della storia e del mito negli stessi anni diventano i

suoi filoni di produzione: la storia romana con Muzio Scevola con un dipinto che si data

più o meno agli anni di Villa Alessandri e di nuovo le Metamorfosi di Ovidio con un

soggetto particolare e non molto frequente che è quello di Sarmace e dell’Ermafrodito –

mito stranamente dove ci si scambia le parti, il tema dell’amore non corrisposto è

frequente nelle Metamorfosi e a soccombere è quasi sempre il genere femminile che ottiene
la metamorfosi per sottrarsi ad uno stupro, qui invece Ovidio sceglie un soggetto in cui si

invertono le parti: Ermafrodito è un ragazzino che cerca di sottrarsi alle mira di Sarmace e

subisce questa metamorfosi per cui in questo abbraccio della ninfa i due corpi si fondono.

Pellegrini, Betzabea, 1708-09, i suoi personaggi sembrano sempre degli adolescenti, dei

giovani che godono della bellezza di questi corpi perfetti. Chi era Betzabea? Non c’è nulla

del tema religioso di cui in realtà farebbe parte questa figura, Pellegrini usa il tema per

rappresentare una scena di seduzione (pensiamo ad esempio alla figura di Lucrezia), una

scena nuda e qui sullo sfondo c’è Davide che osserva ma tutto diventa una scena di grande

seduzione anche con l’aggiunta del moro che l’assiste e la fanciulla che le presenta lo

specchio e lei osserva acconciadosi le chiome. Lo stesso soggetto 15 anni dopo da parte di

Sebastiano Ricci in cui vediamo come il tono sia profondamente differente, l’impianto

compositivo architettonico è una dichiarazione di adesione alla pittura di Veronese, idea di

una narrazione portata in primo piano e dove al centro della rappresentazione c’è il corpo

nudo di Betzabea che è una sorta di statua (manca il vezzo

dell’immagine di Pellegrini) e c’è il racconto delle ancelle

(chi la pettina, chi porta i profumi, chi le porta lo specchio)

e c’è l’allungamento delle figure tipiche del suo stile. Nel

dipinto di Ricci con il Trionfo di Venere, 1713 circa, c’è una

sorta di tributo alla Galatea di Raffaello (vediamo la figura

di spalle).

Ancora un soggetto storico di Pellegrini, Cesare di fronte

alla testa mozzata di Pompeo, 1720 circa, capacità di rompere la linea e trasformare

l’immagine dalla pennellata fluida e mossa anche quando si tratta di raccontare con un

senso di maggiore retorica un tema così drammatico.

Ancora due opere, due allegorie di Pellegrini,

l’Allegoria della Pittura e l’allegoria della Scultura, che

si trovano a Venezia, vediamo il modo in cui il soggetto

è trattato, vediamo le pieghe del panneggio.


Qualche anno dopo troviamo un Pompeo Batoni

impegnato in un quadro negli anni ’40 del ‘700 con

l’Allegoria delle Arti (tema simile a quello che abbiamo

appena visto ma espresso in una maniera molto più

articolata, una dichiarazione di adesione al contesto

artistico romano. La scultura è rappresentata in primo

piano mentre dà la mano alla pittura che sta raffigurando

Mercurio, dietro l’Architettura e già nella gerarchia

capiamo che c’è una dichiarazione: pittura e scultura come

discipline privilegiate. Quello che è importante è la figura che si rivolge alla Pittura, che è

la Poesia con due testi appoggiati (uno è Omero) e quello che è importante è il

collegamento tra la Poesia e le Arti per dichiarare l’aspetto filosofico della professione e

peraltro insieme al Disegno, alla letteratura a supporto, c’è la Musica, altra componente

essenziale nel contesto romano di quell’idea di artista colto (il teatro in questo momento è

fondamentalmente un teatro musicale).

A proposito di questo rinnovamento dei partiti

decorativi nella decorazione delle ville di campagna un

altro del più incredibile soluzioni che rompono con una

forza incredibile la tradizione: in questo caso non è

pellegrini ma Giovanbattista Tiepolo che si trova ad

operare con un quadrettista che è Girolamo Mengozzi

Colonna. Villa che si trova a Massanzago, Villa Baglioni

che appartenevano alla nobiltà di cambia, erano

commercianti molto ricchi (libraio che si era allignato al

patriziato sposando una fanciulla nobile). Geniale


partitura architettonica di Mengozzi Colonna, in alto l’Aurora e sulle pareti Fetonte,

divinità greca, figlio del dio Sole, tanto temerario di voler guidare il carro del padre. Qui il

tema non è scelto a caso, è una dichiarazione di modestia, in pratica il proprietario di casa

dice che non intende assimilarsi al patriziato (Aurora simbolo dell’alba di un nuovo

periodo importante per la famiglia Baglioni, dato dal matrimonio). Vediamo in alto

l’Aurora e poi Fetonte che chiede ad Apollo di guidare il Carro del Sole, di fronte alle 4

stagioni. Soluzioni delle ore che stanno per imbrigliare i capelli (?) al carro ed hanno delle

ali di libellula. L’Aurora con novità nell’impaginato, fanciulla dalle carni eburnee che

emana una luce chiara, del mattino, ci sono le due figure sotto che dovrebbero essere Eolo

con un vaso con l’acqua che rappresenta la rugiada del mattino e la figura del Tempo

nell’angolo a rappresentare il trascorrere del tempo attraverso il sorgere dell’Aurora ogni

mattina.

Per capire come siamo in una soluzione figurativa nuova e inedita, forse l’Aurora più

celebre è quella di Guido Reni del Casino Borghese in cui vediamo il Carro del Sole

trascinato dai cavalli, le ore intorno.

Ancora una volta un confronto con Sebastiano Ricci: La caduta di Fetonte, in origine sul

soffitto di Palazzo Fulcis , capolavoro di prospettiva, Giove che distrugge il carro,

capolavoro di arte barocca, è un soffitto che tranquillamente potrebbe esser stato realizzato

a metà del ‘600, l’illusionismo, il colore, tutto celebra la capacità e l’artificio, la meraviglia

dell’arte barocca, fatta eccezione forse per il corpo di Fetonte che ci denuncia l’interesse

per il corpo, finendo per essere un vero e proprio studio di nudo accademico (pluralità

degli interessi di Ricci).

Vediamo ancora un confronto tra Ricci e Pellegrini, un Ricci per una pala d’altare con la

Madonna con Bambino e un Pellegrini con un Martirio di Santa Caterina per la Basilica del

Santo a Padova. Ricci ricorda alcune soluzioni compositive di Veronese anche nelle scelte

cromatiche (rossi e azzurri accesi) e c’è anche nella composizione un volersi collocare in

una tradizione, la tradizione della pala d’altare cinquecentesca, da Tiziano a Veronese.

Tutto questo scompare in Pellegrini, si rompe l’unità spaziale della pala d’altare
tradizionale per una libertà che è reinvenzione di un linguaggio comunicativo in cui

Pellegrini si mette come capo fila di una necessità di reinventare l’arte veneziana, di

connotare la scuola di principi stilistici, figurativi e compositivi differenti e l’unico pittore

che accetterà questa sfida e la porterà avanti sarà proprio Tiepolo.

29/03/2022

Difficoltà di riuscire a stabilire un discorso chiaro tra pittori rococò e pittori del periodo, si

trova in linea con soluzioni stilistiche degli anni ’20 della Francia. Abbiamo anche detto

che rococò in che senso, qual è il portato della pittura veneziana a questo stile?

Generalmente i pittori vennero definiti rococò ma se guardiamo il fenomeno del rococò

capiamo che ci sono delle date con cui fare anche i conti.

Rococò si dice trivialmente di generi ornamentali, di stile e disegno, che appartengono alla

scuola di Luigi XV e dell’inizio di quello di Luigi XVI… si dice di tutto ciò che è vecchio e

fuori moda (complemento al dizionario dell’Accademia francese, Parigi, 1842). Termine

formato con riferimento alla parola rocaille, che disegna in origine un gusto ornamentale

legato alla decorazione di grotte e decorazioni da giardino. Uso dei termini “genre

pittoresque” e “gout nouveaut” in alternanza al “grand gout” (gusto nuovo che si

contrappone al gran gusto, che è quello che fa riferimento allo stile classicista e ora

capiremo come nel ‘700 anche in quelle aree dove si fa strada il gout nouveau troviamo un

interesse al classicismo e a quella che può essere una scelta di stile, diversa da questo

genere alla moda che si diffonde nella prima metà del ‘700 in alcune aree). Meissonnier

pubblica il libro di ornamenti negli anni ’40 del ‘700 che è stato molto importante nella

diffusione di questo gusto. C’è da dire che il rococò fondamentalmente è uno stile

importante per l’Europa perché progetta un nuovo modo di abitare, è la prima volta nel

corso dei secoli a partire dal ‘400 che si mette in discussione la planimetria di un

appartamento gentilizio dove la monumentalità è l’elemento che guida la progettazione

architettonica, nel ‘700 si cerca invece una dimensione molto più domestica e privata, dove

il tema della rappresentanza (tipico del Barocco) viene messo in disparte. Con la

progettazione rococò intanto le stanze diventano più piccole (vediamo l’Hotel de Soubise
di Parigi progettato da Boffrand intorno al 1735 e sotto una consolle di Meissonnier –

ambiente molto più piccolo, altezza ribassata, cupola, ambiente dove lo spazio raccolto

viene ampliato dalla presenza degli specchi, elemento fondamentale dell’appartamento

rococò, e aspetto della decorazione pittorica, realizzata da Bouchet, in cui la pittura è

relegata in piccoli quadri mistilinei che stanno al di sotto della volta, per il resto l’elemento

ornamentale sono i tralci floreali decorati. Salone esemplare di quello che si intende per

ambiente di gusto rococò. Se ci spostiamo a Monaco di Baviera nel castello di

Nymphenburg 1734-39 in un casino di caccia, che viene ricordato come Amalienburg dal

nome del committente, e la decorazione è la stessa, non ci sono dipinti di soggetto storico o

mitologico, ma un partito decorativo che è quello a tralci floreali che abbiamo visto anche a

Parigi e la presenza abbondante di specchi). Se c’è un’area italiana che è partecipe di

questo gusto è il regno sabaudo con le residenze torinesi, Palazzo Reale di Torino 1730-40,

gusto simile a quello che abbiamo visto anche se una ricchezza di oro e nella volta di

decorazione pittorica non consueta in altri contesti, fa i conti con la tradizione barocca; gli

arredi lignei sono di Luigi Prinotto e Pietro Piffetti: grande spazio alle arti minori o arti

suntuarie dato dal rococò. Il rococò ad un certo punto incontra il gusto per l’Oriente, le

ceramiche sono importate dalla Cina e sono portatrici di motivi decorativi realizzati come

motivi. Genova, Villa della Rovere, metà del ‘700, questo gusto riguarda anche il giardino,

rapporto con la natura, film che raccontano il ‘700 pensiamo a quante scene vengono

rappresentate nella passeggiata nella natura. Immagini di Tiepolo che hanno per soggetto

la passeggiata all’aperto. Non c’è altro secolo come il ‘700 che ami la pittura di paesaggio

che passa per l’esperienza e con il contesto soprattutto romano. Quello che vediamo

accanto è l’appartamento settecentesco, anni ’60, del palazzo Doria Pamphilij dove

all’interno dell’appartamento seicentesco viene realizzato un piccolo appartamento di

gusto rococò (specchi, ambienti ridotti, decorazione della volta) e dobbiamo tener conto

che Roma non è particolarmente recettiva per quel che riguarda il rococò e gli unici

ambienti sono legati a quest’appartamento e all’appartamento Barberini realizzato per il

matrimonio di Costanza Barberini, realizzato nel mezzanino. Salottino in porcellana di

Maria Amalia di Sassonia, 1750-59, Capodimonte, già Reggia di Portici, decorazione che va
ad incontrare il gusto per l’oriente in questa sorte di piccoli altorilievi che traducono in

porcellana scene di gusto orientaleggiante, la committente si porta a Napoli quel gusto che

da vent’anni era diventato il gusto della Baviera e dei paesi transalpini. Interessante

vedere come anche le manifatture aggiornino la loro produzione (Reale Fabbrica di

Capodimonte, porcellane, Napoli, Villa Pignatelli – la fabbrica di Capodimonte alterna una

produzione come questa ad una produzione di porcellane all’antica che fanno capire la

compresenza di questi due gusti che è un fattore evidente). Anche quando si tratta di

riprendere scene dal mito capiamo che si lavora ad unificare i due gusti, si lavora

nell’ottica di recuperare una dimensione ed un gusto in cui rococò e gusto orientato alla

classicità dialoghino insieme). Il dipinto di Fragonard, l’altalena, 1767: Fragonard è il

grande rappresentante di questa pittura con idea di natura rigogliosa, una sorta di nuova

arcadia dove non c’è spazio per il tema mitologico o il tema arcadico ma c’è una scena di

seduzione, rispecchiamento probabilmente di costumi e pratiche contemporanee: fanciulla

sull’altalena e con il suo fidanzato che le osserva le gambe scoperte dal vento in questo

ondeggiare al di sopra dell’altalena. Stile vaporoso, in cui le caratteristiche che abbiamo

sempre ricordato della pittura, della prospettiva e dello studio dell’anatomia vengono

completamente abbandonati per ricreare un senso di una pittura dove c’è una sorta di

vertigine, come se partecipassimo anche noi spettatori a questa scena di seduzione e

quindi come se fossimo accolti in questo giardino. Tuttavia, già nel 1747 La Font de Saint-

Yenne nel trattato sulla pittura contemporanea francese muove qualche perplessità sullo

stile rococò, che caratterizza la Francia, stile che nasce e che viene diffuso da Parigi,

identità che per la prima volta diventa uno stile esportabile fuori dalla Francia e in grado

di dettare un gusto internazionale. Nel 1747 Roma aveva già fatto un bel percorso e aveva

decretato già l’importanza di un’arte che fosse di impegno etico e morale, guardare

all’antico non era solo un discorso di stile e di gusto, ma guardare ad un’epoca che potesse

essere un modello e uno specchio per la contemporaneità e non è un caso che in questo

testo che abbiamo appena citato il genere più importante è quello di storia, se l’arte deve

essere modello è la storia che deve essere recuperata e non è quello stile disimpegnato,

quello stile di seduzione che comincia ad essere condannato dalla Francia stessa a
cominciare d aDenis Diderot che non perderà occasione per condannare l’arte rococò e per

rafforzare la carriera di quegli artisti che cercano di svincolarsi dallo stile rococò. Anche a

livello pubblico qualcosa stava cambiando a partire dal marchese di Marigny, che aveva

viaggiato in Italia tra il 1740 e il 1741, viaggio sostenuto da Madame de Pompadour (che

vediamo in un dipinto di Boucher che è il trionfo del rococò) con l’idea che fosse arrivato il

momento di cambiare indirizzo e questo comincerà a sentirsi come impegno anche da

parte delle autorità governative quando Marigny diventa direttore generale degli edifici,

arti, accademie e manifatture reali. Come si esce? Il primo che fa un tentativo è Vien, che

nel 1763 proprio al Salon del ’63 presenta il dipinto “La mercante di amorini” che è una

traduzione in pittura di una incisione che traduce un affresco ritrovato a Stabiae nella Villa

Arianna e edito nel terzo volume delle Pitture Antiche di Ercolano del 1762 (che

diffondono la conoscenza dell’antico e il risultato degli scavi come mai era successo in

precedenza, scavi che vennero subito visti dal resto dell’Europa come una occasione

irripetibile di conoscere l’antico). Il dipinto di Vien se vogliamo è un soggetto ancora non

particolarmente impegnato (signora con gli amorini nel cesto di tono leggero), ma negli

elementi di arredo, nell’architettura c’è una dichiarazione di adesione al mondo antico e

anche una differenza di stile rispetto ad esempio a Fragonard dove vedevamo la libertà

della pennellata e la rinuncia completa al disegno. Stile classicista e che Roma ha elaborato

nel 1763 ormai da 70 anni grazie alla fortuna di Maratti e Bellori e delle loro scuole. Non va

dimenticato che Vien aveva soggiornato a Roma dal 1744 al 1750 e in cui tornerà quando

diventerà direttore dell’Accademia di Francia a Roma tra il 1775 e il 1781accogliendo

David che alla fine del secolo sarà colui che porterà avanti la grandezza dell’antico e la

grandezza di uno stile improntato all’antico. Se c’è un ciclo che decreta un cambio di passo

anche in Francia è quello commissionato da Luigi XV per il castello di Choysy dove una

serie di pittori vengono chiamati ad esercitarsi su temi di storia romana e che vengono

utilizzati per celebrare le virtù del sovrano, ed ecco la storia come maestra di vita ed una

scelta politica che sceglie di rispecchiarsi nell’antico (capiamo che non corrisponde alla

realtà dei fatti, è un motivo di propaganda). Tra questi pittori c’è anche Vien che però in

questo genere non si esprime al meglio, a questo punto è evidente che quando si parla di
questi dipinti un modello indiscutibile è quello delle stanze di Raffaello. David dirà che le

arti devono aiutarci a far avanzare il progresso dello spirito umano, devono contribuire

all’istruzione pubblica ed è necessario quindi che l’artista sia filosofo, grande conoscenza

della natura: il compito delle arti è l’educazione del popolo e le arti sono fondamentali in

questo perché la comunicazione per immagini arriva diretta al cuore e al cervello di un

popolo che non ha strumenti per alfabetizzarsi. È a Roma nel 1784 che David elaborerà il

quadro Il Giuramento degli Orazi, oggi al Louvre, in cui rappresenta un tema nuovo,

quello del padre gli Orazi che consegna le spade ai figli prima del combattimento con i

Curiazi; dipinto eseguito nel 1784 ma sarà destinato a fare scuola alla generazione di

giovani artisti che si legherà alla rivoluzione francese e che sceglierà di essere pittore-

filosofo.

Quello che vediamo è una delle ville venete più famose del ‘700, Villa Pisana a Stra, su

commissione del doge Alvise Pisani e affidata a Francesco Maria Preti. I Pisani sono una

famiglia di antico lignaggio e si fanno costruire una villa sulla linea di Versailles e della

Reggia di Caserta, la villa verrà poi venduta a Napoleone. Lo stile è uno stile palladiano in

qualche modo, recupera nel prospetto principale tutti gli elementi del discorso

architettonico palladiano ma è anche il risultato della riflessione che il ‘700 fa sulle

costruzioni vitruviane (le parti angolari ripetono l’idea del timpano, ordine gigante delle

colonne). Ma se entriamo dentro, il Salone da ballo si presenta decorato tra il 1760 e il 1762

da Gianbattista e Giandomenico (magnifici affreschi monocromi che hanno uno sfondo a

foglia d’oro che impreziosisce la decorazione) Tiepolo. La volta affrescata con il gusto

leggero, arioso e vaporoso, dove il soggetto è quello dell’apoteosi della famiglia Pisani, i

cui membri sono rappresentati in una vasta allegoria dove compaiono anche le figure

allegoriche dell’Africa e delle Americhe che tornano in Tiepolo quando si vuole

proclamare l’importanza di una famiglia. Quando Pietro da Cortona decorerà la galleria

del palazzo Pamphilij qual è il soggetto che verrà utilizzato? La storia di Enea perché i

Pamphilij rivendicano un’origine antichissima che li porta ad avere rapporti parentali con

Enea, colui che secondo la tradizione fonda Roma. Questo ci fa capire come il senso della

storia cambia, a Stra non c’è un eroe romano, qui si celebra la potenza economica di una
famiglia, nata dai commerci. Nella stessa villa uno dei primissimi pittori chiamati ad

intervenire è Iacopo Amigoni con il Giudizio di Paride che celebra l’attività mecenatizia

nei confronti delle arti e in cui il mito diventa un’occasione per ricordare l’importanza che

queste famiglie hanno nella diffusione del gusto del bello. A lungo si è creduto che

Amigono fosse nato a Napoli, ma ora si sa che nasce a Venezia nel 1682 e muore a Madrid

nel 1752; 1711 iscritto alla fraglia dei pittori veneziani; in Baviera tra il 1719 e il 1728 dove

opera a Nymphenburg, nell’Abbazia di Ottobeuren e nel castello di Schleissheim; in

Inghilterra tra il 1729 e il 1739; c’è un passaggio per Parigi e torna poi a Venezia dal 1739 al

1747; a Madrid dal 1747 al 1752. Se Pellegrini aveva avuto una notevole fortuna a Parigi,

non succede la stessa cosa per Amigoni. Vediamo alcune delle opere che lascia nel suo

percorso: castello di Schleissheim con opere ch eriguardano il salone di rappresentanza e

gli appartamenti su commissione del principe elettore Max Emanuel, con un tema storico,

in cui torna la Storia, storie di Enea e Turno (1721-23) in cui ritroviamo la leggerezza,

l’apertura e lo schiarimento delle tinte, il portare la narrazione della decorazione lungo i

perimetri del soffitto per lasciare spazio ai cieli che si aprono, a questo senso di vertigine. Il

dipinto si tratta di mescolare la storia con il mito che è un’altra caratteristica di questa

pittura di inizio secolo, idea di filologia dell’antico che è qui assente, come rimarrà assente

nei quadri di storia romana di Tiepolo e che invece aveva costituito la fortuna della pittura

a Roma dello stesso periodo. Pittura portata avanti senza nessun tipo di preoccupazione di

filologia fino a quando saranno gli stessi veneziani, Zanetti soprattutto, a lamentarsi di

questa libertà, che decreterà la sfortuna dei pittori che interpretano la storia in questo

modo. Episodio di Enea ricevuto da Didone, dove Didone con il suo amore sventurato è

un tema che rientra nelle corde di Amigoni. Abbiamo detto dell’abbazia di Ottobeuren, in

un contesto sacro, dove troviamo l’allegoria della Giustizia, dell’Umiltà e il tema

veterotestamentario della cacciata di Adamo ed Eva: lo stile però non cambia, tutto torna a

celebrare la freschezza della pittura che è tipica dello stile di Amigoni. Flora e Zefiro e

Venere e Adone sono esemplari di cos’è Amigoni e la sua pittura: non c’è una grande

distanza da Boucher, tema della grazia e della seduzione, miniaturizzazione dei

personaggi, ecc. Sempre della stagione inglese come i precedenti, il quadro Enea davanti a
Didone appartenente al National Trust, torna un tema storico con una necessità di

filologia. Amigoni come Pellegrini è uno di quei pittori che va in Inghilterra quando i

committenti inglesi wig (coloro che hanno istituito la monarchia parlamentare e che si

sono presi davanti ai cittadini l’impegno di un governo maggiormente democratico, dopo

la cacciata degli Stuart a Roma, nel tentativo di istaurare il cristianesimo come religione di

stato e non il protestantesimo) capiscono che è necessario dipingere soggetti che si rifanno

ad un’etica morale che l’Inghilterra vuole portare avanti, ma quando ci si rivolge a pittori

come loro il risultato non è ottimale. Il ritratto di Pietro il Grande di Amigoni è uno dei

primi attestati dell’apertura della Russia verso la cultura artistica europea, sono gli anni

1732-34; la Russia fino a Pietro il grande è una nazione chiusa su sé stessa e segue una

tradizione artistica che si rifà al medioevo, invece Pietro il grande ricerca uno sguardo

verso l’Europa, cerca di far migrare il gusto di tipo occidentale, sono gli anni in cui si

cominciano ad acquistare le prime sculture antiche. È importate che si scelga Amigoni per

questo ritratto, in cui Pietro il Grande è accompagnato da Minerva che tiene in mano una

lancia, poi ci sono tamburi, cannoni, vascelli militari ed è la celebrazione della forza

militare della Russia. Nel ritorno dall’Inghilterra, Amigoni torna accompagnato da

Farinelli, il più famoso castrato dell’epoca, che lo accompagnerà anche a Madrid dove

soggiornerà presso la corte spagnola e lo ritrae in un ritratto allegorico, con la Musica che

lo incorona. Soggetto che ritroviamo anche in altri ritratti eseguiti in Spagna, ed un ritratto

di gruppo in particolare dove è presente lo stesso Amigoni insieme a Farinelli, Metastasio

e la cantante Teresa Castellini, gruppo di italiani che si trasferisce a Madrid che fa migrare

tutto quello nel quale l’Italia si identifica nel ‘700 (il Bel Canto era un tema fondamentale,

una cosa tipicamente italiana e nella pratica del Grand Tour spesso si faceva coincidere il

viaggio con dei concerti pubblici tenuti da Farinelli, e Bologna era una tappa fondamentale

perché si poteva trovare questo cantante, che era il più grande cantante dell’epoca).

Vediamo Amigoni nel Ritratto dell’Infanta di Spagna, 1750 circa; altro ritratto madrileno è un

soggetto sacro, Il Volto Santo, che ci fa capire cos’è il gusto che il pittore porta con sé, è un

quadro interessante e di qualità in cui possiamo capire che è come se si recuperasse la

tradizione, in quel volto santo c’è la spagna, c’è quella cultura spagnola profondamente
religiosa, c’è quella pittura di devozione quasi di superstizione (non dimentichiamo la

stagione settecentesca di Goya) ma al tempo stesso i puttini che sorreggono il Mnadylion

trasformano tutto in un gioco da salotto, diventa tutto leggero, balletto quasi ed è

interessante come questi pittori portano con sé un gusto, uno stile ed una estetica che

riesce a farci capire quel passo avanti che le arti propongono rispetto ai retaggi culturali

del passato.

Chiudiamo la lezione ricordando un altro cantiere in Spagna: palazzo reale della Granja di

San Ildefonso, nuovo palazzo reale costruito a partire dal 1721 e prima della costruzione di

quello di Madrid. Dietro c’è Juvarra e peraltro per questo palazzo si acquistano in

abbondanza sculture antiche dalle collezioni romane, è una delle prime grosse fuoriuscite

delle antichità da Roma ed è chiaro che anche la Spagna ha in mente ch el’antico è un

luogo dove rispecchiarsi. Su questa linea si inseriscono anche delle tele che decorano gli

ambienti di San Ildefonso e i pittori sono tutti grandi pittori della scuola romana e della

scuola napoletana, non c’è Venezia per il momento e tutti i pittori sono suggeriti da

Juvarra. Francesco Fernandi detto l’Imperiali, Alessandro Magno premia gli ufficiali; i

soggetti sono gli imperatori romani associati ad una virtù che deve essere assolutamente

legata al sovrano spagnolo. C’è anche un pittore bolognese, se ci si spinge verso nord non

è per entrare a Venezia ma a Bologna dove la tradizione classicista era in mano a Donato

Creti che qui dipinge Alessandro, Apelle e Campaspe (Temperanza) e poi i grandi pittori

come Sebastiano Conca, di impostazione napoletana nel dipinto Alessandro nel tempio di

Gerusalemme (Devozione), Francesco Trevisani con Alessandro e la famiglia di Dario

(Modestia), e Francesco Solimena con Battaglia tra Alessandro e Dario a rappresentare il

Valore.

31/03/2022

Pianta di Giovan Battista Nolli,

Pianta di Roma 1748: registra la


planimetria della città contemporanea a Nolli ma registra anche la città antica al di sotto

dell’impianto urbanistico contemporaneo mediante un sistema grafico. Via Sistina, ovvero

la via che papa Peretti fa aprire alla fine del ‘500 partendo da Trinità dei Monti per creare

un tragitto che si congiunge con Santa Maria Maggiore e con San Giovanni in Laterano.

Palazzo Barberini è una sorta di palazzo di città e villa di campagna, ascesa di un membro

della famiglia con un nuovo palazzo di città e con una nove villa di campagna e loro

occupano un palazzo già esistente e ricostruiscono il palazzo con la facciata che si affaccia

sulla odierna piazza Barberini. Se guardiamo la pianta, un altro corpo viene costruito come

fosse una sorta di H sull’altro lato e un elemento di raccordo, la famosa facciata iniziata da

Maderno e poi portata avanti da Bernini. Facciata straordinaria con questa idea di tre

ordini, l’ordine del pianterreno è un ordine di arcate che dà la possibilità di accedere sul

retro dove in origine c’era un grande giardino seguito da una sorta di parco e questo

caratterizza l’idea di un palazzo che diventa anche una sorta di dimora legata ad uno

spazio verde (conosciamo la passione del cardinale Francesco Barberini). Questo non è

l’ingresso principale ma un cortile laterale e questo era un corpo laterale del palazzo.

Piccola porzione di un giardino all’italiana che era una sorta di parterre prima che si

entrasse in un’area di “parco”, il giardino è la commistione di una parte destinata alla

convivialità e poi c’era una parte destinata ad orto, alle derrate alimentari. Dalla seconda

metà del ‘700, giardino all’inglese, a Roma villa Borghese e il giardino di Villa Pamphilij.

Altra cosa che vogliamo

vedere è la volta della Chiesa

del Gesù, autore Giovan

Battista Gaulli, 1672-83. Arte

barocca con una commistione

di arti con senso di artificio o

meraviglia. Quando si parla

di tardo barocco dobbiamo

menzionare la volta e l’abside

della chiesa di Sant’Ignazio, la cui decorazione si deve ad un pittore gesuita che è Andrea
Pozzo che la realizza tra il 1691 e il 1694. La differenza rispetto al Gaulli è sostanzialmente

un maggior uso della prospettiva in Pozzo. Inoltre nella chiesa decorata da Pozzo c’è

anche la finta cupola, che viene affrescata con l’idea di una apertura sui cieli dove

ambientare paradisi, visioni, idea di questo artificio per cui la pittura riesce a scardinare

anche uno spazio chiuso e riesce a creare uno spazio altro dallo spazio reale; Pozzo invece

facendo appello alla virilità prospettica dipinge su una grande tela questa architettura

dipinta che funziona come una visione illusionistica perché si ha l’impressione di essere di

fronte ad una cupola vera e questo lo rese molto celebre, ne realizza diverse in diverse

chiese d’Italia e ad un certo punto lascia l’Italia chiamato dalla corte imperiale di Vienna,

dove rimane dal 1702 al 1709, anno della morte. Realizza a Vienna la finta cupola nella

chiesa dei Gesuiti, finta cupola che decora la navata della chiesa: tamburo con nicchia con

statue. Visione architettonica anche se poi è la pittura a mettersi in dialogo con

l’architettura. Pozzo lo ritroviamo anche nel Palazzo Lichtenstein a Vienna dove c’è l’idea

di una costruzione architettonica che incornicia l’immagine ma qualcosa è cambiato perché

qui l’architettura si limita a fare la cornice per lasciare spazio ad una visione ariosa in cui

Pozzo rappresenta le imprese di Ercole (diverso dalla chiesa di Sant’Ignazio dove

l’architettura non rimane ai margini ma entra potentemente nell’immagine). Nel salone

siamo davanti ad una ripresa classicista, con la finta architettura, le colonne con i capitelli

corinzi, ecc. ma ci sono anche gli elementi in stucco dorato che ci fanno capire che entra

anche il cosiddetto stile e gusto rococò. Torniamo su questo aspetto capendo che l’Austria,

la Baviera e la Franconia sono aree di ricezione del linguaggio rococò. Pozzo finisce per

essere una sorta di tributo di quell’area all’arte italiana ma in particolare all’arte barocca,

che è uno stile accolto con benevolenza soprattutto dalle corti perché nella magnificenza si

trova l’espressione di propaganda politica (come era stato per la Chiesa a Roma, dove

l’arte magniloquente vuole rendere omaggio alla gloria e alla potenza della Chiesa). In un

altro edificio di Vienna che è il Belvedere, un allievo di Gaulli, Martino Altomonte, esegue

un affresco che rappresenta il principe Eugenio di Savoia presentato da Mercurio ad

Apollo, in cui il principe è rappresentato in nudità come una sorta di divinità, Apollo è

una figura che si presta alla celebrazione di un committente o di una casata perché Apollo
è da sempre considerato colui che protegge le Arti e colui che dà la possibilità di

identificarsi con una attività mecenatizia. Siamo nel 1716 e riconosciamo come la cornice

architettonica dipinta è una memoria di Padre Pozzo. Nel 1733, quando arriva il rococò e

quando i pittori si prestano ad un gusto architettonico che chiede una ricchezza di

raffigurazione e questo tripudio di ogni cosa. Gusto ricchissimo con una sorta di orror

vacui.
Esistono in queste aree dei feudi

che vengono amministrati da

principi elettori, feudi che hanno

una loro importanza nelle

guerre che sconvolgevano

l’Europa in quegli anni e li

vediamo al centro spesso di

quella riorganizzazione politica

in Europa alla fine di queste

guerre. Lo schieramento da una

parte o dall’altra comporta anche scelte artistiche e dichiarazioni di adesioni che hanno a

che fare anche con le arti. Principe guerriero nel ritratto con l’armatura ma presentato

all’interno di una sorta di studio. Questo signore è colui che fa costruire a partire dal 1715

quando rientra da un lungo esilio a seguito della Guerra di Secessione Spagnola, il Nuovo

Castello di Schleisseim e capiamo bene che il corpo centrale del Castello riprende un po' il

modello di Versailles perché è il palazzo del re. Gli stucchi interni sono disegnati da Effner

e sono di gusto rococò, sui due prospetti corti ci sono dipinti di Joachim Beich con episodi

militari che celebrano le vittorie del principe e il soffitto è decorato da Amigoni con storie

di Enea e Turno, tra il 1720 e il 1723 e c’è una sorta di volontà di creare un parallelo tra la

storia del proprietario di casa e uno dei massimi eroi della storia antica: da un lato

troviamo l’autorevolezza della storia, riferimenti al mondo romano nell’impianto

architettonico del castello, gusto rococò nella decorazione in stucco e potremmo dire che in
questo momento in questo territorio si è in grado di acquisire elementi da tendenze

differenti.

A Nymphenburg nella chiesa di Notre Dame troviamo TIEPOLO. Si fa strada la capacità

straordinaria di Tiepolo, che tra l’altro lo ricorderemo sempre in Baviera a Diessen con una

pala d’altare nel 1739 per una chiesa agostiniana con un Martirio di San Sebastiano dove è

evidente la libertà compositiva.

Entriamo in un’altra dimora di principi elettori, PALAZZO DI WUZBURG in Franconia.

Aggettante corpo centrale che ricordano l’architettura francese, la stessa architettura ha

questi elementi angolari tra l’altro timpanati. Ma se si entra all’interno della residenza di

Wuzburg, nel Salotto degli

specchi, il gusto rococò è

chiaro. Gusto per l’Oriente da

dove nasce? Dalle relazioni

economiche e dai viaggi di scoperta, pensiamo all’Inghilterra con i viaggi di Thomas Cook.

Cappella di Wuzburg di Hildebrandt realizzata tra il 1735 e il 1743 con la colonna tortile

che è memoria del baldacchino di Bernini. Tiepolo nel 1750 viene chiamato a Wuzburg e

gli viene inviato a Venezia un contratto nell’ottobre del 1750 e a seguito di questo contratto

si sposterà con i figli a Wuzburg per la decorazione. Decorazione del Kaisersaall.

Risenti registrazione

05/04/2022
pittore che si chiama Pittoni, è un

pittore nato a Venezia, prenderemo

alcuni dati della biografia per

sottolineare alcuni snodi per un

confronto con i pittori precedenti

(per le biografie si rinvierà

all’Enciclopedia della Treccani).

Adesso peò partiamo con un

confronto per capire anche come

personalità differenti nel contesto

veneziano nella prima metà del ‘700, come accade in qualsiasi altro contesto. In alcuni casi,

come quello romano, la presenza di un pittore o di una scuola pittorica forte (Maratti e due

accademie, quella dell’Arcadia e l’accademia di San Luca) condiziona fortemente i pittori

successivi, a Venezia questo manca e c’è quindi una maggiore libertà di espressione.

Passiamo in rassegna 3 dipinti che fanno parte di una stessa commissione, commissionati

per la chiesa dei Cappuccini di Parma, che non è nuova alla pittura veneziana (ha operato

Sebastiano Ricci) ed è uno di quei territori che guarda con interesse ad un pittore di

estrazione veneziana. Tra il 1730 e il 40 Pittoni esegue questa Maddalena per la chiesa, un

quadro di grande suggestione perché è capace di unire, attraverso l’esempio di Piazzetta,

diversi elementi. Non ha maestri riconosciuti se non lo zio, Francesco, le cui prime opere

sono in collaborazione con lo zio, quindi si guarda intorno ed è interessato a Piazzetta e

Pellegrini, conosce bene la pittura di Ricci e questi pittori hanno un punto di riferimento

nella pittura bolognese (da tenere presente che qui c’è un filone classicista e un filone

legato al naturalismo caravaggesco che è rappresentato da Crespi e non ci dimentichiamo

ch ela presenza di Correggio a Parma è una presenza che li mette in stretto rapporto con

lui). la Maddalena ha qualcosa di correggesco ma c’è già una temperie culturale

tipicamente settecentesca nei colori pastello dell’abito (rosa, azzurri, violetto, grigio, ecc.) e

c’è una volontà come di rinnovare la tavolozza e non dimentichiamo che a Venezia era

stato pubblicato il “Newtonismo per le dame” (Newton aveva scritto un trattato sulla
rifrazione della luce, trattato scientifico che aveva studiato la rifcrazione della luce sui

corpi e riguarda il colore), semplificato da uno studioso veneziano, Algarotti, che ne aveva

fatto un trattato con un linguaggio più semolice e che aveva fornito indicazioni anche ai

pittori. In un dipinto come questo dove incarnati così perlacei e un abbigliamento con una

cromia così elegante parla il linguaggio del ‘700 veneziano perché cromie così difficilmente

le troviamo altrove. Dipinto di grande interesse anche per fli elementi di forte naturalismo

(lo stesso crocifisso, prospettiva straordinaria, potrebbe essere desunto da un quadro di

Crespi). Coniugare la tradizione dei pittori “tenebrosi” che tornano e riportano in auge il

naturalismo con uno stile che per comodità chiameremo rococò (attenzione però alla

declinazione del termine che di volta in volta va rapportato con soluzioni che sono

profondamente differenti).

Nello stesso periodo circa arriva in

questa chiesa anche questo

dipinto di Piazzetta, che rimane

sempre in qualche modo fedele a

questa pittura così essenziale nei

colori, al punto di giocare sempre

con questi toni terrosi e scegliere il

colore come se fosse

un’apparizione (l’unico tono che

rompe questi passaggi tonali del giallo è il manto azzurro dell’angelo).

L’ultimo quadro ad arrivare nella

chiesa è questo di Tiepolo. In realtà

con l’ultima tela del ciclo, tra il 1750-

60, dedicata a Fedele e Giuseppe da

Leonessa, capiamo come parli un

linguaggio autonomo (si data negli

anni di Wuzburg). Qui potremmo

dire che ci sono elementi che


rendono il pittore originale, a cominciare dal pino marittimo che si staglia sul cielo e che è

tipico di Tiepolo: inserzioni del tutto inedite, la sua natura è tipicamente settecentesca, per

cui alle querce della tradizione si sostituiscono i pini marittimi e i pioppi. Anche in questo

caso c’è in questi sai rattoppati un desiderio di natura, così come nelle bellissime teste, ma

quello che è straordinaria è la sua capacità compositiva dove si rompe la regola

dell’equilibrio e della giustapposizione. Ma questo non è uno dei quadri più innovativi di

Tiepolo, vedremo tra poco cosa è in grado di fare anche nella pala d’altare.

Pittoni era stato chiamato

anche a San Stae, dove

troviamo la galleria degli

artisti veneziani del tempo.

Ritroviamo anche Piazzetta e

Tiepolo e possiamo dire che a

questa data, 1722, Pittoni e

Tiepolo non sono così distanti.

Diverso è Piazzetta che non

rinuncia all’incupirsi dei colori

e a quell’intento naturalista. Qual è la storia di Piazzetta? Nei primi 20 anni del ‘700

sceglie un linguaggio che potremmo definire una sorta di neocaravaggismo, quando si

tratterà di riflettere sul colore, sentito come un elemento fondante del colore, anche lui

schiarirà le tinte (dipinto della chiesa dei Cappuccini) ma il suo sarà uno schiarirsi senza

inserire i colori nuovi ma giocando sulle sfumature e sui passaggi di tono dei colori

“terrosi” (marroni, ocra, verdi scuri). Sottolineare anche nella scelta delle tinte come

Tiepolo e Pittoni siano simili dal punto di vista dei colori, ma Pittoni sceglie un sotto in su

mentre Tiepolo con un dipinto che sceglie una diagonale e di riportare tutto il gruppo in

primo piano come se non sentisse la necessità di una fuga prospettica se non, come al

solito, attraverso i piccoli dettagli che già compaiono come frammenti (tema della porzione

dell’immagine che diventa tema di sperimentazione).


pittore la cui opera

indipendente muove dai

primi anni ’20 del ‘700, poi

c’è una fama ed una tenuta

stilistica fino alla morte,

anche perché è destinato ad

essere direttore

dell’Accademia, di cui è uno

dei fondatori, dal 1758 al

1767. Altro ciclo dove lo

vediamo è quello delle tombe allegoriche di Mexuini, ciclo importante per far capire la

fama del pittore perché è quel ciclo di dipinti che l’impresario teatrale Metsuini ancora

prima che il console Smith avesse il controllo sui pittori veneziani da destinare al mercato

del Grand Tour, si inventa questa idea di un ciclo di dipinti dove chiamare pittori della

scuola veneziana e bolognesi sul tema della tombe degli uomini illustri della storia

britannica, accomunati dall’essere in qualche modo legati al partito degli Wig, il partito

progressista, perché il ciclo era destinato al Duca di Richmond, espondente degli Wig, che

li avrebbe collocati nella sala da pranzo della sua Country House. Dal 1730 lo troviamo,

Pittoni, ad esportare tele dal nord Europa, non si sposta lui, non è un grande freschista ma

a lui si chiedono soprattutto pale d’altare.

Sacrificio di Isacco di Pittoni

Di tutti i quadri che vedremo

possiamo notare il FORMATO: il

pittore con questo suo stile,

progressivamente, sposa quest’idea

di tinte squillanti, di preziosità quasi

madreperlacea delle tinte e sposa

anche nella scelta dei soggetti di

entrare, con Pellegrini e Amigoni, a


far parte di quella pittura di stampo rococò che ha un grande successo tra i committenti

che in quel momento si rivolgono a pittori veneziani e i formati ci parlano di quadri da

collezione, quadri da galleria, e i soggetti alternano soggetti epici (come Didone ordina di

fondare Cartagine o Venere e Enea che riceve le armi forgiate da Vulcano) oppure soggetti

più inconsueti (come il caso della Regina Gige che ordina l’omicidio del marito Candaule, re

libico che aveva disonorato la moglie perché aveva permesso al capo delle guardie di

poterla vedere nuda, era orgoglioso della bellezza della moglie che fa entrare la guardia

negli appartamenti della moglie per farla vedere nuda, ma la moglie, dopo averlo

scoperto, ammazzerà il marito e sposerà il soldato. Dipinto di grande suggestione per

diversi motivi: la figura di Candaule riprende i nudi accademici romani [si sente a Venezia

questa tradizione – anche qui disegnavano corpi nudi, magari non in accademie però],

composizione [grande abilità prospettica, è un grande conoscitore della prospettiva e qui si

vede perché è una visione frontale ma al tempo stesso presa dal sotto in su ed è in grado di

creare una spazialità tutta in primo piano ma abbiamo al contempo anche dei piani

successivi, senza una definizione spaziale vera e propria ma con la capacità di usare il

panneggio creando delle sequenze che sono delle sequenze anche cromatiche che vanno

dal bianco del primo piano allo scalare prospettico degli altri colori. Notiamo bene che un

tale modo di usare il panneggio nella cultura romana non lo troveremo mai, perché per

loro il panneggio è strettamente legato al corpo], la scena è quella di lui addormentato, la

moglie che scopre il letto sul quale dorme il marito ed invita il soldato ad affondare la

spada in questo corpo immacolato degno delle accademie romane).

Abilità straordinaria prospettica, punti di vista

particolari dove al frontalità a volte viene meno

per questi scorci, questi sotto in su che

diventano una sorta di sigla del pittore: io so

lavorare con la prospettiva.naturalismo raffinato

dell’asciugamano con le frange e il pizzo.


Pellegrini pennellata fluida, quasi sfilacciata,

invece Pittoni non perde mai nella sua pittura il

peso della figura, è come se non rinunciasse ad un

aspetto anche disegnativo e in questo è

profondamente diverso sia da Amigoni sia da

Pellegrini, è come se sentisse di più la tradizione

accademica. Guardiamo il volto, vediamo come il

pittore gioca con quel gusto leggero; qui siamo di

fronte al tema della storia, storia mitica, ed è cruciale della storia di Enea perché è

l’incontro con la madre che gli dà le armi (quando Virgilio racconta di questo incontro

ricorderà che insieme all’armatura gli offre uno scudo, dove sono rappresentate tutta una

serie di scene che raccontano la storia romana: anche in questo incontro c’è un predire

della storia di Roma attraverso gli episodi che fregiano lo scudo. Qui di tutto questo non

c’è nulla, tema di seduzione, di erotismo a cominciare dal corpo nudo di Venere

(paradossale quasi l’erotismo in una scena di rapporto madre – figlio) e anche il gioco di

putti si accorda con il tono giocoso e seduttivo che abbiamo ricordato più volte.

il tema è quello di Diana e Atteone, uno

degli episodi delle Metamorfosi di

Ovidio. Sullo sfondo Atteone, mentre

Diana si bagnava alla fonte lui andava

errando in quel bosco che non conosceva,

fu il destino a condurlo a quei recessi. Le

ninfe si percossero il petto e urlarono

vedendo un uomo che le guardava

esterrefatto e corsero a disporsi intorno a

Diana, ma la dea le sovrastava tutte con la testa, che venne sorpresa senza la veste e allora

gettò l’acqua sulla faccia dell’uomo e disse “ora se puoi dì pure che mi hai visto senza

veli” e trasformò l’uomo in un cervo. Melanco e Cnomaco, i cani, lanciano il segnale e gli

vanno incontro decine di cani che Ovidio descrive e si odono latrati dei cani che uccidono
il cervo, quindi Atteone. I suoi compagni ignari, gli aizzano i cani e gridano il nome

dell’amico che per pigrizia, secondo loro, si perde la scena. Per alcuni la dea fu più che

crudele, altri la lodano dicendo che fu degno di una vergine il suo comportamento.

Particolarità del racconto, simile a quello di Apollo e Dafne, in questo caso Atteone è

consapevole di ciò che gli accade, vive nella doppia dimensione di avere alcune

caratteristiche dell’animale (timidezza) ma sa al tempo stesso di essere trasformato.

Racconto crudelissimo. Pittoni utilizza il racconto per presentare nudi femminili, dove

l’altro co-protagonista, Atteone, è una piccola figurina sullo sfondo con dei cani che

sembrano odorarlo più che sbranarlo, è necessario quindi conoscere il testo di Ovidio. Non

è interessato alla fonte però, quanto piuttosto costruire un quadro di grande erotismo e

seduzione dove al centro di tutto c’è l’esposizione del corpo di Diana, bellissima,

circondata da fanciulle seducenti.

Negli stessi anni Tiepolo tratta lo

stesso soggetto, quadro in cui lui si avvicina al racconto delle Metamorfosi, ricordando che

il bagno avviene in una grotta e si inventa quindi questa arcata che diventa un gioco della

natura che gli dà la possibilità di inquadrare in questa luce quasi lunare la figura di

Atteone che sta subendo la trasformazione. Poi crea il bagno di ninfe, con Diana

rappresentata con la mano nel gesto che ha buttato l’acqua e c’è memoria del racconto di

Ovidio ma certamente anche qui è come se osservassimo una scena di bagno, di erotismo,

è il bagno il protagonista del quadro, il momento di godimento di queste fanciulle, è una


scena quasi arcaica ch enon ha rapporto con il dramma di Ovidio. Nel ‘700 l’unica opera

che riprende il dramma del testo di Ovidio è un’opera scultorea: la fontana di Diana e

Atteone della Reggia di Caserta, 1769, di Paolo Solari, Pietro Persico e Angelo Brunelli.

Nello specchio d’acqua della cascata i due gruppi, da una parte Diana circondata dalle

ninfe, dall’altra parte Atteone assalito dai cani e se ci avviciniamo capiamo di più lo spirito

drammatico della scena. Nelle figure si coglie il momento delle ninfe esterrefatte e anche la

figura che si erge con tutta la sua auteorevolezza di Diana è perfettamente rappresentata in

questo gruppo. Ma il gruppo straordinario è quello di Atteone, con il corpo d’uomo e la

testa di cervo e c’è l’espressione di questo animale (gli scultori devono proprio aver

disegnato la testa di un cervo morto perché c’è questo senso di morte, di sconcerto, di

senso di una vita che si chiude).

Mettere insieme natura e arificio, guardiamo

l’angelo, la barba di San Pietro con questa

pennellata che finisce per diventare un esercizio

di stile e una capacità di lavorare su una forma e

però la natura che torna nella croce, che sembra

studiata dal vero.

Ma subito dopo lo troviamo in uno schiarirsi di tinte e la stessa grafia per una pala per la

chiesa paerocchiale di San Germano dei

Belgi.

Vediamo la tomba allegorica di James I,

conte di Stanhope, utilizzati per ogni quadro

3 pittori (paesaggio, architettura e figure) e

Pittoni si occupa delle figure, capiamo la

capacità che ha di inventarsi una narrazione,

di calibrare la gestualità e di trovare una dimensione narrativa affascinante e convincente.

Uno dei dipinti più celebri della serie è la tomba allegorica di Isaac Newton, del quale
vengono ricordati gli studi scientifici sulla rifrazione del raggio luminoso che vediamo in

un dettaglio. Anche qui è il pittore delle figure, è il pittore figurista di questo ciclo di

pitture.

Ma per capire la fama del pittore al di fuori

dei confini veneziani, oltre che nelle aree

ricordate prima, vediamo anche il dipinto

Sacrificio della figlia di Iefte, 1732-33,

Genova, Palazzo reale (già Torino,

collezioni reali). Qui capiamo che è un

pittore che tiene molto bene in una messa in

scena così complessa, ricorda quella

capacità dei pittori romani di lavorare alla resa degli affetti per cui ogni gesto, ogni postura

ha una volontà di esprimere la gradazione dei sentimenti, sa declinare il sentimento di una

scena nelle sue diverse gradazioni.

Presenza di Pittoni in un altro ciclo interessante, per il duomo di Bergamo, siamo nel 1744

e si decide di rinnovare l’arredo dopo la ricostruzione dell’edificio conclusa nel 1710 con

dipinti che mettono a confronto pittori veneziani e pittori bolognesi (è un tipo di esercizio

frequente nel ‘700, sia in contesti pubblici che in contesti privati per vedere come si

esprimono pittori di estrazione, di provenienza e di formazione differente).


Accanto a Pittoni c’è il quadro insuperabile

di Tiepolo con il Martirio di San Giovanni

Vescovo, 1745 che si inventa con questo santo

dalle braccia allungate senza nessuna regola

di ordine anatomico, vuole sottolineare il

gesto che si affida al paradiso e alla gloria

ultraterreno e questo angelo con la corona

del martirio che atterra nella scena, chiave

espressionista del quadro. La testa è reclinata e vediamo solo la punta del naso, un quadro

di tradizione come prima cosa fa vedere il volto del santo, qui invece è tutto giocato sul

gesto di remissione al destino del martirio, sulle lunghe braccia. Qui c’è già quell’esercizio

che Baxandall e la Alpers hanno ragionato sulla capacità che Tiepolo ha di attirare

l’attenzione di chi osserva costringendolo a ricostruire l’immagine (difficoltà di decifrare la

figura è la chiave della pittura di Tiepolo).

Espressione più alta della pittura di

Pittoni, abbassamento di toni nella

cromia e accentuare dell’aspetto

disegnativo, legittimo in un quadro

legato al contesto dell’Accademia

veneziana. Guardiamo la grazia

dell’angelo, la sua postura, il gesto

della Vergine, nella cui stanza ci sono

dettagli di un naturalismo

piazzattesco ma invasa da una

nuvola che finisce per creare

un’atmosfera metafisica quasi.

Vediamo il dipinto dedicato a

Venezia ma di tutta un’altra scuola.

Il committente è Matteo Foscarini.


Deve rappresentare il trionfo di Venezia, quindi allegoria portata ai massimi livelli.

Venezia come una bella donna che tiene lo scettro, sull’acqua e su questo carro a forma di

conchiglia con i leoni alati che lo trascinano e tutt’intorno un discorso allegorico con Riva

degli Schiavoni sullo sfondo. A venezia c’è il doge Loredan (1501-22) e accompagna

Venezia, che sotto di lui aveva vissuto una stagione di pace assoluta in un contesto dove le

guerre erano all’ordine del giorno, questo quadro celebra la pace e la scelta di Repubblica

di Venezia (c’è la Storia, la Fama e c’è Mercurio che dona a 6 saggi capeggiati da Platone

un trattato, scritto da Gasparo Contarini, il De Repubblica, e sono gli antichi che tributano

la loro stima a questa scelta politica di repubblica, al funzionamento straordinario di

questo organismo politico nel ‘500. E vediamo Minerva che presenta i 4 putti che stanno

giocando con i simboli delle Arti (pittura, scultura, architettura, musica e poesia): Venezia

come rappresentazione di una città che ha goduto anche di una libertà garantita dalla

scelta politica, che ha garantito la grandezza stessa della città. Un quadro come questo,

così colto, non può che essere richiesto ed essere garantito da un pittore del contesto

romano e qui vediamo la differenza, differenza sottolineata da un altro quadro di Batoni,

con Venere che consegna le armi a Enea (qui, a differenza di Pittoni, il peso della storia è

assolutamente presente, come è presente il peso del racconto virgiliano, ad esempio la

madre che compare sotto la quercia e la vicenda dello scudo di Enea che sono gli stessi di

cui racconta Virgilio nell’Eneide).

07/04/2022
Oggi parliamo di RITRATTO. Stranamente Venezia non è particolarmente fortunata in

questo genere, a Venezia i ritrattisti non hanno avuto la stessa fortuna che hanno avuto a

Roma o in altri contesti e questo non è facile da capire. Qui matura una professionista del

ritratto, ROSALBA CARRIERA, che diventa protagonista di un genere particolare del

ritratto, che non ha in Italia altre figure con la sua abilità: il ritratto a pastello, aspetto che

non ci sorprende, nel senso che nella storia delle donne pittrici ad un certo qual modo sono

destinate ai generi “minori” (sono ricamatrici, miniaturiste, ecc.), fatta eccezione per rari

casi (esempio la mostra a Galleria Corsini di Plautilla Bricci, architettrice, progetto per la

sistemazione di Trinità dei Monti che anticipa in qualche modo la sistemazione

settecentesca. Va ad occupare una professione tipicamente maschile, considerando il

rapporto delle donne con l’arte, pensiamo che durante il processo verso Agostino Tassi di

Artemisia Gentileschi viene citato il suo mestiere per definirla una donna di facili

costumi). Invece, alla Carriera vengono conferiti subito riconoscimenti pubblici, entra in 3

accademie, l’Accademia di San Luca (1705, la prima donna ad entrare in questa

Accademia), nel 1720 entra a far parte dell’Accademia Reale di Francia e successivamente

nell’Accademia Clementina che ha sede a Bologna, dove la grande scuola legata ai

Carracci è considerata una delle scuole più importanti del contesto italiano. Vediamo qual

è lo stato del ritratto a Venezia.

a Nazari si devono dei ritratti

importanti, come questo in foto,

rappresentato al di sotto di un portico

di invenzione, sul retro l’imbocco di

Canal Grande con delle gondole e la

chiesa di Santa Maria della Salute

(testimonianza del soggiorno nella

città lagunare di questo personaggio).

un altro ritratto sempre di Nazari è la

rappresentazione di Farinelli, il cantante rappresentato anche da Amigoni (il pittore di


storia che più si dedicherà al ritratto) nel 1734 e un ritratto di Luca Carlevarijs con questa

sorta di ritratto di nobil uomo ma con gli strumenti che ne documentano la professione.

Ascendenza lombarda, fa capire la pluralità di stimoli

che si muovono nel contesto veneziano.

Arriviamo a ROSALBA CARRIERA, pittrice particolarmente amata e richiesta proprio per

la sua tecnica, ha quindi una produzione vasta di ritratti, che un po' si ripetono e questo

rende difficile datare le opere, al tempo stesso però abbiamo 2 strumenti: in primo luogo

un suo DIARIO (lo tiene tra gli anni ’20 e gli anni ’30) e i soggiorni documentati dei

granturisti inglesi che si facevano ritrarre da lei. Lei si autorappresenta più e più volte,

abbiamo diversi autoritratti (ci fa pensare a Rembrandt, ricerca condotta sul proprio volto).

Verrà chiamata a Vienna e ritrarrà i personaggi della corte imperiale e tornata da questo

soggiorno è stato ipotizzato che potesse aver inviato a Vienna l’autoritratto del 1730 circa,

conservato a Dresda, in cui è ritratta con una pelliccia che usa per le allegorie dell’inverno.

Nel suo diario lei parla dell’aspetto tecnico dei suoi pastelli, che ha molto a che fare con la

conoscenza della materia (lei ad esempio si sofferma a descrivere che tipo di materiali usa

per gli incarnati e scrive come dosa la biacca e tutta una serie di colori che vengono

mescolati, perché non si tratta di un colore industriale già pronto). Capacità di cogliere la

psicologia del personaggio ritratto, empatia, cogliere l’espressione, l’animo del

personaggio. C’è un ultimo autoritratto, del 1750 circa, di cui Zanetti dice “autoritratto

come Tragedia”, perché nel 1746 (?) circa ha una grave malattia agli occhi, perde la vista,

viene operata e poi diventa completamente cieca, quindi passa gli ultimi anni della sua

vita attraverso questa tragedia.


Rosalba Carriera è in realtà una

miniaturista e quando gli verrà richiesta

l’Ammissione all’Accademia di San Luca,

titolo che lei stessa non si aspetta, come

merceau de reseption invia una miniatura,

che è una tempera su avorio e c’è una

testimonianza di Maratti in cui si coglie la

grande abilità tecnica della Carriera e

capiamo da questo tema quanto guardi da subito, in queste opere preziosissime, allo stile

rococò, a questa preziosità anche materica del rococò. La fortuna della Carriera è una

fortuna che nasce non tanto in patria, quanto in Francia, dove si reca nel 1720, in

compagnia di Domenico Pellegrini, marito della sorella. È proprio a Parigi che la Carriera

viene celebrata come pittrice di grande fama e qualità, la cosa strana è che se guardiamo il

suo catalogo dal 1710 al 1720 noi non abbiamo un gran numero di opere e non sappiamo

quindi come arriva ad utilizzare la capacità della pittrice di utilizzare questa tecnica.

lo dona quando le viene offerto di

entrare nell’Accademia Reale di

Francia. La sua capacità la evinviamo

anche dai ritratti, numerosi, che fa

durante il suo soggiorno a Parigi, tra il

1720 e il 1721. Vediamo un ritratto di

Watteau del 1721 (qui siccome abbiamo

le date del soggiorno, possiamo parlare

di un confronto interessante tra l’arte

italiana e l’arte francese). Sono talmente tante le richieste come ritrattista che non ha tempo

di fare altro, ma si capisce che lei ami anche raffigurare soggetti che non stiano

necessariamente dentro il genere del ritratto, che sono per lo più soggetti di

rappresentazioni allegoriche, sempre rappresentate allo stesso modo, come figure

femminili del quale si coglie l’elemento della seduzione del corpo femminile (Primavera,
Primavera di Joseph Smith probabilmente di cui osserviamo il dettaglio del festone di fiori

e la bellezza della materia, oppure le Quattro parti del Mondo, conservata a Dresda con

queste 4 donne). Se vogliamo vedere esempi di questa tecnica del pastello li possiamo

vedere a Palazzo Venezia.

Rarissimo nel suo catalogo sono i personaggi religiosi. Figure di un foglio che lei utilizza

(50 di larghezza per 70 di altezza). Torniamo alla Carriera ritrattista, tornata da Parigi la

ritroviamo a Modena, dove esegue una serie di ritratti di personaggi femminili della corte

(Enrichetta d’Este, Anna Amalia Giuseppa d’Este, Ernestina d’Este in un ritratto che è

collocato agli Uffizi).

Era una soprana famosissima, seno scoperto con

licenziosità che si può concedere solo ad una cantante, abbiamo anche un ritratto di

qualche anno dopo (se vediamo come è ritratta da Nazari capiamo qual è la differenza di

sensibilità).

La famiglia Sagredo la conosciamo grazie ad un dipinto di Longhi, in cui la famiglia è

identificata da una iscrizione, dove abbiamo la mamma (Cecilia), le due figlie (una

Caterina forse quella con il vestito blu e l’altra Marina, ma le identificazioni non sono

precise). Questa famiglia Sagredo era molto particolare, grande intelligenza di queste

donne che partecipano alla vita mondana di Venezia, gradi conoscitrici il che le rende

protagoniste dell’ambiente mondano – culturale della città (abbiamo un ritratto della

Carriera che restituisce l’intelligenza e la sfrontatezza di questa nobildonna veneziana). Un

ritratto identificato da poco (ritratto di fanciulla in veste turche) è un dipinto degli Uffizi,
identificato come il ritratto di Felicita Sartori, allieva della pittrice che si trasferirà a Vienna

ed avrà una sua carriera lì (travestimento carnevalesco che va incontro al gusto per

l’orientalismo che c’èera all’epoca). Accanto c’è un geniale ritratto di un uomo, in vesti

anche lui.

dipinto più particolare del contesto

veneziano del tempo, temi legati

all’Oriente (Sultana in un harem,

odaliche che suonano in un harem).

A lui dobbiamo una serie di opere

di interesse orientaliste.

Rosalba Carriera ritrae anche il Cardinale Melchiorre de Polignac, nel 1732, che passa

appositamente a Venezia per farsi ritrarre dalla Carriera. Siamo di fronte ad un capolavoro

della ritrattistica, com’è un capolavoro anche il ritratto di un altro prelato francese, Le

Blond. Dobbiamo cogliere la grandezza dei ritratti e dei dettagli, c’è qui una carica umana

che lascia senza parola. Poi comincia una “sfilata” dei granturisti inglesi, uno dei primi ad

essere identificati è il ritratto di Sidney Beucler, poi il ritratto di Lord Hamilton 1730-31

(non sappiamo se sia veramente lui, l’identità del personaggio è stata più volte dibattuta

ma possiamo capire che il ritrattato in quel momento è a Venezia, indossa la tipica

maschera ed è partecipe della mondanità che la città in quel momento offriva), Henry

Clinton (guardiamo in questo caso non tanto e non solo il volto ma la capacità di accordi

cromatici tra l’abbigliamento e lo sfondo con una sensibilità che lascia senza parole),

Charles Sackville (solita maschera che vediamo sul cappello, volto coperto dal pizzo che

qui è scostato e vediamo l’accordo tra il broccato della giacca e il tono dello sfondo),

ritratto virile con costume da pellegrino (personaggio inglese con il bastone e l’abito da
pellegrino, legato probabilmente ad una carnevalata) che viaggia in coppia con il ritratto

femminile probabilmente una sposa, un ultimo granturista è Francis Whithed del 1741.

Che succede a Roma? Succede che se a Venezia Rosalba conquista tutti i viaggiatori con

quei suoi ritratti che sono la quintessenza dello stile rococò (nel tratto, libertà e seduzione

legata a tutto quello che rappresenta, non è solo la ripresa di un personaggio e di una

psicologia ma restituire il senso di leggerezza e l’erotismo attraverso la cromia e i dettagli e

l’eleganza estenuata), un altro ritrattista, Pompeo Batoni, si presta a diventare il pittore

ritrattista dei granturisti e questo gli costerà caro perché per questa sua scelta il Batoni non

verrà mai ammesso all’Accademia Nazionale di San Luca, gli viene rimproverato il fatto

che un pittore così dotato si dedichi al ritratto (a Roma, per l’Accademia, il genere super

partes era la pittura di storia). Lui lo fa anche per motivi economici. Ed è lui che elabora un

ritratto tipicamente romano, quello di documentare questi granturisti nel rapporto con

l’antichità romana, ed è per questo che Robert Clemets si fa ritrarre con il busto di Omero

(questo busto si trovava in questa data già nelle collezioni capitoline). Quando si tratta di

ritratti a figura intera la sua capacità è ancora maggiore, come il ritratto di Thomas Dundas

del 1764 rappresentato in un luogo ideale ma che contiene le sculture vaticane (i musei

vaticani?). nei ritratti di Batoni il levriero è una presenza assolutamente consueta. Il ritratto

può essere ancora più complesso quando si intende ricordare la visita di monumenti e di

complessi celebri (tempio della Sibilla di Tivolo nel ritratto di Sir Windham). Uno dei

massimi capolavori di Batoni è il ritratto che si trova in una collezione privata a Wills Hill

in cui c’è un sargofago con un’iscrizione e l’espressione malinconica del personaggio

rappresentato e del cagnolino (il personaggio fa fare quest’opera per commemorare ? la

moglie morta, che l’iscrizione e i dettagli ricordano).

Pittore che negli anni ’60 – ’70 è diventato il vero protagonista della pittura inglese:

REYNOLDS. Pittore che diventa IL pittore nell’Inghilterra della seconda metà del secolo

che acquisisce la capacità di “fronteggiare” altri pittori di altre zone. Un pittore che nel ’49

si trasferisce a Roma, dove sta per molto tempo, che torna in Inghilterra e si dà al ritratto

ed è colui che spingerà nel 1768 per la formazione di un’accademia nazionale, finalmente,

in Inghilterra. Ha una tecnica in cui la materia sembra farsi forma “come se fosse un
miracole”, quando la materia di Batoni è una materia piatta, quasi smaltata, oltre ai

personaggi e al contesto. Questi artisti, Reynold, Constable, Turner, maturano in un

contesto incredibile, per cui Reynolds dopo l’apertura dell’Accademia inglese nei discorsi

di inaugurazione dell’anno accademico dirà che Batoni ad un certo punto non se lo

ricorderà più nessuno e non ha detto qualcosa di sbagliato in effetti, anche se cattivo

(Batoni è stato riscoperto recentemente).

12/04/2022

Oggi parlaremo di una sequanza di pittori che si potrebbero definire “pittori eccentrici”,

Zanetti che begli anni ’70 dedica alla pittura veneziana una storia della pittura sottolinea

più volte la libertà nel contesto veneziano, libertà favorita dall’assenza di un’accademia

fino alla metà del ‘700. Potremmo anche dire che questa libertà viene rivendicata come un

carattere della scuola veneziana, forse anche in contrasto con quell’idea di normalizzare il

linguaggio artistico, che è molto evidente nel confronto con il contesto romano, dove

grazie alla presenza delle due accademie e alla presenza di Maratti, si tende ad identificare

un linguaggio che possa essere un linguaggio che identifichi la scuola romana sia dal

punto di vista stilistico sia dal punto di vista dei contenuti. Quando Roma diventerà il

modello per l’Europa intera, diventando la città cosmopolita per eccellenza, la stessa

Venezia sentirà quella scelta di libertà come un qualcosa che ha impedito il perdurare

della fama internazionale della scuola veneziana, realtà di cui prendono atto negli anni ’70

del ‘700. I pittori di cui parliamo oggi sono pittori che sono ancora pittori che hanno

bisogno di essere messi bene a fuoco, non solo per la loro anomalia nel contesto veneziano

quanto per la difficoltà di mettere insieme, per alcuni artisti, un catalogo coerente.

FEDERUCI BENCHOVIC per molto tempo si è creduto fosse nato in Dalmazia,

recentemente si sostiene che fosse nato a Venezia ma di origini dalmate, poi si ritirerà a

Gorizia, dove muore nel 1756. Ancora una volta dobbiamo far riferimento a Bologna per la

sua formazione, ma con qualcosa di anomalo perché sappiamo che ad un certo punto è

nella bottega di Carlo Cignani, che si ricollega a quel classicismo seicentesco che anche a

Bologna, attraverso l’Accademia Clementina, viene sentito come punto di riferimento

quando la città rivedica in quella sua tradizione di pittori classicisti un punto di forza e
quindi l’accademia sprona a fare di quei pittori dei modelli (negli stessi anni Malvasia

scriverà una storia che sarà uno strumento di promozione di quella tradizione). Però

sappiamo che Benchovic lascia la bottega di Cignani e si sposta da Crespi, pittore che

interessa molto i veneziani soprattutto verso la fine del ‘600, quando si deve rinnovare la

pittura tenebrista (nel corso della seconda metà del ‘600 Venezia si muove con interesse

verso la pittura dei “pittori tenebrosi” per questa volontà di dar forza agli elementi e quei

pittori che più guardano con interesse il naturalismo e Crespi è uno dei principali

protagonisti di questo recupero, vicino a Caravaggio e alla pittura di genere di

provenienza nordica). Benchovic incontra a Bologna Piazzetta e con lui tornerà, dopo un

lungo soggiorno, a Venezia, dove esegue le sue prime opere. Ma non trova un grande

favore nel contesto veneziano, tant’è vero che lo vediamo muoversi spesso in più

soggiorni tra Venezia e Vienna (1710-16, 1730, 1743) e il suo successo più grande è che il

vescovo di Bamberga e Wuzburg lo nomina pittore di corte nel 1733 ma poi verrà

chiamato Tiepolo che sostituirà Benchovic. Prima di entrare nel suo catalogo vediamo 2

quadri che possono essere esemplari della pittura di Crespi: un quadro di soggetto

mitologico, Enea e la Sibilla e Caronte, in cui capiamo qual è la sua operazione, anche nel

caso di un soggetto mitologico il riferimento al naturalismo è molto evidente ma in più il

fatto che non c’è la sodezza di forme e l’aspetto disegnativo che ha caratterizzato pittori

come Caravaggio, c’è una pennellata liquida, plastica che ci fa pensare che Crespi non

rinuncia a guardare la tradizione veneziana cercando modelli stilistici in pittori come

Tintoretto e l’ultima stagione di Tiziano. Nel dipinto con l’estasi di Santa Margherita da

Cortona non c’è mai il cedere al disimpegno della pittura di genere, sempre forte

permanenza di senso etico. Sacrificio di Isacco di Zagabria di Benchovic ci fa capire come sia

diventato naturale per lui guardare a Piazzetta, dipinto che in passato è stato attribuito

proprio a Piazzetta, punto di riferimento per questi pittori eccentrici, pittore che sollecita

gli interessi di una generazione di pittori poco più giovani di lui. capiamo già bene la

grandezza di un pittore come Benchovic, che va dalla libertà compositiva (come sono

impostate le figure, si prende delle blibertà rispetto alle composizioni di stampo

accademico) ma al tempo stesso interesse per il nudo e per il chiaroscuro, che tende a
creare una sorta di regia all’interno del dipinto (volto di Isacco completamente in ombra

per dare forza al corpo di fanciullo che è l’oggetto che muove la commozione all’interno

del racconto e della rappresentazione). Più o meno dello stesso periodo è il dipinto

Adorazione dei pastori a Castelvecchio e capiamo che se non conoscessimo Benchovic non

sarebbe difficile collocare questo dipinto alla metà del ‘600, con questo interesse a

modulare la narrazione del dipinto attraverso la luce, con il fondo scuro, il panneggio

bianco che scopre il bambino e che rimanda a siluzioni figurative di Tintoretto (in

particolar modo nella scuola di San Rocco). Tra il 1715 e il 1716 per una chiesa bolognese,

la Madonna del Piombo, esegue una tela con i santi Andrea, Bartolomeo ecc. con uno

schiarimento delle tinte ma rimane il fatto della sua grande libertà e grande capacità di

impaginare la narrazione (si tratta di una pala d’altare e in questa organizzazione ci sono

delle novità, come la rinuncia a costruire intorno alle figure un ambiente leggibile, c’è

piuttosto l’idea che il colore possa da solo restituire il senso spaziale e atmosferico della

rappresentazione). Al tempo stesso non sfugge a Luigi Lanzi lo sguardo sulla natura che

restituisce attraverso una pittura di impronta naturalistica che fa riferimento allesercizio

disegnativo sul corpo nudo che è una sigla proprio della pittura accademica settecentesca,

è un pittore di cultura complessa e articolata che trova a Bologna l’idea di una pittura

orientata al naturale e all’esercizio del disegno ma a Venezia ha i suoi modelli e queste

componenti gli danno la possibilità di muoversi con la libertà che questa pala rende

evidente. Da Venezia nel 1715 invia una serie di tele, alcune distrutte durante la guerra; ne

rimangono due: Agar e Ismaele nel deserto dove c’è un altro elemento che va sottolineato,

ovvero che questi sono pittori che hanno un grande interesse per il manierismo e che

hanno una curiosità e un grande interesse per la pittura del manierismo emilinao, Parma

con Parmigianino è una città dove ritrovare degli esempi a cui legare una ricerca pittorica

nuova. In questo sfaldarsi delle figure, in questi panneggi che sembrano delle lame, c’è

interesse a disintegrare l’immagine che può aver trovato un punto di riferimento anche nel

manierismo. Sacrificio d’Ifigenia è uno dei suoi quadri più importanti, era un quadro per

un soffitto e capiamo bene la libertà di questo pittore che nel 1715, eseguendo questa

opera, ha già un suo stile riconoscibile soprattutto nelle tipologie femminili (arti affusolati,
visi allungati che sono un riferimento ad un pittore come Parmigianino) e un’altra

caratteristica del pittore è l’uso abbondante del panneggio, ma non un panneggio che

modula i corpi, che lascia intravedere la forma dei corpi e diventa un elemento [nella

tradizione accademica uno degli esercizi dei pittori era la copia del panneggio, c’è un

esercizio di copia che serve a formare il pittore soprattutto nel saper fare le figure, questo

comporta anche una conoscenza dettagliata del corpo umano tant’è che nel ‘700 ci sono

tanti repertori didattici che sono illustrati con una serie di tavole con dettagli del corpo

umano – repertorio degli anni ’70 a Roma in cui sono ripresi corpi, mani, piedi dalle stanze

di Raffaello. Detto questo c’è un altro esercizio importante che è quello del panneggio,

quasi sempre però si lavora su un panneggio che dialoga con il corpo, perché il panneggio

è un modo per connotare la gestualità della figura umana e diventa un tutt’uno con la

capacità che l’artista ha di esprimere un affetto]. Benchovic ha un andamento diverso, che

lo accomuna con Tiepolo, volontà di rompere l’immagine, il panneggio diventa un

elemento quasi che disturba l’immagine ed è l’esperienza visiva che trova degli elementi

che suggeriscono a chi osserva di entrare nella dinamica compositiva dell’opera,

dimensione di riflessione nell’osservare l’immagine [non è il quadro rinascimentale che

chiede chiarezza e leggibilità immediata, un ordine che restituisca anche l’ordine supremo

dell’universo], i veneziani del ‘700 chiedono una volontà di chi osserva di decifrare

l’immagine, entrare nella logica compositiva dell’immagine, fino ad arrivare a pittori come

Tiepolo che lavorano a scomporre quasi l’immagine in un esercizio che sovrappone figure

e dettagli così che ci sia la necessità di ricomporre l’immagine stessa. TANTI LINGUAGGI

QUANTI SONO GLI ARTISTI. Stesso soggetto, pittore diverso, Tiepolo con il Sacrificio di

Ifigenia, Villa Valmarana ai nani in provincia di Vicenza. Mengozzi Colonna crea

l’architettura illusionistica ma poi c’è la bravura di Tiepolo nel rendere l’episodio.

Capiamo bene che se il tono, i colori schiariti, la sua lucentezza ne fanno un pittore

completamente differente, se andaimo ad osservare la rottura dell’immagine troviamo una

concezione dell’immagine non troppo distante da quella di Benchovic. Quadro per la

chiesa di Borgo san Giacomo, Cristo deposto adorato dai Santi, in cui c’è la memoria di

Piazzetta, con l’unico dettaglio di colore che è la mantellina rossa, per il resto un
tenebrismo portato alle estreme conseguenze. Un altro dipinto è l’Adorazione dei Magi di

Stoccarda e torniamo poi un attimo a Piazzetta, che ritrae Giulia Lama, pittrice vicina a

Benchovic. Giulia nasce nel 1681 e muore nel 1747 ed è ancora tutta da studiare perché è

stata una delle prime allieve di Piazzetta, quindi molte opere del catalogo del pittore in

realtà potrebbero essere della Lama. Era una ricamatrice, destinata ad un mestiere

“artistico” che è più vicino all’artigianato, ma è una personalità colta, una figura femminile

che si interessa alle arti ma anche alla letteratura e alle scienze, ma quando lei consegnerà

intorno al 1720 l’autoritratto agli Uffizi troviamo la vicinanza con Piazzetta (abbiamo il

ritratto eseguito da Piazzetta e l’autoritratto, c’è un mondo tra i due, il tono del dipinto

diventa un tono in cui riconosciamo l’esempio di Piazzetta ma non la qualità del suo stile e

della sua pennellata). Tuttavia, l’abilità nel periodo di formazione di Lama emerge in una

serie di dipinti di nudi, abilità nello studio anatomico e uso del chiaroscuro, di gessetto, di

matita, di biacca, di elementi tecnici che ritroviamo nel disegno veneziano dal ‘500 in

avanti (ricollegarsi ad una tradizione che è anche tradizione tecnica). Tutte le opere di

Piazzetta che conosciamo sono opere senza errori, un po' come Batoni, “pittore fatto dalla

natura”, Studio ardimentoso di Lama, ma non tutto torna esattamente come deve tornare,

ma nonostante questo rimangono disegni bellissimi. Da 3 mesi la Galleria dell’Accademia

di Venezia ha aperto la sezione del ‘700. [ad una donna non era consentito copiare la

nudità del modello dal vivo ed è anche per questo che le donne nel ‘700 non entrano nelle

Accademie]. Una pala d’altare che si data tra 1720 e 1730, la Crocifissione con gli Apostoli

al di sotto della croce, con forte l’esempio piazzettesco, nel caso del panneggio

modulazione differenza, qui non è il panneggio per lame di Benchovic ma questa libertà

compositiva, questi fondi scuri e questo chiaroscuro fanno rientrare la pittrice nel gruppo

di “pittori della tenebra” che si muovono nei primi 30 anni del ‘700 nel contesto veneziano.

Ancora un quadro, il Martirio di S. Eurosia, vena horror che è piuttosto ostentata e che fa

ricordare alcuni quadri di Artemisia Gentileschi.

Ora cambiamo artista: GIANANTONIO GUARDI, perché si può partire da un sentire

comune ed approdare a esiti diversi. È il fratello di Francesco Guardi, che abbiamo citato

quando abbiamo parlato di pittura di paesaggio, perché lui è l’altro volto del vedutismo
veneziano. Comunque, anche Gianantonio che nasce a Vienna nel 1699 in maniera del

tutto fortuita, lì si trovava il padre che era un pittore ma poi torna a Venezia, muore a

Venezia nel 1760. Anche lui pittore tenebroso, elementi che ritornano e che abbiamo già

commentato, anche se tuttavia in un quadro come Ultima Cena che si inquadra in quel

contesto in cui si muove la Lama e il Piazzetta, notiamo un elemento particolare:

pennellata molto leggera, quasi filamentosa se ci confrontiamo con il Giuditta e Oloferne

di Lama (in una rappresentazione come questa il chiaroscuro serve a modulare la forma e

in questo elemento che è tipico di Piazzetta, c’è un’adesione alla tradizione classica; se è

vero come è vero che questi sono pittori di colore, capiamo bene che il colore può essere

usato in modo diverso, può costruire la forma nel contrasto tonale chiaro-scuro e

accostarsi ad una pittura che guarda la tradizione classica o ci può essere una pennellata

più libera e mossa che tende ad avere una libertà per cui questa libertà finisce per

disintegrare la forma). Anche il nostro Gianantonio Guardi ad un certo punto viene notato

da fuori Venezia, il maresciallo Von Schulemburg lo chiama presso di sé, ne fa un ritratto

di qualità alta e la cosa particolare è che questo personaggio sarà colui che chiederà a

Tiepolo quelle turcherie di cui abbiamo parlato quando abbiamo visto quelle della

Carriera. Fa una quarantina di dipinti che possono rientrare in questo genere di gusto

orientalista e che sminuisce l’idea del pittore intellettuale e l’idea del pittore libero. Nel

1746 Madonna del Rosario e Santi in cui le tinte si schiariscono e la pennellata diventa

sempre più fluida. Ma il capolavoro di Guardi sono una serie di pannelli di una cantoria,

per la chiesa di San Raffaele di Venezia, dove il tema è quello delle storie di Tobia e

Tobiolo dove la propensione alla disintegrazione dell’immagione raggiuge risultati

inimmaginabili. Risenti registrazione.

Il fratello Francesco, poco più giovane di Gianantonio, è noto per la sua produzione

vedutistica perché occupa il posto lasciato libero da Canaletto, che si era trasferito a

Londra e c’era spazio per una produzione di vedute di Venezia che continuavano ad

essere richieste. Tuttavia, prima di dedicarsi solo alla pittura di veduta abbiamo opere di

soggetto storico, come il Santo che adora l’eucarestia che è una copia da Piazzetta (i santi

Ludovico, Bernardo), ma anche lui in una delle poche opere di soggetto sacro che abbiamo
e che oggi si trova a Vienna, Miracolo di un santo domenicano, c’è una visionarietà nella

sua pittura che denuncia una personalità che va alla ricerca di un linguaggio che

potremmo dire un linguaggio dell’anima, che trasmette un sentire dove si nasconde

un’inquietudine. Francesco Guardi non è stato particolamente apprezzato, tuttavia ha un

suo mercato perché continuerà a lavorare con questa libertà quando entrerà nel genere del

vedutismo negli anni ’50 con una pittura radicalmente opposta a quella pittura lenticolare,

quasi fiamminga, di Canaletto. Per capire come tutto questo possa stridere con una pittura

di tono completamente differete, chiudiamo con FRANCESCO ZUCCARELLI, che in

realtà non è pittore eccentrico ma sembrava interessante. È uno di quei pittori legato a

Joseph Smith, che è l’agente di alcuni pittori veneziani (3 sono soprattutto quelli che segue

e promuove: Canaletto per la veduta, Carriera per il ritratto e Zuccarelli per la pittura di

paesaggio). non è un caso che piacerà tantissimo ai turisti inglesi, pennellata fluida e

spumeggiante che lo distingue nettamente dai paesaggisti romani. Il tema è il paesaggio

arcadico, mentre nel ‘600 i pittori paesaggisti lavorano in un paesaggio che è lo spazio

dove ambientare il mito e dove ricostruire l’idea di un paesaggio mitico, allora nel ‘700 a

queste figure si sostituiscono pastori e pastorelle e la dimensione mitica diventa una

dimensione più quotidiana. È un pittore che va conosciuto e apprezzato per

26/04/2022

Gianbattista Tiepolo, l’avvio della carriera

1696 nasce a Venezia

1710 entra nella bottega di Gregorio Lazzarini

1717 iscritto alla Fraglia dei pittori

1718 – 1719 affreschi della Villa Baglioni a Massanzago (la sua carriera è segnata

inizialmente da questa attività di freschista, soprattutto per la nobiltà acquisita (non mi

viene la parola))
1722 partecipazione alla serie di dipinti di San Stae (importante perché c’è una sorta di

galleria degli artisti presenti a quel tempo a Venezia)

1724 disegni, incisi da Andrea Zucchi, per la “Verona illustrata” di Maffei (la “Verona

Illustrata” di Maffei, Tiepolo fornisce i disegni che poi verranno incisi da Antonio Zucchi e

attesta l’interesse che Tiepolo ha per l’esercizio del disegno, che è sempre da segnalare

soprattutto quando si parla di pittori veneziani, e poi perché lo vediamo in un contesto

colto perché Scipione Maffei è un grande uomo colto del tempo e lavorare qui lo mette in

contatto con l’antico, che ha una ricaduta significativa sulla formazione del pittore)

1725 affresco e tele per Palazzo Sardi

1726 post, dipinti per Palazzo Dolfin su richiesta di Daniele III (qui in qualche modo, in

questa serie di dipinti per la sala da ballo incentrati sulla storia romana, c’è una

dimestichezza con il repertorio all’antica che Tiepolo utilizza appena può; il rapporto con

la famiglia Dolfin, che è una famiglia importantissima che ha dato generali alla Repubblica

di Venezia e uno è arcivescovo e patriarca del Patriarcato di Aquileia, parte con la serie di

dipinti per il palazzo di città, su Canal Grande, ma continua poi nel 1726 con gli affreschi

per l’Arcivescovado di Udine. Dopodichè comincia ad allargarsi la fama del pittore e la

presenza a Milano è estremamente importante)

1726 post, affreschi per l’Arcivescovado di Udine, committente il patriarca Dioniso Dolfin

1730-31 affreschi (perduti) per Palazzo Archinto a Milano (di questo primo cantiere

milanese abbiamo solo foto in bianco e nero perché gli affreschi sono andati perduti

durante il bombardamento del 1944)

1732 esecuzione della Pala d’altare con l’Educazione della Vergine per Santa Maria della

Fava a Venezia (arriva piuttosto tardi la sua produzione per Venezia)

1733-38 dipinti per le chiese di Udine, su richiesta del patriarca Dolfin (dipinti che si

scalano su diversi anni, dipinti in particolar modo per il Duomo della città)

1734 esecuzione dell’Immacolata Concezione per la chiesa dell’Aracoeli di Vicenza (ora nel

Museo Civico)
1734 primi contatti per l’esecuzione della pala con il Martirio di Sant’Agata per la basilica di

Sant’Antonio a Padova (come vediamo comincia ad allargarsi la sua fama come pittore di

pale d’altare e un dipinto per il grandissimo santuario di Padova è un attestato

straordinario di questa fama)

1737-39 affreschi per la chiesa dei Gesuati a Venezia (questo è il primo cantiere in una

chiesa importante di Venezia, dipingerà una serie di affreschi nella volta della navata che

saranno uno spettacolo straordinario, cantiere che porta all’interno di una chiesa quella

sua retorica dell’immagine che era maturata soprattutto in contesti privati)

1739 Visione di San Clemente commissionata dal principe elettore Clemente Augusto per la

chiesa conventuale di Nymphenburg

1739 Martirio di San Sebastiano per la chiesa degli agostiniani di Diessen in Bavaria

1739-40 soffitto per la Scuola Grande dei Carmini (quindi l’ingresso, considerabile un

attestato di grande fama professionale, in una delle Scuole, e abbiamo ricordato quanto

siano importanti le scuole per l’area veneziana)

In questo momento, la fine del ‘600, Bologna è una città di riferimento estremamente

importante perché ja una grande scuola nel ‘600, è la Bologna di Carracci, di Guido Reni,

di Guercino, a differenza di Venezia che aveva avuto una stagione straordinaria di pittori

nel ‘500 (Tintoretto, Tiziano, Paolo Veronese, ecc.). selezionare quali sono gli elementi

cardine di un artista e che ci fanno capire qual è il suo portato innovativo.

Adesso ripercorriamo alcune immagini

Aspetto importante è la capacità che il pittore ha di lavorare su una molteplicità di figura e

quindi di costruire dei contesti dove le figure concorrono a creare una narrazione ed un

rapporto (Gregorio Lazzarini e l’alunnati di Tiepolo). Abbiamo poi un disegno dello stesso

Tiepolo del 1716 circa che è la copia del modello dal naturale. Pittore che lavora nelle

invenzioni delle storie con facilità e delicità eseguite (Pietro Guarienti, 1753), un pittore

quasi per natura, invenzione nella messa in scena delle sue opere. Il primo che

sicuramente è considerato un suo autoritratto è quello che troviamo nel quadro Apelle,

Alessandro e Campaspe del 1725 circa, in cui lui si rappresenta nella figura di Apelle
(rapporto felice tra le arti e il sovrano, tra il pittore e lo stato, quando la pittura diventa

espressione dello stato, della nazione). Villa Baglioni a Massanzago è il suo primo

rapporto con la nobiltà di cambia, qui è il pittore dirompente, per la prima volta qui

diventa quello che le fonti ricordano, questa felicità dell’invenzione, questa capacità di

creare mondi fantastici che hanno grande forza nella verosimiglianza. Torniamo a San Stae

con il Martirio di San Bartolomeo che ci fa capire che tra il 1719 e il 1722 il pittore si muove

senza aver fatto una scelta precisa: nella Villa già il colore ha preso piede, si accende,

stilizzazione delle forme e invenzione di una sua estetica personale, ma nel 1722 c’è nella

Galleria di San Stae un tributo alla pittura dei tenebristi e uno sguardo puntuale su un suo

collega più anziano, Piazzetta. Vediamo le foto di Palazzo Archinto e poi il Trionfo

dell’eloquenza in Palazzo Sardi che è il suo primo attestato di mettere in scena soggetti

complessi dal punto di vista iconografico; opera da vedere come una collaborazione tra

l’avvocato Vettore Sardi, che ha la necessità di mettere in scena qualcosa legato alla sua

professione, e Tiepolo, che qui inizia a sciorinare le sue conoscenze del mito, le sue

conoscenze iconografiche. Il pittore si deve abituare a fare quello che ai ricchi piace, perché

i denari vengono dai ricchi che ci fa capire che Tiepolo è in una posizione tutto sommato

di sudditanza, continua a vivere il suo mestiere come un mestiere da suddito; tant’è vero

che quando il re di Spagna chiede a Tiepolo di trasferirsi a Madrid per decorare le sale del

nuovo Palazzo Reale, Tiepolo non vuole andare perché non si voleva allontanare da

Venezia e dalla sua famiglia perché era vecchio e perché fondamentalmente era un pittore

già ricco, che poteva vivere quegli ultimi anni tranquillo, ma è costretto dalla Repubblica

di Venezia ad andare a Madrid, che spedisce il pittore lì. Nel contesto romano

probabilmente siamo in una situazione differente, questa capacità che il contesto romano

ha avuto di pensare al pittore come un intellettuale trova una sua veridicità, un pittore

come Mengs che se ne va a Madrid per fatti suoi e fa avanti e indietro tra Roma e Madrid.

Tele che decoravano le pareti di Palazzo Sardi, oggi disperse in diverse collezioni.

Frequentazioni della storia con la famiglia Zenobio, che addirittura ritrova nella regina

Zenobia un’antica corrispondenza della famiglia.


Entriamo invece nell’Arcivescovado, o Palazzo Patriarcale, di Udine, dove mette in scena

un repertorio iconografico che è già maturo di quello che sarà il suo stile: grande abilità

prospettica. Straordinaria è la galleria del palazzo patriarcale, dove vengono illustrati

momenti dell’Antico Testamento. Nella pittura di Tiepolo da questo momento in poi tutto

diventa teatro, a cominciare dai costumi, la vecchia Sara è vestita con un costume del ‘500

come era sia in teatro sia nelle feste in maschera (grande fortuna dei costumi

cinquecenteschi). Nei ritratti di Batoni spesso i lord inglesi si facevano ritrarre con costumi

del ‘500. Nel quadro Rachele nasconde gli idoli il gruppo dietro ci fa pensare alla poesia di

paesaggio arcadico. Poi c’è la soluzione incredibile della Lotta di Giacobbe con l’Angelo, in

monocromo che è una rappresentazione nei toni del grigio, quasi a raffigurare la pietra.

Nei monocromi Tiepolo si inventa l’uso della foglia d’oro che impreziosisce la

rappresentazione, il prof si è fatto convinto che questa cosa lui la ricava dai quadri di

Mantegna, che ad un certo punto esegue, anche per Venezia, dei finti bassorilievi dove i

fondi sono trattati come se fossero dei marmi preziosi. La Galleria è stretta e c’era la

necessità di creare una prospettiva ardimentosa dove il pittore non perde il controllo

assoluto dell’immagine ma dove si diverte già a creare quello che sarà un esercizio

supremo della pittura ad affresco e cioè quel disintegrare l’immagine per lasciare il

compito di ricomporla al fruitore. Guardiamo la forza delle teste che sono quasi dei ritratti,

per cui è veramente un pittore eccezionale perché sviluppa il massimo della fantasia senza

dimenticare la sua radice di pittore che guarda alla natura, per cui le teste sembrano in

qualche modo dei ritratti e qui vediamo tanto anche lo sguardo sui disegni di teste di

Piazzetta, che per lui devono essere stati folgoranti.

Vediamo le pale con l’Immacolata Concezione che potrebbe ricordare in qualche modo

certa pittura di Guido Reni, ma qui c’è qualcosa di più mondano, a cominciare dal vestito

di raso (in Reni ricordiamo l’eleganza della Vergine che si allunga alla ricerca di una

estetica del bello ma non c’è l’insistenza sulla preziosità delle stoffe, che è una cosa tipica

di Veronese).

Con San Clemente papa adora la Trinità, capacità di impaginare la scena, se dovessimo

commentare il dipinto noteremo la profondità dello spazio, capacità di creare piani in


sequenza in modo impeccabile (qui abbiamo i primi paini del gradino che formano una

sorta di proscenio, poi abbiamo il santo inginocchiato, ma l’attributo del santo che è di

nuovo un esercizio di prospettiva che crea spazialità, un terzo piano con le figure che sono

come elementi di raccordo tra i primi piani e una profondità giocata sui contrasti

chiaroscurali, per cui c’è una figura in ombra, la figura di Cristo in piena luce e lo spazio

che sprofonda nel fondo con questa nicchia cassettonata che è un capolavoro).

Ingresso da protagonista in una chiesa fondamentale, la chiesa domenicana di Venezia che

era stata ristrutturata da Giorgio Massari tra il 1726 e il 1735: CHIESA DEI GESUATI,

(rifatta sullo stile palladiano, tutte le chiese rifatte nel’700 sono fatte in stile palladinao),

anche all’interno un linguaggio palladiano quasi da manuale e sulla volta gli affreschi di

Tiepolo con l’Istituzione del Rosario. Nessuno aveva mai sperimentato con questa forza

questi sotto in sù così arditi ma in cui non si perde mai niente della dimensione reale

dell’immagine. Poi ancora una volta le nuvole di Tiepolo, meravigliose.

Ora passiamo ad un altro powerpoint e proseguiamo entrando nella produzione di

Tiepolo freschista: la sua attività in ville e palazzi (1730 – 1752)

Particolare produzione che abbiamo già visto a Massanzago e nel Palazzo Archinto e che

ritroviamo poi in quella produzione per le ville in terraferma soprattutto nel vicentino che

parte da Villa Loschi a Biron di Monteviale (VC) con affreschi realizzati intorno al 1734 su

richiesta di Niccolò Loschi che aveva acquisito il titolo nobiliare nel 1729. Sappiamo che a

Roma quando sale al soglio pontificio un membro di una famiglia è d’obbligo che la

famiglia, soprattutto se viene da fuori, acquisisca un importante palazzo e apre un cantiere

per la decorazione di questo palazzo (succede a tutti, questa idea che quando si ha un

pontefice in casa si crei un palazzo all’altezza di questa carica, palazzo che diventa in un

certo qual modo una corte). A Venezia succede la stessa cosa ma in una dimensione

diversa. Quando si acquisisce un titolo nobiliare c’è la necessità di darsi un lustro, si

decora il palazzo di città ma soprattutto la villa di campagna, esemplare di un costume

sociale nobiliare perché i nobili nel ‘700 sbrigano gli affari nel palazzo di città ma vivono

nella villa di campagna. Ed è fondamentale anche perché nel ‘700 le famiglie veneziane, sia
che siano aristocratiche o “nuovi arricchiti”, posseggono terre nella terraferma e i

guadagni di queste famiglie sono spesso legate ai fondi terreni. I Loschi grande villa in

terraferma, architettura di stampo classicista (qui vediamo lo scalone d’ingresso), ville in

terraferma che hanno solitamente una struttura ricorrente: galleria centrale e degli

ambienti laterali. Tiepolo affresca sia lo scalone con una serie di dipinti che costituiscono

una sorta di galleria; per la volta esegue il Tempo che scopre la Verità (è il tempo che

mostrerà che quel titolo nobiliare acquistato non è solo una questione di status sociale, ma

che è un qualcosa che il tempo mostrerà che la famiglia si merita, ci sarà bisogno di tempo

perché la verità sul valore della famiglia sia una verità conosciuta da tutti) e tutta la

decorazione celebra questo aspetto, immagini puntualmente riprese da Ripa. Tutta

l’iconografia tende ad esprimere il concetto di come la famiglia sia degna del titolo (Gloria,

Fama, Virtù Cardinali, la Nobiltà e il Merito, la Virtù che incorona l’Onore e la Concordia

Maritale che è una celebrazione dei legami familiari e che in Ripa è descritta esattamente

così). Ma c’è chi fa di più da un punto di vista iconografico: Galleria di Palazzo Clerici a

Milano deocrata nel 1740 in occasione delle nozze del marchese di Cavenago Giorgio

Clerici con Fulvia Visconti, due famiglie aristocratiche importantissime. La decorazione

qui ruota intorno al carro di Apollo con divinità dell’Olimpo e scene dei 4 continenti, il

tema iconografico che è diventato l’emblema della potenza (Apollo). Una cosa nuova, che

non avremmo trovato in un dipinto con Apollo del ‘600, sono le scene dei 4 continenti

intorno. Anticipa a Palazzo Clerici quello che poi risperimenterà in una dimensione più

magniloquente a Wuzburg.

Villa Cordellina, Giorgio Massari, committente un giureconsulto, Carlo Cordellina.

L’ingresso è stavolta su una stanza di raccordo, dove Tiepolo realizza il Trionfo della

Nobiltà sull’Errore, tra il 1743 e il 1744. Virtù e Nobiltà come due bellissime donne, il

Trionfo e l’Errore che precipita come nella caduta degli angeli ribelli. Sulle pareti tema

storici, la Continenza di Scipione e la famiglia di Dario davanti ad Alessandro, richiesta

precisa del committente. Cordellina era entrato nel merito delle leggi, aveva scritto diversi

trattati ed era entrato in un dibattito molto sentito in quegli anni, quello del diritto naturale

e del diritto positivo (quale rapporto ci possa essere tra il diritto dello stato e quello del
cittadino, può il diritto del privato avere un’importanza come quello dello stato? Quando

lo stato può retrocedere davanti al diritto del cittadino?). capiamo bene la posizione

dell’avvocato perché se sceglie due soggetti in cui i due protagonisti romani restituiscono,

benchè vincitori, personaggi prigionieri alle loro famiglie, fa capire che il diritto del

cittadino va tenuto nella giusta considerazione. Intorno, sopra le porte le 4 parti del mondo

e sul soffitto, nei monocromi, una serie di allegorie che rinforzano il tema e celebrano lo

stato che punta a difendere il cittadino, a migliorarne le condizioni di vita attraverso anche

quella produzione delle arti (pittura, poesia e musica in particolare).

Nel 1745 esegue un dipinto per villa Contarini – Pisani a Mira, eseguito in occasione delle

nozze tra Vincenzo Pisani e Lucrezia Corner. Viene rappresentato un episodio storico,

Enrico III che era passato in Veneto e aveva visitato proprio villa Contarini. Nella

rappresentazione torna il gusto teatrale che connota, con tanto di buffoni di corte e mori, la

pittura di Tiepolo. In questo caso l’affresco della villa è stato staccato nel 1890 circa e

venduto ad un grande collezionista dell’epoca, Jacquemart Andrè (oggi si trova a Parigi

nella casa museo di questo personaggio). Per capire cos’è la storia nella mani di Tiepolo

andiamo a vedere il ricco salone da ballo di Palazzo Labia, diventati ricchi tramite la

vendita di tessuti, commercio di tessuti, in cui torna il banchetto di Antonio e Cleopatra.

Decorazione della sala da ballo con le quadrature del solito Mengozzi Colonna.

28/04/2022

Riprendiamo dalla Scuola Grande dei Carmini, come si faccia strada per Tiepolo un

impegno nella pittura in contesti sacri. Ingresso in una delle scuole veneziane in questo

caso, dove esegue le tele della volta della Sala Capitolare che ruotano intorno alla

Madonna del Carmelo al centro e ai lati episodi che tendono a celebrare in forma

allegorica le cirtù che si collegano all’immagine religiosa, virtù che vengono proposte ai

confratelli nella Sala Del Capitolo, sala delle riunioni dei membri della confraternita. Al

centro la Madonna del Carmelo (1749), un’immagine prodigiosa per la sua capacità

prospettica che è unica per la pittura del ‘700 (guardiamo la figura messa ad angolo,

prospettive ardite che non perdono mai nulla della verosimiglianza di un’immagine), la
cromia è accesa e brillante anche se non si perde ancora quella memoria della pittura di

Piazzatta, che è stato, forse più di Bellucci, il suo vero maestro. Le figure d’angolo,

Coraggio e Giustizia, figure allegoriche di Tiepolo sono sempre femminili, predisposizione

al genere femminile a cominicare dalla bellezza delle Sante, tributo alla grazia e alla

bellezza della donna (scelta di celebrare il genere femminile, un po' quello che

Michelangelo aveva fatto al contrario, celebrando per tutta la vita il corpo maschile). Virtù

teologali: Fede (tiene in mano il calice e la croce), Fortezza (tiene in mano l’ancora, il

simbolo tradizionale) e Carità (una mamma che tiene in braccio un bambino); Penitenza

(croce con due bastoni messi insieme e il volto bruciato dal sole, perché l’incarnato

trasparente dell’umiltà è diverso da questo volto bruciato dal sole), Umiltà (in primo piano

con in braccio l’agnello), Verità (si ricollega ad un tema romano, Volummia, sacerdotessa

che fu accusata di non aver rispettato la castità e per dimostrare che non era vera prende

un crivello e ci butta l’acqua del Tevere ma questa acqua non passa oltre). Baciccio e i

pennacchi della chiesa di Sant’Agnese in Agone con la bellezza del colore e delle forme,

trova qualcosa che ricorda la capacità straordinaria di Tiepolo. Altre immagini: Prudenza,

Purezza e Temperanza, soluzioni incredibili di Tiepolo. Un angelo e un putto con lo scapolare,

un angelo che salva un ragazzo che cade dall’impalcatura: un miracolo, forte sottinsù

dell’edificio con la colonna, la scala di cui vediamo solo un piolo, l’impalcatura lignea che

frana e il giovane abbracciato dall’angelo, forza emotiva straordinaria. Poi l’angelo che

presenta lo scapolare ai fedeli. Cos’è di preciso lo scapolare? È una sorta di piccolo borsellino,

ma quale sia precisamente il significato il prof non lo sa.

Torniamo a Tiepolo freschista: la sua attività in ville e palazzi (attività laica, a differenza di

quanto abbiamo visto prima)

Della Villa Cordellina abbiamo commentato il significato delle pareti con la famiglia di

Dario e la Continenza di Scipione. Abbiamo chiuso con la decorazione della sala da ballo

di Palazzo Labia con le storie di Antonio e Cleopatra. Torniamo ora sulla residenza di

Wuzburg, dove è insieme ai due figli Giandomenico e Lorenzo e decora la volta dello

scalone d’ingresso e quella del salone capitolare e mentre si sale la scalinata si trova il

ritratto del committente portato in gloria con una serie di figure allegoriche e tutto intorno
una messe di figure che stanno a rappresentare le 4 parti del mondo. Per Tiepolo la

celebrazione delle famiglie alle quali si lega con i suoi lavori, prevede sempre una

mescolanza di realtà e di fantasia, quindi sempre, sia che si tratti di celebrare di personaggi

ritratti sia che si tratti di ricordare regni, nazioni, ecc., c’è sempre l’esigenza di scomodare

gli dei dell’Olimpo, che concorrono in questa rivisitazione della storia per cui la

contemporaneità si sente legittima erede di un passato, che in realtà è un passato di

invenzione. Lo fa fino a che non inciampa in questa sua inclinazione, ovvero quando

arriverà a Madrid. Vediamo Beatrice di Borgogna che è condotta al Genio dell’Impero,

1751-52 (committente il principe vescovo Karl Philipp …) e questo sulla volta. Sulle pareti,

ocn l’idea di una sorta di palcoscenico con tendaggi aperti da due putti, le nozze di

Federico Barbarossa con Beatrice di Borgogna e l’investitura del vescovo Herold, episodi

medievali a celebrare il potere detenuto dal proprietario di questa bellissima residenza.

Capacità di rappresentare le diverse nazioni attraverso i dettagli che vanno dalla presenza

della Chiesa come figura allegorica che contraddistingue l’Europa, con tutto quello che c’è

intorno, le Arti ad esempio. Nel ‘700 le Arti del disegno vanno di pari passo con la musica.

Poi l’America rappresentata come l’esotismo, un po' come lo è nello stesso periodo la Cina,

ed è anche la ricchezza del mercato; l’Africa con i suoi animali esotici, lo struzzo in primo

piano, anche con l’interesse per rappresentare i nativi africani in maniera più o meno

fantastica (non dimentichiamo che a questa data Propaganda Fide che aveva colonizzato il

mondo intero era stata una mediatrice tra questi paesi e l’Europa) e l’Asia (mercato degli

schiavi).

Villa Valmarana ai Nani, San Sebastiano di Vicenza: non è un edificio complesso, l’edificio

centrale è un edificio di 2 piani, dove il pianterreno è affrescato da Tiepolo. Sul retro si

trova un giardino all’italiana e un grande edificio che completa il complesso, che è la

foresteria, dove lavorerà per la prima volta autonomamente Giandomenico Tiepolo, il

figlio maggiore di Gianbattista Tiepolo. Qui il padre gli lascia spazio, ma c’è da

considerare anche il committente: non è facile convincerlo a destinare uno spazio ad un

“membro della ditta Tiepolo”. Vediamo la pianta:


- Edificio centrale ha una galleria passante tra le due terrazze e 4 stanze angolari

decorati con temi unici (Eneide, Iliade, Orlando Furioso e la sala della Gerusalemme

Liberata) ed è un caso straordinario in cui i capolavori della letteratura antica

vengono messi insieme ai capolavori della letteratura contemporanea. Al secondo

piano non ci son grandi decorazioni

- Nella foresteria c’è un salone di ingresso principale dove non ci sono decorazioni,

poi una serie di stanzette (Carnevale di Venezia, ecc.).

L’edificio centrale è trasfigurato dalla finzione architettonica di Mengozzi Colonna, si

fingono dei porticati con delle colonne di ordine ionico, da un lato si affacciano delle figure

che osservano il soggetto principale: il sacrificio di Ifigenia (descriviamo utilizzando Hal

[?]) che aveva molto fortuna nel ‘700, con una fonte preferita, ovvero le Metamorfosi di

Ovidio. Tiepolo rappresenta il momento in cui Agamennone sta sacrificando la figlia

sull’altare, intorno una folla rappresentata in questo momento di sgomento per la

terribilità di quanto sta accadendo, ma arriva la cerva inviata da Diana mossa a

commozione. Quello che è straordinario è il dettaglio della cerva sulla nuvola che sembra

librarsi nello spazio della galleria e che sembra invadere lo spazio di chi osserva la scena.

Osserviamo il modo nel quale riesce a dare profondità all’animale, è tutta una questione

cromatica, lascia più chiara le parti sottostanti ma la resa della testa è straordinaria, per cui

ci sono queste pennellate rapide che si ricompongono nell’immagine osservata da lontano.

Nella stanza dell’Iliade c’è un episodio che si lega a Briseide, la schiava di Achille che

viene scelta per essere donata ad Agamennone ed imbonirla e Achille questa cosa non la

sopporterà. L’architettura richiama l’architettura della galleria, grande architettura di

stampo palladiano. Le cose cambiano radicalmente già nella stanza dell’Eneide, ma ancora

più nelle altre due. Già qui c’è un cambiamento, le volute vegetali fanno sentire un cambio

di passo ma ci sono dei medaglioni con monocromi e la lesena che ricorda le decorazioni a

grottesca, tipica degli ambienti romani. Della vicenda di Enea si sceglie il momento nel

quale lui è a Cartagine e lo vediamo mentra presenta il figlio Ascanio a Didone e Mercurio

che ordina a Enea di lasciare Cartagine. Vediamo i dettagli, pittura con una tale capacità di

conoscere il colore nella sua capacità, cogliamo nello spalliere dell’armatura il baluginare
del ferro dell’armatura se lo vedo da lontano ma se ci avviciniamo vediamo che sono dei

tocchi di colore, quindi capacità di conoscere l’effetto che l’accostamento dei colori può

fare nella ricomposizione dell’immagine (ha a che fare con la pittura tonale veneziana

introdotta da Giorgione). Nella Stanza della Gerusalemme Liberata gli episodi ruotano

intorno all’amore di Rinaldo e Armida che doveva sedurre Rinaldo e distoglierlo dalla

guerra ma lei si innamora al punto che lo rapisce e qui vediamo la scena in cui Armida

vede Rinaldo addormentato presso il fiume Oronte e l’episodio in cui Armida ha già rapito

Rinaldo. Qui Tiepolo si prende delle libertà per cui c’è Armida che arriva su un carro

trainato da due cavalli di cui intravediamo le criniere e Rinaldo fanciullo è addormentato e

Armida rimane folgorata dalla sua bellezza. Dall’altra parte il soggetto di Rinaldo che è

stregato dalla donna e viene portato nel suo giardino ma i commilitoni lo scoprono e lo

toglieranno dal sortilegio e lo riporteranno in guerra. In questo caso c’è un legame con i

soggetti precedenti, perché Enea e Didone si tratta di un momento in cui Enea perde la

testa per lei ma poi viene richiamato all’ordine e quindi ritroviamo quel tema che c’era

anche a Villa Cardellina in una dimensione diversa: quando bisogna rinunciare al proprio

interesse personale per un bene superiore. Poi c’è il momento in cui Rinaldo abbandona

Armida, nonostante lei lo implori e cerchi di sedurlo con la sua superba nudità.

La Stanza dell’Orlando Furioso è quella più straordinaria, perché qui cominciamo a

respirare l’aria che poi ritroveremo nella foresteria. Questa invenzione e rilettura della

storia è in chiave contemporanea, quindi i personaggi sono personaggi in maschera,

personaggi del teatro, dimensione di spazio di chi osserva invaso dai protagonisti ricorda

il teatro, che vince su tutto. Quando si tratta di fondali è possibile riconoscere la campagna

circostante. Qui racconto di Angelica e Medoro, calato nella campagna circostante,

soprattutto nella rappresentazione di Angelica che scopre Medoro ferito e si rifugiano dai

contadini, che sono contadini del tempo, in abiti del tempo. Immagini iniziali e finali

dell’episodio, prima di allontanarsi dalla capanna dei contadini Angelica scrive il nome

dei due amanti sulla corteccia di un albero. Momento nel quale i due amanti si allontanano

e prima di allontanarsi donano un anello ai contadini, che è quello donato da Orlando ad

Angelica. Vediamo l’immagine dei due contadini, all’altezza di un Ceruti, dove c’è
sicuramente la mano di Giandomenico, è opera sua. Anche Cupido, emblema di questo

amore travolgente, rappresentato mentre tiene la faretra con le frecce ma al di sotto c’è una

veduta della campagna padana con dei contadini che rientrano dalla campagna verso il

borgo. Giandomenico lo troviamo poi nella FORESTERIA, dove dedica un’intera sala alla

rappresentazione di vita quotidiana dei contadini. Intorno c’è quella che poteva essere

l’immagine di un contesto reale, addirittura la zucca che è tipica di quelle zone. Ancora

più straordinari i dettagli dei contadini a riposo e dall’altra parte la campagna in una zona

limitrofa al borgo, c’è qualcosa che ricorda il Leopardi che racconta la natura marchigiana,

e la contadina con un cesto di uova che è diretta verso il borgo per venderle e diventa

un’immagine di una forza straordinaria, come fosse una figura antica. Il popolo nella

tradizione, a partire dalle bambocciate, è rappresentato in modo irridente, sono pochi i casi

in cui c’è una partecipazione nella rappresentazione, fino a che nel ‘700, quando la

dimensione dell’impegno sociale è molto più sentita, questa dimensione di partecipazione

è rappresentata. In questo caso Giandomenico osserva una campagna dove c’è anche

spazio per una dimensione di serenità, non è la campagna arcadica di Zuccarelli e del

rococò, ma è la partecipazione a questa realtà che diventa mitica davanti a figure come

queste, ad esempio la contadina che sembra una Pizia tratta dalla storia antica. Accanto

alla stanza dei contadini c’è il mondo altro, quello padronale, con queste passeggiate di

giovani dell’aristocrazia nei quali è possibile riconoscere alcuni Valmarana, incorniciati in

una struttura neogotica che è forse uno dei primissimi esempi della ripresa del gotico nel

SALONE GOTICO. La foggia orientale di un ombrello di un personaggio di uqesta stanza

torna nella stanza dedicata all’Oriente e alla Cina, con temi dedicati alla riscoperta

dell’Oriente. Infine, stanza con dei piccoli riquadri che è la sala della scene carnevalesche,

soggetti replicati più e più volte da Giandomenico: il ciarlatano con il popolo in maschera

che si affanna intorno a questa figura (sguardi sui contesti cittadini e di piazza che

restituiscono un’immagine quasi sociale) e poi la prima versione del Mondo Nuovo, che poi

ritroveremo nella villa della famiglia Tiepolo, presenza di diorama che lasciavano

intravedere all’interno dei mondi lontani, anche in questo caso era un divertimento legato

agli altri mondi, di solito si potevano vedere le terre d’Africa o d’America, tutti paesi che
iniziavano ad essere noti attraversi i viaggi intercontinentali e le incisioni frutto di appunti

di viaggio, è il viaggio del popolo, per coloro che non potevano affrontare viaggi.

Nel 1756 ritroviamo la “ditta Tiepolo” in un’altra villa importante, VILLA PISANI a Stra,

committente il doge Alvise Pisani. Questo è il salone da ballo, dove interviengono

Giambattista e Giandomenico tra il 1760-62 e in alto, fra divinità e figure alleoriche di ogni

genere, il trionfo della famiglia Pisani. Mentre sta terminando la decorazione di questa

villa, riceve l’invito a trasferirsi a Madrid per la decorazione del Palazzo Reale che era

stato ultimato da pochi decenni. È un cantiere a cui Tiepolo non vorrebbe partecipare, non

si vuole allontanare da Venezia ma è la Repubblica che lo obbliga ad andare. Tra il 1761 e

il 1762 a Venezia Gianbattista realizza il bozzetto con la Gloria della Spagna, inviato prima

della sua partenza e incontra i favori dei reali di Spagna e dei personaggi di corte che si

occupavano di ideare il complesso iconografico del Palazzo. Tant’è vero che quando

inizierà i lavori ci saranno dei cambiamenti. Ricordiamo uno di questi intellettuali di corte,

che ad un certo punto scrive una lettera in cui dice che la mitologia non è parte della storia,

c’è quindi un rifiuto della mitologia. Rappresentazione di tutte le province spagnole, una

serie di figure che attraverso vessilli rappresentano le province spagnole: affresco che nel

celebrare la monarchia celebra l’unione della nazione attraverso la rappresentazione delle

diverse nazioni. Dopo una grande parte, dove troviamo la data di conclusione dei lavori e

la firma di Tiepolo. Nella “Saletta” il tema scelto è l’apoteosi della monarchia spagnola, qui

però torna l’Olimpo e si capisce che ci deve essere stato un dibattito all’interno della corte

su cosa dovesse essere rappresentato. Questa cosa viene ribadita nella sala della guardia,

dove l’apoteosi di Enea viene presentata con accanto due figure mitologiche, la madre

Venere e Vulcano, ma questi sono gli spazi che hanno maggiore rappresentatività, nella

sala del trono si cerca di ridurre. Ma dobbiamo introdurre un’altra presenza, quella di

MENGS, c’è una maggiore adesione alla storia ma c’è una dimensione disegnativa che

pone in diretto confronto quella tradizione legata al colore con la scuola romana, dove la fa

da padrone la dimensione tutta disegnata e legata all’esempio dell’antico, calibrata in

quella dimensione accademica che dall’arrivo in Spagna nel 1762 Mengs porta avanti come
l’unica vera scuola che può portare avanti l’arte del presente e quelle del futuro. Mengs

avrà la meglio perché nessuno in Spagna riprenderà lo stile e le pitture di Tiepolo.

C’è ancora spazio per questi due indirizzi:

- Nel 1769 Mengs esegue un quadro con la Flagellazione di Cristo, una composizione di

accademie maschili, una composizione di quei disegni eseguiti con davanti il

modello. Nel 1769 Mengs realizza la Salita di Cristo al Calvario, che è ancora di più

un manifesto di stile, l’idea della scuola romana tutta impostata sulla classicità che

passa attraverso l’antico, Raffaello e i maestri bolognesi.

- A Madrid nel 1772 arriva una serie di 8 dipinti con stazioni della Via Crucis inviati

da Giandomenico per la chiesa di San Francesco di Madrid, oggi al Prado. Sono due

mondi che non dialogano questi.

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